Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 9 settembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il quadro delle relazioni internazionali risulta caratterizzato da un moltiplicarsi di nuove e crescenti situazioni di accesa criticità e complessità che chiamano il nostro Paese ad assumersi le proprie responsabilità nell'ambito delle istituzioni sovranazionali e delle alleanze di cui fa parte: Onu, Unione europea e Nato;
    l'intero Medioriente rischia di avvitarsi in una escalation di tensioni politiche, etniche e religiose che ne minano alle fondamenta la stabilità e le prospettive di sviluppo: dal conflitto israelo-palestinese, alla Siria, dal Libano all'Iraq, per non dimenticare la stessa situazione libica che appare fuori controllo. Si è di fronte ad un insieme di focolai di tensione che generano violenze intollerabili, guerre civili e la diffusione di nuovi e più pericolosi filoni di terrorismo di diversa matrice che trovano la loro espressione più inquietante e più pericolosa nel tentativo di costituire un'entità statale sotto l'egida di un califfato;
    in questo quadro non può essere sottovalutato il riaccendersi delle tensioni con la Russia nella complessa vicenda dell'Ucraina. Una situazione che sollecita una risposta unitaria e adeguata da parte, innanzitutto, dell'Europa per affrontare con tempestività situazioni che mettono a rischio equilibri strategici e geopolitici da preservare;
    le responsabilità del nostro Paese risultano ancor più accentuate dal ruolo di guida dell'Unione europea assunto dall'Italia in questo semestre e dalla designazione del Ministro Mogherini come responsabile della politica estera e di sicurezza dell'Unione europea e obbligano il nostro Paese ad adoperarsi per realizzare una più incisiva ed unitaria strategia politica dell'Europa in grado di affrontare le crisi in atto;
    tutto ciò comporta per il nostro Governo una triplice responsabilità segnata, da un lato, dalla necessità di non lasciare nulla di intentato sul difficile terreno dell'iniziativa diplomatica al fine prioritario di porre le condizioni per una soluzione negoziata delle principali aree di crisi, a partire da quella Ucraina, dall'altro, dalla altrettanto pressante necessità di un contenimento e di una riduzione della spesa pubblica dell'Italia e, ancora, da quella di assicurare la disponibilità di forze armate efficienti, moderne ed integrate in ambito europeo e con i Paesi alleati;
    la quantità di risorse che il nostro Paese prevede di destinare ai sistemi d'arma, così come quella destinata al personale, è al momento ancora superiore a quelle individuate dal provvedimento di riforma dello strumento militare, mentre sono invece significativamente inferiori le risorse destinate all'esercizio, secondo il paradigma, condiviso in più occasioni dal Governo e dal Parlamento, di una ripartizione della spesa che riservi il 50 per cento del budget alle spese per il personale, il 25 per cento a quelle per l'esercizio e il 25 per cento agli investimenti;
    la Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati, in particolare, ha più volte espresso l'avviso che qualsiasi decisione in tema di pianificazione dello strumento militare, inclusa l'attività di ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d'arma, si dovesse basare sull'apprezzamento dello scenario strategico, sulla considerazione degli impegni internazionali assunti e, non ultimo, sul livello delle risorse disponibili;
    da questo punto di vista merita particolare apprezzamento l'orientamento assunto dal Governo di addivenire in tempi brevi all'elaborazione di un nuovo libro bianco della difesa, anche per poter avviare una seria riflessione sulla sostenibilità di talune scelte già annunciate;
    l'Italia ha partecipato fin dall'inizio al programma di sviluppo del velivolo F-35 e ha realizzato sul proprio territorio una struttura di final assembly and check-out (Faco), in grado di assemblare i velivoli e di svolgere anche attività di manutenzione, che costituisce al momento l'unica struttura di tale genere esistente al di fuori degli Stati Uniti d'America;
    i molti dubbi che riguardano il programma F-35 hanno trovato nell'indagine conoscitiva la sede istituzionale più idonea ad una severa verifica;
    le molte difficoltà che incontra il velivolo hanno comportato, nelle scorse settimane, la decisione, dell'amministrazione statunitense, dopo un periodo di sospensione dei voli, di sottoporli a limitazioni sino alla risoluzione dei problemi tecnici;
    il Governo ha limitato gli ordini di acquisto e il conseguente assemblaggio degli esemplari destinati alle Forze armate italiane ai primi sei velivoli, così come indicato dalla mozione della Camera dei deputati n. 1-00125 del 26 giugno 2013,

impegna il Governo:

   a riesaminare l'intero programma F-35 per chiarirne criticità e costi con l'obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto, così come indicato nel documento approvato dalla Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati a conclusione dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma, in vista del Consiglio europeo del dicembre 2013, tenendo conto dei ritorni economici e di carattere industriale da esso derivanti;
   a ricercare, entro questi limiti, ogni possibile soluzione e accordo con i partner internazionali del programma F-35, al fine di massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici, valorizzando gli investimenti già effettuati nella Faco e la sua potenzialità quale polo produttivo e logistico internazionale;
   a mantenere costante il controllo sulla piena rispondenza dei velivoli ai requisiti di efficienza e di sicurezza e ai criteri operativi delle Forze armate.
(1-00586) «Scanu, Aiello, Bolognesi, D'Arienzo, Ferro, Fioroni, Fontanelli, Carlo Galli, Garofani, Gregori, Marantelli, Massa, Moscatt, Salvatore Piccolo, Giuditta Pini, Stumpo, Valeria Valente, Villecco Calipari, Zanin».


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione in Europa è negli ultimi anni profondamente mutata e i meccanismi approntati per far fronte alla crisi economico-finanziaria, risultati in parte fallimentari, necessitano di un attento riesame e, con particolare riferimento alla formazione del bilancio europeo, i criteri per la sua predisposizione, entità delle risorse ed obiettivi, necessitano di una profonda revisione a fronte di rinnovate esigenze e nuove sfide da affrontare, anche a livello globale;
    la cosiddetta «correzione britannica» («UK rebate»), che accorda al Regno Unito il rimborso di un importo pari al 66 per cento della differenza tra il suo contributo al bilancio dell'Unione europea e l'importo ottenuto dal bilancio stesso, si fonda sulla decisione del Consiglio europeo di Fontainebleau del 25-26 giugno 1984, con la quale si stabilì, accogliendo le richieste del Regno Unito, che «(...) ogni Stato membro con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa potrà beneficiare di una correzione a tempo debito»;
    gli accordi di Fontainebleau nel lontano 1984 originavano dall'esigenza di compensare un Paese a scarsa vocazione agricola e che, a differenza di Francia e Italia, non usufruiva dei cospicui finanziamenti della nascente politica comune europea. È evidente come le pretese alla base di quegli accordi non siano più attuali e che occorra superare le decisioni che accordarono un vantaggio (confermato anche nel 2007) ad oggi ingiustificato e anacronistico, posto che le risorse europee in materia di Politica agricola comune sono diminuite nel corso degli anni e che la nuova programmazione della Politica agricola comune per il periodo 2014-2020 prevede una significativa decurtazione dei fondi disponibili per la spesa agricola per il nostro Paese;
    il meccanismo di sconto in favore della Gran Bretagna, in un contesto economico profondamente mutato, costituisce, di fatto, un ulteriore onere finanziario a carico degli altri Stati membri, finendo per aumentare gli squilibri fra i medesimi; occorre, dunque, superare il criterio del rebate quale è quello previsto per il Regno Unito e ogni forma di regolamentazione che inserisca eccezioni e deroghe nazionali in una logica di negoziazione intergovernativa e bilaterale;
    tuttavia, è importante sottolineare come, pur essendo giusto il superamento di questo anacronistico beneficio in favore di uno sconto per la Gran Bretagna, è fuorviante ritenere che la rimozione di tale specifico vantaggio costituisca la questione dirimente per superare gli squilibri esistenti nell'area euro;
    per un cambio di passo e per una vera svolta nelle politiche europee occorre altro;
    la necessità di avviare una riflessione in sede europea, affinché i meccanismi e i criteri in relazione alla formazione del bilancio europeo siano rinegoziati, è connessa anche all'esigenza di superare l'impostazione di eccessivo rigore determinata dai Paesi membri cosiddetti rigoristi e che ha condotto, nell'ultima programmazione del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, a una contrazione per la prima volta del bilancio comunitario; contrazione solo in parte mitigata – anche grazie alla battaglia italiana – da alcuni interventi correttivi del Parlamento europeo che prevedono una maggiore flessibilità per l'uso delle risorse (possibilità di trasferire da un anno all'altro i fondi non utilizzati e altre previsioni ad hoc per Erasmus e Horizon 2020 per la ricerca, le cui risorse potranno essere mobilitate già nel 2014 e 2015 e i 6 miliardi di euro in favore del programma Youth Guarantee per l'occupazione giovanile, erogati già nei primi due anni del prossimo quadro finanziario pluriennale);
    nei prossimi sette anni la spesa complessiva per l'Unione europea a 28 si ridurrà del 3,4 per cento in termini reali rispetto al periodo 2007-2013. Il budget europeo per il periodo di programmazione 2014-2020 è di 960 miliardi di euro circa (959,988 miliardi di euro), di cui 373,179 miliardi di euro destinati alla Politica agricola comune, 277,851 miliardi di euro per il primo pilastro, 84.936 miliardi di euro per il secondo. Rispetto al precedente periodo di programmazione 2007-2013, il primo pilastro della Politica agricola comune perde il 13 per cento e il secondo l'11 per cento;
    le esigue risorse del bilancio europeo indeboliscono l'Europa e rendono difficile il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di Strategia Europa 2020, con particolare riferimento alle «iniziative faro» per la ricerca, gli investimenti produttivi, la lotta contro la povertà e la disoccupazione e in favore della cittadinanza europea;
    l'insufficienza di risorse per il bilancio dell'Unione europea evidenzia, inoltre, una situazione squilibrata anche per quanto riguarda i cosiddetti saldi netti e la persistente dicotomia fra quanto versato nel bilancio europeo e quanto ricevuto da parte dell'Italia (saldo netto negativo italiano);
    tuttavia, occorre precisare che l'Italia, seppure mantenga ancora un «saldo netto» negativo e abbia peggiorato la sua posizione in termini di prodotto interno lordo pro capite (al dodicesimo posto in Europa), ha tuttavia migliorato la sua posizione nel 2013, divenendo il terzo contributore netto e passando dagli attuali 4.500 milioni di euro l'anno per il periodo 2007-2013 (corrispondenti allo 0,28 per cento del reddito nazionale lordo) a 3.850 milioni di euro l'anno per il periodo 2014-2020 (corrispondenti allo 0,23 per cento del reddito nazionale lordo), con una riduzione media annuale di 650 milioni di euro per l'intero periodo 2014-2020. Il saldo negativo – secondo i dati contenuti nella relazione del 2013 della Corte dei conti al Parlamento sui rapporti finanziari con l'Unione europea – risulta di 5,7 miliardi di euro, a fronte dei 6,6 miliardi di euro del 2011. Il miglioramento è stato ottenuto grazie ad un aumento netto delle risorse destinate all'Italia per la realizzazione di programmi europei nell'ambito della politica di coesione, in controtendenza rispetto ad una generalizzata riduzione dei medesimi finanziamenti per gli altri Stati membri;
    d'altra parte, il saldo negativo italiano deriva in parte anche dal cattivo uso del nostro Paese delle risorse europee – e quindi da problemi italiani e non dell'Europa –, fondi strutturali spesso usati in maniera frammentaria, senza obiettivi e una visione strategica per lo sviluppo del Paese, o peggio non completamente utilizzati, come avvenuto anche nella programmazione conclusasi nel 2013 nella quale si è speso solo circa il 52,7 per cento dei fondi comunitari;
    occorre cogliere l'occasione della Presidenza italiana per il semestre europeo per imprimere un nuovo protagonismo dell'Italia in sede europea e ribaltare complessivamente la logica che fino ad oggi ha caratterizzato le politiche europee, incentrate sull'ossessione dell'austerità e sul rigore dei bilanci pubblici, senza la previsione di risorse a livello europeo in favore di politiche per gli investimenti e la crescita;
    che le politiche di destra imperanti negli ultimi anni in Europa si siano rivelate sbagliate, inefficaci e disastrose, lo confermano i risultati circa l'aumento della disoccupazione giovanile (57,7 per cento, dati Eurostat, luglio 2014), ma soprattutto il calo del prodotto interno lordo in tutta la zona euro: i recenti dati di agosto 2014 indicano che nel secondo trimestre 2014 la Francia è ferma, con crescita zero, per il secondo trimestre consecutivo e per la Germania il prodotto interno lordo scende dello 0,2 per cento nel secondo trimestre 2014 rispetto al trimestre precedente; dati che dicono che la stasi dello sviluppo è un problema europeo. Il problema non è dunque il «caso Italia», ma come invertire la rotta in tutta Europa;
    i recenti dati sul calo del prodotto interno lordo in tutta la zona euro dimostrano che il paradigma del rigore fiscale, non controbilanciato dal rilancio degli investimenti e dal rafforzamento dell'economia reale, non può essere sostenuto. L'unione monetaria europea nella gestione della crisi ha deluso e occorre voltare pagina;
    per tali ragioni va accolto come un primo importante segnale di cambiamento positivo (anche se non sufficiente) l'annuncio del nuovo presidente della Commissione europea Junker per la predisposizione di un piano europeo di investimenti di 300 miliardi di euro in tre anni, per infrastrutture, trasporti, efficienza energetica, ricerca e innovazione. Un programma per la crescita che va sostenuto, anche incalzando il nuovo presidente affinché sia anticipata l'operatività del piano, prima della data annunciata (febbraio 2015), affinché siano indicate, già a partire dal prossimo Consiglio europeo di dicembre 2014, le risorse, anche quelle aggiuntive – visto che quelle indicate nella Banca europea per gli investimenti potrebbero risultare insufficienti – con indicazioni dettagliate di obiettivi e strumenti. Parallelamente, occorre sviluppare nuove capacità finanziarie anche mediante il pieno utilizzo dei project bond, ad oggi ancora a livello sperimentale;
    la battaglia italiana deve incentrarsi su un'interpretazione del patto di stabilità e crescita che tenga conto di una maggiore flessibilità per quanto riguarda il piano di rientro del debito, a fronte di una chiara implementazione delle riforme strutturali che non metta in discussione il rispetto dei vincoli di bilancio (rapporto del 3 per cento fra deficit e prodotto interno lordo), anche per non esporre il nostro Paese a una nuova procedura d'infrazione, e che piuttosto si concentri sulla flessibilità del piano di rientro dal debito;
    la richiesta dell'Italia in favore di una maggiore flessibilità non è il reclamo di uno «sconto» per il nostro Paese, ma è la riaffermazione del rispetto, secondo quanto già prevedono i trattati europei, di un equilibrio tra il rispetto dei vincoli di bilancio e la crescita economica. L'uso di maggiore flessibilità non comporta una modifica delle regole, in quanto margini di flessibilità sono possibili mediante l'applicazione di norme già vigenti, come quelle di cui al regolamento (CE) n. 1466 del 1997, secondo cui se le riforme hanno effetti sulla crescita nel medio periodo è possibile concedere deviazioni temporanee sui conti;
    occorre andare oltre una politica economica restrittiva e prociclica, semplicemente basata sull’austerity e superare le eccessive rigidità delle regole sottese al ciclo europeo del bilancio (six pack, two pack, fiscal compact), per indirizzarsi, finalmente, verso una spesa europea e federale espansiva e di investimento che faccia da contraltare ad una politica di bilancio più convergente e virtuosa a livello nazionale; in questo senso da sempre i firmatari del presente atto di indirizzo avanza proposte per una «europeizzazione» e condivisione dei debiti pubblici dei singoli Stati, e l'emissione di bond europei anche collegati alla costruzione di grandi infrastrutture continentali, all'introduzione di regole per lo scorporo delle spese di investimento dai bilanci pubblici (golden rule), l'inserimento di forme di risorse proprie dell'Unione europea quali la tassa sulle transazioni finanziarie internazionali per rafforzare il bilancio europeo e per fornire risorse da destinare alla crescita e al sostegno delle economie in difficoltà;
    è importante che l'Italia contribuisca, soprattutto in occasione della Presidenza italiana del semestre europeo, ad imprimere una svolta nelle politiche europee orientate allo sviluppo e alla crescita dell'intero continente, superando i forti squilibri esistenti tra i Paesi membri e determinando una diversa agenda politica,

impegna il Governo:

   a sostenere nelle sedi europee l'opportunità di ridefinire le priorità del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, facoltà attribuita al Parlamento europeo e alla Commissione, nelle forme previste dall'articolo 2 del nuovo quadro finanziario pluriennale («clausola di revisione»);
   in occasione di tale revisione di mid term review sul budget e sui criteri di formazione del bilancio europeo, a sostenere la necessità di tener conto della situazione politica ed economica europea profondamente mutata, anche al fine di assicurare un maggiore allineamento fra la programmazione settennale del quadro finanziario pluriennale e le linee politiche espresse dalle istituzioni europee appena rinnovate e di promuovere un monitoraggio della politica agricola comune, unitamente ad un profondo ripensamento della politica agricola comune stessa;
   ad avviare, in occasione del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, una riflessione volta alla modifica dei meccanismi e dei criteri relativi alla predisposizione del bilancio europeo, atteso che la situazione e il contesto europeo, profondamente cambiati rispetto al passato, richiedono un superamento di meccanismi derogatori rispetto al modello del cosiddetto «sconto inglese» (rebate);
   ad attivarsi, in forza della Presidenza di turno dell'Unione europea, affinché la nuova agenda europea sia finalmente contrassegnata da politiche improntate a crescita e investimenti a livello europeo, insistendo affinché il piano europeo di investimenti, annunciato dal presidente Junker, veda definiti risorse, strumenti e allocazione degli investimenti già a partire dal prossimo Consiglio europeo di dicembre 2014.
(1-00587) «Berlinghieri, Albini, Battaglia, Bonomo, Camani, Casellato, Chaouki, Culotta, Gianni Farina, Giachetti, Giulietti, Giuseppe Guerini, Iacono, Manfredi, Moscatt, Ragosta, Scuvera, Vaccaro, Ventricelli».


