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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 23 settembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    con la firma dell'accordo raggiunto nel corso del Consiglio europeo del giugno del 1984 si concludeva la lunga disputa relativa all'entità della contribuzione della Gran Bretagna al bilancio comunitario, fortissimamente voluto dal Premier Margaret Thatcher;
    il Governo britannico aveva più volte rimarcato l'esistenza di una notevole sproporzione tra quanto versato e la cifra che invece otteneva sotto forma di finanziamenti comunitari e grazie al citato accordo fu concessa alla Gran Bretagna una riduzione dell'importo della propria contribuzione al bilancio delle Comunità europee;
    l'accordo fu successivamente riconfermato nel corso del vertice di Edimburgo del 1992, allorché fu varata la riforma delle disposizione finanziarie comunitarie (cosiddetto pacchetto Delors II);
    in base alle conclusioni del Consiglio europeo di Fontainebleau fu deciso che ogni Stato membro, con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa, avrebbe beneficiato di una correzione a tempo debito. La base della correzione sarebbe stata individuata nel divario tra la quota parte dei pagamenti IVA e la quota parte nelle spese, ripartite secondo i criteri vigenti. Per quanto concerne il Regno Unito, penalizzato soprattutto dal settore agricolo, a decorrere dal 1985, l'entità della correzione fu stabilita pari ai due terzi della differenza tra il suo contributo e la quota spettante dal bilancio dell'Unione europea;
    il rebate britannico veniva confermato nel settembre 2000, a conclusione del Consiglio europeo di Berlino, ma venivano introdotte nuove norme per il suo finanziamento e si prevedeva la neutralizzazione di alcuni tipi di guadagni eccezionali, provenienti da modifiche indipendenti dalla correzione britannica, ma che costituiscono comunque un vantaggio per il Regno Unito;
    il Governo inglese ha sempre sostenuto che la necessità del mantenimento del rimborso era dovuto proprio alle mancate riforme strutturali del bilancio comunitario, in particolare al mancato abbattimento delle spese per la Politica agricola comune;
    il sistema di risorse proprie 2014-2020 conferma, come per il passato, meccanismi di correzione a favore degli Stati contributori, non più limitati quindi alla sola Gran Bretagna, ma estesi anche ad altri Paesi;
    le risorse del quadro finanziario pluriennale saranno determinate nella misura del 12,9 per cento da diritti doganali e dazi, dall'11,4 per cento dalla quota derivante dal gettito IVA e dal restante 68 per cento dai contributi versati dai Paesi membri in base al loro reddito nazionale lordo, ma il gruppo guidato da Monti per lo studio di nuove fonti di risorse proprie dell'Unione europea dovrebbe terminare fra breve i suoi lavori e le sue conclusioni potrebbero essere utilizzate in occasione della revisione di metà termine del bilancio dell'Unione europea;
    il rebate inglese, tuttora previsto dal quadro finanziario pluriennale, se in passato poteva avere una sua giustificazione a fronte di una significativa spesa per la Politica agricola comune, appare del tutto superato dagli eventi e dalla dotazione attuale della Politica agricola comune;
    non solo, il nostro Paese sostiene, insieme alla Francia, gran parte della quota parte del rimborso assegnato alla Gran Bretagna, nonostante non siamo più fra i Paesi con un reddito pro capite superiore a quello medio dell'Unione europea. Tale sistema di correzione, o sconto, non trova quindi nessuna giustificazione visti i differenti livelli di prosperità relativa dei Paesi, vecchi e nuovi, che ne beneficiano;
    la differenza tra quanto versato in termini di contributi al bilancio dell'Unione europea e quanto ricevuto, il cosiddetto saldo netto, è stato sempre negativo per l'Italia, anche se migliorerà tra il periodo 2007-2013 ed il nuovo quadro finanziario 2014-2020;
    il Consiglio europeo del dicembre 2013 ha accolto in parte le proposte della Commissione europea volte ad una riforma profonda del sistema di finanziamento, ma ha deciso di mantenere i sistemi di correzione a favore di alcuni Stati membri;
    è stata prevista altresì una «clausola di revisione» del quadro finanziario pluriennale da esercitare al più tardi entro il 2016, con l'obiettivo di dare al nuovo Parlamento europeo e alla nuova Commissione europea la possibilità di valutare l'adeguatezza delle priorità rispetto alla parte rimanente del periodo di programmazione,

impegna il Governo

a sostenere, nel corso del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, in vista della revisione di metà termine del bilancio dell'Unione europea e del sistema di finanziamento, l'opportunità di riconsiderare il sistema dei meccanismi di correzione di cui usufruiscono attualmente alcuni partner europei, alla luce delle mutate condizioni macroeconomiche degli stessi e della diversa allocazione delle risorse per la realizzazione delle politiche europee che ne giustificarono l'impiego, garantendo un giusto riequilibrio in favore del nostro Paese.
(1-00597) «Buttiglione, Dellai».


   La Camera,
   premesso che:
    il tema della programmazione di bilancio dello Stato e della spesa delle risorse stanziate, ordinarie e straordinarie, destinate allo sviluppo del Paese ed in particolare del Mezzogiorno impone di confrontarsi con numerose criticità che possono ridurre l'efficacia dell'intervento pubblico;
    i fondi comunitari sono di fondamentale importanza per tutto il Paese ma è necessario evidenziare che hanno una particolare rilevanza per il Sud Italia in quanto sono molto spesso sostitutivi delle risorse statali per gli investimenti. Già nel Rapporto strategico nazionale di dicembre 2009, prima ancora dei numerosi tagli che sono stati effettuati alle politiche di sviluppo (20 miliardi di tagli al F.A.S. 2007-2013 destinato al Sud), il Ministero dello sviluppo economico dichiarava il mancato rispetto del principio di addizionalità previsto dai regolamenti europei. In quel periodo, infatti, il 15 per cento dei fondi europei fu utilizzato per sopperire alla mancanza di risorse nazionali;
    la Banca d'Italia, nel corso dell’«Eurofi Financial Forum 2014», ha segnalato la necessità di «rilanciare gli investimenti pubblici e privati nazionali ed europei» per la ripresa economica e di affiancare alle riforme strutturali specifiche sul lato dell'offerta «una più ampia azione di politica economica per accelerare la costituzione di infrastrutture materiali ed immateriali indispensabili per un vero mercato unico europeo»;
    in particolare, sono due gli elementi di criticità che ostacolano ed inficiano l'effettiva redditività dei provvedimenti dello Stato finalizzate alle politiche di sviluppo;
    il primo elemento di criticità si rileva nella distorsione dell'utilizzo delle risorse della programmazione unitaria che sono state utilizzate come variabile di aggiustamento dei conti pubblici italiani nei provvedimenti di finanza pubblica adottati dal 2008 ad oggi. Circa un terzo (pari a 20 miliardi di euro) delle risorse dell'ex Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) relative al periodo 2007-2013, ora denominato Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC), sono state tagliate o destinate ad altre finalità. Tale distrazione ha determinato una forte incertezza sulle disponibilità finanziarie da utilizzare per le politiche di sviluppo;
    il secondo elemento di criticità si ravvisa nei vincoli di finanza pubblica, con particolare riferimento al patto di stabilità interno di regioni, province e comuni, che hanno rallentato la spesa delle risorse stanziate con la conseguenza che, a metà 2014, circa il 50 per cento dei fondi strutturali e più del 90 per cento delle risorse regionali dell'ex FAS devono ancora essere spese;
    secondo quanto si evince dalle analisi del bilancio dello Stato, risulta che, nel corso degli ultimi anni, si sia verificato una distrazione delle risorse destinate alle infrastrutture da una molteplicità di capitoli ordinari a pochi «maxi-capitoli», con una crescente concentrazione delle risorse nei maxi-capitoli dei fondi strutturali e FSC;
    le stime dell'Ance, di Confindustria e del Cresme evidenziano la grande portata delle risorse distratte dai capitoli ordinari: i due maxi-capitoli dei fondi strutturali e FSC, rappresentano oggi tra il quaranta ed il quarantacinque per cento delle risorse destinate ogni anno dallo Stato alle infrastrutture e all'adeguamento del territorio. Appare, dunque, strategico il celere utilizzo di queste risorse proprio in ragione del contesto in cui versa il nostro Paese nel quale le risorse pubbliche a disposizione dell'infrastrutturazione sono ai livelli minimi degli ultimi 20 anni. Tuttavia, l'irrigidimento del patto di stabilità interno rischia fortemente di ostacolarne la spesa;
    le stime innanzi richiamate evidenziano che, mettendo a confronto la programmazione della politica nazionale di coesione territoriale con quella contenuta nei documenti di finanza pubblica per il triennio 2014-2016, è facile rilevare un'evidente incompatibilità tra gli obiettivi fissati nel biennio 2014-2015 per la spesa dei fondi europei e del fondo per lo sviluppo e la coesione e l'irrigidimento dei vincoli di finanza pubblica determinato dalla Legge di stabilità per il 2014;
    la legge, infatti, prevede un inasprimento del Patto di stabilità interno delle regioni (una riduzione dei livelli di spesa autorizzati per gli enti regionali, al netto di quelle sanitarie) per un importo complessivo di quattro miliardi e cinquecento milioni di euro nel triennio 2014-2016; tale vincolo rischia di bloccare le politiche di sviluppo finanziate con i fondi europei e FSC;
    il blocco appena evidenziato riguarda tutte le regioni e non solo quelle del Mezzogiorno dove le risorse della politica di coesione assumono maggiore rilevanza: al netto delle esclusioni già previste dalla normativa, infatti, il peso del cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali e del fondo per lo sviluppo e la coesione sul patto di stabilità interno delle regioni risulta pari, in media, al 26,6 per cento nel 2014 e al 34,1 per cento nel 2015;
    il problema è ancora più rilevante al Sud in quanto regioni come la Puglia ed il Molise, che raggiungono percentuali del 99 per cento nel rapporto tra importo delle spese da effettuare e importo delle spese autorizzate, dovrebbero sospendere ogni altro tipo di spesa (stipendi ai dipendenti, trasporto pubblico locale eccetera) nel biennio 2014-2015 per riuscire ad investire i fondi europei e FSC nei tempi previsti;
    la spesa dei fondi comunitari è prioritaria per la ripresa economica particolarmente nel Mezzogiorno. Infatti, questa zona ha subìto pesantemente la crisi economica più di ogni altra area del Paese. Eurispes, nell'ultimo rapporto annuale, analizzando i dati economici dell'Italia, ha evidenziato che al Sud vi è una condizione molto critica con indicatori inferiori rispetto a quelli di altre aree e rispetto alle medie nazionali. Dal 2007, la crisi ha piegato il tessuto economico e produttivo del Sud aumentando ulteriormente il divario con il Nord d'Italia. Nel Mezzogiorno le aziende registrano il peggior saldo del portafoglio ordini e della relativa variazione nel periodo. Non a caso, al Sud, dal 2007 ad oggi, ben 11.500 aziende (pari al 25 per cento del totale in Italia) hanno registrato una situazione di incapacità prolungata nel tempo di ripagare i propri debiti e hanno fatto richiesta di fallimento presso le cancellerie dei tribunali;
    l'analisi è riferita alla sola spesa dei fondi comunitari nel periodo di programmazione 2007-2013 e non tiene conto dell'esigenza di spendere anche altre risorse destinate alle politiche di sviluppo come quelle del piano di azione e coesione (circa 10 miliardi di euro), quelle relative al periodo di programmazione 2014-2020 di prossimo avvio (più di 100 miliardi di cui più di 50 miliardi gestiti dalle regioni) ed eventuali residui del periodo di programmazione 2000-2006, in gran parte gestiti a livello regionale;
    è importante evidenziare che sugli investimenti finanziati con questi fondi grava non solo l'ostacolo rappresentato dal patto di stabilità interno delle regioni ma anche quello rappresentato dal patto di stabilità interno degli enti locali (comuni e province), quando questi risultano destinatari dei finanziamenti della politica di coesione. Su questo punto, il legislatore non è intervenuto nella legge di stabilità, nonostante le reiterate richieste di «nettizzazione» di queste risorse nel calcolo del patto di stabilità interno;
    le disposizioni previste dalla legge di stabilità per il 2014 sembrerebbero, quindi, incoerenti con la necessità di garantire un rapido ed efficace utilizzo dei fondi europei e del fondo per lo sviluppo e la coesione, nonostante quest'ultima sia stata più volte richiesta tramite numerosi atti parlamentari di indirizzo che hanno impegnato il Governo ad agire diversamente;
    le linee politiche annunciate sembrerebbero tendere non solo ad irrigidire il patto di stabilità interno proprio nel momento in cui occorrerebbe accelerare la spesa dei fondi in vista della chiusura del periodo di programmazione 2007-2013 e dell'avvio del periodo 2014-2020, ma anche ad inasprire le sanzioni previste per le regioni che decidono di sforare il patto di stabilità interno per spendere i fondi europei. Tutto questo in un contesto in cui, a due anni dalla fine della programmazione, circa la metà dei fondi deve ancora essere speso e certificato, per un importo totale che supera i 20 miliardi di euro;
    l'impossibilità di spendere i fondi europei è solo una rappresentazione della generale incompatibilità tra vincoli di finanza pubblica e politica di sviluppo del territorio; un'incompatibilità sottolineata anche dal fatto che a metà 2014, sei miliardi di euro già disponibili nelle casse degli enti locali non possono essere investiti a causa del patto di stabilità interno;
    secondo le dichiarazioni rilasciate ad organi di stampa da rappresentanti del Governo, sarebbe allo studio una consistente riduzione delle risorse destinate al cofinanziamento degli interventi dei fondi strutturali per il periodo 2014-2020, rispetto ai circa 41 miliardi che erano allo scopo previsti dal progetto di Accordo di partenariato trasmesso alla Commissione europea lo scorso 22 aprile 2011;
    tale riduzione produrrebbe effetti positivi in termini di finanza pubblica ma determinerebbe la rinuncia ad avvalersi di una quota consistente delle risorse assegnate alle regioni italiane nell'ambito della programmazione 2014-2020;
    nel corso dell'informativa urgente sulle linee di attuazione del programma di Governo del 16 settembre 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri ha inteso evidenziare l'urgenza dell'investimento dei fondi comunitari pronunciando queste parole: «Al termine dei mille giorni o spendiamo bene i fondi europei o i fondi europei porteranno via noi»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a riformare con estrema urgenza il patto di stabilità interno e le regole di finanza pubblica affinché sia possibile assicurare la spesa dei fondi europei nonché garantire un'equilibrata politica di investimenti da parte degli enti territoriali;
   ad assumere iniziative per rifinanziate la misura che prevede l'esclusione di parte dei cofinanziamenti nazionali dai parametri del patto di stabilità interno, e che esaurisce i propri effetti nel 2014 dopo un triennio di operatività, con lo stanziamento di 1 miliardo di euro all'anno tenuto conto che tale provvedimento si è già rivelato determinante per impedire la paralisi completa della spesa comunitaria e nazionale;
   a ridistribuire, già nell'ambito del prossimo disegno di legge di stabilità per il 2015, gli obiettivi di finanza pubblica stabiliti a livello nazionale in favore di una politica di investimento degli enti locali, accompagnata da una revisione delle regole del patto di stabilità a livello nazionale ed europeo, con l'introduzione di una adeguata flessibilità per favorire gli investimenti;
   a procedere alla revisione dei criteri di determinazione delle quote di ripartizione, tra le regioni italiane, dei tetti di spesa rilevanti ai fini del patto di stabilità interno individuando criteri maggiormente perequativi che tengano conto del flusso complessivo di investimenti che le stesse sono obbligate a promuovere sul versante della programmazione unitaria (fondi comunitari e fondo di sviluppo e coesione) e che non siano più basati esclusivamente sulla spesa storica, peraltro riferita ad un unico anno ovvero al 2005;
   a confermare, per tutte le regioni interessate, la quota di cofinanziamento nazionale nella misura di circa il 50 per cento per il periodo 2014-2020;
   a garantire che la programmazione infrastrutturale rappresenti l'elemento centrale dei programmi dei fondi strutturali europei e FSC 2007-2013 e 2014-2020, evitando di utilizzare impropriamente questi fondi per finanziare altre esigenze nell'attuale difficile contesto di finanza pubblica;
   a rendere operativa, entro il mese di ottobre 2014, l'Agenzia per la coesione territoriale rafforzandone i poteri sostitutivi in caso di inerzia da parte delle amministrazioni statali o regionali competenti per l'attuazione dei programmi nel periodo 2014-2020.
(1-00598) «Matarrese, Mazziotti Di Celso, Dambruoso, Causin, Vargiu, Vitelli, Molea, Vecchio, Galgano, D'Agostino, Piepoli, Vezzali, Antimo Cesaro, Rubinato, Oliverio, Grassi, Pastorelli».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VI e X,
   premesso che:
    il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha ridotto, all'articolo 12, il limite di utilizzo del contante e dei titoli al portatore, con decorrenza dal 6 dicembre 2011 ad un importo inferiore ad euro 1.000; ha altresì previsto, all'articolo 12, comma 9, che l'Associazione bancaria italiana, le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, la società Poste italiane spa, il Consorzio bancomat, le imprese che gestiscono circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese maggiormente significative a livello nazionale dovessero definire entro il 1o giugno 2012, ed applicare entro i tre mesi successivi, le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, tenuto conto della necessità di assicurare trasparenza e chiarezza dei costi, nonché di promuovere l'efficienza economica nel rispetto delle regole di concorrenza;
    non essendosi pervenuto, secondo le modalità e nei termini previsti dal citato articolo 12, comma 9, del decreto-legge n. 201, all'elaborazione delle suddette regole condivise, ai sensi dell'articolo 12, comma 10, del medesimo decreto-legge n. 201, la loro definizione è stata demandata a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
    il comma 4 dell'articolo 15 del decreto-legge n. 179 del 2012, ha stabilito che, a decorrere dal 1o gennaio 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, fossero tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito;
    il successivo comma 5 del medesimo articolo 15 ha stabilito che, con uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, venissero disciplinati gli eventuali importi minimi, le modalità e i termini, anche in relazione ai soggetti interessati, per l'attuazione della disposizione previste dal citato comma 4: con i medesimi decreti poteva essere disposta l'estensione degli obblighi a ulteriori strumenti di pagamento elettronici anche con tecnologie mobili;
    successivamente, al fine di consentire alla platea degli interessati di adeguarsi alle nuove disposizioni normative, è intervenuto l'articolo 9, comma 15-bis, del decreto-legge n. 150 del 2013 (cosiddetto decreto «Milleproroghe»), con il quale è stato prorogato al 30 giugno 2014 il termine di entrata in vigore dell'obbligo di accettazione dei pagamenti mediante carte di debito;
    ai sensi dell'articolo 15, comma 5, del decreto-legge n. 179 del 2013 è stato emanato il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, che, all'articolo 2, comma 2, stabiliva che, in sede di prima applicazione e fino al 30 giugno 2014, l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito si applicasse a tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro e limitatamente ai pagamenti effettuati a favore degli esercenti il cui fatturato dell'anno precedente a quello nel corso del quale è effettuato il pagamento fosse superiore a duecentomila euro; tale disposizione, per effetto della proroga introdotta dal citato decreto-legge «Milleproroghe», è stata tuttavia vanificata;
    successivamente è stato adottato il decreto 14 febbraio 2014 del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, recante il regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento: tale provvedimento si limita ad enunciare alcuni principi di carattere generale, dettando regole solamente in materia di trasparenza e di pubblicità; in particolare, l'articolo 4 del decreto ministeriale stabilisce una maggiore pubblicità delle commissioni d'interscambio imponendo ai gestori dei circuiti «di rendere noti e aggiornati in maniera chiara, completa, trasparente attraverso il proprio sito internet le eventuali commissioni d'interscambio applicate alle operazioni di pagamento», l'articolo 5 prescrive «la confrontabilità delle commissioni» per gli esercenti obbligati dal 30 giugno di avere una apparecchio POS (Point of Sale) in negozi, aziende e studi, mentre l'articolo 6 stabilisce una revisione periodica almeno annuale delle commissioni, correlate al volume e al valore delle operazioni;
    a pochi mesi dall'entrata in vigore dell'obbligo di dotarsi del POS il meccanismo stenta a decollare e, contestualmente, l'applicazione delle previste disposizioni normative sta creando notevoli disagi a commercianti, artigiani e liberi professionisti, in quanto i costi di installazione e gestione delle apparecchiature incidono in maniera significativa sul fatturato e rischiano di essere, in questa congiuntura economica, proibitivi per molti piccoli e medi imprenditori, come denunciato anche dalle associazioni di categoria: in particolare, il provvedimento del Governo avrebbe dovuto incentivare l'utilizzo della moneta elettronica sia dal punto di vista dei consumatori sia da quello delle imprese, evitando che uno strumento introdotto per la condivisibile lotta all'evasione si trasformi in un balzello aggiuntivo per artigiani, commercianti e i liberi professionisti; non è infatti in discussione il diritto del consumatore di pagare come meglio crede i propri acquisti, ma il fatto che sia la legge ad imporre agli imprenditori un costo aggiuntivo insostenibile, determinando anche ripercussioni negative nel rapporto fiduciario tra venditore e acquirente;
    in tale contesto va inoltre ricordato che i costi per l'installazione dei POS presentano una componente fissa e una variabile: i costi fissi coprono la disponibilità dell'apparecchiatura POS e dipendono dalle diverse funzionalità che il terminale può offrire e dal tipo di tecnologia utilizzata per il collegamento; i costi variabili sono, invece, legati al numero e all'ammontare delle transazioni effettuate dalla clientela e dipendono dal tipo di circuito utilizzato; spesso le due componenti di costo sono fra loro collegate: a costi fissi più alti possono essere associati costi variabili più bassi (e viceversa);
    nello scorso mese di luglio, presso il Ministero dello sviluppo economico si sono tenute le prime due riunioni di uno specifico tavolo sul tema della diffusione delle transazioni con carte di pagamento: a questi incontri hanno preso parte i rappresentanti dell'ABI, dell'Aiip (Associazione italiana istituti di pagamento e di moneta elettronica), del Consorzio Pagobancomat, dei gestori dei circuiti internazionali Visa e MasterCard e di alcuni operatori di mercato dei pagamenti elettronici; nelle prossime settimane, il tavolo proseguirà con la convocazione delle organizzazioni delle imprese e dei professionisti;
    gli interventi normativi di questi ultimi anni si inquadrano nella dichiarata intenzione del legislatore di modernizzare il sistema di pagamenti del nostro Paese ed avvicinarlo così agli standard europei, agevolando ed incrementando la diffusione e l'utilizzo della moneta elettronica in funzione di una sensibile riduzione dei costi legati alla gestione del contante da parte delle imprese, di un più efficace contrasto all'evasione fiscale, al riciclaggio e alla corruzione, garantendo una maggiore tracciabilità dei pagamenti; di una semplificazione della contabilità di banche, imprese e pubblica amministrazione, senza considerare la riduzione dei costi sociali legati a furti, scippi e rapine;
    l'esigenza di promuovere in Italia l'uso di questi sistemi di pagamento è confermata dall'evidenza che il sistema italiano dei pagamenti si caratterizza per una maggiore incidenza delle transazioni regolate attraverso il contante, ben oltre P80 per cento del controvalore totale, rispetto agli altri principali Paesi europei, dove non si supera il 60 per cento;
    a livello europeo, l'Unione europea ha approvato, ad oggi, la direttiva sui sistemi di pagamento del 2007 (2007/64/CE), anche nota come PSD – Payment services directive, che definisce un quadro giuridico comunitario per i servizi di pagamento elettronici e quella sulla moneta elettronica del 2009 (2009/110/CE), concernente l'avvio, l'esercizio e la vigilanza prudenziale dell'attività degli istituti di moneta elettronica; la direttiva PSD è stata recepita nell'ordinamento nazionale con il decreto legislativo n. 11 del 2010, la seconda direttiva con il decreto legislativo n. 45 del 2012: entrambe le direttive non prendono in considerazione gli aspetti di policy legati agli obiettivi di diffusione degli strumenti di pagamento elettronico, limitandosi agli aspetti formali legati alla armonizzazione finanziaria della disciplina dei relativi mercati di riferimento, lasciando ampie possibilità di deroga ai singoli Stati membri; il quadro normativo comunitario mantiene margini confusi e criticità tali da aver indotto la Commissione europea ad elaborare e a pubblicare il 24 luglio 2013 un pacchetto di proposte (COM (2013)547 def.) per facilitare l'uso dei pagamenti via Internet, che aggiorna le disposizioni delle citate direttive sui sistemi di pagamento (2007/64/CE) e sulla moneta elettronica (2009/110/CE);
    il 3 aprile 2014 il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura una proposta di regolamento che prevede un tetto sulle commissioni interbancarie con carte di credito e di debito (interchange fee) dello 0,2 per cento della transazione per le carte di debito e dello 0,3 per cento della transazione per le carte di credito; per i primi 22 mesi il tale tetto alle commissioni sarà in vigore solo per le transazioni internazionali, successivamente, entro due anni dalla data di pubblicazione del provvedimento, entrerà in vigore anche per quelle domestiche;
    secondo la relazione allegata alla proposta della Commissione europea, il calo dell’interchange fee dovrebbe ridurre i costi a carico dei commercianti di circa sei miliardi di euro all'anno e rilanciare l'uso del pagamento elettronico; attualmente, la commissione pagata dalla banca del commerciante alla banca del consumatore, può essere addirittura pari all'1,5 per cento del totale della transazione; si calcola che la media europea sia dello 0,9 per cento;
    la maggiore diffusione degli strumenti di moneta elettronica rappresenta inoltre un elemento imprescindibile per lo sviluppo del commercio elettronico e dei servizi online, il quale a sua volta può costituire un notevole elemento di crescita e di modernizzazione del Paese, in primo luogo sotto il profilo economico ed occupazionali, ma anche sotto quello sociale;
    appare necessario colmare in Italia il ritardo tecnologico e infrastrutturale che attualmente penalizza i consumatori e le imprese italiane rispetto all'accesso alla banda larga, costituendo un freno allo sviluppo e agli investimenti produttivi nel settore;
    in tale contesto si inseriscono le iniziative con la quale la Commissione europea ha indicato una serie di azioni concrete volte a raddoppiare entro il 2015 la quota di e-commerce delle vendite al dettaglio, nonché la percentuale del PIL europeo complessivo prodotto dall'economia online,

impegnano il Governo:

   a proseguire celermente nelle convocazione e nella tenuta dei tavoli tecnici presso il Ministero dello sviluppo economico, al fine di promuovere accordi fra sistema bancario e le associazioni imprenditoriali, volti all'abbattimento dei costi di gestione dei POS, prevedendo anche forme di defiscalizzazione degli oneri connessi all'installazione ed alla gestione dei dispositivi sotto forma di credito d'imposta;
   a prevedere l'innalzamento dell'importo minimo oltre il quale si applica l'obbligo di accettare pagamenti elettronici (50 euro) o l'esclusione temporanea dal provvedimento dei settori di attività a basso margine di redditività, individuati attraverso apposito tavolo cui partecipino il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'economia e delle finanze e le parti sociali;
   ad assumere iniziative volte a incrementare la trasparenza delle diverse proposte commerciali delle banche, anche attraverso la pubblicizzazione dei valori della commissioni interbancarie della diverse banche e sviluppando un indice sintetico di costo che consenta agli operatori una facile comparazione delle diverse offerte;
   a dare attuazione, nell'ambito della riforma del sistema fiscale, al principio di delega stabilito dall'articolo 9, comma 1, lettera f), della legge n. 23 del 2014, con particolare attenzione alle forme incentivanti l'utilizzo della moneta elettronica;
   a verificare lo stato della diffusione dei POS presso le pubbliche amministrazioni;
   a provvedere a tenere costantemente e tempestivamente informate le commissioni parlamentari competenti sugli sviluppi dei tavoli di lavoro presso il Ministero dello sviluppo economico sull'andamento del monitoraggio degli effetti del decreto sul mercato, sia in termini di volumi sia di prezzi;
   a definire e attuare ogni utile iniziativa per sostenere e diffondere le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, allo scopo di sfruttarne al meglio il potenziale di sviluppo, superando il cosiddetto digital divide e ponendo le imprese e i cittadini nelle condizioni di utilizzare appieno e in condizioni di parità sull'intero territorio nazionale tutte le possibilità, non solo economiche, ma anche sociali, informative e culturali, offerte da Internet;
   ad accompagnare e sostenere le imprese, in particolare le piccole e medie imprese, in quel processo di crescita dimensionale e di modernizzazione produttiva, tecnologica e organizzativa, che costituisce una condizione importante per consentire loro di operare e competere efficacemente sui mercati online;
   a sostenere in particolare lo sviluppo dell’e-commerce, in una prospettiva di innovazione, sostegno alla crescita economica e la competitività, superando i ritardi che ancora caratterizzano, anche sotto questo aspetto, il tessuto economico nazionale;
   a rafforzare i sistemi di contrasto delle frodi telematiche nel settore dell’e-commerce, assicurando ai consumatori un più elevato livello di sicurezza, con specifica attenzione ai profili di trasparenza e chiarezza delle informazioni commerciali, alla garanzia dei prodotti venduti e dei servizi offerti.
(7-00465) «Capezzone, Abrignani, Sandra Savino, Polidori, Laffranco, Marti».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    è in costante crescita il mercato degli affitti brevi ovvero le locazioni per brevi periodi (a volte anche di una sola notte) di case o appartamenti ovvero porzioni di esse, praticate dai proprietari in forma privata e non imprenditoriale. Il settore interessa diverse categorie di soggetti: dal semplice possessore di un immobile che vuole renderlo produttivo senza ricorrere alle tradizionali forme di affitto a chi, soprattutto in conseguenza della crisi economica degli ultimi anni, cerca di arrotondare il proprio reddito affittando una stanza della propria casa in occasione di eventi particolari. In tutti questi casi, la locazione breve del proprio immobile rappresenta una sicura e concreta fonte di guadagno. I dati ISTAT, relativi all'ultima rilevazione annuale (riferita all'anno 2012) contano oltre nove milioni di presenze presso «esercizi ricettivi diversi da quelli tradizionali». Numeri significativi insomma (considerato che gli alloggi in affitto gestiti in forma imprenditoriale nonché i tradizionali bed & breakfast hanno visto presenze per complessivi 18.288.521) e che confermano le potenzialità economiche di tale settore;
    all'espansione del mercato degli affitti brevi hanno senz'altro contribuito le numerose piattaforme di prenotazione online che si sono diffuse negli ultimi anni. Società come la californiana AirBnB (www.airbnb.it), il gruppo Home Away (www.homelidays.it), Windows on Europe (di cui fa parte la società Halldis), la Home ltd, sono stati tra i primi a fiutare la redditività del mercato, raggiungendo oggi traguardi milionari. Attraverso apposti siti, tali società offrono a privati e aziende ogni tipo di servizio necessario per l'affitto del proprio immobile: dalla semplice pubblicizzazione dell'immobile sul sito alla integrale gestione del rapporto con il cliente (conclusione del contratto e pagamento) nonché, in alcuni casi, alla stessa amministrazione del bene. Il tutto, in cambio del pagamento di una provvigione per ogni singola transazione conclusa (calcolata in percentuale sul prezzo pagato dal cliente per l'affitto dell'immobile) oppure del pagamento di un abbonamento annuale;
    questa nuova forma di ricettività rappresenta, dunque, un nuovo ed efficiente volano turistico e crea un doppio vantaggio sia per l'economia del Paese, che vede ampliato il proprio indotto legato al turismo; sia per i proprietari fondiari che in questo periodo congiunturale hanno la possibilità di incrementare i propri redditi concedendo in affitto le proprie case o porzioni di esse;
    tuttavia, il settore degli affitti brevi non è immune da criticità. La maggiore preoccupazione al riguardo deriva senza dubbio dal sistema dei controlli degli operatori che, in quanto esercenti in forma privata e non imprenditoriale, sono difficilmente individuabili e, dunque, controllabili quanto all'osservanza delle regole e prescrizioni imposte dalla legge. Ciò si riflette negativamente sotto diversi profili:
     a) sul piano fiscale, le difficoltà insite nella individuazione della fonte reddituale (affitto temporaneo dell'immobile), conseguente anche alla insussistenza di un obbligo di registrazione del contratto (previsto per i periodi di locazione superiori ai 30 giorni), consente al proprietario locatore di evadere le imposte omettendo di dichiarare al fisco le entrate conseguenti alla locazione dell'immobile (che andrebbero tassate come ordinari redditi da locazione ovvero, in via opzionale, con l'imposta sostitutiva prevista con il regime della cedolare secca);
     b) sul piano dell'ordine e della sicurezza pubblica, invece, si pensi all'elusione dell'obbligo di comunicazione all'autorità di sicurezza dei nominativi dei soggetti ospitati, imposto dall'articolo 2, comma 3, del decreto-legge 20 giugno 2012, n. 79, e dall'articolo 7 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286;
     c) da non trascurare, poi, gli effetti distorsivi alla concorrenza con i tradizionali operatori del settore, che nella loro attività sono sottoposti a continui controlli e a ferrea tassazione;
    se da un lato, dunque, il settore degli affitti a breve merita di essere incentivato e sviluppato, rappresentando esso una valida fonte reddituale soprattutto in un periodo di crisi quale quello attuale, al contempo non può prescindersi dall'individuazione di validi strumenti diretti a garantire adeguati controlli sul piano fiscale, dell'ordine pubblico e della leale concorrenza. In tale direzione, un efficace contributo potrebbe allora derivare non solo da una chiara regolamentazione giuridica delle locazioni brevi (ad oggi sottratte sia alla disciplina delle locazioni ordinarie di cui alla legge n. 431 del 1998 sia alle regole previste per l'esercizio dell'attività in forma imprenditoriale) ma soprattutto dalla individuazione di misure di controllo e di prelievo che vedono il coinvolgimento di soggetti terzi (quali potrebbero essere le stesse piattaforme di prenotazione online o le agenzie specializzate che supportano il proprietario nella locazione del proprio immobile): si pensi all'introduzione dell'obbligo per gli intermediari di operare una ritenuta alla fonte a titolo d'imposta sulle somme girate ai proprietari a titolo di canone di locazione; alla previsione di modalità di pagamento attraverso banche e sportelli postali che agiscano da sostituto d'imposta prelevando, sull'importo del solo canone, come ritenuta a titolo di imposta sostitutiva, una cedolare secca del 10 per cento (che sulla sola base dei dati Istat 2012, ipotizzando una spesa media pari ad euro 100 e trascurando cautelativamente l'espansione di questo mercato, potrebbe garantire un gettito fiscale non inferiore ai 100 milioni di euro); all'estensione dell'obbligo di denuncia ex articolo 7 decreto legislativo n. 286 del 1998 anche alle piattaforme e agenzie operanti online, per i contratti conclusi tramite web; nonché, all'introduzione dell'obbligo di segnalazione preventiva da parte di coloro intenzionati a locare per brevi periodi propri immobili o parti di essi;
    è in corso di attuazione alla delega fiscale di cui alla legge n. 23 del 2014,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni forma di iniziativa al fine di introdurre una disciplina organica del regime fiscale delle locazioni brevi che tenga conto dei seguenti indirizzi:
    a) per i contratti conclusi online tramite intermediari (piattaforme di prenotazione e agenzie) e con pagamento diretto all'intermediario, introdurre l'obbligo per l'intermediario di operare una ritenuta a titolo di imposta sostitutiva, commisurata all'ammontare dell'attuale cedolare secca (10 per cento), all'atto del pagamento al locatore delle somme ad esso spettanti per la locazione dell'immobile;
    b) per i contratti conclusi direttamente dal proprietario, introdurre modalità di pagamento attraverso banche e sportelli postali che agiscano da sostituto d'imposta prelevando, sull'importo del solo canone, come ritenuta a titolo di imposta sostitutiva, una cedolare secca del 10 per cento;
    c) introdurre strumenti informatici e telematici al fine di agevolare l'adempimento degli obblighi fiscali di dichiarazione e versamento delle imposte dovute sui redditi percepiti dai proprietari, tra cui anche la predisposizione di una piattaforma online gestita direttamente dall'Agenzia delle entrate che consenta la liquidazione e il pagamento delle imposte dovute.
(7-00466) «Pesco, Villarosa, Alberti, Barbanti, Cancelleri, Ruocco, Pisano».


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    è questione annosa quella del riconoscimento di benefici previdenziali in favore dei lavoratori impegnati in attività usuranti;
    tale normativa, infatti, trae origine nel 1993, con il decreto legislativo n. 374 del 1993, allo scopo di attenuare l'innalzamento dell'età per il pensionamento di vecchiaia stabilito dalla riforma Amato (decreto legislativo n. 503 del 1992) ed è stata successivamente modificata ed integrata dalla legge di riforma pensionistica Dini (legge n. 335 del 1995), la quale rinviava tuttavia ad una proposta congiunta delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale l'individuazione delle mansioni particolarmente usuranti e la determinazione delle modalità di copertura dei conseguenti oneri attraverso una aliquota contributiva definita secondo criteri attuariali riferiti all'anticipo dell'età pensionabile;
    proprio la mancanza di proposte da parte delle organizzazioni sindacali ed il mancato accordo tra datori di lavoro e sindacati sulla ripartizione della copertura dell'onere (che la legge istitutiva aveva addebitato sia ai datori di lavoro che ai lavoratori) ha impedito per anni l'applicazione della norma, se non in via transitoria. Per l'elencazione e l'individuazione delle mansioni particolarmente usuranti, infatti, si è dovuto attendere il decreto ministeriale 19 maggio 1999 (cosiddetto «Decreto Salvi») e per l'attuazione del beneficio – sia pure in via provvisoria, la legge finanziaria per il 2001 (articolo 78, comma 8, legge n. 388 del 2000);
    successivamente, la legge n. 247 del 2007 (cosiddetto protocollo Welfare) ha integrato l'elenco delle mansioni individuate con il decreto del 1999, includendo anche i lavoratori notturni, i lavoratori addetti alle linee a catena ed i conducenti di mezzi pesanti adibiti a trasporto pubblico di persone, fino ad arrivare al decreto legislativo n. 67 del 2011 (attuativo della legge n. 183 del 2010) che ha definito:
     a)  la platea dei soggetti interessati dal beneficio;
     b)  i requisiti richiesti per accedere al beneficio pensionistico (ovvero fino al 2017 l'impegno in attività usurante per almeno 7 anni negli ultimi dieci anni di attività lavorativa e a decorrere dal 2018 per un periodo temporale pari alla metà dell'intera vita lavorativa) e la riduzione di tre anni a decorrere dal 1o gennaio 2013 (con un regime transitorio per il periodo 2008-2012);
     c)  le modalità di presentazione della domanda per l'accesso al beneficio;
     d)  una clausola di salvaguardia volta a garantire il rispetto dei limiti di spesa, prevedendo il differimento della decorrenza dei trattamenti, in ragione della data di maturazioni dei requisiti, qualora si verifichino scostamenti tra il numero delle domande presentate e le risorse stanziate;
    i nuovi requisiti pensionistici introdotti dall'articolo 24, comma 17, del decreto-legge n. 201 del 2011) (cosiddetta Riforma Fornero) hanno colpito duramente anche i lavoratori impegnati in attività usuranti che si son visti ridurre considerevolmente la portata dei benefici previdenziali finalmente riconosciuti dopo tanto attendere;
    nella fattispecie la riforma Fornero ha anticipato il regime transitorio al 2011, prevedendo, con decorrenza 1o gennaio 2012 che il pensionamento avvenga non più con il riconoscimento dell'anticipo di tre anni, bensì con il sistema delle quote di cui alla Tabella B contenuta nell'Allegato 1 della legge n. 247 del 2007 e relativa applicazione del meccanismo delle finestre mobili,

impegna il Governo:

   ad adottare con urgenza le opportune iniziative per l'applicazione ai lavoratori impiegati in attività usuranti dei requisiti agevolati per l'accesso anticipato al pensionamento previgenti all'entrata in vigore dell'articolo 24, comma 17, del decreto-legge n. 201 del 2011;
   ad assumere iniziative per estendere la normativa di cui in premessa anche ai lavoratori del settore marittimo esclusi dalle forme di tutela legislativa per esposizione all'amianto di cui al decreto ministeriale 27 ottobre 2004.
(7-00464) «Prataviera, Fedriga».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   262 lavoratori di Accenture outsourcing a Palermo stanno per perdere il loro posto di lavoro a seguito dell'anticipata disdetta del committente British Telecom che, ad oggi, impegna la quasi totalità delle risorse impiegate sul centro e la cui naturale scadenza era prevista per il mese di luglio del 2016;
   i lavoratori, assunti nel 2000 con contratto di formazione lavoro e poi riconvertiti nel 2002 a tempo indeterminato dall'allora Albacom – oggi British Telecom –, sono stati oggetto nel 2005 di una cessione di ramo d'azienda ed assunti da Accenture outsourcing, continuando di fatto a lavorare sempre per il cliente British Telecom;
   Accenture, all'epoca delle assunzioni, sfruttò gli incentivi allora disponibili presso la regione siciliana e la compartecipazione con la stessa regione sulla ditta Sicilia e Servizi, per la quale originariamente si prevedevano business milionari e che oggi invece si è chiusa in maniera conflittuale;
   negli anni a seguire Accenture, al di là delle intenzioni manifestate e degli impegni presi a parole, non ha mai diversificato il sito a livello di commesse né di competenze degli operatori, lasciando di fatto il centro di Palermo in una situazione di monocommittenza che, ad oggi, è alla base della vertenza in oggetto;
   contestualmente, Accenture, ha invece creato un polo «gemello» a Napoli,dove ha rigirato parti di commesse già presenti sul sito di Palermo, impiegando lavoratori a tempo determinato grazie agli incentivi sull'occupazione erogati dalla regione Campania;
   a questo quadro asfittico si aggiunge una progressiva diminuzione di benefit e salario patita dai lavoratori per far fronte a precise richieste aziendali e all'apertura, nel settembre 2012, di una procedura di mobilità, poi rientrata con la stesura di un accordo a dicembre 2012 con il quale i lavoratori rinunciavano ad un'ulteriore parte di salario a fronte dell'impegno aziendale di portare nuovo lavoro sul sito di Palermo, impegno, ad oggi, totalmente disatteso. Dall'accordo peraltro scaturisce il regime di solidarietà per i lavoratori;
   British Telecom a gennaio del 2014 ha formalizzato la disdetta anticipata del contratto basandosi fondamentalmente su presunte inefficienze qualitative sui servizi erogati dal centro di Palermo e sulla necessità di abbattere i costi;
   il tavolo tra British Telecom, Accenture e organizzazioni sindacali non ha portato a nulla se non ad uno slittamento di due mesi della disdetta, (ovvero fino al 31 ottobre 2014);
   il timore degli interroganti è che British Telecom voglia disimpegnarsi completamente dal centro di Palermo, tralasciando il fatto che 262 lavoratori per essa lavorano da più di quattordici anni;
   i primi incontri al Ministero dello sviluppo economico di fatto non hanno portato ancora a nulla. Le aziende rimangono ferme sulle loro posizioni ed ad oggi l'unico orizzonte concreto è il riassorbimento dei lavoratori in British Telecom a fronte di un sostanzioso conguaglio economico intorno ai 10-12 milioni di euro, richiesto ad Accenture;
   nonostante si parli di due grandi multinazionali, con fatturati di milioni di euro e sedi in tutto il mondo, la realtà è che ad oggi non c’è alcuna garanzia circa la tenuta occupazionale del centro Accenture outsourcing di Palermo, in quanto British Telecom ha dichiarato che nelle migliori delle ipotesi riassorbirebbe i servizi e vi farebbe fronte con assunzioni di personale a progetto, cococo, e altro quindi con un arretramento rispetto alle attuali condizioni contrattuali dei 262 dipendenti;
   Accenture, da parte sua, ha fatto chiaramente intendere che, in assenza della commessa British Telecom, non sarebbe più interessata a mantenere il centro di Palermo e quindi i lavoratori impiegati;
   i lavoratori del centro di Palermo si sono attivati in prima persona per sensibilizzare l'opinione pubblica ed hanno messo in piedi una massiccia campagna mediatica che sta riscontrando grandi risultati avendo ottenuto la solidarietà di tantissimi personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e dell'informazione –:
   se il Governo intenda richiamare British Telecom e Accenture alle proprie responsabilità affinché venga scongiurata la chiusura del centro di Palermo con il conseguente licenziamento o il peggioramento delle condizioni contrattuali dei 262 lavoratori e lavoratrici che vi lavorano;
   se il Governo, anche alla luce dello stato di crisi generale del settore dei call center in Italia, intenda convocare immediatamente presso la Presidenza del Consiglio un tavolo di confronto con tutte le parti interessate per dare finalmente risposte ai circa 80.000 lavoratori che operano in tale comparto nel nostro Paese e che oggi rischiano di perdere il proprio lavoro, valutando l'adozione di possibili provvedimenti normativi per regolamentare diversamente il settore in questione, sempre più a rischio di delocalizzazioni, cessioni, dumping salariale, licenziamenti.
(2-00687) «Scotto, Palazzotto, Airaudo, Ferrara, Placido, Ricciatti».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   negli anni 2000 il ponte sullo Stretto di Messina è stato compreso nel programma delle infrastrutture strategiche (PIS) di cui all'articolo 1, della legge n. 443 del 2001 quale parte del corridoio paneuropeo n. 5 Helsinki – La Valletta;
   il corridoio paneuropeo n. 5 Helsinki – La Valletta è l'asse nord sud fondamentale per la comunicazione delle aree periferiche del mare Mediterraneo con il Nord Europa che fa parte della rete transeuropea dei trasporti TEN.T e il cui sviluppo è stato recentemente riconfermato con regolamento della Commissione trasporti del Parlamento europeo ampliando il percorso del corridoio paneuropeo n. 1 Berlino-Palermo a meridione e includendo anche collegamenti come le autostrade del mare tra la Sicilia e Malta;
   il ponte sullo Stretto realizzerebbe il collegamento stabile con la Sicilia – la più grande e popolosa isola del Mediterraneo;
   le ricadute socio-economiche della realizzazione del ponte sarebbero immense e assolutamente necessarie non solo per il Meridione ma per il Paese tutto che sarebbe direttamente ed indirettamente coinvolto nell'operazione (basti pensare alle acciaierie del Nord);
   l'infrastruttura, già dalla fase di costruzione, darebbe grande impulso all'occupazione stimata intorno alle 40 mila unità, alle attività economiche, agli scambi commerciali, all'integrazione oltre che al potenziamento della rete infrastrutturale esistente;
   l'avvio concreto del progetto per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina risale agli anni 2002-2003;
   il soggetto concessionario è la società Stretto di Messina, che è una società a totale capitale pubblico i cui azionisti sono per la massima parte (oltre l'80 per cento) l'ANAS, La Rete ferroviaria italiana SpA (RFI) e le regioni Sicilia e Calabria;
   a partire dall'aprile 2004 sono state espletate quattro gare internazionali a cui hanno partecipato oltre sessanta aziende e il contraente generale che si è aggiudicato l'appalto è stato Eurolink, un'associazione temporanea di imprese (ATI), formata dalla capogruppo mandataria Impregilo spa e da una serie di imprese italiane ed estere che hanno firmato il contratto nel marzo 2006;
   il Governo Monti, nel 2012, ha previsto la stipula di un apposito atto aggiuntivo al contratto vigente tra la società Stretto di Messina spa e il contraente generale, la cui mancanza entro il termine stabilito del 1o marzo 2013, ha sancito la decadenza di tutti gli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché delle convenzioni e di ogni altro rapporto contrattuale in essere;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il 15 aprile 2013, Stretto di Messina spa viene posta in liquidazione con la nomina di un commissario liquidatore;
   fino ad oggi sono stati già spesi per la realizzazione del ponte e il mantenimento della società Stretto di Messina spa circa 383 milioni di euro su un costo totale dell'opera stimato intorno ai 6,5 miliardi di euro di cui solo 1,5 miliardi di euro verrebbero dal contributo pubblico e i restanti 5 miliardi da investimenti privati;
   la mancata realizzazione del ponte porterebbe al pagamento di penali stimate fino a 700 milioni di euro e la somma totale delle risorse spese e della penale supererebbe il miliardo di euro;
   la mancata realizzazione del ponte sullo Stretto come stabilito dall'articolo 34-decies del decreto-legge n. 179 del 2012, comporterebbe quindi una perdita per lo Stato del valore economico pari a quello dell'infrastruttura realizzata se si considera il costo del contenzioso amministrativo che si è instaurato con il commissario liquidatore della società Stretto di Messina spa che si prolungherà nel tempo a discapito delle casse dello Stato e a tutto vantaggio economico del commissario liquidatore;
   la rinuncia alla realizzazione del progetto favorisce la società Impregilo SpA e le imprese dell'ATI che si è aggiudicata la gara d'appalto, poiché guadagnano senza dover realizzare l'opera grazie al versamento delle penali;
   a questo computo va aggiunto l'enorme danno economico che la mancata realizzazione dell'opera comporterebbe per l'Italia e in particolare per il meridione e la ricaduta negativa sulle casse dello Stato poiché l'opera realizzata costerebbe quanto la non realizzazione dell'infrastruttura con l'inaccettabile perdita di una formidabile opportunità di sviluppo per il meridione d'Italia;
   nel corso dell'approvazione dell'ultima legge di stabilità il Governo ha accolto un ordine del giorno a firma del primo firmatario della presente interpellanza in cui si è impegnato ad introdurre le modifiche normative per realizzare la continuità territoriale prevista dal Corridoio 5, Helsinki-La Valletta della rete transeuropea dei trasporti;
   il primo firmatario della presente interpellanza ha presentato una proposta per la costituzione di una Commissione di inchiesta che indaghi a fondo le ragioni per cui il Governo Monti ha inteso sospendere i contratti in essere per la realizzazione dell'infrastruttura ponendo in liquidazione la Società Stretto di Messina spa;
   come il primo firmatario della presente interpellanza ha rilevato nel corso dell'intervento sulla fiducia all'attuale Governo, manca tra le sue priorità un'azione decisa per il rilancio dell'economia nelle aree sottoutilizzate del nostro Paese per le quali la costruzione del Ponte rappresenterebbe un enorme impulso –:
   quali siano le reali intenzioni del Governo rispetto alla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina;
   quali siano le determinazioni dell'attuale Governo al fine di garantire la continuità territoriale della Sicilia con il continente, continuità territoriale intesa come capacità di garantire un servizio di trasporto che non penalizzi cittadini residenti in territori meno favoriti e che si inserisca nel quadro più generale di garanzia dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e di coesione di natura economica e sociale, promosso in sede europea;
   quali siano le ragioni individuate dall'attuale Governo per rinunciare ad un'opera che si presenta come strategica – in ottica nazionale ed europea – dal punto di vista infrastrutturale e come un'eccezionale opportunità di crescita economica e occupazionale con uno spreco di risorse statali pari a quelle che sarebbe necessario investire per la sua realizzazione.
(2-00688) «Attaguile, Fedriga».

