Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 6 agosto 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La Commissione XI,
   premesso che:
    negli ultimi decenni il numero dei disoccupati è cresciuto da 1 milione 340 mila del 1977 a 3 milioni 348 mila a marzo del 2014, con un tasso di disoccupazione pari al 12,7 per cento, ed un incremento demografico di circa 6 milioni di residenti;
    ogni Governo ha tentato di risolvere il problema della disoccupazione al fine di rilanciare l'economia e la domanda interna intervenendo sulla contrattualistica ma destrutturando il diritto del lavoro;
    difatti, per far fronte a questa problematica sociale, sono state introdotte numerose norme volte a flessibilizzare il mondo del lavoro, riducendo le tutele per i lavoratori, con forme contrattuali atipiche e precarie;
    nello specifico, con il «Pacchetto Treu», legge 24 giugno 1997 n. 196, «Norme In materia di promozione dell'occupazione», e la legge Biagi, decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, vi è stata una riduzione del tasso di disoccupazione ed un aumento del numero di assunzioni ma non la creazione di nuovi posti di lavoro;
    l'aumento del numero dei lavoratori «precari» ha semplicemente rinviato il problema dell'aumento cronico ed esponenziale della disoccupazione che nel sistema capitalistico attuale è stato risolto con una svalutazione dei diritti dei lavoratori ed una forte riduzione dei salari;
    dal 2007 in poi la disoccupazione è tornata a crescere fino a raggiungere quasi il 13 per cento, ragione per cui l'attuale Governo ha deciso di intervenire adottando gli stessi modelli economici, riducendo le tutele ed aumentando o le assunzioni di lavoratori precari attraverso la liberalizzazione dei contratti a termine prevista dal decreto legge n. 34 del 2014, convertito, con modificazioni dalla legge n. 78 del 2014, a giudizio dei firmatari del presente atto in palese contrasto con i principi e le clausole della direttiva comunitaria 1999/70/CE;
    tale intervento amplierà semplicemente la platea del numero dei precari che potrebbe incidere sul tasso di disoccupazione senza risolvere la disoccupazione a lungo termine;
    pur ammettendo anche una riduzione del tasso di disoccupazione per effetto di un intervento normativo di liberalizzazione contrattuale o di semplificazione normativa, le circostanze generatrici della patologia disoccupazionale – tecnologica – non vengono affrontate;
    l'economia capitalistica, del resto, non appare in grado di riassorbire quei lavoratori che perdono il posto di lavoro o comunque che cessano il loro rapporto per qualunque ragione, soprattutto a causa di riorganizzazioni aziendali realizzate per migliorare l'efficienza produttiva ed aumentare i profitti;
    è evidente che si assiste globalmente ad un incremento esponenziale dell'innovazione tecnologica nei settori dell'informatica, nanotecnologia, biotecnologia, intelligenza artificiale, automazione, domotica, internet delle cose, robotica e soprattutto ad un ampliamento degli spazi dell’e-commerce, della società dell'informazione, anche nel settore della pubblica amministrazione attraverso l'agenda digitale per l'Italia, il processo telematico, nonché l’e-gov;
    questa «terza rivoluzione industriale», che si manifesta con la fine del lavoro conosciuto nella seconda rivoluzione industriale, produce un aumento del numero di disoccupati in quanto numerosi lavori vengono sostituiti nei processi produttivi da automazione, tecnologia, informatica e più genericamente innovazione tecnologica;
    secondo l'economista John Maynard Keynes la disoccupazione dovuta alla scoperta di strumenti economizzatori di manodopera procede a ritmo più rapido di quello con cui è possibile ricercare o creare nuovi impieghi per la stessa manodopera, per cui i lavoratori disoccupati per ragioni tecnologiche divengono obsoleti;
    tra le principali cause della disoccupazione, e quindi della fine del lavoro o di alcuni lavori, c’è infatti la tecnologia essendo la sua crescita non lineare bensì esponenziale;
    la maggioranza dei modelli economici esistenti relativi alla crescita economica si fondano sul rapporto tra incremento del prodotto interno lordo ed incremento dell'occupazione secondo teorie di crescita lineare;
    le tecnologia aumenta la sua portata innovativa in modo esponenziale e difatti, secondo la legge di Moore, le prestazioni dei processori, così come i transistor, raddoppiano ogni 18 mesi, rendendo alcune attività umane obsolete nell'arco di brevissimo tempo;
    rispetto al commercio elettronico, secondo l'Istat, le imprese attive in questo settore sono passate dal 37,5 per cento, nel 2012, al 44,4 per cento nel 2013 e la vendita di software specifici per la raccolta di informazioni sulla clientela è passata dai 13,3 per cento, nel 2009, al 23,1 per cento, nel 2013;
    l'impatto del 3d printing e la diffusione di questo nuovo «impianto industriale», settore che vale alcuni miliardi di euro, determina una nuova modalità di produzione e di consumo a livello individuale, con un decentramento produttivo attraverso la stampa del singolo oggetto da parte del consumatore/produttore; 
    negli ultimi dieci anni si è assistito ad un incremento della produttività per ora lavorata, con un decremento dell'occupazione oltre ad un crollo del reddito mediano familiare, come Banca d'Italia ha avuto modo di certificare nelle sue recenti relazioni;
    l'Italia è il secondo Paese in Europa e il quarto al mondo per densità di robot, come risulta da un accurato studio statistico dell'Unece risalente al 2004, essendo state superate le 50.000 unità, dato in costante crescita;
    nel 2003, ogni 10.000 persone occupate nell'industria manifatturiera italiana erano presenti ben 116 robot industriali (fonte UNECE-IFR), un numero che fa del nostro Paese uno tra i primi al mondo nel settore della robotica e dell'automazione;
    del resto, la normativa italiana non è intervenuta per regolare e definire lo stretto rapporto tra reddito da lavoro e tassazione sull'automazione secondo un bilanciamento di valori e principi da effettuarsi entro limiti di sostenibilità dei sistema economico e finanziario;
    questo processo di trasformazione del lavoro è visibile nelle più grandi multinazionali esistenti, quali Google, Facebook, Amazon, Apple dove si riscontra un numero decisamente basso di lavoratori, ma un alto grado di produttività, profitto e, soprattutto, specializzazione dei lavoratori; all'interno di questa «terza rivoluzione industriale» sì inserisce il telelavoro quale strumento contrattuale capace di fornire una copertura normativa, anche se attualmente poco funzionale, al mondo della società dell'informazione;
    del resto, si assiste ad una parcellizzazione dell'orario di lavoro giornaliero che passa da una attività lavorativa continuativa giornaliera ad un'attività lavorativa frammentata che si protrae paradossalmente anche nei giorni festivi;
    ad esempio, mentre alcune aziende del settore automobilistico – Volkswagen – hanno vietato l'invio delle mail dopo la fine dell'orario di lavoro giornaliero, il Brasile ha riconosciuto al lavoratore il diritto di richiedere la retribuzione per lavoro straordinario laddove il dipendente riceva mail dal datore di lavoro al di fuori dell'orario di lavoro;
    con riferimento alla normativa italiana, il decreto del Presidente della Repubblica dell'8 marzo 1999, n. 70 –Regolamento recante disciplina del telelavoro nelle pubbliche amministrazioni – fornisce una sommaria definizione del Telelavoro quale «la prestazione di lavoro eseguita dal dipendente di una delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che consentano il collegamento con l'amministrazione cui la prestazione stessa inerisce»;
    sul versante privato, l'accordo interconfederale dei 9 giugno 2004 – che recepisce l'accordo quadro europeo sul telelavoro del 16 luglio 2002 e firmato da UNICE/UEAPME, CEEP e CES – definisce il telelavoro come «forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’ informazione nell'ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l'attività lavorativa, che potrebbe anche essere svolta nei locali dell'impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa»;
    le nuove tecnologie permettono una veloce e continuativa interazione tra le persone che, tuttavia, dovrebbe essere contemperata anche alla luce delle disposizioni di cui alla direttiva 93/104/CE del consiglio del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario. di lavoro che prevede, all'articolo 3, un periodo di riposo giornaliero di 11 ore consecutive;
    ad oggi, il decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 –Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro – stabilisce che l'orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali e che la durata media dell'orario di lavoro non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario, riservando ai contratti collettivi la possibilità di determinare una durata minore dell'orario di lavoro e la sua durata massima settimanale;
    inoltre, è bene evidenziare, che non si applicano al telelavoro, ai sensi dell'articolo 17, comma 5 lettera d), del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, le disposizioni relative all'orario normale e durata massima, lavoro straordinario, riposo giornaliero, pause, lavoro notturno;
    secondo uno studio dell'OECD, in Italia la durata media dell'orario di lavoro per lavoratore si attesta a 37 ore settimanali, a differenza della Grecia ove si attesta a 42 ore e la Danimarca a 33 ore settimanali;
    recentemente il comune di Göteborg, seconda città della Svezia, ha intrapreso un esperimento coinvolgendo una parte dei dipendenti dell'amministrazione comunale riducendo l'orario di lavoro giornaliero da 8 a 6 ore, ritenendo che tale intervento riduca le assenze per malattia e incrementi la produttività degli impiegati, lasciando inalterato il salario e quindi senza riduzione dello stipendio;
    Larry Page, cofondatore e amministratore delegato di Google, ha recentemente avallato questa nuova formula di distribuzione dell'orario di lavoro, riconoscendo alla riduzione dell'orario di lavoro il merito di incrementare produttività e migliorare la qualità della vita delle persone;
    compatibilmente all'evoluzione della società dell'informazione, sembra opportuno intervenire per migliorare la normativa relativa al telelavoro subordinato, parasubordinato e autonomo, assicurando tutele e forme universali di ammortizzatori sociali;
    in sostanza, le professioni e gli impieghi stanno subendo una profonda trasformazione poiché vengono cancellati non posti di lavoro ma «lavori» veri e propri, generando profonde disuguaglianze sociali tra coloro che controllano i mezzi «tecnologici» di produzione e coloro che non hanno accesso a nuove forme di occupazione;
    l'offerta formativa e scolastica dovrebbe tener conto anche di questa trasformazione della società e dell'economia, permettendo ai lavoratori divenuti «obsoleti» di riaccedere al mondo del lavoro;
    è necessario, quindi, comprendere l'impatto della tecnologia sull'occupazione, sia nel settore pubblico quanto nel settore privato, al fine di intervenire normativamente, anche mediante strumenti di sostegno reddituale universale,

impegna il Governo:

   ad avviare un'indagine conoscitiva Ministeriale volta ad accertare quale sia l'incidenza dell'innovazione tecnologica degli ultimi decenni sull'occupazione, nel settore pubblico e privato;
   a promuovere iniziative normative di adeguamento degli strumenti contrattuali esistenti, rispetto all'impatto delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro, anche attraverso iniziative volte a ridurre progressivamente l'orario di lavoro al fine di migliorare la conciliazione tra la giornata lavorativa e la vita familiare e sociale;
   ad intervenire a livello normativo per migliorare il rapporto tra istruzione e lavoro, incrementando l'offerta formativa soprattutto nei settori ad alta specializzazione tecnologica;
   a promuovere, anche in sede europea, un'agenda per incentivare impieghi tecnologicamente innovativi, con particolare attenzione all'utilità sociale degli stessi, al fine di tutelare i lavoratori dall'incremento della disoccupazione di carattere tecnologico, nel settore pubblico e privato.
(7-00449) «Cominardi, Tripiedi, Ciprini, Baldassarre, Rostellato, Chimienti, Bechis, Rizzetto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   ai sensi del decreto legislativo del 10 settembre 2003, n. 276, le agenzie per il lavoro sono autorizzate a prestare servizi relativi alla domanda e all'offerta di lavoro. In particolare, possono svolgere attività di somministrazione di manodopera, di intermediazione, ricerca e selezione del personale, attività di supporto alla ricollocazione professionale;
   nell'ambito della predetta attività, svariate società hanno contattato le agenzie per il lavoro – le cosiddette agenzie interinali – per chiedere la fornitura di personale per pochi mesi, facendo quindi ricorso al cosiddetto «contratto di somministrazione», dichiarando di avere già a disposizione un elenco di nominativi in quanto personale già precedentemente impiegato e quindi qualificato;
   esperite le preliminari procedure amministrative ed instaurato il rapporto con la società, al momento del pagamento delle fatture emesse dall'agenzia per il lavoro (per la prestazione fornita e il rimborso delle spese effettuate per il pagamento dei lavoratori) è accaduto che le stesse non siano mai state liquidate con impossibilità di recuperare il credito da parte delle agenzie interinali;
   la predetta condotta finisce per configurare la fattispecie di reato di truffa ex articolo 640 del codice penale;
   il procedimento penale per l'accertamento e la condanna di tale reato ha durata lunga ed esito incerto;
   in tali fattispecie le misure esperibili per l'esigibilità del credito sono quasi nulle: spesso, infatti, si tratta di società solo nominalmente operanti nell'ordinamento (bilanci e visure falsificati) ma di fatto inesistenti;
   le agenzie per il lavoro, per legge, versano, mensilmente all'INPS anche i contributi per i lavoratori «somministrati» e, quindi, hanno versato all'INPS quote di contributi relative alle suddette fattispecie di reato;
   il suddetto sistema di truffa a danno delle agenzie interinali si sta diffondendo a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale, Triveneto, Emilia Romagna, Calabria, Sicilia, Lazio, Lombardia e Campania, solo per citare i casi più eclatanti, e non sembra destinato a ridursi;  
   ci sono casi in cui il giudice del lavoro, adito dai dipendenti, ha applicato in maniera a giudizio dell'interpellante miope le norme positive a tutela del lavoro, addivenendo alla decisione di riammettere il personale licenziato a seguito di condotta illecita e persino di condannare la società interinale al risarcimento del danno patito a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro;
   la suddetta dinamica determina una situazione paradossale che vede, da un lato iper-tutelato il lavoratore non meritevole di tutela e, dall'altro, l'agenzia interinale inerme e impotente di fronte a una giustizia che non provvede per il ristoro del danno subito e il ripristino della legalità, mentre la condanna a una pena ingiusta, con ulteriori effetti negativi per la gestione dell'attività imprenditoriale;
   la situazione che si viene così a determinare a carico delle imprese esaspera la situazione di incertezza del diritto nella quale si trovano ad operare le imprese italiane, soprattutto quelle impegnate nel settore dei servizi, come nel caso delle agenzie per il lavoro;
   l'incertezza del diritto scoraggia gli investimenti esteri nel nostro Paese;
   sono stimate ipotesi di truffe a carico delle agenzie per il lavoro per un ammontare superiore ai 10 milioni di euro dal momento della loro autorizzazione ai sensi del predetto decreto legislativo n. 276 del 2003;
   per sopportare i costi di queste truffe, le agenzie per il lavoro sono costrette ad adottare drastiche misure di riduzione dei costi, che hanno ricadute negative anche sul personale in servizio per effetto di conseguente riduzione del personale al fine del contenimento dei costi –:
   di quali notizie dispongano in merito alla questione evidenziata in premessa e quali iniziative intendano assumere, nell'ambito delle rispettive competenze, volte a limitare la diffusione del fenomeno;
   se sia intendimento del Governo ovviare preventivamente al problema attraverso iniziative volte a prevedere una serie di misure concrete quali, ad esempio, l'introduzione di una cosiddetta «centrale rischi per la valutazione della azienda», sulla scorta di quanto avviene nel sistema bancario, e la previsione di indagini finanziarie nei confronti delle società che si rivolgono alle agenzie interinali per la somministrazione di lavoro;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative, anche in sede di riforma della giustizia, per porre rimedio alle situazioni paradossali esposte nelle premesse e introdurre misure volte a ripristinare la legalità e la certezza del diritto, anche al fine di un rilancio del sistema produttivo del nostro Paese;
   quali iniziative intendano adottare in merito al versamento di contributi versati all'INPS per i descritti casi di truffa a danno delle agenzie per il lavoro.
(2-00652) «Gelmini».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   le cosiddette «entrate da trasferimenti» si distinguono in base all'ente di provenienza.  Quanto ai trasferimenti dallo Stato, recentemente, per effetto della applicazione dei principi sul federalismo fiscale, si sta assistendo ad una progressiva riduzione dei trasferimenti erariali sul totale delle entrate degli enti locali e ad un parallelo incremento delle entrate tributarie ed extra-tributarie. I trasferimenti erariali rientrano tra le voci che, ai sensi dell'articolo 149 del testo unico enti locali, concorrono a determinare le entrate complessive dei comuni e sono destinati a finanziare servizi pubblici fondamentali, mentre i servizi pubblici necessari per lo sviluppo della comunità locale sono finanziati esclusivamente dalle entrate fiscali;
   il comma 7 dell'articolo 149 del testo unico enti locali prescrive che i trasferimenti erariali siano ripartiti in base a criteri obiettivi che tengano conto della popolazione insediata, del territorio e delle condizioni socio-economiche, nonché della necessità di assicurare una perequata distribuzione delle risorse per compensare gli squilibri della fiscalità. Il testo unico enti locali ha sostanzialmente riconfermato l'impostazione delineata dal decreto legislativo n. 504 del 1992 che prevedeva che il finanziamento dei bilanci dei comuni dovesse avvenire attraverso 5 fondi, 3 di parte corrente e 2 di parte in conto capitale;
   i Fondi di parte corrente sono:
    a) il fondo ordinario;
    b) il fondo consolidato;
    c) il fondo perequativo;
   i Fondi per la parte in conto capitale sono:
    a) il fondo nazionale ordinario per gli investimenti;
    b) il fondo per lo sviluppo degli investimenti degli enti locali;
   in seguito alla riforma federalista dello Stato, con legge costituzionale n. 3 del 2001, ed alla revisione dell'articolo 119 della Costituzione, è stata approvata la legge n. 42 del 2009 che prevede la graduale soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese relative alle funzioni fondamentali degli enti locali (cosiddetta finanza derivata) e la loro sostituzione con entrate di natura tributaria e quote di risorse nazionali, per lo più destinate alla perequazione tra enti più ricchi ed altri più poveri;
   le minori entrate derivanti dai trasferimenti vengono compensate con l'attribuzione ai comuni di quote di gettito di tributi statali, in modo da garantire l'equivalenza finanziaria complessiva. Il passaggio da un sistema di finanza derivata ad uno basato prevalentemente sulle entrate proprie, non è stato repentino, ma caratterizzato da un processo di transizione – iniziato nel 2011 e continuato nel 2012, fino al 2015 – nell'ambito del quale il Fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) erariale costituisce un cardine. Il Fondo sperimentale di riequilibrio garantisce, infatti, un'attuazione graduale della riforma federale. I comuni italiani in dissesto economico e finanziario risultano in aumento rispetto alla situazione che si poteva registrare qualche anno fa. In tutto sono 180 gli enti locali in crisi, che non riescono più a trovare i soldi necessari per pagare i debiti e per fornire ai cittadini adeguati servizi. Si tratta di problemi pratici per molti Comuni, che devono fare i conti, sempre di più, con bilanci negativi e con i tagli delle spese.
  Il numero è in preoccupante aumento.
  Nel 2009 in Italia i comuni in dissesto erano soltanto due. Nel 2010 il numero è salito a otto. Solo nella prima metà del 2014 la cifra è salita a sessantatrè;
   i comuni attualmente in situazione debitoria sono separabili in due categorie di debitori: da un lato i casi di default controllato come Alessandria (93 mila abitati e 200 milioni di euro di debiti) o Caserta (77 mila abitanti e 150 milioni di debito), oppure Terracina, Latina, Velletri e decine di altri, dall'altro i comuni sottoposti a piano di riequilibrio. Dal 2012 a febbraio 2014 sono 105 i sindaci che hanno chiesto alla Corte dei conti di accedere a un piano di riequilibrio finanziario;
   da fonti stampa si apprende che durante un'audizione alla Camera, tenuta lo scorso 21 marzo 2014, il Presidente della Corte dei conti Raffaele Squitieri, ha imputato il dissesto delle casse comunali sia alla diminuzione dei trasferimenti statali, che «dal 2009 al 2013 ... sono diminuiti di circa 31 miliardi, in parte recuperati dagli amministratori attraverso l'aumento delle imposte locali», che agli sperperi nella spesa pubblica, tra i quali le assunzioni clientelari nelle società partecipate, i favoritismi nella stipulazione dei contratti di fornitura, la contrazione di debiti coperti da crediti inesigibili;
   sempre da fonti stampa si apprende, in particolare, che il comune di Ancona presenta una esposizione debitoria per quasi tre milioni di euro e che nel 2012 ha rischiato un procedimento di dissesto evitato grazie all'utilizzo di un fondo di riserva di 12 milioni di euro. «Il saldo negativo dipende dalle mancate entrate provenienti da quello che è il nostro debitore principale ovvero lo Stato. Fino al 2012 i flussi di pagamento erano regolari, ora invece non sai mai quando i fondi arriveranno» (dal Corriere Adriatico del 1o agosto 2014, pagina 5) –:
   se sia a conoscenza dei fatti come suesposti;
   se intenda porre in essere, tempestivamente, una attività di ricognizione dell'ammontare dei trasferimenti erariali statali dovuti ma non ancora percepiti dai comuni negli anni 2012, 2013, 2014, indicando, altresì, le modalità per il recupero delle somme dovute ma non incassate o le modalità per l'attivazione di risorse erariali suppletive;
   quali azioni intenda porre in essere per assicurare la necessaria regolarità dei versamenti. (5-03440)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'INCÀ, SPESSOTTO, COZZOLINO, BUSINAROLO, BRUGNEROTTO, DA VILLA e BENEDETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   lo Stato italiano, nell'estate del 2013, ha ratificato la convenzione di Istanbul che indica le azioni da compiere per: prevenire, perseguire ed eliminare il fenomeno della violenza sulle donne e la violenza domestica; contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi; promuovere la cooperazione internazionale e sostenere ed assistere le organizzazioni e le autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente;
   il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per, contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, prevede in sostanza, oltre all'inasprimento delle pene, all'articolo 5-bis (azioni per i centri antiviolenza e le case-rifugio), di incrementare il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, di cui all'articolo 19, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 22, di 10 milioni di euro per l'anno 2013, di 7 milioni di euro per l'anno 2014 e di 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015;
   dopo la conversione del suddetto decreto-legge cosiddetto «decreto sul femminicidio», il Governo aveva attivato i tavoli interministeriali aprendo un confronto tra istituzioni ed associazioni per elaborare il nuovo piano nazionale antiviolenza, con l'obiettivo di individuare le misure per prevenire il fenomeno e dare risposte adeguate alle richieste di aiuto;
   si è scoperto che ad oggi di questi fondi solo 2.260.000 euro finiranno ai centri antiviolenza già esistenti, mentre non si hanno evidenze degli altri 14.740.000 a disposizione delle regioni, che devono finanziare progetti sulla base di nuovi bandi;
   a tal proposito la regione Veneto nell'aprile 2013 ha approvato la legge n. 5 del 23 aprile 2013 «Interventi regionali per prevenire e contrastare la violenza» che prevede una serie di interventi regionali, stabilendo con successiva delibera del 13 ottobre 2013 la concessione dei contributi diretti a finanziarie tali attività e tali strutture, stanziando complessivamente 400.000,00 euro (a fronte di un totale di 34 strutture mappate). Successivamente però il 27 maggio 2014 la stessa regione ha comunicato che i contributi stanziati per il 2014 sono esattamente la meta dell'anno precedente, cioè 200.000,00 euro in totale. Cifra a giudizio degli interroganti risibile, soprattutto a fronte della cronica difficoltà denunciata dai centri antiviolenza (veneti e nazionali) connessa proprio ai finanziamenti insufficienti e discontinui;
   il riparto dei fondi contro la violenza sulle donne stanziati, così come previsto dal decreto-legge n. 93 del 2013, trasmesso dal dipartimento pari opportunità alla Conferenza delle regioni antiviolenza prevede quasi sei milioni di euro per nuovi centri antiviolenza, nove milioni di euro per gli interventi regionali già in essere per il sostegno alle vittime e ai loro figli e 1,1 milioni di euro rispettivamente per i centri antiviolenza e le case rifugio esistenti;
   è evidente che tale riparto dei fondi penalizzerebbe grandemente i centri antiviolenza autonomi (circa 3.000 euro cadauno) rispetto a quelli istituzionali, in contrasto con le raccomandazioni europee e quanto sostenuto dalla stessa convenzione di Istanbul, secondo cui i Governi devono privilegiare le azioni dei centri antiviolenza privati gestiti da donne in quanto servizi indipendenti. Centri che in Italia operano da oltre vent'anni, sono luoghi di buone pratiche per fronteggiare il fenomeno della violenza contro le donne ed hanno sviluppato una storica esperienza e competenza, da cui nessun progetto sulla violenza contro le donne può prescindere;
   pertanto, l'apertura di centri antiviolenza istituzionali, in tempi così rapidi (per non perdere i finanziamenti) e prescindendo dalla esperienza dei centri autonomi, comporta il rischio che alle donne vittime di violenza e ai loro figli/e vengano offerti servizi generici, depotenziati nella qualità e nell'efficacia, marginalizzando le pratiche «di genere» messe in campo dalle organizzazioni di donne e riconosciute come le più valide ed efficaci su questa materia sia dall'ONU che dalle istituzioni europee, contribuendo in questo modo ad umiliare e condannare alla chiusura i centri antiviolenza già esistenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti;
   se e quali iniziative intenda intraprendere, ed in quali tempi, per rinnovare «il piano nazionale antiviolenza» e assegnare i fondi già previsti dal decreto-legge n. 93 del 2013 per il biennio 2013/2014, individuando chiari criteri di distribuzione, al fine di consentire alle regioni di finanziare interamente i progetti già approvati, come nel caso della regione Veneto suesposto e consentire così che i centri antiviolenza e le case rifugio siano finanziati in maniera certa e costante, sottraendoli all'incertezza, alla sopravvivenza o al rischio di chiusura. (4-05786)


   D'INCÀ, BRUGNEROTTO e DA VILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 aprile 2012, prot. n. 77, è stato stipulato un contratto tra demanio civile e Associazione nazionale alpini di Belluno (registrato all'Agenzia delle entrate di Belluno, atti pubblici, serie 1, n. 84 dell'11 maggio 2012) per il recupero di immobile di circa 230 metri quadri all'interno della caserma Tasso di Belluno, da destinare a sede della protezione civile locale. A fronte di un impegno di spesa di 232 mila euro per la ristrutturazione totale dell'immobile abbandonato, la regione Veneto ha stanziato un contributo di oltre 70 mila euro, il consorzio Bim Piave ha messo a disposizione circa 15 mila euro e la restante parte è stata stanziata dall'associazione alpini di Belluno, mentre le ditte fornitrici hanno applicato sconti consistenti sul materiale. Il Demanio alla stipula del contratto con ANA Belluno ha chiesto una fidejussione bancaria di 265 mila euro a garanzia dei lavori da effettuarsi a carico dei richiedenti applicando un canone di affitto annuale, soggetto ad adeguamento Istat, per i 19 anni di durata della convenzione pari al 30 per cento del valore che avrebbe acquisito l'immobile una volta ristrutturato. I lavori di recupero, iniziati a giugno 2013 e terminati il 5 luglio 2014 con l'inaugurazione della nuova sede della protezione civile, sono stati realizzati dagli stessi associati ANA e da volontari, che hanno prestato il lavoro gratuitamente per completare l'opera.
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 296 del 2005 regolamenta i criteri di uso e concessione di immobili appartenenti allo Stato, prevedendo all'articolo 11 l'assegnazione in concessione agevolata ad associazioni non a scopo di lucro, fra cui le associazioni combattenti. All'articolo 12 prevede che il canone agevolato sia compreso tra il 10 e il 50 per cento del valore di commercio dell'immobile previa stima eseguita da apposita commissione istituita dalla direzione generale dell'Agenzia del demanio. La determinazione del canone deve avvenire sulla base di criteri che tengano conto:
    a) dell'ubicazione e consistenza dell'immobile; dello stato di vetustà e conseguente approssimativa quantificazione dell'impegno di manutenzione sia ordinaria sia straordinaria a carico del concessionario o locatario; della durata della concessione o locazione; delle particolari iniziative progettuali di promozione dell'immobile, ove il concessionario intervenga con finanziamenti propri;
   nel 1998, la regione Veneto riconobbe l'Associazione nazionale alpini (ANA) come associazione di volontariato e la iscrive al registro regionale del volontariato con la motivazione del dirigente regionale: «...tenuto conto delle meritevoli attività di volontariato effettuate a sostegno delle popolazioni in momenti di calamità...»;
   l'Associazione nazionale alpini, in conformità con quanto stabilito dal suo statuto ed in accordo con le disposizioni di legge, ha costituito al suo interno un'organizzazione di protezione civile (P.C.). Tale organizzazione è iscritta nell'elenco centrale delle associazioni di volontariato di P.C. tenuto dal dipartimento di protezione civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con decorrenza 1o agosto 2013. L'organizzazione di protezione civile ANA può essere impiegata per:
    a) interventi di previsione, prevenzione, soccorso e ripristino della normalità, a seguito di calamità naturali, o calamità derivanti dall'attività umana;
    b) addestramento individuale o collettivo;
    c) partecipazione a dimostrazioni o manifestazioni di protezione civile;
   la protezione civile Associazione nazionale alpini può agire in completa autonomia all'interno dell'organizzazione nazionale di protezione civile, essendo in grado non solo di svolgere qualsiasi tipo di missione, ma godendo anche di una completa autosufficienza logistica; può svolgere, inoltre, attività ad alta specializzazione. Sono state create apposite squadre specialistiche, sempre in continuo aumento a livello numerico con l'inserimento di nuovi volontari che partecipano ai corsi che si svolgono annualmente. Questo fa si che la sezione sia sempre attiva e presente nelle occasioni in cui è chiamata ad intervenire;
   gli iscritti alla protezione civile Associazione nazionale alpini della sezione di Belluno sono attualmente circa 800. La sezione di Belluno conta 44 gruppi suddivisi fra le vallate dell'Agordino, Alpago, Bellunese, Longaronese-Zoldano, Destra Piave e Sinistra Piave. La P.C. della sezione di Belluno ha al suo interno le commissioni di antincendio boschivo, settore comunicazioni, settore informatica, settore sanitario, settore interventi sicurezza, settore sommozzatori e settore unità cinofile;
   con la ristrutturazione dell'immobile abbandonato all'interno della caserma Tasso a Belluno per realizzare il centro polifunzionale di protezione civile e la sede dell'ANA Belluno, è stata completata la struttura operativa della protezione civile, riconosciuta dalla regione Veneto e dalla provincia di Belluno come centro di coordinamento per le emergenze, utile a tutta la collettività. Nello specifico è stata realizzata una sala polifunzionale della capacità di un centinaio di posti, dotata di sistema video e audio all'avanguardia e due magazzini per le attrezzature. I lavori, che si sono conclusi dopo 15 mesi, hanno richiesto circa 4500 ore di lavoro da parte del personale dell'impresa e dai volontari associati all'Associazione nazionale alpini e sono stati eseguiti in due fasi: la prima ha riguardato la sostituzione integrale del tetto e delle murature mentre la seconda è stata incentrata sulla manutenzione interna, rimozione di pareti e realizzazione di nuovi muri, con l'utilizzo di materiali isolanti, l'impiantistica, i serramenti e i marciapiedi. Una costruzione ex novo, insomma, visto che sono stati radicalmente ridistribuiti anche gli spazi interni –:
   se i Ministri interrogati intendano approfondire le ragioni per le quali il demanio abbia applicato un canone d'affitto agevolato pari al 30 per cento del valore dell'immobile restaurato e non il canone minimo del 10 per cento, considerando che l'immobile in questione si trovava in stato di abbandono e i costi di manutenzione posti a carico del concessionario, come previsto dalla lettera b) articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 296 del 2005;
   se ritengano di assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di valutare la revisione del contratto in essere tra ANA Belluno e demanio civile alla luce delle considerazioni suesposte, applicando il canone agevolato minimo;
   se non ritengano opportuno, visto l'interesse collettivo finalizzato alla prevenzione, messa in sicurezza e formazione di personale atto ad affrontare le emergenze, la modifica del decreto del Presidente della Repubblica n. 296 del 2005, estendere la gratuità delle concessioni anche ad associazioni che perseguono in ambito nazionale fini di rilevante interesse nazionale nel campo della cultura, dell'ambiente, della sicurezza pubblica, della salute e della ricerca e di rivedere i relativi contratti in essere. (4-05795)


   RONDINI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea, come già ha preannunciato, assumerà gravosi ed onerosi provvedimenti a seguito della mancanza di interventi di depurazione della qualità delle acque del torrente Seveso, risultato tra i fiumi più inquinati d'Europa;
   dalle dichiarazioni del capo della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, si apprende che dal primo gennaio 2016 nessuno potrà scaricare acqua non depurata nei fiumi perché scatteranno le sanzioni europee;
   il 23 luglio 2014, nell'ambito di una audizione alla Commissione ambiente della Camera dei deputati, relativa allo stato e le prospettive degli interventi contro il dissesto idrogeologico, il capo della struttura di missione si è dimostrato aperto al dialogo fra Governo e istituzioni locali e cittadini residenti per individuare moderne pratiche di intervento sul fiume Seveso, tra cui vasche di laminazione e depurazione delle acque;
   nello stesso mese di luglio 2014, il capo della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche ha incontrato regione Lombardia, comune di Milano e gli amministratori locali del comune di Senago, poiché il suddetto comune è interessato da un'opera di laminazione del torrente Seveso, nonostante abbia manifestato ripetutamente la sua volontà contraria, e oralmente è stato concordato con i suddetti enti che la priorità assoluta d'intervento sul torrente Seveso è la depurazione delle acque, indipendentemente dalle opere di salvaguardia idraulica e di contenimento della piena dello stesso Seveso che si andranno ad attuare;
   è stato realizzato un collettore che collega il depuratore del comune di Varedo al depuratore del comune di Pero, una condotta estesa per circa 8 chilometri che consente di razionalizzare il sistema di depurazione dell'intero ambito trasferendo i reflui dell'agglomerato Seveso Nord (Varedo, Bovisio Masciago, Barlassina, Cesano Maderno, Seveso, Lentate sul Seveso, Meda, Cabiate, parzialmente Mariano Comense) alla rete di collettori di adduzione al depuratore di Pero;
   occorre attivare rapidamente iniziative per la depurazione delle acque e il controllo degli scarichi industriali lungo il corso del fiume Seveso –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare sulla questione «torrente Seveso» e con quali priorità;
   quali siano le opere e le modalità che intende attuare, per quanto di competenza, per la depurazione del torrente per evitare eventuali sanzioni dall'Unione europea e con quali tempistiche. (4-05817)


   NARDUOLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   durante la riunione della Consulta nazionale del servizio civile dell'8 maggio 2014 è stato consegnato il documento di programmazione economico-finanziaria del dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale – ufficio per il servizio civile nazionale, da cui si rileva – con espressa menzione – che nel corso degli ultimi due anni sono stati decurtati circa 21 milioni di euro dal Fondo nazionale per il servizio civile, in forza dei tagli lineari a cui la Presidenza del Consiglio dei ministri, come tutti i Ministeri, si è dovuta assoggettare per la spending review;
   alcuni tagli sono più recenti, altri risalgono all'anno 2012, e più precisamente: euro 9.559.081 ai sensi dell'articolo 7 commi 1 e 2 del decreto-legge n. 95 del 2012 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario); euro 3.066.631 ai sensi del decreto-legge n. 35 del 2013 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali); euro 5.769.285 ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera c), del decreto-legge n. 4 del 2014 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e contributiva e di rinvio di termini relativi ad adempimenti tributari e contributivi); euro 2.506,014 da ulteriore accantonamento disposto con nota della Presidenza del Consiglio dei ministri del 23 maggio 2014;
   l'effetto concreto di questi accantonamenti, pertanto, è l'impossibilità di inserire nel contingente del prossimo bando 2014-2015 un numero pari a circa 3.500 volontari di servizio civile nazionale, dal momento che il costo lordo sostenuto annualmente dallo Stato per ogni giovane in servizio civile è di circa 6.000 euro;
   la logica della spending review richiederebbe che eventuali operazioni di taglio nell'ambito di un centro di costo fossero effettuate in maniera critica, preservando così le politiche più sensibili; i cosiddetti tagli lineari, invece, non corrispondono a una prescrizione normativa, quanto piuttosto a una precisa scelta politica;
   sia il Presidente del Consiglio dei ministri sia il Ministro del lavoro e delle politiche sociali hanno a più riprese sottolineato il valore dell'esperienza di servizio civile e hanno espresso la chiara volontà di investire in questo strumento, considerandolo uno dei pilastri del disegno di legge delega sul terzo settore e arrivando a progettarne una dimensione «universale» per 100.000 giovani;
   in occasione della giornata nazionale di ascolto per la riforma del terzo settore e il servizio civile universale, tenutasi il 10 giugno 2014 presso la sede nazionale del Partito Democratico, il Sottosegretario Luigi Bobba si è pubblicamente impegnato a recuperare i 21 milioni di euro di cui sopra, definendoli il risultato «non di un taglio, bensì di un accantonamento tecnico»;
   tuttavia, ad oggi non risulta esservi alcuna rassicurazione concreta al riguardo; anzi, a quanto si evince dalle dichiarazioni del Ministro del lavoro e delle politiche sociali che fa riferimento alle risorse per il prossimo bando, queste sarebbero costituite solamente da 105 milioni di euro stanziati nella legge di stabilità 2014, 83 milioni provenienti dall'avanzo 2013, 57 milioni provenienti dal piano europeo «Garanzia Giovani», per un totale di 245 milioni di euro –:
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative per reperire le risorse per ripianare questo accantonamento, ridando la possibilità all'ufficio per il servizio civile nazionale di usare questi fondi per ampliare il contingente annuale 2014 di avvii al servizio. (4-05821)


   FERRARESI e DELL'ORCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 74 del 2012, ha precisato che le disposizioni del medesimo decreto sono volte a disciplinare gli interventi per la ricostruzione, l'assistenza alle popolazioni e la ripresa economica nei territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessate dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012, per i quali è stato adottato il decreto ministeriale 1o giugno 2012 di differimento dei termini per l'adempimento degli obblighi tributari, nonché di quelli ulteriori indicati nei successivi decreti adottati ai sensi dell'articolo 9, comma 2, della legge n. 212 del 2000;
   l'articolo 8, comma 2, del decreto-legge n. 74 del 2012, prevede che, con riferimento ai settori dell'energia elettrica, dell'acqua e del gas, ivi inclusi i gas diversi dal gas naturale distribuiti a mezzo di reti canalizzate, la competente autorità di regolazione, con propri provvedimenti, introduce norme per la sospensione temporanea, per un periodo non superiore a 6 mesi a decorrere dal 20 maggio 2012, dei termini di pagamento delle fatture emesse o da emettere nello stesso periodo, anche in relazione al servizio erogato a clienti forniti sul mercato libero, per le utenze situate nei comuni danneggiati dagli eventi sismici, come individuati ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del medesimo decreto;
   il medesimo comma prevede altresì che, entro 120 giorni dalla data di conversione in legge del medesimo decreto, l'autorità di regolazione, con propri provvedimenti, disciplina altresì le modalità di rateizzazione delle fatture i cui pagamenti sono stati sospesi ai sensi del precedente periodo ed introduce agevolazioni, anche di natura tariffaria, a favore delle utenze situate nei comuni danneggiati dagli eventi sismici come individuati ai sensi dell'articolo 1, comma 1 del medesimo decreto;
   la deliberazione dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas del 16 gennaio 2013, 6/2013/R/COM, integrata con deliberazione 105/2013/R/COM, ha ritenuto opportuno dare attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 8, comma 2, del decreto-legge n. 74 del 2012, adottando modalità operative per il riconoscimento delle agevolazioni alle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 20 maggio 2012 in linea con lo schema previsto dal documento per la consultazione 453/2012/R/com, tenendo conto delle esigenze emerse in sede di consultazione;
   lo stesso provvedimento ha quindi deliberato le agevolazioni applicandosi alle utenze di energia elettrica, gas naturale e del servizio idrico integrato nei comuni colpiti dagli eventi sismici inclusi nell'allegato 1 al decreto ministeriale 1o giugno 2012, nonché quelli ulteriori indicati nei successivi decreti adottati ai sensi dell'articolo 9, comma 2, della legge n. 212 del 2000;
   dopo la sospensione di sei mesi dei termini di pagamento delle bollette di energia elettrica e gas, le popolazioni colpite dal sisma del maggio 2012 hanno potuto usufruire di rateizzazioni automatiche senza interessi, per un periodo minimo di due anni, da applicarsi sia alle forniture in servizio di tutela sia sul libero mercato, è stato previsto anche l'azzeramento dei costi per eventuali nuove connessioni, subentri o volture richieste da soggetti la cui abitazione è inagibile; a tutti i clienti nel periodo dal 20 maggio 2012 al 19 maggio 2013 sono stati ridotti del 50 per cento i corrispettivi per l'utilizzo delle reti e gli oneri generali di sistema, nel secondo anno, cioè dal 20 maggio 2013 al 19 maggio 2014, la riduzione per i corrispettivi di rete è stata del 50 per cento, mentre per gli oneri del 40 per cento; fra le agevolazioni vi è anche la rateizzazione delle bollette dell'acqua per 12 mesi;
   le agevolazioni si applicano in modo automatico a tutte le utenze che già esistevano nei comuni colpiti dal sisma e a quelle dei moduli abitativi temporanei;
   si definiscono come «moduli temporanei abitativi» i complessi adibiti a civile abitazione realizzati ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del decreto-legge n. 83 del 2012; nei moduli temporanei abitativi la dotazione impiantistica non prevede utenze gas e il riscaldamento è assicurato tramite rete elettrica, necessitando pertanto di una potenza impegnata fino a 6 chilowatt;
   a due anni dal terremoto risultavano ancora occupati circa 800 moduli su 977 inizialmente installati, per un totale di circa 2.600 persone dentro alloggiate;
   nei moduli, poco più che container di cantiere, con certificazione energetica G), le opere infrastrutturali non hanno ancora avuto i collaudi tecnico amministrativi, vi sono infiltrazioni d'acqua, serramenti che non isolano dall'esterno, pavimenti che cedono, interventi continui per bonificare dai topi;
   la condizione di vita all'interno è esasperante, è alto il consumo di ansiolitici ed antidepressivi, le relazioni familiari, visto la ristrettezza degli spazi, sono spesso compromesse;
   le conseguenze ovvie della scelta fatta di acquistare moduli in classe energetica G), quella maggiormente energivora, stanno pesantemente ricadendo sulle persone costrette ad abitarli; in questo contesto, pur in presenza delle agevolazioni tariffarie, sono centinaia le bollette elettriche che hanno importi che vanno dai 1.500 ad oltre 3.000 euro annui, creando di fatto un peso economico insostenibile, un forte disagio e spesso l'impossibilità ad adempiere al loro pagamento;
   l'assistenza alle popolazioni, così come previsto dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 74 del 2012, deve poter incidere anche al fine di dare maggiore garanzia di diritto a chi si trova nella condizione di dover vivere, perché ha la casa inagibile a causa del terremoto, all'interno dei moduli;
   la ricostruzione procede con tempi dilatati, come più volte denunciato, e anche a causa dell'appesantimento della burocrazia causato dalle centinaia di ordinanze commissariali di difficile ed a volte contraddittoria interpretazione, i tempi di permanenza all'interno dei moduli si prevedono ancora lunghi;
   al 19 maggio 2014 sono scaduti i termini previsti, in particolare per le agevolazioni di riduzione dei corrispettivi per l'utilizzo delle reti e gli oneri generali di sistema, una misura che comunque, come si è riscontrato, non impedisce importi anomali, superiori a qualsiasi consumo in un comune edificio con superficie corrispondente;
   gli interroganti pensano che sia necessario un intervento governativo affinché, attraverso il commissario straordinario, si sostenga, in tutto o in parte, il costo dei consumi energetici dei moduli abitativi, e che tale costo possa essere coperto impiegando le risorse già stanziate nell'ambito del Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 20 e del 29 maggio 2012, di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 74 del 2012 –:
   se il Governo non ritenga necessaria un'iniziativa urgente ed efficace per sostenere i costi dei maggiori consumi elettrici evidenziati a causa della carente coibentazione dei moduli abitativi;
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative normative per prevedere ulteriori agevolazioni per i cittadini che hanno subito gli effetti drammatici del terremoto e che conseguentemente sono costretti a vivere in moduli abitativi, fino alla completa agibilità delle originarie residenze. (4-05822)


   DI BATTISTA, LUIGI DI MAIO, DE LORENZIS, SIBILIA, TOFALO, SPADONI, SPESSOTTO e COZZOLINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale Presidente del Consiglio, in più occasioni ha incontrato Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia;
   un primo incontro è avvenuto il 18 gennaio 2014 nella sede del Partito Democratico in Largo del Nazareno a Roma;
   il 3 luglio 2014, inoltre, Renzi ha ricevuto Berlusconi direttamente a Palazzo Chigi in un incontro di due ore, al quale hanno partecipato anche Lorenzo Guerini, Gianni Letta e Denis Verdini;
   il contenuto di quello che viene ormai comunemente definito «patto del Nazareno», non è però noto nonostante l'attuale Presidente del Consiglio abbia dichiarato, in più occasioni, che la trasparenza deve essere un valore della politica;
   da un lato, il contenuto di questo patto sembra vertere su alcune riforme istituzionali: legge elettorale, superamento del bicameralismo perfetto mediante modifica del ruolo e della composizione del Senato della Repubblica, riforma del Titolo V della parte II della Costituzione con modifica delle competenze tra Stato e regioni;
   dall'altro lato, indiscrezioni giornalistiche riportano altri aspetti dell'accordo che sembra riguardare anche la materia della giustizia e l'elezione del prossimo Presidente della Repubblica;
   innanzitutto da «Il Fatto Quotidiano» sono emerse alcune frasi attribuite a Silvio Berlusconi il quale, in merito all'accordo con Renzi, sembra aver sostenuto che: «A me del Senato non importa nulla, lui si è impegnato con me sull'Italicum e sulla giustizia. E a me questo interessa. Sulla giustizia faremo insieme quello che io da solo non sono riuscito a fare»;
   nello stesso senso sembra andare anche un'altra fonte direttamente riferibile a Forza Italia, «Il Mattinale», che nel bollettino del 23 luglio conferma che «nel Patto del Nazareno c’è la riforma della giustizia»;
   inoltre, da organi di stampa, si legge che al centro del patto ci sarebbe anche la condivisione di un nome per la successione, nel ruolo di Capo dello Stato, di Napolitano come confermerebbero alcune voci di Forza Italia: «è certo che i due si sono accordati per un nome condiviso e questo nome non potrà mai essere Prodi»;
   l'esistenza di questo accordo, che incide su aspetti relativi all'indirizzo politico del Governo e su modifiche costituzionali, è stata evocata dal parlamentare di Forza Italia Donato Bruno (tra l'altro candidato di Forza Italia per la Corte Costituzionale), che ha pubblicamente dichiarato: «È inutile dirlo, esiste un accordo: il Nazareno ancora rappresenta un punto di riferimento che non possiamo e non dobbiamo assolutamente scalfire»;
   dentro Forza Italia c’è anche chi dice di aver visto un vero e proprio accordo redatto su carta, come ha affermato qualche giorno fa Giovanni Toti, europarlamentare di Forza Italia: «il patto del Nazareno esiste e io l'ho visto. Io come molti altri dirigenti di Forza Italia. ... Un semplicissimo foglio di carta che prevede alcune tappe schematiche del processo di riforma, un appunto scritto a penna sulle cose da fare»;
   Matteo Renzi, come riportato da agenzie di stampa, ha addirittura sostenuto che il patto del Nazareno sarebbe un vero e proprio atto parlamentare: «Quando leggo: che cosa c’è scritto nel patto del Nazareno ? È un atto parlamentare, può piacere o no ma è un atto parlamentare»;
   si tratta però di un atto parlamentare che gli interroganti non sono riusciti a reperire da nessuna parte;
   l'attuale Presidente del Consiglio ha altresì sostenuto che: «Quando vedo anche alcuni nostri dirigenti che dicono: chissà cosa c’è sotto ? Questo è il Governo che ha declassificato il segreto di Stato, figuriamoci... Quello che mi preoccupa è la forma mentis, questa idea che i politici mascherino sempre le cose»;
   di conseguenza è lecito aspettarsi dal Presidente del Consiglio Renzi un atteggiamento di totale trasparenza nei confronti del Parlamento e dell'opinione pubblica;
   poiché si sta procedendo alla modifica di molti articoli della Carta Costituzionale e, probabilmente, anche alla futura nomina di organi costituzionali semplicemente sulla base di un accordo che, nella quasi totalità, è segreto, è di fondamentale importanza che il Presidente del Consiglio renda pubblico con urgenza e nel dettaglio il suo contenuto;
   di conseguenza, nel caso in cui fosse realmente esistente un accordo scritto, il Presidente del Consiglio interrogato dovrebbe renderne pubblico il contenuto al fine di dare all'opinione pubblica ed al Parlamento la possibilità di conoscere tutte le linee programmatiche del Governo –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri non intenda fornire con urgenza ogni chiarimento in merito ai dettagli di quello che viene comunemente chiamato «patto del Nazareno» e se non intenda rendere pubblico il testo in formato cartaceo dell'accordo stesso con Silvio Berlusconi. (4-05825)


   BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, D'INCÀ e DA VILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 241 del 1990 «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti amministrativi» ha apportato importanti elementi in merito alla trasparenza amministrativa, assicurando la massima circolazione possibile delle informazioni sia all'interno del sistema amministrativo, sia fra quest'ultimo ed il mondo esterno. Ciò consente ai cittadini di veder garantiti i propri diritti nei confronti dell'amministrazione pubblica, i quali hanno diritto ad una informazione qualificata, ad accedere ai documenti amministrativi e a conoscere, nei limiti precisati dalla legge, lo stato dei procedimenti amministrativi che li riguardano, seguendo le fasi attraverso cui l'attività amministrativa si articola;
   il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», mira a rafforzare lo strumento della trasparenza standardizzando le modalità attuative della pubblicazione prevedendo inoltre, un articolato sistema sanzionatorio che riguarda le persone fisiche inadempienti, gli enti e gli altri organismi destinatari e in taluni casi, colpisce l'atto da pubblicare stabilendone l'inefficacia;
   l'articolo 43 del TUEL statuisce che i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Il sindaco o il presidente della provincia o gli assessori da essi delegati rispondono, entro 30 giorni, alle interrogazioni e ad ogni altra istanza di sindacato ispettivo presentata dai consiglieri. Ciò al fine di garantire ai rappresentanti del corpo elettorale l'accesso ai documenti e alle informazioni utili a valutare, con piena cognizione, la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'amministrazione, di esprimersi con voto consapevole sulle questioni di competenza del consiglio, onde promuovere, anche nell'ambito del consiglio stesso, le iniziative (interrogazioni, interpellanze, mozioni, ordini del giorno, deliberazioni);
   il diritto di accesso garantito ai sensi dell'articolo 43 del TUEL trova poi ampio riscontro a favore nella giurisprudenza: sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V 2 aprile 2001, 1983 e 21 febbraio 1994, n. 199, sentenza Consiglio di Stato, sezione V, 17 settembre 2010, n. 6963, sentenza del T.A.R. Abruzzo - Pescara, sez. I, 20 febbraio 2008, n. 123, ed infine la sentenza del T.A.R. veneto, sez. III 27 aprile 2011, n. 700, che prevede la piena accessibilità, da parte del consigliere, alle informazioni ed agli atti in possesso dell'amministrazione (anche riferiti a periodi antecedenti al mandato), non potendo essa manifestare alcun diniego determinandosi altrimenti un illegittimo ostacolo al concreto esercizio della funzione, che è quella di verificare che il sindaco e la giunta municipale (nelle loro articolazioni) esercitino correttamente le proprie attribuzioni;
   in tale ambito, a titolo di esempio, si segnala che non è stata fornita alcuna risposta ad una serie di domande di accesso agli atti rivolte al comune di Conselve e all'Unione dei comuni del Conselvano (Padova) di cui si riportano i riferimenti identificativi: richiesta di accesso agli atti al comune di Conselve (Padova) con prot. n. 20815 del 25 novembre 2013; richiesta di accesso agli atti al comune di Conselve (Padova) con prot. n. 20816 del 25 novembre 2013; richiesta di accesso agli atti al comune di Conselve (Padova) con prot. n. 20926 del 26 novembre 2013; nota consigliare del 19 dicembre 2013 (prot. n. 22408) per la richiesta di accesso agli atti; richiesta di accesso agli atti al comune di Conselve (Padova) con prot. n. 22409 del 19 dicembre 2013; richiesta di copia delle delibere (tranne per la n. 4 e n. 7) di giunta dell'Unione del 2014 e della motivazione per la mancata pubblicazione nell'albo pretorio del comune di Conselve (Padova); richiesta di accesso agli atti all'Unione dei comuni del Conselvano con prot. 381 del 27 febbraio 2014; richiesta di accesso agli atti con prot. n. 4249 del 20 marzo 2014 (ProLoco di Conselve - Padova); richiesta di accesso agli atti con prot. n. 4250 del 20 marzo 2014;
   come si può notare dall'elenco suindicato, la maggior parte delle istanze risalgono ai mesi di novembre e dicembre 2013, in questo contesto, si segnala che lo stesso comune si mostra restio a fornire risposta anche ad atti di sindacato ispettivo, già dal 20 dicembre 2013, nonostante i reiterati e costanti solleciti;
   tale situazione è, ad avviso degli interroganti, inaccettabile e vanifica le finalità cui è preordinata la normativa in materia di accesso ai documenti amministrativi, nonché i principi di trasparenza e correttezza dell'azione amministrativa –:
   se sia a conoscenza dei fatti suesposti;
   se  non ritenga opportuno avviare una verifica da parte della commissione centrale di accesso ai documenti amministrativi, visto il lungo protrarsi della mancata risposta, dell'ente suindicato, entro il termine dei trenta giorni previsto, in contrasto con il codice di comportamento dei dipendenti pubblici previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62. (4-05826)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta orale:


