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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 1 ottobre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 3 della legge n. 92 del 2012 – tristemente nota come legge Fornero – al fine di assicurare ai lavoratori dipendenti da imprese operanti in settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale una tutela in costanza di rapporto di lavoro nei casi di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa per cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria, ha previsto un contributo pari allo 0,50 della retribuzione mensile imponibile ai fini previdenziali dei lavoratori dipendenti (esclusi i dirigenti), di cui un terzo a carico del lavoratore e due terzi a carico del datore di lavoro;
    tale prelievo suona come un ulteriore balzello che acutizza la già grave situazione in cui versano le nostre imprese, salassate dall'elevato costo del lavoro;
    il comma 4 del citato articolo 3 prevedeva che entro il 2013 le organizzazioni sindacali e imprenditoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale avrebbero stipulato accordi per la costituzione di fondi di solidarietà bilaterali e, in mancanza, a decorrere dal 1o gennaio 2014 si sarebbe provveduto mediante l'attivazione di un Fondo di solidarietà residuale. Entro i tre mesi successivi, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e finanze, con proprio decreto avrebbe dovuto provvedere all'istituzione presso l'INPS dei predetti fondi;
    con decreto ministeriale n. 79141 del 7 febbraio 2014 è stato istituito presso l'INPS il menzionato Fondo di solidarietà residuale ed entro trenta giorni dall'emanazione del decreto medesimo – ovvero entro i primi giorni di marzo – l'INPS avrebbe dovuto individuare i soggetti tenuti al versamento del contributo al Fondo di solidarietà residuale;
    l'INPS con circolare n. 100 del 2 settembre 2014 ha definito, tra le altre cose, la disciplina di finanziamento, gli adempimenti procedurali e la modalità di compilazione per il finanziamento del Fondo di solidarietà;
    nello specifico la circolare stabilisce che:
    a) il fondo è finanziato da un contributo ordinario dello 0,50 per cento della retribuzione mensile imponibile ai fini previdenziali dei lavoratori dipendenti (esclusi i dirigenti), di cui due terzi a carico del datore di lavoro e un terzo a carico del lavoratore, e da un contributo addizionale totalmente a carico del datore di lavoro che ricorra alla sospensione o riduzione dell'attività lavorativa, calcolato in rapporto alle retribuzioni perse nella misura del 3 per cento per le imprese che occupano fino a 50 dipendenti e del 4,50 per cento per le imprese che occupano più di 50 dipendenti;
    b) l'importo di contributo ordinario dovrà essere maggiorato degli interessi al tasso legale dell'1 per cento computati dal 7 giugno 2014 (giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto istitutivo del Fondo residuale) e fino alla data di versamento;
    c) il contributo dovuto per le mensilità da gennaio a luglio 2014, dovrà essere versato non oltre il giorno 16 del terzo mese successivo alla data di pubblicazione della circolare stessa;
    tutto ciò suona come una beffa oltre al danno: per ritardi concernenti le modalità attuative non imputabili ai lavoratori e datori di lavoro, costoro ora sembra debbano pagare non soltanto gli arretrati a partire dal mese di gennaio 2014, ma anche gli interessi di mora dell'1 per cento sul dovuto a partire dal 7 giugno 2014;
    l'importo del contributo ordinario gravato degli interessi dell'1 per cento peserà su una retribuzione lorda di 2.000 euro mensili per circa 30 euro a carico del lavoratore e per circa 60 dell'impresa;
    a parere degli interroganti non esiste alcuna motivazione dell'applicazione degli interessi al tasso legale applicato ai contributi ordinari da versare, non essendoci negligenza da parte delle imprese e dei lavoratori nei pagamenti, posto che la circolare dell'INPS, con cui vengono stabilite le modalità di versamento, è stata pubblicata solo il 2 settembre 2014;
    risulta, pertanto, assolutamente errato ed arbitrario l'aggravio degli interessi sul contributo di solidarietà previsto dalla citata legge Fornero;
    si ribadisce, peraltro, l'effetto controproducente alla ripresa economica prevedere nel perdurante periodo di crisi il versamento di un contributo maggiorato di interessi a carico di lavoratori con grosse difficoltà socio-economiche ed imprese già in ginocchio,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative urgenti affinché venga annullata l'applicazione degli interessi dell'1 per cento sul contributo di solidarietà di cui in premessa, evitando altresì che sia richiesto il pregresso da gennaio 2014 all'emanazione della circolare INPS, ciò al fine di scongiurare un ulteriore iniquo aggravio a carico dei lavoratori, e quindi delle famiglie, e delle imprese;
   ad assumere iniziative dirette a rivedere l'attuale sistema di integrazione salariale evitando di far gravare gli oneri da esso derivanti sui lavoratori stessi già sottoposti, come le imprese, ad un livello di tassazione esorbitante che non ha paragoni in tutta l'Unione europea.
(1-00600) «Fedriga, Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    nonostante i pur significativi progressi fatti negli ultimi anni, l'Italia ancora sconta un grave ritardo nell'adozione di politiche di sostegno della maternità e della conciliazione tra vita familiare e lavoro: ciò determina, tra l'altro, un aumento della disoccupazione femminile producendo effetti negativi per lo sviluppo e la competitività del nostro Paese;
    i dati illustrati nel rapporto «Save the Children» del 2012 evidenziano che, già nel biennio 2008-2010, l'occupazione femminile è fortemente diminuita a fronte di un incremento dell'occupazione non qualificata rispetto a quella qualificata; in particolare:
     a) il dato dell'occupazione delle donne e mamme nel 2010 si attesta al 50,6 per cento per le donne senza figli – ben al di sotto della media europea pari al 62,1 per cento – ma scende al 45,5 per cento già al primo figlio (di età inferiore ai 15 anni) per perdere quasi 10 punti (35,9 per cento) se i figli sono 2 e toccare quota 31,3 per cento nel caso di 3 o più figli;
     b) se l'interruzione del rapporto di lavoro per nascita di un figlio è tra le ragioni principali della fuoriuscita dal mercato del lavoro delle donne, bisogna considerare che spesso non si tratta di una loro libera scelta: nel solo periodo tra il 2008 e il 2009 ben 800.000 mamme hanno dichiarato di essere state licenziate o di aver subito pressioni in tal senso in occasione o a seguito di una gravidanza, anche grazie all'odioso strumento delle «dimissioni in bianco»;
     c) le interruzioni del lavoro poste in essere in concomitanza della nascita di un figlio, che erano il 2 per cento nel 2003, sono quadruplicate nel 2009 diventando l'8,7 per cento del totale delle interruzioni di lavoro;
    recenti dati Istat, riferiti al primo trimestre del 2014, confermano il progressivo aumento della disoccupazione delle donne: a fronte di un impercettibile rialzo dell'occupazione maschile si registra, difatti, una significativa diminuzione di quella femminile (rispettivamente più 0,6 e meno 0,3 su base congiunturale; più 0,3 e meno 1,0 su base annua). Ad aprile 2014 le donne occupate erano 9.311.000, a maggio 9.263.000. Mentre il tasso di occupazione maschile sale al 64,8 per cento quello femminile scende al 46,3 per cento: il tasso di disoccupazione femminile dal 13,3 per cento sale al 13,8 per cento;
    oltre al suindicato dato disoccupazionale non può non considerarsi un'altra anomalia della partecipazione delle donne al mercato del lavoro ovvero la presenza di una forte segregazione orizzontale. Da un'indagine condotta dall'Isfol nel 2012, recante «Analisi di genere del mercato del lavoro», risulta che le donne sono presenti massicciamente in specifici settori di servizi ritenuti «naturalmente femminili», quali le attività domestiche e di cura della persona, l'insegnamento scolastico, il settore amministrativo. Il fenomeno, peraltro, è strettamente connesso a quello definito «tetto di cristallo», per cui una sorta di barriera invisibile impedisce alla donne di fare carriera confinandole nelle qualifiche contrattuali più basse;
    altro fattore di estrema criticità per il mercato del lavoro femminile è l'elevato numero di donne impiegate con tipologie contrattuali non standard, quali il contratto a termine, l'associazione in partecipazione e la collaborazione coordinata e continuativa. Inoltre, l'elevata presenza femminile nei lavori non standard presenta effetti di medio periodo differenti tra lavoratore e lavoratrice, in termini di prospettive di «stabilizzazione». L'Isfol rileva difatti che, tra gli uomini che nel 2008 avevano un contratto di lavoro atipico, il 59,4 per cento dopo due anni ha visto una trasformazione in contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, mentre lo stesso fenomeno ha riguardato solo il 48,4 per cento delle donne. La cosiddetta «trappola dell'atipicità» risulta più gravosa per le donne che per gli uomini;
    secondo il rapporto redatto dal citato istituto di ricerca, le cause della disoccupazione femminile risiedono, oltre che in una diseguale divisione tra i partner dei carichi di lavoro familiari, nell'inadeguatezza dell'attuale modello di welfare, connotato dalla carenza di servizi pubblici per l'infanzia oltreché di reti informali di supporto, e con un'organizzazione del lavoro poco conciliante e caratterizzata dalla rigidità dei tempi e degli orari, specie in relazione al periodo successivo al parto;
    in questo contesto di evidente e significativa criticità per l'occupazione delle donne, le misure varate dal Governo non hanno dedicato spazio alcuno alle politiche finalizzate a garantire un'effettiva conciliazione tra cura della famiglia e attività lavorativa in modo da incentivare una maggiore presenza femminile nel mercato del lavoro ma, all'opposto, hanno finito per incrementare il trend involutivo sopra evidenziato;
    in ordine alle politiche di incentivo alle assunzioni – ivi comprese quelle delle donne – le misure introdotte dalla cosiddetta Riforma Giovannini si sono rilevate fallimentari, a causa delle notevoli restrizioni agli sgravi fiscali previsti che ne ha o di fatto reso impossibile l'utilizzo;
    anche il successivo intervento dell'attuale Governo, messo a punto con la «Garanzia Giovani», non ha sortito alcun effetto positivo sull'occupazione delle donne: oltre ad una scarsa info azione sul contenuto dei piani attuativi regionali e sulla data di avvio del programma, va detto che l'offerta di posti di lavoro è disomogenea, frammentata e disorganica in quanto ogni Regione decide, in autonomia ed in base allo stanziamento di sua competenza, quali azioni finanziare tra quelle previste dal Piano nazionale;
    la presenza di servizi pubblici per l'infanzia e la cura di non autosufficienti, accessibili economicamente e di buona qualità, rappresenta una misura necessaria per promuovere l'occupazione femminile e per conciliare responsabilità lavorative e familiari;
    le entrate dei comuni hanno subito una drastica diminuzione per effetto dei tagli e della riduzione dei fondi regionali distribuiti tramite le province; in particolare, le predette misure economiche hanno indotto molti comuni a ridurre drasticamente, se non addirittura ad eliminare, l'offerta di servizi pubblici, quali asili nido, scuole a tempo pieno, centri di assistenza agli anziani e disabili;
    la perdurante riduzione dei fondi da destinare alle spese nel settore dei servizi alla famiglia, reca effetti negativi sulla occupazione femminile, a causa delle evidenti difficoltà di conciliare famiglia e lavoro, nonché effetti diretti sul personale impiegato nel settore dell'assistenza educativa;
    a fronte del quadro descritto, non sembra che abbia fornito risposte risolutive la misura del voucher, prevista dalla cosiddetta Riforma Fornero, ovvero la possibilità di utilizzare «buoni» per l'acquisto di servizi di baby sitting o per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati;
    lo strumento del voucher non è risultato in grado di compensare la diminuzione di offerta di servizi pubblici oggi in atto in considerazione dell'esiguità delle risorse stanziate, pari a soli venti milioni di euro l'anno, della farraginosità della procedura di assegnazione del «buono» e della circostanza che si tratta di un intervento sperimentale, destinato a concludersi nel 2015;
    in assenza di serie e concrete politiche per la crescita, la disoccupazione dei giovani che sono costretti a vivere in famiglia imporrà ancora più carico di lavoro alle donne «anziane» che, con l'incremento dell'età pensionabile prevista dalla cosiddetta «Legge Fornero», dovranno conciliare lavoro e famiglia per un numero maggiore di anni: un vero e proprio cortocircuito che deve essere arrestato;
    è giunto il momento di pensare a scelte coraggiose e ad iniziative risolutive e diversificate che tengano conto della necessità di sviluppare forme di lavoro che siano più flessibili per le lavoratrici e che incoraggino la creazione di servizi di supporto ai tempi della famiglia;
    tra le misure «flessibili», in funzione conciliativa delle esigenze delle lavoratrici, non possono non considerarsi le opportunità che riserva il telelavoro; una ricerca del 2012 presentata dall’«Osservatorio Smart Working della School of Management» del Politecnico di Milano evidenzia che, in Europa, l'Italia si pone per ultima come diffusione del telelavoro, utilizzato solo dal 5 per cento dei lavoratori impiegati. Al vertice della classifica, si pone, la Repubblica Ceca, con ben il 15,2 per cento, seguita, con molta distanza, da Spagna, Lituania, Germania, Slovenia (fra il 6,5-7 per cento) e, a seguire, le altre Nazioni;
    è necessario ed urgente invertire tale trend e focalizzare l'attenzione su tale modalità di esecuzione della prestazione lavorativa attraverso un percorso di riforma ed implementazione di tale modello il quale, grazie all'uso della tecnologia, permette un elevato grado di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi e nei tempi di lavoro;
   l'invocata flessibilità, finalizzata alla conciliazione dei bisogni familiari con i tempi di lavoro, deve riguardare anche l'attuale disciplina del congedo obbligatorio prevedendo di utilizzare i congedi a tempo pieno per un certo numero di mesi e per la parte restante in modalità a tempo parziale affinché si pervenga ad un bilanciamento tra l'esigenza della lavoratrice di conservare il proprio patrimonio professionale, evitando periodi troppo lunghi di assenza dal lavoro, e la volontà di dedicarsi ai figli per una certa parte della giornata o della settimana;
    un valido strumento per aumentare l'occupazione dei cittadini, garantendo, nel contempo, la conciliazione famiglia-lavoro è la predisposizione di percorsi formativi che creino figure professionali con specifiche competenze educative e di cura e che possano essere facilmente reperibili sul mercato in quanto iscritti in un apposito registro nazionale, pubblico e di pronta consultazione;
    bisogna provvedere ad una rivisitazione dell'istituto degli assegni per il nucleo familiare perché venga concesso anche alle lavoratrici autonome così come risulta opportuno introdurre ogni misura utile ad incentivare il lavoro a tempo parziale ed il lavoro autonomo;
    a ciò deve affiancarsi l'introduzione di adeguati incentivi fiscali e sgravi contributivi sia per i genitori che assumono direttamente personale specializzato per la cura dei bambini e delle persone adulte non autosufficienti, sia per i datori che assumono personale in sostituzione dei lavoratori in congedo; risorse devono, inoltre, prevedersi per i datori di lavoro che investono nella realizzazione di asili o baby parking aziendali ovvero che stipulano convenzioni con ludoteche o asili privati;
    gli interventi in esame sono necessari in quanto possono contribuire a far emergere parte del lavoro di cura sommerso con aumento del gettito per Irpef, Iva, contributi sociali e conseguente risparmio su prestazioni pubbliche di assistenza e disoccupazione;
    le dimensioni e la gravità del fenomeno analizzato impongono l'adozione di interventi normativi strutturali, risolutivi e idonei ad invertire rapidamente la tendenza in atto nonché finalizzati ad aumentare la presenza delle donne sul mercato del lavoro e ad eliminare i descritti divari di genere,

impegna il Governo:

   ad adottare e sostenere ogni iniziativa normativa volta ad istituire e promuovere percorsi formativi specifici che prevedano, tra l'altro, l'insegnamento di elementi di pronto soccorso, finalizzati alla creazione di figure professionali che svolgano attività di assistenza e cura di bambini, anziani, adulti malati o disabili;
   ad istituire, all'uopo, elenchi certificati da organi pubblici presso i quali chi possiede i prescritti titoli professionali e/o abbia maturato esperienza qualificata in attività di cura e educazione all'infanzia può iscriversi anche ai fini di un aumento del tasso di occupazione nel suddetto settore;
   ad adottare e sostenere ogni iniziativa normativa volta ad introdurre sgravi contributivi ed agevolazioni fiscali per il genitore lavoratore che assuma alle proprie dipendenze baby-sitter ovvero professionisti dei servizi di cura ed assistenza della persona nonché a favore del datore di lavoro che, al fine di sostituire personale che usufruisce dei predetti congedi, assume personale sia a tempo pieno che a tempo parziale;
   ad adottare ogni iniziativa volta a riformare l'istituto degli assegni per il nucleo familiare perché possa essere concesso anche alle lavoratrici autonome;
   ad adottare in tempi rapidi le opportune iniziative volte a introdurre misure di sostegno, anche tramite forme di incentivazione fiscale e contributiva, a favore di tutti i datori di lavoro – privati e pubblici – che istituiscono asili nido aziendali o altre iniziative informali (baby sitting o baby parking);
   ad adottare e sostenere ogni iniziativa normativa volta a riformare l'attuale disciplina del telelavoro nonché finalizzata ad introdurre un uso flessibile e personalizzato dei congedi obbligatori e facoltativi, incentivando particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, quali il part-time, il lavoro autonomo e imprenditoriale.
(1-00601) «Rostellato, Baldassarre, Chimienti, Bechis, Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Rizzetto, Mucci, Ruocco, Businarolo».

Risoluzioni in Commissione:


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    lo Statuto speciale per la Sardegna – Legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 Statuto speciale per la Sardegna – pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58 dispone al TITOLO II articolo 3 – Funzioni della Regione – e recita: «In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie: (...) m) esercizio dei diritti demaniali e patrimoniali della Regione relativi alle miniere, cave e saline;
    in attuazione delle precise competenze esclusive della regione Sardegna in materia di «miniere» di cui al citato articolo 3 dello Statuto speciale è stata promulgata la legge regionale 19 dicembre 1959, n. 20 che dispone «Disciplina dell'indagine, ricerca e coltivazione degli idrocarburi»;
    nel disposto della legge si prevede: «L'indagine, la ricerca e la coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi nel territorio della Regione sarda sono regolate dalla presente legge e per quanto non previsto si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nel regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443, e nella legge regionale 7 maggio 1957, n. 15, e relative modificazioni ed integrazioni»;
    nel testo della citata legge si prevede: «l'autorizzazione di indagine, il permesso di ricerca e la concessione di coltivazione sono accordate con decreto dell'Assessore regionale all'industria e commercio, previa determinazione ed approvazione del programma di lavoro, a cittadini italiani o a società legalmente costituite, aventi sede sociale in Italia, che ne facciano richiesta ed abbiano capacità tecnica ed economica adeguate»;
    non appare dubbia nemmeno la competenza disciplinata in relazione alle disposizioni procedimentali e autorizzative. Nel testo di legge è detto: «L'autorizzazione di indagine per idrocarburi liquidi e gassosi è accordata per un periodo non superiore ad un anno e può essere prorogata una sola volta per non più di sei mesi. La proroga deve essere accordata solo per comprovate necessità, previa constatazione dei lavori compiuti, e può essere concessa a condizioni diverse da quelle indicate nel provvedimento anteriore. Per le limitazioni di numero e di superficie delle autorizzazioni di indagine, nonché per la presentazione delle domande si applicano le norme contenute nel regolamento della legge regionale 7 maggio 1957, n. 15»;
    all'articolo 4 è disciplinato: «Il permesso di ricerca è accordato per un periodo non superiore a tre anni e può essere prorogato per due sole volte e per non più di tre anni ciascuna volta, previo accertamento dell'avvenuta esecuzione del programma di lavoro»;
    all'articolo 5 è disciplinato: «Il permesso di ricerca deve comprendere un'area continua non superiore a 100.000 ettari. Nel caso di più permessi intestati ad una stessa persona, ente o società, l'area complessiva non può superare il limite di 150.000 ettari»;
    secondo l'articolo 10: «Il permissionario che abbia assolto alle prescrizioni di legge e del decreto di permesso di ricerca ha diritto di ottenere in concessione i giacimenti di idrocarburi liquidi o gassosi rinvenuti nell'area del permesso stesso. Il permissionario deve presentare regolare e documentata domanda di concessione, a pena di decadenza, entro il termine di quattro mesi dal ritrovamento in quantità commerciale e deve astenersi da ogni attività di sfruttamento commerciale degli idrocarburi»;
    all'articolo 13 si disciplina che «La concessione di coltivazione non può eccedere i 5.000 ettari e l'area relativa deve corrispondere alle caratteristiche fissate nell'articolo 5, comma IV, e conservare l'orientamento dell'area del permesso di ricerca. Nel caso di più ritrovamenti il titolare del permesso può ottenere con le modalità e condizioni previste nella presente legge più concessioni di coltivazione»;
    l'articolo 14 dispone che «La durata della concessione è di 20 anni. Il concessionario ha diritto a tre proroghe di 10 anni ciascuna, se ha adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalla concessione»;
    all'articolo 15 si dispone: «con il decreto di concessione possono essere imposti obblighi particolari per la coltivazione di idrocarburi gassosi al fine di non pregiudicare la coltivazione anche futura di idrocarburi liquidi»;
    all'articolo 16 si disciplina che: «Il concessionario deve pagare all'Amministrazione regionale un diritto annuo anticipato di lire 1.000 per ogni ettaro di superficie compresa nell'area della concessione ed altresì corrispondere, in sostituzione della partecipazione ai profitti di cui all'articolo 18, lettera g), del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443, una aliquota, secondo quanto stabilito nell'articolo seguente, del prodotto estratto, calcolata sulla produzione mensile per pozzo, riferito alla media dell'anno solare. Per gli idrocarburi gassosi si assume l'equivalenza di una tonnellata di olio per 1.200 metri cubi di gas. L'aliquota stessa può essere, su richiesta della Amministrazione regionale e per periodi prefissati, pagata in natura o in moneta. Il valore è determinato in base al prezzo medio effettivo realizzato dal concessionario nel corso dell'anno»;
    all'articolo 17 viene disciplinata: «L'aliquota da corrispondere all'Amministrazione regionale ai sensi dell'articolo precedente è fissata per una produzione pozzo-mese:
     fino a tonnellate 100: 1 per cento;
     maggiore di tonnellate 100 e fino a 200: 1 per cento sulle prime 100 tonnellate e 2 per cento sull'eccedenza;
     maggiore di tonnellate 200 e fino a 500: come sopra sulle prime 200 tonnellate e 5 per cento sull'eccedenza;
     maggiore di tonnellate 500 e fino a 1000: come sopra sulle prime 500 tonnellate ed 8 per cento sull'eccedenza;
     maggiore di tonnellate 1000 e fino a 2000: come sopra sulle prime 1000 tonnellate e 12 per cento sull'eccedenza;
     maggiore di tonnellate 2000 e fino a 4000: come sopra sulle prime 2000 tonnellate e 20 per cento sull'eccedenza;
     oltre tonnellate 4000: come sopra sulle prime 4000 tonnellate e 25 per cento sull'eccedenza»;

    il consiglio regionale della Sardegna il 26 ottobre 1961 approvò – riapprovata, in sede di rinvio, il 13 luglio 1962 – una legge concernente «l'utilizzazione locale degli idrocarburi provenienti dalle coltivazioni in Sardegna»;
    tale legge venne impugnata dal Governo nazionale che presentò ricorso alla Corte Costituzionale per il giudizio di legittimità costituzionale promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 31 luglio 1962, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 9 agosto successivo ed iscritto al n. 8 del Registro ricorsi 1962;
    il 7 febbraio 1963 la Corte Costituzionale respinge il ricorso prodotto dal Presidente del Consiglio dei ministri avverso la legge della regione Sardegna 26 ottobre 1961 concernente «utilizzazione locale degli idrocarburi provenienti dalle coltivazioni in Sardegna»;
    è esemplare la posizione dell'Alta Corte sulla valenza costituzionale della competenza della regione Sardegna in materia di ricerca, concessione e estrazione di idrocarburi liquidi o gassosi;
    nel dispositivo di rigetto del ricorso dello Stato la Corte costituzionale affronta in modo chiaro ed esaustivo la questione della competenza sulla materia e non lascia adito a dubbi sul fatto che tale competenza sia di rango costituzionale e statutario e quindi non modificabile con legge ordinaria;
    così come appare evidente che eventuali proposte di modifiche di rango costituzionale e statutario in materia possono essere introdotte solo ed esclusivamente in termini pattizi, d'intesa e negoziali tra Stato e regione;
    appare, però, significativo riportare in questo atto di indirizzo la posizione della Corte costituzionale sulla questione delle competenze di rango costituzionale inerente la funzione della regione Sardegna in materia di «Miniere» e di «demanio»;
    sostiene l'Alta Corte in merito al ricorso dello Stato contro la legge approvata dal Consiglio regionale della Sardegna: «Bisogna, a riprova di ciò, muovere dalla considerazione che i giacimenti di idrocarburi, oggetto della legge regionale, i quali formano parte, a tenore dell'articolo 826 del Codice civile, del patrimonio indisponibile dello Stato, sono passati, serbando lo stesso carattere, alla regione sarda, in virtù dell'articolo 14 della legge costituzionale del 26 febbraio 1948, n. 3, di approvazione dello Statuto. Tale riserva costituzionale di proprietà offre la possibilità all'ente che ne è titolare, o di procedere direttamente alle ricerche (ed all'eventuale coltivazione della miniera), secondo è previsto dall'articolo 13 della legge statale 29 luglio 1927, n. 1443 (non esclusa, ma anzi espressamente considerata dall'articolo 43 della Costituzione, e implicitamente dall'articolo 41, che fa riferimento in genere all'attività economica “pubblica”), o invece di affidarla a privati concessionari. In relazione al predetto articolo 14, l'articolo 3, lettera m), dello stesso statuto ha attribuito alla regione la competenza primaria di legiferare nella materia delle miniere, sicché a svolgimento della medesima, si è potuto emanare prima una legge regionale integrativa delle norme statali in materia, in data 7 maggio 1952, n. 15 e poi la legge organica 19 dicembre 1959, n. 20, che disciplina, in modo autonomo rispetto alla legge statale 11 gennaio 1957, n. 6, la ricerca e coltivazione degli idrocarburi, adottando il sistema dell'utilizzazione mediante concessioni traslative»;
    per la Corte Costituzionale poi: «La legge impugnata, inquadrata come deve essere nello schema dei rapporti ora delineati, ha quali suoi destinatari gli organi amministrativi della Regione stessa, obbligandoli a condizionare le concessioni di coltivazione dei giacimenti di oli minerali all'accettazione da parte degli aspiranti alle medesime di una clausola (in aggiunta alle altre previste dalla legge regionale n. 20 del 1959) secondo cui – ove si verifichino le evenienze previste dalla legge stessa – rimangono vincolati a procedere alla raffinazione del prodotto in loco prima di poterne disporre la vendita. Ciò allo scopo, di evidente pubblica utilità, di incrementare il processo di industrializzazione della regione, al quale è affidato, in via principale, il superamento dell'attuale stato di depressione economica in cui essa versa»;
    è la stessa Corte costituzionale ad escludere qualsiasi tipo di possibile interferenza statale in materia sino a sostenere con non celata ironia l'impraticabilità delle rivendicazioni statali: «Non viene neanche in considerazione la questione sollevata nel ricorso stesso circa l'asserita esistenza di una generale riserva di legge statale per l'imposizione di una qualsiasi delle limitazioni consentite dall'articolo 41, che si ritiene preclusiva della competenza della Regione, dato che, secondo si è messo in rilievo, non ricorrono nel caso in esame ipotesi di interventi limitativi di tal genere. Deve poi, sulla base dell'interpretazione data alla legge in esame, escludersi che essa sia rivolta alla formulazione di programmi economici. È da ritenere che la legislazione avente ad oggetto tale specie di programmi sia riservata allo Stato (secondo un principio che del resto risulta riaffermato, per la Regione sarda, dall'articolo 13 dello Statuto), ed essa è suscettibile di venire svolta dalla Regione solo nei limiti e secondo le direttive dalla medesima fissate»;
    per questi motivi la Corte Costituzionale respinse il ricorso prodotto dal Presidente del Consiglio dei, ministri avverso la legge della Regione sarda 26 ottobre 1961 concernente «utilizzazione locale degli idrocarburi provenienti dalle coltivazioni in Sardegna»;
    alle esplicite competenze in materia di demanio e di miniere si aggiungono quelle relative all'urbanistica, pianificazione del territorio e del paesaggio che rendono per quanto riguarda la regione Sardegna impraticabili e illegittime, in modo inequivocabile, le linee d'azione e i relativi provvedimenti del governo nazionale in materia di ricerca ed estrazione di idrocarburi liquidi o gassosi;
    è sempre la Corte Costituzionale a chiarirlo nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 3, 4, commi 1 e 2, 7 e 8, comma 3, della legge della regione Sardegna 25 novembre 2004, n. 8 promosso con ricorso del Presidente Consiglio dei ministri notificato il 24 gennaio 2005, depositato in cancelleria il 2 febbraio 2005 ed iscritto al n. 15 del registro ricorsi 2005;
    la Corte Costituzionale in fase di esame del ricorso sostiene: «Prima di passare all'esame delle residue censure prospettate nel ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, tutte fondate sul presupposto della incompetenza della Regione ad emanare le norme impugnate o sulla violazione della disciplina statale in materia, occorre chiarire la natura e la portata delle attribuzioni spettanti alla Regione Sardegna in relazione agli oggetti disciplinati, rilevando peraltro fin da ora come il ricorrente non abbia in alcun modo dato conto né della presenza, in tema di tutela paesaggistica, di apposite norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Sardegna, né della stessa esistenza di una risalente legislazione della medesima Regione in questo specifico ambito (legge della Regione Sardegna 22 dicembre 1989, n. 45, recante “Norme per l'uso e la tutela del territorio”) e di cui le disposizioni impugnate nel presente giudizio rappresentano una parziale modificazione ed integrazione»;
    è la Corte Costituzionale a sconfessare senza mezze misure il tentativo del Governo di venir meno a norme di rango costituzionale e concatenate attraverso norme attuative: «Le ripetute affermazioni contenute nel ricorso, secondo le quali le disposizioni impugnate sarebbero illegittime perché “eccedono dalla competenza statutaria di cui agli articoli 3 e 4 dello Statuto d'autonomia, ponendosi in contrasto con l'articolo 117, comma 2, lettera a) della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dei beni culturali”, anzitutto non prendono in considerazione che il Capo III del decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma), intitolato “Edilizia ed urbanistica”, concerne non solo le funzioni di tipo strettamente urbanistico, ma anche le funzioni relative ai beni culturali e ai beni ambientali; infatti, l'articolo 6 dispone espressamente, al comma 1, che “sono trasferite alla Regione autonoma della Sardegna le attribuzioni già esercitate dagli organi centrali e periferici del Ministero della pubblica istruzione ai sensi della legge 6 agosto 1967, n. 765 ed attribuite al Ministero dei beni culturali ed ambientali con decreto legge 14 dicembre 1974, n. 657, convertito in legge 29 gennaio 1975, n. 5, nonché da organi centrali e periferici di altri ministeri”. Al tempo stesso, il comma 2 del medesimo articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del 1975 prevede puntualmente che il trasferimento di cui primo comma “riguarda altresì la redazione e l'approvazione dei piani territoriali paesistici, di cui all'articolo 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497”»;
    aggiunge la Corte Costituzionale: «Tenendo presente che le norme di attuazione degli statuti speciali possiedono un sicuro ruolo interpretativo ed integrativo delle stesse espressioni statutarie che delimitano le sfere di competenza delle Regioni ad autonomia speciale e non possono essere modificate che mediante atti adottati con il procedimento appositamente previsto negli statuti, prevalendo in tal modo sugli atti legislativi ordinari (secondo quanto ha più volte affermato questa Corte: si vedano, fra le molte, le sentenze n. 341 del 2001, n. 213 e n. 137 del 1998), è evidente che la Regione Sardegna dispone, nell'esercizio delle proprie competenze statutarie in tema di edilizia ed urbanistica, anche del potere di intervenire in relazione ai profili di tutela paesistico ambientale»;
    la Corte Costituzionale riafferma con ancora più chiara disposizione che: «come questa Corte ha più volte affermato, il riparto delle competenze legislative individuato nell'articolo 117 della Costituzione deve essere riferito ai soli rapporti tra lo Stato e le Regioni ad autonomia ordinaria, salva l'applicazione dell'articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, peraltro possibile solo per le parti in cui le Regioni ad autonomia ordinaria disponessero, sulla base del nuovo Titolo V, di maggiori poteri rispetto alle Regioni ad autonomia speciale»;
    è la Corte a sancire in modo netto la specificità della regione Sardegna in materia: «Quanto specificamente alla Regione Sardegna, va aggiunto, infine, che proprio sulla base dell'esplicito trasferimento di funzioni di cui alle norme di attuazione dello statuto speciale contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del 1975, la Regione – già con la citata legge n. 45 del 1989 – aveva appositamente previsto e disciplinato i piani territoriali paesistici nell'esercizio della propria potestà legislativa in tema di “edilizia ed urbanistica”. Questa legge, che all'articolo 12 prevedeva anche apposite “norme di salvaguardia” ad efficacia temporanea in attesa della approvazione dei piani territoriali paesistici (analogamente a quanto attualmente previsto con le norme impugnate), viene solo in parte modificata dalla legge regionale n. 8 del 2004, oggetto del ricorso governativo, particolarmente per ciò che concerne il recepimento nella regione Sardegna del modello di pianificazione paesaggistica fondato sul piano urbanistico-territoriale, appunto attualmente contemplato nel richiamato articolo 135, comma 1, del codice dei beni culturali»;
    la conclusione della Corte costituzionale è netta: «Sulla base delle considerazioni appena svolte, anche le questioni concernenti l'asserita violazione del riparto delle competenze legislative e della disciplina statale in materia di tutela del paesaggio devono essere dichiarate inammissibili. Il ricorrente, infatti, muove dall'erroneo presupposto secondo il quale la Regione Sardegna risulterebbe priva di potestà legislativa in tema di tutela paesaggistica, omettendo conseguentemente di argomentare in base a quale titolo la legislazione dello Stato in materia dovrebbe imporsi come limite per il legislatore regionale e di individuare le specifiche norme legislative statali che dovrebbero considerarsi violate»;
    per questi motivi il 6 febbraio 2006 la Corte Costituzionale dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri;
    la regione Sardegna, attraverso rappresentati della stessa giunta regionale, non avendo approfondito la materia, e con non poca superficialità sulla gerarchia delle fonti, ha dichiarato di non voler accedere a tali possibili modifiche legislative;
    tali affermazioni appaiono in contrasto con tre elementari considerazioni:
     la regione Sardegna ha la competenza esclusiva in materia di idrocarburi;
     nessuna legge ordinaria può modificare un dettato costituzionale e statutario e tantomeno quello della regione Sardegna;
     le modifiche costituzionali e statutarie possono essere perseguite solo in regime pattizio e con le obbligatorie intese,

impegna il Governo:

   a prendere atto dell'evidentissima improponibilità di norme in materia di prospezione terrestre di idrocarburi, con eventuali concessioni, con efficacia nella regione Sardegna;
   ad esplicitare anche nelle iniziative normative tale richiamo costituzionale e statutario al fine di evitare inutili polemiche considerata la netta e chiara posizione della Corte Costituzionale;
   ad assumere comunque un'iniziativa normativa che stabilisca l'obbligo di una procedura d'intesa con le regioni, e in particolare quelle a statuto speciale, anche per le prospezioni a mare;
   ad assumere un'iniziativa urgente al fine di vietare l'utilizzo di air gun nei mari della Sardegna, sia per la gravità degli effetti che per l'impraticabilità ambientale, naturale e paesaggistica di tale procedura di prospezione energetica.
(7-00479) «Pili».


   La X Commissione,
   premesso che:
    la direttiva 2006/123/ CE, in materia di servizi del mercato interno meglio nota come «direttiva Bolkestein», reca disposizioni miranti a regolamentare la libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri e la libertà di stabilimento delle attività economiche di servizi;
    il suindicato provvedimento, recepito definitivamente dall'ordinamento italiano con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, si configura come una direttiva-quadro, che dispone norme di portata generale nonché princìpi operativi, riconoscendo ai singoli Stati membri le modalità nonché i tempi di applicazione degli stessi;
    in particolare, le disposizioni in questione con l'obiettivo di salvaguardare l'impatto del commercio ambulante sulle aree pubbliche, introducono significativi limiti all'eccesso e all'operatività nel settore, basato sul principio della disponibilità di suolo pubblico destinata dagli strumenti urbanistici all'esercizio dell'attività stessa;
    all'articolo 16 il provvedimento irrigidisce il sistema autorizzatorio, in particolare al comma 4 non viene riconosciuta la dinamica di proroga automatica ai titoli autorizzatori scaduti, creando delle oggettive difficoltà operative agli oltre 160.000 operatori ambulanti e microimprese operanti nel settore l'articolo suindicato; esso però interviene su una disciplina già ampiamente regolamentata, introducendo un ulteriore limite al numero delle concessioni di posteggio utilizzabili sullo stesso mercato o fiera;
    in particolare, emergerebbero criticità conseguenti all'equiparazione tra la nozione di «risorse naturali», citata dal suindicato articolo, e «posteggi in aree di mercato», tali da compromettere le possibilità e l'operatività degli operatori del commercio ambulante. Infatti il decreto interpreta il suolo pubblico concesso per l'esercizio dell'attività di commercio su aree pubbliche, come rientrante nella nozione di «risorse naturali»;
    alle suindicate criticità si aggiungono ulteriori relative al portato dell'articolo 70, comma 1, del medesimo provvedimento, in materia di riconoscimento di titoli autorizzatori alle società di capitali operanti nel settore del commercio ambulante;
    fino all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010, la normativa italiana in materia riconosceva specifiche forme di tutela alle piccole imprese a conduzione familiare, riservando il settore del commercio al dettaglio sulle aree pubbliche, alle imprese individuali e alle società di persone, evitando in tal modo una oggettiva quanto deprecabile sperequazione – finanziaria, fiscale ed operativa – tra operatori del medesimo settore;
    le disposizioni in materia di regolamentazione del commercio al dettaglio sulle aree pubbliche introdotte dalla direttiva suindicata, creano un’impasse normativa rispetto a quanto già sancito dalla normativa nazionale e regionale in materia, segnatamente sul versante della tutela delle piccole imprese, della chiarezza delle procedure operative e autorizzative e del rapporto con gli enti locali,

impegna il Governo:

   ad utilizzare, in sede di Unione europea, tutti gli strumenti idonei al fine di escludere dalla «direttiva Bolkestein» gli operatori ambulanti e le microimprese operanti nel settore che rappresentano il tessuto tradizionale socio-economico dell'Italia;
   ad assumere le necessarie iniziative dirette a modificare l'articolo 70 del decreto legislativo n. 59 del 2010 al fine di prevedere che l'attività di commercio al dettaglio su aree pubbliche sia riservata esclusivamente alle imprese individuali e alle società di persone.
(7-00475) «Della Valle».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea si colloca in un momento denso di incognite, in primo luogo sulla capacità dell'economia di avviarsi ad una solida ripresa dopo diversi anni di recessione;
    in tale ambito, il programma del semestre italiano riveste un ruolo essenziale per definire le linee strategiche volte ad assicurare crescita sostenibile, stabilità, coesione e sviluppo a sostegno dell'economia reale nella fase attuale in cui, il continente europeo attraversa un cruciale snodo, istituzionale, sociale ed economico;
    il comparto agricolo e agroalimentare, ed in particolare il cosiddetto «made in Italy», riveste a tal fine, un ruolo fondamentale anche in ambito europeo e mondiale, rappresentando un settore produttivo divenuto peraltro sempre più importante in termini di contributo per il prodotto interno lordo nazionale;
    da oltre un quinquennio, infatti, le politiche agricole hanno conquistato una rinnovata centralità nell'agenda politica di tutti i Paesi a livello continentale, ponendo all'attenzione diversi temi prioritari e strategici, per rispondere innanzitutto ai problemi tutt'altro che risolti, legati alla domanda di cibo e al contempo sugli indispensabili filoni della sicurezza alimentare e della qualità;
    l'esposizione universale di Expo 2015, che approfondirà il complesso mondo dell'alimentazione, della qualità e della sicurezza del cibo, della valorizzazione e conoscenza delle tradizioni alimentari locali e soprattutto le iniziative per la lotta alla povertà (inserendosi coerentemente nel più ampio contesto internazionale delle decisioni che saranno intraprese in sede di programmazione del semestre italiano di presidenza del Consiglio dell'Unione europea, per l'agricoltura), a tal fine si colloca in una posizione strategica per il ruolo di presidio del nostro Paese nei prossimi mesi;
    la tutela dell'origine delle produzioni agroalimentari e la necessità di intervenire efficacemente, per garantire una corretta etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti agroalimentari e prevenire comportamenti illeciti e fraudolenti ai danni dei consumatori e della salute rappresentano, inoltre, delle questioni europee tutt'altro che risolte, non essendo ancora definita una posizione comune fra gli Stati membri;
    oltre alle suesposte linee di indirizzo, l'agenda del semestre italiano di presidenza europea, per l'agricoltura ed il settore agroalimentare, dovrà contenere una serie di misure d'intervento per contrastare la crisi e dare slancio all'economia, attraverso criteri guida per il rinnovamento dei modelli produttivi;
    a tal fine la green economy, inserendosi tra i modelli di revisione per la crescita dei Paesi, rappresenta un'opportunità interessante da sostenere e perseguire in ambito europeo, per una agricoltura tecnologicamente avanzata e ambientalmente sostenibile, in grado di garantire prodotti salubri e di qualità, in particolare per il rilancio dell'occupazione, soprattutto quella giovanile, e dei meccanismi d'innovazione;
    in tale prospettiva, è necessario porre la green economy al centro delle iniziative previste in ambito comunitario, all'interno di un quadro finanziario di scelte politiche e di investimenti finanziari, attraverso una forte governance europea, in grado di indirizzare tale percorso innovativo, ad esempio risolvendo il problema dell'accesso al credito, in considerazione dell'indispensabile necessità di garantire adeguate misure finanziarie per il cambiamento tecnologico e della modernità;
    risulta inoltre di fondamentale rilevanza proseguire una serie di linee d'indirizzo, alcune di esse, già avviate nel corso della presidenza di turno greca, i cui dossier legislativi, all'interno dell'agenda politica ed economica del semestre italiano, devono adeguatamente essere declinati anche in agricoltura;
    in coerenza con le intenzioni manifestate dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali nel corso dell'intervento al primo Consiglio dei ministri dell'agricoltura e della pesca, dell'Unione europea del semestre italiano di Presidenza tenutosi il 14 luglio 2014, sarà pertanto necessario seguitare a dare corso alle linee d'indirizzo volte a:
     a) continuare a seguire gli «atti delegati» della riforma della PAC riguardanti i pagamenti diretti e l'organizzazione comune di mercato;
     b) prestare una particolare attenzione per «lo schema di autorizzazioni per l'impianto dei vigneti»;
     c) definire le questioni aperte che riguardano i dossier relativi all'allineamento a Lisbona e il completamento dell’iter formale dell'adozione della proposta di regolamento relativo ad azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli sul mercato interno e nei paesi terzi;
     d) intervenire efficacemente per garantire in maniera corretta il sistema di etichettatura, al fine di rendere attuativo in modo completo, il regolamento (Ue) 25 ottobre 2011, n. 1169, in considerazione delle attuali criticità derivanti dalla mancata uniformità a livello europeo di etichettatura;
     e) definire delle linee di indirizzo per la produzione ed etichettatura dei prodotti biologici;
     f) indicare una proposta di revisione del regime di aiuti per la distribuzione di ortofrutticoli, banane e latte negli istituti scolastici, compatibilmente con le problematiche di carattere giuridico emerse sotto la presidenza greca, a cui affiancare iniziative di promozione, in ambito europeo, sull'istituzione della comunità della conoscenza e dell'innovazione per l'alimentazione incentrata sulla prevenzione dello spreco di cibo e sull'educazione alimentare, stimolando l'opinione pubblica ad assumere comportamenti maggiormente responsabili rispetto alla fruibilità sostenibile degli agroalimenti;
    il semestre di presidenza italiana del Consiglio dovrà contenere, inoltre, iniziative specifiche a favore del settore lattiero-caseario, in considerazione sia dei dubbi sulla capacità del quadro normativo europeo di far fronte a episodi caratterizzati da un'estrema volatilità del mercato e da una situazione di crisi dopo la fine del regime delle quote e di garantire uno sviluppo equilibrato della produzione di latte in tutta l'Unione (ed evitare una concentrazione eccessiva nelle aree più produttive), che dell'eventualità di introdurre nuove misure per rendere meno difficile il passaggio al sistema delle quote produttive in scadenza nella prossima primavera;
    le priorità del semestre in materia di agricoltura non potranno non considerare una migliore definizione del quadro regolatorio che riguarda una materia così importante e complessa come quella degli organismi geneticamente modificati; a tal fine, sarà pertanto conveniente sostenere in sede comunitaria, il principio della sovranità alimentare e della libera scelta dei 28 Stati membri, nella decisione in maniera flessibile e al contempo equilibrata, dell'utilizzo di OGM, attraverso la messa in coltura, nel rispetto dei limiti d'utilizzo e delle eventuali prescrizioni atte a limitare la contaminazione delle altre colture, coniugando al contempo, lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica in materia agricola biologica agroalimentare, secondo le migliori prassi scientifiche ed internazionali nel pieno rispetto del principio di precauzione;
    il tema dell'utilizzo degli OGM, in particolare in agricoltura, è un argomento complesso e articolato, le cui posizioni, spesso contrastanti all'interno del Consiglio europeo, hanno determinato confusione e disorientamento, specie se connesse al potenziamento della ricerca scientifica; il settore agricolo, in tale ambito, necessita infatti di strumenti e di interventi volti a potenziare la ricerca, in particolare proprio nel settore dei prodotti biologici, il cui comparto sta diventando fortemente dinamico e cresce in modo costante evidenziando l'esigenza di nuove tecnologie;
    ulteriore tematica di rilevante interesse agricolo da considerare all'interno delle linee guida del semestre, è rivolta al mercato delle sementi, che rappresenta il primo anello della catena alimentare, la cui varietà costituisce un fattore fondamentale per la tutela della biodiversità agricola e della qualità della produzione di alimenti e mangimi; in tale ambito, l'interesse dell'Unione europea, nell'aggiornare la legislazione vigente in materia (con l'obiettivo di armonizzare la normativa fra gli Stati membri, riorganizzando la materia per una maggiore chiarezza, ed evitare eventuali discordanze attuative), si è incrociato, con la proposta di regolamento recante il testo unico sul materiale riproduttivo vegetale, COM (2013) 262, presentato dalla Commissione europea, il 15 maggio 2013, al cui interno sono apparse numerose criticità connesse sia alla possibilità di immettere sul mercato materiale riproduttivo vegetale in attesa di registrazione, che alla scarsa attenzione delle specificità locali delle sementi;
    a tal fine l'atto d'indirizzo approvato dalla Commissione agricoltura della Camera dei deputati il 6 febbraio 2014, inteso ad esprimere sostegno alla posizione preannunciata dalla competente Commissione del Parlamento europeo, di contrarietà rispetto alla proposta della Commissione sul testo unico sul materiale riproduttivo vegetale, rafforza la convinzione su come occorra insistere proprio nel semestre di presidenza italiano del Consiglio dell'Unione europea, nella ricerca di un'armonizzazione legislativa e al contempo nella risoluzione delle criticità in precedenza evidenziate;
    il nostro Paese, nel corso del semestre di presidenza dell'Unione europea, dovrà inoltre affrontare e gestire importanti controversie politico-diplomatiche, al centro dell'attenzione dei Governi non solo europei; a tal fine, la crisi in Ucraina e le tensioni nell'area geografica nel Baltico, che hanno introdotto una serie di sanzioni nei riguardi della Federazione russa, hanno determinato effetti economici e finanziari, negativi e penalizzanti per l'esportazione dei prodotti agroalimentari, in particolare quelli del «made in Italy», a causa delle ritorsioni stabilite dalle autorità di Governo russe;
    il bando totale delle importazioni di un numero considerevoli di prodotti agroalimentari, applicati dalla Russia nei riguardi dei principali Paesi europei e mondiali, per un anno, avrà un impatto sfavorevole, per i Paesi membri ed in particolare per l'Italia, (essendo il «made in Italy» molto attivo nell'esportazione dell'area dell'ex Unione sovietica); a tal fine, occorrerà prevedere in sede comunitaria, ulteriori misure di emergenza, oltre a quelle recentemente adottate (attraverso il regolamento (UE n. 932/2014) anche di carattere finanziario, in considerazione del fatto che i 125 milioni di euro stanziati dalla Commissione europea, a favore delle imprese non sembrano essere sufficienti per fronteggiare le situazioni di crisi;
    l'interesse del semestre di presidenza italiana sarà rivolto anche al negoziato internazionale in corso tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America, volto a determinare le rispettive offerte nell'ambito del partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti – TTIP, con l'obiettivo di rimuovere le barriere commerciali in una vasta gamma di settori economici per facilitare l'acquisto e la vendita di beni e servizi tra Europa e Stati Uniti;
    la necessità di vigilare sulla Commissione europea, affinché la strategia negoziale possa risultare la più efficace possibile, per garantire gli interessi offensivi (indicazioni geografiche, reciprocità, apertura del mercato nel settore lattiero-caseario) e gli interessi difensivi (apertura dei mercati, in particolare delle carni e questioni non tariffarie), in un'ottica di mutuo vantaggio, potrà consentire di evitare effetti di squilibrio dirompenti sul mercato mondiale;
    le regole per la definizione del Transatlantic trade and investment partnership, dovranno inoltre includere una serie di aspettative importanti: la definizione delle intese con equilibrio, è particolarmente attesa dal mercato e dagli operatori del settore agroalimentare soprattutto italiani, in merito alla tutela delle denominazioni e alla lotta alla pratiche commerciali evocative (all'origine del fenomeno dell’italian sounding);
    il complesso fenomeno dello spreco alimentare, che rappresenta uno dei principali paradossi globali dell'epoca recente e, contemporaneamente, una sfida sempre più importante nell'attuale contesto di crisi economica globale e di nuovi problemi di povertà alimentare anche nei Paesi avanzati, non potrà non essere al centro dell'attenzione del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea per il settore agroalimentare; a tal fine, interventi volti a prevedere all'interno dei dossier istituzionali misure in grado di prevedere un sistema di premialità fiscale per le filiere che si occupano del recupero, della raccolta e della distribuzione, anche con sistemi di logistica dedicati, delle produzioni agroalimentari e della riduzione degli sprechi, potranno innestare un processo virtuoso all'interno della fenomenologia assai diversificata e complessa,