Interrogazione a risposta orale:


   NICCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel giugno 2014 la struttura per accesso dei disabili allo stadio Elisa di Lucca è stata abbattuta dalla società Lucchese perché vecchia e cadente; al suo posto doveva essere costruito un nuovo spazio;
   a tre mesi distanza il nuovo accesso non ha trovato il beneplacito né della commissione di vigilanza né della Soprintendenza;
   nella partita Lucchese/Savoia di domenica 14 settembre 2014 i portatori di handicap avrebbero dovuto sottoscrivere «un modello di esenzione di responsabilità» per assistere alla gara;
   gran parte dei tifosi diversamente abili non ha potuto assistere alla partita per motivi di sicurezza. Ad uno solo dei cinque disabili presenti è stato consentito l'accesso a bordo campo in quanto giornalista, mentre tre sono stati portati in braccio fino alle poltroncine di tribuna –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e se non ritenga necessario compiere tutti gli interventi necessari volti ad abbattere le barriere architettoniche nei tantissimi luoghi e centri sportivi italiani ancora inaccessibili;
   se non ritenga utile compiere un lavoro di monitoraggio dei siti sportivi italiani ancora inaccessibili al fine di abbattere le barriere architettoniche.
(3-01040)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   una forte bomba d'acqua si è abbattuta poco prima delle 5 del mattino di domenica 31 agosto tra la Valle Seriana e la Val Cavallina, in Lombardia;
   ad Albino è esondato il torrente Lujo che ha invaso la strada, le abitazioni e le aziende limitrofe e ha allagato garage e cantine; è stata chiusa anche una corsia della strada che porta da Albino al Colle Gallo; a Nembro la ex strada provinciale è stata chiusa dalle 6 alle 10 per uno smottamento;
   le aziende sono state invase dal fango e l'economia locale ha subito gravi perdite;
   sul posto hanno corso i vigili del fuoco, la protezione civile, i Carabinieri e la polizia locale per far fronte alle prime necessità;
   quest'estate i danni causati dal maltempo in Lombardia sono stati ingenti; secondo i dati raccolti dalla regione Lombardia, solo nella Bergamasca, escludendo Albino di cui ancora le autorità locali stanno raccogliendo i dati, i danni causati dal maltempo di questa estate ammontano già a 10 milioni di euro;
   da quanto si apprende dalle dichiarazioni della protezione civile regionale sulla stampa, la regione Lombardia sta procedendo alla raccolta di informazioni sui danni riportati dalle pubbliche amministrazioni e dai privati, attraverso le sedi regionali sul territorio, in modo di chiudere la documentazione entro il 30 settembre e poter inviare a Roma la richiesta dello stato di emergenza;
   occorrono interventi per la prevenzione del rischio idrogeologico e la regione Lombardia che soffre della fragilità del terreno delle proprie valli necessita di lavori immediati di prevenzione e di finanziamenti che possano permettere il ripristino dell'officiosità dei propri fiumi e torrenti per consentire un migliore deflusso delle acque ed evitare l'aggravarsi della situazione critica che si è creata –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per dichiarare, a seguito della relativa richiesta regionale, lo stato di emergenza per Albino e per le zone maggiormente colpite della Lombardia, in considerazione dei danni arrecati la cui quantificazione è ancora in corso, e se, in considerazione della gravità dei fenomeni alluvionali accaduti quest'estate sul territorio lombardo, non ritenga opportuno dare la massima priorità agli interventi utili a ripristinare le condizioni socio-economiche e strutturali delle aziende e delle proprietà private così duramente colpite dalle calamità. (4-06097)


   GUIDESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica (UNAR) è stato istituito con il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, di recepimento della direttiva comunitaria n. 2000/43/CE ed opera nell'ambito del dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   l'UNAR ha la funzione di garantire, in piena autonomia di giudizio e in condizioni di imparzialità, l'effettività del principio di parità di trattamento fra le persone, di vigilare sull'operatività degli strumenti di tutela vigenti contro le discriminazioni e di contribuire a rimuovere le discriminazioni fondate sulla razza e l'origine etnica analizzando il diverso impatto che le stesse hanno sul genere e il loro rapporto con le altre forme di razzismo di carattere culturale e religioso. In particolare UNAR svolge inchieste al fine di verificare l'esistenza di fenomeni discriminatori nel rispetto delle prerogative dell'autorità giudiziaria;
   l'UNAR nelle esercizio delle proprie funzioni è stata più volte soggetta a critiche per aver travalicato le proprie competenze. La Presidenza del Consiglio dei ministri è stata più volte interessata, in modo ufficiale, con lo strumento del sindacato ispettivo, in merito ad una gestione non sempre coerente delle attività istituzionali dell'UNAR;
   con lettera protocollata (Caso 8272), l'UNAR ha intimato all'amministratore hosting del sito web «Voxnews.info», la rimozione dal proprio sito di un articolo intitolato: «Ragazzina stuprata per ore da 30 immigrati: è emergenza», con la motivazione che tale articolo trasmette un messaggio distorto della realtà e contribuisce a creare un atteggiamento ostile nei confronti degli stranieri nonché incitante alla xenofobia e all'odio razziale contravvenendo alla normativa nazionale ed internazionale in materia;
   stando alle informazioni ricavabili on line in merito alla pubblicazione sul sito voxnews.info è facilmente desumibile che l'articolo in oggetto altro non è che la traduzione rielaborata di una notizia pubblicata dal giornale britannico Daily Mail. La notizia, in lingua originale, è stata riportata da numerose testate giornalistiche;
   il concetto di democrazia è strettamente collegato al rispetto del principio basilare, garantito ex articolo 21 della Costituzione, della libertà dell'informazione e della possibilità, per i cittadini, di crearsi liberamente una propria opinione, che peraltro può considerarsi formata solo se vi sia una reale pluralità delle fonti di diffusione e se l'acquisizione delle informazioni sia correttamente garantita;
   l'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, afferma: «ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere»;
   il combinato disposto per considerare insindacabile ed incensurabile il diritto all'informazione si basa sulla veridicità della notizia e sull'interesse collettivo della stessa. Stando alle informazioni in possesso dell'interrogante, la segnalazione dell'UNAR non si appella a nessuno di questi due fondamentali presupposti. Ossia, l'UNAR, non intimerebbe la rimozione della notizia perché non vera o perché priva di un fondamento di interesse per la collettività, ma soltanto perché ne ravviserebbe nella sua veridicità una leva atta ad alimentare un sentimento discriminatorio e xenofobo verso la comunità straniera presente nel nostro Paese;
   a quanto consta all'interrogante l'atto in questione (Caso 8272) UNAR è stato sottoscritto dal consigliere Marco de Giorgi. È necessario ricordare che la Costituzione ex articolo 28 attribuisce ai funzionari e dipendenti dello Stato responsabilità penali, civili e amministrative degli atti compiuti in violazione dei diritti;
   è manifestamente palese come il responsabile del provvedimento in questione, ad avviso dell'interrogante oltrepassando l'ambito delle proprie attribuzioni, abbia violato il principio costituzionalmente garantito del diritto all'informazione –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non si ravvisi nell'atto, protocollato Caso 8272, una violazione del principio costituzionalmente garantito del diritto all'informazione e, nel caso, quale modalità di intervento si intenda adottare per sanzionare quello che all'interrogante appare un comportamento di dubbia legittimità. (4-06114)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   su segnalazione di alcuni cittadini iraniani che adesso vivono in Italia, gli interroganti hanno appreso di gravi problemi inerenti al rapporto che la gente iraniana ha con il consolato Italiano a Teheran in Iran;
   fino a qualche anno fa i cittadini iraniani potevano prenotare un appuntamento presso il consolato d'Italia mediante il sito internet del consolato stesso;
   oggi, stando alle segnalazioni pervenute, l'appuntamento viene fissato esclusivamente tramite una telefonata (dalle ore 7,30 alle ore 10,30);
   la linea telefonica risulta essere sempre occupata e, nello stesso tempo, da quanto riferito a voce agli interroganti, «sono apparse» alcune persone che stazionano davanti agli uffici del consolato, che avvicinano gli utenti in attesa e «vendono» loro gli appuntamenti in Consolato dietro cifre che variano a seconda dell'urgenza dell'utente; più è urgente la richiesta dell'utente e più è alto il prezzo degli appuntamenti;
   inoltre, sempre secondo queste segnalazioni, esisterebbero delle agenzie di viaggio che «garantiscono» l'acquisto del visto con annesso l'appuntamento in consolato e tutto questo dietro cifre da capogiro) –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   come intenda intervenire al fine di verificare le suddette segnalazioni da parte dei cittadini;
   come intenda procedere, laddove fossero confermate, per ripristinare una corretta procedura amministrativa;
   come intenda debellare eventuali azioni illecite che infangherebbero il nome e il prestigio dell'Italia nel mondo.
(4-06098)


   SPADONI, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SIBILIA, GRANDE, SCAGLIUSI e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 286 del 2003, i Comites sono organi di rappresentanza degli italiani all'estero nei rapporti con le rappresentanze diplomatico-consolari;
   tali comitati contribuiscono a individuare le esigenze di sviluppo sociale, culturale e civile della comunità di riferimento e promuovono, in collaborazione con l'autorità consolare, con le regioni e con le autonomie locali, con enti, associazioni e comitati operanti nell'ambito della circoscrizione consolare, opportune iniziative nelle materie attinenti a: vita sociale e culturale, con particolare riguardo alla partecipazione dei giovani; pari opportunità; assistenza sociale e scolastica; formazione professionale; settore ricreativo, sport e tempo libero;
   essi, inoltre, sono chiamati a cooperare con l'autorità consolare nella tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini italiani residenti nella circoscrizione consolare;
   ai sensi dell'articolo 2 (compiti e funzioni del Comitato) della medesima legge, «l'autorità consolare e il Comitato assicurano un regolare flusso di informazioni circa le attività promosse nell'ambito della circoscrizione consolare dallo Stato italiano, dalle regioni, dalle province autonome e dagli altri enti territoriali italiani, nonché da altre istituzioni e organismi»;
   i comitati devono redigere una relazione annuale sulle attività svolte, da allegare al rendiconto consuntivo, e una relazione annuale programmatica, da allegare al bilancio preventivo;
   ai sensi dell'articolo 3 (bilancio del Comitato), comma 9, della suddetta legge i bilanci del Comitato sono pubblici;
   allo stato attuale non esiste un sito ufficiale del Comites venezuelano di Caracas;
   al 31 dicembre 2012 (dati A.I.R.E.) gli italiani residenti in Venezuela sono 116.329 –:
   se sia a conoscenza della mancanza di un sito web del Comitato in questione;
   in che modo l'autorità consolare e il Comitato assicurino un regolare flusso di informazioni circa le attività promosse;
   quali siano le modalità per reperire direttamente i bilanci, essendo pubblici;
   quale sia l'ammontare relativo all'ultimo quinquennio dei finanziamenti annuali disposti dal Ministero degli affari esteri e da altre amministrazioni italiane e agli eventuali contributi dei privati destinati al Comites di Caracas e in quali attività siano stati utilizzati. (4-06102)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazioni a risposta immediata:


   MARCON e PANNARALE. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il Governo sta studiando delle contromisure per ridurre la pressione sul deficit. Tra esse, spunta anche la gestione ed il finanziamento dei fondi dell'Unione europea, con la possibilità di ridefinire al ribasso la percentuale di partecipazione dell'Italia;
   nella legge di stabilità per il 2014 il cofinanziamento per i fondi dell'Unione europea pesa per 24 miliardi di euro, da spalmare nei prossimi sette anni. A questa cifra – a cui aggiungere un contributo da parte delle regioni – si accompagnano i circa 41 miliardi di euro di fondi nuovi stanziati dall'Unione europea per il settennato 2014-2020. Il totale tra fondi provenienti dall'Unione europea e cofinanziamento italiano-statale e regionale dovrebbe aggirarsi attorno agli 80 miliardi di euro, distribuito più o meno equamente tra quota di provenienza comunitaria e cofinanziamento italiano;
   il Governo, grazie all'azione del Sottosegretario Graziano Delrio, sta studiando delle soluzioni per alleggerire la quota italiana. Sfruttando una deroga prevista all'interno dei regolamenti dell'Unione europea che permetterebbe la riduzione del contributo nazionale dal 50 per cento sino al 25 per cento, dimezzando, quindi, il cofinanziamento italiano. La soluzione potrebbe portare quindi sino ad un risparmio di 10-12 miliardi di euro, importante per alleviare la tensione sul deficit, sempre attentamente monitorato in sede comunitaria;
   i fondi europei sono uno strumento indispensabile per operare e porre in essere misure volte a ridurre il gap sociale, nonché essere uno strumento anticiclico economico notevole se ben utilizzati. Per poterli attivare è necessario che siano accompagnati dal cofinanziamento nazionale in primis e da quello regionale;
   ciò configurerebbe un'ulteriore riduzione della spesa in conto capitale delle pubbliche amministrazioni;
   recentemente la Corte dei conti nei suoi rilievi relativi al rendiconto 2013 ha osservato che continua, ed anzi si accentua rispetto a quanto avvenuto nel biennio precedente, la contrazione della spesa in conto capitale, diminuita rispetto al 2012 di oltre 6 miliardi di euro (-12,8 per cento). Come sul punto osserva la Corte dei conti, «si tratta dell'aspetto più critico della politica di bilancio di questi anni (...) che attenua oltre misura la valutazione positiva che deve essere espressa per la ripresa del controllo sulla dinamica dei conti pubblici», rilevando, altresì, come tale componente di spesa venga utilizzata «a fini di mera quadratura dei conti pubblici», con conseguenze negative sulla dotazione del capitale infrastrutturale del Paese;
   permane la preoccupazione sull'evidente utilizzazione della componente in conto capitale quasi solo ai fini della quadratura dei conti pubblici, nel rispetto degli obiettivi di saldo, il che pregiudica il mantenimento e il rinnovamento del capitale infrastrutturale del Paese;
   pertanto, tale decisione, qualora assunta, non farebbe che peggiorare la situazione degli investimenti pubblici necessari, oltre che per garantire l'indispensabile infrastrutturazione del Paese, anche al fine di rilanciare l'economia e l'occupazione. Cioè, esattamente il contrario di ciò che un Governo avveduto dovrebbe fare –:
   se il Governo intenda, con la riduzione del cofinanziamento nazionale, attuare gli impegni della così detta spending review, deprimendo ulteriormente l'occupazione, oppure intenda rilanciare, e in quale maniera, gli investimenti pubblici.
(3-01041)


   BALDUZZI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   l'ordinamento italiano percorre ormai da quasi venticinque anni la via della cooperazione intercomunale quale principale soluzione ai problemi di adeguatezza nell'esercizio delle funzioni amministrative comunali generati dall'elevato numero di comuni di piccole e piccolissime dimensioni presenti nel nostro Paese;
   dopo un tentativo vano di finalizzare la creazione di forme di esercizio associato delle funzioni alla riduzione del numero di comuni mediante fusione, la legislazione statale ha imboccato la via dell'associazionismo volontario, la quale non ha, tuttavia, prodotto tutti i risultati auspicati, talora concorrendo alla complicazione del sistema. Allo scopo di razionalizzare le forme di aggregazione, evitare duplicazioni e sovrapposizioni e ricercare assetti territoriali efficaci rispetto all'obiettivo di superare la frammentazione del tessuto comunale, nelle ultime tre legislature, il Parlamento e il Governo hanno introdotto gradualmente maggiori vincoli al libero associazionismo, operando contestualmente su tre fronti: la riduzione e razionalizzazione delle figure giuridiche strumentali alla cooperazione, con un favor crescente verso l'unione di comuni; l'individuazione di soglie demografiche al di sotto delle quali determinate funzioni (crescenti nel tempo) devono essere obbligatoriamente esercitate in forma associata; l'introduzione di incentivi finanziari e normativi positivi e negativi a sostegno di queste politiche intercomunali;
   si sa che si tratta di un cammino, avanzato, ma incompiuto; fortemente differenziato da regione a regione almeno nella misura in cui sono fortemente differenziate le caratteristiche dei sistemi regionali delle autonomie locali (per conformazione territoriale, per consistenze demografiche, per struttura insediativa e distribuzione della popolazione tra centri rurali e urbani ed altro). Non andando oltre: è il nostro Paese, lo conosciamo; nei difetti e nelle virtù dei suoi ottomila campanili;
   tra le difficoltà ad attuare efficacemente le politiche intercomunali ve n’è una, sistemica, che ancora non è superata: l'individuazione di un ruolo chiaro e definito della regione e della sua potestà legislativa in ordine a tali politiche, che costituiscono il principale strumento a sua disposizione per dare realmente vita al proprio sistema regionale delle autonomie locali;
   tra i ritardi di molte regioni ordinarie e speciali (anche di queste che pure hanno potestà piena in materia), tra la refrattarietà dei comuni a cooperare e ad accettare un maggiore ruolo regionale, tra l'inerzia di enti provinciali, che pure potevano promuovere sinergie territoriali (e ritrovare magari un proprio ruolo guida), lo Stato ha spesso preferito dettare regole uniformi, insufficientemente attente – se non per i territori montani – alle differenze di cui si diceva prima; e sul piano normativo, pur essendo possibile fare meglio, oltre un certo grado di attenzione non è possibile andare perché è quello regionale il livello legislativo e amministrativo certamente più adeguato a governare quelle differenze;
   il risultato è che, a fronte di maggiori obblighi e vincoli, l'effettività di queste norme è globalmente insoddisfacente;
   diverso sarebbe stato e sarebbe se lo Stato ricercasse un maggior ruolo di coordinamento, anziché di pervasiva regolazione;
   anche la legge n. 56 del 2014 non è esente dai difetti degli altri interventi statali. Certamente positivi sono gli sforzi di incentivare le fusioni; certamente positivi i chiarimenti normativi sull'assetto istituzionale delle unioni; positive, ma tradizionalmente insufficienti o inadeguate, le aperture alla legislazione regionale in materia di soglie demografiche. Quel che manca è una regia complessiva e condivisa delle trasformazioni, che anche questa legge intende operare. Ma non manca qualche «appiglio», nella legge, per provare a farlo. Ad esempio, in ordine alla delicata e importantissima fase transitoria della riallocazione delle funzioni provinciali, la legge prevede il ricorso ad un accordo in conferenza unificata (articolo 1, comma 91), il quale è stato recentemente approvato (l'11 settembre 2014) con la finalità attribuitagli di individuare le funzioni da redistribuire e i criteri per la relativa assegnazione. Questa fase transitoria inciderà molto anche sulla cooperazione intercomunale, poiché l'assegnazione di alcune funzioni provinciali ai comuni significherà una nuova valorizzazione delle loro forme associative. L'accordo prevede che l'operazione sia assistita da un osservatorio nazionale e da una rete di osservatori regionali, allo scopo di monitorare l'attuazione delle norme, aggiornare i dati disponibili e raccordare i vari livelli. Si tratta di un'occasione che non dovrebbe subire i confini un po’ riduttivi che le sono assegnati dalla lettera dell'accordo medesimo, poiché le lacune informative sull'effettività dell'intera normativa sulla cooperazione intercomunale sono ampie (e il sistema informativo del Ministero dell'interno, pur migliorato negli anni, non è riuscito a colmarle). La conoscenza di ciò che realmente accade è essenziale per fare di questa operazione anche un'occasione per un reale coordinamento degli interventi statali e regionali sull'intercomunalità. Un coordinamento che dovrebbe attentamente valutare anche l'implementazione dei tradizionali strumenti incentivanti che a livello regionale interessa le nuove regole di accesso ai fondi strutturali europei, le quali tendono sempre più a favorire le aree territoriali «adempienti» rispetto agli obblighi di esercizio associato delle funzioni, in tal modo cogliendo l'opportunità di saldare il processo di riordino dei sistemi territoriali con quello che ambisce a sostenerne lo sviluppo –:
   quali iniziative siano previste perché la fase di riallocazione delle funzioni provinciali abbia positivi effetti sulla cooperazione intercomunale (ad esempio, mediante un'opera di «mappatura» delle unioni e delle altre forme associative esistenti sui territori ad opera della rete regionale degli osservatori e mediante una valorizzazione della funzione provinciale di assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali), anche attraverso l'integrazione del quadro normativo statale allo scopo di potenziare gli spazi di intervento regionale in materia, secondo quanto emerge dalla stessa revisione costituzionale in itinere, il cui testo approvato in prima deliberazione al Senato della repubblica riconosce alla potestà regionale quest'ambito materiale, per quanto non ricompreso nella potestà statale a dettarne i principi fondamentali.
(3-01042)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI BENEDETTO, MARZANA, BATTELLI, BRESCIA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 settembre 2014 si apprende la notizia che due turisti sono stati fermati all'aeroporto di Fiumicino poiché detenevano un pezzo in tufo, con decorazioni in rosso, dal peso di oltre 30 chili, avvolto in una piantina del sito archeologico di Pompei per cui si presume provengano dallo stesso sito;
   non vi è ancora la certezza ma la soprintendenza di Pompei, Ercolano e Stabia, stanno procedendo ad accertamenti per capire se e come l'oggetto sia riuscito ad uscire dall'area archeologica;
   il fermo è avvenuto ad opera dai carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio solo allorquando i due turisti stavano eseguendo le operazioni di imbarco all'aeroporto di Fiumicino, dove si sono recati a bordo di un auto a noleggio;
   attualmente i presunti saccheggiatori sono riusciti a tornare in patria ma le autorità aeroportuali di Roma fanno sapere che presto i due saranno raggiunti da una denuncia per appropriazione di bene dello Stato, mentre il capitello attualmente è sotto sequestro;
   la conferma della notizia non lascerebbe perplessi, dato che non sarebbe il primo caso di questo genere: il 4 giugno un turista georgiano era riuscito a staccare tre piccole tessere di un mosaico di una parete della casa di Trittolemo, in quel caso fu arrestato perché scoperto in flagranza di reato; in maniera analoga, in data 4 agosto 2014, vi fu un tentato furto da parte di un turista francese di alcuni marmi ed intonaci dipinti, nei pressi dell'ingresso di Piazza Anfiteatro; il caso più clamoroso, infine, fu quello della vendita di interi pavimenti in pasta vitrea su un canale youtube australiano;
   secondo la procura di Torre Annunziata, dietro il furto del capitello potrebbe esservi un'organizzazione criminale basata sul furto e il commercio di reperti archeologici;
   ad ogni modo, è evidente come il sistema di sicurezza e sorveglianza abbia numerose falle ed è inaccettabile tale situazione in un'area come quella archeologica di Pompei, di pregio storico-architettonico, patrimonio dell'Unesco –:
   quali misure il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo intenda prendere per preservare i beni culturali presenti nel sito archeologico di Pompei, per evitare di lasciare all'abbandono gli stessi, affinché non diventino facile preda di turisti o di organizzazioni criminali tesi a rivendere quei beni sul mercato illegale. (5-03622)


   DI BENEDETTO, MARZANA, BATTELLI, BRESCIA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'area archeologica del Teatro Grande di Pompei è tornata sotto i riflettori in occasione del «Pompei Festival», apertosi con la «Boheme» di Puccini il 18 settembre 2014;
   l'area era rimasta per tre anni chiusa al pubblico quando, a causa della dichiarazione dello stato di emergenza, si era instaurata la gestione commissariale guidata da Marcello Fiori, ex dirigente della Protezione civile. I lavori di ristrutturazione avevano avuto inizio nel 2010 ma già nel 2011 la procura di Torre Annunziata apriva un'inchiesta contestando allo stesso Marcello Fiori l'abuso di ufficio continuato, mentre al direttore dei lavori, Luigi d'Amora, si aggiungeva anche la frode nelle pubbliche forniture e truffa ai danni dello Stato;
   gli stessi reati venivano imputati ad Annamaria Caccavo, legale rappresentante della Caccavo srl, ditta che si era occupata della ristrutturazione, insieme ai suoi ingegneri progettisti Lorenzo Guariniello, Vincenzo Prezioso, Antonio Costabile, accusati anche di corruzione di persona incaricata di pubblico servizio, visto che avrebbero gonfiato e poi ottenuto commesse per un totale di cinque milioni di euro, a fronte dei 449 mila euro necessari;
   fu proprio Marcello Fiori a concedere alla Caccavo srl tale appalto per l'allestimento scenico del Teatro e la fornitura di attrezzature, «facendo ingiustificato e immotivato ricorso ai suoi poteri straordinari di deroga e quindi senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica», come denunciato dal giudice per le indagini preliminari Claudio Marcopido. Per statuto, invece, egli avrebbe dovuto disporre «l'attuazione di misure dirette alla messa in sicurezza e salvaguardia dell'area archeologica, tra cui la realizzazione di opere di manutenzione ordinaria e straordinaria occorrenti per impedire il degrado di beni archeologici e consentirne la piena fruizione ai visitatori»;
   in realtà la Caccavo srl fece scempio di tutta l'area archeologica, procedendo a quello che si può definire una vera e propria ristrutturazione e non un restauro, che non teneva conto delle peculiarità dell'area. In un'inchiesta della giornalista Alessandra Arachi, infatti, si descrivevano l'uso delle ruspe cingolate (oltre che di martelli pneumatici, betoniere e ruspe), laddove si sarebbero dovute utilizzare le cazzuole o, al massimo, il badile. Ancora: Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera, denunciava come la ditta aveva costruito le gradinate usando mattoni di tufo, usati per gli ovili, su cordoli di cemento armato a vista. In ultimo, dalle carte dell'inchiesta, si scopre come erano state costruite opere non indispensabili e completamente differenti da quelle oggetto degli originari contratti di appalto. Per esempio, alcuni fondi, destinati in origine a gestire gli scavi di Pompei, erano stati usati, infine, per allestire gli spettacoli;
   la magistratura, dopo aver disposto il rinvio a giudizio di tutte le persone indagate, disponeva anche il dissequestro e la riapertura del Teatro Grande;
   intanto, già ad aprile 2012 erano stati bandite commesse per lavori di messa in sicurezza, restauro, mitigazione del rischio idrogeologico dell'area archeologica degli scavi di Pompei, grazie al finanziamento di 105 milioni di euro, approvati dalla Commissione Europea all'interno del «Grande Progetto Pompei»;
   due commesse, una di 4,5 milioni per la messa in sicurezza della Regio VIII e 3, 9 milioni per la Regio VII, sono state assegnate alla Samoa Restauri srl, come si può riscontrare dal Portale della trasparenza del «Grande progetto Pompei» (sito open data della Soprintendenza imposto dal nuovo Piano d'azione di Bruxelles);
   tale società è strettamente legata alla Caccavo srl, in quanto cessionaria di un ramo d'azienda. Inoltre Annamaria Caccavo, legale rappresentante di Caccavo srl, ha ricoperto il ruolo di direttore tecnico della Samoa fino al giorno in cui la stessa non fu sottoposta agli arresti domiciliari (febbraio 2013). Tali legami sono riscontrabili facilmente tramite visura delle società;
   la regolarità della gara per l'assegnazione delle due commesse alla Samoa è oggetto di giudizio dinanzi al Tar Campania: il concorrente Forte Costruzioni lamenta di essere stato escluso per inesistenti vizi di forma dell'offerta presentata. Il Tar ha pronunciato, in via cautelare, il blocco dei cantieri. Si attende ora il giudizio dinanzi al Consiglio di Stato;
   nelle more del giudizio di merito, gli interroganti rilevano la seria preoccupazione per l'affidamento dei lavori di ristrutturazione alla Samoa, legata alla famiglia Caccavo, che è sotto processo per aver deturpato il territorio ed una zona archeologica tra le più conosciute al mondo. Il teatro attualmente è fruibile al pubblico ma tutta l'area archeologica deve essere ancora messa in sicurezza e ristrutturata. La cattiva gestione del territorio non può e non deve perpetrarsi –:
   quali misure intende attuare il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per evitare che i lavori ricompresi nel «Grande Progetto Pompei» siano gestiti da società la cui affidabilità ed onorabilità è ancora da verificare ed è oggetto di giudizio dinanzi alle autorità competenti;
   quali misure verranno prese per realizzare insieme la piena tutela e valorizzazione del sito, così come auspicato dal Ministro interrogato. (5-03627)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   secondo i dati di Leisure.com (uno dei principali istituti di ricerca americani nel settore del gaming), ammonterebbero a 105 milioni di euro gli investimenti diretti in pubblicità del mondo del gioco in Italia cui andrebbero aggiunti ulteriori 87 milioni di euro derivanti da sponsorizzazioni (ad esempio, le squadre di serie A e B);
   nell'affidare in concessione alcune tipologie di gioco lo Stato prevede che una quota parte dell'aggio debba essere destinata alla pubblicità del gioco stesso nelle lotterie istantanee e nel lotto;
   i cosiddetti Gratta e Vinci, prevedono l'obbligo per il concessionario di spendere in pubblicità, lo 0,5 per cento della raccolta: nel 2013 la raccolta, dai dati resi noti dai Monopoli di Stato, è stata pari a 7 miliardi di euro, l'obbligo quindi è in questo caso pubblicità per 35 milioni. Sempre nel 2013 GTech (Lottomatica) ha speso 26,3 milioni, seguita da William Hill con 12,6, Sisal con 10,3 e Poker Stars 6,3, per un totale di 55 milioni solo per questi operatori;
   oltre la metà degli investimenti ha riguardato la televisione, il 26 per cento il web, l'8 per cento i quotidiani e periodici, il 7 per cento le radio e un altro 7 per cento i mezzi outdoor;
   con i decreti del Ministero dell'economia e delle finanze del 17 marzo 1993 e dell'8 novembre 1993 era stata prevista, per la concessione del lotto, la possibilità di usufruire del rimborso da parte dello Stato degli investimenti pubblicitari sostenuti per la promozione del gioco stesso;
   con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 15 novembre 2000 veniva modificata la struttura della convenzione originaria per quanto riguarda il meccanismo degli aggi spettanti alla società, trasferendo contemporaneamente alla stessa gli oneri derivanti dagli investimenti pubblicitari, tutt'ora vigenti e obbligatori;
   in base all'articolo 8-bis della convenzione che regola il Lotto, che disciplina gli «Investimenti per promozione e pubblicità del gioco del lotto», si prevede che questi debbano variare tra il 5 per cento ed il 15 per cento del compenso maturato per l'anno precedente. Sempre il citato decreto del 15 novembre 2000, ha introdotto ulteriori margini di discrezionalità negli investimenti pubblicitari: misura non inferiore al 7 per cento del compenso percepito dal concessionario per l'anno precedente. In ogni caso il piano annuale di promozione e pubblicità deve essere approvato dall'amministrazione concedente;
   la raccolta del gioco nel 2013, sempre dai dati dei monopoli, è stata pari a 6,3 miliardi, l'aggio percepito dal concessionario viene calcolato in misura percentuale sul volume delle giocate (meccanismo a scalare di decalage che prevede che il compenso percentuale diminuisca all'aumentare della raccolta). Secondo alcune stime, l'aggio medio varia dal 5 al 6 per cento (Fonte Agcm). Con dei semplici calcoli il 5 per cento dei 6 miliardi sono 300 milioni: di questi ad oggi la soglia minima del 7 per cento deve essere spesa in pubblicità e cioè più di 20 milioni. Totale tra lotto e gratta e vinci: oltre 50 milioni di pubblicità obbligata, sui 105 milioni di investimenti totali del 2013 (senza dimenticare gli 87 milioni dell'attività di sponsorizzazione);
   sono state assunte iniziative in sede parlamentare in materia di contrasto delle ludopatie –:
   se non ritenga di adottare iniziative, in particolare di tipo normativo, volte a modificare la destinazione di quanto imposto per concessione in termini di investimenti in pubblicità, prevedendo, ad esempio, che una quota di tale risorse venga destinata all'attuazione di interventi in materia di informazione ed educazione sui fattori di rischio del gioco d'azzardo o al sostegno delle famiglie dei soggetti affetti da gioco d'azzardo patologico.
(2-00689) «Binetti, Dellai».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAPEZZONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da indiscrezioni giornalistiche apparse già prima della pausa estiva e che si sono via via intensificate negli ultimi giorni con articoli ben informati pubblicati su prestigiosi quotidiani economici italiani, parrebbe che, fra le norme contenute nella prossima legge di stabilità 2015 vi sia spazio anche per una revisione dell'imposta di successione: l'obiettivo sarebbe raddoppiarne l'attuale gettito da 500 milioni a un miliardo l'anno;
   la normativa sull'imposta di successione, contenuta nel testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, approvato con decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, e successive modificazioni, è stata oggetto di diversi interventi negli ultimi anni: l'articolo 69 della legge n. 342 del 2000 stabilì che l'applicazione dell'imposta di successione si effettuasse esclusivamente sulla parte di valore della quota spettante a ciascun beneficiario che superasse i 350 milioni di lire; successivamente, l'articolo 13 della legge 18 ottobre 2001, n. 383, soppresse completamente l'imposta sulle successioni e donazioni, fatta salva l'applicazione delle imposte ipotecaria e catastale; con il decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, si è introdotta l'imposta di registro per i trasferimenti successori e donativi, e, con la conversione in legge del citato decreto (legge 24 novembre 2006, n. 286) è stato eliminato il riferimento all'imposta di registro e si è reintrodotta l'imposta di successione e donazione; la disciplina è stata ulteriormente modificata con l'emanazione della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (cosiddetta «Finanziaria 2007);
   attualmente la normativa sull'imposta di successione prevede tre aliquote distinte, a seconda del grado di parentela degli eredi, e conseguenti franchigie: coniuge e parenti in linea retta aliquota al 4 per cento, con franchigia fino a 1 milione di euro di valore dell'eredità; fratelli e sorelle, aliquota al 6 per cento, con franchigia di 100.000 euro, altri parenti fino al 4o grado, affini in linea retta, affini in linea collaterale fino al 3o grado, aliquota al 6 per cento senza franchigia; tutti gli altri soggetti, aliquota al 8 per cento senza franchigia; in caso di beneficiario portatore di handicap grave la franchigia applicabile sale a 1,5 milioni di euro;
   tra le ipotesi al vaglio dei tecnici del Ministero dell'economia e finanze vi sarebbe l'aumento dal 4 al 5 per cento dell'aliquota per gli eredi in linea retta con riduzione della franchigia da 1 milione a 2-300mila euro e di due punti percentuali, dal 6 all'8 per cento, per gli altri parenti e affini; gli estranei potrebbero vedersi elevare l'aliquota dall'attuale 8 al 10 per cento; per fratelli e sorelle è ipotizzata, inoltre, una riduzione della franchigia dagli attuali 100mila a 30/50mila euro;
   la riduzione delle franchigie con il contestuale aumento delle aliquote, porterebbe molti degli attuali esenti tra i parenti in linea retta a pagare, con il rischio di aumenti anche del 167 per cento in casi come quelli di passaggi ereditari a fratelli o sorelle;
   i benefici aggiuntivi sul gettito, così come emergono dalle indiscrezioni giornalistiche, paiono però tutti da verificare, mentre sarebbe accertato e grave il danno per numerosi contribuenti, a maggior ragione in questa fase di crisi economica;
   nei giorni scorsi l'interrogante ha sollecitato più volte, inutilmente, chiarimenti o smentite pubbliche da parte dell'esecutivo;  
   se le indiscrezioni giornalistiche trovino un fondamento e quali siano le reali intenzioni del Governo in tema di revisione dell'imposta di successione.
(5-03613)


   GEBHARD, ALFREIDER, PLANGGER e SCHULLIAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Direttore provinciale dell'Agenzia delle dogane di Bolzano, il 22 luglio 2014, ha adottato una serie di determinazioni relative alle istruzioni operative per la definizione delle procedure selettive per gli sviluppi economici all'interno della terza area riservate al personale della provincia autonoma di Bolzano, con decorrenza 1o gennaio 2010;
   si tratta in particolare della determinazione n. 892 per il passaggio dalla fascia retributiva F4 a F5, della determinazione n. 891 per il passaggio dalla fascia retributiva F3 a F4, della determinazione n. 890 per il passaggio dalla fascia retributiva F2 a F3, con riferimento alla terza area, della determinazione n. 889 per il passaggio della seconda area dalla fascia retributiva F5 a F6;
   in provincia di Bolzano, a norma dell'articolo 100 dello Statuto speciale di autonomia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e successive modificazioni, i cittadini di lingua tedesca possono utilizzare il tedesco nei rapporti con gli uffici della pubblica amministrazione, conseguentemente il decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di proporzione negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego» ha disciplinato la riserva di posti per il personale della pubblica amministrazione che sia in possesso dell'attestato bilingue, italiano e tedesco;
   i posti destinati alla provincia autonoma di Bolzano non sono stati calcolati con un criterio di proporzionalità sui potenziali candidati locali rispetto alle percentuali calcolate sui candidati nazionali, ma in misura di gran lunga inferiore soprattutto nelle posizioni più elevate, con grave penalizzazione per il personale della stessa provincia;
   secondo le stime effettuate dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in ambito provinciale il quadro che emerge con riferimento agli sviluppi economici della III area è il seguente:
    per il passaggio dalla fascia retributiva F4 a F5 sono stati previsti 730 posti per il personale a livello nazionale (pari al 64,20 per cento) e 10 posti per il personale della provincia autonoma di Bolzano (pari al 29,41 per cento);
    per il passaggio dalla fascia retributiva F3 a F4 sono stati previsti 334 posti per il personale a livello nazionale (pari al 54,48 per cento) e 5 posti per la provincia autonoma di Bolzano (pari al 38,46 per cento);
    per il passaggio dalla fascia retributiva F2 a F3 sono stati previsti 385 posti per il personale a livello nazionale (pari al 59,14 per cento) e 5 posti per il personale della provincia autonoma di Bolzano (pari al 41,66 per cento);
   inoltre per quanto riguarda la II area, per il passaggio dalla fascia retributiva F5 a F6 sono stati previsti 89 posti per il personale nazionale (pari all'83,18 per cento dei potenziali candidati, che diventerà il 100 per cento con i recuperi della fascia inferiore) e 1 posto è stato invece previsto per la provincia di Bolzano (pari al 20 per cento) –:
   se possa verificare l'effettiva ripartizione dei posti destinati agli sviluppi economici del personale dell'Agenzia delle dogane tra personale nazionale e personale della provincia autonoma di Bolzano e se possa intervenire per rivedere le ripartizioni, qualora riscontri uno squilibrio a discapito del personale della provincia di Bolzano, in contrasto con le norme statutarie. (5-03614)


   CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della modifiche apportate dall'articolo 5 della direttiva n. 2008/8/CE del 12 febbraio 2008 agli articoli 58 e seguenti della direttiva n. 2006/112/CE, ai servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione e a quelli prestati tramite mezzi elettronici da un operatore stabilito nel territorio dell'Unione europea ad una persona non soggetto passivo d'imposta, avente l'indirizzo permanente o la residenza abituale nella Comunità, a decorrere dal 1o gennaio 2015 il luogo delle prestazioni relativo a ciascun fatto generatore dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) è identificato con quello di stabilimento del destinatario anziché del prestatore, a prescindere da quando la prestazione (anche continuativa) sia iniziata;
   la citata direttiva n. 2008/8/CE è stata recepita nell'ordinamento nazionale dalla legge 6 agosto 2013, n. 96, e i suoi contenuti sono stati attuati ed implementati con il regolamento (UE) n. 1042/2013 e il regolamento (UE) n. 967/2012 direttamente applicabili in Italia e giuridicamente vincolanti in ogni loro elemento;
   a decorre dal 1o gennaio 2015, le prestazioni di servizi relative al cosiddetto «commercio elettronico diretto», rese da un soggetto passivo IVA stabilito in un Paese membro ad un consumatore comunitario devono essere tassate nel luogo in cui il fruitore del servizio è stabilito, ha il suo domicilio oppure la propria residenza abituale;
   la suddetta modifica, laddove applicata senza correttivi, comporterebbe per i prestatori di servizi on-line l'obbligo di registrarsi ai fini IVA in ogni Stato membro in cui si trovavano i propri clienti al fine di assolvere gli adempimenti previsti in materia;
   a tale onere il legislatore comunitario ha ovviato con il sistema del cosiddetto «Mini one stop shop» (MoSS) previsto dal regolamento (UE) n. 967/2012 del 9 ottobre 2012; grazie a questo accorgimento, tali operatori potranno versare l'imposta nel loro Paese di origine, applicando, tuttavia, l'aliquota e le regole di fatturazione del Paese di consumo del servizio; sebbene il nuovo meccanismo impositivo entrerà in vigore dal 1o gennaio 2015, l'opzione per il MoSS è stata anticipata al 1o ottobre 2014; il sistema consente agli operatori di liquidare e versare l'imposta relativa a tutti i servizi resi nei confronti dei privati nel proprio Paese di stabilimento, utilizzando il portale della propria amministrazione finanziaria e lo Stato di stabilimento dell'operatore comunitario distribuisce quindi ai vari Stati membri di consumo l'ammontare dell'imposta a loro spettante;
   vista l'evidente complicazione per gli operatori del settore di conoscere e di applicare le norme sulla fatturazione previste dalla normativa nazionale del consumatore finale, la Commissione europea nel report del 26 giugno 2014 COM (2014) 380 final «on Article 6 of Council Directive/EC» ha stabilito che, ai sensi dell'articolo 221 della direttiva IVA, gli Stati membri possono imporre ai soggetti passivi l'obbligo di emettere una fattura per le prestazioni di servizi a persone che non sono soggetti passivi (operazioni B2C); tuttavia, essendo questo obbligo eccessivamente oneroso per gli operatori che svolgono le loro attività in diversi Stati membri, la Commissione ha raccomandato agli Stati membri di esonerare questi operatori dall'emissione della fattura relativamente alle prestazioni di servizi relative al cosiddetto commercio elettronico diretto rientranti nell'ambito di applicazione del MoSS;
   la formale applicazione nel nostro Paese delle disposizioni sopra citate, qualora non si seguissero le indicazioni comunitarie volte alla semplificazione, potrebbe dare luogo, prima di tutto, ad una evidente disparità di trattamento tra commercio elettronico cosiddetto diretto e indiretto; infatti, in questo secondo caso, vista la sua assimilazione alle cessioni di beni, è previsto l'esonero sia dall'emissione della fattura ai sensi dell'articolo 22 del Testo unico sull'IVA di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, sia dalla certificazione contabile, ai sensi dell'articolo 2, lettera oo), del regolamento recante norme per la semplificazione degli obblighi di certificazione dei corrispettivi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 696; diversamente, per il commercio elettronico cosiddetto diretto – data la sua qualificazione come prestazione di servizi – questi oneri dovranno continuare ad essere assolti;
   per le vendite on-line, verso un consumatore finale italiano, di beni quali libri o scarpe non è previsto quindi il rilascio di alcun documento fiscale attestante l'acquisto, mentre nell'ipotesi di vendita diretta dei beni quali i cosiddetti mp3 e le cosiddette App – le applicazioni per gli smartphone –, a partire dal 1o gennaio 2015, sarà obbligatoria l'emissione della fattura, ai sensi dell'articolo 21 del Testo unico IVA, con l'indicazione del codice fiscale; obbligo attualmente non previsto nella maggior parte dei sistemi di fatturazione degli altri Paesi europei, introdotto in Italia dal 2013 per monitorare i flussi finanziari e funzionale rispetto all'adempimento degli obblighi di comunicazione all'Agenzia delle entrate posti a carico del soggetto passivo dall'articolo 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, come modificato dal decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44;
   tale disparità di trattamento in Italia, qualora non venissero apportare puntuali modifiche, determinerebbe un ulteriore aggravio per gli operatori del settore a causa dei maggiori oneri formali attualmente previsti per la fatturazione dei servizi on-line;
   il permanere di questa disparità di trattamento finirebbe sia con il penalizzare, sotto un profilo pratico, la celerità degli acquisti (si parla di transazioni che in media presentano un prezzo di modesta entità) sia con lo scoraggiare gli acquirenti della rete, i quali – come dimostrato da studi statistici – al momento della conclusione della transazione on-line, nel dover inserire ulteriori informazioni aggiuntive (come il codice fiscale) preferirebbero abbandonare la transazione piuttosto che continuare nell'acquisto;
   l'introduzione dell'obbligo di fatturazione solamente per le vendite rientranti nel cosiddetto commercio elettronico diretto determinerà un evidente aggravio gestionale e contabile per quelle imprese che, trovandosi a svolgere, nella maggior parte dei casi, sia il commercio elettronico diretto sia quello indiretto, saranno costrette ad implementare degli specifici programmi gestionali differenzianti sulla base delle tipologie di operazioni rese con un conseguente aumento dei costi di gestione;
   l'obbligo di fatturazione non troverebbe una valida giustificazione neanche nella esigenza di fornire elementi ulteriori di controllo per il fisco, in quanto gli acquisti «on-line», riferibili sia al commercio elettronico diretto che indiretta sono già tracciati grazie al pagamento che avviene esclusivamente tramite bonifici, carte di credito o di debito;
   l'articolo 22 del Testo unico IVA, prevede, al comma 2, che, con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, si possa estendere l'esonero dalla fatturazione anche per coloro che prestino servizi al pubblico con caratteri di uniformità, frequenza e importo limitato tali da rendere particolarmente onerosa l'osservanza dell'obbligo di fatturazione e degli adempimenti connessi –:
   se non ritenga utile intervenire eliminando la disparità di trattamento tra il commercio elettronico diretto ed indiretto, con particolare riguardo alle regole di fatturazione e di certificazione dei corrispettivi, a tal fine emanando il decreto ministeriale di cui al comma 2 dell'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 , n. 633, volto a prevedere l'inclusione del commercio elettronico diretto all'interno delle operazioni esentate dall'obbligo di fatturazione e di certificazione dei corrispettivi sia per le prestazioni rese tra soggetti passivi IVA (cosiddetti B2B) sia relativamente alle prestazioni intercorse tra soggetti passivi IVA e privati consumatori (cosiddetti B2C), nonché, in un'ottica di semplificazione degli oneri contabili prevista per i prestatori di servizi, eliminando l'obbligo di inserimento del codice fiscale per le vendite on-line rientranti nella categoria cosiddetta del cosiddetto commercio elettronico diretto, al fine di non penalizzare le vendite di prodotti diffusi di modesto importo in Italia ed equiparare così gli oneri previsti per la fatturazione dei servizi a quelli presenti nella maggior parte dei Paesi comunitari. (5-03615)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il maltempo, con frequenti precipitazioni, allagamenti, mareggiate, vento forte e un consistente abbassamenti delle temperature, ha imperversato sulla maggior parte delle località turistiche delle coste italiane e su quasi tutte le località montane nel corso dei mesi estivi, in cui si è consolidata una situazione meteo più prossima a quella riscontrabile nel basso autunno, provocando ingenti danni economici e finanziari ai gestori di strutture balneari e di montagna e alle varie attività della filiera turistica (alberghi, campeggi, villaggi turistici, attività di ristorazione e altro);
   le avverse condizioni meteorologiche dei mesi scorsi hanno sconvolto la stagione turistica estiva, facendo registrare un notevole calo delle prenotazioni e delle presenze sia degli italiani sia degli stranieri soprattutto nelle località marine e montane, con conseguente riduzione degli introiti;
   secondo una stima effettuata dalla Coldiretti «l'estate pazza» è costata oltre un miliardo di euro alle attività turistiche e a quelle agricole, cambiando anche le abitudini stagionali degli italiani e confermando una stagione non solo deludente ma estremamente critica per tutto il comparto turistico ricettivo; le temperature più basse della media stagionale e soprattutto le abbondanti e frequenti precipitazioni (circa il 36 per cento in più rispetto alla media) hanno, da un lato, ritardato le partenze per le ferie, dall'altro inibito le partenze di un solo giorno o pochi giorni, lasciando le località turistiche vuote in periodi in cui solitamente si registrano pienoni; il maltempo ha tagliato le partenze per le vacanze e ridotto durata e budget di spesa lasciando più vuoti, nelle principali località turistiche, alberghi, ristoranti, ombrelloni e centri di divertimento; il 60 per cento degli italiani non ha trascorso neanche un giorno, di vacanza fuori casa, mentre per quelli che sono partiti si è verificata una riduzione del 25 per cento del budget familiare delle vacanze estive rispetto al 2008 con una spesa media per persona pari, secondo Coldiretti, a 665 euro;
   in base ad un'indagine condotta da Federalberghi, che ogni anno analizza la situazione di ostelli, alberghi, hotel, agriturismi e bed and breakfast sull'intero territorio nazionale, si registra nella stagione estiva l'ennesimo calo dei vacanzieri italiani (che riducono i giorni di permanenza e fanno vacanze al risparmio), mentre aumentano di poco gli stranieri: nello specifico, si evidenzia un saldo dei pernottamenti alberghieri pari allo 0 per cento da giugno ad agosto (rispetto allo stesso periodo del 2013), determinato dall'ennesimo calo della domanda italiana (-0,6 per cento) ed un lievissimo incremento di quella straniera (+0,6 per cento); inoltre, per la prima volta, i due mesi «clou» dell'anno per il turismo, luglio ed agosto, hanno rispettivamente chiuso in negativo con un -0,6 per cento ed un -0,2 per cento di presenze alberghiere; l'indagine registra partenze, nella maggior parte di breve durata, per 28 milioni di persone, pari al 47 per cento degli italiani, con prevalenza verso destinazioni estere, mentre quasi 30 milioni sono rimasti a casa principalmente per ragioni economiche; sulle scelte turistiche degli italiani e degli stranieri ha comunque influito notevolmente anche il maltempo a luglio ed agosto; sul versante dei volumi, alla contrazione dei prezzi si aggiungono le cancellazioni e le partenze anticipate per le condizioni meteorologiche avverse registrate sia nelle località marine sia in quelle montane, con un impatto sui fatturati delle imprese ricettive nel trimestre stimabile in un -5 per cento;
   in base ad una stima di Confesercenti, il maltempo ha determinato un crollo di fatturato del comparto turistico pari a 400 milioni di euro, con un calo di presenze di oltre il 30 per cento nelle aree balneari e di circa il 20 per cento nelle zone di montagna;
   le forti e continue precipitazioni e le temperature medie nettamente inferiori alla media stagionale sono state le principali cause del calo delle prenotazioni e degli incassi ridotti nei mesi estivi, ma l'instabilità meteorologica si è solo andata ad aggiungere alla stagnazione del settore turistico, iniziata da tempo con la crisi economica;
   le avverse condizioni climatiche che hanno caratterizzato l'estate del 2014 hanno avuto pesanti ripercussioni sull'attività turistica e hanno contribuito alla crisi del comparto, che sta assumendo dimensioni allarmanti, con un impatto preoccupante sulla tenuta del sistema imprenditoriale e dei livelli occupazionali;
   in un momento già difficile per la crisi economica nel nostro Paese, sarebbe opportuno aiutare e sostenere, anche attraverso interventi di natura fiscale e tributaria, le migliaia di piccole e medie aziende turistiche colpite dal maltempo dei mesi scorsi che, oltre al danno economico subito, rischiano di pagare contributi eccessivi e di non risultare coerenti per quanto concerne il sistema degli studi di settore –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare in favore delle imprese del comparto turistico-ricettivo, anche attraverso interventi di attenuazione dell'imposizione fiscale e tributaria e di revisione degli studi di settore, per sostenere le strutture balneari e montane duramente colpite nei mesi scorsi da eventi meteorologici avversi che, sommati alle criticità strutturali e alla difficile fase di congiuntura economica in corso, hanno comportato la riduzione delle presenze dei vacanzieri e, di conseguenza, degli introiti economici per gli operatori. (5-03616)