   La Camera,
   premesso che:
    le politiche di austerità avviate dalla Unione europea nel periodo 2011/2012 hanno conseguito l'obiettivo di stabilizzare la finanza pubblica dei Paesi europei in difficoltà che tornano progressivamente a finanziarsi sui mercati a condizioni accettabili;
    tali politiche non sono però riuscite a riavviare una crescita economica forte capace di restaurare condizioni di prosperità e livelli elevati di occupazione;
    da più parti si avverte l'esigenza di aprire una discussione sulle politiche di austerità per apportare ad esse, se necessario, le opportune revisioni;
    il Patto di stabilità e crescita è parte integrante dei Trattati istitutivi della Unione europea e non può essere rivisto con altra procedura che quella di revisione dei trattati;
    non esistono peraltro buone ragioni per chiedere la revisione del Patto di stabilità e crescita perché esso contiene al suo interno tutti gli elementi di flessibilità necessari ad una efficace politica economica europea;
    il Patto di stabilità e crescita è stato irrigidito nell'insieme di direttive e regolamenti comunitari conosciuti come six pack e two pack approvati sotto la pressione immediata della crisi finanziaria con l'obiettivo di dare ai mercati un segnale inequivocabile di determinazione nella difesa dell'euro e della stabilità finanziaria dei Paesi dell'area euro;
    il nucleo centrale del six pack è costituito dalla direttiva 2011/85 dell'8 novembre 2011 che prevede la quantificazione delle regole di bilancio. La direttiva prevede anche esplicitamente la necessità di una revisione delle proprie norme dopo un primo periodo di esercizio. La data della revisione è fissata al 14 dicembre 2018 (articolo 16);
    le regole del six pack e del two pack si sovrappongono in larga misura a quelle del fiscal compact, concluso come trattato internazionale il 2 marzo 2012 ed entrato in vigore il 1o gennaio 2013. Anche il fiscal compact contiene una clausola di revisione entro cinque anni dalla entrata in vigore. La clausola di revisione è legata alla esigenza di integrare il fiscal compact nel sistema dei Trattati europei, è tuttavia evidente che tale integrazione non è possibile senza una revisione e rinegoziazione del Trattato stesso;
    appare irragionevole prevedere una revisione del fiscal compact che avvenga prima di quella del six pack. Se attraverso tale revisione le norme del six pack fossero incorporate nei Trattati non sarebbe più possibile rivederle. Sembra più ragionevole prevedere una ridiscussione congiunta del six pack, del two pack e del fiscal compact che giunga a conclusione entro il termine del 2018 stabilito dal fiscal compact, anticipando quindi la ridiscussione del six pack e del two pack;
    il Presidente Junker nel suo discorso programmatico davanti al Parlamento europeo ha manifestato il proposito di attivare trecento miliardi di investimenti per migliorare il livello di competitività della Unione;
    benché sicuramente ambizioso questo programma copre solo una parte dei costi delle infrastrutture che la Commissione ha già programmato e ritenuto indispensabili per il rilancio della competitività del sistema economico dell'Unione europea;
    è assai difficile che questo programma di investimenti possa essere finanziato sulla base del bilancio presente dell'Unione;
    il bilancio contiene però una clausola di revisione di metà termine al 2016 in cui esso dovrà essere ridiscusso ed in questa sede si potrebbero trovare le risorse per l'ambizioso piano di investimenti prospettato da Junker;
    la Commissione Monti per lo studio di nuove fonti di risorse proprie dell'Unione europea dovrebbe terminare fra breve i suoi lavori e le sue conclusioni potrebbero essere implementate in occasione della revisione di metà termine del bilancio dell'Unione;
    lo Strumento di convergenza e di competitività proposto dalla Commissione prospetta forme innovative di sostegno alle riforme che dovrebbero essere finanziate con un fondo ad hoc fuori della attuale programmazione di bilancio e che disporrebbe di risorse aggiuntive rispetto a tale programmazione;
    la crisi è nata nel settore bancario anche come effetto di un indebolimento eccessivo del sistema delle regole e della inadeguatezza di sistemi di sorveglianza meramente nazionali per un sistema che ha dimensioni continentali e mondiali;
    con l'entrata in vigore del Meccanismo unico di vigilanza disponiamo adesso di uno strumento efficace di sorveglianza che dovrebbe prevenire la ripetizione di una crisi come quella che si è dovuta fronteggiare;
    con l'entrata in vigore del Meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie si dispone anche di uno strumento adeguato ad affrontare le crisi che dovessero manifestarsi;
    decisivo per la soluzione della crisi è stato il ruolo assunto dalla BCE. Rimanendo interamente all'interno delle prescrizioni del Trattato istitutivo la BCE ha saputo trovare strumenti innovativi di intervento che le hanno consentito di contrastare la speculazione e di orientare efficacemente i mercati;
    sotto la pressione degli avvenimenti drammatici del periodo più difficile della crisi sono stati creati meccanismi ad hoc per fronteggiarla: il Fondo europeo di stabilità finanziaria, il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria e infine il Meccanismo europeo di stabilità che hanno impegnato ed impegnano in diverso modo ingenti risorse finanziarie;
    il Meccanismo europeo di stabilità, che dà forma definitiva e stabile a quegli interventi, è stato concepito prima che venissero a maturazione il Meccanismo unico di vigilanza, il Meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie, gli strumenti innovativi di intervento della BCE e fa sistema piuttosto solo con il six pack, il two pack ed il fiscal compact;
    sembra ragionevole chiedere un riesame complessivo del sistema che si è venuto a creare per prevenire le crisi finanziarie ed eventualmente affrontarle in modo da ridurlo a coerenza, utilizzare al meglio le risorse, garantire nel modo più efficace la stabilità dell'euro e la sicurezza dei risparmiatori;
    la crisi è iniziata come crisi finanziaria ma si è presto trasformata in crisi economica. I meccanismi che sono stati creati sono però mirati quasi esclusivamente alla stabilità finanziaria. È vero che senza stabilità finanziaria non vi è crescita economica ma è vero anche il contrario: senza crescita economica non si può mantenere la stabilità finanziaria e si erodono le basi del consenso democratico;
    il problema principale dell'Europa è il ristagno della produttività ed il deterioramento della competitività. Non possono convivere a lungo all'interno della stessa moneta Paesi con tendenze di sviluppo divergenti della competitività;
    la stabilità finanziaria, ed anche la crescita economica non sono fini in sé stessi ma mezzi, pur indispensabili. Il fine è che le persone ed i popoli possano vivere nella dignità e nella pace,

impegna il Governo:

   a presentare al prossimo Consiglio europeo di ottobre 2014 una proposta concreta per realizzare i partenariati per la crescita e la occupazione, in ottemperanza agli impegni presi dal Consiglio europeo del dicembre 2013 con la finalità di collegare fra loro la realizzazione delle necessarie riforme con la flessibilità consentita dalle regole vigenti;
   a sollecitare la Commissione europea e la Presidenza dell'Unione (peraltro esercitata in questo semestre dal Governo italiano) ad aprire al più presto una discussione politica con la finalità di pervenire, al più tardi entro il 2016, alla revisione congiunta del bilancio pluriennale dell'Unione, del six pack, del two pack e del fiscal compact, anticipando opportunamente le date di revisione già contenute in tali strumenti;
   a proporre in tale sede la costituzione di un bilancio proprio dell'Eurozona, alimentato da risorse proprie ed abilitato ad agevolare progetti di investimento in infrastrutture materiali ed immateriali per rafforzare la competitività, anche attraverso la promozione di un apposito Fondo europeo;
   ad esaminare la possibilità di devolvere le risorse eventualmente non utilizzate del Meccanismo europeo di stabilità al rafforzamento del meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie e nel bilancio della Eurozona per contribuire al finanziamento delle riforme e delle infrastrutture per la competitività;
   a favorire la immediata realizzazione dello Strumento di convergenza e di competitività, finanziato sul bilancio della Eurozona, in modo da sostenere la necessaria stagione delle riforme;
   a proporre, mantenendo fermo il vincolo del pareggio di bilancio e del rientro dal debito eccessivo in circostanze ordinarie, di definire con più precisione come circostanze ordinarie quelle nelle quali si ha una crescita reale di almeno l'1 per cento ed una inflazione del 2 per cento;
   a promuovere in tal modo e/o anche con altre autonome iniziative lo sviluppo di una comune politica economica europea, sul solco delle proposte contenute nel rapporto dei quattro Presidenti approvato dal Consiglio europeo del giugno 2012.
(1-00588) «Buttiglione, Dellai, Schirò, Binetti, D'Alia, Fauttilli, Vezzali, Gigli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   come disciplinato dall'articolo 77 della Costituzione, il decreto-legge può essere adottato in casi straordinari di necessità e d'urgenza, approvato dal Consiglio dei ministri ed emanato dal Presidente della Repubblica, e deve essere convertito in legge dal Parlamento nei sessanta giorni successivi alla pubblicazione per non perdere efficacia;
   da tempo ormai vige un sistema che ha reso le Camere solo un luogo che ratifica le scelte del Governo, che produce l'80 per cento delle leggi, poiché il Governo, il potere esecutivo, ha già da anni sottomesso quello legislativo (il Parlamento) ai suoi voleri: come sintetizza un recente articolo del Fatto Quotidiano «Silvio Berlusconi, tra l'aprile 2008 e il novembre 2011 produsse 80 decreti, vale a dire 2 al mese; Mario Monti coi suoi 41 incrementò la media a 2,4; Enrico Letta in dieci mesi ne ha prodotti la bellezza di 25 (2,5 al mese); Matteo Renzi, infine, con 16 decreti da fine febbraio vince la gara: oltre 3 al mese»;
   in questa legislatura sono stati prodotti 44 decreti e 24 fiducie; il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in passato ha mosso molte critiche contro l'abuso della decretazione d'urgenza: «Troppi decreti e poche leggi», scandì contro Romano Prodi nel 2007 e «Va garantita la funzionalità del Parlamento» (Tommaso Padoa Schioppa si lamentò dell'atteggiamento, per così dire, ostruzionistico di Napolitano nei suoi diari); nel 2009 convocò addirittura i presidenti di Camera e Senato – Fini e Schifani – per risolvere il problema: «Bisogna assolutamente fare qualcosa per riequilibrare il rapporto tra legislazione ordinaria e decretazione»; in un'altra occasione addirittura disse: «Basta coi decreti omnibus»;
   la decretazione d'urgenza sembra costituire ormai un problema per la qualità della legislazione italiana, come si evince anche dalla sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies ter, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (decreto Olimpiadi di Torino), come convertito dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, per violazione dell'articolo 77 della Costituzione, ovvero per difetto di omogeneità, e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni originarie del decreto-legge e quelle impugnate, introdotte nella legge di conversione –:
   se il Governo non intenda chiarire le motivazioni di un comportamento come quello esposto in premessa, che violando apertamente in dettato costituzionale, lascia troppo poco spazio di intervento agli eletti del popolo e se non intenda altresì invertire la rotta, perché sia posto un termine a questa esautorazione delle Camere e, indirettamente, del popolo italiano.
(2-00668) «Sorial».