impegna il Governo:

   ad attivarsi, in sede di Consiglio dei ministri dell'Unione europea, affinché si definisca entro il termine del semestre europeo una posizione comune ed armonica, in grado di superare la proposta di regolamento relativo alla produzione biologica e alla etichettatura dei prodotti biologici, in particolare attraverso:
    a) il raggiungimento di un accordo politico sul dossier relativo all'agricoltura biologica, invitando a valutare le aree prioritarie individuate nella comunicazione della Commissione europea su un «Piano d'azione per il futuro della produzione biologica nell'Unione europea» (COM(2014) 179), promuovendo quelle maggiormente utili per stimolare la domanda interna e le esportazioni dei prodotti biologici, nel perseguimento prioritario di alcuni obiettivi tra i quali l'ottenimento di prodotti di alta qualità attraverso l'utilizzo di procedure rispettose della salute umana, dell'ambiente e del benessere degli animali;
    b) la riduzione del ricorso allo strumento degli atti delegati di attuazione del regolamento, in assenza di precisi criteri direttivi espressamente indicati nei regolamenti stessi, in materia agricola, tenuto conto della portata materiale delle deleghe normative conferite alla Commissione europea (concernenti la qualità, la tracciabilità e la conformità al regolamento della produzione biologica, l'autorizzazione all'utilizzo dei prodotti e delle sostanze utilizzate nella produzione biologica), che rischia di svuotare i contenuti del nuovo quadro normativo;
    c) l'introduzione di un sistema di semplificazione più efficiente, in grado di rendere meno rigida la proposta legislativa sui metodi di produzione biologica, al fine di evitare ripercussioni socio-economiche negative, in particolare in alcune aree del Paese ad elevata vocazione produttiva;
    d) il potenziamento del quadro di vigilanza e di controlli sia all'interno dell'Unione europea che nell'ambito del commercio internazionale del WTO, relativamente alle importazioni provenienti dai Paesi terzi in particolare dell'area asiatica;
    e) l'introduzione di misure che considerino specificatamente le peculiarità dell'agricoltura biologica italiana e mediterranea nel suo complesso, la quale presenta caratteristiche differenti rispetto ai Paesi del Nord-Europa;
   a prevedere nell'ambito del programma del semestre italiano iniziative volte a:
    a) innalzare i livelli di tutela dell'origine delle produzioni agroalimentari, per garantire una corretta etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti agroalimentari e prevenire comportamenti illeciti e fraudolenti ai danni dei consumatori e della salute, in considerazione del fatto che il regolamento (UE) 25 ottobre 2011, n. 1169 risulta ancora non completamente attuato, lasciando aperto il problema di disciplinare a livello europeo modalità uniformi di etichettatura, che assicurino una completa trasparenza con riferimento al luogo di origine degli alimenti;
    b) rafforzare il contrasto ai crimini agroalimentari, con particolare riferimento alla contraffazione, sofisticazione ed adulterazione degli alimenti, prevenendo e contrastando con adeguati e deterrenti strumenti, l'infiltrazione di associazioni criminali nel settore e nel mercato dei prodotti agroalimentari, assicurando a tale proposito, anche a seguito delle pronunce rese in sede comunitaria, la reale tutela dei prodotti agroalimentari ad indicazione geografica e a denominazione di origine protetta e individuando modalità coordinate e condivise di azione tra gli Stati membri, in fase di controllo e applicazione della normativa di riferimento;
    c) completare la fase d'implementazione della politica agricola comune, con particolare riferimento all'attuazione del nuovo quadro regolatorio di autorizzazioni del settore vitivinicolo, salvaguardando la possibilità di trasferimento dei diritti d'impianto ancora validi fino al 2020;
    d) avviare iniziative specifiche a favore del settore lattiero-caseario, a seguito della cessazione del regime delle quote produttive, garantendo uno sviluppo equilibrato della produzione di latte in tutta l'Unione (ed evitare una concentrazione eccessiva nelle aree più produttive) ed introdurre nuove misure per rendere meno difficile il passaggio al sistema delle quote produttive in scadenza nella prossima primavera;
    e) definire le criticità esistenti con riferimento alla complessa materia degli organismi geneticamente modificati, sostenendo all'interno dell'agenda italiana di presidenza europea, il principio della sovranità alimentare e della libertà dei singoli Stati membri, nella decisione, in maniera flessibile e al contempo equilibrata, dell'utilizzo di OGM, attraverso la messa in coltura, nel rispetto dei limiti d'utilizzo e delle eventuali prescrizioni atte a limitare la contaminazione delle altre colture, coniugando al contempo lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica in materia agricola biologica agroalimentare, secondo le migliori prassi scientifiche ed internazionali nel pieno rispetto del principio di precauzione;
    f) perseguire ogni iniziativa opportuna affinché si ponga al centro dell'azione della presidenza italiana la green economy, attraverso una forte governance europea, in grado di indirizzare tale percorso innovativo, risolvendo il problema dell'accesso al credito, in considerazione dell'indispensabile necessità di garantire adeguate misure finanziarie per il cambiamento tecnologico e della modernità;
    g) ribadire le linee d'indirizzo espresse dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali in sede del primo Consiglio dei ministri dell'agricoltura e della pesca dell'Unione europea del semestre italiano di Presidenza tenutosi il 14 luglio 2014 attraverso le lettere a), b), c), d), e), f) indicate nella premessa;
    h) procedere a un'armonizzazione legislativa, sulla materia che regola le sementi, al fine di tutelare sia il libero scambio tra gli operatori agricoli, che la tutela della biodiversità, nonché a farsi promotore in ambito europeo di un quadro regolatorio sulla tutela delle specificità territoriali, con attenzione alle colture sementiere italiane, costituite da prodotti tipici e specialità agricole a tutela delle piccole e medie imprese produttrici e dell'agrodiversità;
    i) adoperarsi per l'approvazione del regolamento relativo al testo unico sul materiale riproduttivo vegetale, definendo, in particolare, la disciplina sulle specie da conservazione, già oggetto di contenzioso con l'Italia;
    j) attivare ulteriori iniziative finalizzate ad attenuare le ricadute economiche derivanti, dalle conseguenze dell'embargo da parte della Russia, quale risposta al quadro sanzionatorio degli Usa e dell'Unione europea, posto che la chiusura del mercato sta determinando gravi ripercussioni sulle imprese agroalimentari, in particolare quelle italiane;
    k) individuare risorse finanziarie aggiuntive, al di fuori del budget agricolo, a favore delle imprese agroalimentari, per le quali sono stati rescissi i contratti, a seguito della decisione della Russia di limitare o bloccare con decreto, anche per un anno, le importazioni agricole (con una lista di prodotti che comprende carne di manzo e maiale, pollo, pesce e frutti di mare, latte e latticini, frutta e verdura) dai Paesi dell'Unione europea che hanno adottato sanzioni in risposta al conflitto in Ucraina;
    l) coordinare in qualità del ruolo di presidenza di turno del Consiglio dell'Unione europea, le fasi negoziali in corso tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America, al fine di pervenire ad un quadro legislativo comune per il settore agricolo, con l'obiettivo di rimuovere, le barriere commerciali in una vasta gamma di settori economici e facilitare l'acquisto e la vendita di prodotti agroalimentari tra Europa e Stati Uniti;
    m) monitorare l'operato della Commissione europea, affinché la strategia negoziale in ambito agricolo e agroalimentare possa risultare la più efficace possibile, per garantire gli interessi offensivi (indicazioni geografiche, reciprocità, apertura del mercato nel settore lattiero-caseario) e gli interessi difensivi (apertura dei mercati, in particolare delle carni e questioni non tariffarie), in un'ottica di mutuo vantaggio;
    n) consentire, nell'ambito dei suesposti negoziati, per il partenariato transatlantico, per il commercio e gli investimenti – TTIP la valorizzazione dei modelli produttivi agricoli locali dei singoli Paesi membri dell'Unione europea e dei caratteri di distintività e territorialità che li contraddistinguono;
    o) prevedere nel complesso fenomeno dello spreco alimentare, interventi, all'interno dei dossier istituzionali comunitari, in grado di prevedere un sistema di premialità fiscale per le filiere che si occupano del recupero, della raccolta e della distribuzione, anche con sistemi di logistica dedicati, delle produzioni agroalimentari e della riduzione degli sprechi;
    p) coordinare le linee strategiche più efficaci, nella prospettiva dell'esposizione universale dell'EXPO 2015, finalizzate a definire un quadro comune d'interventi legati alla sicurezza alimentare strettamente connessi con la sostenibilità ambientale, (rilanciando la strategia Europa 2020, valorizzando la prima applicazione della nuova PAC 2014-2020), in grado di trasporre in un unico documento legislativo, iniziative volte ad avviare un processo di risoluzione della povertà alimentare nel mondo;
    q) informare le Commissioni parlamentari competenti sui risultati conseguiti nel corso del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, con riferimento al settore agricolo e agroalimentare, nel quadro europeo ed internazionale.
(7-00476) «Faenzi, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Russo».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la Commissione europea ha chiesto formalmente all'Italia di conformarsi alle norme comunitarie in materia di pesca nel Mediterraneo; a norma del regolamento (UE) 1967/2006, gli Stati membri devono infatti adottare piani nazionali di gestione per le attività di pesca condotte con reti da traino, sciabiche da natante, sciabiche da spiaggia, reti da circuizione e draghe all'interno delle rispettive acque territoriali. I piani di gestione italiani dovevano essere adottati entro il 31 dicembre 2007, tuttavia il nostro Paese, come altri Stati membri, non dispone ancora di validi piani di gestione per le attività di pesca condotte con i vari sistemi di pesca;
    i piani nazionali sono strumenti importantissimi per uno sfruttamento sostenibile delle risorse alieutiche nel Mediterraneo, mare in cui, tradizionalmente, non si applica la gestione della pesca basata sui contingenti. In mancanza di una risposta soddisfacente entro due mesi, la Commissione potrà pertanto deferire l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea;
    a norma del regolamento (UE) 1380/2013, la Commissione e gli Stati membri provvedono affinché il sostegno dei fondi strutturali e di investimento europei sia coerente con le pertinenti politiche, con i principi orizzontali e con le priorità dell'Unione europea. Ad aprile 2014, a seguito della trasmissione dell'Accordo di partenariato da parte del Governo italiano, i competenti servizi della Commissione europea formulavano delle osservazioni in merito, rilevando dei vulnus nella strategia di utilizzo determinata per i Fondi SIE. In particolare, in relazione alla programmazione del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) la Commissione europea evidenziava alcune criticità relative al meccanismo di attuazione, posto che molte funzioni sono delegate al livello regionale, sebbene incluse nel PON, alla strategia di sviluppo delle imprese dell'acquacoltura; alle strategie di sviluppo tra attività economiche marittime ed ambiente marino; all'analisi sulla biodiversità marina, le zone marine protette e la qualità delle acque marine,

impegna il Governo:

   ad adottare urgentemente il piano nazionale di gestione per le attività della pesca per cui non sia stato ancora adottato (ad esempio draghe);
   a predisporre il programma operativo nazionale del FEAMP in modo da superare le criticità evidenziate nell'Accordo di partenariato da parte della Commissione dell'Unione europea.
(7-00477) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Parentela, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cozzolino, Da Villa, D'Incà, Fantinati, Grillo, Rizzetto, Rostellato, Spessotto, Turco».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'agricoltura ha da sempre rappresentato uno dei punti cardine dell'economia nazionale, nonché uno dei settori che meglio rappresentano e caratterizza la tradizione italiana, tutte le decisioni politiche in materia agricola vengono prese in sede comunitaria e per questo il ruolo giocato dall'Italia in Europa, in particolare durante questo semestre di presidenza, sarà fondamentale per il futuro dell'agricoltura nazionale;
    primaria è la questione dell'etichettatura che, deve necessariamente essere risolta in Europa; la tutela del made in italy passa, infatti, attraverso un sistema di etichettatura efficace che sia chiaro ai consumatori perché solo in questo modo sarà possibile tutelare le produzioni e le tradizioni italiane; è necessaria pertanto un'evoluzione della normativa comunitaria per avere in etichetta l'indicazione del luogo di origine o di provenienza delle materie prime utilizzate, nonché le tipologie di allevamento al fine di rendere consapevole il consumatore al momento dell'acquisto. Il Parlamento italiano si è già espresso in questa direzione votando all'unanimità la mozione n. 1-00311 adesso è quindi necessaria una presa di posizione concreta;
    in questo contesto si inserisce anche la controversa questione degli OGM, in quanto è fondamentale che i prodotti originali siano tutelati da contaminazioni di organismi geneticamente modificati e che agli Stati membri sia lasciata la libertà di decidere in autonomia se autorizzarne o meno la coltivazione di OGM sul proprio territorio;
    fondamentale dovrà essere l'apporto dell'Italia, specie durante questo semestre di presidenza, nell'ambito dei trattati internazionali, alcuni dei quali, inevitabilmente, avranno delle ripercussioni sull'agroalimentare nazionale, come ad esempio il già siglato accordo Unione europea Marocco, che rischia di compromettere colture come il pomodoro o i mandarini che rappresentano la principale economia in alcune regioni italiane, o ancora il TTIP Transatrantic Trade and Investment Partnership, i cui termini restano ancora segreti nonostante le numerose richieste di trasparenza fatte in Parlamento, che se non rinegoziato, o annullato, rischierà di compromettere l'intero settore agroalimentare in assenza di opportune salvaguardie, ad esempio attraverso le probabili importazioni di OGM e la messa sul mercato finanziario dei beni comuni come la gestione del servizio idrico;
    la presidenza europea deve comportare per l'Italia anche l'impegno concreto a tutelare le sementi nazionali e la biodiversità agraria del nostro Paese attraverso una politica che risponda alle esigenze dei diversi Stati, garantendo il libero scambio delle sementi e al contempo intervenendo sulla messa a disposizione sul mercato di materiale riproduttivo vegetale, così come prevista dal testo unico sul materiale riproduttivo vegetale [COM (2013) 262 def], in quanto una tale semplificazione potrebbe comportare la legittimazione in ambito internazionale della commercializzazione di materiale OGM a discapito delle sementi tradizionali. Inoltre, si determinerebbe un controllo totale della filiera da parte delle multinazionali;
    uno sguardo sarà necessario anche alle scelte di politica estera, il 17 marzo 2014 infatti il Consiglio dell'Unione europea ha adottato il regolamento Unione europea n. 69 del 2014 concernente misure restrittive relative ad azioni volte a compromettere o minacciare l'integrità territoriale, la sovranità e l'indipendenza della Repubblica Ucraina e a seguito delle suddette sanzioni la Federazione russa ha disposto, tra l'altro, la sospensione delle importazioni di frutta, vegetali, carni, pesce, latte ed altri prodotti caseari, che come dichiarato dal direttore dell'Ice Mosca, porterebbe danni al settore agroalimentare italiano per 250 milioni di euro entro fine anno;
    l'EBA («everything but arms») è un'iniziativa dell'Unione europea (Regolamento (Ce) n. 2501/2001) che concede l'accesso senza dazi e contingentamenti a tutti i prodotti provenienti dai Paesi LDC (least developed country – Paesi meno sviluppati), senza limitazioni quantitative e senza dover pagare alcuna tariffa, eccezion fatta per le armi e le munizioni. Per i prodotti sensibili, quali riso, zucchero e banane, stata prevista una implementazione graduale dell'accordo, e proprio il riso è uno dei prodotti che sta maggiormente risentendo negli ultimi anni dell'introduzione di questo accordo. Il settore risicolo italiano è quello più colpito, poiché la filiera del riso nel nostro Paese (che esporta nell'Unione europea i due terzi della sua produzione) è una delle più importanti del settore agroalimentare nazionale; per questa ragione i risicoltori italiani nelle ultime settimane hanno annunciato che se non saranno prese a breve misure adeguate, la risicoltura italiana è destinata a fallire, a causa sia dei grossi quantitativi di prodotto che arrivano nell'area dell'Unione europea sia del drastico crollo dei prezzi sul mercato interno;
    la direttiva n. 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009 ha istituito un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi. L'Italia ha recepito la direttiva con il decreto legislativo n. 150 del 14 agosto 2012, in vigore dal 14 settembre 2012. L'articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 2012 ha previsto che il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali adottasse un piano attuativo, denominato PAN (piano di azione nazionale) che è stato adottato con più di un anno di ritardo, in data 13 febbraio 2014. All'articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 2012 si definisce che il PAN una volta approvato venga trasmesso agli altri Stati membri ed alla Commissione europea e venga da questa riesaminato periodicamente almeno ogni cinque anni;
    l'uso di agrofarmaci contenenti la molecola etossichina per la conservazione della frutta viene vietato con il recepimento della direttiva 91/414/CEE tramite il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, escludendone anche l'uso temporaneo in deroga; alcuni Stati membri, come la Spagna, ne hanno ammesso l'utilizzo. Il Paese iberico è il principale fornitore di frutta in Italia con un valore delle importazioni che è aumentato del 5 per cento nel 2013 per un totale di 478 milioni di chili, rappresentando quindi un rischio per la salute dei consumatori ed un problema di concorrenza sleale per le imprese del made in Italy,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, anche in considerazione del semestre di Presidenza di turno del Consiglio dell'Unione europea, presso le competenti sedi comunitarie al fine di:
    a) porre all'ordine del giorno la questione prioritaria dell'introduzione dell'etichettatura di origine, secondo il metodo estensivo – intensivo, per tutti gli alimenti freschi, quali le carni cunicole, ovine, pollame e prodotti caseari ed evitare che sistemi nazionali di etichettatura volontaria siano utilizzati a fini distorsivi del mercato e discriminatori nei confronti delle imprese agroalimentari italiane;
    b) rendere pubblici i tavoli di discussione del Transatrantic Trade and Investment Partnership e i contenuti dell'accordo affinché il partenariato economico USA-Unione europea, si articoli su assetti legislativi quanto più omogenei, preveda forti tutele per l'agricoltura comunitaria ed adeguati meccanismi di salvaguardia degli interessi economici di quei Paesi europei come l'Italia che sono fra i detentori della leadership mondiale delle produzioni agroalimentari di qualità e le cui realtà produttive di piccole dimensioni non consentono di competere con i grandi farmer americani;
    c) rivedere la proposta di regolamento relativo alla produzione e alla messa a disposizione sul mercato di materiale riproduttivo vegetale (testo unico sul materiale riproduttivo vegetale) [COM (2013) 262 def] affinché sia scongiurata la legittimazione in ambito internazionale della commercializzazione di materiale OGM a discapito delle sementi tradizionali, e sia evitato, un controllo totale della filiera da parte delle multinazionali;
    d) promuovere una seria riflessione atta a fare sì che le decisioni adottate nell'ambito della politica estera e di sicurezza comune siano prese in modo da limitare quanto più possibile le conseguenze disastrose che eventuali contromisure possono produrre nelle economie degli Stati membri, con particolare riferimento al settore agricolo;
    e) promuovere e sostenere il processo di revisione della direttiva 2001/18/CE sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati, al fine di ampliare l'autonomia decisionale degli Stati membri in merito alle coltivazioni di organismi geneticamente modificati, assicurando zone effettivamente OGM free; in particolare, sostenere una riformulazione dell'articolo 26-ter più precisa rispetto a quella concordata nell'ambito della Presidenza di turno greca del Consiglio dell'Unione europea ed introdurre la discrezionalità dello Stato membro anche per motivi ambientali e sanitari;
    f) chiedere l'attivazione della clausola di salvaguardia prevista dai trattati a tutela del mercato italiano del riso, o, in alternativa, valutare l'opportunità di introdurre un dazio proporzionato per l'importazione di un prodotto fondamentale per l'economia agroalimentare italiana;
    g) chiedere l'introduzione dei castagneti tra le superfici a frutta o a guscio oggetto di specifico finanziamento europeo e promuovere, nelle opportune sedi europee e previa verifica delle misure adottate da altri Stati membri, tutte le iniziative affinché siano accordate, in considerazione delle esigenze della castanicoltura italiana, le eventuali necessarie deroghe al quadro normativo comunitario;
    h) proporre una rivisitazione del piano di azione nazionale nel senso di una sua più dettagliata e puntuale riscrittura, posto che nello stesso non si riscontrano né gli obiettivi quantitativi, le misure ed i tempi per la riduzione dei rischi e impatti dell'utilizzo dei pesticidi sulla salute umana e sull'ambiente che stabilisce l'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2009/128/CE/ (piani d'azione nazionali), né tantomeno le misure appropriate per la tutela dell'ambiente acquatico e delle fonti di approvvigionamento di acqua potabile dall'impatto dei prodotti fitosanitari, per le quali l'Italia era già stata allertata dalla Commissione europea nella riunione bilaterale del 24 settembre 2013; nonché integrare il piano di azione nazionale sui fitofarmaci nelle parti in cui si fa riferimento alle frasi di rischio riportate in etichetta, aggiungendo il riferimento alle schede di sicurezza;
    i) promuovere l'adeguamento dei limiti massimi di additivi alimentari usati negli Stati membri a quelli dei Paesi che utilizzano metodi più restrittivi, al fine di garantire la sicurezza alimentare dei cittadini comunitari ed una corretta concorrenza, fondata più sulla qualità e salubrità del prodotto che sull'aspetto esteriore dello stesso;
    l) sollecitare il processo di revisione della «direttiva nitrati» n. 91/676/CEE sulla base dei dati scientifici oggi disponibili e dei monitoraggi effettuati puntualmente negli ultimi dieci anni, distinguendo i limiti in funzione delle macro regioni agricole europee in ragione anche dei fattori climatici e favorendo lo stoccaggio in armonizzazione con la gestione dell'attività.
(7-00478) «Lupo, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Parentela».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   la legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria 2008), all'articolo 3, comma 44 stabilisce un limite massimo alle retribuzioni e ai compensi percepibili a carico delle finanze pubbliche, prevedendo espressamente che la disposizione si applica non solo alle pubbliche amministrazioni, ma anche alle «società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica», tra le quali certamente figura la Rai; la norma impone altresì alle pubbliche amministrazioni e alle società, non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica di pubblicare sul proprio sito istituzionale il nome dei destinatari degli incarichi e l'importo dei compensi;
   in esecuzione della predetta disposizione è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 195, che precisa i contenuti del predetto obbligo di pubblicità, ricomprendendo esplicitamente ogni rapporto di lavoro subordinato o autonomo che implichi la corresponsione di retribuzioni o emolumenti direttamente o indirettamente a carico delle pubbliche finanze, includendo anche i compensi percepiti da società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica, secondo quanto previsto dall'articolo 2 del citato decreto del Presidente della Repubblica;
   le disposizioni appena richiamate non sono state abrogate da alcuna normativa successiva, risultando, pertanto, tuttora in vigore; in particolare, non risulta alcuna incompatibilità (che comporterebbe l'effetto di un'abrogazione implicita) con l'articolo 15 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 recante «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», che chiarisce soltanto i contenuti degli obblighi di pubblicazione degli incarichi dirigenziali conferiti dalle pubbliche amministrazioni;
   parimenti, non può ritenersi ostativo all'obbligo di pubblicità sancito dal citato articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007 nemmeno il disposto di cui all'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come modificato dalla legge di conversione del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (legge n. 125 del 2013), là dove disciplina gli obblighi di comunicazione del Ministero dell'economia e delle finanze e al dipartimento della funzione pubblica del costo annuo del personale;
   a tal proposito va precisato che l'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni» ha infatti integralmente sostituito, a decorrere dal 1o gennaio 2014, l'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che, nella precedente formulazione, prevedeva che gli enti pubblici economici e le aziende che producono servizi di pubblica utilità, nonché gli enti e le aziende di cui all'articolo 70, comma 4 sono tenuti a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica – e al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, il costo annuo del personale comunque utilizzato, in conformità alle procedure definite dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   il decreto-legge n. 101 del 2013 estende, in primo luogo, l'ambito soggettivo di riferimento del citato articolo 60, ampliando la platea dei soggetti tenuti al rispetto dell'obbligo di comunicazione anche alle società non quotate, partecipate direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, diverse da quelle emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e dalle società dalle stesse controllate, e dalla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo;
   detto intervento opera, inoltre, sul contenuto informativo dell'obbligo stesso, in particolare per la Rai, società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, specificando che il costo annuo del personale comunque utilizzato ed oggetto della comunicazione deve ritenersi riferito ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo; in virtù di tale disposizione, pertanto, anche la Rai è tenuta a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica – e al Ministero dell'economia e delle finanze il costo annuo del personale comunque utilizzato, con riferimento ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, in conformità a specifiche procedure definite d'intesa con i predetti dicasteri;
   né la disposizione sopra richiamata, che sancisce l'obbligo di pubblicità in questione, può ritenersi tacitamente abrogata dall'articolo 13 del decreto-legge n. 66 del 2014, che si limita, infatti, a modificare il limite massimo delle retribuzioni percepibili a carico delle finanze pubbliche, aggiungendo, al comma 5-bis, un obbligo di trasparenza ulteriore, non incompatibile con quello già introdotto nell'ordinamento con l'articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007 (e confermando implicitamente, in tal modo, la vigenza di tale norma);
   il sottoscritto, interpellante ha già depositato, in relazione all'attuazione delle disposizioni sopra richiamate, cinque interpellanze urgenti, ricevendo risposte, da parte del Governo, assolutamente insoddisfacenti: si tratta dell'interpellanza urgente 2-00353 discussa il 10 gennaio 2014, dell'interpellanza urgente 2-00400 discussa il 7 febbraio 2014, dell'interpellanza urgente 2-00434 discussa il 7 marzo 2014, dell'interpellanza urgente 2-00486 del 4 aprile 2014 e, infine, dell'interpellanza urgente 2-00663 discussa lo scorso 8 settembre 2014;
   nel corso della seduta della Camera dei deputati dell'8 settembre, il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Giovanni Legnini, in risposta all'ultima interpellanza presentata, riferendosi agli obblighi introdotti con la norma di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, ha dichiarato che «la Rai, in adempimento dei citati obblighi di legge, ha provveduto a trasmettere nel termine previsto e secondo i criteri delineati dal dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, tutti i dati richiesti dal Ministero dell'economia e delle finanze d'intesa con il Dipartimento della funzione pubblica»;
   il sottosegretario Legnini ha inoltre affermato quanto segue: «l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con una nota del 13 maggio scorso, ha osservato che l'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001 “è evidentemente finalizzato al solo rilevamento dei costi del lavoro pubblico e non prevede di per sé alcuna forma di pubblicità dei dati raccolti. La norma in questione non contempla, infatti, né la pubblicazione delle informazioni in sé, né giocoforza le eventuali modalità di tale applicazione e soprattutto non riguarda specificamente i compensi dei conduttori, degli ospiti e degli opinionisti, né tantomeno i costi di produzione dei programmi RAI”»;
   a parere dell'interpellante, le dichiarazioni del sottosegretario Legnini restano insoddisfacenti e comunque incomplete, dato che affrontano la questione della pubblicità e della trasparenza dei dati RAI, ovvero una società a partecipazione pubblica, limitandosi a riportare un parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato riguardante la sola norma di cui all'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, senza considerare le altre norme vigenti sullo stesso tema;
   il nuovo articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non incide in alcun modo sull'obbligo di pubblicità previsto, anche in capo alla Rai, dalla citata legge n. 244 del 2007, che rimane vigente e che il Governo non cita nella propria risposta; inoltre, se è vero che lo stesso articolo 60 non prevede in maniera esplicita un obbligo di trasparenza, è altrettanto corretto affermare che la medesima norma non solo non esclude l'obbligo di pubblicità già presente nell'ordinamento, ma ne conferma la vigenza non regolando diversamente i relativi obblighi di trasparenza;
   inoltre, la pubblicazione dei compensi RAI non è impedita dalla disciplina contenuta nel Codice della privacy (decreto legislativo n. 196 del 2003), come chiarito dal Garante per la protezione dei dati personali, a fronte delle sopra richiamate disposizioni legislative e regolamentari che la contemplano espressamente (peraltro come obbligatoria);
   nell'ambito di una disamina degli obblighi RAI, bisogna poi ricordare quanto prevede il Contratto di servizio 2010-2013 siglato dalla Rai e il Ministero dello sviluppo economico, ancora in vigore, seppur in regime di prorogatio: in tema di trasparenza, il testo dispone, all'articolo 27 comma 7, che «la Rai pubblica sul proprio sito web gli stipendi lordi percepiti dai dipendenti e collaboratori nonché informazioni, anche tramite il mezzo televisivo, eventualmente con un rinvio allo stesso sito web nei titoli di coda, e radiofonico, sui costi della programmazione di servizio pubblico»;
   non è di poco rilievo infine ricordare che il 7 maggio scorso la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei sistemi radiotelevisivi ha approvato il parere di propria competenza previsto in relazione allo schema di Contratto di servizio 2013-2015 tra la Rai e il Ministero dello sviluppo economico, ad oggi, ancora in via di definizione. Tra le disposizioni contenute, all'articolo 18 comma 7 del Contratto di servizio si prevede che «la Rai pubblica nel rispetto della legge 125 del 2013, per la razionalizzazione della PA, le informazioni sui curricula e i compensi lordi percepiti dai dirigenti, dai collaboratori e dai consulenti, così come definite dal Ministero dell'Economia e delle Finanze d'intesa con il Dipartimento della Funzione Pubblica, nonché informazioni, anche tramite il mezzo televisivo e radiofonico, sui costi della programmazione di servizio pubblico»;
   il parere approvato dalla Commissione di vigilanza Rai in tema di total disclosure è molto puntuale e prevede non solo un riferimento al cosiddetto decreto razionalizzazione pubblica amministrazione sopra richiamato, ma anche l'obbligo per la Rai di pubblicare i curriculum vitae dei dipendenti e i loro stipendi lordi –:
   quali misure intendano adottare i Ministri interpellati, secondo le proprie competenze, per garantire in tempi rapidi l'attuazione della normativa richiamata in premessa, e rendere così pubblici i dati relativi al costo del personale trasmessi al Governo dalla Rai a norma delle disposizioni di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), in considerazione di quanto previsto dal Contratto di servizio vigente, e, soprattutto, alla luce dell'obbligo di pubblicità previsto per la RAI dall'articolo 3, comma 44, della legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria 2008), che non risulta messo in discussione dall'articolo 60, comma 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), così come modificato dal decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013, che non solo non esclude l'obbligo di pubblicità già presente nell'ordinamento, ma ne conferma la vigenza, non regolando diversamente i relativi obblighi di trasparenza.
(2-00701) «Brunetta».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   NESCI, DIENI, PARENTELA, COLONNESE, SPESSOTTO, DI BENEDETTO, DAGA, SEGONI, DE ROSA, BUSTO, ZOLEZZI, TERZONI, MANNINO, BRESCIA, DE LORENZIS, SIBILIA, SCAGLIUSI, NICOLA BIANCHI, CRISTIAN IANNUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI, DELL'ORCO, DADONE, COZZOLINO, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SPADONI, D'AMBROSIO, COLLETTI, SORIAL, CASTELLI, FICO, D'INCÀ, D'UVA, MARZANA, SIMONE VALENTE, BRUGNEROTTO, CANCELLERI, ARTINI, VILLAROSA, ALBERTI, BARBANTI, BASILIO, PAOLO BERNINI, MASSIMILIANO BERNINI, CORDA, FRUSONE, BUSINAROLO, AGOSTINELLI, SARTI, BECHIS, COMINARDI, CHIMIENTI, BALDASSARRE, FANTINATI, CIPRINI, TRIPIEDI, RIZZETTO, DA VILLA, BATTELLI, LUIGI GALLO, GALLINELLA, BENEDETTI, GAGNARLI, L'ABBATE, FRACCARO, VIGNAROLI, DALL'OSSO, MANTERO, LOREFICE, VACCA e GRANDE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 giugno 2008 la società SEI SpA ha presentato domanda di pronuncia di compatibilità ambientale e di autorizzazione integrata ambientale ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, come modificato e integrato dal decreto legislativo 16 gennaio 2008 n. 4, relativamente al progetto di centrale termoelettrica alimentata a carbone, di potenza elettrica di 1320 megawatt e localizzata nel comune di Montebello Jonico (RC), all'interno dell'agglomerato industriale di Saline Joniche e relativo elettrodotto di interconnessione alla rete localizzato nei comuni di Montebello Jonico (RC), Motta San Giovanni (RC), Melito di Porto Salvo (RC), Badalaghi (RC), Roghudi (RC), Condofuri (RC), San Lorenzo (RC) Calanna (RC) e Reggio Calabria;
   in data 29 aprile 2013, sollecitando risposta scritta il 13 marzo 2014 e poi il 25 giugno 2014, gli interroganti hanno presentato l'interrogazione n. 4-00312, chiedendo ai Ministri interrogati, a proposito del suddetto progetto, se si ritengano superati, allo stato della procedura, i rilievi mossi dalla Corte dei conti già nel 2013 in merito al mancato patto tra Stato e regione e se vi siano interessi di ’ndrangheta nella vicenda, alla luce di dichiarazioni sul contesto rilasciate dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri;
   ad adiuvandum, si rammenta che la Corte dei conti calabrese ha evidenziato che la procedura in parola mancava del presupposto, quanto necessario, accordo tra Stato e regione, ritenuto presupposto essenziale, perché si potesse procedere nei lavori di installazione di qualunque manufatto interessasse la costruenda centrale a carbone;
   gli interroganti osservano che l'interpretazione della Corte dei conti trova le sue radici nel dettato normativo di cui alla legge n. 55 del 2002, articolo 1 comma 1, secondo cui per ottenere l'autorizzazione è comunque necessario acquisire l'intesa con la regione, mentre l'esaurimento dell'istruttoria relativa alla Via non sostituisce tale elemento ma ne costituisce solo il presupposto, così chiarendo che l'assenso regionale è elemento postumo alla già svolta istruttoria;
   è recente la notizia secondo cui il proponente SEI ha richiesto ai vari comuni interessati la pubblicazione di avviso comprendente opere connesse e collegate alla centrale e di un vincolo preordinato all'esproprio di terreni finalizzato alla loro realizzazione;
   gli interroganti reputano tale avviso radicalmente nullo e assolutamente intempestivo, poiché nel medesimo si discute di opere ritenute di pubblica utilità senza che sia pervenuta l'autorizzazione che necessariamente deve precedere e che sola conferisce all'opera la sua pubblica utilità ai fini e per gli effetti di cui all'articoli 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001;
   gli interroganti sottolineano che tale autorizzazione deve essere concessa a seguito dell'accordo tra Stato e regione Calabria, ente che da sempre si è dichiarato contrario alla realizzazione del progetto;
   agli interroganti appare opportuno che la regione si esprima con l'evidenza degli atti, dunque emanando un decreto di non disponibilità all'esecuzione dell'opera, il che la stessa regione ha significato verbalmente e solo in sede di istruttoria Via;
   nell'avviso pubblicato presso i vari comuni si evidenzia un dato quantomeno inquietante e cioè che il controllo e la direzione delle opere viene affidato a Repower;
   per come è noto, la società Repower è controllata dal cantone svizzero dei Grigioni, proprietario, che ha inibito la realizzazione dell'opera deliberandone l'uscita e ogni attività nell'ambito del progetto in argomento a partire dal 2015, sicché da lì dovrà essere sostituita da altro operatore al momento non conosciuto;
   non c’è dubbio che Repower era da considerarsi partner consapevole, esperto e preparato;
   innanzi all'impatto dell'impianto nel tessuto territoriale, per certo imponente, se non devastante, la presenza di un operatore competente poteva costituire motivo di conforto e garanzia –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti e, all'occorrenza, che cosa possono riferire sulla società che sostituirà Repower;
   quali iniziative, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano adottare per la definizione della questione circa la mancata intesa fra Stato e regione o se ritengono superata la medesima;
   si siano manifestati interessi di ’ndrangheta sul progetto in argomento, complessivamente inteso. (5-03665)


  DE ROSA, BUSTO, DAGA, MICILLO, SEGONI, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la centrale nucleare di Krško in Slovenia, è situata a 125 chilometri da Trieste, in direzione di Bora. La sua chiusura, se realmente avverrà, è prevista non prima del 2043. Da alcuni anni, è inoltre allo studio la costruzione di un'altra centrale, Krško-2, di potenza tripla e a fianco di Krško-1;
   tale centrale, operativa dal 15 gennaio 1983, è stata costruita come joint venture dalla Slovenia e dalla Croazia, entrambe, allora, parti della Jugoslavia. È dotata di un reattore ad acqua pressurizzata Westinghouse di costruzione canadese da 696 megawatt elettrici netti contenente 48,7 tonnellate di «combustibile» a base di ossido d'uranio;
   da molti anni, gli Stati vicini hanno evidenziato le preoccupanti condizioni in cui versa la centrale, situazione messa in rilievo da numerosi episodi di allarme; fra i più recenti ricordiamo, nel 2013, alcune barre di carburante nucleare, contenute nei tre elementi di combustibile del reattore, incrinate e spezzate, nel 2008, una fuga di acqua di raffreddamento del reattore, nel 2007 la centrale venne isolata e chiusa per un mese per interventi urgenti e non sono mai state comunicate, come invece prescritto dalla procedura in sede europea, le precise motivazioni; nel 2005 il reattore è stato arrestato per problemi al sistema di contenimento di una ventola per il trattamento dei vapori;
   l'articolo del giornalista Mauro Manzin, pubblicato su il Piccolo del 31 marzo 2013, ha rivelato l'esistenza di un rapporto dell'Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare, IRSN, subito secretato, nel quale l'Istituto aveva giudicato il sito di Krško inadatto alla costruzione di una nuova centrale, a causa dei «movimenti tellurici» prodotti da faglie;
   nel 1885, circa 60 chilometri a est di Krško vi fu un terremoto di magnitudo Richter stimata in 6,5;
   nel 1917, la zona di Krško-Brežice fu epicentro di una scossa di magnitudo Richter stimata tra 5,7 e 6,2 (il Friuli ebbe un 6,4 nel 1976; per l'Emilia del 2012 si parla di un 5,9). Si ebbero danni fino all'VIII grado di intensità della scala Mercalli;
   nel 1989, un piccolo terremoto sotto l'area della centrale (magnitudo 3,9) fece registrare un'accelerazione PGA di circa 0,4 gradi (su frequenze molto alte, che provocano meno danni);
   dalla fine degli anni ’90, da quando esiste una buona rete di misura, sappiamo che la regione di Krško presenta continua attività sismica di modesta entità (magnitudo non superiore a circa 4,5);
   nel 2004, i consulenti americani della società «Geomatrix Earth Science Ltd» segnalarono 21 «terremoti locali» registrati nel 1994-95 all'interno del perimetro della centrale, con i tre più grandi prodotti da faglie a profondità di 1-3 chilometri e distanza (in orizzontale) di circa 2 chilometri dall'impianto;
   le versioni pubbliche degli stress test misurano la sicurezza sismica con un solo parametro: l'accelerazione massima orizzontale del suolo (PGA) prevista con una certa probabilità; accelerazione che si usa anche esprimere in decimi di quella di gravità, per cui PGA=0,3 g significa tre decimi dell'accelerazione di gravità. Se ne deduce che più alta è la PGA considerata nel progetto e più sicuro è un edificio. Purtroppo, l'uso della sola accelerazione PGA non consente però verifiche dettagliate;
   il popolo italiano si è espresso inequivocabilmente, con il referendum del giugno 2011, sulla propria contrarietà all'utilizzo dell'energia nucleare, ritenendo inaccettabile l'esposizione ai rischi ad essa collegati –:
   se il Governo intenda chiedere informazioni dettagliate alla Repubblica Slovena sullo stato attuale dell'integrità della centrale nucleare di Krško, sull'opportunità e sicurezza della realizzazione del nuovo impianto di Krško 2;
   se il Governo non ritenga opportuno mettere in atto tutti i mezzi necessari alla tutela della salute del cittadino e dell'ambiente, provvedendo, inoltre, alla promozione di una campagna di sensibilizzazione sui rischi legati all'energia nucleare, volta alla prevenzione degli effetti della presenza di materiale radioattivo. (5-03666)


   SCAGLIUSI, LOREFICE, DE LORENZIS, SPADONI, CECCONI, L'ABBATE, SIBILIA e TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 settembre 2013, la direzione nazionale delle migrazioni (DGM), presso il Ministero dell'interno e della sicurezza della Repubblica democratica del Congo, ha informato tutte le ambasciate dei Paesi di accoglienza della sospensione per 12 mesi, a partire dal 25 settembre 2013, delle operazioni per il rilascio dei permessi di uscita per i bambini adottati dalle famiglie straniere;
   nell'ottobre 2013, comunque, le autorità della Repubblica democratica del Congo, hanno permesso la delineazione di una lista di coppie, con documentazione già conclusa entro il 25 settembre 2013, che avrebbero avuto il permesso di recarsi nel Paese per portare a compimento l'adozione dei figli;
   durante i primi di novembre, di ritorno da Kinshasa per un incontro con le autorità competenti, l'allora Ministro per l'integrazione, Cécile Kyenge, anche presidente della Commissione adozioni internazionali, ha riportato che in tale occasione le è stata sottolineata l'ottima reputazione di cui godeva il sistema italiano e che le era stato assicurato che sarebbero state ripristinate immediatamente tutte le pratiche di adozione che avevano già ottenuto l'approvazione definitiva delle autorità locali;
   il 4 novembre 2013, l'allora Ministro Kyenge dichiarava di aver raggiunto una conclusione positiva per 24 adozioni bloccate da un cavillo burocratico avendo fatto «ripristinare tutte le pratiche di adozione che avevano già ricevuto l'approvazione definitiva delle autorità locali»;
   il 28 maggio 2014 un aereo dell'Aeronautica militare proveniente da Kinshasa, giungeva a Ciampino con a bordo i 31 bambini congolesi adottati da famiglie italiane. Sul volo, c'era anche il Ministro per le riforme e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi;
   di ritorno da Kinshasa, la vice presidente della Commissione adozioni internazionali, Silvia Della Monica, ha affermato (http://goo.gl/JjLMl4) che ci sono altre sette coppie italiane nelle stesse condizioni di quelle che hanno abbracciato i loro figli ma che sono ancora in attesa –:
   quale sia la situazione ad oggi per le 7 coppie ancora in attesa;
   cosa intenda fare il Governo per risolvere quanto prima la situazione delle sette coppie di italiani ancora in attesa di abbracciare i loro figli adottivi. (5-03692)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALATI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 207 della legge del 27 dicembre 2013, n. 147, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità per il 2014) ha previsto un'autorizzazione di spesa pari alla misura di 25 milioni di euro per far fronte all'eccezionale necessità di risorse finanziarie da destinare ai lavoratori socialmente utili (LSU) e a quelli di pubblica utilità (LPU) della regione Calabria ai fini del pagamento degli arretrati dell'anno 2013 relativi ai correlati progetti;
   la regione Calabria si è trovata nella possibilità di procedere al pagamento del 50 per cento dello stanziamento in favore dei lavoratori interessati (un bacino di circa n. 2.300 lavoratori socialmente utili) nel mese di luglio 2014, dunque solamente con significativo ritardo, stante l'aspettativa del trasferimento per l'inizio dell'anno, a causa del corrispondente ritardo registrato a monte nelle procedure di trasferimento dal bilancio dello Stato delle spettanti risorse destinate alle finalità sovraesposte e legislativamente stabilite;
   il 25 settembre 2014, i lavoratori socialmente utili interessati hanno indetto una manifestazione di protesta dinanzi la sede regionale dell'assessorato al lavoro a Catanzaro, per chiedere alla regione Calabria l'erogazione delle risorse di spettanza;
   la regione segnala forti difficoltà di ordine tecnico-burocratico nel procedere alle necessarie erogazioni, legate ai vincoli imposti alla regione dal patto di stabilità interno, di cui il pagamento del debito della pubblica amministrazione comporterebbe lo sforamento;
   si rileva come la problematica emersa in Calabria costituisca un comune intralcio riscontrato a livello nazionale da regioni ed enti territoriali, alla corretta, serena ed armonica prosecuzione dei processi di crescita ed incentivazione che si tenta di innescare con le politiche regionali per l'occupazione; difficoltà che emergono in tutta Italia, sia pure in misure diversificata tra le varie regioni. Secondo un'indagine di ANCE, tra le cause del ritardo dei pagamenti da parte delle Pubbliche amministrazioni risulta prevalente proprio l'attuazione delle procedure che fanno riferimento al Patto di stabilità interno. Per l'87 per cento del campione intervistato, sarebbe emerso che le clausole del Patto compromettono il regolare pagamento dei lavori pubblici eseguiti;
   è evidente che si tratta di dati che impongono un'accurata riflessione, da parte del Governo, sulla necessità di un ripensamento dei parametri del patto di stabilità interno, che sia idoneo a ricondurre questo strumento di razionalizzazione della finanza pubblica alla sua originaria finalità, quella di favorire una conformazione equilibrata dei pubblici bilanci e supportare la crescita economica, mentre paradossalmente lo stesso strumento attualmente si configura quale elemento di ulteriore inasprimento e complicazione delle procedure e prassi burocratiche, delle quali fanno le spese in ultima istanza i cittadini lavoratori, ed in questo caso, i lavoratori socialmente utili;
   a parere dell'interrogante, l'esistenza e l'emersione di simili dicotomie di sistema rende doverosa una revisione della politica economica e finanziaria a livello nazionale nel senso di favorire il necessario coordinamento tra le fondamentali esigenze della stabilità ed equilibrio di bilancio e del pagamento dei debiti delle pubbliche  amministrazioni;
   non risulta infatti ammissibile la sussistenza, nell'ambito dell'azione amministrativa statale e della linea di politica economica, di un simile paradosso, che viene a concretizzarsi nella misura in cui il Governo, da una parte fa pervenire le risorse necessarie al pagamento dei lavoratori alla regione e, al contempo, espone la medesima amministrazione al rischio di sforamento del patto di stabilità, determinando l'insorgenza del correlato rischio concreto delle pesanti conseguenze che si riconducono al verificarsi degli sforamenti;
   la persistenza dei forti disagi insorti a causa delle problematiche sovraesposte si configura quale elemento idoneo a generare ripercussioni sociali ed a turbare la serenità di cittadini, lavoratori e famiglie che risiedono ed operano in un territorio già contrassegnato da forti criticità e nel quale il tasso di disoccupazione si attesta costantemente ed in misura progressivamente crescente su livelli elevatissimi –:
   quali misure il Ministro dell'economia e delle finanze ed il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ritengano di poter adottare, anche in modo congiunto e coordinato, al fine di garantire i diritti essenziali ed interessi legittimi dei lavoratori calabresi interessati dalla problematica evidenziata;
   quali interventi il Presidente del Consiglio dei ministri intenda adottare, nell'ambito dei propri poteri di impulso e coordinamento dell'azione di Governo, al fine di consentire alla regione Calabria e agli enti territoriali interessati dalla illustrata problematica di procedere al versamento delle risorse senza incorrere nel rischio di sforamento del patto di stabilità interno. (4-06189)


   PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come è noto, il 18 settembre è stato trasmesso a questa Assemblea il testo, approvato dal Senato con modifiche, dell'AC 1864-B (Adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – legge europea 2013-bis);
   in particolare l'attuale, articolo 23 interviene sulla disciplina della rete di distribuzione dei carburanti, di cui al decreto-legge n. 98 del 2011, al fine di liberalizzare maggiormente i distributori cosiddetti self-service, eliminando la distinzione tra le stazioni di servizio nelle aree urbane e quelle poste al di fuori dei centri abitati;
   mediante tale novella, dunque, vengono escluse limitazioni all'utilizzo continuativo delle apparecchiature self-service, anche senza assistenza, negli impianti di distribuzione ovunque ubicati e non più solo in quelli posti fuori dai centri abitati;
   com’è altresì noto, tale disposizione trova la propria origine nella procedura EU Pilot (n. 4734/13/MARK), avviata dalla Commissione europea con lettera dell'11 marzo 2013;
   in particolare, la Commissione ha rilevato che la legislazione nazionale relativa alle stazioni di servizio ubicate nei centri urbani, limitando l'apertura degli impianti di distribuzione di carburante non presidiati nell'arco delle 24 ore, viola il principio della libertà di stabilimento, previsto dall'articolo 49 TFUE, e il divieto di restrizione territoriale previsto dell'articolo 15, paragrafo 2, lettera a) della direttiva 2006/123/CE (cosiddetta direttiva servizi);
   a tali rilievi il Governo italiano allora in carica replicava con lettera del 30 luglio 2013, che la legislazione nazionale sarebbe volta, in primo luogo, ad evitare l'esclusione delle piccole imprese dal mercato e salvaguardare l'occupazione nel settore e, in secondo luogo, a tutelare la salute e la sicurezza pubbliche;
   a fronte di ciò, la Commissione ha, tuttavia, ritenuto – in modo opinabile – che la protezione delle piccole imprese e, soprattutto, la salvaguardia dell'occupazione nel settore non siano motivi imperativi di interesse pubblico atti a giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento. Mentre per quanto riguarda la tutela della salute e della sicurezza pubbliche, si è limitata a rovesciare l'onere della prova in ordine ai rischi per la salute e l'incolumità pubblica derivanti da stazioni di servizio, nei centri urbani, non presidiate;
   l'attuale articolo 23, dunque, costituisce al momento una scelta obbligata per l'Italia, posto che la sua adozione determina l'archiviazione della suddetta procedura di infrazione;
   tuttavia, restano irrisolti i nodi del settore – relativi alla tutela dei livelli occupazionali, delle piccole imprese, nonché della salute e dell'incolumità pubblica – derivanti dagli effetti di questa nuova disciplina, senza contare gli effetti negativi sulla ristrutturazione della rete carburanti –:
    di quali informazioni dispongano il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa, con specifico riguardo agli approfondimenti forniti dal precedente Governo alla Commissione sulla procedura suddetta;
   se il Governo e i Ministri interrogati non ritengano opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, attivarsi presso le competenti sedi decisionali europee al fine di rimodulare gli obblighi gravanti sugli Stati membri in tema di liberalizzazioni, introducendo la possibilità di potervi derogare qualora dalla loro esecuzione discendano conseguenze gravi in materia di tutela dei livelli occupazionali, tutela delle piccole e medie imprese, e tutela della salute e dell'incolumità pubbliche. (4-06190)