   PISANO, PESCO, VILLAROSA, BARBANTI, RUOCCO, CANCELLERI e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 18 giugno 2013 è in vigore la nuova disciplina civilistica del condominio risultante dalla riforma, ad opera della legge 11 dicembre 2012, n. 220, del corpus normativo contenuto negli articoli da 1117 a 1139 del codice civile, negli articoli 63 ss. disp. att. c.c. e in talune leggi speciali (es. legge 9 gennaio 1989, n. 13; legge 9 gennaio 1991, n. 10, e decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5);
   tra gli adempimenti amministrativi e contabili introdotti dalla novella legislativa figura l'obbligo, imposto all'amministratore, di accendere e di porre in uso un conto corrente bancario o postale intestato al condominio, nel quale devono transitare tutte le somme percepite dai condòmini o da terzi, nonché quelle a chiunque erogate per conto del condominio (articolo 1129, comma VII, c.c.);
   con la novella legislativa, dunque, viene introdotto il principio della tracciabilità delle somme di gestione condominiale, al fine di prevenire situazioni di scorrettezza nella gestione economica del condominio, nonché di garantire più efficaci strumenti di verifica e controllo, pubblico e privato;
   i nuovi obblighi a carico degli amministratori hanno creato non poche preoccupazioni tra gli addetti al settore: in particolare, secondo gli interpreti, la previsione dell'obbligo di cui all'articolo 1129, comma 7, del codice civile, rischia di paralizzare la gestione condominiale, imponendo un divieto assoluto all'amministratore di prelevare o depositare dei contanti dal conto corrente: per tale motivo, la soluzione interpretativa prospettata sembra essere quella di «attenuare» la portata della prescrizione, consentendo all'amministratore di versare o prelevare contante dal conto corrente – anche mediante l'indicazione di una generica causale (ad esempio, «fondo cassa») – purché della gestione del denaro vi sia dettagliato riscontro nella contabilità condominiale (quindi, per i versamenti, mediante la specificazione della provenienza e del titolo del pagamento; per i prelievi, mediante l'annotazione analitica delle spese effettuate nel registro di contabilità e nel rendiconto condominiale di cui agli articoli 1130 e 1130-bis del codice civile);
   tale interpretazione, se confermata dalla prassi applicativa, rischia tuttavia di aggirare le finalità perseguite dalla norma; di contro, l'aderenza al dettato normativo garantirebbe la piena tracciabilità di tutte le movimentazioni bancarie eseguite tramite il conto corrente, agevolandone i controlli: ciò vale ancor di più sul piano fiscale: ad esempio, in tema di ristrutturazioni edilizie, l'Agenzia delle entrate potrebbe facilmente accertare la spettanza delle detrazioni fiscali incrociando le movimentazioni risultanti dal conto corrente con gli importi fatturati;
   inoltre, va sottolineato che nell'ordinamento giuridico tributario vigono norme dello stesso tenore letterale di quella in esame: si pensi all'obbligo di tracciabilità di cui all'articolo 25, comma 5, legge n. 133 del 1999 imposto alle associazioni sportive dilettantistiche; ebbene, in tal caso, la prassi applicativa e interpretativa dell'Agenzia delle entrate non ammette alcuna deroga alla disposizione, escludendo l'ammissibilità di prelievi e versamenti in contanti sul conto corrente di importo superiore al limite previsto dalla norma –:
   quale interpretazione dell'inciso «è obbligato a far transitare» di cui all'articolo 1129, comma 7, del codice civile, ritenga maggiormente aderente all'interesse dello Stato di prevenire ogni forma di evasione tributaria e come valuti i riflessi che, sul piano dell'efficacia e dell'efficienza dei controlli fiscali, potrebbero derivare dall’«attenuazione» dell'obbligo di tracciabilità ivi previsto. (5-03617)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 16 ottobre 2014 scade il termine per assolvere il pagamento della prima rata della TASI;
   il decreto-legge n. 16 del 2014 attribuisce ai comuni la possibilità di elevare l'aliquota massima TASI di un ulteriore 0,8 per mille rispetto al limite del 10,6 per mille fissato per la sola IMU al 31 dicembre 2013 (vale a dire con una aliquota massima pari all'11,4 per mille in caso di aliquota ordinaria ovvero la minore aliquota prevista per le specifiche tipologie di immobili); la facoltà di aumentare l'aliquota è condizionata al finanziamento di detrazioni d'imposta sulle abitazioni principali che generino effetti equivalenti alle detrazioni IMU; le nuove aliquote massime per la TASI sull'abitazione principale potranno essere, quindi, pari al 3,3 per mille (rispetto all'originario limite del 2,5 per mille fissato dalla legge di stabilità per il 2014); tale limite riguarda il solo anno 2014, non avendo il legislatore introdotto analoga previsione per gli anni successivi;
   quasi tutte le simulazioni pubblicate in questi ultimi giorni sui mass-media rivelano che il passaggio dall'IMU alla Tasi danneggerà le abitazioni principali con le rendite catastali più basse a vantaggio di quelle con le rendite più elevate, secondo il principio di invarianza di gettito che governa il regime giuridico dell'imposta ed invocato dal suddetto decreto-legge n. 16 del 2014, più noto come «Salva Roma ter»;
   nella misura in cui la rendita catastale delle abitazioni riflette la ricchezza e il reddito dei loro proprietari, ne consegue che la TASI avrà, salvo compensazioni con detrazioni d'imposta, un impatto regressivo rispetto alla precedente IMU;
   la stessa magistratura contabile, la Corte dei Conti, aveva messo in guardia il Parlamento sull'ampio margine di scelta attribuito alle amministrazioni locali nella determinazione delle aliquote TASI, e su quanto avrebbe accentuato le differenze di imposizione, comportando significative disparità di trattamento fiscale a carico di famiglie e di imprese, pur in presenza di un uguale imponibile, differenze che, a loro volta, avrebbero potuto incidere anche sul comportamento dei contribuenti e tradursi, ad esempio, nella delocalizzazione di imprese e persone fisiche sulla base di una convenienza fiscale, con importanti ricadute negative sotto il profilo della tax compliance; 
   i comuni hanno spazi di manovra per reperire il gettito necessario per finanziare le eventuali detrazioni che decidessero di concedere sulle abitazioni principali; i comuni che nel 2014 potrebbero incontrare maggiori difficoltà nel mantenere l'invarianza di gettito rispetto all'anno precedente sono quelli che nel 2013 hanno applicato sull'abitazione principale l'aliquota massima del 6 per mille;
   riguardo alla suddetta facoltà dei comuni di ricorrere alla maggiorazione dello 0,8 per mille, occorre tener conto che la stessa deve intendersi come incremento massimo, applicabile o limitatamente all'abitazione principale o agli altri immobili oppure, in combinazione, su entrambe le tipologie, mentre riguardo alle detrazioni, da finanziarsi con il relativo maggior gettito, il criterio di invarianza, secondo parte della dottrina, si riferisce al l'invarianza di carico d'imposta, e quindi di gettito erariale generabile, tra TASI e IMU, mentre altra parte la riferisce all'eventuale sovraccarico d'imposta sul contribuente;
   inoltre, anche in considerazione della articolata disciplina dell'IMU in materia di esenzioni e detrazioni, a cui la disciplina TASI è collegata, la formulazione della norma in commento non chiarisce se l'effetto equivalente sul carico d'imposta debba ritenersi riferito a ciascun immobile, e se cioè ciascun contribuente deve trovarsi nelle medesime condizioni rispetto all'IMU, o a ciascuna tipologia di immobili, se cioè l'equivalenza debba riguardare analoghe «tipologie di immobili» se, conseguentemente, gli effetti sul singolo contribuente potrebbero essere diversi rispetto al carico impositivo IMU;
   dalla lettura della medesima disposizione sembrerebbe rimessa a ciascun comune anche la scelta relativa alle categorie di immobili sulle quali concentrare le detrazioni;
   a giudicare dalle deliberazioni dei comuni, le eventuali detrazioni si stanno rivelando di gran lunga inferiori, non solo a quelle previste dalla precedente IMU, pari a 200 euro per l'abitazione principale a cui aggiungere 50 euro per ogni figlio convivente, ma anche alla cifra di 115 euro individuata dall'Anci come soglia minima per pareggiare l'onere fiscale tra IMU e Tasi e quindi per continuare quantomeno ad esentare da quest'ultima coloro che erano già esenti dall'IMU;
   in questo particolare momento di forte difficoltà per l'intero tessuto socio-economico del nostro Paese, i comuni si trovano a dover gestire un nuovo tributo, avendo riguardo all'impatto che lo stesso avrà sia sui contribuenti che sul bilancio, rispettando i criteri di equità, ragionevolezza e sostenibilità, e, soprattutto, salvaguardando l'equilibrio di bilancio;
   il 10 aprile 2014, il Governo, nell'ambito dell'approvazione del suddetto decreto-legge n. 16 del 2014, accolse come raccomandazione l'ordine del giorno 9/2162-AR/6, che lo impegnava ad intervenire nel corso dell'anno per risolvere eventuali contenziosi interpretativi della norma, ed a vigilare affinché i comuni destinassero la totalità del maggior gettito garantito dall'addizionale a riduzioni del carico fiscale sulle categorie più deboli –:
   se il Governo sia in grado di rappresentare i risultati della suddetta attività di vigilanza. (5-03618)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la materia di tassazione dei prodotti energetici nella navigazione delle acque interne è stata, in un primo tempo, oggetto di disciplina da parte della direttiva CEE n. 92/81/CEE del Consiglio del 19 ottobre 1992, relativa all'armonizzazione delle strutture delle accise sugli olii minerali, con cui il legislatore comunitario, per favorire i commerci e i traffici in area comunitaria, ha adottato una serie di vantaggi armonizzati per i gas e gli olii minerali utilizzati come combustibile per la navigazione a fini commerciali di trasporto di merci e passeggeri in tutte le acque comunitarie;
   in un secondo momento, il legislatore comunitario è intervenuto ancora con la direttiva n. 2003/96 che, pur abrogando la precedente normativa della direttiva n. 81 del 1992, ha mantenuto il principio di un regime fiscale agevolato, stabilendo, all'articolo 14, comma 1, lettera c), che gli Stati membri esentano dalla tassazione «i prodotti energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la navigazione nelle acque comunitarie (compresa la pesca), diversa dalla navigazione delle imbarcazioni private da diporto», escludendo dalla definizione di imbarcazioni private da diporto le imbarcazioni usate per scopi commerciali di trasporto di passeggeri o merci;
   l'articolo 15, comma 1, della stessa direttiva recita, ugualmente alla precedente, che gli «Stati membri possono applicare, sotto controllo fiscale, esenzioni o riduzioni totali o parziali del livello di tassazione», specificando, alla lettera f), il regime di applicabilità agevolata «ai prodotti energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la navigazione sulle vie navigabili interne (compresa la pesca), diversa dalla navigazione delle imbarcazioni private da diporto»;
   da suddette legislazioni si evince quindi che le unità navali commerciali (non da diporto, destinate invece ad esclusivo uso privato) destinate al trasporto sia di merci che di passeggeri, che navigano in acque comunitarie, devono essere sottoposte al regime di esenzione e che possono beneficiare delle esenzioni previste anche le stesse unità navali ad uso commerciale, destinate quindi sia al trasporto merci che al trasporto passeggeri, che navigano in acque interne;
   nell'ambito dell'esercizio del suo potere regolamentare, il legislatore nazionale, ha regolato nel dettaglio la materia attraverso il decreto legislativo del 26 ottobre 1995, n. 504, «Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative», dove, nel punto 3 della Tabella A non soltanto si esclude esplicitamente il trasporto passeggeri, quando invece questo è ricompreso dalla direttiva del 2003, ma fa anche esclusivo riferimento alle «acque marine comunitarie», mentre la direttiva 2003/96/CE, all'articolo 14, lettera c), cita le «acque comunitarie», comprensive, quindi, delle acque interne, tanto che tutti gli altri Stati membri, secondo quanto stabilito dalla stessa direttiva, prevedono l'esenzione delle accise sul trasporto commerciale passeggeri in acque interne, escludendolo sempre dal regime di fiscalità ordinaria;
   quindi, al contrario degli altri Stati membri, l'interpretazione nazionale, approfittando dell'imprecisione del quadro normativo nazionale rispetto alla regolamentazione comunitaria, si è orientata in senso restrittivo, escludendo i natanti che praticano il trasporto commerciale di passeggeri nelle acque interne dal favor previsto dalla normativa comunitaria per l'esenzione dalle accise, non ricomprendendo le acque interne nelle acque comunitarie e, approfittando della confusione fatta dal legislatore nazionale che esclude esplicitamente il trasporto dei passeggeri, evidentemente confuso con la navigazione da diporto ad uso privato;
   di questa erronea interpretazione delle norma adottata da parte della Agenzia delle dogane, molte attività commerciali nazionali di trasporto passeggeri nelle acque interne, già vessate dalla crisi economica – esemplare è la situazione della regione del Veneto – ne subiscono le conseguenze, scontando uno svantaggio pesantissimo in termini di concorrenzialità rispetto ad altre compagnie di Stati membri che, svolgendo la loro attività nel nostro Paese, possono invece offrire prezzi più competitivi e profitti più alti in quanto inclusi nel regime di esclusione dal pagamento delle accise nei loro Stati di appartenenza fiscale, comportando, inoltre, anche una perdita di gettito fiscale del nostro Paese –:
   quali iniziative il Ministro, in base alle proprie competenze, intenda adottare al fine di ricomprendere nel regime della esenzione delle accise anche le unità di trasporto commerciale di passeggeri impiegate nella navigazione fluviomarittima, lagunare e interna. (5-03619)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI, BUSINAROLO, COLLETTI, TURCO e TERZONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 dicembre 2013 è stata sottoscritta tra il concedente, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali – architetto Mauro Coletta e il concessionario Passante Dorica spa, ingegnere Michele Luongo, la convenzione di concessione ai sensi degli articoli 153 e 175 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, riguardante il collegamento viario tra il porto di Ancona e la grande viabilità; successivamente il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha trasmesso al Ministero dell'economia e delle finanze la medesima convenzione, unitamente alle schema di decreto interministeriale di approvazione, come prescritto per la registrazione da parte della Corte dei Conti; risulta agli interroganti che, a tutt'oggi, il Ministro interrogato, non solo non abbia controfirmato il citato decreto, ma che l'avrebbe restituito all'architetto Coletta;
   l'articolo 32 della Convenzione prevede: «32. CONDIZIONE SOSPENSIVA. 32.1 L'efficacia della presente Convenzione è subordinata alla registrazione da parte della Corte dei Conti del decreto interministeriale di approvazione. 32.2 Nelle more della suddetta approvazione, il Concessionario rinuncia a vantare qualunque pretesa, interesse ovvero diritto nei confronti del Concedente, dipendenti dall'oggetto della Convenzione stessa, nel caso non si perfezioni entro dieci mesi dalla stipula.», il 18 ottobre scadono i dieci mesi che intercorrono dalla stipula della convenzione –:
   quali determinazioni siano state assunte dal Ministro interrogato sui contenuti contrattuali previsti dalla convenzione e sull'iter della stessa;
   se trovi conferma che il decreto di cui in premessa non sia stato controfirmato e quali ne siano le motivazioni;
   se la mancata emissione del decreto interministeriale entro il 17 ottobre 2014, possa essere invocata dal concessionario per vantare qualunque pretesa, interesse ovvero diritto nei confronti del concedente (lo Stato italiano) o se il decorso dei dieci mesi scatti solo dopo l'emanazione del decreto interministeriale della convenzione e della registrazione da parte della Corte dei Conti, cui è subordinata l'efficacia della medesima convenzione. (5-03626)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARLOTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 24 maggio 2013 il firmatario del presente atto ha visitato la casa circondariale di Rimini e incontrato l'allora direttore della struttura penitenziaria, Palma Mercurio;
   in seguito alla visita l'interrogante aveva presentato una interrogazione a risposta scritta 4-00627, con sollecito in data 4 giugno 2013, tuttora senza risposta;
   nell'istituto penitenziario di Rimini sono reclusi ad oggi 120 detenuti di cui il 65 per cento stranieri;
   il personale di polizia penitenziaria secondo le previsioni del decreto ministeriale del marzo 2013 risulterà sotto organico rispettivamente di 7 unità nel ruolo agenti/assistenti, nel ruolo dei sovrintendenti di 9 unità e nel ruolo degli ispettori di 7 unità, poiché sono presenti 100 agenti/assistenti (personale amministrato) rispetto ai previsti 107, nel ruolo dei sovrintendenti 7 rispetto ai 16 previsti, nel ruolo ispettori 9 rispetto ai 16 previsti, oltre al personale distaccato in altra sede che vede 5 agenti/assistenti e 1 ispettore;
   i numeri non tengono però conto della struttura, che logisticamente assorbe più personale di quanto preveda il predetto decreto ministeriale essendo suddivisa in numerose sezioni che richiedono un adeguato impiego di personale rispetto ad istituti con analogo numero di detenuti ma con un numero inferiore di sezioni;
   la casa circondariale di Rimini si trova in un territorio a vocazione turistica, caratterizzato da un'evidente discrasia numerica tra la popolazione residente (330.000 abitanti) e quella effettivamente presente, con 15 milioni di presenze registrate e con picchi nei mesi di luglio e agosto sino a 4.500.000/4.700.000 unità;
   tali massicce presenze si riverberano evidentemente sulla delittuosità, attirando nel territorio riminese un maggior numero di soggetti dediti ad attività criminose;
   nel rispondere alla interrogazione a risposta scritta n. 4-04478 già il Viceministro dell'interno ha riconosciuto l'esigenza di servizi di ordine e sicurezza pubblica in aggiunta a quelli ordinari a Rimini e nelle località turistiche della provincia;
   nei mesi estivi il numero di ingressi alla casa circondariale di Rimini aumenta sensibilmente: quest'anno nei soli mesi di luglio e agosto si sono registrati più di 120 ingressi e altrettante scarcerazioni, con un conseguente aumento di traduzioni verso il tribunale di Rimini;
   aumentano gli ingressi di soggetti psichiatrici, spesso dovuti all'uso di nuove droghe chimiche, a fronte di una diminuzione delle ore del servizio interno di psichiatria, mentre il servizio medico è attivo dalle ore 8 alle ore 22 e nelle ore notturne si è spesso costretti a ricorrere all'intervento del 118 o alla guardia medica, con i conseguenti rischi in termini di sicurezza in caso si debba approntare una scorta con il personale a disposizione nelle ore notturne;
   anche alla luce di quanto appena esposto, il sindacato CGIL ha indetto nei giorni scorsi lo stato di agitazione degli agenti in servizio al carcere di Rimini, lamentando la carenza di organico a fronte del forte incremento del numero di ingressi, delle scarcerazioni e delle udienze –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre la popolazione detenuta nel carcere di Rimini entro la capienza regolamentare, così da garantire condizioni di detenzione conformi al dettato costituzionale, alla legge e ai regolamenti penitenziari;
   se e quando intenda intervenire, per quanto di competenza, per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, attingendo anche alle nuove assunzioni previste, del personale amministrativo e degli educatori;
   se non ritenga indispensabile inserire nella previsione di rinforzi alle dotazioni delle forze dell'ordine durante il periodo estivo nel territorio riminese, anche il rinforzo estivo del personale di polizia penitenziaria;
   se e quali iniziative di competenza si intendano assumere affinché sia assicurato l'assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
   se si intenda chiudere al più presto la prima sezione assumendo iniziative per lo stanziamento a bilancio delle risorse necessarie alla sua ristrutturazione e alla programmata attività di recupero;
   quando verrà ristrutturata e riaperta la 2a sezione, viste la già avvenuta approvazione e il finanziamento del progetto. (5-03621)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è ormai prossima la scadenza per l'emanazione del «Regolamento di organizzazione del Ministero della giustizia e riduzione degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche del Ministero della giustizia» (per la cui adozione è stato nuovamente prorogato il termine entro il 15 ottobre);
   un primo schema venne presentato alle organizzazioni sindacali nel mese di febbraio 2014: in esso i provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria venivano ridotti da 16 a 12, prevedendosi che il provveditorato dell'Abruzzo permanesse ed accorpasse in sé quello dello Marche, che sarebbe stato quindi soppresso;
   successivamente il 15 luglio 2014, è stato trasmesso alla funzione pubblica lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in cui, tra gli interventi necessari in attuazione della cosiddetta spending review, rilevava la riduzione dei provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria dagli attuali 16 ad 11;
   tra questi, il Prap di Pescara permaneva attivo, accorpandosi in esso anche la limitrofa struttura regionale delle Marche;
   con decreto del 12 agosto, poi, il Ministro della giustizia ha istitutivo dei gruppi di lavoro atti a procedere ad una rivisitazione dello schema precitato;
   all'esito dei lavori dei gruppi di cui sopra, sembrerebbe sia stato predisposto un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nel quale i provveditorati regionali saranno ridotti in numero di 10 e che il provveditorato per l'Abruzzo ed il Molise con sede in Pescara sarà accorpato in quello delle Puglie;
   il provveditorato regionale dell'Abruzzo svolge una funzione essenziale di coordinamento degli istituti penitenziari e servizi della regione, grazie alla diretta conoscenza delle realtà periferiche, ed è per questo un essenziale organo di prossimità. Esso assicura qualificanti attività a livello territoriale – destinate al soddisfacimento di primari interessi pubblici – che verrebbero, se accorpato, sensibilmente ridotte se non del tutto compromesse da un siffatto progetto di riorganizzazione;
   il provveditorato regionale opera in rilevante sinergia interistituzionale (in ottemperanza alla legge n. 354 del 1975; al decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 e nel decreto del Presidente della Repubblica n. 444 del 1992) con l'ente regione Abruzzo, nelle materie del lavoro, formazione professionale, sanità e politiche sociali a favore dell'utenza detenuta, formalizzata in accordi e protocolli operativi, in tavoli tecnici, commissioni, gruppi di lavoro ed in organi paritetici (esempio tavolo tecnico per l'inclusione lavorativa, osservatorio per la sanità penitenziaria). Parimenti preziose sono le intese interistituzionali con le amministrazioni comunali;
   il mantenimento della locale articolazione regionale dell'amministrazione penitenziaria di Pescara non comporterebbero aggravio di spesa, atteso che la sede del Prap Abruzzo è in uno stabile di proprietà della stessa amministrazione penitenziaria;
   la soppressione del provveditorato dell'Abruzzo, con conseguente accorpamento delle sue funzioni in altra struttura multi-regionale, comporterebbe un progressivo scollamento con il territorio con compromissione del principio di sussidiarietà (per mancanza di referenti locali vicino al territorio, conoscitori delle relative problematiche ed in grado pertanto di poter intervenire tempestivamente);
   peraltro l'accorpamento con il Prap Puglia con sede a Bari comporterà disfunzionalità e un aumento di spese connesse alla mobilità di personale e mezzi;
   non è da sottovalutare, poi, come la soppressione di questa importante articolazione periferica dello Stato spoglierebbe del tutto la città di Pescara vieppiù trattandosi di un presidio di sicurezza e legalità sul territorio abruzzese –:
   se non ritenga necessario prevedere l'accorpamento del provvedimento regionale dell'amministrazione penitenziaria dell'Abruzzo con quello delle Marche con sede a Pescara. (4-06111)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE e GRECO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'accordo siglato tra Alitalia e la compagnia araba Etihad rischia di avere delle gravi ripercussioni lungo le direttrici nazionali e, in particolare, per tratte che interessano la Sicilia;
   secondo alcune indiscrezioni, riportate anche dai media, da Catania, e presumibilmente anche da Palermo, dopo la chiusura di Air One, verranno tagliati i collegamenti per Torino, Milano Malpensa, Venezia e Bologna e a rischio sarebbero anche i voli per Pisa e Verona;
   si tratterebbe di una decisione grave ed estremamente penalizzante per il Sud e la Sicilia anche perché le tratte in questione fanno registrare significativi coefficienti di riempimento dei voli;
   la stessa società di gestione dell'aeroporto di Torino, Sagat, ha evidenziato come i voli da e per la Sicilia siano sempre pieni;
   si pongono, inoltre, seri problemi sul timing ravvicinato circa la soppressione delle tratte in questione, in quanto si parla del primo ottobre per l'avvio dei tagli, quindi meno di un mese con tutto ciò che ne consegue anche in termini occupazionali –:
   se il Governo sia a conoscenza di tali indiscrezioni e se risulti che tali intendimenti della nuova proprietà di Alitalia siano stati rappresentati in sede di trattativa e quale posizione, in tal caso, abbia assunto il Governo con riferimento a questa scelta che, se attuata, provocherebbe una grave penalizzazione per la Sicilia.
(5-03609)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il quadro della nautica italiana, riportato la scorsa settimana dal presidente di Ucina, Confindustria nautica, evidenzia una situazione economica e finanziaria estremamente preoccupante, in considerazione dei notevoli passi indietro, in termini di fatturato (passato nel 2008 da 6,2 miliardi di euro agli attuali 4,2 miliardi di euro con un segno negativo del 61 per cento) e della contrazione della domanda che la cantieristica italiana sta subendo, le cui prospettive anche nel medio termine, non prevedono peraltro segnali positivi;
   l'elaborazione e la diffusione dei dati di andamento del settore, pubblicati in un articolo dal quotidiano economico Il Sole 24 Ore il 19 settembre 2014, in occasione dell'imminente inaugurazione del salone nautico di Genova, hanno infatti evidenziato che, nonostante alcuni timidi segnali del settore, nelle classifiche dei Paesi mondiali, l'Italia oscilla tra il 140o ed il 150o posto, dietro la maggior parte dei Paesi occidentali e orientali e prima di quelli africani;
   il mercato italiano della nautica, passato dal 47 per cento del periodo pre-crisi mondiale, al 7 per cento attuale, pari a circa 100 milioni di euro di fatturato, rispetto ai precedenti 2,4 miliardi di euro, conferma infatti una serie di difficoltà, connesse all'elevata tassazione sulle imbarcazioni, all'inarrestabile aumento del carburante e al deficit infrastrutturale particolarmente grave, che contribuiscono negativamente ad aggravare un comparto, che, al contrario, dovrebbe essere considerato come uno dei segmenti produttivi in grado di partecipare al rilancio del Paese;
   l'interrogante evidenzia come ad alcuni segnali di interesse da parte del Governo, per fronteggiare la crisi che investe il comparto, quali ad esempio l'abbassamento dell'IVA per le banche in transito nei porti turistici o l'istituzione del registro telematico delle imbarcazioni, occorra affiancare ulteriori misure per un settore trainante per l'economia italiana, come quello della nautica da diporto nazionale e della relativa filiera, in modo da garantire la promozione unitaria del settore nautico-turistico in ambito nazionale –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle proprie competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa e quali iniziative intendano assumere, compatibilmente con i vincoli di bilancio e di finanza pubblica, a favore del settore della nautica italiana, affinché possa recuperare il suo status di comparto industriale centrale per l'economia italiana. (4-06105)


   GRECO e GULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'accordo siglato tra Alitalia e la compagnia araba Etihad danneggia la Sicilia che vedrebbe una riduzione dei voli da Palermo e Catania del 50 per cento;
   ciò condannerebbe all'isolamento la Sicilia che peraltro non dispone di reti stradali adeguate ed ha un servizio ferrovia lumaca;
   come ha detto il presidente Renzi, il rilancio dell'Italia dipende dal rilancio del sud;
   non si può tollerare che l'Italia venga divisa in due –:
   se il Ministro interrogato, in sede di trattativa, fosse stato informato degli intendimenti della società acquirente in relazione a quanto descritto in premessa e quali iniziative abbia intrapreso in quella sede per evitare questa ulteriore penalizzazione per il territorio siciliano. (4-06116)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata:


   SANTERINI, MARAZZITI, SBERNA e GIGLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a causa del lungo iter si registra un'eccessiva dilatazione dei tempi necessari all'ottenimento della cittadinanza italiana: secondo il procedimento previsto dalla normativa vigente, infatti, la richiesta della cittadinanza è soggetta ad una serie di controlli da parte della prefettura del luogo di residenza dove la stessa viene depositata, dalla questura competente, dal Ministero dell'interno di Roma, dal Consiglio di Stato, per ritornare, infine, alla prefettura che notificherà il decreto di concessione di cittadinanza, il tutto nell'arco di due anni, più precisamente di 730 giorni;
   tuttavia, la definizione del procedimento incontra spesso impedimenti che ne ampliano i tempi e le pratiche si arenano in attesa di pareri o di integrazioni richieste dagli uffici che portano ad una attesa di quattro o addirittura sei anni;
   questa che appare agli interroganti una forzata e sistematica violazione dei termini di legge per la concessione della cittadinanza comporta, ad esempio, che i figli dei richiedenti che potrebbero acquisirla come figli minori di un cittadino italiano, a causa del ritardo diventano in molti casi maggiorenni e non possono più ottenerla;
   il tema è peraltro oggetto di un'iniziativa parlamentare giunta ad una fase avanzata presso la Camera dei deputati –:
   quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda porre in essere al fine di velocizzare un iter che necessita di un'evidente semplificazione amministrativa, fermi restando i requisiti necessari ad ottenere la cittadinanza previsti dalla normativa vigente. (3-01043)


   LACQUANITI, DI SALVO e ZAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 157 del 1992 in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio prevede, tra l'altro, che l'attività di controllo e di vigilanza sul territorio relativamente all'applicazione della medesima legge n. 157 del 1992 possa essere affidata anche alle guardie volontarie delle associazioni di protezione dell'ambiente presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale e a quelle riconosciute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, alle quali sia riconosciuta la qualifica di guardia giurata, ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto n. 773 del 1931;
   con la sentenza n. 6454 della Corte di cassazione penale, sezione III, 21 febbraio 2006, la medesima Corte ha confermato che le guardie volontarie delle associazioni di protezione dell'ambiente riconosciute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno la qualifica di agenti di polizia giudiziaria in quanto: a) la legge n. 157 del 1992 attribuisce espressamente (articolo 27) ad esse un compito di vigilanza venatoria sull'applicazione della legge, compreso l'articolo 30 relativo alle sanzioni penali; b) l'articolo 28 della suddetta legge, nel definire poteri e compiti degli addetti alla vigilanza venatoria, ricomprende sia il potere ispettivo, sia il potere di controllo della fauna abbattuta o catturata (articolo 28, comma 1) e il potere di accertamento (redazione del verbale) (articolo 28, comma 5); c) nel contenuto degli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale «il prendere notizia dei reati» è collegato logicamente in via funzionale al dovere di «impedire che vengano portati a ulteriori conseguenze», e ciò sembra valere anche per le guardie venatorie, naturalmente solo nei limiti del servizio cui sono destinate;
   la sentenza n. 28727 del 2011 della Corte di cassazione, che riguardo al sequestro di animali esotici operato dalla polizia zoofila della Lidia (Lega italiana diritti degli animali), ha sottolineato che la Lidia è associazione di volontariato riconosciuta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, «dalla qualità di guardia giurata, discende la legittimazione ad esercitare attività di polizia giudiziaria, così come affermato anche dalla 4a sezione del Consiglio di Stato, con decisione del 24 ottobre 1997, n. 1233»;
   detta sentenza n. 28727 conferma che – al pari delle guardie volontarie venatorie – anche le guardie zoofile sono legittimate a esercitare attività di polizia giudiziaria. Si ricorda in proposito che l'articolo 6, comma 2, della legge 21 luglio 2004, n. 189, recita che: «la vigilanza nel rispetto della predetta legge delle altre norme relative alla protezione degli animali (e, dunque, in ipotesi degli animali oggetto di attività venatoria, come la fauna selvatica) è affidata “anche” con riferimento agli animali da affezioni, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina ai sensi degli articoli 55-57 codice di procedura penale, alle guardia particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute»;
   in contrasto con le suddette sentenze, il 25 settembre 2013 il Ministero dell'interno, dipartimento della pubblica sicurezza, ufficio per gli affari della polizia amministrativa e sociale, ha inviato un parere alla prefettura di Brescia, con la quale si esprime un parere circa «l'esclusione del riconoscimento delle qualifiche pubblicistiche di agente e di ufficiale di polizia giudiziaria nei confronti delle guardie venatorie volontarie»;
   detto orientamento del Ministero dell'interno comporta inevitabilmente un forte indebolimento dell'importante attività che la legge n. 157 del 1992 assegna alle guardie volontarie delle associazioni di protezione ambientale e alle guardie zoofile volontarie, togliendo loro, di fatto, lo status di agenti di polizia giudiziaria –:
   se, anche sulla base di quanto esposto in premessa, non si intenda rivedere l'orientamento indicato in premessa al fine di garantire lo status di agenti di polizia giudiziaria alle guardie venatorie volontarie e alle guardie zoofile, anche al fine di rafforzare l'importante e spesso decisivo ruolo che le suddette guardie volontarie svolgono sul territorio nel contrasto all'illegalità in ambito venatorio e per garantire loro una maggiore tutela. (3-01044)


   QUARTAPELLE PROCOPIO, FIANO, ROBERTA AGOSTINI, CUPERLO, D'ATTORRE, MARCO DI MAIO, FABBRI, FAMIGLIETTI, FERRARI, GASPARINI, GIORGIS, GULLO, LATTUCA, LAURICELLA, MARCO MELONI, NACCARATO, PICCIONE, POLLASTRINI, RICHETTI, ROSATO, FRANCESCO SANNA, BENI, MARTELLA e DE MARIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i consistenti flussi migratori di questi ultimi mesi, in parte non irrilevante quali conseguenza della sempre più accentuata disgregazione della Libia e della perdurante guerra in Siria, hanno aperto un acceso dibattito relativo alla necessità di una gestione più marcatamente europea della frontiera a sud dell'Europa, e più in generale del tema dei flussi migratori, anche alla luce delle innumerevoli vite salvate nel Mediterraneo a partire dall'avvio dell'operazione Mare nostrum;
   tuttavia, accanto ad un dibattito più generale sul come gestire i flussi migratori, in generale e nel Mediterraneo, e su quali siano i nodi principali che l'Europa dovrà sciogliere al fine di provare almeno a contenere una parte delle stragi silenziose che ogni anno avvengono sulle coste italiane, si sta ponendo con sempre maggior urgenza il problema di ottenere un quadro il più possibile aggiornato delle persone che risultano morte o disperse in mare, o delle quali semplicemente non si hanno più notizie;
   secondo i dati pubblicati dal Ministero dell'interno il 15 agosto 2014, dal 1o agosto 2013 al 31 luglio 2014 sono sbarcati 116.944 migranti, dei quali ben l'83 per cento sulla costa della sola Sicilia. Con l'operazione Mare nostrum sarebbero, poi, stati tratti in salvo nello stesso periodo di tempo 62.982 migranti;
   tali numeri diventano, però, inevitabilmente assai più oscuri o incerti, laddove si tenti di calcolare il numero dei dispersi o dei morti accertati in mare; ai dati ufficiali in possesso del Ministero dell'interno vanno allora aggiunti i dati non ufficiali raccolti da alcune organizzazioni non governative, che hanno tentato di colmare le lacune delle statistiche ufficiali e dei rapporti governativi, basandosi, ad esempio, su fonti giornalistiche internazionali, nazionali e locali, e talvolta sulle dichiarazioni rese dalle persone soccorse e sopravvissute;
   dai dati non ufficiali raccolti da alcune organizzazioni non governative, usati anche incrociando diverse metodologie di indagine, risulterebbe che in 14 anni sarebbero morte più di 23.000 persone tra uomini, donne e bambini nel tentativo di raggiungere il Vecchio Continente, per una media di circa 1.600 persone l'anno;
   accanto, dunque, al dramma quotidiano delle numerose vite perse in mare, si aggiunge quello dei familiari e dei parenti che spesso cercano per mesi di avere notizie sui propri congiunti dei quali non hanno più notizie, che talvolta risultano dispersi, o altre volte morti e seppelliti, ma in un comune diverso da quello dello sbarco, senza che esista un'autorità o almeno un database al quale i congiunti possano avere accesso per avere informazioni o almeno denunciare la scomparsa di un proprio congiunto che a loro risultava imbarcato;
   la possibile costituzione di un database ufficiale, anche in collaborazione con le organizzazioni non governative già da tempo impegnate nella raccolta di questi dati, in grado di raccogliere i nominativi, l'età, la provenienza e l'eventuale luogo di sepoltura delle persone che risultano morte o disperse sembra essere, dunque, un doveroso atto di civiltà nei confronti di quanti sono morti nel tentativo di fuggire ad una guerra o semplicemente per avere una speranza di vita migliore –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuna la costituzione in tempi brevi di un database ufficiale, gestito dal Governo, anche avvalendosi della collaborazione delle organizzazioni non governative da tempo impegnate sulla raccolta di questi dati, per avere informazioni il più possibile aggiornate ed esaustive non solo sul numero ma anche sull'identità delle persone morte nel Mediterraneo o che risultino disperse, anche per facilitare la dolorosa ricerca dei propri congiunti. (3-01045)


   FEDRIGA, MOLTENI, MATTEO BRAGANTINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Governo italiano ha autorizzato la missione e umanitaria denominata Mare nostrum, che dal 18 ottobre 2013 è tuttora in corso;
   alla presentazione della missione e delle sue finalità, il Ministro interrogato allora spiegò che «la somma del pattugliamento e dell'azione della polizia giudiziaria e della magistratura avrà un effetto deterrente molto significativo per chi pensa impunemente di fare traffico di esseri umani», ma soprattutto, come più volte affermato dallo stesso Ministro, l'obiettivo principale era quello di evitare altri naufragi, dopo quello avvenuto il 3 ottobre 2013 al largo di Lampedusa, e ulteriori vittime;
   dopo quasi un anno è di tutta evidenza che la missione Mare nostrum ha fallito entrambi gli obiettivi, per cui è stata ideata e resa operativa, sia con riguardo all'effetto deterrente sia con riguardo a quello più volte dichiarato di evitare altre stragi in mare;
   in particolare, sono i numeri (circa 125.876 arrivi attraverso il Mediterraneo dall'inizio del 2014) a dimostrare che l'operazione Mare nostrum, anziché avere «un effetto deterrente molto significativo», ha invece incentivato le partenze dalle coste, soprattutto libiche ed egiziane, e ha consentito ai trafficanti di esseri umani di ottenere sempre maggiori introiti;
   è notorio, come riportato in diverse occasioni sui quotidiani, che la consapevolezza e la certezza che le imbarcazioni siano avvistate già in prossimità delle coste di partenza ha indotto i trafficanti di esseri umani ad utilizzare mezzi di trasporto, barconi o gommoni, sempre più fatiscenti, e ciò ha aumentato notevolmente i rischi delle traversate via mare;
   è notorio, altresì, come riportato da diverse agenzie, che i naufragi e le morti in mare non si sono assolutamente arrestate dopo il varo della missione Mare nostrum: solo nel 2014 si stima siano annegate o scomparse nel Mediterraneo 2.600 persone nel tentativo di arrivare in Italia;
   secondo una recente inchiesta pubblicata su L'Espresso, secondo una stima del 50 per cento in più rispetto ai dati ufficiali, dal 2000 al 2013 sono morti circa 23 mila migranti nel tentativo di raggiungere l'Europa via mare o via terra (in media 1.600 l'anno), dal database «Migrants files» emerge chiaramente come una delle tratte più pericolose sia quella che coinvolge le acque del Mediterraneo tra l'Africa e il Sud Italia e che tra il 2000 e il 2013, ossia in 13 anni, sarebbero 6.400 i morti nel tentativo di raggiungere Lampedusa (quasi 8.000 se si allarga lo spettro all'intero Canale di Sicilia);
   anche a voler considerare il dato più alto, ossia 8.000 morti nei 13 anni considerati, risulta una media di 615 decessi all'anno, di gran lunga inferiore alle stime riferite ad oggi e al solo 2014, ossia 2.600 persone annegate o scomparse nel Mediterraneo;
   solo ieri un gommone è naufragato a 30 miglia dalla costa libica orientale e i morti e i dispersi sarebbero 40;
   secondo quanto riportato anche da diversi quotidiani, pare che l'Unione europea da sempre abbia sostenuto che Mare nostrum rappresentava un «fattore di attrazione», con il conseguente rischio «di un maggior numero di incidenti mortali», e che abbia consigliato all'Italia più volte di annunciare l'imminente fine dell'operazione in modo da scoraggiare ulteriori partenze –:
   quanti siano gli immigrati arrivati sul territorio italiano, quante siano state invece le vittime dall'inizio dell'operazione Mare nostrum, quante fossero prima dell'inizio dell'operazione e se il Ministro interrogato consideri ancora l'operazione Mare nostrum un «deterrente molto significativo per chi pensa impunemente di fare traffico di esseri umani», e non invece un incentivo alle partenze, che aumenta i rischi delle traversate e accresce il numero dei naufragi e delle morti in mare, e pertanto debba essere immediatamente fermata. (3-01046)


   DORINA BIANCHI, SCOPELLITI, SAMMARCO e PISO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel recente videomessaggio diffuso dall'Isis si parla chiaramente di Roma e dell'Italia intera come obiettivi dell'offensiva islamista;
   notizie di stampa riportano di una riunione convocata dal Ministro interrogato nel pomeriggio del 22 settembre 2014 con i vertici degli apparati di sicurezza per verificare ulteriormente il livello della minaccia e della capacità di risposta dei dispositivi di vigilanza;
   l'informativa al Parlamento del 9 settembre 2014 del Ministro interrogato ha già offerto un quadro completo ed esauriente sia sul piano dell'analisi che delle iniziative poste in essere dal Governo con riguardo al terrorismo internazionale di matrice religiosa e, in particolare, alla minaccia jihadista;
   le azioni militari iniziate in Siria contro l'Is costituiscono un passaggio importante dell'impegno internazionale per combattere il terrorismo –:
   quali ulteriori iniziative intenda porre in essere per garantire la sicurezza del nostro Paese, anche in considerazione della costante evoluzione della minaccia jihadista e della situazione internazionale.
(3-01047)


   BRUNETTA e GALATI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo la firma apposta sul decreto n. 91 del 15 settembre 2014 di indizione dei comizi elettorali da parte del presidente facente funzioni della regione Calabria, Antonella Stasi, sono state ufficializzate le elezioni per il rinnovo del presidente della giunta e del consiglio regionale della Calabria. La data scelta è quella del 23 novembre 2014, che va ad aggiungersi al turno elettorale straordinario precedentemente fissato per domenica 26 ottobre 2014, con eventuale turno di ballottaggio previsto per domenica 9 novembre 2014, che interessa il rinnovo del sindaco e del consiglio comunale di Reggio Calabria, città metropolitana;
   a tal proposito parrebbe scelta assai decorosa e sensata quella di accorpare in un unico turno elettorale, salvo turno di ballottaggio, le elezioni regionali e quelle amministrative. Tale evenienza andrebbe incontro alla necessità dello Stato di perseguire il controllo e la riduzione della spesa pubblica, soprattutto in un momento come quello attuale in cui il Governo predica il rigore e il risparmio con le conseguenti azioni della spending review che implicano «sacrifici» in molti settori;
   l'istituzione dell’election day permetterebbe un notevole risparmio per le casse dello Stato e favorirebbe anche la partecipazione democratica, evitando, in un momento di disaffezione politica, che si ricorra più volte alle urne nell'arco di un mese;
   accorpare in un'unica data entrambi gli appuntamenti elettorali previsti consentirebbe, inoltre, un'ottimizzazione dell'utilizzo degli edifici scolastici che in molti casi sono adibiti a seggio elettorale, evitando così una sospensione prolungata delle lezioni;
   è essenziale, dunque, per ragioni di risparmio di risorse finanziarie e umane e di chiarezza della vita democratica che si promulghi l’election day, agevolando e facilitando il percorso democratico del ricorso al voto popolare per tutti i cittadini calabresi –:
   se il Governo non ritenga opportuno stabilire che – nell'ottica del necessario contenimento della spesa pubblica e del rispetto del principio dell’election day – le prossime elezioni amministrative per il rinnovo del sindaco e del consiglio del comune di Reggio Calabria si svolgano contestualmente alle elezioni regionali fissate per il giorno 23 novembre 2014, favorendo un principio di sana partecipazione democratica per tutti i cittadini calabresi. (3-01048)


   LA RUSSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che la vicepresidente del comitato di zona 8 di Milano, Antonella Loconsolo, ha scritto all'assessore alla sicurezza e coesione sociale, polizia locale, protezione civile, volontariato dello stesso comune, Marco Granelli, esponente del Partito democratico, per denunciare il posizionamento di uno striscione con la scritta «non siete in grado di garantire la sicurezza nel nostro Paese, figuriamoci se riuscirete a riportare i nostri marò a casa»;
   la segnalazione sostiene incredibilmente che il posizionamento dello striscione non è estraneo al gestore di un locale in Via Brusuglio, il bar «Cipe», e che secondo un ovviamente anonimo cittadino il bar sarebbe, guarda un po’, un covo di fascisti e addirittura nazisti;
   a seguito di tale informazione anonima, al proprietario del bar è stata elevata una contravvenzione per l'affissione dello striscione, sulla sola scorta del fatto che una parte di esso – che attraversava la strada – era legato alla parete esteriore della casa ove insiste il locale, che è, peraltro, l'unico locale italiano superstite in una zona occupata da immigrati sia regolari sia clandestini;
   a quanto risulta all'interrogante il locale è stato poi quotidianamente fatto oggetto di viste da parte della polizia annonaria, della digos, dell'azienda sanitaria locale e quant'altro, con il chiaro scopo di indurlo a chiudere per l'evidente colpa di avere manifestato ripetutamente ai verbalizzanti la sua solidarietà ai marò e accordo con il testo dello striscione;
   negli ultimi tempi il proprietario del bar ha ricevuto ripetute minacce alla sua personale incolumità fisica e all'integrità del locale –:
   se non intenda accertare, per quanto di competenza, quali siano i fatti e verificare se e chi abbia dato l'ordine di eseguire assillanti verifiche nei confronti del titolare del bar di cui in premessa, se ciò corrisponda ad un orientamento di carattere generale e come intenda operare affinché sia garantita all'interessato la libertà di esercitare la propria attività.
(3-01049)

Interrogazione a risposta orale:


   CAUSIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il distaccamento dei vigili del fuoco di Marghera — Porto Marghera, chiuso temporaneamente tre anni fa per ristrutturazione, è tuttora non operativo nonostante le numerose sollecitazioni da parte di comune e municipalità;
   prima della chiusura per ristrutturazione dello stabile il distaccamento dei vigili del fuoco di Marghera, sito in via del Commercio, effettuava circa 1400 interventi all'anno; tale distaccamento garantiva la sicurezza di una zona ad alto rischio quale il polo industriale di Venezia, fornendo rapidità di intervento sia al tessuto urbano di Marghera e Mestre Sud sia al vicino porto;
   al distaccamento di via del Commercio erano assegnati, prima del trasferimento per la ristrutturazione dell'edificio, 28 unità (7 unità per turno);
   il territorio di Marghera presenta caratteristiche uniche sotto il profilo della sicurezza essendo in esso insediati il polo chimico, il polo industriale, uno dei porti merci più grandi del Mediterraneo, un'importante stazione ferroviaria e un quartiere urbano di circa 30.000 abitanti;
   il distaccamento di via del Commercio garantiva la sicurezza di una zona ad alto rischio fornendo rapidità di intervento sia al tessuto urbano di Marghera e Mestre Sud sia al vicino polo industriale;
   dagli articoli pubblicati sulla stampa locale si apprende che la riapertura del distaccamento con le stesse funzioni e con gli stessi uomini precedentemente assegnati non è per nulla scontata;
   non pare scontata nemmeno la destinazione dell'immobile appena ristrutturato di via del Commercio a distaccamento operativo;
   sono emerse ipotesi di destinazione dell'immobile differenti da quella precedentemente svolta, tra queste un centro di formazione o base per il nucleo sommozzatori;
   a detta del comandante provinciale dei vigili del fuoco la decisione finale sulla destinazione dell'immobile spetta all'amministrazione del Ministero dell'interno e al dipartimento dei vigili del fuoco;
   il Ministero dovrà prendere perlomeno in considerazione gli indirizzi provenienti dalle strutture periferiche dei vigili del fuoco; tali indirizzi ad oggi non risultano chiari –:
   se non ritenga opportuno fare una verifica puntuale su quali siano gli indirizzi e le richieste del comando provinciale di vigili del fuoco in merito alla destinazione dell'immobile di via del Commercio, al fine di definire la riapertura dell'immobile con destinazione operativa al servizio tecnico urgente della zona industriale, nonché al soccorso di persone e alla salvaguardia di beni del tessuto urbano della città di Marghera e non, come potrebbe accadere, con destinazioni diverse quali, a titolo esemplificativo, centro di formazione o base sommozzatori.
(3-01039)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze per sapere – premesso che:
   il nove settembre 2014, L'OCSE ha diffuso il dossier «Uno sguardo sull'istruzione 2014»;
   il rapporto dell'OCSE intitolato education at a glance: OECD indicators è una fonte autorevole d'informazioni accurate e pertinenti sullo stato dell'istruzione nel mondo. Il rapporto presenta dati sulla struttura, le finanze e i risultati dei sistemi d'istruzione di 34 Paesi membri dell'OCSE e di un certo numero di Paesi G20 e partner dell'OCSE;
   in tale rapporto si forniscono i dati sulla qualità dell'istruzione di base e il dato incontrovertibile della diminuzione della spesa pubblica per l'istruzione, in parte compensata da finanziamenti privati, infatti, se la diminuzione della spesa pubblica non fosse stata parzialmente compensata dal finanziamento privato, la diminuzione delle risorse disponibili per le istituzioni del sistema d'istruzione sarebbe stata ancora più importante;
   tra i 34 Paesi esaminati con dati disponibili, l'Italia è il solo Paese che registra una diminuzione della spesa pubblica per le istituzioni scolastici tra il 2000 e il 2001, ed è il Paese con la riduzione più marcata (5 per cento) del volume degli investimenti pubblici nel periodo considerato;
   in seguito si scopre che l'Italia ha realizzato risparmi nei costi salariali principalmente con l'aumento del numero di studenti per docente, infatti non sono stati compensati i pensionamenti con nuove assunzioni, e nello stesso tempo, il salario medio degli insegnanti della scuola primaria e secondaria inferiore è diminuito (in termini reali) del 2 per cento tra il 2008 e il 2012;
   la retribuzione degli insegnanti italiani che si lega a doppio filo al peso sociale del loro ruolo e alla qualità dell'insegnamento è un indicatore che viene valutato dal rapporto OCSE e dal rapporto di Eurydice, l'unita italiana che opera nell'ambito della rete europea di informazione sull'istruzione su incarico della direzione generale per gli affari internazionali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, presso INDIRE ed oltre a svolgere l'attività della rete, reperendo, a livello nazionale, le informazioni e la documentazione relative agli argomenti trattati a livello europeo, ha come compito principale quello di fornire risposte elaborate e complete ai decisori politici sui processi di riforma e di innovazione presenti negli altri sistemi educativi europei, a supporto delle decisioni di politica nazionale;
   nel nostro Paese, secondo le indicazioni di Eurydice, il salario medio annuo della secondaria di II grado (in quelle di Io grado cala lievemente) si posiziona a quota 30.431 euro, con un livello massimo di 34.867 (partendo da un minimo di 23.048) e gli stipendi massimi vengono raggiunti solo dopo 34 anni di anzianità; per quanto riguarda la Francia, il livello minimo della secondaria parte da 28.666, per arrivare fino a 47.610 per il secondario superiore;
   se si guarda lo stipendio annuo lordo di un insegnante di scuola media superiore (in generale la categoria meglio retribuita rispetto ai colleghi maestri o professori) balza subito agli occhi una duplice considerazione: se la soglia minima di un professore italiano è discreta (24.846 euro) il problema sta tuttavia nel confronto con i Paesi chiave europei e proprio con l'avanzamento di carriera;
   il massimo che può guadagnare a un insegnante italiano è infatti poco al di sotto dei 39mila euro mentre un omologo tedesco parte da oltre 48 mila euro di stipendio, uno spagnolo da 31 mila e uno belga da quasi 38 mila;
   negli intendimenti del Governo Renzi si assiste ad ulteriori possibili tagli agli stipendi dei docenti, infatti, un articolo apparso su orizzonte scuola titola quanto segue: «Riforma scuola. Merito secondo Renzi: tagli agli stipendi da 26 a 45 euro mese, 72 per i nuovi docenti»;
   analizzando, poi la presentazione di «la buona scuola» si scopre che gli scatti stipendiali saranno sostituiti dall'introduzione di crediti (per meriti didattici, titoli e incarichi); con tale sistema si taglia a tutti per permettere solo ad alcuni (al 66 per cento dei docenti di conseguenza) di percepire gli aumenti a danno di professori «meno meritevoli»; il principio è semplice: poiché la riforma prevede che solo i due terzi dei docenti potranno percepire uno scatto stipendiale, significa che ogni tre tornate Mediamente vengono percepiti solo 2 scatti;
   il sistema perfetto, che permetterebbe a tutti i docenti «meritevoli» di scattare fino al raggiungimento dei famosi 9 mila euro in più di stipendio annui, vorrebbe il 66 per cento di docenti costantemente meritevole e il 34 per cento costantemente «non meritevole» e quindi è una prospettiva solo ipotetica e non necessariamente realistica;
   un altro articolo della professoressa Eliana Vianello, ha sottolineato che se il docente perde il primo scatto, il risparmio sarebbe di ben 45 euro mensili, per un totale di 351 milioni;
   nel documento La buona Scuola approvato dal CdM in data 3 settembre 2014 a pagina 55 si legge che «non saranno attribuiti scatti negli anni 2015 – 2018», pertanto, da fonti sindacali si apprende che il blocco degli scatti di anzianità comporterebbe un risparmio per l'erario di circa 340 milioni l'anno;
   il dato di progressione degli scatti netti nel nuovo sistema previsto nel succitato documento «la buona scuola» prevede solo il 66 per cento di percettori tra i docenti della scuola, comportando di fatto un taglio strutturale al reddito complessivo della classe docente, incidendo oltremodo sulla capacità di spesa delle rispettive famiglie –:
   se i Ministri interpellati non ritengano indispensabile intervenire affinché gli stipendi dei docenti italiani siano equiparati a quelli della media europea, come dai dati citati in premessa;
   quali siano i risparmi che i Ministri prevedano di ottenere con il passaggio dagli scatti stipendiali di anzianità automatici a quelli legati alla progressione su crediti (per meriti didattici, titoli e incarichi);
   se i Ministri interpellati non intendano fornire una stima relativa all'ammontare del taglio previsto per il prossimo triennio riferito agli scatti al lordo delle contribuzioni previste dalla legge;
   se i Ministri interpellati non intendano precisare l'ammontare del taglio complessivo derivante dal nuovo sistema di scatti ipotizzato per il solo 66 per cento dei docenti al reddito medio pro-capite.
(2-00686) «Luigi Gallo, Brescia, Marzana, D'Uva, Di Benedetto, Vacca, Simone Valente, Battelli, Currò, Chimienti, Villarosa».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in migliaia hanno partecipato alla prova di selezione per l'accesso ai corsi regionali di formazione specifica di medicina generale, che si è tenuta il 17 settembre 2014. Ma non tutto è andato per il meglio;
   il segretario nazionale della Fimmg, Giacomo Milillo, in merito ad alcune notizie apparse sulla stampa su presunte irregolarità durante i test di ammissione che si sono svolti nei giorni scorsi, sul concorso di ammissione al corso di formazione in medicina generale, ha invitato chi ne ha le prove ad esporle alla procura della Repubblica;
   in realtà dal Segretariato Italiano Giovani Medici (S.I.G.M.) sono arrivate numerose e documentate lettere di protesta da parte di coloro che hanno partecipato al concorso che si è svolto il 17 settembre scorso;
   è evidente che vi è stata una grave e diffusa sottovalutazione dell'aumentato numero dei candidati, rispetto ai precedenti anni, per cui sono state predisposte aule a malapena sufficienti ad ospitare i candidati, che si sono visti costretti a svolgere le prove gomito a gomito, con la impossibilità di conservare un minimo di discrezione e di privacy;
   gravi carenze organizzative sono state all'origine di evidenti criticità gestionali; non c’è stata adeguata sorveglianza, per cui è mancata la verifica del possesso di smartphone, tablet; le borse dei candidati non sono state depositate fuori dalle aule; sono stati denunciati tempi dilatati nell'espletamento delle procedure di riconoscimento dei candidati; particolarmente pesante lo sforamento dei tempi per la consegna delle prove a quiz; frequente la concessione del permesso di uscire e rientrare durante lo svolgimento delle prove; il tutto contravvenendo a quanto previsto dai bandi;
   si sono messe in evidenza gravi lacune del sistema di selezione con la mancata separazione tra la busta contenente l'anagrafica del candidato e l'elaborato; non c’è stato l'utilizzo di codice a barre per preservare l'anonimato dei candidati; è mancata la previsione di correzioni a porte chiuse in presenza di una adeguata rappresentanza dei candidati ma è mancato anche l'affidamento delle correzioni ad enti terzi;
   sono mancate le condizioni ambientali, organizzative e gestionali minimali per lo svolgimento di un pubblico concorso, sono tutti elementi che offrono molte perplessità sulle attuali modalità di selezione degli aspiranti medici di medicina generale; così come sono state strutturate le prove lasciano presagire possibili ricorsi al TAR e possono essere considerate come un indicatore indiretto della scarsa attenzione nei confronti della formazione specifica di medicina generale, da anni oggetto di segnalazioni da parte dei giovani medici;
   non si può sminuire o negare la gravità di quanto avvenuto durante le prove, per di più nelle ultime ore, si assiste ad una strategia che cerca di intimorire le centinaia di giovani medici che hanno fatto segnalazioni dei disservizi che si sono verificati; si rimprovera loro di non aver denunciato in tempo reale le criticità e di non aver chiamato le forze dell'ordine durante le prove stesse;
   tutto ciò desta non poche preoccupazione anche in vista delle prossime prove di ammissione alle scuole di specializzazione che avverranno tra il 28 e il 31 ottobre; soprattutto per quella del 28 in cui si svolgerà la parte comune a tutte le scuole di specializzazione, per cui l'afflusso sarà massimo;
   secondo il segretario nazionale della Fimmg il concorso per l'accesso al corso di formazione in medicina generale, dovrebbe essere effettuato contemporaneamente a quello per l'accesso alle scuole di specializzazione;
   sarebbe opportuno ad avviso dell'interrogante congelare le correzioni delle prove e la pubblicazione delle graduatorie di merito dei corsi regionali di formazione specifica di medicina generale in attesa che venga fatta chiarezza su quanto hanno fatto emergere centinaia di candidati in tutto il Paese –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, anche in sede di Conferenza Stato-regioni, il Ministro intenda assumere perché questi gravi inconvenienti non si verifichino durante le prossime selezioni del 28 ottobre 2014. (5-03625)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARZANA, LUIGI GALLO, BATTELLI, SIMONE VALENTE, BRESCIA, D'UVA, VACCA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sin dagli inizi dell'anno 2000 si è diffusa e poi sempre più consolidata una politica di «esternalizzazione» dei servizi nella pubblica amministrazione;
   in particolare, per quanto riguarda le istituzioni scolastiche, tale politica si è basata sulle convenzioni stipulate con la Consip: tuttavia tali convenzioni che avrebbero dovuto garantire qualità del servizio erogato, affidabilità e risparmio, in realtà hanno presentato notevoli criticità sia sul versante occupazionale del personale delle imprese di pulizia (ex LSU ed appartenenti ai cosiddetti appalti storici), sia sulla qualità dei servizi di pulizia delle scuole interessate, sia sotto il profilo dei costi per il bilancio dello Stato;
   tra l'altro, negli ultimi anni i fondi per garantire la stipula di tali convenzioni sono passati da oltre 550 milioni a 390 milioni di euro; questa riduzione ha pesantemente inciso sul reddito già esiguo dei circa 24.000 lavoratrici e lavoratori ex lsu e cosiddetti appalti storici oggi occupati in queste realtà, tra l'altro si è già dovuto ricorrere in modo sostanzioso al loro sostegno attraverso l'attivazione di ammortizzatori sociali;
   con la legge di stabilità 2014, all'articolo 1, comma 748, si sono prorogati al 28 febbraio 2014 la conclusione dei contratti delle ditte esterne che si occupano di pulizie presso la scuola pubblica; lo stesso comma ha previsto l'attivazione di un tavolo interministeriale tra i dicasteri competenti;
   il 28 febbraio 2014 è scaduta la proroga prevista dalla legge di stabilità 2014 per i servizi di pulizia in appalto cosicché, con decreto-legge n. 16 del 6 marzo 2014, il Governo ha poi disposto per le regioni in cui è attiva la convenzione Consip per i servizi di pulizia e ausiliari l'incremento del limite di spesa di cui all'articolo 68, comma 5, del decreto-legge n. 69 del 2013, per l'acquisto di ulteriori servizi per il mese di marzo;
   per i territori, Campania e Sicilia, ove la convenzione non è attiva ha disposto l'acquisto di detti servizi per il mese di marzo 2014 mediante ricorso all'impresa che li ha svolti precedentemente alle medesime condizioni economiche e tecniche;
   successivamente, il 28 marzo 2014 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, divisione VII, alla presenza del Capo di Gabinetto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti è stato sottoscritto un accordo interministeriale con le organizzazioni sindacali (CGIL, CISL UIL, unitamente alle organizzazioni sindacali di categoria) in relazione alle problematiche occupazionali relative agli appalti di pulizia nelle scuole;
   in questo accordo veniva garantito ai lavoratori e lavoratrici ex-LSU e appartenenti ai cosiddetti appalti storici, addetti allo svolgimento dei servizi di pulizia nelle scuole, la continuità occupazionale e reddituale, con lo stanziamento da parte del Governo di 450 milioni di euro per le attività di manutenzione e di decoro di oltre 4500 edifici scolastici su tutto il territorio nazionale;
   nel suddetto accordo, inoltre, si demandava al Ministro dell'istruzione, università e ricerca l'individuazione con procedure certe degli istituti scolastici capofila per l'acquisto di nuovi servizi di pulizia e manutenzione a decorrere dal 1o luglio 2014 per un importo complessivo di 150 milioni di euro per l'anno 2014 e di 300 milioni per l'anno successivo ed i primi mesi del 2016 e si impegnava il Ministero del lavoro e delle politiche sociali all'attivazione di percorsi di formazione e di riqualificazione professionale;
   in questi mesi la CONSIP ha provveduto all'aggiudicazione degli appalti per garantire la continuità dei servizi di pulizia e manutenzione, fatta eccezione per le regioni Sicilia e Campania dove si è chiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri di procedere con apposito decreto legge;
   in data 6 giugno 2014, presso la sede del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, si è tenuto il secondo programmato incontro previsto dall'accordo del 28 marzo 2014 in merito alle problematiche occupazionali relative agli appalti di pulizia nelle scuole ed agli interventi per il mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili sedi delle istituzioni scolastiche. Presenti, tra gli altri, il Sottosegretario Roberto Reggi e il dottore Paolo Onelli, i soggetti aggiudicatari dei lotti della convenzione-quadro Consip e le varie sigle sindacali di categoria durante il quale si è proceduto a definire la distribuzione delle risorse, ad avviarne il monitoraggio con il coinvolgimento dei vari uffici scolastici regionali e per le regioni Campania e Sicilia in attuazione al teso coordinato del decreto legge n. 58 del 7 aprile 2014 pubblicato sulla gazzetta ufficiale il 7 giugno 2014 si è proceduto ad una ulteriore proroga, così come disposto: «(...) nelle regioni ove non è ancora attiva la convenzione-quadro Consip per l'affidamento dei servizi di pulizia e altri servizi ausiliari, dal 1° aprile 2014 e comunque fino a non oltre il 31 dicembre 2014, le istituzioni scolastiche ed educative provvedono all'acquisto dei servizi di pulizia ed ausiliari dei medesimi raggruppamenti e imprese che li assicurano alla data del 31 marzo 2014»;
   ebbene, nonostante i provvedimenti di legge e gli accordi in sede governativa, diversi ordinativi per lo svolgimento delle attività finalizzate al ripristino del decoro e della funzionalità degli immobili adibiti ad edifici scolastici non sono giunti alle aziende appaltatrici di tali servizi; conseguentemente, preso atto della sospensione dei servizi di pulizia e in assenza di ordinativi finalizzati a tali servizi, molti lavoratori sono stati esonerati dal prestare l'attività lavorativa;
   si stanno determinando le condizioni per l'avvio delle procedure di licenziamento collettivo, da parte delle imprese che gestiscono attualmente i servizi, fin dai primissimi giorni di luglio 2014; mentre in altri casi, i tagli stanno determinando decurtazioni di ore e salari con lo scivolamento dei lavoratori sotto la soglia di povertà;
   non tutti i dirigenti scolastici hanno sottoscritto i contratti di servizio con l'azienda appaltatrice, mentre il ruolo degli uffici scolastici regionali, individuati come i soggetti incaricati a sensibilizzare e sollecitare i dirigenti scolastici al fine di velocizzare le procedure di sottoscrizione dei suddetti contratti con l'azienda appaltatrice, si è rivelato, visti i risultati, poco incisivo;
   tali scelte organizzative rappresentano un peso davvero eccessivo per dei lavoratori che, è bene ribadirlo, a fronte di un salario già misero, in molti casi unica fonte di reddito familiare, sono addirittura costretti a rimanere a casa a causa del mancato attivismo dei dirigenti scolastici –:
   se il Ministro dell'istruzione, università e ricerca abbia proceduto con l'individuazione degli istituti scolastici capofila per l'acquisto di nuovi servizi di pulizia e manutenzione e se non ritenga di dare pubblicità all'elenco;
   quali iniziative il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca intenda assumere al fine di velocizzare le procedure di sottoscrizione dei contratti con l'azienda appaltatrice da parte dei dirigenti scolastici così da garantire la continuità occupazionale e la tenuta del reddito dei lavoratori occupati;
   quali iniziative il Ministro del lavoro e delle politiche sociali intenda assumere al fine di garantire l'effettiva attuazione dell'accordo nella parte che riguarda l'impegno per la formazione professionale e l'utilizzo produttivo dei lavoratori;
   se si intenda gradualmente eliminare il ricorso alle esternalizzazioni puntando al contrario all'internalizzazione dei servizi di pulizia degli istituti scolastici pubblici. (4-06106)


   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   alla ripresa di ogni anno scolastico puntualmente si ripropone il problema della graduatorie per le cattedre e degli insegnanti precari alla continua ricerca di una stabile collocazione;
   fino al 2007 ci si poteva spostare a piacimento chiedendo l'inserimento in una graduatoria per l'insegnamento di una materia in una determinata provincia a propria scelta, sulla base del rispettivo punteggio derivante da vari fattori: anzianità di permanenza in graduatoria, titoli, corsi di aggiornamento e altro;
   la «finanziaria Prodi», sulla base di un «disegno di legge Fioroni», trasformò le graduatorie da permanenti ad esaurimento, per cui la provincia scelta nell'aggiornamento del 2007, diventava l'ultima;
   dopo i tagli alla scuola effettuati con il decreto-legge n. 112 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 (manovra del 2008), in occasione dell'aggiornamento biennale della graduatoria fatto nel 2009, il Governo – poiché esistevano territori con un forte esubero di posti e ad altri invece con scarse se non assenti disponibilità-consentiva, ferma restando la provincia di precedente inclusione, di entrare, in coda, nella graduatoria di altre tre province a scelta;
   in seguito a ciò si ebbero oltre 8 mila ricorsi di docenti che, ritenendo l'inclusione «in coda» alla graduatoria invece che «a pettine» (cioè in base al proprio punteggio) illegittima, si rivolsero alla Corte Costituzionale la quale riconobbe sì l'incostituzionalità del provvedimento di inclusione in coda, ma riconobbe anche l'incostituzionalità dell'inclusione contemporanea nella graduatoria di più di una provincia;
   oggi, si è di fronte ad un nuovo aggiornamento biennale e viste le molteplici decisioni giurisprudenziali, si prospetta l'inclusione in una sola provincia a scelta del docente, ma con la metodologia cosiddetta «a pettine»;
   è fatto notorio che al Sud ci sia maggiore elasticità nelle valutazioni alla fine dei corsi di aggiornamento professionale che fanno punteggio nelle graduatorie ad esaurimento ed è per questo che molti insegnanti del Sud riescono a scalzare, verso il basso, i loro colleghi del Nord, vanificando ogni speranza di ottenere una cattedra nella proprio provincia;
   con la riapertura delle graduatorie, visto che ogni docente ha potuto nuovamente scegliere di spostare la propria sede di insegnamento da una provincia all'altra, si sta verificando lo spostamento in massa degli insegnanti dal Sud al Nord, dal momento che nelle province del Nord la disponibilità di posti per l'insegnamento di alcune materie – soprattutto per lettere e scienze matematiche alle scuole medie – è maggiore che in quelle del Sud. Dunque chi arriva da altre province sta di fatto scalzando chi da anni ha avuto un incarico annuale con una certa continuità, anche se precario, che ha determinato ovviamente un'aspettativa di vita; in tanti, infatti, si sono creati una famiglia e hanno comprato una casa, magari accendendo un mutuo;
   da un'analisi dei flussi migratori più intensi, effettuata da un noto sito internet del settore, le province più ambite sono le grandi città come Roma, Milano, Firenze, Torino sempre in testa, ma sono ben rappresentate anche le province piccole e medie come Prato, Pistoia, Novara, Verona, Gorizia. La tendenza è a trasferirsi in centri grandi come Roma o Milano o più piccoli, purché satelliti di città grandi, come Mantova per il maggior numero di scuole e per la presenza di nodi ferroviari, autostradali o aerei che agevolano il collegamento con le aree di provenienza;
   in un recente articolo pubblicato da La Stampa di Torino si fotografa la paradossale situazione del capoluogo piemontese dove temono che molti insegnanti ricorreranno all'aspettativa non retribuita per un anno, una volta ottenuto il posto, alla fruizione dei congedi parentali non ancora utilizzati, alle agevolazioni della legge n. 104 (familiari malati e disabili), alla certificazione di gravidanze a rischio, per poi «fuggire» una volta superati i 180 giorni del periodo di prova. Con la conseguenza che una significativa percentuale di posti, costati un gran lavoro agli uffici dell'amministrazione scolastica per essere assegnati entro il 1o settembre e consentire ai docenti la «decorrenza giuridica ed economica» dell'assunzione, non si traduca in efficienza per la scuola torinese che si vedrà costretta a ricorrere alle supplenze, a tutto svantaggio della continuità didattica e quindi degli alunni;
   a Milano, c’è lo stesso problema; soprattutto nella scuola primaria, stanno «fioccando» le richieste di malattia o per l'assistenza di un parente disabile; i 174 posti disponibili sono stati coperti da docenti provenienti da fuori provincia, tanto che l'ufficio scolastico provinciale ha avviato i controlli per verificare i punteggi degli immessi in ruolo. Sono enormi le difficoltà e la corsa contro il tempo prima dell'apertura dei cancelli delle scuole, per predisporre le supplenze e colmare le carenze di organico generate da questo meccanismo perverso di reclutamento degli insegnanti –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative nell'immediato per prevedere l'obbligo per le istituzioni scolastiche di reclutare i supplenti per il corrente anno scolastico utilizzando le graduatorie in essere, escludendo però chi ha inserito la propria posizione nelle medesime successivamente al mese di giugno del 2013;
   visto che è ormai tramontata la possibilità di rinviare di un anno l'aggiornamento delle graduatorie congelando quelle esistenti, se intenda assumere iniziative per stabilire un nuovo metodo di reclutamento – a tal proposito esiste da tempo un validissima soluzione proposta già la scorsa legislatura dalla Lega Nord – volto a sostituire l'attuale sistema di graduatorie con degli elenchi regionali, stilati regione per regione, tramite concorso e senza possibilità, pena la perdita del punteggio accumulato, di spostarsi da una regione all'altra prevedendo che gli aspiranti docenti possano iscriversi ad un solo elenco regionale;
   visto che le leggi di tutela vanno rispettate, ma non deve esserci abuso, se non intenda, attraverso gli appositi uffici, verificare quanti docenti «migranti» saranno effettivamente in servizio;
   se non intenda al più presto effettuare una verifica sui punteggi, soprattutto quei punteggi alti che hanno sconvolto i destini di molte persone;
   se non ritenga necessario reintrodurre il vincolo di permanenza in servizio sul territorio scelto per almeno 5 anni, tradotto in legge nel 2011 dal Governo Berlusconi e poi cancellato nel 2013 dal Governo Letta con il «decreto scuola» che ha ripristinato il vincolo di permanenza a tre anni precedentemente previsto dalla normativa, ferma restando l'esclusione di vincoli di permanenza nel caso in cui il docente possa avvalersi della legge n. 104 del 1992 per l'assistenza a familiari disabili, cosa che non è animata dall'intento di schierare gli insegnanti del Nord contro quelli del Sud, o di fare la guerra tra poveri, ma semplicemente di rispettare chi ha scelto di lavorare in forma stabile e continuativa in una determinata comunità, anche al fine di garantire agli studenti una corretta continuità didattica, che diversamente sarebbe negata, e di tenere conto che sono in ballo migliaia di posti di lavoro nonché la dignità di tanti bravi insegnanti che, anno dopo anno, attendono di vedere stabilizzato il proprio posto di lavoro. (4-06108)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   alla scuola materna «Don Mazzi» di Cogozzo/Cicognara, frazione del comune di Viadana, in provincia di Mantova, per l'anno scolastico 2014-2015 è stata formata una intera classe con soli alunni stranieri: 25 in tutto e al 99 per cento di lingua madre indiana (punjabi e urdu);
   la classe di soli indiani, a quanto si è appreso, si è formata per caso. Ad ogni genitore, infatti, era stato chiesto di scegliere tra l'orario mattutino e quello pomeridiano. I genitori italiani hanno optato per l'orario che finisce nel pomeriggio, mentre le famiglie indiane per quello che termina alle 11,30; infatti, a differenza delle mamme italiane, quelle indiane sono tutte casalinghe e possono andare prendere i figli e tenerli a casa per il pranzo. Così, tutti i bambini i cui genitori avevano scelto l'orario fino alle 11,30, sono stati messi insieme ed è stato costituita un'unica classe;
   nessuno all'istituto, a giudizio dell'interrogante con atteggiamento davvero irresponsabile oltre che incompetente, ha pensato a distribuire i bambini (pur se tutti con cognomi evidentemente stranieri) tra le diverse classi;
   scoperto l'accaduto sono stati gli stessi genitori indiani a scuola già iniziata, a protestare con il dirigente scolastico perché, con questa simile distribuzione, i loro figli che già parlano solo l'indiano e precisamente gli idiomi punjabi e urdu, non impareranno mai l'italiano, potendo parlare solo tra di loro e nel medesimo idioma d'origine;
   dopo le proteste delle mamme degli alunni extracomunitari, la classe è stata smembrata, dividendo i bambini in altre sezioni. Il dirigente scolastico Aldo Delpari avrebbe scorporato la classe di bimbi indiani, suddividendoli assieme ad altri bimbi stranieri, nelle altre cinque;
   se, al contrario, i genitori avessero trovato le classi già formate con la presenza di bambini italiani e di origine straniera in modo equilibrato, ci sarebbe stata un'accettazione generale. Ora, con questa situazione sarà più difficile ribaltare le posizioni senza provocare tensioni. Non tutti i genitori, infatti, sembrano d'accordo, perché il nuovo rimescolamento avrebbe causato la mancanza di un insegnante e altri disagi;
   il preside ha riassunto i motivi di una scelta così repentina, senza aver nemmeno convocare i genitori: ha avuto una chiamata mercoledì mattina dal provveditore Patrizia Graziani che gli ha ordinato di sciogliere subito la classe e di avviare il rimescolamento delle sezioni, che da cinque sono diventate sei. La segnalazione al provveditore sarebbe stata fatta dalla referente intercultura della Flc Cgil Marcella Boccia, che avrebbe denunciato la formazione una classe di 25 alunni tutti di lingua non italiana;
   i genitori italiani lamentano il fatto di non essere stati interpellati in tempo; infatti con lo scioglimento della sezione C e la creazione di una nuova classe a regime pomeridiano, alcuni bambini italiani sono stati trasferiti in altre sezioni e ad essi sono subentrati quelli stranieri, reduci dallo scorporo;
   da qui il malcontento delle famiglie, poiché bambini di tre anni che avevano da poco concluso il periodo di ambientamento sono stati allontanati dai loro neo compagni, senza alcuna precauzione;
   inoltre, la nuova sezione C si trova con una maestra in meno (una sola unità docente era stata prevista per l’ex sezione antimeridiana) e ci sono genitori che temono sulla destinazione dei figli nel dopo pranzo;
   l'atteggiamento della Boccia, accusata di stare dalla parte solo dei genitori di madrelingua punjabi e urdu e di aver sollevato il polverone mediatico, non è piaciuto ai genitori e nemmeno al dirigente scolastico, tacciati di razzismo –:
   se il Ministro sia informato dell'esistenza di situazioni del genere e quale sia il suo orientamento in merito;
   quali iniziative intenda assumere nell'immediato al fine di ovviare a questo approssimativo rimescolamento delle sezioni, dettando linee precise per una equilibrata proposta di riassetto, con soluzioni che tengano conto dell'età dei bambini e del massimo legale possibile di stranieri in ogni classe fissato al circa 30 per cento;
   quali iniziative intenda assumere nei confronti del dirigente scolastico dell'istituto, ad avviso dell'interrogante responsabile di aver distribuito in modo non conforme alla normativa gli alunni stranieri nella classe e che con il suo comportamento ha causato forti disservizi ai genitori dei bambini italiani e ripercussioni sull'equilibrio psico-fisico dei piccoli alunni. (4-06113)


   MARZANA, LUIGI GALLO, BATTELLI, SIMONE VALENTE, BRESCIA, CHIMIENTI, D'UVA, VACCA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca 25 marzo 2013, n. 81, che ha modificato il decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249, ha istituito il percorso formativo abilitante speciale (Pas) per consentire l'accesso al corso, senza superamento di prove di selezione, a docenti precari con almeno tre anni di servizio ma sprovvisti della relativa abilitazione;
   la domanda di partecipazione ai percorsi formativi speciali, a pena di esclusione, deve essere inoltrata a scelta dell'aspirante per una sola tipologia di posto o classe di concorso di cui alle tabelle A, C e D del decreto ministeriale n. 39 del 1998 e del decreto ministeriale 6 agosto del 1999, n. 201, di conseguenza, l'insegnante che ha maturato gli anni di servizio necessari ex decreto in più classi di concorso, dovrà necessariamente scegliere una sola classe di concorso;
   l'istituzione dei percorsi formativi abilitanti speciali è frutto dell'adeguamento alla normativa di derivazione comunitaria (2005/36 CE) in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali all'interno dei Paesi membri e quindi essi devono avere un carattere formativo-abilitante verso chi possiede già dei requisiti accademici e professionali;
   ciononostante, il carico di lavoro richiesto nei programmi didattici, oltre ad essere eccessivo per dei corsisti che, lo si ricorda, hanno a disposizione poco tempo perché impegnati come insegnanti, risulta essere incentrato su basi puramente nozionistiche e teoriche; in alcuni casi meri cloni di lezioni universitarie frontali e non improntate sugli scopi abilitativi e didattici e, come se non bastasse, non consone alla relativa classe di concorso come si può facilmente riscontrare per alcuni corsi percorsi formativi abilitanti speciali dell'università di Pavia;
   nel caso di specie, l'università degli studi di Pavia, ha attivato le seguenti classi di concorso: A445 (lingua straniera – spagnolo nella scuola secondaria di primo grado) e A446 (lingua e civiltà straniera – spagnolo nella scuola secondaria di secondo grado) la cui organizzazione e gestione ha ampiamente disatteso la normativa generando evidenti pregiudizi e disagi in capo ai frequentanti;
   logica vuole, infatti, che l'insegnamento di una disciplina, specie se trattasi di una lingua straniera, dovrebbe modularsi in argomenti e modalità differenti a seconda del grado di formazione ed apprendimento degli alunni con cui l'insegnante si interfaccerà;
   ebbene, l'ateneo pavese in relazione ai percorsi formativi abilitanti speciali menzionati, ad avviso degli interroganti in palese contrasto con le indicazioni del decreto legislativo n. 59 del 2004 «Indicazioni Nazionali per i piani di studio personalizzati nella scuola secondaria di primo grado», ha accorpato le due classi di concorso A445 e A446 in un unico ciclo di lezioni: in buona sostanza, tutte le lezioni hanno come destinatari entrambe le classi senza che venga fatta alcuna distinzione sia di modalità didattiche, ma soprattutto di materie di insegnamento che, come già esposto, non sono le stesse per le distinte classi di concorso, in quanto una attiene alla sola lingua spagnola (A445), l'altra (A446), poiché indirizzata agli studenti della scuola secondaria di secondo grado, riguarda anche la civiltà e letteratura, concretizzandosi in tal modo quella che agli interroganti appare una assurda ed illegittima incompatibilità;
   da una lettura dei programmi dei corsi tenuti dal professor Giuseppe Mazzocchi reperibili sul sito istituzionale dell'università di Pavia si legge testualmente: «Classe di abilitazione A445 (didattica della civiltà spagnola) Obiettivi formativi: consolidamento delle conoscenze disciplinari nell'ambito della civiltà e letteratura spagnola, (...)., Contenuto del Corso: Proposte per la didattica della civiltà e letteratura spagnola in Italia (...). Testi di riferimento: “Breve historia de la literatura espanola” (...)», si tratta, secondo gli interroganti, di una incongruenza di dubbia legittimità dal momento che lo studio della civiltà spagnola dovrebbe riguardare solo la classe A446;
   si può verificare che il programma relativo alla classe A445 stilato dal professor Mazzocchi è sorprendentemente identico a quello riferibile alla classe A446 per quanto concerne obiettivi, contenuti, modalità di verifica e testi di supporto;
   in sostanza, l'università di Pavia, forzando a giudizio degli interroganti in maniera ingiusta ed incomprensibile il dettame del decreto sui percorsi formativi abilitanti speciali, intende sottoporre anche i candidati della classe A445 a corsi di letteratura e civiltà che, di fatto, non sono oggetto dell'insegnamento della classe abilitante in parola ma, semmai, di quella della A446;
   di contro, è interessante notare come, nello stesso ateneo di Pavia e nello stesso dipartimento di lingue, siffatte incongruenze non si siano verificate. Ci si riferisce, infatti, alle classi A545 (lingue straniere – tedesco nella scuola secondaria di primo grado) e A546 (lingua e civiltà straniera – tedesco nella scuola secondaria di secondo grado). Ed infatti, contrariamente a quanto succede nella corrispondente classe di spagnolo ed in corretta attuazione con le linee ministeriali, i corsisti abilitandi per l'insegnamento nella scuola secondaria di I grado seguono corsi separati e differenti dai colleghi della A546 che, quindi, avranno tra le discipline d'esame finale anche civiltà e letteratura tedesca –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per scongiurare e rimediare a quella che agli interroganti appare una gestione distorta e di dubbia legittimità dei corsi PAS relativi alla classe di concorso di lingua spagnola, A445 e A446, posto che nella stessa università di Pavia, ma addirittura all'interno dello stesso dipartimento, i docenti responsabili per i corsi Pas di lingua tedesca hanno adottato la corretta procedura. (4-06115)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal documento della Corte dei conti, «Determinazione e relazione della Sezione del controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2012», a pagina 145 si evince che: «(...) l'istituto ha autorizzato una procedura ristretta comunitaria per la gestione amministrativa, tecnica e di supporto alla vendita, mediante selezione di un operatore cui affidare i servizi dell'intero patrimonio da reddito e in data 18 giugno 2013 il Consiglio di Stato, respingendo istanza di sospensione della società Romeo – operatore secondo in graduatoria – ha rimosso l'ostacolo alla stipula del contratto con l'aggiudicatario dei servizi, l'operatore plurisoggettivo RTI Prelios Spa, (...)»;
   da vari organi di informazione si evince che la gestione dell'enorme patrimonio immobiliare Inps – 13 mila edifici per un valore di quasi 2 miliardi – sta attraversando notevoli difficoltà tratteggiando numerose criticità a seguito degli svariati ricorsi presentati dalle varie società concorrenti alla procedura suddetta;
   come segnalato da un articolo a firma Marco Palombi dal titolo «Inps, pasticcio immobiliare appalti nulli e perdite infinite», l'appalto risulterebbe ancora bloccato e non sarebbe ancora ben chiaro chi gestisca cosa;
   dall'articolo suddetto risulta che: il 28 marzo 2011 Inps indiceva una gara volta all'affidamento dei «servizi di gestione amministrativa, tecnica e di supporto alla valorizzazione del patrimonio immobiliare da reddito dell'Inps»; la commissione aggiudicava la gara in data 30 maggio 2012 al Raggruppamento Temporaneo di Imprese Prelios, mentre la società Romeo si classificava al secondo posto in graduatoria; l'aggiudicazione definitiva veniva pronunciata dall'Inps il 13 giugno 2012; con ricorso Rg. 5651 del 2012 la Romeo chiedeva l'annullamento e il Tar Lazio con sentenza n. 5013/2013 del 20 maggio 2013 respingeva il ricorso; avverso tale sentenza la Romeo ricorreva in Consiglio di Stato che il 17 ottobre 2013 con dispositivo di sentenza n. 5049/2013 ha accolto ricorso della Romeo e ha annullato l'aggiudicazione definitiva, dichiarando l'inefficacia immediata del contratto e disponendo che l'appellante Romeo Gestioni Spa subentri nell'aggiudicazione e nel contratto;
   il 5 novembre 2013 l'Inps dispone l'esecuzione del dispositivo di sentenza del Consiglio di stato prorogando il contratto in essere con i gestori uscenti; il 22 febbraio 2014 Edildovi snc presenta ricorso al Consiglio di stato per opposizione di terzo con istanza cautelare; il 15 aprile 2014 il Consiglio di Stato accoglie l'istanza cautelare e sospende gli effetti della sentenza di appello dello stesso Consiglio di Stato ordinandone l'esecuzione e fissando l'udienza per l'11 novembre 2014 (anticipata al 24 luglio 2014); il 22 luglio 2014 il consiglio di stato accoglie ricorso per opposizione di terzo ed annulla la sentenza in appello e quella di primo grado;
   il 29 luglio 2014 l'Inps dispone a RTI Prelios ed ai gestori uscenti la ripresa delle attività finalizzate al passaggio di consegna entro il 30 agosto 2014; il 29 luglio 2014 Romeo Gestioni presenta ricorso al TAR Lazio in riassunzione e integrazione con istanza cautelare; Romeo Gestioni il 3 settembre 2014 ripropone istanza cautelare monocratica al TAR Lazio ottenendo l'accoglimento;
   a parere dell'interrogante sarebbe opportuno che INPS in sede giudiziale mantenga una ferma posizione a tutela dell'interesse della cosa pubblica e altresì ponga in essere ogni iniziativa volta a garantire la corretta prosecuzione dell'appalto;
   l'immobilismo che si è venuto a creare nella gestione del patrimonio immobiliare Inps potrebbe esporre l'istituto – per quanto di propria competenza – a responsabilità di carattere penale, civile, amministrativo ed erariale;
   peraltro da organi di stampa si evince che la guardia di finanza ha sequestrato, su disposizione del Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli, la somma di 24 milioni e 792 mila euro su un conto corrente presumibilmente riconducibile al gestore uscente ossia alla Romeo Gestione spa al quale rappresentante legale è stato contestato il reato di peculato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Ministro interrogato intenda porre in essere ogni iniziativa di sua competenza al fine di sbloccare l'annosa questione della gestione del patrimonio immobiliare Inps;
   se il Ministro interrogato non ritenga inopportuno che una società il cui legale rappresentante è indagato per il reato di peculato – e a cui sono stati posti, sotto sequestro circa 25 milioni di euro – possa gestire in futuro l'enorme patrimonio immobiliare del più grande istituto di previdenza italiano. (5-03612)


   ROSTELLATO, BECHIS, COMINARDI, TRIPIEDI, BALDASSARRE, RIZZETTO, CIPRINI e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale con sentenza dell'11 dicembre 2012 ha sostanzialmente diviso in due gli stage, attribuendo competenza legislativa in materia di stage curriculari (svolti durante il periodo di studi) allo Stato e in materia di stage extracurriculari (svolti dopo aver terminato gli studi) alle regioni;
   gli stage extracurriculari sono stati normati ad hoc nel corso del 2013 da tutte le regioni, in ossequio alle linee guida precedentemente concordate in sede di Conferenza Stato-regioni attraverso un documento approvato in data 24 gennaio 2013, e praticamente tutte prevedono due possibilità:
    a) stage extracurriculari di formazione e orientamento, se attivati entro 12 mesi dal conseguimento del titolo di studio;
    b) stage extracurriculari di inserimento/reinserimento lavorativo, se attivati dopo i 12 mesi;
   così come hanno evidenziato organi di stampa, prima fra tutte la testata online Repubblica degli Stagisti, vi sono amministrazioni pubbliche che stanno promuovendo programmi di tirocini di inserimento, esplicitamente o implicitamente, prevedendo al loro interno l'inquadramento in stage di persone che hanno conseguito l'ultimo titolo di studio da oltre 12 mesi: per esempio alla regione Calabria con un bando che ha messo in palio lo scorso giugno ben 500 posti di stage;
   per l'attivazione di tali tirocini extracurriculari di «inserimento/reinserimento lavorativo» vengono utilizzati cospicui fondi pubblici, principalmente per l'erogazione di una indennità mensile obbligatoria a favore dei tirocinanti, e che dunque tali programmi di tirocinio sono onerosi per lo Stato;
   però la finalità principale di tali esborsi – permettere ai tirocinanti l'inserimento o reinserimento lavorativo – non è possibile, a priori, per la impossibilità degli enti pubblici di assumere personale al di fuori delle procedure concorsuali e per il blocco del turnover nella gran parte delle amministrazioni pubbliche;
   la terminologia «di inserimento e reinserimento lavorativo» può invece ragionevolmente generare, nella popolazione alla ricerca di un impiego e dunque potenzialmente interessata a questo tipo di iniziative, l'aspettativa di venire poi inserita al termine del tirocinio in quella data amministrazione pubblica dove ha svolto il tirocinio «di inserimento/reinserimento lavorativo» attraverso un vero e proprio contratto di lavoro;
   vi sono evidenti precedenti – anche in questo caso riportati da organi di stampa tra cui la testata online Repubblica degli Stagisti ma anche le principali testate cartacee nazionali – della pericolosità insita nell'attivazione di questi percorsi di tirocinio destinati a persone non più giovani, con una finalità ambigua, che finisce con il creare una aspettativa di stabilizzazione come è successo ancora una volta in Calabria con il «caso» dei «superstage» attivati nel 2008 che ancora oggi si trascina, con continue richieste da parte degli ex stagisti di venire assunti e continue promesse più o meno mantenute dai politici locali di assicurare una continuità, anche mediante contratti parasubordinati al di fuori di ogni procedura –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione esposta in premessa;
   se non intendano assumere iniziative in sede di Conferenza Stato-regioni per fornire una chiara e inequivoca modalità di interpretazione della terminologia utilizzata per differenziare e catalogare i tirocini, in particolare quelli extracurriculari «di inserimento/reinserimento lavorativo»;
   se non intenda assumere iniziative per chiarire anche nelle linee guida citate in premessa come tali tirocini, per loro espressa natura finalizzati all'assunzione, possano essere utilizzati in un contesto di amministrazione pubblica, ove risulta chiaramente impossibile l'immediata assunzione post stage. (5-03624)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 20 settembre 2014 Salvatore Renna, un operaio di 41 anni, è morto durante i lavori nel cantiere della metropolitana di piazza Municipio, a Napoli;
   la morte sarebbe dovuta ad una caduta causata da un pannello mancante nell'impalcatura;
   sono partite le indagini, e l'inchiesta della procura potrebbe allargarsi anche ad appalti e subappalti utilizzati dal consorzio di imprese che ha in affido i lavori;
   proprio per una ditta in subappalto lavorava Renna, ma la sua posizione lascia aperti molti dubbi;
   la posizione di Salvatore Renna in cassa edile, infatti sembrerebbe ferma al 2008, e la mancata iscrizione alla cassa edile è il prodromo di una posizione «a nero», essendo essa imprescindibile per il rilascio del documento di regolarità contributiva, senza il quale non si può lavorare in cantieri pubblici come quelli della linea 1 della metropolitana di Napoli;
   considerato che l'attività di Renna, esperto nelle lavorazioni in cartongesso, erano afferenti al settore edile, e visto che egli lavorava in quel cantiere per la Warking Italia di Roma, si può dedurre con buon margine di certezza che il lavoratore prestava la sua opera in nero;
   i lavori per la stazione della metropolitana di piazza Municipio procedono dal 2003, ma attualmente la linea 1 è sottoposta ad un'accelerazione esasperata per la consegna dei lavori;
   tale accelerazione potrebbe essere legata, con tutta probabilità, alla volontà, da parte di determinati esponenti politici, di completare importanti opere pubbliche prima delle prossime scadenze elettorali;
   conseguenza di questa fretta improvvisa è la frammentazione delle lavorazioni che sfuggono al controllo e alle verifiche sull'applicazione delle misure antinfortunistiche;
   i fatti narrati sono riportati negli articoli intitolati «Morte nel metrò, atti in Procura» e «Lo strazio dei familiari di Salvatore – “Perché capita a chi fa i sacrifici ?”», pubblicati dall'edizione locale di Napoli del quotidiano «La Repubblica» il 22 settembre 2014 –:
   quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per fare chiarezza sull'accaduto e sulle eventuali responsabilità;
   se non ritenga necessario intensificare i controlli relativi al rispetto delle normative sulla sicurezza sul lavoro;
   quali iniziative si intendano assumere per garantire una più efficace difesa della vita dei lavoratori. (4-06101)


   BARGERO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 settembre 2014 l'INPS direzione provinciale di Alessandria ha comunicato l'impossibilità di tenere aperta la sede Inps di Tortona, considerato dal 1o gennaio 2014 l'esiguo numero di dipendenti (6 unità) rispetto al bacino di utenza di 60.900 persone;
   in precedenza, il numero dei dipendenti era 10, con un rapporto dipendenti/persone servite 1/6.090;
   tale decisione penalizzerebbe fortemente il territorio del Tortonese, con conseguenti disagi per gli utenti;
   l'amministrazione comunale di Tortona si è fatta promotrice di sue proposte, l'una volta a trasferire le 4 unità mancanti dalla direzione di Alessandria a quella di Tortona, l'altra volta a ridimensionare il bacino di utenti da 60.900 a 36.000, 40.000, con spostamento della restante parte su Alessandria e/o Novi Ligure –:
   quali misure intenda mettere in atto per evitare la chiusura degli uffici INPS di Tortona, onde evitare un conseguente disagio per i cittadini di Tortona e del tortonese. (4-06103)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il destino di 172 lavoratori della ex Otefal di Bazzano resta molto incerto;
   il curatore fallimentare Omero Martella riunirà il comitato dei creditori e in quella sede si deciderà se procedere con nuove aste per la vendita dello stabilimento di Bazzano, che altrimenti verrà liquidato. Le prime tre – l'ultima si è tenuta ad agosto – sono andate deserte, nonostante si parlasse di due possibili acquirenti stranieri, una cordata spagnola e un gruppo industriale indiano;
   l'odissea dell’ex Otefal, che allora contava 230 unità ed era di proprietà della famiglia bergamasca Pozzoli, è iniziata nel 2008, dopo un investimento sbagliato in Sardegna, il crollo del prezzo delle materie prime, la stretta creditizia e infine il terremoto del 2009;
   a luglio del 2010 il tribunale approvava il ricorso al concordato preventivo e si faceva una gara per l'affitto di un ramo d'azienda, vinta dalla Madar: i siriani, a causa del conflitto bellico che sta dilaniando il loro Paese, hanno deciso di investire in Italia e hanno puntato sulla fabbrica aquilana, che opera in un settore parallelo. Le procedure per la riattivazione del sito e il riassorbimento del personale non sono state facili. Ma alla fine, dopo un anno mezzo di concordato preventivo e sei mesi di chiusura totale, è stato firmato l'accordo per l'ingresso dei siriani e all'inizio 2013 la fabbrica ha riaperto i battenti;
   era il gennaio del 2013 quando si insediarono gli attuali vertici. La Madar sembrava intenzionata all'acquisto definitivo dell'immobile e vedeva in prospettiva una produzione di 24mila tonnellate di alluminio all'anno;
   fu riavviata la linea di verniciatura dell'alluminio e 120 dipendenti rientrarono in fabbrica, con altri 60 in cassa integrazione a rotazione;
   i 172 dipendenti sono in mobilità dal 30 giugno 2014, quando è scaduta la cassa integrazione: i siriani della Madar, hanno abbandonato tutto dopo appena 12 mesi, nonostante il mercato dell'alluminio, in cui la ex Otefal è specializzata, sia – a detta dei sindacati – un settore solido. Prima della terza asta, si era parlato di due aziende straniere pronte a presentare un'offerta di acquisizione. Invece nulla: senza un nuovo proprietario il destino dei lavoratori appare segnato –:
   se non ritenga doveroso promuovere una iniziativa urgente con le parti sociali e gli enti locali per cercare soluzioni produttive e occupazionali e scongiurare questo dramma occupazionale.  (4-06112)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIII Commissione:


   CAON. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'embargo russo è la risposta ad una serie di sanzioni decretate dell'Unione europea contro la Federazione russa alle quali il nostro Paese ha aderito esponendolo così a delle rappresaglie commerciali varate dalle autorità di Mosca;
   le decisioni del Governo di Mosca di dire stop all'importazioni di prodotti agro alimentari sono state un duro colpo per il nostro Made in Italy che è un valore aggiunto fondamentale;
   per comprendere la portata del problema diamo qualche dato; degli oltre 117 miliardi di euro del totale dell’export europeo verso la Russia circa 12,7 miliardi derivano dall'agroalimentare (circa il 10 per cento del totale delle esportazioni) facendo così di essa il secondo più grande mercato di sbocco per l’export dei prodotti agroalimentari dell'UE. Dell’export europeo agroalimentare il 27 per cento è rappresentato dalla frutta e il 21,5 per cento dalla verdura;
   il valore dell’export italiano verso la Russia, nel 2013, ammontava a 10,4 miliardi di euro mentre nei primi quattro mesi del 2014 a 2,8 miliardi rendendo l'Italia il quarto fornitore europeo e pesando per il 2,8 per cento sull’export complessivo italiano. L’export italiano nel settore agroalimentare è stato di 1,1 miliardi di euro nel 2013 di cui un quinto – 221 milioni di euro – riguarda i prodotti che figurano nella «black list» russa;
   le previsioni di danno economico per i prodotti e i valori di perdita totale delle esportazioni italiane oscillano tra i 163 e i 200 milioni di euro mentre ammonta 100 milioni la perdita in valore – cifra che somma le ricadute su produttori, trasformatori ed esportatori – per il 2014 che può arrivare a 250 milioni nel 2015, stime però provvisorie e alquanto aleatorie perché non tengono in considerazione i danni «indiretti» che questo embargo crea e potrebbe ancora produrre;
   ai danni diretti, infatti, si devono aggiungere quelli «indiretti» che potrebbero portare a conseguenze ancor più devastanti ed avere effetti protratti nel tempo. Questi potrebbero configurarsi nel rischio di un danno anche definitivo ai rapporti commerciali con la Russia che potrebbero non riprendersi una volta che, finito l'embargo, i nostri produttori sono stati sostituiti da quelli provenienti da altri paesi. Inoltre c’è il danno di immagine in quanto entrerebbero nel mercato russo imitazioni delle nostre eccellenze che nulla hanno a che fare con il Made in Italy nonché ripercussioni sull'indotto afferente al mondo dei trasporti e del packaging, ed infine il rischio di dirottamento nel nostro mercato di prodotti agroalimentari di bassa qualità degli altri paesi che non trovano più sbocchi in quello russo;
   di quest'ultimo danno «indiretto» cominciano, infatti, già a delinearsi i primi segni. Milioni di tonnellate di patate premono alle frontiere dell'Italia rischiando di surclassare quelle nostrane come la «Primura» la prima ed unica patata DOP italiana coltivata nel bolognese che ha ottenuto la denominazione nel luglio del 2012;
   il nostro Paese purtroppo non riuscendo a soddisfare la richiesta interna, perché la produzione è di circa 16-17 milioni di quintali a fronte di un fabbisogno che ammonta a circa 20 milioni di quintali, ha visto incrementare del 5 per cento le importazioni dall'estero aprendo la porta a patate dai costi stracciati e anche con problemi di qualità organolettiche e garanzie sanitarie;
   quest'anno in tutta Europa c’è stato un surplus di produzione al punto tale che anche il nostro Paese sarebbe stato finalmente autosufficiente ma, a causa dell'embargo russo che ha bloccato alle frontiere il 37 per cento dell’export europeo di patate, si stanno imponendo nel nostro mercato patate, come quelle francesi, che utilizzando la pratica della concorrenza sul prezzo hanno la meglio sulle quelle italiane. Si parla di 6-8 centesimi per quelle francesi e di 14 centesimi per quelle tedesche, arrivando addirittura a 2 centesimi per quelle destinate all'industria –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa circa la situazione del mercato delle patate e come intenda intervenire sia per arginare il fenomeno ma soprattutto per prevenire ulteriori danni «indiretti» anche su altri prodotti agroalimentari, che rischiano di compromettere ulteriormente le nostre produzioni e aziende. (5-03628)


   ZACCAGNINI e SCHULLIAN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 settembre 2014, così come divulgato da più organi di stampa, l'agricoltore pro Ogm Giorgio Fidenato ha seminato mais Mon 810 geneticamente modificato nel terreno appena dissequestrato in comune di Colloredo di Montealbano (Udine). Fidenato, con una maglietta «Ogm, vietato vietare», ha anche mostrato alcune pannocchie, e le ha descritte come pannocchie Ogm cresciute in alcuni campi in Lombardia. L'agricoltore è tornato a criticare il Governo e la regione Friuli Venezia Giulia per le normative contro la semina di Ogm. La Monsanto, multinazionale produttrice e titolare del brevetto del, mais Mon 810, ha deciso, in via definitiva, di non commercializzare più semi OGM in Italia. Lo annuncia in un comunicato del 16 agosto 2014 la task force No Ogm Fvg dell'Aiab-Fvg, commentando la scelta della multinazionale, come un ottimo risultato frutto della campagna di pressione, da parte dei comitati No Ogm, che in Friuli Venezia Giulia, ha portato alla distruzione dei campi del leader pro-Ogm Giorgio Fidenato. I comitati insistono sul concetto che l'abbandono della vendita delle sementi transgeniche è un primo risultato che deve rafforzare la scelta delle regioni e dello Stato italiani e degli altri Stati europei, di restare fuori dal mondo delle sementi transgeniche, aprendo all'agricoltura biologica ed alle tecniche di selezione naturale e assistita, costruendo filiere alimentari OGM-free, assicurando l'assenza di componenti transgenici anche nei prodotti finali. Che la Monsanto abbia deciso ciò, insistono i comitati commentando la scelta della multinazionale, è da reputarsi un buon segno che sprona tutti ad accelerare la richiesta al Governo, che presiede il semestre europeo, di assumere definitivamente le decisioni necessarie ad allontanare in via definitiva gli OGM dal nostro Paese e alle regioni e alle categorie agro-alimentari di filiere OGM-free di progetti precisi e specifici in tal senso.