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il cambiamento climatico rappresenta una delle maggiori sfide che l'umanità dovrà affrontare nei prossimi anni. Una sfida sempre più pressante vista la concentrazione record di gas serra nell'atmosfera documentata dall'ultimo rapporto dell'Organizzazione meteorologica internazionale dell'Onu diffuso proprio oggi 9 settembre, che ha mostrato anche una continua accelerazione delle emissioni di gas serra dovuti all'attività umana e in particolare all'uso di combustibili fossili (carbone, petrolio, gas). Secondo le evidenze scientifiche presentate sia nell'ultimo rapporto di valutazione dell'IPCC (Fifth Assessment Report), sia nel recente rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente (European Environment Agency, EEA) «Climate change, impacts and vulnerability in Europe 2012 – An indicator-based report» del 2012, nei prossimi decenni la regione europea ed in particolare la regione del Mediterraneo dovrà far fronte ad impatti dei cambiamenti climatici particolarmente negativi, i quali, combinandosi agli effetti dovuti alle pressioni antropiche sulle risorse naturali, fanno della regione del Mediterraneo una delle aree più vulnerabili d'Europa (EEA, 2012);
   l'Italia quindi si colloca in un'area dell'Europa particolarmente vulnerabile ai presenti e attesi impatti dei cambiamenti climatici. Tali impatti negativi sono correlati principalmente ad un innalzamento eccezionale delle temperature medie e massime, all'aumento della frequenza di eventi meteorologici estremi (ondate di calore, siccità ed episodi di precipitazioni piovose intense) e alla riduzione delle precipitazioni annuali medie e dei flussi fluviali, con conseguente possibile calo della produttività agricola e perdita di ecosistemi naturali;
   negli ultimi anni si è assistito al ripetersi di eventi atmosferici particolarmente intensi che, sommati alla fragilità e troppo spesso incuria del territorio, hanno manifestato in maniera catastrofica la loro pericolosità fino alla perdita di numerose vite umane e con danni milionari alle attività economiche; basti pensare agli ultimi drammatici eventi nel Gargano o a quanto accaduto a Refrontolo nella provincia di Treviso nel mese di agosto 2014, o ancora all'alluvione a Senigallia e in altri comuni delle Marche nel maggio 2014 o a quella che ha sconvolto la Sardegna nel novembre del 2013 e l'elenco potrebbe continuare. Ogni anno con l'arrivo di piogge e temporali di eccezionale, ma sempre più consueta, intensità si accentua la già grande vulnerabilità del territorio italiano: i fiumi esondano e le colate di fango invadono i centri abitati travolgendo e spazzando via tutto quello che incontrano sul loro percorso. Le alluvioni hanno causato in Italia dal 1998, anno dell'alluvione di Sarno, danni per un ammontare di circa 8 miliardi di euro;
   negli ultimi anni sono state intraprese a livello europeo varie attività riguardanti il supporto alle politiche nazionali, regionali e locali di adattamento ai cambiamenti climatici che devono unirsi alle indispensabili azioni di mitigazione e dunque di riduzione drastica delle emissioni di gas serra. Nell'aprile 2013 la Commissione europea ha adottato e pubblicato la strategia europea di adattamento (Sea) con l'obiettivo principale di rendere l'Europa più resiliente agli effetti dei mutamenti climatici mediante una migliore preparazione e capacità di prevenzione del rischio degli impatti dei cambiamenti climatici a livello locale, regionale, nazionale e europeo. La strategia europea di adattamento deve essere un punto di riferimento per le relative strategie nazionali in Europa già adottate e per quelle in via di preparazione. A oggi, secondo la piattaforma europea sull'adattamento Climate-ADAPT, 17 Stati membri dell'Unione europea (Austria, Belgio, Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Spagna, Svezia e UK) hanno adottato una Strategia nazionale di adattamento (Sna), mentre altri ne hanno intrapreso il percorso di elaborazione;
   l'Italia è tra i Paesi che stanno elaborando una Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. L'elaborazione è stata avviata nel luglio 2012 dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ha affidato al Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) il coordinamento tecnico-scientifico per acquisire le informazioni di base necessarie per elaborare la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Tale coordinamento è stato svolto attraverso l'istituzione di un tavolo tecnico composto da circa cento esperti nazionali provenienti da università, enti di ricerca e fondazioni. Questo tavolo ha raccolto ed elaborato tutte le informazioni tecniche su impatti, vulnerabilità e adattamento necessarie per costruire una Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici;
   in aggiunta al tavolo tecnico, è stato istituito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un tavolo istituzionale composto dai rappresentanti dei Ministeri e delle altre istituzioni rilevanti ai fini della elaborazione della strategia, tra i quali la Protezione civile, l'Anci e altri soggetti istituzionali, che, sulla base del lavoro svolto dal tavolo tecnico, ha fornito ulteriori indicazioni al processo, contribuendo alla elaborazione dei rapporti. Altri soggetti interessati a vario titolo nell'elaborazione della Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici sono stati coinvolti, fin dall'inizio, in questo processo mediante un sondaggio con un questionario (effettuato in ottobre-novembre 2012), e successivamente con una consultazione on-line sul documento strategico elaborato che si è svolta tra il 30 ottobre e il 31 dicembre 2013; sono state inoltre svolte altre consultazioni con incontri ad hoc;
   tale processo è terminato nel mese di luglio 2014 con l'elaborazione di un pacchetto di documenti che sono alla base della Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. La documentazione, che è stata consegnata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, include un rapporto tecnico-scientifico che analizza le vulnerabilità del territorio italiano agli impatti dei cambiamenti climatici, una sintesi del rapporto stesso e un rapporto tecnico-giuridico che studia la normativa comunitaria e nazionale rilevante per gli impatti, la vulnerabilità e l'adattamento ai cambiamenti climatici, in cui vengono analizzate più di 30 tra direttive e regolamenti europei. Infine, è stato consegnato anche un documento dal titolo «Elementi per una strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici», che basandosi sui precedenti rapporti fornisce proposte di azioni settoriali e intersettoriali di adattamento a corto termine (entro il 2020) e a lungo termine –:
   se il Ministro sia grado di fornire informazioni sullo stato attuale dell'iter di elaborazione e adozione della Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e quali misure intenda intraprendere affinché si arrivi in breve tempo alla sua completa definizione, adozione e attuazione.
(2-00669) «Mariastella Bianchi, Realacci, Bratti, Borghi, Cova, Coppola, Braga, Carrozza, Bonomo, Mariani, Gelli, Roberta Agostini, Patriarca, Piccoli Nardelli, Valeria Valente, Mongiello, Carloni, Martelli, Tino Iannuzzi, Gentiloni Silveri, Iacono, Preziosi, Lodolini, Marchi, Manciulli, Causi, Sereni, Marantelli, Manzi, Giovanna Sanna, Scanu, Carrescia, Garavini, De Menech».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 5, dell'allegato 1 al decreto ministeriale 25 ottobre 1999 n. 471 (Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 dei Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni), prevede che «per le sostanze non indicate in tabella si adottano i valori di concentrazione limite accettabili riferibili alla sostanza più affine tossicologicamente»;
   la citata previsione normativa (adottata nel rispetto del principio del «concerto» imposto dall'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22), attribuisce al Ministero dell'ambiente il potere di fissare, per le sostanze non rientranti nell'elenco di quelle contemplate nella tabella, il valore di concentrazione limite accettabile sulla base di un giudizio di equivalenza che richiede l'individuazione della sostanza tossicologicamente più affine. Tale meccanismo di individuazione del limite trova applicazione per tutte le sostanze non presenti in tabella, a prescindere dal fatto che si trovino nel suolo o nelle acque sotterranee. Fra tali sostanze vi è anche il parametro MTBE (Metil-t-butil etere) che secondo alcuni studi internazionali, come quello svolto dall’International Agency for Research of Cancer (IARC) o dall’International program on chemical safety può considerarsi cancerogeno per l'uomo (o per il quale la risposta cancerogena è evidente solo ad alti livelli di esposizione);
   come chiarito dal Consiglio di Stato con sentenza n. 2526 del 20 maggio 2014, è scientificamente e giuridicamente corretto prevedere, nell'ambito di una caratterizzazione a fini di bonifica, un valore limite per il parametro MTBE pari a 10μg/l;
   l'istituto superiore di sanità con una nota del 6 febbraio 2001 aveva precisato che il parametro MTBE va assimilato a un idrocarburo a catena lineare a basso numero di atomi di carbonio (con il conseguente limite pari a 10 μg/l) e, con successivo parere del 12 settembre 2006 n. 43699, affermato che il parametro MTBE non appartiene alla famiglia degli idrocarburi bensì agli «eteri» ed ha proprietà tali da alterare dal punto di vista organolettico la qualità delle acque, in quanto fortemente odorigeno;
   il decreto legislativo n. 152 del 2006 ha poi introdotto l'analisi di rischio sito-specifica ai fini della individuazione della «Concentrazione soglia di rischio» (CSR) per i suoli e per le acque, la quale diviene il valore di riferimento e il valore obiettivo da raggiungere con la bonifica in un determinato sito;
   il Consiglio di Stato, con sentenza n. 2526 del 20 maggio 2014, ha infine affermato che è scientificamente e giuridicamente corretto prevedere, nell'ambito di una caratterizzazione a fini di bonifica, un valore limite per il parametro MTBE pari a 10 μg/l;
   appare quindi necessario definire anche un valore di riferimento per il parametro MTBE nelle acque sotterranee da assumere come «concentrazione soglia di contaminazione» (CSC) secondo la nuova normativa (decreto legislativo 152 del 2006) per i procedimenti di bonifica effettuati secondo i criteri ex decreto ministeriale 471 del 1999;
   alla luce di quanto premesso appare lineare assumere per parametro MTBE nelle acque sotterranee un valore di riferimento di 10 mg/l, in analogia a quanto adottato dal legislatore per individuare le varie concentrazioni limite per gli altri parametri riportate nella tabella 2 – allegato 1 del decreto ministeriale 471 del 1999, relativa alle acque sotterranee;
   al fine di evitare ulteriori inutili situazioni di contenzioso fra imprese e pubblica amministrazione e assicurare una maggiore certezza del diritto agli operatori appare necessario integrare la tabella 2, allegato 5, titolo V, parte quarta del decreto legislativo 152 del 2006 –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per definire per il parametro MTBE una concentrazione limite nei suoli ad uso verde pubblico e residenziale di 10 mg/kgss e nei suoli ad uso industriale di 250 mg/kgss e se, conseguentemente per quanto concerne le acque sotterranee, intenda assumere iniziative per integrare le disposizioni vigenti ed assumere come concentrazione limite il valore di 10 μg/l. (5-03500)


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 4 luglio 2014 l'autorità garante della concorrenza e del mercato ha segnalato al Governo e al Parlamento le criticità che affliggono il mercato nazionale prodotte dalle ultime tendenze normative;
   in particolare, per quanto riguarda il settore dei rifiuti, l'autorità ha evidenziato l'effetto distorsivo della concorrenza a seguito del fatto che con l'articolo 1, comma 649, della legge n. 147 del 2013 si attribuisce ampia discrezionalità ai comuni nell'individuare i rifiuti a cui si applica il divieto di assimilazione, e, pertanto, al fine di evitare che il gestore del servizio in esclusiva di raccolta degli urbani «sottragga indebitamente quote di mercato alla libera iniziativa economica», propone di eliminare tale disposizione normativa;
   l'autorità ha pure sollecitato il tempestivo esercizio da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare della competenza, di cui all'articolo 195, comma 2, lettera e), del decreto legislativo n. 152 del 2006, di emanare il decreto di per l'individuazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per i quali è possibile assimilare i rifiuti speciali agli urbani –:
   se sia intenzione del Governo definire proposte di modifica dell'articolo 1, comma 649, della legge n. 147 del 2013 e se, ed in quali tempi, intenda ottemperare all'emanazione del decreto per l'individuazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi sulla base dei quali è possibile assimilare i rifiuti speciali agli urbani, adempimento previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006. (5-03501)

Interrogazione a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 21 agosto 2014 all'Itrec di Rotondella (MT) si è verificato un evento anomalo: la percolazione di liquido contaminato dell'intonaco di protezione del monolite interrato contenente rifiuti radioattivi derivanti dalle pregresse attività dell'impianto;
   l'ISPRA ha dichiarato l'assenza di qualsiasi rilevanza radiologica per i lavoratori, per l'ambiente e le comunità circostanti e sul complessivo stato di avanzamento degli interventi di messa in sicurezza e bonifica condotte in ITREC dalla SOGIN;
   l'impianto ITREC è un impianto nucleare italiano, situato nel centro di ricerca Enea-Trisaia di Rotondella (Matera) e utilizzato per la conservazione e la sperimentazione del ritrattamento del combustibile nucleare;
   la Sogin spa società di Stato incaricata della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi provenienti dalle attività industriali, ha rilevato l'esercizio dell'impianto al fine di attuarne la disattivazione e lo smantellamento, limitandone le funzioni alla gestione delle materie nucleari presenti e dei rifiuti radioattivi;
   nel centro di Rotondella sono presenti 84 barre di uranio-torio che, negli anni tra il 1969 e il 1971, ai sensi di un accordo mai ratificato dal Parlamento italiano, giunsero dal reattore di Elk River, nel Minnesota (Stati Uniti d'America) all'allora Cnen, oggi Itrec;
   occorre ricordare che la presenza delle barre americane impedisce ogni ipotesi di trasformazione della struttura in un centro universitario di studi e di ricerca –:
   quali iniziative si intendano intraprendere per assicurare la piena informazione e documentazione sul materiale presente, stoccato e trattato nell'impianto;
   quale sia lo stato di attuazione dei progetti di messa in sicurezza del sito Trisaia (MT);
   se non si ritenga di dover urgentemente valutare la possibilità di restituzione agli Stati Uniti d'America delle barre provenienti dalla centrale di Elk River. (4-05944)

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   nelle giornate del 3 e del 4 settembre 2014 nel poligono di Capo Frasca (Arbus) sono divampati due incendi che hanno mandato in fumo oltre 25 ettari di macchia mediterranea;
   gli incendi sarebbero stati provocati da esercitazioni militari che regolarmente si svolgono nel poligono di Capo Frasca anche in periodi nei quali l'area della marina di Arbus, limitrofa al poligono, è nel pieno dell'attività turistica;
   nelle giornate del 3 e del 4 settembre le operazioni di spegnimento degli incendi nel poligono di Capo Frasca avrebbero avuto dei rallentamenti a causa del mancato coordinamento tra i corpi militari e forestali impegnati;
   secondo quanto riferito dalla presidenza della giunta regionale e dai vertici del Corpo forestale, il personale del poligono si è rifiutato di accompagnare la squadra di terra del Corpo forestale, come esplicitamente richiesto per mettere in sicurezza le aree a rischio;
   l'incendio avrebbe potuto avere conseguenze ben più gravi e devastanti se non fosse intervenuto l'elicottero del Corpo forestale regionale;
   tali esercitazioni possono compromettere la sicurezza delle persone e danneggiare in maniera importante l'attività turistica locale già in forte crisi;
   in Sardegna 35.000 ettari di territorio risultano sotto il vincolo di servitù militari;
   da tempo si chiede la chiusura e la bonifica dei poligoni di Capo Frasca e Capo Teulada e la riduzione e la riqualificazione del poligono di Quirra, ma ad oggi non appaiono esservi atti concreti da parte delle istituzioni preposte che portino alla chiusura, alla riduzione e alla riqualificazione dei siti destinati ad attività militari presenti nel territorio sardo;
   sabato 13 settembre 2014 è prevista una manifestazione organizzata da alcuni comitati di cittadini, all'ingresso del poligono di Capo Frasca, per chiamare i cittadini a dichiararsi contrari all'utilizzo del territorio sardo per scopi bellici –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo per evitare il ripetersi di simili gravi incidenti che mettono a repentaglio l'incolumità degli abitanti delle zone vicine ai poligoni.
(2-00667) «Pes, Cani, Mura, Francesco Sanna, Giovanna Sanna, Scanu, Marrocu, Simoni, Bruno Bossio, Pierdomenico Martino, Peluffo, Moretto, Ginato, Coccia, Magorno, Morassut, Giuditta Pini, Fabbri, Galperti, Cenni, Scuvera, Berlinghieri, Rotta, Cinzia Maria Fontana, Tullo, Albini, Gadda, Dallai, Fregolent, Murer, D'Ottavio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VITO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che non sarebbe stato permesso al CoCeR di riunirsi lo scorso 5 settembre a Savelletri Fasano;
   tra i motivi della mancata autorizzazione parrebbero esserci le concomitanti nozze della figlia di un industriale indiano, celebrate nella stessa località;
   si prefigurerebbe quindi una grave limitazione dei diritti della rappresentanza militare –:
   se corrisponda al vero tale notizia e quali siano i motivi del diniego. (5-03502)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   PESCO, SORIAL e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   non c’è ancora traccia di una ripresa del credito per le famiglie e – soprattutto – per le imprese;
   secondo i dati di Bankitalia i prestiti al settore privato, corretti per tener conto delle cartolarizzazioni e degli altri crediti ceduti e cancellati dai bilanci bancari, hanno registrato una contrazione su base annua del 3,2 per cento (-3,1 per cento ad aprile);
   i prestiti alle famiglie sono scesi dell'1 per cento sui dodici mesi, come ad aprile; quelli alle società non finanziarie sono diminuiti, sempre su base annua, del 4,7 per cento (-4,4 per cento ad aprile);
   agli italiani costa caro farsi prestare denaro: i tassi d'interesse, comprensivi delle spese accessorie, sui finanziamenti erogati nel mese alle famiglie per l'acquisto di abitazioni sono stati pari al 3,65 per cento (3,63 nel mese precedente); i tassi d'interesse sui nuovi prestiti alle società non finanziarie di importo fino a 1 milione di euro sono risultati pari al 4,18 per cento (4,27 per cento ad aprile); i tassi passivi sul complesso dei depositi in essere sono stati pari allo 0,87 per cento (0,89 per cento ad aprile);
   anche la qualità del credito fatica a migliorare, tanto che il tasso di crescita sui dodici mesi delle sofferenze è risultato pari al 21,7 per cento, in leggero calo rispetto al 22,3 per cento di aprile;
   quello che assomiglia sempre più ad un vero e proprio credit crunch rischia di causare nel nostro Paese una drammatica caduta del potere di acquisto delle famiglie e la scomparsa del tessuto delle piccole e medie imprese che è stata da sempre la colonna portante della economia italiana;
   l'Istat segnala che l'industria italiana torna in rosso: a maggio produzione giù dell'1,8 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, a maggio registra un freddo -1,2 per cento rispetto al mese precedente – il risultato peggiore dal novembre 2012;
   sono in arrivo nuove risorse dalla Banca centrale europea le nuove operazioni di prestito (Targeted Longer-Term Refinancing Operations) avranno una scadenza di quattro anni; su di esse le banche pagheranno un tasso molto basso, quello che normalmente versano sulle operazioni con scadenza a una settimana, maggiorato di dieci punti base: attualmente lo 0,25 per cento;
   la motivazione ufficiale alla base di questa operazione è che i fondi saranno usati dalle banche per prestarli alle imprese, ma nel documento della Banca centrale europea, che spiega le technicalities delle operazioni, si scopre che potranno essere utilizzate proprio come le precedenti Ltro, che furono in larga parte impiegate per comprare titoli di Stato e lucrare così la differenza tra il loro rendimento e il tasso di favore pagato alla Bce, come sottolineato dagli economisti de lavoce.info;
   infatti nella sua prima parte il provvedimento non crea nessun incentivo ad aumentare i prestiti alle imprese e non c’è nessun vincolo nella destinazione dei prestiti ricevuti dalla Banca centrale europea: possono essere usati a discrezione della banca che li riceve;
   qualche incentivo in più viene dal meccanismo con il quale saranno determinate le sei tranche successive, che verranno erogate ogni trimestre, dal marzo 2015 al giugno 2016, per un ammontare complessivo stimato in circa 600 miliardi di euro: la somma che ciascuna banca potrà prendere a prestito sarà proporzionale al flusso netto di nuovi prestiti erogati;
   il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha dichiarato all'assemblea annuale dell'Abi che nell'area dell'euro «la crescita è ancora molto debole» e in Italia «la ripresa stenta ad affermarsi» ma che le nuove operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Tltro) della Banca centrale europea, finalizzate a fornire credito all'economia reale, metteranno a disposizione delle banche italiane «un ammontare potenzialmente cospicuo» che «può superare i 200 miliardi»; alle piccole e medie imprese possono arrivare risorse «stimabili in circa 120 miliardi»;
   Visco ha sottolineato anche che il sistema finanziario «deve riguadagnare la fiducia del pubblico» e per farlo «non deve fare mancare il finanziamento a chi lo merita, sostenendo l'economia reale», con «limpidezza dei comportamenti e salvaguardia della legalità», anche perché la crisi «ha fatto emergere comportamenti inadeguati, imprudenti, talora scorretti da parte degli amministratori» degli istituti bancari –:
   se sia al corrente dei dati esposti in premessa e se non intenda intervenire, per quanto di competenza, affinché le banche siano maggiormente responsabilizzate e sensibilizzate in merito per fare in modo che i nuovi fondi previsti dalla Banca centrale europea possano dare respiro alle imprese e alle famiglie in difficoltà e sbloccare questa situazione di stallo della economia al più presto; e se non voglia, altresì, assumere iniziative al fine di tassare la plusvalenza realizzata dalle banche lucrando sui titoli di Stato con fondi provenienti dalla Bce, in maniera da contrastare tale forma di investimento che non risolve la crisi economica del nostro Paese, ma anzi sottrae risorse preziose.
(5-03504)