   MINNUCCI, GREGORI, TIDEI e FERRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   numerose agenzie del settore della distribuzione della stampa con sede su tutto il territorio nazionale, hanno lamentato una recente prassi diffusasi in particolare nel Centro Italia, nel settore dei prodotti «autodefiniti» per l'infanzia (settore che per l'altissima percentuale di invenduto sugli espositori delle edicole — circa il 90 per cento – può essere inquadrato nel cosiddetto segmento «basso vendente»);
   tale prassi, che ha dato luogo anche a costosi contenziosi per le agenzie di distribuzione, consisterebbe nel mancato ritiro da parte dell'editore delle rese delle proprie pubblicazioni invendute. Un'omissione sistematica, che avverrebbe a scapito degli avvisi di ritiro ricevuti e della prassi consolidata nel settore, secondo un meccanismo di resa dell'invenduto, funzionante indistintamente per tutti gli editori e per tutti i distributori da oltre vent'anni, confacente e funzionale agli accordi di categoria a livello nazionale intercorrenti tra editori e rivenditori;
   in questo modo l'editore finirebbe per considerare la liquidazione del distributore, relativa alla percentuale di pubblicazioni effettivamente vendute, come acconto e non come saldo e, forte del mancato ritiro delle pubblicazioni rimaste invendute, chiederebbe il pagamento integrale della resa giacente presso i magazzini dei distributori, rilevando la scadenza dei relativi termini e ricorrendo, tra l'altro, all'autorità giudiziaria al fine di ottenere decreti ingiuntivi muniti di formula di provvisoria esecutorietà;
   in questo modo, l'editore metterebbe in atto una strategia volta a vendere, in un solo colpo e a danno dei distributori, merce che sarebbe destinata a tornare quasi tutta invenduta dai banchi dei giornalai;
   tali circostanze, oltre a costituire un danno economico rilevante per decine di distributori su tutto il territorio nazionale, potrebbero rappresentare un precedente pericoloso oltre che un vulnus all'interno del sistema distributivo della stampati –:
   se il Governo sia a conoscenza di episodi simili a quelli sopra riportati e, ferma restando l'autonomia della giurisdizione, quali iniziative di competenza intenda assumere, anche sul piano normativo, al fine di evitare tali episodi e l'aggravarsi di simili patologie e fare in modo che la disciplina di fattispecie come quelle descritte sia definita secondo criteri di uniformità sul territorio nazionale tenendo conto dei principi consolidati rinvenibili nei protocolli già applicati nel settore. (4-06197)


   BARGERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Cassa depositi e prestiti (CDP), nata nel 1850 come ente dello Stato, fino al 2003 esercitava la funzione pubblica di raccogliere il risparmio postale dei cittadini al fine di utilizzarlo per il finanziamento a tassi agevolati degli investimenti degli enti locali;
   nel 2003 Cassa depositi e prestiti viene trasformata in società per azioni, come riportato nel sito istituzionale, «a controllo pubblico: il Ministero dell'economia e delle finanze detiene l'80,1 per cento del capitale, il 18,4 per cento è posseduto da un nutrito gruppo di Fondazioni di origine bancaria, il restante 1,5 per cento in azioni proprie; gestisce una parte consistente del risparmio nazionale, il risparmio postale (buoni fruttiferi e libretti), che rappresenta la sua principale fonte di raccolta; impiega le sue risorse secondo la sua missione istituzionale a sostegno della crescita del Paese: è da sempre leader nel finanziamento degli investimenti della pubblica amministrazione, è catalizzatore dello sviluppo delle infrastrutture, è operatore centrale a sostegno dell'economia e del sistema imprenditoriale nazionale». Nel 2013, la sola raccolta postale gestita da Cassa depositi e prestiti ammontava a 242 miliardi di euro;
   questa trasformazione ha comportato la cessazione della funzione pubblica, in favore della ricerca dello scopo di lucro connaturato a tutte le società per azioni con conseguente mutamento del finanziamento degli investimenti degli enti locali, non più a tassi agevolati ma a tassi di mercato. Questo mutamento di scopi — la scelta degli investimenti di Cassa depositi e prestiti ha infatti solo scopi finanziari, senza considerazione alcuna per i bisogni e le necessità delle comunità locali — ha avuto l'effetto di incentivare gli enti locali a cercare finanziamenti direttamente dagli istituti di credito, incrementando notevolmente il proprio indebitamento;
   Cassa depositi e prestiti nel corso degli ultimi anni ha dichiarato di essersi concentrata nell'erogazione di finanziamenti per la realizzazione di infrastrutture nonché nella partecipazione in fondi di private equity. Cassa depositi e prestiti si è, infatti, fatta promotrice della costituzione di diversi fondi chiusi volti a investire in opere infrastrutturali (F2i, FSI, CDP Investimenti SGR, Galaxy, Fondo Italiano d'Investimento SGR, Marguerite, Inframed);
   Cassa depositi e prestiti, in particolare, è azionista di riferimento del Fondo strategico italiano (FSI) che opera acquisendo quote di imprese di «rilevante interesse nazionale», in equilibrio economico-finanziario e con prospettive significative di redditività e di sviluppo;
   in molteplici articoli pubblicati sulla stampa nazionale negli ultimi giorni, si sottolinea che FSI ha dichiarato di essere disponibile a partecipare al capitale di rischio in progetti di aggregazione e fusione tra utility per almeno mezzo miliardo di euro. Sul punto Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, evidenzia che «il settore delle utility è molto attrattivo per gli investimenti, anche perché caratterizzato da una stabilità nei flussi di cassa che difficilmente si registra altrove»;
   in particolare nel settore del servizio idrico integrato è nota la necessità di forti investimenti, con un volume medio annuo attuale di circa 1,5 miliardi di euro e con un fabbisogno acclarato di circa 5 miliardi di euro annui; in tale settore nell'ultimo triennio, anche ad esito del referendum del 2011, è stato posto in essere dal legislatore e dal Governo un quadro regolatorio più stabile con l'attribuzione dei poteri all'autorità nazionale indipendente AEEGSI. L'AEEGSI ha tempestivamente provveduto a stabilire regole certe e valide al fine del rilancio degli investimenti; ciononostante il gap finanziario è ancora molto elevato soprattutto a causa delle enormi difficoltà di accesso al credito per gli operatori, anche per via della nota crisi dei mercati finanziari;
   in ragione della dichiarata disponibilità della Cassa depositi e prestiti ad investire nel capitale di rischio delle aziende del settore utility, Cassa depositi e prestiti avrà certamente valutato positivamente l'evoluzione normativa e regolatoria del settore idrico. Infatti, essendo stata pubblicamente dichiarata la disponibilità di Cassa depositi e prestiti di investire nel capitale di rischio delle aziende del settore utility, a maggior ragione Cassa depositi e prestiti, avrà largamente messo a disposizione degli operatori del servizio idrico integrato capitale di debito per il finanziamento degli ingenti investimenti previsti –:
   quale sia l'impegno di Cassa depositi e prestiti nel sostegno finanziario delle aziende del settore idrico;
   quante siano le operazioni e gli importi erogati a titolo di debito verso operatori del servizio idrico integrato, suddivisi per:
    a) impieghi totali nel settore del servizio idrico integrato;
    b) movimentazione (incrementi e decrementi) per annualità (2012, 2013, 2014);
    c) classe dimensione di impresa finanziata (fatturato inferiore a 20 milioni di euro, fatturato compreso tra 20 e 50 milioni di euro, fatturato compreso tra 50 e 100 milioni di euro, fatturato superiore a 100 milioni di euro), con evidenza di eventuali appartenenze a gruppi societari e di eventuali garanzie degli azionisti/proprietari;
    d) nuove erogazioni e ristrutturazione di debito esistente. (4-06198)


   CAMPANA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da notizie di stampa il progetto del prolungamento della linea Metro B di Roma fino al quartiere di Casal Monastero sta per essere cancellato;
   il quadrante Est necessità di una metropolitana ed in particolare di un nodo di scambio, che permetta ai migliaia di lavoratori che dell’hinterland romano (in particolare le località di Casal Monastero, Torraccia, San Basilio, Settecamini, Case Rosse) ogni mattina si recano a Roma, di raggiungere la città agevolmente;
   il progetto per la realizzazione della linea B della metropolitana di Roma, nella tratta da Rebibbia a Casal Monastero e delle connesse opere integrative e complementari è inserito nel Piano degli interventi di Riqualificazione delle Infrastrutture Varie per la mobilità di cui all'ordinanza n. 1 del 30 gennaio 2007 del sindaco di Roma – commissario delegato (codice HiD1.1-08);
   l'associazione temporanea di imprese (Ati) Metro srl guidata da Salini Costruttori spa e partecipata da Vianini Lavori spa e Astaldi Sts spa (società partecipata di secondo livello del Ministero dell'economia e delle finanze) ha chiesto al comune di Roma la risoluzione del contratto per inadempienza del concedente, pretendendo il pagamento dei costi sinora sostenuti e un risarcimento di circa 100 milioni di euro. La richiesta è stata indirizzata al sindaco di Roma e agli assessori interessati per competenza lo scorso 23 luglio 2014;
   la convenzione è nata nel 2011 ed era destinato ad essere realizzato con project financing, di cui 167 milioni a carico di soggetti pubblici (tra cui Comune di Roma, regione Lazio e Stato). I privati avrebbero dovuto realizzare il loro profitto attraverso l'edificazione e vendita di alloggi nelle zone di Pietralata, Monti Tiburtini, Rebibbia e Torraccia per circa 189 milioni oltre a percepire un canone di 133 milioni nell'arco di 12 anni;
   la regione Lazio parteciperà ai costi di realizzazione dell'opera con un contributo pari a 99 milioni di euro, la cui erogazione è subordinata alla firma di un accordo procedimentale tra Roma Capitale e regione Lazio con il quale saranno precisati i tempi di erogazione del contributo, nonché il riconoscimento di eventuali oneri per il ritardato pagamento a favore del concessionario comune di Roma;
   Roma Metropolitane con nota protocollata n. 7444 del 15 maggio 2013 ha consegnato al dipartimento della mobilità e dei trasporti il progetto definitivo rispondente alle prescrizioni emerse in sede di conferenza dei servizi e a quanto disposto dall'ordinanza del sindaco commissario delegato n. 479 del 31 dicembre 2009;
   in seguito alle suddette modifiche il costo complessivo dell'opera ha subito un incremento passando da 449.934.530,83 previsto dall'ordinanza 470/2012 a 494.332.170,77 euro;
   tuttavia le varianti urbanistiche necessarie a far decollare il progetto non sono mai state approvate dalla giunta capitolina e il contesto economico ha visto il crollo del mercato edilizio a tal punto da far tornare sui propri passi gli imprenditori coinvolti nel progetto. Gli imprenditori denunciano che si sono dovuti sostituire al committente per la rielaborazione del progetto definitivo della linea Metro B nella tratta Rebibbia-Casal Monastero e di aver avviato a più riprese la progettazione esecutiva salvo poi doverla sospendere a più riprese;
   in data 31 luglio 2014 un articolo del quotidiano economico Il Sole 24 ore titolato «Roma, addio all'allungamento della metro B» della giornalista Laura Serafini si legge che «nei giorni scorsi, si sarebbe tenuto un incontro tra gli imprenditori e gli amministratori comunali tra cui il sindaco il quale, constatata la complessità della situazione cui si è giunti, avrebbe optato per risarcire i privati – consapevole che avrebbe perso una eventuale causa – cancellando il contratto per il prolungamento della linea B. Nella lettera si danno 60 giorni di tempo al comune per adempiere alle modifiche urbanistiche, in mancanza delle quali si chiederà la risoluzione contrattuale»;
   si legge inoltre nell'articolo che il comune avrebbe promesso un risarcimento di 100 milioni di euro ai privati coinvolti nel progetto;
   le notizie contenute nell'articolo poi sono state smentite attraverso una rettifica al giornale da parte del sindaco Ignazio Marino –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se corrisponda al vero la notizia che il cantiere del prolungamento della metro B nella tratta tra Rebibbia e Casal Monastero sia stato cancellato nonostante si tratti di un'opera strategica per la mobilità urbana di quella parte di città ad alta densità abitativa;
   se i Ministri, per quanto di competenza, abbiano intenzione di verificare le condizioni ostative lamentate dal consorzio di imprese;
   se sia noto al Governo quanto riceverà in risarcimento, qualora il prolungamento della metro non dovesse realizzarsi Ansaldo Sts spa, società dell'Ati incaricata della progettazione e costruzione dell'opera. (4-06200)


   SANDRA SAVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto descrive il quotidiano Il Piccolo di Trieste, in un articolo pubblicato il 21 settembre 2014, una bimba nata da una coppia (papà italiano e mamma statunitense) residenti e conviventi a Sagrado comune situato in provincia di Gorizia, è risultata essere apolide, (almeno per le prime settimane di vita), a causa della decisione dei genitori di farla nascere in anticipo di circa tre settimane, all'ospedale di Šempeter, nella confinante Slovenia;
   in seguito al parto, prosegue il suddetto articolo, il padre recatosi presso il comune di Nova Gorica (che rappresenta la controparte slovena di Gorizia, città posta a ridosso del confine tra Italia e Slovenia) per le pratiche di iscrizione all'anagrafe, ha riscontrato che nell'estratto del certificato di nascita, compare solamente il nome della madre, mentre su quello del padre è stata tracciata una riga;
   tale constatazione ha destato stupore nel medesimo, in considerazione del fatto che la figlia appena nata avrebbe dovuto ricevere il suo cognome, in quanto riconosciuta subito sin dalle prime carte firmate all'ospedale;
   ciononostante, prosegue il racconto descritto dal quotidiano triestino, in Slovenia è prevista tale prassi, dal momento che i suddetti genitori della bimba nata risultano conviventi e non possiedono pertanto il certificato matrimoniale;
   quanto predetto, riporta l'articolo di stampa, stride con le normative comunitarie, aggiungendo inoltre che, secondo quanto dichiarato dal padre, egli avrebbe dovuto manifestare prima della nascita quali fossero le intenzioni della coppia, ma tuttavia l'anticipo con cui è venuta al mondo, non poteva essere previsto;
   a tal fine, la burocrazia ha innescato un delicato effetto-domino che ha attraversato il confine ed il caso è giunto alla questura di Gorizia;
   il quotidiano triestino riporta inoltre, che la compagna del padre della bimba nata all'ospedale di Šempeter, essendo cittadina statunitense, ha goduto di un permesso di soggiorno in Italia per le cure mediche (vista la gravidanza) che scade il prossimo 20 ottobre e aggiunge, fra l'altro, che se i documenti non dimostreranno che la bambina è figlia legittima di padre legittimo e italiano, la sua posizione potrebbe almeno teoricamente complicarsi;
   la permanenza sul territorio nazionale dopo quella data, in base a quanto in precedenza riportato, sarebbe pertanto irregolare, secondo quanto pubblicato dal quotidiano triestino, che aggiunge come attualmente la cittadina americana non possa muoversi liberamente nel territorio sloveno, il che le impedisce di recarsi all'ambasciata Usa di Lubiana per tentare almeno la carta della cittadinanza statunitense per la sua bimba;
   la suesposta vicenda, a giudizio dell'interrogante, evidenzia come vi sia un vuoto legislativo nel sistema del punto nascita transfrontaliero tra l'Italia e la Slovenia, che al momento lascia una bimba senza cittadinanza, un padre senza la piena certificazione della sua paternità e una mamma straniera senza la possibilità di espatriare, ed evidenzia la necessità di un intervento del legislatore, volto a porte rimedio ad una situazione ambigua e penalizzante per coloro che si trovassero nelle condizioni della coppia di genitori in precedenza riportata –:
   se corrisponda al vero quanto esposto in premessa e, in caso affermativo, quali iniziative normative, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano intraprendere anche in sede comunitaria, in relazione a una vicenda avvenuta in ambito transfrontaliero, che evidenzia l'assenza di un quadro regolatorio delle condizioni di apolidia fra i Paesi esposti in premessa. (4-06204)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

III Commissione:


   BUENO e PLANGGER. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in occasione del vertice UE/Canada nell'ottobre 2008 venne stabilito di avviare trattative volte a concludere un ampio accordo economico e commerciale con il Canada;
   le trattative sono state aperte il 10 giugno 2009 e il 18 ottobre 2013 il Presidente della Commissione europea e il Primo Ministro canadese hanno firmato un accordo in linea di principio, lasciando poi ai funzionari il compito di elaborare i dettagli finali, che però ad oggi ancora non sono stati definiti e l'accordo dovrà poi essere ratificato anche da tutti gli Stati membri per entrare in vigore, dopo aver ottenuto il via libera del Parlamento europeo e del Consiglio europeo;
   la base normativa per le trattative e la conclusione di trattati commerciali con Stati terzi è costituita, rispettivamente, dagli articoli 207 e 216 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE);
   posto che l'Unione europea ha competenza esclusiva per la politica commerciale, non è chiaro se il «Comprehensive economic and trade agreement» sia un accordo commerciale misto oppure di esclusiva competenza dell'Unione europea, dal momento che si parla di accordo misto quando il testo riguarda sia competenze esclusive dell'Unione europea sia competenze esclusive degli Stati membri e di conseguenza necessiterebbe anche dell'approvazione degli Stati membri;
   il servizio giuridico del Consiglio, in un parere, ha considerato il «Comprehensive economic and trade agreement» un accordo misto –:
   chiarita la natura giuridica dell'accordo, se possa considerare la possibilità di chiedere alla Corte di giustizia dell'Unione europea un parere riguardo alla compatibilità del previsto accordo con i Trattati fondamentali dell'Unione europea. (5-03671)


   SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, SPADONI, DEL GROSSO, DI BATTISTA e GRANDE. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'alleato chiave della Nato in Medio Oriente, la Turchia, risulta al momento anche il più inaffidabile nella lotta ai jihadisti dell'Is (Stato islamico); infatti, nonostante gli sforzi del segretario di Stato americano John Kerry, non ha firmato la dichiarazione di Jedda, con cui Stati Uniti, i Paesi del Golfo Persico, l'Egitto, l'Iraq, la Giordania e il Libano si impegnano a combattere il Califfato, negando anche l'utilizzo delle sue basi;
   la posizione di Ankara risulta ambigua poiché di mezzo ci sono i reiterati sospetti di finanziamenti a gruppi jihadisti (incluso l'Is), il flusso continuo di terroristi dalla Turchia e i molti interessi politici ed economici turchi nella regione, primi fra tutti la questione curda;
   il popolo curdo in Siria da alcuni anni ha creato una regione autonoma: il Rojava è formato da tre cantoni (Kurdistan occidentale/Siria settentrionale), uno dei quali, il Kobané, è da giorni assediato dal Califfato Islamico, ovvero da quei jihadisti ormai noti per aver sgozzato giornalisti e cittadini occidentali;
   infatti, dal 15 settembre 2014, le armate terroriste dell'Is stanno attaccando su tre diversi fronti, con estrema durezza e con armi pesanti sequestrate all'esercito iracheno, il cantone di Kobané in Kurdistan occidentale. In cambio del rilascio di 49 impiegati del consolato turco, la Turchia tollera gli attacchi dell'Is contro la città di Kobané e lo rifornisce segretamente e illegalmente con armi e carri armati. Inoltre, le forze di sicurezza e i soldati turchi hanno attaccato con durezza le persone che si erano radunate al confine in solidarietà con la resistenza della città con il risultato di aver procurato morti e feriti;
   lo Stato Islamico è riuscito ad avanzare fino ai confini della città di Kobané grazie alle armi pesanti di cui può disporre (cannoni, carri armati, razzi Katyusha e missili), e traendo vantaggio da questa lotta impari. Di conseguenza, centinaia di migliaia dei suoi abitanti sono di fronte a un serio pericolo di genocidio. Le forze di difesa delle YPG e YPJ, per contro, combattono con armi leggere insieme alla popolazione contro questo gruppo terroristico che gode di una superiorità tecnico-militare –:
   quali iniziative intenda adottare, di concerto con i partners internazionali, affinché sia nell'immediato scongiurata una nuova carneficina nella città di Kobane anche sollecitando la Turchia a tenere un atteggiamento di contrapposizione avverso lo Stato Islamico e di protezione nei confronti delle migliaia della popolazione in fuga dai villaggi occupati nel cantone di Kobane. (5-03672)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TIDEI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Convezione di Parigi del 1997, istitutiva dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC), prevede, tra l'altro, che la suddetta Organizzazione assicuri l'attuazione della Convenzione, fornisca assistenza e protezione a tutti gli Stati Parte vittime di minacce o aggressioni con armi chimiche e promuova la cooperazione internazionale per lo sviluppo della chimica a fini pacifici, nonché attribuisce all'Organizzazione la facoltà di effettuare accertamenti di vario tipo per verificare che gli Stati Parte rispettino i prescritti obblighi ed, in particolare, che distruggano tutte le armi chimiche in loro possesso e non ne producano di nuove;
   l'Italia risulta essere in possesso di armi chimiche prodotte prima del 1946. Tali armi avrebbero dovuto essere distrutte nel rispetto di una particolare procedura entro il 31 dicembre 2012. Tuttavia, all'Italia è stata concessa una deroga temporale, per il prosieguo dell'attività di distruzione delle suddette armi, senza la prescrizione di una data stabilita, né a breve né a medio termine. Pertanto, l'Italia deve distruggere gli ordigni chimici in suo possesso «nel più breve tempo possibile» fornendo su base volontaria un rapporto riguardante le attività di distruzione;
   l'Organizzazione ha riconosciuto all'Italia per la distruzione delle residue armi chimiche presenti nel territorio nazionale un contributo pari a 3.347.667 euro;
   ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 496 del 1995 «Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinaggio ed uso di armi chimiche e sulla loro distruzione, con annessi, fatta a Parigi il 13 gennaio 1993», come modificata dalla legge 93 del 1997, il Ministero degli affari esteri è designato come Autorità nazionale. Secondo quanto disposto dal sopra richiamato articolo 9 presso l'Autorità nazionale è istituito un ufficio di livello dirigenziale che tra le varie competenze è deputato a:
    a) curare i rapporti con l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, nonché a mantenere i collegamenti con le Autorità nazionali degli altri Stati Parte e a stipulare gli accordi di impianto;
    b) promuovere e coordinare le attività delle Amministrazioni competenti;
    c) presentare annualmente al Ministro degli affari esteri una relazione sullo stato di esecuzione della convenzione e sugli adempimenti effettuati ai fini della sua ulteriore trasmissione al Parlamento entro il 31 marzo di ogni anno;
    d) ricevere i dati delle Amministrazioni interessate circa la produzione, il possesso, l'utilizzo, il trasferimento, l'importazione, l'esportazione dei composti chimici di cui alla convenzione, nonché quelli relativi al rinvenimento e alla distruzione di armi chimiche;
    e) informare le Amministrazioni interessate sulla situazione nazionale;
   in data 20 marzo 2014 il Sottosegretario di Stato alla Difesa, onorevole Gioacchino Alfano, ha risposto all'interrogazione n. 5-01015 dell'onorevole Grande. Nel testo della risposta emerge che l'acquisizione e l'installazione di un ossidatore termico, nel territorio di Civitavecchia, sono finalizzate a bruciare le armi chimiche residuate della seconda guerra mondiale. Il Sottosegretario Alfano ha altresì spiegato le ragioni che hanno determinato la scelta di un ossidatore termico, da realizzarsi ex novo, anziché avvalersi di altri sistemi, per la demilitarizzazione di munizionamento a caricamento speciale. In particolare il Sottosegretario ha rilevato che l'utilizzo di un ossidatore termico consente di:
    a) ridurre l'impatto ambientale connesso con l'accumulo dei prodotti di reazione derivanti dall'attuale processo di demilitarizzazione di munizionamento contenente iprite e miscele derivate. Le emissioni in atmosfera saranno ampiamente contenute entro i limiti imposti dalla vigente normativa e i relativi valori saranno costantemente monitorati in tempo reale;
    b) avviare lo smaltimento di altri aggressivi chimici non eliminabili con la tecnologia in uso presso l'attuale impianto di demilitarizzazione del centro tecnico logistico interforze (Ce.T.L.I.) nucleare batteriologico chimico (NBC) di Civitavecchia;
    c) finalizzare lo smaltimento degli ordigni a caricamento speciale presenti presso il Ce.T.L.I. NBC;
    d) limitare le operazioni di movimentazione e manipolazione dei proietti al fine d'incrementare la sicurezza dell'infrastruttura e del personale addetto alle lavorazioni;
   relativamente alle motivazioni che «hanno originato l'eventuale acquisizione» dell'impianto esse derivano, secondo quanto si rileva dalla risposta del Sottosegretario, dal deficit tecnologico che caratterizza gli altri impianti attualmente in funzione, i quali ancorché affidabili in tema di sicurezza delle operazioni, non sono tecnologicamente all'avanguardia, poiché non consentono la distruzione di tutte le tipologie e di adeguati quantitativi di munizionamento chimico stoccato, impedendo di ottemperare pienamente agli impegni assunti con la Convenzione di Parigi;
   per quanto riguarda le problematiche relative alla tutela ambientale il Sottosegretario ha rilevato come, grazie ad emissioni in atmosfera ampiamente entro i limiti imposti dalla vigente normativa, i valori delle emissioni saranno costantemente monitorati in tempo reale da una centrale remotizzata (a distanza);
   non sembrerebbe coerente la scelta di acquisire e installare un ossidatore termico, poiché l'Italia è tenuta a distruggere il residuo delle armi chimiche in tempi, se non certi, verosimilmente non lunghi –:
   quale sia la percentuale, nei limiti dei dati che possono essere resi noti, di ordigni già distrutti dal 1997 ad oggi;
   quanti ne rimangano e quale sia la loro tipologia così da valutare le percentuali, nonché i quantitativi effettivi ancora da distruggere per raggiungere l'obiettivo di eliminazione totale delle vecchie armi chimiche ancora presenti in Italia, ciò al fine di capire, anche e soprattutto, in termini ambientali la variazione di incremento che il territorio di Civitavecchia si deve aspettare da questa operazione;
   se siano state esplorate altre soluzioni alternative con minor impatto ambientale ed economico nonché con minori rischi per il territorio e le comunità interessate, alla luce dell'assenza di una scadenza temporale prefissata per la distruzione delle armi chimiche residuali presenti ancora sul territorio nazionale.
(4-06183)


   CAPARINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia, nell'ambito delle politiche di cooperazione internazionale, partecipa, anche tramite osservatori, alle operazioni di monitoraggio elettorale nell'ambito d'azione dell'Unione europea e dell'Osce-Odhir;
   le missioni di osservazione elettorale dell'Osce-Oshir si svolgono prevalentemente nell'Europa dell'Est e in Asia, mentre le missioni EuropeAid promosse dall'Unità EODS (Election observation and democratic support) dell'Unione europea, nell'ambito della politica estera comunitaria della Commissione, coprono soprattutto Paesi in Africa e Sud America;
   ciascuna missione è composta da un core team e da Osservatori di lungo periodo (LTO) e di breve periodo (STO);
   i componenti del core team, la cui missione dura svariati mesi (generalmente da 3 a 6), percepiscono un compenso per l'attività svolta, mentre gli osservatori di lungo e breve periodo non percepiscono alcun compenso, e ad essi viene garantita solamente la copertura delle spese strettamente necessarie allo svolgimento della missione;
   i requisiti per partecipare alle missioni di breve durata sono: la laurea in materie giuridiche o umanistiche, l'ottima conoscenza della lingua inglese e, preferibilmente, un'esperienza come scrutatore elettorale e di lavoro all'estero, mentre per le missioni di lunga durata, oltre ai requisiti citati, serve la comprovata esperienza internazionale nel settore e la capacità di redigere testi e norme giuridiche;
   gli interessati a prendere parte alle missioni devono registrare il proprio curriculum vitae nella banca dati dei candidati a svolgere funzioni di osservatori elettorali per l'Unione europea così detto Roster unico europeo;
   gli osservatori di lungo e breve periodo non percepiscono alcuna retribuzione, neppure sotto forma di diaria o rimborso spese, pur trattandosi di persone altamente qualificate, ma svolgono le missioni assegnate in spirito di servizio, al fine di contribuire a migliorare e sviluppare le istituzioni democratiche e i diritti umani nei Paesi oggetto di missione;
   fino a quest'anno, gli osservatori di lungo periodo, e quelli di breve periodo, per le missioni organizzate in ambito Osce/Odhir, venivano scelti direttamente dall'ufficio VI DGAP del Ministero degli affari esteri, che provvedeva a corrispondere solo le spese necessarie alla missione, quali viaggio aereo, vitto e alloggio;
   la scelta dei candidati per le missioni Osce è passata direttamente all'ufficio dell'Odihr, l'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell'Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione in Europa, con sede a Varsavia, che provvede altresì a corrispondere agli osservatori le spese strettamente necessarie a svolgere la missione;
   anche la preselezione dei candidati per i core team, che in precedenza veniva svolta al Ministero degli affari esteri, in occasione dell'imminente missione in Mozambico è stata avocata esclusivamente a Bruxelles;
   al Ministero degli affari esteri è rimasta la competenza sulla scelta degli osservatori per le missioni promosse dall'Unione europea, e quella sui corsi di training, che si svolgono periodicamente all'estero, soprattutto a Bruxelles, e sono finanziati dalla Commissione europea;
   appare necessario effettuare un'opportuna rotazione tra coloro che sono iscritti nell'apposito roster di candidati osservatori di breve e lungo periodo, e che avanzano al Ministero degli affari esteri la propria candidatura, in occasione di missioni di osservazione elettorale, al fine di contribuire alla loro formazione tramite esperienza sul campo;
   analoghe considerazioni possono essere fatte in merito;
   la selezione dei candidati per le missioni promosse nell'ambito della politica estera dell'Unione europea, così come per i training course, viene effettuata dal Focal Point MOE Unione europea dell'Unità PESC/PSDC della DGAP del Ministero degli affari esteri DGAP – ufficio diritti umani, dopo averne attentamente vagliato i curricula, assicurandosi che siano rispondenti ai requisiti richiesti;
   risulta all'interrogante che, nonostante il possesso dei requisiti richiesti, le ripetute domande di partecipazione di numerosi candidati vengono sistematicamente respinte (alcune di queste addirittura da svariati anni, assommandosi a decine i rifiuti che risulterebbero all'interrogante essere immotivati);
   così è stato anche ultimamente, quando si è conclusa la procedura di selezione per la missione elettorale Unione europea in Mozambico, ex colonia lusitana in Africa, dove il 15 ottobre 2014 si voterà per eleggere il Presidente e il Parlamento,
   risulta all'interrogante che non siano stati selezionati candidati di madrelingua portoghese, o comunque capaci di parlare portoghese e inglese, oltre che altre lingue romanze, in possesso di laurea (anche più di una) attenente gli ambiti richiesti, quali scienze politiche e relazioni internazionali, ancorché svolgenti dottorato di ricerca in Portogallo, e con notevole esperienza in materia elettorale e pregressa partecipazione a missioni di osservazione elettorale in ambito internazionale;
   alcuni aspiranti osservatori hanno lamentato che a ognuno di loro, l'Unità PESC/PSDC della DGAP del Ministero degli affari esteri ha fornito diverse risposte a giustificazione della mancata selezione per la missione in Mozambico;
   per ognuno di loro la Farnesina avrebbe trovato una spiegazione diversa: a chi non era madrelingua, avrebbe risposto che la mancata selezione era dovuta all'imperfetta conoscenza della lingua; a chi parla il portoghese come prima lingua, avrebbe risposto che manca di esperienza, mentre a chi possiede gli altri requisiti, sarebbe stato risposto che l'aver partecipato a uno dei corsi di formazione organizzati dalla Commissione europea costituiva requisito preferenziale, se non addirittura necessario;
   risultano altresì oscuri all'interrogante i criteri per recente selezione del training course riservato agli osservatori di lungo periodo, organizzato dall'Unità EODS (Election Observation and Democratic Support), che si svolgerà dal 22 al 26 settembre a Bruxelles;
   risulta altresì all'interrogante che, nonostante i requisiti, coloro che chiedono di partecipare ai corsi di formazione gratuiti organizzati dall'Unione europea, che si svolgono a Bruxelles, verrebbero puntualmente scartati, la maggior parte dei quali con la motivazione della «mancanza di esperienza», che pure non difetta a molti soggetti che si sono candidati per tali corsi;
   viene da domandarsi come si possa fare «esperienza», se non si viene selezionati per le missioni di osservazione elettorale, e se coloro che non usufruiscono dei corsi di formazione non vengono scelti per le missioni di osservazione elettorale –:
   quali criteri vengano adottati per da parte l'unità PESC/PSDC della DGAP del Ministero degli affari esteri per la selezione degli osservatori di lungo e breve periodo e per i training course, e i nominativi dei soggetti selezionati negli ultimi cinque anni come osservatore elettorale long term e short term nelle missioni Ue/EuropAid e Osce/Odhir, e per i corsi di formazione. (4-06213)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, ZOLEZZI, DE ROSA, DAGA, MANNINO, SEGONI, BUSTO, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Ascoli Piceno in una zona adiacente al centro storico e alla stazione ferroviaria insiste l'area ex-Carbon, uno storico insediamento industriale oggi di proprietà del consorzio Restart;
   in questa area che si estende per circa 27 ettari sono presenti opifici dismessi, l'attività è cessata nel 2008, ricoperti di amianto in stato di disfacimento come evidenziato da due relazioni di ASUR Marche 5 e dell'ARPAM di Pesaro (n. 0034516 del 3 luglio 2014 e la n. 37758 del 11 luglio 2014). Nella relazione dell'ASUR in particolare si legge che «considerando la vastità della superficie interessata, è come avere una bomba inquinante che esplode silente in ogni istante ma nessuno vede consapevolmente i rischi per l'ambiente e l'uomo» (nota ASUR del 23 aprile 2014 da www.areacarbon.it);
   nelle due relazioni viene indicato chiaramente che esiste la necessità di messa in sicurezza urgente dell'amianto i cui tempi non possono essere gli stessi della bonifica dell'intera area;
   il 28 maggio del 2007 si tenne una conferenza dei servizi presso il comune di Ascoli alla quale partecipavano sia la SGL Carbon che Restart che poi sarebbe diventata proprietaria dell'area solo tre anni dopo. Oggetto della conferenza dei servizi era proprio la caratterizzazione del sito per la bonifica;
   nel dicembre 2009 il comune approvò un progetto preliminare di bonifica e formulò espressa e formale richiesta alla SGL Carbon di essere messo a conoscenza di eventuali intenzione di vendita dell'area e a quali condizioni (Determinazione n. 1571 del 14 dicembre 2009);
   nonostante questo il comune non ha tutelato l'interesse pubblico chiedendo garanzie economiche alla SGL Carbon come avrebbe potuto e dovuto fare, ma ha addirittura facilitato e appoggiato l'operazione di subentro della RESTART – cordata di imprenditori locali – nell'assumersi tutti i costi della bonifica, pur senza avere adeguato capitale sociale per far fronte ai circa 35 milioni di euro di costi per la bonifica che ben conoscevano per essere stati dichiarati nell'atto pubblico di acquisto dell'area. (http://www.picusonline.it);
   nel 2013 con ordinanza sindacale n. 449 del 2013 l'amministrazione chiede alla Restart di produrre una relazione dello stato di conservazione degli immobili che contenesse in particolare indicazioni circa la presenza di amianto e con l'indicazione di nominare un responsabile rischio amianto. Nell'ordinanza in riferimento alla presenza dell'amianto si fa richiesta di un piano di lavoro per la messa in sicurezza e/o rimozione dei materiali pericolosi;
   Restart risponde a tale richiesta confermando la presenza dell'amianto e nominando di conseguenza il RRA il quale relaziona che l'amianto presente nella quasi totalità è «compatto, senza affioramento di fibre, con pochissime crepe e rotture e con assenza di stalattiti» concludendo che la situazione non desta preoccupazione;
   nel mese di aprile 2014 l'ASUR 5 analizza la documentazione presentata da Restart registrando l'assenza di un'idonea certificazione e di rispondenza tra la situazione reale e le risultanze delle analisi condotte dal RRA;
   nella relazione prodotta dall'ARPAM di Pesaro inviata all'ASUR 5 e quindi trasmessa al sindaco e alla procura della Repubblica, vengono descritte le condizioni della copertura in amianto in netto contrasto con quanto in precedenza dichiarato dal RRA. Infatti viene evidenziata la presenza di fibre affioranti visibili ad occhio nudo nonché la presenza di stalattiti;
   la Restart nel frattempo ha effettuato una messa in sicurezza basata su tecniche che solitamente vengono adottate preliminarmente alle operazioni di rimozione e bonifica mediante l'uso di vernici tipo «Fixet» a base d'acqua, interventi che hanno una durata molto limitata nel tempo;
   l'ultimo atto di una lunghissima trafila burocratica è stato l'emissione di un'ordinanza sindacale, la n. 180 del 24 aprile 2014, con la quale si intimava il consorzio Restart la messa in sicurezza del sito che rimane l'azione più urgente da affrontare;
   tale atto è stato però sospeso dal TAR per la incongrua previsione temporale per l'attuazione delle misure necessarie alla messa in sicurezza di un sito di così grandi dimensioni e per l'assenza di un approfondimento istruttorio in merito alla scelta del metodo di bonifica più opportuna nonostante sia stata ribadita la necessità di intervenire per la bonifica dell'amianto;
   il 4 settembre 2014 si è tenuta udienza alla Corte di giustizia del Lussemburgo nella procedura per infrazione che pende contro l'Italia; dalle conclusioni presentate dall'Avvocato generale risulta che il sito di Ascoli è addirittura nel ristretto gruppo dei 13 siti contenenti rifiuti pericolosi;
   la sentenza della Corte di Giustizia verrà emessa nei prossimi mesi e in caso di una condanna dell'Italia la quota parte della «multa» imputabile alla mancata bonifica dell'area Carbon comporterebbe una responsabilità e una rivalsa verso l'amministrazione comunale di Ascoli in primis e anche verso gli altri enti che hanno consentito che SGL Carbon uscisse dalla vicenda, senza sostenere alcun costo per la bonifica, anzi riscuotendo 6 milioni di euro dalla vendita dell'area ai privati di Restart nell'anno 2010 (http://www.picusonline.it);
   nel progetto di bonifica presentato da Restart si parla di un'edificazione per circa 350.000 metri cubi destinati a edilizia abitativa nonostante che nel comune di Ascoli si registri un indice di non utilizzazione degli immobili di civile abitazione pari a circa il 7,2 per cento superiore sia rispetto al 4,7 per cento delle Marche che al 5,7 per cento dell'Italia;
   in un incontro tenutosi ad Ascoli a inizio agosto 2014 il presidente della Regione Gianmario Spacca in relazione alle operazioni di bonifica dell'area ha affermato che «C’è la disponibilità della giunta a sostenere il progetto con Fondi Fse (3 milioni) e Fesr (17 milioni) per circa 20 milioni di euro» ammettendo quindi che le spese per la bonifica dell'area ricadranno non su chi ha inquinato come stabilito dalla direttiva europea 2004/35, ma sulla collettività –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se il Governo intenda attivare immediatamente, anche avvalendosi del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, una procedura ispettiva in merito a quanto citato in premessa e promuovere la messa in sicurezza del sito;
   se non si intenda rafforzare i controlli e definire per il tramite dell'istituto superiore di sanità una mappa epidemiologica della zona, utile a dare l'esatta misura del fenomeno e a consentire agli eventuali aventi diritto di vedersi riconosciuto il giusto risarcimento per i danni alla salute provocati dall'esposizione ad agenti cancerogeni. (3-01063)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa del 18 settembre 2004 del titolo «Ilva: fuoriuscita olio combustibile in mar Grande a Taranto», si apprende di un nuovo sversamento nel mar Grande di Taranto di olio combustibile ed altre sostanze, proveniente dal «Treno nastri 2» dell'Uva di Taranto, giunto in mare attraverso il «canale 2» all'altezza del quinto sporgente portuale;
   lo sversamento avrebbe creato in brevissimo tempo una «macchia in mare molto estesa e ampiamente visibile» e questo avvenimento rappresenta l'ennesimo incidente industriale che coinvolge il mar Grande di Taranto;
   l'Unione europea stabilisce un quadro comune di responsabilità al fine di prevenire e riparare i danni causati agli animali, alle piante, agli habitat naturali e alle risorse idriche, nonché i danni arrecati ai suoli e spetta alle autorità pubbliche accertarsi che gli operatori responsabili adottino o finanzino le misure necessarie in materia di prevenzione e riparazione –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quale iniziativa intenda adottare per tutelare il mar Grande;
   quali potenziali rischi ci siano per l'ambiente e per la salute derivanti dallo sversamento in mare di «olio combustibile»;
   quali danni ambientali abbia prodotto la fuoriuscita di olio combustibile ed altre sostanze, enunciati in premessa, quali interventi siano previsti per il risanamento ambientale e per attuare il principio di «chi inquina paga» e quali siano le misure necessarie in materia di prevenzione e riparazione adottate dal siderurgico di Taranto. (5-03668)


   MUCCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel settembre 2013, la gara a inviti per il servizio di prelievo, carico, trasporto, recupero/smaltimento dei rifiuti residui dall'attività di produzione di CDR (combustibile da rifiuti), giornalmente prodotti negli impianti di trattamento meccanico biologico della società AMA di Roma, per quel che riguarda il secondo lotto, relativo alla frazione organica stabilizzata (FOS, materiale organico igienizzato utilizzato prevalentemente nelle attività di copertura delle discariche), da inviare in impianti di recupero o smaltimento è stata aggiudicata a un raggruppamento temporaneo di imprese formato dalla mandataria HERAmbiente spa e dalle società Sogliano Ambiente spa, Linea Ambiente srl, REA DALMINE spa, ALBATRO Soc. Con.le arl, Ditta Melandri Emanuele;
   il trasporto dei rifiuti è partito il primo ottobre 2013 e avrebbe dovuto avere durata di due mesi, rinnovabile per altri due. La procedura ad inviti è stata concepita come temporanea, per garantire il servizio in attesa dell'esito dell'analogo bando europeo a procedura aperta autorizzato con delibera n. 43 dal consiglio di amministrazione di Ama spa;
   secondo questo piano sarebbero stati portati via dalla Capitale 38.160 tonnellate di scarti (26 mila tonnellate nel bimestre) e Fos (12.160) in due mesi, per l'equivalente annuo di circa 230 mila tonnellate di materiale;
   il legislatore nazionale ha stabilito il principio dell'autosufficienza su base regionale dello smaltimento dei rifiuti urbani; pertanto, è vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti; fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l'opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano (decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, articolo 182, comma 3). A tale scopo, lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi è attuato con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti in modo da realizzare l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali (decreto legislativo n. 152 del 2006, articolo 182-bis, comma 1). Ciò in attuazione del principio della prossimità territoriale, secondo il quale lo smaltimento dei rifiuti urbani deve avvenire «in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi» (articolo 182-bis cit.);
   il Consiglio di Stato, sez VI, con sentenza 19 febbraio 2013, n. 993 ha affermato esplicitamente che il principio dell'autosufficienza locale nello smaltimento dei rifiuti (già previsto dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 – cosiddetto decreto Ronchi) per i rifiuti urbani non pericolosi sussiste ed è cogente e non può essere esteso, naturalmente, a rifiuti diversi e, segnatamente, a quelli speciali o pericolosi in genere;
   il Consiglio di Stato, sez VI, con sentenza 20 maggio 2014, n. 2546, sancisce come superabile il divieto di smaltimento intra-ATO (ambito territoriale ottimale), ma ribadisce che l'unico vero limite normativo è il territorio regionale;
   sembra che a tutt'oggi la discarica di Imola di via Pediano accolga i rifiuti Fos provenienti da Roma –:
   se trovi conferma, per quanto risulta al Ministro interrogato che Hera, a seguito della vittoria di un appalto della città di Roma per la lavorazione del rifiuto, conferirà tutto o parte di questi rifiuti nella discarica imolese di via Pediano;
   a quale titolo e sulla base di quali disposizioni normative sia stato ammesso, per Roma capitale, il conferimento fuori regione dei rifiuti urbani. (5-03673)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i laboratori ARPA (Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale) costituiscono l'esclusiva fonte di vigilanza ambientale (acqua, aria, terreni, rifiuti, bonifiche) a disposizione del cittadino; le emergenze ambientali in ARPA sono all'ordine del giorno e i laboratori servono anche e soprattutto a rispondere agli interessi diffusi dei cittadini e alla loro tutela;
   il piano strategico dell'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (ARPAV) 2012-2014, approvato dalla giunta regionale del Veneto con DGR 613/2012, prevede una consistente riduzione dei laboratori territoriali per le analisi ambientali nonché la chiusura di numerose sedi periferiche dell'Agenzia;
   così come sta accadendo in Veneto, la drastica riduzione delle sedi, prevista in gran parte delle regioni italiane, comporta necessariamente un pesante ridimensionamento dei controlli effettuati sul territorio; inoltre, comporterà la dispersione di professionalità specialistiche già acquisite, l'interruzione di legami e scambi di utili informazioni tra operatori di laboratorio e addetti alle attività di controllo;
   in questa regione si è già assistito alla chiusura di numerose sedi provinciali e l'annuncio della chiusura della sede di Padova avrà come conseguenza, sull'intero territorio, un evidente abbassamento del livello di sicurezza. Un'operazione che non rispetta la missione costitutiva dell'agenzia regionale di protezione ambientale, quella del controllo pubblico della qualità dell'ambiente a supporto della prevenzione sanitaria e a tutela della salute pubblica; infatti, l'Agenzia è a pieno titolo parte integrante del servizio sanitario nazionale;
   si ricorda che il laboratorio di Padova è specializzato in analisi della qualità dell'aria ed è considerato un'eccellenza a livello regionale e nazionale: il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2013 l'ha indicato come laboratorio unico nazionale per l'analisi dell'aria (polveri sottili-PM10, metalli, sostanze cancerogene-IPA, benzene ed emissioni industriali inceneritori, cementifici, acciaierie, concerie, e altro). Da anni fornisce un servizio 24h su 24h con personale altamente specializzato e strumentazione scientifica all'avanguardia ed è diventato anche centro di riferimento nazionale per il controllo delle acque minerali alla sorgente;
   si tratta dunque di una risorsa d'eccellenza non solo per il Veneto ma per l'Italia intera che, a opinione dell'interrogante, andrebbe senza dubbio non solo mantenuta ma anche rafforzata, ampliandone la portata e magari estendendo il servizio alle aziende per la prevenzione e gestione dei rischi nei luoghi di lavoro, valorizzando le professionalità presenti e offrendo un servizio valido e certamente insostituibile alla collettività –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati in merito a quanto sopra esposto e se e quali iniziative intendano intraprendere, anche sul piano normativo e sulla base di intese in sede di Conferenza Stato-regioni, per pervenire al potenziamento della rete deputata ai controlli ambientali, favorendo ogni soluzione utile a evitare scelte di destrutturazione come quella di cui in premessa. (4-06192)


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la tragedia avvenuta il 27 settembre 2014 che ha causato il decesso di due bambini di 7 e 9 anni e il ferimento di un carabiniere, a seguito dell'esplosione di un vulcanello nella riserva protetta Macalube ad Aragona-Caldare in provincia di Agrigento, ha rilevato un aspetto scarsamente conosciuto, ma presente sulla penisola italiana, relativo ai costanti movimenti della terra, la cui origine legata alla pressione esercitata dalla placca africana, è tra l'altro la causa di numerosi terremoti;
   nell'area in cui è avvenuto il disastro, che risulta protetta dalla regione siciliana e pubblicizzata da Legambiente, l'eruzione ha generato un boato fragoroso, seguito dall'innalzamento per oltre trenta metri di un fungo di sassi fangosi e di quintali di melma impregnata di metano verso il cielo;
   secondo quanto riporta un articolo del quotidiano Il Corriere della Sera del 28 settembre, il vulcanello dall'altezza di circa dieci metri, aveva già dato periodiche avvisaglie nel mese di agosto, attraverso una serie di tonfi provenienti dal sottosuolo, a cui tuttavia non sono seguite verifiche necessarie;
   è stata avviata un'inchiesta da parte della magistratura di Agrigento, per comprendere la dinamica dei fatti, considerata la mancata delimitazione all'interno della zona in cui è avvenuto lo scoppio (area peraltro visitata dai turisti per l'attrattività derivante dai fuocherelli che fuoriescono dal suolo), unitamente all'assenza di percorsi guidati, di geologi e di una rete di monitor;
   le polemiche successive alla tragedia avvenuta, che hanno determinato una serie di accuse reciproche tra il direttore di Legambiente Sicilia e la medesima regione sulla mancata installazione degli impianti di controllo e monitoraggio, all'interno dell'area in cui hanno perso la vita i due fratellini e provocato il grave ferimento di un tutore dell'ordine intervenuto nel tentativo di soccorrere i bambini sommersi dal fango, a giudizio dell'interrogante, ripropongono una riflessione sulle politiche di tutela del territorio, di prevenzione e di mitigazione del rischio che nel nostro Paese, risultano in grave ritardo e sulle misure da finanziare in tal senso;
   i rilievi critici del presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia – INGV pubblicati dal suesposto quotidiano, connessi all'intensificazione del raro fenomeno chiamato vulcanismo sedimentario, avvenuti negli ultimi anni sul territorio nazionale, a cui non sono seguiti adeguati interventi di verifica a monitoraggio, confermano a parere dell'interrogante, una scarsa attenzione agli investimenti nella ricerca geologica e delle attività di controllo nelle aree interessate dai fenomeni di eruzione –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritengano urgente e opportuno — in considerazione delle criticità in precedenza riportate, connesse agli scarsi livelli di sicurezza e di controllo delle aree interessate dalla presenza dei vulcanelli alti qualche metro, capaci di eruttare melma e prodotti gassosi di diversa natura, i, cui effetti negativi e pericolosi possono determinare seri rischi per l'incolumità umana, come è accaduto all'interno della riserva naturale di Macalube in provincia di Agrigento, che ha addirittura provocato il decesso di due bambini — assumere iniziative su scala nazionale volte a monitorare le condizioni di protezione, nelle zone coinvolte dal fenomeno;
   quali iniziative, per le parti di propria competenza, intendano dai intraprendere al fine di chiarire con esattezza, quanto accaduto nell'area in precedenza richiamata in cui è avvenuta la tragedia. (4-06225)