Il vicepresidente del Friuli Venezia Giulia e assessore all'agricoltura Sergio Bolzonello nelle sue dichiarazioni in seguito alla scelta della Monsanto, si è reputato soddisfatto insistendo anch'esso sul fatto che sia frutto anche alle politiche «ogm free» della sua giunta, specificando che se in fase europea il quadro legislativo è in mutamento, mentre la normativa italiana parla invece chiaro, specie in Friuli Venezia Giulia, regione in cui sono presenti i campi ogm di Fidenato: la coltivazione di mais Mon 810 è stata infatti vietata sia dal decreto interministeriale del luglio 2013 che dalla moratoria regionale dello scorso 28 marzo. I campi di Fidenato, coltivati a organismi geneticamente modificati, sono stati perciò oggetto di sequestro da parte delle procure di Udine e di Pordenone, le quali hanno inoltre disposto la distruzione delle piantagioni ogm nei comuni di Colloredo di Monte Albano, di Mereto di Tomba e di Fanna –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti narrati e quali azioni di competenza intenda intraprendere, se alla luce dei fatti narrati non intenda accertarsi, attraverso gli opportuni sopralluoghi che siano state effettuate nel campo appena dissequestrato, semine Ogm. (5-03629)


   MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, BENEDETTI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da almeno un decennio, il settore castanicolo italiano versa in una profonda crisi a seguito della forte infestazione da parte del cinipide del castagno (Dryocosmus kuriphilus Yatsumatsu), un imenottero originario della Cina che ha determinano danni molto gravi, con perdite rilevanti di produzione di frutti e di accrescimenti legnosi, pregiudicano la sopravvivenza stessa dei castagni italiani;
   già da tempo sono stati messi a punto metodi efficaci di contenimento del patogeno individuati da vari enti di ricerca pubblica (in primis l'università degli Studi di Torino, dipartimento di scienze agrarie, forestali e alimentari) e riportati nei piano del settore castanicolo (2010-2013) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali che prevedono l'introduzione nei castagneti dell'antagonista specie-specifico, Torymus sinensis, capace di rendere non infestanti le larve di cinipide;
   l'articolo 1, comma 297, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014) prevede che «Per il potenziamento del servizio fitosanitario nazionale, con particolare riferimento all'emergenza provocata dal batterio Xylella fastidiosa e al potenziamento dei sistemi di monitoraggio e controllo, ivi compresi i controlli sulle sementi provenienti da organismi geneticamente modificati, è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2014, da ripartire con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Al relativo onere, pari a 5 milioni di euro per l'anno 2014, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo di cui all'articolo 12 della legge 27 ottobre 1996, n. 910, che, a tal fine, sono versate all'entrata del bilancio dello Stato». Il suddetto decreto non è stato ancora emanato;
   il 22 gennaio 2014 è stata approvata dalla XIII Commissione agricoltura della Camera dei deputati la risoluzione Bernini n. 8-00033, iniziative urgenti per la tutela dei castagneti, che impegna il Governo a definire, d'intesa con le regioni e in coerenza con il Piano castanicolo nazionale, le linee d'azione necessarie all'eradicazione del cinipide galligeno del castagno, attraverso l'utilizzo dell'insetto antagonista Torymus sinensis;
   il metodo è annoverato tra sistemi di lotta biologica e per essere efficace necessita dell'interruzione di tutti i trattamenti chimici nelle aree castanicole dove vengono effettuati i lanci, per almeno un quinquennio, al fine di consentire la moltiplicazione dell'antagonista;
   l'Arpav (Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto) ha rilevato che i metodi di difesa chimica delle colture, attuati per molto tempo con prodotti a largo spettro, hanno provocato una drastica semplificazione dell'agroecosistema, con riduzione della biodiversità, con la significativa contrazione numerica di alcune popolazioni e con la conseguente comparsa di forti densità di specie dannose, in precedenza assai rarefatte, o la tendenza di specie occasionalmente dannose a mutarsi in infestanti stabili;
   a dimostrazione del punto precedente, i fitofarmaci nei castagneti hanno indotto altre infestazioni tra cui quella della Pammene fasciano o Cydia precoce dovuta alla distruzione dell'avifauna sua principale antagonista;
   in Piemonte, dove la metodologia di lotta biologica con l'antagonista di cui ai punti precedenti viene applicata in modo rigoroso dal 2013, le aree castanicole hanno recuperato quasi completamente i livelli di produzione e di rigoglio vegetativo preinfestazione;
   come riportato in numerosi articoli della stampa locale della provincia di Viterbo, il blocco della lotta chimica nelle aree castanicole da parte delle amministrazioni, è lungi dall'essere realizzato, anzi, si osserva nell'ambito di questa primavera (2014), una recrudescenza dello spargimento dei veleni, acutizzata del clima torrido, al punto che il sindaco di Vallerano (Viterbo), Maurizio Gregori, ha pubblicato un avviso sul sito istituzionale del comune con il quale «consiglia vivamente» ai suoi concittadini di evitare di circolare nei castagneti e nelle strade vicinali che li costeggiano in quanto il fitofarmaco utilizzato nella provincia di Viterbo presenta non pochi rischi per la salute umana (da reazioni allergiche a danni sul sistema nervoso centrale);
   simili inosservanze, che di fatto, oltre ad essere pericolose, vanificano gli interventi di lotta biologica in alcune aree castanicole nazionali sono riscontrabili non solo nel Lazio ma anche in altre regioni italiane, in modo particolare in Campania e in Calabria;
   il potenziamento del sistema fitosanitario e la lotta, quindi, alle principali fitopatologie che colpiscono le coltivazioni nazionali dovrebbe essere, ad avviso degli interroganti, una priorità per il Ministero interrogato, prediligendo, soprattutto, metodi di lotta biologica come quello che, efficacemente, il Torymus sinensis rappresenta per il castagno –:
   alla luce di quanto esposto in premessa, quali siano le ragioni alla base della mancata emanazione del decreto sul potenziamento dei servizio fitosanitario nazionale nonché quali siano le modalità di investimento dei fondi stanziati con la legge di stabilità, pari a 5 milioni di euro, con particolare riferimento alle azioni intraprese per ottemperare alla risoluzione approvata il 22 gennaio 2014 dalla XIII Commissione della Camera dei deputati e alle misure, specie riguardo la lotta biologica, riportate nel piano del settore castanicolo del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. (5-03630)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che, dietro questo sistema, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace; la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   quali determinazioni il Ministro interrogato intenda indirizzare alle autorità di controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy. (5-03631)


   FAENZI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   gli eventi alluvionali verificatisi nella regione Toscana la scorsa settimana, d'intensità particolarmente grave, da richiedere lo stato di emergenza e di calamità, hanno determinato ingenti danni all'agricoltura del territorio, in particolare nei riguardi dei vigneti, oliveti e le produzioni ortofrutticole ed orticole;
   il nubifragio con grandinate e bombe d'acqua, che hanno devastato intere campagne fiorentine, da Bagno a Ripoli fino al mare, seguendo il corso dell'Arno, ha seriamente compromesso in particolare la vendemmia nel circondario Empolese Vald'Elsa, zona d'eccellenza per la produzione del Chianti e delle aree di Vinci, Fucecchio e Cerreto Guidi, con inevitabili ripercussioni per il proseguimento delle attività produttive delle aziende vinicole, già colpite da un'annata complessa e difficile a causa dei cambiamenti climatici particolarmente avversi;
   gli effetti del maltempo causati in particolare dall'eccezionale intensità della grandinata, hanno inoltre colpito numerose strutture rurali, deteriorando una molteplicità di capannoni, impianti e macchinari agricoli, pregiudicando di conseguenza l'attività lavorativa per parecchie aziende del comparto –:
   quali iniziative urgenti e necessarie intenda intraprendere per fronteggiare i danni che il comparto agricolo toscano ha subito dal gravissimo evento atmosferico calamitoso, stimati secondo le associazioni agricole in circa 200 milioni di euro, al fine di sostenere le imprese del settore e più in generale l'intera economia agricola toscana già penalizzata da una crisi recessiva che fatica ad essere superata.
(5-03632)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nelle campagne della Pianura Padana vi è un drammatico problema di sovrappopolazione delle nutrie che sta penalizzando le aziende agricole, sta arrecando danni alle infrastrutture idrauliche, creando, inoltre, un senso di disagio alla popolazione locale;
   ad oggi le modalità con cui il Governo e il Parlamento hanno deciso di affrontare la questione della proliferazione incontrollata delle nutrie, ossia con l'utilizzo della tecnica dell'eradicazione degli animali quale unica soluzione possibile, si è rivelata insufficiente e fallimentare;
   l'articolo 11, commi 12 e 12-bis, del decreto-legge n. 91 del 2014 ha apportato modifiche alla legge sulla caccia, legge n. 157 del 1992, e specificatamente, le nutrie sono state equiparate ai topi, ai ratti e alle arvicole, con la conseguente uscita dal regime di protezione generale per la fauna selvatica;
   la modifica di legge apportata non si configura come la possibilità che la specie sia divenuta cacciabile, come riportato da alcuni giornali, ma comunque potrebbe generare confusione durante l'attività venatoria che notoriamente è rivolta a specie cacciabili e di interesse venatorio;
   in conseguenza alla modifica della legge sulla caccia, sono stati evidenziati sia dalle regioni che dalle provincie del Nord Italia, numerosi dubbi in merito alle competenze e alle validità dei piani di controllo finanziati dalle regioni ed attuati dalle province;
   l'esclusione dal concetto di «fauna selvatica», farebbe venire meno l'applicabilità di citati piani di controllo, trasferendo la funzione del contenimento, in caso di danno, ai singoli proprietari di terreno, ai comuni e alle ASL (per cause sanitarie) e agli enti territoriali preposti alla sicurezza idraulica;
   in funzione di queste criticità alcune province hanno sospeso l'attività degli operatori preposti al controllo delle nutrie;
   un recente comunicato della regione Lombardia ha posto in evidenzia tali questioni e in un incontro pubblico convocato a Cremona in data 22 settembre, ha ufficialmente comunicato il blocco dei fondi destinati alle province per i piani di contenimento, in attesa che il Governo chiarisca e definisca in modo definitivo la situazione riguardante le nutrie;
   la catalogazione del roditore come specie nociva, si sta rivelando un boomerang, facendo decadere ogni forma di contenimento attualmente in essere, data l'impossibilità di province e regioni a poter mettere in moto le misure atte a contenere un fenomeno che non è più di loro competenza, non essendo più classificata «fauna selvatica», ma «specie nociva» equiparata, quindi a topi e ratti;
   Sinistra Ecologia Libertà aveva presentato proposte emendative nel corso dell'esame alla Camera dei deputati del decreto-legge n. 91 del 2014, finalizzate al sostegno di piani di controllo e contenimento della specie tramite campagne coordinate di cattura e sterilizzazione, come realizzate con efficacia in altri Paesi europei –:
   quali azioni il Governo intenda porre in essere per dirimere la vicenda narrata in premessa a fronte di una errata valutazione socio-giuridica, concretizzatasi con la modifica normativa della legge sulla caccia, in merito alle nutrie che si sta rivelando disastrosa in termini di danni che le aziende agricole subiscono a cui si aggiungono i problemi che le nutrie causano alle strutture idrauliche, alla comunità e al drammatico controllo della proliferazione che, ad oggi, non trova soluzione alcuna. (5-03633)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LOSACCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le avverse condizioni atmosferiche, la presenza della peronospora a cui va ad aggiungersi il blocco delle importazioni russe per l'applicazioni delle sanzioni della Unione europea stanno determinando il collasso della viticoltura pugliese;
   l'uva da tavola, della qualità Italia, in particolare quella destinata alle esportazioni a distanza di un anno ha visto precipitare il suo prezzo da 70/80 centesimi al chilogrammo a 30/40 centesimi;
   questo deprezzamento secondo i produttori farà sì che migliaia di quintali di uva di qualità pregiata rimangano invenduti con una conseguente ricaduta sui livelli occupazionali, tant’è che già si registra un calo delle giornate lavorative per gli addetti;
   nonostante la presenza di altre qualità da esportazione, come ad esempio quella dell'uva senza semi, particolarmente richiesta dai mercati del nord Europa, il blocco delle esportazioni verso la Russia penalizza fortemente il comparto pugliese;
   l'embargo provocherà perdite in una misura che va dal 20 al 40 per cento della produzione –:
   se e quali misure il Governo intenda adottare, con la massima urgenza, per sostenere uno dei comparti di eccellenza dell'agricoltura italiana, quale quello dei produttori pugliesi di uva da tavola, al fine di scongiurare il collasso di aziende e la conseguente perdita di posti di lavoro.
(5-03608)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 settembre 2014 il quotidiano La Repubblica ha pubblicato un articolo secondo il quale non sarà più possibile l'impiego dei Fondi comunitari per assicurare aiuti umanitari e lotta all'indigenza;
   l'origine di questo stop sarebbe dovuta alla sentenza pronunciata nel corso del 2011 dalla Corte di giustizia europea che ha accolto un ricorso contro i citati aiuti formulato da Germania, Austria, Svezia, Gran Bretagna. Danimarca, Olanda e Repubblica Ceca;
   secondo i Paesi che hanno formulato il ricorso gli aiuti non spetterebbero all'Europa ma ai singoli Governi;
   l'accoglimento del ricorso ha fatto sì che scattasse il blocco degli aiuti comunitari che dal 1987 consentiva attraverso i ministeri dei vari paesi di assicurare la distribuzione delle eccedenze alimentari al fine di contrastare povertà e disagio;
   quanto esposto in premessa va evidenziato anche il ritardo con cui anche l'Italia ha redatto il proprio piano di aiuti alimentari da inviare a Bruxelles;
   il fenomeno in questione, aggravato ovviamente dalla crisi, interessa nella sola Italia, secondo i dati torniti dal Banco alimentare, ben quattro milioni di persone;
   va assolutamente scongiurato questo blocco al fine di continuare ad assicurare adeguato sostegno in materia di aiuti alimentari per persone in difficoltà –:
   se e quali iniziative il Governo italiano ed in particolare il Ministro interrogato intenda assumere in sede comunitaria per far sì che venga assicurato il prosieguo del sostegno degli aiuti alimentari con Fondi dell'Unione europea in considerazione della rilevanza sociale che tale programma riveste per l'emergenza alimentare che purtroppo è presente anche nel nostro Paese. (5-03610)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'applicazione delle sanzioni comunitarie nei confronti della Russia sta penalizzando particolarmente il settore agricolo e agroindustriale italiano;
   l'ortofrutta già in queste settimane ha fatto registrare un calo delle esportazioni in considerazione della strategici là di un mercato quale quello russo che coniuga qualità e quantità;
   tra qualche settimana rischia di verificarsi un ulteriore aggravamento della crisi in relazione al settore agrumicolo e alla concorrenza di Spagna e Paesi del nord Mediterraneo;
   i fornitori spagnoli che avevano piattaforme di esportazione direttamente in Russia potrebbero invadere a prezzi ridottissimi i mercati italiani per collocare arance e clementine;
   ciò determinerebbe il collasso di uno dei settori più importanti dell'agricoltura meridionale;
   diventa fondamentale che Governo e ragioni d'intesa con le organizzazioni di categoria si preparino per tempo per fronteggiare una nuova emergenza –:
   se e quali iniziative Governo intenda assumere con la massima urgenza per assicurare al comparto agrumicolo italiano adeguato sostegno con l'obiettivo di tutelare produzioni e qualità sul mercato nazionale. (5-03611)

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, BENEDETTI e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è, dopo la Cina, il primo produttore mondiale di actinidia, più conosciuto come kiwi. Un primato che – grazie alla qualità delle produzioni italiane – rende il nostro Paese anche leader nell'esportazione. Nel nostro Paese, infatti, si producono, ogni anno, mediamente, 300 mila tonnellate che, oltre ad alimentare la domanda interna, vengono esportate all'estero ed, in particolare, negli Stati uniti;
   a partire dal 2008 si è assistito alla diffusione della batteriosi dell'actinidia, una malattia ad elevato rischio fitosanitario causata dal batterio Pseudomonas syringae pv. actinidiae Takikawa, Serizawa, Ichikawa, Tsuyum & Goto (di seguito denominato PSA), che ha provocato danni gravissimi alla coltura dei kiwi in tutto il territorio nazionale, complice anche la mancanza di efficaci mezzi di cura;
   i primi risultati di una ricerca volta a prevenire la diffusione del batterio PSA sono stati presentati in data 22 luglio 2014 dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), al Ministro interrogato nel corso del convegno conclusivo dei progetti INTERACT «Interventi di coordinamento ed implementazione delle azioni di ricerca, lotta e difesa al cancro batterico dell'Actinidia (Psa)» ed ARDICA: «Azioni di ricerca e difesa al cancro batterico dell'Actinidia (Psa)», strettamente collegati tra loro e condotti dal CRA con il Centro servizi ortofrutticoli (CSO) di Ferrara;
   dagli studi è emerso che i principali fattori predisponenti la malattia sono gelate e forte piovosità, mentre i periodi più a rischio sono autunno-inverno e inizio primavera. È stata accertata, inoltre, una chiara correlazione tra composizione chimica del suolo e la predisposizione alla batteriosi;
   i ricercatori – da quanto si legge sul sito del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura – avrebbero migliorato e velocizzato le tecniche diagnostiche oltre ad aver definito e sperimentato tecniche agronomiche che vanno dall'individuazione del momento in cui svolgere i trattamenti per ridurre al massimo la possibilità di diffusione nei e tra i frutteti alle forme di allevamento della pianta che, aumentando la circolazione dell'aria all'interno della chioma e riducendo il volume di legno colonizzabile dal batterio, riducono significativamente l'incidenza della malattia, fino all'individuazione di alcuni nuovi composti chimici e di origine biologica in grado di ridurle efficacemente la severità e l'incidenza della malattia in pieno campo;
   il dottor Marco Scortichini il direttore dell'unità di ricerca per la frutticoltura del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura di Caserta ha affermato che «È possibile constatare che, dove vengono scrupolosamente applicati gli accorgimenti tecnico-agronomici, emersi delle nostre ricerche, si riesce a convivere con la “batteriosi”, anche in aree dove l'incidenza della malattia negli anni passati era fortissima e dove permangono ancora tutti i fattori predisponenti l'insorgenza della stessa»;
   Thomas Bosi del CSO di Ferrara ha affermato al convegno «Batteriosi del kiwi» promosso dal Crpv di Cesena e dalla regione Emilia-Romagna e tenutosi il 16 aprile 2014 a Faenza (Ra) che «L'impatto del Psa sui mercato del kiwi non è stato elevato» ma che «È però vero che c’è stata una ricaduta pesante sulle singole aziende agricole che hanno visto un importante aumento dei costi di produzione (in ragione delle maggiori spese per manodopera e mezzi tecnici) ed una minore resa produttiva degli impianti». «Infine da segnalare» – seguita Thomas Bosi – «come la geografia produttiva del kiwi sia in forte trasformazione: le zone tradizionalmente coltivate ad actinidia sono in calo e vengono sostituite da nuove aree a digiuno di questa specie frutticola» –:
   se non ritenga opportuno intraprenda tutte le necessarie misure di controllo fitosanitarie e quali interventi intenda promuovere sul piano della diffusione di un'adeguata attività informativa tese a salvaguardare un comparto frutticolo, quale è quello del kiwi, nonché tutti gli agricoltori interessati. (4-06110)

* * * 

RIFORME COSTITUZIONALI E RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


   TONINELLI, COZZOLINO, DADONE, DIENI, FRACCARO, LOMBARDI, NUTI e D'AMBROSIO. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   la proposta di legge elettorale «Berlusconi-Renzi», assegnato al Senato della Repubblica come «disegno di legge n. 1385», presenta una serie di elementi che ne rendono evidente, ad avviso degli interroganti, l'illegittimità costituzionale;
   anche in presenza di eventuali «significative» modifiche, l'impianto stesso della legge elettorale potrebbe comportare «l'alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica sulla quale si fonda l'intera architettura dell'ordinamento costituzionale vigente», sulla cui base Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità della legge n. 270 del 2005;
   il MoVimento Cinque Stelle ha, pertanto, avviato un dialogo con il Governo, proprio per scongiurare l'approvazione di una nuova legge elettorale – che è la legge fondamentale della democrazia – che sia anch'essa costituzionalmente illegittima perché antidemocratica;
   la soluzione di tale esiziale problema, esposta dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, nel corso dell'incontro svoltosi con il MoVimento Cinque Stelle in diretta streaming alla Camera dei deputati il 25 giugno 2014, consisteva, secondo la sua prospettazione, in una modifica alla riforma costituzionale attualmente in discussione alla Camera come atto Camera n. 2613, per cui la legge elettorale dovrebbe essere sottoposta ad un vaglio preventivo di legittimità da parte della Corte costituzionale, prima della sua entrata in vigore. Tale soluzione è stata in effetti recepita nel disegno di legge n. 2613 ed è attualmente prevista dall'articolo 13 dello stesso;
   il Presidente del Consiglio dei ministri invitava il MoVimento Cinque Stelle a rispondere specificamente a dieci domande emerse dall'incontro, ribadendo per iscritto quanto già detto in diretta e confermato attraverso la modifica del disegno di legge costituzionale con la previsione del menzionato articolo 13, in questi termini: «Siete disponibili a far verificare preventivamente la legge elettorale alla Corte costituzionale, così da evitare lo stucchevole dibattito “è incostituzionale, è costituzionale”? Noi sì.»;
   il MoVimento Cinque Stelle rispondeva in quella sede, il 7 luglio 2014, positivamente, sollevando tuttavia il problema che è oggetto di questa interrogazione in questi termini: «Sì. Siamo disponibili a far verificare preventivamente la legge elettorale alla Corte costituzionale; quello che tuttavia abbiamo urgenza di capire è in quale modo si dovrebbe introdurre questo controllo e come dovrebbe intervenire sulla legge elettorale in discussione. Il Presidente del Consiglio ha affermato nel corso del nostro ultimo incontro che la legge elettorale sarà approvata e promulgata dopo la prima lettura da parte del Senato della riforma della Costituzione. Il che significa che il controllo non sarà previsto per la legge elettorale in discussione. Come pensate di risolvere questa contraddizione?»;
   la risposta nel merito, inviata dal Presidente del Consiglio dei ministri e dagli altri esponenti della delegazione ai parlamentari del MoVimento Cinque Stelle il 14 luglio 2014, sullo specifico punto, è stata la seguente: «Sul controllo preventivo studieremo il problema da voi sollevato ma non c’è dubbio che la legge elettorale per noi vada approvata il prima possibile. Dunque, ragionevolmente, prima dell'entrata in vigore della riforma costituzionale (...)»;
   da tale ultima affermazione, espressa peraltro in un documento scritto non suscettibile di interpretazioni, scaturisce, quindi, il presente atto di sindacato ispettivo;
   è passato molto tempo dal 14 luglio 2014, data in cui il Presidente del Consiglio dei ministri ha affermato che avrebbe studiato il delicato e importantissimo problema, ma nessuna risposta in merito è stata ancora formulata né dal Capo del Governo, che aveva garantito un esame del problema volto alla sua soluzione, né dal Ministro interrogato, competente per materia in quanto titolare della delega alle riforme istituzionali;
   la riforma della legge elettorale sembra essere nuovamente portata all'attenzione del Parlamento per la definitiva approvazione e, per ragioni condivise da tutti gli osservatori, dalle forze politiche di maggioranza e di opposizione, dal Presidente della Repubblica e finanche dello stesso Governo, appare quanto mai probabile che la legge elettorale scaturita dal cosiddetto «patto del Nazareno» sarà incostituzionale come quella che l'ha preceduta;
   per questi motivi si ritiene necessario che il Governo renda conto dello stato dell'arte in relazione allo studio, in corso almeno dal 14 luglio 2014, dell'attuabilità della soluzione del problema che lui stesso ha prospettato, ovvero del controllo preventivo della legge elettorale in discussione come disegno di legge n. 1385 da parte della Corte costituzionale –:
   in quale modo il Governo intenda dare attuazione alla soluzione da esso stesso individuata per scongiurare l'incostituzionalità della legge elettorale in fase di approvazione, attraverso il controllo preventivo della costituzionalità della stessa. (3-01050)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Giappone è stato effettuato il primo trapianto di retina al mondo con cellule staminali iPS, realizzato a partire da cellule staminali provenienti dalla cute di una paziente. Un passo davvero importante per la medicina rigenerativa;
   concretamente la scorsa settimana, una donna giapponese affetta da maculopatia degenerativa senile, è stata la prima persona al mondo a ricevere un trapianto di retina «fabbricata» in laboratorio, a partire da un pezzetto della sua pelle. La procedura, condotta presso l’Institute for Biomedical Research and Innovation di Kobe e durata due ore, è stata condotta da un team di tre oculisti, guidati da Yasuo Kurimoto del Kobe City Medical Center General Hospital. Alla donna è stato impiantato uno strato di cellule dell'epitelio pigmentato retinico, spesso da 1,3 a 3 millimetri e sviluppato in laboratorio da Masayo Takahashi;
   prelevare un pezzetto di cute, isolarne le cellule e trasformarle in cellule della retina non è fantascienza. La tecnica è quella della iPS (induced pluripotent stem cells), messa a punto nel 2006 dal giapponese Shinya Yamanaka, attuale direttore del Center for iPS Celi Research and Applications presso l'Università di Kyoto, che, per il suo lavoro pionieristico è stato insignito nel 2012 del premio Nobel;
   come è noto le cellule iPS vengono prodotte inserendo alcuni geni nel DNA di cellule adulte che, riprogrammandole, le fanno regredire allo stadio embrionale. Da questo punto di partenza, le cellule possono essere quindi trasformate in qualunque altro tipo cellulare;
   le iPS sono al centro di esperimenti nei laboratori di tutto il mondo, ma le autorità regolatorie di tutti i Paesi, sono molto prudenti e non hanno mai autorizzato finora il loro impiego nell'uomo. La ricerca intorno alle iPS presenta il rischio potenziale di crescita tumorale da parte di cellule pluripotenti e nello stesso tempo sussiste il rischio di una reazione autoimmune. Preoccupazioni sufficienti per non dare il via libera ancora a trial nell'uomo;
   nel luglio 2013, le autorità regolatorie del Giappone hanno dato l’«Ok» allo studio pilota di Masayo Takahashi, una oculista del RIKEN Center for Developmental Biology (CDB) di Kobe. Dopo la dimostrazione che le cellule prodotte erano geneticamente stabili e sicure, il team giapponese ha ricevuto l’«Ok» per il trapianto, avvenuto il 12 settembre 2014;
   le attese non sono quelle di un recupero del visus, ma si spera almeno di bloccare il processo degenerativo in atto nella retina della paziente. Un insuccesso potrebbe rallentare questo filone di ricerca per anni. All'inizio dell'anno infatti era stato pubblicato su Nature un lavoro sulle cellule STAP (stimulus triggered acquisition of pluriotency) che non aveva ricevuto adeguate conferme da parte della comunità scientifica e per questo era stato ritirato. Ma il successo dell'attuale esperimento potrebbe dare un'improvvisa accelerata alla ricerca e all'applicazione clinica delle cellule staminali e potrebbe rappresentare un segnale forte per EMA e FDA –:
   quale sia al momento lo stato della ricerca con le cellule staminali in Italia, in particolare con le cellule iPS, e a quali applicazioni cliniche si guardi come orizzonte possibile in tempi relativamente brevi;
   a quale punto sia la sperimentazione con il protocollo Stamina che avrebbe dovuto partire nel 2013 e invece si è arenata in un silenzio deplorevole, per una serie di contraddizioni, su cui non è ancora stata fatta sufficiente chiarezza, ad avviso dell'interrogante lasciando i malati in balia delle sentenze di magistrati del lavoro, oggettivamente inesperti davanti alle problematiche poste dalle cellule staminali, dai loro rischi, ma anche dalle loro potenzialità. (5-03606)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 21 di settembre 2014 è la giornata mondiale dell'Alzheimer, la 21° da quando è stata istituita, e costituisce una manifestazione a livello globale con l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica sull'argomento, combattendo lo stigma che spesso circonda la malattia, per individuare strategie di azione collettive e ridurne il peso complessivo;
   attualmente, 44 milioni di persone soffrono della malattia e l'obiettivo è quello di ridurre il rischio del 25 per cento a livello globale entro il 2025, ma il World Alzheimer Report 2014, il rapporto mondiale realizzato dal Alzheimer Disease International (Adi) stima che entro il 2025 il numero potrebbe raddoppiare ed entro il 2050 triplicare;
   secondo le stime, nel 2050 il 71 per cento dei soggetti con demenza vivranno in aree più povere e culturalmente meno sviluppate. La realizzazione di campagne di salute pubblica efficaci può contribuire a ridurre il rischio globale;
   i cinque elementi fondamentali per abbassare il rischio di demenza, secondo il World Alzheimer Report 2014 sono: attenzione alla salute cardiaca, esercizio fisico e mentale, dieta bilanciata e partecipazione ad attività sociali;
   «Possiamo ridurre il rischio ?» è il tema di quest'anno che sarà trattato durante il mese mondiale dell'Alzheimer (World Alzheimer's Month 2014), che tradizionalmente ricorre in settembre;
   età e caratteristiche genetiche rientrano tra i fattori di rischio, ma l'astinenza dal fumo, il consumo di cibi più sani, l'attività fisica e una buona istruzione, associati all'abitudine di mantenere il cervello in esercizio, contribuiscono in misura significativa a contenere al minimo le possibilità di soffrire di demenza, afferma Graham Stokes, DG di Dementia Care;
   anche i momenti di socializzazione potrebbero abbassare il rischio di demenza, ma soltanto il 17 per cento della popolazione è a conoscenza di questo fattore. Uno stile di vita di questo tipo giova anche alle persone che soffrono già di demenza o che presentano segnali della malattia, contribuendo a rallentarne la progressione;
   il costo globale per questa malattia, stimato nel 2010, è risultato pari a circa 600 milioni di dollari; numerosi studi indicano che l'incidenza della demenza è in calo nei Paesi ad alto reddito, grazie al miglioramento dell'istruzione e della salute cardiovascolare;
   secondo Martin Prince, autore del rapporto. «Dobbiamo fare tutto quanto in nostro potere per accentuare questa tendenza. Con un costo globale di oltre 600 miliardi di dollari, la posta in gioco non potrebbe essere più alta»;
   uno dei punti su cui si cerca di intervenire a livello mondiale è la salute cardiaca, come è possibile rilevare dalle informazioni disponibili sul sito ufficiale http://www.alz.co.uk/, a cui occorre prestare attenzione per ridurre il rischio individuale di demenza; in particolare, i fumatori rispetto ai non fumatori presentano un rischio di demenza aumentato del 45 per cento;
   il World Alzheimer Report 2014 chiede che la demenza sia inserita nei piani nazionali di salute pubblica come altre malattie e in Italia il 27 giugno di quest'anno il piano demenze è stato presentato al Ministro interrogato ed il 14 novembre si terrà, presso il Ministero, la Conferenza internazionale sulla demenza, cui partecipa anche la Federazione Alzheimer Italia –:
   quando il piano entrerà in vigore, al fine di aiutare i malati e i loro familiari e creare una rete di servizi ad hoc, ormai diventata indispensabile;
   cosa si stia facendo in Italia per ridurre il rischio complessivo di demenza del 25 per cento entro il 2025, come previsto dal World Alzheimer Report 2014. (5-03607)

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   tra il 28 e il 29 luglio 2012 ad Ibiza un cittadino inglese aggrediva utilizzando la pratica cosiddetta del «knock-out», moda violenta consistente nel colpire con un pugno uno sconosciuto per strada, A.N. giovane italiano, abitante di Nepi (Viterbo) che si trovava ad Ibiza per un periodo di vacanza;
   a causa dell'aggressione A.N. è stato ricoverato d'urgenza all'ospedale Can Misses in stato di coma;
   essendo necessaria una TAC al cranio, A.N. doveva essere trasferito all'ospedale di Palma de Maiorca;
   a causa di un guasto alla TAC dell'ospedale di Palma de Maiorca, A.N. veniva trasferito nella clinica privata «Nostra Signora del Rosario»;
   secondo quanto si apprende da molte fonti di stampa, le spese per la degenza nella clinica privata «Nostra Signora del Rosario» sono state addebitate ai familiari della vittima dell'aggressione, nonostante esse dovrebbero essere sostenute dalla ASL di competenza, secondo anche quanto stabilito dal decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 38, concernente l'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera, nonché della direttiva 2012/52/UE, comportante misure destinate ad agevolare il riconoscimento delle ricette mediche emesse in un altro Stato membro;
   dopo più di due anni la ASL di competenza, in questo caso Viterbo, non ha ottemperato a saldare quanto dovuto alla clinica «Nostra Signora del Rosario»;
   la clinica «nostra Signora del Rosario» ha avviato un contenzioso contro la famiglia di A.N. che potrebbe portare quest'ultima a dover risarcire l'esosa cifra che si aggira intorno ai 40.000 euro; si apprende da organi di stampa che la famiglia di A.N. rischia il pignoramento dei beni;
   recenti dichiarazioni del commissario straordinario della ASL di Viterbo, affermerebbero che ad oggi la stessa ASL, nonostante l'obbligo di pagare le spese per le cure di A.N., non avrebbe potuto ottemperare al pagamento a causa di tempi tecnici burocratici –:
   se sia a conoscenza dell'intera vicenda e come intenda procedere, nel limite delle sue competenze e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, affinché le spese delle cure non ricadano sulla famiglia di A.N.;
   se sia a conoscenza di quali tempi tecnici burocratici, così come da dichiarazioni del commissario straordinario della ASL di Viterbo, hanno permesso che questa incresciosa vicenda si prolungasse per più di due anni. (4-06100)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO, COZZOLINO, BENEDETTI, DA VILLA, NICOLA BIANCHI, TOFALO e SPESSOTTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   alcune notizie di stampa hanno portato all'attenzione dell'opinione pubblica i risultati di quanto emerso dall'indagine avviata dalla Corte dei Conti per un presunto danno erariale di 861.709 euro avvenuto nel corso di una passata gestione dell'Ipab (Istituto pubblico di assistenza e beneficenza) di Chioggia;
   nello specifico, all'epoca dei fatti, nel 2010, l'allora direttore dell'istituto per anziani di Chioggia, Piergiorgio Penzo, dopo aver notato alcune irregolarità all'interno dell'istituto, propose la «gestione delle risorse umane tramite agenzia interinale»;
   in seguito a tale denuncia lo stesso fu declassato al secondo posto nell'ambito della gerarchia interna e successivamente, in data 11 gennaio, ricevette una nota per cui i rapporti che le agenzie di collocamento private sarebbero dovuti rientrare nelle competenze esclusive della direzione del personale dell'Ipab;
   il caso in esame evidenzia la necessità di tutelare coloro che, come il direttore Penzo, decidono di denunciare irregolarità e comportamenti anomali nei luoghi di lavoro in cui operano, sia nel settore pubblico che in quello privato e che, invece, molto spesso diventano bersagli di minacce, vessazioni ed atteggiamenti persecutori da parte dei denunciati;
   il tema del «whistleblowing» (letteralmente «soffiare nel fischietto») è divenuto quanto mai attuale ma ancora poco diffuso nel nostro Paese: i «whistleblower», ovvero i lavoratori che nell'interesse pubblico segnalano eventuali atti di corruzione o irregolarità, devono essere infatti adeguatamente tutelati;
   il whistleblowing è uno strumento legale già collaudato da qualche anno, anche se con modalità differenti, in alcuni Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ma che in Italia ancora necessita di una maggiore diffusione nei vari settori lavorativi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritengano opportuno intervenire al fine di garantire un'adeguata tutela nei confronti dei lavoratori che si trasformano in oggetto di minacce e ritorsioni da parte dei soggetti denunciati a seguito di riscontri di possibili irregolarità o atti di corruzione nell'ambito lavorativo, sia pubblico che privato;
   se non ritengano altresì necessario assumere ogni iniziativa di competenza anche al fine di impedire che tali comportamenti irregolari (come, ad esempio, nei casi di assenteismo) arrechino ingenti danni alle casse dello Stato. (5-03623)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSINAROLO, COZZOLINO, DA VILLA, NICOLA BIANCHI, TOFALO e SPESSOTTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il giugno 2014 è entrato in vigore l'obbligo della fatturazione elettronica per i rapporti con le pubbliche amministrazioni;
   per quanto concerne il Ministero della giustizia tale obbligo ha creato un blocco dei pagamenti per quanto riguarda il settore relativo alle spese di giustizia;
   il problema deriva dal fatto che i sistemi informatici utilizzati non consentono l'inoltro della fattura elettronica. In particolare, la piattaforma informatica, nello specifico il canale denominato Siamm, non è funzionante e per tale motivo si è venuta a creare una paralisi nei pagamenti;
   tale situazione ha riguardato in maniera particolare i giudici onorari di tribunale, per i quali vige l'obbligo della fatturazione elettronica e che, a causa del malfunzionamento del sistema informatico in questione, da diverso tempo non ottengono la retribuzione e sono fortemente a rischio anche per i mesi futuri –:
   se siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, intendano assumere al fine di risolvere la grave situazione creatasi successivamente all'introduzione dell'obbligo della fatturazione elettronica per i rapporti con le pubbliche amministrazioni. (4-06104)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GUIDESI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   già con atto di sindacato ispettivo n. 4-02803, del 4 dicembre 2013 e tuttora privo di risposta, firmato anche dall'interrogante si poneva l'attenzione del Governo sulla vicenda del gruppo Newlat ed in particolare sull'apertura della procedura per la collocazione in mobilità di 177 dipendenti e sulla mancata presentazione da parte dell'azienda – nonostante le ripetute richieste da parte delle organizzazioni sindacali – di un piano industriale che chiarisse gli intendimenti del gruppo in merito alle vocazioni dei vari siti produttivi ed al mantenimento dei livelli occupazionali;
   il 22 settembre 2014 la situazione è precipitata dopo che venti dipendenti hanno ricevuto la lettera di licenziamento, sebbene gli accordi firmati il 3 settembre 2014, promettessero l'accesso alla cassa integrazione straordinaria per 12 mesi;
   la posizione è oramai di «muro contro muro» tra lavoratori e parte datoriale, con blocco dei tir che trasportano il latte e presidio permanente davanti ai cancelli da parte degli operai e minaccia di chiudere lo stabilimento se persiste il blocco da parte del presidente di Newlat, Angelo Mastrolìa –:
   se i Ministri interrogati non ritengano doveroso convocare con urgenza proprietà e rappresentanze sindacali per chiarire le motivazioni del mancato rispetto da parte dell'azienda degli accordi firmati il 3 settembre 2014 ed addivenire ad una rapida soluzione della vicenda che scongiuri i licenziamenti in corso. (5-03620)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI e BRAGA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la risposta all'atto 5-02986 presentato dai deputati Braga e Realacci il Sottosegretario di Stato al Ministero dello sviluppo economico, onorevole Simona Vicari, in merito alla condivisa necessità di normare e integrare in rete sistemi di accumulo in esistenti impianti che accedono a tariffe incentivanti, rispondendo così «[...] al fine specifico e condivisibile di garantire la correttezza della gestione del sistema di sostegno, in modo che l'incentivo, a carico dei consumatori elettrici sia effettivamente destinato alla sola energia già ammessa all'incentivo medesimo, esigenza che verrebbe a essere pregiudicata da un inserimento di sistemi di accumulo secondo regole e sistemi non codificati»;
   a quanto sopraddetto si aggiungeva: «il Governo considera una priorità per gli impianti a fonte rinnovabile non programmabile la realizzazione di configurazioni che consentano di migliorare la loro integrazione con il sistema elettrico e con le ordinarie regole di mercato, vista la particolare capacità di penetrazione dimostrata sul mercato nazionale. Al fine di perseguire questo obiettivo, il Ministero dello sviluppo economico, nei limiti consentiti dalle prerogative di indipendenza del regolatore, ha sensibilizzato gli Uffici dell'Autorità circa la necessità di dare piena attuazione alle previsioni di cui al citato decreto ministeriale 5 luglio 2012, allo scopo di consentire l'ordinato sviluppo del settore e delle relative tecnologie. Ci si attende quindi che, anche nelle more del completamento da parte del CEI (Comitato Elettrico Italiano) della definizione dei requisiti tecnici dei sistemi di accumulo, entro l'estate questa disciplina sull'inserimento di sistemi di accumulo in impianti connessi alla rete sia definita e siano, anche, dettate le disposizioni essenziali per regolare la prestazione di servizi di rete. Parimenti, dopo l'emanazione della predetta delibera, il MiSE vigilerà affinché il GSE si attivi sollecitamente per la sua attuazione, adottando i conseguenti provvedimenti di dettaglio e le regole applicative necessarie per consentire l'ordinato sviluppo del settore e delle relative tecnologie, nel rispetto delle esigenze di corretta gestione degli incentivi»;
   è importante ricordare che il citato limite dell'estate di quest'anno è ampiamente superato –:
   se il Ministro dello sviluppo economico intenda sollecitare per quanto di competenza e acquisire al più presto la delibera di disciplina da parte del CEI – Comitato elettrico nazionale – che determina per legge i requisiti tecnici dei sistemi di accumulo connessi in rete affinché, per tramite del GSE, si dia piena attuazione alle previsione del decreto ministeriale 5 luglio 2012. (4-06099)


   QUARANTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dalle rappresentanze sindacali di categoria che il nuovo management di Poste ha deciso di non rinnovare alcuni contratti con aziende a cui erano appaltati i servizi di consegna di alcuni; tale decisione comporterà circa 700 esuberi, di cui 29 a Genova;
   nello specifico, il mancato rinnovo riguarda l'azienda Transystem che dal 5 ottobre 2014 sarà costretta a ridurre drasticamente il suo personale;
   si ritiene poco chiaro il piano di Poste per reinternalizzare il servizio, che probabilmente sarà gestito utilizzando forme contrattuali trimestrali e comunque con ridottissime garanzie, sia per la qualità del servizio sia per i lavoratori;
   sussiste la richiesta delle parti sociali di rivedere tale scelta o di provvedere, reinternalizzando il servizio, anche all'assunzione, con adeguate garanzie e tipologie contrattuali, dei lavoratori che già svolgono queste mansioni –:
   se il Ministro sia a conoscenza di questa grave situazione e quali iniziative intenda assumere al fine di tutelare sia il servizio sia, soprattutto, gli attuali livelli occupazionali scongiurando l'ennesima situazione di crisi nel mondo del lavoro.
(4-06107)


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 31 luglio 2014 la società Enel Longanesi Developments ha inoltrato domanda al Ministero dello sviluppo per un permesso di ricerca di idrocarburi in un tratto di mare davanti Pescara vasto ben 73.850 ettari, un'area enorme che sarebbe interessata dalla ricerca ed estrazione di idrocarburi;
   la via delle trivellazioni petrolifere e in generale dell'Abruzzo come distretto minerario non trova adesione nelle scelte di sviluppo sostenibile assunte dalla regione Abruzzo e dagli enti locali;
   il mare adriatico deve valorizzare la scelta dello sviluppo del turismo e dell'ambiente, delle sue ricchezze ittiche, gastronomiche, paesaggistiche –:
   se il Governo non intenda rifiutare il modello delle multinazionali del petrolio e condividere le scelte della regione Abruzzo contrarie alle trivellazioni nel mare adriatico per ragioni ambientali e produttive coerenti con una visione di sviluppo sostenibile. (4-06109)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Scanu ed altri n. 1-00586, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 settembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche del deputato Marazziti e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Scanu, Marazziti, Aiello, Bolognesi, D'Arienzo, Ferro, Fioroni, Fontanelli, Carlo Galli, Garofani, Gregori, Marantelli, Massa, Moscatt, Salvatore Piccolo, Giuditta Pini, Stumpo, Valeria Valente, Villecco Calipari, Zanin, Carra, Iacono, Amoddio».