   CAUSI e PREZIOSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 111 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993 n. 385, come da ultimo modificato dal decreto legislativo 19 settembre 2012, n. 169, reca la disciplina del microcredito, stabilendo la categoria di soggetti che possono concedere finanziamenti a persone fisiche o società di persone o società a responsabilità limitata semplificata o associazioni o società cooperative, per l'avvio o l'esercizio di attività di lavoro autonomo o di microimpresa, a condizione che i finanziamenti concessi abbiano determinate caratteristiche tra cui il limite massimo erogabile non superiore a euro 25.000,00 e l'assenza di garanzie reali;
   i medesimi soggetti possono inoltre erogare in via non prevalente finanziamenti anche a favore di persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica o sociale, purché i finanziamenti concessi siano di importo massimo di euro 10.000, non siano assistiti da garanzie reali, abbiano lo scopo di consentire l'inclusione sociale e finanziaria del beneficiario e siano prestati a condizioni più favorevoli di quelle prevalenti sul mercato;
   le disposizioni attuative del citato articolo 111 sono demandate ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, con cui saranno disciplinati: i requisiti concernenti i beneficiari e le forme tecniche dei finanziamenti; i limiti oggettivi, riferiti al volume delle attività, alle condizioni economiche applicate e all'ammontare massimo dei singoli finanziamenti nonché le informazioni minime da fornire alla clientela; le citate disposizioni attuative non risultano al momento ancora emanate;
   l'articolo 39, comma 7-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, riserva ad interventi di garanzia in favore del microcredito una quota delle disponibilità finanziarie del Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a) della legge 23 dicembre 1996, n. 662;
   la norma rimanda ad un successivo decreto non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, adottato dopo aver sentito l'Ente nazionale per il microcredito, la definizione di una serie di aspetti specifici quali: la percentuale delle risorse del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese da destinare al microcredito; le tipologie di operazioni ammissibili; le modalità di concessione, i criteri di selezione, l'ammontare massimo delle disponibilità finanziarie del Fondo da destinare alla copertura del rischio derivante dalla concessione di questa garanzia;
   nel medesimo provvedimento è demandato all'Ente nazionale per il microcredito il compito di stipulare convenzioni con soggetti e istituzioni nazionali ed europee per accrescere le risorse del Fondo per le piccole e medie imprese da destinare al microcredito per la microimprenditoria;
   l'articolo 1, comma 5-ter del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, ha provveduto a rafforzare la dotazione del predetto fondo di garanzia, stabilendo che al medesimo fondo possono affluire contributi su base volontaria destinati alla microimprenditorialità, richiamando allo scopo quanto previsto dal citato articolo 39, comma 7-bis; le modalità di attuazione, nonché le modalità di contribuzione da parte di enti, associazioni, società o singoli cittadini, sono rimesse al decreto del Ministero dell'economia e delle finanze che avrebbe dovuto essere emanato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, ovvero entro il 19 novembre 2013;
   i dati emersi dal progetto di monitoraggio e valutazione di tutte le iniziative di microcredito attivate in Italia, realizzato dal 2011 al 2014 dall'Ente nazionale per il microcredito per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, documentano quanto questo genere di finanziamento si stia radicando come strumento economico irrinunciabile, poiché offre concrete possibilità di accesso o reinserimento nel mercato del lavoro, ma anche perché è una valida opportunità per fronteggiare l'emergenza povertà che colpisce strati sempre più ampi di popolazione;
   in un contesto di crisi economica, per una platea di persone o microimprese che non ottengono il credito tradizionale, perché non riescono a fornire adeguate garanzie di disponibilità economica, il microcredito si dimostra capace di fornire una risposta e di rappresentare un'alternativa significativa alla crescente domanda di credito, sia a scopo socio-assistenziale, che per finalità produttive;
   sempre secondo i dati dell'Ente nazionale per il microcredito, nel 2013, in Italia, sono state tenute in osservazione 105 iniziative di microcredito e ne è emerso che si sono distribuiti poco meno di 10.000 microprestiti, per un ammontare complessivo di oltre 100 milioni di euro, riuscendo a soddisfare meno della metà (42,3 per cento) delle richieste sottoposte a valutazione;
   effetti moltiplicativi del microcredito si dimostrano anche sull'occupazione: il microcredito erogato nel 2010 nelle aree più svantaggiate, ha generato non solo occupazione diretta, ma anche indiretta, dimostrandosi uno strumento in grado di moltiplicare la sua insita e rilevante capacità di attivazione del lavoro, quindi di inclusione lavorativa e sociale oltre che finanziaria. Guardando ai dati più recenti, nel 2013 il microcredito ha prodotto circa 9.700 nuove occasioni di lavoro –:
   quali siano, per quanto di competenza, i tempi di emanazione dei decreti attuativi delle norme citate in premessa che disciplinano l'attività di microcredito, al fine di favorire lo sviluppo anche in Italia di questa attività che ad ogni evidenza può fornire un valido ausilio per uscire dalla crisi, venendo incontro alle esigenze di credito dei soggetti cosiddetti «non bancabili», in quanto considerati non idonei a fruire di servizi e/o prodotti del settore finanziario tradizionale.
(5-03505)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Governo Monti, con l'articolo 19 del decreto-legge «Salva Italia» n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, intervenendo sulla disciplina dell'imposta di bollo, ha stabilito al comma 6 dello stesso articolo che le attività finanziarie oggetto di operazioni di emersione, per effetto della normativa sul cosiddetto «scudo fiscale» sono soggette, a decorrere dal periodo d'imposta 2011, ad un'imposta di bollo speciale annuale e ad un'imposta straordinaria una tantum sui prelievi riferiti alle medesime attività nella misura del 10 per mille per l'anno 2012, del 13,5 per mille per l'anno 2013 e del 4 per mille per gli anni successivi, confermando, in questo ultimo caso, il livello di tassazione, a giudizio dell'interrogante vergognoso, originariamente introdotto dal Governo Berlusconi, nell'ambito del decreto anticrisi del 2009, con il cosiddetto scudo fiscale ter;
   il Ministero dell'economia e delle finanze ha recentemente comunicato che nel periodo tra gennaio e luglio 2014 il gettito totale dell'imposta di bollo è decresciuto del 4 per cento registrando una perdita pari a 249 milioni di euro, anche e soprattutto per effetto della suddetta minore tassazione speciale sulle attività finanziarie scudate, che ha comportato, da sola, una variazione negativa del relativo gettito pari a 692 milioni di euro;
   di contro, secondo i dati del Ministero rielaborati dall'ufficio studi della Uil, circa 7 famiglie numerose e a basso reddito su 10 saranno penalizzate, rispetto alla precedente Imu, dal prossimo prelievo della Tasi –:
   se non ritenga equo e doveroso, in occasione del prossimo disegno di legge di stabilità, tanto più in un periodo in cui si chiedono grossi sacrifici soprattutto ai meno abbienti, innalzare, a partire dall'anno in corso, la suddetta aliquota a regime del 4 per mille sui capitali «scudati» rispristinando quantomeno il livello di tassazione già introdotto dal Governo Monti. (5-03506)


   PAGANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 10 maggio 2013 è stato pubblicato l'elenco, previsto dall'articolo 112, comma 7, secondo periodo, del Testo unico bancario (TUB) di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993, come modificato dal decreto legislativo n. 169 del 2012, degli enti e società cooperative costituiti tra i dipendenti di una medesima amministrazione pubblica entro il 1o gennaio 1993, già iscritti nell'elenco generale di cui all'articolo 106 del TUB, che possono continuare ad operare alle condizioni e nei limiti stabiliti dalle disposizioni di settore senza l'obbligo di iscrizione in albi ed elenchi tenuti dalla Banca d'Italia;
   tali organismi finanziari, che associano i lavoratori, prevalentemente pubblici, e incentivano forme di risparmio e previdenza complementare, sono sorti in Italia nei primi anni del ’900; in particolare, questi enti e cooperative finanziarie accolgono tra i loro soci i dipendenti di diversi istituzioni e enti pubblici e svolgono anche attività mutualistiche elargendo sussidi in caso di malattie, morte o infortunio, nonché borse di studio per gli studenti meritevoli; nel 1995 il Ministero del tesoro, con i decreti ministeriali 29 marzo 1995, 10 maggio 1995 e 11 dicembre 1995, ha riconosciuto tali enti e cooperative, regolamentando la loro iscrizione tra gli enti finanziari previsti dall'articolo 106 del TUB e definendone l'ambito operativo consentendo loro la raccolta di risparmio;
   i predetti organismi costituiscono Tunica forma di cooperativa non bancaria che è autorizzata a ricevere e gestire i risparmi dei suoi soli membri e fornire loro fonti di credito;
   essi hanno come naturale vocazione la raccolta del risparmio sotto forma di prestito sociale, al fine di fornire ai soci stessi fonti di credito in caso di necessità;
   i finanziamenti corrisposti dai soci sono stati inquadrati, ai fini delle imposte dirette, tra quelli previsti dall'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973, al fine di consentire alle cooperative di poter godere di agevolazioni fiscali;
   la disposizione di cui all'articolo 20, comma 8, del decreto-legge n. 95 «del 1974, prevedeva l'applicazione della ritenuta, ai sensi dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, nella misura del 12,50 per cento, a titolo di imposta, su interessi e redditi di capitale corrisposti ai soci persone fisiche residenti nel territorio dello Stato dalle società cooperative e loro consorzi: tale ritenuta del 12,50 per cento, è stata abrogata, con decorrenza dal 1o gennaio 2012, dall'articolo 2, comma 25, del decreto-legge n. 138 del 2011: pertanto i suddetti interessi sono sottoposti alla ritenuta ordinaria, incrementata dal 20 per cento al 26 per cento dal decreto-legge n. 66 del 2014;
   occorre anche tenere conto che, in virtù dell'esistenza di tali agevolazioni sulle ritenute, a norma dell'articolo 1, comma 465, della legge n. 311 del 2004, gli interessi sulle somme che i soci persone fisiche versano alle società cooperative e loro consorzi alle condizioni previste dall'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973, sono indeducibili per la parte che supera l'ammontare calcolate con riferimento alla misura minima degli interessi spettanti ai detentori dei buoni postali fruttiferi, aumentata dello 0,90 per cento, a decorrere dai periodi d'imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2003;
   in seguito all'evoluzione normativa appena descritta, gli interessi che vengono corrisposti ai soci scontano una doppia tassazione: in capo al socio ricevente si applica una tassazione del 26 per cento a titolo d'imposta; in capo alla cooperativa si applica una tassazione sotto forma d'indeducibilità degli interessi con aliquota ordinaria IRES e IRAP, con evidente sperequazione rispetto ad altre forme di remunerazione del risparmio –:
   quali iniziative intenda assumere per fare in modo che ai suddetti organismi facenti parte dell'elenco di cui all'articolo 112, comma 7, del TUB, non si applichi l'articolo 1, comma 465, della legge n. 311 del 2004, consentendo in tal modo che gli interessi sulle somme versate dai soci persone fisiche, alle società cooperative e loro consorzi alle condizioni previste dall'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973 siano interamente deducibili, abolendo il limite di deducibilità relativo alla parte che supera l'ammontare calcolato con riferimento alla misura minima degli interessi spettanti ai detentori dei buoni postali fruttiferi, aumentata dello 0,90 per cento. (5-03507)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   MONCHIERO e RABINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A33, che collega Asti a Cuneo, attualmente in parte aperta al traffico, in parte in costruzione e in parte ancora solo in progetto, è gestita dall’Autostrada Asti-Cuneo s.p.a., costituita il 1o marzo 2006 (partecipata al 60 per cento dalla società Autostrada Ligure Toscana spa, al 35 per cento dall'Anas spa e al 5 per cento da Itinera spa), in qualità di concessionaria del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ai sensi degli articoli 19, commi 2 e 2-bis, e 37-quinquies della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modifiche e integrazioni, e per effetto della convenzione di concessione, efficace a far data dall'11 febbraio 2008;
   il collegamento autostradale, in tutto 93 chilometri, è articolato in due tronchi tra di loro connessi a mezzo di un tratto (circa 20 chilometri) dell'autostrada A6 Torino-Savona: il primo tronco, costituito da 5 lotti, di lunghezza complessiva pari a 32 chilometri e compreso tra lo svincolo di Massimini (sull'autostrada A6 Torino-Savona) e Cuneo; il secondo tronco, costituito da 10 lotti, di lunghezza complessiva pari a 58,2 chilometri e compreso tra lo svincolo di Marene (sull'autostrada A6 Torino-Savona) e lo svincolo di Asti est (sull'autostrada A21 Torino-Piacenza-Brescia); l'opera prevede 9,1 chilometri di ponti e viadotti, oltre 10 chilometri di gallerie e 11 nuovi svincoli;
   ognuno dei tronchi è suddiviso in lotti, la maggior parte già realizzati da Anas e concessi in gestione alla società; la durata della concessione è fissata in 23,5 anni, a partire dalla data di ultimazione dei lavori previsti in convenzione;
   attualmente il primo tronco è pressoché ultimato, e comunque il collegamento fra la città di Cuneo e l'autostrada A6 (Torino-Savona) è operativo, così come è operativo quello fra il casello «Asti est» della A21 (Torino-Piacenza) e la tangenziale di Alba; mentre nel secondo tronco i tratti autostradali i cui lavori non sono ancora iniziati sono i lotti 2.1b e 2.1dir in provincia di Asti e i lotti 2.5 e 2.6 in provincia di Cuneo (2.5 tra lo svincolo di Guarene e quello di Alba ovest e 2.6 tra Alba ovest e Cherasco);
   si è, quindi, creata una situazione assurda, con la Asti-Cuneo quasi completata ma interrotta nel bel mezzo, fra Alba e Cherasco, ove il traffico viene deviato sulla viabilità ordinaria del tutto inadeguata;
   negli anni scorsi la società concessionaria, avanzando problemi nel reperimento dei fondi, aveva chiesto di rinviare l'esecuzione del lotto 2.5 e la costruzione della galleria sotto il fiume Tanaro e di utilizzare, come soluzione temporanea e senza pedaggio, la tangenziale di Alba, consentendo, quindi, un primo efficace collegamento a scorrimento veloce e a doppia carreggiata senza soluzione di continuità tra Asti e Cuneo;
   gli enti territoriali avevano accettato questa soluzione alternativa, pur provocando aggravi e problemi alla circolazione di collegamento con la città di Alba, a condizione che l'utilizzo della tangenziale fosse provvisorio e che contemporaneamente alla costruzione del lotto 2.6 venissero realizzate dalla società concessionaria alcune opere complementari indispensabili per non gravare in modo insopportabile sulla viabilità locale;
   le conferenze dei servizi, tenutesi ai sensi e per gli effetti del decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383, presso la direzione generale per lo sviluppo del territorio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 14 marzo 2012 e 19 aprile 2012, alla presenza dei rappresentanti degli enti locali interessati, della società concessionaria e dell'Anas, si sono concluse con un accordo fra le parti che prevedeva l'adeguamento della tangenziale di Alba per il suo utilizzo transitorio, la costruzione da parte della società concessionaria di alcune opere complementari e l'impegno a realizzare tali opere prima della conclusione dei lavori del lotto 2.6, l'approvazione da parte dell'Anas del progetto definitivo del lotto 2.6 entro il 30 settembre 2012;
   sono trascorsi più di due anni dalla firma della convenzione, sottoscritta nella primavera 2012 dal Ministero e da tutte le parti interessate, e si attende ancora l'avvio dei lavori dei lotti 2.5 e 2.6 per il completamento dell'autostrada Asti-Cuneo;
   lo stallo, che si protrae da anni, è inaccettabile per il territorio albese, per i cittadini e per le imprese e gli amministratori locali da tempo chiedono chiarezza da parte della concessionaria, visto che la società Autostrada Asti-Cuneo s.p.a. è tenuta a rispettare i patti sottoscritti dieci anni fa, quando si è impegnata a realizzare l'autostrada, compresi i lotti albesi;
   dallo sblocco dei lavori dei lotti 2.5 e 2.6 e quindi dal sostanziale completamento dell'autostrada Asti-Cuneo dipendono interventi fondamentali per il territorio, la cui realizzazione è stata concordata con il concessionario ed è riconducibile alla viabilità di adduzione all'autostrada: in particolare, la strada di collegamento al costruendo ospedale di Verduno, con un adeguamento del tratto della strada provinciale n. 7, che collega Cantina di Roddi e Pollenzo, e il terzo ponte sul fiume Tanaro, che consentirebbe la realizzazione della tangenziale est della città;
   la società concessionaria ha recentemente evidenziato il fatto che il traffico dell'autostrada è debole e sono aumentati i costi dell'opera, mettendo a serio rischio i restanti lotti, almeno fino al reperimento delle ulteriori risorse necessarie per il completamento:
   nell'attesa di concludere la viabilità di allacciamento all'autostrada con le tangenziali di Asti e Cuneo, il lotto fondamentale diventa quindi il 2.6, in fase di progettazione definitiva approvata, ma non ancora esecutiva, che collegherà Roddi alla diga Enel, grazie alla galleria scavata sotto Verduno. L'approvazione del progetto esecutivo, una volta ottenuto parere positivo dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, spetta al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   se, dunque, dal punto di vista tecnico la vicenda potrebbe ora procedere, rimane da sciogliere il nodo relativo alla revisione del piano economico-finanziario, che deve essere approvato dall'Anas –:
   quali siano i motivi del ritardo nell'avvio dei lavori, le difficoltà emergenti e i tempi previsti nella realizzazione dei lotti albesi, quale sia il crono-programma definitivo per completamento del collegamento autostradale Asti-Cuneo, l'entità delle risorse disponibili necessarie sia per la realizzazione dei lotti autostradali sia per le opere complementari previste, nonché quali iniziative intenda il Governo assumere per ottenere il pieno rispetto degli obblighi contrattuali da parte della società Autostrada Asti-Cuneo s.p.a., dando così una risposta certa alle profonde preoccupazioni delle comunità interessate. (3-01015)


   PAGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Anas ha da tempo avviato i lavori per l'ammodernamento e l'adeguamento a quattro corsie della strada statale n. 640, asse viario strategico nel collegamento tra Agrigento e Caltanissetta, già oggetto di atto di sindacato ispettivo nel 2011 (interrogazione a risposta in commissione n. 5-04772). Tra gli altri interventi è prevista la realizzazione di due gallerie contigue e parallele ricadenti nel territorio della provincia di Caltanissetta;
   in relazione a tale opera, i dati geomorfologici forniti dall'Anas non corrisponderebbero a quanto rilevato nel corso delle indagini in situ, realizzate da geologi nisseni e dall'Università di Palermo, dati che sembrano rendere sconsigliabile la realizzazione delle citate gallerie; l'area geografica individuata, peraltro ricchissima di acque sotterranee, è caratterizzata dalla sovrapposizione di faglie differenti che determinano dei gradini tettonici marcati e si intersecano in corrispondenza e perpendicolarmente all'asse del tracciato delle due gallerie;
   sussistono, inoltre, nella zona fenomeni di vulcanismo sedimentario, che si manifestano con eruzione di fango, gas e acqua e determinano fratture nel terreno; tali evidenze sono confermate in una memoria dell'Anas (pa 12/09 corridoio plurimodale tirrenico-Nord Europa), nella quale si parla di acque in pressione e di argille «collose»; l'eventuale tentativo (proposto da Anas nella medesima nota) di emungere la falda in pressione potrebbe favorire la fuoriuscita di argilla, acqua in pressione e gas, creando, altresì, una via di fuga :d fenomeni legati al vulcanismo, tali da compromettere gravemente non solo la funzionalità, ma anche la realizzazione della stessa opera;
   con tali presupposti, risulta all'interrogante che l'amministrazione comunale di Caltanissetta ha fatto pervenire un documento ufficiale all'Anas, nel quale, analizzati i rischi possibili, si chiede di ritornare al progetto originariamente proposto, ritenuto senza rischi, fattibile e non gravato dai notevoli cose derivanti dall'esecuzione del nuovo tracciato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e delle motivazioni che hanno convinto l'Anas a modificare il tracciato originario e se non ritenga utile intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, per richiedere all'Anas un supplemento di indagini e prove geotecniche in situ, promuovendo, a tal proposito, un incontro fra i tecnici comunali, l'Anas, la ditta appaltatrice e il responsabile del procedimento per la definizione delle problematiche descritte in premessa. (3-01016)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 2009 il Governo francese ha sostituito il vecchio sistema di targhe provinciali ed ha adottato un nuovo sistema di immatricolazione pressoché identico a quello italiano creando grossa confusione, visto che le targhe francesi riproducono ora gli stessi numeri e lettere di quelle italiane;
   le targhe sono identiche anche nei colori utilizzati (lettere nere su fondo bianco e bande laterali azzurre con caratteri bianchi) e si distinguono solo per la lettera identificativa del Paese di provenienza, F o I, e per il carattere leggermente differente, segni difficilmente distinguibili da un autovelox o dall'occhio umano di chi accerta le infrazioni;
   questa situazione ha avuto come conseguenza l'errato recapito di multe a cittadini italiani per infrazioni commesse da automobilisti francesi, le cui vetture avevano la targa uguale a quelle dei nostri connazionali, che si vedono costretti a pagare o ad intraprendere un complicato e lungo iter burocratico per fare ricorso –:
   se il Ministro sia a conoscenza della vicenda e quanti siano gli automobilisti italiani finora vittime di tale disagio e quali azioni intenda intraprendere, anche sollevando il problema in sede europea, al fine di evitare che le scelte governative nazionali dei sistemi di immatricolazione non entrino in conflitto con le scelte già adottate da altri Paesi. (4-05942)


   MIGLIORE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il porto di Trieste rappresenta una fondamentale infrastruttura strategica per il sistema di trasporto dell'Europa e dell'intero Paese, essendo collocato all'incrocio fra le direttrici nord/sud del corridoio Adriatico Baltico e quelle est/ovest del corridoio n. 5 Lisbona-Kiev;
   il porto di Trieste presenta grandi potenzialità di sviluppo dei propri traffici da e verso il centro e il Nord Europa, finora non pienamente espresse anche a causa del gap infrastrutturale e della concorrenza esercitata dal vicino porto sloveno di Capodistria;
   l'area portuale è suddivisa in due diversi ambiti: il primo, denominato porto nuovo, è sede della maggior parte delle infrastrutture portuali più moderne ed è quello dove avviene la movimentazione della maggior parte dei contenitori e delle merci; il secondo, denominato porto vecchio e di estensione pari a circa 600.000 metri quadri, è caratterizzato dalla presenza di strutture antiquate e inadatte alle moderne attività portuali ed è da molti anni per larga parte completamente inutilizzato e rappresenta il più grande water front ancora non riqualificato presente in Europa;
   il vigente piano regolatore portuale risale al 1957, e da allora si è proceduto esclusivamente tramite varianti; nel 2010 è stato approvato il nuovo piano regolatore generale, strumento che affronta con ottica di sistema la realizzazione di opere che porto città e regione attendono da anni, quali il raddoppio del molo VII, il collegamento tra il V ed il VI, la piattaforma logistica, e disegna altresì un possibile sviluppo per tutto il water front del porto vecchio; in data 12 dicembre 2011 è stato inviato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la valutazione dell'impatto ambientale corredato dallo studio ambientale preliminare integrato (Sapi) e dalla documentazione necessaria e che in data 16 aprile 2012 si è conclusa la fase preliminare della stessa con la notifica all'autorità proponente di un parere della commissione VIA-VAS i cui si fornivano le indicazioni per la stesura dello studio integrato ambientale (Sai) e della documentazione necessaria ad attivare la consultazione transfrontaliera prevista dalla procedura medesima; da tale data risultano trascorsi più di due anni senza che l’iter di approvazione proseguisse;
   al ritardo nel pieno sviluppo dei suoi traffici e nel rendere pienamente operanti gli strumenti di programmazione ha contribuito il clima di elevata conflittualità registrata in seno al comitato portuale in particolare nel corso dell'ultimo anno;
   gli organi dell'autorità portuale risultano in scadenza alla fine dell'anno in corso, e a breve scadranno i tre mesi di tempo ad essa antecedenti entro i quali provincia, comuni e camera di commercio industria e artigianato dovranno comunicare la terna di nominativi all'interno della quale nominare, d'intesa con la regione, il nuovo presidente dell'autorità portuale;
   l'autorità portuale di Trieste in data 7 agosto 2014 ha emanato una richiesta di «manifestazione di interesse» per il ruolo di segretario generale, richiedendo soltanto la seguente documentazione: a) curriculum vitae; b) lettera con motivazione della richiesta; c) lettera di referenze; nella manifestazione di interesse, a quanto consta all'interrogante, non si fa neanche cenno a titoli di studio richiesti e ai requisiti di esperienza e comprovata qualificazione professionale nel settore così come disciplinato dall'articolo 10 della legge n. 84 del 1994;
   l'autorità portuale di Trieste in data 12 febbraio 2014 aveva emanato un avviso per la concessione di aree all'interno del porto vecchio, a cui aveva risposto, fra gli altri, anche la Curia di Trieste, intenzionata a costruirvi una chiesa. Si è recentemente appreso dalla stampa che sul sito della diocesi in data 14 luglio 2014 è apparso un comunicato stampa ufficiale in cui si afferma che la realizzazione dell'opera non comporterebbe alcun proprio coinvolgimento organizzativo e finanziario. Tuttavia, il «regolamento di esecuzione del codice di navigazione», al quale il bando rinvia, stabilisce all'articolo 11 che «le spese di istruttoria, comprese quelle inerenti a visite, ispezioni, consegne, le spese di ogni genere relative alla stipulazione, alla copiatura, alla registrazione delle licenze e degli atti di concessione e ogni altra spesa dipendente dalla domanda di concessione, sono a carico del richiedente, il quale deve eseguire, all'atto della presentazione della domanda, un deposito in numerario presso la cassa dell'ufficio del compartimento, nella misura da questo stabilita». Il successivo articolo 16 dispone che: «Il concessionario deve corrispondere anticipatamente le singole rate del canone, nella misura e alle scadenze determinate nell'atto di concessione. Per le concessioni con licenza di durata non superiore al biennio il canone è pagato anticipatamente per l'intera durata. Per le concessioni di durata superiore al biennio il canone è pagato anticipatamente a rate biennali». Inoltre, l'articolo 17 stabilisce che il concessionario debba depositare una cauzione, «il cui ammontare è determinato in relazione al contenuto, all'entità della concessione e al numero di rate del canone il cui omesso pagamento importa la decadenza della concessione a norma dell'articolo 47, lettera d) del codice di navigazione». Da quanto sopra riportato non risulta chiaro nel caso in questione su chi abbiano pesato i costi di presentazione della domanda e su chi peseranno i canoni obbligatori, o se l'autorità portuale vi abbia soprasseduto e abbia intenzione di soprassedervi determinando così ad avviso dell'interrogante, un danno erariale;
   così come riportato diffusamente sulla stampa locale, il PM della Corte dei conti avrebbe aperto un fascicolo ipotizzando un danno erariale in seguito alla presentazione di un esposto da parte del segretario regionale della CGIL del Friuli Venezia Giulia, in cui si evidenziava come recenti procedure di reclutamento del personale relative a quattro nuove assunzioni le cui domande sono scadute in data 22 agosto 2014 non rispettino le regole concorsuali per la pubblica amministrazione a cui le autorità portuali sono vincolate;
   nella relazione della Corte dei conti relativa agli esercizi 2011 e 2012 venivano rilevate in relazione all’Authority tre criticità: il superamento della pianta organica vigente nel ruolo della dirigenza; il mantenimento della partecipazione totalitaria in alcune società che gestiscono i servizi di interesse generale e le partecipazioni azionarie; l'ingente contenzioso relativo alla riscossione dei canoni demaniali pregressi;
   i fatti appresi, qualora inequivocabilmente accertati, determinerebbero conseguenze negative sul bilancio dell'autorità portuale di Trieste –:
   quali determinazioni e iniziative intenda intraprendere nel suo ruolo di autorità di vigilanza ai sensi dell'articolo 12, comma 2, lettera a), della legge n. 84 del 1994 e in vista dell'imminente scadenza degli organi dell'autorità portuale, a cominciare dal presidente, e della nomina per il quadriennio 2015-2018. (4-05949)


   ROSATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 14 luglio 2014, l'autorità portuale di Trieste, con deliberazione n. 216 del 2014, ha disposto l'avvio di quattro procedure di selezione del personale per l'assunzione con contratto a tempo indeterminato di due impiegati di III livello, un impiegato di IV livello ed una figura professionale da inserire con qualifica di quadro B all'interno degli uffici di staff (relazioni esterne);
   ad oggi, come certificato in un esposto delle organizzazioni sindacali, sono già assunte, ma con contratto a tempo determinato, delle figure professionali corrispondenti ai profili indicati nelle procedure concorsuali bandite con la delibera di cui sopra;
   questi lavoratori avrebbero, quindi, titolo alla trasformazione del proprio rapporto di lavoro in contratto a tempo indeterminato, in applicazione dei principi tanto di diritto già correttamente riconosciuti dall'ente in precedenti situazioni, quanto affermati dal legislatore che, in questi ultimi anni con provvedimenti di diversa natura, ha sancito un indirizzo politico-amministrativo volto ad imporre la stabilizzazione del personale precario quale requisito necessario all'indizione di nuovi concorsi;
   l'interrogante ricorda che anche il tribunale di Trieste si è pronunciato, su vicende analoghe, accertando l'illegittimità di assunzioni effettuate prescindendo dalla valorizzazione delle risorse interne, e che è ormai unanime l'interpretazione del principio di «buon andamento» della pubblica amministrazione di cui all'articolo 97 della Costituzione, nel senso che gli enti devono obbligatoriamente evitare nuove assunzioni quando sia possibile fare ricorso alle professionalità presenti all'interno della struttura;
   in riferimento, poi, al bando di assunzione di una figura professionale da destinare all'ufficio di staff (relazione esterne), le organizzazioni sindacali hanno sottolineato, peraltro, la presenza in organico di una dipendente che nel maggio 2010 è stata assunta con contratto a tempo indeterminato a seguito di specifica procedura di selezione presso il servizio relazioni esterne, per lo svolgimento di funzioni analoghe a quelle indicate nell'attuale bando, ma che risulta oggi privata dei compiti per i quali è stata assunta –:
   come il Ministro intenda far valere i principi sanciti dalla Costituzione e dalle leggi che impongono alle pubbliche amministrazioni la stabilizzazione del personale precario quale requisito necessario all'indizione di nuovi concorsi;
   come il Ministro intenda intervenire a tutela dell'amministrazione, alla luce dell'esposto delle organizzazioni sindacali che ha attivato anche gli accertamenti della Corte dei conti sulla legittimità della delibera di cui in premessa. (4-05950)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante il 4 aprile 2014 ha presentato l'interrogazione n. 4-04360 riguardante l'apertura di un presidio di pubblica sicurezza per far fronte ai numerosi fenomeni di criminalità nel territorio di Scanzano Jonico (MT);
   si rileva che il territorio del comune di Scanzano Jonico è attraversato dalla strada statale 106 Jonica, asse viario fondamentale per il Mezzogiorno, dove si verificano episodi criminosi di varia natura;
   la comunità della cittadina lucana chiede con urgenza l'apertura della stazione dei carabinieri come era stato annunciato e promesso nella conferenza stampa del 31 dicembre 2013 visto l'aumento degli eventi criminosi a danno del patrimonio e delle persone –:
   quale sia lo stato di attuazione del presidio citato in premessa e quali iniziative urgenti si intendano assumere per garantire il livello di sicurezza del territorio. (4-05945)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 24 luglio 2014 l'amministrazione comunale di Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli, ha ricevuto la documentazione attestante il rispetto del patto di stabilità, in conseguenza del quale ai sensi dell'articolo 31, comma 26, della legge n. 183 del 2011 è stato previsto il blocco delle assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale;
   il comune eroga alla cittadinanza il servizio di scuola dell'infanzia comunale paritaria, che, ai sensi della legge n. 62 del 2000, deve rispettare determinati requisiti, tra cui l'iscrizione alla scuola per tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta e l'applicazione delle norme vigenti in materia di inserimento di studenti disabili o in condizioni di svantaggio;
   da due anni un bimbo affetto da disturbo pervasivo autistico con ritardo cognitivo e del linguaggio disregolazione emotivo comportamentale frequenta la scuola comunale;
   ciò rende necessaria la nomina di un insegnante di sostegno, indispensabile alla continuità del suo processo educativo;
   finora, infatti, tale sostegno lo ha aiutato a conseguire notevoli risultati di natura relazionale, cognitiva ed affettiva;
   privare il bimbo in questione di tale opportunità significherebbe aggravare il suo stato di salute, vanificando tutto il lavoro precedentemente svolto e tutti i risultati finora raggiunti grazie alle cure che la famiglia sostiene (anche a spese proprie) nei vari centri, talvolta molto distanti dal proprio territorio, nella speranza di vedere il proprio figlio evolvere verso il grado massimo di sviluppo possibile;
   per il particolare tipo di patologia da cui il bambino in questione è affetto il costo del supporto di un insegnante di sostegno è stimabile intorno ai 10.000 euro annui;
   il comune ha già inviato una lettera al Ministero dell'interno ed al Ministero dell'economia e delle finanze per chiedere una deroga al rispetto del patto di stabilità così da risolvere il problema, protocollata con il numero 31835 il 29 luglio 2014 –:
   se non si ritenga doverosa ed urgente una deroga al rispetto del patto di stabilità per gli enti dissestati che di frequente si imbattono in situazioni come quella in esame, così da permettergli di garantire a chi soffre di disabilità il diritto allo studio. (4-05947)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUNO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in alcune università italiane i rispettivi rettori sono stati eletti per ricoprire l'incarico per il quadriennio accademico che dal 1o novembre 2010 arriva fino al 31 ottobre 2014;
   successivamente alla data della loro elezione è entrata in vigore la legge 20 dicembre 2010, n. 240, che prevede – articolo 2, comma 9, ultimo periodo – che «Il mandato dei Rettori i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono stati eletti ovvero stanno espletando il primo mandato è prorogato di due anni e non è rinnovabile»;
   nella medesima legge, all'articolo 29, comma 11, è sancita l'abrogazione dell'articolo 14, quinto comma, della legge 18 marzo 1958, n. 311, che dispone(va) «I professori collocati fuori ruolo, ai sensi del presente articolo, possono essere eletti o rieletti all'ufficio di rettore o di preside dal quale cessano all'atto del collocamento a riposo, se si tratta della carica di preside; mentre, per l'ufficio di rettore, il professore che lo ricopre, nell'atto che è collocato a riposo nei limiti di età può continuare in tale ufficio fino alla scadenza del triennio per il quale era stato eletto»;
   in data 25 giugno 2014 è entrato in vigore il decreto-legge 24 giugno 2014 che statuisce, all'articolo 1, commi 1 e 2, in sostanza, l'obbligo di collocamento a riposo per i professori universitari di ruolo al 31 ottobre 2014 se a questa data, come i casi di che trattasi, si sono compiuti i 70 anni d'età. Il medesimo decreto-legge (all'articolo 6, primo comma) vieta il conferimento di incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni a soggetti in quiescenza –:
   se il Ministro abbia provveduto ad effettuare una ricognizione tendente a riconoscere specifiche situazioni in cui dei professori dovranno essere collocati in quiescenza, alla data del 31 ottobre 2014, perdendo, conseguentemente, il requisito soggettivo per ricoprire la carica di rettore (professore ordinario in servizio in una università italiana);
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano adottare per il rispetto della legge e, consequenzialmente chiarire inequivocabilmente la posizione giuridica dei suddetti rettori ricadenti nella fattispecie e, principiare l’iter previsto dalla legge e dagli statuti per l'elezione dei rettori per il sessennio 1o novembre 2014-31 ottobre 2020. (4-05941)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'università degli studi di Firenze ha bandito con decreti n. 2435 del 29 agosto 2014 e n. 8879 del 20 dicembre 2013 concorsi per posti di categoria D, area amministrativa-gestionale;
   lo stesso ateneo aveva nel 2004 bandito un concorso per posti di analoga categoria ed area;
   la graduatoria del concorso del 2004, pubblicata il 27 dicembre 2005, è stata prorogata ope legis al 30 dicembre 2006, ed in essa sono ancora presenti candidati in attesa di assunzione;
   il Consiglio di Stato ha confermato recentemente, con le sentenze n. 14 del 28 luglio 2011 e n. 3407 del 4 luglio 2014, che la pubblica amministrazione è tenuta ad utilizzare prioritariamente le graduatorie concorsuali valide e già esistenti –:
   quali iniziative di competenza, anche normative, intendano assumere per garantire il pieno adeguamento delle pubbliche amministrazioni al principio indicato dalla giurisprudenza. (4-05943)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MUCCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'estate appena trascorsa è stata la più piovosa degli ultimi 30 anni e ha provocato ingenti danni alle coltivazioni provocando non solo un calo delle produzioni stagionali ma anche un aumento dei costi per difendere i prodotti sia dai parassiti sia dal clima anomalo;
   la produzione di miele, a causa del maltempo, potrebbe subire un calo fino al 70 per cento in tutto il nord Italia;
   pare che a farne le spese maggiori siano stati i prodotti stagionali con un conto particolarmente salato per pesche e nettarine, mentre c’è ancora molta attesa per la vendemmia iniziata solo da qualche settimana, ma che sembra già far registrare un aumento dei costi di produzione per difendere le viti ed un taglio dei raccolti rispetto allo scorso anno;
   la frutta fresca – in Italia – fa segnare il maggior crollo dei prezzi con un calo del 7,5 per cento rispetto allo scorso anno che spinge alla deflazione il settore dell'alimentare;
   i danni provocati dal maltempo e l'embargo russo sembra costeranno alle aziende agricole dell'Emilia Romagna fino a 300 milioni di euro di produzione lorda;
   il crollo dei consumi rischia infatti di far scomparire a livello Italia un quinto dei pescheti e mette a rischio 10 milioni di giornate di lavoro garantite dal settore della frutta estiva, con gravi effetti sull'occupazione, sull'ambiente e sulle imprese;
   secondo l'analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat di giugno, nel secondo trimestre del 2014, il numero dei lavoratori dipendenti nel settore agricoltura è aumentato del 5,6 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente e le imprese agricole condotte da giovani under 35 sono salite a 48.620 unità con un aumento del 2,6 per cento rispetto al trimestre precedente –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra riportato;
   quali misure il Ministro interrogato intenda adottare per fronteggiare la crisi della frutta estiva e dell'agricoltura in generale dovuta a maltempo, calo dei consumi ed embargo russo;
   se il Ministro interrogato, per sostenere le aziende agricole in modo adeguato, intenda richiedere all'Unione europea un anticipo dei fondi Pac;
   quali misure il Ministro interrogato intenda adottare per favorire lo sviluppo dell'occupazione agricola giovanile e delle imprese agricole. (5-03499)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la raccolta e la conservazione delle cellule staminali, da sangue cordonale, sono estremamente importanti, in quanto si sono rivelate preziose per curare alcune patologie, tra cui alcune malattie ad alto costo sociale, ma soprattutto lo sono nell'ambito della medicina rigenerativa, poiché il sangue cordonale è una ricca sorgente di cellule staminali adulte, cioè non embrionali e quindi perfettamente compatibili con il neonato e con il resto della famiglia;
   in Italia, nel dicembre 2003, su parere favorevole del direttore generale sanità della regione Lombardia, veniva istituita, presso l'azienda ospedaliera Carlo Poma di Mantova, una banca autologa per la conservazione delle cellule staminali del cordone ombelicale, anche per uso autologo, mediante la stipula di una convenzione tra la suddetta azienda ed una Onlus, la B.A.M.C.O., che prevedeva che i costi per la raccolta e la conservazione fossero sostenuti dalla Onlus, con conseguente assenza di onere alcuno, dal punto di vista economico, sia per il sistema sanitario regionale che per il sistema sanitario nazionale;
   in particolare, era previsto un esborso iniziale, da parte degli associati alla Onlus, di circa 370,00 euro, qualora la raccolta avesse dato esito positivo, seguito dal versamento di una quota annuale, per la conservazione, pari ad euro 28,00, attualmente pari ad euro 40. Quindi un costo notevolmente inferiore a quello richiesto per la crioconservazione, presso banche private estere, pari a circa 1.500,00/2.000,00 euro annui;
   questo progetto, unico nel nostro Paese, che consentiva ad ogni madre, a fronte del pagamento di una somma pari o addirittura inferiore ad un ticket sanitario, di offrire al proprio figlio ed alla propria famiglia una importante risorsa, per la cura di numerose patologie, garantendo la raccolta di circa 2.500 sacche di cellule staminali da sangue cordonale;
   detta convenzione tra la Onlus B.A.M.C.O. e l'azienda ospedaliera Carlo Poma veniva rinnovata più volte, consentendo la prosecuzione del progetto, che prevedeva, oltre alla possibilità di conservare le staminali per uso autologo, anche quella di donarle, per eventuale uso allogenico;
   il Parlamento era intervenuto, in materia, con il decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, alla luce del quale erano stati autorizzati la raccolta autologa, la conservazione e lo stoccaggio del cordone ombelicale, da parte di strutture pubbliche e private autorizzate dalle regioni o dalle province autonome, sentiti il Centro nazionale trapianti ed il Centro nazionale sangue, senza oneri per il servizio sanitario nazionale e previo consenso alla donazione per uso allogenico, in caso di necessità di un paziente compatibile;
   era stato approvato in seguito il decreto-legge 3 giugno 2008 n. 97, convertito, con modificazioni dalla legge 2 agosto 2008, n. 129, con cui veniva prorogato al 28 febbraio 2009 il termine, previsto dall'articolo 8-bis del citato decreto-legge n. 248 del 2007 e poi lo stesso articolo 8-bis veniva abrogato dal decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 4;
   con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 18 novembre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 31 dicembre 2009, veniva consentita la sola raccolta per donazione a scopo solidale delle cellule staminali da sangue cordonale, attraverso centri trasfusionali convenzionati, mentre ne veniva vietata la raccolta e la conservazione per uso autologo (personale e per la propria famiglia);
   conseguentemente, la convenzione tra la Onlus B.A.M.C.O. e l'azienda ospedaliera Carlo Poma non veniva più rinnovata, ravvisando da parte del direttore generale di detta azienda una incompatibilità tra l'attività posta in essere, in forza di detta convenzione, le disposizioni del succitato decreto ministeriale;
   per tale motivo è cessata l'attività, da parte di B.A.M.C.O., di raccolta e conservazione delle cellule staminali da sangue cordonale, ma rimane insoluta la questione relativa alla conservazione delle 2.500 raccolte, effettuate in assoluta conformità alla normativa, all'epoca vigente, in quanto l'azienda ospedaliera Carlo Poma, in assenza di rinnovo della succitata convenzione, non ritiene di continuare ad assumersi la responsabilità della conservazione di dette raccolte, con i relativi oneri di aggiornamento dei sistemi di sicurezza dei locali in cui si trovano allocati i bidoni di crioconservazione;
   la Onlus B.A.M.C.O., a seguito di un incontro con il Ministro della salute pro tempore Balduzzi, ha consentito la sottoposizione delle raccolte ad una verifica di conformità ai protocolli di conservazione e bancaggio, che ha dato esito positivo, ma si vedrebbe costretta ad affidare la gestione della conservazione delle raccolte ad un soggetto terzo privato che andrebbe ad operare all'interno di una struttura pubblica;
   tale soluzione, che comporterebbe una inopportuna ingerenza di un soggetto privato, determinerebbe inoltre degli oneri economici pesanti, assolutamente incontrollabili, che molte famiglie, cui appartengono le raccolte, non sarebbero in grado di sopportare, in quanto il soggetto terzo si porrebbe in una situazione di prevalente potere contrattuale rispetto alla onlus B.A.M.C.O. ed ai propri associati. Potere che gli consentirebbe di aumentare periodicamente i costi di conservazione e gestione, stante il fatto che le convenzioni proposte a detta Onlus hanno una durata non superiore al triennio;
   la conservazione delle 2.500 raccolte, effettuate in assoluta conformità alla normativa, all'epoca vigente, è degna di tutela, non solo alla luce dell'articolo 32 della Costituzione italiana, che sancisce la tutela della salute quale diritto fondamentale dell'individuo nell'interesse della collettività, ma anche alla luce del fatto che la norma non ha effetto retroattivo in quanto le disposizioni normative di cui al decreto ministeriale del 18 novembre 2009, successive all'effettuazione di dette raccolte, non possono impedirne la conservazione;
   le raccolte effettuate, in assoluta conformità alla normativa, all'epoca vigente e in forza di una convenzione regolarmente e validamente stipulata, hanno dato altresì vita ad una situazione di diritto acquisito, giuridicamente degna di tutela, alla conservazione da parte delle famiglie, alle condizioni accettate, al momento della associazione alla onlus B.A.M.C.O.;
   vi sono altresì ragioni di opportunità che impongono un intervento da parte del Ministro della salute a tutela della conservazione delle suddette raccolte, consistenti nell'evitare il ricorso all'autorità giudiziaria, in caso di necessità, da parte delle famiglie, che vantano il diritto di disporre delle stesse, con conseguenti inevitabili importanti oneri economici per spese legali, a carico dello Stato –:
   se il Ministro ravvisi la necessità e la possibilità di un intervento al fine di consentire la conservazione delle 2.500 raccolte, effettuate in attuazione della convenzione tra la Onlus B.A.M.C.O. e l'Azienda ospedaliera Carlo Poma.
(5-03503)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


   ALLASIA, FEDRIGA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli ultimi mesi hanno visto l'acutizzarsi di un'annosa crisi interna ai confini ucraini, che inevitabilmente si è riflessa prima sui Paesi confinanti e, in seguito, su tutto lo scacchiere geopolitico mondiale;
   l'Italia ha aderito alle sanzioni della cosiddetta «fase tre» decretate dall'Unione europea contro la Federazione russa, esponendosi di conseguenza alle rappresaglie commerciali varate dalle autorità di Mosca;
   infatti, in risposta all'atteggiamento dell'Unione europea sulla questione ucraina, il Governo di Mosca ha deliberato delle risoluzioni che hanno portato allo stop delle importazioni, prima dei prodotti agroalimentari e poi del tessile, da quei Paesi ritenuti fiancheggiatori delle forze anti-russe e che hanno voluto o appoggiato le sanzioni alla Russia;
   l'Italia è il secondo partner commerciale della Russia in Europa (dopo la Germania) e il quarto a livello mondiale. Secondo dati Istat/Eurostat, nel 2013 le esportazioni italiane nella Federazione russa hanno raggiunto il loro massimo storico, con circa 10,4 miliardi di euro;
   le imprese italiane che operano in Russia hanno anche realizzato degli stabilimenti – circa 70 stabilimenti produttivi – tra cui si evidenziano anche l’Eni, l’Enel, Finmeccanica, Indesit, Candy, Merloni, Ferrero, Cremonini, Iveco, Pirelli, Marcegaglia e tanti altri ancora;
   importante anche la presenza delle banche italiane, ben otto, che sovente accompagnano le imprese nella loro avventura su questo mercato nella fase soprattutto di start-up;
   il made in Italy nel mercato russo riguarda poi agroalimentare, moda, arredamenti, macchinari, tecnologia e tanti altri beni, per non parlare poi dell'importanza turistica del mercato russo per Milano, Venezia, Rimini e la Riviera. Le presenze russe in Italia erano raddoppiate dal 2009 a oggi e hanno contribuito nel solo 2013 ad una cifra di 1,3 miliardi di euro (secondo solo al contributo degli Usa e tre volte quello di Cina e Brasile);
   il 7 agosto 2014, e per la durata di un anno, il Governo russo ha decretato lo stop all'importazione dei prodotti agroalimentari (frutta, vegetali, carne, pesce, latte e prodotti caseari) provenienti da Usa, Unione europea, Canada, Australia e Norvegia e dal 1o settembre 2014 è entrata in vigore anche la risoluzione, firmata l'11 agosto dal Premier Medvedev, per lo stop a calzature, capi di abbigliamento e pelletteria da Usa e Unione europea;
   oltre al nostro Paese, anche diversi Paesi europei ed extraeuropei saranno danneggiati da questo embargo. Per fare qualche esempio: l'Australia, che per l'industria del latte ha un volume di affari di circa 100 milioni di dollari l'anno; la Scozia, che nel 2010 ha esportato in Russia circa 89 milioni di sterline in pesce; la Francia, che nel 2013 ha avuto un export verso la Russia del valore di circa 1,17 miliardi di euro tra vino e formaggi; la Finlandia, il cui export verso la Russia crea lo 0,5 del prodotto interno lordo;
   in un momento nel quale il mercato interno è fermo e quello europeo non va certo molto meglio, Paesi come la Russia sono diventati mercati strategici. L'embargo è un colpo durissimo per il nostro made in Italy, che per il nostro Paese è un valore aggiunto fondamentale;
   secondo i dati diffusi dalla Commissione europea l’export nel 2013 dei 28 Paesi dell'Unione europea verso la Russia è stato di oltre 117 miliardi di euro, dei quali 10,4 miliardi di export italiano;
   la Russia importa il 40 per cento dei prodotti alimentari che consuma, una cifra cresciuta di otto volte dal 2000. Il valore complessivo delle esportazioni di prodotti agroalimentari dai Paesi dell'Unione europea verso la Russia ammonta a circa 12 miliardi di euro l'anno (circa il 9,9 per cento del totale delle esportazioni). La frutta rappresenta il 27 per cento delle esportazioni dell'Unione europea e la verdura il 21,5 per cento. I principali esportatori sono stati: Lituania (927 milioni di euro), Polonia (841), Germania (595), Olanda (528), Danimarca (377), Spagna (338), Finlandia (283), Belgio (281) e Francia (244);
   le esportazioni di prodotti agroalimentari italiani risultano, nonostante le tensioni, essere aumentate ancora dell'1 per cento nel primo quadrimestre del 2014, dopo che nel 2013 avevano raggiunto la cifra record complessiva di 706 milioni di euro, di cui le voci principali sono rappresentate dalla frutta e verdura per un volume di affari di 131 milioni di euro, carni fresche o lavorate per circa 78 milioni e latte e derivati per 51 milioni;
   restringendo ai prodotti che figurano nella black list russa, il valore delle esportazioni europee di prodotti agroalimentari scende a quota 5,2 miliardi di euro (43 per cento del totale dell’export agroalimentare dell'Unione europea). Il valore dell’export italiano nel 2013 per le tipologie colpite è di 163 milioni di euro e ad oggi sono a rischio spedizioni di ortofrutta per un importo di 72 milioni di euro, carni per 61 milioni di euro, latte, formaggi e derivati per 45 milioni di euro, mentre è ancora incerta la situazione della pasta esportata per un valore di 50 milioni di euro. L'impatto risulta essere, però, leggermente ridotto grazie all'esclusione di vino ed alcolici, tabacco e cereali dalla black list;
   ai danni diretti per il made in Italy agroalimentare stimabili in circa 200 milioni di euro annui (su un export totale di 1,07 miliardi di euro) si devono aggiungere quelli «indiretti» che potrebbero essere devastanti per perdita di immagine e di mercato, aggravata dalla diffusione sul mercato russo di imitazioni che nulla hanno a che fare con il made in Italy: il rischio di dirottamento sempre più probabile in Italia di prodotti agroalimentari di bassa qualità di altri Paesi che non trovano più sbocchi in Russia, la grossa difficoltà a riprendere i vecchi mercati una volta sostituiti da prodotti provenienti da altri Paesi, le ripercussioni sull'indotto afferente al mondo dei trasporti e del packaging;
   il nostro Paese potrebbe diventare un mercato di sbocco di quei prodotti comunitari ed extracomunitari ora rifiutati dalla Russia, provocando una riduzione della qualità e dei prezzi all'origine che danneggerebbe pesantemente i produttori italiani, i quali già subiscono il deprezzamento delle merci dovuto all'eccesso di prodotto da piazzare in mercati nazionali ed europei già saturi ed asfittici;
   secondo un'elaborazione della camera di commercio di Milano su dati Istat, l’export dalla regione Lombardia verso la Russia, per fare un esempio, nel 2013 è cresciuto del 12,4 per cento, superando i 3,1 miliardi di euro, dei quali 123 milioni provenienti dall'agroalimentare, che, nel solo primo trimestre del 2014, ha fatto incassare alle aziende locali del settore 29 milioni di euro, e circa 446 milioni provenienti dal settore tessile e dell'abbigliamento. Fortemente penalizzato risulta essere il comparto della pelletteria che nei primi mesi del 2014, causa appunto il conflitto Unione europea-Ucraina-Russia, ha registrato una flessione del 7,3 per cento del valore delle transazioni e del 7,6 per cento del volume;
   le stime rilevano che i danni subiti dall'embargo ammonterebbero a circa 100 milioni di euro di perdite per il settore agroalimentare e 20 milioni per il settore della moda;
   qualche ulteriore dato rilevante: negli ultimi quattro anni le esportazioni del settore tessile verso Mosca sono cresciute del 40 per cento. Si è passati dai 200 milioni di euro del 2009 ai 348 milioni di euro del 2013. Il settore moda (abbigliamento, calzature e tessile) è passato dai 14 milioni di euro del 2011 ai 18,8 del 2013. Di fronte alla chiusura di questo «canale», la preoccupazione è alta perché si potrebbe ventilare il pericolo che la Russia guardi ad altri fornitori, come il Pakistan. Se la Russia aprisse a nuovi canali commerciali, sarebbe difficile tornare indietro;
   al momento la risoluzione relativamente al mercato del tessile parla solo di forniture di abbigliamento e tessile legate allo Stato e agli enti russi, quindi con un impatto limitato, ma le preoccupazioni rimangono per il futuro e sulle ricadute per tutto l'indotto;
   non è giusto che le imprese vengano danneggiate per colpa di una decisione del Governo che in molti hanno contestato ed ha portato a danni che devono essere risarciti;
   è intenzione dell'Unione europea di stanziare circa 30 milioni di euro aggiuntivi – che gli Stati membri possono cofinanziare con altri 30 milioni – al programma dell'Unione europea di promozione dei prodotti agricoli per il 2015 (che consiste in 60 milioni di euro di fondi dell'Unione europea più 60 milioni di fondi nazionali);
   il Governo russo sembra intenzionato a stringere nuovi accordi commerciali di scambio con i Paesi estranei al confronto Russia-Occidente, come la Turchia o il Brasile. Si parla anche di aumento dell’import agroalimentare dall'Ecuador o dal Cile;
   il prossimo embargo potrebbe riguardare, in base alle intenzioni rese note nei giorni scorsi dal Premier Medvedev, il divieto di sorvolo del territorio russo alle compagnie americane ed europee, che al momento vale solo per le compagnie aeree ucraine, come anche la possibile adozione di misure a protezione dell'industria locale dell'auto, della cantieristica e dell'aeronautica –:
   a quanto ammontino ad oggi i danni in termini di mancate esportazioni per le imprese italiane a seguito delle ritorsioni russe alle sanzioni europee, in prospettiva quante ulteriori perdite di fatturato potrebbero registrarsi nel caso di applicazione delle ulteriori misure definite al vertice dell'Unione europea dell'8 settembre 2014 e come il Governo intenda intervenire per compensare tali danni, nonché le perdite di posizione future sul mercato russo conseguenti al blocco forzato delle esportazioni. (3-01007)