   NICCHI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   Diosita e Julie Ann Sarmiento di nazionalità filippina, madre e sorella di Jay Sarmiento sposato con Andrea Covini, residenti a Milano, hanno richiesto un visto per turismo all'ambasciata italiana a Manila;
   il visto è stato rifiutato dall'ambasciata italiana, con le motivazioni di «non avere provato la esistenza di sufficienti mezzi di sostentamento» e di non avere la certezza del rientro delle due donne nelle Filippine;
   il diniego è stato dato nonostante nella richiesta di visto per turismo, sia le invitate che gli invitanti avessero specificato che c'era anche un legame di parentela, e nonostante l'esibizione del biglietto d'andata e ritorno già comprato, e nonostante la lettera d'invito e la fidejussione di mille euro fatta e presentata da Andrea Covini, compagno italiano di Jay Sarmiento;
   Andrea Covini e Jay Sarmiento hanno una convivenza registrata (Eingetragene Lebenspartnerschaft) contratta nel luglio del 2012 a Berlino, capitale di uno stato membro dell'Unione europea;
   dal 2012, le questure italiane rilasciano carte di soggiorno al coniuge dello stesso sesso di un cittadino italiano se i due si sono sposati in un Paese nel quale ciò è consentito o al partner straniero del cittadino italiano che abbia contratto una unione registrata in un Paese dell'Unione europea. Jay Sarmiento è stato uno dei primi a ricevere questo permesso dalla questura di Milano, ai primi di settembre del 2012;
   per il momento c’è un blocco da parte dell'ambasciata italiana a Manila, nonostante una circolare del Ministero degli Affari esteri dell'agosto del 2013 dica – ma vagamente – di estendere i benefici di ingresso facilitato previsti per i familiari anche a chi abbia contratto unioni registrate (o come altrimenti chiamate nel Paese di celebrazione) tra persone dello stesso sesso; 
   di fatto si negano i visti per turismo a chi non è benestante, anche se viene invitato da persone che offrono garanzie e fidejussioni. E di fatto si nega il visto anche in presenza di un legame familiare;
   alla richiesta di revisione della decisione presentata per vie legali dalla coppia Covini/Sarmiento l'ambasciata italiana ha risposto di non avere per il momento preso una decisione definitiva sul «caso spinoso» dato che in «Italia l'argomento delle unioni civili è molto dibattuto poiché manca nel nostro ordinamento una specifica disciplina giuridica ed un riconoscimento giuridico, previste dagli ordinamenti di alcuni Paesi dell'Unione europea» –:
   cosa il Governo intenda fare in relazione al caso specifico sopra descritto;
   quale posizione il Governo intenda assumere rispetto ai diritti delle coppie gay e delle nuove famiglie e se si intenda colmare il vuoto normativo in materia;
   cosa il Governo intenda fare per una ottimale regolamentazione dei visti di immigrazione per turismo in Italia. (3-00988)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA e ZARATTI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in Guinea equatoriale da 1 anno e mezzo è detenuto il cittadino italiano Roberto Berardi, imprenditore quarantanovenne di Latina, a causa di controversie avute con il suo socio locale Teodorin Oblang, rampollo del dittatore di quel Paese;
   Roberto Berardi, ha perso da quando è in carcere metà del suo peso, ha contratto la malaria, è stato bastonato più volte, ha sviluppato una polmonite acuta e un enfisema polmonare;
   i familiari dubitano che possa resistere a lungo, essendo la detenzione particolarmente brutale e disumana;
   Roberto Berardi è stato condannato a 2 anni e 4 mesi di detenzione per un reato fiscale;
   fu arrestato quando chiese spiegazioni sugli ammanchi di cassa dell'azienda di cui è titolare insieme al figlio del Presidente Oblang, indagato dalla giustizia americana per transazioni fatte con proventi illeciti, mentre in Francia gli sono stati sequestrati oltre 100 milioni di euro in case, automobili e opere d'arte;
   si è in presenza di un provvedimento restrittivo della libertà del tutto ingiustificato ai danni di un cittadino italiano del tutto innocente che rischia la sua vita in un Paese che viola le convenzioni internazionali sui diritti umani;
   sinora il Ministero degli affari esteri italiano ha prodotto a giudizio degli interroganti, solo inviti e preghiere, richieste rimaste inevase  –:
   quali iniziative intenda assumere per ridare la libertà ad un cittadino italiano ingiustamente detenuto in Guinea equatoriale e trattato in modo disumano.
(4-05803)


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   un quotidiano nazionale ha riportato la notizia che il Ministero degli affari esteri starebbe progettando la ristrutturazione della cosiddetta Palazzina ex Civis, presso il Piazzale della Farnesina, al costo di 2.120.000 euro per destinarvi la istituenda Agenzia nazionale della cooperazione internazionale, recentemente prevista dalla nuova legge che disciplina le attività di cooperazione internazionale allo sviluppo della Repubblica italiana;
   dentro la Farnesina resterebbe in funzione la direzione generale per la cooperazione internazionale allo sviluppo, configurando così un doppione anche logistico e organizzativo;
   la Farnesina dispone di 1300 stanze, un totale di 6 chilometri di corridoi larghi almeno 3 metri, per oltre 720 mila metri cubi, come la Reggia di Caserta;
   sino a qualche anno fa alla Farnesina lavoravano 2.500 persone, ora ridotte a 1.800 –:
   se tale notizia corrisponda al vero, se, nel caso, non intenda risparmiare il costo di quella ristrutturazione e assumere iniziative per collocare l'Agenzia nazionale della cooperazione internazionale all'interno della Farnesina operando una scelta naturale e attenta alla esigenza di risparmio della spesa pubblica. (4-05804)


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il prestigioso palazzo Odescalchi, nel centro di Roma, nell'ex Ghetto, tra le zone più costose della Capitale, è sede dell'ambasciata italiana presso le Nazioni Unite;
   con l'ambasciatore, lavorano un vice ambasciatore, un aggiunto e 11 dipendenti e godrebbero tutti della indennità di sede estera proporzionata al ruolo –:
   se tale notizia corrisponda al vero e, nel caso, se ritenga di provvedere alla ricerca di una sede meno dispendiosa e alla eliminazione di quello che all'interrogante appare un privilegio incompatibile con le doverose esigenze di risparmio della spesa pubblica. (4-05805)


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nel 2006, con Gianfranco Fini Ministro degli affari esteri, viene istituita nel Principato di Monaco l'ambasciata della Repubblica italiana con 10 addetti e si mette a disposizione dell'ambasciatore un prestigioso appartamento in affitto in Avenue Princesse Grace, una delle 10 strade più care al mondo;
   a 20 chilometri di distanza c’è un consolato generale della Repubblica italiana di Nizza con 10 addetti;
   e miracolosamente scampato sinora al piano delle chiusure delle sedi diplomatiche all'estero –:
   se ritenga utile avere una ambasciata italiana nel Principato di Monaco e se questa scelta sia compatibile con le esigenze di risparmio della spesa pubblica italiana. (4-05806)


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il prestigioso Palazzo Rinascimentale Borromeo, dal valore inestimabile e con costi notevoli di manutenzione, nel centro di Roma, è sede dell'ambasciata italiana presso la Santa Sede;
   con l'ambasciatore residente nel sontuoso Palazzo, lavorano 3 diplomatici e 17 dipendenti e godrebbero tutti della indennità di sede estera proporzionata al ruolo –:
   se tale notizia corrisponda al vero e, nel caso, se ritenga di provvedere alla eliminazione di quello che all'interrogante appare un privilegio incompatibile con le doverose esigenze di risparmio della spesa pubblica. (4-05807)


   LATRONICO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da organi di stampa che il 25 maggio 2014 il CRAIC (Consiglio regionale delle persone anziane italo-canadesi) ha organizzato un galà celebrativo per i 40 anni della sua fondazione a Montreal con la partecipazione di circa 700 persone;
   il CRAIC conta di 12.000 iscritti, 84 associazioni attive, 11 Comitati creati ad hoc per sostenere le attività di sostegno ed aiuto alle persone anziane della comunità canadese;
   in occasione della cerimonia, oltre alle personalità e autorità locali sono stati invitati l'Ambasciatore italiano dottor Gian Lorenzo Cornado e il console generale dottor Enrico Padula, rappresentanti dell'Italia in Canada che non hanno ritenuto opportuno intervenire a causa del mancato invito a Giovanni Rapanà ex Presidente del Comites e attuale rappresentante del Consiglio generale degli italiani all'estero (CGIE);
   il massimo esponente della diplomazia italiana ha preferito sacrificare l'omaggio a 700 italiani per salvaguardare il consigliere del CGIE, imponendo ad un organismo privato un cerimoniale e condizionando anche il console dottor Enrico Padula –:
   di quali notizie sia a conoscenza il Governo;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per il comportamento tenuto dall'ambasciatore dottor Gian Lorenzo Cornado e dal console dottor Enrico Padula. (4-05810)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, MANNINO, DE ROSA, ZOLEZZI, DAGA, SEGONI, MICILLO, BUSTO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   all'articolo 14, comma 2, del decreto legge 91 del 2014 è stata inserita una norma con la quale viene prolungata la durata del contratto che lega il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Selex fino al 31 dicembre 2015;
   il 21 luglio 2014 proprio Selex Service Management, società controllata di Finmeccanica Selex Es, ha comunicato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'intenzione di non proseguire la propria attività nell'ambito dei programma Sistri oltre la scadenza contrattuale del 30 novembre prossimo;
   stante questa volontà espressa dalla società c’è il forte rischio di vedere sospeso il servizio di tracciabilità dei rifiuti pericolosi nonostante le ditte obbligate ad aderirvi abbiano già versato la quota annuale –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di scongiurare l'interruzione del servizio di tracciabilità dei rifiuti pericolosi. (3-00990)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società VIS s.r.l. ha presentato alla provincia di Lodi un'istanza di concessione di derivazione di acqua pubblica ad uso idroelettrico sul Fiume Adda in comune di Castelnuovo Bocca d'Adda (Lodi), tra Lodi e Cremona, con relativa realizzazione dell'impianto;
   la domanda prevede il posizionamento di un impianto da 20 megawatt di potenza, per la produzione di energia elettrica con l'utilizzo di una traversa che innalza notevolmente il livello del corso d'acqua del fiume Adda, per ben tre metri, in una zona particolarmente sensibile al livello idrico e vocata all'attività agricola con la presenza di allevamenti di bovini da latte;
   l'allarme tra le aziende agricole della zona è alto, in quanto l'innalzamento della falda comporterebbe l'impossibilità di coltivare parecchi ettari con una conseguente perdita del valore fondiario, utilizzando un bene pubblico, come l'acqua, per un tornaconto economico privato;
   l'aumento di 3 metri del livello del fiume, si svilupperà per circa 14 chilometri partendo da Castelnuovo e andando indietro fino a Crotta, Pizzighettone e Maleo, incidendo sull'equilibrio ambientale e la morfologia del fiume;
   l'istanza è stata presentata alla provincia di Lodi che si dovrà esprimere dopo aver acquisito: il parere dell'AIPO per quanto riguarda la sicurezza delle persone e la sicurezza delle cose, il parere dell'Autorità di bacino per il Po, il parere del Parco Adda Sud per quanto riguarda i risvolti ambientali e il parere obbligatorio dell'ufficio dighe di Milano (emanazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) che è competente dal punto di vista tecnico per gli sbarramenti che o superano i 15 metri di altezza (in questo caso si tratta di 3 metri) oppure il milione di metri cubi di invaso (e qui si tratta di 3 milioni di metri cubi);
   il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, all'allegato II alla Parte Seconda, in merito ai progetti di competenza statale da sottoporre a Valutazione di impatto ambientale, al punto 13 include gli «Impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque in modo durevole, di altezza superiore a 15 m o che determinano un volume d'invaso superiore ad 1.000.000 mc, nonché impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque a fini energetici in modo durevole, di altezza superiore a 10 m o che determinano un volume d'invaso superiore a 100.000 mc, con esclusione delle opere di confinamento fisico finalizzate alla messa in sicurezza dei siti inquinati.»;
   l'impianto in questione raggiunge un volume di invaso pari a 3.000.000 metri cubi, e pertanto dovrebbe essere sottoposto a VIA nazionale e rientrare nelle competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   da quanto si apprende dal sito della provincia di Lodi, infatti, dello stesso avviso è anche la regione Lombardia che, in data 22 maggio 2013, rispondendo a una richiesta formulata dalla provincia di Lodi, ha comunicato che qualora il volume d'invaso fosse pari o superiore a 100.000 metri cubi, l'impianto risulterebbe soggetto all'acquisizione di Valutazione di impatto ambientale nazionale;
   alla luce della comunicazione della regione, l'amministrazione provinciale di Lodi ha firmato una determina che comunica alla società Vis Srl la necessità di attivare la procedura di Valutazione di impatto ambientale statale;
   l'impianto, se da una parte potrebbe creare occupazione, dall'altra dovrebbe essere valutato con attenzione sia ai fini della tenuta delle sponde sia ai fini degli impatti ambientali e del mantenimento del deflusso minimo vitale, anche alla luce di un'ulteriore derivazione idroelettrica sulla stessa asta del fiume Adda, proposta dalla Edison spa, di cui è in corso la procedura di impatto ambientale e di cui il 14 gennaio 2014 è scaduto il termine di legge per la presentazione delle osservazioni da parte del pubblico –:
   se il Ministro intenda appurare la competenza del proprio Ministero in materia di Valutazione di impatto ambientale relativamente alla derivazione idroelettrica sul fiume Adda in comune di Castelnuovo Bocca d'Adda e valutare le conseguenze ambientali e sociali dalla realizzazione dell'impianto, con riferimento sia alle specie e attività agricole che verranno sommerse dall'acqua, sia agli impatti cumulativi con l'ulteriore derivazione idroelettrica sulla stessa asta del fiume Adda, proposta dalla Edison.  (4-05799)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 14 novembre 2013, la società Edison S.p.A. ha presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare istanza per l'avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale per il progetto di «Derivazione idroelettrica sul fiume Adda a valle del nuovo ponte sulla SS 591»;
   il progetto rientra tra quelli elencati nell'allegato II alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, al punto 13 «Impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque in modo durevole, di altezza superiore a 15 m o che determinano un volume d'invaso superiore ad 1.000.000 mc, nonché impianti destinati a trattenere, regolare o accumulare le acque a fini energetici in modo durevole, di altezza superiore a 10 m o che determinano un volume d'invaso superiore a 100.000 mc, con esclusione delle opere di confinamento fisico finalizzate alla messa in sicurezza dei siti inquinati»;
   il progetto ricade, inoltre, nella categoria progettuale individuata dall'allegato IV alla parte seconda del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, al punto 2, lettera m), come impianto per la produzione di energia idroelettrica con potenza nominale di concessione superiore a 100 kW;
   il progetto è localizzato in regione Lombardia, province di Lodi e Cremona, comuni di Bertonico, Ripalta Alpina e prevede la realizzazione, attraverso di un taglio di meandro, di un impianto idroelettrico che sfrutta una nuova traversa formando un invaso con un'altezza massima pari a 2,90 metri e con un volume di circa 660.000 metri cubi;
   risultano inoltre interessati il comune di Gombito, relativamente al tratto sotteso, e il comune di Montodine, interessato parzialmente dall'invaso;
   l'impianto idroelettrico ad acqua fluente ha una potenza nominale massima di 5824 chilowatt e utilizza mediamente un salto idraulico di 3,96 metri;
   dalle osservazioni pubblicate nel sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si apprende la preoccupazione dei cittadini in merito alla realizzazione della nuova centrale in quanto l'area è stata più volte coinvolta da fenomeni alluvionali e l'attuazione delle opere necessarie alla realizzazione dell'impianto potrebbe compromettere il naturale corso del fiume e provocare l'isolamento di gran parte del territorio;
   lo sbarramento determinerà una profonda alterazione dello stato morfologico locale e comporterà un conseguente deterioramento dello stato ecologico di un tratto significativo del fiume Adda con il rischio di passaggio permanente da corpo idrico naturale a fortemente modificato;
   la riduzione della velocità di corrente comporterà, inevitabilmente, il deposito di sabbie fini che determineranno l'occlusione degli interstizi tra i ciottoli del fiume, con danno agli organismi bentonici;
   il progetto è fortemente impattante sullo stato ecologico fluviale poiché comporterà alterazioni sulla riproduzione dell'ittiofauna, costituendo un ostacolo ai movimenti migratori, sia in salita che in discesa;
   le associazioni territoriali del lodigiano dichiarano la propria forte contrarietà al progetto e si riservano di agire legalmente in sede comunitaria ai fini della tutela dello stato ecologico del fiume Adda e dei suoi ecosistemi –:
   quali interventi il Ministro intenda adottare per impedire la realizzazione del progetto di «Derivazione idroelettrica sul fiume Adda a valle del nuovo ponte sulla SS 591» allo scopo di salvaguardare la continuità biologica e lo stato ecologico di un tratto significativo del fiume Adda. (4-05800)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, BALDASSARRE, ALBERTI, RIZZETTO e CHIMIENTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il patrimonio archeologico italiano risulta essere di enorme valore, sia sotto l'aspetto culturale ed identitario per i cittadini, sia sotto l'aspetto economico in considerazione dell'attrattiva turistica;
   Taranto, già capitale della Magna Grecia, risulta essere fra le città più ricche di patrimonio archeologico ma allo stesso tempo tra le più trascurate;
   il Museo nazionale della Magna Grecia di Taranto, al piano rialzato ospita esposizioni temporanee e convegni, al primo piano la sezione greco-romana inerente alla società tarantina e al secondo, da tempo non aperto al pubblico con conseguente danno economico non indifferente per l'amministrazione dei beni culturali, la sezione preistorica del paleolitico e dell'età del bronzo inerente all'intero territorio pugliese;
   sempre a Taranto, la Cripta del Redentore, sito archeologico fra i più importanti della Puglia con affreschi di inestimabile bellezza risalenti al X secolo d.C., dal 1979, dopo gli ultimi interventi di restauro degli ambienti interni ma non degli affreschi, vive in uno stato di abbandono;
   solo negli ultimi anni il comune di Taranto ha realizzato, con fondi comunali, un primo progetto per la sistemazione esclusivamente della parte esterna della Cripta del Redentore al fine di garantire l'allontanamento delle acque meteoriche dal piano stradale –:
   se il Ministro interrogato non sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se il Ministro non ritenga, per quanto nelle sue possibilità, di considerare un progetto di stanziamento di risorse atte a salvaguardare i patrimoni sopra citati, ripristinando la parte da tempo ferma del Museo nazionale della Magna Grecia e provvedendo ad un pronto restauro degli affreschi e alla climatizzazione degli ambienti storici ed archeologici della Cripta del Redentore. (4-05789)


   BALDASSARRE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il fotografo Gerald Bruneau ha scattato alcune immagini dei Bronzi di Riace coprendoli con un tanga leopardato, un boa fucsia e un velo da sposa. Le foto sono state pubblicate sul sito Dagospia.it e scattate nel corso di un «blitz» compiuto da Bruneau nell'inverno scorso, presso il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria;
   con dichiarazioni rilasciate alla stampa, la Soprintendenza dei beni archeologici della Calabria, da cui dipende il Museo, ha assicurato però che tali scatti non erano mai stati autorizzati –:
   se sia mai sussistita una autorizzazione a far indossare tanga, boa e velo da sposa da parte degli organi direttivi del museo;
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia fino ad oggi intrapreso al fine di accertare i fatti esposti in premessa.
(4-05812)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il «Bank deposit confiscation in Europe», ovvero il prelievo forzoso dai conti correnti come avvenuto a Cipro, secondo diverse fonti di stampa sarebbe alle porta anche in Italia, perché il debito pubblico è troppo alto e in continua crescita;
   sul Wall Street Journal ed altre testate giornalistiche internazionali, è stata riportata la notizia dell'esistenza di un report del Fondo monetario internazionale dal titolo «Monitor delle finanze pubbliche» che conterrebbe, per l'appunto, la proposta di un prelievo forzoso sui conti correnti di 15 Paesi dell'area euro con lo scopo di riportare il debito sovrano dei 15 Stati membri colpiti dalla misura ai livelli pre-crisi, evitando l'ulteriore innalzamento della pressione fiscale;
   nel marzo di quest'anno la Troika ha imposto a Cipro un prelievo coattivo: la Bank of Cyprus ha stabilito l'ammontare del prelievo del 37,5 per cento sui depositi sopra i 100 mila euro, scelta che ha scatenato il panico economico nell'isola, tanto da costringere il Governo locale a chiudere gli sportelli bancari e inviare l'esercito davanti agli istituti stessi;
   a quanto sembra Cipro non è più un'eccezione, poiché il parlamento tedesco ha di recente approvato il prelievo forzoso: in caso di possibile fallimento, saranno i creditori e i correntisti a salvare le banche e secondo quanto affermato dal Ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, il piano varato dal parlamento di Berlino prenderà il via nel 2015, un anno prima di quanto richiesto dall'Europa;
   sembra che il Fondo monetario internazionale da mesi chieda ai vari Governi europei di prendere in considerazione l'ipotesi del prelievo forzoso ma già la semplice ipotesi di una misura del genere può produrre un cambio di comportamento dei risparmiatori, inducendo una pericolosa fuga di capitali e la corsa agli sportelli, peggiorando notevolmente la situazione economica del Paese, già fortemente provata dalla crisi economica, mentre l'attuazione vera a propria di un simile provvedimento potrebbe anche innescare violente rivolte sociali nel Paese;
   Unicredit avrebbe dichiarato che è disponibile alla confisca dei soldi dei correntisti per salvare le banche, come riportato da numerose fonti di stampa: l'amministratore delegato Federico Ghizzoni avrebbe dichiarato a Vienna che «far partecipare i risparmi non assicurati al piano di salvataggio delle banche è accettabile, posto che sia una soluzione comune in Europa»;
   operare un prelievo sui conti correnti, significherebbe far pagare ai cittadini ancora una volta la crisi del debito sovrano provocata da politiche monetarie europee carenti, andando a colpire pesantemente i risparmi dei nuclei familiari;
   nel 1992 l'allora Presidente del Consiglio Giuliano Amato mise in atto un prelievo forzoso con cui alleggerì tutti i conti correnti dello 0,6 per cento, una percentuale molto piccola, ma che costituisce un pericoloso precedente;
   la stampa riporta anche alcune smentite circa l'ipotesi di questo prelievo forzoso, ma si tratta di smentite generiche, senza reali indicazioni e le rassicurazioni in merito che sarebbero più che necessarie –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza del citato report del Fondo monetario internazionale e dell'ipotesi di un prelievo forzoso ivi contenuta e se non intenda chiarire al più presto quale sia la posizione ufficiale del Governo in merito, per fugare ogni possibile timore ed evitare così di innescare nei cittadini comportamenti pericolosi per l'economia del Paese.
(2-00651) «Sorial».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAPOZZOLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in Italia, in relazione al black-out del 28 settembre 2003, sono state presentate contro Enel Distribuzione spa, numerose richieste stragiudiziali e giudiziali di indennizzi automatici e di risarcimento di danni da parte di consumatori finali;
   tali richieste hanno dato luogo a un significativo contenzioso dinanzi ai Giudici di Pace, concentrato essenzialmente nelle regioni Campania, Calabria e Basilicata, per una cifra totale di circa 250.000 giudizi;
   in primo grado tali giudizi si sono conclusi per circa due terzi con sentenze a favore dei ricorrenti (con condanna di Enel al pagamento di indennizzo e spese legali) mentre i giudici di tribunale che si sono pronunciati in sede di appello hanno quasi tutti deciso a favore di Enel Distribuzione, motivando sia in relazione alla carenza di prova dei danni denunciati, sia riconoscendo l'estraneità della società all'evento;
   le sentenze sfavorevoli a Enel Distribuzione sono state tutte impugnate davanti alla Corte di cassazione, che si è pronunciata a favore di Enel, confermando il primo orientamento, già emesso con le ordinanze (numeri 17282, 17283 e 17284) del 23 luglio 2009, che, accogliendo i ricorsi e rigettando le domande dei clienti, ha escluso tassativamente la responsabilità di Enel Distribuzione: la Suprema Corte di Cassazione, inoltre, ribaltando un precedente orientamento giurisprudenziale, ha negato la sussistenza del danno esistenziale per le cause di modesto importo economico, quali quelle promosse contro l'Enel, Telecom, limitandone l'esistenza solo ai diritti costituzionalmente garantiti;
   dal mese di maggio 2008, Enel, attraverso le proprie Compagnie assicuratrici, ha intrapreso una serie di azioni finalizzate all'ottenimento del rimborso di quanto già pagato in esecuzione delle sentenze sfavorevoli;
   a detta delle associazioni di tutela dei consumatori che si stanno occupando della vicenda, Enel Distribuzione, per raggiungere tale scopo, ha affidato ad una società di riscossione, il compito di recuperare le somme richieste;
   il recupero di queste somme si sta effettuando con l'invio di migliaia di lettere con richiesta rimborso indennizzo e spese legali;
   si sta generando un vero e proprio allarme sociale nella comunità del Cilento e dell'intera provincia di Salerno, già debilitate da un grave quadro di congiuntura economica, provocato dall'arrivo di migliaia di raccomandate attraverso le quali sono state richieste le somme precedentemente citate  –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti presentati in premessa e quale sia il loro orientamento e se intendano promuovere le azioni necessarie per favorire un confronto tra le parti che arrivi ad una possibile conciliazione.
(5-03443)


   PESCO, RUOCCO, CANCELLERI e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la procura di Genova ha aperto un fascicolo riguardante Giovanni Berneschi, ex presidente della Cassa di risparmio di Genova e Imperia, ex presidente della Cassa di risparmio di Carrara, nonché vicepresidente dell'Associazione di fondazioni e casse di risparmio (ACRI);
   il 22 maggio 2014 è stato arrestato Berneschi, con l'accusa di truffa ai danni del suddetto istituto di credito e del relativo comparto assicurativo, Carige Vita Nuova, per presunte attività illecite e riciclaggio;
   da fonti giornalistiche si rileva che «in base alla ricostruzione della Procura di Genova, Giovanni Berneschi e Ferdinando Giovanni Menconi — in qualità di presidente di Carige e amministratore di Carige Vita Nuova – sono accusati di avere messo in atto insieme all'imprenditore Ernesto Cavallini un'operazione illecita. I tre avrebbero indotto il Cda di Carige Vita Nuova ad acquisire dalla società Ihc (riconducibile a Cavallini) la partecipazione totalitaria della Ih Roma (amministrata da Cavallini e proprietaria degli alberghi Hotel Mercure di Milano e Hotel Pisana di Roma) al prezzo di 70,5 milioni di euro. Questa cifra risulta essere superiore del 50 per cento rispetto al valore reale, con la conseguenza della valutazione gonfiata dei due alberghi. I profitti della compravendita andavano a Cavallini che, secondo le accuse, li divideva con Berneschi e Menconi. Questi ultimi reinvestivano parte dei proventi nell'acquisto per 16,3 milioni di euro dell'hotel Holiday Inn di Lugano dalla società Albergo Admiral. I profitti venivano poi riciclati attraverso società estere. Secondo la Procura, i tre avrebbero riciclato il denaro attribuendo fittiziamente la titolarità della quote dell'hotel di Lugano alla Darien Holdings, società anonima di diritto statunitense, per poi trasferire il 50 per cento alla società di diritto spagnolo Vanador (amministrata formalmente dalla moglie di Sandro Maria Calloni) con l'intento di cedere le quote alla MB Service (amministrata da Francesca Amisano, nuora di Berneschi)»;
   dalle suddette fonti si apprendono ulteriori indagini circa la sussistenza o meno di eventuali rapporti di complicità tra Berneschi ed alcuni procuratori o viceprocuratori di La Spezia, Savona e Milano, messi in atto al fine di anticipare all'allora presidente della Carige eventuali aperture di fascicoli a suo carico, oltre a suggerire diversi aiuti processuali;
   sempre dalle stesse fonti si apprende che «Una seconda operazione di truffa è attribuita a Berneschi e ad Andrea Vallebuona. I due, tramite la perizia di valutazione con valori gonfiati svolta da Vallebuona, inducevano la Carige Vita Nuova ad acquistare dalla Balitas la partecipazione del 35 per cento della Assi 90 al prezzo complessivo di 5,6 milioni di euro, cifra risultata essere superiore di 45 volte il valore reale. Tale cifra secondo gli inquirenti era destinata ai reali beneficiari Berneschi e Menconi, soci occulti della Balitas, formalmente amministrata da Davide Enderlin»;
   un rapporto del settembre 2013 di Banca d'Italia sull'istituto Carige redatto dopo aver effettuato indagini nelle sedi del medesimo istituto ha evidenziato l'esistenza di una cattiva gestione legata a comportamenti che vanno dall’«(...) erogazione di troppo credito facile, finito in sofferenza per la banca» alla «(...) dotazione patrimoniale sempre sottodimensionata, persino scarsa sensibilità sull'antiriciclaggio in particolare nella gestione della fiduciaria del gruppo e della filiale di Nizza»;
   la cattiva gestione della filiale di Nizza è stato il motivo che ha fatto partire le indagini di Banca d'Italia, difatti si apprende da una fonte giornalistica che «Gli ispettori di Bankitalia, nelle carte inviate alla procura di Genova, hanno fatto riferimento alle segnalazioni di Banque de France sulla filiale di Nizza di Banca Carige. Nel 2010, la banca centrale francese aveva segnalato il mancato adeguamento della filiale alle norme antiriciclaggio dettate dalla Ue secondo quanto risulta agli interroganti meno restrittive di quelle applicate in Italia e ricordato di alcuni provvedimenti disciplinari a due dipendenti della filiale»;
   la Banca d'Italia ha concluso le indagini solo 3 anni dopo la ricezione delle segnalazioni di Banque de France, cosa che ad avviso degli interroganti è del tutto insoddisfacente dal punto di vista dell'efficacia e della rapidità dei controlli;
   negli ultimi anni si assiste ad un numero crescente di scandali finanziari che investono attivamente la procura della Repubblica e la stessa Banca d'Italia –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in riferimento a quanto descritto in premessa e se reputi necessario, anche in considerazione del ruolo di presidente del comitato interministeriale per il credito e il risparmio, al fine di velocizzare e rendere più efficiente l'esercizio delle competenze della Banca d'Italia, che nel caso sopra riportato appare agli interroganti inefficace, assumere iniziative, di carattere normativo, che modifichino le procedure di controllo degli enti creditizi, anche per evitare che scandali di questo genere possano verificarsi in futuro.
(5-03450)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 117-bis del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, in vigore dal 22 maggio 2012, ha previsto nuove disposizioni sulla remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti e, tra l'altro, l'istituzione di una commissione d'istruttoria veloce (CIV);
   i contratti di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente, una commissione onnicomprensiva, calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente e alla durata dell'affidamento, e un tasso di interesse debitore sulle somme prelevate. L'ammontare della commissione, determinata in coerenza con la delibera del CICR, anche in relazione alle specifiche tipologie di apertura di credito e con particolare riguardo per i conti correnti, non può superare lo 0,5 per cento, per trimestre, della somma messa a disposizione del cliente;
   a fronte di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido, i contratti di conto corrente e di apertura di credito possono prevedere, quali unici oneri a carico del cliente (non sono previsti oneri diversi), una commissione di istruttoria veloce determinata in misura fissa, espressa in valore assoluto, commisurata ai costi e un tasso di interesse debitore sull'ammontare dello sconfinamento;
   il Ministro dell'economia e delle finanze, in qualità di presidente del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio ha decretato la specifica disciplina, disponendone l'introduzione entro 90 giorni (1o ottobre 2012) ai sensi del decreto-legge 30 giugno 2012, n. 644 – Disciplina della remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti in attuazione dell'articolo 117-bis del Testo unico bancario;
   all'interrogante risulta che l'applicazione di tale dispositivo a partire dal mese di ottobre 2012 ha come risultato che le banche stiano addebitando ai loro clienti importi di circa 100 euro per ogni movimento in addebito in conto corrente che determini sconfinamento o aumenti di sconfinamento anche di un solo euro, come nel caso di pagamento di un'utenza telefonica di 100 euro tramite RID, o addirittura nel caso di addebiti di pochi euro relativi a commissioni di carte di credito per uso POS, che, potrebbe causare uno sconfinamento anche di un solo euro, determinando così un addebito di 100 euro relativo alla CIV e a cascata, altre CIV, per ulteriori addebiti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti ed in particolare della grave ingiustizia che stanno subendo soprattutto le piccole imprese già in difficoltà;
   se il Ministro interrogato intenda urgentemente assumere iniziative per modificare le disposizioni che hanno determinato l'utilizzo della CIV da parte delle banche. (4-05791)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la «manovra salva Italia», varata con decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», prevede che «le banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in circolazione si prescrivono a favore dell'Erario con decorrenza immediata ed il relativo controvalore è versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato»;
   è di questi giorni la notizia che una donna italiana, residente a Bruxelles, ricevuta una consistente eredità da parte di uno zio da tempo emigrato a Berlino, non abbia potuto incassare la parte consistente in Bot del Tesoro italiano da 10, 50 e 100 milioni delle vecchie lire, denaro contante per il valore di un miliardo e 450 milioni in banconote da 500.000 lire, mentre non abbia avuto nessun problema nell'incassare un milione di marchi tedeschi;
   la disposizione normativa va a ledere un diritto privato e a creare disparità di trattamento tra cittadini dell'Unione europea –:
   se non ritenga, per quanto di competenza, di attivarsi affinché sia rimosso questo ostacolo al giusto riconoscimento del diritto privato, a tutela di tutti i cittadini italiani che dovessero venirsi a trovare nella medesima situazione.
(4-05793)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   un bene confiscato, sito nel comune di Fasano (BR), è stato destinato alla Guardia di finanza. Detto bene, come già segnalato dalla provincia di Brindisi, presenta la copertura in eternit;
   venuto in possesso della struttura, il corpo della Guardia di finanza ha, per un lungo periodo, inviato i propri militari all'interno dell'immobile, che pare fosse ricoperto da lastre di eternit (si segnala che nei pressi della struttura in oggetto sorgono un asilo, abitazioni ed aziende);
   nel febbraio 2013, la Guardia di finanza ha richiesto all'Agenzia del demanio di effettuare l'analisi del materiale «sospetto» (continuando comunque a far accedere i lavoratori al sito). L'Agenzia del demanio di Bari ha commissionato all'Azienda leccese «Ecom» l'esecuzione delle analisi sui campioni e dei monitoraggi ambientali. Le prove hanno dato esito positivo all'amianto. La stessa azienda ha consigliato di provvedere alla bonifica, definendo il materiale come «molto pericoloso»;
   ad oggi tale bonifica, all'interno della predetta caserma, non risulta all'interrogante essere stata effettuata –:
   come, per quanto di competenza, si intenda intervenire per far luce sulla vicenda stante la presenza di amianto, fonte di indubbio pericolo per la salute pubblica ricompresa quella dei militari dislocati presso la caserma in argomento. (4-05802)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ICS, Istituto credito sportivo, è una banca statutariamente vocata a finanziare progetti, investimenti e attività relative al mondo dello sport e della cultura;
   tramite l'istituto credito sportivo possono essere finanziate, anche senza limite di importo, iniziative per la realizzazione, la ristrutturazione o l'acquisto di attrezzature per impianti sportivi da parte di enti locali, privati e altri enti pubblici (diversi dagli enti locali), oltre che di tutte le società e associazioni sportive dilettantistiche e in aggiunta a ciò, vi è da considerare che il Credito sportivo dal 2004 può agire anche nel settore della cultura, finanziando «progetti tesi all'acquisto, alla realizzazione, al restauro, all'abbattimento di barriere architettoniche o al miglioramento dell'efficienza energetica di beni culturali o strutture destinate ad attività culturali»;
   l'ente è commissariato dal 2011 e attende da tempo di tornare a pieno regime di operatività, vista l’impasse nella definizione della relativa governance che da mesi impantana le operazioni;
   le vicende giudiziarie, relative a non ancora del tutto chiarite circostanze con le quali è stato modificato lo statuto, sono all'attenzione della Corte dei conti circa un possibile danno erariale;
   è stato da tempo emanato un decreto da parte del Ministro dell'economia e delle finanze, che prorogava per massimo altri 6 mesi il periodo di amministrazione straordinaria dell'Istituto, senza che sia avvenuto un percorso di rientro nell'ordinaria amministrazione –:
   quali iniziative e provvedimenti si intendano intraprendere, affinché l'Istituto possa tornare ad esercitare le sue funzioni in condizioni ordinarie. (4-05808)


   NESCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con interrogazione a risposta scritta n. 4-04955, presentata dall'interrogante nella seduta n. 235 del 28 maggio 2014, si chiedeva ai Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico l'eventuale disposizione, nell'ambito delle proprie competenze, di verifiche a largo raggio per l'individuazione di eventuali truffe in ordine a contributi ricevuti da imprese in Calabria, come incentivo per l'attività che avessero beneficiato di fondi statali ai sensi del decreto-legge n. 415 del 1992 come convertito dalla legge 488 del 1992;
   all'elencazione delle imprese che nella regione Calabria hanno beneficiato di contributi pubblici – nell'ambito del POP Calabria, con sostegno finanziario agl'investimenti disciplinato in coerenza con le decisioni comunitarie e la normativa nazionale da utilizzare per il cofinanziamento delle misure d'aiuto dell'Unione europea, costituita con decreto-legge 22 ottobre 1992 n. 415, convertito con modificazioni dalla legge n. 488/1992 – per le suindicate finalità, ma senza raggiungere gli indicatori di legge, ha provveduto il presidente della commissione speciale di vigilanza del consiglio regionale della Calabria onorevole Aurelio Chizzoniti, con esposto del 17 giugno 2014 protocollo 391/P.C.V., indirizzato ai procuratori della Repubblica presso i tribunali di Catanzaro, Paola, Cosenza, Castrovillari e Lamezia Terme;
   nell'esposto, si legge che, per il mancato raggiungimento di indicatori, il 6 dicembre 2012 il dirigente generale del dipartimento attività produttive della regione Calabria, Maria Grazia Nicolò, intimò, con proprio decreto, la restituzione entro trenta giorni di 796.520,78 euro alla Dynamis srl di Settignano di Catanzaro – (Catanzaro) e, con analogo atto, la restituzione di 1.102.635,50 alla P&P Arredamenti srl di Contrada Fiumara di Amantea (Cosenza);
   sempre nello stesso esposto, si legge che il suddetto dirigente generale intimò per gli stessi motivi di cui ai precedenti decreti, utilizzando il medesimo strumento dispositivo, il 9 gennaio 2013 alla De Rose Forniture e Servizi srl di Cosenza la restituzione di 4.927.850,97 euro;
   con analoghe modalità e per le medesime ragioni, il succitato dirigente regionale intervenne il 31 gennaio 2013 nei confronti della Jonio Filati srl di Corigliano Calabro, chiedendo la restituzione di 4.507.573,80 euro;
   Eugenio Spagnuolo, dirigente di servizio del menzionato dipartimento della regione Calabria, analogamente e sempre per il mancato raggiungimento degli indicatori, chiese con decreto del 4 dicembre 2007 la restituzione di 1.196.114, 18 alla Tekam di Bisignano (Cosenza), e, con atti della medesima specie emessi in pari data, la restituzione di 10.894.658,29 euro alla Collant srl di Lamezia Terme (Catanzaro), di 875.471,91 euro alla Creative srl sita in località Fiumara di Amantea (Cosenza) e di 2.295.000,18 euro alla Optical Disk srl di Roma;
   infine, con decreti del 15 gennaio 2008, il succitato Spagnuolo intimò a Ptintec srl di Corigliano (Cosenza) la restituzione di 4.713.185,66 euro e Sensitec srl di Corigliano la somma di 1.758.535,74 euro;
   nel proprio esposto l'onorevole Chizzoniti, di professione avvocato penalista, riporta la cifra complessiva dei finanziamenti legittimamente ottenuti, pari a 33.067.547,01 euro, sostenendo che la documentata elusione dei fini per cui i fondi in parola furono corrisposti è da ricondurre a condotta fraudolenta, «in un'ottica palesemente malversante ai danni della Regione Calabria», di cui al paradigma dell'articolo 316 bis del codice penale;
   sempre nello stesso esposto, il presidente della commissione speciale di vigilanza del consiglio regionale della Calabria denuncia un «atteggiamento serpeggiante ed anguillesco dell'assessore alle attività produttive Demetrio Arena, del dirigente ff. Felice Iracà e di quello di Pasquale Monea, titolare del predetto dipartimento che ancora oggi cincischiano in ordine al concreto recupero dei notevoli importi su riferiti richiamando bizzarre difficoltà connesse con le notifiche ex articolo 140 del codice di procedura civile»;
   con lettera del 25 marzo 2014 inviata al dirigente del dipartimento attività produttive della regione Calabria e per conoscenza al dirigente del dipartimento regionale Controlli e ai procuratori della Repubblica di Catanzaro e Reggio Calabria, il presidente della commissione speciale di vigilanza del Consiglio regionale della Calabria opina, in ordine al mancato recupero degli importi di cui sopra da parte della regione in parola, una volontaria omissione, peraltro sottolineando in punto di diritto che «il riferimento (del Monea, nda) alla fuorviante presunta “incidenza” della legge regionale 18 dicembre 2013, n. 54, (astutamente parzialmente riportata)» non consente ex iure ai beneficiari delle già indicate provvidenze di non restituire alla regione Calabria i fondi ricevuti, in quanto l'improcedibilità di specie è prevista soltanto per quelle imprese che alla data di entrata in vigore del decreta legge n. 83 del 2012 abbiano completato e regolarmente collaudato gli investimenti, il che, come rilevato dallo stesso onorevole Chizzoniti nell'esercizio delle sue funzioni e in diversi esposti alla magistratura penale catanzarese e contabile, non è per le aziende più sopra indicate;
   in considerazione della grave situazione finanziaria ed economica della regione Calabria, rilevata dalla Ragioneria generale dello Stato, nonché dei licenziamenti di recente avviati nel settore dei servizi di pubblica utilità — per esempio presso la Fondazione Tommaso Campanella di Catanzaro — a causa, anche, della carenza di fondi regionali destinati alle attività, all'interrogante appare più che opportuna una pronta risposta al presente atto di sindacato ispettivo  –:
   se sono a conoscenza dei fatti qui esposti;
   se e quali urgenti iniziative nell'ambito delle rispettive competenze, intendano assumere al fine di accertare, sulla base degli atti depositati, in via generale quali iniziative di vigilanza siano state assunte ai sensi dell'articolo 11 del decreto-legge n. 415 del 1992 anche con riferimento alle erogazioni attribuite alla regione Calabria. (4-05823)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   è una storia infinita quella del penitenziario di Forlì, costruzione tanto più urgente perché la vecchia casa circondariale di via della Rocca versa in uno stato fatiscente, indegno di un Paese civile;
   nel 2009 una parte fu investita da un crollo che portò alla chiusura della sezione a custodia attenuata, tuttora ancora indisponibile: per riaprirla occorre una manutenzione dell'impianto di riscaldamento e delle docce, la tinteggiatura dei locali e un'accurata pulizia di tutti gli ambienti;
   la struttura ospita circa 150 carcerati (contro una ridotta capienza ricettiva), mentre la polizia penitenziaria risulta essere pari a 90 agenti non totalmente operativi, a causa di limitazioni di vario genere, nei diversi ruoli (10 sono impiegati in piantonamenti e solo 50 lavorano direttamente nei reparti, con una popolazione per il 70 per cento extracomunitaria);
   tre anni fa i detenuti (che lamentano lunghi tempi di attesa per le risposte dei magistrati di sorveglianza, anche in relazione alle richieste di misure alternative e ai permessi) scrissero una lettera al Presidente Napolitano, minacciando lo sciopero della fame, a causa delle pesantissime condizioni di vita dietro le sbarre;
   sorto a fine Ottocento, il complesso della Rocca mostra l'usura del tempo; il trasferimento sembrava a portata di mano appena cinque anni fa, poi nel terreno di via Celletta dei Passeri è successo di tutto, fra impasto di burocrazia, imprevisti, soprintendenze varie, questioni legate agli appalti, ritrovamento di ordigni bellici;
   sono stati eseguiti lavori solo sul primo dei due lotti in cui è divisa l'opera, quello della palazzina che ospiterà gli uffici. Non c’è invece il muro esterno e il corpo vero della struttura è ancora da realizzare: le palazzine dei detenuti, l'edificio del personale, i servizi;
   eppure, a fine 2009 il Ministro della giustizia pro tempore Alfano assicurò che il carcere sarebbe stato aperto nel dicembre 2012. Non solo: a quanto consta agli interpellanti appena cinque mesi fa, su richiesta del comune, dal Ministero hanno garantito la fine dei lavori nel 2015, al massimo all'inizio del 2016. Ora si parla già del 2017;
   c’è poi un altro punto oscuro, quello dei costi a carico dello Stato: inizialmente si era parlato di un progetto di 59 milioni, ma l'allungamento dei tempi è destinato a far lievitare le cifre –:
   quali urgenti ed efficaci iniziative intenda adottare, ai fini di una ripresa e conseguente accelerazione dei lavori.
(2-00653) «Molea, Mazziotti Di Celso».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   IORI, MORANI, FARAONE, VERINI, DE MICHELI, LENZI, ALBANELLA, ARLOTTI, BENI, BERLINGHIERI, BRUNO BOSSIO, CAPONE, CARNEVALI, CARRA, CASATI, COVELLO, D'INCECCO, DISTASO, FABBRI, FOSSATI, GADDA, CARLO GALLI, GANDOLFI, GASPARINI, GIGLI, GIULIANI, GUERRA, LATRONICO, LODOLINI, MAESTRI, MALPEZZI, MANZI, MARANTELLI, MARTELLI, MARZANO, MIOTTO, PATRIARCA, PETITTI, RAMPI, ROCCHI, ROTTA, SCUVERA, TARTAGLIONE, TIDEI, ZAMPA e VALERIA VALENTE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   poter vivere la paternità e la maternità è un diritto, così come è un diritto per i bambini conservare i legami genitoriali essenziali per la loro crescita e lo sviluppo. Ma la presenza di bambini dietro le sbarre non è degna di un Paese civile. E coltivare un rapporto educativo ed affettivo con i figli durante la carcerazione, esercitando la genitorialità in condizione di reclusione, esige alcune condizioni materiali che consentano innanzitutto di mantenere una frequentazione reciproca e non disperdano i legami familiari;
   il rapporto dell'associazione «Antigone», presentato il 20 dicembre 2013, specifica che in Italia vi sono 16 asili nido penitenziari in cui sono recluse 51 madri con 52 bambini, ma secondo i dati del Ministero della giustizia, dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza e dell'associazione Bambinisenzasbarre Onlus, firmatari della «Carta dei figli dei genitori detenuti» del 21 marzo 2014, sono ben centomila, fra bambini ed adolescenti, i minori che entrano in carcere per incontrare i genitori;
   è di tutta evidenza pedagogica e psicologica che le necessarie esigenze di sicurezza che presiedono le strutture carcerarie e ne regolano l'organizzazione non possono in alcun modo corrispondere allo sviluppo sereno dei bambini ed alle adeguate cure materne né permettere una continuità del rapporto educativo e genitoriale;
   la tutela della maternità e dell'infanzia (sancita dall'articolo 31 della Costituzione) impone di sottrarre i bambini all'esperienza di crescere in una struttura carceraria. La legge n. 40 del 2001 introduceva misure alternative alla detenzione finalizzate a tutelare la cura del rapporto tra detenute e figli minori, misure che permangono ampiamente disattese. La genitorialità per i padri e le madri detenuti è normata da indicazioni su come devono essere preservate e protette le relazioni con i figli e i familiari. La legge n. 354 del 1975, all'articolo 28, afferma che «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie» e, all'articolo 45, ribadisce che «il trattamento dei detenuti e degli internati è integrato da un'azione di assistenza alle loro famiglie. Tale azione è rivolta anche a conservare e migliorare le relazioni dei soggetti con i familiari e a rimuovere le difficoltà che possono ostacolare il reinserimento sociale»;
   questa normativa appare oggi disattesa e quasi utopica, a fronte del personale sottodimensionato e dell'impossibilità di soddisfare le richieste di contatti con le famiglie. Per le detenute e i detenuti stranieri ciò è ancora più difficile e possono trascorrere mesi o anni prima che essi riescano ad attivare contatti con le famiglie;
   alla genitorialità in carcere è negato il riconoscimento di quelli che Erving Goffman definisce «diritti sottili», ossia quelli, a rischio di invisibilità, come appunto i legami affettivi che coinvolgono i familiari e soprattutto i figli;
   l'associazione Eurochips (European Committee for Children of Imprisoned Parents) indica che il 30 per cento dei bambini figli di detenuti sviluppa comportamenti devianti per mancanza di interventi e risposte corretti. Eurochips afferma, inoltre che la possibilità per i genitori detenuti di vedere con regolarità i figli, e mantenere rapporti significativi con loro, abbassa del 40 per cento il rischio di provvedimenti disciplinari in carcere;
   il Ministero della giustizia, l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza e l'associazione Bambinisenzasbarre Onlus, quali firmatari della «Carta dei figli dei genitori detenuti» del 21 marzo 2014, condividendo le medesime preoccupazioni, hanno convenuto, all'articolo 1, di detto atto l'opportunità di «tenere in considerazione i diritti e le esigenze dei figli di minore età della persona arrestata o fermata che conservi la responsabilità genitoriale, nel momento della decisione dell'eventuale misura cautelare cui sottoporla, dando priorità, laddove possibile, a misure alternative alla custodia cautelare in carcere» e, all'articolo 3, la necessità di individuare, nei confronti di genitori con figli di minore età, misure di attuazione della pena che tengano conto anche del superiore interesse di questi ultimi;
   nello specifico caso di minorenni con madri detenute, la tutela dell'interesse superiore del fanciullo può essere al meglio attuata, compatibilmente con l'esigenza di sicurezza sociale, tramite lo strumento delle case-famiglia protette, strutture che devono essere realizzate all'esterno degli istituti penitenziari e organizzate con caratteristiche che tengano conto in modo adeguato delle esigenze psicofisiche di crescita armonica dei bambini, ispirate a criteri prioritariamente desunti dalla prospettiva educativa;
   il momento e le modalità del colloquio sono poi aspetti particolarmente urgenti e drammatici stante il particolare significato sul piano degli affetti e delle relazioni che questo comporta. A volte atteso per settimane o mesi, avviene poi in ambienti che sono ben lontani da quei «locali interni senza mezzi divisori o in spazi all'aperto a ciò destinati», stabiliti dal decreto del Presidente della Repubblica 230 del 2000, articolo 37. È noto infatti che i colloqui avvengono generalmente nella confusione di un parlare, spesso urlante, di pianti, in presenza di altri detenuti sconosciuti, dove anche un abbraccio tra padri/madri e figli diventa difficile o imbarazzante per entrambi;
   inoltre, l'allontanamento improvviso dei figli dai genitori è traumatico per entrambi, così come la chiusura forzata dei figli piccoli che, incolpevoli, crescono nei luoghi di pena;
   la responsabilità genitoriale, che non deve interrompersi durante la detenzione, deve essere incentivata rispondendo a criteri psicopedagogici, salvaguardando le modalità di realizzazione degli incontri attraverso un accompagnamento educativo e la predisposizione di spazi aventi finalità socio-educativa nei quali sia garantita, tramite operatori specializzati, ospitalità alle famiglie, circostanza per un'attesa dignitosa, nonché aree di socializzazione e di gioco per i bambini (quale, ad esempio, lo «spazio giallo» come denominato da Bambinisenzasbarre Onlus, già realtà nell'esperienza pilota di San Vittore e di Bollate);
   i colloqui dei figli con madri e padri detenuti devono svolgersi in locali idonei, al fine di evitare la permanenza di bambini e ragazzi in ambienti caotici, sovraffollati e promiscui. Per ridurre l'impatto del carcere sui bambini sono indispensabili luoghi che rispettino la sensibilità dei minorenni, senza mezzi divisori e possibilmente anche all'aperto, consentendo al detenuto di svolgere attività educative e ludiche con il proprio figlio;
   è poi auspicabile un potenziamento della normativa già prevista all'articolo 30 della legge n. 354 del 26 luglio 1975 relativamente ai permessi di visita al minorenne infermo. L'esigenza di tutela del fanciullo rende importante attribuire alla madre detenuta il diritto ad assistere il proprio figlio nei momenti più importanti della vita. Vi sono invece momenti, come la malattia grave o il ricovero ospedaliero, in cui il contatto viene reso indispensabile. La vicinanza ai figli è decisiva per alleviare il senso di solitudine nella struttura ospedaliera e le ansie legate alla malattia o al pericolo di perdere la vita. Per questo occorrerebbe consentire alla madre di bambini di età minore di dieci anni, in pericolo di vita, inviati al pronto soccorso o ricoverati in ospedale, di prestare assistenza, accompagnandoli e permanendo presso la struttura per l'intera durata del ricovero, essendo disumano ed inimmaginabile che il bambino possa affrontare tali situazioni senza l'assistenza della propria madre;
   è infine necessario preservare il minorenne da ogni sanzione che indirettamente possa colpirlo pregiudicandone la serenità emotiva ed il corretto sviluppo psicofisico, anche permettendo la revocabilità del decreto di espulsione disposta in corso o a fine pena, nonché come misura alternativa o sostitutiva della stessa, nei confronti della madre con figli minori di anni dieci -:

   se si intendano adottare iniziative immediate, normative o di altra natura, affinché quanto contenuto nella «Carta dei figli dei genitori detenuti» del 21 marzo 2014 trovi concreta realizzazione e applicazione;
   se si intenda seguire l'obiettivo del definitivo superamento del dramma dei bambini cresciuti in carcere tramite lo strumento delle case famiglia protette, anche attraverso le risorse e le opportunità offerte dal privato sociale, assumendo iniziative per l'estensione del beneficio dell'esecuzione della custodia cautelare e della detenzione in casa famiglia protetta, già previsto dalla legge n. 62 del 2011, alla madre di prole fino a dieci anni di età, con possibilità per il giudice di estendere l'applicazione anche oltre i dieci anni;
   quali iniziative si intendano assumere per realizzare, all'esterno degli istituti penitenziari, case famiglia protette con struttura ed organizzazione idonee alle particolari esigenze psicofisiche dell'infanzia, fornite di sistemi di controllo non visibili o percepibili del minorenne e dotate, in prevalenza, di personale in possesso di competenze pedagogiche ed educative per l'infanzia con specifico riferimento alle realtà detentive;
    se si intendano assumere iniziative per consentire alla madre detenuta di essere presente nei momenti più importanti della vita dei figli ed in caso di estremo bisogno degli stessi e in particolare, nel caso di ricovero di figlio minore di anni dieci, garantire alla madre internata o detenuta, tramite un provvedimento adottato d'urgenza, la possibilità di accompagnare il bambino presso la struttura ospedaliera e soggiornarvi per tutto il periodo del ricovero;
   se, conformemente a quanto previsto dalla «Carta dei figli dei genitori detenuti» del 21 marzo 2014, si intendano assumere iniziative per tutelare la genitorialità e l'affettività negli istituti di pena nonché per permettere un contatto diretto di madri e padri detenuti o internati con i figli minorenni già dalla prima settimana dopo l'arresto, nonché per garantire la regolarità e la qualità dei colloqui attraverso appositi spazi con finalità socio-educative dove i bambini possano sentirsi accolti e riconosciuti e nei quali sia garantita la presenza di almeno un educatore con funzioni di presa in carico della famiglia, realizzazione di attività di attesa e ludiche per i bambini, preparazione al colloquio nonché osservazione delle dinamiche comportamentali al fine di fornire risposte educative;
   se si intendano assumere iniziative per permettere lo svolgimento di colloqui personali e telefonici, fra genitori detenuti e figli, anche fuori dai limiti temporali stabiliti dagli articoli 37 e 39 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, in orari o luoghi diversi da quelli comunemente utilizzati per gli incontri fra soggetti maggiorenni nonché in locali tali da rispettare la sensibilità dei minorenni, senza mezzi divisori o all'aperto;
   se, nel rispetto della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia, ratificata dall'Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176, e contro ogni discriminazione nei confronti del minorenne straniero, figlio di chi ha commesso un reato, si intendano adottare le opportune iniziative normative o di altra natura al fine di permettere la revocabilità del decreto di espulsione nell'ipotesi in cui quest'ultima sia disposta o debba essere eseguita nel corso o al termine dell'espiazione di una pena detentiva, o come misura alternativa o sostitutiva della pena, nei confronti di madre con figli minori di anni dieci il cui corretto sviluppo psicofisico verrebbe pregiudicato dall'allontanamento dal territorio italiano e dal tessuto sociale di riferimento.
(5-03442)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 2010, per le gravi carenze di organico che ammontano, secondo le stime del Ministero di giustizia, a circa 8 mila unità e per sostenere i lavoratori svantaggiati di aziende in crisi, sono stati arruolati in tirocinio, tramite bando pubblico, all'incirca 3 mila lavoratori, utilizzati dal predetto Ministero per tre anni;
   la legge di stabilità ha previsto lo stanziamento di fondi per il proseguimento dei tirocini formativi;
   i tirocinanti hanno acquisito, nei tre anni di attività, competenze e abilità al lavoro indispensabili al buon funzionamento degli uffici, e hanno sopperito alle carenze di personale;
   le carenze nel funzionamento degli uffici giudiziari saranno probabilmente oggetto di varie procedure di infrazione dell'Unione europea verso l'Italia, con conseguenti sanzioni milionarie a carico dello Stato italiano –:
   se e come, per quanto di competenza, intenda intervenire nella vicenda.
(4-05788)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IX Commissione:


   SPESSOTTO, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DE LORENZIS, LIUZZI, CRISTIAN IANNUZZI, DELL'ORCO, TRIPIEDI e GAGNARLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del deragliamento, all'ingresso della stazione di Bressanone, del treno merci n. 44213, della società RTC (Rail Traction Company Spa), avvenuto il 6 giugno 2012 a causa dello sfilamento dal proprio asse di alcune ruote di uno dei carri – fenomeno definito in termini tecnici, scalettamento – è stata istituita, ai sensi dell'articolo 18 del decreto legislativo n. 162 del 2007 e con decreto dirigenziale n. 24 dell'8 agosto 2012, una Commissione ministeriale di inchiesta, incaricata di indagare sulle cause dell'incidente ferroviario;
   dopo quasi due anni di indagini, nei giorni scorsi, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha pubblicato, rendendola disponibile in download sul proprio sito web la relazione conclusiva predisposta dalla Commissione ministeriale d'inchiesta per l'accertamento delle cause dell'incidente di Bressanone, presentata già nel mese di maggio all'attenzione della direzione generale per le investigazioni ferroviarie del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   tale relazione, così come è stata pubblicata sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, presenta numerose pagine completamente oscurate e rese illeggibili, mediante barre nere, idonee a nascondere parte delle risultanze del lavoro di indagine espletato dai membri della stessa commissione;
   successivamente alla pubblicazione della suddetta relazione, il presidente della commissione d'indagine, ingegner Roberto Focherini, ha lamentato tale «censura», operata dal direttore generale dell'ufficio investigativo, Marco Pittaluga, inviando a diversi soggetti interessati, tra cui organi di informazione la versione integrale, della relazione conclusiva, completa delle «raccomandazioni», previste dal già citato articolo 18, del decreto legislativo n. 162 del 2007 e ritenute necessarie per la prevenzione, in futuro, di eventi analoghi;
   nella lettera di trasmissione della relazione tecnica conclusiva, a firma del direttore dell'ufficio investigativo, inviata, nella sua versione censurata, all'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, per il seguito alle imprese ferroviarie ed ai gestori dell'infrastruttura, viene affermato che la stessa relazione è stata «mondata» di alcune partì ritenute non condivisibili dallo stesso direzione generale Pittaluga;
   la Commissione ministeriale è da considerarsi un organo indipendente ed altamente qualificato sotto il profilo tecnico, i cui membri sono prescelti da un apposito albo degli investigatori ministeriali, redatto a cura della stessa direzione generale, risulta agli interroganti quanto meno anomalo che il titolare del medesimo ufficio, a relazione depositata, possa intervenire e sindacare nel merito, addirittura censurandole, le risultanze tecniche frutto del lavoro d'indagine;
   pur senza entrare nel merito tecnico della correttezza delle complesse ed articolate indagini svolte, tenuto conto che gli estensori della relazione assumono la paternità e la piena responsabilità delle dichiarazioni ivi contenute, la facoltà di interferire sui risultati ufficiali di una commissione d'inchiesta, si pone in contrasto, ad avviso degli interroganti, con il principio di indipendenza dell'ufficio investigazioni, posto sotto la diretta responsabilità del Ministro, dalle gerarchie ministeriali;
   fortunatamente, nell'incidente di Bressanone, per una combinazione incredibilmente positiva di circostanze favorevoli, e pur se i danni al materiale rotabile ed alle infrastrutture sono stati ingenti, le conseguenze sulle persone si sono limitate al ferimento non grave dei due macchinisti;
   tuttavia, l'evento in sé risulta essere della massima gravità, tenuto conto che il treno deragliato ha invaso i marciapiedi della stazione, con il rischio di investire i viaggiatori presenti ed ha altresì invaso il binario attiguo occupandone la cosiddetta sagoma limite;
   risultano di immediata comprensione i rischi – concreti e reali – legati al deragliamento, per lo sfilamento delle ruote, di un treno merci, in un punto qualsiasi della rete ferroviaria, con il pericolo di invadere il binario attiguo e impattare su un treno di viaggiatori o di merci pericolose viaggiante in senso opposto o, addirittura, uscire dalla sede ferroviaria e impattare su strade o abitazioni;
   la relazione conclusiva della Commissione, frutto del lavoro d'indagine degli investigatori nominati dal competente ufficio ministeriale, ai sensi del citato decreto legislativo n. 162 del 1997, nella sua versione non censurata, individua le cause del disastro nelle modalità tecniche di esecuzione utilizzate dall'officina ZOS, incaricata delle manutenzioni, ritenute dalla Commissione inadeguate; la Commissione individua altresì, quali cause concomitanti dell'incidente, le istruzioni operative emanate dall'impresa responsabile del convoglio Obb TS, in qualità di committente per il montaggio delle ruote sulle assi, risultate anch'esse inidonee a garantire adeguati standard di sicurezza;
   da tali accertamenti derivano le dieci raccomandazioni finali della Commissione in materia di sicurezza, elaborate ai sensi dell'allegato V del più volte citato decreto legislativo n. 162 del 2007, anch'esse in parte ignorate, tanto che la comunicazione del Direttore Generale all'ANSF ne riporta solo quattro;
   presumibilmente, a causa delle divergenze che traspaiono da quanto sopra, le raccomandazioni in merito al ritiro dalla circolazione di alcuni assi ed al controllo straordinario delle condizioni di quelli riferibili a ZOS e OBB TS, pur note da tempo, sono state rese note solo il giorno 16 luglio 2014, data dell'emissione da parte dell'ANSF, tramite la nota n. 004938/2014, dell'allerta europea alle imprese ferroviarie ed agli altri organi comunitari competenti in materia di vigilanza sulla sicurezza ferroviaria;
   a seguito della suddetta comunicazione urgente, dall'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, è stato disposto, con effetto immediato, che tutte le imprese ferroviarie italiane non accettino, in composizione ai propri treni veicoli con le sale montate (ossia l'insieme di ruote e assili) indicate nelle nota medesima e gemelle di quelle lavorate dell'officina slovacca Zos sul treno deragliato a Bressanone;
   in conclusione, vi è il ragionevole dubbio che siano ancora in circolazione sulla rete ferroviaria nazionale e comunitaria treni con le criticità sopra descritte, con un rischio elevatissimo per la popolazione, poiché possibili fonti di deragliamenti e di sciagure analoghe a quella accaduta a Viareggio il 29 giugno 2009 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei gravissimi fatti riportati in premessa, con particolare riguardo agli attuali rischi per la sicurezza legati alla circolazione in Europa di rotabili soggetti a scalettamento, e se ritenga o meno ammissibile, e rispondente ai requisiti di efficacia, imparzialità e trasparenza, in qualità di responsabile diretto dell'ufficio investigazioni ferroviarie e del suo operato, la facoltà del direttore generale di interferire sui lavori svolti dalla Commissione indipendente d'inchiesta, tramite oscuramento di parte della relazione conclusiva sull'incidente di Bressanone e delle allegate raccomandazioni in materia di sicurezza, debitamente supportate da dati documentali. (5-03444)


   SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO, FERRARA e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 5 febbraio 2014 è avvenuto il crollo di un muro della villa d'Elboeuf, sita nei pressi del porto del Granatello a Portici, in provincia di Napoli;
   si tratta di un importante villa settecentesca, prima in ordine cronologico delle 122 ville vesuviane del Miglio d'Oro;
   il 26 aprile 2013 la villa, che versava in grave stato d'abbandono e decadenza, era stata venduta ad una cordata di imprenditori, che ne avrebbero dovuto curare il restauro sotto la sorveglianza della soprintendenza;
   le grandi scalinate d'accesso erano già in precedenza state depredate delle balaustre in marmo, e molti degli interni erano in rovina a causa di intemperie e dei numerosi incendi che negli anni hanno colpito la struttura;
   persino il tetto era crollato in diversi punti, mentre diverse pareti interne e molti locali erano stati abbattuti e sventrati in seguito ad atti di sciacallaggio mirati a depredarne il rame dei cavi elettrici;
   a quanto pare gli interventi dei privati non sono stati affatto tempestivi, ed il crollo del muro avvenuto a febbraio ha interessato anche la stazione Portici-Ercolano situata a pochi metri dalla villa, perché i resti sono finiti sui binari provocando l'interruzione della linea ferroviaria che da Napoli porta a Salerno e viceversa e creando dunque enormi problemi all'utenza;
   a distanza di mesi la stazione funziona solo per dare informazioni a turisti e pendolari, e non si sa quando i treni riprenderanno a passare;
   i detriti sono stati rimossi ormai da tempo, ma il problema attualmente sta nel fatto che nessuno può assicurare che le vibrazioni dei treni in corsa non danneggino ulteriormente la villa d'Elboeuf;
   Trenitalia ha strutturato un programma di circolazione alternativo: i treni regionali da e per Napoli e Salerno sono sostituiti con autobus tra Napoli e Torre Annunziata, mentre i treni regionali da e per Battipaglia e Sapri percorrono la cosiddetta Linea Monte del Vesuvio, senza fermate intermedie tra Napoli e Salerno;
   i treni metropolitani della tratta Formia-Napoli, piazza Garibaldi-Salerno e viceversa sono sostituiti con autobus tra Napoli e Torre Annunziata;
   l'orario di partenza e di arrivo degli autobus, per i quali non sono previste fermate a Pietrarsa e Santa Maria La Bruna varia in relazione al traffico stradale, privando gli utenti di ogni certezza;
   ciò costringe ogni giorno centinaia di persone a recarsi al lavoro con la propria automobile, con costi ben superiori e soprattutto aggravando i livelli di smog ed il traffico nel territorio vesuviano, di per sé già al collasso;
   a Torre Annunziata, per esempio, il blocco dei treni sta provocando gravissimi disagi, sia per l'impossibilità di usufruire del servizio per l'utenza che raggiungeva la stazione di Torre Centrale dai paesi limitrofi vesuviani e dalla costiera sorrentina, sia perché il piazzale antistante la stazione è diventato di fatto luogo di sosta per i bus sostitutivi che fanno da navetta con Napoli e Salerno, e che, attraversando tutta la zona urbana, causano un evidente peggioramento dei livelli d'inquinamento cittadino;
   chi non usa l'automobile per ovviare alla situazione è costretto a servirsi della Circumvesuviana, già al collasso per carenza di fondi, mezzi e personale, e che quindi non riesce a garantire un numero di corse (ed una puntualità delle stesse) tale da smaltire in maniera efficiente l'enorme quantità di persone che ogni giorno sceglie di utilizzarla per spostarsi;
   nei mesi sono stati fatti svariati incontri tra comune, regione Campania, soprintendenza ai beni culturali, Rete ferroviaria italiana e società proprietaria di villa d'Elboeuf, ovvero la Inv Est srl;
   Rete ferroviaria italiana avrebbe voluto pagare da sola i lavori e poi chiedere il conto alla Inv Est, ma quest'ultima ha fatto ricorso al Tar, bloccando ogni ipotesi sul nascere;
   secondo i legali della società, infatti, bisognerebbe prima comprendere con esattezza i motivi del crollo, anche perché a loro modo di vedere a colpa sarebbe proprio della società del gruppo Ferrovie dello Stato, che avrebbe impiantato dei tralicci a contatto con le mura della villa, minandone la stabilità;
   i fatti sono riportati, tra gli altri, anche nell'articolo dal titolo «Portici. Binari proibiti per rischio crolli a villa d'Elboeuf, le Ferrovie chiedono i danni» pubblicato dall'edizione online de «Il Mattino» del 28 febbraio 2014 e nell'articolo dal titolo «Portici. Il caso Villa d'Elboeuf. Crollo sui binari, ferrovia off-limits da quattro mesi» pubblicato dal quotidiano di informazione online «Positano News» il 5 giugno 2014 –:
   quali iniziative per quanto di competenza, il Ministro intenda assumere per velocizzare i tempi di riapertura e ripristino delle linee ferroviarie coinvolte, anche alla luce dell'aggravio economico sulle casse dello Stato per la necessità di fornire il programma di circolazione alternativo e su studenti e lavoratori pendolari che da oltre cinque mesi sono costretti a trovare modalità alternative e certamente più dispendiose per recarsi sui luoghi di studio e/o di lavoro. (5-03445)


   CATALANO e BRUNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 68, comma 4, del codice della strada stabilisce che «con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sono stabilite le caratteristiche costruttive, funzionali nonché le modalità di omologazione dei velocipedi a più ruote simmetriche che consentono il trasporto di altre persone oltre il conducente»;
   risulta all'interrogante che, a oggi, non sia stata data attuazione alla predetta norma;
   in Italia esistono diverse imprese di costruzione di velocipedi a più ruote simmetriche, alcune internazionalmente note;
   risulta opportuno, al fine di garantire la sicurezza della circolazione, definire, sulla base di analisi condotte con rigorosa metodologia tecnico-scientifica, caratteristiche costruttive, funzionali nonché le modalità di omologazione dei velocipedi a più ruote simmetriche che consentono il trasporto di altre persone oltre il conducente –:
   come sia stata data esecuzione al comma 4 dell'articolo 68 del codice della strada, ovvero come il Governo intenda intervenire per dare attuazione al suddetto articolo. (5-03446)


   BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il territorio Ligure, e quello Nazionale, attendono da decenni la realizzazione di due importanti infrastrutture quali il Terzo Valico e la Gronda Autostradale di Genova;
   tali interventi, al centro di dibattiti da decenni, sono ormai considerati necessari per lo sviluppo della regione Liguria, in primis, e per tutto il nord destinato a divenire, una volta terminate, il più grosso centro logistico europeo;
   ormai da decenni assistiamo a «ripensamenti» sia sui tracciati che sul finanziamento di tali opere che, inevitabilmente, ne minano l'avanzamento;
   alcune di tali vicende risalgono a meno di un anno fa quando il 18 marzo 2013 il Cipe ha deliberato lo «storno», a favore di Ferrovie, di 240 milioni di euro dal finanziamento del secondo lotto del Terzo Valico, per fronteggiare spese di manutenzione della rete ferroviaria nazionale;
   nell'ultima bozza del 2013 del decreto «fare Italia» l'articolo 18, definito «sblocca cantieri», attinge quota delle risorse dagli accantonamenti destinati al terzo Valico dei Giovi per 50 milioni nel 2013, 189 milioni nel 2014, 274 milioni nel 2015 e 250 milioni nel 2016;
   in sede di conversione del cosiddetto «decreto emergenze» approvato il 21 giugno 2013 al comma 2 dell'articolo 7-ter reca uno stanziamento decennale di 120 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2024, per il finanziamento degli investimenti relativi alla rete infrastrutturale ferroviaria nazionale, prevedendo che lo stanziamento venga attribuito con delibere del CIPE, con priorità agli interventi per la realizzazione, tra l'altro, del terzo valico dei Giovi;
   il 18 giugno 2013, in IX Commissione, a margine delle suddette vicende il Ministro Lupi rimarcava l'importanza di tale opera e la volontà del Governo di sostenerne la realizzazione;
   attualmente i cantieri per il Terzo Valico impiegano 1.00 persone che sono destinate a diventare circa 4.000 per coprire tutto il tracciato ed il Cociv sta procedendo all'emissione dei bandi di gara pubblica per le opere principali ed i 2,1 miliardi attualmente bloccati sono la liquidità necessaria per procedere alla realizzazione dei successivi lotti;
   il 25 luglio 2014 il Ministro Lupi ha visitato i cantieri del Terzo Valico per verificarne l'avanzamento ed in quella sede ha espresso alcune criticità in merito al finanziamento della Gronda;
   nel 2002 viene redatto il IVo Atto Aggiuntivo dove si elencano gli impegni del gestore della rete autostradale con lo Stato e l'impegno di quest'ultimo a riconoscere un adeguamento tariffario come ritorno per gli investimenti;
   nel 2004 vengono elencati tutti gli interventi che Autostrade per l'Italia si impegna a realizzare e tra questi vi è il Nodo Stradate ed Autostradale di Genova, ovvero la Gronda; nel 2008 tale documento viene implementato arrivando ad un impegno complessivo pari a 21 miliardi di euro di opere che il gestore si impegna a realizzare entro il 2024, circa 15 anni prima della scadenza della concessione, prevista per il 2038, di modo da garantirne il ritorno degli investimenti;
   gli Amministratori della Regione Liguria, a seguito delle dichiarazioni del Ministro, chiedono un incontro per avere certezze sulla realizzazione delle opere, tale incontro non ha avuto luogo;
   a seguito del mancato incontro segue un comunicato del Ministro nel quale si afferma che la Gronda di Genova è considerata strategica esattamente quanto il Passante di Bologna, e in quanto tale inserita nell'Allegato Infrastrutture che accompagna la Legge di Stabilità;
   il 2 agosto 2014 il Governo Renzi annuncia il decreto «Sblocca Italia» in cui, oltre alle risorse per il Terzo Valico, tornano le risorse per la Gronda Autostradale di Genova;
   il 6 agosto 2014 si apprende che per mancanza di coperture le due opere, Terzo Valico e Gronda, sono depennate dall'elenco delle opere che il Governo si impegna a finanziare –:
   se intenda assumere tutte le iniziative necessarie per mettere in sicurezza la realizzazione dei lavori dell'opera del Terzo Valico da eventuali arresti o ritardi, nell'ambito di una politica complessiva della mobilità e dei trasporti per Genova e per il territorio ligure che superi, attraverso il reperimento delle necessarie risorse, i gravissimi problemi relativi alla congestione del traffico su gomma.
(5-03447)


   TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Gronda di Ponente è un'opera essenziale per la valorizzazione e lo sviluppo del Porto di Genova;
   è un'infrastruttura prioritaria che deve essere realizzata in tempi brevi, a servizio del porto e dell'area metropolitana di Genova, dove la confluenza delle autostrade A7, A10, A12, e A2 6 determina elevati livelli di congestione per il traffico merci del porto di Genova, nonché per il traffico cittadino, pendolare e turistico della riviera ligure;
   l'opera è stata inserita nel primo programma delle infrastrutture strategiche (Legge n. 443 del 2001 – Legge Obiettivo) ed è stata poi recepita nel IV Atto Aggiuntivo del 2004;
   in data 8 febbraio 2010, è stato sottoscritto da tutti gli Enti interessati il Protocollo d'Intesa, che ha definito gli indirizzi e i criteri delle opere da realizzare; all'inizio del 2011 Autostrade per l'Italia ha ultimato il Progetto Definitivo delle opere, nell'aprile dello stesso anno tramesso all'ANAS per la validazione tecnica; il 26 luglio 2011 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha espresso parere favorevole; tra ottobre e novembre 2013 i Ministri dell'ambiente e dei beni culturali hanno espresso parere favorevole sulla valutazione di impatto ambientale;
   occorre rendere coerente il costo di investimento della Gronda di Ponente, e quanto previsto dalla convenzione ANAS/ASPI;
   dal 1o gennaio 2014 si riscontrano forti rincari dei pedaggi autostradali, con un incremento medio delle tariffe del 3,9 per cento, con punte elevatissime in alcune tratte; gli aumenti risultano ben superiori al tasso di inflazione, del 1,3 per cento in media, nel 2013, uno dei valori più bassi degli ultimi anni;
   l'aumento dei pedaggi si aggiunge a rincari dell'ordine del 16,7 per cento nell'ultimo quinquennio, contestualmente alla grave crisi economica e all'aggravio della pressione fiscale, con un andamento prociclico delle tasse, delle tariffe e dei prezzi amministrati;
   tali incrementi dei pedaggi nella regione Liguria rischiano di ripercuotersi negativamente sui prezzi di trasporto e quindi sul sistema produttivo, sui servizi, sui pendolari, sul turismo e sulla competitività dell'intero territorio;
   l'incremento dei pedaggi ha pesanti ricadute sul costo del trasporto delle merci; in Italia – ad oggi – il costo su strada delle merci, ben superiore alla soglia di 1,5 euro a chilometro, è il più alto d'Europa; questo penalizza in modo grave il porto di Genova, che ha un ruolo strategico nel sistema dei porti italiani e nell'intera rete intermodale di trasporto;
   in relazione allo sviluppo del porto e al collegamento con i corridoi europei riveste altresì un ruolo essenziale il «terzo valico dei Giovi», che rappresenta un'opera fondamentale, già finanziata per i primi due lotti costruttivi;
   dagli organi di stampa sono state diffuse notizie che annunciano che nel decreto-legge cosiddetto «Sblocca Italia», che il Governo si accinge a varare, non è previsto il finanziamento del terzo lotto, finanziamento necessario da subito per evitare il blocco dei cantieri avviati –:
   come il Governo intenda affrontare i gravi problemi relativi al sistema logistico e dei trasporti della città di Genova e dell'area ligure, per quanto concerne sia l'esigenza di assicurare il finanziamento e la realizzazione del Terzo Valico dei Giovi, sia la necessità di superare la congestione del traffico merci connesso al porto di Genova e del traffico cittadino, pendolare e turistico. (5-03448)


   OLIARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Terzo Valico dei Giovi rappresenta un'opera fondamentale della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T), in particolare nell'ambito del corridoio plurimodale tirrenico Nord Europa, e un collegamento strategico alta velocità-alta capacità tra Genova e Milano; con il Terzo valico dei Giovi si realizza, inoltre, un valico con una galleria di 39 chilometri, che consente, tra l'altro, al porto di Genova di interagire con la rete europea;
   il Programma delle infrastrutture strategiche, aggiornato in ottobre 2013 con la nota di variazione al documento di economia e finanza, prevedeva la realizzazione del Terzo Valico dei Giovi, in base ad una definita sequenza di lotti costruttivi;
   dal lungo elenco di grandi opere finanziate dal decreto Sblocca Italia vengono bloccati a sorpresa i maxi-finanziamenti per la gronda autostradale e per il terzo valico ferroviario dopo le recenti garanzie date dal Ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi al presidente della regione Claudio Burlando;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi ha visitato venerdì 25 luglio a Genova i cantieri del Terzo Valico ferroviario sottolineando come permetterà il collegamento tra il «Mediterraneo e i mari del Nord portando le regioni d'Italia nel cuore dell'Europa;
   il Terzo Valico non è un'opera ancora da realizzare, ma un'opera che al momento dà lavoro a centinaia di operai e tecnici in virtù di due lotti costruttivi già finanziati (il primo da 500 milioni, il secondo da 1,1 miliardi). I 2,1 miliardi, al momento bloccati, rappresentano la liquidità necessaria a sostenere i lotti successivi ed è davvero paradossale interrompere un flusso già avviato –:
   cosa intende fare il Governo per sbloccare il finanziamento relativo al Terzo Valico, trattandosi di un'opera già iniziata ed indispensabile per la rete ferroviaria oltreché strategica per il nostro Paese, e per affrontare la problematica relativa alla congestione del traffico sulla rete autostradale del nodo di Genova.
(5-03449)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la nuova linea di alta velocità Treviglio-Brescia farà il suo ingresso nella città di Brescia;
   vi sarà un quadruplicamento dei binari tra Milano e Brescia, la capacità dell'infrastruttura ferroviaria aumenterà creando i presupposti per l'incremento dell'offerta di trasporto da e per la città di Brescia;
   la tratta si innesterà nel nodo ferroviario attraverso l'interconnessione Brescia Ovest, lunga 11,7 chilometri ed il successivo tracciato urbano di 6,9 chilometri in affiancamento alla linea già esistente fino alla stazione di Brescia;
   la stazione di Brescia sarà riqualificata entro la fine del 2015, con il raddoppio dei binari, da 2 a 4, e la realizzazione di un nuovo sottopasso;
   numerosi saranno i cantieri che verranno aperti nei prossimi mesi anche in altre zone della città: tra i più critici vi sono, ad esempio, i sovrappassi di via Dalmazia e via Corsica per i quali sono prevedibili numerosi disagi per i cittadini oltre che evidenti penalizzazioni per le attività commerciali ed imprenditoriali delle zone interessate –:
   se il Governo intenda assumere delle iniziative straordinarie temporanee, anche normative, come la cancellazione dell'Imu, in favore di tutte le attività commerciali ed imprenditoriali della città di Brescia penalizzate dai disagi per i lavori dei cantieri della nuova linea di alta velocità Treviglio-Brescia. (4-05797)


   BORGHESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con precedente interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-01205 il Ministro ribadiva la volontà di giungere nei più brevi tempi tecnicamente occorrenti alla realizzazione dell'autostrada della Valle Trompia, a beneficio dei territori che la stessa andrà a servire;
   ANAS spa ha reso noto di aver ottenuto, da parte dei proprietari di aree necessarie alla realizzazione del raccordo autostradale tra la A4 e la Valle Trompia, l'accordo per l'acquisizione delle relative aree;
   ad oggi questa opera risulta essere prioritaria in quanto tutto il territorio della Valle Trompia sopporta danni gravissimi, ambientali, sociali ed economici, a causa della congestione del traffico sull'unica strada che attraversa la Valle;
   la necessità di adeguare le infrastrutture della Valle è una primaria esigenza sia per i cittadini sia per le imprese che, con fatica, cercano di affrontare al meglio le sfide economiche attuali e future;
   si tratta di una valle operosa dal punto di vista produttivo che già rischia di soccombere a causa della grave crisi economica e che viene maggiormente penalizzata per la mancanza di collegamenti alternativi che consentano una mobilità adeguata alle quotidiane esigenze;
   i cittadini aspettano da anni la realizzazione del tratto autostradale della Valle Trompia, progetto quest'ultimo già previsto, approvato e finanziato da tempo, che, tuttavia, non riesce a partire per motivi indipendenti dal territorio;
   i ritardi registrati per la realizzazione della nuova infrastruttura mettono in grave crisi anche le amministrazioni locali per la persistenza dei vincoli urbanistici presenti sul territorio –:
   se il Ministro intenda confermare l'importanza prioritaria della realizzazione di questa infrastruttura, fondamentale per uno dei territori più produttivi del Paese, e se intenda chiarire quale sia ad oggi lo stato di avanzamento del complesso iter procedurale al fine di dare al territorio interessato prospettive certe nei modi e nei tempi di esecuzione. (4-05798)


   GALATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il problema dello smarrimento dei bagagli dei passeggeri è una condizione di notevole disagio che risulta altamente diffusa in tutta Europa. Si stima infatti che negli aeroporti europei si perdono sette bagagli ogni minuto;
   il trasporto aereo italiano non è esente da tale problematica, che peraltro si manifesta con particolare frequenza nelle tratte relative ai voli nazionali con partenza o destinazione da e per l'aeroporto di Roma Fiumicino ed ha interessato recentemente in misura frequente la tratta Roma Fiumicino — Lamezia Terme;
   il fenomeno ha registrato un trend crescente in considerazione degli incrementi dei volumi delle rotte aeree, relativi ai voli nazionali ed internazionali che hanno registrato gli aeroporti italiani negli ultimi anni in considerazione dei sempre più elevati livelli di competitività e concorrenza tra operatori del settore, che hanno determinato quale effetto quello dell'emersione di una sorta di pendolarismo economicamente sostenibile;
   con riferimento ai principali aeroporti italiani ed in considerazione delle sempre più frequenti situazioni di disagio registrate e collegate ai frequenti smarrimenti dei bagagli da stiva, è possibile evincere come però, allo sviluppo del traffico aereo nazionale ed internazionale ed alla crescita della mobilità aerea nel settore dei trasporti, non sembra essersi ad oggi affiancato un processo di adeguamento strutturale ed organizzativo sufficientemente responsabile ed operativo nella gestione dei servizi di trasferimento ed imbarco della medesima categoria di bagagli;
   una situazione di disagio ormai cronica ed insita nel sistema aeroportuale nazionale che deve essere necessariamente contrastata, in specie se considerata l'attitudine di un simile evento a configurarsi quale forte elemento di stress per i passeggeri che vi incorrono;
   appare opportuno evidenziare come, secondo giurisprudenza ormai consolidata, lo smarrimento del bagaglio in aeroporto si qualifica infatti a tutti gli effetti quale evento dannoso la cui responsabilità, sotto il profilo strettamente colposo, è da attribuirsi al vettore, ai sensi degli articolo 1681 e 1693 del codice civile. Oltre al danno misurabile, cagionato al passeggero del velivolo proprietario del bagaglio smarrito e coincidente con il valore del contenuto del bagaglio, occorre considerare, ed appare maggiormente rilevante, il danno da stress che viene a determinarsi all'insorgere di simili circostanze, la cui entità resta da quantificare di volta in volta mediante apposite e specifiche procedure di accertamento giudiziale e risarcimento;
   per ciò che concerne l'aeroporto internazionale di Lamezia Terme, inoltre, il sussistere di una simile situazione di disagio o della stessa probabilità del suo verificarsi si configura quale elemento suscettibile di determinare impatti negativi sul turismo della regione, settore fondamentale che rappresenta una voce vitale per l'economia del territorio, che come è noto ha risentito pesantemente e risulta già fortemente penalizzato dagli effetti dirompenti della crisi economica internazionale degli ultimi anni;
   al fine di favorire la serena ed armonica prosecuzione delle attività economiche di questo settore, vitale per l'economia regionale, appare opportuno rimuovere o contrastare simili situazioni di disagio che attualmente si registrano in misura significativa nell'ambito dei collegamenti aerei e del sistema aeroportuale regionale, di cui Lamezia Terme rappresenta il polo principale –:
   quali misure il Ministro interrogato ritenga di poter avviare al fine di promuovere una maggiore responsabilità nella gestione delle procedure di imbarco dei bagagli da stiva negli aeroporti nazionali ed internazionali;
   quali interventi ritenga di poter adottare per garantire il diritto dei passeggeri a procedure di imbarco dei bagagli sicuri ed agevoli;
   entro quali termini si ritenga di poter rimuovere le circostanze che attualmente penalizzano particolarmente l'utenza dell'importante aeroporto del Sud di Lamezia Terme. (4-05813)


   PRATAVIERA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Tar del Veneto ha rinviato al primo ottobre 2014 la decisione sull'ordinanza della capitaneria di porto di Venezia che limita il passaggio delle grandi navi da crociera nel bacino di San Marco;
   l'ulteriore rinvio a ottobre 2014 della decisione del Tar prolunga una situazione di grave incertezza che perdura da circa due anni nei confronti delle compagnie crocieristiche;
   il Paese è esposto con una pessima figura davanti all'opinione pubblica mondiale;
   la situazione, che non si sta risolvendo, può avere riflessi negativi sugli investimenti non solo delle attività portuali ma anche di quelle aeroportuali, strettamente collegate e alimentate con l'arrivo delle navi da crociera; all'interrogante infatti risulta che alcune compagnie aeree internazionali siano pronte ad abbandonare lo scalo veneziano proprio a causa dell'abbandono dello scalo veneziano da parte degli armatori delle navi da crociera;
   l'attività dell'aeroporto di Venezia, con un traffico di circa 8 milioni di passeggeri annui, che salgono per il futuro a 12 milioni secondo il piano di sviluppo aeroportuale, è fondamentale a livello occupazionale, per l'indotto e per la stessa sopravvivenza delle attività commerciali e turistiche della città –:
   se il Ministro non ritenga che un divieto all'arrivo delle grandi navi da crociera a Venezia non possa avere riflessi negativi sull'occupazione, sull'attività dell'aeroporto di Venezia e sull'indotto e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere in merito. (4-05814)


   FEDRIGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dalla fine di luglio 2014 sui treni regionali in servizio fra le regioni del Veneto e del Friuli Venezia Giulia (linee Venezia-Trieste via Udine e via Portogruaro) si sta verificando una inaudita azione concordata fra Trenitalia e la regione Friuli Venezia Giulia;
   al passaggio del confine regionale Veneto/Friuli, in corrispondenza dell'ultima stazione, il capotreno intima ai passeggeri di liberare alcune carrozze e di trasferirsi in altre dello stesso treno, sgomberando tutte le eventuali persone e cose (bambini, bagagli, ogni altra pertinenza e altro); e questo indipendentemente dalle condizione di carico, anche quando i passeggeri fossero costretti a proseguire il viaggio in piedi stipati nelle uniche carrozze lasciate aperte;
   la incredibile ragione di questa iniziativa, che non ha precedenti in queste regioni ma nemmeno in tutta Italia, dipende dalla posizione assunta dalla regione Friuli Venezia Giulia, che ha stabilito di non volersi assumere l'onere di treni di più di sei carrozze, indipendentemente dall'affollamento delle stesse e dalle necessità dei viaggiatori;
   il ridicolo si raggiunge perché questi treni sono comunque dotati di un numero superiore di carrozze già pagate dalla regione Veneto che ritiene così di andare incontro al sovraffollamento delle tratte nel proprio territorio;
   su questo presupposto, la regione Friuli Venezia Giulia avrebbe aperto un contenzioso con Trenitalia per evitare di contribuire ai costi delle carrozze superiori al numero di sei, stabilito dalla regione a giudizio dell'interrogante arbitrariamente;
   l'incapacità dei soggetti coinvolti (da un lato il gestore del servizio Trenitalia, ma dall'altro in particolare la regione guidata da Deborah Serracchiani, responsabile nazionale dei trasporti del principale partito di Governo) di individuare una soluzione sensata all'interno del contratto di servizio, o nelle compensazioni fra le due regioni, o nel bilancio regionale del Friuli, sta manifestandosi in questa pratica secondo l'interrogante grottesca dove, per ogni corsa, al confine regionale alcune carrozze vengono sgomberate e chiuse dal personale di Trenitalia, con spreco di tempo e accumulo di ritardi per una operazione che non produce nessun risparmio, poiché il treno continua a viaggiare con lo stesso numero di carrozze che non vengono sganciate e restano assurdamente vuote;
   a fare le spese, in questa situazione paradossale creatasi fra regione Friuli e Trenitalia, sono i passeggeri che, anziché essere considerati al centro del servizio vengono invece trattati come «merce di scambio» (da sfollare da una carrozza all'altra nella confusione generale) per regolare meri rapporti economici e contrattuali;
   si sta offendendo la dignità dei passeggeri, in violazione di diritti sanciti da direttive comunitarie e leggi nazionali e regionali, manifestati nelle carte della mobilità del gestore e ribaditi nei contratti di servizio;
   si sta offrendo una squallida immagine ai numerosissimi turisti presenti sui treni in questo periodo estivo, i quali vengono ad avviso dell'interrogante insensatamente, costretti a cambiare carrozza;
   si costringerà i pendolari, studenti e lavoratori, forse oggi in vacanza, a viaggiare in piedi alla ripresa autunnale delle attività;
   si sta ad avviso dell'interrogante denigrando il buon nome della regione Friuli, perché il personale a bordo si giustificherebbe per la chiusura delle carrozze sostenendo che avviene a causa del fatto che «il Friuli Venezia Giulia non paga»;
   la contribuzione regionale quale compensazione di obblighi di servizio del gestore non è legata unicamente e solo all'utenza dei propri cittadini, ma all'erogazione di un servizio «universale» a cui chiunque in regola con il pagamento del biglietto può accedere indistintamente (siano essi friulani, veneti, italiani o stranieri);
   la regione di Deborah Serracchiani ha creato un caso unico per questa particolare circostanza (che dimostra di non privilegiare un normale servizio reso ai passeggeri) e si è arroccata in uno scontro con Trenitalia capzioso, che non trova riscontro rispetto ad altri numerosi disservizi, soppressioni e ritardi già lamentati in precedenti circostanze, e per i quali invece non è stata definita alcuna azione risolutiva con il gestore del trasporto pubblico locale ferroviario;
   sono state da tempo annunciate le nuove gare per i servizi di trasporto pubblico locale nella regione, che sono in procinto di essere bandite; lo scontro di cui sopra potrebbe influire sull'assegnazione degli stessi servizi ferroviari;
   ci si auspica che il modello attualmente imposto al gestore dalla regione Friuli Venezia Giulia, governata dalla responsabile nazionale dei trasporti del principale partito di Governo, non sia quello che sarà adottato in tutte le altre regioni italiane;
   la pratica posta in atto fra Trenitalia e la regione Friuli Venezia Giulia non appare giustificabile come modello di gestione del servizio, tenuto conto dei diritto dei passeggeri ad un servizio di trasporto civile –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di assumere urgentemente ogni iniziativa di competenza per ristabilire condizioni normali di fruizione del servizio e per la tutela dei diritti degli utenti di servizi universali, facendo cessare condotte in contrasto con gli interessi degli utenti e ristabilendo condizioni da Paese civile per l'erogazione del servizio, se del caso segnalando la questione all'Autorità di regolazione dei trasporti. (4-05815)


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la situazione del trasporto pubblico locale ferroviario nella regione siciliana da molti anni soffre di una gestione inadeguata, risultato di un servizio scadente offerto dal gestore Trenitalia e, dall'altro lato di quella che all'interrogante appare una mancanza di volontà o di capacità da parte del soggetto titolare del servizio e di esso responsabile, la regione siciliana;
   in molte stazioni non principali, tra cui Patti (ME), anche la gestione della stazione ferroviaria è quantomeno discutibile e fonte di disagi per i viaggiatori che di fronte alla frequentissima chiusura della biglietteria sono costretti ad avvalersi quasi esclusivamente delle poche biglietterie automatiche disponibili e spesso fuori servizio;
   in alcune tratte, ad esempio la Messina-Palermo, come segnalato da molti passeggeri esasperati, il servizio non raggiunge lo standard minimo per un paese civile: numero di carrozze palesemente insufficiente, vetture sporche, fatiscenti, surriscaldate, sovraffollate, che costringono a viaggiare in piedi bambini, anziani, persone in difficoltà;
   la regione avrebbe tutto il titolo ma anche l'obbligo di agire contro il gestore per garantire un servizio pubblico accettabile;
   a fare le spese delle mancanze e delle inefficienze di regione e gestore sono i passeggeri che, anziché essere considerati al centro del servizio, vengono invece trattati come merce;
   questo offende la dignità dei passeggeri, in violazione di diritti sanciti da direttive comunitarie e leggi nazionali e regionali, manifestati nelle carte della mobilità del gestore e ribaditi nei contratti di servizio;
   si produce un danno economico ed ambientale, offrendo una squallida immagine ai numerosissimi turisti presenti sui treni in questo periodo estivo e favorendo la scelta dei pendolari di usare al posto del mezzo pubblico auto private  –:
   se il Ministro non ritenga di intervenire urgentemente per quanto di competenza, nei confronti di Trenitalia per ristabilire condizioni normali di fruizione del servizio e per la tutela dei diritti degli utenti di servizi universali in modo da far cessare una modalità di gestione del servizio in contrasto con gli interessi degli utenti. (4-05816)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   al termine di un'indagine durata tre anni e condotta dalla Guardia di finanza, il 2 agosto 2014 è stata chiusa e smantellata un'azienda di Portogruaro dedita alla produzione di documentazione falsa da utilizzare per chiedere il rilascio di permessi di soggiorno;
   il provvedimento di chiusura è stato adottato dal gip territorialmente competente, che ha altresì ordinato l'arresto di due cittadini marocchini, rispettivamente titolare della ditta individuale responsabile della produzione della documentazione falsa e relativo aiutante, mentre un cittadino di Portogruaro, revisore contabile nella stessa società, è stato sottoposto all'obbligo di firma quotidiana;
   sono state altresì denunciate a piede libero oltre cento persone, quasi tutte di nazionalità marocchina, per aver presentato a varie questure d'Italia – quelle di Brescia, Napoli, Roma e Venezia – la documentazione falsa ottenuta dall'azienda appena chiusa, sostenendo di essere in possesso di un contratto di lavoro a tempo determinato o indeterminato in realtà inesistente –:
   se il Governo ritenga o meno isolati i fatti generalizzati nella premessa occorsi a Portogruaro;
   in che modo il Governo intenda eventualmente accertarsene;
   in seguito alle indagini condotte dalla Guardia di finanza sull'azienda di Portogruaro appena chiusa, se il Governo non ritenga opportuno promuovere una vasta verifica, anche a campione, dell'effettiva sussistenza dei rapporti di lavoro sulla base dei quali è stato concesso il permesso di soggiorno ai migranti extracomunitari negli ultimi cinque anni. (4-05787)


   NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Monica Sabatino, al cui nome era collegata la lista «Rosa Arcobaleno», è stata eletta sindaco di Amantea (Cosenza) alle ultime consultazioni amministrative del 25 maggio 2014;
   il di lei padre, Giuseppe Sabatino, è responsabile del settore finanziario del comune di Amantea e vicesegretario generale dell'ente;
   l'incarico di vicesegretario generale fu conferito al Sabatino con delibera di giunta municipale del 16 gennaio 1992, senza alcuna interruzione del medesimo, come risulta da apposito documento, protocollo n. 12095 del 25 luglio 2014, rilasciato dal segretario generale del comune di Amantea, dottoressa Maria Luisa Mercuri, al consigliere comunale in carica Francesca Menichino, del Movimento Cinque Stelle;
   nella veste di segretario generale vicario e quindi di notaio del comune di Amantea, il Sabatino – figura in atti del municipio – ha firmato diversi contratti e verbalizzato consigli e giunte comunali, esercitando in costanza temporale le funzioni proprie del ruolo, sia in assenza del segretario generale titolare che durante la cessazione della convenzione «Segreteria comunale Comuni di Amantea, Falerna, Cleto e San Lucido», costituita dal comune di Amantea con deliberazione consiliare del 21 novembre 2013, che prevedeva un unico segretario generale per tutti gli enti sottoscrittori, rimanendo sempre in carica, per il municipio di Amantea, il vicesegretario generale Sabatino;
   il comune di Amantea prese atto della suddetta cessazione con deliberazione del consiglio comunale del 17 aprile 2014, presieduto da Monica Sabatino nella sua veste di presidente dell'organismo municipale;
   il 25 aprile 2014 è iniziata ad Amantea la campagna elettorale per il rinnovo degli organi di governo locale;
   con proprio decreto del 22 maggio 2014, il prefetto di Catanzaro prese atto della stipula di nuova convenzione di segreteria comunale unica, sottoscritta dai comuni di Falerna (Catanzaro), Amantea e Cleto (Cosenza) in data 5 maggio 2014;
   la deliberazione n. 70 del 14 maggio 2014, avvenuta in vacatio del segretario generale Mercuri, conseguente all'avvenuta cessazione del riferito accordo fra comuni, porta espressamente la firma di Giuseppe Sabatino quale «segretario generale» del comune;
   la candidata Monica Sabatino, proprio a seguito dell'esame di eleggibilità e di compatibilità degli eletti di cui alla deliberazione consiliare n. 12 del 10 giugno 2014, ha potuto assumere le funzioni di sindaco del comune di Amantea;
   nella fattispecie, a parere dell'interrogante si ravvisa in tutta evidenza la violazione dell'articolo 61, comma 1, n. 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Tuel), che stabilisce che non può essere eletto alla carica di sindaco chiunque abbia «ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che coprano nelle rispettive amministrazioni il posto di segretario comunale o provinciale»;
   la ratio della predetta norma sta nell'escludere a priori eventuali alterazioni del fatto democratico delle elezioni, che potrebbero derivare da parenti o affini di secondo grado che ricoprano il ruolo di segretario generale;
   nel rispondere all'esposto del consigliere comunale Menichino, del Movimento Cinque Stelle, la prefettura di Cosenza, con nota del 24 luglio 2014, ha significato che la norma di cui all'articolo 61, comma 1, n. 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Tuel), abbisogna di verifica «delle situazioni di fatto riscontrate presso gli enti locali», così rivolgendosi al Ministero dell'interno per un parere di merito;
   dagli atti che l'interrogante ha potuto visionare non vi è dubbio alcuno sul fatto, riscontrato e riscontrabile, che Giuseppe Sabatino, padre dell'eletto sindaco Monica Sabatino, abbia esercitato dal 1992 le funzioni di segretario generale del comune di Amantea, in particolare non da vicario ma da effettivo facente funzioni nel suddetto periodo di vacatio del segretario generale titolare Maria Luisa Mercuri –:
   se non ritenga di promuovere con urgenza l'azione ex articolo 70 del decreto legislativo n. 267 del 2000, affinché sia riconosciuta l'ineleggibilità di Monica Sabatino alla carica di sindaco di Amantea, per violazione dell'articolo 61, comma 1, n. 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Tuel). (4-05796)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi 15 anni, le attività commerciali del signor Luigi Leonardi e della sua famiglia hanno vissuto, nella provincia di Napoli, continui e gravissimi problemi a causa delle reiterate richieste estorsive da parte della criminalità organizzata. Tutto ciò, negli anni, ha condotto al ripetuto fallimento di tali attività e a grosse problematiche finanziarie per il signor Leonardi e la sua famiglia;
   da alcuni anni la ribellione del signor Leonardi nei confronti di questo tipo di richieste ha portato una serie di conseguenze molto pesanti sulla sua vita personale, nonché a continue minacce molto gravi più volte denunciate dallo stesso Leonardi;
   in particolare, in data 2 novembre 2009 è stato appiccato il fuoco nei locali della società «Lucignolo Illuminazioni» di cui il signor Leonardi era l'amministratore di fatto;
   i signori C. e Leonardi depositavano in data febbraio 2010 una richiesta di accesso al fondo anti-racket. Tale richiesta veniva rigettata con decreto n. 400 del 2012;
   il signor Leonardi, il 30 luglio 2014, ha pertanto ripresentato istanza al Commissario straordinario di Governo per il coordinamento delle iniziative anti-racket ed antiusura affinché il decreto di rigetto n. 400 del 2012 venga riesaminato e sia disposto l'accesso del signor Leonardi al Fondo di solidarietà per le vittime del racket e dell'usura per un importo pari al danno subito quantificato e affinché venga altresì autorizzata la corresponsione di una provvisionale pari al 70 per cento del danno subito in conseguenza del fatto delittuoso avvenuto in data 2 novembre 2009 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto evidenziato in premessa;
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso assumere provvedimenti a tutela della incolumità del signor Leonardi e dei suoi familiari e se la richiesta di accesso al fondo di solidarietà per le vittime del racket e dell'usura non sia meritevole di accoglimento. (4-05809)