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Malpezzi e altri n. 5-03230, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ghizzoni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Turco e altri n. 5-03605, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 settembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Tofalo, Da Villa.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori;
   interrogazione a risposta scritta Lacquaniti n. 4-02660 del 25 novembre 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Oliverio n. 5-01556 del 26 novembre 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Pannarale n. 5-03350 del 28 luglio 2014;
   interpellanza urgente Fedriga n. 2-00677 del 16 settembre 2014;
   interrogazione a risposta scritta Palazzotto n. 4-06070 del 18 settembre 2014.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AMENDOLA e PAOLUCCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal mese di settembre 2013 i sentieri di Ginostra – minuscola frazione dell'isola di Stromboli nell'arcipelago delle Eolie, inserita dall'Unesco come patrimonio dell'umanità e riserva naturale orientata – in seguito alle recenti piogge, versano in uno stato di totale degrado, in particolare la stradina che conduce dal centro abitato alla pista eliportuale di protezione civile;
   per tale stradina, già quasi impraticabile prima delle piogge, sono stati più volte, in passato, richiesti interventi delle amministrazioni locali da parte dei residenti ed in particolare dal consulente dell'amministrazione comunale di Lipari, Gianluca Giuffrè. Allo stato attuale risulta impossibile raggiungere la pista degli elicotteri. Qualora si presentasse un'emergenza di carattere medico-sanitario o un problema di evacuazione, come nel 2002, legato all'attività dello Stromboli (Ginostra si trova ai piedi di un vulcano attivo) sarebbe molto difficile poter accedere alla pista;
   la stessa prefettura di Messina, con una nota del 18 settembre 2013 ha chiesto al comune di Lipari di effettuare opportuni accertamenti e di adottare idonei provvedimenti per l'immediata messa in sicurezza e ripristino della strada a tutela della pubblica e privata incolumità. Oltretutto, un enorme masso, recentemente, si è staccato dal costone che sovrasta l'area portuale di Ginostra e minaccia di scendere a valle da un momento all'altro finendo sull'unica strada d'accesso al villaggio –:
   quali interventi straordinari si intendano promuovere al fine di ripristinare il sentiero che conduce all'elipista di protezione civile e quello d'accesso al villaggio dell'isola di Stromboli al fine di assicurare la tutela della pubblica incolumità nonché di garantire ai cittadini di Ginostra la possibilità di essere soccorsi in caso di emergenza. (4-02439)

  Risposta. — La situazione segnalata nell'interrogazione è stata seguita con attenzione del prefetto di Messina, il quale – con una nota del 18 settembre 2013 – ha chiesto al sindaco di Lipari di disporre opportuni accertamenti e di adottare eventuali provvedimenti per il ripristino e l'immediata messa in sicurezza della stradina che collega il centro abitato di Ginostra (frazione dell'isola di Stromboli) alla pista eliportuale, a tutela della pubblica e privata incolumità.
  Il sopralluogo tecnico disposto dall'ufficio comunale della protezione civile ha effettivamente confermato la necessità di mettere in sicurezza il sentiero; di conseguenza, al fine di rendere percorribile la stradina per le esigenze dell'elisoccorso, sono stati effettuati alcuni interventi di sistemazione.
  Attualmente il sentiero in terra battuta è percorribile solo a piedi, ma risulta che dal prossimo mese di settembre inizieranno i lavori di sistemazione del fondo stradale, con piastrellatura in pietra lavica.
  Occorre, altresì, precisare che la frazione di Ginostra ricade ai margini della riserva naturale orientata e integrale Isola di Stromboli e Strombolicchio, gestita dal Dipartimento regionale azienda foreste demaniali della Regione Siciliana. Risulta che tale ente abbia già elaborato progetti e individuato risorse finanziarie per la manutenzione dei sentieri storici delle isole eolie di proprietà del comune di Lipari, da realizzare d'intesa con quell'amministrazione comunale.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Rimini è caratterizzata da un'evidente discrasia numerica tra la popolazione anagraficamente residente (330.000 abitanti) e quella effettivamente presente (15 milioni di presenze registrate nel 2013) sul territorio provinciale. Le presenze registrate nelle sole strutture ricettive ammontano ad oltre 15.000.000 con una media mensile di circa 1.300.000 persone, con picchi nei mesi di luglio e agosto sino a 4.500.000/4.700.000 unità;
   il divario tra popolazione residente e presenze non sussiste solo durante il periodo estivo ma anche durante il periodo compreso tra settembre e maggio causa il processo di destagionalizzazione dell'offerta turistica riminese, unitamente alla presenza di importanti opere e strutture (fiera di Rimini, il palacongressi di Rimini, i centri congressi di Riccione, Bellaria e Cattolica);
   il calendario delle manifestazioni turistiche è divenuto per importanza e durata il secondo in Italia dopo Milano. Consolidata, è altresì la presenza di decine di migliaia di giovani che ogni fine settimana, in tutti i periodi dell'anno, si riversano nei noti locali della riviera;
   tali massicce presenze si riverberano evidentemente sulla delittuosità. La provincia riminese occupa – a livello nazionale – la seconda posizione nel rapporto tra reati commessi e popolazione residente e come confermato anche recentemente nel rapporto del presidente della corte d'Appello di Bologna, la provincia di Rimini occupa la terza posizione – in Emilia Romagna – per numero di procedimenti penali aperti e la prima posizione per il rischio di infiltrazione di associazioni criminali di stampo mafioso come peraltro confermato nella relazione DIA presentata nel febbraio di quest'anno;
   in relazione a tali fattori di rischio la provincia di Rimini è stata inserita nel progetto «mappatura criminalità organizzata» che consente il censimento delle organizzazioni criminali e dei soggetti ad esse collegati;
   nell'ultimo periodo si è verificata, altresì una forte recrudescenza dei reati predatori e del fenomeno della prostituzione su strada – fenomeni che destano un particolare allarme sociale, tant’è che sono state avviate pacifiche iniziative di protesta dei cittadini;
   negli ultimi anni è notevolmente cresciuto il fenomeno dell'abusivismo commerciale, in particolare quello su spiaggia, tant’è che nella decorsa estate in carenza di adeguati rinforzi, la prefettura di Rimini ha stipulato un apposito accordo con le associazioni di categoria e gli istituti di vigilanza e operatori del volontariato, per presidiare, nei limiti previsti dalla normativa gli accessi alle spiagge mediante guardie particolare giurate;
   la situazione attuale degli organici delle forze di polizia non considera tali peculiarità che caratterizzano la provincia di Rimini;
   la determinazione della pianta organica – avvenuta nella provincia di Rimini all'atto dell'istituzione con decreto ministeriale del 1996 – è tuttora commisurata al mero dato demografico della popolazione residente, e conseguentemente da tempo appare non più adeguata a far fronte, con corrispondente efficacia al locale livello qualitativo della vita ed alle aspettative della società civile ed imprenditoriale locale, alle multiformi esigenze che caratterizzano questa provincia sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica. La dotazione organica di Rimini non può, quindi, essere più rapportata alla sola popolazione residente, considerato anche che, non solo nel periodo estivo, si ricorre di frequente ad aggregazioni, peraltro con conseguenti oneri aggiuntivi per l'amministrazione;
   la consistenza organica della questura di Rimini è di 212 unità, numero, questo, inferiore persino alla consistenza di Isernia (220 unità) che ha registrato nel 2012 n. 3004 delitti denunciati contro i 23.710 della provincia di Rimini;
   anche la comparazione con le province limitrofe o di analoghe dimensioni evidenzia una situazione di criticità nel territorio di Rimini, ad esempio:
    la questura di Rimini (residenti capoluogo 114.118) ha una consistenza organica di 212 unità e un tasso di delittuosità pari a 23710;
    la questura di Prato (residenti capoluogo 192.130) ha una consistenza organica di 280 unità e un tasso di delittuosità pari a 15693;
    la questura di Pesaro (residenti capoluogo 94.705) ha una consistenza organica di 167 unità e un tasso di delittuosità pari a 12911;
    la questura di Forlì (residenti capoluogo 116.271) ha una consistenza organica di 209 unità e un tasso di delittuosità pari a 10819;
    la questura di Ravenna (residenti capoluogo 160.243) ha una consistenza organica di 223 unità e un tasso di delittuosità pari a 23556;
    la questura di Isernia (residenti capoluogo 22.015) ha una consistenza organica di 220 unità e un tasso di delittuosità pari a 3004;
   se non ritenga necessario rivedere – anche nel contesto dell'attuale riorganizzazione dei presidi sul territorio – gli attuali criteri di determinazione delle dotazioni organiche delle forze di polizia, rendendoli strutturali e più rispondenti sia per durata della presenza sia per consistenza degli organici alle effettive esigenze dei territori;
   se intenda valutare in sede di determinazione dei contingenti da inviare per il periodo estivo le peculiarità della provincia di Rimini, e pertanto di anticiparne l'invio almeno al 1° luglio e stabilirne la presenza fino al 15 settembre (per coprire anche il MotoGP che si disputa a Misano), tenuto anche conto che il contingente di 30 militari assegnato alla suddetta provincia per il concorso nei servizi di perlustrazione e pattugliamento è stato convogliato – fino a data imprecisata – in Campania (Terra dei fuochi) facendo venir meno un importante apporto ai servizi di controllo del territorio. (4-04478)

  Risposta. — Il Ministero dell'interno presta la massima attenzione alle maggiori esigenze di uomini, mezzi e servizi che nel periodo estivo caratterizzano i presidi di polizia ubicati nelle località ad elevato afflusso turistico. Si tratta di un'attenzione riferita, ovviamente, a tutto il territorio nazionale e, in tale ambito, anche alla provincia di Rimini.
  Effettivamente, anche nelle località turistiche riminesi, a partire dal comune capoluogo, è fortemente sentita in estate l'esigenza di servizi di ordine e sicurezza pubblica aggiuntivi a quelli ordinari, finalizzati, soprattutto, a contrastare la commissione di reati contro il patrimonio nonché i fenomeni della prostituzione e dell'abusivismo commerciale.
  A tal fine, il Ministero dell'interno ha disposto, per l'anno in corso, l'impiego scaglionato di 300 unità di rinforzo, di cui 104 della, polizia di Stato, 135 dell'arma dei carabinieri, 36 della guardia di finanza e 5 del corpo forestale dello Stato.
  Più precisamente, è stato previsto l'invio, per il periodo 6 luglio-31 agosto, di 86 unità della polizia di Stato per le esigenze della Questura.
  Inoltre, sono stati attivati i posti stagionali della polizia di Stato di Bellaria-Igea Marina e di Riccione. Dal 1o luglio al 31 agosto sono state assegnate 10 unità per le esigenze della polizia ferroviaria, che sono andate a sommarsi alle 8 unità inviate per le esigenze della polizia stradale per il periodo 20 giugno-8 settembre.
  L'arma dei carabinieri ha assegnato 137 militari dal 28 luglio al 17 agosto, nonché altre 18 unità dall'11 al 31 agosto.
  I 36 militari della guardia di finanza sopra citati sono stati assegnati come potenziamento estivo per il periodo 1o-20 agosto, mentre il rinforzo delle 5 unità del corpo forestale dello Stato riguarda il periodo 1o-31 agosto.
  Si tratta, ovviamente, di contingenti aggiuntivi, al personale delle forze di polizia impiegato stabilmente nella provincia.
  In tale ambito territoriale, gli uffici e reparti ordinari della polizia di Stato presentano, secondo i dati aggiornati al 1o giugno scorso, una forza effettiva di 399 unità appartenenti ai ruoli del personale che espleta funzioni di polizia – rispetto a una previsione organica di 411 unità –, a cui vanno aggiunte 22 unità appartenenti ai ruoli del personale di polizia che espleta attività tecnico-scientifiche e o tecniche e 37 unità appartenenti ai ruoli dell'Amministrazione civile dell'interno.
  Al dispositivo ordinario di controllo del territorio concorrono, poi, 447 militari dell'Arma dei carabinieri e 301 militari della guardia di finanza.
  Va anche evidenziato che, in occasione della prossima immissione in ruolo di agenti della polizia di Stato, prevista per il secondo semestre del corrente anno, sono state avviate le procedure per l'assegnazione alla Questura di Rimini di ulteriori risorse quantificate, sulla base di valutazioni non ancora definitive, in circa 10 unità.
  Si soggiunge, infine, che l'andamento della delittuosità nella provincia ha fatto segnare, nei primi quattro mesi del corrente anno, una flessione pari al 7,3 per cento in confronto con l'analogo periodo dell'anno precedente, dato confermato anche per il comune capoluogo dove la diminuzione si è attestata al 7,7 per cento.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   BOSSA, GINEFRA, EPIFANI, COLANINNO, GRASSI, AMATO, MARZANO, MOGNATO, BOCCUZZI, CARDINALE, BRUNO BOSSIO, ALBINI, GINOBLE, GAROFANI, BINDI, TARTAGLIONE, GNECCHI, LENZI, MALPEZZI, MICHELE BORDO, CARBONE, VACCARO, GHIZZONI, AMENDOLA, GIULIANI, GRECO, ROSSOMANDO, BENAMATI, DE MARIA, GULLO e MARIANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Latina Oggi, sulla pagina web del 16 maggio 2014, riporta la notizia per cui nell'ambito del lavoro ortofrutticolo si registrerebbero «operai dopati» per sopportare il lavoro nei campi;
   sarebbe questo il risultato di uno sconcertante dossier realizzato dal sociologo Marco Omizzolo per l'associazione InMigrazione;
   sarebbero molti i Sikh costretti nelle campagne tra Latina, Sabaudia e Terracina ad assumere metanfetamine per resistere a oltre 15 ore di durissimo lavoro sotto le asfissianti serre chiuse e imbottite di pesticidi;
   i braccianti – per lo più di nazionalità indiana e molto numerosi nell'agro pontino – avrebbero spesso la tosse e dolori in varie parti del corpo per la posizione scorretta cui sono costretti a stare per molte ore;
   il quotidiano osserva altresì che i lavoratori fanno una fatica immensa per, pochi spiccioli e a fine giornata andrebbero via in bicicletta: qualcuno verrebbe rapinato, altri investiti dalle automobili;
   sempre secondo la cronaca di Latina Oggi, «chi torna a casa non sa più come andare avanti e così, al mattino, prende un ovetto di metanfetamine oppure bulbi di papavero essiccati. Sostanze, a quanto sembra, cedute agli operai dai caporali; per farli resistere, per farli lavorare – qualora fosse possibile – ancora di più. Le forze dell'ordine che operano nella zona, negli ultimi tempi, hanno sequestrato chili e chili di droga. Tutto, purtroppo, sembra confermare questo terribile sospetto»;
   la cronaca appena riportata fa riferimento a sequestri di droga che sarebbero avvenuti di recente;
   la zona del basso Lazio, purtroppo e da molti anni, è anche oggetto di documentate infiltrazioni della camorra, con speciale riguardo al mercato di Fondi –:
   se siano a conoscenza di quanto descritto in premessa;
   se risultino effettivamente indagini in corso su episodi di intermediazione illecita di manodopera o altre fattispecie penali relative allo sfruttamento del lavoro;
   se risultino altresì in corso indagini per traffico di stupefacenti, eventualmente connesse a inchieste per reati di criminalità organizzata. (4-05356)

  Risposta. — Nella provincia di Latina, la comunità indiana di religione sikh, lì giunta verso la metà degli anni ottanta, è composta da circa 12 mila persone, la maggior parte delle quali svolge attività di bracciante presso le aziende agricole presenti nelle zone di Terracina e di Fondi. Non di rado l'impiego lavorativo, che a volte assume forme di vero e proprio sfruttamento, è connesso ad illeciti volti a favorire la permanenza illegale sul territorio degli immigrati.
  Alla luce del quadro appena delineato, le forze di polizia svolgono una costante attività di prevenzione anche attraverso proficui rapporti informativi con i rappresentanti della comunità sikh. Le attività investigative hanno permesso di perseguire, in particolare, illeciti in materia di falsificazione di visti di ingresso, titoli di soggiorno, autorizzazioni e «nulla osta» al lavoro subordinato.
  In tale contesto si inserisce l'operazione condotta dalla squadra mobile di Latina che, il 27 marzo del 2013, a conclusione di una complessa attività d'indagine, ha portato all'emissione di provvedimenti restrittivi nei confronti di 11 persone, tra le quali 2 cittadini di nazionalità indiana, consentendo la disarticolazione di un'organizzazione criminale dedita al falso documentale e al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
  Più recentemente, il 10 aprile scorso, la stessa squadra mobile ha arrestato tre persone dedite allo sfruttamento di manodopera indiana attraverso false attestazioni di prestazioni lavorative finalizzate a ottenere illecitamente permessi di soggiorno.
  Sempre sotto il profilo dell'attività di prevenzione e di contrasto del fenomeno del «lavoro nero» nelle campagne pontine, si evidenzia che gli organi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel biennio 2013-2014, hanno controllato complessivamente 45 aziende agricole, procedendo alla contestazione di 12 cosiddette «maxisanzioni» e alla sospensione di 8 attività imprenditoriali.
  Per quanto riguarda il contrasto del traffico di sostanze stupefacenti, rimane alta l'attenzione delle forze dell'ordine e della magistratura, anche in relazione ai peculiari profili che sono stati segnalati nell'atto di sindacato ispettivo. Lo testimoniano, del resto, le diverse operazioni condotte dalle forze di polizia nella provincia di Latina che hanno consentito, dall'inizio dell'anno, di sequestrare oltre 35 chilogrammi di sostanze stupefacenti e di denunciare all'autorità giudiziaria 64 persone, di cui 54 in stato di arresto.
  In particolare, si segnala che negli ultimi mesi sono stati effettuati diversi sequestri di sostanze stupefacenti nell'ambito della comunità sikh presente sul territorio di Latina, circostanza che in precedenza non si era registrata in modo significativo.
  La guardia di finanza, il 25 gennaio scorso, nell'ambito di un controllo che ha portato all'arresto di due cittadini indiani, ha rinvenuto in un furgone 257 bulbi di papavero da oppio essiccati. Nelle successive perquisizioni presso l'abitazione dei predetti stranieri sono stati sequestrati 6 chilogrammi di bulbi di papavero e 300 grammi di metanfetamina.
  Inoltre, il 1o febbraio scorso, la polizia di Stato ha sequestrato circa 12 chilogrammi di droga «denominata paglia di papavero» arrestando due cittadini di nazionalità pakistana e indiana.
  Infine, il comando provinciale dell'arma dei carabinieri di Latina, nel corso di specifiche attività di controllo nei territori di Sabaudia e di Terracina ha deferito per «detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti» un imprenditore agricolo ed arrestato sei cittadini indiani, in possesso di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti.
  Tanto detto sul coinvolgimento di cittadini indiani nell'uso di sostanze stupefacenti, si rappresenta che, al momento, non sono emersi elementi investigativi tali da comprovare la riconducibilità dell'uso di tali sostanze alle gravose condizioni di lavoro cui sarebbe sottoposta la manodopera indiana.
  Si assicura comunque che l'attività delle forze dell'ordine nel monitoraggio e controllo del fenomeno evidenziato nell'interpellanza proseguirà con il massimo impegno e determinazione.
  Con riferimento, infine, alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel mercato ortofrutticolo di Fondi, cui si fa cenno nell'interrogazione, si evidenzia che l'operazione di polizia giudiziaria denominata «Sud Pontino», condotta da operatori della direzione investigativa antimafia il 10 maggio 2010, con l'arresto – tra l'altro – di 68 persone, ha consentito la disarticolazione di un'organizzazione malavitosa che condizionava illecitamente tutte le dinamiche di mercato, a partire dall'imposizione dei prezzi a livello locale fino al trasporto e alla distribuzione delle merci.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   BRANDOLIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Gradisca d'Isonzo, opera dal 2004 un CARA e fino ad alcuni mesi fa un CIE con fino a 400 ospiti;
   il consorzio Connecting People che assicura il personale per assistere gli ospiti extracomunitari e rifugiati presso il Cara di Gradisca d'Isonzo, struttura che attualmente ospita 204 rifugiati rispetto ai 138 posti previsti;
   il consorzio Connecting People è in grave crisi di liquidità; infatti gli operatori del CARA non ricevono lo stipendio dal mese di gennaio, le mensilità arretrate da giugno a dicembre 2013, erano state pagate, seppure all'80 per cento direttamente dalla Prefettura senza che il denaro passasse attraverso l'ente gestore;
   al dramma dei dipendenti del consorzio Connecting People si aggiunge quello della cooperativa Luoghi Comuni che forniva ai due centri gli interpreti e mediatori linguistici e, causa il mancato pagamento da parte di Connecting People, a fine marzo aveva licenziato 9 operatori che lavoravano alla struttura di Gradisca d'Isonzo, le organizzazioni sindacali sono riuscite a far riassumere tutti gli operatori per evitare l'interruzione del servizio –:
   come intenda affrontare questa grave e ricorrente situazione per garantire il regolare pagamento degli stipendi e l'assistenza agli ospiti;
   se non sia il caso che la prefettura si sostituisca in maniera continuativa e definitiva a Connecting People e provveda direttamente al pagamento degli stipendi per evitare che si perpetui questa drammatica situazione sia per gli operatori che i rifugiati. (4-05372)

  Risposta. — Il centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e il centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Gradisca d'Isonzo sono gestiti dal consorzio Connecting People di Trapani, in base a una convenzione triennale sottoscritta con la Prefettura di Gorizia, valida per il periodo dal 1o aprile 2013 al 31 marzo 2016.
  Il funzionamento del CIE è stato temporaneamente sospeso, a partire dal mese di novembre scorso, a causa dei danneggiamenti provocati dagli stranieri ivi trattenuti. Attualmente sono in fase di completamento i lavori necessari per ripristinare l'agibilità della struttura, al fine di un suo eventuale riutilizzo, in via eccezionale, come centro di accoglienza (Cda), per far fronte ai numerosi sbarchi di profughi sul territorio nazionale.
  È invece sempre attivo l'attiguo Cara, che al momento ospita 16 persone in più rispetto a una capienza teorica di 138 posti. In seguito all'adozione del decreto ministeriale del 7 agosto 2014, la struttura ha assunto anche la denominazione e le funzioni di CDA, per ulteriori 50 unità.
  L'ente gestore – come rilevato nell'interrogazione – versa in una situazione di difficoltà economica, che ha determinato la cessione di tutti i crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione a una società finanziaria; oltre a ciò, nel febbraio scorso, il consorzio ha presentato istanza per essere ammesso al concordato preventivo «in bianco» alla sezione fallimentare del tribunale di Trapani, al fine di poter proseguire la propria attività.
  Per affrontare il problema della mancata retribuzione degli operatori impiegati presso il centro, la prefettura di Gorizia ha provveduto a corrispondere, in due tempi, l'80 per cento della retribuzione da luglio a dicembre 2013, tredicesima compresa; l'intervento sostitutivo diretto, però, ha riguardato esclusivamente i lavoratori dipendenti del consorzio e non i lavoratori a partita iva, in quanto la normativa non consente un'analoga iniziativa nei confronti di questi ultimi.
  Inoltre, nei mesi di giugno e luglio 2014, dopo aver acquisito i necessari pareri degli organi consultivi, la Prefettura ha corrisposto un'ingente somma all'ente gestore – tramite la società finanziaria cessionaria del credito – quale corrispettivo dei servizi resi, ricevendo ampia assicurazione sul pronto pagamento di alcune mensilità in favore del personale e, soprattutto, dei prestatori d'opera.
  Si assicura, comunque, che la vicenda è seguita con la massima attenzione dalla prefettura, al fine di tutelare i diritti dei lavoratori che prestano servizio presso il centro e, allo stesso tempo, di garantire adeguati
standard di accoglienza.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 dicembre 2010 il Consorzio di bonifica della Baraggia Biellese e Vercellese ha presentato un progetto definitivo denominato: «Rifacimento dell'invaso sul torrente Sessera in sostituzione dell'esistente, per il superamento delle crisi idriche ricorrenti, il miglioramento dell'efficienza idrica degli invasi esistenti sui torrenti Ravasanella ed Ostola e la valorizzazione ambientale del comprensorio»;
   è in corso una procedura di valutazione di impatto ambientale statale per l'espressione del giudizio di compatibilità ambientale e contestuale valutazione di incidenza;
   il progetto ha destato sin da subito la preoccupazione di gran parte delle amministrazioni comunali e delle popolazioni coinvolte, in particolar modo l'associazione che si è denominata «Custodiamo la Valsessera»;
   l'Associazione «Custodiamo la Valsessera» ha presentato in corso di procedura richiesta per l'istituzione della commissione di inchiesta pubblica, non essendo l'invaso proposto puntualmente previsto nella pianificazione regionale e nazionale; le modifiche delle norme d'area del PTA o i progetti di fattibilità dell'opera non sono inoltre mai stati sottoposti al parere delle comunità locali (a tale richiesta il Ministero ha posto un diniego);
   l'Associazione «Custodiamo la Valsessera» ha presentato in corso di procedura due articolate e copiose osservazioni di merito di cui sia il proponente che la commissione tecnica per la valutazione dell'impatto ambientale non hanno tenuto minimamente conto; successivamente, ha inoltrato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alcune formali diffide facendo ulteriormente presente i vincoli propri del SIC, del PPR Piemonte, del PFA Valsessera e l'assenza della puntuale previsione dell'opera nel PTA della regione Piemonte;
   l'istruttoria tecnica della commissione ministeriale per la valutazione di impatto ambientale è iniziata in data 3 maggio 2011. Un primo parere, positivo con prescrizioni, è stato espresso dalla commissione ministeriale con atto n. 1031 del 7 settembre 2012;
   in data 19 luglio 2013, la Commissione ministeriale per la valutazione di impatto ambientale ha emesso il parere n. 1297 che integra il precedente;
   un nuovo parere n. 1331 del 6 settembre 2013 modifica ed integra il quadro prescrittivo del parere n. 1031;
   allo stato attuale è in istruttoria una ulteriore revisione del parere da parte della commissione ministeriale per la valutazione di impatto ambientale;
   a parere degli interroganti l'inutilità dell'opera è dimostrata da diversi fattori:
    il rapporto costi benefici dell'opera ne dimostra l'inutilità poiché, a fronte di un costo di 322.350.000,00 euro ne deriverebbero benefici irrilevanti sia perché le attuali disponibilità idriche sono ampiamente sufficienti, sia perché a livello regionale il consumo dell'acqua a fini irrigui, oltre il 70 per cento delle disponibilità, produce solamente il 2 per cento del prodotto lordo, per di più nelle attività agricole meno redditizie;
    la realizzazione di un nuovo invaso, maggiore dell'attuale presente, produrrebbe un impatto insostenibile sull'ecosistema del torrente Sessera attraverso una modifica del deflusso dell'acqua sia a monte sia a valle dell'invaso. Il rilascio del previsto deflusso minimo non sarebbe sufficiente a mantenere le condizioni vitali del torrente e, inoltre, manterrebbe un flusso idrico costante durante l'anno, stravolgendo irreversibilmente l’habitat del torrente, caratterizzato da una distribuzione annuale delle portate con andamento bimodale, in cui si riscontrano due massimi (uno primaverile ed uno autunnale) e due minimi (invernale ed estivo) rendendolo inadatto alla sopravvivenza delle comunità biotiche;
    gli impatti sulla componente idrica, dovendo lavorare anche nell'alveo del torrente Sessera e sulle sue sponde, creando lo sbarramento dell'invaso, sarebbero elevati anche durante la fase di realizzazione dell'opera;
    gli impatti apportati dalle opere in progetto in fase di esercizio riguarderanno in particolare l'area dell'invaso e sarebbero molto elevati ai danni degli habitat forestali sommersi. In particolare, si avrebbe la perdita degli habitat di importanza comunitaria 9110 – Faggete Acidofile e 9130 – Faggete Eutrofiche, nonché dell’habitat prioritario 91E0 – Boschi Alluvionali di Ontano Nero, Ontano Bianco, quest'ultimo presente lungo i torrenti montani ad acque ossigenate o, talvolta, bassi versanti freschi, quali quelli che verrebbero sacrificati dall'invaso;
   l'opera inoltre non è compatibile con le previsioni del piano territoriale regionale, piano urbanistico territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali e del piano territoriale provinciale che ha anche ruolo di strumento per la tutela paesistica e ambientale, in accordo con le previsioni del piano paesistico regionale;
   i siti interessati dal progetto ricadono nelle aree denominate «Boschi e foreste (articolo 2.2)», «Corsi d'acqua e relative fasce di rispetto fluviali (articolo 2.3)», «Sistema delle dorsali alpine (articolo 2.5)» e «Aree di individuazione dei biotopi e siti di interesse comunitario (S.I.C.) (articolo 2.9)»;
   nell'articolo 2.2 si precisa che «Il P.T.P., seguendo le direttive in materia dettate dal P.T.R., tutela e valorizza il sistema forestale in relazione alla gestione della risorsa, alla prevenzione del dissesto e al consolidamento della rete ecologica Provinciale».
   l'articolo 2.3 specifica che «Al fine di favorire il riformarsi della vegetazione spontanea e la costituzione di corridoi ecologici, nonché di consentire il regolare svolgimento delle attività di vigilanza, manutenzione, irrigazione e difesa del suolo, ad una distanza inferiore a 10 metri dagli alvei incisi dei corsi d'acqua sono vietate nuove edificazioni»;
   infine, l'articolo 2.9. definisce come «Biotopi le porzioni di territorio che costituiscono un'entità ecologica di rilevante interesse per la conservazione della natura, indipendentemente dal fatto che tali aree siano protette dalla legislazione vigente». Inoltre, «Negli ambiti delimitati come Biotopi dalla data di inserimento del Biotopo nel piano regionale delle aree protette, sono consentiti esclusivamente gli interventi che non compromettano il raggiungimento degli obiettivi di tutela e che non ne alterino le caratteristiche naturalistico – ambientali e le tendenze evolutive naturali»;
   l'invaso potrebbe inoltre causare l'innesco di possibili dissesti. Nelle valli del bacino del Sessera, si constata infatti che gli eventi franosi presentano prevalentemente carattere superficiale, coinvolgenti in genere le coperture detritico-colluviali e le coltri di alterazione del substrato roccioso;
   lungo il bacino del Dolca, invece, la diffusione dei lembi quaternari, ed in particolare dei depositi glaciali in destra idrografica, risulta decisamente maggiore sia in termini di estensione areale che, subordinatamente, in termini di sviluppo verticale. In tali ambiti si registra una frequenza dissestiva sensibilmente elevata, che meriterebbe un più accurato livello di approfondimento;
   le criticità sarebbero legate principalmente alla variazione del livello dell'acqua del lago che comporterà anche notevoli fluttuazioni, in base a periodi di abbondanti precipitazioni o a periodi siccitosi. Tali variazioni comporteranno il susseguirsi di sommersioni e asciutta delle scarpate del lago artificiale che potrà favorire il dissesto;
   da un recente articolo della Stampa risulterebbe che 25 milioni di euro sarebbero già stati elargiti dallo Stato per inaugurare i cantieri dell'opera;
   il vice ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Olivero nella seduta pomeridiana n. 229 del 10 aprile 2014 in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 2-00146 ha annunciato che finora «... tale opera non ha trovato una copertura finanziaria, né potrà ottenerla nella programmazione degli interventi infrastrutturali irrigui al momento previsti nella programmazione 2014-2020 del Fondo per lo sviluppo rurale, stante l'elevata dimensione finanziaria. Infatti, il programma operativo nazionale, nell'intesa raggiunta in Conferenza Stato-Regioni il 16 gennaio scorso, è stato pianificato per un totale di 300 milioni di euro». Il viceministro ha aggiunto, inoltre, che «... presso la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS, istituita ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, (i cui componenti sono nominati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare), sono in corso approfondimenti atti a verificare che sia garantita la disponibilità della risorsa di acqua potabile alle popolazioni interessate, definendone gli aspetti quantitativi» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei dati sopra forniti e, in considerazione dell'apertura di una nuova istruttoria annunciata dal rappresentante del Governo così come indicato in premessa, non ritenga necessario verificare tutti i rilievi critici presentati dalle amministrazioni locali e dalle associazioni territoriali in particolare «Custodiamo Valsessera», che da tempo si battono contro la costruzione dell'opera;
   se il Ministro ritenga ancora opportuno finanziare un'opera che presenta seri dubbi sotto diversi e comprovati aspetti di natura ambientale, civico ed economico in un momento del tutto particolare della finanza pubblica che non può davvero permettersi spese ingiustificate. (4-04578)

  Risposta. — Le osservazioni ed i quesiti posti dagli interroganti erano stati oggetto di una precedente interrogazione parlamentare (n. 4-03410 sempre a firma dell'onorevole Busto) sul medesimo progetto «invaso sul torrente Sessera in sostituzione dell'esistente, per il superamento delle crisi idriche ricorrenti, il miglioramento dell'efficienza idrica degli invasi esistenti sui torrenti Ravasanella ed 0stola e la valorizzazione ambientale del comprensorio» presentato dal consorzio di bonifica della baraggia biellese e vercellese in corso di procedura di VIA presso il Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare.
  Con particolare riferimento ai contenuti delle osservazioni, delle diffide e della sentenza del tribunale di Vercelli, presentate da parte dell'associazione «custodiamo la Valsessera» nel corso dell'istruttoria di valutazione impatto ambientale in opposizione alla realizzazione del progetto, va posto in evidenza che esse sono state compiutamente considerate negli atti istruttori da parte della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS che ha espresso da ultimo il parere n. 1524 del 13 giugno 2014.
  Quest'ultimo ha integrato i precedenti pareri già espressi (n. 1031 del 7 settembre 2012, n. 1297 del 19 luglio 2013, n. 1331 del 6 settembre 2013, n. 1442 del 14 febbraio 2014) che tenevano conto delle note e delle diffide trasmesse dall'associazione «custodiamo la Valsessera» come è possibile riscontrare dalla lettura dei medesimi atti. Sono state analizzate e controdedotte puntualmente tutte le ulteriori osservazioni formulate in opposizione al progetto anche quando sono pervenute oltre la scadenza dei termini previsti dalla legge (60 giorni dalla data degli avvisi al pubblico). Sono stati effettuati ulteriori approfondimenti istruttori e si è così pervenuti all'emanazione dei citati pareri integrativi n. 1442 del 14 febbraio 2014 e n. 1524 del 13 giugno 2014.
  La commissione valutazione di impatto ambientale-valutazione ambientale strategica, ha naturalmente esaminato gli aspetti ambientali senza esprimere alcuna valutazione sui costi e sulla copertura finanziaria dell'opera, non rientrando nelle proprie specifiche competenze.
  Nel corso dell'istruttoria di valutazione di impatto ambientale è stato valutato ed analizzato anche l'impatto sulla componente idrica e sull'ecosistema fluviale; peraltro, come noto, esistono specifici strumenti di tutela delle acque (piano di gestione del distretto idrografico del fiume Po, piano regionale di tutela delle acque) sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. La coerenza del progetto con tali strumenti di pianificazione e programmazione settoriale sovraordinati è ugualmente stata verificata dalla Commissione (in particolare tali aspetti sono richiamati negli ultimi pareri citati n. 1442 del 17 febbraio 2014 e n. 1524 del 13 giugno 2014) nonché approfondita nel parere reso dalla regione Piemonte, autorità competente per gli aspetti di tutela delle acque, anche in relazione al deflusso minimo vitale.
  È stata inoltre effettuata apposita valutazione di incidenza, prescritta dalla direttiva
Habitat 92/43/CE, in merito alle aree sensibili, agli habitat ed alle specie di interesse comunitario interferiti dall'opera, a seguito della quale sono state formulate specifiche prescrizioni per la mitigazione delle interferenze al fine di assicurare la tutela delle specie di interesse prioritario; sono state inoltre prescritte misure di monitoraggio degli effetti dell'opera in base alle quali poter attuare ulteriori misure correttive atte a limitate eventuali impatti non prevedibili.
  Circa la tutela degli
habitat forestali che saranno interferiti dalla realizzazione dell'invaso, il Ministero per i beni e le attività culturali ha inoltre reso in data 19 ottobre 2012, il proprio parere favorevole condizionato al rispetto di puntuali prescrizioni circa la limitazione della capacità dell'invaso a 7 mmc, in luogo dei 12 mmc previsti dal progetto, per limitare l'impatto dell'opera sulle aree boschive. Pertanto la possibilità di utilizzare la massima capacità dell'invaso è subordinata a specifica autorizzazione da parte del Ministero per i beni e le attività culturali e, in presenza di eventuali modifiche progettuali, ad una nuova procedura di verifica di assoggettabilità da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Oltre al vincolo progettuale imposto per la tutela delle aree forestali, sono state imposte misure di compensazione che prevedono 200 ettari di superficie forestale da ripristinare, tra cui faggete e altri
habitat forestali prioritari, di cui almeno 150 nel bacino del torrente Sessera.
  Nel ricordato parere con prescrizioni espresso dalla regione Piemonte, è stata verificata altresì la coerenza del progetto con gli atti di pianificazione territoriale e paesistica di competenza regionale.
  La commissione ed i competenti servizi tecnici della regione Piemonte hanno valutato altresì il potenziale innesco di fenomeni di dissesto idrogeologico conseguenti la realizzazione dell'invaso. È stata a tal proposito valutata la compatibilità tra l'equilibrio idrogeologico del territorio e gli effetti conseguenti la realizzazione delle opere. Si evidenzia altresì, come peraltro risulta dal primo parere della commissione adottato nel 2012, che le opere eventualmente interferenti con aree interessate da fenomeni di esondazione e/o di dissesto morfologico sono necessariamente soggette a successiva verifica di compatibilità idraulica ai sensi delle norme tecniche di attuazione del piano di assetto idrogeologico del fiume Po.
  Infine in relazione agli «approfondimenti atti a verificare che sia garantita la disponibilità della risorsa idropotabile alle popolazioni interessate, definendone gli aspetti quantitativi», premesso che già nel ricordato parere della commissione del 2012 erano contenute specifiche prescrizioni ad ulteriore garanzia della priorità dell'uso idropotabile, nell'ultimo parere della commissione del 13 giugno 2014, sono stati espressamente evidenziati questi specifici aspetti, unitamente ad altri, fornendo esaustivi elementi di approfondimento volti a garantire la priorità dell'utilizzo idropotabile rispetto agli usi irrigui ed energetici, coinvolgendo peraltro anche l'autorità d'ambito e il consorzio di bonifica per l'assunzione di opportuni impegni in tal senso.
  Da quanto riportato ritengo si possa evincere come l'istruttoria sia stata condotta col consueto rigore.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CANCELLERI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   riferiscono fonti di stampa, quali Seguonews e Il Fatto Nisseno, della decisione di Poste Italiane di chiudere, senza alcun preavviso, l'ufficio sito presso il Quartiere Villaggio S. Barbara di Caltanissetta;
   il quartiere di S. Barbara si trova ad una distanza di circa 5 chilometri dal centro abitato ed il collegamento urbano da tale quartiere alla città non è attualmente attivo;
   la chiusura dell'ufficio postale prevedeva una soluzione alternativa in loco che ad oggi non è stata messa in atto, comportando così un pesante disagio ai tanti cittadini che saranno costretti a spostarsi in macchina e a percorrere chilometri, magari a volte anche su strade non sicure, per raggiungere il più vicino ufficio postale, con la conseguenza inevitabile di un sovraffollamento degli uffici già esistenti che di certo non spiccano per efficienza;
   oggi gli uffici postali rappresentano ormai l'unico servizio pubblico rimasto nei luoghi marginali, interni e disagiati, particolarmente necessario alle fasce più deboli e anziane della popolazione;
   Poste Italiane, con la sua reiterata politica di tagli, riduzioni e soppressioni, non sembra ormai più in grado di mantenere i principi di universalità del servizio postale, sanciti dalle direttive europee e finanziati dello Stato –:
   se il Ministro intenda adottare opportune iniziative al fine del ripristino del servizio pubblico universale garantito.
(4-03872)

  Risposta. — Si risponde all'atto in esame sulla base delle informazioni acquisite presso la società Poste Italiane la quale ha rappresentato che l'ufficio postale «Villaggio Santa Barbara», il 20 dicembre 2013, durante l'orario di chiusura, è stato oggetto di un tentativo di effrazione che, come emerso dagli accertamenti effettuati, ha provocato seri danni alla struttura dell'immobile, compromettendone la sicurezza.
  Si è pertanto resa inevitabile l'immediata chiusura dello stesso e la ricerca di nuovi locali, peraltro già individuati, e per i quali sono in corso i consueti controlli finalizzati a verificarne l'idoneità alla destinazione d'uso.
  Poste Italiane ha assicurato, infine, che per garantire la continuità del servizio alla clientela, l'operatività dell'ufficio è stata inizialmente trasferita presso l'ufficio postale «Caltanissetta Leone», distante circa 5 km da Villaggio Santa Barbara e, dal mese di aprile 2014, in attesa della realizzazione della nuova sede, è stato attivato un ufficio provvisorio di tipo «
container», posizionato in prossimità dell'ufficio postale della citata frazione.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   CATALANO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apprese tramite fonti giornalistiche (Corriere della Sera del 25 luglio 2014), risulta all'interrogante che l'Ungheria si appresta a nominare Péter Szentmihályi Szabó come proprio ambasciatore in Italia;
   come denunciato da numerose associazioni ebraiche, risulta che il predetto Péter Szentmihályi Szabó si sia reso autore di esternazioni di inequivoca natura antisemita;
   in particolare, Péter Szentmihályi Szabó avrebbe pubblicato, il 14 dicembre 2000 uno scritto intitolato «Gli agenti di Satana» su Magyar Fórum, nel quale si troverebbero passaggi così traducibili: «Non lo so, non capisco perché ci odiano così tanto. Vivono qui in Ungheria, parlano e scrivono in ungherese, ma ci odiano [...] non è difficile riconoscerli perché sono vili e impertinenti allo stesso tempo. Il denaro è il loro Dio, la loro lingua madre in cui credono da tempo immemorabile. Hanno cerchi scuri sotto gli occhi, la pelle flaccida, le mani sudate, i piedi freddi e sorrisi bizzarri. Si trovano ovunque sulla terra. Sono gli agenti di Satana. Suscitano paura ma vivono fuori dalla paura. Creano scompiglio e discordia. Sono spiriti stranieri la cui missione è di distruggere le comunità locali ? Criminali internazionali che, a seguito di Marx e Lenin, hanno deciso di schiavizzare l'umanità ? Gente eternamente senzatetto condannati a essere vagabondi costanti ? Loro sono gli esattori. Quelli che per primi hanno capito che il denaro funziona senza lavoro [...] quelli che l'esercito più forte del mondo ne custodisce la sicurezza»;
   si sono verificati negli ultimi mesi numerosi incidenti antisemiti, anche di natura terroristica, sul territorio dell'Unione europea;
   il conflitto in corso nel Vicino Oriente è suscettibile di acuire, come recentemente accaduto nella Repubblica francese, le manifestazioni di intolleranza e di violenza contro cittadini di fede o cultura ebraica e contro le loro proprietà –:
   di quali notizie disponga il Governo e se i fatti di cui in premessa trovino conferma;
   quali iniziative, anche diplomatiche, il Governo intenda adottare al fine di impedire la nomina di Péter Szentmihályi Szabó ad ambasciatore d'Ungheria presso la Repubblica italiana. (4-05706)

  Risposta. — Il quesito sollevato dall'interrogante è stato oggetto di formali precisazioni con cui il Ministero degli affari esteri rendeva noto, il 25 luglio 2014 di non aver ricevuto alcuna richiesta di gradimento per la sostituzione dell'ambasciatore di Ungheria a Roma, giunto alla fine della sua missione in Italia.
  Nel comunicato della Farnesina si auspicava altresì che, ai fini dello sviluppo proficuo del dialogo bilaterale, Italia e Ungheria potessero disporre dei migliori e più efficaci canali di comunicazione e si confidava che per la guida della rappresentanza diplomatica fosse proposta una personalità in grado di contribuire efficacemente al consolidamento delle relazioni fra 1 due Paesi.
  Lo stesso signor Szentmihályi Szabó, ha successivamente reso noto di rinunciare all'incarico di Ambasciatore di Ungheria a Roma, chiudendo di fatto la questione.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriBenedetto Della Vedova.


   CIPRINI, GALLINELLA, BECHIS, ROSTELLATO, RIZZETTO, GAGNARLI, L'ABBATE, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, BALDASSARRE, COMINARDI e TRIPIEDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari europei, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che a maggio del corrente anno sono iniziati i negoziati sugli accordi di libero scambio tra USA e EU, la cosiddetta Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP);
   la ripresa dei negoziati era prevista a Bruxelles il 7 ottobre 2013 ma il Federal shut down del Governo statunitense ha fatto slittare i negoziati a questi giorni;
   da un rappresentante del commercio americano, si apprende infatti che proprio in questi giorni (11-15 novembre) sono ripresi i negoziati;
   la notizia riguardo questi importanti eventi sui media italiani non ha ricevuto il doveroso risalto, evidentemente perché troppo concentrata a fare «informazione» su sterili e certamente meno importanti vicende di politica interna;
   eppure la TTIP, in quanto a rilevanza, è da considerarsi alla stregua del Trattato di Maastricht che portò all'avvento dell'euro;
   gli accordi sul libero scambio sono destinati a portare cambiamenti di carattere epocale nell'economia mondiale, europea ed italiana;
   a giudizio dell'interrogante, appare necessaria una capillare azione di informazione e divulgazione sulle trattative in atto, sugli impatti e sugli scenari futuri per l'Italia, stante la rilevanza fondamentale dell'argomento che dovrebbe, essere oggetto di approfondimento e di dibattito, avendo una importanza strategica per gli equilibri economici e politici;
   nello specifico, si ricorda che gli USA fanno già parte dell’American Free Trade Agreement (NAFTA) e del Central America Free Trade Agreement (CAFTA) e hanno già avviato i negoziati per due nuovi accordi: la Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) con l'Unione europea e la Trans-Pacific Partnership (TPP) con vari paesi dell'Asia;
   grazie a questi trattati gli USA si troveranno al centro di una vasta zona di libero scambio che renderà vantaggioso per le aziende estere spostare la produzione negli Stati Uniti, sia per alimentare l'enorme mercato interno, sia per riesportare in tutti quei Paesi che hanno accordi di libero scambio con gli USA;
   pertanto, per le imprese potrebbe diventare vantaggioso produrre negli USA e poi esportare nel resto del mondo. Il rischio per l'Italia e per altri Paesi europei è di perdere quote di export o peggio, vedere le proprie imprese delocalizzare buona parte della loro capacità produttiva negli Stati Uniti, e non più nell'est Europa come avviene oggi;
   si rileva altresì che molte aziende straniere hanno già delocalizzato parte della loro capacità produttiva per sfruttare i vantaggi offerti dal sistema economico statunitense. Alcuni esempi: Rolls-Royce, che fabbrica componenti per motori a reazione in Virginia e poi li spedisce verso Europa e Asia; Siemens che produce turbine industriali a Charlotte, in North Carolina, e poi le invia in Arabia Saudita e Messico; Airbus che sta costruendo uno stabilimento a Mobile, in Alabama per produrre aerei sia per il settore civile che militare;
   vi sono anche aziende italiane che hanno compreso che il futuro del manifatturiero è «made in USA». La più famosa è FIAT-Chrysler, ma ce ne sono molte altre, piccole e medie e meno conosciute, che hanno scelto di investire per produrre o assemblare in negli USA. Alcuni esempi: MXSolar, assembla pannelli solari (da Monza a Somerset New Jersey); Cavanna, costruisce macchine per il packaging (da Prato a Duluth in Georgia); Spanesi, produce attrezzature per le carrozzerie (da Padova a Naperville Illinois) –:
   quale posizione e ruolo abbia assunto il Governo italiano in seno ai sopra detti negoziati USA-Unione europea nonché all'interno della cornice europea;
   se il ruolo assunto dall'Italia sia svolto in un'ottica di contrattazione attiva, avendo come priorità il bene primario del Paese o se piuttosto i margini di contrattazione releghino l'Italia ad un ruolo di secondo piano;
   se sia in corso una analisi degli impatti e degli scenari circa le ricadute positive e negative sul sistema economico, produttivo, imprenditoriale e occupazionale italiano, anche alla luce del piano destinazione Italia che il Governo sta per promuovere;
   se sia intenzione del Governo promuovere in seno ai negoziati iniziative per valorizzare e rilanciare l'imprenditoria in Italia ed in particolare il made in Italy prodotto in Italia;
   se il Governo intenda avviare un azione di informazione e divulgazione sul tema a favore della cittadinanza italiana. (4-02500)

  Risposta. — L'atto in esame, concerne il rilancio dell'imprenditoria in Italia nel contesto del negoziato per l'accordo di libero scambio tra l'Unione europea e Stati Uniti (Partenariato transatlantico su Commercio ed investimenti TTIP), al riguardo si segnala quanto segue.
  Le linee strategiche di politica commerciale dell'Unione europea sono state definite sia nel documento «The EU Trade Agenda: Opportunities Ahead», sia nelle conclusioni del Consiglio europeo del febbraio 2013, secondo cui il commercio internazionale costituisce uno degli strumenti più efficaci per favorire la crescita economica, la piena occupazione e il superamento dell'attuale fase di recessione nel vecchio continente, grazie alle dinamiche tipiche ingenerate dal libero commercio: maggiore mobilità di capitali, uomini, risorse e idee, stimolo alla competitività e all'innovazione tecnologica, espansione degli utenti a fruizione dei prodotti nazionali. L'obiettivo posto dall'Esecutivo comunitario è pertanto quello di espandere – nelle more del rilancio del processo multilaterale in ambito Wto – la rete di accordi bilaterali di libero scambio tra l'Unione europea e i Paesi terzi: strategia alla quale è ascrivibile anche l'avvio dei negoziati con gli Stati Uniti.
  L'obiettivo che si pone il Ttip è l'istituzione tra le due sponde dell'Atlantico di una
partnership ad ampio respiro dall'elevata portata strategica – sulla base di un accordo ambizioso e onnicomprensivo – suscettibile sia di istituire una solida cornice giuridica e regolamentare per le relazioni economico-commerciali transatlantiche, sia di fungere da impulso per il rilancio del negoziato commerciale multilaterale in ambito Wto, indicando nuovi standard di riferimento.
  L'assenso al mandato negoziale Ttip per la Commissione – accordato in via definitiva in occasione del Consiglio affari esteri formato commercio del 14 giugno 2013 – è stato effettuato nel pieno rispetto della pertinente normativa europea in materia commerciale e, per quanto concerne la formazione della posizione negoziale italiana, in uno spirito di trasparenza e condivisione delle informazioni disponibili con le altre amministrazioni dello Stato coinvolte e con le associazioni di categoria interessate, nel rispetto di necessarie esigenze di confidenzialità, imposte dalle istituzioni europee.
  La posizione italiana nei negoziati attualmente in corso è quella di tutelare al massimo i nostri interessi nazionali – quali emersi, tra l'altro, proprio nel corso del summenzionato processo di formazione della posizione negoziale nazionale – nell'ambito di trattative finalizzate al raggiungimento di un Accordo, che si ispiri al principio di reciprocità e che risulti bilanciato, ambizioso e onnicomprensivo, la cui conclusione dovrà essere contestuale, sulla base del principio del
single undertaking.
  L'obiettivo negoziale italiano, quindi, resta quello di sostenere la conclusione del Ttip, visti i benefici che esso produrrebbe per l'economia europea e statunitense, tutelando al massimo livello consentito i nostri interessi nazionali, in particolare: barriere non tariffarie (inclusione del precautionary principle per gli standard sanitari e fitosanitari e OGM); corretta informazione dei consumatori (cosiddetto Italian Sounding); accesso al mercato (riferimento alle regole d'origine Unione europea; appalti pubblici (esclusione del concetto buy American); tutela della proprietà intellettuale (riconoscimento delle indicazioni geografiche – IIGG) e inclusione della liberalizzazione dell’export di materie prime energetiche (oggi vincolate negli USA).
  Va rilevato che il Ministro dello sviluppo economico ha provveduto a effettuare una valutazione d'impatto in merito alle risultanze economiche riguardanti l'Italia a seguito del buon esito dell'accordo. A tal riguardo si precisa che lo studio, commissionato alla società Prometeia S.p.a., ha confermato quanto già indicato da altri altrettanto autorevoli centri studi internazionali, aditi dalla Commissione Europea e da altri Stati membri dell'Unione europea, evidenziando i benefici economici per la Unione europea e per il nostro paese derivanti da tale accordo con gli USA.
  In particolare, tale studio ha rimarcato che l'Italia sarebbe tra i paesi dell'Unione europea che maggiormente guadagnerebbero, in termini industriali del buon esito delle negoziazioni Ttip, con effetti molto positivi per l'industria dei mezzi di trasporto, cioè per le produzione auto motive nel loro insieme, ma soprattutto per i principali settori di specializzazione del nostro Paese nel commercio mondiale: meccanica, sistema moda, agroalimentare e bevande.
  Va inoltre evidenziato che tale intesa potrebbe incidere in maniera apprezzabile sulla futura crescita italiana fino a sfiorare il mezzo punto percentuale per la nostra economia. In tal caso a tre anni dall'applicazione dell'accordo il prodotto interno lordo aumenterebbe, al netto dell'inflazione, di 5,6 miliardi di euro con aumento stimato di posti di lavoro di circa 30 mila unità.
  Tali indicazioni in merito ai possibili effetti dell'accordo Ttip vanno lette tenendo ben presente quali siano l'orientamento e le aspettative dell'intero sistema produttivo italiano, che nel suo complesso, guarda con grande interesse a questo negoziato. A tale riguardo, numerose riunioni di coordinamento sono state fatte, nel corso degli ultimi due anni, dal Ministro dello sviluppo economico con tutti i soggetti interessati: l'azione del Governo verso la scelta negoziale del Ttip è stata ampiamente sostenuta, in ogni occasione, dal nostro sistema produttivo.