   BENEDETTI, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, COZZOLINO, DA VILLA, D'INCÀ, FANTINATI, ROSTELLATO, SPESSOTTO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 novembre 2011 veniva approvato dalla giunta del comune di Abano Terme il «Progetto definitivo dei Lavori di Manutenzione straordinaria, riqualificazione e rinnovo del patrimonio arboreo e dell'Arredo Urbano», preceduto da uno «studio di fattibilità per la manutenzione straordinaria e riqualificazione del verde pubblico e dell'arredo urbano», che prevede l'abbattimento indiscriminato di oltre 400 piante prevalentemente del genere Pinus Pinea presenti lungo i viali comunali;
   secondo l'amministrazione comunale le piante da abbattere sarebbero ammalate e pericolanti e saranno sostituite con la piantumazione di 122 nuovi alberi autoctoni cui seguirà la manutenzione dei marciapiedi rovinati dalle radici; l'amministrazione avrebbe accolto varie denunce da parte di persone cadute a causa dei marciapiedi rovinati dalle radici degli alberi; il costo del progetto di abbattimento delle alberature stradali di Abano ammonterebbe ad euro 400.000,00; ad oggi sono stati abbattuti circa 82 alberi;
   a partire dal 2011 gruppi di cittadini e associazioni ambientaliste locali hanno organizzato, a tutela delle alberazioni, molte azioni tra cui comunicati stampa, lettere aperte al sindaco, raccolte firme, esposti alla procura e alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici; all'amministrazione veniva chiesto di evitare l'abbattimento provvedendo ad una corretta manutenzione, di mettere a confronto le analisi dei tecnici comunali con le perizie degli esperti contattati dai cittadini stessi, sottoponendo le alternative al giudizio popolare in caso di disaccordo tra le parti, di procedere con gradualità alla sostituzione degli alberi in caso di abbattimento, sulla base di una progettualità che mantenesse inalterati i benefici ambientali e storici dell'ecosistema; di procedere alla eliminazione dei soli alberi malati o pericolosi, previa esposizione pubblica delle motivazioni supportate dalle perizie degli esperti;
   l'11 settembre 2014 alcune associazioni del territorio inviano un esposto alla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, segnalando l'emergenza di carattere storico paesaggistico dovuta agli imminenti abbattimenti di interi viali centrali per un totale di 117 piante sane e di gran pregio ambientale, come accertato dalla relazione tecnica specialistica a firma del biologo professor Giulini Patrizio già professore di fitogeografia ed ecologia vegetale all'università di Padova e del dottor Forestale Pezzani Gabriele dell'Ordine di Trento;
   tale perizia era già stata depositata presso il comune di Abano in data 27 agosto 2014, nonché presso la Procura della Repubblica del tribunale di Padova il giorno 5 settembre 2014, chiedendo il sequestro penale dei 117 alberi localizzati lungo i viali pregiati oggetto di valutazione; l'esposto alla soprintendenza segnalava l'emergenza di carattere storico paesaggistico relativa ad alcuni viali pregiati di accesso alla storica Villa Bassi-Rathgeb, soggetti ad abbattimento imminente: Viale G. Mazzini e via Appia Monterosso;
   viale G. Mazzini conduce da un lato alla storica Villa Bassi-Rathgeb e dall'altro a Piazza della Repubblica, una delle porte principali di accesso alle Terme e all'isola pedonale centrale; ha una composizione mista di n. 52 latifoglie pregiate a prevalenza di Ippocastani con Frassini, Celtis e Ginkgo Biloba; trattasi quindi di un viale di pregio storico paesaggistico per il quale è previsto l'abbattimento di tutte le 52 piante;
   Villa Bassi-Rathgeb, dall'impianto cinquecentesco rimaneggiato nel XVIII secolo, appartenne alla nobile famiglia padovana dei Dondi dell'Orologio che fece aprire nel 1776 la strada (attuale via Mazzini) tra la villa e le Terme; alla stessa epoca risale probabilmente la sopraelevazione di un piano della facciata e la copertura degli affreschi di Antonio Buttafuoco; confrontando il Viale urbano centrale G. Mazzini come oggi si presenta con gli estratti cartografici di archivio degli anni 1627 e 1686 si nota che il viale G. Mazzini è rimasto sostanzialmente uguale dal punto di vista morfologico, nonché di tracciato, quindi di significativa rilevanza storica e culturale;
   in via Appia Monterosso, antistante la Villa, si prevede l'abbattimento imminente di 4 Ginkgo Biloba, alberi di prima grandezza a chioma ben equilibrata, imponenti ben sviluppati e di grande importanza storica e paesaggistica nonché culturale, rappresentano infatti una sorta di continuità con le specie presenti anche nel viale G. Mazzini;
   le 4 piante arboree rappresentano un relitto tassonomico che supera a maturità i 25 metri e con un grande diametro della chioma; di questa specie esistono reperti fossili risalenti a quasi 200 milioni di anni fa; fu ritrovata viva presso un tempio in Cina alla metà del Settecento, venne largamente diffusa subito per la bellezza delle foglie a ventaglio, per il colore autunnale delle foglie e per il portamento da pianta primitiva;
   nell'esposto alla Soprintendenza le associazioni precisano che a seguito dell'accesso agli atti e alla valutazione della documentazione acquisita dagli uffici tecnici comunali, non risulta alcuna richiesta di autorizzazione alla Soprintendenza, necessaria per poter regolarmente eseguire gli impattanti interventi proposti dall'amministrazione comunale aponense, in particolare nelle aree di interesse storico culturale descritte, ai sensi degli articoli 1 e 10 comma IV-g del decreto legislativo n. 42 del 2004;
   detti viali alberati di pregio, strettamente collegati alla Villa Bassi-Rathgeb, e considerati beni culturali di grande valore storico, sono oggi oggetto di interventi impattanti di un certo rilievo che potrebbero causare la perdita oggettiva del bene da salvaguardare, come indicato dal codice dei beni culturali e del paesaggio, e a parere degli interroganti dovrebbero seguire regolarmente l’iter autorizzativo della soprintendenza;
   sono state inviate alla Procura della Repubblica di Padova alcune segnalazioni da parte del M5S del Veneto relative a un ulteriore abbattimento massiccio di alberi sani e non pericolosi, di rilevante valore paesaggistico e che potrebbero rientrare fra le essenze di valore monumentale, tutelate dalla legge regionale n. 20 del 2002, il cui abbattimento necessita del benestare della Soprintendenza;
   l'Associazione gruppo di intervento giuridico chiarisce che il patrimonio arboreo di Abano non è composto solo di Gimnosperme, come i pini domestici, ma anche di angiosperme, come i bagolari, finiti anch'essi indiscriminatamente nel piano di abbattimento; osserva inoltre che i liriodendri nordamericani e le palme, con i quali si intendono rimpiazzare gli attuali alberi, non costituiscono specie autoctone; il liriodendro, come il pino, preferisce terreni sciolti ricchi di scheletro. La composizione del suolo di Abano Terme non è tale, pertanto le radici non affonderanno nel terreno e resteranno in superficie, sconnettendo strade e marciapiedi, facendo inciampare i turisti e le persone esattamente come avvenuto con i pini;
   a giudizio dei cittadini e delle associazioni le denunce a causa dei marciapiedi sconnessi sarebbero dovute al fatto che le precedenti amministrazioni non avrebbero mai eseguito una adeguata manutenzione degli alberi arrivando così all'estrema soluzione del taglio. Se il modus operandi sarà confermato, si rischierà nel prossimo futuro l'abbattimento anche dei nuovi alberi;
   tra le osservazioni mosse dai cittadini c’è quella secondo cui i pini domestici di Abano (pinus pinea e non marittimi) sarebbero pericolosi solo se capitozzati (tagliati «ad attaccapanni») o lasciati senza un'adeguata pulizia del secco, invece se potati a dovere non assumono «l'effetto vela» e non rischiano quindi di cadere con il vento; non ci sarebbero dunque alberi dannosi, ma solo una dannosa gestione degli alberi, la cui regolare manutenzione ne eviterebbe l'abbattimento;
   la legge 14 gennaio 2013, n. 10, «norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani» all'articolo 3 prevede che sia istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un Comitato per lo sviluppo del verde pubblico;
   tra le varie mansioni il comitato provvede a: effettuare azioni di monitoraggio sull'attuazione delle disposizioni della legge 29 gennaio 1992 n. 113 e di tutte le vigenti disposizioni di legge con finalità di incremento del verde pubblico e privato; proporre un piano nazionale che (...) fissi criteri e linee guida per la realizzazione di aree verdi permanenti intorno alle maggiori conurbazioni e di filari alberati lungo le strade (...); verificare le azioni poste in essere dagli enti locali a garanzia della sicurezza delle alberate stradali e dei singoli alberi posti a dimora in giardini e aree pubbliche e promuovere tali attività per migliorare la tutela dei cittadini; predisporre una relazione, da trasmettere alle Camere entro il 30 maggio di ogni anno, recante i risultati del monitoraggio e la prospettazione degli interventi necessari a garantire la piena attuazione della normativa di settore;
   la stessa legge all'articolo 4 prevede che il Comitato, d'intesa con le regioni e i comuni, presenti in allegato alla relazione un rapporto annuale sull'applicazione nei comuni italiani delle disposizioni di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, relative agli strumenti urbanistici generali e attuativi, e in particolare ai nuovi piani regolatori generali e relativi piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate, ai nuovi regolamenti edilizi con annesso programma di fabbricazione e relative lottizzazioni convenzionate e alle revisioni degli strumenti urbanistici esistenti; i comuni che risultino inadempienti (...) approvano le necessarie varianti urbanistiche per il verde e i servizi entro il 31 dicembre di ogni anno;
   la stessa legge all'articolo 6 prevede per le regioni, le province e i comuni una lunga serie di misure per promuovere l'incremento degli spazi verdi urbani, tra cui dare annualmente conto nei siti internet del contenimento o della riduzione delle aree urbanizzate e della sistemazione delle aree destinate a verde pubblico dalla strumentazione urbanistica vigente;
   la stessa legge all'articolo 7 elenca le disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico naturalistico, monumentale, storico e culturale, specificando che per alberi monumentali si intendono anche filari e alberate inseriti nei centri urbani e gli alberi ad alto fusto inseriti in particolari complessi architettonici di importanza storica e culturale, quali ad esempio ville, monasteri, chiese, orti botanici e residenze storiche private; per tali alberi è previsto il censimento ad opera dei comuni; l'elenco degli alberi monumentali d'Italia è aggiornato periodicamente ed è messo a disposizione, tramite sito internet, delle amministrazioni pubbliche e della collettività; entro un anno (...) le regioni recepiscono la definizione di albero monumentale (...) effettuano la raccolta dei dati risultanti dal censimento operato dai comuni e sulla base degli elenchi comunali redigono gli elenchi regionali e li trasmettono al Corpo forestale dello Stato; salvo che il fatto costituisca reato, per l'abbattimento o il danneggiamento di alberi monumentali si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 5.000 a euro 100.000. Sono fatti salvi gli abbattimenti, le modifiche della chioma e dell'apparato radicale effettuati per casi motivati e improcrastinabili, dietro specifica autorizzazione comunale, previo parere obbligatorio e vincolante del Corpo forestale dello Stato –:
   se non ritenga, avvalendosi eventualmente del Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, di monitorare la situazione a garanzia della sicurezza delle alberate stradali e dei singoli alberi posti a dimora in giardini e aree pubbliche e quali siano i risultati del monitoraggio relativamente ai piani di abbattimento e ripiantumazione, alla correttezza formale e procedurale di tali piani e delle perizie;
   quali siano le valutazioni del Corpo forestale dello Stato e della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici relativamente ai procedimenti a tutela degli alberi monumentali, come per esempio l'aggiornamento del censimento e le prassi autorizzative;
   quali siano le ragioni per le quali non sia ancora stato emanato il decreto interministeriale previsto dall'articolo 7, comma 2, della legge n. 10 del 2013 e quali azioni intenda intraprendere a tutela delle alberature della cittadina termale di Abano Terme. (4-06226)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PALMIERI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 15 settembre 2014 il Maestro Riccardo Muti ha inviato al Sovrintendente del Teatro dell'Opera di Roma, dottor Carlo Fuortes (e per conoscenza al suo Direttore Artistico maestro Alessio Vlad) una lettera autografa di rinuncia a tutti gli appuntamenti della prossima stagione perché, nel testo, «in ragione del perdurare delle problematiche emerse durante gli ultimi tempi, e da me più volte segnalate, ritengo che, purtroppo, nonostante tutti i miei sforzi per contribuire alla vostra causa, non ci siano le condizioni in Teatro, per poter garantire quella serenità per me necessaria al buon esito delle rappresentazioni»;
   lo «scandalo» seguito è stato ripreso da tutti gli organi di stampa italiani e stranieri, mettendo alla berlina nel mondo l'Italia, Roma e la sua vita culturale;
   per questa ragione di dignità nazionale, non è più tollerabile lo scaricabarile di tutti contro tutti a fronte di fiammate di protesta illogica e pretestuosa che dura, per contro, molto spesso, il tempo d'un passaggio televisivo e poi torna a bollire sotto traccia per esplodere alla prossima occasione utile;
   tutta questa vicenda fa ritenere che i responsabili d'un Teatro così importante, ovvero il sindaco di Roma Ignazio Marino e il Sovrintendente Carlo Fuortes, non abbiano le qualità culturali, professionali e viene quasi da pensare umane per garantire la «serenità necessaria» giustamente richiesta dal più grande direttore d'orchestra vivente il quale peraltro, come tutti sanno, ama dal profondo del cuore il nostro Paese e ha impegnato tutto se stesso e in tutta evidenza alla buona riuscita dei suoi propositi di aiuto all'istituzione romana;
   stanti i fatti e le dichiarazioni in merito, pericolosissime per la loro estemporanea assurdità, è chiaro ormai a tutti che il sindaco Marino e il sovrintendente Fuortes non abbiano saputo e continuino a non sapere come gestire le turbolenze interne del loro Teatro, tanto da giustificare voci che darebbero l'Opera di Roma o affidata a nomi ridicoli, rispetto all'altezza della sua storia, o, addirittura, in sostanziale liquidazione e fusione con l'Orchestra di Santa Cecilia, di per sé affatto diversa per importanza e contenuti artistici –:
   se il Ministro non ritenga di intervenire ed esigere quantomeno dal dottor Fuortes, non potendolo dal sindaco Marino, le immediate dimissioni e contestualmente, se intenda proporre il maestro Muti alla carica di sovrintendente del teatro dell'Opera di Roma, o di concordare con lui una persona adeguata a ricoprire un ruolo così importante. (5-03690)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Chiesa di Santa Maria del Suffragio, collocata fra via Martino da Fano e via Palazzi Gisberti a Fano (PU), fu edificata intorno al 1592;
   nel tempo la chiesa cambiò più volte la sua denominazione, dapprima dedicata alla Santissima Trinità, così nominata in quanto vi risiedevano le monache dette della SS. Trinità, poi detta «del Crocifisso» e dal 1618 dedicata a Santa Maria del Suffragio perché sede dell'omonima confraternita;
   la Venerabile Confraternita di Santa Maria del Suffragio è una associazione di fedeli, eretta in Fano nella diocesi di Fano, Fossombrone, Cagli e Pergola, a norma del canone 312 del codice di diritto canonico. Riconosciuta agli effetti civili come ente di culto soggetto all'autorità ecclesiastica con regio decreto del 21 novembre 1935;
   tra le finalità della Confraternita vi è la promozione umana e religiosa attraverso incontri per persone in difficoltà; il favorire attività caritatevoli e missionarie, come il sostegno materiale ai cittadini in difficoltà attraverso il Banco Alimentare; la sensibilizzazione allo studio, la conoscenza e la tutela del patrimonio artistico proprio dell'ente e del territorio fanese, attraverso, ad esempio, la promozione di tesi di laurea, pubblicazioni sulla rivista Studia Picena e su Notiziario di Fano;
   la Confraternita è impegnata in attività educative rivolte ai giovani, è ente promotore di un gruppo di circa 400 scouts, di una scuola di fotografia – che si prefigge di educare, fotografando, alla natura ed alle bellezze paesaggistiche del nostro territorio –, di una scuola di musica e di un coro di canto gregoriano;
   la confraternita è attualmente composta da 25 confratelli, tra laici e religiosi, e oltre alle attività riportate è anche attiva nel restauro dell'edificio chiesa del Suffragio, degli affreschi, dipinti, arredamento ligneo, paramenti sacri, archivio storico e biblioteca, che possiede volumi dal 1500 ad oggi;
   sul luogo dell'attuale costruzione nei secoli precedenti erano stati innalzati diversi edifici, il primo dei quali pare risalire al 1099, come ricorda la tradizione, eretto per volontà di un certo Ugone del Cassero, nobile fanese, che tornato dalla Terra Santa in patria dopo aver ricevuto una grazia in favore del figlio malato volle far edificare in Fano tre chiese: una proprio in quel sito;
   la chiesa è costituita da un corpo a navata unica rettangolare con cappella absidale quadrata. Lungo la parete destra, in tempi successivi furono aggiunte delle cappelle con annesse sacrestie. Esternamente l'edificio è realizzato con muratura laterizia e tetto a capanna. Diversa copertura hanno le cappelle poste lungo il lato destro raccordate una all'altra da un'unica parete continua che si salda alla parte posteriore dell'edificio, dove è visibile il tetto a due spioventi della cappella absidale, più basso di quello della navata. Sempre alla parte retrostante dell'edificio si collegano i diversi ambienti che in passato costituivano la casa del cappellano;
   l'edificio subì danni nel terremoto del 1930, nella seconda guerra mondiale e dovuti all'usura del tempo e degli agenti atmosferici, per tale motivo la chiesa restò chiusa fino al termine dei lavori, iniziati nel 1965, che hanno visto una serie di rilevanti interventi strutturali come il consolidamento di una parete, una serie di iniezioni di cemento, inserimento di circa 90 micropali alla facciata, consolidamento della parete posteriore con rete elettrosaldata e rifacimento del sovrastante tetto presbiterale, nonché restauri interni agli stucchi, alla gloria, agli intonaci e agli altari in pietra serena;
   anche le parti lignee sono state restaurate, insieme al notevole patrimonio librario e documentale;
   la confraternita è riuscita negli anni a sostenere i numerosi interventi di restauro, con grandissimi sforzi e con una intensa attività di fundrasing che ha interessato e coinvolto, anche, la regione Marche, la soprintendenza ai beni architettonici, la Fondazione CariFano, l'associazionismo locale – Lyons Club, Rotary Club –, privati cittadini e aziende locali;
   nonostante il grande impegno profuso, restano, ad oggi, privi di copertura finanziaria una serie di interventi, valutati della massima urgenza, per mantenere aperta e funzionale la chiesa suddetta – che funge anche da sala polivalente per le numerose attività sociali della Confraternita – quali lo smontaggio e montaggio del tetto con soletta in cemento e copertura impermeabilizzante. Trattandosi di un tetto con molta pendenza ed alto, attualmente il manto di coppe tende a scivolare verso il piano gronda lasciando degli spazi scoperti con inevitabili infiltrazioni di acqua piovana –:
   se il Ministro interrogato non intenda, data la rilevanza storico-culturale e sociale della chiesa di Santa Maria del Suffragio, assumere iniziative per uno stanziamento di fondi straordinario al fine di permettere i lavori urgenti, attualmente privi di copertura finanziaria. (4-06188)


   ROMANINI e MAESTRI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Biblioteca Palatina è una Biblioteca fondata nel 1761 inserita nel contesto monumentale del Palazzo della Pilotta di Parma. Si sviluppa su 5 piani (5.379 mq) e contiene 700.000 volumi a stampa, oltre 6000 manoscritti, circa 2600 incunaboli e 11.704 cinquecentine, circa 70.000 carteggi. Dal rilievo 2013 del materiale considerato immobile, agli effetti dell'articolo 7 del Regolamento di contabilità generale dello Stato, il valore attribuito risulta di euro 819.421.813,83. Tra le collezioni di maggiore spicco si possono ricordare: la De Rossiana Composta da 1464 volumi a stampa e 1624 manoscritti di cui 1432 ebraici (una delle più cospicue al mondo), la Raccolta Ortalli con 40.067 intagli (testimonianza eccezionale dell'arte grafica dal XVI al XIX secolo) e quella Bodoniana che comprende oltre alle edizioni uscite dalla officina di Giambattista Bodoni (1740-1813), il materiale tipografico fusorio, il materiale documentario relativo al suo lavoro e il suo imponente epistolario;
   oltre a ciò la Biblioteca Palatina comprende la sede distaccata presso il Conservatorio «Arrigo Boito» di Parma della sezione musicale, una biblioteca specializzata, l'unica biblioteca musicale specializzata appartenente al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e voluta dallo stesso Giuseppe Verdi, preziosa per il materiale (partiture, parti e spartiti) che documenta la cultura musicale nazionale e internazionale dalla metà del secolo XVIII alla metà del XIX secolo. Fra il materiale di particolare rilievo si segnalano: i dodici volumi delle sonate di Domenico Scarlatti, l'unica partitura completa del Nerone di Arrigo Boito, tutto il materiale musicale di Francesco Giovanni Samperi e lo studio di Ildebrando Pizzatti;
   in data 29 agosto 2014 è stato approvato dal Consiglio dei ministri il testo del Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89. Un nuovo disegno organizzativo che introduce diversi e sostanziali cambiamenti che riguardano tutti gli attori della tutela e valorizzazione dei beni culturali e del turismo, al centro e nella periferia, compreso anche il mondo delle Biblioteche statali;
   nell'attesa della emanazione di tale decreto ministeriale, sembra che resteranno uffici dirigenziali di livello non generale soltanto le attuali biblioteche nazionali (Torino, Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Bari) mentre verrebbero di fatto «declassate» a sedi non dirigenziali biblioteche altrettanto importanti per storia e ricchezza delle collezioni fra cui l'Estense di Modena e la Palatina di Parma;
   se i «declassamenti» delle biblioteche non nazionali fossero confermati, e dunque la Biblioteca Palatina dovesse perdere lo status di sede dirigenziale, si verificherebbe una situazione grave e preoccupante, non solo in considerazione delle numerose attività complesse (in particolare quelle di fund raising) e prestigiose (come le convenzioni con istituti di ricerca e conservazione italiani e stranieri) in cui la «Palatina» è coinvolta ma anche guardando alla realizzazione dei progetti in corso d'opera. Fra questi si segnala che è in procinto di partire la raccolta fondi e la progettazione del trasferimento e nuovo allestimento del Museo Bodoniano – di cui è direttore il dirigente della Biblioteca Palatina – una realtà di eccezionale importanza ed unica al mondo –:
   se sono confermate le voci sul declassamento generalizzato delle Biblioteche non nazionali;
   se non ritenga che l'eventuale assenza di una figura dirigenziale, su cui poggi il complesso sistema di funzionamento e funzioni della «Palatina» e che lo coordini, possa comportare un notevole rallentamento se non la paralisi delle attività di crescita e sviluppo della Biblioteca stessa;
   se non si ritenga più efficace e rispondente alle esigenze del sistema culturale del Paese una aggregazione della biblioteca Palatina alle altre biblioteche statali del territorio emiliano – Biblioteca Estense e Biblioteca Universitaria di Bologna – all'interno di un Polo bibliotecario emiliano, diretto da un dirigente bibliotecario, nonché l'Emilia Romagna risulterebbe allineata alle altre principali realtà regionali che hanno tutte al loro interno una sede dirigenziale di livello non generale per le biblioteche (il Piemonte con la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, la Lombardia con la Biblioteca Nazionale Braidense, il Veneto con la Biblioteca Nazionale Marciana, la Toscana con la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, il Lazio con la Biblioteca Nazionale di Roma, la Campania con la Biblioteca nazionale di Napoli e la Puglia con la Biblioteca Nazionale di Bari). (4-06215)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GELLI e CARRA. — Al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il comandante Gregorio De Falco, in forza alla Marina militare, dal 28 settembre 2014, da Capo del servizio operativo della direzione marittima di Livorno, è stato nominato, nell'ambito della stessa direzione marittima, capo dell'ufficio studi;
   il comandante De Falco ha gestito in prima persona, nella drammatica notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012, le fasi cruciali dei soccorsi dopo il naufragio della nave crociera Costa Concordia nei pressi dell'isola del Giglio ricevendo, per questo, solenne encomio da parte della Marina militare;
   per i media internazionali il citato comandante è diventato simbolo dell'Italia migliore, dando una immagine diversa rispetto al disastro del naufragio;
   rilasciando una intervista al quotidiano «La Repubblica» il 25 settembre il militare si è detto «molto amareggiato» dopo dieci anni nel settore operativo, e che «sta riflettendo su molte cose»;
   tale vicenda merita gli opportuni chiarimenti anche per fugare ogni possibile sospetto che possa essere collegata a quanto accaduto nel gennaio 2012 e al relativo processo in corso presso il tribunale di Grosseto –:
   se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere per verificare se il trasferimento del comandante De Falco non si configuri come una vera e propria rimozione e se vi siano altre motivazioni, che hanno determinato l'assegnazione, in assenza di una richiesta dell'interessato, ad un ufficio amministrativo dopo anni di onorato servizio in reparto operativo.
(5-03684)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sui fondali marini davanti il litorale di Molfetta, nel dicembre del 1943 furono abbandonati gli ordigni bellici a caricamento speciale non esplosi durante l'attacco a tre navi anglo-americane nel porto di Bari il 2 dicembre dello stesso anno: gli ordigni carichi d'iprite e di altri agenti chimici, come fosgene, cloropicrina (nitrocloroformio), fosforo bianco e barili contenenti arsenico, cianuro e altri aggressivi chimici (in tutto 26 veleni) giacciono da 71 anni a poche centinaia di metri dalla costa in corrispondenza del porto di Molfetta e della spiaggia di Torre Gavetone (terza cala), tutto l'anno frequentata da residenti oltre che da turisti, con grave pericolo per tutti;
   l'ordinanza della capitaneria di porto di Molfetta del 03 febbraio 2011 individua, con coordinate geografiche precise, i quattro punti presso Torre Gavetone dove furono abbandonati gli ordigni e l'area prospicente il porto della città in cui sono presenti altri ordigni abbandonati ribadendo il divieto di «pesca in qualsiasi forma praticata, immersioni subacquee ed ogni altra attività connessa con gli usi del mare»;
   il Ministero della difesa provvede tramite il Centro tecnico logistico interforze (Ce.T.L.I.) alla distruzione degli ordigni a caricamento chimico dando attuazione agli accordi internazionali sottoscritti dall'Italia sulla distruzione delle armi chimiche; il centro può contare fino al 2023 su un finanziamento annuo di 1,2 milioni di euro (articolo 57, legge n. 99 del 23 luglio 2009) avendo le potenzialità tecnico-economiche per neutralizzare circa 1.500 ordigni l'anno;
   dal luglio 2008, la marina militare svolge attività concorsuale per la bonifica del porto di Molfetta nell'ambito dell’«Accordo di programma per la caratterizzazione e la bonifica da ordigni bellici del Basso Adriatico» (sottoscritto tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, regione Puglia, comune di Molfetta ed altri enti interessati), bonifica iniziata solo grazie all'avvio del progetto per la costruzione del nuovo porto commerciale e dopo la rinuncia della ditta incaricata allo sminamento, che ha rinunciato all'appalto per i troppi ordigni che intasavano l'imboccatura del porto chiedendo l'intervento del nucleo SDAI (Sminamento e Difesa Anti-mezzi Insidiosi) –:
   quando si intenda procedere ad avviare un piano di bonifica definitivo e complessivo dell'area marina prospicente la spiaggia di Torre Gavetone, oggetto recente di ordinanza sindacale di «divieto di balneazione per questioni di sicurezza dovuta alla presenza di ordigni bellici» – richiamando in ogni sua parte l'ordinanza 03/2011 della capitaneria di porto di Molfetta – e che rappresenta una causa di gravi e continui incidenti sanitari a danno dei numerosi pescatori molfettesi, oltre che dei bagnanti, e se si preveda di effettuare, per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, una puntuale indagine epidemiologica – che coinvolga i medici locali – e che verifichi, e riconosca i danni alla salute (dagli eritemi cutanei alle ustioni, dai problemi respiratori a quelli di infertilità) della popolazione residente e dei lavoratori del mare, spesso venuti a diretto contatto delle bombe, tirandole su con le reti unitamente al pescato locale.
(4-06182)


   DI BATTISTA, FRUSONE e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 1o agosto 2014, n. 109 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 179 del 4 agosto 2014 (recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni per il rinnovo dei comitati degli italiani all'estero), alla lettera a) dell'articolo 4, comma 3, stabilisce che il Ministero della difesa è autorizzato, a decorrere dal 1o luglio 2014 e fino al 31 dicembre 2014, a effettuare la cessione a titolo gratuito, alle Forze armate della Repubblica di Gibuti, della «documentazione tecnica relativa ai veicoli blindati leggeri VBL Puma e ai semoventi M109 L. per le finalità di cui alla presente lettera»;
   pertanto la stessa disposizione autorizza la spesa di euro 333.000;
   come l'interrogante ha appreso dalle relazioni di cui al decreto-legge di conversione del decreto-legge 109 del 2014 (A.C. 2598), il predetto articolo 4 comma 3 si sostanzia nella cessione, a titolo gratuito della «documentazione tecnica relativa ai veicoli blindati leggeri VBL Puma e ai semoventi M109 L, predisposta dalle ditte produttrici e tradotta in lingua francese, composta dei volumi relativi all'operatore, alla manutenzione e alle parti di ricambio»;
   sempre nella relazione illustrativa al decreto-legge n. 109 del 2014 si precisa che la cessione di tali tipi di mezzi è effettuata in attuazione dell'articolo 1, comma 30, del decreto-legge 28 dicembre 2012, n. 227 (convertito, con modificazioni, dalla legge 1° febbraio 2013, n. 12) con il quale si autorizzava, difatti, il Ministero della difesa, «per l'anno 2013, a cedere, a titolo gratuito, alle Forze armate della Repubblica di Gibuti n. 3 veicoli blindati leggeri, n. 10 semoventi M109 L, nonché effetti di vestiario» autorizzando «per l'anno 2013, la spesa di euro 1.100.000»;
   la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 227 del 2012 precisa che l'autorizzazione di spesa sarebbe prevista a copertura dei costi per la rimessa in efficienza dei mezzi e l'acquisto del vestiario oggetto della cessione;
   in realtà anche attraverso altri decreti di rifinanziamento delle missioni si è proceduto alla cessione a titolo gratuito di mezzi e di veicoli alla Repubblica di Gibuti;
   si tratta innanzitutto del decreto di rifinanziamento delle missioni per l'anno 2012 (decreto-legge n. 213 del 2012) che autorizzava spese per analoghi interventi di cessione di mezzi di trasporto e logistici alle Forze armate della Repubblica di Gibuti, per un importo pari a 430.000 euro;
   altresì l'articolo 1, comma 24 del decreto-legge 10 ottobre 2013, n. 114 – relativo al rifinanziamento delle missioni per la seconda parte dell'anno 2013 – si autorizza il Ministero della difesa «a cedere, a titolo gratuito, alle Forze armate della Repubblica di Gibuti n. 4 veicoli blindati leggeri. Per la finalità di cui al presente comma è autorizzata, per l'anno 2013, la spesa di euro 192.000»;
   a parere dell'interrogante la spesa di 330.000 euro destinata alla traduzione dei manuali tecnici dei 13 veicoli di cui al precedente decreto-legge n. 227 del 2012 di rifinanziamento delle missione per il 2013 (3 blindati leggeri e 10 semoventi) e probabilmente anche al loro trasporto, appare obiettivamente spropositata e pertanto è necessario sapere quali aziende o società siano state incaricate di effettuare la traduzione dei predetti manuali e se l'individuazione del contraente da parte della pubblica amministrazione sia stata fatta attraverso procedure ad evidenza pubblica;
   soltanto procedendo ad una somma delle, autorizzazioni di spesa previste nelle quattro disposizioni in precedenza citate (decreto-legge n. 215 del 2012, decreto-legge n. 227 del 2012, decreto-legge n. 114 del 2013, decreto-legge n. 109 del 2014) l'Italia ha destinato alla Repubblica di Gibuti oltre 2 milioni di euro (2.055.000,00 euro);
   senza contare che a Gibuti vi è la prima base militare italiana permanente al di fuori dei confini nazionali in merito alla quale il Governo italiano non ha mai chiarito i costi diretti e indiretti del mantenimento della base stessa, anche se la voce di spesa destinata alla missioni nell'area del Corno d'Africa passa da 7 a 17,8 milioni di euro;
   tutte queste voci di spesa si inseriscono nell'ambito dell'attività di cooperazione nel settore della difesa con la Repubblica di Gibuti, prevista dall'Accordo, fatto a Gibuti il 30 aprile 2002 dal Governo Berlusconi (ratificato ai sensi della legge n. 327 del 2003) per «incoraggiare, facilitare e sviluppare la cooperazione nel campo della difesa basandosi sul principio della reciprocità»;
   la stessa base militare è stata costituita a seguito di due accordi tecnici siglati a Gibuti nel 2012 tra il Ministro della difesa italiano pro tempore e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale gibutino, che discendono dall'accordo fra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Gibuti del 30 aprile 2002;
   la collaborazione concerne le seguenti attività:
    a) sicurezza e politica di difesa;
    b) industrie per la difesa e politica degli approvvigionamenti dei materiali militari subordinate ai due Ministeri della Difesa;
    c) cessione gratuita di materiali non d'armamento dichiarati obsoleti per cause tecniche;
    d) questioni legate al peace-keeping ed alle operazioni umanitarie e di sminamento;
    e) rispetto dei trattati internazionali sulla difesa, sicurezza e controllo degli armamenti;
    f) organizzazione delle Forze Armate, struttura ed equipaggiamento delle unità militari, amministrazione a gestione del personale;
    g) formazione/addestramento;
    h) questioni relative alla polizia militare;
    i) questioni ambientali e controllo dell'inquinamento causato dalle strutture militari;
    l) medicina militare;
    m) storia militare;
    n) Sport militare;
   ai sensi dell'articolo 11 dell'accordo le parti contraenti potranno procedere a modificarlo in qualsiasi momento per scambio di note, inoltre, l'Accordo, ha una durata di cinque anni, tacitamente rinnovabili per ulteriori cinque anni, a meno che una delle Parti non lo denunci;
   l'interrogante nutre serie perplessità sull'utilità dell'accordo e sulla costituzione della base militare a Gibuti che non fanno altro che destinare soldi pubblici che potrebbero, invece, essere altrimenti impegnati (ad esempio anche nella cooperazione ma non nel campo della difesa, come proposto dal gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle in più occasioni) –:
   se alla luce delle considerazioni di cui in premessa, non intenda fornire tutti i dati e le informazioni relative all'utilizzo delle somme di cui alla lettera a) comma 3 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 109 del 2014 e, in particolare, se si sia già provveduto all'individuazione delle aziende o società, quali criteri siano stati utilizzati al fine di individuarle, se siano state rispettate o si rispetteranno procedure ad evidenza pubblica;
   se, nel caso in cui si sia già proceduto all'utilizzo delle somme di cui alla lettera a) comma 3 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 109 del 2014, intenda riferire il nominativo delle aziende o società scelte per l'esecuzione dei contratti;
   se alla luce delle considerazioni svolte in premessa, non intenda valutare di procedere ad una modifica, se non alla denuncia vera e propria in vista della prossima scadenza quinquennale, dell'Accordo fatto a Gibuti il 30 aprile 2002 (ratificato ai sensi della legge n. 327 del 2003) e dei relativi accordi tecnici relativi alla base militare a Gibuti;
   se non intenda fornire tutti i dati e le informazioni relative alla base militare a Gibuti con riferimento agli obiettivi perseguiti, al numero del personale a qualsiasi titolo impiegato nonché ai costi diretti ed indiretti per il mantenimento della base stessa. (4-06220)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   in occasione dell'esposizione universale «Expo Milano 2015», per far fronte a esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, il Ministero dell'interno aveva dichiarato, il 13 febbraio 2013 a margine dell'incontro presso la prefettura di Milano, come il blocco del turnover delle Forze dell'ordine avrebbe subito una deroga del 55 per cento;
   a oggi, si è provveduto allo scorrimento delle graduatorie per le assunzioni del personale di Arma dei carabinieri, polizia di Stato, polizia penitenziaria e vigili del fuoco, in virtù dell'approvazione dell'emendamento 3.84 presentato dall'onorevole Fiano in sede di conversione del decreto legge n. 90 del 2014, ma non degli allievi della Guardia di Finanza, la cui graduatoria definitiva del concorso bandito il 10 aprile 2012, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 21 febbraio 2013, ha ammesso l'arruolamento di soli 327 su 769 allievi, addirittura meno della metà;
   è inoltre utile ricordare che la forza disponibile, in base alle esigenze riscontrate dal Ministro, va utilizzata, da parte dell'amministrazione di pubblica sicurezza, in ossequio alla direttiva del 2013 emanata dal dipartimento della funzione pubblica con apposito provvedimento a proposito dello scorrimento delle graduatorie dei concorsi pubblici, prorogabili sino al 31 dicembre 2015;
   in tal senso si ricorda che, con la circolare n. 5 del 2013 diffusa dal dipartimento Della funzione pubblica, si definiscono gli indirizzi applicativi del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito dalla legge n. 125 del 2013 e recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», per cui:
    le amministrazioni che, ferme restando le ragioni esclusivamente temporanee o eccezionali, debbano assumere a tempo determinato, piuttosto che indire procedure concorsuali apposite dovranno attingere alle graduatorie vigenti per concorsi a tempo indeterminato;
    in materia di graduatorie, si prevede che le pubbliche amministrazioni possano indire procedure concorsuali solo laddove non sia possibile ricorrere alle procedure di mobilità tra amministrazioni o laddove non esistano altre graduatorie concorsuali relative a professionalità «equivalenti», ferma restando la possibilità – previo accordo – di utilizzare graduatorie già approvate da altre amministrazioni statali o ad ordinamento autonomo;
   sulla vicenda sono altresì intervenuti gli ordini del giorno 9/2486-AR/167 (Cirielli) e 9/0158/20 (Pezzopane), in sede di conversione del decreto di cui sopra, accolti dal Governo come mere raccomandazioni, ma che al momento non hanno portato ad alcuna soluzione;
   il concorso della Guardia di finanza, bandito con il fine di rafforzare i servizi di controllo del territorio in occasione dell'Expo 2015, esattamente com'era avvenuto per i colleghi allievi agenti della polizia di Stato, rappresenta eccezione, anche rispetto alle altre forze dell'ordine: la graduatoria è ancora aperta, dunque in corso di validità, e risultano essere disponibili candidati idonei immediatamente arruolabili –:
   quali iniziative i Ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, abbiano intenzione di assumere, al fine di incrementare il numero delle forze dell'ordine per far fronte da un lato alle esigenze di sicurezza dell'intero Paese e dall'altro alla necessità di assumere nuovi agenti della Guardia di finanza in vista della manifestazione di Expo 2015 alla luce delle considerazioni sopra esposte;
   se non ritengano opportuno, ai sensi del decreto del Dipartimento della funzione pubblica e al fine di ridurre i costi gravanti sull'amministrazione e consentire una celere disponibilità delle necessarie forze dell'ordine in tempo per l'evento sopra richiamato, procedere all'assunzione immediata delle restanti unità dichiarate idonee all'ultima procedura concorsuale per il concorso degli agenti della Guardia di finanza.
(2-00702) «Zan».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   GEBHARD. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la remunerazione del concessionario per la realizzazione e gestione di un'opera pubblica «fredda» (studentato), ai sensi dell'articolo 153, comma 19, del decreto legislativo n. 163 del 2006 viene, di norma, suddivisa nelle 4 voci di: 1) contributo della stazione appaltante sul costo di costruzione; 2) canone di disponibilità residuale da versare periodicamente dalla stazione appaltante; 3) canone di servizio da versare periodicamente dalla stazione appaltante; 4) ricavo risultante dallo sfruttamento economico da parte del concessionario;
   sugli importi sopraindicati per il contributo pubblico e per i canoni (n. 1-3), la stazione appaltante deve applicare e versare al concessionario anche l'IVA;
   al fine di potere quantificare le risorse necessarie da destinare alla realizzazione dell'opera, per la stazione appaltante è quindi rilevante sapere se il regime IVA da applicare al contributo/prezzo differisca a seconda del momento dell'erogazione (in fase di costruzione o solo dopo il collaudo dell'opera) e quale sia il regime IVA da applicare al canone di disponibilità residuale erogato in fase gestionale;
   l'IVA applicabile alla costruzione di uno studentato, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, Tabella A, Parte III, n. 127-quinquies), è l'IVA agevolata del 10 per cento; secondo la risoluzione dell'Agenzia delle entrate, n. 395 del 27 dicembre 2002, le erogazioni in conto investimento sono da assoggettare, indipendentemente dal momento dell'erogazione (in fase di costruzione o solo dopo il collaudo), ad IVA secondo l'aliquota prevista per la realizzazione dell'opera;
   lo stesso discorso vale anche per l'erogazione del canone di disponibilità, erogato in fase di gestione in modo residuale per il perseguimento dell'equilibrio economico-finanziario;
   mentre è evidente che al canone di servizio deve essere, in ogni caso, applicata l'IVA ordinaria, in quanto si tratta di un rapporto obbligatorio a prestazioni corrispettive, per le erogazioni in conto investimento sopraindicate dovrebbe applicarsi l'IVA agevolata del 10 per cento –:
   se, in caso di concessione per la costruzione e gestione di un'opera pubblica per le erogazioni in conto investimento (contributo della stazione appaltante sul costo di costruzione e canone di disponibilità residuale da versare periodicamente dalla stazione appaltante), sia applicabile, indipendentemente dal momento dell'erogazione, l'aliquota IVA agevolata del 10 per cento. (5-03674)


   CAUSI e GINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comma 636 dell'articolo unico della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), al fine di contemperare il principio di fonte comunitaria secondo il quale le concessioni pubbliche vanno attribuite ovvero riattribuite, dopo la loro scadenza, secondo procedure di selezione concorrenziale con l'esigenza di perseguire, in materia di concessioni di gioco per la raccolta del bingo, il tendenziale allineamento temporale di tali concessioni, autorizza l'Agenzia delle dogane e dei monopoli a procedere nel corso dell'anno 2014 alla riattribuzione delle concessioni in scadenza negli anni 2013 e 2014 e, ai sensi del comma 638 del medesimo articolo, all'attribuzione di ulteriori trenta nuove concessioni per la raccolta del medesimo gioco, secondo specifici criteri direttivi;
   le società, ivi incluse quelle già concessionarie di una sala bingo, dovranno dimostrare il requisito di capacità tecnico-infrastrutturale come previsto dal citato bando;
   il comma 637 del medesimo articolo della legge di stabilità 2014 rinvia all'adozione di un decreto dirigenziale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, da adottare entro la fine del mese di maggio 2014, con cui stabilire le eventuali disposizioni applicative occorrenti per assicurare, con cadenza biennale, nel rispetto dei criteri direttivi indicati al comma 636, l'avvio delle procedure di riattribuzione concorrenziale delle vigenti concessioni per la raccolta del gioco del bingo, la scadenza dell'ultima delle quali è prevista per il 2020;
   alcune associazioni di categoria hanno mostrato perplessità in merito alle nuove concessioni previste dal bando di gara, considerata l'indeterminazione normativa che non identifica regole chiare in merito agli spazi per l'apertura di nuove sale, in tal modo minando anche la certezza degli investimenti; i concorrenti correrebbero il rischio di acquistare una concessione senza poter ricevere l'autorizzazione, demandata all'ambito territoriale, per aprire la sala di gioco;
   la legge 11 marzo 2014, n. 23, recante la cosiddetta delega fiscale, all'articolo 14, conferisce una delega al Governo, da attuare entro marzo 2015, per il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, secondo principi e criteri direttivi che, in particolare, confermano il modello organizzativo fondato sul regime concessorio ed autorizzatorio, ritenuto indispensabile per la tutela della fede, dell'ordine e della sicurezza pubblici, per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività criminose, nonché per garantire il regolare afflusso del prelievo tributario gravante sui giochi;
   la medesima disposizione prevede che sia garantita l'applicazione di regole trasparenti ed uniformi sull'intero territorio nazionale in materia di titoli abilitativi all'esercizio dell'offerta di gioco, di autorizzazioni e di controlli, con adeguate forme di partecipazione dei comuni al procedimento di autorizzazione e pianificazione della dislocazione locale di sale da gioco e di punti vendita in cui si esercita come attività principale l'offerta di scommesse su eventi sportivi e non sportivi, nonché in materia di installazione degli apparecchi idonei per il gioco lecito –:
   se non ritenga utile riconsiderare l'assegnazione delle nuove concessioni previste dal bando di gara emanato dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, in attesa dei decreti attuativi della delega fiscale che garantirebbero l'applicazione di regole trasparenti ed uniformi sull'intero territorio nazionale in materia di titoli abilitativi all'esercizio dell'offerta di gioco, dando in tal modo certezza agli investimenti e conseguentemente assicurando all'erario un miglioramento del margine di entrate, nonché se sia in corso di emanazione il decreto dirigenziale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli con cui stabilire le eventuali disposizioni applicative occorrenti per assicurare, con cadenza biennale, l'avvio delle procedure di riattribuzione concorrenziale delle vigenti concessioni per la raccolta del gioco del bingo.
(5-03675)


   LAFFRANCO e SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 1° gennaio 2012, i contribuenti di piccole dimensioni o i lavoratori in mobilità, che intendono iniziare un'attività d'impresa o di lavoro autonomo, applicano, laddove in possesso dei requisiti stabiliti dalle norme di riferimento, il nuovo regime fiscale di vantaggio di cui all'articolo 27, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
   le caratteristiche del nuovo regime fiscale, che di fatto ha assorbito l'ex regime dei minimi per l'imprenditoria giovanile e i lavoratori in mobilità, sebbene incardinato sulle disposizioni che regolavano il precedente regime, presenta rilevanti caratteri di novità relativamente ai requisiti di accesso, al periodo di applicabilità e alla misura dell'imposta sostitutiva dovuta;
   a tal proposito, il regime dei nuovi minimi (avente una durata di 5 anni, a partire dal momento in cui l'attività ha avuto inizio, prorogabile fino al 35esimo anno di età per coloro i quali, alla scadenza dei 5 anni, non abbiano ancora raggiunto tale età), indica che, ai fini dei benefici previsti, il contribuente dovrà accertare che l'ammontare dei ricavi conseguiti dal cedente o dal de cuius non sia superiore a 30 mila euro;
   ai fini della determinazione del reddito assoggettato all'imposta sostitutiva e delle addizionali regionali e comunali, è previsto invece che, per il reddito d'impresa e di lavoro autonomo, il regime fiscale di vantaggio è applicato, ai sensi dell'articolo 1, comma 105, della legge n. 244 del 2007, nella misura ridotta del 5 per cento (in precedenza l'imposta sostitutiva era del 20 per cento);
   l'interrogante evidenzia a tal fine, come la nuova versione dei regimi dei minimi introdotta dal suesposto decreto-legge n. 98 del 2011, abbia determinato nel complesso importanti effetti economici positivi in termini di nuove aperture di partite IVA negli anni 2012 e 2013, (rispettivamente 147 mila e quasi 137 mila), per i soggetti che ha o aderito a tale strumento di vantaggio fiscale, i cui benefici, se connessi alla realtà economica e finanziaria estremamente critica e difficile che la sfera imprenditoriale delle piccole e medie imprese sta affrontando da diversi anni, non possono che essere valutati favorevolmente, ancor più nel contesto attuale;
   ulteriori interventi volti a rendere più appetibili i criteri di attuazione del nuovo regime fiscale di vantaggio, sia attraverso l'allungamento della scadenza del regime a 10 anni con eliminazione di ogni vincolo anagrafico, e, in aggiunta o in alternativa, elevando la soglia del fatturato massimo ai 50 mila o 60 mila euro all'anno, appaiono pertanto a giudizio dell'interrogante, necessari quanto urgenti, in considerazione della fase economica estremamente critica che il sistema delle imprese sta affrontando;
   ampliare i requisiti attualmente previsti dalle disposizioni contenute all'interno dell'articolo 27, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, per favorire la costituzione di nuove imprese da parte di giovani, di coloro che ha o perso il lavoro, nonché di chi voglia intraprendere per la prima volta aprendo una partita IVA, ovvero il rafforzamento della struttura produttiva, anche attraverso il consolidamento di attività svolte in forma occasionale o precaria, può infatti determinare dei validi effetti nell'aspettativa di ripartenza dell'economia italiana, favorendo l'incremento di nuove forme di imprenditorialità giovanile nel nostro Paese, in particolare nella fase di start-up;
   appare necessario che l'amministrazione delle finanze puntualizzi ancora come il regime di vantaggio sopra descritto sia fruibile a prescindere da ogni vincolo anagrafico, salva la norma di favore che consente ad oggi a coloro che alla scadenza dei 5 anni non abbiano raggiunto i 35 anni di età di usufruirne ulteriormente sino al compimento degli stessi –:
   se, anche in considerazione del proseguimento della crisi economica e produttiva nel nostro Paese, non ritenga opportuno prevedere già con il prossimo ed imminente disegno di legge di stabilità, l'introduzione di misure di rilancio a favore dei giovani professionisti ed in senso più ampio, per i lavoratori autonomi, attraverso interventi di sostegno fiscale e d'integrazione al nuovo regime fiscale di vantaggio, riportati nella premessa, in particolare applicando le misure per 10 anni a prescindere da ogni vincolo anagrafico ed innalzando la soglia di fatturato annuo a 50 o 60mila euro, e se il Ministro interrogato sia in possesso dei dati relativi agli oneri per la finanza pubblica, sia nell'ipotesi formulata di raddoppio della durata del regime (10 anni), che nel caso dell'innalzamento della soglia del fatturato su indicate. (5-03676)