   DA VILLA, FANTINATI, CRIPPA, DELLA VALLE, MUCCI, PETRAROLI, PRODANI e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il comma 7-bis dell'articolo 12 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, dispone la compensazione, per l'anno 2014, delle cartelle esattoriali nei confronti delle imprese titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, per somministrazione, forniture, appalti e servizi, anche professionali, maturati nei confronti della pubblica amministrazione, che siano stati certificati secondo le modalità previste dai decreti del Ministro dell'economia e delle finanze del 22 maggio 2012 e del 25 giugno 2012, qualora la somma sia inferiore o pari al credito vantato. La disposizione rinvia, altresì, ad un decreto interministeriale da emanare, di concerto tra il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero dello sviluppo economico, entro 90 giorni, che dovrà stabilire i criteri e specificare le modalità di individuazione degli aventi diritto, nonché di trasmissione dei relativi elenchi all'agente della riscossione;
   tale norma nasce da una proposta emendativa del gruppo Movimento 5 Stelle al citato decreto-legge, cosiddetto «Destinazione Italia», al fine di sostenere le piccole e medie imprese, che non solo subiscono una pressione fiscale e obblighi burocratici asfissianti, ma attendono ormai da troppi anni i pagamenti dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione;
   per tale ragione la norma sopra citata intende andare incontro a quelle imprese che, in aggiunta al danno di dove attendere oltre ogni accettabile termine il pagamento del credito dalla pubblica amministrazione, subiscono anche la beffa di vedersi notificata una cartella di Equitalia;
   è giusto che lo Stato pretenda il pagamento delle imposte, ma deve anche adempiere i suoi obblighi soprattutto verso le imprese. Infatti, in Italia un'impresa su tre chiude perché lo Stato non paga i propri debiti;
   è prioritario ai fini del rilancio dell'economia italiana che il Governo faccia di tutto per accelerare il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, perché l'economia italiana si trova in una preoccupante situazione di recessione;
   il termine di 90 giorni per l'emanazione del citato decreto è stato ampiamente superato e l'urgenza dell'adozione di tale provvedimento è ancor maggiore dal momento che la norma primaria prevede la compensazione per il solo anno 2014 –:
   quale sia lo stato di avanzamento del procedimento di adozione del decreto ministeriale riguardante la compensazione tra cartelle esattoriali e crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione descritto in premessa, dal momento che il termine di legge dei novanta giorni per l'emanazione è stato ampiamente superato, e se vi siano indicazioni precise circa le ragioni del ritardo e, soprattutto, i tempi di emanazione. (3-01008)


   QUARANTA e AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Ilva, attivo da oltre 100 anni nella produzione e trasformazione di acciaio, è composto da Ilva s.p.a. e da un insieme di società operative strutturalmente collegate. Il gruppo è presente in Italia e all'estero attraverso 24 unità produttive: Italia (17), Francia (4), Tunisia (2), Grecia (1) e diversi centri servizi integrati tra loro. I principali prodotti del gruppo sono acciai piani al carbonio, tubi saldati e lamiere. Ilva è uno dei maggiori produttori di acciaio e nel 2013 ha prodotto complessivamente 5,7 milioni di tonnellate di acciaio. Il 25 per cento circa della produzione viene esportata all'estero. Nel periodo gennaio-novembre 2013 Ilva s.p.a. si è attestata al 49 per cento della produzione totale italiana di laminati piani a caldo e al 6,5 per cento di quella europea;
   dal 1996 il gruppo Riva è diventato proprietario del gruppo Ilva;
   al 31 dicembre 2013 il gruppo Ilva impiega personale diretto per 16.200 unità;
   dal 3 giugno 2013, con il decreto-legge n. 61 del 2013, Ilva s.p.a. è sottoposta a commissariamento straordinario;
   nello stabilimento Ilva di Genova Cornigliano attualmente lavorano 1.740 unità, di questi 1.450 sono coinvolti in periodi di sospensione lavoro con il contratto di solidarietà. L'accordo di programma del 2005 prevedeva che, a fronte della chiusura della cokeria (l'impianto a caldo) avvenuto nel 2002, si arrivasse a 2.700 posti di lavoro, ridotti successivamente a 2.200 nell'accordo del 2008. La crisi della siderurgia, pensionamenti e incentivi all'esodo hanno ulteriormente fatto scendere la forza lavoro ai numeri attuali;
   in questi ultimi mesi i lavoratori dell’Ilva di Genova hanno dovuto fare fronte a una situazione ancora più precaria, dal momento che solo a fine luglio 2014 sono stati confermati i soldi per i pagamenti della mensilità e della quattordicesima. Dal quadro che lo stesso commissario Piero Gnudi ha tracciato nelle settimane scorse ai giornali emerge una situazione di grave sofferenza del gruppo, che, pur riducendo le perdite del 2013, continua a bruciare disponibilità di cassa;
   il 30 settembre 2014 scadranno i contratti di solidarietà sottoscritti per 1.450 lavoratori;
   a livello nazionale per il gruppo Ilva della famiglia Riva, a seguito di diverse giornate di sciopero proclamate unitariamente dai sindacati, il 4 luglio 2014 si è svolto un incontro tra le organizzazioni sindacali, il Ministro interrogato e il commissario straordinario Piero Gnudi. L'incontro è stato giudicato deludente dai sindacati, dal momento che non ha ratificato il cambiamento atteso per quanto riguarda le linee di sviluppo future del gruppo, mentre resta l'incertezza per il presente lavorativo di tutti i dipendenti;
   il 3 settembre 2014 c’è stato un incontro al Ministero del lavoro e delle politiche sociali alla presenza delle organizzazioni sindacali (Fim e Uilm) del Ministro del lavoro e delle politiche sociali Poletti e del presidente della regione Liguria Claudio Burlando, dove è stato stabilito che dal 30 settembre 2014, con la scadenza dei contratti di solidarietà, i 1.750 lavoratori coinvolti passeranno in cassa integrazione: tre mesi di cassa nel 2014 e cinque nel 2015, che saranno finanziati con soldi statali. Da questo restano fuori 70 giorni di cassa e l'integrazione al reddito dei lavoratori per l'intero periodo (da settembre 2014 ad agosto 2015). Bruno Manganaro, segretario Fiom Genova, ha definito l'accordo poco soddisfacente, in quanto i lavoratori passando dalla «solidarietà» alla cassa integrazione perderebbero circa 600 euro dalla busta paga. Durante l'incontro è stato deciso che ne sarebbe seguito un altro il 15 settembre 2014 –:
   se il Ministro interrogato intenda promuovere l'apertura di un tavolo di confronto urgente con le organizzazioni sindacali e l'azienda, che abbia carattere permanente per riavviare l'osservatorio siderurgico, che in passato ha prodotto importanti iniziative di tutela e sviluppo per il settore, agevolando per il gruppo Ilva l'ottenimento del prestito ponte necessario per realizzare gli investimenti per il risanamento ambientale e per garantire ai lavoratori continuità di reddito. (3-01009)


   ALFREIDER, OTTOBRE, GEBHARD, PLANGGER e SCHULLIAN. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, recante «Interventi urgenti di avvio del piano Destinazione Italia, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC auto, per l'internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015», convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, all'articolo 6, comma 10, prevede l'istituzione di un credito d'imposta fino al 2016 per le piccole e medie imprese o consorzi e reti di piccole e medie imprese, per l'attivazione di servizi di connettività digitale nell'ambito di un apposito programma operativo nazionale relativo alla programmazione dei fondi strutturali comunitari 2014-2020 e collegato alla pianificazione degli interventi nazionali finanziati dal fondo sviluppo e coesione 2014-2020 e dal fondo di rotazione;
   il credito d'imposta di cui all'articolo 6, comma 10, prevede il recupero del 65 per cento delle spese documentate e sostenute fino al 2016 da piccole e medie imprese, ovvero da consorzi e da reti di piccole e medie imprese, per gli interventi di rete fissa e mobile che consentano l'attivazione dei servizi di connettività digitale con capacità uguale o superiore a 30 mbps, fino ad una spesa massima di 20.000 euro, nella misura massima complessiva stanziata dal Governo di 50 milioni di euro a valere sulla proposta nazionale relativa alla programmazione 2014-2020 o sulla predetta pianificazione degli interventi a finanziamento nazionale;
   per rendere operativo tale credito d'imposta è necessario, però, un decreto attuativo del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per la coesione territoriale e con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, volto a stabilire le modalità per usufruire del credito d'imposta e per consentire il monitoraggio dell'agevolazione ed il rispetto del limite massimo di risorse stanziate, che ad oggi ancora non è stato emanato;
   la Ragioneria generale dello Stato, nelle osservazioni inviate a giugno 2014 all'ufficio legislativo del Ministero dell'economia e delle finanze, ha rappresentato che l'articolo 6, comma 10, non potrà trovare attuazione per carenza di risorse, esprimendo l'esigenza di attendere una fase più avanzata della programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali comunitari e del fondo di sviluppo e coesione, al fine di verificare l'effettiva disponibilità delle risorse stesse;
   il Ministero dell'economia e delle finanze all'inizio di luglio 2014 ha conseguentemente rinviato lo schema di decreto attuativo al Ministero dello sviluppo economico;
   nella fase di perdurante crisi economica è indispensabile sostenere le piccole e medie imprese attraverso misure che ne favoriscano lo sviluppo in modo da garantire la competitività nel mercato nazionale ed internazionale, per esempio attraverso l'attuazione delle agevolazioni già previste nel decreto-legge «Destinazione Italia» –:
   quali iniziative intenda intraprendere per superare le attuali criticità attuative dell'articolo 6, comma 10, del decreto-legge n. 145 del 2013 e per favorire la competitività delle piccole e medie imprese. (3-01010)