Il Viceministro dello sviluppo economicoCarlo Calenda.


   CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 53, comma 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», stabilisce che: «Le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento; il relativo provvedimento è nullo di diritto. In tal caso l'importo previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione conferente, è trasferito all'amministrazione di appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti;
   l'articolo 53, comma 6, del decreto legislativo 165 del 2001 stabilisce che: «Gli incarichi retribuiti, di cui ai commi seguenti, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso»;
   l'articolo 50, comma 8, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli locali» stabilisce che «Sulla base degli indirizzi stabiliti dal consiglio il sindaco e il presidente della provincia provvedono alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del comune e della provincia presso enti, aziende ed istituzioni»;
   l'articolo 114 dello stesso decreto legislativo stabilisce, fra l'altro, che:
    «1. L'azienda speciale è ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale.
    2. L'istituzione è organismo strumentale dell'ente locale per l'esercizio di servizi sociali, dotato di autonomia gestionale.
    3. Organi dell'azienda e dell'istituzione sono il consiglio di amministrazione, il presidente e il direttore, al quale compete la responsabilità gestionale. Le modalità di nomina e revoca degli amministratori sono stabilite dallo statuto dell'ente locale»;
   si è avuto modo di verificare che talvolta l'incarico di cui al suddetto articolo 114, comma 3 (presidente e/o componente del consiglio di amministrazione dell'azienda speciale e/o dell'istituzione), viene conferito a un dipendente da una pubblica amministrazione (ad esempio un professore di scuola, un dipendente ASL, e altro);
   l'articolo 87 dello stesso decreto legislativo stabilisce che: «1. Fino all'approvazione della riforma in materia di servizi pubblici locali, ai componenti dei consigli di amministrazione delle aziende speciali anche consortili si applicano le disposizioni contenute nell'articolo 78, comma 2, nell'articolo 79, commi 3 e 4, nell'articolo 81, nell'articolo 85 e nell'articolo 86;
   l'articolo 77 dello stesso decreto legislativo stabilisce che: «La Repubblica tutela il diritto di ogni cittadino chiamato a ricoprire cariche pubbliche nelle amministrazioni degli enti locali ad espletare il mandato, disponendo del tempo, dei servizi e delle risorse necessari ed usufruendo di indennità e di rimborsi spese nei modi e nei limiti previsti dalla legge –:
   se l'incarico di presidente e/o componente del consiglio di amministrazione dell'azienda speciale o dell'istituzione, di cui al suddetto articolo 114, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, quando conferito a un dipendente da una pubblica amministrazione, trovi disciplina nel sopra riportato articolo 53, commi 8 e 6, del decreto legislativo 165 del 2001;
   se il sindaco e il presidente della provincia, per conferire un tale incarico, debbano, pertanto, chiedere l'autorizzazione dall'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi;
   se sia ancora valida e vincolante la circolare 29 maggio 1998, n. 5/1098, della Presidenza del Consiglio dei ministri-dipartimento della funzione pubblica, avente ad oggetto «Anagrafe delle prestazioni e degli incarichi dei pubblici dipendenti», con cui si disciplinano gli adempimenti ai quali sono tenute le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi ai propri dipendenti e, in particolare quella di cui al n. 2) «Amministrazioni tenute alle comunicazioni. Esclusioni soggettive e oggettive» che stabilisce: «La disciplina in esame non si applica alle prestazioni rese nell'esercizio di cariche pubbliche elettive o equiparate»;
   se non ritenga opportuno e urgente assumere iniziative normative per stabilire, in generale, quale sia la natura giuridica della fattispecie di «conferimento di incarichi professionali esterni da parte delle pubbliche amministrazioni» e quella di «conferimento di incarico equiparato a carica pubblica» e quali siano le norme applicabili all'una o all'altra fattispecie;
   in particolare, se non ritenga di dover chiarire se gli incarichi di rappresentanti del comune e della provincia presso enti, aziende ed istituzioni conferiti dal sindaco o dal presidente della provincia, ai sensi dell'articolo 50, comma 8, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, costituiscano «cariche equiparate a quelle pubbliche elettive»;
   se non ritenga evidente il fatto che l'esercizio di una carica pubblica è fattispecie del tutto diversa da un «incarico retribuito», e il sindaco o il presidente della provincia non debbono chiedere alcuna autorizzazione per il loro conferimento e il lavoratore dipendente deve dare semplice comunicazione all'amministrazione di appartenenza delle cariche pubbliche che è chiamato a ricoprire.
(4-04289)

  Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame, con la quale si chiedono chiarimenti in merito all'applicabilità del regime autorizzatorio, di cui all'articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001, ai dipendenti pubblici nominati amministratori di un'azienda speciale, ai sensi dell'articolo 114, comma 3, del decreto legislativo n. 267 del 2000.
  In merito alla questione della «equiparazione» tra incarichi di rappresentante del comune e della provincia presso aziende speciali e cariche pubbliche elettive, preciso che la figura di amministratore di aziende speciali non è ricompresa fra quelle a cui, ai sensi dell'articolo 77, comma 2, del citato decreto n. 267 del 2000, è attribuito lo
status di amministratore locale, con il riconoscimento delle relative prerogative. La tipologia di incarichi in esame non può, quindi, ritenersi esclusa dalla disciplina dell'anagrafe delle prestazioni di cui all'articolo 53, decreto legislativo n. 165 del 2001. Ne deriva che, in caso di conferimento a un dipendente pubblico dell'incarico di componente del consiglio di amministrazione di una azienda speciale, trovano piena applicazione sia la disciplina autorizzatoria di cui al suddetto articolo 53, sia le prescrizioni del piano nazionale anticorruzione e, in particolare, le disposizioni in materia di comunicazione all'amministrazione, in presenza di incarichi a titolo gratuito (articolo 53, commi 11 e 12).
  Ai fini dell'autorizzazione allo svolgimento di tali incarichi, l'amministrazione di appartenenza del dipendente incaricato è tenuta a verificare, ai sensi del comma 5 del stesso articolo 53, l'insussistenza di «incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi che pregiudichino l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente», nonché l'eventuale sussistenza di cause ostative previste dal decreto legislativo n. 39 del 2013.
  In considerazione della chiarezza del disposto normativo, non ritengo necessaria l'adozione di iniziative normative in materia.

Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazioneMaria Anna Madia.


   GALLINELLA, DAGA, SIBILIA, MASSIMILIANO BERNINI, COLONNESE, SEGONI, GAGNARLI, L'ABBATE, BENEDETTI, PARENTELA e LUPO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 4° round del negoziato UE-USA, denominato TTIP, si è svolto il 26 marzo 2014, quando Obama ha incontrato i vertici dell'UE;
   sul sito dell'Unione Europea si legge che lo scopo dell'accordo è quello di «aumentare lo scambio delle merci, eliminando dazi e barriere commerciali»; una sorta di deregulation attraverso tre obiettivi: accesso ai mercati, allineamento delle regole e norme in materia di commercio per la globalizzazione. È evidente che un tale cambiamento potrebbe ricadere negativamente sui piccoli imprenditori e agricoltori italiani, a cui già la globalizzazione ha portato più oneri che vantaggi;
   l'accordo succitato riguarderà i prodotti agroalimentari e industriali, il mercato dei servizi, il trasporto e la liberalizzazione degli investimenti privati, che coinvolgeranno anche gli appalti pubblici, la sicurezza ambientale e alimentare, i farmaci, i diritti di proprietà intellettuale;
   il trattato di Lisbona demanda all'Unione Europea le scelte in materia di accordi d'investimento, nel momento in cui si parla testualmente «di garantire un equilibrio tra gli Stati Membri e gli investitori»; agli interroganti appare quantomeno strano far rientrare l'accordo TTIP in questo ambito, ma il Parlamento europeo, il 6 aprile 2011, si è già espresso in tal senso;
   per investitori si intendono ovviamente le multinazionali, che saranno protette da questo negoziato che prevede, tra le altre cose, protezione dalla discriminazione, protezione dall'espropriazione (vendita di cibo trattato con ENM – ad oggi l'EFSA non lo permette in Europa) e sul trasferimento dei capitali (la multinazionale è in Italia, ma i capitali altrove), possibilità di far ricorso da parte di un investitore privato nei confronti dello Stato membro che si oppone al commercio degli OGM;
   sarebbero, inoltre, equiparati i controlli sui farmaci: ad oggi tra l'UE e gli USA ci sono tempi di sperimentazione diversi;
   nonostante nel trattato di Maastricht agli articoli 102 e 103 sia prevista per gli Stati membri una certa autonomia politica in ambito economico, un regolamento del ’97 (trattasi del regolamento 1466/1997, che fu il primo dopo Maastricht a chiedere il coordinamento delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri, ora sostituito dall'ultimo quello 1175/2011 che è uno dei 6 regolamenti del «Six Pack», ovvero il famoso pacchetto che ha introdotto un'applicazione più rigorosa del patto di stabilità e crescita) chiude la partita su questo spiraglio di sovranità;
   il TTIP porterebbe a compimento l’Executive Order di Obama, n. 13534 dell'11 marzo 2010, con cui gli Stati Uniti si sono impegnati a migliorare gli accessi per gli scambi oltreoceano relativi alla manifattura, l'agricoltura e i servizi made in USA. Agli occhi dell'interroganti, questo accordo pare disegnato a misura degli statunitensi;
   in Europa sembra che la strada sia già stata scelta, infatti, il Consiglio dell'Unione Europea ha già approvato gli orientamenti utilizzati dalla Commissione per trattare a nome dell'Unione in ambito TTIP e al termine del negoziato saranno il Parlamento europeo (che ha una funzione consultiva) e il Consiglio, che si è già espresso favorevolmente, a decidere;
   esiste, inoltre, uno studio che ipotizza che tale accordo incrementerà di circa 120 miliardi di euro ogni anno il bilancio dell'Unione Europea. Tale studio, apparentemente commissionato da un ente indipendente, il Center for Economic Policy Research (CEPR) di Londra, è stato finanziato, di fatto, dalla Banca d'Inghilterra, dalla Fondazione Rockfeller, oltre che da altre banche private, quali la Banca del Canada e di Israele, la BCE, Alpha Bank, Barclais, Citigroup, Credit Suisse, Intesa San Paolo, Gruppo Santander, JP Morgan e il MES;
   il CEPR poi è presieduto da Guillermo de la Dehesa, membro del gruppo dei Trenta del comitato esecutivo del Banco Santander e consulente internazionale di Goldman Sachs. Alcuni ricercatori del CEPR lavorano per la Rockfeller Foundation e per la Banca Mondiale. Il capo progetti del dossier del TTIP elaborato dal CEPR è Joseph François, economista di Linz (Austria) con cittadinanza statunitense e, che ha lavorato per l’International Trade Commission degli Stati Uniti, occupandosi degli accordi NAFTA, GATT e WTO;
   la Commissione europea ha dichiarato che tali accordi devono restare riservati, ma agli interroganti appare invece auspicabile che le decisioni che sottendono il trattato siano rese pubbliche, poiché le conseguenze ricadranno sui cittadini europei –:
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze e nelle opportune sedi europee, intenda assumere lo Stato italiano a salvaguardia del mercato e delle produzioni nazionali, considerando che, da quanto esposto in premessa, l'accordo TTIP rischierebbe di causare un pesante sbilanciamento del mercato a favore delle produzioni statunitensi a scapito di quelle europee, sia rispetto alla quantità sia, specie per ciò che concerne l'agroalimentare, rispetto alla qualità dei prodotti. (4-04398)

  Risposta. — Con riferimento all'atto in esame concernente il negoziato per l'accordo di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti (partenariato transatlantico su commercio ed investimenti Ttip) si rappresenta quanto segue.
  Il lancio del negoziato Ttip è stato sostenuto da tutti gli Stati membri dell'Unione europea e, dopo l'annuncio formale delle trattative da parte del Presidente degli USA Obama nel febbraio 2013, i Paesi europei hanno proceduto a valutare le opportunità economiche offerte dal Partenariato transatlantico. Al riguardo va evidenziato come da parte del Ministero dello Sviluppo economico si è fatto ricorso ad una valutazione d'impatto in merito alle risultanze economiche che da tale accordo sarebbero derivate per l'Italia. Lo studio commissionato a Prometeia spa ha confermato quanto già indicato da altri altrettanto autorevoli centri studi internazionali, aditi dalla Commissione europea e da altri Stati membri evidenziando i benefici economici per l'Unione europea e per il nostro Paese. In particolare, lo studio ha rimarcato che l'Italia sarebbe tra i Paesi dell'Unione europea che maggiormente guadagnerebbero, in termini industriali, dal buon esito delle negoziazioni Ttip, con effetti molto positivi per l'industria dei mezzi di trasporto, cioè per le produzioni
automotive nel loro insieme, ma soprattutto per i principali settori di specializzazione del nostro Paese nel commercio mondiale: meccanica, sistema moda, agroalimentare e bevande.
  Assumendo come dato lo scenario più ottimistico sull'esito del negoziato, cioè la stipula di un accordo commerciale non limitato alla sola liberalizzazione tariffaria, ma anche ad una significativa riduzione delle barriere non tariffarie e ad un'ampia convergenza regolamentare va rimarcato che tale intesa potrebbe incidere in maniera apprezzabile sulla futura crescita italiana, fino a sfiorare il mezzo punto percentuale per la nostra economia. In tal caso, a tre anni dall'applicazione dell'accordo il prodotto interno lordo aumenterebbe, al netto dell'inflazione e rispetto ad uno scenario base, di 5,6 miliardi di euro, con un aumento stimato di posti di lavoro di circa 30 mila unità.
  Tali indicazioni in merito ai possibili effetti dell'accordo Ttip vanno lette tenendo ben presente quali siano l'orientamento e le aspettative dell'intero sistema produttivo italiano, che nel suo complesso eccezion fatta per il settore audiovisivo guarda con grande interesse a questo negoziato. A tal riguardo, numerose riunioni di coordinamento sono state organizzate, nel corso degli ultimi due anni, dal Ministero dello Sviluppo economico con tutti i soggetti interessati: l'azione del Governo, verso la scelta negoziale del Ttip è stata ampiamente sostenuta, in ogni occasione, dal nostro sistema produttivo.
  In merito alle richieste degli interroganti, in particolare su alcuni aspetti relativi al settore agricolo, si evidenzia che il mandato negoziale Ttip approvato dal Consiglio affari esteri – commercio dell'Unione europea prevede una serie di «paletti» che tracciano con chiarezza la linea politica da tenere nelle trattative.
  In materia di misure sanitarie e fitosanitarie (Sps) – tra cui rientrano, ad esempio, i provvedimenti sugli OGM – va applicato il principio della valutazione del rischio scientifico e qualora questo dovesse apparire non sufficiente si ricorrerà al principio di precauzione, così come avviene oggi all'interno del mercato dell'UE. Tale principio consente infatti di adottare diverse misure preventive, laddove si ravvisi un possibile pericolo per la salute umana, animale o vegetale o per la protezione dell'ambiente, e i dati scientifici non consentano una valutazione completa del rischio.
  Nello stesso mandato si prevede altresì la trattazione separata, all'interno dell'accordo, attraverso allegati settoriali, dei prodotti ritenuti sensibili.
  Sarà pertanto cura di questo Ministero, d'intesa con le altre amministrazioni competenti, individuare ed indicare le nostre specifiche sensibilità, non solo in chiave difensiva ma anche offensiva. Tutto ciò per cercare di valorizzare al meglio le positive opportunità che potranno derivare dalla finalizzazione del negoziato Ttip per la nostra economia e il nostro sistema produttivo, migliorando l'accesso dei prodotti italiani al mercato statunitense.
  Riguardo al
Made in Italy, si intende favorire l'interscambio commerciale e l’export competitivo – cioè l'aumento della capacità di esportazione verso i mercati con maggiore valore aggiunto – provvedendo ad eliminare le barriere tariffarie e non tariffarie che ostacolano la libera circolazione delle merci industriali, soprattutto di quelle ad alto valore aggiunto (come ad esempio nel caso dell'oreficeria) ma anche di quelle agroalimentari di qualità verso gli USA.
Il Viceministro dello sviluppo economicoCarlo Calenda.


   GIUSEPPE GUERINI, CARNEVALI, MISIANI e SANGA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione comunale di Bolgare (Bergamo), con delibera di giunta n. 6 del 15 gennaio 2014, ha adeguato la propria tabella dei diritti di segreteria per il settore tecnico, stabilendo un importo di euro 500,00 (euro cinquecento/00) per il procedimento di rilascio della certificazione di idoneità alloggiativa;
   tale adeguamento viene giustificato dall'amministrazione suddetta nel modo seguente: «Rilevato che i fenomeni delittuosi riscontrati, comportano ulteriori gravosi interventi, controlli e verifiche da parte – per quanto riguarda le competenze di questo Comune – del personale degli uffici comunali, al fine di tentare di garantire migliori sicurezza e tranquillità alla popolazione, incolumità pubblica e sicurezza urbana, mediante individuazione delle misure di contrasto e gestione delle misure di prevenzione e di protezione;
   dato atto che i costi della spiegazione di forze e dell'utilizzo di energie fisiche e mentali e funzionali, nonché gli eventuali necessari interventi di sistemazione del patrimonio pubblico danneggiato in caso di infrazioni materiali, sono genericamente addebitate ai cittadini tutti, gravando sulle casse comunali;
   ritenendo dover circoscrivere almeno in parte tale gravame, e ritenendo equo parzialmente addebitarlo alle individualità extracomunitarie che chiedono di essere iscritte nell'Anagrafe Popolazione Residente di questo Comune, mediante riscossione dell'importo dei diritti di segreteria richiesti per il procedimento di rilascio della certificazione di idoneità alloggiativa necessaria ai fini della predetta iscrizione»;
   la misura appare agli interroganti da un lato del tutto sproporzionata se commisurata all'attività effettivamente svolta dagli uffici, e dall'altro palesemente illogica e discriminatoria ove si consideri che la certificazione citata costituisce un adempimento obbligatorio per ogni cittadino di Paese non appartenente alla UE che intenda attivare la procedura di ricongiungimento familiare oppure richiedere l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, e che vedrebbe pertanto pesantemente ostacolato se non addirittura precluso il proprio diritto all'abitazione e all'unità familiare;
   altrettanto illogica e del tutto pretestuosa appare agli interroganti la motivazione posta alla base del provvedimento: non si vede infatti quale sia il nesso causale tra l'intento esplicitato dall'amministrazione de qua di «promuovere e sostenere una riqualificazione sostanziale della vivibilità del paese, del tessuto economico, di interventi strutturali, di riqualificazione urbana» e l'abnorme aumento dell'importo sopra citato –:
   di quali elementi disponga e se intenda assumere iniziative normative per garantire ai cittadini stranieri residenti o che intendano ottenere l'iscrizione anagrafica la possibilità di esercitare i propri diritti costituzionalmente garantiti senza essere onerati in maniera che agli interroganti appare incongrua. (4-05358)

  Risposta. — L'interrogante ha sottoposto all'attenzione del Ministro dell'interno la delibera della giunta comunale di Bolgare n. 6 del 15 gennaio 2014, nella parte in cui fissa in 500 euro la tariffa per il rilascio dei certificati di idoneità alloggiativa relativi ad immobili per i quali gli stranieri non comunitari abbiano richiesto l'iscrizione anagrafica.
  Come indicato nell'atto ispettivo, la stessa amministrazione locale nel preambolo del provvedimento in questione, ha fatto esplicito riferimento alla scelta di «circoscrivere almeno in parte tale gravame (n.d.r. si tratta del gravame sulle casse comunali) ritenendo equo parzialmente addebitarlo alle individualità extracomunitarie che chiedono di essere iscritte nell'Anagrafe popolazione residente di questo Comune, mediante riscossione dell'importo dei diritti di segreteria richiesti per il procedimento di rilascio della certificazione di idoneità alloggiativa necessaria ai fini della predetta iscrizione».
  In merito a quanto disposto dal comune di Bolgare, assume valenza dirimente la previsione dell'articolo 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286 del 1998 («Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»), in base alla quale le iscrizioni e le variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante vanno effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani.
  Inoltre, il Consiglio di Stato, sezione I, con parere n. 4849 del 13 giugno del 2012 – nel confermare la configurazione dell'iscrizione anagrafica in termini di diritto-dovere di ogni cittadino, anche straniero, regolarmente soggiornante nel territorio nazionale –, ha precisato che la mancanza dei requisiti igienico sanitari non preclude, in linea di principio, la fissazione della residenza anagrafica nel luogo inidoneo e ha escluso che il rilascio dei certificati di abitabilità o di idoneità alloggiativa dell'immobile sia necessario all'iscrizione in anagrafe del soggetto ivi dimorante, anche per la considerazione che «in linea di massima, non è necessario appesantire ed aggravare i procedimenti amministrativi con nuove produzioni documentali».
  Il predetto parere è stato diramato al prefetture con circolare ministeriale del 14 gennaio 2013, anche al fine della conseguente informazione ai sindaci.
  La questione è stata oggetto di attenta istruttoria da parte del Dipartimento per gli affari interni e territoriali che, a conclusione della medesima, ha invitato la prefettura di Bergamo ad avviare i compiti ispettivi di competenza volti a verificare che l'anagrafe tenuta dal comune di Bolgare sia gestita in conformità alla normativa vigente, assumendo, inoltre, ogni utile iniziativa al fine dell'effettivo esercizio del potere di vigilanza di cui all'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   IACONO, LAURICELLA, CAPODICASA, MOSCATT e MORASSUT. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il teatro regina Margherita di Racalmuto è una delle opere architettoniche dell'ottocento siciliano, opera tra le più significative, progettato dall'architetto Dionisio Sciascia, allievo del Basile;
   il teatro regina Margherita è il teatro di Leonardo Sciascia, quello per la cui riapertura si è speso in tutta la sua vita;
   proprio per i suddetti motivi il teatro è stato inaugurato dall’ex Presidente della Repubblica Senatore Carlo Azeglio Ciampi nel 2003;
   il suddetto teatro dopo un processo di restauro affidato all'architetto Foscari è stato riaperto per un breve periodo, con un cartellone tra l'altro di successo, durante l'attuale gestione commissariale del comune di Racalmuto, il suddetto teatro è piombato in uno stato di abbandono come testimoniano le immagini del teatro allagato;
   proprio la gestione commissariale con la motivazione di renderlo sicuro ha proceduto prima alla riduzione dei posti in sala e poi alla rimozione dei velluti, caso unico tra i teatri Italiani;
   oggi la gestione commissariale si propone di dare il colpo finale al teatro regina Margherita proponendo lo sventramento e la distribuzione dei palchi al fine di creare una nuova uscita di sicurezza;
   tutto ciò snaturerà un'opera d'arte che in questo modo né risulterà sfigurata e non renderà ai cittadini di Racalmuto il loro teatro, perché quello che ne verrà fuori dopo il restauro sarà un'altra cosa, non più il teatro di trecento posti, ma una struttura inutilizzabile con meno di cento posti;
   l'interrogante ritiene che l'intervento del Governo sia urgente ed inderogabile, anche perché i commissari sono espressione del Ministero dell'interno ed il Governo porterebbe la responsabilità di una gestione commissariale dallo stesso nominata –:
   se si intenda intervenire presso la gestione commissariale per fermare il degrado programmato del teatro regina Margherita;
   se si intenda subito inviare un'ispezione nel comune e di Racalmuto per valutare l'opera della commissione prefettizia. (4-00270)

  Risposta. — Il teatro Regina Margherita è stato consegnato definitivamente all'amministrazione comunale di Racalmuto, dopo i lavori di restauro effettuati dalla soprintendenza di Agrigento, con finanziamento regionale, dal marzo 1998 al mese di ottobre del 2003.
  Dalla consegna e fino allo scioglimento del consiglio comunale, avvenuto nell'aprile 2012, la struttura teatrale è stata utilizzata, anche per intere stagioni teatrali, sia in assenza del certificato di prevenzione incendi, sia disattendendo alcune prescrizioni contenute nei verbali della commissione di pubblico spettacolo, come quella relativa alla capienza di massimo 50 posti in platea, a causa dell'unicità della via di fuga.
  La commissione straordinaria, insediatasi dopo lo scioglimento dell'amministrazione locale, preso atto dell'impossibilità di consentire attività di pubblico spettacolo all'interno del teatro, ha avviato – pur nelle stringenti difficoltà finanziarie – alcuni interventi di manutenzione e di ripristino delle misure di sicurezza, al fine di ottenere le certificazioni mancanti.
  In occasione della visita del Ministro dell'interno nel mese di luglio 2012, la Commissione, viste le ulteriori prescrizioni della Commissione di pubblico spettacolo, ha deciso di far smontare 50 poltrone della platea (su un totale di 100) e di sostituire il materiale in velluto e sottostante spugna, oggetto di una verifica negativa di resistenza al fuoco con un rivestimento in legno trattato con vernice ignifuga.
  Dopo la visita del Ministro, la commissione straordinaria ha avviato una serie di incontri con il comando provinciale dei vigili del fuoco per verificare le condizioni di fattibilità di un progetto, da realizzare con i fondi del programma operativo nazionale sicurezza, avente come unico obiettivo quello di creare una nuova uscita di sicurezza, per consentire, questa volta nel rispetto delle norme, il rimontaggio delle 50 poltrone smontate e il ripristino della passamaneria in velluto rimossa in precedenza.
  La proposta della commissione è stata verbalmente condivisa dal Comando regionale dei vigili del fuoco, che in precedenza si era espresso negativamente sulla presenza di una sola uscita di sicurezza. Quindi, sono state avviate, prima, la progettazione preliminare, sulla quale si era già espressa positivamente l'Autorità di gestione del PON Sicurezza, ammettendo l'opera al finanziamento, poi, la progettazione esecutiva.
  Le iniziative adottate dalla commissione sono state intraprese nell'esclusiva direzione indicata dagli organi tecnici e allo scopo di assicurare la piena fruibilità del teatro nel rispetto delle esigenze di sicurezza e di tutela della pubblica incolumità. In ogni caso, nulla è stato fatto senza le prescritte autorizzazioni degli organi competenti.
  I lavori di ripristino del teatro affidati dal comune di Racalmuto nel dicembre 2013, approvati dagli organi competenti nel marzo 2014, consegnati alla ditta affidataria nel successivo mese di aprile, risultano conclusi.
  Ciò consentirà l'esercizio del teatro in condizioni di sicurezza, con tutti gli originari 100 posti della platea e senza che si sia dato luogo ad interventi modificativi dell'attuale composizione architettonica interna del teatro medesimo.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A3, Salerno-Reggio Calabria costituisce una grande infrastruttura di assoluta valenza nazionale, essenziale e strategica non solo per il Mezzogiorno, ma per l'intero Paese;
   i lavori relativi al progetto di ammodernamento e messa in sicurezza dell'autostrada hanno raggiunto uno stadio rilevante e significativo, con circa 270 chilometri, ultimati e fruibili;
   su circa 110 chilometri, i lavori sono in corso ovvero sono stati appaltati;
   occorre accelerare i lavori in corso per addivenire rapidamente alla loro conclusione;
   sono, invece, ancora da finanziare, progettare, ovvero in via di mera progettazione 12 interventi, per circa 58 chilometri, che ricomprenderanno alcuni lotti ed alcuni nuovi svincoli autostradali, per complessivi circa 3 miliardi di euro;
   andrebbe ricompreso nelle opere da finanziare il raccordo Salerno-Avellino nel primo tratto Salerno-Fratte-Mercato San Severino, che funge da raccordo fra le autostrade A30 Caserta-Roma ed A3 Salerno-Reggio Calabria, il cui tracciato attuale è inadeguato e pericoloso per la sicurezza della circolazione e che, come tale, va potenziato con la costruzione della terza corsia e con la messa in sicurezza secondo le norme vigenti;
   occorre completare con rapidità l'intera opera, strategica per il sistema dei collegamenti e delle modalità per lo sviluppo del sistema economico e produttivo, un'opera fondamentale per l'Italia –:
   quale sia il quadro aggiornato, lotto per lotto, dei lavori lungo Autostrada A3, precisando – alla luce dell'abituale report sullo stato delle opere periodicamente curato dall'ANAS – la percentuale di esecuzione dei lavori per ciascun lotto, i termini previsti per la loro ultimazione, nonché i tempi e i provvedimenti con i quali il Governo intenda erogare i finanziamenti ancora mancanti. (4-05775)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, sono state chieste dettagliate informazioni alla società Anas che ha riferito quanto segue.
  L'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria ha uno sviluppo di 443 chilometri, dei quali 118 nella regione Campania, 30 in Basilicata e 295 in Calabria.
  Il tracciato dell'A3 è interamente ultimato e fruibile lungo l'intero tratto campano di 118 chilometri, mentre sono stati completati e transitabili 25 chilometri in territorio lucano e 198 chilometri in quello calabrese.
  Prima dell'esodo estivo 2014 è stata completata l'apertura al traffico di due lotti in Calabria (Lamezia Terme-Torr. Randace e Mileto-località Candidoni) rendendo disponibili ulteriori 11 chilometri di nuova autostrada.
  L'11 giugno 2014 sono stati consegnati i lavori del Macrolotto 3.2, relativo al tratto compreso tra Laino Borgo e Campotenese, dal chilometro 153+400 al chilometro 173+900.
  Pertanto, l'avanzamento dei lavori ad oggi risulta il seguente: chilometri di autostrada ultimati e fruibili 341; chilometri di autostrada con lavori in corso 14; chilometri di autostrada con lavori consegnati, di prossimo avvio 20; chilometri di autostrada con gara in corso 6; chilometri da sottoporre a lavori di messa in sicurezza 10; chilometri con progetti redatti e non finanziati 52; totale 443.
  I costi della nuova infrastruttura si sono mantenuti all'interno dei finanziamenti assegnati. Il finanziamento complessivo per l'autostrada Salerno-Reggio Calabria è pari a circa 7,443 miliardi di euro. Di recente, in aggiunta a tale importo, la legge di Stabilità 2014 (legge n. 147/2013) ha stanziato ulteriori 340 milioni di euro, finalizzati a dare copertura finanziaria all'intervento denominato «Macrolotto 4 parte II stralcio 2», relativo al tratto, di circa 6 chilometri, compreso tra il viadotto Stupino e Altilia, che si unisce al tratto già ammodernato e inaugurato nel 2013 (Altilia-Falerna). Per tale intervento sono in corso le relative procedure di gara.
  Il piano per il Sud (delibera Cipe n. 62/2011) ha previsto, inoltre, l'assegnazione di 217 milioni di euro.
  Pertanto, ad oggi, per il completamento dell'autostrada A3 mancano i finanziamenti relativi a 52 chilometri e ad alcuni svincoli, già tutti progettati, per complessivi 2,7 miliardi di euro.
  Tuttavia, la società Anas ha fatto sapere che è pronta ad adottare misure e progetti che potrebbero ridurre i costi complessivi; su questi tratti, comunque, l'autostrada è percorribile su due carreggiate a doppia corsia per senso di marcia.
  Per completezza d'informazione si riporta, di seguito, l'elenco del lavori in corso, con l'indicazione del relativo stato di avanzamento, nonché dei tempi previsti per il completamento.
   Macrolotto 2 – Padula-Lauria Nord (dal chilometro 108+000 al chilometro 139+000) – avanzamento lavori: 96 per cento. Ad oggi sono stati realizzati e resi fruibili complessivi 30 chilometri di nuova sede. Resta da completare 1 chilometro sulla carreggiata nord in corrispondenza nella galleria Renazza (le cui tempistiche esecutive sono state condizionate dal verificarsi, nel corso del primo semestre 2014, di alcuni dissesti in corrispondenza del fronte di scavo). Il completamento è previsto per ottobre 2014.
   Macrolotto 3.1 – Lauria Nord-Imbocco Galleria Fossino (dal chilometro 139+000 al chilometro 148+000) – avanzamento lavori: 79 per cento. Ad oggi sono stati realizzati e resi fruibili circa 5 chilometri di nuova sede. Proseguono i lavori sui restanti 4 chilometri, corrispondenti al tratto della galleria Serra Rotonda (nella cui realizzazione si è dovuto far fronte a sopraggiunte difficoltà tecniche). Il completamento dell'intervento è previsto per dicembre 2014. Si evidenzia, altresì, che detti lavori non incidono sulla fruibilità dell'autostrada, in quanto si svolgono, sostanzialmente, fuori sede rispetto al tracciato esistente.
   Lotto Galleria Fossino (dal chilometro 148+000 al chilometro 153+400) – Avanzamento lavori: 19 per cento. L'andamento dei lavori è stato fortemente condizionato dalla difficile situazione finanziaria dell'impresa appaltatrice (ammessa alla procedura di concordato preventivo, con sospensiva di contratto
ex articolo 169-bis legge fallimentare), che ha dapprima rallentato e poi fermato le attività in cantiere. I lavori sono ripresi a partire dall'aprile scorso anche grazie alle novità introdotte dall'articolo 13 del decreto-legge n. 145/2013 convertito con modificazioni dalla legge n. 9 del 2014, che prevede facilitazioni per la prosecuzione dei lavori da parte delle imprese in crisi, permettendo di completare, prima dell'esodo estivo, la nuova galleria Fossino nord e 3 nuovi viadotti (Macera I e Il e Petraro), sempre in carreggiata nord.
   Macrolotto 6: Scilla-Reggio Calabria – (dal chilometro 423+300 al chilometro 433+750) – Avanzamento lavori: 83 per cento. Ad oggi sono stati realizzati e resi fruibili circa 6,65 chilometri di nuova sede. Restano da completare circa 4 chilometri, relativi al tratto della galleria Paci (nella cui realizzazione si è dovuto far fronte a sopraggiunte difficoltà tecniche; sono anche subentrati problemi finanziari dell'impresa affidataria). L'apertura al traffico è prevista per dicembre 2014. Si evidenzia, altresì, che i sopracitati lavori non inficiano la fruibilità dell'autostrada, in quanto si svolgono, sostanzialmente, fuori sede rispetto al tracciato esistente.
   Macrolotto 3.2: Laino Borgo-Campotenese – (dal chilometro 153+400 al chilometro 173+900) – Avanzamento lavori: 2 per cento. A seguito della consegna dei lavori, sono state avviate le attività di cantierizzazione e, ad oggi, è in corso la preparazione di alcuni fronti di scavo delle gallerie da realizzare.

  Si fa presente, altresì, che per il completamento dei lavori sulla autostrada in questione devono essere realizzati ancora 5 interventi, di cui:
   n. 1 intervento finanziato con la legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 41) per 340 milioni di euro, per la realizzazione del tratto di autostrada tra il chilometro 280+350 (viadotto Stupino escluso) e il chilometro 286+000 (svincolo di Altilia incluso) dello sviluppo di chilometri 5,650, denominato Macrolotto n. 4 – Parte 2a – stralcio 2o. Ad oggi si è in attesa della delibera di approvazione dei progetto definitivo da parte del Cipe, la scrivente società ha bandito, il 24 febbraio scorso, la gara per l'appalto integrato.
   n. 2 interventi con progetti definitivi in fase approvativa ai sensi della legge obiettivo, da finanziare:
    Macrolotto n. 4 – parte I dal chilometro 259+700 al chilometro 270+700. Cosenza-Rogliano. Nel mese di maggio 2010 l'Anas ha avviato le procedure di legge obiettivo (legge n. 443/2001) per l'approvazione del progetto definitivo e il finanziamento dell'opera. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) ha attivato la Conferenza dei Servizi. L'intervento ha uno sviluppo di chilometri 11, con un costo pari a circa 588,5 milioni di euro. Dopo l'approvazione del progetto definitivo e il finanziamento del Cipe, l'Anas bandirà la gara per l'affidamento congiunto della progettazione esecutiva e dei lavori.
    Macrolotto n. 4 – parte 2 – stralcio 1o dal chilometro 270+700 al chilometro 280+350. Rogliano-Viadotto Stupino. Nel novembre 2008 sono state avviate le procedure di legge obiettivo per l'approvazione del progetto definitivo e il finanziamento dell'opera. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha aperto la Conferenza dei Servizi a marzo 2009. L'intervento ha uno sviluppo di chilometri 9,650 e ha un costo pari a circa 437,7 milioni di euro. Dopo l'approvazione del progetto definitivo e il finanziamento dell'opera da parte del Cipe, l'Anas bandirà la gara per l'affidamento congiunto della progettazione esecutiva e dei lavori.
   n. 2 interventi con progettazione definitiva completata e procedure di legge obiettivo da avviare:
    Macrolotto n. 3 – parte 4 dal chilometro 185+000 al chilometro 206+500. Morano-Frascineto, L'intervento, consiste, prevalentemente, nell'ammodernamento in sede del tracciato originario. Ha uno sviluppo di circa 21,5 chilometri e un costo complessivo pari a 612 milioni di euro. L'Anas ha completato il progetto definitivo. Non sono state avviate le procedure di legge obiettivo, per l'approvazione del progetto definitivo e il finanziamento dell'opera, poiché non risulta programmata l'assegnazione di finanziamenti.
    tronco 3o tratto 1o lotto 5o dal chilometro 337+800 (svincolo di Pizze Calabro incluso) al chilometro 348+600 (svincolo di S. Onofrio incluso). L'intervento ha uno sviluppo di chilometri 10,800 con un costo pari a circa 800 milioni di euro. L'Anas ha completato il progetto definitivo. Non sono state avviate le procedure di legge obiettivo (n.  443 del 2001), per l'approvazione del progetto definitivo e il finanziamento dell'opera, poiché non risulta programmata l'assegnazione di finanziamenti.

  I precedenti 5 interventi completano l'ammodernamento dell'asse principale autostradale, per complessivi 58 chilometri di cui 6 finanziati e con lavori in fase di appalto, e 52 da finanziare.
  Si segnala, inoltre, che sono in corso di progettazione i seguenti 8 interventi, che però non interferiscono con l'ammodernamento dell'asse principale dell'autostrada A3:
   nuovo svincolo di Eboli in provincia di Salerno al chilometro 30+000. L'intervento, con un costo complessivo presunto pari a circa 16,6 milioni di euro, consiste nella riqualificazione dello svincolo esistente. Attualmente non risulta assegnato alcun finanziamento. L'Anas ha predisposto il progetto preliminare.
   nuovo svincolo di Sala Consilina Sud (località Trinità) in provincia di Salerno, situato al chilometro 95+200 circa. L'importo dell'intervento è pari a circa 26,5 milioni di euro. Nel marzo 2012 l'Anas ha avviato le procedure di legge obiettivo (n. 443 del 2001) per l'approvazione del progetto preliminare e il finanziamento dell'opera.
   nuovo svincolo di Padula-Buonabitacolo, in provincia di Salerno, situato al chilometro 103+207. L'importo dell'intervento è pari a circa 31,3 milioni di euro. È stato ultimato il progetto definitivo. Il 13 dicembre 2013, l'Anas ha avviato le procedure di Legge Obiettivo (n. 443 del 2001) per l'approvazione del progetto definitivo e il finanziamento dell'opera.
   nuovo svincolo di Settimo Rende, in provincia di Cosenza, situato al chilometro 250+000. L'importo presunto dell'intervento è pari a circa 34,1 milioni di euro. Attualmente non risulta assegnato alcun finanziamento. È stato predisposto il progetto preliminare.
   nuovo sistema di svincoli di Cosenza sud tra il chilometro 262+000 e il chilometro 266+000 e la viabilità di accesso alla città. L'importo dell'intervento è pari a 168 milioni di euro. Ad oggi, non risulta assegnato alcun finanziamento. È stato predisposto il progetto preliminare.
   nuovo svincolo di Laureana di Borrello situato al chilometro 377+113, in provincia di Reggio Calabria, prevede anche la bretella di collegamento alla pedemontana di Gioia Tauro attualmente in costruzione. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha avviato la Conferenza dei Servizi a fine novembre 2011. Dopo l'approvazione e il finanziamento dell'opera da parte del Cipe, l'Anas bandirà la gara per l'affidamento congiunto della progettazione esecutiva e dei lavori. Il costo complessivo d'intervento è di circa 38 milioni di euro.
   nuovo svincolo di S. Eufemia D'Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, situato al chilometro 410+000. L'importo presunto dell'intervento è pari a circa 48,2 milioni di euro, ma ad oggi non risultano assegnati finanziamenti. È in fase di studio uno svincolo parziale, con sole rampe da e per Reggio Calabria, a causa del parere negativo, sul progetto preliminare (svincolo completo) da parte del consiglio superiore dei lavori pubblici e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Parallelamente è in corso la progettazione di interventi di messa in sicurezza lungo la
ex strada statale 112 per il miglioramento dell'accessibilità all'autostrada dei centri abitati presenti nel comprensorio aspromontano.
   svincolo di Scilla al chilometro 423+300. Adeguamento funzionale del collegamento urbano Scilla-Ieracari. L'intervento consiste nella riqualificazione del collegamento stradale esistente tra la città di Scilla e il quartiere Ieracari. L'Anas ha completato il progetto definitivo, da sottoporre all'approvazione degli enti competenti, ai sensi della normativa vigente. Per la realizzazione dell'intervento, che ha un costo di circa 9,97 milioni di euro, non risulta assegnato alcun finanziamento.