   SBERNA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella sua formulazione attuale il bonus Irpef penalizza i nuclei monoreddito e più numerosi oltre che gli incapienti, mentre sarebbe più equanime una sua rimodulazione che tenesse conto del fattore famiglia;
   basterebbe, secondo quanto proposto dal Forum delle famiglie, da un lato allargare le fasce di reddito che possono usufruire dello sgravio in funzione del numero dei figli (ad esempio con due familiari a carico il tetto salirebbe da 26 a 37mila euro), dall'altro lato dando un po’ di meno (60 euro) a chi non ha familiari da mantenere, mantenendo gli 80 euro per chi ha una persona a carico e aumentando il bonus di altri 10 euro per ogni figlio in più;
   in tal modo una famiglia monoreddito con due figli potrebbe benificiare così di 100 euro in più al mese, una differenza che segnerebbe una certa sensibilità verso un progetto di riforma fiscale a misura di equità che al bilancio dello Stato costerebbe circa 500 milioni in più rispetto ai 10 miliardi dell'attuale bonus, tenuto conto che in una intervista al quotidiano Avvenire, il Ministro Padoan ha di fatto ammesso che difficilmente ci saranno risorse per estendere il bonus in busta paga con la prossima legge di stabilità –:
   se non ritenga, in vista della redazione del disegno di legge di stabilità, prevedere modifiche in chiave family friendly all'attuale normativa riguardante il bonus Irpef nel senso auspicato in premessa. (5-03677)


   PESCO, VILLAROSA, BARBANTI, RUOCCO, CANCELLERI, PISANO, ALBERTI, GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DI VITA, DALL'OSSO e CECCONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli uffici dell'Agenzia delle entrate di Catania sono ubicati nelle palazzine A e B di via monsignor Domenico Orlando 1;
   l'Agenzia occuperebbe i suddetti immobili in forza di un contratto di locazione stipulato con la società VIR IMMOBILIARE SRL del gruppo familiare Virlinzi, proprietaria dell'immobile;
   il complesso immobiliare è stato messo in vendita nel 2003 dall'ente pensionistico INPDAP ed acquistato dalla famiglia Virlinzi con un mutuo ipotecario di 10 milioni di euro e subito locato all'Agenzia delle entrate, con un canone annuo pari a 2.125.369 euro;
   è agevole osservare che con il solo canone di locazione percepito dall'Agenzia delle entrate, la società proprietaria si è ripagata, in appena 5 anni, l'intero costo del mutuo;
   non si comprende invece il perché l'Agenzia delle entrate, che ad oggi ha già speso per il solo affitto oltre 20 milioni di euro, non abbia direttamente acquistato l'immobile –:
   se i fatti descritti in premessa trovino conferma, quali informazioni possa fornire in merito e se ritenga opportuno intervenire per risolvere tale sconcertante situazione nonché procedere ad un «taglio» di tutti i contratti di affitto fuori mercato. (5-03678)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si fa seguito alla risposta del Ministro dell'economia e delle finanze e all'interrogazione a risposta immediata in Commissione VI n. 5-03619, presentata il 23 settembre 2014, riguardante il regime agevolato di esenzione dalle accise per le unità di trasporto commerciale di passeggeri impiegate nella navigazione fluviomarittima, lagunare e interna, in cui il Governo ha esplicitato i suoi quid iuris al riguardo, attestando la precisa applicazione della normativa comunitaria contenuta nella direttiva 96 del 2003 da parte della legislazione nazionale e della corretta interpretazione da parte dell'amministrazione finanziaria del punto 3 della Tabella A allegata al decreto legislativo n. 504 del 1995;
   il Ministro dell'economia e delle finanze, nella suddetta risposta, ha precisato che «laddove altre compagnie di Stati membri svolgessero la loro attività nel nostro Paese, esercitando l'attività di trasporto passeggeri nelle acque interne italiane, tali imbarcazioni, effettuando i rifornimenti di carburante in Italia, ovviamente non avrebbero titolo a rifornirsi di prodotti in esenzione da accisa»;
   se è vero che la stessa direttiva 2003/96/CE del Consiglio del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità, ritiene opportuno consentire agli Stati membri applicare determinati regimi differenziati nel livello di tassazione quando ciò non pregiudichi il corretto funzionamento del mercato interno e non comporti distorsioni della concorrenza, l'esistenza di difformità tra i livelli nazionali di tassazione, e in particolare di quella sugli olii minerali applicata dagli Stati membri, potrebbe, comunque essere pregiudizievole al buon funzionamento del mercato interno;
   secondo quando più volte denunciato dai rappresentanti del settore attraverso l'Associazione di rappresentanza di categoria, Unione navigazione interna italiana, da tempo le compagnie di navigazione italiane operanti in questo comparto soffrono della mancata armonizzazione del mercato comunitario, dovuta al diverso regime fiscale imposto da un intervento statale italiano a giudizio dell'interrogante qualificabile come distorsivo del regime di concorrenza fra gli Stati membri;
   tale effetto distorsivo si concreta nella presenza di compagnie con sede legale estera, più in particolare in territori di altri Stati membri dell'Unione europea che, pur svolgendo la loro attività commerciale di trasporto passeggeri in acque interne italiane ed effettuando conseguentemente il loro rifornimento carburante nel nostro Paese, godono, nel loro Stato di residenza fiscale, non soltanto del regime di esenzione da accise carburanti, ma anche della possibilità di rimborso su queste;
   le suddette compagnie, potendo quindi usufruire di un regime fiscale agevolato, sono in grado di applicare prezzi più concorrenziali rispetto alle compagnie nazionali che, non vantando diritti di rimborso sulle accise carburante, si trovano ad operare in condizioni di mercato sfavorevoli rispetto alle concorrenti estere;
   a titolo di esempio può farsi riferimento alla regione del Veneto, dove si registra da tempo l'attività di una compagnia francese operante nella acque interne italiane, la CroisiEurope Travel, con sede a Strasburgo, che con la motonave Michelangelo, per quanto risulta all'interrogante, offrirebbe crociere fluviali lungo il Po e nella laguna di Venezia, a prezzi molto più contenuti rispetto alle omologhe compagnie nazionali operanti sulla stessa tratta fluviale;
   la compagnia in questione, a quanto consta all'interrogante, vanta infatti il diritto di esenzione dalle accise carburante, ai sensi dell'articolo 265-bis, comma 1, del Code de Douanes, come modificato da ultimo dall'articolo 32 della legge n. 2013-1278 del 29 dicembre 2013, che stabilisce, alla lettera c), l'esenzione da tasse di consumo i carburanti o i combustibili utilizzati a bordo di navi utilizzate a fini di locazione, noleggio o qualsiasi altro titolo con scopi commerciali, specialmente nelle attività di trasporto di persone, merci e altre prestazioni di servizi a titolo oneroso, e secondo quanto regolato dalla delibera del 1o luglio 2004 sul regime di esonero per i prodotti energetici utilizzati nell'approvvigionamento dei natanti –:
   se non ritenga che questo diverso regime applicato nel nostro Paese per il trasporto commerciale di passeggeri nelle acque classificate come interne non rientranti nella locuzione «acque marine comunitarie» del punto 3 della Tabella A del decreto n. 504 del 1995, possa risultare distorsivo sul regime di concorrenza del mercato comunitario che la direttiva 96 del 2003 intende invece tutelare e quali iniziative il Ministro intenda adottare, per quanto di competenza, per intervenire sulla presunta disarmonizzazione del mercato in questo settore e sul potenziamento di una più adeguata concorrenzialità delle compagnie nazionali. (5-03679)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto ministeriale n. 38 del 21 febbraio 2013, ed in vigore dal 16 aprile 2013, il Ministero dell'economia e delle finanze ha adottato la nuova disciplina della distribuzione e vendita dei prodotti da fumo, sulla base di quanto previsto dal decreto-legge n. 98 del 2011, che aveva demandato ad un regolamento del Ministero dell'economia e delle finanze la disciplina delle modalità di istituzione di rivendite ordinarie e speciali di generi di monopolio, nonché di rilascio e rinnovo dei relativi patentini;
   il suddetto provvedimento implicitamente supera la previgente regolamentazione di settore, dettata dalla circolare n. 4/2001 dell'AAMS, e tiene conto dell'esigenza che il nuovo regime risulti compatibile con la tutela della concorrenza, considerando la necessità di contemperare le garanzie all'utenza di una rete di vendita adeguatamente dislocata sul territorio con l'interesse pubblico della tutela della salute; lo stesso regolamento conferma quanto già previsto dalla legge n. 1293, recante norme in materia di organizzazione dei servizi di distribuzione e vendita di generi di monopolio, ovverosia che la vendita al pubblico di tabacchi lavorati è effettuata a mezzo di rivendite ovvero di patentini e che le rivendite si distinguono in ordinarie e speciali; inoltre, rispetto alla precedente programmazione di settore, quella del nuovo regolamento si caratterizza per avere maggiore forza in caso di ricorsi da parte di eventuali controinteressati, dal momento che le amministrazioni competenti, nell'istituzione delle rivendite, risponderanno a regole poste con un decreto di ordine tecnico cui ha fatto rinvio la legge, piuttosto che ad una mera circolare;
   riguardo ai criteri che governano il rinnovo alla scadenza del biennio di validità dei cosiddetti «patentini tabacchi», l'articolo 9 del regolamento subordina il loro rinnovo alla rispondenza di un parametro della redditività o produttività minima, prevenendo in particolare che è concesso a condizione che il titolare del patentino abbia effettuato un prelievo di generi di monopolio per un valore complessivo medio annuo pari o superiore ad euro 24.000 per i comuni con popolazione fino a 10.000 abitanti; pari ad euro 30.000 per i comuni con popolazione compresa tra 10.001 e 30.000 abitanti; pari ad euro 48.000 per i comuni con popolazione compresa tra 30.001 e 100.000 abitanti; pari ad euro 57.000 per i comuni con popolazione compresa tra 100.001 e 1.000.000 di abitanti; pari ad euro 75.000 per i comuni aventi oltre 1.000.000 di abitanti;
   in alcune regioni italiane le suddette fasce di prelievo rapportate al numero di abitanti escluderebbero la quasi totalità di frazioni e piccoli comuni, dove peraltro le rivendite di tabacchi, oltre a rappresentare l'unico punto di ritrovo svolgono anche un'importante funzione di presidio sociale –:
   poiché lo stesso regolamento prevede che l'istituzione di nuove rivendite deve tener conto delle zone caratterizzate da nuovi sviluppi abitativi, commerciali ovvero della particolare rilevanza assunta da nodi stradali e centri di aggregazione urbana, tali da rendere palesi carenze dell'offerta, se, soprattutto riguardo a quest'ultima esigenza, ed anche al fine di non generare danno erariale, non ritenga di dover cambiare le modalità di attribuzione e rinnovo del cosiddetto patentino, fissando nuovi parametri di redditività che non impediscano l'apertura di nuove rivendite nei piccoli centri urbani o, peggio, che scongiurino la chiusura di quelle già esistenti. (5-03680)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PALMIERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2013, all'articolo 1 comma 586 prevede che «al fine di contrastare l'erogazione di indebiti rimborsi dell'imposta sul reddito delle persone fisiche da parte dei sostituti d'imposta nell'ambito dell'assistenza fiscale di cui al decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché di quelli di cui all'articolo 51-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, l'Agenzia delle entrate, entro sei mesi dalla scadenza dei termini previsti per la trasmissione della dichiarazione di cui agli articoli 16 e 17 del regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 31 maggio 1999, n. 164, ovvero dalla data della trasmissione, ove questa sia successiva alla scadenza di detti termini, effettua controlli preventivi, anche documentali, sulla spettanza delle detrazioni per carichi di famiglia in caso di rimborso complessivamente superiore a 4.000 euro, anche determinato da eccedenze d'imposta derivanti da precedenti dichiarazioni.»;
   questa situazione ha fatto sì che numerose famiglie che sostengono spese rilevanti per i propri figli disabili e che hanno diritto al rimborso per importi superiori ai 4.000 euro non abbiano avuto come di consueto la somma erogata nel conguaglio di luglio, pur avendone diritto e avendo regolare documentazione a supporto delle spese sostenute. Per queste famiglie il rimborso fiscale liquidato in tempi certi ha da sempre costituito una boccata d'ossigeno importante per le «finanze familiari». Ora l'attuale situazione produce invece inquietudine e incertezza –:
   in che tempi l'amministrazione intenda effettuare i controlli previsti dal comma 586 della legge di stabilità e quindi liquidare alle famiglie aventi diritto rimborsi fiscali a cui hanno diritto in base alla legislazione vigente. (5-03688)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'INCECCO, CAPONE, MIOTTO, ALBINI, CARNEVALI, CASATI e GRASSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 111 del 2011 dispone il trasferimento da parte dello Stato di 70 milioni di euro annui alle Regioni per le visite medico fiscali;
   il 30 aprile 2013 l'INPS, a seguito delle disposizioni sulla riduzione della spesa pubblica, ha ridotto del 90 per cento il controllo dei lavoratori in malattia (settore privato), servizio pluridecennale che ha consentito di riportare l'Italia nei parametri degli altri Paesi europei in ordine al fenomeno dell'assenteismo dal lavoro per malattia;
   la riduzione ha messo in ginocchio 1.400 medici fiscali, in genere over 50 inseriti in famiglie monoreddito, che, retribuiti con un contratto atipico a prestazione e vincolati da incompatibilità, hanno visto ridurre i propri compensi in maniera improvvisa, senza alcuna certezza per il futuro (in alcuni casi i compensi mensili sono scesi a circa 400 euro);
   i medici vengono pagati in base al numero delle visite. Prima dei tagli facevano circa 90-100 visite al mese, ora ne fanno una ventina;
   i danni prodotti da questi tagli ricadono non solo sui medici ma anche sulla spesa pubblica, perché con la riduzione dei controlli sono aumentate le assenze per malattia. In alcune città nessuno effettua visite da un anno;
   la Commissione affari sociali della Camera ha promosso un'indagine conoscitiva sull'organizzazione dell'attività dei medici che svolgono gli accertamenti sanitari per verificare lo stato di salute del dipendente assente per malattia giungendo alla conclusione della necessità di costituire un polo unico della medicina fiscale, cioè un unico ente controllore per i settori pubblico e privato;
   nel documento la Commissione sostiene infatti che «la sostanziale permanenza di un doppio e diverso regime tra lavoratori del settore pubblico e privato non sembra trovare più giustificazione» ritiene che «i tempi sembrano ormai maturi per l'individuazione di un solo soggetto cui affidare lo svolgimento della funzione di controllo in merito alle assenze per motivi di salute, da individuarsi necessariamente nell'INPS» –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per istituire il polo unico della medicina fiscale e per sbloccare i 70 milioni di euro per le visite fiscali.
(4-06210)


   PESCO e BALDASSARRE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Consap (concessionaria servizi assicurativi pubblici spa), al 100 per cento del Ministero dell'economia e delle finanze. In base al decreto ministeriale 24 dicembre 2013, n. 166, dal 1° aprile 2013 è previsto un tetto per l'amministratore delegato di 249.326,82 euro e un tetto per il ruolo di presidente di 74.798,05 euro;
   secondo quanto pubblicato da Il Sole 24 Ore che riporta i dati sulla trasparenza pubblicati sul sito del Ministero, fino ad oggi il trattamento economico lordo per gli anni 2011/2013 è stato di 219 mila euro per il presidente Monorchio e di 456 mila euro per l'amministratore delegato Masi;
   i compensi 2012 risultanti sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze segnalano per Monorchio 225.860,04 euro e per Masi 473.768,33 euro;
   la concessionaria servizi assicurativi pubblici necessita di una governance trasparente laddove ciascun ruolo sia ben definito e venga assegnato, corrispondentemente alle responsabilità attribuite, anche nel rispetto della normativa vigente in tema di trattamento economico –:
   quali siano le competenze e le responsabilità statutarie del presidente ed il relativo trattamento economico e quali siano le competenze e responsabilità statutarie dell'amministratore delegato e il relativo trattamento economico attribuito;
   se i trattamenti economici siano stati adeguati per ciascuna carica, di amministratore delegato e presidente, al decreto ministeriale 24 dicembre 2013, n. 166. (4-06217)


   RICCIATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   SE.BA. srl è un'azienda del gruppo KGS specializzata nell'erogazione di servizi bancari, in particolare al trattamento documentale banche, gestione valori, servizi di back office, servizi erogati via web, logistica, archiviazione documentale/conservazione sostitutiva e trattamento dei buoni pasto;
   fondata da istituti bancari del territorio marchigiano, era controllata da Banca delle Marche, che fino al marzo 2014 era anche il maggior committente con circa il 90 per cento delle commesse affidate;
   nel 2011 le banche azioniste di SE.BA. srl (Banca Marche, C.R. Loreto, Veneto Banca e C.R. Fermo) decidono di cedere l'azienda. L'allora amministratore delegato dell'azienda Claudio dell'Aquila, già collaboratore di Massimo Bianconi – ex direttore generale di Banca delle Marche – e vice direttore egli stesso di Banca delle Marche, aveva individuato un possibile acquirente nel gruppo KGS Spa di Pesaro, affidatario dell'appalto di pulizie e portierato da parte della stessa Banca delle Marche;
   al momento della vendita al gruppo KGS Spa, SE.BA. Srl era affidataria degli appalti delle banche ex azioniste, che avevano assicurato di continuare a fornire commesse almeno sino al 31 dicembre 2016, e nel patrimonio societario vi erano immobili di proprietà per un valore di 2 milioni di euro;
   dal 2011, momento della vendita, al 2014 le banche che si erano impegnate a commissionare lavori di back office e archiviazione a SE.BA. sino al 2016, stavano invece gradualmente disattendendo gli impegni assunti;
   il gruppo KGS Spa scorporava, inoltre, dal patrimonio societario di SE.BA. anche gli immobili, che venivano ceduti, ad una società esterna al gruppo;
   a marzo 2014 Banca delle Marche, principale committente di SE.BA. recedeva dal contratto con l'azienda di servizi contestando inadempienze di quest'ultima;
   la situazione di SE.BA srl si aggrava al punto che il 12 agosto 2014 viene attivata la procedura di riduzione del personale ex articoli 4 e 24 legge n. 223 del 1991 che segna il licenziamento di tutti i 26 dipendenti dell'azienda al 30 settembre 2014, persone di età compresa tra i 44 e i 58 anni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare al fine di salvaguardare e agevolare il reinserimento dei lavoratori interessati. (4-06218)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   entro il 15 ottobre il Ministero della giustizia definirà il regolamento di riorganizzazione degli uffici penitenziari;
   la proposta di riorganizzazione presentata dal Ministro della giustizia ai sindacati prevede oltre alla soppressione del provveditorato dell'amministrazione penitenziaria abruzzese con attuale sede a Pescara, anche la soppressione del COM (centro giustizia minorile) la cui sede è a l'Aquila e il suo accorpamento con quello del Lazio a Roma;
   in Abruzzo, in sostanza, si perderebbero entrambe le strutture di coordinamento, adulti e minori. Questa proposta assolutamente irrazionale perché evita un ragionamento sull'idea complessiva di riordino in funzione non solo del mero risparmio, ma della funzionalità dei servizi rispetto agli interventi da realizzare  –:
   se non ritenga necessaria una riflessione che eviti la soppressione del COM dell'Aquila. (4-06201)


   MARRONI e MINNUCCI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale della regione Lazio, avvocato Angiolo Marroni, ha denunciato la vicenda del detenuto Claudio B. il quale, il 21 aprile 2014 detenuto a Rebibbia, cade in carcere e viene subito ricoverato nel reparto protetto dell'ospedale «Pertini» con una diagnosi di «Plegia arto superiore dx ed arti inferiori bilateralmente associata ad alterazioni del visus e a deficit campo visivo in occhio dx insorte dopo trauma da caduta»;
   nel dimettere il paziente i medici hanno scritto che, oltre ad un costante monitoraggio neurologico, ha bisogno di eseguire cicli di fisiokinesiterapia (FKT). Il 13 giugno il detenuto è stato trasferito al centro clinico di Regina Coeli dove però non esiste la possibilità di effettuare quella fisioterapia;
   i sanitari di Regina Coeli hanno subito segnalato al provveditorato regionale del Lazio e all'autorità giudiziaria competente che la struttura non dispone né di servizio di FKT né di specialista neurologo e che il paziente è in gravissimo rischio «Quoad Valetitudinem» oltre che «Quoad Vitam» e pertanto hanno chiesto il trasferimento del B. in una struttura ove possano essere soddisfatte le condizioni di cui sopra;
   il 7 luglio 2014, dopo le segnalazioni dei medici di Regina Coeli, il provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria ha disposto l'assegnazione dell'uomo nel carcere di Velletri dove in effetti è presente un servizio di FKT;
   il trasferimento effettivo però, per qualche motivo, non è avvenuto e soltanto il 20 settembre, dopo il pressante e reiterato intervento del Garante, viene inviato finalmente in ambulanza a Velletri dove però i medici del carcere non lo accettano ritenendo non gestibili le sue condizioni cliniche. Il B. è stato quindi riportato, sempre in ambulanza, a Regina Coeli il giorno stesso;
   il detenuto è quindi a tutt'oggi ristretto a Regina Coeli –:
   quali iniziative si intendano intraprendere per consentire l'immediato invio del detenuto in una struttura carceraria appropriata, per le sue condizioni cliniche;
   per quale motivo il detenuto non sia stato tradotto immediatamente in una struttura carceraria idonea, nel Lazio o altrove, a soddisfare le prescrizioni mediche rilasciate dai sanitari all'atto della dimissione;
   se e in che modo si intenda intervenire per risolvere le gravi incongruenze emerse nel processo decisionale di assegnazione dei detenuti;
   se e in che modo si intenda intervenire al fine di consentire una più efficace comunicazione tra le due amministrazioni, quella Penitenziaria e quella Sanitaria, in grado di scongiurare in futuro il ripetersi di casi analoghi. (4-06208)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il comandante Gregorio De Falco è divenuto noto per avere intimato a Francesco Schettino di risalire a bordo della Costa Concordia durante il suo affondamento nella notte del 13 gennaio 2012, poiché lo stesso aveva abbandonato la nave prima di molti passeggeri in violazione della legge in materia;
   a quanto si apprende dalla stampa Gregorio De Falco, a distanza di due anni è mezzo è stato trasferito dal servizio operazioni a quello amministrativo. Secondo il comandante tale trasferimento è collegato al proprio intervento nei confronti di Schettino ed ha natura punitiva, poiché è stato destinato ad un ufficio che, nell'ambiente della Marina, è considerato per pre-pensionati o principianti. Difatti, lo stesso viene destinato all'amministrazione dopo avere lavorato in un'area operativa e, nell'ultimo anno, con funzioni di comando;
   il comandante ha affermato che eseguirà gli ordini, tuttavia, ritiene di essere vittima di mobbing;
   a quanto è dato sapere, la carriera di Gregorio De Falco si è distinta per dedizione al lavoro e rispetto delle regole, tuttavia alcuni rapporti nell'ambiente della Marina che si sono deteriorati in occasione della sera del naufragio sembra abbiano determinato il trasferimento. Sebbene, anche in quell'occasione il comandante si sia contraddistinto per la sua ottima condotta militare;
   ebbene, si ritiene di dovere fare chiarezza sulle motivazioni del trasferimento in questione, poiché, alla luce dei fatti acquisiti, appare ingiusto ed illegittimo;
   a parere dell'interrogante, la notte dell'affondamento della Costa Concordia è da considerare una triste pagina per la storia della Marina il cui onore è stato salvaguardato solo da condotte come quella tenuta dal comandante Gregorio De Falco, che, nel rispetto della normativa in materia e, dunque, legittimamente, ha esortato il capitano Schettino a risalire sulla nave per provvedere ai passeggeri in pericolo. Sembra, pertanto, paradossale, che vi sia un collegamento tra tale condotta e il disposto trasferimento che appare «punitivo» –:
   se Ministri interrogati siano a conoscenza, per quanto di loro competenza, dei fatti descritti in premessa e, al riguardo, quali siano i loro orientamenti;
   se e quali iniziative intendano adottare, per quanto di loro competenza, per accertare i fatti che hanno determinato il trasferimento in questione e revocarne l'efficacia qualora se ne verifichi l'illegittimità. (5-03669)


   MUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società Nuova azimut s.r.l. di Grumento Nova (Potenza), ha progettato, realizzato e testato la trasformazione in auto a trazione elettrica di una Alfa 156 JTS a benzina;
   il proprietario della società, Antonio Alberti, ha richiesto l'aggiornamento della carta di circolazione di questa auto a cui non è stata apportata alcuna modifica costruttiva tra quelle indicate dall'articolo 72 e 73 del decreto legislativo n. 285 del 1992 (Codice della strada) e successive modificazioni;
   nonostante il regolamento ECE/ONU n. 100 recante «Disposizioni uniformi relative all'omologazione dei veicoli a batteria elettrica per quanto riguarda i requisiti specifici per la costruzione e la sicurezza funzionale», all'interrogante non risulta vi sia alcun decreto ministeriale o altro atto normativo che regoli le verifiche e prove necessarie all'ottenimento della reimmatricolazione di tali prototipi;
   in data 1o aprile 2014 in Commissione attività produttive della Camera dei deputati, è stata approvata la risoluzione 8-00045, che impegna il Governo «a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative che regolino la riconversione elettrica o ibrida dei mezzi pubblici e privati, prevedendo l'estensione dell'applicazione dell'articolo 17 della legge n. 134 del 2013 a tutte le categorie di mezzi di trasporto, senza limiti di età, l'omologazione dei veicoli trasformati e dei kit di conversione (...)»;
   risulta all'interrogante che l'ufficio competente presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti abbia annunciato la presentazione, entro luglio 2014, di un decreto attuativo che stabilisca le procedure e i controlli per omologare i veicoli pubblici o privati riconvertiti in elettrici o ibridi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra riportato;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno adottare urgentemente iniziative ispettive affinché il regolamento ECE/ONU 100 sia correttamente applicato dalla Motorizzazione e se intenda prontamente assumere iniziative normative che consentano l'omologazione dei veicoli pubblici o privati riconvertiti in elettrici o ibridi. (5-03683)

Interrogazione a risposta scritta:


   MINNUCCI, BONACCORSI, GIULIANI, BOCCADUTRI, MICCOLI, MOGNATO, VENITTELLI e MELILLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il trasporto aereo costituisce un elemento significativo per il sistema economico nazionale con un impatto diretto sull'economia, tale da renderlo determinante per lo sviluppo ed il rilancio del Paese;
   il traffico aereo internazionale, nonostante la congiuntura economica globale, già nel 2011, è tornato a crescere del 6,5 per cento (circa 150 milioni di passeggeri) e secondo le previsioni della IATA (fine 2012) negli anni a venire si dovrebbe avere un incremento annuo del 5,3 per cento;
   l'Italia, con circa 800 mila passeggeri settimanali, si pone come uno dei più grandi mercati all'interno dell'Unione europea, tuttavia, nel 2012 ha subito una decrescita del 4,7 per cento di passeggeri;
   i passeggeri movimentati nel 2012 dal traffico aereo negli aeroporti romani è pari a 36 milioni per Fiumicino e di 5 milioni per Ciampino. Roma da sola movimenta circa il 30 per cento del traffico nazionale;
   nel nostro Paese la crisi economica ed industriale ha determinato un aggravio della già incerta situazione del trasporto aereo nazionale a causa della carenza di specifiche ed efficienti politiche industriali e gli attuali investimenti strutturali appaiono frammentari e non all'interno di un organico ed efficace sistema coordinato da una cabina di regia dalla quale avere una visione complessiva;
   per quanto concerne la società Alitalia-CAI, l'intesa con Poste italiane ed Ethiad, che apre uno scenario nuovo e di sviluppo per tutto il sistema aeroportuale italiano, non ha però avuto l'epilogo sperato sulla gestione degli esuberi. L'accordo separato del 13 luglio 2014 tra Alitalia-CAI e organizzazioni sindacali pone infatti in mobilità circa 2.000 unità, di queste circa 681 verranno ricollocate con «possibili» processi di esternalizzazione, altre 616 con ricollocazione interne alla nuova Alitalia e per circa 900 unità è stata prevista la sola mobilità con la sperimentazione dei «contratti di ricollocazione» di cui manca tutta la parte attuativa e organizzativa;
   la vertenza Groundcare che vede il fallimento della società di handler e che coinvolge 850 lavoratori, è un'ulteriore segnale delle possibili conseguenze di un'implosione del sistema di trasporto aereo italiano –:
   se si ritenga necessario continuare il confronto sul trasporto aereo riattivando, al più presto, il tavolo nazionale presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per affrontare le principali questioni riguardanti il settore regole, authority, politiche industriali indirizzi di sistema, investimenti infrastrutturali e in particolare insieme alla regione Lazio, aprire un particolare confronto sul sistema aeroportuale romano;
   se, le esternalizzazioni annunciate dall'accordo ministeriale tra Alitalia-CAI e organizzazioni sindacali del 13 luglio 2014 possano essere esplicitate in tutte le loro parti all'interno di una logica industriale dando finalmente delle certezze ai tanti lavoratori coinvolti su tempi, azienda di trasferimento e condizioni contrattuali;
   se possa chiarire il ruolo di Poste italiane nell'acquisizione di servizi e infrastrutture ICT di Alitalia e nel relativo e auspicato passaggio di personale – 85 unità – da Alitalia a Poste come indicato da accordi del 13 luglio 2014 e come si evince da dichiarazioni dello stesso Ministro interrogato;
   se possa chiarire in particolare il ruolo di Atitech nell'acquisizione di attività di manutenzione a medio e lungo raggio di Alitalia e nel relativo e auspicato passaggio di personale, 200 unità come indicato da accordi del 13 luglio 2014 in Atitech come indicato dallo stesso Ministro interrogato con dichiarazioni alla stampa;
   se possano essere definiti i tempi della concretizzazione dei contratti di ricollocazione chiarendo il ruolo dell'ENAC e della regione Lazio. (4-06209)

INTERNO

Interpellanza:


   Le sottoscritte chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   nella notte del 27 settembre 2014 il sindaco di San Giorgio Jonico (comune a pochi chilometri da Taranto), Giorgio Grimaldi, ha subito un atto intimidatorio. Ignoti hanno incendiato dei copertoni dinanzi al portone dell'abitazione ed al garage del primo cittadino, provocando alcuni danni;
   non è la prima volta che il sindaco Grimaldi e la sua famiglia sono oggetto di intimidazioni. Sia il 4 febbraio 2012 che il 13 ottobre 2013 si sono verificati atti analoghi, regolarmente denunciati alla autorità giudiziaria;
   negli ultimi anni nella provincia di Taranto sono sensibilmente aumentati i casi intimidatori nei confronti degli amministratori pubblici –:
   se sia a conoscenza di quanto espresso in premessa;
   quali iniziative intenda adottare per quanto di competenza, per assicurare al più presto una doverosa e duratura protezione al sindaco Grimaldi, nonché per contribuire, per quanto di competenza, a fare luce sulla natura e l'origine degli atti intimidatori illustrati.
(2-00697) «Duranti, Pannarale».

Interrogazione a risposta immediata:


   RUSSO, SARRO, BRUNETTA, PALESE e CARFAGNA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, è stato condannato ad un anno e tre mesi di reclusione per abuso d'ufficio; pena accessoria, l'interdizione dai pubblici uffici per un anno. Entrambe le pene sarebbero state sospese con la condizionale;
   la sentenza, di cui è giunta notizia il 24 settembre 2014, è stata pronunciata dal tribunale di Roma, X sezione, a conclusione del processo sull'acquisizione di utenze telefoniche di alcuni parlamentari senza la necessaria preventiva autorizzazione delle Camere di appartenenza. I fatti risalgono a quando Luigi De Magistris era pubblico ministero a Catanzaro (tra il 2006 e il 2007), nell'ambito dell'inchiesta calabrese «Why not» (dal nome di un'azienda calabrese di outsourcing che fornisce lavoratori specializzati in informatica), vicenda giudiziaria che riguardava la presunta gestione illecita di fondi pubblici regionali;
    in tema di condanne per amministratori locali, è intervenuto da ultimo il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, «Testo unico in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190», un testo, meglio noto come «legge Severino», approvato nell'ambito della legge delega n. 190 del 2012, che reca «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione»;
   l'articolo 11 del decreto legislativo n. 235 del 2012, al comma 1, recita: «Sono sospesi di diritto dalle cariche indicate al comma 1 dell'articolo 10», (tra le quali è ricompresa quella di sindaco), «coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all'articolo 10, comma 1, lettera a), b) e c)»; la lettera c) del richiamato articolo 10 comprende anche l'abuso d'ufficio (articolo 323 del codice penale.), reato per il quale De Magistris è stato condannato in primo grado;
   il sindaco De Magistris sarebbe, quindi, soggetto a sospensione dall'incarico; ma perché la sospensione diventi effettiva deve intervenire il prefetto, a meno che l'interessato – come altri amministratori locali meno noti colpiti prima di lui dalla legge sull'incandidabilità – non decida in autonomia di rassegnare le dimissioni;
   al momento, Luigi De Magistris ha contestato la sentenza e ha annunciato di non volersi dimettere in alcun modo, dichiarando: «Ci sono pezzi di Stato collusi che vanno abbattuti e servitori dello Stato di cui esser fieri: non mollo, resisto e lotto per la giustizia»;
   va però rilevata un'ulteriore vicenda che riguarda il processo di sospensione del sindaco De Magistris. L'articolo 53 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, prevede che sia il vicesindaco a sostituire il sindaco in caso di sospensione dall'esercizio della funzione; l'attuale vice sindaco della città di Napoli, Tommaso Sodano, è oggetto di un'altra sentenza di condanna (anche questa di primo grado, emessa nell'ottobre 2013 dal tribunale di Nola) ad un anno di reclusione per l'aggressione ad un'operatrice della polizia locale (resistenza e lesioni a pubblico ufficiale);
   pur valutando la necessità che presto si rimetta mano al decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, per una revisione organica del regime di sospensione dei pubblici amministratori stabilita all'articolo 11, comma 1, la norma è attualmente vigente e di essa deve essere assicurata puntuale esecuzione;
   il 12 ottobre 2014 i consiglieri dei comuni della nuova città metropolitana di Napoli saranno chiamati ad eleggere il consiglio metropolitano, a norma di quanto previsto dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, (cosiddetta «legge Delrio»); la stessa «legge Delrio», all'articolo 1, comma 19, prevede che il sindaco del comune capoluogo (Napoli) sia di diritto il sindaco della città metropolitana; a seguito della condanna di De Magistris e delle norme di cui al decreto legislativo n. 235 del 2012, si apre quindi un altro vulnus anche sul fronte della costituenda città metropolitana;
   pare superfluo significare come quella del sindaco del comune capoluogo che assume la responsabilità di sindaco della città metropolitana sia attività tipicamente straordinaria;
   di converso, quella del vicesindaco che subentra ad un sindaco sospeso, ai sensi della cosiddetta «legge Severino», sia attività limitata all'ordinaria amministrazione e, comunque, dotata di un grado di investitura democratica di livello inferiore, anche in ragione della circostanza per cui l'attuale vicesindaco della città di Napoli non è tra gli originari eletti al civico consesso –:
   se e come il Ministro interrogato intenda intervenire, attraverso iniziative di propria competenza, per garantire pari trattamento e, quindi, la sospensione dalla carica di sindaco di Luigi De Magistris, a norma di quanto stabilito dall'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, anche alla luce della sentenza di condanna che grava sul vicesindaco della città di Napoli, e come tale vicenda rilevi rispetto alla costituenda città metropolitana di Napoli e se non si ritenga di dover assumere iniziative per differire l'elezione del consiglio metropolitano, previsto per il 12 ottobre 2014, in assenza proprio di quel sindaco che la norma, in chiave esclusiva, indica come soggetto deputato a presiedere la nuova istituzione.
(3-01060)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle attività di accoglienza e assistenza agli immigrati che sbarcano sulle coste italiane opera anche la Croce rossa italiana;
   in occasione di una recente situazione di emergenza venutasi a creare nel territorio brindisino per l'arrivo di ben 718 migranti, l'Associazione ha chiesto ai cittadini desiderosi di fornire un aiuto di fornire indumenti, specificando, tuttavia, che avrebbero dovuto trattarsi di scarpe ed abiti «nuovi»;
   nell'attuale congiuntura economica che costringe molti cittadini italiani a fare dei sacrifici anche per quanto attiene alle proprie necessità, una simile richiesta appare all'interrogante del tutto fuori luogo, oltre al fatto che la naturale conseguenza che ne discende è, ovviamente, la decisa riduzione della quantità di aiuti ricevibili –:
   se non ritenga di assumere iniziative, se del caso attraverso l'emanazione di linee guida per le associazioni, anche private, coinvolte dallo Stato nella gestione dell'accoglienza agli immigrati, affinché le richieste alla cittadinanza si basino su criteri di necessità effettiva, nel rispetto di tutti coloro che si mostrano disponibili a fornire un aiuto. (4-06185)


   RICCIATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 settembre 2014 alcuni organi di stampa, tra i quali l'agenzia ANSA ed il quotidiano Il Resto del Carlino, nell'edizione di Pesaro, hanno riportato la notizia dell'esecuzione di un provvedimento di confisca, portato a termine dal comando provinciale della Guardia di finanza di Napoli, emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) nei confronti di due società titolari di 7 impianti di distribuzione stradale di carburanti nelle province di Salerno, Benevento, Avellino, Frosinone e Pesaro-Urbino;
   il sequestro di beni, per circa 10 milioni di euro, è avvenuto a seguito delle investigazioni eseguite dai finanzieri del Gico, che hanno dimostrato che la costituzione e la successiva gestione delle società confiscate era avvenuta con l'impiego di risorse finanziarie incompatibili con le disponibilità reddituali dei titolari ufficiali, i due figli di un imprenditore di Marcianise (Caserta) collegato a esponenti di spicco di gruppi camorristici;
   l'azione della Guardia di finanza ha portato alla confisca di quote sociali, patrimonio aziendale e rapporti finanziari;
   il fatto riportato non è, purtroppo, il primo che l'interrogante segnala al Ministro interrogato, al fine di chiedere informazioni sullo stato del fenomeno delle infiltrazioni criminali in attività economiche nel territorio delle Marche e sulle attività intraprese dallo stesso dicastero dell'interno;
   il fenomeno delle infiltrazioni criminali in diverse attività economiche del territorio, riconducibili a clan della camorra e della ndrangheta, da quanto si apprende dagli organi di stampa e da confronti con i vertici territoriali delle forze di polizia, è un fenomeno in evidente crescita, nonostante l'attività di contrasto posta in essere da magistratura e forze dell'ordine;
   tra le zone più interessate dal fenomeno, quella a maggior rischio appare essere l'area del Fermano –:
   considerata la frequenza con la quale si apprende di situazioni legate al fenomeno delle infiltrazioni criminali nel tessuto economico marchigiano, quali iniziative di competenza il Ministro interrogato abbia intrapreso o intenda attuare, sul piano della prevenzione, per impedire il dilagare di tale fenomeno. (4-06193)


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   notizie di stampa riportano come a Roma il personale dell'azienda di trasporto pubblico sia sotto attacco: un autista aggredito ogni tre giorni. Dal picco del 2009 con 175 aggressioni in dodici mesi ai danni del personale Atac, oggi numero è sceso del 35 per cento circa 130 episodi l'anno grazie all'aiuto dell'Associazione dei carabinieri in congedo, che aveva garantito fino al 2012 la disponibilità di una sessantina di uomini per la sicurezza di passeggeri e personale viaggiante, spesso vittima di aggressioni e comportamenti violenti;
   il 20 settembre 2014 un gruppo di stranieri ha preso d'assalto un autobus, lo 042 che collega Lunghezza a Corcolle, alla periferia est di Roma, al volante c'era un'autista donna;
   le cronache riportano i dettagli dell'aggressione effettuata da 40 cittadini extracomunitari;
   l'ultimo caso riguarda una quindicenne di borgata Finocchio molestata su un autobus all'altezza di Due Leoni, tra Tor Bella Monaca e via Casilina;
   il trasporto pubblico romano non deve solo fare i conti con le casse vuote – una voragine da 240 milioni di euro – ma anche con l'emergenza sicurezza: in poche settimane a bordo si sono susseguiti aggressioni e violenze nei confronti di autisti e passeggeri. Un degrado sempre più preoccupante, denunciato dai sindacati e dai cittadini prima, dalle telecamere di trasmissioni televisive poi –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e quali iniziative di competenza intenda assumere per evitare nuovi episodi come quelli descritti in premessa. (4-06196)


   D'UVA, NESCI e NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere, premesso che:
   il decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, recante «nuove misure in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia», intende disciplinare la figura del collaboratore di giustizia;
   la legge 13 febbraio 2001, n. 45, introduce «nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia», modificando la disciplina così come introdotta dalla legge 15 marzo 1991, n. 82;
   a norma dell'articolo 4 della legge 13 febbraio 2001, n. 45, «l'ammissione alle speciali misure di protezione, oltre che i contenuti e la durata di esse, sono di volta in volta deliberati dalla Commissione Centrale di cui all'articolo 10, comma 2, su proposta formulata dal procuratore della Repubblica il cui ufficio procede o ha proceduto sui fatti indicati nelle dichiarazioni rese dalla persona che si assume sottoposta a grave e attuale pericolo»;
   l'articolo 6 della stessa fonte normativa, in particolare, prevede come in caso di concessione della speciale misura di protezione, mediante la definizione di uno speciale programma, questo dovrà essere formulato secondo criteri che tengono specifico conto delle situazioni concretamente prospettate;
   tale sistema potrà comprendere «il trasferimento delle persone non detenute in luoghi protetti, speciali modalità di tenuta della documentazione e delle comunicazioni al servizio informatico, misure di assistenza personale ed economica, cambiamento delle generalità, misure atte a favorire il reinserimento sociale del collaboratore e delle altre persone sottoposte a protezione oltre che misure straordinarie eventualmente necessarie»;
   attraverso l'articolo 12 delle legge 13 febbraio 2001, n. 45, infine, si prevede come «le speciali misure di protezione di cui sopra debbano altresì applicarsi a coloro che assumono rispetto al fatto o ai fatti delittuosi in ordine ai quali rendono le dichiarazioni esclusivamente la qualità di persona offesa dal reato, ovvero di persona informata sui fatti o di testimone, purché nei loro confronti non sia stata disposta una misura di prevenzione», e fino alla effettiva cessazione del pericolo per sé e per i familiari;
   la rilevanza della figura del collaboratore di giustizia venne riconosciuta anche dal giudice Giovanni Falcone, che evidenziò come attraverso l'utilizzo di tale soggetto riuscì ad ottenere nel corso delle sue indagini informazioni relative alla struttura e alle attività delle più importanti associazioni criminali operanti nel territorio dello Stato;
   alcune recenti inchieste giornalistiche, tuttavia, fanno emergere diversi dubbi relativi al corretto funzionamento del sistema di protezione speciale dei collaboratori di giustizia, che, stando alle notizie documentate, rischia di non garantire la necessaria sicurezza dei soggetti chiamati a testimoniare, limitando altresì le possibilità di costituzione alla giustizia di nuovi collaboratori pronti a offrire la propria testimonianza;
   emblematica al riguardo, così come riportata dal quotidiano La Notizia, in data 9 settembre 2014, ovvero da altre importanti testate nazionali quali Il Fatto Quotidiano, risulta la vicenda che vede coinvolto Luigi Bonaventura, ex associato della `ndrangheta e reggente della cosca crotonese dei Vrenna-Bonaventura, che da 10 anni collabora con la giustizia;
   le informazioni fornite dal collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura sono ritenute certamente attendibili, anche dalla direzione nazionale antimafia con la quale ha spesso collaborato, e sono state utilizzate all'interno di importanti procedimenti giudiziari, consentendo la cattura e l'arresto di oltre 150 affiliati ad organizzazioni e associazioni di tipo mafioso;
   secondo quanto riportato dal quotidiano il collaboratore avrebbe inviato in data 26 aprile 2014, attraverso il suo legale, una lettera alla commissione centrale circa alcuni episodi avvenuti nel corso del suo periodo di residenza presso la Città di Termoli (Campobasso), in regime di protezione;
   in tale documento si riporta come «il collaboratore ha ricevuto, solo dopo diversi mesi dal suo arrivo, (...) un documento personale con il limite di utilizzo nella sola regione Molise, contrariamente a quanto previsto dalla legge, che non ha consentito una concreta possibilità di inserimento socio-lavorativo» secondo l'interrogante, in violazione del dettato normativo che prevede l'assunzione di «misure atte a favorire il reinserimento sociale del collaboratore o del testimone di giustizia e delle altre persone sottoposte a protezione»;
   lo stesso articolo denuncia come i contratti di locazione sarebbero stati stipulati direttamente dal personale del NOP, senza garantire, stando alla denuncia di Bonaventura il giusto grado di anonimato e mimetizzazione;
   simile condotta veniva tenuta per consentire l'iscrizione scolastica dei figli, ovvero per la scelta del Medico di Famiglia, vanificando altresì l'adeguato inserimento anonimo nel tessuto economico e sociale locale e rivelando il vero motivo della permanenza nella località protetta del nucleo familiare;
   a oggi risulta addirittura mancante la documentazione necessaria a garantire al collaboratore e ai suoi familiari l'accesso alle cure sanitarie;
   alla richiesta del legale del collaboratore Luigi Bonaventura non risulta che abbia fatto la commissione centrale pervenire alcuna risposta;
   si evidenzia, infine, come l'attuale sistema di protezione riservato ai collaboratori di giustizia rischi da un lato di consentirne l'accesso anche a soggetti ritenuti non del tutto attendibili, ovvero saldamente ed attivamente legati ad ambienti di tipo mafioso, dall'altro di non garantire sufficiente copertura, nonché la stessa incolumità fisica, ai soggetti sottoposti al sistema di protezione –:
   se non ritenga che l'attuale sistema di protezione dei collaboratori di giustizia, anche in relazione alle criticità evidenziate dai fatti così come esposti in premessa, presenti alcune inefficienze operative, e, in caso di positivo riscontro, se intenda adoperarsi affinché venga assicurata la necessaria tutela ai soggetti sottoposti al regime di protezione, ovvero ai potenziali pentiti che intendessero costituirsi e collaborare attivamente con la giustizia italiana.
(4-06199)