   PIAZZONI e CHAOUKI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 26 luglio Mouhamed A., cittadino algerino e Semeh N., cittadino tunisino, detenuti nel centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria (Roma) hanno messo in atto uno sciopero della fame cucendosi le labbra con un filo di rame per protestare contro le condizioni di detenzione;
   non è la prima volta che i migranti reclusi nel centro di Ponte Galeria denunciano l'inadeguatezza del struttura e i lunghissimi tempi di attesa attuando questa forma di protesta: già il 21 dicembre 2013 oltre dieci migranti avevano messo in pratica uno sciopero della fame cucendosi le labbra, azione ripetuta poi il 26 gennaio seguente;
   in data 1o agosto la prima firmataria del presente atto, assieme a una rappresentante della campagna «LasciateCIEntrare», effettua una visita presso la struttura di Ponte Galeria e, dopo ore di attesa, riesce in tarda serata ad avere un colloquio con i due migranti. Questi ultimi appaiono in precarie condizioni di salute e molto debilitati dalla protesta. Durante il colloquio Semeh N. riferisce di essere in attesa dell'udienza di convalida dell'espulsione amministrativa;
   secondo quanto denunciato dalla campagna «LasciateCIEntrare» il giorno seguente, 2 agosto, nei confronti di Semeh N. vengono avviate le procedure di rimpatrio. Lo stato di salute del migrante ed il rifiuto di scucirsi la bocca rendono assolutamente incompatibili le sue condizioni di salute con il viaggio. Sempre secondo quanto riferito dall'organizzazione citata, il 3 agosto il migrante chiede di presentare domanda di protezione internazionale e avvia i contatti con un legale, ma il giorno dopo viene trasferito in Sicilia, senza che siano forniti chiarimenti sulla natura di tale trasferimento e se si tratti di rimpatrio o di spostamento nel centro di identificazione e di espulsione di Trapani;
   i fatti citati in premessa fanno sorgere perplessità sulle procedure messe in atto denotando quantomeno una situazione di opacità delle stesse, considerate innanzitutto le precarie condizioni di salute del cittadino tunisino, che avrebbe necessitato di cure urgenti e continuative, secondo quanto garantito dall'articolo 35, comma 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998 –:
   quali siano le notizie in possesso del Ministro sui fatti citati in premessa e se le procedure adottate nei confronti del cittadino tunisino siano avvenute nel rispetto dei suoi diritti fondamentali e secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 286 del 1998. (4-05811)


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a San Donà di Piave, in occasione della tradizionale preghiere islamica del venerdì, il sedicente sceicco Abd Al Barr Al Rawdi, ha pronunciato il 1o agosto 2014 nella locale moschea, situata in un appartamento riadattato, un sermone particolarmente aggressivo nei confronti di coloro che professano la religione ebraica;
   nell'ambito del suo sermone, che è stato ascoltato da non meno di ottanta fedeli, Al Rwadi ha tra l'altro invocato Dio, chiedendogli, testualmente, con riferimento agli ebrei: «Allah, contali uno ad uno e uccidili fino all'ultimo, non risparmiarne nemmeno uno. Fai diventare il loro cibo veleno, trasforma in fiamme l'aria che respirano. Rendi i loro sonni inquieti e i loro giorni tetri. Inietta il terrore nei loro cuori»;
   nella medesima circostanza, il popolo ebraico è stato altresì descritto da Al Rawdi come composto da persone aventi un «cuore più duro della pietra», colpevole di «aver sparso il sangue dei Profeti e di gente innocente» e perciò meritevole «di essere incatenato e maledetto»;
   Al Rawdi ha in questo modo tristemente riproposto i più tragici pregiudizi utilizzati per secoli dall'antisemitismo militante, con le conseguenze finali a tutti note;
   le immagini del sermone, carpite verosimilmente utilizzando una minicamera nascosta, sono state pubblicate da Memri, un centro di ricerca basato a Washington specializzato nell'analisi e nella traduzione degli articoli di stampa in lingua araba;
   la controversa predica di Al Rawdi ha quindi avuto una vasta eco internazionale;
   il sermone di Al Rawdi è stato pronunciato in una moschea già nota da tempo per la presenza di elementi radicali e la frequentazione da parte di persone dedite ad attività poco chiare e probabilmente anche eversive, stando a quanto affermato in un proprio commento a caldo dal presidente della provincia di Venezia, Francesca Zaccariotto, già sindaco di San Donà di Piave dal 2003 al 2013;
   il provvedimento di espulsione doverosamente adottato il 5 agosto 2014 nei confronti del sedicente sceicco Abd Al Barr Al Rawdi non garantisce che egli non venga sostituito da personalità altrettanto radicale –:
   quali misure il Governo intenda assumere per controllare le attività della moschea di San Donà di Piave e soprattutto impedire che altri imam, dopo l'espulsione del sedicente sceicco Abd Al Barr Al Rawdi, continuino con le proprie prediche ad istigare all'odio antisemita in un momento tanto delicato;
   in particolare, se il Governo non ritenga opportuno valutare la sussistenza dei presupposti di diritto per disporre anche la chiusura del luogo di culto generalizzato nella premessa per gravi motivi di ordine pubblico e sicurezza nazionale. (4-05818)


   BRATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un tragico incidente del lontano luglio 2006, presso la caserma di Ferrara, per una disattenzione drammatica ha colpito il vigile del fuoco Marco Galan il quale rimase schiacciato da un camioncino mentre stava verificando un cavo di acciaio, teso e non visibile collegato ai due mezzi;
   un furgone venne fatto entrare nel piazzale dove Galan stava lavorando, l'autista non vide il cavo e lo agganciò trascinando i mezzi: uno di questi colpì Galan schiacciandolo e solo il suo fisico eccezionale gli permise di superare il trauma, pur tuttavia costringendolo a vivere in uno stato di coma permanente;
   la vicenda giudiziaria si è conclusa con la condanna definitiva per lesioni, dell'ex comandante dei Vigili del fuoco, all'epoca del fatto, Michele De Vincentis e per la violazione di norme di sicurezza. E così facendo i giudici romani hanno reso esecutiva la provvisionale danni che ha permesso di garantire a Marco Galan cure continuative e specialistiche;
   la sentenza definitiva, confermando quelle di primo grado, di appello e di fatto l'indagine del pubblico ministero Di Benedetto della procura di Ferrara, ha accolto il principio che nella caserma di via Verga, comando provinciale dei vigili del fuoco, nel luglio 2006 non erano rispettate le più elementari norme di sicurezza e che chiunque, poteva accedere all'interno senza nessuna regolamentazione e senza rispettare percorsi obbligati. E questa fu la causa dell'incidente di cui fu vittima Marco Galan  –:
   se la vicenda giudiziaria che ha colpito il De Vincentis non sia incompatibile, almeno come opportunità, dell'aver beneficiato in questi anni di avanzamenti di carriera, e non ultimo dell'assegnazione di un comando importante e prestigioso come quello di Verona;
   se in ogni caso sia stata valutata dagli organi competenti la posizione del De Vincentis riguardo al tragico incidente che ha colpito Marco Galan.  (4-05820)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella nota 7525 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si riafferma il diritto al pagamento della «quota mensile» dell'indennità di reggenza per i dirigenti scolastici. Pur trattandosi di un fatto positivo, resta ancora in sospeso la questione del pagamento della seconda parte della stessa indennità, quella commisurata all'80 per cento dell'indennità di posizione, che dovrebbe essere corrisposta – insieme al premio di risultato – al termine dell'anno scolastico;
   tale quota è, in molte regioni, «trattenuta» di fatto indebitamente dall'amministrazione con l'argomentazione, a giudizio dell'interrogante, infondata in punto di diritto, che essa grava sul fondo regionale per la retribuzione accessoria e che la mancata registrazione dei contratti integrativi renderebbe impossibile il suo pagamento;
   si tratta di un argomento pretestuoso, in quanto la contrattazione integrativa riguarda solo l'entità della parte variabile dell'indennità di posizione e il premio di risultato, mentre la retribuzione delle reggenze (pur gravando sullo stesso fondo) trova la sua legittimazione e la sua misura nel contratto nazionale, che è pienamente efficace;
   pertanto – a fronte di una prestazione effettuata – sorge il diritto soggettivo a ricevere il compenso dovuto per contratto: e tale diritto è azionabile anche senza bisogno di aprire una causa di lavoro, semplicemente richiedendo al giudice l'emissione di un atto ingiuntivo;
   gli uffici regionali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dovrebbero assicurare il pieno rispetto dei contratti, mentre continuano a sussistere e protrarsi inadempienze in tal senso –:
   cosa intenda fare il Ministro interrogato per assicurare nel più breve tempo possibile il pagamento dell'indennità di reggenza, ovvero della «quota mensile» e della seconda parte della stessa indennità, quella commisurata all'80 per cento dell'indennità di posizione, che dovrebbe essere corrisposta al termine dell'anno scolastico. (5-03441)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   TINAGLI e GALGANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13, del regio decreto-legge n. 636 del 14 aprile 1939, così come modificato dall'articolo 2, della legge n. 218 del 4 aprile 1952, recante misure inerenti al riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, dispone che:
    «Nel caso di morte del pensionato o dell'assicurato, sempreché per quest'ultimo sussistano, al momento della morte, le condizioni di assicurazione e di contribuzione di cui all'articolo 9, n. 2, lettere a), e b), spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato o dell'assicurato, non abbiano superato l'età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi»;
   per i figli superstiti che risultino a carico del genitore al momento del decesso e non prestino lavoro retribuito, il limite di età è elevato a 21 anni qualora frequentino una scuola media professionale e per tutta la durata del corso legale, ma non oltre il 26o anno di età, qualora frequentino l'università;
   ai fini del diritto alla pensione ai superstiti, i figli in età superiore ai 18 anni e inabili al lavoro, i figli studenti, i genitori, nonché i fratelli celibi e le sorelle nubili permanentemente inabili al lavoro, si considerano a carico dell'assicurato o del pensionato se questi, prima del decesso, provvedeva al loro sostentamento in maniera continuativa;
   la ratio della norma è quella di consentire ad un figlio superstite di non vedere ridimensionate le proprie capacità, ma soprattutto di non vedere pregiudicate le possibilità di completare gli studi, fino al conseguimento della laurea nonostante la morte del genitore;
   la norma si riferiva ad un periodo storico in cui il massimo titolo conseguibile era, appunto la laurea, non essendo all'epoca ancora intervenute le riforme che hanno introdotto molteplici tipologie di titoli universitari (laurea triennale, specialistica, master e altro). La norma, quindi, non prevedeva periodi di interruzione degli studi universitari inevitabili nel passaggio da un corso universitario all'altro;
   l'evoluzione dei percorsi di studio di cui al punto precedente, accompagnata da una interpretazione restrittiva della norma, possono generare situazioni di disagio ed ingiustizia sociale, che penalizzano giovani studenti che perdono il padre nel periodo di transizione da un corso/titolo di studi al successivo; è questo il caso di J.C., che nel marzo 2013, qualche settimana dopo la laurea triennale e prima dell'iscrizione alla laurea specialistica, perde il padre. L'INPS di Gubbio assicura la famiglia che il ragazzo, all'epoca ventitreenne, avrebbe avuto diritto alla pensione di reversibilità;
   nella primavera/estate 2013, il ragazzo ha proceduto con i necessari adempimenti e accertamenti, per iscriversi alla laurea al corso specialistico in inglese e spagnolo presso l'università di Alicante, dove si è immatricolato il 5 agosto 2013, e al suo ritorno, in data 27 agosto 2013, ha inoltrato la richiesta di pensione, presentando il documento di laurea di Perugia e quello di immatricolazione ad Alicante, dove lo studente si è trasferito nel mese di settembre per poter iniziare a frequentare i corsi;
   a distanza di diversi mesi e dopo diverse sollecitazioni all'Inps, successive alla richiesta della pensione di reversibilità da parte del ragazzo e della madre, vista la sussistenza dei requisiti necessari (figlio naturale che alla data del decesso del padre era fiscalmente a carico dello stesso), dal momento che la pensione di reversibilità non veniva attribuita, la madre del ragazzo con raccomandata ha inviato all'attenzione dell'INPS ulteriore sollecito della richiesta di pensione di reversibilità a favore del figlio, non ancora ventiseenne, studente presso l'università di Alicante (Spagna);
   dopo diverse richieste, la madre ha ottenuto dai funzionari INPS la risposta che non sussisterebbe il diritto alla pensione, in quanto alla data del decesso del padre J. non era iscritto a nessuna scuola o università, dunque non era studente;
   lo studente J. ha seguito un percorso universitario obbligato: ha conseguito nei tempi più brevi e con profitto la laurea triennale e ha espletato le formalità necessarie nei mesi successivi per potersi iscrivere alla laurea specialistica;
   al momento della morte del padre si trovava tra un ciclo e l'altro del suo percorso universitario, dunque in quel momento non avrebbe potuto in nessun caso essere iscritto. Il ragazzo sta proseguendo con sacrifici i suoi studi ad Alicante, che sarà tuttavia costretto ad interrompere in caso di mancata corresponsione della pensione di reversibilità –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere per risolvere un'interpretazione della norma descritta in premessa ormai superata e non rispondente ai percorsi di studi previsti oggi dal nostro ordinamento, che non premia il merito dei giovani e penalizza quelli già colpiti da gravi situazioni familiari. (3-00989)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, ALBERTI, CIPRINI, RIZZETTO e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione della delega legislativa conferita all'articolo 1 della legge n. 183 del 2010, con il decreto legislativo n. 67 del 2011 è stata introdotta una disciplina normativa relativa a pensionamento dei soggetti che  hanno svolto attività lavorative usuranti;
   il decreto legislativo n. 67 del 2011 era volto, in particolare, a consentire ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori, cosiddetti usuranti, di maturare il diritto al trattamento pensionistico con un anticipo di 3 anni sulla precedente prevista età di pensionamento;
   il decreto dispone che possano usufruire del pensionamento anticipato quattro diverse categorie di soggetti, ossia i lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti di cui all'articolo 2 del decreto ministeriale 9 maggio 1999; i lavoratori subordinati notturni come definiti dal decreto legislativo n. 66 del 2003; i lavoratori addetti alla cosiddetta  «linea catena» che, nell'ambito di un processo produttivo in serie, svolgano lavori caratterizzati dalla ripetizione costante dello stesso ciclo lavorativo su parti staccate di un prodotto finale; i conducenti di veicoli pesanti adibiti a servizi pubblici di trasporto di persone;
   per usufruire del beneficio pensionistico sopra citato, è necessario che le attività usuranti vengano svolte dal lavoratore al momento dell'accesso al pensionamento e che siano state compiute, secondo il testo originario del decreto legislativo, nella fase transitoria, ossia fino al 2017, per un minimo di 7 anni negli ultimi 10 anni di attività lavorativa e a regime, ossia dal 2018, per un arco di tempo almeno pari alla metà dell'intera vita lavorativa;
   per i datori di lavoro sono previste norme specifiche che concernono gli obblighi degli stessi in ordine alla produzione della documentazione atta a dimostrare il possesso dei requisiti richiesti per l'accesso al beneficio pensionistico;
   un'apposita clausola di salvaguardia è volta a garantire il rispetto dei limiti di spesa fissati, prevedendo il differimento della decorrenza dei trattamenti con criteri di priorità basati sulla data di maturazione dei requisiti, qualora emergano scostamenti tra il numero delle domande presentate e la copertura finanziaria a disposizione;
   l'articolo 24,  comma 17, del decreto-legge n. 201 del 2011, la cosiddetta riforma Fornero, è intervenuto sul decreto legislativo n. 67 del 2011, modificando le condizioni di accesso al pensionamento anticipato, con l'effetto di attenuare la portata dei benefici previdenziali in precedenza previsti;
   la nuova disciplina pensionistica ha in particolare previsto modifiche quali la limitazione dall'anno 2008 al 2011 del periodo transitorio prima stabilito dall'anno 2008 al 2012; la disciplina a regime che decorre dal 1o gennaio 2012, e non più dal 1o gennaio 2013, con la previsione che il pensionamento avvenga secondo il sistema delle «quote» previste e riportate nella Tabella B dell'allegato 1 della legge n. 247 del 2007, ferma restando, comunque la possibilità di pensionamento anticipato secondo i nuovi criteri previsti dallo stesso decreto-legge n. 201 del 2011 e non più con il riconoscimento dell'anticipo di 3 anni; per i lavoratori turnisti che hanno svolto attività di lavoro notturno, la disciplina previgente, sulla riduzione massima dell'età anagrafica di uno o due anni, rispettivamente per i lavoratori che abbiano svolto turni da 64 a 71 giorni all'anno, ovvero da 72 a 78 giorni all'anno, viene limitata al periodo 2009-2011; a regime, ossia dal 1o gennaio 2012, per questi lavoratori il pensionamento avviene secondo il sistema delle «quote» previste dalla Tabella B dell'allegato 1 della legge n. 247 del 2007, incrementate di due anni e due unità per i lavoratori che abbiano svolto turni notturni da 64 a 71 giorni all'anno, e di un anno ed una unità per i lavoratori che abbiano svolto turni da 72 a 78 giorni all'anno;
   dai dati disponibili emerge che i lavoratori che hanno fin qui effettivamente avuto accesso ai benefici, sono relativamente pochi; che le risorse stanziate per l'attuazione della normativa, allocate nel capitolo n. 4534 del bilancio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, risultano quasi del tutto inutilizzate; che la sostanziale non attuazione della normativa si traduce in una grave penalizzazione per tutti quei lavoratori che hanno maturato l'aspettativa di accedere al sistema previdenziale con specifici benefici –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del perché tali risorse siano state scarsamente utilizzate;
   se il Ministro non intenda porre in essere, in tempi brevi e per quanto nelle sue possibilità, tutte le iniziative di carattere amministrativo e/o normativo necessarie per garantire l'effettiva attuazione della normativa in materia di benefici previdenziali a favore dei soggetti impegnati in attività lavorative usuranti, assicurando che tutte le risorse finanziarie fin qui stanziate vengano effettivamente utilizzate per tale finalità;
   se il Ministro non intenda verificare, nell'ambito delle proprie competenze, la possibilità di estendere la normativa ad ulteriori categorie di lavoratori impegnati in attività ad alto stress psico-fisico, con particolare riferimento al lavoro manuale nel settore dell'edilizia. (5-03438)


   GNECCHI, MAESTRI, GREGORI, BOCCUZZI, CASELLATO, GRIBAUDO, INCERTI, ALBANELLA, GIORGIO PICCOLO, BARUFFI, GIACOBBE e COMINELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 («manovra salva Italia»), pur avendo dichiarato l'obiettivo di garantire la stabilità economico-finanziaria e di rafforzare la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico, ma soprattutto avendo dichiarato che si trattasse di equità, ha invece generato un fenomeno, quello dei cosiddetti «esodati» che mai si era verificato nelle precedenti grandi riforme del passato;
   l'articolo 24, comma 14, del suddetto decreto-legge prevede delle deroghe in base alle quali, si continuano ad applicare i previgenti requisiti pensionistici a circa 65.000 soggetti, suddivisi nelle varie platee (cosiddetta prima salvaguardia);
   dal dicembre 2011 ad oggi, sono stati approvati altri quattro provvedimenti relativi alle salvaguardie, purtroppo, però, ancora non esiste un dato certo rispetto alle varie tipologie di platee, non si è a conoscenza di quanti siano i soggetti che rientrerebbero nelle condizioni delle sei salvaguardie, ma sono esclusi dalle salvaguardie solo perché avrebbero avuto la decorrenza del trattamento pensionistico successivamente al 6 gennaio 2016, si ritiene che ogni anno dovrebbe ridursi il numero delle persone che hanno subito «la rottura di un patto tra lo stato e il cittadino, la cittadina» come è stato più volte detto anche nell'aula della assemblea alla Camera, quindi ormai dovrebbero essere un numero contenuto  –:
   facendo riferimento all'articolo 1-bis dell'atto camera 224 – la 6a salvaguardia:
    per le lettere b), c), d), e) – quanti potrebbero essere i lavoratori oggetto di possibile salvaguardia suddivisi per anno e platea, spostando la maturazione del trattamento pensionistico al 6 gennaio 2017, 6 gennaio 2018 e 6 gennaio 2019;
    per la lettera a) – quanti potrebbero essere i lavoratori oggetto di possibile salvaguardia suddivisi per anno, spostando la data limite della cessazione del rapporto di lavoro, al 31 dicembre 2012, al 31 dicembre 2013, al 31 dicembre 2014.
(5-03439)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni i lavoratori delle industrie tessili del Vomano, azienda di Cellino Attanasio (TE), si sono mobilitati per segnalare il ritardo nel riconoscimento della cassa integrazione da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   a metà giugno 2014 l'azienda è stata ammessa al concordato preventivo, e i lavoratori e i sindacati chiamano in causa i commissari giudiziali dell'ITV, l'avvocato Monica Passamonti e il commercialista Biagio Riganese, per la richiesta di cassa integrazione;
   questo potrebbe mettere a rischio la procedura di autorizzazione della cassa integrazione guadagni da parte del Ministero;
   se ciò dovesse accadere, i lavoratori rischiano di aspettare oltre sei mesi per avere le somme loro spettanti;
   analogo discorso per la mobilità per cui si aggiunge altra incertezza sul futuro dei dipendenti dell'azienda a forte rischio chiusura –:
   se non si intenda decidere rapidamente circa l'autorizzazione della cassa integrazione e della procedura di mobilità onde evitare ulteriori disagi ai dipendenti dell'ITV. (4-05819)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Grifo Latte appartenente al gruppo Grifo Agroalimentare – società agricola cooperativa con sede in Ponte San Giovanni (Perugia) – produce e commercializza prodotti lattiero-caseari dal latte alimentare (fresco di alta qualità e UHT) alle materie grasse (burro, panna, mascarpone);
   l'intero gruppo Grifo occupa circa 150 dipendenti e conta numerosi stabilimenti nel territorio umbro;
   dalla stampa on line (www.perugiatoday.it del 5 agosto 2014) si apprende che l'azienda Grifo Latte del tutto inaspettatamente ha comunicato la decisione di esternalizzare la gestione del magazzino di Perugia (che occupa 15 lavoratori) chiedendo ai dipendenti di mettersi in mobilità per poi passare ad un'altra cooperativa non meglio specificata;
   i sindacati hanno criticato duramente la decisione assunta dall'azienda e «non contrattabile» di apertura della procedura di mobilità e di esternalizzazione del servizio di magazzino in quanto «inaccettabile nel merito e nel metodo», annunciando lo stato di agitazione dei lavoratori;
   la decisione assunta dall'azienda appare discutibile poiché non offrirebbe ai dipendenti la garanzia della continuità del rapporto di lavoro e del mantenimento dei diritti di cui attualmente godono, considerato che gli stessi si troverebbero a svolgere le medesime mansioni ma verosimilmente a condizioni contrattuali e per una impresa diversa –:
   se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza al fine di favorire un serio confronto nonché una corretta gestione delle relazioni industriali e sindacali tra la direzione aziendale di Grifo Latte e le organizzazioni sindacali che scongiuri la prospettata apertura della mobilità, individuando soluzioni condivise per evitare il processo di esternalizzazione e attivando gli strumenti previsti dalla normativa vigente volti al mantenimento della garanzia della continuità lavorativa e della tutela dei diritti dei lavoratori;
   quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda intraprendere a tutela dei dipendenti e delle corrette relazioni sindacali per disciplinare e sanzionare l'uso improprio di esternalizzazioni. (4-05824)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   CENNI, OLIVERIO, FIORIO, ZANIN, COVA, LUCIANO AGOSTINI, CARRA, MONGIELLO, TERROSI, VALIANTE, FERRARI e TENTORI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agricoltura biologica è un metodo di produzione normato con il regolamento CEE 2092/91, sostituito successivamente dai regolamenti (CE) 834/07 e 889/08 e a livello nazionale con il decreto ministeriale 18354/09;
   come è noto il termine «agricoltura biologica» indica un metodo di coltivazione e di allevamento che esclude l'utilizzo di sostanze di sintesi chimica (concimi, diserbanti, insetticidi);
   l'agricoltura biologica si fonda su un modello di produzione sostenibile, che esclude lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, in particolare del suolo, che fa uso di solo materiale organico ed evita, ricorrendo ad appropriate tecniche agricole, qualsiasi forma di sfruttamento intensivo;
   anche nella zootecnia si pone la massima attenzione al benessere degli animali, si predilige il libero pascolo e l'alimentazione vegetale biologica, non si utilizzano antibiotici, ormoni o altre sostanze che stimolino artificialmente la crescita e la produzione di latte;
   secondo i dati del sesto censimento Istat sull'agricoltura italiana sono 45.167 le aziende che al 24 ottobre 2010 risultano adottare metodi di produzione biologica per coltivazioni o allevamenti. Esse rappresentano il 2,8 per cento delle aziende agricole totali. Di queste, 43.367 aziende applicano il metodo di produzione biologico sulle coltivazioni (2,7 per cento delle aziende in complesso con SAU) mentre 8.416 lo adottano per l'allevamento (3,9 per cento delle aziende in complesso con allevamenti). Sono invece 6.616 le aziende quelle che utilizzano metodi di produzione biologica sia per le coltivazioni sia per gli allevamenti;
   secondo recenti stime il fatturato in Italia relativo ai prodotti di agricoltura biologica, è pari a circa 3 miliardi di euro annui, con un aumento di circa il 7,3 per cento nel 2012. Durante le stesse audizioni svolte recentemente in XIII Commissione, le associazioni rappresentative del settore hanno parlato di un aumento della produzione biologica nel Paese nel 2013 di circa il 7 per cento. Si tratta di cifre che pongono con tutta evidenza l'Italia ai primi posti nel mondo per tale produzione;
   in questi ultimi anni è cresciuto il livello di fiducia dei consumatori nei confronti dei prodotti da agricoltura e zootecnia biologica, in virtù di tale fiducia ed affidabilità si sono strutturate filiere e piattaforme finalizzate ad incentivare la vendita diretta, l'acquisto di prodotti biologici locali, la fornitura per mense scolastiche, che tali filiere, in virtù di quanto previsto specificamente dai regolamenti garantiscono altresì l'assenza di Ogm;
   il 6 giugno 2013 la Guardia di finanza di Pesaro, con la collaborazione dell'Ispettorato repressioni frodi del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, avrebbe confiscato 800 tonnellate di semi di soia provenienti dall'India e 340 tonnellate di panello e olio di colza turchi, falsamente certificati come «biologici» e contaminati da sostanze fitosanitarie nocive. Tali prodotti, che potevano essere commercializzati su tutto il territorio nazionale da aziende di Cremona, Brescia e Pesaro, sarebbero stati utilizzati per preparare numerosi alimenti, fra cui biscotti, dolciumi, snack, pasta, riso e sostituti del pane;
   questa operazione segue il sequestro, già avvenuto, di 1.500 tonnellate di mais ucraino e 76 tonnellate di soia indiana;
   il 7 giugno 2013 la Guardia di finanza di Cagliari ha individuato una maxi truffa nel mercato biologico pari ad oltre 135 milioni di euro. Tale intervento ha portato a 16 ordinanze di custodia cautelare, nei confronti di una organizzazione, che aveva come vertice una azienda di Capoterra, che avrebbe presentato false certificazioni relative a prodotti biologici, destinati al mercato nazionale ed europeo, senza che i prodotti fossero realmente «bio». Le ordinanze sono state notificate oltre che in Sardegna, nel Lazio, Marche, Emilia Romagna, Veneto e Puglia;
   risulta del tutto evidente come tali frodi, insistendo su produzioni che si caratterizzano per una filiera di alta qualità, sicurezza, certificate di disciplinari e marchi Unione europea, rappresentino un gravissimo danno al settore ed all'intero sistema agroalimentare nazionale;
   secondo quanto dichiarato da alcune associazioni di rappresentanza del settore, questo tipo di reati si ripeterebbe con frequenza perché mancherebbe ancora «a livello europeo e nazionale, quella sicurezza alle frontiere tale da garantire al 100 per cento la certificazione dei prodotti, ed un sistema sanzionatore così severo da scoraggiare questo tipo di frodi»;
   come noto le falsificazioni del Made in Italy e l'azione criminale delle agromafie causano al settore agroalimentare nazionale una perdita annua totale pari a 72,5 miliardi di euro. In particolare, il volume d'affari delle agromafie ammonta oggi a 12,5 miliardi di euro (pari al 5,6 per cento dell'intero business criminale), e gli interessi economici della criminalità organizzata nel settore agroalimentare stanno crescendo ed espandendosi in tutte le filiere produttive;
   questa situazione allarmante, che penalizza il Paese sia dal punto di vista economico e produttivo, viene confermata dai risultati della indagine promossa dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della contraffazione e della pirateria in campo commerciale e agroalimentare, redatta nella scorsa legislatura;
   risulta comunque altrettanto evidente come il sistema dei controlli di cui il nostro Paese si è dotato sta consentendo di portare alla luce e sanzionare importanti situazioni come quelle in oggetto;
   così come è evidente che la volontà del legislatore, delle amministrazioni pubbliche con competenza in materia di agricoltura e di sicurezza alimentare si sia pronunciata chiaramente in direzione di norme certe in materia di tracciabilità ed etichettatura dei prodotti –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, e considerato che la produzione biologica può rappresentare un settore di mercato con potenzialità di ulteriore crescita, ritenga urgente ed opportuno intraprendere ulteriori provvedimenti utili per prevenire e contrastare le frodi alimentari, per tutelare la salute del consumatore, i livelli occupazionali e produttivi delle aziende del settore, l'immagine dell'intero sistema agroalimentare italiano, anche attraverso un più efficace coordinamento degli attori deputati ai controlli (a livello nazionale e comunitario), e verificando anche unitamente al Ministro competente, iniziative normative per l'inasprimento delle pene previste per tali reati –:
   se non ritenga utile promuovere ulteriormente ed incentivare, come sollecitato dai produttori agricoli del settore, ogni iniziativa utile ad accorciare la filiera nazionale per i prodotti biologici e l'acquisto diretto da parte dei consumatori dai produttori italiani che garantiscono con certezza la provenienza e la certificazione di tali alimenti;
   se non ritenga, al fine di favorire una filiera di proteine vegetali nazionali (soia, pisello proteico, favino) destinate all'alimentazione zootecnica biologica e di qualità, libera da Ogm, di promuovere, anche attraverso gli strumenti dei piani di sviluppo rurale la promozione di un piano nazionale di proteaginose bio di livello nazionale più volte sollecitato da numerose associazioni di rappresentanza agricola. (3-00991)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli hospice sono strutture residenziali in cui il malato inguaribile e la sua famiglia possono trovare sollievo per un periodo circoscritto e poi fare ritorno a casa o per vivere nel conforto gli ultimi giorni di vita;
   queste strutture esistono sia all'interno di ospedali sia in luoghi specifici, caratterizzati dall'essere immersi in uno scenario di natura;
   in Italia aumenta, ma resta concentrato al Nord, il numero degli hospice: sono 221 quelli attualmente funzionanti, per 2307 posti complessivi, ma ben 60 si trovano in Lombardia, che da sola vanta un terzo del numero totale di posti disponibili, ovvero 738. Seguono Emilia Romagna (22 hospice), Toscana (22) e Veneto (21). In coda, come facile immaginare, regioni piccole come Molise, Valle d'Aosta e Umbria (1) ma anche regioni molto più popolose come la Calabria, che ne conta 2, la Liguria o il Friuli Venezia Giulia, a quota 6, dati che emergono dal rapporto trasmesso dal Ministero della salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n. 38 del 2010 che regolamenta l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore;
   in base allo stesso rapporto, diminuisce il numero di decessi di pazienti con una patologia neoplastica avvenuti in un reparto ospedaliero per acuti (nel 2012 sono stati 47.500, nel 2011 49.200, nel 2010 53.500), indicatore che permette di valutare quanto le reti regionali riescano ad intercettare pazienti eleggibili per le cure palliative. Aumenta, di contro, l'assistenza palliativi a casa del malato. Nell'anno 2013 sono stati 40.000 gli assistiti terminali in assistenza domiciliare, il maggior numero dei quali in Piemonte, 9.887 –:
   quali iniziative anche normative intenda assumere al riguardo, quali iniziative intenda intraprendere per potenziare l'assistenza domiciliare per i malati terminali o, in alternativa, se si intendano mettere in campo iniziative anche normative per incentivare e rafforzare la presenza di queste strutture nelle regioni meridionali. (4-05790)


   NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione della giunta regionale della Calabria n. 235 del 30 maggio 2014, il dott. Alessandro Moretti è stato nominato direttore generale dell'Azienda sanitaria provinciale di Cosenza assumendo quale requisito di legge la sua presenza nell'elenco della Regione Lazio degli idonei a ricoprire l'incarico di direttore generale delle Aziende sanitarie ed ospedaliere composto di n. 582 nominativi;
   con deliberazione n. 821 del 24 dicembre 2012 dell'Azienda sanitaria locale Roma A, il dottor Alessandro Moretti è stato nominato direttore amministrativo della stessa;
   le norme nazionali vigenti – articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni – prevedono quale requisito per il conferimento dell'incarico di direttore generale delle Aziende sanitarie una «esperienza dirigenziale, almeno quinquennale, nel campo delle strutture sanitarie o settennale negli altri settori con autonomia gestionale e con diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie, nonché di eventuali ulteriori requisiti stabiliti dalla Regione»;
   le norme nazionali vigenti – decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni – condizionano il conferimento dell'incarico di direttore amministrativo di Aziende sanitarie ed ospedaliere al possesso della laurea in scienze giuridiche o economiche e ad una esperienza dirigenziale quinquennale;
   dal curriculum del dottor Moretti allegato alle succitate deliberazioni non si evince il possesso di alcuno dei requisiti sopra citati;
   nello specifico, si rileva l'assenza di «esperienza dirigenziale, almeno quinquennale, nel campo delle strutture sanitarie o settennale negli altri settori con autonomia gestionale e con diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie, nonché di eventuali ulteriori requisiti stabiliti dalla Regione» nonché il possesso di laurea in scienza della comunicazione non equipollente né assimilabile alla tipologia richiesta dalla legge per l'incarico di direttore amministrativo (laurea in scienze giuridiche o economiche);
   con propria nota sindacale, l'Anaao-Assomed, evidenziata la mancanza dei requisiti in argomento, ha chiesto agli organismi interessati (Giunta regionale Calabria, presidente, regione Lazio, direttore generale Asl Roma A) i provvedimenti consequenziali per ristabilire il giusto ordine delle cose;
   ad oggi nessun provvedimento è stato adottato da parte di alcuno;
   risulta da fonti di stampa che il nome del dottor Alessandro Moretti sarebbe stato indicato dal subcommissario al piano di rientro Andrea Urbani –:
   se il Ministro interrogato possa confermare quanto rappresentato in premessa;
   sulla base di quali presupposti di fatto e di diritto il subcommissario Urbani abbia indicato il dottor Moretti come persona idonea a svolgere il ruolo di direttore generale dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza e se e quali iniziative di competenza intenda assumere alla luce di quanto descritto in premessa. (4-05801)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   TOFALO, COLONNESE, COZZOLINO, CRISTIAN IANNUZZI, SILVIA GIORDANO, PARENTELA, SIBILIA, DE LORENZIS, RIZZO e PETRAROLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, recante «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni» in diverse amministrazioni regionali, provinciali e comunali non è stato completamente attuato;
   il dipartimento della funzione pubblica, a causa del sorgere di dubbi interpretativi circa il preciso ambito oggettivo e soggettivo di applicazione delle nuove norme, ha formulato, previa Conferenza Stato-regioni-enti locali, la circolare n. 1 del 14 febbraio 2014 nella quale si conferma, in particolare, che «... grazie ad una lettura coordinata e sistematica delle disposizioni normative [...] è da ritenere che tra gli enti privati in controllo pubblico rientrino le “società controllate ai sensi dell'articolo 2359 c.c.”, che devono essere sottoposte all'integrale applicazione delle regole di trasparenza, mentre alle società partecipate (con partecipazione minoritaria o comunque diversa da quella descritta dall'articolo 2359 c.c.) le regole di trasparenza si dovranno applicare “limitatamente”, e con le conseguenze che ne derivano, alla “loro attività di pubblico interesse”»;
   la partecipazione e la trasparenza amministrativa sono il fulcro della democrazia;
   diverse esperienze, non solo nel mondo della politica, hanno dimostrato che dove esiste reale partecipazione popolare e trasparenza, c’è un miglioramento generale della qualità di vita –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per accelerare o aiutare l'adeguamento degli gli enti ancora non in regola con il decreto-legge n. 33 del 2013. (4-05792)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale sistema di incentivazione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili prevede la possibilità di accesso a tariffe premianti per impianti che utilizzano quale combustibile materiale legnoso non costituito da legno vergine, comprendendo lo stesso all'interno delle biomasse utilizzabili per la produzione di energia. In particolare, il decreto ministeriale 6 luglio 2012 denominato «Nuovi incentivi alle fonti rinnovabili» al capo 6 «Impianti ibridi» Parte I «Impianti ibridi alimentati da rifiuti parzialmente biodegradabili» riporta in Tabella 6.A la lista dei rifiuti a valle della raccolta differenziata per i quali è ammesso il calcolo forfettario dell'energia imputabile alla biomassa;
   tra le tipologie di rifiuti ammesse all'incentivo sono compresi alcuni codici CER relativi a scarti di legno (030101, 030105, 030199, 170201, 191207) che vengono utilizzati anche all'interno del sistema produttivo di riciclo del legno, ovvero nel comparto del legno-arredo;
   il citato decreto prevede inoltre un forte sostegno incentivante all'utilizzo a fini energetici di alcuni materiali classificati come sottoprodotto. Tali materiali sono riportati in tabella 1.A «Elenco dei sottoprodotti/rifiuti utilizzabili negli impianti a biomassa e biogas»; al punto 4 tale tabella riporta i sottoprodotti provenienti da attività industriali e nello specifico i «sottoprodotti della lavorazione del legno per la produzione di mobili e relativi componenti». Questa voce permette l'ingresso nelle centrali di combustione a biomasse di materiale legnoso, non giuridicamente rifiuto ma classificato come sottoprodotto ai sensi dell'articolo 184-bis, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006; per questo tipo di materiale, infatti, non esistono linee guida o atti normativi di qualsiasi genere che definiscono le caratteristiche chimico-fisiche del legno affinché possa essere utilizzato per la produzione di energia elettrica come sottoprodotto. Questo significa che, potenzialmente, qualsiasi residuo legnoso, anche se costituito da legno trattato, potrebbe essere classificato come sottoprodotto e quindi bruciato in impianti a biomassa, senza un'effettiva tracciabilità dei flussi e un adeguato controllo delle emissioni;
   la possibilità per determinati impianti di produzione di energia elettrica di poter ricevere incentivi grazie all'utilizzo di scarti provenienti dall'industria del legno, sia se classificati come rifiuto che come sottoprodotto, ha fatto sì che importati flussi di rifiuti legnosi vengano distratti dal circuito delle raccolte differenziate e vengano impiegati come combustibile in centrali a biomasse per la produzione di energia, a discapito del loro riciclo nel comparto produttivo del legno, capace invece di riutilizzare il materiale e rimetterlo nella «tecno sfera» ottenendo un ritorno superiore in termini ambientali, occupazionali ed economici, e che rappresenta uno dei principali settori del made in Italy, precursore a livello mondiale del riciclo del legno;
   un siffatta di gestione dei flussi di materiale legnoso di scarto è inoltre in evidente contrasto con quanto previsto dalla direttiva europea sui rifiuti 2008/98/CE, recepita con il decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, che definisce una precisa gerarchia nella gestione dei rifiuti, dando priorità al riciclaggio degli stessi rispetto al loro recupero energetico;
   la preferibilità del riciclaggio degli scarti legnosi rispetto al loro utilizzo come combustibile per la produzione di energia elettrica è confermata da uno studio LCA (life cycle assessment, analisi del ciclo di vita), che ha valutato i carichi energetici e ambientali relativi a un processo o un'attività, effettuato attraverso l'identificazione dell'energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell'ambiente durante l'intero ciclo di vita del materiale;
   il life cycle assessment ha permesso di confrontare le pratiche di gestione del legno post-consumo per la produzione di pannelli truciolari (attività R3: riciclo/recupero di sostanza organiche non utilizzate come solventi) e ai fini di produzione energetica (attività R1: utilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia). Lo studio ha poi quantificato e confrontato l'impronta di carbonio, ovvero il contributo dei gas ad effetto serra rilasciati direttamente ed indirettamente dalle attività coinvolte nei sistemi produttivi. I risultati ottenuti restituiscono un profilo ambientale-climatico delle due attività indagate molto differente: complessivamente l'attività di riciclo del legno post-consumo in pannelli truciolari equivale a circa 1/3 (un terzo) dell'impronta di carbonio della combustione con recupero energetico. Detta quantificazione comprende le attività di trasporto dei materiali, di consumo di materiali ausiliari, di consumi energetici ed idrici, di produzione di rifiuti e le emissioni dirette in atmosfera di anidride carbonica, dovute alla combustione del materiale legnoso;
   in considerazione di quanto sopra, si ritiene quindi necessario una verifica dello stato del mercato degli scarti di legno a seguito dell'entrata in vigore del sistema incentivante previsto dal decreto ministeriale del 6 luglio 2012, anche alla luce della direttiva europea (2008/28/CE) sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recepita con decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, che all'articolo 23 prevede che la Commissione europea abbia il compito di analizzare l'impatto dell'aumento della domanda di biomassa sui settori che utilizzano biomassa e di proporre, se del caso, misure correttive –:
   se il Ministro dello sviluppo economico intenda adottare adeguate misure per ripristinare la corretta gerarchia nella gestione dei rifiuti costituiti da scarti di materiale legnoso;
   quali misure intenda egli poi adottare per regolamentare la possibilità di classificare come sottoprodotti gli scarti di materiale legnoso utilizzato a fini energetici, e il conseguente accesso agli incentivi;
   quali misure si intendono adottare, anche di concerto per quanto di competenza con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per il contenimento delle emissioni di CO2 derivanti dalla gestione dei materiali legnosi di scarto, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti dal dettato comunitario. (4-05794)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Prodani n. 4-05489, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Formisano n. 3-00983, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 agosto 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zan.