  Infine, per completezza d'informazione si fa presente che per il tratto di circa 10 chilometri, tra Campo Calabro e Reggio Calabria/Santa Caterina, (stralciato dal macrolotto 6, dopo l'avvio dei lavori, per le sollecitazioni degli enti locali, secondo i quali i lavori avrebbero creato forti disagi al traffico cittadino) è prevista la realizzazione di un intervento urbano di messa in sicurezza, comprendente anche la realizzazione dell'illuminazione stradale e il completamento dello svincolo di Arghillà.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   MAESTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il distaccamento dei vigili del fuoco di Borgo Val di Taro (PR) è stato fondato nel 1973, ad oggi conta più di 50 vigili volontari in attività, e copre un'area di intervento che comprende i cinque comuni dell'Alta Val Taro (Borgo Val di Taro, Albareto, Compiano, Tomolo e Bedonia) benché spesso svolga interventi anche nei comuni di Bardi, Valmozzola, Berceto e sull'autostrada A15;
   il territorio coperto dall'azione del distaccamento è di circa 75.000 chilometri quadrati con una popolazione stabilmente residente superiore ai 25.000 abitanti. Ogni anno i volontari effettuano tra i 250 e i 350 interventi anche se in determinate circostanze (in particolare neve o eventi franosi) questi hanno superato soglia 400;
   l'immobile in cui risiede il distaccamento è di proprietà della cooperativa «Santa Barbara», costituita dagli stessi vigili del fuoco volontari;
   fino al 2013 il Ministero dell'interno ha liquidato alla cooperativa un contributo di 14.000 euro per la copertura dei costi di affitto dell'immobile. Dall'anno 2013 il contributo non è più stato corrisposto e il prefetto di Parma, dottor Luigi Viana, ha comunicato ai volontari e all'amministrazione comunale di Borgo Val di Taro che sarebbe intenzione del Ministero non riconoscere più rimborsi per l'affitto dei distaccamenti volontari e che gli stessi oneri dovrebbero essere ripartiti, pro quota, tra i comuni d'area –:
   se corrisponda al vero l'intenzione del Ministero dell'interno di non farsi più carico del contributo per l'affitto degli immobili che ospitano distaccamenti volontari dei vigili del fuoco, e segnatamente quello di Borgo Val di Taro, e se, nel caso, non ritenga di riconsiderare tale decisione in considerazione della valenza strategica dei presidi volontari in particolare nei territori di montagna. (4-04549)

  Risposta. — Il distaccamento volontario dei vigili del fuoco di Borgo Val di Taro, dipendente dal comando provinciale di Parma, dispone al momento di una dotazione organica di 43 vigili del fuoco volontari e 7 capi squadra volontari.
  Il distaccamento, pur operando in un comprensorio con un numero non elevato di comuni, indicati nel testo dell'interrogazione, ha una dislocazione assolutamente strategica in quanto copre tutta la zona appenninica dell'Alta Val di Taro, con un territorio assai vasto e di totale configurazione montuosa, che necessita, durante tutto l'anno, di numerosi e diversificati interventi di soccorso.
  Considerato che la media degli interventi effettuati nel periodo 2008/2012 è stata di 265 l'anno, il distaccamento ha ottenuto dal comando di Parma, territorialmente competente, un giudizio favorevole di «efficienza» riguardo all'attività di soccorso.
  Diversamente da quanto previsto generalmente per i distaccamenti volontari dei vigili del fuoco, per i quali le spese di affitto e gestione della sede sono a carico del comune competente, il Ministero dell'interno versa, per l'edificio dove ha sede il distaccamento di Borgo Val di Taro, un canone di affitto annuale di 17.372,40 euro. Affinché sia garantito, anche per il futuro, l'esercizio di tale presidio, il sindaco di quel comune ha manifestato la disponibilità a farsi carico del canone di locazione e del pagamento delle relative utenze.
  Sono in corso i contatti con il comune finalizzati a concordare le modalità operative per la prosecuzione dell'attività del presidio, ricorrendo anche a forme di cooperazione con gli altri comuni direttamente interessati.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   NASTRI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dal quotidiano Il Sole 24 Ore, sabato 12 aprile 2014, anche il comune di Roma, rientra fra le amministrazioni comunali, che hanno sforato i vincoli previsti dalla contrattazione integrativa dei dipendenti, che sono stati individuati nell'ambito delle verifiche confermate dalla Ragioneria generale dello Stato;
   il documento che rappresenta l'effetto di una due diligence richiesta dalla stessa giunta comunale capitolina, analizza gli anni fra il 2008 e il 2013, le spese del personale irregolari erogate negli anni, stimate in 529 milioni di euro, a cui si aggiungono 76 milioni di euro attribuiti irregolarmente ai dirigenti;
   la suindicata e impegnativa cifra, che deriva dall'effetto trascinamento dei contratti del passato, (nel 2009 gli ispettori della Ragioneria avevano contestato una serie di clausole risalenti al 2004, senza alcun risultato) dipende naturalmente anche dalla dimensione numerica del personale del comune: 24 mila dipendenti, pari a 1,1 miliardo di euro di spesa per ogni anno;
   i rilievi espressi dalla ragioneria generale dello Stato, con le regole attualmente in vigore, prevedono l'obbligatorietà del recupero individuale delle indennità illegittime a carico di chi le ha percepite, o il rischio di condanna erariale per gli amministratori, che si dimostrano incuranti delle indicazioni del Ministero dell'economia e delle finanze e di rilievi critici espressi dalla Corte dei conti;
   si tratta di un percorso amministrativo già avviato dal comune di Firenze, attraverso una controversia di circa 50 – 60 milioni di euro contestati a causa di un contratto firmato nel 2003, la cui udienza presso la magistratura contabile è in programma il prossimo 7 luglio, alle cui irregolarità contrattuali si aggiungono altre amministrazioni comunali quali: Vicenza e Reggio Calabria;
   il medesimo articolo riporta inoltre che, ove fosse riconosciuta la responsabilità erariale, si determinerebbe l'imposizione del recupero delle somme di spesa eccessiva dai fondi attuali per la contrattazione decentrata, che servono per pagare le indennità di posizione e le altre voci accessorie dei dipendenti;
   l'applicazione di una restrizione del genere, impone riduzioni ai fondi decentrati fra il 10 e il 30 per cento a seconda dei comuni e se da un lato elimina il problema delle restrizioni sul passato, dall'altro rischia di determinare gravi ripercussioni sul mantenimento dei livelli retributivi attuali;
   le suesposte osservazioni riportate dal suindicato articolo del quotidiano economico, a parere dell'interrogante ove fossero confermate, destano sconcerto e preoccupazione se si valutano gli effetti che lo sforamento dei vincoli per la contrattazione integrativa dei dipendenti anche per la città di Roma Capitale, possono determinarsi per la finanza pubblica –:
   se intendano confermare il contenuto dei rilievi esposti in premessa riportati all'interno dell'articolo del quotidiano «Il Sole 24 Ore», secondo cui anche l'amministrazione capitolina ha erogato circa 600 milioni di euro negli anni dal 2008 al 2013 quali spese ritenute irregolari erogate nei riguardi del personale dipendente;
   se tra i comuni nelle condizioni di cui in premessa, vi siano anche comuni della regione Piemonte e in caso affermativo si chiede di conoscere quali siano. (4-04528)

  Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame, con la quale si chiedono chiarimenti in merito alle verifiche amministrativo-contabili effettuate dalla Ragioneria generale dello Stato sulla gestione finanziaria del comune di Roma, le quali hanno evidenziato alcune irregolarità e carenze nella gestione della spesa per il personale e, in particolare, la violazione dei vincoli finanziari previsti per la contrattazione integrativa.
  Sul piano normativo, segnalo che l'articolo 4 del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, ha previsto un percorso per recuperare gradualmente le somme indebitamente attribuite in sede di contrattazione integrativa, stabilendo, in particolare, che regioni ed enti locali i quali, in violazione dei vincoli finanziari previsti, abbiano erogato somme non dovute, recuperino integralmente le stesse, per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vincoli.
  A tale scopo, è prevista l'adozione di misure di contenimento della spesa per il personale, tramite l'attuazione di piani di riorganizzazione delle strutture burocratico-amministrative. Per agevolare il superamento della descritta situazione di irregolarità, la legge prevede altresì, a determinate condizioni e fermo restando l'obbligo di recupero, la nullità delle clausole contrattuali adottate in violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti alla contrattazione integrativa dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge non si applica agli atti di costituzione o di utilizzo dei fondi per la contrattazione decentrata adottati dalle regioni e dagli enti locali anteriormente al 31 dicembre 2011.
  Allo scopo di fornire criteri per una corretta ed uniforme interpretazione di questa complessa disciplina, il 12 maggio 2014, ho firmato, congiuntamente con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali, una circolare che detta indicazioni transitorie per la prima applicazione delle disposizioni di cui al citato articolo 4 del decreto-legge n. 16 del 2014.
  In considerazione della particolare stratificazione della disciplina negoziale e legale in materia di contrattazione integrativa nel comparto regioni ed enti locali, la circolare ha disposto la costituzione, presso la Conferenza unificata, di un comitato temporaneo composto dai rappresentanti delle competenti amministrazioni centrali, regionali e locali. Il comitato ha il compito di fornire in tempi rapidi indicazioni concrete per risolvere le criticità connesse all'applicazione delle disposizioni di legge e dei contratti collettivi nazionali in materia di contrattazione integrativa, consentendo il riordino e la semplificazione dell'intera disciplina sulle modalità di costituzione ed utilizzo dei fondi di amministrazione.
  Il comitato ha già elaborato indicazioni applicative relative al suddetto articolo 4 del decreto-legge n. 16 del 2014, delle quali la Conferenza unificata ha preso atto nella riunione del 10 luglio 2014. I suoi lavori proseguiranno con l'elaborazione di proposte di intervento normativo o contrattuale.
  Nelle more dei lavori del comitato, è rimessa agli organi di governo degli enti interessati la valutazione delle modalità attuative del suddetto articolo 4, in modo da assicurare la continuità dello svolgimento dei servizi essenziali e indispensabili. Tale continuità amministrativa potrà essere realizzata anche attraverso l'applicazione, in via temporanea e salvo recupero, delle clausole dei contratti integrativi vigenti, ritenuti indispensabili a tale fine.

Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazioneMaria Anna Madia.


   PALAZZOTTO e FARAONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 ottobre 2013, il Ministro dell'interno, intervenendo alla Camera dei deputati per lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo sul naufragio che ha avuto luogo presso l'isola di Lampedusa, ha più volte ribadito che vi è la concreta possibilità di nuovi accadimenti tragici;
   nella stessa occasione, il Ministro ha riferito che l'imbarcazione affondata, presumibilmente a causa di avaria agli apparati motore, sarebbe rimasta ferma ad una distanza di 0,6 miglia dalla costa di Lampedusa, tra le ore 4:00 e le ore 5:00 del 3 ottobre 2013;
   nella fase di avvicinamento alla costa e nelle ore immediatamente antecedenti l'affondamento dell'imbarcazione, la stessa non sarebbe stata intercettata dai mezzi preposti o da altro naviglio operante nelle acque dove si è consumata la tragedia;
   le dimensioni del natante naufragato, di circa 20 metri, portano ad escludere l'ipotesi che la mancata rilevazione sia da attribuirsi alle ridotte dimensioni dello stesso, essendo tali da farlo risultare in ogni caso visibile alle apparecchiature di sorveglianza dei traffico marittimo;
   in seguito all'affondamento dell'imbarcazione, l'allarme risulterebbe essere stato lanciato da imbarcazioni private intorno alle ore 6:30, come risulta da dichiarazioni dei presenti sull'imbarcazione da diporto «Ganar», e in seguito alle ore 7:00, come attestato da comunicazione della guardia costiera di Lampedusa; tale ultima informazione è stata confermata dal Ministro dell'interno in occasione dell'informativa citata;
   numerose testimonianze concordano nel constatare come, durante le operazioni di soccorso, i mezzi della capitaneria, o comunque sotto il comando della stessa, abbiano più volte fatto riferimento a non meglio specificate procedure di soccorso in mare vincolanti per i mezzi giunti in soccorso sul luogo del naufragio;
   la sindaca di Lampedusa, nelle ore successive al naufragio, ha ipotizzato una diminuzione dell'azione di vigilanza e pattugliamento nelle acque attorno all'isola;
   nella notte del 30 settembre 2013, in occasione di un naufragio che fortunatamente non ha causato vittime, presso gli scogli dell'isola di Lampione, era intervenuto un mezzo aereo partito da Catania e attrezzato per operazioni di soccorso in condizioni di visibilità notturna. Anche in tale caso l'imbarcazione non era stata avvistata o segnalata dai mezzi preposti e l'allarme era partito in seguito ad una segnalazione pervenuta al centro operativo della capitaneria di porto di Palermo, che ha quindi avvisato la macchina dei soccorsi –:
   quali e quanti siano i mezzi aerei e navali intervenuti a seguito dell'allarme lanciato dai diportisti privati per il naufragio del 3 ottobre 2013, e con quale dotazione;
   quali siano le dotazioni fisse e mobili di avvistamento da terra per monitorare l'avvicinamento o la navigazione di imbarcazioni nelle acque prospicienti l'isola di Lampedusa;
   quali e quante siano le unità aeree e navali impegnate nelle operazioni di pattugliamento e sorveglianza dell'area marittima di Lampedusa, e con quale dotazione;
   quali e quanti siano i mezzi ad ala rotante attualmente operativi presso l'isola di Lampedusa, e con quale dotazione;
   quale sia la procedura in vigore per il salvataggio adottata da mezzi e comandi delle capitanerie di porto in situazioni e condizioni analoghe a quelle verificatesi il 3 ottobre 2013;
   se vi siano protocolli per il monitoraggio del traffico marittimo nell'area scenario del naufragio, e in caso affermativo, cosa prevedano;
   se nella notte tra il 2 e il 3 ottobre 2013 sia stato registrato l'ingresso in acque territoriali di un'imbarcazione sconosciuta di ragguardevoli dimensioni;
   per quale motivo, eventualmente, non sia stato possibile individuare l'ingresso in acque nazionali e la successiva permanenza del natante affondato, per un lasso di tempo oscillante tra una e due ore, in un tratto di mare distante 0,6 miglia dalla costa;
   a chi spetti il controllo della navigazione e dell'avvicinamento ad acque nazionali delle imbarcazioni e del traffico marittimo, e con quali mezzi;
   se, a seguito della tragedia avvenuta e in considerazione dell'informativa svolta in Parlamento, sia intenzione del Governo rafforzare il sistema di sorveglianza, pattugliamento e salvataggio in mare, e in quali tempi, al fine di prevenire il più possibile il ripetersi di simili stragi;
   se, al fine di appurare l'esatto svolgimento delle operazioni e verificare possibili migliorie al sistema e alle procedure di avvistamento e salvataggio, sia intendimento dello Stato maggiore della marina militare e del Corpo delle capitanerie di porto avviare un'esaustiva indagine sui drammatici fatti del 3 ottobre 2013 e indicare eventuali punti critici sullo stato dei mezzi preposti a pattugliamento e soccorso, nonché delle reti di avvistamento e individuazione. (4-02188)

  Risposta. — L'affondamento di un barcone in prossimità della costa dell'isola di Lampedusa e la presenza di innumerevoli persone in mare sono stati segnalati intorno alle 7 del mattino del 3 ottobre 2013.
  Secondo quanto comunicato dal comando generale del Corpo delle capitanerie di porto, le operazioni di soccorso si sono svolte in maniera corrispondente alle previsioni normative e agli
standard operativi in particolare, l'Ufficio circondariale marittimo di Lampedusa, alla ricezione dell'allarme, ha disposto l'immediato invio in zona di tutti i mezzi disponibili e ha informato tempestivamente il superiore Centro secondario di soccorso marittimo di Palermo, che ha assunto il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso per tutta la loro durata.
  Il giorno stesso del tragico episodio sono intervenuti sul posto sei motovedette, un elicottero, un aereo e sommozzatori della capitaneria di porto, una motovedetta della Guardia di finanza, una motovedetta dei carabinieri, un battello e sommozzatori del vigili del fuoco, una nave e un elicottero della Marina militare Vega, un elicottero dell'Aeronautica militare, pattuglie dell'Esercito italiano, oltre ad alcune imbarcazioni private.
  A partire dal 4 ottobre 2013 e fino al termine delle operazioni, a tali mezzi si sono aggiunti tre navi e sommozzatori della Marina militare, un aereo della Guardia costiera, un elicottero e sommozzatori della Guardia di finanza, un elicottero dell'Esercito italiano, un aeromobile a pilotaggio remoto dell'Aeronautica militare, nonché sommozzatori della polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri.
  L'imbarcazione è stata individuata a circa 40 metri di profondità, a 1,4 miglia a sud di Lampedusa. Complessivamente, sono state tratte in salvo 156 persone, tutte di nazionalità eritrea, a eccezione di un cittadino di nazionalità tunisina, che successivamente è stato sottoposto a fermo di polizia giudiziaria, perché autoaccusatosi di aver condotto l'imbarcazione affondata. Le attività di recupero si sono concluse con il ritrovamento di 366 cadaveri.
  Per quanto riguarda le dotazioni di avvistamento da terra per monitorare ravvicinamento e la navigazione di imbarcazioni nelle acque prospicienti l'isola, a Lampedusa sono installati due radar in dotazione alla Marina militare, che forniscono dati alla Centrale operativa di sorveglianza marittima di Roma, sede del Comando in Capo della squadra navale. Il giorno dell'episodio, uno dei due radar era funzionante e attivo, sebbene predisposto per effettuare la scoperta a grande distanza, mentre l'altro era in avaria.
  Al sistema di sorveglianza contribuiscono anche un radar in dotazione alla Guardia di finanza e due radar in dotazione al Corpo delle capitanerie di porto.
  Questi ultimi, installati a Pantelleria (Montagna Grande) e a Lampedusa (ex Stazione Loran), fanno capo alla centrale operativa ubicata nella capitaneria di porto di Pantelleria e sono parte integrante della rete nazionale VTS (
Vessel traffic Service) preposta al monitoraggio del traffico marittimo per finalità connesse alla sicurezza della navigazione civile e alla tutela dell'ambiente marino. Sempre nell'ambito della citata rete nazionale VTS, in Sicilia operano altri sistemi radar con centrali operative ubicate nelle Capitanerie di porto di Messina, Catania, Pozzallo, Palermo, Trapani e Mazara del Vallo.
  Le strutture VTS di cui il Corpo delle capitanerie è responsabile consentono l'identificazione dei soli natanti muniti di dispositivi radio AIS (
automatic identification system) e non, quindi, di ogni oggetto galleggiante che si trovi sulla superficie del mare, anche di piccole dimensioni, come sono, nella quasi totalità dei casi, i natanti che trasportano migranti.
  Il predetto AIS è previsto come dotazione obbligatoria di bordo per le navi passeggeri, per le navi da carico che superano le 300 tonnellate di stazza e per i pescherecci di almeno 18 metri di lunghezza, ma è assente sulle fatiscenti imbarcazioni che trasportano migranti verso le coste italiane.
  Pertanto, in uno scenario operativo quale quello delle acque circostanti l'isola di Lampedusa, caratterizzato dalla presenza di un elevato numero di imbarcazioni e natanti di piccole dimensioni (piccole unità da diporto, natanti di vario genere, piccoli pescherecci), i sistemi radar rilevano in ogni istante un'elevata quantità di tracce non identificate. Ed è questa la ragione per cui, nella notte tra il 2 e il 3 ottobre 2013, il natante affondato non era in alcun modo riconoscibile come natante adibito al trasporto di migranti o, comunque, come natante bisognoso di assistenza e soccorso.
  Per quanto riguarda le unità aeree e navali impegnate nelle operazioni di pattugliamento e sorveglianza dell'area marittima di Lampedusa, il dispositivo del Corpo delle capitanerie è articolato su due guardacoste d'altura e su un elicottero.
  In generale, le unità navali della Guardia costiera, specializzate per le operazioni di ricerca e soccorso, sono dotate di equipaggi appositamente addestrati e integrati con soccorritori
rescue swimmer che operano in acqua per il salvataggio delle persone; esse sono dotate, inoltre, di attrezzature atte ad accelerare le operazioni di recupero di naufraghi, come reti di recupero, dispositivi di salvataggio individuati e collettivi (salvagenti e zattere gonfiabili), mezzi di visione notturna e sistemi di comunicazione sulle frequenze di emergenza. I mezzi navali della Marina Militare, che sono classificati come mezzi specializzati per la ricerca e il soccorso, hanno pari capacità di scoperta e dotazioni specifiche per il recupero dei naufraghi.
  I mezzi ad ala rotante della Guardia costiera, di stanza a Catania, sono dotati di battelli autogonfiabili di emergenza e imbarcano un aerosoccorritore per il recupero del naufraghi, mentre i mezzi aerei ad ala fissa della Guardia medesima sono dotati di zattere aviolanciabili; entrambe le tipologie sono configurate per operazioni di ricerca e soccorso, con equipaggi specializzati, e sono munite di sensori radar e dispositivi per la visione notturna. Gli elicotteri dell'Aeronautica militare sono configurati per operazioni di ricerca e soccorso e sono anch'essi muniti di aerosoccorritore; i relativi equipaggi sono addestrati per le operazioni di soccorso.
  Quanto alla procedura in vigore per il salvataggio adottata dalle Capitanerie di porto in fattispecie analoghe a quelle verificatesi il 3 ottobre 2013, occorre richiamare il decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1994 n. 662, in base al quale:
   il comando generale delle capitanerie di porto è l'organismo nazionale che assicura il coordinamento generale dei servizi di soccorso marittimo nell'ambito dell'intera regione di interesse italiano e, in quanto tale, esercita la direzione tecnica del dispositivo SAR (
Search and rescue) nazionale;
   le direzioni marittime, quali centri secondari di soccorso marittimo, assicurano, nella zona di propria competenza territoriale, il coordinamento delle operazioni marittime di ricerca e salvataggio, secondo le direttive specifiche o le deleghe del predetto comando generale;
   i comandi di porto, quali unità costiere di guardia, dispongono l'intervento delle unità navali e aeree di soccorso marittimo da essi dipendenti dislocate nella loro giurisdizione e ne mantengono il controllo operativo;
   le unità di soccorso del Corpo delle capitanerie di porto intervengono nelle operazioni di soccorso secondo le pianificazioni dei comandi di porto;
   le risorse delle Forze armate, di polizia, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e di altre strutture e corpi prestano il proprio concorso all'attività di soccorso sotto il coordinamento delle varie articolazioni del Corpo delle capitanerie di porto.

  Sulla base di tale quadro normativo, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con decreto del 25 novembre 1996, ha approvato il «Piano nazionale per il SAR marittimo» sostanzialmente strutturato in una parte preliminare, che si riferisce all'organizzazione generale e funzionale del servizio SAR nazionale, e in una seconda parte, costituita dal piani locali dei predetti centri secondari di soccorso marittimo, contenente la globalità delle risorse disponibili e i collegamenti operativi locali.
  Infine, con riferimento alla richiesta di rafforzamento del sistema di sorveglianza, pattugliamento e salvataggio in mare, proprio in seguito alla tragedia di Lampedusa, è stata avviata – come noto –
Mare Nostrum, operazione di salvataggio e soccorso in mare di evidente imponenza e di particolare complessità tecnica – in ragione del concorso congiunto di assetti militari e delle forze di polizia, dell'ampiezza dell'area di intervento e del suo carattere continuativo –, che si è palesata quale unica misura emergenziale idonea nel breve periodo ad attenuare il rischio che l'ondata migratoria potesse dare luogo ad ulteriori sciagure.
  L'obiettivo della missione è stato finora pienamente raggiunto, come testimonia il fatto che, a partire dal 18 ottobre 2013, circa 77 mila persone sono state tratte in salvo.
  Al di là dei suoi meriti, ora l'operazione
Mare Nostrum è oggetto di riconsiderazione, dato che essa – come detto – è stata concepita come missione di breve periodo, mentre lo scenario internazionale conduce a ritenere che i flussi migratori nel Mediterraneo siano diventati ormai un fenomeno strutturate. Il già iniziato semestre di presidenza italiana dell'Unione sarà l'occasione per tornare a chiedere con forza alle autorità di Bruxelles e ai singoli Paesi membri un'adeguata compartecipazione organizzativa e finanziaria a un'iniziativa, di cui, finora il nostro Paese si è fatto carico integralmente.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni articoli apparsi nei giorni scorsi sulla stampa si è appreso la notizia dell'arresto di don Sergio Librizzi, direttore della Caritas di Trapani con l'accusa di concussione e violenza sessuale pluriaggravata ai danni degli immigrati che, stando alle intercettazioni pubblicate, avrebbero subito violenze sessuali e ricatti da parte del parroco in cambio di presunti suoi interventi volti ad agevolare le pratiche di regolarizzazione, per l'ottenimento dello status di rifugiato o del permesso di soggiorno non solo per gli immigrati vittime degli abusi ma in alcuni casi anche per gli scafisti;
   don Sergio Librizzi era visto come una persona importante da tutti quelli che si occupavano di immigrazione e gestione degli immigrati, dai centri di accoglienza alle cooperative apposta costituite per le case famiglia e il lavoro e secondo il gip Cersosimo avrebbe avuto coperture importanti. Infatti, dalle indagini sarebbe emerso come fatto inconfutabile e notorio come don Librizzi sia detentore di una posizione di grande potere e che lo stesso sia strettamente legato a soggetti più potenti di Trapani nonché gestore di fatto dei centri di accoglienza e del sistema di cooperative connesso;
   don Librizzi risulta essere unico ed incontrastato dominus di una complessa e articolata rete di cooperative, «ipab» e società attraverso le quali gestisce in regime monopolistico non solo i centri di accoglienza per extracomunitari ma anche l'intero universo del lavoro ad esso collegato generando e gestendo risorse e lavoro. È al vertice di una ricca fiorente e incontrastata holding finanziata con denaro pubblico che gestisce per intero il business dell'assistenza ai migranti;
   per gli inquirenti monsignore Sergio Librizzi avrebbe abusato del suo ruolo di componente della commissione territoriale e si sarebbe mosso sempre con determinazione per ostacolare e danneggiare i pochi coraggiosi che hanno avuto la forza di tentare di opporsi alle sue reiterate malefatte con intimidazioni, minacce e aggressioni con il chiaro effetto di creare intorno allo stesso l'aura di soggetto intoccabile e impunibile;
   dalla stampa si apprende inoltre dell'esistenza di una serie di denunce e testimonianze contro il parroco, come quella di un dipendente di uno dei centri di accoglienza nei quali don Librizzi si sarebbe mosso con «autorità», il quale avrebbe detto come le notizie delle periodiche ispezioni sarebbero arrivate per tempo e sarebbe stato lo stesso don Librizzi, ogni volta, a preannunciare le ispezioni, così da avere il tempo necessario a mettere ogni cosa al suo posto. O come quella di una ragazza che si occupa di migranti, che si sarebbe attivata per aiutare un immigrato vittima delle pressioni del prete e che avrebbe ricevuto una busta con un proiettile. O come la denuncia di un'altra ragazza che sembrerebbe aver ricevuto minacce mentre si apprestava a denunciare un caso di presunta malasanità. Un'altra testimone ha invece raccontato ai pubblici ministeri di una minaccia ricevuta dopo aver cercato di aiutare un immigrato che sosteneva di aver subito una violenza sessuale dallo stesso sacerdote;
   stando alle ricostruzioni dell'accusa quindi, gli assistenti e i mediatori culturali avrebbero lavorato nei centri solo se graditi al prete e addirittura molti di quelli che avrebbero voluto sporgere denuncia sarebbero stati invitati a desistere;
   a parere degli interroganti i fatti sopra esposti, qualora accertati dalla magistratura, sono da ritenersi di una gravità assoluta e vanno condannati e stigmatizzati da parte delle istituzioni democratiche, che non posso tollerare l'esistenza di tali comportamenti inqualificabili messi in atto tra l'altro nei confronti di soggetti deboli e ricattabili come gli immigrati, costretti nella fattispecie a subire abusi sessuali in cambio di permessi di soggiorno o dietro il ricatto di un rimpatrio immediato;
   dall'inchiesta in corso oltre all'aspetto, seppur aberrante, legato ai presunti abusi sessuali che vanno accertati, perseguiti e puniti, emerge con preoccupazione l'esistenza di un vero e proprio sistema di affari e prevaricazioni dietro agli sbarchi e alla gestione dell'accoglienza degli immigrati a Trapani, dalle informazioni date in anticipo sulle ispezioni al rilascio dei permessi di ingresso nei centri solo a persone considerate fidate o dopo mesi dalla richiesta e dopo ripetute insistenze, al controllo diretto delle cooperative che gestiscono i centri;
   è di tutta evidenza che Don Librizzi abbia potuto agire solo grazie ad una fitta rete che, tramite comportamenti ed omissioni, gli ha consentito di operare come vero dominus dell'accoglienza e che, quindi, agli eventuali profili di responsabilità penale si accompagnino gravissime responsabilità oggettive in capo a tutti i soggetti aventi ruoli di gestione e di controllo dell'attività legata all'accoglienza dei migranti ed alle procedure di riconoscimento del diritto d'asilo e della protezione sussidiaria –:
   se il Ministro non ritenga opportuno, per quanto di competenza, avviare immediatamente un'ispezione per verificare l'esistenza di comportamenti scorretti e contrari alla legge da parte di don Librizzi ed eventuali altre irregolarità nella gestione dei centri per l'accoglienza, identificazione ed espulsione della provincia di Trapani;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere nelle more della definizione del procedimento penale, sulla base del principio di precauzione, per assicurare il buon andamento e la regolarità nella gestione dei centri per migranti e nelle procedure per il riconoscimento di status di rifugiato nella provincia di Trapani. (4-05462)

  Risposta. — Il 24 giugno 2014, è stata eseguita un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, per i reati di concussione e abuso sessuale, nei confronti di don Sergio Librizzi, parroco della chiesa di San Pietro, a Trapani, direttore della Caritas diocesana e membro supplente della locale commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.
  Il provvedimento restrittivo e le gravi ipotesi di reato alla base dell'ordinanza hanno suscitato una vasta eco nell'opinione pubblica e negli organi d'informazione locali, poiché il sacerdote costituiva un punto di riferimento negli ambienti del volontariato e dell'associazionismo cattolico.
  Nella conferenza stampa in cui ha annunciato l'arresto, il Procuratore della Repubblica di Trapani ha rilevato che gli abusi di cui è accusato il religioso sarebbero stati compiuti facendo ricorso a condizionamenti e pressioni nei confronti di immigrati non comunitari, in condizione di evidente sudditanza psicologica.
  La curia di Trapani ha immediatamente revocato tutti gli incarichi pastorali già affidati al sacerdote, mentre il presidente della commissione territoriale ha formalizzato al sindaco di Trapani la richiesta di designare un sostituto quale membro supplente in rappresentanza della conferenza Stato-città.
  Per quanto riguarda l'influenza del religioso sulla rete locale delle strutture di accoglienza e assistenza per immigrati, si assicura che i centri attivati negli ultimi otto mesi – una trentina di strutture (centri di accoglienza straordinari) istituite per fronteggiare la straordinaria intensificazione degli sbarchi – sono stati affidati in gestione ad operatori del privato sociale o esercenti di servizi turistici e alberghieri, che in passato non avevano avuto interessi nelle attività in questione.
  Le relazioni intrattenute dal sacerdote, invece, sono riferibili all'attività dei pochi gestori attivi da parecchi anni nel settore, che peraltro non hanno significativamente ampliato la loro presenza nella recente fase di reperimento di nuove strutture, attivate in via di urgenza dalla locale prefettura.
  Al momento non è possibile fornire ulteriori informazioni sui punti toccati nell'interrogazione, in quanto la vicenda è tuttora oggetto di attività investigative, sulle quali vige il più stretto segreto di indagine.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PARENTELA, NESCI e DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio regionale della Calabria – sciolto per le dimissioni del 29 aprile 2014 del presidente della giunta, Giuseppe Scopelliti, condannato in primo grado per abuso d'ufficio e falso, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e conseguente sospensione ex articolo 8 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 – nella seduta del 3 giugno 2014 ha adottato la legge elettorale per l'elezione dei consiglieri regionali e del presidente della giunta regionale;
   in considerazione del suddetto provvedimento di sospensione, che nel tempo ha preceduto l'approvazione della nuova legge elettorale in argomento, questa stessa legge potrebbe aver avuto una dubbia legittimazione, stando alla lettera dell'articolo 33 dello statuto della Calabria regione Calabria, che al comma 6 prevede «nuove elezioni del Consiglio e del Presidente della Giunta in caso di rimozione, impedimento permanente, morte, incompatibilità sopravvenuta e dimissioni volontarie del Presidente», mentre al comma 7 prescrive che «il Presidente della Giunta e la Giunta rimangono in carica fino alla proclamazione del nuovo Presidente»;
   nell'adozione del proprio sistema elettorale le regioni devono rispettare i princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, come espressamente previsto dall'articolo 122 della Costituzione;
   l'articolo 4, comma 1, lettera a) della legge n. 165 del 2004, che detta i suddetti princìpi, richiede alle regioni di legiferare in materia elettorale in modo da assicurare la governabilità attraverso la formazione di una maggioranza stabile, nel contempo salvaguardando la rappresentanza delle minoranze;
   la nuova legge elettorale della Calabria prevede, ai fini della assegnazione dei seggi in Consiglio regionale, la fissazione di una soglia minima di sbarramento pari al 15 per cento, insieme all'accorpamento dei collegi provinciali di Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia in un unico collegio;
   ad avviso degli interroganti tale ultima previsione appare severamente critica sotto il profilo della legittimità, in quanto l'accorpamento dei collegi provinciali lede la rappresentanza di territori che corrispondono alle province, ancora esistenti;
   a parere degli interroganti la riferita fissazione della soglia di sbarramento al 15 per cento costituisce palese violazione dell'articolo 122 della Costituzione, nonché – lato sensu – degli articoli 3 e 51 della medesima, immediatamente risultando irragionevole, abnorme, iniqua e lesiva del diritto di rappresentanza, in subordine anche a fronte della soglia prevista dalla precedente legge elettorale della regione Calabria, corrispondente al 5 per cento;
   oltretutto, nella nuova legge elettorale approvata dalla regione Calabria è prevista la figura del consigliere supplente, con la quale si consente la sostituzione, attraverso il subentro del primo dei non eletti, del consigliere chiamato ad esercitare le funzioni di assessore;
   la suddetta disposizione appare agli interroganti priva di ragionevole fondamento e finalizzata all'incremento di «posti» all'interno dell'ente regionale, in quanto ignora gravemente la sentenza n. 35 della Corte costituzionale, che ha dichiarato «l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1 della delibera legislativa statutaria della Regione Calabria «Riduzione del numero dei componenti del Consiglio regionale e dei componenti della giunta regionale. Modifiche alla legge regionale 19 ottobre 2004, n. 25 “Statuto della Regione Calabria”», approvata in prima lettura dal consiglio regionale con deliberazione n. 230 del 9 ottobre 2012 e in seconda lettura con deliberazione n. 279 del 18 marzo 2013, nella parte in cui sostituisce il numero «50» con quello di «40», anziché con quello di «30» –:
   se non ritenga che il sistema elettorale delineato dalla nuova legge elettorale adottata dalla regione Calabria risulti esorbitante rispetto ai limiti e ai principi dell'ordinamento e non intenda perciò valutare se sussistano i presupposti per promuovere la questione di legittimità costituzionale ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione. (4-05185)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  La legge regionale 6 giugno 2014, n. 8, intende apportare delle modifiche ed integrazioni alla legge elettorale regionale n. 1 del 2005, esercitando una competenza legislativa attribuita alle regioni dall'articolo 122, comma 1, della Costituzione. Il sistema di elezione del Presidente e dei consiglieri è oggetto di competenza legislativa concorrente tra lo Stato e la regione. Infatti, il Parlamento ha adottato in questo senso la legge n. 165 del 2004, che detta i principi fondamentali della materia.
  Tuttavia, la legge regionale risulta censurabile per le seguenti motivazioni:
   1) L'articolo 1, comma 1, lettera
e), che sostituisce il comma 3 dell'articolo 1 della legge regionale n. 1 del 2005, prevede che non siano ammesse al riparto dei seggi: «a) le liste regionali che non abbiano ottenuto nell'intera regione almeno il 15 per cento dei voti validi o almeno il 4 per cento, se facenti parte di una coalizione; b) le coalizioni che non abbiano ottenuto complessivamente nell'intera regione almeno il 15 per cento dei voti validi espressi a favore delle stesse».

  Al riguardo si evidenzia, sotto un primo profilo, che l'introduzione di una soglia di sbarramento per le liste regionali fissata al 15 per cento appare così elevata che può dar luogo ad una distorsione, in concreto, tra i voti espressi e i seggi ottenuti che supera il limite fisiologico insito in qualsiasi sistema elettorale, in violazione del principio di ragionevolezza, principio costituzionalmente garantito ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione.
  Afferma la Corte costituzionale che nonostante al legislatore regionale sia rimesso un ampio margine di discrezionalità nella determinazione del sistema elettorale, questo non può essere considerato esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quando risulti manifestamente irragionevole (Corte Cost. sent. n. 1/2014).
  Tale disposizione, inoltre, viola il principio di eguaglianza del voto sancito dall'articolo 48, secondo comma, della Costituzione ed altresì di quelli di uguaglianza dei cittadini e di accesso alle cariche elettive in condizioni di parità, di cui agli articoli 3 e 51 della Costituzione.
  Più in generale, risulta violato anche il principio, enucleato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2014 che impone di assicurare la tutela del diritto inviolabile di voto, pregiudicato da una normativa costituzionale non conforme ai principi costituzionali.
  Sotto altro profilo, si evidenzia che la norma in esame, così come formulata, può ingenerare dubbi interpretativi. Infatti, l'introduzione del concetto di «coalizione» 1, comma 1, lettera
e) sub a)) senza precisarne la definizione e senza chiarirne doverosamente l'ambito applicativo, facendo sostanzialmente coincidere la coalizione con le liste regionali (in Calabria formate dal solo candidato presidente) collegate con liste presentate nelle circoscrizioni territoriali (provinciali), ingenera incertezza del diritto, con il rischio di determinare insormontabili problemi applicativi, che si riverberano, inevitabilmente, sulla costituzionalità della norma con la conseguente possibile esclusione di molti voti e di numerose liste dal riparto dei seggi sulla base di scelte interpretative non supportate da disposizioni di legge puntuali, in sostanziale violazione degli articoli 3 e 48 della Costituzione sull'uguaglianza dei cittadini e del loro voto, nonché dell'articolo 51 della Costituzione sulla parità di accesso alle cariche elettive. Medesime considerazioni inficiano, altresì, la legittimità della successiva disposizione di cui all'articolo 1, comma 1. lettera e) sub b);

  2) Analoghi dubbi di legittimità costituzionale suscita la previsione dell'articolo 4, comma 1, lettera e), che innalza dal 55 per cento al 60 per cento il premio di maggioranza ai fini dell'eventuale attribuzione di seggi aggiuntivi da garantire alle liste circoscrizionali collegate con la lista regionale vincente. Si ritiene, infatti, che la possibilità di prevedere seggi aggiuntivi non sia più in linea con lo statuto della regione Calabria, come da ultimo modificato, (seppur impugnato recentemente dal Governo per un'altra disposizione) in relazione al numero di consiglieri fissato in trenta più il Presidente e come, altresì, previsto dalla medesima legge regionale in esame all'articolo 1, comma 1, lettera a).
  Tale numero costituisce il limite massimo di consiglieri possibile per le regioni come la Calabria con popolazione fino a due milioni di abitanti, fissato dall'articolo 14 del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011, il quale prevede che, per il conseguimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica, le Regioni debbano adeguare, nell'ambito della propria autonomia statutaria e legislativa, i rispettivi ordinamenti alla previsione che il numero massimo dei consiglieri regionali, ad esclusione del Presidente della giunta regionale, sia uguale o inferiore a 30 per le regioni con popolazione fino a due milioni di abitanti.
  Tale disposizione, pertanto, prevedendo la possibilità di seggi aggiuntivi contrasta con il principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 117, comma 3, della Costituzione, di cui è espressione il decreto-legge succitato n. 138 del 2011, che detta parametri diretti esplicitamente al «conseguimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica» (primo alinea dell'articolo 14, comma 1, del decreto-legge n. 138 del 2011) al quale le regioni debbono adeguarsi.
  Al riguardo deve escludersi che le regioni possano derogare a tale limite individuato dalla Corte costituzionale come principio di coordinamento della finanza pubblica – rientrante nelle materie di legislazione concorrente ai sensi dell'articolo 117, comma 3 della Costituzione – che «nel quadro della finalità generale del contenimento della spesa pubblica, stabilisce, in coerenza con il principio di eguaglianza, criteri di proporzione tra elettori, eletti e nominati». «In particolare, la norma statale fissando un rapporto tra il numero degli abitanti e quello dei consiglieri, e quindi tra elettori ed eletti, mira a garantire proprio il principio in base al quale tutti i cittadini hanno il diritto di essere ugualmente rappresentati». (sent. n. 35/2014).
  Per le sopracitate motivazioni, il Consiglio dei ministri, nella seduta del 10 luglio 2014, ha sollevato la questione di legittimità, dinanzi alla Corte costituzionale, della predetta legge della regione Calabria 6 giugno 2014, n. 8.
  Stante la delicatezza della materia e le imminenti elezioni regionali, a fronte delle dimissioni del Presidente della giunta regionale, lo stesso Consiglio dei ministri ha ritenuto che ricorrano i requisiti per l'applicazione dell'articolo 35 della legge n. 87 del 1953, così come modificato dall'articolo 9, comma 4, della legge n. 131 del 2003, in considerazione del fatto che un'eventuale illegittimità delle disposizioni impugnate comporterebbe l'annullamento del risultato elettorale.

Il Ministro per gli affari regionali e le autonomieMaria Carmela Lanzetta.


   RUOCCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 marzo 2014 dall'interpellante è stata depositata un'interrogazione a risposta scritta 4-04122 con la quale si chiedeva al Governo di sapere quali misure intendesse intraprendere in merito alla mancata attuazione dei decreti attuativi al fine di evitare le pesanti ripercussioni derivanti dal gap tra quelli emanati e quelli non ancora emanati;
   in data 3 giugno 2014 il Ministro per rapporti con il Parlamento ha inviato la sua risposta all'interrogazione sopra citata affermando che «Considerata la situazione sopra rappresentata, il Governo, al fine di assicurare la più rapida applicazione delle disposizioni legislative a favore di famiglie ed imprese, intende procedere incisivamente, da un lato attraverso azioni di sollecitazione e di stimolo nei confronti dei ministeri competenti all'emanazione dei decreti attuativi e, dall'altro, promuovendo la riduzione della normativa di secondo livello e dell'uso, ove possibile, di modalità applicative che appesantiscono e allungano i procedimenti attuativi»;
   secondo fonti di stampa però continua a crescere lo stock dei decreti necessari per rendere pienamente operative le riforme. Il Sole 24 ore del 2 luglio 2014 ha scritto:
  «In due mesi-rispetto all'ultimo Rating 24 (si veda il Sole 24 Ore del 22 aprile) si è passati da 500 a 511 provvedimenti ancora da mettere a punto. Sono, infatti, arrivati al traguardo tre decreti legge, che prevedono ben 84 regolamenti per poter dispiegare pienamente gli effetti. Provvedimenti che si sommano a quelli lasciati in eredità dagli Esecutivi Monti e Letta: si tratta complessivamente di 428 decreti attuativi ancora in attesa, di cui 177 già scaduti»;
   un esempio può essere il decreto legge 20 marzo 2014, n. 34, «Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese». Manca il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali previsto da questo decreto che avrebbe dovuto rendere operativa la verifica on line della regolarità contributiva delle imprese e che allunga a 120 giorni la validità dei dati dichiarati;
   un altro esempio è la mancanza dei decreti attuativi del decreto legge 66 del 24 aprile 2014 «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale», decreti attesi per fine maggiore non ancora pubblicati sulla «Gazzetta Ufficiale» –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere anche attraverso la previsione di una norma che imponga ai Ministeri di predisporre per tempo gli atti di propria competenza e, in caso di inadempienza, dare alla Presidenza del consiglio la possibilità di attivare stringenti meccanismi di attuazione. (4-05385)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione n. 4-05385 presentata dall'onorevole Carla Ruocco, occorre preliminarmente formulare alcune precisazioni.
  Nell'interrogazione si fa riferimento alla crescita dello
stock dei decreti necessari per rendere operative le riforme, citando un articolo apparso sul «Sole 24 ore» del 2 luglio 2014, che mette in evidenza un aumento negli ultimi due mesi (da 500 a 511) dei provvedimenti ancora da mettere a punto, rispetto ad una precedente rilevazione datata 22 aprile. Il dato, complessivo dell'attività dei Governi Monti, Letta e Renzi, prende in esame solo una parte della produzione normativa, facendo riferimento unicamente a provvedimenti finalizzati a crescita e sviluppo che maggiormente avrebbero caratterizzato l'attività degli ultimi Esecutivi.
  La Presidenza del Consigli dei ministri, attraverso l'ufficio per il programma di governo, effettua il monitoraggio istituzionale, completo, rivolto a tutti i provvedimenti legislativi e ai relativi provvedimenti di attuazione, emanati dagli ultimi due esecutivi e dal Governo in carica.
  Il dato complessivo – comunicato dal Presidente al Consiglio dei ministri del 31 luglio scorso – è il seguente: alla stessa data risultano da adottare complessivamente 695 decreti attuativi di tutti i provvedimenti legislativi riferiti agli ultimi due Governi Letta e Monti ed all'esecutivo in carica, di cui 241 hanno il termine di adozione già scaduto, mentre la restante parte comprende 454 provvedimenti con termini non ancora scaduti o privi di un termine prefissato.
  Ed ancora: alla data di insediamento dell'attuale esecutivo, i decreti attuativi riferibili ai precedenti Governi Monti e Letta erano 889, a fronte dei 542 da adottare risultanti alla data del 31 luglio (265 per il Governo Monti e 277 per il Governo Letta). Tali dati evidenziano un progressivo abbattimento dello
stock iniziale.
  Considerando nel dettaglio le osservazioni dell'interrogante:
   relativamente al decreto attuativo per la verifica
on-line della regolarità contributiva previsto dal decreto-legge n. 34 del 2014 recante «disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese», si segnala che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha predisposto il decreto che è stato inviato il 14 luglio scorso al Mef e al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, per il previsto concerto;
   relativamente ai decreti attuativi con termine di scadenza entro il mese di maggio del decreto-legge n. 66 del 2014, recante «misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale», è stato adottato un provvedimento da parte del Ministero dell'economia e delle finanze ed un altro è stato inviato dal Ministero della difesa al Mef per il prescritto parere. Sono stati anche adottati ulteriori provvedimenti con scadenze successive o senza termine, da parte della Presidenza del Consiglio, del Ministero dell'interno, del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

  Quanto alle iniziative volte a favorire una concreta e tempestiva attuazione delle disposizioni legislative, si rammenta che il complessivo stato di attuazione è costantemente coordinato e monitorato dal Ministro con delega al programma di Governo, attraverso l'ufficio a ciò preposto. Come è noto, peraltro, il Presidente del Consiglio sta adempiendo all'impegno assunto di fare il punto sullo stato di avanzamento dei decreti attuativi all'inizio di ogni Consiglio dei ministri.
  Si segnala che il 18 luglio 2014, si è tenuta la prima conferenza dei Capi di Gabinetto di tutti i ministeri, nell'ambito della quale è stato condiviso un programma di misure operative coordinate, finalizzato allo smaltimento dei provvedimenti ancora pendenti e all'adozione dei nuovi provvedimenti nel rispetto dei termini previsti, anche attraverso l'attivazione di specifici tavoli tecnici per la risoluzione di eventuali difficoltà attuative. In tale sede, è stato condiviso l'intendimento del Governo di incrementare l'ambito di trasparenza e pubblicità dei dati, ampliando progressivamente la quantità e la qualità delle informazioni pubblicate sul sito istituzionale e assicurando la totale accessibilità e fruibilità dei dati da parte dei cittadini e dei portatori di interessi generali.
  Infine, si rammenta che nel disegno di legge delega per la riforma della pubblica amministrazione, approvato dal Governo il 10 luglio scorso, è inserita una specifica disposizione che fissa tempi rapidi e certi per l'acquisizione di concerti e pareri, mirata a semplificare e velocizzare l'attuazione dei provvedimenti normativi di rango primario.

Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il ParlamentoMaria Elena Boschi.


   ZAMPA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 9 dicembre 2013 è stata approvata dalla Camera dei deputati la mozione 1/00156, che impegna il Governo «a ripensare gli attuali strumenti di gestione dell'immigrazione irregolare che risultano inefficaci (per quanto attiene all'effettività dei provvedimenti di espulsione) e costosi – tenendo conto che l'aumento dei costi è incongruo rispetto agli obiettivi – e ad abbattere i tempi di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione, oggi inaccettabili per durata e inutili, oltre il periodo iniziale, all'effettiva identificazione delle persone trattenute; ...ad intervenire sulla disciplina di permanenza, per evitare il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione di coloro che hanno bisogno di protezione, come le vittime di tratta, i minori, i richiedenti asilo»;
   è stato soppresso, con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il Centro di identificazione ed espulsione di Modena, così come comunicato dalla prefettura il 23 dicembre scorso e che la garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della regione Emilia Romagna, Desi Bruno, ha dichiarato che «la chiusura del centro di Identificazione ed Espulsione di Modena ad opera del Ministero degli Interni è un fatto positivo e costituisce la presa d'atto di una situazione non più sostenibile per le persone trattenute e per coloro che vi lavoravano»;
   il centro di identificazione ed espulsione di Bologna (CIE) è stato definito dal sindaco della città, Virginio Merola, «un cuore di tenebra»;
   contro il rischio di una imminente riapertura della struttura, associazioni, centri sociali, sindacati, comitati e amministratori della città di Bologna si sono ritrovati, il 12 dicembre 2013, sotto la sede della prefettura per esprimere un netto rifiuto all'ipotesi di riapertura del CIE;
   il 18 dicembre 2013, nella giornata internazionale dei diritti dei migranti e dei rifugiati, davanti alla struttura, temporaneamente chiusa per ristrutturazione, si è svolta una manifestazione contro la riapertura del centro e si sono verificati scontri tra i manifestanti e le forze dell'ordine, a riprova del fatto che la città di Bologna vive in modo conflittuale la presenza sul suo territorio di questa struttura percepita come un luogo di detenzione che non risolve, ma accentua, i motivi di conflitto;
   il centro di identificazione ed espulsione di Bologna è stato in passato e più volte teatro di numerosi episodi di tensione, di tentativi di fuga, di incendi e di manifestazioni di grande disagio non solo delle persone trattenute ma anche del personale di Polizia e del personale in servizio presso la struttura –:
   se corrispondano al vero le notizie secondo le quali sarebbe prossima la riapertura del centro di identificazione ed espulsione di Bologna e sarebbe già stato predisposto un bando di gara;
   se non si ritenga invece di chiudere definitivamente anche questa struttura, come già fatto a Modena. (4-03197)

  Risposta. — Nel mese di marzo 2013, in seguito alle verifiche effettuate da un apposito gruppo di lavoro costituito dalla locale prefettura sulle condizioni strutturali, igienico sanitarie e di gestione del centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Bologna, sono state avviate urgenti opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, che hanno reso necessario il trasferimento degli stranieri ivi trattenuti e la temporanea chiusura della struttura. I lavori di ristrutturazione sono stati ultimati e si è svolta la gara per l'aggiudicazione del servizio di gestione. Al fine di fronteggiare il massiccio, ininterrotto flusso migratorio che sta interessando il territorio nazionale, la struttura è utilizzata in via transitoria come centro di prima accoglienza dei migranti.
  Si soggiunge, con riferimento alla mozione richiamata dall'interrogante nel preambolo dell'interrogazione, che le criticità riscontrate nella gestione di alcuni Cie – come quello di Bologna – hanno reso necessaria una complessiva revisione dell'intero sistema dei centri governativi per l'immigrazione, attraverso interventi in via normativa e amministrativa.
  Sotto il primo profilo, nel disegno di legge europea 2013-bis, approvato dalla Camera dei deputati e attualmente all'esame del Senato, è stata inserita la riduzione a 180 giorni del termine massimo della permanenza degli stranieri in tali strutture.
  Sulla difficoltà di identificazione dello straniero, che costituisce motivo di prolungamento della permanenza nei Cie, è già intervenuto il decreto-legge n. 146 del 2013, in tema di sovraffollamento carcerario, che permette l'identificazione degli stranieri detenuti già al loro ingresso negli istituti di pena, consentendo quindi di evitare o ridurre il più possibile la necessità di un successivo trattenimento nei centri.
  Ulteriori disposizioni finalizzate ad agevolare l'identificazione sono contenute nel citato disegno di legge europea, che prevede una più stretta collaborazione tra strutture penitenziarie e questure.
  Sotto il profilo amministrativo, da un lato, è in corso la rivisitazione dello schema di capitolato di appalto, che risale al 2008, con specifico riferimento alla revisione dei servizi e dei criteri posti a base d'asta per l'aggiudicazione.
  Dall'altro, è imminente l'adozione di un regolamento finalizzato a disciplinare l'organizzazione dei Cie e il loro funzionamento in maniera uniforme sull'intero territorio nazionale. Sul regolamento è stato raccolto l'assenso dei rappresentanti delle organizzazioni partner del progetto
Praesidium, nonché dell'istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e dell'organizzazione mondiale della sanità.
  Si informa, ancora, che le prefetture effettuano da tempo il monitoraggio e il controllo sulla congruenza dei servizi erogati. In caso di accertato disservizio, esse applicano penali, esigono il risarcimento del maggior danno e, nell'ipotesi di gravi inadempienze, hanno facoltà di risolvere il contratto. Inoltre, al fine di rafforzare tali attività, è in corso dal 2013 una proficua collaborazione con i
partner del progetto Praesidium, che si traduce sostanzialmente nell'istituzione, presso ciascun centro governativo, di commissioni a composizione mista (rappresentanti di prefettura, questura e ciascuna organizzazione partner), con il compito di verificare, con cadenza periodica, il rispetto delle convenzioni stipulate.
  Si sottolinea, infine, che il sistema seguito in questi anni ha assicurato dei costi di gestione in linea con i parametri europei, come riconosciuto dall'Agenzia Easo.
  Si ritiene, quindi, che l'azione del Governo sia in linea con le politiche europee e rispettosa dei principi sanciti dalle convenzioni internazionali siglate dall'Italia, pur nella consapevolezza che nella gestione di un fenomeno così articolato e complesso possono verificarsi disservizi e anomalie. Anche per questo il Ministero dell'interno vigila con rigore, impegnando ogni risorsa per l'effettivo rispetto dei diritti di tutti, specie dei soggetti più vulnerabili.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.