   MOSCATT. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il bando di concorso per l'ammissione a frequentare il quinto corso-concorso selettivo di formazione per il conseguimento dell'abilitazione ai fini dell'iscrizione di 200 segretari comunali nella fascia iniziale dell'albo dei segretari comunali e provinciali è stato pubblicato sulla GURI n. 86 del 6 novembre 2009;
   la graduatoria finale è stata approvata il 23 dicembre 2013 e pubblicata sulla GURI n. 3 del 10 gennaio 2014;
   il consiglio direttivo a marzo 2013 ha approvato le direttive per le attività formative e nella medesima seduta è stata deliberata la programmazione dei corsi SPES e SEFA 2013 ed è stata ribadita la necessità di predisporre gli atti necessari per il previsto avvio del COA-V da tenersi nel 2014;
   dal 10 gennaio 2014 giorno in cui è stata pubblicata richiesta di documentazione atta a conformare la volontà di voler proseguire l’iter selettivo con il corso di formazione finale nessun altro atto ufficiale è stato ad oggi pubblicato;
   in data 14 aprile 2014 si è tenuto un incontro tra il Ministero e le organizzazioni sindacali in vista del consiglio direttivo del 15 aprile 2014 con all'ordine del giorno la programmazione dell'attività di formazione e di aggiornamento professionale relativa all'anno 2014;
   ad esso sono seguiti ulteriori incontri volti a confermare la programmazione per l'attività formativa rivolta ai COA-V anche nei mesi di luglio e settembre alla luce dell'approvazione dell'articolo 21 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014 con cui si è stabilito che le attività formative già programmate vengano svolte sulla base di accordi ex articolo 15 della legge n. 241 del 1990 tra SNA e SSAI;
   il tempo eccessivo trascorso dalla pubblicazione della graduatoria finale degli ammessi lede l'interesse legittimo degli ammessi a veder completato il faticoso iter concorsuale intrapreso da ben 5 anni;
   la conclusione dell’iter concorsuale prescinde dagli esiti delle recentissime ipotesi di riforma della pubblica amministrazione e della figura dei segretari comunali così come previsto nell'approvando disegno di legge n. 1577 del 2014 –:
   se il Ministro interrogato intenda attivarsi con la massima sollecitudine affinché il consiglio direttivo formalizzi l'avvio del corso COA 5 con la pubblicazione del relativo calendario ivi compresa strutturazione interna, scongiurando definitivamente il rischio di eventuali, ulteriori slittamenti e assicurando la definitiva conclusione dell’iter concorsuale come già preventivato nelle adunanze da marzo 2013 a marzo-luglio 2014. (4-06203)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   anche l'Emilia-Romagna è interessata dalla distribuzione sul territorio nazionale degli immigrati raccolti dalle navi della Marina militare impegnate nell'operazione, ad avviso dell'interrogante fallimentare, Mare Nostrum;
   nei soli quattro mesi che vanno dal marzo al luglio 2014, la regione Emilia-Romagna ha accolto oltre mille immigrati;
   gli immigrati giungono alla spicciolata, in piccoli numeri, e le autorità li smistano successivamente in una molteplicità di piccole strutture, anche private come gli alberghi, spesso non sorvegliate, anche perché i centri di identificazione ed espulsione di Bologna e Modena sono stati chiusi e la regione ha approvato una risoluzione affinché non vengano più riaperti;
   sono conseguentemente frequenti le fughe, circostanza potenzialmente molto pericolosa in ragione del rischio non teorico che gli immigrati siano portatori di gravi malattie a rischio di epidemia;
   la capacità ricettiva non è comunque sufficiente a fronteggiare la pressione determinata dall'afflusso nel nostro Paese di molte migliaia di immigrati clandestini al mese e lo stesso prefetto di Bologna ha ammesso che la regione Emilia-Romagna era in emergenza ben prima che venissero raggiunti il picco dell'estate e quello strettamente legato degli arrivi;
   in questo contesto, la prefettura di Bologna ha considerato di utilizzare anche strutture di origine militare, come l'ex sede della Guardia di finanza alla Ponticella di San Lazzaro di Savena (Bo), circostanza che ha allarmato la popolazione residente nell'area, anche perché l'immobile non è sorvegliato;
   l'assegnazione degli immigrati ai territori avviene tramite un sistema gestito direttamente da Ministero dell'interno e Prefetture, senza alcun coinvolgimento dei comuni, ma con la frequente costituzione di tavoli tecnici aperti alle associazioni locali attive nel settore, che vedono nella gestione del fenomeno un business lucrativo;
   le autorità locali chiedono di poter esprimere il proprio punto di vista sulle capacità di accoglienza dei propri territori di competenza;
   la giunta comunale di Bologna, invece, sembra all'interrogante prediligere ora la strada delle requisizioni, cui si ricorrerebbe per acquisire la disponibilità di immobili vuoti e gestibili, con la previsione di un'erogazione di 45 euro ad immigrato alloggiato;
   il 22 agosto 2014 di fronte alla prefettura di Bologna è stato organizzato un presidio dei rifugiati di Villa Aldini con l'appoggio dell'Associazione antirazzista interetnica 3 febbraio (www.a3f.org) e Tpo contro le ipotesi di sgombero;
   a quanto consta all'interrogante, all'inizio del mese, in effetti, la prefettura ha fatto sapere agli ospiti della struttura (gestita dalle stesse cooperative che gestiscono anche l'Hub/Cara di via Mattei, l'ex Cie) che, a partire dal 20 agosto, ogni 20 giorni 10 di loro avrebbero dovuto andarsene: una nuova prassi per fare fronte al grandissimo numero di arrivi con cui il sistema d'accoglienza italiano è chiamato a fare i conti. In pratica, ai profughi (in città da febbraio 2014, dopo la traversata in mare dalla Libia alla Sicilia, recuperati dalle navi di Mare Nostrum) viene chiesto di lasciare Villa Aldini per fare spazio ai nuovi arrivati –:
   se il Governo intenda confermare a lungo la missione navale Mare Nostrum, che ha accresciuto in modo intollerabile il numero degli immigrati da accogliere, sottoponendo ad insopportabile stress istituzioni locali e territori;
   se il Governo intenda o meno incoraggiare il coinvolgimento delle autorità locali nella gestione di questa emergenza, invece di continuare a decidere autonomamente;
   se davvero il Governo ritenga che non vi sia alternativa alla politica delle requisizioni;
   quanti di coloro che sono giunti in Emilia-Romagna ed, in particolare, nella città di Bologna siano stati inseriti nei percorsi Sprar e abbiano ottenuto asilo politico;
   quanti siano i minori attualmente ospitati nella regione Emilia-Romagna ed, in particolare, nella città di Bologna che risultano soli e di quale età anagrafica;
   quali percorsi siano previsti per i minori nel periodo di permanenza sul territorio e quale destino sarà riservato loro dopo la prima accoglienza ai profughi della missione Mare Nostrum;
   quale destino sia riservato a coloro a cui la prefettura ha chiesto di lasciare Villa Aldini. (4-06207)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riporta l'articolo pubblicato il 7 agosto 2014, dal quotidiano «Il Messaggero Veneto», il comune di Forni Avoltri, in provincia di Udine, si trova in condizioni finanziarie di particolare gravità, a causa degli oneri fuori bilancio, sostenuti per una serie di iniziative di solidarietà per l'accoglienza di alcuni profughi sbarcati sulle coste italiane nei mesi scorsi;
   sulla piccola comunità locale, composta da non oltre 600 cittadini, gravano infatti spese per un totale di 25 mila euro, che rischiano di mandare in default il bilancio dell'ente, determinate da una serie di fatture non ancora pagate scadute a partire dallo scorso mese di aprile, per il mantenimento degli stessi immigrati (alcuni di essi peraltro di minore età) all'interno delle strutture d'accoglienza;
   il medesimo quotidiano evidenzia, inoltre, come la stessa amministrazione comunale, a distanza di tre mesi dall'abbandono dei luoghi in cui gli stessi profughi si trovavano (periodo in cui peraltro avevano ottemperato le procedure necessarie per la richiesta d'asilo politico presentate alla prefettura di Gorizia), ha ricevuto una serie di fatture (il cui complessivo importo come in precedenza riportato, ammonta a 25 mila euro) al Civiform di Cividale, contabilizzate a suo carico, in considerazione del fatto che il tribunale dei minori di Trieste ha affidato i minori, proprio allo stesso ente locale;
   il sindaco del comune interessato, la cui amministrazione a stento riesce a pagare le spese correnti, ha esposto la grottesca vicenda alla questura, al commissariato di Tolmezzo, alla prefettura e allo stesso Ministro interrogato, chiedendo un intervento immediato, al fine di comprendere le ragioni per le quali i profughi di minore età siano stati affidati proprio allo stesso ente, che non è in grado di sostenere importi così elevati, stante le modeste disponibilità finanziarie di cui dispone;
   la suesposta vicenda, a parere dell'interrogante, necessita di una serie di chiarimenti anche con riferimento al periodo temporale in cui la stessa amministrazione comunale ha ricevuto gli avvisi di pagamento delle fatture, la cui decisione secondo quanto riporta il richiamato quotidiano, è avvenuta successivamente al trasferimento dei profughi –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di dirimere l'incresciosa situazione finanziaria, in precedenza evidenziata, che ha coinvolto negativamente il piccolo comune di Forni Avoltri in provincia di Udine. (4-06211)


   BARONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 maggio 2014 si sono svolte le elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia;
   con la legge 27 dicembre 2013, n.147 (legge di stabilità 2014), all'articolo 1 comma 399, si è stabilito, per assicurare il contenimento delle spese, che le operazioni di votazione avvengano nella sola giornata di domenica dalle ore 7 alle ore 23;
   le operazioni di voto sono regolamentate dal decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 e successive modificazioni, in particolare dal testo unico n. 570 del 1960;
   a cura del Ministero dell'interno è pubblicato un manuale denominato «Istruzioni per gli uffici elettorali di sezione», fornito a ciascun presidente di seggio insieme a tutto il materiale necessario al corretto svolgimento delle operazioni di voto, che raccoglie tutte le disposizioni in materia elettorale:
   il paragrafo 3 di detto manuale sottolinea che tutti i componenti del seggio, durante l'esercizio delle loro funzioni, sono considerati, per ogni effetto di legge, pubblici ufficiali;
   il paragrafo 6, regolando i poteri del presidente del seggio, ricorda che egli è incaricato della polizia dell'adunanza, potendo disporre degli agenti della forza pubblica in servizio presso la sezione per allontanare o arrestare coloro che disturbano le operazioni elettorali o commettono reati;
   il paragrafo 22 enumera tutte le facoltà attribuite ai rappresentanti di lista fra cui l'autorizzazione a portare un bracciale o un altro distintivo con il simbolo della lista che rappresentano, raccomandando ai presidenti di seggio di consentire loro di adempiere al loro, incarico compiutamente e nella più ampia libertà;
   nel plesso scolastico di via del Pergolato, n. 112, in Roma si sono svolte le operazioni di voto, tra le altre, delle sezioni elettorali n. 609-610-611;
   chiamato a far rispettare l'ordine pubblico in quel complesso si trovava l'assistente capo della polizia di Stato Belli e, designato come rappresentante di lista del gruppo politico Movimento Cinque Stelle, il signor Diego Mascoma;
   il Mascoma si recava al seggio intorno alle 12,30 per seguire le operazioni di voto, come suo diritto e, come suo diritto, indossava un cartellino recante il simbolo del Movimento Cinque Stelle;
   l'assistente capo Belli, con fare poco collaborativo, impediva al Mascoma la pur legittima esposizione all'interno del seggio del simbolo del proprio movimento politico;
   il Mascoma, dopo avere immediatamente rimosso il distintivo constatava la validità delle proprie informazioni leggendo il manuale di cui sopra consegnatogli dal presidente della sezione 609, che le confermava. (pagina 20, riga 10 i rappresentanti sono autorizzati a portare un bracciale o un altro distintivo con il simbolo della lista che rappresentano);
   l'assistente capo Belli, con atteggiamento intimidatorio, comunque, gli vietava di esporre detto simbolo, chiedendo contestualmente l'esibizione di un documento di identità, azione che veniva prontamente effettuata dal Mascoma;
   il Mascoma chiedeva l'intervento del consigliere municipale del V Municipio Giovanni Boccuzzi, che di lì a poco arrivava, confermando senza esitazioni le tesi del Mascoma e che, per evitare di esacerbare la situazione, usciva dal plesso scolastico nel tentativo di far intervenire l'Arma dei carabinieri con varie telefonate, ricevendo alla fine un rifiuto in quanto quel seggio non era di competenza dell'Arma stessa;
   mentre il Boccuzzi era al telefono al di fuori del plesso scolastico, anch'egli veniva insistentemente invitato ad esibire il proprio documento di identità, che, tra l'altro, non aveva con sé, ma all'interno dell'automobile parcheggiata poco distante;
   sopraggiungeva quindi una volante della polizia di Stato con due agenti a bordo che, messa al corrente dei fatti da entrambe le parti, chiedeva il documento al consigliere Boccuzzi il quale immediatamente lo esibiva, pur chiedendo spiegazioni di tale richiesta;
   dopo pochi minuti sopraggiungeva un'altra macchina della Polizia di Stato con agenti in borghese i quali, messi al corrente di entrambe le posizioni, confermavano la tesi secondo la quale il Rappresentante di lista al di fuori delle sale adibite al voto non può esporre il simbolo della propria lista;
   contestualmente veniva consegnato, con loro grande sorpresa, prima al Boccuzzi e poi al Mascoma un foglio della questura attestante l'elezione di domicilio in quanto veniva contestato un comportamento illecito e veniva loro comunicata verbalmente la denuncia rispettivamente per oltraggio a pubblico ufficiale ex articolo 341-bis del codice penale e per propaganda elettorale ex articolo 9 della legge 4 aprile 1956, n. 212;
   venivano quindi, telefonicamente, informati dei fatti l'interrogante e la senatrice Paola Taverna;
   l'interrogante chiamava quindi al cellulare la dirigente della DIGOS la quale confermava a stretto giro di telefono l'effettiva consegna dei due verbali di elezione di domicilio;
   successivamente intervenivano in loco la Sen. Paola Taverna e l'interrogante per raccogliere le dichiarazioni dell'agente Belli, avvertendo lo stesso che tale episodio sarebbe stato oggetto di possibile interrogazione parlamentare, il tutto per garantire la piena attuazione dei diritti riconosciuti costituzionalmente ai rappresentanti di lista presenti all'interno dei seggi elettorali; nonché per presentare eventuali denunce alla procura della Repubblica in caso di lesioni di tali diritti o di abuso di atti d'ufficio;
   a tal fine la Senatrice Paola Taverna e l'interrogante hanno provveduto alla registrazione della conversazione, sottolineando la volontà di buona collaborazione che le diverse parti coinvolte sono tenute a rispettare anche ai sensi dell'articolo 54 della Costituzione;
   in quel momento era presente anche il signor Mascoma, convocato all'uopo, poiché lo stesso dopo quello che era accaduto precedentemente, si era allontanato ed aveva abbandonato il seggio. La denuncia subita e il comportamento a giudizio dell'interrogante a dir poco inqualificabile dell'agente avevano infatti creato in capo al giovane Mascoma uno stato di paura e di terrore psicologico che gli impedivano di esercitare la propria delicata funzione in modo corretto e regolare –:
   se il Ministro sia a conoscenza degli accadimenti di cui in premessa;
   se non ritenga che sussistano i presupposti per assumere iniziative sul piano amministrativo e disciplinare in relazione al comportamento dell'agente di polizia di cui in premessa;
   se non ravvisi un grave vulnus democratico inerente al regolare svolgimento delle operazioni di scrutinio dei voti nella circostanza che il rappresentante di lista abbia desistito dal partecipare alle operazioni di scrutinio, nonché del danneggiamento subito dal Movimento Cinque Stelle a causa dell’«espulsione» del rappresentante di lista stesso dalle tre sezioni in questione, con conseguente impossibilità di esercitare il legittimo controllo dell'andamento dello spoglio dei voti, considerato che secondo l'interrogante, ciò si pone in contrasto, anche con gli articoli 48 e 49 della Costituzione. (4-06214)


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa il com-missario del comune di Venezia sta ufficializzando ed inviando alla regione un parere negativo in merito al referendum di separazione in due comuni distinti Venezia e Mestre;
   nel parere richiesto dalla regione il commissario del comune di Venezia, sempre stando alle informazioni riportate dai giornali, motiverebbe il suo diniego alla consultazione referendaria in quanto in contraddizione con le disposizioni sancite dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni);
   l'articolo 5, comma 3, della legge regionale Veneto 25 del 1992 attribuisce al consiglio comunale solo un parere di meritevolezza, demandando alla prima commissione regionale ogni valutazione sulla legittimità dell'iter seguito. Sull'esistenza dei requisiti formali, peraltro, la prima commissione si è già espressa in senso favorevole. È evidente, inoltre, che la proposizione del comma 3 abbia come soggetto esclusivamente la competente commissione consiliare, che deve sia «acquisire il parere dei consigli comunali e provinciali», sia «svolgere ogni altro atto istruttorio, in base al quale formulare una relazione al Consiglio». In ogni caso, appare evidente che la città metropolitana non è incompatibile con l'autonomia dei due comuni;
   è la stessa Costituzione ex articolo 133, comma 2 che sancisce il diritto per le regioni, sentite le popolazioni interessate, di modificare le circoscrizioni e denominazioni dei comuni nel proprio territorio;
   è la regione, nel rispetto del principio costituzionale sancito ex articolo 133, comma 2, chiamata ad esprimersi sull'ammissibilità della richiesta avanzata dai comitati referendari;
   il commissario straordinario, nominato a seguito dello scioglimento del consiglio comunale, non essendo supportato, nelle proprie decisioni, da un mandato elettivo, ossia, non essendo stato scelto con l'espressione del voto democratico da parte dei cittadini, in particolar modo quando è chiamato ad assumere le competenze proprie dell'organo collegiale (consiglio comunale), dovrebbe, al di là di quelle che sono le sue reali competenze funzioni e facoltà, evitare di esprimere pareri non legittimati in modo chiaro e trasparente dalla normativa vigente e quindi soggetti ad una interpretazione eccessivamente discrezionale –:
   di quali elementi il Ministro disponga in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare, considerato lo stato di commissariamento del comune di Venezia, per garantire il prosieguo dell’iter democratico per la consultazione referendaria sulla separazione dei comuni di Venezia e Mestre. (4-06222)


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Ecolando s.r.l. ha sede a Sant'Angelo di Piove di Sacco, in via Padana 19, in provincia di Padova e a Fossò in via IX strada, presso la zona industriale, in provincia di Venezia e si occupa di stoccaggio e trattamento di rifiuti;
   il 25 settembre 2014, nel corso dell'operazione «Falsimonia», coordinata dalla direzione distrettuale antimafia della procura di Venezia, il Corpo forestale dello Stato ha eseguito quattordici perquisizioni nelle province di Venezia, Padova, Ferrara, Bologna e Modena;
   nel corso dell'operazione, i titolari della ditta, Tiziano e Nicola Lando, padre e figlio, sono stati raggiunti da un provvedimento cautelare per il reato di traffico illecito di rifiuti;
   i Lando sono stati sottoposti agli arresti domiciliari e l'azienda è stata sottoposta a sequestro;
   dalle notizie apparse sulla stampa locale i due avrebbero sostituito i codici identificativi dei rifiuti, inviando successivamente in discarica materiali non trattati e avrebbero illecitamente aumentato l'indicazione del peso del materiale di scarto da stoccare;
   inoltre, la ditta avrebbe ricevuto una quantità di rifiuti maggiore di quanto concesso dalle autorizzazioni;
   infine, la magistratura ha acquisito i registri di carico e scarico che sembrerebbero in parte falsificati;
   i titolari della Ecolando erano già stati oggetto di accertamenti giudiziari per il trattamento dei rifiuti nel corso di un procedimento riguardante la trasformazione di vecchie traversine di una ferrovia in mobili, che sarebbero risultate impregnate di sostanze cancerogene;
   la notizia ha creato allarme nelle comunità locali per il pericolo rappresentato dall'invio di materiali non trattati alle discariche, con conseguenti danni ambientali di entità ancora da determinare e per i potenziali rischi per la salute delle comunità stesse –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   in che modo i Ministri intendano adoperarsi, per quanto di competenza, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo, per prevenire il ripetersi di simili vicende e salvaguardare la salute dei cittadini garantendo una corretta attività di stoccaggio dei rifiuti e tutelando l'equilibrio del territorio che ospita le discariche. (4-06224)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   al comma 2 dell'articolo 15 del decreto-legge n. 104 del 12 settembre 2013, convertito dalla legge n. 128 dell'8 novembre 2013, si pone quale obiettivo quello di assicurare continuità al sostegno degli alunni con disabilità attraverso l'incremento dell'organico di diritto fino alla concorrenza del 90 per cento dell'organico di fatto nel 2014-2015 e del 100 per cento nel 2015-2016, determinato in base ai posti complessivamente attivati nell'anno scolastico 2006/2007 e cioè 90.032 su base nazionale;
   l'organico di fatto attribuito alla provincia di Bari nell'ultimo triennio è stato pari a 2.949, come si evince dalle note dell'ufficio scolastico regionale n. 4853 dell'11 luglio 2013 e n. 7899 del 23 luglio 2014. Tale organico di fatto era costituito da 2387 cattedre in organico di diritto e da 562 cattedre aggiuntive, come risulta dal citato decreto dell'ufficio scolastico regionale Puglia n. 7899 del 23 luglio 2014;
   dei 562 posti aggiuntivi, 542 erano in capo alla scuola secondaria di secondo grado, numero che si ottiene sottraendo dal numero dell'organico di fatto, 983, come da nota 19 luglio 2013 dell'ufficio scolastico provinciale di Bari, il numero delle cattedre in organico di diritto, ovvero 441, come da decreto dell'ufficio scolastico regionale dell'11 aprile 2014 PROT. n. AOODRPU. 4089;
   nell'anno scolastico 2013/2014, alla scuola secondaria di secondo grado della provincia di Bari venivano assegnate 983 cattedre consolidate, di cui 441 di diritto e 542 aggiuntive, mentre agli altri ordini di scuola venivano complessivamente assegnate 1966 cattedre, di cui 1946 in organico di diritto e 20 aggiuntive, con un evidente squilibrio nel riparto nei vari ordini dell'organico di diritto. Di fatto, mentre per la scuola superiore il rapporto di 441 posti di diritto su 983 posti complessivi dell'organico di fatto, porta al 45 per cento circa di copertura, negli altri ordini si è già raggiunto quasi il 100 per cento, considerando complessivamente il rapporto di 1946 posti di diritto su 1966 di organico di fatto;
   in data 11 aprile 2014 l'ufficio scolastico regionale della Puglia con proprio decreto n. 4089 ripartiva in questo modo l'incremento dell'organico di diritto attribuito alla provincia di Bari per complessivi 355 posti: 36 alla scuola dell'infanzia, 89 alla primaria, 53 alla secondaria di primo grado ed, infine, 177 alla scuola secondaria di secondo grado, portando i nuovi organici di diritto a: 293 cattedre all'infanzia, che con 510 alunni ha un rapporto di un docente per 1,74 alunni (al di sopra della media voluta dalla norma); 1030 cattedre alla primaria per 1785 alunni con un rapporto di un docente per 1,74 alunni; 801 alla secondaria di primo grado per 1404 alunni con un rapporto di un docente per 1,75 alunni; a 618 le cattedre per la secondaria superiore per complessivi 1858 alunni con un rapporto di un docente per 3 alunni;
   il provveditore agli studi di Bari con propria nota del 25 luglio 2014, sulla base del citato decreto 7899 dell'ufficio scolastico regionale Puglia, comunicava che le cattedre in organico di fatto delle scuole secondarie superiore non erano più 983, come il precedente anno scolastico, ma 818, tagliando circa 160 cattedre. Una decisione poco comprensibile se si considera che nella provincia di Bari le iscrizioni degli alunni con disabilità alle scuole secondarie superiori sono aumentate di circa 100 unità, da 1838 (A.S. 2013/14) a 1952 (A.S. 2014/15);
   inoltre, il rapporto fra organico di diritto e organico di fatto, pur con la diminuzione di quest'ultimo, non rispetta ad avviso degli interpellanti i parametri imposti dal decreto n. 104 del 2013, visto che si raggiunge la copertura del 75 per cento circa, invece del 90 per cento per l'anno 2014-2015;
   l'ufficio scolastico provinciale di Bari ha convocato il giorno 11, 12 e 15 settembre 2014 i docenti delle aree AD01, AD02, AD03 e AD04 e ha pubblicato in data 10 settembre le disponibilità delle cattedre per queste aree; da tali disponibilità si evince che le cattedre in prima convocazione risultano essere 223 + 90 spezzoni orari circa, a fronte di numeri ben diversi per l'anno scolastico 2013/14, ovvero 553 +81 spezzoni circa in prima convocazione;
   appare chiaro come sarà necessario assegnare ulteriori cattedre per rispettare i rapporti docente/alunni, secondo le normative vigenti, e che queste saranno assegnate con il meccanismo della deroga, creando disagi e ingiustizie, non solo per gli alunni diversamente abili e le loro famiglie, costretti molte volte anche a restare a casa per qualche settimana, ma anche per i docenti precari che dovranno attendere le deroghe per vedere riconosciuto quello che è in realtà un posto consolidato –:
   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa;
   se non ritenga che si sia verificata una condizione contraria a quanto stabilito dal decreto n. 104 del 2013;
   se non ritenga che questa situazione richieda un intervento immediato per garantire la continuità didattica per gli alunni diversamente abili delle scuole secondarie di secondo grado;
   se non ritenga doveroso intervenire per approfondire la situazione e fare luce sulle cause che hanno portato al taglio dell'organico di fatto per le scuole superiori di secondo grado della provincia di Bari, a fronte di un aumento della popolazione studentesca.
(2-00699) «Scotto, Fratoianni, Pannarale».
(Presentata il 30 settembre 2014)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LIUZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia spaziale italiana è un ente pubblico nazionale, fondato nel 1988, avente il compito di promuovere, sviluppare e diffondere la ricerca scientifica e tecnologica applicata al campo spaziale e aerospaziale nonché lo sviluppo di servizi innovativi, perseguendo obiettivi di eccellenza, coordinando e gestendo i progetti nazionali e la partecipazione italiana a progetti europei ed internazionali, nel quadro del coordinamento delle relazioni internazionali assicurato dal Ministero degli affari esteri, avendo attenzione al mantenimento della competitività del comparto industriale italiano;
   il decreto legislativo n. 128 del 2003 riguardante il riordino dell'ASI, prevede: «L'A.S.I. è ente pubblico nazionale con il compito di promuovere e, sviluppare e diffondere, attraverso attività di agenzia, la ricerca scientifica e tecnologica applicata al campo spaziale e aerospaziale...»;
   Cosmo-SkyMed (CSK) è una missione spaziale di grande rilevanza realizzata dall'ASI nel campo delle osservazioni della Terra e vede in orbita quattro satelliti equipaggiati con radar ad apertura sintetica (SAR);
   il sistema è stato realizzato dalla Thales Alenia Space (TASI) del gruppo FINMECCANICA ed è costato al contribuente italiano fino ad ora 1,2 miliardi di euro circa. La TASI è partecipata per i due terzi dalla ditta francese THALES e di conseguenza, potrebbe essere considerata a tutti gli effetti di proprietà non più nazionale ma straniera;
   il sistema è di tipo duale (di impiego civile e militare) e beneficia di un co-finanziamento minoritario da parte del Ministero della difesa. Tale sistema ha l'ambizione di coprire obiettivi operativo/applicativi e solo marginalmente ha visto il coinvolgimento e prodotto benefici per la comunità scientifica nazionale;
   la commercializzazione dei dati, delle immagini CSK e lo sviluppo di applicazioni è stata affidata ad e-GEOS, una ditta di Telespazio spa, anch'essa parte del gruppo TASI-Finmeccanica, partecipata al 25 per cento dalla stessa Agenzia spaziale italiana;
   tre anni fa è stato costituito dall'ASI presso il centro di geodesia spaziale di Matera il Centro di interpretazione dati delle osservazioni della Terra (CIDOT) sulla spinta di un accordo stipulato con la regione Basilicata. Fra gli obiettivi dell'accordo vi era l'impegno di creare un distretto industriale aero-spaziale costituito da aziende Finmeccanica e piccole e medie imprese sorte e sviluppatesi nel comprensorio appulo-lucano grazie al centro ASI di Matera, CIDOT/ASI;
   la procura della Repubblica di Roma ha aperto nel mese di febbraio 2014 un fascicolo di inchiesta su alcuni dirigenti dell'Agenzia, disponendo sette iscrizioni nel registro degli indagati per corruzione e concussione, tra le quali figura lo stesso presidente dell'ASI, Enrico Saggese che si è dimesso il 7 febbraio 2014 dalla carica di presidente e diversi suoi stretti collaboratori;
   gli elementi emersi dalle indagini della procura e trapelati da articoli di stampa (Il sole 24 ore del 25 febbraio, Il fatto quotidiano del 6 febbraio 2014) evidenziano un quadro grave e preoccupante per il buon nome dell'Agenzia spaziale italiana circa la sua professionalità e credibilità a livello europeo e nazionale;
   attualmente si sta pensando di realizzare una seconda generazione di satelliti CSK composto da soli due satelliti e dal costo complessivo dimezzato rispetto alla prima. Il CSK di II generazione sta partendo senza aver prima realmente verificato i reali impatti scientifici, sociali e commerciali del primo programma, né è chiaro il valore aggiunto tecnologico che introduce;
   viste le ristrettezze economiche, sta avvenendo che tutti i finanziamenti destinati all'ASI siano stati incentrati per finanziare TASI che dovrà realizzare CSK II generazione penalizzando tutte le altre attività strategiche spaziali di respiro nazionale ed internazionale nel settore delle scienze dell'universo e della fisica fondamentale (e.g. GMES eGALILEO) e dei lanciatori spaziali per le quali l'Agenzia spaziale europea (ESA) e l'Unione europea metteranno a disposizione ingenti finanziamenti nell'ambito del programma HORIZON 2020 –:
   se sia a conoscenza dei fatti sopra citati e se essi trovino conferma;
   se intenda intervenire per orientare l'ASI, in virtù del decreto legislativo n. 128 del 2003 e del suo stesso statuto (articolo 2.2, comma a)); affinché si «sviluppi attività di ricerca scientifica e tecnologica nel settore spaziale» al fine di rafforzare il ruolo ed i compiti istituzionali dell'ASI medesima;
   dati i fatti sopra citati e le indagini sulla dirigenza, se intenda assumere iniziative affinché l'ASI  svolga per ogni commissione esterna gare ad evidenza pubblica, compresa la commercializzazione dei dati;
   se ritenga opportuno assumere iniziative per l'istituzione di un collegio ispettivo al fine di accertare se i dati CSK, ritenuti sensibili, siano stati gestiti in modo trasparente da parte del CIDOT/ASI di Matera. (5-03664)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL, DI BENEDETTO e VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo il report annuale Sguardo sull'istruzione 2014, dell'Ocse, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, la scuola italiana vive un momento di grande difficoltà per mancanza di risorse ma anche per un netto calo della fiducia degli studenti nei confronti del percorso dell'istruzione e del suo ruolo formativo;
   sembra addirittura che scuola e università non solo siano considerate piuttosto inutili per la ricerca del futuro impiego lavorativo, ma siano ormai considerate tra le cause della difficoltà dei ragazzi ad inserirsi nel mondo del lavoro, infatti Francesco Avvisati, autore della nota sull'Italia, ha spiegato che «Tutto lascia pensare che l'università e la scuola non siano viste dai ragazzi italiani e dalle loro famiglie come un aiuto per migliorare la loro posizione sul mercato del lavoro, ma come parte del problema»;
   le crescenti difficoltà incontrate nella ricerca di un lavoro, hanno demolito la motivazione dei giovani italiani nei confronti dell'istruzione causando due tipi di problema: da una parte i tassi d'iscrizione all'università in Italia hanno segnato una fase di ristagno o sono diminuiti negli anni più recenti e, dall'altra, tantissimi ragazzi abbandonano precocemente gli studi perché l'imperativo è: «Se non serve a trovare lavoro, non studio»;
   secondo lo studio «in Italia, nel 2012, quasi un giovane su tre – il 32 per cento – dai 20 ai 24 anni di età non lavorava e non era iscritto a nessun corso di studi. Si tratta dei cosiddetti Neet – Not in education, employment or training. Una percentuale in aumento di 10 punti rispetto al 2008. Nei Paesi Bassi nel 2012 i Neet erano il 7 per cento e in Austria e Germania solo l'11 per cento. Nello stesso anno, circa uno studente su sette – il 14 per cento – tra i 17enni aveva già abbandonato la scuola, con una media Ocse pari al 10 per cento»;
   restiamo un paese «con competenze di base inferiori alla media», sia tra gli studenti, sia tra gli adulti. «I giovani laureati Italiani (25-34 anni), per esempio, raggiungono appena il livello di competenze di lettura e matematiche dei loro coetanei senza titolo di studio terziario in Finlandia, in Giappone o nei Paesi Bassi»;
   siamo il Paese che investe meno (in percentuale alla spesa pubblica) sull'istruzione – appena il 9 per cento, rispetto al 13 per cento dei paesi Ocse e al 12 per cento dei 21 paesi dell'Unione europea – e l'unico a tagliare i fondi nel corso degli ultimi anni: questo costringe i genitori a spendere sempre di più, con i famosi «contributi volontari» che dal 2000 al 2011 sono raddoppiati; stesso discorso per le università, oggi finanziate abbondantemente dalle famiglie italiane che contribuiscono per un terzo delle entrate;
   secondo il Rapporto dell'Ocse Talis, Teaching and Learning International Survey, sulla condizione degli insegnanti delle scuole secondarie di primo grado, l'Italia ha anche un altro triste primato: è il paese con gli insegnanti più anziani dell'intera area Ocse, visto che l'età media di un docente di scuola media è di 49 anni, la più alta in assoluto dei 30 Paesi considerati, dove la media è di 43 anni;
   la scuola italiana deve affrontare anche il problema delle classi «pollaio»: in alcune province del Piemonte, si rischiano aule anche da 45 studenti; nella sola provincia di Torino sono state tagliate 100 classi in organico di diritto e 180 docenti alle superiori, a fronte di 2500 studenti in più; eppure i criteri per formare una classe parlano chiaro: la capienza venne innalzata in era Gelmini, con il decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 20 marzo 2009: nella scuola d'infanzia si è passati da 28 a 29 alunni per classe, alla primaria da 25 a 28 ed alle superiori si sono concesse deroghe fino alla presenza di 33 alunni, quindi, nonostante l'innalzamento, aule da più di 40 studenti sono palesemente fuori limite;
   «Dal 2012 — denuncia Marcello Pacifico, presidente dell'Anief — vi sono circa 87 mila gli studenti in più a fronte di un organico immutato. In certi casi, come accaduto in questi giorni, è stato ridotto anche il numero degli Ata, con il risultato che le scuole dovranno occuparsi della crescita formativa degli alunni con migliaia di unità in meno»;
   anche il modo in cui i professori stessi percepiscono il loro ruolo è importante e mostra segni preoccupanti: l'82 per cento dei docenti e il 92 per cento dei presidi italiani pensano che la professione dell'educatore non sia apprezzata dal consenso sociale, mentre la media Ocse si abbassa al 70 per cento per i docenti e al 56 per cento per i dirigenti scolastici;
   il sistema dell'istruzione, in particolare la formazione professionale nelle scuole, nel post-secondario e anche nelle università, dovrebbe essere al centro di una strategia per creare e valorizzare le competenze di cui il mondo del lavoro ha bisogno –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della difficile situazione in cui versa il mondo dell'istruzione italiano, come espresso in premessa, e quali azioni intenda promuovere e concretizzare per intervenire al più presto a risolvere i diversi problemi presenti e risollevare lo stato di un comparto così delicato e cruciale per la vita e il futuro del Paese. (4-06184)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 18 del decreto-legge n. 69 del 21 giugno 2013, convertito dalla legge n. 98 del 9 agosto 2013, il Governo aveva finanziato con 460,5 milioni di euro un piano rivolto al miglioramento dell'edilizia scolastica statale;
   nello specifico, il comma 8-ter dell'articolo 18 del citato decreto-legge autorizzava la spesa di 150 milioni di euro per l'anno finanziario 2014, al fine di «attuare misure urgenti di riqualificazione e di messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riferimento a quelle con presenza di amianto, nonché di garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico»; il successivo comma 8-quater prevedeva che la gestione dei fondi per l'anno 2014 fosse in capo agli enti locali;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, avendo ricevuto le graduatorie, predisposte e approvate da ciascuna regione, aveva ammesso a finanziamento 662 enti locali, con il decreto ministeriale n. 906 del 5 novembre 2013;
   il suddetto decreto assegnava agli enti locali, quindi, gli importi stabiliti e comunicati dalle regioni e imponeva, al comma 2 dell'articolo 2, l'affidamento dei lavori entro il 28 febbraio del 2014, pena la revoca dei finanziamenti. Il finanziamento prevedeva la copertura quasi totale delle spese da sostenere, fra i lavori, l'IVA, le spese tecniche, e altro;
   il 30 luglio 2014, Maria Nazzarena Agostini, sindaco del comune di Appignano del Tronto, provincia di Ascoli Piceno, invia una lettera al Governo e ai rappresentanti istituzionali dei 662 enti locali assegnatari, in cui denuncia di non aver ancora ricevuto nessuna quota del finanziamento previsto, pur avendo rispettato i tempi e le modalità previste dal decreto ministeriale n. 906 del 2013;
   inoltre, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, attraverso una comunicazione via posta elettronica certificata, indirizzata al comune di Appignano del Tronto, chiede informazioni circa l'ammontare del ribasso della gara d'appalto, l'importo di aggiudicazione e l'importo contrattuale comprensivo degli oneri per la sicurezza. Di fatto tale situazione, ad avviso dell'interrogante, disattente quanto stabilito per decreto e consente di concedere le sole somme dell'importo contrattuale e degli oneri di sicurezza, che nel caso specifico del comune di Appignano del Tronto significherebbe un minore finanziamento di 130.000 euro, con una comunicazione che avviene quando ormai sono già partiti i lavori, scaricando così sul comune quasi la metà dell'importo complessivo;
   secondo informazioni in possesso dell'interrogante, nelle scorse settimane, senza alcuna modifica al decreto n. 906 del 2013, rappresentanti del Ministero avrebbero comunicato agli enti locali assegnatari dei fondi che dalle somme da erogare vanno scomputati i ribassi d'asta ottenuti attraverso le procedure di gara;
   sembra all'interrogante paradossale e non corretto in termini di legge che una tale comunicazione avvenga dopo la pubblicazione di un decreto e dopo che gli enti locali hanno già impegnato tutte le somme ricevute. Di fatto, in molteplici casi, le somme derivanti dai ribassi d'asta finiscono per essere utilizzate a causa degli imprevisti tecnici che sovente capitano durante i lavori di manutenzione, ristrutturazione e/o messa a norma di qualunque edificio. In questo modo, i costi di eventuali imprevisti vengono scaricati sulla contabilità del comune beneficiario del finanziamento. In molti casi, invece, potrebbe accadere che in mancanza di ulteriori coperture, gli imprevisti prendano il sopravvento e i lavori subiscano una battuta d'arresto;
   il giorno 1o agosto 2014, attraverso una nota stampa, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca fa sapere che prende l'avvio il programma #scuolesicure: 1.639 interventi che erano rimasti esclusi dal cosiddetto «Decreto del fare», attraverso uno stanziamento di 400 milioni di euro, come da delibera CIPE del 30 giugno 2014. Inoltre, il Ministero fa sapere che «Altri 381 interventi, presenti sempre nelle graduatorie del dl del “Fare”, saranno finanziati con i ribassi d'asta. Sempre con i ribassi si finanzieranno fino a ulteriori 845 interventi, per il conseguimento del certificato di agibilità e per il completamento della messa a norma»;
   al momento i comuni non hanno ricevuto alcuna somma e sono quindi costretti ad anticiparle per non incorrere in contenziosi con le ditte esecutrici, oppure, se le casse non consentono, vista la situazione di difficoltà, si trovano già a rispondere a citazioni legali per gravi ritardi sui pagamenti;
   appare all'interrogante lesivo e contra legem non aver comunicato in tempo utile 662 enti locali assegnatari l'esatta quantità di fondi di cui sarebbero stati destinatari, pur in presenza di un bando pubblico e di un decreto ministeriale che davano indicazioni differenti, provocando disagi sia allo svolgimento dei lavori, sia alla contabilità degli enti –:
   per quale ragione non siano ancora stati erogati i contributi stabiliti;
   se i ribassi d'asta dei progetti assegnatari sulla base del decreto ministeriale n. 906 del 2013 saranno utilizzati per finanziare gli interventi di #scuolesicure e a quanto ammontino i ribassi d'asta.
(4-06219)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la dismissione del patrimonio abitativo degli enti previdenziali pubblici e «privatizzati» rappresenta un tema di viva attenzione e preoccupazione per decine di migliaia di famiglie italiane, concentrate nelle grandi città ed in particolare a Roma;
   molte famiglie di conduttori vivono una condizione di grave disagio per la crescente crisi economica e sociale che compromette reddito e potere d'acquisto in un contestuale aumento degli affitti richiesti dagli enti suddetti, aggravando quindi l'emergenza abitativa già assai preoccupante;
   in molte occasioni il Parlamento ha sollecitato il Governo ad adottare presso gli enti iniziative volte a favorire presso i conduttori azioni finalizzate alla vendita o al rinnovo dei contratti di affitto a condizioni socialmente sostenibili;
   per quel che riguarda gli enti previdenziali pubblici – patrimonio abitativo INPS ed ex INPDAP – la Camera dei deputati ha approvato – dopo numerosi altri atti – da ultimo una mozione (n. 1/00011 a prima firma MORASSUT – del 5 dicembre 2013) nella quale si impegnava il Governo a dare all'INPS – che lo aveva per iscritto richiesto – un chiaro indirizzo per la ripresa delle vendite ai conduttori del patrimonio immobiliare abitativo, secondo le condizioni ed i prezzi regolati dalla legge n. 410 del 2001;
   circa il 90 per cento dell'inquilinato INPS/INPDAP ha usufruito delle condizioni fissate da quella legge e che sarebbe dunque fonte di disparità di trattamento non applicarla per il restante 10 per cento comunque costituito da oltre 15 mila famiglie, in gran parte di pensionati e ceto medio basso;
   nella stessa mozione, non potendo all'epoca equiparare in modo diretto, enti previdenziali pubblici ed enti previdenziali privatizzati, si impegnava comunque il Governo ad adoperarsi al fine di favorire presso gli enti privatizzati modalità di vendita di fatto simili alla 410;
   nella stessa mozione si impegnava altresì il Governo a fornire all'INPS un chiaro indirizzo per la soluzione del problema dei cosiddetti Sine Titulo, occupanti senza contratto ma regolarmente paganti canoni d'affitto e spese condominiali;
   per quanto riguarda la situazione degli enti previdenziali privatizzati la richiesta di modalità di vendita aderenti allo spirito e alle condizioni della legge n. 410 del 2001 si è rafforzata enormemente dopo la approvazione della suddetta mozione a causa della approvazione di varie ordinanze e sentenze di TAR e Consiglio di Stato che hanno sollevato il tema del carattere pubblico di questi enti anche per quel che riguarda la gestione dei patrimonio immobiliare (vedi sentenze CDS VI Sez del 15 gennaio 2014 e del 29 novembre 2012 e del TAR LAZIO III Sez. del 11 luglio 2014);
   forti riserve e gravi dubbi di corretta gestione finanziaria debbono essere sollevati riguardo a taluni enti privatizzati in particolare per quel che riguarda la gestione del patrimonio mobiliare ed immobiliare e che in alcuni casi ha condotto a inchieste giudiziarie o a rovesci tali da comprometterne la stabilità oltre all'immagine;
   tale situazione genera sfiducia e malcontento tra i cittadini in generale e tra i conduttori degli alloggi costretti a fare i conti con le suddette difficoltà percependo al tempo stesso una situazione di opacità che sembra fare della vendita del patrimonio immobiliare abitativo una occasione per sanare errate scelte nel campo degli investimenti finanziari e azionari;
   in molte situazioni sono state sollevate motivate contestazioni circa i criteri di stima con i quali vengono definiti i prezzi delle vendite degli alloggi da parte degli enti privatizzati e delle SGR cui il patrimonio stesso è stato in vari casi conferito, sicché il valore di mercato è largamente scavalcato verso l'alto nonostante il verticale calo dei prezzi avvenuto negli ultimi anni;
   le vendite o le riofferte di vendita avvengono senza reali garanzie sui preliminari interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria indispensabili dopo tanti anni di logoramento degli stabili –:
   come il Governo intenda dar seguito a quanto deliberato a seguito dell'approvazione della mozione n. 1-00011 del 5 dicembre 2013 in relazione alla dismissione del patrimonio abitativo di INPS ed ex INPDAP;
   come intenda – per quanto riguarda gli enti previdenziali privatizzati – esercitare il ruolo di vigilanza in particolare sulle dismissioni del patrimonio abitativo alla luce delle menzionate sentenze del TAR e del Consiglio di Stato.
(2-00698) «Morassut, Rosato».
(Presentata il 30 settembre 2014)

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   attesa della riforma degli ammortizzatori sociali si è in presenza di una serie di emergenza legata ai percettori di ammortizzatori in deroga;
   la situazione più critica riguarda i lavoratori in mobilità in deroga che hanno percepito l'indennità da più di tre anni;
   con il decreto interministeriale 1o agosto 2014 n. 83473, sono stati modificati sostanzialmente i criteri per la concessione degli ammortizzatori sociali in deroga; questo ai sensi di quanto previsto dalla cosiddetta legge Fornero in tema di ammortizzatori sociali;
   l'articolo 3 del citato decreto interministeriale prevede infatti che per i percettori di mobilità in deroga che abbiano superato i tre anni cessino di beneficiarne trascorsi 5 mesi più tre per i lavoratori residenti nelle aree di cui al decreto del Presidente della Repubblica 218 del 1978;
   in diversi casi sono stati sottoscritti però accordi regionali che assicuravano il trattamento fino al 31 dicembre 2014 quindi ben oltre il termine del 31 agosto 2014;
   si è tuttora in attesa di circolari esplicative da parte del ministero e dell'Inps sul futuro di queste platee;
   si è nell'incertezza se per questi lavoratori al termine del beneficio dell'ammortizzatore in deroga scatti il beneficio dell'assicurazione sociale per l'impiego (ASPI) per il periodo massimo in relazione all'età anagrafica;
   spesso, infatti, si tratta di lavoratori ultracinquantenni già penalizzati dall'entrata in vigore della legge di modifica dei criteri di accesso alla pensione e per i quali il mercato del lavoro è fortemente compromesso per via dell'anzianità;
   sarebbe allo studio del Governo, come si apprende dagli organi di informazione, una ipotesi di modifica dei criteri di accesso alla pensione con una sorta di anticipo dell'assegno salvo poi restituire quanto percepito in anticipo progressivamente nel corso del tempo;
   le organizzazioni sindacali hanno sollecitato il Governo ad intervenire per avere certezze sul futuro di questi lavoratori;
   in alcune realtà territoriali in cui il problema è molto avvertito, come ad esempio nei comuni di Ferrandina e Bernalda in provincia di Matera sono stati allestiti dei presidi permanenti da parte di lavoratori in queste condizioni che chiedono alle istituzioni di fare chiarezza –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per chiarire quanto riportato in premessa e per assicurare ai lavoratori in questione la copertura dell'ammortizzatore in deroga fino al 31 dicembre 2014 e predisporre, di concerto con le regioni, anche in vista della prossima legge di stabilità, misure di sostegno al reddito, con copertura previdenziale, finalizzate al ricollocamento al lavoro e al pensionamento di chi è in possesso di determinati requisiti anagrafici e contributivi, anche in deroga alla normativa vigente. (3-01062)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRATAVIERA e FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia del 30 settembre 2014 quella di un nuovo tasso record della disoccupazione giovanile. L'Istat nel suo bollettino ha rilevato che il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è pari al 44,2 per cento, ed è ancora in crescita 1,0 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 3,6 punti nel confronto tendenziale;
   si tratta del dato più alto dal 1977, ovvero dall'inizio delle serie storiche trimestrali; un dato allarmante che fotografa la preoccupante situazione in cui versano i giovani, privi di un futuro lavorativo;
   tale preoccupazione trova conferma anche nell'ultimo rapporto del Cnel, ove si dice «impossibile tornare ai livelli di occupazione pre-crisi»;
   dinanzi a questo scenario sconcerta la politica seguita dal Governo in carica, che di fatto ha innescato una «guerra tra poveri»;
   ad esempio, nel decreto-legge cosiddetto «Sblocca Italia», in fase di conversione in legge in Parlamento, quasi 12 milioni di euro (11.757.411 euro) a copertura di una quota degli ammortizzatori in deroga per il 2014 si rinvengono mediante riduzione del Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell'incremento in termini quantitativi e qualitativi dell'occupazione dei giovani e delle donne;
   pur ribadendo la necessità di finanziare gli ammortizzatori in deroga, unico strumento di sostentamento per i lavoratori delle piccole e medie imprese colpiti dalla crisi, stupisce l'atteggiamento della maggioranza governativa di sottrarre risorse alle politiche attive del lavoro in favore di quelle passive ed al contempo di sprecarne altre in operazioni come mare nostrum di dubbia efficacia –:
   quali concrete e reali misure il Governo intenda urgentemente mettere in campo per contrastare il trend negativo, esponenzialmente in crescita, della disoccupazione giovanile;
   quanti siano gli assunti ad oggi in attuazione del «piano italiano di attuazione della garanzia per i giovani» (Youth Guarantee). (5-03681)


   LOSACCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta del Mezzogiorno, in data 29 settembre 2014, ha pubblicato un servizio riguardante la complessa e drammatica vicenda di un ragazzo di Bari, Fabio Alfredo Mazzetti, affetto da «tetraparesi spastica»;
   il ragazzo dopo aver perso la madre vive con il padre il quale è a sua volta affetto da un tumore;
   nel corso di questi mesi ha inviato una serie di lettere richiamando l'attenzione delle istituzioni in merito alla sua vicenda e all'accesso alle strutture del cosiddetto «dopo di noi»;
   il Signor Mazzetti è ovviamente preoccupato di quello che sarà della sua persona nel momento in cui il padre dovesse venire a mancare e la sua vicenda è comune alla maggior parte delle persone affette da disabilità o malattie invalidanti che richiamano il problema della non autosufficienza;
   è del tutto evidente che per quanto la competenza spetti a regioni ed enti locali la questione del cosiddetto «dopo di noi» rappresenti una vera emergenza soprattutto nel Mezzogiorno che sconta i ritardi maggiori nella presenza di strutture in grado di soddisfare una domanda di assistenza come nel caso riportato in premessa –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per dar vita, usando anche le risorse rivenienti dalla programmazione dei fondi comunitari, a un piano nazionale di potenziamento del cosiddetto «dopo di noi», che metta il Mezzogiorno nelle condizioni di superare le attuali carenze e consenta di dare risposte alla domanda di assistenza che vede numerosi casi come quello di cui in premessa. (5-03685)