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: Mozione Iori n. 1-00510 del 18 giugno 2014.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in commissione Catalano n. 5-03013 del 18 giugno 2014;
   interrogazione a risposta immediata in assemblea Rampelli n. 3-00980 del 5 agosto 2014.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in commissione Cenni e altri n. 5-00361 del 17 giugno 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-00991.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BUSINAROLO, SILVIA GIORDANO, TERZONI, DA VILLA, AGOSTINELLI, CANCELLERI, D'AMBROSIO, D'INCÀ, DE ROSA, COZZOLINO, LOREFICE, NICOLA BIANCHI, CECCONI, DE LORENZIS, TURCO, BENEDETTI, SPESSOTTO, BECHIS, ROSTELLATO e BRUGNEROTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   giovedì 16 maggio 2013 un'alluvione ha travolto l'est veronese, in particolare i comuni tra Monteforte d'Alpone e San Bonifacio, causando danni enormi alla popolazione, agli agricoltori ed alle piccole e medie imprese;
   inoltre, un uomo, Giuseppe Marchi, è stato travolto e ucciso da un muro di sostegno mentre cercava di arginare la furia delle acque;
   una donna è stata sepolta viva, di notte, incastrata sotto la propria macchina, tradita dalla strada che percorreva ogni giorno per tornare a casa;
   l'evento calamitoso ha ricordato quello che è avvenuto il giorno di Ognissanti che due anni e mezzo fa devastò le stesse zone e in particolare i comuni di Soave, Monteforte d'Alpone e San Bonifacio, oltre che la città di Vicenza e la sua provincia;
   da domenica 31 ottobre a martedì 2 novembre 2010 il Veneto fu interessato da piogge persistenti, a tratti anche a carattere di rovescio, in particolare sulle zone prealpine e pedemontane, dove si superarono diffusamente i 300 millimetri complessivi, con punte massime locali anche superiori ai 500 millimetri;
   rappresentò una delle più tragiche alluvioni degli ultimi due secoli, che vide coinvolte circa 500.000 persone, molte delle quali costrette ad abbandonare le proprie abitazioni anche con mezzi anfibi e gommoni, e ben 262 amministrazioni comunali;
   la profonda sofferenza idraulica e le situazioni di dissesto geologico provocarono ingenti danni al patrimonio pubblico e privato; un livello di criticità elevato in molti corsi d'acqua causò numerose rotte e sormonti arginali, la sofferenza delle strutture idrauliche provocò allagamenti diffusi in diversi bacini idrografici, su una superficie complessiva di circa 140 chilometri quadrati;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 novembre 2010 fu dichiarato lo stato di emergenza per gli eccezionali eventi meteo del 31 ottobre 2010-2 novembre 2010, prorogato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2 novembre 2011, è scaduto il 30 novembre 2012;
   gli esperti dichiararono che le cause furono molte: un repentino cambiamento di temperatura ha comportato il veloce scioglimento della neve sui monti sovrastanti, l'eccezionale quantità d'acqua piovana caduta sulle Prealpi in un arco di tempo così breve, nonché la mancata realizzazione di opere per la tutela del territorio previste già in passato e non ancora realizzate. Si aggiunga il vento di scirocco che aumentò la spinta del mare impedendo il deflusso delle acque, la cementificazione degli argini, la canalizzazione dei torrenti e la mancata manutenzione dovuta ai tagli ai finanziamenti;
   dalla relazione del prefetto di Verona datata 28 febbraio 2013 si evince che i danni principali furono conseguenti alle numerose rotte e ai vari sormonti arginali verificatesi nelle Provincie di Vicenza, Padova e Verona. Gli eventi più gravi per la provincia di Verona furono:
    a) la rotta sul torrente Tramigna, nel centro storico del comune di Soave, la rotta sul torrente Alpone;
    b) in comune di Monteforte d'Alpone, località Ponte Rezzina, la rotta sul torrente Aldegà nel Comune di San Bonifacio;
    c) il sormonto arginale sul torrente Chiampo in Comune di San Bonifacio;
   venne chiusa anche l'autostrada A4 in provincia di Verona per tre giorni, individuando percorsi alternativi sulle strade regionali circostanti, presidiate dalla polizia e dalla protezione civile;
   vennero finanziate 277 azioni di differenti tipologie, per un importo totale di 105 milioni di euro; in particolare le tipologie di azioni finanziate sono state le seguenti:
    a) lavori eseguiti in regime di somma urgenza (n. 212 interventi per un importo di circa 63 milioni di euro) mirati prevalentemente al ripristino di difese spondali danneggiate da frane, cedimenti, rotte, sifonamenti, sormonti arginali, nonché alla rimessa in efficienza di impianti idrovori che hanno subito guasti a seguito dell'alluvione;
    b) lavori urgenti e indifferibili (n. 58 interventi per un importo di circa 40 milioni di euro) mirati al ripristino delle difese spondali in muratura e risezionamenti diffusi per il ripristino dell'officiosità dei corsi d'acqua;
    c) studi e indagini (n. 7 interventi, per un importo totale di euro 680.000,00);
   dalla relazione del prefetto emerge che al 20 novembre 2012 risultavano ancora in corso alcuni lavori (circa il 10 per cento) ed altri invece erano da avviare: i cantieri ancora da avviare erano uno nella provincia di Belluno e due nella provincia di Vicenza, mentre i lavori in corso si concentravano per lo più nelle province di Verona e Vicenza, tra cui anche gli «interventi finalizzati alla messa in sicurezza del sistema Alpone-Chiampo-Aldegà e dalla disconnessione idraulica del torrente Tramigna» nonché il completamento di altri lavori definiti di somma urgenza nella zona di Soave e Monteforte;
   tali interventi dovevano essere ultimati entro settembre 2013, salvo eventuali imprevisti, caso in cui è gioco facile ipotizzare di ricadere dopo l'emergenza di maggio 2013;
   alcuni potrebbero pensare che la zona sia soggetta naturalmente a queste catastrofi, magari trovando analogie con alcune altre circostanze, come l'alluvione del Polesine nel 1951 o la rottura degli argini del Piave, avvenuta il 4 novembre 1966, quando il Piave in piena ruppe sia l'argine di sinistra sia l'argine di destra in due zone distinte e travolse campagne e paesi provocando morte e distruzione. Fu per l'Italia la più disastrosa alluvione del secolo, con Firenze e Venezia assurte a città simbolo del disastro e della tragedia;
   nel 2010, Beppe Grillo scriveva sul suo blog: «Tra l'alluvione del Polesine del 1951 e quella del 2010 ci sono alcune importanti differenze. Nel 1951 piovve per due settimane, nel 2010 ha piovuto per tre giorni. Nel 1951 avvenne in gran parte per cause naturali, nel 2010 è stata frutto dell'abbandono e della cementificazione del territorio»;
   considerando quindi l'alluvione del mese scorso, va ricordato come il torrente Aldegà abbia rotto l'argine destro attorno alle ore 15.00 di giovedì 16 maggio e si sia riversato sui campi; l'inondazione è arrivata improvvisamente, l'acqua era ovunque, saliva dai fiumi, dai torrenti, ha allagato campi e strade, ha allagato quartieri, ha reso gli insediamenti industriali inagibili, ha posto la popolazione nuovamente in ginocchio;
   nel comune di Monteforte d'Alpone, la rotta dell'argine destro dell'Aldegà attorno alle ore 15.00 del 16 maggio ha riversato, nei campi di Salmazza prima, e in via Santa Croce poi, un'enorme quantità d'acqua, allagando anche parecchi garage e cantine e coinvolgendo circa 100 residenti nella via, con danni stimati di circa 700.000 euro, per la cui procedura di erogazione la competenza è passata alla regione Veneto;
   tutte queste sono conseguenze del cedimento arginale accaduto dopo che il genio civile ne aveva praticato uno (ampio la metà) sulla sponda opposta, affinché l'Aldegà scaricasse nel bacino di San Vito;
   nel comune di San Bonifacio, l'Alpone è arrivato a sfiorare la spalletta superiore del viadotto in ferro del ponte della Motta, sfiorando la sommità degli argini, per poi scendere di livello nella serata di giovedì 16 maggio: intorno alle ore 14.00 toccava il suo massimo a 3,27 metri al ponte di piazza Martiri, tanto che anche a Belfiore, paese più a sud, si temeva che le acque fuoriuscite giungessero tra le abitazioni;
   a ciò si aggiungano i vari fontanazzi lungo gli argini che venivano tamponati di minuto in minuto dalla protezione civile con sacchi di sabbia;
   nella zona tra Monteforte e Soave sono stati aperti i bacini di San Vito e di San Lorenzo, lungo l'autostrada A4, e sono state chiuse le paratie mobili sul Tramigna realizzate solo dopo l'alluvione del 2010, grazie alle quali è stato parzialmente risparmiato il paese di Soave, eccetto alcune fuoriuscite dai tombini delle vie centrali del paese;
   la statale 11 che attraversa i due torrenti Tramigna e Alpone è rimasta comunque chiusa; l'acqua è stata riversata a sud della statale, con inondazione dei campi che vanno dalla statale 11 alla strada provinciale 38;
   anche l'esondazione del Fibbio nel comune di San Martino Buon Albergo in provincia di Verona può essere definita un vero e proprio disastro annunciato. Le abitazioni lungo il Fibbio sono infatti state recentemente ristrutturate nel rispetto dei vincoli definiti dalla soprintendenza ai beni culturali, per cui il livello originario del pavimento si trova tra i 60 e i 100 cm al di sotto del livello medio dell'acqua. Col passare degli anni il livello medio del fiume si è alzato, con conseguente aumento del rischio di fuoriuscita dell'acqua dagli argini;
   risultano quanto mai urgenti degli interventi, finora non realizzati, volti a dragare il fiume e abbassare di almeno un metro il livello di scorrimento, o in alternativa di alzare gli argini in misura sufficiente a far fronte a questi eventi sempre più frequenti nel nostro territorio;
   nella zona di Caldierino ed Illasi, inoltre, il perdurare delle condizioni meteo avverse non ha consentito di proseguire con i lavori di realizzazione del condotto che sottopassa l'Illasi. Se fosse stato concluso, avrebbe portato via l'acqua tracimata a Caldierino e l'avrebbe convogliata nel torrente Mezzane;
   le piogge abbondanti hanno messo a dura prova anche la situazione sul lago di Garda, dove l'azienda Gardesana Servizi e la comunità del Garda hanno richiesto ai tre prefetti di Verona, Mantova e Brescia di abbassare i parametri stabiliti dalla legge del 1965 per il livello delle acque del lago, almeno in via transitoria fino alla fine dell'emergenza, avendo cura di preservare da una parte il territorio e l'economia turistica e d'altra parte il settore agricolo dei consorzi mantovani. Alla data del 22 maggio 2013, ad esempio, il livello del lago era di 145,60 centimetri, ossia almeno dieci centimetri in più del valore previsto in media per il mese di maggio. In sostanza, circa 300 metri cubi di acqua entrano ogni secondo nel lago di Garda dal Sarca a nord, a dispetto dei circa 170 metri cubi al secondo che escono dal lago entrando in zona Salionze nel fiume Mincio. Fissare un nuovo livello massimo per le acque del lago permetterebbe anche di salvaguardare il sistema di collettamento e depurazione della acque, ed in particolare il lavoro svolto dal depuratore di Peschiera del Garda;
   in conclusione, si ricorda che con decreto del n. 68 del presidente della giunta regionale Luca Zaia ha dichiarato lo stato di crisi in tutta la regione, avviando l’iter per le segnalazioni di danno al patrimonio pubblico e privato, dichiarazioni da presentare entro il 22 giugno 2013, e che saranno verificate a responsabilità dei singoli comuni;
   ad oggi sono stati quantificati in 200 milioni di euro da Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, i danni complessivi riscontrati a seguito dell'evento eccezionale, di entità tale da chiedere la dichiarazione dello stato di emergenza;
   va precisato inoltre che le ingenti precipitazioni protrattesi nei mesi scorsi hanno causato enormi danni all'agricoltura, come risulta anche dall'appello formulato da tutti i sindaci della Bassa Veronese in data 27 giugno 2013 diretto tra gli altri anche a tutti i parlamentari veronesi, dove vengono denunciano danni consistenti superiori al 30/40 per cento dei bilanci delle stesse aziende agricole che ad oggi non hanno ancora ricevuto i contributi per la domanda di siccità per l'anno 2012 –:
   se, tra le cause che hanno prodotto il disastro, vi siano state anche l'abbandono, la mancanza di interventi strutturali e di rifacimento degli argini, quali la creazione di bacini di laminazione e casse di grande espansione per lo sfogo delle acque;
   quali siano le ragioni per cui non sia stata realizzata l'esondazione controllata in appositi vasi di espansione e tracimazione per tagliare le punte di piena nei punti strategici a monte del rischio;
   quali iniziative intenda assumere il Governo affinché i veronesi vengano rimborsati dei danni prodotti dall'incuria del territorio e dalla cementificazione;
   quali misure urgenti intenda intraprendere per evitare fatti e calamità naturali del tutto prevedibili, posto che nel programma di Governo presentato in Parlamento vi è un debole, quanto inconsistente, segnale sull'intenzione di assumere un «impegno alla prevenzione con piani straordinari di manutenzione contro il dissesto idrogeologico», ma che, al momento, non si è tradotto in adeguati finanziamenti per avviare gli interventi e le opere necessari per prevenire i ricorrenti disastri in territori devastati dalla cementificazione e dall'abbandono delle campagne da parte dell'uomo;
   se ritenga possibile escludere dal patto di stabilità gli interventi di messa in sicurezza del territorio per sanare i danni provocati da inondazioni e disastri, sfruttando così le risorse economiche che il comune aveva comunque accantonato per la difesa del territorio, ipotizzando anche un risparmio anche per lo Stato nella prospettiva di evitare di stanziare ex post fondi straordinari;
   quando sia prevista la conclusione dei lavori in corso alla data della stesura della relazione del Prefetto di Verona relativa all'alluvione del 2010, per l'effettiva messa in sicurezza del territorio;
   se non ritenga utile intervenire incisivamente e costantemente, di concerto con i consorzi di bonifica, per una mirata programmazione degli interventi di riduzione del rischio idrogeologico, ed una corretta pianificazione territoriale;
   se non ritenga opportuno potenziare il patrimonio agricolo e la disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento dell'attività agricola, evitando l'eccessiva cementificazione;
   se il Governo intenda fornire alla regione Veneto i fondi necessari per risarcire i danni provocati dall'alluvione di maggio 2013, nonché per erogare i contributi per le domande di siccità presentate dalle aziende agricole per l'anno 2012. (4-01518)

  Risposta. — Nel periodo compreso tra il 16 e il 24 maggio 2013, il Veneto è stato interessato da eventi meteorologici particolarmente intensi, tali da comportare ingenti danni al territorio e alle attività produttive ivi insistenti, nonché alcune vittime tra la popolazione residente.
  Tempestivamente era stato dato avvio alle operazioni di soccorso alla popolazione, agli interventi più urgenti volti a rimuovere lo stato di pericolo, al fine di favorire il più sollecito ritorno delle normali condizioni di vita sociale, e garantire la ripresa delle attività economiche, nonché veniva avviata una prima ricognizione dei danni e una rilevazione dei territori comunali coinvolti dall'evento.
  Il 29 maggio 2013 il Presidente della Regione Veneto procedeva a dichiarare «stato di crisi», indicando, sulla base delle segnalazioni pervenute, un primo elenco di 93 comuni interessati.
  Nelle more della dichiarazione dello stato di emergenza, la struttura regionale della protezione civile già dai primi giorni del mese di giugno 2013 aveva avviato una puntuale ricognizione per conoscere i danni subiti da privati e imprese, l'entità degli interagenti urgenti posti in essere e di quelli necessari per rimuovere le situazioni di pericolo e assicurare la indispensabile assistenza alle popolazioni colpite dai predetti eventi alluvionali.
  A seguito di conforme richiesta della Regione Veneto, con delibera del Consiglio dei ministri del 26 luglio 2013 veniva proclamato lo «stato di emergenza», la cui scadenza era fissata al 24 ottobre 2013.
  Con il medesimo provvedimento, per l'attuazione degli interventi da effettuare nella vigenza dello stato di emergenza, il capo del Dipartimento della protezione civile era stato autorizzato a provvedere con apposite ordinanze anche in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali. Le risorse finanziarie messe a disposizione erano pari a 10 milioni di euro.
  Lo stesso capo del Dipartimento della protezione civile, acquisita l'intesa con la Regione Veneto, con propria ordinanza n. 112 del 22 agosto 2013 procedeva a nominare il commissario delegato per gestire i primi interventi di protezione civile più urgenti e prioritari.
  Nel mese di febbraio 2014, in attuazione della successiva ordinanza n. 131 del 22 novembre 2013, è stato elaborato il documento dal titolo «Ricognizione dei fabbisogni per il ripristino delle infrastrutture e del patrimonio pubblico, del patrimonio privato nonché dei danni subiti dalle attività economiche e produttive a seguito delle eccezionali avversità atmosferiche verificatesi nei giorni dal 16 al 24 maggio 2013 nel territorio della Regione Veneto ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera
b), della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e s.m.i».
  Il totale complessivo dei fabbisogni risultava essere particolarmente impegnativo, essendo determinato in quasi 84 milioni di euro, di cui più di 70 milioni di euro da destinare al ripristino del patrimonio pubblico, quasi 5 milioni di euro per il ripristino del patrimonio privato e quasi 7,5 milioni di euro per il ripristino del patrimonio relativo ad attività economiche e produttive.
  In merito alle cause che hanno prodotto gli allagamenti occorsi nel territorio veneto, nonché le diffuse situazioni di sofferenza idraulica, non si può non sottolineare che esse sono la conseguenza di vari fattori, i principali dei quali sono:
   la diffusa impermeabilizzazione occorsa negli ultimi decenni, non sempre attenta agli impatti sul regime idraulico, con rilevante aumento dei coefficienti di deflusso e la riduzione dei tempi di corrivazione;
   l'estremizzazione degli eventi di pioggia.

  A fronte delle radicali trasformazioni climatiche e dell'uso del suolo, infatti, non ha corrisposto l'adeguamento delle opere idrauliche e la realizzazione degli interagenti strutturali già previsti in tutti i piani successivi all'alluvione del 1966.
  Per quanto attiene alla definizione degli intendenti necessari per garantire un adeguato grado di sicurezza idraulica al territorio veneto, si evidenzia che già a seguito dell'alluvione del 2010, l'allora nominato «Commissario per il superamento dell'emergenza alluvione» (ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3906 del 2010) aveva provveduto a predisporre un piano strategico per la pianificazione di azioni e di interventi di mitigazione del rischio idraulico e geologico, al fine di ridurre definitivamente gli effetti dei fenomeni alluvionali, in coerenza con gli altri progetti di regolazione delle acque predisposti per la tutela e la salvaguardia del territorio.
  Il predetto commissario si era avvalso di un soggetto attuatore per la pianificazione degli interventi, individuato nel segretario generale delle autorità di bacino dell'Adige e dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta-Bacchiglione e di un comitato tecnico-scientifico sul rischio idraulico e geologico composto da docenti universitari.
  Con delibera n. 1643 dell'11 ottobre 2011, acquisite le necessarie osservazioni da parte degli enti territorialmente e istituzionalmente competenti, la giunta regionale del Veneto aveva preso atto del realizzato strumento di pianificazione denominato «Piano delle azioni e degli interventi di mitigazione del rischio idraulico e geologico» recante la data del 30 marzo 2011.
  Il piano in questione risultava, peraltro, particolarmente impegnativo in quanto prevedeva interagenti sul territorio per un del valore complessivo di circa 2,7 miliardi di euro.
  Nel corso del 2012 la Regione Veneto, con un significativo sforzo che inevitabilmente penalizzava altri interventi, aveva attivato un fondo denominato «piano straordinario degli interventi a seguito dell'emergenza alluvionale 2010», relativo al triennio 2012-2014, esaurendo ogni risorsa ordinaria a propria disposizione.
  In merito alle ragioni per cui non sia stata realizzata l'esondazione controllata in appositi vasi di espansione e tracimazione per tagliare le punte di piena nei punti strategici a monte del rischio, è stato osservato che la gestione e l'allagamento dei bacini di laminazione esistenti, nonché la manovra degli organi di regolazione, risulta sia stata attuata anche per la piena del maggio 2013 al fine di minimizzare gli impatti.
  Va tenuto conto che nel territorio veronese, ad oggi, l'unico bacino di laminazione significativo al fine della laminazione delle piene del torrente Chiampo-Aldegà è il bacino di San Vito che risulta insufficiente a garantire condizioni accettabili di sicurezza idraulica.
  Inoltre, i bacini di laminazione finanziati e in fase di realizzazione nel territorio veronese sono due, denominati «Montecchia-Colobaretta», avente un volume d'invaso di circa 900.000 metri cubi, e «San Lorenzo», in comune di Soave, avente un volume d'invaso pari a circa 850.000 metri cubi. La fine dei lavori per il primo di essi è prevista per il mese di giugno 2016, mentre per il secondo l'ultimazione dei lavori è prevista per il mese di settembre 2015.
  È in fase di progettazione definitiva l'ampliamento dell'esistente bacino di «Montebello», tale da incrementare il volume d'invaso dagli esistenti 6,8 milioni ai previsti 9,7 milioni di metri cubi.
  È stato precisato, peraltro, che solo ove vi siano opere idrauliche di controllo e di conterminazione delle aree sondabili – e cioè siano realizzati i bacini di laminazione – è possibile, in sicurezza, ridurre le portate di piena di un corso d'acqua.
  Per quanto attiene ai tempi previsti per la conclusione dei lavori in corso alla data della stesura della relazione del prefetto di Verona relativa all'alluvione del 2010 per l'effettiva messa in sicurezza del territorio, si rappresenta che lavori per il ripristino delle opere idrauliche danneggiate dalla piena del 2010 (ex ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3906 del 2010, già citata) risultano terminati, fatti salvi gli interventi concernenti i bacini di laminazione che, data la loro complessità progettuale e realizzativa, non risultano conclusi, e di cui si è già riferito.
  Allo stesso modo, si rappresenta che in merito alle attività di prevenzione del rischio idrogeologico, attuazione di quanto disposto dal Governo con la legge finanziaria per il 2010 con riferimento alla realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico in tutto il territorio nazionale, questo Ministero già dai primi mesi del 2010 aveva avviato le procedure per dare attuazione alle pertinenti disposizioni normative, avviando una serie di consultazioni con tutte le regioni interessate – e quindi anche con la Regione Veneto – coinvolgendo le competenti autorità di bacino nonché il Dipartimento della protezione civile.
  Le consultazioni avviate con le regioni si conclusero con la sottoscrizione di specifici «accordi di programma» che individuavano e finanziavano gli interventi urgenti diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, proposti dalle regioni. Interventi, questi, volti prioritariamente alla salvaguardia della vita umana attraverso la riduzione del rischio idraulico, di frana e di difesa della costa, prevalentemente mediante la realizzazione di nuove opere nonché con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria.
  In particolare, tra questo Ministero e la Regione Veneto il relativo «accordo» venne firmato in data 23 dicembre 2010, e modificato con un successivo «atto aggiuntivo» il 10 novembre 2011. L'importo complessivo considerato era pari a 44,877 milioni di euro, di cui 35,993 milioni di euro di provenienza «ministeriale», e 8,884 milioni di euro venivano messi a disposizione dalla regione.
  Com’è noto, tuttavia, il principale impedimento che costituisce una costante quando si affrontano le tematiche del dissesto idrogeologico è rappresentato sicuramente dalla scarsità delle risorse disponibili, sia in termini relativi che assoluti. Situazione oggettiva, questa, aggravata dalla circostanza che le risorse destinate al finanziamento di interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico spesso sono state distolte di tali finalità «programmatiche» per far fronte alle spese impreviste conseguenti ai danni causati da eventi alluvionali nel frattempo occorsi. Ciò è accaduto, infatti, anche rispetto agli «accordi» di cui sopra, dove i fondi inizialmente stanziati sono stati in parte utilizzati in via di urgenza per far fronte agli eventi calamitosi verificatisi in alcune regioni italiane. Ad oggi, il valore complessivo degli stessi «accordi» sottoscritti con le regioni, considerate le risorse Fondo aree sottoutilizzate (Fas) statali destinate dalla legge finanziaria per il 2010, quelle di bilancio messe a disposizione da questo Ministero e le risorse proprie delle regioni, è pari a circa 2.075 milioni di euro per oltre 1.500 interventi individuati e finanziati.
  Non si può ignorare, in ultimo, il parallelo tema del corretto uso del suolo, altra problematica affrontata dagli interroganti con l'atto di sindacato ispettivo che si riscontra.
  È da qualche mese all'attenzione della competente Commissione della Camera dei deputati, infatti, il disegno di legge «governativo» AC 2039 recante «Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato».
  Il predetto disegno di legge in particolare, persegue la finalità di contenere il consumo del suolo, di promuovere l'attività agricola che sullo stesso si svolge o potrebbe svolgersi, nonché gli obiettivi del prioritario riuso del suolo edificato e della rigenerazione urbana rispetto all'ulteriore consumo del suolo edificato, al fine complessivo di impedire che lo stesso venga eccessivamente «eroso» e «consumato» dall'urbanizzazione.
  La salvaguardia della destinazione agricola dei suoli e la conservazione della relativa vocazione naturalistica rappresentano, infatti, un obiettivo di primaria importanza, soprattutto alla luce dei dati statistici acquisiti, dai quali risulta la progressiva «cementificazione» della superficie agricola nazionale. Fenomeno, questo, che compromette il suolo – che per l'Italia, stante l'elevata densità abitativa e la morfologia del territorio, rappresenta un bene di cui v’è carenza e rappresenta, quindi, una risorsa fondamentale non solo dal punto di vista agricolo-alimentare, ma anche sotto il profilo paesaggistico-ambientale. La perdita di superficie agricola, infatti, comporta inevitabilmente una riduzione della produzione agricola, rendendola insufficiente a soddisfare il fabbisogno alimentare nazionale e facendo crescere la dipendenza del nostro Paese dall'estero. Preservare la vocazione agricola del suolo ed evitare di snaturarne e stravolgerne le connotazioni naturalistiche attraverso l'eccessiva urbanizzazione, significa, inoltre, anche tutelare il paesaggio contro il rischio di deturpamento delle bellezze naturali, sia l'ambiente contro il rischio – appunto – di disastri idrogeologici anche conseguenti al cattivo uso del suolo e del territorio.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CARFAGNA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da recentissime notizie di stampa si è appresa la terribile condizione in cui versano gli acquedotti di Roma Nord, contaminati da dosi massicce di arsenico. Ad effettuare le analisi sull'acqua è stata l'Asl Roma C ed i risultati hanno evidenziato «acqua con caratteristiche chimiche e batteriologiche ovvero solo batteriologiche non adatte al consumo umano a causa del superamento dei valori di parametro prescritti»;
   a seguito di tali analisi, l'assessorato allo sviluppo delle periferie, infrastrutture e manutenzione urbana di Roma Capitale ha emesso, tramite ordinanza n. 36 del 21 febbraio 2014, un divieto di utilizzo di acqua fino al 31 dicembre 2014, prospettando quindi dieci mesi di disagi per gli utenti di Roma Nord;
   al di là dei disagi, causati dal divieto dell'uso dell'acqua in modo totale, sia per l'utilizzo alimentare che per l'igiene personale, sembra incredibile che i residenti interessati non siano stati informati né dell'enorme pericolo né dell'ingente disagio che in migliaia saranno costretti a subire: l'ordinanza è del 21 febbraio ma è stata pubblicata sul sito del comune di Roma solo nella giornata del 1° marzo, e ad allertare i cittadini di Roma Nord sono stati esclusivamente i rumors sul web e gli organi di stampa;
   nell'atto emesso dal comune, si prevede tra l'altro di comunicare ai residenti l'emergenza con manifesti da affiggere in strada che però nessuno ha ancora visto. L'ordinanza è solo sul sito del comune di Roma, poco visibile in home page, mentre il sindaco Ignazio Marino si è limitato a ricordare che è a disposizione degli utenti il numero, a pagamento, di Roma Capitale: 06-060606 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti e come intendano intervenire, per quanto di loro rispettiva competenza, al fine di tutelare la salute dei cittadini di Roma esposti a così elevati fattori inquinanti, se del caso attraverso l'adozione di un piano di tutela sanitaria specifica;
   se e come si intendano informare adeguatamente gli abitanti sullo stato del loro territorio e dei rischi per la loro salute;
   se si intendano richiedere approfondite ispezioni nell'area in questione al comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente. (4-03850)

  Risposta. — In merito alla problematica rilevata dall'interrogante, tenuto conto della particolare valenza della questione che interessa profili concernenti la sicurezza e la tutela della salute dei cittadini, appare opportuno premette alcune considerazioni di carattere generale.
  L'arsenico (As) è un metalloide la cui presenza è ampiamente rilevabile in tutte le matrici ambientali. In natura si trova solitamente in piccole quantità nelle rocce, nei suoli, nelle polveri e nell'aria. Poiché è utilizzato, poi, in molti processi industriali, esso viene immesso nell'ambiente (inteso come aria, acqua e suolo) tramite rifiuti ed emissioni, spesso divenendo un contaminante significativo nei siti da bonificare.
  Per quanto riguarda nello specifico la regione Lazio, è necessario sottolineare le autorità regionali hanno più volte ribadito che la presenza dell'arsenico negli acquiferi coinvolti è di origine naturale data la natura vulcanica in cui essi insistono. È questo il motivo per cui la presenza di elevate concentrazioni di arsenico non è da mettere in relazione a inquinamento di tipo antropico.
  È noto, peraltro, che l'acqua da destinare al consumo umano deve avere le caratteristiche di potabilità imposte dal decreto legislativo n. 31 del 2001 e, a tale scopo, in particolare nel caso di non conformità, devono essere intraprese idonee e specifiche azioni di potabilizzazione. Sul punto è opportuno ricordare che l'articolo 2, comma 1, del predetto decreto stabilisce che «per acqua destinata al consumo umano si intende: le acque trattate e non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici ...
  Per quanto attiene, a questo punto, al caso segnalato dall'interrogante, più nello specifico occorre riportare quanto sull'argomento ha riferito la competente azienda Usl Roma «C», direttamente chiamata in causa quale soggetto istituzionale che ha svolto le analisi che hanno comportato la emissione della ordinanza n. 36 del 21 febbraio 2014.
  Essa – è stato innanzitutto precisato – riguarda gli acquedotti della Agenzia per lo sviluppo e l'innovazione in agricoltura del Lazio (A.R.S.I.A.L.) che alimentano alcune aree periferiche di Roma Nord e, nello specifico, circa 500 utenze situate nei municipi XIV e XV. Nel primo, in particolare, le zone interessate sono Santa Maria di Galeria, Tragliatella, Piansaccoccia e una porzione del consorzio di Quercette Grandi; nel secondo, Malborghetto e aree
ex Ente Maremma di Osteria Nuova. Sono esclusi, quindi, i quartieri di Labaro, Primavalle e Giustiniana – molto più popolati – come erroneamente riportato da qualche notizia di stampa.
  Si tratta, peraltro, di acquedotti che distribuiscono acqua per uso agricolo/rurale, per i quali non è mai stata rilasciata da parte della stessa USL – quale soggetto pubblico competente per il controllo delle acque destinate al consumo umano per il territorio di Roma e Fiumicino – il giudizio di idoneità per acqua a scopo potabile, quale atto presupposto richiesto dal citato decreto legislativo n. 31 del 2001.
  Al contrario, a seguito di specifica richiesta formulata dal competente Dipartimento sviluppo infrastrutturale e manutenzione urbana (Simu) del Comune di Roma, la predetta azienda USL Roma «C» aveva eseguito nel periodo febbraio 2013-gennaio 2014 taluni prelievi ricognitivi in alcune zone dei municipi interessati. I campionamenti di acqua venivano effettuati presso le fonti di attingimento degli acquedotti ARSIAL e presso la rete idrica dell'acquedotto pubblico gestito da Acea Ato 2 che parzialmente alimenta tale territorio.
  Per quanto attiene all'acquedotto pubblico, i risultati analitici hanno fornito valori chimici e batteriologici conformi al decreto legislativo n. 31 del 2001. Per quanto riguarda gli acquedotti ARSIAL è stato riscontrato, in alcuni, casi di inquinamento batteriologico, in altri, inquinamento chimico (arsenico e floruri).
  E comunque, come già riferito, a prescindere dagli esiti delle caratterizzazioni chimiche e batteriologiche, tali ultimi acquedotti non possono essere considerati potabili in quanto il sistema di adduzione e di distribuzione non garantiscono la qualità dell'acqua secondo le norme di settore.
  È stato quindi previsto che la soluzione del problema avvenga con l'approvvigionamento totale della zona con l'acquedotto cittadino. In questo senso è stato avviato con Acea Ato 2 un cronoprogramma di attività che prevede la sostituzione delle fonti ARSIAL, la verifica delle condotte e dei serbatoi e i pertinenti allacci su rete Acea.
  Attualmente, e nelle more che si concludano i predetti interventi, la fornitura di acqua per il consumo umano viene assicurata mediante 18 serbatoi mobili, opportunamente dislocati dall'Ente gestore Acea Ato 2 sul territorio interessato dall'Ordinanza sopra richiamata. Nel rispetto del mandato istituzionale, la stessa Azienda USL Roma «C» provvede a controllare periodicamente, mediante campionamenti effettuati presso i serbatoi di cui sopra, la qualità dell'acqua distribuita alla popolazione a tutela della salute collettiva.
  È stato precisato, sul punto, che sino ad oggi i risultati degli esami chimici e batteriologici eseguiti sono conformi ai valori previsti dalla norma.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CARINELLI, COLONNESE, NESCI, MANLIO DI STEFANO e SIBILIA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti di stampa si apprende dell'espulsione di numerosi cittadini europei dal Belgio, fra cui alcuni italiani, perché privi di mezzi sufficienti a mantenersi e quindi considerati un «peso eccessivo» per il sistema sociale;
   nel 2013 sono quasi 2.712 i cittadini dell'Unione che si sono visti recapitare un decreto di espulsione dalle autorità belghe;
   non solo il Belgio, ma anche il Regno Unito, La Francia, l'Olanda e la Germania tentano di allinearsi nel rinchiudere i confini intra-europei;
   le ristrettezze economiche hanno portato, infatti, alcuni Stati a rafforzare un diritto riconosciuto in modo ambiguo dalla legislazione dell'Unione europea, nella fattispecie la direttiva 2004/38;
   in base alla suddetta direttiva le persone inattive, devono disporre, per se stessi e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divengano un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un'assicurazione di malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro;
   la stessa direttiva però riconosce il diritto di soggiorno del cittadino dell'Unione il quale, dopo avere esercitato un'attività lavorativa, si trovi in stato di disoccupazione o sia iscritto presso un ufficio di collocamento;
   l'interpretazione di questa direttiva ha distorto e reso di fatto inesistente la cittadinanza europea;
   negli ultimi anni la Corte di giustizia europea ha fatto acquisire al diritto di muoversi liberamente nel territorio dell'Unione europea una valenza nuova, non più strettamente economica, ma politica;
   la Corte ha svincolato il diritto di libera circolazione e soggiorno, spettante al solo cittadino europeo «economicamente indipendente», che disponga cioè di risorse sufficienti e di un'assicurazione medica, dai riferimenti di ordine economico, elevando tale diritto a categoria inerente lo status di cittadino europeo in quanto tale e facendo sì che il lavoro salariato stabile non restasse la principale modalità di accesso alla circolazione nello spazio europeo;
   con un'altra pronuncia in materia di cittadinanza la Corte ha stabilito il principio secondo cui un cittadino europeo, qualsiasi siano le sue risorse economiche, «durante il suo soggiorno lecito» (Trojani C-456/02 del 2004), «non può non fruire del principio fondamentale relativo alla parità di trattamento»;
   il diritto alla libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, riconosciuto dall'articolo 21 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dalla Carta dei diritti fondamentali, costituisce l'essenza stessa della cittadinanza dell'Unione;
   questi provvedimenti di allontanamento di cittadini europei snaturano radicalmente la cittadinanza europea, permettendo la circolazione solo a chi dichiara un reddito vicino a quello europeo e sia in grado di mantenersi e quindi mettono in discussione il progetto d'integrazione europea da parte dei suoi stessi fondatori;
   è diventato quasi emblematico il caso della cittadina italiana Silvia Guerra, musicista, legalmente residente in Belgio dal 2010 e dal 2012, con un piccolo contratto di inserimento professionale, in parte erogato dallo Stato belga e, nonostante il suo contratto non costituisse un onere irragionevole per lo Stato sociale belga, è stata invitata a lasciare il Belgio;
   diventano incerti i fondamenti stessi dell'Unione e l'Europa rischia di diventare uno spazio di libertà per i capitali, le multinazionali e le merci, ma non per alcuni cittadini: i lavoratori precari e i disoccupati –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di cittadini italiani regolarmente residenti in Belgio ed illecitamente espulsi e quali iniziative intenda assumere, con la massima urgenza, per garantire ai cittadini europei il diritto di circolazione e soggiorno così come previsto dalla Carta dei diritti fondamentali e dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
(4-04957)

  Risposta. — Tra la fine dello scorso anno e l'inizio del 2014 sono giunte all'Ambasciata d'Italia a Bruxelles segnalazioni relative a provvedimenti di revoca del diritto di soggiorno adottati dalle autorità belghe nei confronti di cittadini italiani, il caso della signora Silvia Guerra era stato esposto alla nostra Rappresentanza dalla stessa connazionale, incontrata personalmente dall'ambasciatore Bastianelli. Sulla base di quanto segnalato, l'Ambasciata aveva rivolto al Governo belga una richiesta di chiarimenti in ordine all'esatta natura dei provvedimenti in questione.
  Nel febbraio 2014, la segretario di Stato belga per l'asilo e l'immigrazione, Maggie De Block, ha chiarito che i provvedimenti segnalati non configurano fattispecie di espulsione (possibile solamente per motivi di ordine pubblico), ma si tratta piuttosto di procedimenti amministrativi in forza dei quali i cittadini europei, pur non essendo obbligati a lasciare il Paese, perdono il diritto a beneficiare di prestazioni di assistenza sociale.
  Più in generale, è stato riferito all'Ambasciata che il numero totale dei cittadini dell'Unione Europea ai quali nel 2013 è stata notificata l'adozione di misure del tipo descritto è di 2712. Si tratterebbe di meno dell'1 per cento dei cittadini dell'Unione che beneficiano delle prestazioni dell'assistenza sociale in Belgio. In particolare, gli italiani che nel 2013 sono stati oggetto di misure di revoca del diritto di soggiorno sono in totale 265. In 171 casi la revoca è stata motivata da costi assistenziali a carico dello Stato belga ritenuti eccessivi, mentre negli altri 94 casi si è rilevata un'incoerenza tra la posizione lavorativa dichiarata al momento di stabilirsi nel Paese e la successiva richiesta di un sussidio di disoccupazione. Tutti gli interessati possono in ogni caso ripresentare domanda di soggiorno in Belgio dimostrando di volersi stabilire nel Paese per cercare un lavoro, o comunque nel rispetto della pertinente disciplina di legge.
  L'11 febbraio 2014, l'ambasciatore Bastianelli ha incontrato, insieme all'ambasciatore di Francia in Belgio, la segretario di Stato De Block, per rappresentare le perplessità e il malumore che i provvedimenti in parola, adottati nei confronti di cittadini italiani e francesi, avevano suscitato nei rispettivi Paesi. La segretario di Stato ha ribadito quanto già illustrato dai suoi collaboratori in occasione del precedente incontro, sottolineando come la finalità delle misure prese dalle autorità amministrative belghe sia quella di regolamentare l'indiscusso principio della libera circolazione dei cittadini all'interno dell'Unione Europea. In nessun caso, tuttavia, siffatti provvedimenti implicano – ha precisato la segretario di Stato – un allontanamento fisico dei cittadini europei coinvolti da parte delle locali autorità, a meno che non sussistano ragioni di ordine pubblico. Il provvedimento non preclude la possibilità di ripresentare la domanda di soggiorno. In merito alla procedura seguita dalle singole autorità per arrivare alle proprie determinazioni, la segretario di Stato belga ha precisato che le valutazioni richieste vengono formulate caso per caso, sulla base di una serie di parametri quali la durata del soggiorno, l'età, il grado di integrazione e il legame con il Paese d'origine. D'altro canto, per gli stessi cittadini belgi esiste un limite all'erogazione del sussidio di disoccupazione. Non apparirebbe quindi giustificato riservare un diverso trattamento ai cittadini stranieri, seppur europei. La segretario di Stato De Block ha assicurato la sua piena disponibilità a consultazioni periodiche di aggiornamento sulle linee guida ed i criteri applicati nei procedimenti amministrativi finalizzati all'adozione dei provvedimenti.
  Alla luce di quanto sopra esposto, si assicura che il Governo continua a seguire con attenzione la questione.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriBenedetto Della Vedova.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la società Isochimica spa, che ha operato nel nucleo industriale di Avellino dal 1982 al 1988, nel 1990 ha dismesso la sua attività produttiva, sotto il peso di un crac economico;
   tale società effettuava la scoibentazione e la ricoibentazione di carrozze e vagoni delle Ferrovie dello Stato, ripulendole dall'amianto che poi veniva interrato a mani nude in diversi punti dello stabilimento o impastato in cubi di cemento dimenticati da decenni alle intemperie;
   già dà anni era stata segnalata la pericolosità del sito, che, tra l'altro, operava a meno di cento metri in linea d'aria dagli insediamenti abitativi e addirittura da un istituto scolastico (una scuola elementare) del rione Ferrovia-Pianodardine;
   nei giorni scorsi la procura di Avellino ha sequestrato con procedura d'urgenza le rovine dell'ex stabilimento perché, come riporta il decreto di sequestro, l'amianto abbandonato nell'area rappresenta ormai un gravissimo pericolo per la salute e l'incolumità pubblica;
   sono stati emessi inoltre 24 avvisi di garanzia nei confronti della municipalità di Avellino, e più precisamente dell'intera giunta al potere nel 2005, ritenuta responsabile di rifiuto di atti d'ufficio;
   in particolare, il 23 maggio 2005 la giunta avrebbe deliberato la sospensione della procedura di esecuzione in danno dei lavori di bonifica e la trasmissione al curatore fallimentare, anch'egli indagato, del piano di caratterizzazione redatto dall'Arpac (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania) e approvato in precedenza;
   nello specifico, il vero problema riguarderebbe la nuova procedura per la messa in sicurezza e per il ripristino ambientale del sito dello stabilimento, in quanto questa non avrebbe dato alcuna assicurazione sui tempi di realizzazione e sulla tipologia d'intervento;
   mancherebbe quindi, non solo, qualsiasi termine per la realizzazione del progetto di bonifica, ma anche il parere del Commissario del Governo per l'emergenza rifiuti;
   la bonifica trascinata in venti anni di ritardi e inerzie si è rivelata poco più di una farsa, non essendo stato possibile nemmeno stabilire il numero preciso dei cubi di calcestruzzo e amianto stoccati sul piazzale: trecento, secondo una relazione del 2002, che poi diventeranno 489 in un censimento del 2007 e addirittura 681 secondo il dato di un medico messo a verbale in una riunione al comune di Avellino nel giugno 2010;
   se la notizia del sequestro ha destato l'attenzione di tutto il Paese, in Campania già da anni erano stati denunciati i gravi rischi per i lavoratori;
   ad aggravare la situazione, infatti, le morti degli operai: nei giorni scorsi un ex dipendente dell'azienda è deceduto a causa di una patologia derivante dall'inalazione di asbesto, la materia prodotta dall'inalazione di fibre d'amianto;
   con lui, i casi di morte da amianto sono saliti a 10, mentre gli altri 116 colleghi, alcuni ancora in attività, hanno chiesto il pre-pensionamento, spaventati dalle condizioni in cui si trovano a lavorare;
   nella relazione medica dei consulenti dell'università cattolica del Sacro Cuore di Roma si legge che sono tutti in pericolo di vita, a cominciare dagli ex operai, che hanno lavorato «nell'assenza pressoché totale dei dispositivi di protezione individuale (quando presenti) e collettivi»;
   inspiegabilmente, in contrasto a quanto denunciato dagli stessi esperti, tra l'altro, l'INAIL non ha riconosciuto le patologie degli operai ex-Isochimica, ritenendo che le loro condizioni di salute «non erano preoccupanti, che avevano solo qualche placchetta pleurica così come qualsiasi cittadino»;
   tutto ciò, nonostante i lavoratori utilizzassero solventi, lana di vetro, sigillanti, vernici e antirombi prodotti dallo stesso proprietario dell'Isochimica in un altro suo stabilimento a Fisciano, tutte sostanze dichiarate fuorilegge dai Ministeri della salute e del lavoro a metà degli anni Novanta;
   dal 1991 è iniziata la battaglia dei lavoratori dell'ex stabilimento per il riconoscimento dei loro diritti e solo nel 2003, sotto la spinta di una campagna mediatica abbastanza sostenuta, l'ASL di Avellino ha comunicato l'intenzione di sottoporre a monitoraggio i lavoratori dell'Isochimica, con un protocollo da concordare;
   ad oggi non si è ancora saputo quante persone sono state sottoposte a monitoraggio e quali sono stati i risultati degli esami, nonostante i ripetuti inviti rivolti alla direzione dell'ASL –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità della situazione, quali iniziative ritengano opportuno adottare per addivenire a un rapido accertamento di eventuali coinvolgimenti e responsabilità nella mancata attività di bonifica e messa in sicurezza dell'area nonché quali siano le motivazioni per cui l'INAIL non ha riconosciuto le patologie dei dipendenti dell'ex-stabilimento Isochimica. (4-01198)

  Risposta. — In merito all'atto di sindacato ispettivo in esame, si ritiene preliminarmente opportuno precisare che la questione sollevata in merito alla messa in sicurezza e bonifica del sito dell’ex Isochimica di Avellino investe una materia devoluta agli enti locali e territoriali (comune e regione), per il cui motivo la presente risposta è stata elaborata sulla base degli elementi informativi acquisiti nel corso della istruttoria.
  L'opificio «Isochimica» fu realizzato nei primi anni ’80 in un'area destinata agli insediamenti produttivi dall'allora vigente piano regolatore generale. In particolare, l'opificio si occupava di coibentazione dei vagoni e delle carrozze dei treni delle Ferrovie dello Stato; così, nel periodo di attività 1982-1988 vi sono state «lavorate» migliaia di tonnellate di amianto, in parte smaltito mediante interramento nell'area dello stesso opificio e in parte inglobato nei cubi di cemento-amianto attualmente depositati nel piazzale. La stessa copertura di due grandi capannoni ivi ubicati è costruita in amianto. Nel 1990 circa, la Isochimica fu dichiarata fallita e sottoposto a regime di curatela fallimentare.
  Anche a seguito di ripetute iniziative (richieste, diffide, ordinanze ecc.) poste in essere successivamente alla sua chiusura volte a richiedere la bonifica dell'area, finalmente nel maggio 2013 la Procura della Repubblica presso il tribunale di Avellino ha adottato un provvedimento di sequestro preventivo, nominando custode giudiziario il sindaco di Avellino, e ciò anche al fine di porre in essere azioni mirate alla messa in sicurezza dell'area.
  Ferma restando la competenza sulla materia attribuita alla Regione Campania, il Comune di Avellino nel giugno 2013 aveva richiesto alle amministrazioni competenti l'attribuzione di un finanziamento di 10 milioni di euro per poter procedere alla messa in sicurezza e alla bonifica dell'area. Questo Ministero, per quanto di competenza, rendeva noto di non poter fornire alcun contributo economico in quanto sul proprio bilancio non sussistevano – come ancora oggi non sussistono – le necessarie risorse finanziarie. Tenuto conto, tuttavia, della rilevanza della questione generale della bonifica da amianto, questo stesso Ministero proponeva che al rifinanziamento del piano nazionale amianto si procedesse a valere sulla dotazione aggiuntiva del Fondo per lo Sviluppo e la coesione per il periodo 2014-2020. In coerenza con quanto da ultimo proposto, peraltro, sono in corso di adozione apposite disposizioni normative che potranno rendere possibile l'operazione proposta.
  Al fine di pervenire all'aggiornamento del predetto «piano», pertanto, nel mese di febbraio 2014 veniva richiesto a tutte le regioni di voler segnalare gli interventi e indicare le priorità in materia di bonifica da amianto. Per quanto nello specifico qui interessa, tra le proposte presentate la Regione Campania è stata ricompresa la bonifica dell'area
ex Isochimica, per un importo di 10 milioni di euro.
  Acquisite, così, le istanze regionali, sempre nello stesso mese di febbraio sono state inoltrate le richieste di finanziamento al competente Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Una volta completate tutte le procedure e adottati i pertinenti provvedimenti, solo allora sarà possibile conoscere l'entità delle risorse assegnate per il rifinanziamento del piano nazionale amianto e, conseguentemente, le reali ed effettive risorse da destinare, in particolare, all'intervento presso il sito dell’
ex Isochimica.
  Fermo restando tutto quanto sopra, risulta, poi, che il Comune di Avellino già nel mese di novembre 2013 aveva stipulato una convenzione con l'Arpa Campania per lo svolgimento dell'attività di monitoraggio ambientale nelle aree dell’
ex Isochimica.
  I risultati hanno palesato una concentrazione di fibre di amianto all'esterno dello stabilimento verosimilmente provenienti dai cubi in cemento-amianto ivi stoccati che si trovano in pessimo stato di conservazione (degenerati e friabili). Il sindaco di Avellino ha avviato la messa in sicurezza con la «procedura in danno» mediante due distinti intendenti: il primo, aggiudicato alla Mondo Ecologia srl, prevede l'incapsulamento definitivo con speciale vernice a più mani dei blocchi in cemento-amianto, nonché la pulizia della vegetazione esistente; il secondo intervento, aggiudicato alla DE.FI.AM srl, consiste nel trattamento con speciali vernici stabilizzanti delle coperture in cemento-amianto dei due capannoni.
  Per quanto attiene, in ultimo, alle problematiche di carattere sanitario, la Asl di Avellino ha precisato che l'Isochimica non è inserita tra i siti ad alto rischio dal Ministero della salute – ossia tra quelli che prevedono programmi attivi di vigilanza per la popolazione – fatta eccezione per gli ex esposti all'amianto, e quindi per gli ex lavoratori dello stabilimento. Dei circa 400 soggetti che hanno lavorato pressa di esso, 273 sono residenti nel territorio di competenza dell'ASL di Avellino e di questi, tenuto conto delle persone decedute per varie cause e di quelle che pur invitate a sottoporsi allo
screening non si sono mai presentate, solo 212 soggetti sono sottoposti a sorveglianza sanitaria, e quindi sottoposti a controlli periodici. Sul punto è stato precisato che il costante monitoraggio attuato ha consentito la segnalazione all'Inail di 176 soggetti per le valutazioni circa l'eventuale riconoscimento di malattia professionale.
  Dai dati forniti dalla sede Inail di Avellino, infine, risulta che dal 2010 ad oggi sono state protocollate 130 istanze di riconoscimento di malattia professionale asbesto-correlata; sono state riconosciuti 84 casi di malattia professionale asbesto-correlata in danno biologico con postumi di vario grado; sono state costituite 6 rendite dirette e 2 rendite a superstiti; risultano pendenti 27 controversie giudiziarie avviate da lavoratori dell’
ex Isochimica.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CRIPPA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con comunicato stampa pubblicato in data 4 febbraio 2009, il dipartimento di ANAS Piemonte ha deliberato l'aggiudicazione in via definitiva dell'appalto per l'esecuzione dei lavori di ammodernamento e allargamento della strada statale 32 «Ticinese» in provincia di Novara;
   come da progetto, l'intervento prevedeva l'adeguamento dell'allora sede stradale con una corsia da 3,75 metri per senso di marcia e relative banchine da 1,50 metri, e doveva comportare anche una variante dell'attuale tracciato in corrispondenza dell'abitato di Cavagliano;
   come si può inoltre apprendere dal già citato comunicato stampa, erano inoltre previsti svincoli a rotatoria per l'innesto con la viabilità secondaria, la ridefinizione degli attraversamenti idraulici-irrigui, le strade di servizio ai fondi, gli impianti di illuminazione, le barriere di sicurezza e la segnaletica;
   dalla gara è risultato aggiudicatario l'operatore economico Cerutti Lorenzo s.r.l. di Borgomanero (Novara) per un importo complessivo dell'appalto di circa di 5,665 milioni di euro;
   ad oggi i lavori di rimodernamento infrastrutturale sono effettivamente conclusi;
   nonostante ciò, la rotatoria sorta all'altezza del bivio con la strada provinciale 83 e Cascina Rosa risulta ancora oggi priva della prevista illuminazione e di qualsiasi tipo di segnaletica temporanea;
   tale rotatoria sorge all'interno del territorio del comune di Cameri (Novara);
   essendo evidente il pericolo derivante dalla percorrenza di quel tratto da parte degli automobilisti specialmente nelle ore notturne, l'interrogante ha provveduto a contattare le istituzioni che, a rigor di logica, sembrerebbero essere direttamente coinvolte nell'allacciamento elettrico agli impianti presenti;
   il 19 febbraio 2014, dopo le opportune verifiche, l'interrogante richiede chiarimenti considerando il disservizio al dipartimento ANAS di Torino che provvede a rispondere in data 26 febbraio 2014 riportando le sintesi di alcune comunicazioni intercorse fra lo stesso ente e il comune di Cameri accompagnate dal numero di protocollo ANAS;
   dalla nota prot. CT0-0030097-A del 2 novembre 2011 emergerebbe come il comune di Cameri avrebbe dovuto procedere con le modifiche all'allaccio elettrico esistente al fine di completare i lavori previsti dal progetto;
   nella medesima nota viene inoltre riportato che a causa delle condizioni economiche dell'ente legate alla legge finanziaria 2011 e al patto di stabilità, il comune fosse impossibilitato a svolgere quanto richiesto sia in termini di allaccio che in termini di intestazione delle bollette energetiche invitando ANAS ad accollarsi tali oneri;
   dalla nota prot. CT0-0001313-P del 19 gennaio 2012 si apprende che il compartimento ANAS di Torino comunicava la propria disponibilità al pagamento delle spese relative alla variazione di potenza dell'impianto elettrico attualmente in servizio, precisando però che tale disponibilità era vincolata alla potenza richiesta dall'impianto in servizio e non ad una maggiore;
   nella nota sopracitata ANAS chiedeva inoltre al comune di porre in essere tutte le procedure per l'esecuzione dei lavori di adeguamento dell'impianto;
   nella già citata risposta di ANAS all'interrogante del 26 febbraio 2014 lo stesso ente comunica inoltre che l'impianto di illuminazione in questione sarà funzionante entro il mese di aprile 2014;
   al fine di un'ulteriore verifica e per avere il parere di tutte le parti coinvolte, in data 27 febbraio 2014 si è provveduto a richiedere informazioni, alla luce di quanto scritto da ANAS precedentemente, al comune di Cameri che risponde in data 11 marzo 2014 dichiarando però che, considerando che gli impianti di illuminazione pubblica nel tratto di strada statale interessata dai lavori rientrano nel progetto esecutivo di ANAS, l'ente locale ha ritenuto che sia di competenza della stazione appaltante fornire quanto necessario alla messa in funzione dell'impianto, e cioè della stessa ANAS;
   inoltre, nonostante l'interrogante l'avesse chiaramente richiesto, il comune di Cameri non ha fatto alcun riferimento al mese di aprile come scadenza entro cui tale impianto dovrebbe entrare in funzione;
   la circolazione di tale tratto nelle ore notturne risulta essere estremamente difficoltosa e pericolosa considerando che, oltre a non essere attivo l'impianto di illuminazione, non risulta inoltre presente la segnaletica temporanea di emergenza per fornire un'adeguata informazione agli automobilisti –:
   se i Ministri interrogati possano chiarire definitivamente se la competenza dell'allacciamento dell'energia elettrica dell'impianto di illuminazione installato presso la rotonda menzionata nelle premesse sia di ANAS;
   quali siano le ragioni per le quali ANAS non ha provveduto ad installare segnalazioni temporanee di emergenza al fine di informare gli automobilisti circa la pericolosità del tratto nelle ore notturne;
   se possano, dopo aver contattato tutti gli enti preposti, confermare che tale impianto di illuminazione sarà in funzione entro aprile 2014. (4-04203)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle notizie fornite dalla società Anas.
  I lavori di adeguamento della strada statale 32 «Ticinese» alla classe C1 (strada extraurbana secondaria con una corsia per ogni senso di marcia e banchine laterali) nel tratto compreso tra il Km 6+800, nel comune di Cameri, ed il Km 12+300, nel comune di Bellinzago Ticinese, sono stati ultimati.
  Per quanto riguarda la rotatoria tra la strada statale 32, la strada provinciale 83 e Cascina Rosa, è utile segnalare che la normativa stradale vigente non prevede l'obbligo di illuminazione, trattandosi di intersezioni a raso tra una strada di categoria C e strade secondarie.
  Tuttavia l'Anas fine di aumentare il livello di sicurezza dell'incrocio ha progettato e realizzato un impianto di illuminazione ed ha nel contempo installato una adeguata segnaletica di preavviso della rotatoria in conformità ai dettami del codice della strada.
  Si segnala, infine, che il suddetto impianto di illuminazione risulta regolarmente funzionante e che il comune di Cameri si farà carico delle spese di gestione e manutenzione dello stesso.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   DAGA, TERZONI, DE ROSA, SEGONI, BUSTO, MANNINO, ZOLEZZI, FRUSONE, VIGNAROLI, BARONI, CRISTIAN IANNUZZI, RUOCCO e LOMBARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con decreto prefettizio n. 77775/1129/10/2013 dell'11 aprile 2013, pubblicato sull'Albo pretorio on line, nelle more dell'emanazione del decreto presidenziale di scioglimento, è stata disposta la sospensione del consiglio comunale di Tivoli ed è stato nominato commissario prefettizio per la provvisoria amministrazione dell'ente con i poteri spettanti al consiglio comunale, alla giunta e al sindaco, la dottoressa Alessandra De Notaristefani di Vastogirardi, viceprefetto. Col medesimo decreto è stata nominata subcommissario prefettizio la dottoressa Sonia Boccia – viceprefetto aggiunto;
   Villa Adriana fu una residenza reale extraurbana a partire dal II secolo. Voluta dall'imperatore Adriano, si trova presso Tivoli, in provincia di Roma. Realizzata gradualmente nella prima metà del II secolo a pochi chilometri dall'antica Tibur, la struttura appare un ricco complesso di edifici estesi su una vasta area, che doveva coprire circa 120 ettari, in una zona ricca di fonti d'acqua a 17 miglia romane dall'Urbs;
   nel 1999 il complesso archeologico di Villa Adriana è stato inserito nell'elenco dei siti patrimonio mondiale dell'umanità dell'UNESCO; nel momento dell'iscrizione l'UNESCO, oltre a definire il perimetro del bene iscritto alla lista del patrimonio mondiale ha stabilito, con un accordo internazionale con la Repubblica Italiana, anche la buffer zone, ossia una zona «cuscinetto» di protezione per l'area archeologica di Villa Adriana;
   contestualmente all'inserimento, l'Italia si impegnava a tutelare la buffer zone, a rispetto dell'area archeologica e in particolare a sottoporre preventivamente all'UNESCO i progetti, relativi alla suddetta area di protezione, che avrebbero potuto trasformare il paesaggio circostante la villa stessa;
   come riportato da alcuni articoli di giornale, è in atto un progetto di sviluppo edilizio chiamato «Comprensorio di Ponte Lucano» capofila del progetto la Impreme S.p.A del costruttore Massimo Mezzaroma che insiste sulla cosiddetta buffer zone e quindi rischierebbe di far perdere lo status di patrimonio mondiale dell'Umanità alla suddetta villa dell'imperatore Adriano;
   il Consiglio regionale del Lazio con delibera n. 41 del 31 luglio 2007 dispone che i comuni sono sollecitati a collaborare al processo di formazione del Piano territoriale paesaggistico regionale «...a fornire alla regione, prima della redazione del PTPR, la situazione reale ed aggiornata del territorio in cui incidono ed operano vincoli paesaggistici e gli stessi PTP vigenti, ai fini di una loro eventuale modifica e necessariamente ai fini di un loro inserimento nel nuovo Piano in corso di redazione...». Le proposte/osservazioni dei comuni «...se accolte e parzialmente accolte, trovano adeguata collocazione nel PTPR mediante specifiche rappresentazioni e disposizioni...»;
   rispetto al PTPR nella fase di elaborazione di tale piano, la regione Lazio e gli altri enti ed istituzioni di competenza, avevano manifestato la volontà di voler instaurare sulla zona della «Nathan» gli anzidetti due ulteriori vincoli «paesaggio naturale» e di «paesaggio naturale agrario», in aggiunta alle prescrizioni di tutela ivi già esistenti;
   il consiglio comunale di Tivoli si era opposto a tale implementazione vincolistica, sostenendo in sintesi: che i predetti vincoli non erano compatibili con le previsioni del piano regolatore comunale e che andavano esclusi in toto; che su una parte dell'area insistevano già insediamenti abitativi e doveva, in ogni caso, essere rettificata la perimetrazione indicata per gli anzidetti nuovi vincoli;
   la delibera regionale dichiara significativamente il proprio intento di voler rispettare lo spirito informatore ed il dettato del Codice dei beni culturali e paesaggistici (decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modifiche). In ossequio ed in conformità con tale normativa, conferma che il piano paesaggistico è ispirato «...al principio di minor consumo del territorio... con particolare attenzione alla salvaguardia dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO e delle aree agricole...»;
   inoltre la delibera regionale evidenzia in modo non equivoco, né equivocabile, che la previsione di tutela vincolistica è stata rimossa solo per le zone già andate soggette ad edificazione. La sussistenza dei vincoli di inedificabilità viene invece ribadita su tutta l'area residua, per la quale è evidenziato che è stata incontrovertibilmente respinta la proposta comunale di eliminare i suddetti vincoli;
   nonostante quanto detto in precedenza, il consiglio comunale di Tivoli con delibera n. 74 del 6 dicembre 2011 ha approvato in via definitiva il piano di lottizzazione «comprensorio di Ponte Lucano» dando il via libera ad una prima edificazione di 120.000 metri cubi di cemento a cui ne seguiranno successivamente altri 60.000, all'interno dell'area buffer zone stabilita con l'accordo internazionale;
   tale piano di lottizzazione non è stato preventivamente sottoposto all'UNESCO prima della sua approvazione;
   l'approvazione è avvenuta senza il nulla osta della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, a quanto risulta agli interroganti, pervenuto solo successivamente all'approvazione;
   il nulla osta favorevole della direzione non sembra agli interroganti tenere conto del precedente parere negativo della soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il Lazio e della evidente violazione degli impegni internazionali sottoscritti dall'Italia, che prevedevano una preventiva comunicazione del progetto all'organizzazione internazionale;
   anche il nulla osta favorevole della soprintendenza archeologica per il Lazio non sembra agli interroganti prendere in considerazione il mancato adempimento degli impegni internazionali sottoscritti dall'Italia in sede UNESCO;
   il 5 gennaio 2012 il Direttore del World heritage center dell'Unesco ha inviato una missiva all'ambasciatore Maurizio Enrico Serra, capo della delegazione permanente italiana presso l'Unesco, esprimendo preoccupazione per l'approvazione da parte del comune di Tivoli della lottizzazione «comprensorio di Ponte Lucano» (meglio nota come «Nathan»);
   nella sessione numero 36 del World heritage commitee, che si è riunito tra il 24 giugno e il 6 luglio 2012 a San Pietroburgo, la vicenda della lottizzazione è stata analizzata dall'Unesco che ha concluso la propria analisi con la seguente valutazione: «Si richiede, allo Stato membro di informare il Whc in tempo utile rispetto a qualsiasi progetto di sviluppo pianificato nell'area buffer, includendo anche il progetto di sviluppo edilizio del «comprensorio di Ponte Lucano», per il quale deve fornire inoltre una valutazione sull'impatto in relazione al paragrafo 172 delle linee guida, prima di mettere in atto qualsiasi impegno irreversibile»;
   il comitato aveva anche stabilito un limite di tempo oltre il quale l'Italia non poteva andare, intimando al nostro Paese «di inviare al Whc entro il 1° febbraio 2014 un report aggiornato sullo stato di conservazione del sito»;
   in data 17 aprile 2013 è stata presentata un'interrogazione 4-00091 a prima firma del senatore Bartolomeo Pepe del MoVimento 5 Stelle riguardante il tema in oggetto;
   in data 26 giugno 2013 nella seduta n. 051 è stata presentata un'ulteriore interrogazione a risposta scritta 4-00427 a prima firma dal senatore Bartolomeo Pepe del MoVimento 5 Stelle riguardante sempre il tema in oggetto –:
   se il Ministro per i beni e le attività culturali non ritenga che la mancata tutela di questa area, oltre ad essere grave in sé, danneggia anche l'immagine del patrimonio naturale, culturale e turistico italiano, con il rischio concreto della cancellazione del sito della villa dell'imperatore Adriano dal patrimonio mondiale dell'umanità dell'Unesco, nel caso in cui non siano rispettati i parametri minimi di gestione dettati dall'organizzazione internazionale;
   se il Ministro abbia predisposto il report aggiornato sullo stato di conservazione del sito;
   se il Ministro intenda immediatamente verificare la correttezza dell’iter approvativo del progetto con specifico riferimento alla tutela del bene in essere;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per garantire il rispetto degli impegni internazionali che proteggono l'area archeologica di Villa Adriana, essendo stata disattesa, a quanto risulta agli interroganti, la precisa prescrizione che impone di sottoporre preventivamente all'Unesco i progetti che hanno effetto rilevante sull'area;
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di tutelare l'integrità di un patrimonio culturale e paesaggistico a valenza universale, annoverato tra i siti Unesco e come tale oggetto di un accordo internazionale che obbliga lo Stato italiano alla tutela e alla conservazione che potrebbe essere comprovante dal piano di lottizzazione «comprensorio di Ponte Lucano»;
   se abbia provveduto ad informare, come da procedura, il World heritage commitee della lottizzazione «comprensorio di Ponte Lucano» e, in caso contrario, quali iniziative urgenti voglia adottare al riguardo dell'ennesima speculazione edilizia in atto nella zona protetta da vincolo paesaggistico. (4-03244)

  Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare in esame l'interrogante chiede quali iniziative intenda intraprendere il Ministro, nei confronti di Villa Adriana a Tivoli, «al fine di tutelare l'integrità di un patrimonio culturale e paesaggistico a valenza universale, annoverato tra i siti Unesco» che sembra minacciato dalla realizzazione del complesso edilizio denominato «comprensorio Ponte Lucano».
  Al riguardo, si comunica quanto segue.
  In merito a quanto menzionato nell'interrogazione, ricordando che il sito archeologico di Villa Adriana è gestito in forma diretta dal Ministero e l'ente gestore è la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, si ritiene opportuno ricostruire in maniera puntuale la vicenda, invero molto lunga, complessa e che nei suoi ultimi sviluppi presenta profili problematici nuovi e senza precedenti in Italia per quanto attiene al rapporto fra i sistemi e le procedure di tutela nazionale e dell'UNESCO.
  Nel 1981 il consiglio comunale di Tivoli, con delibera n. 68 del 1981, ha approvato il piano di lottizzazione del comprensorio di Ponte Lucano in località Villa Adriana – Zona Galli. Sulla scorta di detta delibera è stata sottoscritta la relativa convenzione urbanistica.
  Nel 1986 con concessione edilizia n. 93 del 15 novembre 1986, il comune di Tivoli ha consentito l'urbanizzazione primaria dell'area.
  Nel 1990 il consiglio comunale di Tivoli, con delibera n. 152 del 20 novembre 1990, ha approvato una variante al piano di lottizzazione dell'area di cui trattasi e prorogato i termini della convenzione urbanistica.
  Il 9 luglio 1998 la società proprietaria dell'area in esame ha presentato un nuovo progetto di piano di lottizzazione, visto anche il decorso dei termini di vigenza della convenzione urbanistica sopra citata. 

  Nel 1999 Villa Adriana è stata iscritta nella lista Unesco del patrimonio mondiale dell'umanità.
  Nel 2008 il consiglio comunale di Tivoli, con delibera n. 35 del 10 luglio 2008, ha adottato il nuovo piano di lottizzazione convenzionata «Comprensorio di Ponte Lucano» in Tivoli, località Ponte Lucano, cosiddetto «Piano Nathan».
  Il 17 novembre 2009 la Soprintendenza per beni archeologici del Lazio ha reso parere favorevole, con prescrizioni, al piano di lottizzazione, dettando disposizioni specificamente volte a preservare le preesistenze archeologiche insistenti sull'area, già tutelate con decreto ministeriale 5 giugno 1991 e decreto ministeriale 25 giugno 2009.
  Il 1o marzo 2010 la regione Lazio ha autorizzato, ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, della legge regionale Lazio n. 24 del 1998, e degli articoli 16 e 28 della legge n. 1150 del 1942, il piano di lottizzazione dell'area.
  Il 21 giugno 2011 la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo ha reso il parere di competenza, ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, della legge n. 1150 del 1942 e dellalegge regionale Lazio n. 24 del 1998, esprimendo una posizione sostanzialmente contraria al piano di lottizzazione.
  Il 20 febbraio 2012 la stessa soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo, nel concordare con quanto statuito nei parere della regione Lazio del 1° marzo 2010, esaminata una nuova versione del piano di lottizzazione, rilasciava un parere favorevole con ampie e dettagliate prescrizioni.
  Con provvedimento del 1° marzo 2012, la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, visti i testé citati pareri endoprocedimentali favorevoli resi dalle soprintendenza architettonica e archeologica competenti per territorio, nonché l'istruttoria sottesa a detti atti, ha espresso il proprio parere favorevole, con prescrizioni, al piano di lottizzazione «Nathan».
  Avverso il parere della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, proponeva ricorso al Tribunale Amministrativo del Lazio l'Associazione Italia Nostra Onlus (rg. 6779/2012), ricorso ad oggi pendente.
  Il Consiglio comunale di Tivoli, con deliberazione n. 74 del 6 dicembre 2012, ha definitivamente approvato il nuovo piano di lottizzazione convenzionata «Comprensorio di Ponte Lucano» in Tivoli, località Ponte Lucano, cosiddetto «Piano Nathan».
  Così chiarito l'iter procedimentale relativo al progetto edilizio, si può passare ad illustrare la problematica, menzionata nell'interrogazione, relativa alle iniziative dell'Unesco per Villa Adriana.
  Al riguardo, va premesso che il riconoscimento di Villa Adriana come sito Unesco ha comportato la individuazione di due aree; il sito vero e proprio (circa 80 ha) e una più ampia area circostante, detta «zona cuscinetto» (buffer zone – circa 500 ha). Il progettato piano di lottizzazione ricade all'interno della zona cuscinetto.
  Nel corso dei lavori del Comitato per il patrimonio mondiale dell'Unesco, tenutisi a San Pietroburgo nel giugno del 2012, a seguito di segnalazioni pervenute al comitato stesso a proposito di Villa Adriana, veniva approvata una decisione che chiedeva: «allo Stato parte (cioè l'Italia) di informare il Centro del patrimonio mondiale in tempo utile su qualsiasi progetto di sviluppo di rilievo previsto nella buffer zone del bene, compresi gli sviluppi dei programmi edilizi nel comprensorio Ponte Lucano, per il quale dovrebbe essere inclusa una valutazione d'impatto sul Patrimonio, in conformità al punto 172 delle linee guida, prima che sia preso qualunque impegno irreversibile. Chiede inoltre allo Stato parte di presentare al Centro del patrimonio mondiale un rapporto aggiornato sullo stato di conservazione del bene entro il 1o febbraio 2014».
  La valutazione di impatto sul patrimonio (Heritage Impact Assessment, HIA) richiesta dall'Unesco uno studio che deve essere realizzato da esperti indipendenti a cura dell'organismo nazionale responsabile per il sito Unesco in questione (nel caso di Villa Adriana, come sopra detto, la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio).
  Tali esperti si avvalgono di strumenti di indagine e metodologie multidisciplinari, che attengono a diversi profili riguardanti il bene, non limitati esclusivamente a quelli storico-artistici o paesaggistici.
  Conseguentemente, con contatto protocollo n. 22891, del 4 dicembre 2013, la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio incaricava l'architetto Jane Thompson per la redazione di uno studio di valutazione di impatto ambientale (HIA), come richiesto dalle procedure Unesco.
  Con nota protocollo n. 7674 del 15 maggio 2014, la direzione generale riscontrava la richiesta della soprintendenza per i beni archeologici del Lazio concedendo alle soprintendenze il termine del 26 maggio 2014 per i richiesti approfondimenti e per la trasmissione di una relazione sui contenuti della HIA.
  Inoltre, in ottemperanza a quanto richiesto dal Comitato per il patrimonio mondiale, in data 31 gennaio 2014, il Ministero inoltrava il rapporto aggiornato sullo stato di conservazione di Villa Adriana, nel quale si evidenziano i fattori di rischio e le attuali problematiche di conservazione che dovrebbero costituire la base degli interventi nell'area.
  Quanto alla HIA la versione definitiva della relazione è stata trasmessa alla direzione generale il 7 luglio 2014 nelle duplici versioni inglese (facente fede) ed italiana. Sembra opportuno riportarne testualmente le conclusioni (dal sommario breve-versione italiana).
  «Il piano di lottizzazione per il comprensorio di Ponte Lucano avrebbe un forte impatto negativo sui vari aspetti del patrimonio all'interno del sito proclamato Patrimonio mondiale dell'umanità e sul suo rapporto con il paesaggio che lo circonda, l'area di rispetto, che contribuiscono all'OUV [Outstanding Universal Value, Eccezionale valore universale], e su ulteriori valori culturali. Portare avanti il progetto è in conflitto con l'articolo 98 delle linee guida della convenzione Unesco per il Patrimonio mondiale (...). Comporterebbe il rischio di una decisione del World Heritage Commitee di far collocare Villa Adriana nella lista del Patrimonio mondiale in pericolo (World Heritage in Danger List) e, in assenza della rimozione delle cause dell'impatto negativo sull'OUV, la sua successiva cancellazione. L'unica possibilità che lo Stato italiano ha per evitare una tale eventualità è di bloccare questo progetto di pianificazione urbanistica.»
  In base alle conclusioni emerse dal predetto studio di impatto, il Ministero ha immediatamente convocato riunioni – in corso in questi giorni – dapprima con gli organi competenti del Ministero stesso e immediatamente dopo con gli enti locali interessati, al fine di valutare congiuntamente le implicazioni derivanti dalla presentazione della relazione suddetta e le conseguenti determinazioni da adottare.
  In vista di tali determinazioni, si ritiene che l'esame dei profili giuridici della vicenda induce a ritenere sussistenti i presupposti contemplati dalla legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo per avviare un eventuale procedimento di revisione degli atti fin qui adottati.
  È appena il caso di osservare che la semplice ipotesi di un inserimento di Villa Adriana nella Lista del Patrimonio Mondiale in Pericolo o – peggio – di una sua cancellazione dalla Lista Unesco è del tutto inaccettabile e il Ministero farà quanto occorre per impedirlo.
  Si può, altresì, rilevare come la relazione HIA richiesta per Villa Adriana non abbia precedenti, almeno per l'Italia (che, come è noto, ospita il più elevato numero di siti Unesco) e dunque rappresenti un precedente di grande rilievo per ciò che attiene al rapporto fra ordinamento – e organi di tutela – nazionali da un lato, e regole, procedure e metodi di valutazione dell'Unesco dall'altro. In sostanza, la vicenda ha il pregio di richiamare all'attenzione delle autorità italiane – organi politici e amministrativi, amministrazioni centrali e locali – il fatto che l'inserimento di un sito nell'elenco Unesco non rappresenta solo un prestigioso ed ambito riconoscimento, ma reca con sé anche il potenziale assoggettamento a controlli e valutazioni operati da soggetti e istituzioni internazionali, operanti secondo regole e criteri non necessariamente coincidenti con quelli espressi dagli organi nazionali.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoDario Franceschini.


   DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Direzione generale della cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri italiano (DGCS-MAE), come da delibera n. 172 del Comitato direzione per la cooperazione allo sviluppo del 22 novembre 2007, ha disposto il finanziamento del progetto denominato «Tanzania – Intervento sanitario di potenziamento della diagnosi e cura dell'infezione da Hiv/Aids, tubercolosi, malaria e patogeni emergenti» per un importo complessivo di euro 2.427.500,00, programma ordinario AID 8785;
   dal sito dell'Ambasciata dell'Italia in Tanzania risulta, invece, che l'importo deliberato per l'esecuzione del predetto progetto ammonterebbe ad euro 2.690.000;
   sempre dal sito dell'Ambasciata italiana si apprende che, nell'ambito del suddetto progetto, vi rientra anche la realizzazione, a partire dalla fine del 2008, di un laboratorio BSL-3 a Bagamoyo nonché altri interventi nei siti di Dodoma e di Iringa, con una durata di 24 mesi e come primo traguardo quello di «Arrestare entro il 2015, invertendo la tendenza, l'incidenza della malaria e delle altre principali malattie»;
   come risulta dal sito dell'Istituto nazionale per le malattie infettive (INMI) Spallanzani di Roma che collabora con la Direzione generale della cooperazione allo sviluppo dal 2005 nella conduzione di programmi di cooperazione sanitaria nella Repubblica Unita di Tanzania, emerge che a «Bagamoyo in collaborazione con le autorità locali e con Ifakara Health Institute, si è conclusa la fase preliminare di fattibilità e quella amministrativa per la realizzazione di un laboratorio di biosicurezza di livello BSL-3»;
   emerge inoltre che nel «periodo ottobre-dicembre 2008 è stata lanciata ed espletata la gara relativa alle attrezzature del BSL 3» e che, nel 2009, nel «sito di Bagamoyo sono stati acquistati i materiali e le attrezzature previste per l'implementazione del laboratorio di biosicurezza BSL-3 all'interno dell'Ospedale distrettuale di Bagamoyo»;
   dal medesimo sito internet risulta che «le procedure per la costruzione e l'impiantistica del laboratorio sono tutt'ora in corso con conclusione prevista entro la fine dell'anno 2010» quando, invece, dal sito internet dell'Ifakara Health Institute si apprende che il Laboratorio BSL-3 a Bagamoyo è stato inaugurato ufficialmente il 18 luglio 2013;
   nella risposta all'interrogazione n. 4-04927, presentata al Senato e pubblicata il 5 aprile 2011, il sottosegretario di Stato agli affari esteri Scotti affermava che «i costi per la realizzazione di tale struttura ammontano a 280.000 euro» e che, inoltre, «si è ricorso alla procedura negoziata senza pubblicazione di bando, inviando l'invito ad almeno cinque potenziali concorrenti»;
   in un laboratorio di biosicurezza di livello BSL-3 vengono coltivati e trattati agenti biologici di pericolosità 3 – come classificati nell'allegato XLVI del decreto legislativo n. 81 del 2008 – che possono causare malattie gravi in soggetti umani, che costituiscono un serio rischio per i lavoratori e che possono propagarsi nella comunità;
   come emerge dalla risposta al predetto atto di sindacato ispettivo n. 4-04927, tale laboratorio veniva istituito con finalità diagnostiche, è situato all'interno dell'ospedale distrettuale di Bagamoyo, ed è affidato in convenzione ad Ifakara health institute (IHI);
   per quanto risulta all'interrogante all'interno di un Laboratorio BSL-3 è necessario, ai fini della corretta conservazione degli agenti biologici, l'utilizzo di celle frigorifere con azoto liquido ad una temperatura di -80°C –:
   quale sia l'importo effettivamente stanziato da parte dello Stato italiano per l'intero progetto denominato «Tanzania – Intervento sanitario di potenziamento della diagnosi e cura dell'infezione da Hiv/Aids, tubercolosi, malaria e patogeni emergenti», atteso che i dati dell'Ambasciata italiana in Tanzania divergono da quelli della Direzione generale della cooperazione allo sviluppo e dell'INMI;
   quali siano gli importi effettivamente destinati e stanziati da parte dello Stato italiano per la costruzione, gestione e funzionamento del Laboratorio BSL-3 di Bagamoyo e delle strutture nei siti di Dodoma ed Iringa, che rientrano nel predetto progetto;
   se il Ministro interrogato confermi che la data di inaugurazione della struttura a Bagamoyo è quella del 18 luglio 2013, come riportato in premessa, invece di quella prevista dal progetto, vale a dire a 24 mesi dall'inizio che era stato alla fine del 2008 (dunque fine 2010) ed in caso di risposta affermativa, quali siano le ragioni di tale ritardo;
   se il Ministro interrogato sia in possesso dei collaudi del laboratorio di Bakamoyo e delle altre strutture realizzate in Tanzania in esecuzione del progetto di cooperazione e sviluppo;
   se il Ministro interrogato intenda fornire elementi in ordine al raggiungimento o meno del traguardo di «Arrestare entro il 2015, invertendo la tendenza, l'incidenza della malaria e delle altre principali malattie» cui è finalizzato il progetto di cooperazione;
   se il Ministro interrogato intenda fornire quali agenti patogeni sono coltivati e conservati all'interno di tali strutture; con quali finalità, da quali strutture sanitarie provengono e se siano stati inviati in Italia campioni virali dalla Tanzania;
   quali siano i nominativi delle cinque ditte che sono state invitate alla procedura di cui al comma 7-bis dell'articolo 122 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e quale sia il nominativo della ditta che si è aggiudicata l'appalto, in relazione alla gara registrata presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici con il codice identificativo gara 039146464E;
   quale sia la ditta che garantisce la manutenzione dei sistemi per il mantenimento di azoto liquido ad una corretta temperatura nel laboratorio di Bagamoyo e quale sia la ditta che ha in gestione il sistema di smaltimento dei rifiuti solidi e liquidi di tali strutture realizzate in Tanzania;
   quali siano i nominativi dei responsabili dei laboratori di biosicurezza di cui al presente atto ed a carico di chi siano le spese per il personale che lavora nei laboratori stessi. (4-04565)

  Risposta. — Giova precisare che la presenza della cooperazione italiana in Tanzania si è nel corso del tempo dovuta ridimensionare anche in conseguenza dell'esclusione dal novero dei paesi prioritari nell'ambito delle linee guida della stessa cooperazione. Nel Paese tuttavia restano attivi in particolare due programmi bilaterali con profili di alto livello tecnico:
   il primo a sostegno dei principali istituti politecnici del Paese per migliorarne l'offerta formativa e i collegamenti con il mercato del lavoro dal titolo «Programma di supporto al settore della formazione professionale ed allo sviluppo del mercato del lavoro in Tanzania» (AID 9152 delibera del comitato direzionale n. 189 del 14 ottobre 2008 per euro 2.754.600,00);
   il secondo in collaborazione con il Ministero della sanità della Tanzania per la diagnosi e la cura delle malattie infettive e dei patogeni emergenti, il cui coordinamento tecnico-scientifico è affidato all'istituto nazionale malattie infettive Spallanzani-Inmi, dal titolo «Intervento sanitario di potenziamento della diagnosi e cura dell'infezione da HIV/AIDS, tubercolosi e patogeni emergenti in Tanzania» (AID 9562, delibera del comitato direzionale n. 6 del 16 marzo 2011 per euro 2.146.900,00).

  Quest'ultimo è il proseguimento di un programma di attività sanitarie iniziato nel 2006 rivolto al sostegno della gestione delle grandi epidemie (HIV, Malaria e Tubercolosi) attraverso il rafforzamento della rete di strutture assistenziali. Successivamente si è orientato verso un progressivo ampliamento della componente di capacity building, in termini di formazione e ricerca, di attenzione all'area nella gestione delle febbri, di risposta e sorveglianza delle malattie emergenti, nonché alla prevenzione delle infezioni ospedaliera. Gli interventi della Farnesina con la consulenza scientifica dell'Inmi, d'intesa con il Ministero della sanità della Tanzania e con istituti di sanità pubblica locali, quali il National Institute of Medical Research e l’Ifakara Health Institute, sono stati improntati ad un modello di co-gestione paritaria della cooperazione sanitaria allo sviluppo.
  Occorre in primo luogo chiarire che l'iniziativa AID 8785 rappresenta la prima fase degli interventi disposti dalla Farnesina (delibera n. 172 del 22 novembre 2007 per euro 2.427.500,00, di cui euro 920.000,00 per la costituzione di un «fondo esperti» ed euro 1.507.500,00 quale fondo di gestione in loco).
  In seguito, con atto del direttore generale n. 15 del 15 marzo 2010 è stata confermata la validità della delibera del 2007 mentre con ulteriore atto n. 164 dell'8 giugno 2011 è stato disposto il rifinanziamento della componente fondo in loco per un importo pari ad euro 48.291,20. Tale iniziativa è distinta, anche se complementare, dall'analogo progetto AID 9562 sopra richiamato, che vede l'Inmi quale vero e proprio ente esecutore ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 49 del 1987. Con successiva delibera n. 109 del 26 settembre 2011 è stata approvata la modifica del piano finanziario dell'iniziativa (AID 8785) e l'11 ottobre 2011 è stata firmata apposita convenzione tra questo Dicastero e l'Inmi che prevede un contributo a carico della cooperazione italiana di euro 2.146.900,00 ed un cofinanziamento a carico dell'Inmi di euro 536.000,00, per un totale dell'iniziativa pari ad euro 2.682.900,00 (il valore è riportato «per eccesso», sul sito
web dell'Ambasciata d'Italia a Dar Es Salaam, ad euro 2.690.000,00).
  In relazione alla realizzazione del laboratorio di analisi dell'ospedale distrettuale BSL3 di Bagamoyo, questo venne previsto nel corso della seconda annualità rispondendo ad una formale richiesta del Governo tanzano. Il laboratorio è sotto la direzione tecnica dell’
Ifakara Health Institute che è il centro non governativo preposto alla ricerca medico scientifica; per la sua realizzazione venivano destinati euro 200.000,00 per acquisto delle attrezzature di laboratorio e euro 306.010,50 per la costruzione (di cui euro 278.500,00 per le opere civili e euro 27.510,50 per il contratto di supervisione dell'ingegnere).
  A seguito di un
Memorandum of Understanding venivano messe a punto tutte le procedure necessarie all'espletamento della gara finalizzata alla costruzione del laboratorio. La procedura stessa con la relativa documentazione veniva approvata dalla Farnesina nel gennaio del 2010. La gara è stata espletata con procedura negoziata ristretta senza pubblicazione di bando ai sensi dell'articolo 122, comma 7-bis, del decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), ed è stata aggiudicata il 27 maggio 2010. Le cinque ditte che sono state invitate alla procedura di cui al comma 7-bis dell'articolo 122 sopra richiamato sono le seguenti: FILTA Enterprise, PO Box 52102, 0200 Nairobi Kenya; Pyramid Pharma Ltd, PO Box16215, Dar es Salaam, Tanzania; Liser Trading, 3 Mc Alpine Road, Germiston, South Africa; COIR Suppliers, PO Box 1367, Nairobi, Kenya e Medispec Kenya Limited, PO Box 39142, Nairobi, Kenya che si è aggiudicata l'appalto per un importo complessivo di euro 278.500,00.
  Nel mese di luglio 2010, veniva firmato il contratto con la ditta vincitrice della gara. Il termine utile per l'esecuzione dei lavori scadeva nel marzo 2011. Nel febbraio 2011 a causa di una revisione critica del cronoprogramma alla luce delle peculiarità del luogo di realizzazione e della tipologia delle opere e per il riesame delle scelte progettuali, i lavori venivano sospesi e ripresi nel settembre 2011, il termine utile per l'esecuzione veniva quindi posticipato a marzo 2012. Infatti, in quello stesso mese erano dichiarati conclusi i lavori di costruzione e il laboratorio ultimato come da piano operativo all'interno delle tempistiche pianificate. Al fine di consegnare il laboratorio operativo, l'inaugurazione avveniva solamente al termine della fase di
commissioning (collaudo operazionale) ultimata nel giugno 2013. L'intera documentazione relativa alle specifiche tecniche dei collaudi è conservata presso gli uffici di cooperazione di Dar es Salaam. Dai dettagli estrapolati dai certificati in possesso si rileva che la ditta che ha effettuato i collaudi è T. Am. Co s.r.l. (via Lugnano in Teverina 20, 00181 Roma).
  In particolare, sono stati effettuati i seguenti controlli:
   misurazione della contaminazione particellare con assegnazione della classe di contaminazione particellare
at rest in entrambe le stanze del laboratorio;
   verifica della capacità del sistema a mantenere le caratteristiche di pressione differenziale (δP) nei limiti stabiliti;
   verifica della capacità del sistema di fornire una portata di aria coerente con quanto previsto in progetto in mandata e ripresa e misurazioni delle portate d'aria;
   verifica della capacità del sistema a mantenere la temperatura e umidità relativa nei limiti stabiliti nell'arco di tempo. Misurazioni temperatura ed umidità relativa.

  Tutti gli strumenti utilizzati per le misurazioni erano provvisti di certificati di collaudo e di rapporti di taratura.
  L'obiettivo del progetto AID 8785 era di contribuire a ridurre la mortalità e morbilità per HIV/AIDS, tubercolosi e altre malattie infettive emergenti in Tanzania e non quello di «arrestare entro il 2015, invertendo la tendenza, l'incidenza della malaria e delle altre principali malattie». Quest'ultimo è invece uno degli obiettivi del Millennio, il n. 6 (
Millennium Development Goals - MDGs, scaturiti dalla dichiarazione del Millennio sottoscritta in seno alle Nazioni Unite nel 2000) i quali sono generali ed il cui raggiungimento non dipende dall'esito di un singolo progetto di cooperazione allo sviluppo. In Tanzania sono stati compiuti considerevoli passi in avanti circa il raggiungimento di detto obiettivo e l'UNDP (United Nations Development Programme) dichiara, a titolo di esempio, che l'incidenza dell'HIV negli individui adulti è calata dal 9,4 per cento del 2000 al 5,1 per cento del 2012, consentendo in tal modo un raggiungimento anticipato dell'obiettivo in parola.
  Il progetto ha contribuito alla diminuzione della trasmissione materno infantile di HIV dal 6 per cento al 2.1 per cento presso il sito di Dodoma, all'aumento dell'accesso alle cure dei pazienti HIV da 3.099 pazienti nel 2008 a 6.079 pazienti seguiti nel 2011 presso il centro di Dodoma, all'incremento delle diagnosi di tubercolosi e conseguente trattamento dei pazienti dall'11 per cento del 2009 al 14 per cento del 2010 ed infine all'effettuazione di indagini di prevalenza del virus Dengue e conseguente formazione del personale clinico per la gestione dei casi.
  Quanto alla conservazione degli agenti patogeni, si osserva che al momento non vi è alcun agente patogeno conservato presso la struttura e nessun campione è stato inviato in Italia dal laboratorio BSL3. Il laboratorio ha finalità diagnostiche e di ricerca ed intende operare di volta in volta attraverso collaborazioni con istituzioni pubbliche locali.
  In relazione alla manutenzione dei sistemi per il mantenimento di azoto liquido ad una corretta temperatura nel laboratorio di Bagamoyo e la relativa gestione del sistema di smaltimento dei rifiuti solidi e liquidi di tali strutture, si precisa che il sistema concepito per il laboratorio di Bagamoyo prevede la produzione di soli rifiuti non infettivi. I sistemi di drenaggio dei liquidi sono completamente indipendenti dal sistema di drenaggio dell'ospedale (liquidi collezionati e sterilizzati in appositi contenitori). Inoltre, il laboratorio non prevede l'utilizzo di azoto liquido ma l'utilizzo di congelatori con capacità di –80o. Tale strumentazione è già diffusa nel paese e la sua manutenzione è affidata ai partner locali che si avvalgono di ditte esperte per la manutenzione di attrezzature simili. Da ultimo, dopo una prima fase di garanzia del laboratorio da parte della ditta costruttrice ed al fine di assicurarne la sostenibilità, si sta lavorando in collaborazione con il Ministero della sanità e con l’
Ifakara Health Institute alla scelta di una ditta locale che permetta i corretti interventi di manutenzione.
  Infine, quanto all'ultimo punto, va tenuto presente che il personale locale che opera nel laboratorio di Bagamoyo è alle dipendenze delle strutture tanzaniane coinvolte nella gestione. Il Ministero della salute tanzaniano con gli organi e le istituzioni preposti al controllo delle malattie altamente contagiose, ne è anche responsabile. Alcune unità di personale sono alle dipendenze dell’
Ifakara Health Institute. La nomina dei responsabili locali e nazionali è stata negoziata, ma non ancora formalizzata; i nominativi sono i seguenti: Grace Mwangoka, Scientific Director del Bagamoyo Reaserch and Training Center dell'Ifakara Health Institute, e Jackson Thomas, Lab Manager dei laboratori del centro.
Il Vice Ministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il call center rappresenta il principale strumento di informazione e comunicazione per gli utenti dei servizi consolari deciso dalla nostra amministrazione degli esteri, nonostante il parere negativo più volte espresso dalla rete di rappresentanza degli italiani nel mondo: parlamentari, Cgie, Comites e rete associativa e di servizio;
   negli ultimi anni, attraverso atti di sindacato ispettivo, sono state segnalate criticità sui costi di gestione dei call center, sui costi per gli utenti, sui disservizi in tante parti del mondo;
   i nostri connazionali all'estero sono ormai di fatto obbligati ad utilizzare il call center per entrare in contatto con le autorità diplomatiche e consolari italiane;
   il ricorso obbligato al call center non è risolutivo e spesso è necessario ricorrere a tale servizio più di una volta per espletare una pratica;
   in questi giorni, in Australia, si registra l'ulteriore disagio provocato agli utenti della nostra rete diplomatica e consolare a causa dell'improvvisa chiusura della Team Australian Company, società che gestiva il servizio di call center per conto della nostra ambasciata e di tutti i consolati in Australia;
   tale situazione emerge anche da una nota dei consolati italiani in Australia in cui si apprende che il servizio è irraggiungibile dal 1° febbraio 2014 –:
   quali urgenti misure si intendano intraprendere per garantire agli utenti in Australia il ripristino immediato dei servizi di informazione e di contatto con le nostre autorità diplomatiche e consolari indipendentemente dal ricorso alla pratica del call center;
   quali urgenti misure si intendano intraprendere per superare comunque il ricorso al call center per la gestione dell'informazione e comunicazione relativa ai servizi consolari in Australia;
   se si intenda adoperare concretamente affinché i servizi consolari siano accessibili da tutti, senza costi, e in tempi ragionevoli;
   se intenda chiarire quale sia stato il costo per l'amministrazione pubblica italiana relativamente alla progettazione, alla organizzazione ed alla gestione del servizio offerto dalla Team Australian Company. (4-03644)

  Risposta. — Il servizio di call center consolare è stato istituito in Australia tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012 a seguito di un processo che ha visto l'Ambasciata coinvolgere ed informare i membri dei Comites ed i rappresentanti del CGIE.
  Come comunicato per iscritto e riferito a voce nel corso di una riunione di coordinamento tenutasi a Canberra il 1o dicembre 2011, la decisione di istituire un
call center era connessa alla necessità di rafforzare la capacità di risposta alle richieste di informazioni consolari via telefono o mail, a causa della crescente domanda da parte dell'utenza.
  In particolare, detto servizio era inteso ad offrire uno strumento supplementare e accessorio, qualitativamente adeguato, che consentisse all'utenza – specie a quella che non ha dimestichezza con gli strumenti informatici – di relazionarsi con una controparte in grado di fornire elementi informativi di carattere generale.
  Per tutto il periodo di attività del
call center (da marzo 2012 a fine gennaio 2014), le sedi australiane hanno comunque offerto all'utenza anche gli strumenti tradizionali di comunicazione: il telefono (attraverso il quale vengono gratuitamente diramate le informazioni attinenti ai servizi consolari e possono essere presi appuntamenti), i siti web della struttura diplomatico-consolare, la corrispondenza via mail.
  Tali canali tradizionali di comunicazione hanno continuato ad essere a disposizione degli utenti anche dopo l'interruzione del servizio di
call center.
  Per quanto riguarda l'organizzazione e la gestione del call center, le principali condizioni riportate nel contratto stipulato con la «Team Australian Customer Service PtY Ltd.» (TACS), redatto sulla falsariga diramata alle sedi dal Ministero, erano le seguenti:
   il servizio si remunerava esclusivamente attraverso il costo delle telefonate e nessun onere finanziario era previsto a carico delle Sedi, né queste ultime incameravano alcun provento dal suo utilizzo;
   le informazioni venivamo fornite su tre livelli di approfondimento, a scelta dell'utente (informazioni pre-registrate, informazioni con operatore a tempo e informazioni a tariffa fissa senza limiti di tempo), con tre differenti livelli tariffari, più bassi rispetto alla media di analoghe prestazioni offerte da altri operatori in Australia.

  Da rilevare che l'attivazione del servizio derivava da una libera scelta dell'utente, il quale veniva preventivamente avvisato del costo dello stesso.
  L'applicazione in questi anni del sistema di
call center ha consentito una più razionale ed efficiente gestione delle pratiche tramite una migliore distribuzione delle risorse tra sportello e back office, potendosi in tal modo assorbire e processare un maggior numero di richieste.
  L'interruzione del servizio dal 1o febbraio 2014 è stata motivata dalla chiusura delle attività della TACS, a seguito della rescissione dal contratto da parte dei suoi principali clienti esteri, che hanno deciso di localizzare il servizio di
call center nei propri territori nazionali (USA e Regno Unito).
  Recentemente l'Ambasciata a Canberra ha fatto presente che le condizioni poste dalle altre due Società individuate per assicurare il ripristino del servizio risultano eccessivamente onerose per la stessa Ambasciata e per gli utenti, per cui si è stabilito per il momento di soprassedere dal servizio esternalizzato, concentrando gli sforzi sulla prosecuzione ed il regolare funzionamento di tutti i tradizionali e gratuiti mezzi di comunicazione con i connazionali.
  La nostra politica di attenzione verso le comunità di connazionali in Australia è d'altronde efficacemente testimoniata dal fatto che l'iniziale decisione di chiudere i Consolati in Adelaide e Brisbane nel quadro delle recenti azioni di riorganizzazione della rete estera dettate dalle esigenze di
spending review è stata – come noto all'onorevole interrogante – oggetto di un ripensamento, proprio in accoglimento dei reiterati segnali di preoccupazione giunti al Ministero per gli affari esteri dai nostri connazionali e dalle Autorità locali.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   numerose università australiane presso le quali il nostro Paese ha, nel corso degli anni, stabilito proficui rapporti, anche con la presenza di «lettori», esprimono forte preoccupazione in merito alla comunicazione di «nuove riduzioni della nostra presenza» che – di fatto – rischierebbero di compromettere ulteriormente la nostra immagine in Australia;
   lo Stato del South Australia in particolare, dopo la proposta di chiusura del consolato e la riduzione dei fondi per l'insegnamento di lingua e cultura italiane, rischia di rimanere nuovamente penalizzato dalla prospettata chiusura del lettorato;
   il consistente taglio alle risorse finanziarie deciso dal Governo, nonostante il recupero delle risorse in legge di stabilità, non può consentire di ripartire in maniera lineare le riduzioni di bilancio e vanno invece salvaguardate le logiche di investimento e di produttività, anche in termini linguistici e culturali;
   eventuali progressive e drastiche riduzioni dell'impegno dello Stato italiano in Australia, a livello universitario e di lettorati, costituirebbe un segnale gravissimo di disattenzione nei confronti di una realtà politico-economica strategicamente collocata nell'Asia-Pacifico –:
   se non si ritenga necessario intervenire affinché la lingua e la cultura italiane vedano una continuità di impegno anche a livello terziario;
   quali misure urgenti il Governo intenda adottare, immediatamente, per garantire continuità nella presenza italiana a livello universitario in Australia, e nello Stato del South Australia in particolare;
   se non si ritenga indispensabile operare affinché, nel mondo, possa essere mantenuta alta l'immagine di lingua e cultura italiane, anche a livello terziario. (4-03825)

  Risposta. — Il Ministero degli affari esteri sostiene fortemente l'importanza della diffusione della lingua italiana quale strumento di promozione di sistema e, in particolare, il contributo offerto in tale campo dalle istituzioni scolastiche ed educative italiane all'estero.
  Con l'entrata in vigore della legge n. 135 del 2012 (cosiddetta
spending review), a partire dall'anno scolastico 2012-2013 è stata avviata la graduale riduzione del contingente del personale scolastico italiano all'estero: dalle 1024 dell'anno scolastico 2011-2012 tale contingente dovrà raggiungere entro l'anno scolastico 2016-2017 le 624 unità.
  La volontà di contemperare la limitazione delle risorse con la necessità di assicurare la funzionalità della rete scolastica ed educativa all'estero, ha spinto il Ministero per gli affari esteri di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero dell'economia e delle finanze, a promuovere l'adozione del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito nella legge n. 125 del 2013. Tale legge ha consentito, a decorrere dall'anno scolastico 2013-2014, di modulare la riduzione del contingente in parola avvalendosi della possibilità di inviare personale dall'Italia per un numero limitato di posti.
  La legge n. 125 del 2013 permette infatti di conservare in contingente, ad invarianza di spesa, un limitato numero di posti vacanti e disponibili sui quali assegnare unità di personale «per specifiche ed insopprimibili esigenze didattiche o amministrative».
  Per quanto concerne l'Australia, per l'anno scolastico 2014/2015 si è operata la riduzione di 1 solo posto di lettorato a Clayton – circoscrizione di Melbourne, mantenendo gli altri 6 posti di lettorato già esistenti: 1 ad Adelaide nel Sud Australia, 1 a Canberra, 2 a Melbourne, 1 a Perth e 1 a Sydney.
  Sempre con riguardo al prossimo anno scolastico, si auspica di potere inserire in contingente un posto di dirigente scolastico a Canberra per assicurare il coordinamento, l'organizzazione, la promozione e il monitoraggio delle iniziative educative e scolastiche. La copertura potrà avvenire mediante utilizzo delle previsioni normative della sopra citata legge n. 125 del 2013.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il trattamento stipendiale del personale a contratto del Ministero degli affari esteri in servizio presso le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari all'estero e i relativi adeguamenti sono fissati – ai sensi dell'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 – dal contratto individuale di lavoro sulla base dei parametri previsti nella stessa disposizione di legge: le condizioni del mercato del lavoro locale, il costo della vita nella sede di servizio, le retribuzioni corrisposte dalle rappresentanze diplomatiche e consolari estere all'analogo personale, la congruità e l'uniformità del trattamento retributivo corrisposto per Paese e per mansioni omogenee, le indicazioni fornite dalle organizzazioni sindacali;
   i dati raccolti vengono esaminati dall'amministrazione del Ministero degli affari esteri per venire successivamente sottoposti al vaglio degli organi di controllo (UCB);
   il Ministero degli affari esteri valuta, sulla base delle informazioni prodotte dalla rete diplomatica nel mondo, la decisione circa l'opportunità di rivalutare i trattamenti economici, nonché l'entità dei relativi importi;
   in numerose realtà estere, a fronte dei consistenti aumenti del costo della vita ed alla crisi economica a cui si è accompagnata la svalutazione dell'euro nei confronti di alcune valute, si registrano difficoltà pratiche per il sostentamento quotidiano delle famiglie del personale a contratto impiegato dal Ministero degli affari esteri;
   il blocco previsto dal decreto-legge n. 95 del 2012 è stato superato;
   per il personale a contratto locale impiegato presso la rete diplomatico-consolare in Nuova Zelanda non vi sono stati aumenti retributivi da otto anni –:
   quali urgenti iniziative si intendano adottare per rivalutare i trattamenti economici del personale a contratto delle rete diplomatico consolare in Nuova Zelanda;
   se si intenda procedere ad una precisa e puntuale verifica degli importi corrisposti in euro al personale a contratto localmente impiegato ed il livello delle remunerazioni, assunte a riferimento, per le altre reti diplomatiche in Nuova Zelanda. (4-04550)

  Risposta. — Si segnala innanzitutto che questo Dicastero ha disposto, con decorrenza 1o dicembre 2013, alcuni aumenti retributivi in favore del personale a contratto in una serie di sedi estere. Questo è stato reso possibile grazie alla fine dell'efficacia del blocco delle retribuzioni disposto dal decreto-legge n. 95 del 2012 come modificato dalla legge di conversione n. 135/12, fino al 31 dicembre 2012 e a seguito di negoziazione con la Ragioneria generale dello Stato.
  Si è trattato di un'operazione che ha comportato una spesa di quasi 1.400.000 euro, compresi anche gli oneri sociali accessori, che ha finanziato miglioramenti retributivi, non più rinviabili, per il personale in servizio in paesi quali Australia, Brasile, Giappone, Russia, Repubblica sudafricana e Svizzera.
  A partire dall'inizio di quest'anno la Farnesina ha provveduto ad esaminare ulteriori richieste di aumenti retributivi del personale a contratto, analizzandole con grande attenzione sulla base delle variazioni dei parametri previsti dall'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, ovvero le condizioni del mercato del lavoro locale, il costo della vita e, principalmente, le retribuzioni corrisposte dalle altre rappresentanze diplomatiche e consolari, in particolare dell'Unione europea. Anche la richiesta proveniente dall'Ambasciata a Wellington è stata esaminata con particolare cura.
  L'esame delle proposte ha necessariamente dovuto tenere conto dei vincoli al contenimento della spesa pubblica, che hanno imposto a tutte le amministrazioni dello Stato e ai loro dipendenti considerevoli sacrifici economici, nonché della richiesta della Ragioneria generale di un'attenta programmazione degli aumenti in un'ottica di medio periodo.
  Ottenuto il parere favorevole dell'ufficio centrale di bilancio, il Ministero degli affari esteri ha provveduto ad autorizzare una nuova serie di aumenti retributivi per circa 350 dipendenti a legge locale in 30 Paesi, tra cui la Nuova Zelanda, per un costo complessivo di 564.000 euro, con decorrenza a partire dal primo luglio 2014.

Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   FRATOIANNI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 288 del 1955, e successive modificazioni e integrazioni, autorizza il Ministero degli affari esteri a concedere, ogni anno, borse di studio ai cittadini italiani residenti all'estero al fine di consentirgli studi di perfezionamento o di specializzazione o per effettuare ricerche di carattere scientifico;
   le borse di studio vengono concesse anche sulla base di accordi culturali bilaterali e multilaterali attualmente vigenti. Secondo i dati forniti dal sito del Ministero degli affari esteri, le borse di studio sono previste solo per i cittadini italiani stabilmente residenti in: Australia, Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Congo-Brazzaville, Egitto, Eritrea, Etiopia, Giordania, Messico, Perù, Siria, Stati Uniti, Sud Africa, Tunisia, Uruguay e Venezuela;
   il Ministero degli affari esteri ha concesso per l'anno accademico 2013-2014 le borse di studio per gli italiani residenti all'estero;
   le borse di studio sono regolamentate da un bando e dal «regolamento del borsista estero in Italia»;
   il bando afferma che: «...le borse di studio sono concesse ai cittadini stranieri o IRE, dei soli paesi destinatari di tali provvidenze, per portare a termine studi formali e/o per seguire programmi di studio o ricerca, bilaterali o multilaterali, in Italia. Mirano a favorire la cooperazione culturale internazionale e la diffusione della conoscenza della lingua, della cultura e della scienza italiana, favorendo altresì la proiezione del settore economico e tecnologico dell'Italia nel resto del mondo. Le borse sono assegnate, in via prioritaria, a studenti stranieri che dimostrino, grazie all'eccellenza del loro curriculum di studi, di essere in grado di portare a termine con profitto gli studi in Italia presso Istituzioni pubbliche...»;
   il «regolamento del borsista estero in Italia» dispone al punto 1 che i borsisti devono disporre di adeguate risorse finanziarie per circa tre mesi e che di norma i pagamenti avvengono entro il trimestre di riferimento e, comunque mai prima del trimestre gennaio-marzo 2014;
   ad oggi, i vincitori della borsa di studio non hanno ricevuto quanto dovuto e non sono stati rispettati i tempi della liquidazione della prima rata che è scaduta il 31 marzo 2014;
   le università presso cui gli studenti stanno frequentando i rispettivi master, per poter cominciare la frequenza hanno anticipato gli acconti e nel mese di aprile sono scaduti i termini di pagamento dei saldi che le segreterie delle università stanno richiedendo ai borsisti;
   la situazione che si è venuta a creare è alquanto paradossale perché si tratta, il più delle volte, di persone che non godono di situazioni familiari tali da poter sostenere ulteriori costi al fine del sostentamento economico per l'espletamento della borsa di studio, con il serio rischio di un disimpegno unilaterale dei borsisti e il rientro nei rispettivi Paesi di residenza senza aver potuto concludere il loro percorso studiorum, a cui si aggiunge l'eventualità, quasi certezza, che le università non diano più la possibilità a chi sta frequentando i master di poterli concludere; insomma, ci si trova di fronte ad una situazione insostenibile;
   molti borsisti avrebbero posto la questione inviando delle mail ai loro diretti referenti al Ministero degli affari esteri per il mancato rimborso della prima rata senza ricevere alcuna risposta in merito allo sblocco della prima rata;
   l'interrogante ha con una propria missiva chiesto spiegazioni un mese fa circa la situazione suddescritta alla «direzione generale promozione Paese» e allo «ufficio VII della DGSP-borse di studio» del Ministero degli affari esteri, a cui non è stata data alcuna risposta –:
   quali interventi urgenti i Ministri interrogati intendano porre in essere per dirimere la situazione descritta in premessa;
   se non sia opportuno da parte del Ministero degli affari esteri valutare, preventivamente, le effettive disponibilità di cassa prima della concessione delle borse di studio per gli italiani residenti all'estero. (4-04858)

  Risposta. — In merito ai ritardi segnalati dall'interrogante con riguardo all'erogazione di rate di borse di studio ad alcuni studenti stranieri, si segnala che essi sono sostanzialmente legati ai tempi che hanno richiesto le relative procedure amministrative necessarie per l'impegno della spesa. Ciò principalmente a causa dello sfasamento tra anno accademico (che generalmente inizia a settembre e termina ad agosto dell'anno successivo) ed esercizio finanziario (che coincide con l'anno solare, gennaio-dicembre). In ogni caso, si rassicura che non è mai stata messa in discussione né la disponibilità delle risorse né la loro erogazione, così come rappresentato dal direttore generale per la promozione del sistema Paese di questo Ministero in una lettera indirizzata all'interrogante.
  Al 21 luglio 2014, quasi tutte le prime e le seconde rate delle borse di studio a studenti stranieri sono state corrisposte e sono già stati iniziati i pagamenti delle terze rate. Fanno eccezione pochi casi di borsisti la cui documentazione è giunta in ritardo o non è conforme a tutti i requisiti previsti dalla normativa vigente.
  Nella consapevolezza dell'importanza di un puntuale pagamento delle borse al fine di garantire ai borsisti un proficuo e sereno soggiorno nel nostro Paese, il Ministero degli affari esteri ha adottato, nel rispetto della normativa sui pagamenti della pubblica amministrazione, alcuni provvedimenti di semplificazione e razionalizzazione. Tra questi figura la firma di convenzioni con le principali università italiane, in virtù delle quali gli studenti iscritti presso tali atenei (quest'anno, oltre il 40 per cento del totale) ricevono le rate spettanti direttamente dai propri atenei, in tempi più rapidi. Sono allo studio inoltre, nuovi, interventi in raccordo con gli uffici competenti del Ministero dell'economia e delle finanze.
  Non si mancherà di proseguire in questa direzione affinché l'erogazione delle mensilità di borse di studio si possa concludere in tempi rapidi, limitando in tal modo i disagi agli studenti che ne beneficiano.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   GRIMOLDI e INVERNIZZI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la chiesa dei santi Ippolito e Cassiano, costruita nel XII secolo a San Casciano, è una delle opere storiche e artistiche più importanti, un tempo meta dei cultori dello stile conosciuto come romanico-pisano;
   detta chiesa, con le sue magnifiche architravi, ideate dallo scultore Biduino, oltre al valore storico-artistico, riveste anche un valore sociale, contribuendo alla costruzione di un positivo senso di identità ed appartenenza di coloro che fanno parte della comunità locale;
   ripercorrendo la storia architettonica della chiesa, gli studiosi segnalano almeno cinque diversi campanili: il primo, costruito intorno al ’600, poggiante sulla navata destra della chiesa, ma sostituito nell'800 con uno nuovo, con pretese di stile medioevale, posto a sinistra dell'abside, fortunatamente fatto crollare dai tedeschi, durante la seconda guerra mondiale;
   nel 1946 la popolazione decise di recuperare le macerie del precedente campanile ricostruendone uno nuovo, da «dopoguerra»;
   nel 1986 la soprintendenza competente ha approvato la realizzazione di un progetto per la messa in sicurezza del campanile, tenendo conto della regola secondo la quale «il restauro deve apportare modifiche che rendano gli edifici antichi riconoscibili»;
   il campanile restaurato somiglia a giudizio degli interroganti a un «orrendo» parallelepipedo di cemento, del tutto fuori contesto storico rispetto all'architettura della chiesa millenaria in parola, tanto da suscitare critiche violente da parte di intellettuali, storici e critici d'arte, che si dividono tra coloro che ne invocano la demolizione, e altri convinti della necessità di rivestire il «brutto manufatto», con formelle in ceramica che richiamino i valori religiosi e storici del territorio circostante;
   esistono sul territorio pisano tantissimi campanili, ricostruiti nel periodo del «dopoguerra», «sbeffeggianti» la solennità di tante chiese romaniche;
   i rappresentanti istituzionali territoriali si sarebbero attivati per valorizzare il patrimonio romanico, attraverso un progetto di cooperazione territoriale transfrontaliera per la valorizzazione del patrimonio insistente sulle pendici del Monte Pisano, la Valdiera e la Valdicecina, escludendo, in questa prima fase, le chiese romaniche –:
   se non ritenga opportuno adoperarsi per sollecitare un tavolo tecnico con i rappresentanti istituzionali territoriali, critici, storici, associazioni culturali, mecenati privati, per affrontare il tema della tutela delle chiese romaniche pisane dal punto di vista architettonico, con particolare riguardo al tema dei campanili e della relativa e impropria ricostruzione dal dopoguerra ad oggi. (4-00623)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame con la quale l'interrogante chiede in particolare informazioni sulla Chiesa dei Santi Ippolito e Cassiano a San Casciano (FI) e, in generale, sul tema della tutela delle chiese romaniche, si comunica quanto segue.
  In merito all'ormai annosa questione della ricostruzione del campanile della pieve dei Santi Ippolito e Cassiano, che ha impegnato almeno due generazioni di funzionari e contrapposto popolazione locale, studiosi e critici, si ritiene opportuno rammentare quanto contenuto nella nota inviata dalla soprintendenza per i beni architettonici di Pisa all'allora Ministero per i beni culturali e ambientali in data 19 maggio 1980.
  Il documento della soprintendenza ripercorreva le tappe salienti della ricostruzione del campanile evidenziando, tra l'altro, il mancato coordinamento tra il provveditorato alle opere pubbliche e la soprintendenza di Pisa, alla quale non era stato neppure richiesto il parere di competenza, preventivo all'inizio dei lavori.
  Ma al di là di ogni sterile polemica su problemi di competenze e di coordinamento tra ministeri, la competente soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio, per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico per le province di Pisa e Livorno ritiene opportune alcune precisazioni.
  In primo luogo, occorre considerare che il concetto di restauro e le conseguenti teorie sulle metodologie di intervento hanno subito una profonda evoluzione nel corso degli anni; ciò può contribuire a spiegare, almeno in parte, l'indubbio insuccesso della ricostruzione del campanile.
  Attualmente, sulla base dell'evidente contrasto provocato da interventi disarmonici ma fortemente «riconoscibili», secondo ormai datate posizioni intellettuali in materia di ripristino architettonico, si tende a considerare «unitario» un complesso architettonico antico. L'insieme chiesa-campanile, ma anche interi isolati o interi borghi vengono restaurati o reintegrati secondo criteri di armonizzazione, in quanto complessi unici e irripetibili, dei quale viene preservato il carattere architettonico con il massimo rispetto per la memoria storica collettiva e per l'identità locale.
  I documenti conservati nell'archivio della medesima soprintendenza dimostrano che nel caso del campanile di San Cassiano, demolito dai tedeschi in ritirata, la ricostruzione è stata puro esercizio intellettuale, senza alcun rispetto per il desiderio della comunità che aveva espresso la volontà di riavere quell'antico campanile raccogliendo parte delle macerie e ricostruendolo in forma semplificata.
  Le foto del campanile ricostruito dagli abitanti mostrano una sopraelevazione sull'antica base sopravvissuta all'esplosione, priva di intellettualismi ma estremamente dignitosa. Quel campanile fu ritenuto staticamente inidoneo e fu demolito per realizzare quanto le «teorie architettoniche» dell'epoca imponevano: una costruzione «neutra», «riconoscibile» che non riproducesse il tanto famigerato «falso storico» che molti, ancora oggi, aborriscono preferendo strutture moderne in netto contrasto con l'antico.
  La ricostruzione del campanile ha così prodotto un parallelepipedo amorfo, privo di «anima», francamente brutto; e il suo essere brutto è accentuato dalla bellezza degli elementi scultorei della Pieve.
  Questa indispensabile premessa è utile per una corretta comprensione del contesto in cui si accendono attualmente le polemiche; l'ineludibile esigenza di armonia insita nell'uomo ogni tanto risveglia l'interesse verso il problema, ma la situazione economica innegabilmente critica fa sì che tale problema non possa considerarsi una priorità rispetto alle esigenze di salvaguardia di un patrimonio storico generalmente in rovina.
  In sintesi, la soprintendenza è convinta dell'assoluta opportunità di predisporre un progetto di riconfigurazione del campanile che restituisca dignità architettonica alla pieve, ma ritiene condizione indispensabile e preventiva a qualunque volontà distruttiva dell'attuale manufatto l'esistenza di un adeguato progetto supportato da approfondita analisi storica e, più ancora, la disponibilità economica ad una sollecita ricostruzione nel rispetto della comunità locale.
  Peraltro, tale pensiero è già stato espresso dalla sopracitata soprintendenza con nota del 21 luglio 2008 alla curia arcivescovile di Pisa.
  Riguardo, infine, all'espressa volontà di sollecitare un tavolo tecnico con i rappresentanti istituzionali territoriali, critici, storici, associazioni culturali, eccetera per affrontare il problema della valorizzazione del patrimonio legato all'architettura romanica del nostro territorio, con un'attenzione particolare alle ricostruzioni post belliche, non si può che accogliere favorevolmente tale iniziativa, dando piena disponibilità dei funzionari della competente soprintendenza.
  Questo Ministero, pertanto, esprime piena disponibilità a concorrere, mediante i suoi organi territoriali competenti, al tavolo tecnico auspicato dall'interrogante.
  Si segnala, da ultimo e in aggiunta a quanto precedentemente esposto, l'enorme criticità già attualmente rappresentata dalla parziale ricostruzione del campanile della Pieve di San Pietro a Grado, (anch'esso distrutto dalle truppe tedesche in ritirata), interrotto a circa un terzo della sua originaria altezza per mancanza di risorse economiche.

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoDario Franceschini.


   L'ABBATE, SCAGLIUSI, DE LORENZIS, CARIELLO, BRESCIA, D'AMBROSIO, BALDASSARRE, DAGA, SEGONI, ZOLEZZI, BUSTO, MANNINO, TERZONI, PARENTELA, TOFALO, GAGNARLI, INVERNIZZI, LUPO, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI e BENEDETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogazione a risposta scritta 4/00762 del 6 giugno 2013 trasformata in interrogazione a risposta in commissione 5/00813 il 1° agosto 2013 riguardante la discarica presente in contrada Martucci a Conversano (BA), ha risposto in data 17 settembre 2013 il Sottosegretario all'ambiente Marco Flavio Cirillo;
   in data 8 ottobre 2013 è stato approvato il nuovo PRGRU (Piano regionale gestione rifiuti urbani) della regione Puglia che continua ad inserire al suo interno la megadiscarica di contrada Martucci;
   in agro di Conversano (BA), in una delle contrade più fertili della campagna pugliese (Contrada Martucci) si sta perpetuando un enorme danno ambientale per la presenza:
    a) di una discarica comunale (incontrollata, attiva dal 1975 al 1982 e saltuariamente dal 1990 al 1996) mai bonificata;
    b) del primo lotto della discarica della «Lombardi Ecologia S.r.l.» (autorizzato sulla scorta di un documento, sulla cui fondatezza non sono mancate controversie, che attestava la sua esistenza prima dell'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, gestito in modo incontrollato dal 1984 al 1990 e dal 1994 al 1996), esaurito e dal 18 aprile 2013 posto sotto sequestro dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale della Procura della Repubblica di Bari che ipotizza il reato di disastro ambientale;
    c) del terzo lotto della discarica della «Lombardi Ecologia S.r.l.» (su 10 ettari, attivo dal 1996 al 2011, esaurito e sequestrato dal tribunale della Procura della Repubblica di Bari);
    d) del secondo lotto della discarica della «Lombardi Ecologia S.r.l.» diventato poi la discarica di servizio/soccorso (anch'essa sequestrata) annessa all'impianto complesso per il trattamento dei rifiuti dell'ex ATO Bari 5, comprendente 12 celle per la biostabilizzazione dei rifiuti e un impianto per la produzione di CDR;
    e) di un centro di raccolta e selezione del materiale proveniente dalla raccolta differenziata, completato nel 2001 e mai attivato;
    f) di un parco fotovoltaico di 8 ettari (quattro dei quali sul primo lotto della discarica) realizzato con semplice DIA grazie a quattro istanze per installare unità di potenza inferiore ad 1 Megawatt;
    g) di campi (soprattutto vigneti) coltivati su rifiuti smaltiti illegalmente e di tre pozzi, a valle idraulica del primo lotto della discarica, inquinati da piombo, manganese e ferro (tutti sequestrati dalla Procura della Repubblica di Bari il 24 giugno 2013);
   dalla consultazione del libro «L'ultimo chiuda la discarica» (Pietro Santamaria, Levante editori, Bari, 2010), che riporta «trent'anni di storia di cave di terreno trasformate in discariche più o meno controllate, tra Conversano e Mola di Bari, durante l'infinita emergenza rifiuti in Puglia» emerge che:
    il primo lotto della discarica della «Lombardi Ecologia S.r.l.» è stato inserito dall'ENEA nel «Piano regionale dei siti potenzialmente contaminati ai sensi del decreto ministeriale 16 maggio 1989» (pagina 66). Infatti, con delibere 8 settembre 1994 n. 6021 della giunta regionale e 20 dicembre 1995 n. 67 del Consiglio regionale pugliese fu approvato il piano regionale di bonifica dei siti contaminati commissionato all'ENEA ai sensi dell'articolo 5 legge n. 441 del 1987 e dei decreti ministeriali 16 maggio 1989 e 30 dicembre 1989. Il Piano rilevò 1212 aree potenzialmente contaminate, elencate separatamente a seconda che fossero giudicate meritevoli di bonifica a breve, medio o lungo termine in funzione del livello di rischio ambientale associato a ciascuna area. Nell'elenco dei siti da bonificare a lungo termine era inserito al 264° posto (su 289 complessivi, ordinati in ordine decrescente di rischio) la discarica Lombardi – 1° lotto (codice 19-02). Nello stesso elenco, al 149° posto, l'ENEA collocò altresì la vecchia discarica comunale, sempre in contrada Martucci (codice BA 19-03), non controllata e non autorizzata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982;
    il terzo e secondo lotto della discarica della «Lombardi Ecologia S.r.l.» sono adiacenti al primo lotto, da bonificare, ma questo non è stato considerato dallo studio di impatto ambientale (SIA) presentato dall'ATI COGEAM e «Lombardi Ecologia S.r.l.» che si aggiudicò nel 2006 la gara di appalto per la costruzione e la gestione dell'impianto complesso in contrada Martucci (pagina 98);
    in contrada Martucci sono presenti doline e inghiottitoi tipici dei territori carsici (come riportato in eloquenti fotografie a pagina 157, 161 e 162), mai considerati dal suddetto SIA. Inoltre, nel provvedimento con cui il GIP Annachiara Mastrorilli il 18 aprile 2013 ha disposto il sequestro delle discariche autorizzate è scritto che «in occasione del sopralluogo eseguito il 31 gennaio 2013» la procura di Bari ha riscontrato «la presenza di vore (...). Quanto riscontrato evidenzia la possibile presenza di rischio di contaminazione delle acque di falda a causa della diretta comunicazione del percolato di discarica attraverso i predetti punti di comunicazione (vore e doline)». La presenza di simili formazioni carsiche è confermata nella relazione geologica e geotecnica allegata agli atti del procedimento attualmente in corso per il rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale dell'impianto complesso di trattamento dei rifiuti con discarica di servizio/soccorso a servizio del bacino Bari 5 realizzato in contrada Martucci. Tanto che il Comitato tecnico provinciale, il 12 marzo 2013 in seguito alla lettura della stessa relazione ha affermato che «l'intervento non è coerente con le prescrizioni di normativa». Infatti, il decreto legislativo n. 36 del 2003 afferma che le discariche non vanno ubicate «in corrispondenza di doline, inghiottitoi o altre forme di carsismo superficiale» (punto 2.1 dell'allegato 1);
    la valutazione di impatto ambientale per l'impianto complesso di trattamento dei rifiuti, con annessa discarica, si concluse con esito positivo «esclusivamente in considerazione del contesto determinatosi nella Regione Puglia in materia di smaltimento rifiuti e della conseguente e persistente emergenza e con lo scopo di completare il ciclo integrato di gestione dei rifiuti» (determinazione n. 506/2006 del dirigente del settore ecologia della regione Puglia);
    il terzo lotto della discarica della Lombardi Ecologia è stato realizzato in una cava non autorizzata e non controllata di terreno e ha inghiottito la strada vicinale «Pozzovivo» per un tratto lungo 175 metri. Il Tribunale di Bari il 26 febbraio 1988 con procedimento n. 20/87 R.G. condannò i due responsabili: Giovanni Giovene e Antonio Di Bari (pagina 85);
    durante la gestione del primo lotto della discarica, l'andamento altimetrico della strada vicinale «Capone Martucci» fu modificato con l'aumento del livello lungo il confine nord della discarica (pagina 85);
    dall'esame delle ortofoto (pagine 127-129), si ritiene che anche la quota di altre aree di contrada Martucci sia stata alzata (pagina 161) smaltendo illegalmente rifiuti e coltivando sopra vigneti (come del resto hanno dimostrato le stesse indagini disposte dalla Procura di Bari);
    il I e III lotto di discarica della «Lombardi Ecologia S.r.l.» sono stati realizzati in cave abusive di terreno scavate negli anni ’70. Dalle foto (pagine 22, 25 e 26) è evidente che per realizzare la discarica di servizio/soccorso l'attività di estrazione del terreno è continuata anche negli anni successivi, tanto da portare alcune piccole cave a diventare un'unica depressione di diversi ettari;
    secondo le testimonianze di ex-dipendenti della «Lombardi Ecologia S.r.l.», il percolato prodotto dall'esercizio delle discariche veniva utilizzato per innaffiare i vicini campi coltivati ad ortaggi e frutta, immesso direttamente in falda o «riciclato sulla superficie della discarica» (pagina 85);
   secondo il decreto legislativo n. 152 del 2006 è compito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in caso di minaccia di danno ambientale, imporre ai soggetti responsabili l'adozione di misure preventive e di sostituirsi loro nell'adottarle. In caso di danno ambientale verificatosi, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare deve imporre ai soggetti responsabili l'adozione di misure di ripristino e di sostituirsi loro nell'adottarle –:
   se, coerentemente con quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, alla luce di quanto riportato in premessa, il Ministero interrogato intenda valutare un immediato intervento per avviare le procedure per il risarcimento del danno ambientale subìto a causa del ritardo nell'attivazione delle misure di precauzione, di prevenzione o di contenimento del danno stesso. (4-02995)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo indicato in oggetto, gli interroganti hanno richiamato l'attenzione sulle negative ricadute di carattere ambientale sul territorio connesse alla cattiva gestione della discarica presente in contrada Martucci, in agro di Conversano, provincia di Bari.
  Sul punto, è noto agli interroganti che la procura della Repubblica presso il tribunale di Bari ha promosso un procedimento penale a carico dei responsabili della Lombardi Ecologica s.r.l. – successivamente ricostituita nella progetto gestione Bari cinque s.r.l. – nonché di alcuni pubblici funzionari, per reati quali la gestione illecita di rifiuti, il disastro, la truffa, il falso e l'omissione di atti di ufficio.
  Nel corso delle indagini preliminari – tuttora in corso – è stato disposto il sequestro preventivo di alcune vasche di soccorso della discarica in questione, della cosiddetta vecchia discarica, nonché di alcuni pozzi posti a valle dello stesso impianto. I provvedimenti sono stati assunti al fine di evitare che le attività in corso di esecuzione presso i siti indicati possano aggravare, a danno dell'ambiente e della collettività, le conseguenze dei reati contestati.
  Risulta in fase di espletamento l'incidente probatorio disposto dal competente Gip con ordinanza del 3 luglio 2013, in accoglimento di conforme richiesta formulata dai legali della predetta società progetto gestione Bari cinque, allo scopo di accertare, nel contraddittorio delle parti, talune caratteristiche tecniche dell'impianto in questione. La perizia conseguentemente disposta e conferita in favore del perito ingegner Luigi Boeri risulta conclusa, e la pertinente e corposa relazione di circa 600 pagine regolarmente depositata agli atti. Le udienze relative all'audizione del perito si sono tenute in data 7, 21 e 28 marzo 2014.
  In questa fase del procedimento, peraltro, non è possibile effettuare la costituzione di parte civile da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, essendo essa perfezionabile, una volta ottenuta l'autorizzazione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, solo all'udienza preliminare (e all'udienza dibattimentale), o comunque – in quanto atto perfezionabile fuori udienza – solo dopo che sia stata esercitata l'azione penale da parte della Procura della Repubblica all'esito della fase delle indagini preliminari, con la formulazione dell'imputazione e la richiesta di rinvio a giudizio.
  Si conferma, tuttavia, quanto già in precedenza rappresentato in occasione delle audizioni in commissione del 13 settembre 2013 e del 17 aprile 2014 circa l'intenzione di questo Ministero di esercitare, nel caso di specie, la facoltà di costituirsi parte civile per il risarcimento dei danni conseguenti da reato, ivi compreso il danno ambientale, una volta che esso sarà proceduralmente consentito.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MAZZOLI, MANFREDI, GIOVANNA SANNA e BATTAGLIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   per «patrimonio culturale immateriale» si intende quell'insieme di pratiche sociali, rappresentazioni folcloristiche, espressioni orali, arti dello spettacolo e artigianato tradizionale, che contribuiscono a valorizzare l'identità dei popoli, a trasmettere il senso di continuità e a favorire il rispetto della diversità culturale e della creatività umana;
   è stata istituita un'apposita Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, approvata il 17 ottobre 2003 dalla Conferenza generale dell'UNESCO, entrata in vigore il 30 aprile 2006 e ratificata dall'Italia il 27 settembre 2007 con legge n. 167;
   lo scopo della Convenzione, negoziata tra i 190 Paesi membri dell'UNESCO, è quello di rafforzare e istituzionalizzare il sistema di protezione delle espressioni cosiddette «intangibili»;
   per ciascuno dei vari ambiti delle tradizioni orali e immateriali, l'UNESCO propone programmi specifici di salvaguardia, incoraggiando gli artisti, gli enti pubblici e le associazioni non governative a identificare e promuovere tale ricchezza;
   dal 2013 rientra nel patrimonio culturale immateriale dell'umanità dall'UNESCO anche La Rete delle grandi macchine a spalla italiane, un'associazione – promossa nel 2005 dall'attuale coordinatrice e responsabile Patrizia Nardi – che include quattro feste religiose cattoliche: la Macchina di Santa Rosa di Viterbo, la Festa dei Gigli di Nola, la Varia di Palmi e la Faradda di li Candareri di Sassari;
   la Rete, quindi, fa ora parte della «Representative List of the Intangible Cultural Heritage of Humanity» andando ad aggiungersi alle arti precedentemente incluse nella lista dei capolavori del patrimonio immateriale dell'umanità istituita nel 1999, quali i Liutai di Cremona, l'Opera dei Pupi Siciliani e il Canto a Tenores dei pastori della Sardegna;
   per finanziare programmi, progetti e iniziative, è istituito un Fondo per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale costituito prevalentemente da contributi degli Stati parte – da versarsi almeno ogni due anni –, da fondi stanziati dalla Conferenza generale dell'UNESCO e da altri contributi, donazioni o lasciti;
   la Rete delle grandi macchine a spalla non è solo emblema della spiritualità italiana ma anche una celebrazione capace di coniugare tradizione popolare e coesione sociale;
   al fine di mantenere, migliorare e pubblicizzare questa eccellenza immateriale – anche in qualità di vettore di sviluppo sostenibile a livello mondiale – si rende necessario un più adeguato supporto finanziario;
   la legge n. 77 del 20 febbraio 2006 «Misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella “lista del patrimonio mondiale”, posti sotto la tutela dell'UNESCO» include misure di sostegno economico, rivolte però al solo patrimonio materiale dell'umanità;
   il decreto-legge n. 91 del 2013 del 3 ottobre 2013 sui 49 siti italiani patrimonio mondiale UNESCO ha modificato la legge n. 77 del 2006, per poter ampliare gli utilizzi delle risorse anche per progetti generali di «riqualificazione e valorizzazione», superando i precedenti vincoli –:
   quali ulteriori disposizioni il Ministro interrogato intenda porre in essere affinché rientrino nelle misure di sostegno anche i siti del patrimonio immateriale, come la citata Rete delle grandi macchine a spalla. (4-04429)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in oggetto indicata, relativa alle misure di sostegno agli elementi riconosciuti «patrimonio culturale immateriale», secondo la Convenzione Unesco approvata il 17 ottobre 2003 e ratificata dall'Italia il 27 settembre 2007, con la legge n. 167, si riscontra quanto segue.
  La legge 20 febbraio 2006, n. 77 recante «misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse, culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella “lista del patrimonio mondiale”, posti sotto la tutela dell'Unesco» come modificata da ultimo dal decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91 (cosiddetto «Valore Cultura») convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, prevede finanziamenti a sostegno della gestione e delle attività di valorizzazione dei siti Unesco.
  Tuttavia, nella sua attuale formulazione, la disposizione, come ricordato dall'interrogante, trova applicazione solo rispetto alla convenzione Unesco del 1972 sul patrimonio culturale e naturale mondiale e ai siti iscritti nella lista di tale Convenzione: ne sono, pertanto, esclusi gli elementi inseriti nella lista del patrimonio culturale immateriale secondo la citata convenzione Unesco del 2003.
  L'inserimento di nuovi elementi nella lista del patrimonio culturale immateriale, tra i quali, recentemente, la «rete delle grandi macchine a spalla italiane» impone una riflessione sulla possibilità di estendere gli effetti della legge anche agli elementi inseriti nella lista del patrimonio immateriale: a tal fine, lo scrivente Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è ben conscio della problematica e sta compiendo tutte le riflessioni del caso al fine di poter addivenire alla migliore valutazione della questione.
  Si rappresenta, infine, che il Governo, nell'ambito della discussione del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, ha approvato un ordine del giorno, simile all'interrogazione cui si risponde, con cui si è impegnato «a valutare la possibilità di promuovere modifiche alla legge n. 77 del 2006 recante misure speciali di tutela e fruizione dei siti di interesse culturale, paesaggistico e ambientale inseriti nella lista del patrimonio mondiale posto sotto la tutela dell'Unesco, al fine di ricomprendere nell'ambito di applicazione di tale legge anche il patrimonio culturale immateriale».

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoDario Franceschini.


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 19 gennaio 2014 il fiume Secchia ha rotto il proprio argine, inondando i comuni di Bastiglia e Bomporto, e la frazione Albereto del comune di Modena, ed oggi vi è la massima allerta nei comuni di Sorbara e Camposanto;
   attualmente ci sono più di seicento sfollati e una persona risulta essere dispersa, a testimonianza di una situazione molto grave che ha colpito una popolazione ed un territorio già duramente messi alla prova da un evento sismico appena diciotto mesi prima, in seguito al quale ancora non sono potuti tornare alla normalità;
   lo stesso territorio è, inoltre, esposto ad ulteriori rischi a causa della forte probabilità che esondi anche il fiume Panaro;
   da 40 anni aspetta di essere finita un'importante opera pubblica quale le casse di espansione del Panaro, che nonostante gli oltre trenta milioni di euro spesi e un'inaugurazione fatta nel 1998, ad oggi risulta non essere mai stata messa in funzione per la mancanza del collaudo –:
   a cosa sia dovuta la rottura dell'argine del fiume Secchia, che ha provocato gli ingenti danni nei citati territori, quale fosse la situazione di pulizia del letto di tale fiume, e a chi competa il controllo di questo aspetto;
   come mai a fronte di piogge non eccezionali nella quantità e nella durata si sia venuta a creare una situazione di tale gravità, e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di evitare che situazioni simili possano verificarsi nuovamente;
   quali iniziative il Governo intenda assumere in favore delle popolazioni colpite dall'alluvione e, in particolar modo, rispetto agli sfollati, nonché ai danni alle abitazioni civili;
   se sia a conoscenza della situazione delle casse di espansione del fiume Panaro, di chi siano le eventuali responsabilità in merito ad essa, e come valuti il mancato collaudo dell'opera. (4-03224)

  Risposta. — La rottura che ha interessato l'argine destro del fiume Secchia in località San Matteo di Modena ha costituito senz'altro un evento eccezionale, tanto nel panorama regionale come in quello nazionale. Indagare le cause che l'hanno originata presenta una grande complessità sotto il profilo tecnico per l'articolazione dei fenomeni idraulici e geologici da interpretare.
  Per tale motivo – è stato riferito – il presidente della regione Emilia Romagna, con decreto n. 17 del 7 febbraio 2014, ha costituito una «commissione scientifica» avente il compito di analizzare e valutare le cause della rotta arginale, composta da docenti universitari designati dagli atenei di appartenenza, particolarmente qualificati in materia di idraulica e di geotecnica. Detta commissione, che opera a titolo gratuito, sta svolgendo le valutazioni tecniche richieste ed è previsto che resti in carica per il tempo strettamente necessario per concludere il proprio mandato.
  I risultati che ne conseguiranno verranno tempestivamente resi noti e saranno successivamente utilizzati dal «gruppo di lavoro» istituito con l'ulteriore decreto presidenziale n. 9 del 24 gennaio 2014 – formato da tecnici dei Servizi regionali, dell'agenzia interregionale per il fiume Po e dell'autorità di bacino del fiume Po – cui è stato a sua volta assegnato il compito di effettuare un'analisi strutturale complessiva delle arginature dei fiumi Secchia e Panaro e del Canale Naviglio.
  In merito alla vigente organizzazione, in regione Emilia Romagna, per il settore della difesa del suolo, è opportuno precisare che il tratto di fiume Secchia lungo il quale si è verificata la rottura dell'argine fa parte dell'ambito territoriale di competenza dell'Agenzia Interregionale per il fiume Po (AIPo), ente strumentale delle regioni Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Detta agenzia ha raccolto l'eredità del soppresso Magistrato per il Po e cura la gestione del reticolo idrografico principale del bacino del fiume, occupandosi, essenzialmente, di sicurezza idraulica, di demanio idrico e di navigazione fluviale.
  L'Aipo provvede, dunque, alla progettazione ed esecuzione degli interventi sulle opere idrauliche di prima, seconda e terza categoria di cui al testo unico n. 523 del 1904 sul reticolo di competenza, nonché ai compiti di «polizia idraulica» e «servizio di piena» sulle opere idrauliche di prima, seconda e terza categoria «arginata». Tra le attività della prima fattispecie rientra, altresì, la manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di difesa esistenti, cui l'Aipo provvede attraverso specifici programmi triennali.
  In particolare, secondo quanto segnalato dalla regione Emilia Romagna risulta che il tratto interessato dalla rotta arginale era stato oggetto di un intervento di manutenzione ultimato nel mese di dicembre 2013.
  In merito alle condizioni meteorologiche all'origine dell'evento, la stessa regione ha riferito che nel periodo compreso tra giovedì 16 e domenica 19 gennaio 2014 il territorio regionale è stato interessato da una situazione prolungata di tempo perturbato, caratterizzata da impulsi successivi di precipitazioni diffuse, spesso a carattere di rovescio. Le piogge hanno interessato principalmente i crinali delle province da Piacenza a Bologna, dove i quantitativi complessivi dei quattro giorni sono risultati quasi ovunque superiori a 250 mm, con alcune punte massime superiori a 400 mm e con intensità anche superiori a 20 mm/ora. Solo in minima parte e sulle cime più alte si sono avute nevicate di scarsa entità, con un'altezza dello zero termico compresa tra 1500 e 2000 metri.
  Gli impulsi successivi di pioggia hanno prodotto una sequenza ravvicinata di incrementi di livelli idrometrici nelle sezioni montane di tutti i corsi d'acqua dei bacini centro-occidentali, generando onde che propagandosi verso valle nelle sezioni arginate hanno formato un unico colmo di piena, con superamento della soglia di «criticità 2» lungo i tratti vallivi dei fiumi Enza, Secchia, Panaro e Reno, maggiormente interessati dall'evento.
  Le condizioni del suolo nei bacini all'inizio dell'evento pluviometrico presentavano già un buon grado di saturazione, essendo intercorsi una decina di giorni dal precedente evento di pioggia che aveva generato diffusi fenomeni di piena sui medesimi bacini idrografici.
  Anche sul bacino del Secchia la pioggia si è localizzata soprattutto nella zona di crinale con valori massimi di 230-260 mm cumulati sull'evento. I diversi impulsi di pioggia hanno comportato innalzamenti dei livelli idrometrici già a partire dal 17 gennaio con quattro colmi di piena nelle sezioni montane.
  A fronte di tali valori di precipitazione, sono risultate influenti le condizioni di imbibizione del terreno che, trovandosi in uno stato di saturazione significativa, non è stato in grado di ricevere per infiltrazione parte dei volumi di pioggia, con la formazione di piene non marginali. Nella sezione valliva di Ponte Alto, per esempio, il colmo ha raggiunto il livello di 9,97 metri, prossimo alla soglia di allarme determinata pari a 10,10 metri.
  In merito alle iniziative messe in campo, è stato evidenziato dalla stessa regione che le attività per la mitigazione del rischio nel nodo idraulico di Modena non sono iniziate con l'emergenza della rotta arginale di cui sopra, ma sono state continue nel corso degli anni e hanno coinvolto vari aspetti delle politiche territoriali, dalla pianificazione di bacino alla programmazione degli intendenti, passando attraverso la pianificazione di emergenza.
  In particolare, infatti, il 3 novembre 2010 veniva sottoscritto un «Accordo di Programma» tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Emilia Romagna, il quale prevedeva la realizzazione di numerosi interventi per la mitigazione del rischio idraulico in corrispondenza del nodo di Modena, per una spesa complessiva di oltre 20 milioni di euro. Lo stesso accordo continua ad essere tutt'oggi lo strumento di riferimento per la programmazione delle opere di difesa del suolo a scala regionale.
  Nei primi mesi del 2011 è stato redatto, altresì, il secondo «piano degli interventi urgenti» finanziati dalla OPCM 3850/2010, nel quale venivano previsti per la provincia modenese interventi per oltre 7 milioni di euro, tra i quali alcune delle opere già ricomprese nel predetto «accordo di programma» al fine di usufruire delle deroghe contemplate dall'ordinanza stessa.
  In sintesi, degli interventi programmati e inseriti nel precitato «accordo di programma»:
   sono stati ultimati interventi per oltre 8 milioni di euro, principalmente relativi alla sistemazione di Secchia e Panaro, sia a monte che sia a valle delle casse, e all'installazione delle paratoie mobili della cassa del Panaro;
   per la cassa del Naviglio stanno per essere avviate le procedure espropriative mentre per il completamento del Martiniana le medesime sono in corso;
   mancano, infine, all'appello i 4,11 milioni di euro destinati all'ampliamento della cassa del Secchia (trattasi di risorse già programmate ma non ancora trasferite alla regione) e i fondi della cosiddetta «fase programmatica», pari a oltre 2,1 milioni di euro, da destinare per interventi di miglioramento dello scolo del Naviglio in Panaro e per ulteriori intendenti di potenziamento della cassa di espansione del Secchia.

  Agli interventi di cui sopra, è previsto si aggiungano ulteriori opere per la sistemazione del torrente Grizzaga, recapito del diversivo Martiniana, per il quale sono state avviate le procedure di esproprio.
  In merito alle iniziative assunte dal Governo al riguardo, si sottolinea che in relazione agli eccezionali eventi alluvionali verificatisi nei giorni dal 17 al 19 gennaio 2014 nel territorio della provincia di Modena, il successivo 31 gennaio veniva deliberato dal Consiglio dei Ministri lo stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5, commi 1 e 1-
bis, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, stanziando, all'uopo, risorse per 11 milioni di euro a valere sul Fondo per le emergenze nazionali.
  Premesso quanto sopra, in merito alle condizioni di funzionamento della cassa di espansione del fiume Panaro, è tuttavia necessario fornire talune precisazioni.
  In linea generale, all'epoca della realizzazione delle casse di espansione, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, non vi erano indicazioni precise circa l'adeguamento delle medesime al «regolamento dighe» e alla relativa autorizzazione all'esercizio, in quanto le due tipologie di opere presentavano, e tutt'ora presentano, caratteristiche assai diverse. Basti pensare alla permanenza di ingenti volumi di acqua entro il bacino di accumulo, e cioè continuata per le dighe e ridotta a poche settimane all'anno per le casse di espansione.
  I relativi manufatti, pertanto, erano stati collaudati sulla base delle prassi tecnico-amministrative in vigore per le opere fluviali. Solo negli anni ’90 è subentrata la previsione di effettuare le prove di invaso ai sensi del «regolamento dighe», ma le risorse necessarie risultavano assai ingenti e tutt'ora in corso di reperimento.
  A questo proposito, riferisce la regione, da tempo sono stati presi contatti da parte della citata agenzia interregionale per il Po (AIPo) con i competenti uffici regionali della direzione dighe, allo scopo di raggiungere un formale accordo tecnico rispetto alle metodiche di gestione.
  In ultimo, e per quanto attiene nello specifico alle prove di invaso, la competente amministrazione regionale riferisce di non ritenere corretto assimilarle a un collaudo, e questo in quanto le medesime consistono, in realtà, in prove sperimentali di funzionamento e gestione delle opere, che devono avvenire sotto determinate condizioni, tra cui:
   presenza di organi di manovra in corrispondenza delle luci di fondo dello sbarramento;
   installazione di un'adeguata strumentazione di controllo;
   coinvolgimento degli enti e delle strutture di protezione civile a tutti i livelli;
   informazione e preparazione della popolazione;
   verificarsi di condizioni idrologiche adeguate al riempimento dell'invaso di cassa.

  In particolare, la cassa di espansione, come già accennato, fu realizzata e collaudata dal punto di vista tecnico e amministrativo nel periodo di operatività dell’ex magistrato per il Po, a cui l'Aipo è subentrata nel 2003. L'opera fu progettata e realizzata per funzionare «a luci libere», cioè senza le paratoie; questo perché la manovra di tali organi in corso di piena è un intervento che richiede di conoscere con buona precisione, tutto ciò che sta avvenendo nel bacino e l'evolversi degli eventi atmosferici, per evitare che la cassa sia già riempita mentre è in arrivo un'altra onda di piena.
  Le strumentazioni e le conoscenze disponibili fino ad alcuni anni fa non consentivano manovre di questo tipo e, dunque, a favore di sicurezza si era optato per un funzionamento «passivo» della cassa di espansione (ovvero senza una regolazione attiva operata dall'autorità idraulica), che fino ad ora ha funzionato correttamente ed entro i parametri previsti dal progetto, tant’è che non si sono più verificati eventi disastrosi quali quelli degli anni sessanta, settanta e ottanta.
  L'installazione delle paratoie regolabili, avvenuta nel 2012 grazie ai fondi di provenienza Aipo inseriti nell’«accordo di programma» di cui sopra, renderà possibile effettuare, con le adeguate condizioni, le cosiddette prove di invaso, che consistono nella verifica del funzionamento della struttura dopo aver riempito completamente ed in modo controllato la cassa di espansione. Tale operazione non era possibile prima che fossero installate le paratoie senza comportare gravi rischi per la pubblica incolumità nei territori a valle della cassa. Infatti, qualunque altra modalità per ostruire temporaneamente le luci di scarico non avrebbe garantito le indispensabili condizioni di sicurezza a causa dell'impossibilità di riattivare immediatamente il deflusso in caso del sopraggiungere di una piena imprevista.
  L'installazione delle paratoie è seguita anche ad altre considerazioni. L'esperienza ha infatti mostrato, in particolare negli ultimi anni, che a fronte di eventi di media entità – tali, comunque, da provocare preoccupazioni nel tratto di valle del fiume Panaro – la cassa si è invasata in modo non completamente soddisfacente. Sulla base degli studi realizzati in tempi recenti e resi possibili dalle nuove tecnologie, è stata individuata la soluzione dell'installazione dell'attuale sistema che, oltre a permettere di effettuare le prove di invaso in sicurezza, migliora l'efficienza della cassa per tale tipo di eventi.
  Inoltre, grazie alla rete di monitoraggio idropluviometrico che oggi fornisce gli elementi per effettuare previsioni sufficientemente attendibili dell'evento in corso, tramite le paratoie è oggi possibile – se le condizioni lo consentono – il deflusso delle acque in uscita dalla cassa, come già avvenuto in occasione delle piene del novembre 2012 e del gennaio 2014.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MONGIELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi del decreto del Ministero dell'ambiente del 14 luglio 1989 è stata istituita la riserva naturale marina denominata «Isole Tremiti», nell'omonimo arcipelago. Dal 1996 tale territorio è entrato a far parte del Parco Nazionale del Gargano. Si tratta di una delle aree marine protette più significative nel suo genere data l'unicità dei luoghi e la concentrazione di flora e fauna che costituiscono un unicum nel loro genere, una specificità fuori dal comune;
   le Isole Tremiti hanno il pregio di essere annoverate come un ambiente ecologico di elevatissimo valore naturale ed anche in ragione dei vincoli di tutela e di conservazione che li garantiscono, questa riserva costituisce il più alto esempio di bellezza del Mediterraneo dove i ridotti tassi di inquinamento rendono possibile la salvaguardia di specie altrove in via di estinzione oppure già scomparse;
   le Tremiti sono l'unico arcipelago italiano nel mare Adriatico. Mare ricchissimo di valori ambientali, paesaggistici, culturali, che da tempo i Paesi rivieraschi chiedono che venga dichiarato dall'Unesco patrimonio dell'umanità;
   la vocazione economica di questo territorio è indissolubilmente legata al turismo e alla valorizzazione del paesaggio;
   sin dalla sua istituzione, la riserva marina è stata considerata prioritariamente come una ricchezza biologica, ed al riguardo, l'articolo 3 del predetto decreto ministeriale del 1989, stabilisce che nell'ambito delle finalità di cui all'articolo 27, terzo comma, lettere b) e c) della legge 31 dicembre 1982, n. 979, la riserva naturale marina «Isole Tremiti», in particolare, persegue:
    a) la protezione ambientale dell'area marina interessata;
    b) la tutela e la valorizzazione delle risorse biologiche e il ripopolamento ittico della zona;
    c) la diffusione della conoscenza della biologia degli ambienti marini e delle peculiari caratteristiche geologiche e geomorfologiche della zona;
    d) l'effettuazione di programmi di carattere divulgativo-educativo per il miglioramento della cultura generale nel campo della biologia e della ecologia marina;
    e) l'effettuazione di programmi di ricerca scientifica nei settori della biologia marina e della tutela ambientale;
    f) la promozione di uno sviluppo socio-economico compatibile con la rilevanza naturalistico-paesaggistica dell'arcipelago, anche privilegiando attività tradizionali locali già presenti. Nell'ambito dell'azione di promozione di sviluppo compatibile, per le attività relative alla canalizzazione dei flussi turistici e di visite guidate, la determinazione della disciplina relativa dovrà provvedere specifiche facilitazioni per i mezzi di trasporto collettivo gestiti direttamente da cittadini residenti nel comune;
   come noto, in questi ultimi anni questo contesto marino è stato ripetutamente minacciato da tentativi, ancora non debellati, di sfruttamento petrolifero o da altri atti lesivi dell'integrità ambientale, come l'ipotesi di installazione di parchi eolici, che ne avrebbero compromesso irrimediabilmente la valenza naturalistica ed ambientale sopra descritta;
   in questi giorni si apprende di una nuova minaccia per l'integrità naturalistica delle isole Tremiti ed infatti, il Corriere del Mezzogiorno del 26 giugno 2013, riporta una notizia secondo cui a causa del carico di inquinanti riversati dal Fiume Po nell'Adriatico, questi arriverebbero, per determinati motivi di correnti, fino alla riserva marina delle Isole Tremiti manifestandosi come dense e spesse scie di schiuma;
   cita tra l'altro l'articolo: «Un cordolo di schiuma imprigiona da alcuni giorni la costa dell'isola di San Domino nell'arcipelago delle Tremiti, riserva naturale e parte integrante del Parco nazionale del Gargano. Ringraziamo il Po, le piogge lavano la Padania e noi a Sud riceviamo tutto quello che il fiume riversa in mare è il commento amaro e pungente del sindaco tremitese, Antonio Fentini. Il fenomeno è visibile da diversi giorni e i turisti, non tantissimi, mugugnano e sperano che le correnti presto lascino libere spiagge e calette. Il materiale schiumoso si forma ogni volta che il mare si infrange sugli scogli, forma delle “palle quasi solide” che restano per ore lungo l'intera costa»;
   è necessario che siano rigorosamente conservati e tutelati il patrimonio naturale marino dell'arcipelago delle Isole Tremiti e gli equilibri ambientali della relativa riserva che in perfetto equilibrio si armonizzano con i locali contesti antropici –:
   se sia a conoscenza dei fenomeni di presunto inquinamento che starebbero interessando le acque della riserva marina delle Isole tremiti;
   se in particolare non intenda attivarsi per verificare quale sia l'origine dell'effetto schiumoso denunciato dalle istituzioni locali e se effettivamente tali eventi possano essere ricondotti a cause inquinanti originate dal Fiume Po. (4-01041)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo indicato in oggetto, l'interpellante ha richiamato talune notizie di stampa che in relazione alla accertata presenza di schiume biancastre lungo le coste delle Isole Tremiti, nel parco nazionale del Gargano, facevano temere l'insorgenza di una minaccia per l'integrità naturalistica dell'area tutelata.
  Si trattava, più esattamente, di schiuma di colore bianco, di consistenza compatta, presente in vari punti della costa del versante nord dell'arcipelago, in particolare lungo l'isola di San Domino, che si formava ogni volta che il mare si infrangeva sugli scogli, creando densi aggregati che restavano per ore lungo l'intera costa.
  Subito dopo che il fenomeno veniva segnalato alle pertinenti autorità dalla locale delegazione di spiaggia dipendente dalla capitaneria di porto di Termoli, dando quindi avvio alle conseguenti azioni di verifica e controllo scientifico, veniva registrata e diffusa dai media l'ipotesi formulata al proposito dal sindaco delle Tremiti, tra l'ironico e l'indignato, nel senso di ritenere tale evento direttamente riconducibile a cause inquinanti originate dai «prodotti» scaricati in alto Adriatico dal fiume Po, grazie anche alle piogge che lavano la «padania».
  Tuttavia, al termine della fase di analisi curata dall'Arpa Puglia si era potuto accertare che si trattava di un fenomeno assolutamente «naturale», e cioè non dovuto a cause antropiche, ma provocato dalla naturale evoluzione dei cicli biologici del mare relativi alla stagione tardo-invernale/inizio-estate, quando si possono verificare rapidi incrementi demografici di organismi planctonici quali le Salpe (Tunicati). Le schiume bianche (schiume marine) «naturali», sono pertanto prodotte da sostanza organica derivante dalla degradazione di organismi acquatici, nella gran parte dei casi zooplanctonici. La concomitanza di fattori di tipo fisico (moto ondoso, vento, correnti eccetera) determina poi l'accumulo più o meno intenso di tali schiume lungo le rive.
  Peraltro, le analisi eseguire dall'Arpa Puglia sui campioni prelevati avevano da subito escluso la presenza di inquinanti di origine antropica (tensioattivi, idrocarburi, batteri di origine fecale, altre sostanze contaminanti eccetera).
  Per comprendere meglio il fenomeno, nonché i diffusi timori che avevano caratterizzato i primi giorni della sua insorgenza, vale la pena di precisare che le schiume – definite più propriamente «colloidi» – sono causate dalla dispersione di un gas in un mezzo liquido. Gran parte delle schiume che si originano in mare durante e dopo le mareggiate sono dovute all'energia liberata dalle onde che «spinge» le molecole gassose dell'atmosfera in quelle liquide dell'acqua marina, favorendo la formazione di schiume di colore bianco e poco compatte. Schiume della stessa tipologia possono anche formarsi nei corsi d'acqua a causa dei moti turbolenti.
  È vero, altresì, che le schiume possono formarsi e aumentare di volume in presenza di alcune sostanze definite «tensioattive». Queste possono essere sia di origine naturale che antropica. Per «tensioattiva» (o «surfattante»), in particolare, si intende una sostanza che abbassa la tensione superficiale dei liquidi, favorendo la formazione di schiume. Le sostanze tensioattive sono solitamente di natura organica.
  Le sostanze tensioattive di origine antropica sono quelle contenute, ad esempio, nei detergenti e negli emulsionanti, e possono giungere al mare attraverso scarichi diretti o indirettamente per mezzo dei corsi d'acqua. Gli stessi corsi d'acqua possono essere altresì caratterizzati da un notevole apporto di materiale organico, derivante da fonti puntiformi (reflui) o diffuse (dilavamento di terreni), anche questo con effetto potenzialmente tensioattivo.
  Le sostanze tensioattive di origine naturale sono prodotti organici (essenzialmente di natura proteica) che si formano in seguito ai normali processi fisiologici degli organismi (soprattutto micro e macroalghe). Sostanze naturali con proprietà tensioattive sono regolarmente presenti in mare, e per quanto riguarda le nostre latitudini si può affermare che in particolari periodi dell'anno, più frequentemente in primavera e a fine estate-autunno, la loro concentrazione può aumentare a causa dei cicli di produzione del plancton (crescita delle popolazioni, fioritura, senescenza, degradazione).
  Dunque, quando presente la componente organica naturale, se le acque sono interessate da discreto moto ondoso e da ventosità, solitamente si formano schiume (per un effetto simile, ad esempio, a quello della bianca d'uovo montata a neve), che tendono ad aggregarsi e ad accumularsi maggiormente in determinate zone a causa dell'idrologia locale (esempio: correnti). In questi casi, le sostanze naturali presenti in mare contribuiscono alla formazione di schiume «bianche», generalmente soffici e relativamente poco compatte.
  Schiume di altro colore e consistenza possono avere origine diversa e devono essere indagate volta per volta.
  La forte tendenza all'aggregazione delle schiume marine, per la loro stessa natura, dà luogo alla formazione di «nuclei di aggregazione» per altri materiali presenti in mare, siano essi di natura organico-biologica (frammenti di materiale vegetale, organismi intrappolati nella particolare matrice, batteri eccetera) o inorganica e/o antropica (sabbia, plastiche eccetera).
  In generale le schiume marine «bianche» non rappresentano una minaccia per la salute umana, a meno della presenza di una fioritura di fitoplancton tossico. È buona norma, tuttavia, evitare di bagnarsi direttamente in esse a causa della potenziale capacità delle stesse di aggregare e/o in esse concentrare materiale o sostanze indesiderate.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della soppressione della fermata ferroviaria di Marcellinara (CZ) e della mancata apertura della stazione di Settingiano, si sono ulteriormente aggravati i disagi per la popolazione legati alle gravi insufficienze attinenti i trasporti ferroviari tra Catanzaro Lido e Lamezia Terme;
   purtroppo, oramai, il trasporto pubblico si pratica quasi esclusivamente su «gomma» nonostante la storica ed irrisolta insufficienza della rete stradale in generale e, in particolare, della strada statale 106 che collega da un capo all'altro la regione Calabria;
   in generale, quindi, sia il trasporto ferroviario sia quello su gomma in Calabria non sono assolutamente sufficienti a garantire un servizio di trasporto pubblico funzionale per i cittadini e per i turisti;
   la tratta ferroviaria tra Catanzaro Lido e Lamezia Terme è oggetto di un contratto di servizio tra la regione Calabria e le ferrovie dello stato italiane di cui non si conoscono i contenuti;
   il collegamento tra la direttrice jonica e quella tirrenica è di vitale importanza sia per i cittadini che per lo sviluppo del turismo –:
   se il Governo sia a conoscenza del grave disservizio presente sulla tratta ferroviaria tra Catanzaro Lido e Lamezia Terme e quali urgenti iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, per far sì che venga sviluppato un sistema di trasporti moderno ed efficiente che consenta di far uscire dalla marginalità il territorio, di permettere ai cittadini di godere appieno del diritto alla mobilità e di permettere l'avvio di uno sviluppo economico virtuoso. (4-00343)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, occorre ricordare che secondo la normativa vigente (decreto legislativo n. 422 del 1997), la programmazione dei servizi ferroviari regionali è di competenza delle singole regioni, i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da un contratto di servizio, nell'ambito del quale vengono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili da ciascuna regione.
  Nel caso specifico la regione Calabria con propria deliberazione di giunta n. 124 dell'8 aprile 2014, ha stabilito, tra l'altro, «... l'adeguamento dei programmi di esercizio dei servizi affidati a Trenitalia, con riduzioni dei servizi sulle linee a più bassa domanda servita...» ciò per effetto di una minore disponibilità di risorse economiche.
  Pertanto, sulla base delle indicazioni della regione Calabria, Trenitalia ha predisposto un piano di riorganizzazione dell'offerta regionale, tenendo conto, in particolare, del livello di frequentazione rilevato su ciascuna linea.
  Il suddetto piano, approvato dalla regione stessa, si è concretizzato con l'orario entrato in vigore lo scorso 15 giugno.
  La tratta Catanzaro Lido-Lamezia Terme rientra proprio tra le linee oggetto di riorganizzazione e dal 15 giugno scorso il servizio su ferro è stato sospeso sino al mese di dicembre 2014 e sostituito da collegamenti con autobus.
  Per quanto concerne il potenziamento delle infrastrutture si comunica che nell'ambito del contratto istituzionale di sviluppo (CIS) per la realizzazione della direttrice ferroviaria Salerno-Reggio Calabria, sottoscritto il 18 dicembre 2012, è inserito l'intervento ID 975 «Dorsale Ionica-Collegamento Lamezia Terme-Catanzaro», per un importo di 81 milioni di euro – finanziamento a carico del Piano azione e coesione (PAC) per 80 milioni di euro e di altre fonti statali per 1 milione di euro, recepito nello schema di contratto di programma 2012-2016. Il soggetto attuatore è rete ferroviaria italiana (RFI); scopo del progetto è l'elettrificazione della linea che va da Lamezia Terme a Catanzaro e della dorsale ionica. L'intervento è diviso in fasi, secondo le diverse tratte:
   Lamezia Terme - Catanzaro Lido;
   Catanzaro Lido - Crotone - linea ionica;
   Crotone - Sibari - linea ionica;
   Catanzaro Lido-Roccella Jonica - linea ionica;
   Roccella Jonica – Melito Porto Salvo – linea ionica.