   MARTELLA, TARANTO, BENAMATI, RACITI, BRATTI, BARGERO, BASSO, BINI, CANI, CIVATI, DONATI, FOLINO, GALPERTI, GINEFRA, IMPEGNO, MARIANO, MONTRONI, PELUFFO, PETITTI, PORTAS, SCUVERA, SENALDI, TIDEI, BURTONE, CARRA, FERRARI, MOGNATO, ZAPPULLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'8 luglio 2014 si svolgeva l'incontro tra l’Eni e le organizzazioni sindacali Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil, avente ad oggetto il progetto industriale del gruppo petrolifero e, in particolare, la sostenibilità finanziaria dell'attività di raffinazione del petrolio in Italia, nonché la riorganizzazione generale degli organici;
   l'incontro si concludeva con una rottura delle trattative, poiché, secondo quanto riferito dalla organizzazioni sindacali, l’Eni – nel sottolineare la gravità delle perdite registrate nel settore della raffinazione (circa 4 miliardi di euro dal 2009 al 2014), in un quadro di persistente sovracapacità europea (circa 120 milioni di tonnellate annue pari al 140 per cento dell'intera capacità di raffinazione italiana), di specifica sovracapacità italiana (stimabile in circa 40 milioni di tonnellate annue) e di costante riduzione dei margini – annunciava di potere garantire la continuità operativa soltanto della raffineria di Sannazzaro (Pavia) e della propria quota (il 50 per cento) del sito di Milazzo, restando invece critiche le prospettive delle raffinerie di Gela, di Taranto e di Livorno, della seconda fase di Porto Marghera e del petrolchimico di Priolo (Siracusa);
   in particolare, per quel che riguarda Gela – la cui attività era già bloccata, a causa di un incendio, dal 15 marzo 2014 – veniva comunicata la decisione di procedere alla cancellazione del piano di investimenti da 700 milioni di euro – oggetto di impegni sottoscritti con le organizzazioni sindacali circa un anno fa – la cui attuazione avrebbe dovuto consentire il ritorno della raffineria siciliana a condizioni di profittabilità a partire dal 2017;
   più in generale, emergeva dall'incontro – ad avviso delle organizzazioni sindacali – l'intendimento dell’Eni di procedere ad un complessivo ridimensionamento della propria attività industriale in Italia nei settori della raffinazione e della chimica, con un impatto negativo sull'occupazione stimato dalla stesse organizzazioni nell'ordine delle seimila unità – di cui circa tremila/tremilacinquecento tra occupazione diretta ed indotto nell'area di Gela – ed un aggravamento del processo di desertificazione industriale del Mezzogiorno ove – tra il caso di Gela e il caso di Taranto – si palesava il rischio del venir meno di investimenti nell'ordine di un miliardo di euro;
   restava, altresì, confermata la necessità della compiuta attuazione di investimenti già programmati – nell'ordine di 100 milioni di euro a Porto Marghera e di 400 milioni a Priolo – per la prosecuzione del processo di riconversione della raffineria e per la riattivazione dell'impianto cracking di Eni-Versalis;
   tali notizie generavano forte allarme sociale e portavano alla proclamazione dello sciopero generale di Gela del 28 luglio 2014 e dello sciopero nazionale del gruppo Eni del 29 luglio 2014, con svolgimento della manifestazione nazionale a Roma, in piazza Montecitorio;
   da parte sua, il gruppo Eni – in particolare con le dichiarazioni rese dall'amministratore delegato Claudio Descalzi, in occasione della sua partecipazione alla missione italiana in Africa guidata dal Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, e con un'intervista rilasciata da Salvatore Sardo, Chief downstream & industrial operations officer – confermava ripetutamente le già richiamate difficoltà per l'attività di raffinazione in Italia, assicurando però l'impegno per la salvaguardia dell'occupazione e prospettando, per Gela, la possibilità di un piano di riconversione attraverso investimenti per oltre due miliardi di euro nei settori dell'esplorazione di idrocarburi e della produzione di biodiesel, nonché per la realizzazione di un centro mondiale di formazione in materia di salute, sicurezza e ambiente;
   fin dall'infruttuosa conclusione dell'incontro dell'8 luglio 2014, il Viceministro dello sviluppo economico, Claudio De Vincenti, sollecitava comunque – secondo quanto riferito dagli organi di informazione – la presentazione di un piano industriale del gruppo Eni tale da consentire una compiuta valutazione degli investimenti e dei processi di riconversione perseguiti a fronte della perdurante crisi del comparto della raffinazione, mentre lo stesso Ministro interrogato preannunciava l'attivazione di un tavolo sulla crisi del settore della raffinazione per la valutazione di «seri progetti di riconversione industriale tra cui la chimica verde e il biofuel»;
   nella giornata del 31 luglio 2014 riprendeva così il confronto – promosso dal Ministro interrogato – tra le organizzazioni sindacali e l’Eni circa le situazioni di Gela e di Porto Marghera, confronto che si concludeva con la condivisione di un verbale di incontro;
   nel verbale si premetteva che: le parti ribadivano validità ed importanza degli accordi del 2013 e del 2014 relativi ai siti di Gela e Porto Marghera; Eni, pur rappresentando il peggioramento dello scenario della raffinazione in Italia e in Europa, aveva predisposto ed illustrato un nuovo piano industriale per il rilancio e la riorganizzazione del sito di Gela; Eni, ancora, confermava la realizzazione degli investimenti relativi alla seconda fase del progetto di riconversione della green refinery di Porto Marghera nei tempi previsti dall'accordo ed inoltre ribadiva la strategicità del petrolchimico Versalis di Porto Marghera; a fronte dell'auspicata condivisione del quadro industriale, Eni e organizzazioni sindacali avrebbero avviato, a partire da settembre 2014, il confronto per definire un nuovo protocollo di relazioni sindacali per la competitività;
   sulla scorta delle suddette premesse, nel verbale si conveniva che: le parti avrebbero avviato un confronto sulla prospettive strategiche del sito Eni di Gela, con il coinvolgimento di tutte le strutture sindacali territoriali e con termine entro la prima settimana di settembre 2014, in vista della nuova convocazione del tavolo di confronto nazionale presso il Ministero dello sviluppo economico per il 15 settembre 2014; Eni avrebbe immediatamente ripreso il processo manutentivo per garantire la conservazione degli impianti ed il ripristino dell'efficienza operativa della linea 1, anche attraverso il coinvolgimento dell'indotto, nelle more della definizione di un progetto di stabilità di lungo periodo per il sito di Gela; Eni-Versalis e organizzazioni sindacali territoriali si sarebbero attivate congiuntamente per valutare le problematiche connesse, a Porto Marghera, al riavvio del cracking in vista della convocazione di un tavolo nazionale di confronto entro il 30 settembre 2014;
   il 1o settembre 2014 si sono però riunite le segreterie nazionali Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil per una prima valutazione dello stato di attuazione dell'intesa del 31 luglio 2014, rilevando che «quanto condiviso dalle parti in quell'accordo non ha ancora visto un'applicazione sul territorio di Gela, soprattutto per gli impegni presi per ripartenza della linea 1, e per l'immobilismo complessivo sulle condizioni che avrebbero dovuto realizzarsi per la ripresa delle produzioni dello stabilimento di Porto Marghera» –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per la verifica del rispetto del verbale del 31 luglio 2014 in vista dei già programmati e ormai imminenti tavoli di confronto nazionale sui progetti industriali del gruppo Eni in Italia e – più in generale ed anche in ragione della partecipazione azionaria di Stato al capitale sociale del gruppo petrolifero – a tutela di investimenti, produzione ed occupazione in coerenza con gli indirizzi dell'Unione europea in materia di consolidamento e sviluppo della produzione industriale e di rafforzamento della sicurezza energetica, anche sotto il profilo dello specifico rapporto tra sicurezza energetica ed importazioni di prodotti raffinati, nonché alla luce delle annunciate misure finalizzate al potenziamento dell'attività estrattiva in Italia, di cui al provvedimento «sblocca-Italia», e dunque del valore di un ciclo industriale integrato tra attività estrattiva ed attività di raffinazione. (3-01011)


   POLVERINI e PALESE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Laziodisu è un ente pubblico dipendente dalla regione Lazio per il diritto agli studi universitari nel Lazio, dotato di autonomia amministrativa, contabile, finanziaria e patrimoniale;
   nell'edizione n. 20 del settimanale L'Espresso (pagina 18) l'articolo «Mancia di Sel agli amici» cita uno stanziamento di 823.000 euro relativo ad un bando per la selezione di dodici incarichi di collaborazione coordinata e continuativa da parte di Laziodisu;
   nel medesimo articolo si individuerebbero fra i vincitori del bando vari professionisti, fra cui l'eventuale capo progetto «al momento del bando nella segreteria dell'assessore Massimiliano Smeriglio», a cui è destinata la sovraintendenza dell'ente, «con un compenso previsto pari a centoseimila e 750 euro per 17 mesi», oltre ad eventuali altri otto senior esperti in welfare, a cui andrebbero 70.531,25 euro e che risulterebbero tutti legati al partito di Sinistra Ecologia e Libertà;
   i suddetti incarichi di collaborazione coordinata e continuativa sono legati al progetto «Torno subito POR FSE 2007-2013» – anni 2014-2015; si tratta, dunque, di un progetto legato al fondo sociale europeo;
   l'avviso di selezione pubblica per titoli e colloquio per il conferimento dei sopra citati incarichi di collaborazione coordinata e continuativa, pubblicato sul sito istituzionale di Laziodisu il 30 dicembre 2013, prevedeva inizialmente una scadenza per l'invio della domanda di ammissione alle ore 12 dello stesso giorno (30 dicembre 2013), salvo poi essere posticipata, con un successivo avviso pubblicato sul sito istituzionale di Laziodisu, al 3 gennaio 2014;
   in data 23 maggio 2014, sul sito dell'ente Laziodisu, è apparsa una parziale smentita nella quale si parla di una selezione pubblica, conseguente alla pubblicazione di un bando in data 20 dicembre 2013, per individuare i profili idonei all'organizzazione del progetto «Torno subito» e che al medesimo bando hanno partecipato 30 candidati, specificando che le retribuzioni sarebbero inferiori dal 20 per cento al 30 per cento rispetto a quelle riportate a mezzo stampa;
   in data 21 maggio 2014 è stata depositata l'interrogazione urgente a risposta scritta n. 512 da parte del consigliere regionale Luca Gramazio, nella quale si chiedono delucidazioni, oltre che su eventuali opportunità politiche, anche sulle date relative al bando, alla sua scadenza ed alla successiva proroga relativa ai termini per la presentazione della domanda e dei colloqui;
   il fondo sociale europeo prevede che vengano effettuate delle verifiche sull'attuazione dei suoi programmi operativi. Per questo per la regione Lazio è stato previsto uno specifico organismo, il comitato di sorveglianza, che si riunisce periodicamente per discutere, valutare e approvare gli esiti della realizzazione annuale e, in considerazione degli obiettivi pluriennali definiti in fase di programmazione, lo stato di avanzamento del programma operativo regionale Fse 2007-2013 della regione Lazio nel suo complesso;
   il comitato di sorveglianza ha la funzione di accertare l'efficacia e la qualità dell'attuazione del programma; è presieduto dall'assessore alla formazione, ricerca e innovazione, scuola e università, diritto allo studio Massimiliano Smeriglio e si compone di rappresentanti della regione, dello Stato e delle parti sociali, tra cui rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze e del dicastero guidato dal Ministro interrogato –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in ordine alla corretta attuazione dei programmi operativi del fondo sociale europeo nella regione Lazio, con specifico riferimento alla procedura di selezione degli incarichi di collaborazione coordinata e continuativa da parte di Laziodisu descritti in premessa. (3-01012)


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito di una fase di riorganizzazione le aziende Terna spa ed Enel distribuzione sembra abbiano intenzione di dismettere le proprie sedi calabresi;
   Terna spa si appresterebbe a chiudere la sede di Cosenza, definita ad esaurimento, e quella di Castrovillari, che sarà accorpata definitivamente a quella di Rotonda, in Basilicata, nonostante l'80 per cento degli asset che saranno gestiti da quest'ultima sede si trovino in territorio calabrese;
   Enel distribuzione, invece, nel piano nazionale predisposto, che prevede un taglio del 30 per cento delle strutture a livello nazionale, prospetta per la Calabria un taglio del 50 per cento delle zone e del 40 per cento delle unità operative;
   le attuali sei zone potrebbero, quindi, diventare tre con la cancellazione, insieme ad altre due, di quella di Castrovillari;
   non appaiono chiare né le ragioni di un taglio così pesante a carico degli impianti calabresi, né le conseguenze per l'utenza –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di salvaguardare gli stabilimenti e gli insediamenti produttivi delle citate aziende nella regione Calabria e al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali e di servizio attualmente esistenti. (3-01013)


   FAUTTILLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo il report Fdi markets sui trend degli investimenti esteri, l'Italia, nonostante sia la seconda potenza manifatturiera del continente, risulta agli ultimi posti della classifica, che vede Regno Unito, Germania e Francia saldamente sul podio dei Paesi che riescono ad attirare il maggior numero di investitori esteri, preceduta anche dalla Spagna e dall'Irlanda;
   il nostro Paese presenta, dunque, un deficit di attrattività e non regge il confronto con quanto offrono altre nazioni altrettanto provate dalla crisi come quelle della penisola iberica, ma che hanno già imboccato la via delle riforme;
   secondo la rivista che ha redatto questa speciale classifica, l'Italia presenta diverse criticità con gli investitori esteri, esasperati dai problemi economici, da una certa confusione nella strategia di promozione e dalla mancanza di coordinamento tra i diversi enti pubblici che affermano di avere un mandato per la promozione del Paese. Servono, quindi, riforme e, più che le idee, ciò che è veramente mancato è stato il coraggio di attuarle. Lo stesso coraggio che oggi l'Europa si aspetta per riconoscere credibilità al decreto «sblocca Italia»;
   non c’è solo un deficit di attrattività, ma anche di competitività. A dirlo è la classifica del World economic forum, che per il secondo anno consecutivo mette l'Italia al 49o posto. Ci precedono Spagna, Portogallo, le Repubbliche del Baltico e Malta –:
   quali iniziative intenda adottare per sviluppare una vera e seria strategia per attirare gli investitori e per aumentare la competitività, atteso che sono molti i punti di attrattività offerti dall'Italia, dalle scienze alle tecnologie, senza dimenticare le piccole e medie imprese con i loro elevati livelli di competenze. (3-01014)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in seguito al passaggio dalla televisione di tipo analogico al digitale terrestre, i cittadini residenti in Basilicata lamentano numerosi problemi riferiti alla ricezione del segnale Rai e persistono gravi problemi soprattutto nella ricezione dei canali nazionali Rai1, Rai2, Rai3, il cui segnale risulta instabile o improvvisamente assente; i cittadini, pur pagando regolarmente un canone annuo di abbonamento, si sono visti privare di un servizio essenziale come quello dell'informazione;
   gli stessi cittadini si sono opportunamente attivati segnalando il problema ai vari organismi competenti (Rai Basilicata, Rai Way, Rai Way Basilicata, nonché all'ente comunale) senza tuttavia ottenere alcun risultato;
   permane, inoltre, l'impossibilità, per il 90 per cento della popolazione, di ricevere il segnale di Rai3 Basilicata e del telegiornale regionale, strumento di informazione essenziale per il territorio;
   qualunque sia la causa alla base del problema, i cittadini convengono che non siano state attivate azioni mirate al fine di garantire una reale situazione di accesso al nuovo sistema che doveva offrire, nelle dichiarazioni iniziali, maggiori servizi, portando ad un miglioramento della situazione preesistente (tanto che a questo scopo sono state destinate alla Rai, negli ultimi anni, ingenti risorse ad esempio, nel decreto-legge n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011, circa 60 milioni di euro);
   la Rai, in qualità di concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, così come previsto dall'articolo 45 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, dovrebbe svolgere un servizio pubblico sul territorio italiano, sulla base di un contratto nazionale stipulato con il Ministero dello sviluppo economico, assicurando a tutti i cittadini la possibilità di usufruirne;
   la discordanza fra quanto espresso nel contratto di servizio e la realtà dei fatti mina la credibilità e la trasparenza del sistema radiotelevisivo pubblico, e ne mette in dubbio l'affidabilità;
   le verifiche effettuate da Rai Way in data 16 novembre 2012 hanno evidenziato che «la fruizione dei programmi regionali è annullata a causa di segnali isocanali (ch. 29) provenienti dalla regione pugliese» e che «tale stato interferenziale è stato opportunamente segnalato agli organi ministeriali competenti»;
   a tutt'oggi, nonostante le segnalazioni e le sollecitazioni, i problemi nella ricezione dei canali Rai permangono e nulla è stato fatto per rimediare –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per far sì che il diritto di accesso alle reti del servizio pubblico radiotelevisivo sia garantito a tutti i cittadini. (4-05946)


   BUSINAROLO e SPESSOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   notizie di cronaca hanno riportato il caso di una dipendente dell'ispettorato territoriale Emilia Romagna – Ministero dello sviluppo economico – comunicazioni, signora T. Q., la quale, dopo aver testimoniato contro alcuni colleghi che, durante il normale orario di lavoro, si allontanavano ingiustificatamente dal posto di lavoro, aveva fatto scattare le indagini della Guardia di finanza nei confronti dei dipendenti «fannulloni»;
   in seguito a tale vicenda la signora T.Q., è stata spostata ad una mansione dequalificante dopo il rientro da un periodo di malattia ed è stata poi costretta a chiedere un distacco presso un altro Ministero proprio a causa delle condizioni di lavoro divenute ormai insostenibili a seguito della denuncia fatta;
   tale distacco, negato per ben due volte dal dirigente locale, è stato poi consentito soltanto grazie all'intervento della direzione centrale;
   il caso succitato non rappresenta un episodio isolato perché analogo a quello di un altro dipendente dell'ispettorato territoriale Emilia-Romagna del Ministero dello sviluppo economico – comunicazioni, il signor Ciro Rinaldi che, nella primavera del 2011, denunciò il comportamento anomalo di alcuni colleghi che si assentavano arbitrariamente dal posto di lavoro durante l'orario di lavoro;
   in seguito alla denuncia fatta dai signor Rinaldi e alle successive indagini condotte dalla Guardia di finanza, che hanno accertato anche attraverso documentazioni filmate l'effettivo allontanamento dal posto di lavoro da parte dei dipendenti segnalati (sorpresi a svolgere commissioni personali o addirittura recarsi in palestra e a timbrare cartellini per altri colleghi), sono state indagate 34 persone (di cui 4 capi-settore) e, chiuse le indagini, il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio per 29 persone, con l'accusa di truffa ai danni dello Stato;
   ad oggi nessuno dei 29 è stato trasferito, anzi paradossalmente per alcuni è sopraggiunta anche la promozione, mentre per il signor Rinaldi la vita lavorativa è divenuta sempre più difficile, poiché lo stesso è stato bersaglio di continue vessazioni e minacce, nonché destinatario di un procedimento disciplinare, prontamente impugnato;
   i casi sopra descritti evidenziano le gravi difficoltà a cui vanno incontro i dipendenti pubblici onesti che decidono di opporsi al dilagante fenomeno dell'assenteismo e che si ritrovano in situazioni che rientrano spesso nell'ambito del mobbing ed anche nel fenomeno, quanto mai attuale, del «whistleblowing» (letteralmente soffiare il fischietto), ovvero il comportamento di chi denuncia la corruzione nell'ambito del proprio luogo di lavoro, e che tuttavia non gode della necessaria protezione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra descritti e se non ritenga opportuno dover formalizzare gli adempimenti per la tutela processuale dei propri interessi patrimoniali e non, attraverso la costituzione di parte civile, contro il reato di truffa ai danni dello Stato, contestato ai dipendenti indagati citati in premessa, anche al fine di contrastare il fenomeno dilagante dell'assenteismo nelle pubbliche amministrazioni. (4-05948)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Luigi Di Maio n. 4-05937, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 settembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Cominardi, Alberti.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Rampelli n. 4-05688 del 25 luglio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Quaranta n. 4-05885 del 26 agosto 2014.