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sarebbero stati disposti il trasferimento e l'accorpamento nella città di Nocera Inferiore della sede INPS da tanti anni ubicata nel comune di Cava dei Tirreni, che vanta una popolazione superiore ai 53.000 abitanti; Cava dei Tirreni costituisce per popolazione residente la seconda città della provincia di Salerno, dopo il capoluogo;
   la sede INAIL di Cava dei Tirreni serve un esteso territorio, che ricomprende ben diciassette frazioni, in un'area estremamente disseminata ed eterogenea, con un rilevante bacino di popolazione e con un elevato numero di persone anziane;
   di conseguenza, la sede INAIL di Nocera Inferiore svolge i suoi molteplici compiti istituzionali al servizio di una rilevante utenza, che versa spesso in condizioni di grave disagio fisico e di salute, soggetta ad evidenti e pesanti difficoltà di movimento e spostamento;
   per tale utenza il trasferimento a Nocera Inferiore della sede INPS determinerebbe gravi e pesanti disagi, per poter usufruire delle diverse prestazioni previdenziali ed assistenziali rientranti nella competenza dell'Istituto nazionale di previdenza sociale, con continui spostamenti per alcuni chilometri, per di più in una situazione molto difficile e disagiata del trasporto pubblico in quella zona;
   fra l'altro, il comune di Cava dei Tirreni è nelle condizioni di porre a disposizione locali idonei per assicurare la conservazione degli uffici INPS in quella città, senza alcun onere per l'Istituto ed assumendo le relative spese a proprio carico;
   del resto, questo trasferimento di sede non produrrebbe alcun risparmio effettivo, tenuto conto che gli attuali uffici di Nocera Inferiore non possono fronteggiare gli accresciuti carichi di lavoro e di prestazioni; ne deriverebbe, altresì, un negativo e inevitabile appesantimento delle attività e del funzionamento della sede INPS di Nocera inferiore –:
   quali iniziative il Ministro intenda doverosamente assumere, nell'esercizio delle sue competenze istituzionali, per verificare approfonditamente la situazione sopradescritta e per evitare il trasferimento della sede INAIL da Cava dei Tirreni a Nocera Inferiore, che provocherebbe unicamente pesanti disagi e gravi ed ingiustificate difficoltà alla vasta utenza ed ai cittadini di Cava dei Tirreni, che sarebbero costretti a onerosi spostamenti, senza produrre alcun risparmio finanziario reale per l'Istituto. (5-03686)


   BURTONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i 69 lavoratori della Myrmex di Catania sono attualmente in cassa integrazione ordinaria a zero ore e l'ammortizzatore scadrà il prossimo mese di febbraio 2015;
   il centro di ricerca di eccellenza è nato nel 1976 ed è stato ceduto in ultimo da Pfizer proprio a Myrmex e si occupa di sperimentazione preclinica di molecole farmacologicamente attive;
   è uno dei centri più importanti di tutto il Mezzogiorno ed ha una rilevanza internazionale;
   non vi è molto tempo a disposizione per evitare il baratro del licenziamento che costituirebbe un ulteriore drammatica ferita ad un tessuto industriale fortemente compromesso;
   è indispensabile attivare tutte le sinergie istituzionali necessarie per affrontare la questione della cessione del ramo d'azienda;
   per fare questo è indispensabile che il Governo si attivi –:
   quali iniziative il Governo intenda promuovere nell'immediato per attivare un tavolo tecnico in sede ministeriale per individuare nuove proposte ed eventuali manifestazioni di interesse finalizzate a dare una prospettiva industriale al sito salvaguardando i livelli occupazionali considerato il loro elevato know how.
(5-03687)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è scaduta il 29 settembre 2014 l'ultima proroga della cassa integrazione straordinaria, per gli oltre 90 dipendenti del gruppo Alimonti (50 nello stabilimento di Caldari);
   i commissari liquidatori Remo Di Giacomo e Gianni Di Battista vorrebbero attivare in tempi stretti la mobilità per i lavoratori: una possibile via di uscita sarebbe un ulteriore rinnovo della cassa integrazione guadagni straordinaria, con il consequenziale ripristino del legame tra azienda e lavoratori proprio in una fase cruciale;
   da oggi parte il conto alla rovescia che per la procedura di mobilità vede 75 giorni di tempo, un periodo che se utilizzato per intero darebbe ai dipendenti la possibilità di rientrare al lavoro se le cinque tornate di messa all'incanto previste dovessero alla fine sortire il passaggio di proprietà dei tre immobili del gruppo (oltre a Caldari, il deposito di Guardiagrele e la Romana macinazione al Flaminio, nella Capitale);
   i sindacati sottolineano come siano forti le preoccupazioni per l'ennesima chiusura di un polo produttivo nel Chietino e in Abruzzo –:
   se non ritenga doveroso promuovere un'iniziativa urgente con le parti sociali e gli enti locali per cercare soluzioni produttive e occupazionali e scongiurare questo dramma occupazionale. (4-06202)


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Evraz Palini e Bertoli di San Giorgio di Nogaro (Udine), che opera nel settore siderurgico, è chiusa dal mese di agosto 2013. Dopo i primi tre mesi di cassa ordinaria a ore zero – motivata da condizioni di mercato non favorevoli – si sta avvicinando il suo termine di scadenza, previsto per il 25 novembre 2014;
   questo periodo di chiusura dell'azienda è stato caratterizzato da quella che all'interrogante appare una latitanza dei vertici della società, nonché dalla assenza delle istituzioni italiane in questa vicenda. Difatti, non vi è stato alcun intervento dell'Esecutivo per sollecitare un confronto con la proprietà della società, nonostante la grave situazione dei lavoratori della Evraz sia stata esposta dall'interrogante con precedenti atti di sindacato ispettivo;
   in occasione dell'ultimo incontro tra i dipendenti e la direzione, è stato riferito che l'azienda non intende chiudere, ma non sussistono ancora i presupposti economici per riavviare la produzione;
   nel frattempo, la società ha cambiato amministratore delegato e si è trasformata da società per azioni in società a responsabilità limitata, sebbene non vi sia stata una variazione di capitale;
   dunque, ad oggi, non vi è certezza sul futuro dell'azienda e quindi sul destino dei suoi lavoratori;
   ebbene, la cassa integrazione sta per scadere e i termini legali per mettere i lavoratori in mobilità sono già scaduti. Intanto, le uniche dichiarazioni dei vertici dell'Evraz sono state rilasciate attraverso l'ambasciatore italiano a Mosca, ove ha sede il gruppo Evraz. Al riguardo, si dichiara che l'Evraz intende attuare una ristrutturazione degli impianti ed avviare la produzione nel 2015. Di conseguenza, si propone di avanzare una nuova richiesta di cassa integrazione per ristrutturazione;
   tali dichiarazioni, tuttavia, non sono accompagnate da nessun piano industriale che possa garantire la solidità delle intenzioni dei vertici societari;
   si ritiene, pertanto, necessaria la costituzione di un tavolo di concertazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, affinché venga fatta chiarezza sul destino e le prospettive dell'Evraz Palini e Bertoli di San Giorgio di Nogaro, al fine di individuare le azioni più idonee a tutela dei lavoratori, che ad oggi, vivono in uno stato di totale incertezza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti in premessa e quali siano i propri orientamenti;
   se e quali iniziative intenda adottare al fine di promuovere un tavolo di concertazione tra le parti interessate, per favorire una corretta gestione delle relazioni industriali e sindacali ed individuare un piano industriale che consenta alla Evraz Palini e Bertoli di San Giorgio di Nogaro di salvaguardare i lavoratori.
(4-06206)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   PIEPOLI e CERA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si registrano forti preoccupazioni tra gli operatori del settore agricolo pugliese: a pochi giorni dall'inizio della raccolta delle olive, i produttori stimano un calo della produzione dell'80 per cento e non certo solo per la Xylella, ma anche per un'annata eccezionale di riduzione fisiologica della produzione e per altre patologie (rinchite, mosca dell'olivo ed altre) che stanno assediando gli ulivi pugliesi; la peronospora ha aggredito molti vigneti del barese; la riduzione delle superfici seminate a grano duro sta diventano sempre più cronica per finire con gli effetti negativi di una concorrenza sleale nel settore lattiero caseario;
   a questo si deve aggiungere il calo della domanda dovuta all'embargo dei prodotti agroalimentari imposto alla Russia, senza dimenticare la tragedia dell'alluvione del Gargano di cui si contano ancora i danni;
   secondo il presidente della Coldiretti vi sarebbe un pacchetto di misure già concordate che aspettano di essere messe in campo e si attenderebbe la nomina di commissario unico straordinario per portarle a termine –:
   se non ritenga di adottare rapidamente le iniziative idonee a compensare i danni causati dalle intemperie e dalle malattie, soprattutto al fine di salvaguardare un settore che rappresenta un patrimonio inestimabile per il nostro Paese, oltre che fonte di reddito per migliaia di famiglie pugliesi. (3-01056)


   FORMISANO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la situazione nella cosiddetta «Terra dei fuochi» è sempre molto grave anche per quel che riguarda la produzione agricola locale;
   in alcune delle zone, infatti, si può dire che essa sia del tutto compromessa, mentre in altre è molto grave ma non ancora tale da rendere necessario un divieto di consumo per i prodotti alimentari provenienti da quelle zone, pur essendo necessari doverose cautele e controlli approfonditi sui sopracitati prodotti;
   infine, esistono altre realtà le quali, pur insistendo anch'esse nella cosiddetta «Terra dei fuochi», sono del tutto estranee a qualunque forma d'inquinamento;
   la complessità della situazione danneggia proprio le aziende agricole che operano in aree non inquinate e che rischiano fortemente di vedere i loro terreni accomunati da un'opinione pubblica allarmata a quelli inquinati e pericolosi, con l'impossibilità di immettere sul mercato prodotti agricoli che pure non presentano alcun pericolo per la salute;
   questa situazione è dovuta ad una mancanza di informazioni chiare ed ufficiali che evidenzino quali siano le zone nelle quali i prodotti agricoli sono esenti dai fenomeni di inquinamento presenti in altre parti della «Terra dei fuochi» –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza e in collaborazione con la regione Campania e con i comuni dell'area interessata, abbia predisposto o stia predisponendo, una mappatura completa della zona, in modo da stabilire con chiarezza quali siano i siti agricoli inquinati totalmente, quali quelli parzialmente e, infine, quali quelli del tutto non coinvolti dai fenomeni di inquinamento, in modo da evitare che l'attuale situazione di confusione danneggi proprio questi ultimi.
(3-01057)


   GUIDESI, FEDRIGA, CAON, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le contromisure attivate dal Governo russo, a seguito delle sanzioni nei suoi confronti decretate dall'Unione europea, con il divieto di ingresso per una lista di prodotti agroalimentari che vanno dalla frutta e verdura, ai formaggi, alla carne, ai salumi e al pesce, costano al nostro Paese quasi 200 milioni di euro;
   i settori più penalizzati sono: l'ortofrutta che ha un fatturato di esportazioni nel 2013 di 72 milioni di euro; le carni per 61 milioni di euro; latte, formaggi e derivati per 45 milioni di euro. Sono stati colpiti anche prodotti di eccellenza come il parmigiano reggiano e il grana padano, per un export del valore di 15 milioni di euro;
   ai danni diretti si devono necessariamente aggiungere quelli «indiretti» che potrebbero portare a conseguenze ancor più devastanti ed avere effetti protratti nel tempo. Questi potrebbero configurarsi nel rischio di un danno, anche definitivo, ai rapporti commerciali con la Russia che potrebbero non riprendersi una volta che, finito l'embargo, i produttori italiani siano stati sostituiti da quelli provenienti da altri Paesi; a ciò vanno aggiunti il danno di immagine, in quanto entrerebbero nel mercato russo imitazioni delle eccellenze italiane che nulla hanno a che fare con il made in Italy, nonché ripercussioni sull'indotto afferente al mondo dei trasporti e del packaging, ed infine il rischio di dirottamento nel mercato italiano di prodotti agroalimentari di bassa qualità degli altri Paesi che non trovano più sbocchi in quello russo;
   i danni indiretti hanno comportato conseguenze immediate come il calo dei prezzi sul mercato interno, colpendo anche i prodotti che, pur non esportati in Russia, si troveranno a fare i conti con l'aumento dell'offerta sul mercato di prodotti similari provenienti dagli altri Paesi, che prima dell'embargo esportavano in Russia, e che ora si trovano ad essere presenti prepotentemente nel mercato italiano a prezzi decisamente inferiori, entrando in concorrenza con il prodotto italiano. Si sa, purtroppo, che i consumatori, stante anche la crisi economica che colpisce «le tasche» dei cittadini italiani, preferiscono molto spesso comprare a prezzi più bassi, ignorando la qualità del prodotto che si acquista;
   dimostrazione del calo dei prezzi è data dal parmigiano reggiano che, oltre ad affrontare un calo del 9,2 per cento rispetto al 2013, prima dell'embargo si vendeva all'ingrosso a 7,70 euro al chilo, mentre ora a 7 euro, mentre il grana padano si vendeva a 6,80 euro al chilo ed ora a 6,10 euro. Facendo un rapido conto si arriva a perdite per oltre 250 milioni di euro solo per questi due prodotti;
   per contrastare i danni subiti dall'embargo russo, la Commissione europea aveva emanato due regolamenti delegati, uno del 29 agosto 2014 relativo a misure di sostegno eccezionali a carattere temporaneo per i produttori di taluni prodotti ortofrutticoli e l'altro del 5 settembre 2014, relativo alla concessione di aiuti per l'ammasso privato di formaggi;
   per la frutta fresca e deperibile erano stati stanziati 125 milioni di euro – che vanno però spalmati tra tutti i Paesi europei in difficoltà, cifra irrisoria rispetto all'entità della crisi in termini economici ed occupazionali – un intervento straordinario che prevedeva un sostegno supplementare temporaneo per le operazioni di ritiro dal mercato, mancata raccolta e raccolta verde, effettuate dai produttori nel periodo compreso tra il 18 agosto ed il 30 novembre 2014, relativamente a 14 prodotti e l'accesso a tali misure anche ai produttori non aderenti alle organizzazioni di produttori, mentre per i formaggi venivano messi a disposizione sostegni per accogliere nei magazzini fino a 155 mila tonnellate di prodotto;
   nel regolamento relativo ai prodotti ortofrutticoli i prodotti interessati e ammissibili erano: pomodori, carote, cavolo bianco, peperoni, cavolfiori, cetrioli, cetriolini, funghi del genere «agaricus», mele, pere, frutti rossi (lamponi, more, ribes e mirtilli), uva da tavola e kiwi, ma non veniva tenuta in considerazione frutta estiva (ad esempio, angurie, meloni, susine e albicocche), nonché le patate e le cipolle;
   purtroppo il 10 settembre 2014 la Commissione europea ha deciso di fermare, con effetto immediato, il regolamento relativo all'ortofrutta che si è vista negare gli aiuti anticrisi per il comportamento ritenuto «disinvolto» da parte di alcuni Paesi europei, che lamentavano cifre impossibili per i danni subiti dall'embargo russo;
   cosa analoga era avvenuta il 23 settembre 2014 al sistema degli stoccaggi privati dei formaggi, lasciando invece aperti gli interventi già previsti per l'ammasso di latte in polvere e burro. All'origine della decisione del repentino «blocco», secondo le dichiarazioni del portavoce del Commissario europeo all'agricoltura, Dacian Ciolos, ci sarebbe l'uso improprio dello strumento da parte dei produttori di formaggi a causa della numerosità di richieste comunicate da alcune zone che tradizionalmente non esportano quantità significative di formaggi in Russia. La rapidità della decisione è dovuta al trend pericoloso che si stava delineando, sempre secondo le dichiarazioni di Ciolos, che avrebbe portato a superare il plafond assegnato;
   per pesche e nettarine, l'Italia, nel periodo 11 agosto – 12 settembre 2014, ha ritirato prodotto per 9.452 tonnellate, pari al 39 per cento del totale dell'Unione europea. Nel dettaglio sono 1.303 tonnellate di pesche (di cui 231 per la distribuzione gratuita) e 8.149 tonnellate di nettarine (di cui 1.513 per la distribuzione gratuita). I dati dimostrano che la Polonia ha fatto la parte del leone con l'87 per cento del totale delle richieste, evidentemente grazie alle indennità elevate per i loro costi di produzione. È necessario che, nel prossimo provvedimento della Commissione europea, le indennità di ritiro vengano innalzate tenendo conto dei costi di produzione;
   per il settore dei formaggi in totale sono state presentate domande di aiuto per 84.962 tonnellate su un tetto massimo di 155 mila. Ad aver maggior peso le richieste dei produttori italiani, che ammontano a 74.254 tonnellate, in cui i formaggi dop e igp sono i più rappresentati;
   mentre per l'ortofrutta si attende una prossima decisione da parte della Commissione europea di nuovi aiuti – si sta stabilendo da dove prelevare i fondi: se dal bilancio agricolo o dalla riserva di crisi degli agricoltori – per i formaggi il futuro è ancora confuso;
   sembra che sia allo studio un nuovo regolamento che prevede una rimodulazione delle misure a sostegno sulla base dei quantitativi esportati verso la Russia che prevede contributi per Stato membro e per gruppi di prodotti, in base ai dati delle esportazioni del 2013;
   sembra, inoltre, che sia intenzione della Commissione europea tutelare comunque le aspettative degli operatori che hanno presentato domanda di aiuto e ritenere che le domande introdotte prima dell'entrata in vigore del fermo della misura di aiuto dovrebbero essere prese in considerazione per il versamento dell'aiuto previsto;
   paradosso di questa situazione di guerra commerciale con la Russia è che non solo il nostro Paese ne è pesantemente colpito a livello economico e di immagine, ma anche la Russia stessa in quanto si prevede un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, per il 2015, del 12-13 per cento. Oltre al danno economico i cittadini russi subiscono la sparizione dagli scaffali dei supermercati e dai menu dei ristoranti di alcuni prodotti alimentari tipici italiani come, ad esempio, il prosciutto di San Daniele, il parmigiano reggiano, il grana padano, ma anche mele, pesche e pere. La rischiosa conseguenza sia per la Russia che per il nostro Paese è quella di incrementare il fenomeno dell’italian sounding, ovvero prodotti di scarsa qualità e a costi notevolmente inferiori che richiamano la tradizione italiana senza averne le caratteristiche, ingannando il consumatore. Si tratta di un fenomeno contro il quale il nostro Paese sta combattendo da tempo e che porta danni ingenti al made in Italy –:
   se il Governo non ritenga opportuno, cogliendo l'occasione del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, proporre soluzioni immediate ed efficaci per l’export agroalimentare italiano che prevedano misure di sostegno che siano eque e trasparenti nella ripartizione delle risorse e che tengano conto delle diverse realtà produttive e del diverso impatto che le azioni sanzionatorie e le contromisure dell'embargo russo hanno avuto, adoperandosi anche presso la Commissione europea affinché adotti, nel più breve tempo possibile, il nuovo regolamento in quanto l'agricoltura ed il nostro Paese non possono permettersi tempi di attesa troppo lunghi a causa della burocrazia elefantiaca di Bruxelles, e se intenda intervenire presso le competenti autorità europee affinché sia messa in atto un'incisiva attività diplomatica mirante a trovare i giusti compromessi per superare l'attuale e i futuri embarghi che rischiano di compromettere in maniera irreversibile i rapporti con uno dei maggiori partner commerciali per le imprese italiane. (3-01058)


   OLIVERIO, SANI, FIORIO, MONGIELLO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CARRA, CENNI, COVA, COVELLO, DAL MORO, MARROCU, PALMA, PRINA, ROMANINI, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VENITTELLI, ZANIN, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come il Ministro interrogato ha illustrato nella conferenza stampa della scorsa settimana, nei primi 8 mesi del 2014 gli organi di controllo del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali hanno operato oltre 60 mila controlli e sequestri per 32 milioni di euro;
   il sistema dei controlli sull'agroalimentare, basato sull'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari, il Corpo forestale dello Stato, i carabinieri del nucleo antifrode e la Capitaneria di Porto, sta incrementando costantemente l'attività di tutela del patrimonio agroalimentare italiano;
   a livello europeo, il meccanismo di tutela ex officio delle produzioni agroalimentari di qualità di denominazione di origine protetta e indicazione geografica protetta, che vede il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali maggiore attore tra tutti i Paesi europei, sta già dando importanti risultati e molti sono già i casi attivati di tutela per alcuni fondamentali prodotti del made in Italy quali il parmigiano reggiano, l'aceto balsamico di Modena, il prosciutto San Daniele, i kit di mozzarella cheese, parmesan, romano ed altri;
   in queste ore il Ministro interrogato sta presiedendo il vertice informale dei Ministri dell'agricoltura dell'Unione europea a Milano;
   nel predetto vertice potranno essere affrontati temi legati al cosiddetto «cibo vero» ed alla sicurezza alimentare, che saranno alla base dell'evento Expo 2015;
   grazie al pacchetto qualità del 2012, ottenuto con il determinante impulso dell'Italia, le produzioni agroalimentari di qualità sono da considerarsi non più semplici prodotti agricoli o «cibo», ma patrimonio culturale dell'Unione europea, la cui tutela è direttamente prevista dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   in tale contesto è particolarmente importante la lotta alla contraffazione sul web dei prodotti italiani, che sta avendo in questi mesi un impulso nuovo grazie anche ad importanti collaborazioni tra il delle politiche agricole, alimentari e forestali e alcuni player dell’e-commerce, come illustrato nella predetta conferenza stampa;
   alla luce della strategicità del settore agroalimentare nell’export italiano, le azioni a tutela dei prodotti italiani sono assolutamente strategiche per un solido rilancio dell'economia –:
   cosa intenda fare il Governo per aumentare la cooperazione europea in funzione della maggiore tutela del patrimonio agroalimentare italiano, quali strumenti intenda varare per un'incisiva tutela dei prodotti italiani anche nell’e-commerce e se nel corso del vertice informale dei Ministri dell'agricoltura dell'Unione europea a Milano il Ministro interrogato abbia potuto avere scambi di opinione al riguardo anche in prospettiva di Expo 2015.
(3-01059)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GUIDESI e CAON. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le contromisure attivate dal Governo russo, a seguito delle sanzioni nei confronti della Federazione russa decretate dall'Unione europea, con il divieto all'ingresso di una lista di prodotti agroalimentari che vanno dalla frutta e verdura, ai formaggi, carne, salumi e pesce, costano al nostro Paese quasi 200 milioni di euro;
   i settori più penalizzati sono l'ortofrutta che ha un fatturato di esportazioni nel 2013 di 72 milioni di euro, le carni per 61 milioni di euro, latte formaggi e derivati per 45 milioni di euro. Sono stati colpiti anche prodotti di eccellenza come il parmigiano reggiano e il grano padano, per un export del valore di 15 milioni di euro;
   ai danni diretti si devono necessariamente aggiungere quelli «indiretti» che potrebbero portare a conseguenze ancor più devastanti ed avere effetti protratti nel tempo. Questi potrebbero configurarsi nel rischio di un danno, anche definitivo, ai rapporti commerciali con la Russia che potrebbero non riprendersi una volta che, finito l'embargo, i produttori italiani siano stati sostituiti da quelli provenienti da altri Paesi; a ciò vanno aggiunti il danno di immagine, in quanto entrerebbero nel mercato russo imitazioni delle eccellenze italiane che nulla hanno a che fare con il made in Italy, nonché le ripercussioni sull'indotto afferente al mondo dei trasporti e del packaging, ed infine il rischio di dirottamento nel mercato italiano di prodotti agroalimentari di bassa qualità degli altri Paesi che non trovano più sbocchi in quello russo;
   i danni indiretti hanno comportato conseguenze immediate come il calo dei prezzi sul mercato interno. Il parmigiano reggiano, oltre ad affrontare un calo del 9,2 per cento rispetto allo scorso anno, prima dell'embargo si vendeva all'ingrosso a 7,70 euro al chilogrammo mentre ora a 7 euro, mentre il grana padano si vendeva a 6,80 euro al chilogrammo ed ora a 6,10 euro. Facendo un rapido conto, si arriva a perdite per oltre 250 milioni di euro solo per questi due prodotti;
   per contrastare i danni subiti la Commissione europea aveva deciso, con regolamento pubblicato il 5 settembre 2014, di aprire gli stoccaggi privati dei formaggi mettendo a disposizione sostegni per accogliere nei magazzini fino a 155 mila tonnellate di prodotto;
   purtroppo il 23 settembre 2014 sempre la Commissione europea ha deciso di fermare, con effetto immediato, il sistema di aiuti all'ammasso privato per i formaggi, restando invece aperti gli interventi già previsti per l'ammasso di latte in polvere e burro;
   all'origine della decisione del repentino «blocco», secondo le dichiarazioni del portavoce del commissario europeo all'agricoltura Dacina Ciolos, ci sarebbe l'uso improprio dello strumento da parte dei produttori di formaggi a causa della numerosità di richieste comunicate da alcune zone che tradizionalmente non esportano quantità significative di formaggi in Russia. La rapidità della decisione è dovuta al trend pericoloso che si stava delineando, sempre secondo le dichiarazioni di Ciolos, che avrebbe portato a superare il plafond assegnato;
   in totale sono state presentate domande di aiuto per 84.962 tonnellate su un tetto massimo di 155 mila. Ad aver maggior peso le richieste dei produttori italiani, che ammontano a 74.254 tonnellate, in cui i formaggi dop e igp sono i più rappresentati;
   cosa analoga era avvenuta per la frutta e verdura, settore che si è visto negare gli aiuti anticrisi per il comportamento ritenuto «disinvolto» da parte di alcuni Paesi europei, che lamentavano cifre impossibili per i danni subiti dall'embargo russo. Mentre per l'ortofrutta si attende una prossima decisione da parte della Commissione europea di nuovi aiuti – si sta stabilendo da dove prelevare i fondi, se dal bilancio agricolo o dalla riserva di crisi degli agricoltori – per i formaggi il futuro è ancora confuso;
   sembra che sia allo studio un nuovo regolamento che prevede una rimodulazione delle misure a sostegno sulla base dei quantitativi esportati verso la Russia con contributi per Stato membro e per gruppi di prodotti, in base ai dati delle esportazioni del 2013;
   sembra, inoltre, che sia intenzione della Commissione europea tutelare comunque le aspettative degli operatori che hanno presentato domanda di aiuto e far sì che le domande presentate prima dell'entrata in vigore del fermo della misura di aiuto siano prese in considerazione per il versamento dell'aiuto previsto –:
   se non sia quanto mai opportuno, cogliendo l'occasione del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, proporre soluzioni immediate ed efficaci per l’export agroalimentare italiano che prevedano misure di sostegno che siano eque e trasparenti nella ripartizione delle risorse e che tengano conto delle diverse realtà produttive e del diverso impatto che le azioni sanzionatorie e le contromisure dell'embargo russo hanno avuto;
   se non sia necessario sollecitare la Commissione europea affinché adotti nel più breve tempo possibile il nuovo regolamento e se siano noti i suoi contenuti, in quanto l'agricoltura, ed il nostro Paese non possono permettersi tempi di attesa troppo lunghi a causa della burocrazia elefantiaca di Bruxelles. (5-03667)


   LOSACCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Puglia è una delle principali produttrici di olio di oliva d'Europa e del Mediterraneo oltreché del nostro Paese;
   la prossima campagna a olivicola purtroppo si prospetta molto difficile considerata la presenza della Xylella, che ormai ha compromesso oltre 40 mila ettari in territorio pugliese, della rinchite e della mosca, che complice un clima umido persistente, aggrava ulteriormente il calo della produzione delle drupe;
   questo fa sì che si stia per avviare una delle campagne più critiche degli ultimi lustri per l'intero settore olivicolo pugliese;
   con 377 mila ettari coltivati ad olio la Puglia è la prima regione italiana in termini di superficie dedicata a tale coltura;
   con quasi 2 milioni di quintali pari a quasi il 40 per cento della intera produzione italiana la Puglia detiene il primato di produzione di olio;
   la presenza contemporanea di tali patologie, sommata all'embargo nei confronti della Russia, rischia di compromettere una parte rilevante della produzione e di arrecare complessivamente anche un danno di immagine ad uno dei comparti agroalimentari di eccellenza del nostro Paese –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare con la massima urgenza, considerato l'imminente avvio della campagna 2014, per tutelare il «brand» dell'olivicoltura pugliese al fine di evitare che le criticità di cui in premessa possano compromettere i progressi raggiunti dalle aziende pugliesi sul mercato nazionale e internazionale nella produzione di olio di oliva. (5-03682)


   TERROSI, ANTEZZA, COVA, OLIVERIO, ROMANINI, TENTORI e CENNI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è tra i primi produttori di ortofrutta in Europa e nel mondo, con un quantitativo prodotto di circa 36 milioni di tonnellate di ortofrutta di cui circa 18 milioni di frutta, oltre 14 milioni di ortaggi e 4 milioni di agrumi;
   nella produzione di frutta, quella di pesche e di nettarine pone l'Italia al primo posto in Europa con il 43 per cento della produzione totale; anche per la produzione di pere l'Italia si colloca tra i paesi leader con una percentuale del 35 per cento sul totale delle pere prodotte nel continente;
   alcune varietà di pere hanno periodi di commercializzazione che possono arrivare fino alla primavera successiva alla raccolta (in particolare Abate, Conference, Williams). Fino al 2012, per consentire la conservazione per lungo periodo ed evitare che durante il periodo di frigoconservazione insorgessero danni da «riscaldo superficiale e molle», veniva utilizzata la molecola antiriscaldo etossichina sotto forma di fitosanitario;
   nell'ambito della revisione europea della normativa sugli agro farmaci, l'uso di questa sostanza è stata revocata con decisione della Commissione del 3 marzo 2011;
   in Italia l'uso di tale sostanza è stato revocato il 3 settembre 2011 e stabilita la sua definitiva sospensione a partire dal 15 gennaio 2013, termine ultimo per l'utilizzo delle scorte;
   secondo recenti notizie apparse sulla stampa nazionale, i Ministeri della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sulla base di un'ampia e documentata istruttoria e tenendo conto in particolare delle determinazioni formulate dall'Istituto superiore di sanità, hanno escluso di poter consentire il ricorso all'uso eccezionale della molecola etossichina. Sono state, infatti, rilevate forti criticità in relazione al valore degli attuali residui rispetto al rischio per la salute degli utilizzatori e dei consumatori;
   la sostanza è però presente sulle pere di provenienza extra Unione europea e su quelle di alcuni stati membri dell'Unione europea, in particolare Spagna e Portogallo, che, escludendo la tossicità dell'etossichina per il trattamento post raccolta della frutta, ne hanno ammesso l'uso straordinario sulle pere anche per l'annata 2013/2014, creando un problema di concorrenza sleale per le imprese italiane e soprattutto un pregiudizio per la salute dei consumatori;
   nel mese di ottobre del 2013, l'onorevole De Castro ha presentato una interrogazione alla Commissione europea nella quale evidenziava un'eccessiva discrezionalità nell'utilizzo delle «autorizzazioni di emergenza» ed una scarsa armonizzazione delle stesse su scala europea, favorendo così la competitività di alcuni paesi dell'Unione europea a scapito di altri e distorcendo in questo modo il mercato europeo dei prodotti ortofrutticoli. In base all'articolo 53 del Reg. (CE) n. 1107/2009, si verifica infatti che alcuni principi attivi/agrofarmaci possono essere utilizzati su determinate colture in alcuni paesi dell'Unione attraverso le «autorizzazioni di emergenza» mentre in altri l'uso resta vietato;
   il progetto di ricerca «Agrt Innovapero» dell'università di Bologna ha dimostrato che l'utilizzo del principio attivo l-metilcloropropene, abbinato ad un uso corretto della temperatura di conservazione, può evitare i danni da «riscaldo» che prima venivano superati dall'uso dell'etossichina –:
   se il Governo non ritenga necessario promuovere azioni a tutela delle produzioni ortofrutticole italiane, in particolare quella delle pere, e campagne di informazione dirette ai consumatori per diffondere la conoscenza dei rischi tossici dell'etossichina utilizzata nelle pere provenienti da paesi extra Unione europea da quei Paesi europei che non hanno ancora recepito la normativa anti etossichina;
   se non intenda agire in sede europea per ottenere l'applicazione armonizzata dell'articolo 53 del Regolamento (CE) n. 1107/2009, con l'obiettivo di evitare situazioni di disparità e di concorrenza alterata tra gli stati membri dell'Unione, in ragione di valutazioni difformi sulla stessa molecola chimica, peraltro già interdetta nel 2011, come esposto in premessa;
   se non intenda promuovere in sede europea l'applicazione, anche in via sperimentale, di quanto emerso dallo studio «Ager Innovapero» e lo sviluppo di studi simili, finalizzati alla ricerca di metodi che consentano la salvaguardia del prodotto durante la conservazione post raccolta senza l'utilizzo della etossichina. (5-03691)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, LUPO, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Coldiretti ha denunciato la presenza in Italia di «frutta spagnola "tossica" perché trattata con una sostanza pericolosa per la salute utilizzata per allungarne la conservazione anche durante il trasporto»;
   i Ministeri della salute e dell'ambiente hanno vietato l'uso sul territorio nazionale di agrofarmaci contenenti la molecola etossichina che sono invece ancora permessi in Spagna;
   la Spagna — sottolinea la Coldiretti – è il principale fornitore di frutta in Italia con un valore delle importazioni che è aumentato del 5 per cento nel 2013 per un totale di 478 milioni di chili dei quali ben 22 milioni di chili sono rappresentati da pere sulle quali nel Paese iberico è consentito l'utilizzo della molecola tossica. L'uso di questo formulato per il trattamento della frutta – continua la Coldiretti – è infatti ancora ammesso in Spagna sulle pere destinate ad essere vendute anche in Italia nonostante siano state sollevate rilevanti criticità relative al valore degli attuali residui rispetto al rischio per la salute degli utilizzatori e dei consumatori, da parte delle autorità scientifiche. Il consiglio della Coldiretti per acquisti sicuri è quello di verificare nell'etichetta la provenienza della frutta che deve essere indicata obbligatoriamente e scegliere prodotto italiano –:
   se non ritenga opportuno intervenire tempestivamente mettendo in atto tutte le procedure necessarie affinché venga controllata la frutta proveniente dalla Spagna così da poter valutare se non sia il caso di bloccarne le importazioni;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere a livello comunitario per la definizione di norme che siano comuni a tutti gli Stati membri così da tutelare la salute dei consumatori e difendere al contempo i produttori italiani dalla concorrenza sleale. (4-06205)


   BOSCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il programma di sviluppo rurale consiste nel piano di aiuti del Fondo europeo per lo sviluppo delle aree rurali attraverso investimenti mirati a favorire l'attività agricola in particolari aree dell'Unione europea;
   insieme alla regione siciliana – assessorato delle risorse agricole ed alimentari e al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il programma di sviluppo rurale ha predisposto una serie di misure intente a favorire lo sviluppo della pratica agricola in Sicilia per il periodo 2007-2013;
   il pacchetto di misure individuate spazia da misure volte all'insediamento dei giovani agricoltori a misure dirette all'ammodernamento delle aziende agricole, da iniziative finalizzate all'accrescimento del valore economico delle foreste a quelle per l'accrescimento del valore aggiunto dei prodotti agricoli e forestali, soltanto per citarne alcuni;
   in particolare, la misura indicata dal pacchetto con la numerazione 112 ha come obiettivo il sostegno all'insediamento dei giovani agricoltori nel mercato del lavoro, in modo da innescare un processo virtuoso che porti ad un ringiovanimento e ad una maggiore professionalità degli imprenditori, assicurando nel contempo che gli interventi finanziati favoriscano la costituzione di nuove imprese competitive;
   la misura 112 del programma di sviluppo rurale Sicilia 2007/2013 si pone come sostegno ai giovani agricoltori, di età inferiore ai 40 anni al momento della presentazione della domanda, che si insediano per la prima volta, in qualità di capo azienda. Per poter richiedere l'aiuto, erogato unicamente all'interno del cosiddetto «pacchetto giovani», il giovane agricoltore ha l'obbligo di accedere ad almeno un'altra misura del programma, concernente investimenti materiali;
   per poter ambire ad ottenere l'aiuto del programma, bisogna che l'insediamento nell'azienda agricola del giovane agricoltore sia il primo in assoluto, in qualità di capo azienda: il giovane inoltre deve essere in possesso di competenze professionali adeguate, deve fornire una presentazione di un piano aziendale di sviluppo dell'attività agricola, deve dimostrare di essere in possesso, al momento della presentazione della domanda, di una redditività, di almeno 5 UDE (unità di dimensione economica) nelle isole minori e di almeno 8 UDE nelle zone indicate come C e D, che dovranno salire ad almeno 10 UDE a seguito della realizzazione del piano aziendale e di almeno 12 UDE nelle zone restanti. Infine, il giovane dovrà proseguire l'attività agricola per almeno 5 anni;
   il giovane agricoltore dovrà tenere la contabilità aziendale, almeno di tipo semplificato, per tutta la durata dell'impegno, mentre l'importo complessivo degli investimenti non deve essere inferiore al doppio del premio concesso e non superiore ai 500.000 euro;
   è prevista una proroga di 36 mesi qualora il giovane agricoltore necessiti di un periodo di adattamento per avviare o ristrutturare l'azienda, purché tale esigenza venga documentata nel piano aziendale;
   l'ammontare del premio unico è di 40.000 euro, erogabile in parte in conto capitale o in conto interessi o in forma combinata –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto espresso in premessa;
   se sia possibile avere aggiornamenti sul numero di adesioni dei giovani agricoltori al pacchetto predisposto dal piano di sviluppo rurale e sulle prospettive di successo di tali misure, in considerazione della necessità di avvicinare i giovani all'imprenditoria agricola in Sicilia e di creare posti di lavoro all'interno del settore, con inevitabili ricadute positive sulla capacità produttiva dell'intera regione.
(4-06212)


   DI BATTISTA e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   sul sito del Corpo Forestale dello Stato – sezione Contratti – sono state pubblicate due recenti determine di acquisto di libri da parte dell'Ispettorato Generale di Roma – Divisione 10a – con codici Cig 516856853D;
   le forniture riguardano, nello specifico, l'acquisto di n. 500 copie dell'opera editoriale «Manuale forestale – Normativa tecnica colturale – Progettazione Polizia forestale» (casa Editrice IMAGO SRL) del 1o agosto 2013 per 38.076,93 euro e n. 250 copie dell'opera editoriale «Manuale Forestale» (casa editrice Edistampa Sud S.r.l.) del 30 aprile 2014, per 19.800,00 il tutto per un importo complessivo pari a 57.876,93 euro;
   entrambe le pubblicazioni sono opera di Nazario Palmieri, dirigente superiore del Corpo forestale dello Stato in servizio a Roma, attuale delegato dell'ufficio per la biodiversità;
   nonostante le forniture sembrino apparentemente affidate a due differente case editrici, dal sito internet http://www.imagoedipack.it/ManualeForestale.html emerge che la Imago Editrice sia la casa editrice e che la Edistampa Sud sia la società di distribuzione e vendita delle opere editoriali;
   pertanto, all'interrogante, appare che le due forniture, anche se distinte in due tranche, abbiano ad oggetto il medesimo libro redatto dal dirigente superiore Nazario Palmieri ed edito dalla stessa casa editrice;
   la questione appena esposta, a parere degli interroganti, risulta essere quantomeno inopportuna considerando che un'amministrazione pubblica ha acquistato dei libri opera di un proprio dirigente nonché in considerazione del fatto che la scelta del contraente è avvenuta per affidamento diretto con un prezzo di acquisto decisamente non trascurabile;
   è inoltre principio generale, che presiede all'affidamento di lavori servizi e forniture, quello della selezione della migliore offerta attraverso procedure che garantiscano massima partecipazione di concorrenti;
   di conseguenza il ricorso alla procedura di affidamento in economia ed, a maggior ragione, all'affidamento diretto, deve essere opportunamente motivato;
   la mancata motivazione, pertanto, costituirebbe una ingiustificata sottrazione di questi affidamenti alle ordinarie procedure concorsuali (come da deliberazione Avcp n. 4/2009);
   in particolare il ricorso alle acquisizioni in economia è previsto nei seguenti casi:
    a) risoluzione di un precedente rapporto contrattuale, o in danno del contraente inadempiente, per conseguire la prestazione nel termine previsto dal contratto;
    b) necessità di completare le prestazioni di un contratto in corso, ivi non previste, se non sia possibile imporne l'esecuzione nell'ambito del contratto medesimo;
    c) prestazioni periodiche di servizi e forniture, a seguito della scadenza dei relativi contratti, nelle more dello svolgimento delle ordinarie procedure di scelta del contraente, nella misura strettamente necessaria;
    d) urgenza, nell'ipotesi di eventi oggettivamente imprevedibili, per ovviare a situazioni di pericolo per persone, animali o cose, ovvero per l'igiene e la salute pubblica, ovvero per il patrimonio storico, artistico, culturale;
    e) l'acquisizione in economia di beni e servizi è ammessa inoltre in relazione all'oggetto e ai limiti di importo delle singole voci di spesa, preventivamente individuate con provvedimento di ciascuna stazione appaltante, con riguardo alle proprie specifiche esigenze;
   a ciò si aggiunga che l'affidamento diretto del contratto è consentito nel caso di servizi e forniture inferiori a 40.000 euro (articolo 125, comma 11, ultimo periodo, del decreto legislativo n. 163/2006) ma, anche entro tali importi, la stazione appaltante è tenuta a rispettare i principi della rotazione, non discriminazione, par condicio e con il supporto di adeguata motivazione;
   pertanto, nel caso di specie, qualora fosse confermato le forniture hanno ad oggetto la medesima opera editoriale, il predetto limite potrebbe essere stato aggirato attraverso due tranche;
   difatti il citato articolo 125 del Codice dei contratti pubblici, al comma 13, prevede che «(n)essuna prestazione di beni, servizi, lavori, ... può essere artificiosamente frazionata allo scopo di sottoporla alla disciplina delle acquisizioni in economia» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   quale sia il nominativo del responsabile del procedimento di acquisto delle opere editoriali;
   quali siano i motivi specifici che hanno consentito all'amministrazione a procedere all'affidamento diretto della fornitura del predetto acquisto di libri;
   in base a quali criteri sia stata scelta la fornitura di libri pubblicati da un proprio dirigente superiore;
   quali siano le finalità istituzionali della fornitura;
   se le forniture di libri abbiano ad oggetto il medesimo libro edito dalla stessa casa editrice (come emerge dal sito internet);
   se, in caso di risposta affermativa alla domanda che precede, non ritenga che vi sia stato un artificioso frazionamento della fornitura «allo scopo di sottoporla alla disciplina delle acquisizioni in economia», come prevede l'articolo 125, comma 13, del decreto legislativo n. 163 del 2006, e pertanto se non ritenga di revocare l'affidamento de quo;
   se, di conseguenza, ritenga rispettati i principi di rotazione, non discriminazione, e parità di trattamento degli operatori economici in presenza di due forniture, seppur formalmente affidate a due distinti soggetti giuridici, ma sostanzialmente riconducibili alla stessa casa editrice ed alla stessa opera editoriale;
   se sia a conoscenza di altri affidamenti in economia che vedono come destinatari diretti o indiretti dipendenti del Corpo forestale dello Stato e se intenda procedere all'istruzione di un'inchiesta amministrativa al riguardo. (4-06223)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la malattia da virus Ebola (EVD) (The virus causing the 2014 west African outbreak belongs to the Zaire species – fonte WHO) precedentemente nota come febbre emorragica da virus Ebola, è una malattia grave, con un tasso di mortalità che può arrivare fino al 90 per cento;
   la malattia colpisce gli uomini e i primati (scimmie, gorilla, scimpanzé);
   l'Ebola è apparsa la prima volta nel 1976 in due focolai contemporanei: in un villaggio nei pressi del fiume Ebola nella Repubblica democratica del Congo, e in una zona remota del Sudan;
   l'origine del virus non è nota, ma i pipistrelli della frutta (Pteropodidae), sulla base delle evidenze disponibili, sono considerati i probabili ospiti del virus Ebola;
   nella popolazione umana il modo più comune con cui si contrae il virus è entrare in contatto con il sudore, la saliva o sangue, secrezioni, tessuti, organi o fluidi corporei di animali infetti o persona infettata o morta a causa della malattia; l'infezione può verificarsi anche in caso di ferite della pelle o delle mucose di una persona sana che entra in contatto con oggetti contaminati da fluidi infetti di un paziente con Ebola, quali vestiti e biancheria da letto sporchi dei fluidi infetti o aghi usati;
   le persone sono contagiose fino a quando il sangue e le secrezioni contengono il virus, l'Ebola non si diffonde via aria o con contatti casuali come sedersi vicino a una persona sull'autobus;
   durante un'epidemia le persone a più alto rischio di infezione sono: operatori sanitari, familiari o altre persone a stretto contatto con persone infette, persone che hanno contatto diretto con i corpi dei defunti, nelle cerimonie funebri, cacciatori nella foresta pluviale che entrano in contatto con animali trovati morti nella foresta;
   nonostante la valutazione del rischio di Ebola del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie del 27 agosto 2014, la «Dichiarazione sull'epidemia di Ebola» in Africa occidentale del commissario per la salute Tonio Borg dell'8 agosto 2014, e la «Dichiarazione sulla risposta dell'UE all'epidemia di Ebola» del commissario per lo sviluppo, Andris Piebalgs, e del commissario per gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi, Kristalina Georgieva, del 15 settembre 2014, il 17 settembre 2014, si leggeva su un articolo pubblicato dal quotidiano Libero, che il Ministro Lorenzin circoscriveva con assoluta sicurezza l'allarme relativo al virus ebola affermando che «non c’è nessun rischio Ebola legato all'immigrazione, si tratta di un virus limitato ad alcuni territori»;
   contemporaneamente il Presidente Obama, decideva di allargare il piano contro l'epidemia in Africa occidentale con 3 mila soldati in missione, e 600 milioni di dollari stanziati, e non solo, anche il REGNO UNITO ha innalzato il livello di attenzione;
   nel corso dell'incontro informale dei Ministri, tenutosi il 22 e 23 settembre 2014, a Milano, presieduto dalla Ministra Beatrice Lorenzin nell'ambito del semestre europeo a presidenza italiana, i Ministri della salute dell'Unione europea sono stati invece concordi sul fatto che è necessario contrastare l'epidemia di Ebola aumentando le risorse umane e finanziarie, affermando al contempo la necessità che gli Stati membri rispondano all'appello lanciato dall'Organizzazione mondiale della sanità che ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale», e pubblicato la tabella di marcia di risposta all'Ebola, tenuto conto delle conclusioni del Consiglio europeo straordinario del 30 agosto 2014, con ulteriori risorse umane e finanziarie, attraverso gli appositi meccanismi ed organismi;
   il Commissario europeo per la salute, Tonio Borg, ha dichiarato che il rischio Ebola in Europa «rimane, comunque, basso perché una persona contagiata che abbia già i sintomi sarebbe troppo debole per viaggiare», e che «la malattia non è contagiosa se non in alcune particolari condizioni, ma, nonostante tutto dobbiamo rimanere vigili, e non abbassare la guardia, con stringenti controlli negli aeroporti, e che il nostro sistema di igiene e salute è di un livello particolarmente elevato»;
   il commissario europeo per lo sviluppo Andris Piebalgs ha annunciato un ulteriore stanziamento di 5 milioni di euro per aiutare a combattere il virus «Ebola», definito dal WHO un'emergenza di salute pubblica, con un finanziamento che in totale ammonta, ad oggi, a circa 147 milioni di euro cifra che non include il contributo con risorse umane e i laboratori allestiti in loco;
   la Commissione europea ha attivato il monitoraggio la situazione attraverso il proprio Centro di coordinamento della risposta alle emergenze (ERCC), che dovrebbe fungere da piattaforma per il coordinamento dell'assistenza dell'Unione europea, al fine di mobilitare squadre di risposta immediata per assicurare la diagnosi precoce, l'isolamento (dei casi sospetti e dei casi confermati in reparti diversi), il monitoraggio delle persone entrate in contatto con i pazienti e la ricerca delle catene di trasmissione, misure relative ai funerali, l'educazione e il supporto locale;
   il virus dell'Ebola «è una minaccia globale» e per combattere l'epidemia nei Paesi dell'Africa occidentale «c’è bisogno di tutto, ma soprattutto di personale medico», lo ha sottolineato il direttore generale dell'Oms Margaret Chan durante una conferenza in cui è stato annunciato l'impegno da parte del Governo cubano di inviare 165 operatori in Sierra Leone;
   le organizzazioni non governative più attive sul campo, tra queste Medici senza frontiere e la Federazione internazionale delle società della Croce rossa e della Mezzaluna rossa, hanno criticato gli sforzi internazionali definendoli pericolosamente inadeguati, in quanto le capacità estremamente limitate sul campo determinano carenze critiche in tutti gli aspetti della risposta: cure mediche di sostegno, formazione del personale sanitario, controllo dell'infezione, ricerca dei contatti, vigilanza epidemiologica, sistemi di allerta e segnalazione, educazione e mobilitazione delle comunità;
   per ridurre il numero dei casi e i decessi è fondamentale accrescere la consapevolezza dei fattori di rischio e adottare le misure di prevenzione;
   attualmente non esiste un vaccino autorizzato per la malattia da virus Ebola. Diversi vaccini sono in fase di sperimentazione, ma nessuno è disponibile per uso clinico in questo momento;
   il bollettino dell'Organizzazione mondiale della sanità del 25 settembre, che analizza l'andamento dei contagi in Guinea, Liberia, Nigeria, Senegal e Sierra Leone dal 30 dicembre 2013 al 21 settembre 2014, afferma che i casi totali dovrebbero essere 6.263 tra confermati, probabili e sospetti, con 2.917 morti;
   in Europa sono scattate misure d'emergenza e di controllo negli aeroporti di Parigi, Bruxelles, Madrid, Francoforte e Lisbona, ovvero i principali scali dei voli provenienti dal continente africano –:
   se sia stato predisposto un piano organico di interventi ed in tal caso, quale esso sia e quali sanitari siano coinvolti; quanti siano i medici e gli infermieri interessati, se via sia un unico responsabile del procedimento e chi sia;
   se l'Italia abbia partecipato con proprie risorse finanziarie al finanziamento dei 145 milioni di euro stanziati dall'Unione europea, in quale misura ed a quale capitolo di bilancio si riferiscano;
   se non ritenga insufficiente avere individuato come unici punti di riferimento del nostro Paese, in termini di preparazione e risposta alle malattie infettive, e quindi adatti per la diagnosi dell'Ebola, l'INMI, «Istituto nazionale malattie infettive» – Spallanzani di Roma e l'ospedale Sacco di Milano;
   se nel nostro Paese e in particolare nei pressi di Roma vi siano laboratori che stanno elaborando vaccini contro Ebola e se questi siano finanziati con fondi pubblici;
   se l'Italia stia partecipando con apposito finanziamento anche alla definizione e alla preparazione di vaccini all'estero, e, in caso affermativo, in quale misura;
   se non ritenga necessario predisporre un piano nazionale finalizzato a modulare gli interventi sanitari a crescere, a seconda dell'evolversi dell'epidemia in Africa ovvero in Europa;
   se non ritenga necessario approntare già da ora l'adeguamento di altre strutture sanitarie all'emergenza Ebola in aggiunta all'Ospedale Spallanzani di Roma e all'ospedale Sacco di Milano;
   se non sia il caso di prevedere e approntare l'adeguamento di strutture sanitarie militari, se necessario anche richiamando in servizio personale medico e paramedico in congedo, in considerazione di eventuali ruoli di front line in nazioni come la Nigeria ad alto rischio di espansione del contagio e caratterizzate dalla presenza di una forte comunità italiana residente;
   come intenda il Ministro interpellato, in accordo con i Ministri dell'Unione europea, sostenere e incoraggiare l'Unione africana per quanto concerne la necessità di un piano d'azione globale, in quanto la situazione africana continua a deteriorarsi rapidamente e incide sull'economia e sull'ordine pubblico dei Paesi interessati, dato che la crisi dell'Ebola è diventata complessa, con implicazioni di natura politica di sicurezza, economica e sociale che continueranno a ripercuotersi sulla regione ben oltre l'attuale emergenza sanitaria.
(2-00700) «Grillo, Silvia Giordano, Di Vita, Cecconi, Lorefice, Dall'Osso, Baroni, Mantero, Luigi Gallo, Brescia, Marzana, D'Uva, Di Benedetto, Vacca, Simone Valente, Battelli, Busto, De Rosa, Terzoni, Daga, Mannino, Segoni, Zolezzi, Micillo, Castelli, Sorial, Caso, Brugnerotto, Cariello, Currò, D'Incà, Agostinelli, Baldassarre, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Businarolo, Carinelli, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, De Lorenzis, Dell'Orco, Ferraresi, Fico, Gagnarli, Gallinella, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lupo, Nesci, Parentela, Petraroli, Pinna, Rizzetto, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Sarti, Spessotto, Tripiedi, Turco, Vignaroli».
(Presentata il 30 settembre 2014)

Interrogazione a risposta orale:


   NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ventisette servizi e centri specializzati in terapia per bimbi vittime di abusi sessuali di varie regioni italiane fra le quali Lombardia, Sardegna, Veneto, Molise, Calabria vanno incontro a chiusura o, nel migliore dei casi, a un forte ridimensionamento a causa del mancato rinnovamento del bando di concorso;
   i progetti relativi erano stati avviati grazie ai fondi messi a disposizione nel 2012 dal dipartimento delle pari opportunità, oggi scaduti;
   i centri hanno denunciato la situazione non più sostenibile al Ministero della Salute ma non hanno ancora ricevuto risposta;
   in base a fonti giornalistiche il Sacrai, servizio assistenza, cura e ricerca sull'abuso infantile del policlinico Umberto I di Roma, che nell'ultimo anno ha avuto in cura almeno 60 bambini vittime di abusi, ha reso noto che con soli 93.000 euro ha potuto seguire in un anno e mezzo circa cinquanta minori da 6 a 14 anni segnalati da strutture pubbliche, e che da maggio 2014 lavora gratis, avendo dovuto ridurre molto l'attività ai soli già in cura; il centro di valutazione, ascolto e trattamento dei minori vittime d'abuso (Vatma) multidisciplinare di Termoli, punto di riferimento terapeutico specializzato per tutta la provincia di Campobasso, rischia di lasciare il lavoro iniziato sui bambini a metà strada, con tutti i danni psicologici e sociali che questo comporta; così per il Piuma, progetto integrato unità multidisciplinare abuso di Perugia –:
   se non ritenga indispensabile assumere ogni iniziativa di competenza per il ripristino in tempi certi e celeri delle risorse in favore dei servizi e dei centri specializzati in terapia e supporto per bambini vittime di abusi, poiché centinaia di bambini in tutta Italia abusati sessualmente, corrono adesso anche il rischio di rimanere senza nessun supporto psicologico con tutte le conseguenze del caso. (3-01061)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI e IACONO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si sono moltiplicate negli ultimi tempi, in differenti zone del Paese, segnalazioni di casi di irreperibilità, ovvero di mancata o ridotta reperibilità, ovvero di indisponibilità sul mercato farmaceutico nazionale di medicinali indispensabili per la cura delle persone e per la continuità terapeutica di determinate e gravi patologie;
   queste segnalazioni, puntualmente pervenute al Ministero della salute ed all'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), hanno spesso evidenziato la carenza, almeno temporanea, di farmaci di classe A e in quanto tali essenziali e prioritari per la salute delle persone; di specialità farmaceutiche «salvavita» per le quali in commercio non risultano essere presenti farmaci equivalenti o bioequivalenti;
   ne derivano conseguenze molto pesanti e preoccupanti per la doverosa difesa tempestiva ed efficace della salute;
   questa situazione di ridotta o mancata reperibilità di alcuni medicinali presso alcune farmacie, come ha espressamente evidenziato anche la circolare del Ministero della salute – Dipartimento della programmazione e dell'ordinamento del servizio sanitario nazionale n. 0048421 del 18 giugno 2014 può derivare sia «da problemi produttivi che coinvolgono l'intero territorio nazionale, sia da una distorsione distributiva che può coinvolgere solo alcune aree geografiche»;
   la indisponibilità nelle farmacie, legata ad un problema di distribuzione, viene spesso generata «dalla attività di esportazione parallela di medicinali effettuata da parte dei distributori in accordo alla comunicazione della Commissione europea del 30 dicembre 2003 COM (2003) 839»;
   tale attività di esportazione parallela costituisce, senza dubbio, una regolare forma di mercato in linea con il quadro normativo vigente;
   tuttavia devono essere assicurati, ai fini della compiuta difesa della salute della persona – oggetto di pregnante riconoscimento costituzionale – la stabile ed adeguata disponibilità ed il doveroso ed indispensabile assortimento di medicinali in tutte le zone del Paese ed in tutte le sedi farmaceutiche; occorre, infatti, garantire su tutto il territorio nazionale la consegna tempestiva – senza interruzioni e senza fasi di ingiustificata carenza – delle forniture dei medicinali nell'intero circuito di distribuzione farmaceutica, a salvaguardia della continuità terapeutica per i cittadini;
   è indubbio che le criticità segnalate, in larga misura, discendono dalla pur legittima esportazione parallela di farmaci verso altri Paesi più remunerativi per le aziende titolari della relativa autorizzazione;
   le problematiche relative alla distribuzione dei medicinali ricadono nella competenza del Ministero della salute, che può e deve operare i necessari controlli attraverso gli enti preposti, le regioni o le Aziende sanitarie locali;
   appaiono incomprensibili le ragioni per le quali, di fronte a tale obiettiva e grave situazione, la produzione complessiva di medicinali non venga adeguata e proporzionata alle effettive richieste dell'intero mercato, composto dalla domanda italiana e da quella estera; ed infatti la produzione di diversi e fondamentali farmaci risulta essere sottodimensionata, con tutti i disservizi che si determinano per diversi farmaci e con pesantissimi disagi e pericoli per la salute di tantissime persone;
   questa vicenda è stata puntualmente ed a più riprese rilevata e formalmente e motivatamente segnalata da alcune Federazioni provinciali di FederFarma, come ad esempio è, accaduto a Salerno ed a Savona –:
   quali iniziative il Ministero della salute intende assumere con urgenza, nell'esercizio delle sue competenze istituzionali, per avviare a soluzione la descritta situazione, con frequenti e ripetuti casi di indisponibilità e/o di carenza in diverse zone del Paese di farmaci fondamentali per la salute delle persone e per la indispensabile continuità terapeutica nella cura di patologie particolarmente delicate e gravi dai quali conseguono inammissibili e pesanti disagi per i cittadini e gravi pericoli per la loro salute, e problemi seri e consistenti nel funzionamento del servizio farmaceutico, con notevoli disguidi e disservizi per tanti esercizi farmaceutici costretti a sostenere ed a governare situazioni molto complicate e sovente ingestibili. (5-03689)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il comitato scientifico, nominato dal Ministro della salute e che doveva esprimersi sul metodo Stamina, che utilizza le cellule staminali (che secondo il suo ideatore, sarebbe efficace nella cura di varie malattie neuro-degenerative), ha consegnato al Ministero della salute il suo parere negativo sull'opportunità di iniziare la sperimentazione clinica;
   secondo il rapporto, mancherebbero i fondamenti scientifici tali da giustificare l'avvio della sperimentazione che, secondo il «decreto Balduzzi», sarebbe dovuta partire dal primo luglio 2013 e che invece ha rallentato, anche per il ritardo con cui è stata consegnata la documentazione al comitato. La relazione, che non è comunque vincolante, sarà adesso vagliata dal Ministro della salute;
   la comunità scientifica nazionale e internazionale ha preso nettamente le distanze dal metodo, contestando la decisione italiana di procedere alla sperimentazione;
   alla base delle perplessità espresse dalla Commissione c’è l'assenza di un protocollo che spieghi come produrre quel tipo di staminali e quali sono i presupposti in base ai quali dovrebbero riparare i danni neurodegenerativi e, dunque, essere valido per tante malattie;
   centinaia di famiglie, con figli e genitori in gravissime condizioni, nutrono ancora la speranza di poter accedere alle cure, si tratta di malati, in lista di attesa, autorizzati da diversi tribunali a ricevere le infusioni di staminali prodotte in un laboratorio del centro lombardo;
   la decisione finale spetta al Ministro della salute, ma ad oggi sembra svanita l'occasione di dimostrare che il metodo Stamina non è mera speranza, ma scienza –:
   quali efficaci e tempestive misure intenda adottare per venire incontro alle richieste di pazienti che attendevano da tempo di accedere ad un trattamento, unico in grado – allo stato attuale – di offrire una speranza a chi non ne ha, in assenza di cure alternative per la propria malattia. (5-03693)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Torre del Greco, uno dei più grandi e importanti comuni della provincia di Napoli, è storicamente sempre stato a forte vocazione marittima, nonostante si tratti di un settore negli ultimi anni profondamente in crisi;
   il compartimento marittimo di Torre del Greco conta circa 25.000 matricole attive, di cui almeno il 75 per cento delle quali operanti proprio a Torre del Greco;
   si tratta del secondo compartimento marittimo in Italia per numero di iscritti;
   ciononostante, nell'agosto del 2012 la sede della cassa marittima di Torre del Greco è stata chiusa;
   le ragioni che hanno portato alla chiusura della struttura sono legate alla non conformità dell'edificio con le norme igienico-sanitarie vigenti;
   ciò comporta che i marittimi iscritti nel compartimento di Torre del Greco siano costretti a rivolgersi per qualsiasi cosa alla sede della cassa marittima situata nel territorio del comune di Napoli, con conseguenti maggiori esborsi economici ed evidenti problemi logistici;
   per quei marittimi torresi che, a causa di infortuni o malattie, non sono in grado di recarsi a Napoli, è prevista la presenza di un solo medico disponibile per visite a domicilio;
   si tratta di una soluzione palesemente insufficiente per una platea così vasta;
   il servizio sanitario assistenza naviganti competente ha sempre avallato la richiesta dei marittimi iscritti al compartimento di Torre del Greco di operare per la riapertura di una sede della cassa marittima all'interno del territorio comunale torrese;
   anche le amministrazioni comunali succedutesi negli ultimi due anni hanno costantemente affermato la necessità di riaprire la cassa marittima a Torre del Greco;
   alle parole, purtroppo, non sono mai seguite azioni consequenziali, perché non è stato possibile individuare una struttura adeguata;
   l'attuale sindaco di Torre del Greco Ciro Borriello, a seguito anche di una serie di incontri con la regione Campania, il sub commissario per la sanità nella regione Campania e le rappresentanze sindacali, ha di recente confermato l'impegno dell'amministrazione comunale, ma le soluzioni da lui individuate sembrano presentare una serie di problematiche logistiche difficilmente superabili;
   ancora una volta il rischio è che tali affermazioni siano solo di facciata, e che in realtà non vi siano ancora sul tavolo dell'amministrazione comunale ipotesi realistiche che permettano, in tempi brevi, la riapertura della cassa marittima di Torre del Greco;
   i fatti narrati sono riportati, tra l'altro, anche nell'articolo dal titolo «Torre del Greco, marittimi pronti alla rivolta dopo la chiusura della cassa marittima: “Basta chiacchiere, tutti in piazza”» pubblicato dall'edizione online del quotidiano Metropolis il 29 agosto 2012 e nell'articolo dal titolo «Torre del Greco – Individuati tre immobili idonei a ospitare gli uffici della cassa marittima» pubblicato dal quotidiano online Stabia Channel il 25 luglio 2014 –:
   quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza, al fine di individuare in tempi estremamente rapidi, vista l'urgenza della necessità esposta, una struttura adeguata ad accogliere la sede della cassa marittima a Torre del Greco.
(4-06187)


   SCOTTO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della Costituzione afferma al suo primo comma che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
   la prevalenza delle malattie croniche invalidanti è in costante aumento a causa del prolungamento della durata di vita media;
   basti pensare, in tal senso, al costante incremento delle patologie neurodegenerative;
   il sistema sanitario nazionale è in evidente difficoltà, a causa soprattutto di gravi problemi di bilancio troppo spesso determinati da corruzione e sprechi, e di conseguenza non riesce a garantire un'adeguata presenza di personale infermieristico e medico in quei reparti di degenza in cui i pazienti affetti da malattie neurodegenerative si trovano solitamente ad essere ricoverati per lunghi periodi;
   i familiari dei pazienti sono molto spesso costretti a rivolgersi ad assistenti sociosanitari non professionali, che prestano un servizio di semplice sorveglianza;
   il tutto avviene con la connivenza dei reparti medici, che si trovano nell'impossibilità di sopperire autonomamente alla necessità del malato di una presenza continuativa;
   gli assistenti sociosanitari non qualificati non sono in grado di garantire la salute e la sicurezza di un paziente affetto da patologie così complesse, che spesso nelle fasi terminali compromettono l'autonomia e le capacità intellettive e si associano a numerose comorbilità;
   le modalità di pagamento delle prestazioni di questi assistenti sociosanitari non qualificati sono interamente sommerse e non denunciate al fisco, perché manca una regolamentazione in materia;
   in molti casi si viene a determinare, inoltre, la formazione di veri e propri trust, che obbligano le famiglie dei pazienti affetti a tariffe fisse con ingenti spese economiche, in aggiunta a quelle già sostenute per il trattamento della malattia (vengono richiesti solitamente intorno ai 70 euro per notte);
   la creazione di figure professionali formate nell'ambito dei corsi di laurea di professioni sanitarie per assistere questo tipo di degenti permetterebbe di integrare il lavoro in reparto di medici e personale infermieristico;
   in una fase di crisi globale come questa, in cui la disoccupazione giovanile super il 50 per cento, si creerebbero nuovi posti di lavoro e si permetterebbe finalmente allo Stato di rispettare il dettato costituzionale, fornendo un servizio necessario alle famiglie di pazienti con malattie croniche invalidanti senza che esse debbano sostenere ulteriori spese;
   in questo modo, infine, si eliminerebbero numerosi casi di vessazioni che speculano sul dolore –:
   se non ritengano opportuno regolamentare, anche mediante apposite iniziative normative, questo importante ruolo di assistenza ai malati cronici con patologie invalidanti, attraverso la creazione di figure professionali appositamente formate nell'ambito dei corsi di laurea di professioni sanitarie, capaci di integrare il lavoro in reparto di medici e personale infermieristico. (4-06191)


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 17 settembre 2014 si sono tenute in tutta Italia le selezioni su base regionale per l'accesso ai corsi di formazione specifica di medicina generale;
   in seguito alle molte segnalazioni di denunce sui disservizi e sulle presunte irregolarità nello svolgimento di tali selezioni, diverse rappresentanze professionali, in particolare dei giovani medici, hanno richiesto che le regioni predispongano l'immediato congelamento della correzioni dei test e della pubblicazione delle graduatorie di merito, in attesa che venga fatta piena chiarezza su quanto sembrerebbe aver sostanzialmente inficiato la regolarità della prova in diverse realtà del Paese;
   secondo le numerose segnalazioni, vi sarebbe stata da parte del Ministero e delle regioni una sottovalutazione del numero dei partecipanti, con la conseguente predisposizione di aule inadeguate ed insufficienti al numero dei candidati;
   tale carenza organizzativa avrebbe provocato gravi criticità gestionali (inadeguata sorveglianza, mancata verifica dell'eventuale possesso di smart phone e tablet, tempi dilatati nell'espletamento delle procedure di riconoscimento dei candidati, sforamento dei tempi per la consegna delle prove a quiz, concessione del permesso di uscire e rientrare durante lo svolgimento delle prove) ed un approssimativo sistema di selezione (mancata dissociazione tra la busta contenente l'anagrafica del candidato e l'elaborato, disutilizzo di codice a barre per preservare l'anonimato dei candidati, previsione di correzioni a porte chiuse in assenza di una rappresentanza dei candidati, ovvero mancato affidamento delle correzioni ad enti terzi e altro);
   le svariate irregolarità formali e sostanziali che sono state segnalate espongono le prove d'esame al concreto rischio di numerosi ricorsi amministrativi, con la conseguente, possibile paralisi dei corsi di formazione;
   occorrerebbe verificare la fondatezza delle tante segnalazioni e qualora trovassero riscontro, disporre l'annullamento immediato del test e la sua ripetizione in condizioni di sicurezza e piena legittimità, assicurando il più rigoroso rispetto della legalità, trasparenza ed imparzialità –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, anche in sede di Conferenza Stato-regioni, intenda assumere affinché simili situazioni non abbiano più a ripetersi. (4-06194)


   COSTANTINO, NICCHI e MATARRELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Locride è un'area della provincia di Reggio Calabria amministrativamente definita «circondario della Locride» che copre una superficie di 1366,60 chilometri quadrati e comprende 131.985 abitanti in 42 comuni da Palizzi (a sud) a Monasterace (a nord);
   a livello sanitario è compresa nell'area di competenza dell'azienda provinciale 5 – Reggio Calabria, azienda che ha recentemente accorpato, tra le altre e per ultima, l'ex ASL 9 di Locri soggetta a commissariamento e ad ispezione governativa (cosiddetta «relazione Basilone») per presunte irregolarità amministrative e sospette infiltrazioni mafiose entrambe accertate;
   attualmente la principale struttura sanitaria presente nel territorio in questione è il presidio ospedaliero di Locri considerato amministrativamente «ospedale SPOKE» rispetto a quello HUB del capoluogo Reggio Calabria posto a 100 (cento) chilometri via strada statale 106 «jonica», attraversante numerosi centri abitati nel tratto considerato, o 135 chilometri lungo la strada statale 682 «Jonio-Tirreno» e autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria;
   circa la metà dei comuni considerati è posta a monte di altrettanti comuni costieri e per le popolazioni della quasi totalità dei suddetti comuni non è possibile raggiungere direttamente il presidio ospedaliero di Locri senza attraversare almeno un altro comune con conseguenti disagi ed evidenti inevitabili ritardi nell'accesso alle prestazioni, tra cui quelle più urgenti;
   inoltre le popolazioni poste ai confini della Locride, in alcuni casi, possono preferire di raggiungere i vicini presidi di Melito di P.S. (ex ASL 11), di Polistena (ex asl 10) e di Soverato (CZ) generalmente con una minore disponibilità di reparti e posti letto;
   tale complessità e vastità territoriale nonché organizzativa presuppone una severa disciplina nell'applicazione di una normale prassi organizzativa nonché della normativa nazionale e regionale in materia al fine di non compromettere il diritto alla salute dei cittadini;
   numerosi episodi di cronaca nonché di denunce a mezzo stampa e non solo da parte di sindacati, operatori, cittadini, partiti ed associazioni fanno emergere un'apparente situazione di criticità gestionale e strutturale che è opportuno porre all'attenzione del Governo;
   la prima firmataria del presente atto, in visita presso il presidio ospedaliero di Locri nel mese di luglio 2014, ha potuto appurare personalmente un evidente stato di criticità strutturali in alcune aree del nosocomio;
   facendo un puntuale excursus degli ultimi dodici mesi, per quanto risulta agli interroganti, si segnala la saltuaria carenza di personale medico in reparti cruciali per la normale operatività del nosocomio, carenza prevedibile in quanto causata da periodi di malattia, di aspettativa, di carenza in pianta organica, di ferie degli operatori sanitari in corso o pianificate;
   constano agli interroganti:
    l'indisponibilità, del pediatra per molti neonati del comune di Marina di Gioiosa Ionica dal 25 agosto 2014 scorso per il cambiamento di sede, precedentemente comunicato il 6 dello stesso mese, di uno di quelli operanti sul territorio comunale e l'impossibilità per famiglie interessate di poter disporre dell'assegnazione ad altro medico per via del raggiungimento del numero massimo degli assistiti nell'ambito degli altri operatori medici disponibili nel territorio comunale;
    la presenza, pochi giorni addietro, di un solo operatore medico nel reparto di radiologia;
    la frequente indisponibilità di alcune importanti apparecchiature diagnostiche con conseguente trasferimento dei pazienti presso l'ospedale di Polistena anche per diagnosi urgenti;
    il conferimento improprio di incarichi dirigenziali poi annullato dal sub- commissario regionale;
    l'attuazione di decisioni dirigenziali in materia di riorganizzazione sanitaria all'interno dell'ASP 5 senza che vi fosse ancora l'approvazione definitiva dell'atto aziendale;
    il verificarsi di alcuni episodi anche mortali di presunta malasanità (Corriere della Locride, 12 luglio 2014);
    le continue proteste, anche plateali, da parte degli amministratori locali contro il presunto smantellamento del più importante presidio ospedaliero tra i capoluoghi di Reggio Calabria e Catanzaro, equidistante, a circa cento chilometri, da entrambi e la cronica carenza di medicinali per i quali viene chiesto l'acquisto esterno da parte degli utenti e la presenza di apparecchiature obsolete;
   a questo si aggiunga l'assenza del presidio fisso di pubblica sicurezza, previsto e non operativo da circa un decennio, in uno degli ospedali più a rischio criminalità d'Italia con conseguente grave rischio per l'incolumità di operatori e pazienti;
   nell'agosto 2014 il consiglio comunale di Locri ha approvato lo scioglimento della sua commissione sanità perché i componenti sarebbero stati oggetto di ritorsioni (Lente locale, quotidiano on line della Locride, 13 agosto 2014, «Locri, al Consiglio comunale approvata la proposta di scioglimento della Commissione Sanità» Francesca Cusumano) –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e se non ritenga, nell'ambito delle proprie competenze e anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, di assumere iniziative per verificare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza in relazione ad una situazione — quale quella della gestione delle strutture relative all'ASP 5, in particolare quella SPOKE di Locri (ex ASL 9) e l'ospedale di Melito di P.S. – in cui a giudizio degli interroganti vengono negati ai cittadini il diritto alla salute, davanti a un'evidente anomala ed elevata incidenza dei rischi della qualità della vita. (4-06221)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSINAROLO, COZZOLINO, DA VILLA, NICOLA BIANCHI, TOFALO e SPESSOTTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di febbraio 2014 alcune notizie di cronaca hanno riportato all'attenzione dell'opinione pubblica il caso dell'Accademia di Belle Arti di Lecce, finita al centro della cronaca giudiziaria a seguito dell'avviso di garanzia indirizzato al direttore, Claudio Delli Santi, a cui è stato contestato il reato di truffa ai danni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e della contestuale perquisizione da parte della guardia di finanza;
   l'indagine è volta ad accertare principalmente come sia stato impiegato il finanziamento di quattro milioni e cinquantamila euro del Pon (programma operativo nazionale) nel progetto chiamato «Sud-est; “Orientare l'orientamento”». L'inchiesta è diretta inoltre a chiarire le modalità di ammissione ai corsi dell'Accademia degli studenti stranieri, in particolare cinesi, che non parlano la lingua italiana;
   l'Accademia già in passato era stata oggetto di un'altra inchiesta, poi archiviata, sulla nomina a dirigente d'istituto e che vedeva indagato sempre il direttore Delli Santi: al centro dell'accertamento vi era il curriculum che contribuì alla nomina del Delli Santi e che, secondo il docente che presentò l'esposto, non avrebbe dato prova dei meriti acquisiti nel corso della carriera;
   l'autore della denuncia, il professor Stefano Leopizzi, docente di III fascia alla cattedra di «scenografia» presso l'Istituto salentino, a quanto consta agli interroganti, nel corso degli anni ha sporto diverse denunce davanti all'autorità giudiziaria riguardanti alcuni rilevanti illeciti riscontrati, relativi tra l'altro al reclutamento del personale esterno, alla veridicità di curriculum per un determinato bando di concorso, al travisamento dei regolamenti elettorali per il Bando di concorso per la direzione dell'Accademia e per l'elezione del consiglio accademico e del consiglio di amministrazione, per l'illegale ammissione e superamento degli esami di studenti cinesi senza adeguata conoscenza della lingua italiana e infine per il mancato utilizzo dei Fondi PON e (Programma operativo nazionale-Progetto Sud-Est, per un importo di euro 4.050.000,00 e distruzione del materiale informativo);
   ad oggi, dopo aver presentato per ben sette anni diverse denunce davanti all'autorità giudiziaria competente, il professor Leopizzi sarebbe stato oggetto di numerose azioni persecutorie, ultima delle quali il trasferimento all'Accademia di Belle Arti di Venezia per «incompatibilità ambientali», che ha arrecato enormi difficoltà all'andamento della vita quotidiana del docente e della propria famiglia;
   è necessario sottolineare che, attualmente, nel nostro Paese non vi è una tutela adeguata, prevista in diversi paesi stranieri (tra cui la Gran Bretagna e gli Stati Uniti), per il lavoratore che denuncia possibili irregolarità o atti di corruzione nell'ambito lavorativo, il cosiddetto whistleblower, e che quasi sempre è costretto a subire minacce e vessazione da parte dei soggetti denunciati;
   a tal proposito sarebbe opportuno, ad esempio, prevedere che tale tutela si concretizzi anche attraverso un incentivo economico per gli autori delle denunce –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritengano altresì opportuno assumere ogni iniziative di competenza al fine di fornire un'adeguata tutela ai lavoratori che, come nel caso citato in premessa, decidono di denunciare personalmente irregolarità e comportamenti anomali all'interno dei luoghi di lavoro e che, per tale motivo, nella maggior parte dei casi vengono sottoposti a continue minacce ed azioni vessatorie che compromettono seriamente l'integrità psico-fisica degli stessi. (4-06195)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


   VIGNALI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 novembre 2011, n. 180, «Norme per la tutela della libertà di impresa. Statuto delle imprese» è stata salutata come «una rivoluzione copernicana nei rapporti tra lo Stato e le piccole e medie imprese», prevedendo che l'intervento pubblico e l'attività della pubblica amministrazione debbano conformarsi alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese;
   l'articolo 18 della citata legge prevede che, entro il 30 giugno di ciascun anno, il Governo debba presentare al Parlamento una «legge annuale per le micro, piccole e medie imprese» volta a definire lo sviluppo e gli interventi per la loro tutela, le norme per l'immediata riduzione degli oneri burocratici a loro carico, le misure di semplificazione amministrativa e le deleghe al Governo in materia di tutela e sviluppo delle micro, piccole e medie imprese;
   il disegno di legge annuale citato, ad oggi, non è stata ancora presentata –:
   se ed entro quale data il Governo intenda presentare il disegno di legge di cui all'articolo 18 della legge n. 180 del 2011. (3-01052)


   LIBRANDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le tensioni geopolitiche riguardanti alcune tra le principali aree di provenienza delle fonti idrocarburiche utilizzate in Italia – la Russia e la Libia in primis – determinano forti incertezze sulla stabilità degli approvvigionamenti e sull'adeguatezza della Strategia energetica nazionale italiana a questi nuovi mutati scenari;
   come dichiarato dalla compagnia energetica polacca Pgnig Gas e dalla società di trasporto ucraina Ukrtransgaz, ad esempio, Gazprom avrebbe già unilateralmente tagliato del 24 per cento le forniture di gas alla Polonia per bloccare il cosiddetto «flusso inverso» (reverse flow) all'Ucraina, cioè la rivendita a quest'ultima del gas acquistato dalla Russia;
   nonostante la smentita ufficiale di Gazprom, notizie di riduzioni delle forniture giungono anche da altri Paesi europei che, con una decisione coordinata con la Commissione europea, hanno accettato di rivendere gas all'Ucraina dopo il taglio delle forniture operato nel mese di giugno 2014 dalla compagnia energetica russa: la Slovacchia, ad esempio, afferma che anche le sue forniture sono diminuite del 10 per cento; una leggera riduzione dei flussi nei gasdotti riguarderebbe anche la Germania, secondo la compagnia tedesca E.On;
   per i principali analisti – come l'istituto di ricerca economico tedesco Diw – l'Europa avrebbe i margini per gestire nel breve periodo un'eventuale interruzione della fornitura di gas russo, grazie alla maggiore importazione di gas naturale liquefatto (gnl), al calo dei consumi e all'aumento delle riserve accumulate negli ultimi mesi, con stoccaggi pieni per circa il 90 per cento;
   tuttavia, tali stime sono soggette alla variabile climatica del prossimo inverno e alle forti instabilità riguardanti anche altri fornitori di gas per l'Italia, come la Libia; per l'Italia, peraltro, stante il ritardo accumulato negli anni sul piano infrastrutturale (ad esempio, sui rigassificatori) e su quello della ricerca e della produzione nazionale di idrocarburi, il livello di dipendenza dal gas straniero costituisce un fattore di obiettiva vulnerabilità anche nel breve periodo –:
   quale sia il livello effettivo dello stoccaggio di gas in Italia, anche valutato in numero di mesi di autosufficienza in caso di interruzione totale delle forniture russe, e se il Governo stia predisponendo una strategia alternativa di approvvigionamento da implementare in caso di escalation negativa dei rapporti tra l'Europa e la Federazione russa. (3-01053)


   NESCI e LIUZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, il servizio pubblico generale radiotelevisivo è affidato per concessione a una società per azioni che lo svolge sulla base di un contratto nazionale di servizio stipulato con il Ministero dello sviluppo economico, assolvendo a tutti i compiti di informazione e di diffusione specificati all'articolo 45;
   per l'adempimento dei compiti stabiliti nel contratto, «entro il mese di novembre di ciascun anno, il Ministro delle comunicazioni, con proprio decreto, stabilisce l'ammontare del canone di abbonamento in vigore dal 1o gennaio dell'anno successivo, in misura tale da consentire alla società concessionaria della fornitura del servizio di coprire i costi che prevedibilmente verranno sostenuti in tale anno per adempiere gli specifici obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo affidati a tale società, come desumibili dall'ultimo bilancio trasmesso, prendendo anche in considerazione il tasso di inflazione programmato e le esigenze di sviluppo tecnologico delle imprese. La ripartizione del gettito del canone dovrà essere operata con riferimento anche all'articolazione territoriale delle reti nazionali per assicurarne l'autonomia economica» (articolo 47, comma 3);
   con il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, è stato disposto, all'articolo 21, che Rai spa «può procedere alla cessione sul mercato, secondo modalità trasparenti e non discriminatorie, di quote di Rai Way, garantendo la continuità del servizio erogato»;
   inoltre, il predetto articolo 21 prescrive che «le modalità di alienazione sono individuate con decreto del Presidente del consiglio dei ministri adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze d'intesa con il Ministro dello sviluppo economico»;
   inoltre, nel citato articolo – sul cui impianto più parti hanno manifestato forti dubbi di legittimità costituzionale, peraltro, secondo notizie stampa, con impugnative in fieri – è aggiunto che «le somme da riversare alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, di cui all'articolo 27, comma 8, primo periodo, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, sono ridotte, per l'anno 2014, di euro 150 milioni»;
   la riferita riduzione delle somme contrasta, oltretutto, con «un rilevante scostamento tra l'ammontare dei costi di servizio pubblico e le risorse pubbliche effettivamente destinate alla Rai, per un ammontare pari ad euro 1.348,9 milioni», questo dedotto formalmente dall'associazione Articolo 21, di cui il fondatore, Giuseppe Giulietti, è stato membro della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;
   secondo notizie di stampa, si starebbe cedendo una quota di Rai Way maggiore del necessario, per un importo di 400 milioni di euro, nonostante le perdite da recuperare siano per il Governo di 150 milioni di euro, ma senza che detta ultima cifra risulti da un'analisi dei conti aziendali resa nota al Parlamento;
   la predetta notizia della cessione di una quota oltre il necessario, qualora confermata, sarebbe di gravità assoluta, considerando che la maggioranza delle azioni di uno dei primi potenziali acquirenti, Ei Towers, è detenuta da Mediaset;
   in questo caso si profilerebbe ad avviso degli interroganti un palese e pernicioso conflitto d'interessi, poiché la rete di ponti di trasmissione del servizio pubblico, da cui passerebbero informazioni strategiche e di sicurezza nazionale di organismi dello Stato, andrebbe in mano al diretto concorrente privato –:
   quante siano con esattezza le quote in cessione, con quali obiettivi di utilità nazionale e con quali garanzie per l'effettiva prosecuzione del servizio e dell'uso pubblico dei ponti di trasmissione in argomento. (3-01054)


   PALAZZOTTO, AIRAUDO, FERRARA, PLACIDO e RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   262 lavoratori di Accenture outsourcing a Palermo stanno per perdere il loro posto di lavoro a seguito dell'anticipata disdetta del committente British Telecom che, ad oggi, impegna la quasi totalità delle risorse impiegate sul centro e la cui naturale scadenza era prevista per il mese di luglio 2016;
   i lavoratori, assunti nel 2000 con contratto di formazione lavoro e poi riconvertiti nel 2002 a tempo indeterminato dall'allora Albacom – oggi British Telecom –, sono stati oggetto nel 2005 di una cessione di ramo d'azienda ed assunti da Accenture outsourcing, continuando, di fatto, a lavorare sempre per il cliente British Telecom;
   Accenture, all'epoca delle assunzioni, sfruttò gli incentivi allora disponibili presso la regione siciliana e la compartecipazione con la stessa regione sulla ditta Sicilia e Servizi, per la quale originariamente si prevedevano business milionari e che oggi, invece, si è chiusa in maniera conflittuale;
   negli anni a seguire Accenture, al di là delle intenzioni manifestate e degli impegni presi a parole, non ha mai diversificato il sito a livello di commesse né di competenze degli operatori, lasciando di fatto il centro di Palermo in una situazione di monocommittenza che, ad oggi, è alla base della vertenza in oggetto;
   contestualmente, Accenture, ha invece creato un polo «gemello» a Napoli, dove ha rigirato parti di commesse già presenti sul sito di Palermo, impiegando lavoratori a tempo determinato grazie agli incentivi sull'occupazione erogati dalla regione Campania;
   a questo quadro asfittico si aggiunge una progressiva diminuzione di benefit e salario patita dai lavoratori per far fronte a precise richieste aziendali e all'apertura, nel settembre 2012, di una procedura di mobilità, poi rientrata con la stesura di un accordo a dicembre 2012 con il quale i lavoratori rinunciavano ad un'ulteriore parte di salario, a fronte dell'impegno aziendale di portare nuovo lavoro sul sito di Palermo, impegno, ad oggi, totalmente disatteso. Dall'accordo, peraltro, scaturisce il regime di solidarietà per i lavoratori;
   British Telecom a gennaio del 2014 ha formalizzato la disdetta anticipata del contratto basandosi fondamentalmente su presunte inefficienze qualitative sui servizi erogati dal centro di Palermo e sulla necessità di abbattere i costi;
   il tavolo tra British Telecom, Accenture e organizzazioni sindacali non ha portato a nulla se non ad uno slittamento di due mesi della disdetta, (ovvero fino al 31 ottobre 2014);
   il timore degli interroganti è che British Telecom voglia disimpegnarsi completamente dal centro di Palermo, tralasciando il fatto che 262 lavoratori per essa lavorano da più di quattordici anni;
   i primi incontri al Ministero dello sviluppo economico, di fatto, non hanno portato ancora a nulla. Le aziende rimangono ferme sulle loro posizioni ed ad oggi l'unico orizzonte concreto è il riassorbimento dei lavoratori in British Telecom, a fronte di un sostanzioso conguaglio economico intorno ai 10-12 milioni di euro, richiesto ad Accenture;
   nonostante si parli di due grandi multinazionali, con fatturati di milioni di euro e sedi in tutto il mondo, la realtà è che, ad oggi, non c’è alcuna garanzia circa la tenuta occupazionale del centro Accenture outsourcing di Palermo, in quanto British Telecom ha dichiarato che nelle migliori delle ipotesi riassorbirebbe i servizi e vi farebbe fronte con assunzioni di personale a progetto, co.co.co. ed altro, quindi con un arretramento rispetto alle attuali condizioni contrattuali dei 262 dipendenti;
   Accenture, da parte sua, ha fatto chiaramente intendere che, in assenza della commessa British Telecom, non sarebbe più interessata a mantenere il centro di Palermo e quindi i lavoratori impiegati;
   i lavoratori del centro di Palermo si sono attivati in prima persona per sensibilizzare l'opinione pubblica ed hanno messo in piedi una massiccia campagna mediatica che sta riscontrando grandi risultati, avendo ottenuto la solidarietà di tantissimi personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e dell'informazione –:
   se il Governo non intenda richiamare British Telecom e Accenture alle proprie responsabilità affinché venga scongiurata la chiusura del centro di Palermo con il conseguente licenziamento o il peggioramento delle condizioni contrattuali dei 262 lavoratori e lavoratrici che vi lavorano, convocando immediatamente un tavolo di confronto con tutte le parti interessate per dare finalmente risposte ai circa 80.000 lavoratori che operano in tale comparto nel nostro Paese e che oggi rischiano di perdere il proprio lavoro, valutando l'adozione di possibili provvedimenti normativi per regolamentare diversamente il settore in questione, sempre più a rischio di delocalizzazioni, cessioni, dumping salariale e licenziamenti. (3-01055)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLA e CRIVELLARI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Enel ha comunicato ai vertici nazionali delle organizzazioni sindacali di categoria la volontà da parte della società di non procedere con gli investimenti concernenti la centrale termoelettrica di Porto Tolle;
   si prospetta la mancata conversione a carbone della centrale che oggi mantiene un parco produzione ad olio combustibile e quindi la chiusura del sito produttivo;
   la centrale Enel a carbone avrebbe dovuto comportare investimenti calcolati attorno ai 2,5 miliardi di euro, con la produzione di 1.980 megawatt divisi in 3 gruppi anziché gli attuali 4;
   per la realizzazione del progetto di conversione era stato calcolato l'impiego di circa 1.600 lavoratori in fase di cantiere, con punte di 3.500 per oltre 20 milioni di ore di lavoro;
   ad investimenti conclusi il progetto prevedeva circa 700 operai, di cui 350 alle dipendenze di Enel;
   la notizia di non procedere al programma di investimenti rischia quindi di compromettere definitivamente il futuro del sito e gli addetti attualmente impiegati;
   l'annuncio da parte dell'Enel nella totale assenza di un progetto alternativo pone il ragionevole dubbio sulle reali intenzioni da parte dell'azienda;
   occorre verificare, in tempi rapidissimi, se l'Enel sia intenzionata a mantenere il sito attivo magari con la previsione di sistemi di generazione a basso impatto ambientale e ad alto sviluppo tecnologico e di ricerca, o se questo annuncio sia il preludio dello smantellamento definitivo –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare per convocare, con la massima urgenza, un tavolo istituzionale con gli attori locali e nazionali, l'azienda e le organizzazioni sindacali, al fine di programmare il futuro della centrale e preservare i necessari investimenti per mantenere il sito ancora produttivo, salvaguardando i livelli occupazionali e scongiurare la chiusura dell'impianto termoelettrico di Porto Tolle. (5-03670)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano la Stampa, in un articolo pubblicato il 23 settembre 2014, riporta che, secondo i dati forniti da Invitalia, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, che agisce su mandato del Governo per accrescere la competitività del Paese, nessuna impresa o gruppo straniero, ha previsto nell'ultimo anno investimenti attraverso insediamenti di nuovi impianti industriali di dimensioni significative sul suolo italiano;
   il problema fondamentale secondo i rilievi espressi dall'Associazione delle banche estere che operano in Italia, che rappresenta l'interlocutore naturale per molti potenziali investitori stranieri, si riscontra nella classifica che colloca il sistema – Italia, in una scala da zero a cento, soltanto a quota 33,2, un livello pertanto troppo basso;
   gli eccessi di burocrazia, i tempi insostenibili della giustizia e le tasse troppo elevate rappresentano soltanto alcuni degli esorbitanti profili di criticità presenti nel mercato italiano, prosegue il suindicato articolo, profili che determinano la scarsa volontà delle imprese straniere di investire in Italia;
   le suddette complicazioni diventano ulteriormente più gravi, se si aggiunge la legislazione sul lavoro, che secondo il quotidiano in precedenza richiamato, risulta essere fra la più complicata al mondo;
   a tal fine, le osservazioni dell'economista Nicola Rossi, richiamate nel medesimo articolo, condivise anche dall'interrogante, sulla sorprendente forbice si ampi tra gli investimenti finanziari in forte ripresa e quelli industriali ancora fermi, nonostante l'aumento sul fronte delle acquisizioni, rappresentano un elemento di riflessione su come il sistema-Paese e l'intera economia italiana, continuino a perdere competitività;
   in 10 anni tra, il 1994 ed il 2013, l'Italia ha infatti attratto investimenti esteri diretti (finanziari e industriali), i cosiddetti Ide, per un totale di 290 miliardi di dollari, contro i 567 miliardi di dollari della Spagna e i più degli 800 in Francia e Germania; dati numerici ampiamente sufficienti per consentire al Ministro interrogato la riflessione su un calcolo di margine netto di crescita a regime per almeno 20 miliardi all'anno, con inevitabili riflessi in termini di nuova occupazione;
   gli interventi normativi, effettuati negli ultimi due anni, come ad esempio i decreti cosiddetti «del fare» o «destinazione-Italia» a parere del quotidiano piemontese, appaiono inutili e tardivi; la consistenza delle misure adottate e soprattutto le esigue risorse finanziarie a disposizione non determineranno alcun impatto significativo in termini di promozione ed insediamenti di nuove strutture produttive sul territorio nazionale;
   quanto suesposto, a parere dell'interrogante, evidenzia un quadro desolante e al contempo preoccupante se valutato in prospettiva per i prossimi anni, in considerazione del fatto che, se gli indicatori economici per il nostro Paese evidenziano segnali modestissimi in termini di ripresa economica o addirittura di perdurante deflazione, l'impasse in cui si trova l'Italia in termini di scarsa attrattività straniera è così complesso che richiede un imponente operazione strutturale economica sociale e normativa, per rinnovare l'interesse delle imprese straniere nel nostro Paese –:
   quali orientamenti intenda esprimere, con riferimento a quanto esposto in premessa, e quali iniziative urgenti e necessarie, nell'ambito delle proprie competenze, intenda assumere per interrompere la gravissima emorragia in corso connessa all'allontanamento di investitori stranieri nel nostro Paese, il cui aspetto negativo contribuisce ad aggravare le condizioni di crisi economica nel nostro Paese.
(4-06186)


   LAVAGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella zona di Canelli, in provincia di Asti, si producono vini tra i più pregiate d'Italia: Asti spumante, moscato d'Asti, barbera d'Asti, barbera del Monferrato, dolcetto d'Asti;
   il 22 giugno 2014, il comitato dell'Unesco riunito a Doha, in Qatar, ha inserito tra i siti Unesco i paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato. È un'area che ricomprende le province di Cuneo, Asti e Alessandria; i comuni che possono vantare il riconoscimento Unesco sono Canelli, Barolo, Grinzane Cavour, Barbaresco, Nizza Monferrato;
   il distretto industriale di Canelli – Santo Stefano Belbo si estende su un'area di 57 chilometri quadrati e comprende 11 comuni, 7 dei quali localizzati in provincia di Asti, 4 in provincia di Cuneo, con una popolazione complessiva di circa 22.500 abitanti. Relativamente alla struttura produttiva del distretto operano complessivamente circa 2000 aziende agricole, oltre 600 imprese artigiane e circa 70 aziende a livello industriale (una azienda agricola ogni 10 abitanti e un'impresa ogni 3);
   inoltre, gli addetti nel settore manifatturiero ammontano a circa 5.584 unità, mentre nel settore di specializzazione «alimentare» gli addetti ammontano a circa 2.150 unità; gli addetti nelle piccole e medie imprese ammontano a circa 1.100 unità;
   la produzione di Asti Spumante ammonta a circa 800.000 quintali d'uva, da cui si ricavano oltre 80.000.000 di bottiglie, per un fatturato globale che si aggira sui 186.000.000 di euro l'anno. Molto inferiore è la produzione di moscato d'Asti, complessivamente di circa 3.000.000 di bottiglie, per un fatturato medio di 18 miliardi di euro;
   circa il 50 per cento dell'Asti viene prodotto nel distretto di Canelli-Santo Stefano Belbo, mentre il restante 50 per cento è prodotto dalla Martini & Rossi di Pessione e dalla Cinzano di Cinzano d'Alba;
   le aziende nel distretto percorrono tutta la filiera della produzione enologica, dalla viticoltura, alla trasformazione delle uve, alla costruzione di macchine per l'enologia, ai sugherifici;
   negli ultimi, tre anni, alla stagione della vendemmia, sono comparsi su un parcheggio centrale di Canelli, piazza Unione europea, un numero crescente di immigrati in cerca di lavoro per poi tornare in patria a fine stagione: bulgari, rumeni, macedoni e bulgaro-macedoni, accampati in una vera e propria baraccopoli. Attualmente sono un centinaio i vendemmiatori accampati alle porte di Canelli;
   come riportato da organi di stampa, la vicenda della baraccopoli di Canelli ha richiamato, l'anno scorso, l'attenzione internazionale. La Confederation Paysanne, importante organizzazione dei piccoli produttori francesi, ha avviato una ricerca sullo sfruttamento agricolo in Piemonte, dando risultati sconcertanti: la vendemmia sarebbe in mano a cooperative di macedoni che svolgono intermediazione di manodopera, un tempo strettamente regolamentata ma fortemente facilitata dal 2003. Lo strumento dei «soci lavoratori» garantisce un'ampia flessibilità nel lavoro a giornata. Formalmente non è caporalato, ma i risultati sono gli stessi: salari reali sempre più bassi;
   sempre secondo la Confederation Paysanne, a Canelli il 10 per cento della popolazione è macedone, e ci sono circa quindici cooperative di questo tipo, quasi tutte gestite da macedoni, tre delle quali sono conosciute e permanenti. Altre, più dubbie, aprono e chiudono di un'anno all'altro. Nessuno è capace di ricordare il loro nome. Alcune sono gusci vuoti creati per fatturare al più basso il prezzo del lavoro. Non risultano quasi mai d'iniziativa collettiva, ma solo frutto della volontà di un imprenditore;
   sempre come riportato da organi di stampa, due bagni chimici sono già fuori uso e la doccia, una per cento persone, non ha acqua calda. Gli immigrati lavorano dieci ore al giorno per una paga che a stento supera i 5 euro all'ora –:
   se siano a conoscenza delle problematiche sopra esposte e quali azioni di competenza intendano intraprendere per far sì che gli imprenditori agricoli operino nel rispetto delle regole. (4-06216)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Sani e altri n. 7-00470, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 settembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cenni.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione D'Arienzo n. 5-00139 del 16 maggio 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Scanu n. 5-01741 del 18 dicembre 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione D'Arienzo n. 5-01893 del 16 gennaio 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Piras n. 5-02919 del 3 giugno 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Tidei n. 5-03196 del 9 luglio 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Piras n. 5-03389 del 31 luglio 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Librandi n. 5-03532 dell'11 settembre 2014;
   interpellanza urgente Scotto n. 2-00687 del 23 settembre 2014.

Ritiro di una firma da una interrogazione.

  Interrogazione a risposta in Commissione Gallinella e altri n. 5-02536, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 aprile 2014, è stata ritirata la firma del deputato Massimiliano Bernini.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta orale Binetti n. 3-00304 del 12 settembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03693;
   interrogazione a risposta scritta Liuzzi n. 4-04897 del 20 maggio 2014 in interrogazione a risposta Commissione n. 5-03664;
   interrogazione a risposta scritta Scagliusi e altri n. 4-05067 del 9 giugno 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03692;
   interrogazione a risposta in Commissione Tidei n. 5-03017 del 18 giugno 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-06183;
   interrogazione a risposta scritta Nesci e altri n. 4-05464 del 9 luglio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03665.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Fraccaro n. 4-06014 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 289 del 12 settembre 2014. Alla pagina 16362, seconda colonna, dalla riga trentunesima alla riga trentaduesima deve leggersi: «della direttiva 92/43/CEE, ritenga di informarne la Commissione europea;» e non «della direttiva 92/94/CEE, ritenga di informarne la Commissione europea;», come stampato.

  Interrogazione a risposta scritta Micillo e altri n. 4-06167 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 299 del 26 settembre 2014. Alla pagina 16852, prima colonna, dalla riga trentacinquesima alla riga trentottesima, deve leggersi: «nella regione Campania le amministrazioni comunali di Giugliano in Campania, Quarto sono state sciolte per» e non «nella regione Campania le amministrazioni comunali di Giugliano in Campania e Quarto, Caivano, Cardito, Mugnano di Napoli, Arzano, sono state sciolte per», come stampato; alla pagina 16852, prima colonna, alla riga quarantaduesima, deve leggersi: «trattasi pertanto di comuni» e non «trattasi pertanto di numerosi comuni», come stampato.