  Il progetto prevede la redazione da parte di rete ferroviaria italiana (RFI) di uno studio di fattibilità, ad oggi completato, che individui per ciascuna fase realizzativa i costi e i tempi necessari.
  Nella riunione del Comitato di attuazione e sorveglianza del Cis del 17 aprile 2014, si è convenuto sull'opportunità di fissare, quanto prima, un incontro Rfi-Regione Calabria per definire e condividere la strategia e gli obiettivi da perseguire, anche in considerazione delle risorse disponibili che, peraltro, in relazione alle previsioni dello Studio, non risultano sufficienti per tutte le tratte.
  Il prosieguo delle attività è da inquadrare nell'ambito dello sviluppo complessivo della rete ferroviaria calabrese, sia in termini infrastrutturali che di servizi. L'individuazione dei progetti prioritari verrà ultimata a valle di uno studio complessivo della domanda di mobilità del trasporto locale (pubblico e privato) su scala regionale, inerente sia il trasporto su ferro che su gomma.
  Da ultimo si rappresenta che la regione Calabria ha recentemente comunicato l'intendimento di destinare fondi aggiuntivi per i servizi di trasporto pubblico locale; pertanto ferrovie dello Stato sta predisponendo un programma di ulteriore rimodulazione dell'offerta regionale, prevedendo, a partire dalla metà del prossimo mese di luglio, l'eventuale reintroduzione di alcuni servizi.
  Al riguardo, si segnala che per consentire la rimozione dello squilibrio finanziario derivante dagli oneri relativi all'esercizio 2013 posti a carico del bilancio della regione Calabria, relativi a servizi Tpl già erogati, nonché al fine di assicurare per il biennio 2014-2015 un contributo straordinario per la copertura dei costi del sistema di mobilità regionale di Tpl da sostenere per garantire la continuità di adeguati livelli di servizio, nelle more della piena implementazione delle misure di efficientamento previste dall'articolo 16-
bis del decreto legge n. 95 del 2012 ed al fine di consentire un rapido raggiungimento degli obiettivi di riduzione del rapporto costi/ricavi come previsto dal citato decreto legislativo n. 422 del 1997, a livello parlamentare è stato predisposto un apposito emendamento parlamentare che consentirebbe alla regione Calabria di utilizzare le risorse ad essa assegnate a valere sul fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo di programmazione 2007-2013 nel limite massimo di 40 milioni di euro per il 2014, di cui 20 milioni a copertura degli oneri relativi all'esercizio 2013, e di 20 milioni di euro per il 2015. Tale emendamento, già contenuto nei disegni di legge di conversione dei primi due decreti legge cosiddetti «salva Roma» decaduti (dl n. 126 e dl n. 151 del 2013) è da ultimo confluito nell'atto Senato 1322, approvato dalla 5a commissione Senato in sede deliberante, che è attualmente in corso di esame da parte della V commissione della Camera dei deputati in sede referente (atto camera 2256).
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   PIAZZONI, ZARATTI e PILOZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 maggio 2014 è stato sancito il fallimento della società Groundcare, società di handling prestante servizio presso gli aeroporti di Roma Fiumicino e Roma Ciampino. Il fallimento della società in questione, nata nel 2012 dalla fusione di Globeground Italia e Flightcare, investe le sorti di quasi 900 lavoratori che vedono seriamente compromessi i loro diritti lavorativi e rischiano di perdere il loro posto di lavoro;
   la crisi dell'azienda in questione si inserisce in un contesto più ampio, determinato da una liberalizzazione senza regole e dalla inconsistenza delle troppe aziende autorizzate ad operare nei sedimi aeroportuali italiani, in assenza di garanzie strutturali di tenuta economico organizzativa. Emblematico è il caso dell'aeroporto di Fiumicino, l'unico hub d'Europa che sostiene i servizi offerti da ben 7 operatori certificati di handling, determinando ciò una diminuzione dei ricavi del 40 per cento. Effetto di tale assenza di regolazione dell'industria è stato un continuo peggioramento della qualità dei servizi ed una forte instabilità occupazionale dovuta principalmente al ricorso a forme contrattuali prive di tutele fondamentali per i lavoratori, spesso scaturita in lunghi periodi di cassa integrazione;
   il recente incontro di concertazione tra il curatore fallimentare della società, i rappresentanti di Enac ed Aeroporti di Roma e le parti sociali non ha garantito la tutela dei diritti dei lavoratori, essendo stata proposta una soluzione a breve termine per il pagamento di parte degli stipendi, né ha saputo indicare una prospettiva di lungo periodo per la stabilizzazione occupazionale e dell'attività;
   a quanto esposto devono sommarsi le notizie sulla annunciata manifestazione d'interesse per l'attività gestita da Groundcare della società GH, già precedentemente in lizza per l'acquisizione, che non garantirebbe però la piena occupazione dei dipendenti –:
   se non intenda convocare al più presto un tavolo interistituzionale di confronto sulla crisi d'impresa esposta in premessa che coinvolga il Governo, la regione Lazio, i sindacati e tutti gli altri soggetti istituzionali coinvolti, al fine di tutelare immediatamente i diritti dei lavoratori e per individuare soluzioni strutturali di lungo periodo;
   quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda adottare per assicurare un quadro di regole chiare che siano in grado di garantire i fondamentali servizi di handling e la loro qualità. (4-05288)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, occorre evidenziare che l'Italia è stato uno dei primi Paesi ad adottare, nel 2007, un proprio regolamento in materia di handling, basato sulla direttiva comunitaria Ue n. 96 del 1997.
  Attualmente, la Commissione europea sta lavorando per l'adozione di un regolamento in sostituzione della vigente direttiva. La normativa comunitaria in corso di elaborazione prevede dei requisiti per il conseguimento dell'idoneità a svolgere i servizi di
handling che coincidono, in larga con quelli della regolamentazione nazionale adottata da Enac.
  L'Enac svolge la propria attività di certificazione e sorveglianza sugli
handler utilizzando propri team di ispettori aeroportuali che nel 2013 hanno effettuato 1192 ispezioni.
  Allo stato, l'apertura del mercato dell’
handling nel nostro Paese, anche se caratterizzato da una notevole frammentazione, si può considerare pienamente realizzata. Attualmente, infatti, in Italia esistono 216 società di handling certificate in base alla predetta regolamentazione Enac.
  L'intero sistema risulta, peraltro, caratterizzato da bassi livelli di redditività ed evidenzia una flessione in termini di giro di affari, causata dalla riduzione dei movimenti degli aeromobili per la sfavorevole congiuntura economica nonché dalla liberalizzazione del mercato e la conseguente intensa competizione basata sul prezzo delle tariffe offerte. Molte delle aziende in questione hanno in corso procedure per la gestione di crisi aziendali, attraverso gli ammortizzatori sociali, e gli scenari occupazionali futuri appaiono fortemente critici.
  Devo, inoltre, precisare che il tentativo dell'Enac di disciplinare in modo più incisivo il possesso dei requisiti relativi alle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie allo svolgimento dei servizi di assistenza a terra ha subito l'intervento del giudice amministrativo che ha inteso riconoscere all'ente medesimo una limitata capacità di intervento in tale ambito specifico, sul presupposto che debba essere ridotta al massimo ogni limitazione all'accesso e all'esercizio di attività economiche (TAR Lazio, sezione III
ter, n. 363 del 2012, n. 982 del 2012, n. 1295 del 2012 e n. 1298 del 2012).
  Per quanto concerne in particolare l'aeroporto di Fiumicino, occorre precisare che lo stesso è aeroporto cosiddetto liberalizzato ai sensi del decreto legislativo n. 18 del 13 gennaio 1999: in ragione del volume di traffico annuo, è riconosciuto perciò il libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra a tutti i prestatori di servizi in possesso dei requisiti di idoneità previsti dal citato decreto legislativo.
  A Fiumicino operano attualmente sei prestatori di servizi di assistenza a terra (
full handlers): tra cui Groundcare.
  Tale società è in possesso del certificato di idoneità in scadenza il 10 dicembre 2014 quale Prestatore di servizi di assistenza a Terra ai sensi del citato decreto legislativo e della regolamentazione Enac.
  A tal proposito si evidenzia che il personale dipendente della società è per la quasi totalità proveniente da ADR Handling, società storica che ha operato sugli scali di Fiumicino e Ciampino fino a 8/9 anni fa ed è in possesso di notevole esperienza e professionalità, difficili oggi da reperire sul mercato dell'Handling.
  Infatti, dalle rilevazioni degli ultimi anni da parte del gestore aeroportuale e dalle previste verifiche svolte dall'Enac, le prestazioni della Società sono state pressoché sempre in linea con gli standard previsti dalla regolamentazione vigente, sia quelli di natura tecnica, sia quelli relativi alla qualità dei servizi resi.
  Purtroppo, il grave dissesto ed il conseguente fallimento che hanno colpito la società stanno mettendo a repentaglio l'occupazione di circa 850 lavoratori, tutti con contratto a tempo indeterminato.
  Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nell'ambito della proprie competenze, sta seguendo con la massima attenzione la questione già dal 2013; in particolare ha chiesto al responsabile della direzione aeroportuale di Fiumicino di porre in essere ogni possibile azione per gestire la situazione di criticità al fine di individuare le opportune soluzioni per salvaguardare il servizio, i posti di lavoro e la necessaria coesione sociale.
  Detto dirigente, insieme al curatore fallimentare e ad ADR stanno intensamente lavorando per la soluzione della problematica. A giorni dovrebbe essere formalizzata una proposta concreta di acquisizione della società da parte di altro operatore di
handling con possibilità di assorbimento di buona parte del personale. Il rimanente personale dovrebbe essere, in parte, ricollocato presso gli altri handler di Fiumicino e in parte «riprotetto» con la cassa integrazione.
  Nel concludere si fa presente che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, interessato al riguardo, ha evidenziato che lo scorso 17 giugno, con riferimento agli
handler degli aeroporti di Fiumicino e Ciampino, si è tenuto presso i competenti uffici della regione Lazio un incontro tra le parti interessate per l'esame congiunto della situazione aziendale avente ad oggetto la possibilità di fruire, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge 223 del 1991, di un periodo di cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs) per sostenere il reddito dei lavoratori a seguito della sentenza del 24 aprile con cui il competente tribunale ha dichiarato il fallimento della società. Nel corso di tale incontro sono emersi elementi propedeutici ad un possibile accordo che necessitano comunque di un ulteriore approfondimento.
  È stata, pertanto, elaborata una ipotesi di accordo che potrebbe essere presa in considerazione nella prossima riunione ai fini di una conclusione positiva della procedura in atto.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto pubblicato dall'edizione on line di un noto quotidiano nazionale, il Ministero degli affari esteri avrebbe concesso, e consegnato il 19 febbraio 2014, il passaporto diplomatico al partner maschile di Carmelo Barbarello, primo consigliere di un'importante ambasciata del nostro Paese in Asia;
   il predetto consigliere Barbarello risulta in effetti aver contratto matrimonio con Javier Barca in un Paese dove ciò è considerato possibile, sfruttando all'uopo il Consolato di Spagna a Buenos Aires;
   a Javier Barca, cittadino spagnolo, è stato rilasciato un documento normalmente spettante ai coniugi del personale diplomatico nazionale distaccato all'estero, malgrado il matrimonio tra omosessuali non abbia nel nostro Paese alcun valore giuridico;
   quanto accaduto contrasterebbe altresì anche con principi normativi interni alla Farnesina;
   una precedente richiesta di passaporto diplomatico per Javier Barca, inoltrata dal consigliere Barbarello al Ministro degli affari esteri pro tempore Giulio Terzi, aveva incontrato una risposta negativa;
   negativa era stata altresì anche una pronuncia del Tar del Lazio, intervenuta il 23 ottobre 2014 –:
   se risultino agli atti dei documenti in base ai quali sia possibile ricostruire le basi giuridiche sulle quali il Governo ha ritenuto di dover equiparare i diritti del signor Javier Barca a quelli di un qualsiasi coniuge di personale diplomatico inviato all'estero, consegnandogli un passaporto diplomatico, e se non si ritenga opportuno ritirarglielo. (4-04131)

  Risposta. — L'interrogante chiede «se risultino agli atti dei documenti in base ai quali sia possibile ricostruire le basi giuridiche sulle quali il Governo ha ritenuto di dover equiparare i diritti del signor Javier Barca a quelli di un qualsiasi coniuge di personale diplomatico inviato all'estero, consegnandogli un passaporto diplomatico, e se non si ritenga opportuno ritirarglielo».
  Al signor Javier Barca, partner convivente del consigliere d'ambasciata Carmelo Barbarello, in servizio presso l'Ambasciata d'Italia a Nuova Delhi, è stato rilasciato il 19 febbraio 2014, dal Ministro
protempore, un passaporto diplomatico sulla base delle facoltà discrezionali previste dall'articolo 7 del decreto ministeriale 4668-bis, che stabilisce che possa essere concesso un passaporto diplomatico a persone, anche non di cittadinanza italiana, in via eccezionale.
  La concessione del documento è stata motivata dall'esigenza di tutelare il partner del dipendente, che risiedeva in India sulla base di un visto turistico rilasciato sul passaporto ordinario spagnolo, a seguito di una pronuncia della Corte suprema indiana che ha reintrodotto il reato di «atto omosessuale». La condizione di coppia omosessuale convivente del consigliere Barbarello e del signor Barca, condizione tutelata nel nostro ordinamento da precise sentenze della Cassazione, avrebbe infatti potuto rappresentare un fattore di rischio, con ricadute negative per la sua possibilità di svolgere le funzioni affidategli, in base al noto principio di diritto internazionale «
ne impediatur legatio».
  Proprio per garantire un'adeguata tutela del consigliere d'Ambasciata Carmelo Barbatello e del suo
partner, il Ministero degli affari esteri ha già provveduto a disporre il trasferimento urgente del dipendente; pertanto, il passaporto diplomatico è stato rilasciato per il tempo strettamente necessario al suo trasferimento ad altra sede.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriBenedetto Della Vedova.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   grotte e cavità naturali costituiscono un patrimonio naturale di estrema importanza che va tutelato con determinazione;
   in Friuli Venezia Giulia secondo il catasto regionale delle grotte – istituito nel 1966 e oggi gestito in convenzione dalla Federazione speleologica regionale – sono presenti circa 7.500 cavità sotterranee, 25 delle quali assoggettate a tutela paesaggistica in virtù delle eccezionali caratteristiche di interesse geologico, preistorico e storico;
   dal 1990 il Gruppo grotte del Club alpinistico triestino (CAT) ha avviato una campagna d'informazione sulle grotte inquinate, ostruite e distrutte di cui ha regolarmente aggiornato l'elenco, inviato successivamente al catasto competente;
   secondo i dati raccolti dal CAT, nel 2000 erano ben 383 le cavità sotterranee che presentavano situazioni di degrado di vario tipo, ridotte oggi a 359 (sul versante del Carso triestino) grazie a vari interventi volontari delle associazioni speleologiche locali;
   i 359 ipogei naturali versano in uno stato di degrado allarmante: 52 risultano inquinati, 54 presentano rifiuti, 236 sono ostruiti e 17 addirittura distrutti. Inoltre nella provincia di Gorizia sono presenti 18 grotte ampiamente compromesse (3 inquinate, 4 con abbandono di rifiuti, 9 ostruite e 2 distrutte);
   l'elenco stilato dal CAT non comprende le innumerevoli cavità artificiali del territorio che presentano, in buona parte, l'abbandono di rifiuti anche all'interno del perimetro urbano di Trieste;
   sono necessari interventi urgenti e sistematici per il recupero di queste grotte ampiamente compromesse dall'incuria e da comportamenti irresponsabili che ne hanno minato lo stato naturale;
   all'interrogante non risultano azioni di monitoraggio sia nazionale che regionale – da parte dell'ARPA (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente) e delle aziende sanitarie locali – per gli ipogei naturali maggiormente inquinati. Inoltre la regione Friuli Venezia Giulia, in assenza di un piano paesaggistico, ha finanziato azioni di bonifica in maniera sporadica, senza vincolo di destinazione;
   la direttiva 92/43/CEE «Habitat» – recepita dal regolamento contenuto nel decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modifiche – ha istituito la rete ecologica «Natura 2000» dell'Unione europea per la conservazione della biodiversità;
   questa rete è costituita da siti di interesse comunitario (SIC) – individuati dai singoli Stati membri e successivamente designati come zone speciali di conservazione (ZSC) – e comprende anche le zone di protezione speciale (ZPS) istituite ai sensi della direttiva 2009/147/CE «Uccelli» sulla conservazione dei volatili selvatici, recepita nel nostro ordinamento dalla legge n. 157 del 1992 sulle norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio;
   l'allegato A della direttiva include grotte, cavità naturali e ghiaioni tra i tipi di habitat di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di aree speciali;
   per le zone speciali di conservazione gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure necessarie, finalizzate a preservarle dal degrado, potendo ricorrere anche a cofinanziamenti comunitari –:
   se il Ministro interrogato, in necessario raccordo con gli enti locali, intenda assumere iniziative per avviare il monitoraggio delle grotte inquinate, per favorirne la bonifica, tenendo presente che trattandosi per lo più di terreno carsico dovrebbero essere controllate con particolare attenzione quelle contenenti combustibili;
   se siano già stati richiesti, o se s'intendano richiedere, cofinanziamenti all'Unione europea ai sensi della direttiva 92/43/CEE per la tutela delle zone speciali di conservazione costituite da habitat rocciosi e grotte. (4-02693)

  Risposta. — Come ricordato dagli interroganti, la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia gestisce il «catasto regionale delle grotte», istituito con la legge regionale n. 27 del 1966, la cui implementazione è affidata alla federazione speleologica regionale del Friuli-Venezia Giulia, organo rappresentativo di quasi tutti i gruppi speleologici operanti nella regione.
  Attualmente – com’è stato riferito – il predetto «catasto» comprende circa 7500 cavità censite e rilevate, 25 delle quali assoggettate a tutela paesaggistica in virtù delle eccezionali caratteristiche di interesse geologico, preistorico e storico, ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 1497 del 1939.
  Nell'area di che trattasi insistono, altresì, la ZSC IT 3340006 «
carso triestino e goriziano» e ZPS IT 3341002 «aree carsiche della Venezia Giulia». Esse hanno una estensione, rispettivamente, di 9.648 ha 12.189 ha, interessando le province di Trieste e di Gorizia. Per la ZSC, in particolare, sono state definite le misure di conservazione, approvate con delibera di Giunta regionale n. 546 del 28 marzo 2013. Per entrambe è in fase conclusiva la redazione di uno specifico Piano di gestione, i cui studi propedeutici hanno portato a redigere una carta degli habitat di Natura 2000 e degli habitat FVG in base al Manuale degli habitat del Friuli-Venezia Giulia. Tale studio, risalente al 2010, ha portato all'identificazione e georeferenziazione di tutti gli ingressi delle cavità riconducibili al codice 8310 «Grotte non aperte al pubblico» che ammontano a 288.
  In materia, sono stati, inoltre, eseguiti ulteriori e specifici studi, quali:
   Catasto degli stagni del Carso Triestino e Goriziano (2008), che censisce 914 punti d'acqua sul Carso, compresi quelli connessi alla presenza di grotte (imboccature, inghiottitoi, sorgenti da grotta);
   integrazione al Catasto grotte nel sito natura 2000 (2008), che ha analizzato i dati faunistici per 223 grotte e floristici per 172 grotte; sulla base di tale analisi è stato eseguito un monitoraggio faunistico e vegetazionale per 28 grotte sulla base di criteri d'importanza;
   monitoraggio e individuazione di misure di conservazione per la fauna acquatica degli
habitat igrofili e idrofili (2011), che ha analizzato la presenza e lo stato di conservazione della fauna acquatica, compresa quella connessa con gli ambienti ipogei come il Proteo.

  Peraltro, in occasione della elaborazione dell'ultimo report previsto dall'articolo 17 della direttiva habitat, è stata inviata a questo Ministero, nel 2012, tutta la documentazione relativa allo stato di conservazione di habitat e specie e sono stati aggiornati tutti i formulari standard di tutti i siti di Natura 2000 della medesima regione Friuli-Venezia Giulia. Sulla base degli elementi forniti non sono state rilevate carenze o criticità connesse ai siti Natura 2000 del Carso e dell’habitat «8310 – Grotte non aperte al pubblico». Da tale report, infatti, lo stato di conservazione dell’habitat 8310 risulta favorevole, come pure quello di alcune specie allo stesso fortemente legate, come il Proteo.
  Relativamente alla popolazione di chirotteri, poi, alcune specie delle quali particolarmente legate agli ambienti ipogei, è in corso un monitoraggio, affidato al Museo di storia naturale di Udine, relativamente agli anni 2013-2014 esteso a tutta la regione. Esso si concentra su aree particolarmente sensibili, tra le quali c’è anche il Carso.
  È stato, in particolare, sottolineato dalla Regione che in base alle misure di conservazione della ZSC vige il divieto di accendere fuochi, asportare e/o danneggiare gli speleotemi e fare scritte e/o incisioni sulle pareti dell’
habitat 8310. Inoltre, sono previste due misure di gestione attiva che prevedono la redazione e sottoscrizione da parte delle associazioni speleologiche e alpinistiche di un apposito codice di autoregolamentazione, nonché l'esecuzione di interventi di bonifica delle grotte dai rifiuti.
  Si è a conoscenza, infatti, anche grazie al catasto grotte, che molte cavità sono state storicamente utilizzate come discariche almeno fino alla emanazione delle pertinenti norme in materia di smaltimento dei rifiuti. Tali grotte, anche esterne al sito Natura 2000 e prive di valore naturalistico, non sono state censite tra le 288 classificate come
habitat 8310. La misura di conservazione relativa alla bonifica dai rifiuti di cui si è detto, è quindi rivolta alla asportazione di quanto lasciato in occasione di precedenti esplorazioni speleologiche o da visitatori occasionali, e non alla bonifica integrale di cavità rispetto a situazioni storiche.
  Al fine di tutelare l’
habitat 8310, durante il processo partecipativo del piano di gestione sono state coinvolte le associazioni speleologiche locali per una sensibilizzazione e una definizione di un protocollo di fruizione delle grotte. Le stesse associazioni peraltro già svolgono volontariamente azioni di tutela, ripristino e, se necessario, bonifica degli ambienti ipogei. Altri interventi puntuali di bonifica delle situazioni più evidenti sono state attuate nel tempo da diverse amministrazioni pubbliche a livello locale e/o territoriale.
  È stato sottolineato, altresì, che le previsioni regolamentative delle misure di conservazione vigenti verranno ulteriormente ampliate nei contenuti ed estese anche alla ZPS con il redigendo Piano di gestione, dove sono previste anche azioni più mirate di bonifica e ripristino degli ambienti ipogei, tra i quali anche quelli non censiti come habitat 8310. Inoltre il piano prevederà, oltre ai monitoraggi già effettuati e in corso, un programma specifico per il sito natura 2000 del Carso, complementare al programma generale di monitoraggio della biodiversità che la Regione ha comunque predisposto in base all'articolo 8 della legge regionale n. 7 del 2008 (monitoraggio Natura 2000). La copertura finanziaria per specifici studi e ricerche propedeutici agli aggiornamenti e alla gestione dei piani del sito natura 2000 del Carso troverà copertura finanziaria attraverso il programma di sviluppo rurale della programmazione 2014-2020, la cui definizione è in corso di conclusione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   QUARANTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la centrale ENEL Eugenio Montale della Spezia è stata costruita nel 1962;
   a fine anni ’90 sono stati effettuati lavori di adeguamento ambientale e due unità a carbone della centrale sono state sostituite con gruppi di generazione in ciclo combinato ad alto rendimento;
   oggi la centrale è alimentata da tre gruppi: due gruppi a metano per circa 700 megawatt di potenza installata e un terzo da 600 megawatt a carbone e olio combustibile denso;
   il gruppo a carbone è però il maggiormente utilizzato con un consumo stimato di 1.200.000 tonnellate di carbone/anno;
   il referendum consultivo popolare del 1988 che ha sancito la richiesta di dismissione della centrale ENEL entro il 2005, attraverso un periodo transitorio in cui la centrale dovesse essere depotenziata e funzionare a metano, è stato totalmente disatteso;
   alcuni giorni fa il procuratore capo di Savona Francantonio Granero ha presentato i dati sconvolgenti della perizia di parte da lui ordinata: circa 400 decessi da imputare agli effetti dell'inquinamento della centrale Tirreno Power di Vado Ligure;
   per effettuare la perizia sono state utilizzate delle tecniche di indagine innovative che dovrebbero riuscire a testimoniare una chiara relazione tra l'inquinamento prodotto dalla centrale e la salute della popolazione;
   la perizia è riservata ma è stata inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e alla regione Liguria;
   alla Spezia, nonostante le richieste insistenti di comitati cittadini e associazioni ambientaliste, non si effettuano questo tipo di indagini;  
   nel settembre del 2013 è stata concessa l'autorizzazione integrata ambientale per la centrale Enel della Spezia, con l'impegno di tenere monitorata la centrale e mettere in campo una verifica di applicazione dell'autorizzazione integrata ambientale stessa a decorrere da un anno dal suo rilascio –:
   se il Ministro sia a conoscenza della perizia della procura di Savona;
   se e quali iniziative intenda assumere per garantire un monitoraggio efficace e preventivo dell'impatto sulla salute delle emissioni della centrale ENEL della Spezia;
   se e come proceda la verifica di applicazione dell'autorizzazione integrata ambientale in considerazione che sono passati 6 mesi dal suo rilascio e in previsione della verifica definitiva prevista per il settembre 2014. (4-04012)

  Risposta. — La centrale termoelettrica «Eugenio Montale», di proprietà dell'Enel, è situata nella zona industriale del comune di La Spezia. Con una potenza installata pari a 1.3 GW produce da sola quasi il 3 per cento del fabbisogno energetico nazionale.
  Inaugurata nel 1962 con il nome «Edison-Volta», inizialmente alimentata a olio combustibile, è stata successivamente riconvertita per bruciare carbone. Dalla fine degli anni ’90, a seguito di ulteriori interventi per adeguamento ambientale, la centrale è alimentata da tre gruppi: i due che funzionavano a carbone sono completamente convertiti a metano per circa 700 MW di potenza installata, mentre solo il terzo è rimasto a carbone/olio combustibile. Il gruppo a carbone, che con i suoi 600 MW e un consumo stimato di 1,2 milioni di tonnellate di carbone/anno, il secondo in Italia per potenza installata (insieme alla centrale di Torrevaldiga Nord e dopo gli impianti di Brindisi), risulta munito dei più sofisticati metodi di abbattimento degli inquinanti: desolforatore, denitrificatore e precipitatore elettrostatico per il particolato.
  I due gruppi convertiti a metano sono stati costruiti dalla Fiat Avio, e funzionano in un ciclo combinato in cui in una prima fase si utilizza una turbina a gas e in una seconda fase i fumi vengono inviati a un generatore di vapore convenzionale. Per i fumi emessi da questo gruppo, nella centrale è stato installato l'impianto di depurazione a precipitatori elettrostatici più costoso e moderno d'Europa, mentre la città è dotata di centraline di monitoraggio del livello di polveri sottili e altri parametri d'inquinamento.
  Peraltro, tutta la popolazione spezzina che vive a stretto contatto con l'impianto nei quartieri Melara, Pianazza, Fossamastra e Canaletto ha spesso manifestato la sua contrarietà alla presenza del predetto impianto. Nel 1988, in particolare, un referendum consultivo popolare aveva sancito la richiesta di dismissione della centrale entro il 2005, attraverso un periodo transitorio in cui la centrale dovesse essere depotenziata, e funzionare a metano per più del 50 per cento della sua produzione.
  Nel 2013 la procedura di rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale (Aia) si conclude in fase di conferenza dei servizi, consentendo il mantenimento del gruppo a carbone. Successivamente, il comune di La Spezia sottoscrive una convenzione socio-economica con Enel che prevede un rimborso di svariati milioni di euro da utilizzare in opere pubbliche e la cessione di alcune aree da destinare ad altre attività industriali, presumibilmente portuali.
  In particolare e per quanto interessa la competenza di questo Ministero, si rileva che alla centrale in esame è stata rilasciata, ai fini dell'esercizio, l'autorizzazione integrata ambientale con decreto DEC-MIN-2013-244 del 6 settembre 2013, ricadendo la stessa tra le categorie di impianti soggetti ad Aia statali ai sensi dell'Allegato XII alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, imponendo nuovi e più restrittivi limiti alle emissioni dell'impianto.
  Il parere istruttorio conclusivo (Pic) espresso dalla commissione Ippc prevede una durata dell'Autorizzazione pari ad 8 anni. Inoltre, in relazione alla emissione di alcuni inquinanti, il Pic prevede espressamente che nel corso del primo anno di validità dell'Aia siano condotti specifici monitoraggi i cui risultati, se negativi, potranno essere motivo di riesame immediato della stessa autorizzazione.
  Con riguardo al monitoraggio delle emissioni della centrale appare opportuno richiamare le pertinenti prescrizioni all'uopo dettate:
   prescrizione n. 14 –
«l'implementazione di campagne annuali di monitoraggio delle deposizioni atmosferiche, da realizzarsi in collaborazione con ARPAL e Amministrazione comunale, per il dosaggio di metalli (As, Pb, Cd, Ni, V, Cu, Cr, Mn, Hg e Tl), IPA cancerogeni, diossine e furani e PCB, con particolare riferimento a dioxin like»;
   prescrizione n. 8d (riferita al gruppo SP3) – «dovrà essere condotto un piano integrativo annuale di indagine delle emissioni del mercurio e di altri microinquinanti organici ed inorganici, con particolare riferimento a metalli, IPA e diossine/furani, secondo i metodi di dosaggio e le relative concentrazioni di riferimento così come indicati dal Ministero della salute. I risultati del monitoraggio annuale, da trasmettere all'autorità competente, al Ministero della salute ed ai comuni di La Spezia ed Arcola, potranno essere motivo di specifica richiesta di riesame dell'Aia da parte del Ministero della salute e dei comuni di La Spezia ed Arcola»;
   prescrizione n. 15 – «la realizzazione entro il primo anno di validità dell'Aia sulla base di un protocollo da definire con Ispra e Arpa, di un adeguato modello delle emissioni e delle conseguenti ricadute di microinquinanti organici ed inorganici dai camini. Il modello e le risultante della sua applicazione dovranno essere trasmesse all'autorità competente. Sulla base del risultati i comuni di La Spezia ed Arcola potranno richiedere lo specifico riesame dell'Aia.

  Sul punto, occorre tenere presente che si è in attesa delle relazioni inerenti il monitoraggio delle emissioni che dovranno essere presentate dal Gestore dell'impianto entro il primo anno di esercizio, decorrente dalla data del rilascio dell'Aia, ovvero entro il mese di settembre 2014.
  Ad oggi, pertanto, è ancora prematuro procedere alle valutazioni circa la necessità di un eventuale riesame che, come specificatamente prescritto nell'Aia, potrà essere richiesto dai comuni di La Spezia ed Arcola sulla base dei risultati del citato monitoraggio.
  Per quanto attiene alla verifica circa la corretta attuazione dell'Aia, è stato precisato dai competenti uffici di questo Ministero che si sta procedendo secondo le tempistiche definite nel pertinente decreto di autorizzazione. Il gestore risulta aver presentato nei tempi prescritti lo «studio di fattibilità per il miglioramento del sistema di scarico del carbone dalle navi in grado di garantire una migliore efficienza di contenimento delle emissioni diffuse», il quale è stato trasmesso alla commissione Ippc per le valutazioni tecniche di competenza.
  È stato, infine, precisato che le verifiche sull'impianto sono state inserite all'interno del programma di controlli ordinari previsti per il 2014 dall'istituto centrale per la protezione e la ricerca ambientale, (Ispra), quale organo tecnico competente per il controllo.
  In ultimo, ai soli fini di una compiuta esposizione, si rileva che la Commissione Europea ha da tempo avviato le attività di consultazione per la definizione del nuovo
BAT Reference documents (BRef) in merito ai cosiddetti «grandi impianti di combustione» (tra i quali è compresa la centrale di La Spezia). Detto documento, che fissa i valori emissivi che le centrali elettriche dovranno rispettare, secondo i calendari della Commissione sarà vincolante per gli Stati membri entro i prossimi due anni. Conseguentemente, non appena in vigore i nuovi limiti, sarà necessario avviare il riesame di tutte le Aia già emesse riguardanti le centrali elettriche che ricadono nelle predette disposizioni, ivi compresa quella della centrale che qui interessa.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareAndrea Orlando.


   RIZZETTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 23 marzo 2014 si è appreso dalle agenzie di stampa che Gianluca Salviato, tecnico dell'impresa friulana «Enrico Ravanelli» di Venzone, lo scorso 22 marzo, è scomparso in Libia, dove l'impresa sta realizzando opere infrastrutturali;
   Gianluca Salviato ha 48 anni, è originario di Martellago nella provincia di Venezia e lavora da alcuni anni per la predetta società che opera nel settore delle costruzioni;
   secondo quanto dichiarato da un funzionario dell'impresa, il giorno in cui è scomparso, Gianluca Salviato si trovava a Tobruk, in Cirenaica, per effettuare un sopralluogo di collaudo e stava seguendo i lavori di realizzazione degli impianti fognari;
   si ipotizza che si tratti di un rapimento a scopo di estorsione, ma, sul punto, ad oggi, non vi è ancora certezza sulle cause della scomparsa;
   si teme per la vita di Salviato in quanto è malato di diabete e per sopravvivere ha bisogno dell'insulina, medicinale di cui si ritiene essere sprovvisto poiché l'auto di cui si era servito è stata ritrovata abbandonata e con all'interno le quantità di insulina a lui necessarie;
   a quanto è dato sapere, La Farnesina si sta occupando della vicenda ed è in contatto costante con l'unità di crisi e l'ambasciata italiana a Tripoli; al riguardo, l'ambasciatore Giuseppe Buccino Grimaldi ha incontrato il Ministro della difesa libico, Abdallah Abdulrahman Al-Theni, per fare il punto della situazione; 
   all'interrogante appaiono esservi delle gravi responsabilità del Ministero degli affari esteri per la scomparsa di Gianluca Salviato;
   difatti, l'interrogante già con una precedentemente interrogazione del 4 febbraio 2014 (4-03364) ha denunciato il sequestro di altri due operai, poi rilasciati, in territorio libico, evidenziando le gravi responsabilità del Ministero degli affari esteri, posto che si ritiene non adotti adeguati provvedimenti per tutelare la sicurezza degli operai italiani che lavorano in Libia considerando la situazione di rischio per la sicurezza che sussiste in tale Stato;
   il predetto Ministero è ben consapevole che molte imprese italiane operano in tale territorio e dei rischi a cui sono quotidianamente sottoposti i lavoratori, pertanto, la scomparsa di Gianluca Salviato è l'ennesima prova secondo l'interrogante dell'incapacità della Farnesina di promuovere azioni per tutelare l'incolumità fisica di coloro che lavorano in tale Stato;
   inoltre, come già denunciato dall'interrogante, con il predetto atto, la situazione è resa più grave dal fatto che il Ministero degli affari esteri non si adopera adeguatamente per la liquidazione dei crediti delle imprese italiane in Libia successivi alla crisi dell'anno 2001;
   la mancata liquidazione di tali crediti, determinando la crisi delle aziende coinvolte, ha costretto, a rischio di vita, gli imprenditori e gli operai delle stesse a continuare ad operare in Libia pur di far «sopravvivere» tali attività;
   negli anni, tali fatti sono stati denunciati più volte dalle imprese, tra cui la Friulana Bitumi International srl, al Ministero degli affari esteri; tuttavia, ad oggi, tali realtà risultano totalmente abbandonate dalle istituzioni, sia per quanto concerne la sicurezza dei lavoratori che rispetto alla liquidazione dei crediti di cui sono titolari le imprese italiane;
   con atto del 27 febbraio 2014, il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Mario Giro, ha fornito risposta alla predetta interrogazione che non è stata ritenuta soddisfacente dall'interrogante, in particolare, relativamente alle misure predisposte per l'incolumità dei lavoratori italiani in Libia nonché i provvedimenti adottati per la liquidazione dei crediti –:
   se e quali iniziative siano state adottate dal Ministro interrogato per rintracciare Gianluca Salviato, tecnico dell'impresa friulana «Enrico Ravanelli» di Venzone, scomparso in territorio libico;
   se e quali interventi abbia posto in essere il Ministro interrogato per tutelare i lavoratori delle imprese italiane che operano in Libia, considerando la situazione a rischio sicurezza che sussiste in tale Stato;
   se e quali concreti provvedimenti abbia adottato per risolvere la ben nota situazione che vede una moltitudine di imprese italiane in attesa, da molti anni, della liquidazione di crediti in Libia, costringendo le stesse, per stato di necessità, a continuare ad operare in territorio libico al fine di far sopravvivere le proprie attività. (4-04175)

  Risposta. — In merito al caso del connazionale Gianluca Salviato, rapito il 22 marzo 2014 nella zona di Tobruk dove stava lavorando per la ditta Enrico Ravanelli spa di Verizone, si segnala che il sequestro è avvenuto sulla strada che conduceva al sito dove è ubicato il cantiere. I colleghi dell'ingegner Salviato, non vedendolo rientrare, hanno iniziato le ricerche e, dopo aver trovato l'auto di servizio con la quale era uscito il connazionale ancora con le chiavi inserite, hanno contattato l'ambasciata a Tripoli.
  A seguito di tale segnalazione, il Ministero degli affari esteri, in stretto contatto con l'ambasciata, si è immediatamente attivato in coordinamento con le altre competenti articolazioni dello Stato, procedendo alle necessarie verifiche ed attivando tutti i canali di ricerca ancora adesso operativi. L'ambasciatore d'Italia in Libia Buccino sta seguendo personalmente la vicenda anche attraverso numerosi e ripetuti passi presso le autorità libiche, al fine di mantenere costante l'opera di sensibilizzazione sulle azioni da intraprendere per giungere ad una positiva conclusione della vicenda. Sin dal verificarsi dell'evento, come sempre avviene in tale circostanze, è stato inoltre stabilito un canale diretto con i familiari del connazionale che vengono costantemente sentiti ed informati di ogni sviluppo della situazione. I familiari stessi sono stati ricevuti a più riprese presso l'unità di crisi della Farnesina.
  Circa la situazione di sicurezza nel Paese, la nostra ambasciata in Tripoli esercita da sempre una costante azione di informazione. In tale contesto aveva, come noto, più volte avvertito le aziende italiane operanti in Libia circa le criticità ambientali e i rischi che potevano correre i loro dipendenti, indicando al contempo opportune norme di comportamento cui attenersi, con particolare riferimento alla Cirenaica, alla luce dei numerosi sequestri che si erano verificati in quell'area anche a danno di connazionali. Messaggi di allerta relativi alla difficile situazione in Cirenaica sono peraltro sempre stati resi pubblici sul sito istituzionale
www.viaggiaresicuri.it. Tale sito alla data in cui avveniva il sequestro conteneva le raccomandazioni, per coloro che intendevano recarsi in Libia, già segnalate in risposta all'interrogazione n. 4-03364, il 24 febbraio scorso: «a causa delle perduranti tensioni e dei ripetuti scontri si sconsiglia di recarsi per qualsiasi motivo in Cirenaica e nel Sud del Paese»; si raccomandava di mantenere particolarmente elevato il livello di allerta tra la comunità straniera presente in Libia, citando specificamente la situazione in Cirenaica ove si ricordava «che a seguito dell'attentato del 12 gennaio 2013, è stata disposta la sospensione temporanea dei servizi del consolato generale a Bengasi. Con specifico riguardo a tale città, alla luce del nuovo scenario di sicurezza e considerata la sospensione dell'attività del consolato generale, è assolutamente sconsigliata la presenza di connazionali nell'area». Tali raccomandazioni sono sempre a disposizione degli utenti del sito al fine di sensibilizzare tutti i nostri connazionali che intendono recarsi in Libia circa il precario quadro di sicurezza in cui versa il paese africano, con particolare riferimento ai lavoratori e agli operatori economici.
  Per quanto concerne la sicurezza degli operai italiani che lavorano in Libia si ribadisce che il Ministero degli affari esteri e l'ambasciata d'Italia a Tripoli svolgono un'importante azione preventiva intrattenendo uno strettissimo e costante contatto con tutti i connazionali presenti e soprattutto con tutte le realtà imprenditoriali regolarmente notificate, alle quali vengono inoltrate costantemente informative sulla situazione di sicurezza, recanti anche istruzioni di comportamento in relazione a specifiche situazioni di rischio. Tale sistema di monitoraggio ed informazione, attivo ventiquattro ore su ventiquattro per 365 giorni l'anno, risulta apprezzato dalla nostra comunità di affari presente nel Paese e, come noto, si è rivelato di estrema utilità in molteplici circostanze proprio a tutela dell'incolumità dei nostri connazionali.
  Si segnala, infine, che la risoluzione delle pendenze relative ai crediti delle aziende italiane nei confronti della Libia rimane tra le priorità del Ministero degli affari esteri.
  Quanto ai crediti cosiddetti «storici» (cioè legati a contratti risalenti agli anni ’80/’90) vantati da oltre cento aziende italiane, è noto che all'indomani della rivoluzione del 2011 le Autorità libiche avevano espresso la disponibilità a riaprire le trattative per il superamento dell'annoso contenzioso bilaterale. Benché la problematica sia riconducibile a responsabilità del passato regime, le nuove Autorità di Tripoli hanno valutato la chiusura del contenzioso come un investimento per iniettare rinnovata linfa e fiducia nei rapporti economici con l'Italia. Tripoli ha quindi proposto un'ipotesi transattiva ritenuta interessante dalle tre Associazioni rappresentative dei creditori che ha dato origine ad una serie di sessioni negoziali. Il 7 giugno 2013 alla Farnesina è stato firmato un verbale di riunione (cosiddetto
meeting summary) che chiudeva la contesa a livello politico, con la conferma del versamento da parte libica di una cifra transattiva di 233 milioni di euro a favore delle imprese creditrici.
  Nonostante l'impegno profuso personalmente dall'allora primo ministro Zidan, divergenze tra le parti su aspetti di natura tecnica e legale hanno impedito la finalizzazione degli accordi esecutivi tra il Governo libico e le associazioni rappresentative dei creditori. Proprio per superare gli ultimi scogli tecnici e chiudere definitivamente il contenzioso, alla vigilia della Conferenza di Roma sulla Libia del 6 marzo scorso si è svolta una missione a Roma del vice ministro delle Finanze, Suleiman Gheit Mraja, in occasione della quale è stato definito il testo di un Accordo tecnicogiuridico («settlement agreement») tra il governo libico e le tre associazioni dei creditori «storici» sulle modalità di pagamento, in applicazione della sopra citata intesa politica del 7 giugno 2013.
  Il risultato è stato possibile anche grazie all'approccio flessibile e costruttivo dei rappresentanti delle tre associazioni, che hanno fatto importanti concessioni rispetto a quanto convenuto nell'intesa politica.
  Il testo del «settlement agreement» è stato firmato dai rappresentanti delle tre associazioni italiane; è stato altresì siglato dallo stesso Mraja, rinviando tuttavia la firma da parte libica alla ratifica da parte del proprio Consiglio dei ministri. L'acuirsi dell'instabilità politica negli ultimi mesi in Libia non ne ha ancora consentito l'adozione da parte del Governo libico, sul quale la Farnesina e l'ambasciata a Tripoli continuano ad esercitare pressione.
  I crediti cosiddetti «recenti», riconducibili a rapporti di lavoro interrotti a seguito della rivoluzione del 2011, costituiscono un insieme più complesso e disomogeneo e riguardano per la maggioranza dei casi piccole e medie imprese che avevano commesse o lavori per lo più con Enti pubblici libici. Sono state tentate varie strade (una prima ipotesi prevedeva l'istituzione di una commissione che avrebbe dovuto rivedere i contratti individuali per escludere il sospetto di corruzione; una seconda ipotesi prevedeva invece di riprendere l'esecuzione dei progetti a fronte del pagamento immediato del 50 per cento dei crediti maturati, cui avrebbe fatto seguito il pagamento dilazionato del restante ammontare con l'esecuzione del contratto) mai effettivamente accolte dalle Autorità libiche, né con riferimento alla imprese italiane, né con riguardo alle imprese di altri Paesi.
  La ricerca di risoluzione delle pendenze è quindi proceduta caso per caso, condizionata dai nuovi interlocutori che progressivamente venivano messi a capo delle strutture pubbliche. La nuova dirigenza, in particolare il Governo Zidan in carica da novembre 2012 a marzo 2014, ha comunque dato prova di disponibilità e continuato a manifestare la volontà di sanare le situazioni sospese, anche se all'atto pratico i risultati non sono stati numerosi.
  Nel 2013 l'approvazione del bilancio dello Stato, che per la prima volta assegnava ai Ministeri parti significative delle risorse derivate dallo sfruttamento degli idrocarburi, ha lasciato intravedere qualche opportunità: in alcuni casi la disponibilità di queste risorse ha reso possibile il pagamento sia pure parziale dei crediti arretrati, come per Iveco, Termomeccanica, Pascucci e Vannucci, Sirti, Con.I.Cos. La costante pressione sui vertici dei singoli Ministeri, operata quotidianamente e caso per caso fin da subito dalla Farnesina anche attraverso l'ambasciata a Tripoli, ha facilitato lo sblocco di situazioni complicate. Nella seconda metà del 2013 alla crescente incapacità decisionale del governo Zidan, si è aggiunto, tuttavia, il blocco delle esportazioni petrolifere. I grandi progetti infrastrutturali sono rimasti tutti sulla carta e al contempo non sono proseguiti la riattivazione dei contratti e il pagamento dei crediti arretrati. La crisi politica di questi ultimi mesi ha provocato uno stallo delle attività del Paese, con un congresso che non è ancora riuscito ad approvare il bilancio 2014. In questo contesto diventa sempre più arduo avere un quadro di riferimento certo per il pagamento dei creditori. In ogni caso prosegue da parte di questo Ministero il costante lavoro di sensibilizzazione e pressione nei confronti delle autorità libiche.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   SIBILIA, SPADONI, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, D'UVA, COLONNESE, BARONI e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 aprile 2014 sul sito on-line del quotidiano L'Arena di Verona (www.larena.it) veniva pubblicato un articolo dal titolo «Sequestrato in aeroporto a Mosca»;
   nel citato articolo Ubaldo Procope, riferendosi ad una vicenda datata 2 aprile 2014, dichiarava: «Mi hanno sequestrato per dieci ore all'aeroporto di Mosca. Mi hanno trattato come una bestia, senza portarmi da bere né da mangiare, senza darmi spiegazioni. Mi sono sentito rapito, privato anche del mio passaporto senza il quale, in quel Paese, non si può fare nulla»;
   Ubaldo Procope è un esperto di arte russa e commercio icone, lavora in questo settore da quindici anni e regolarmente si reca a Mosca per l'acquisto da privati di pezzi che poi vengono certificati dal Ministero, al fine di superare i controlli doganali;
   nel corso della trasferta d'inizio aprile Ubaldo Procope aveva acquistato tredici icone, per un valore commerciale di oltre 10 mila euro, da vendere poi in Italia, Francia, Inghilterra e Svizzera. Per i pezzi, come prevede la legge, è stata richiesta al Ministero l'autorizzazione all'esportazione, dopo aver effettuato la perizia dei prodotti. Solo con questi due certificati e con il pagamento delle tasse doganali pari al 10 per cento del valore della merce è possibile portare icone fuori dalla Russia;
   nel citato articolo Ubaldo Procope dichiarava: «Mercoledì mattina, alle otto, sono arrivato all'aeroporto di Domodedovo, a Mosca. Al momento del check-in mi hanno portato in una stanzetta riservata al personale dello scalo: io facevo domande, loro non mi davano spiegazioni. Intanto passava il tempo, il mio volo per l'Italia era già decollato e le mie valigie trattenute anch'esse alla dogana. Gli addetti parlavano tra di loro, io non li capivo. A un certo punto ho visto che aprivano i miei bagagli e fotografavano le icone una a una, compilando delle carte»;
   dopo dieci ore senza cibo né acqua e a seguito di un interrogatorio la dogana ha rilasciato Ubaldo Procope restituendogli il passaporto ma non la merce regolarmente acquistata;
   Ubaldo Procope ha già provveduto ad informare dell'incresciosa vicenda il console generale d'Italia a Mosca Piergabriele Papadia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per conoscere i motivi che avrebbero spinto le autorità russe a trattenere il cittadino italiano Ubaldo Procope per dieci ore all'aeroporto e a non restituirgli le tredici icone acquistate e provviste delle certificazioni necessari all'esportazione. (4-05184)

  Risposta. — Il Ministero degli affari esteri ha seguito sin dalle prime battute la vicenda che ha coinvolto il connazionale Ubaldo Procope, relativa al suo fermo il 2 aprile scorso presso l'aeroporto internazionale di Mosca e al sequestro dallo stesso subito di tredici icone da parte della dogana russa.
  Il consolato generale d'Italia a Mosca ha subito provveduto a richiedere elementi anche sulla dinamica del fermo al locale Ministero degli affari esteri tramite nota verbale, invitando nel frattempo il connazionale – com’è prassi in questi casi – ad affidarsi ad un legale. Al momento risulta che l'istruttoria sul caso da parte delle competenti autorità russe sia ancora in corso. In particolare, esse stanno cercando di appurare se vi siano stati degli errori o delle irregolarità da parte del Ministero della Cultura nel rilascio dei permessi di esportazione.
  Il signor Procope, che si è già recato in Russia alla fine dello scorso mese di maggio per deporre presso la sede doganale di Domodedovo, ha di recente contattato il consolato generale per comunicare di essere stato convocato per un'audizione l'8 agosto 2014 presso la segreteria dell'amministrazione presidenziale, cui aveva rivolto una petizione.
  Al connazionale, che sarà accompagnato da un collaboratore del Consolato generale, è stato consigliato di farsi assistere in tale occasione da un legale russo, per fare meglio valere le proprie ragioni.
  Si assicura che la Farnesina, anche per il tramite del Consolato Generale a Mosca, continuerà a monitorare con attenzione la vicenda del signor Procope.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 gennaio 2014 il quotidiano «La Repubblica» riportava il seguente articolo a firma di Cecilia Gentile: «A Roma 40 mila gabbiani, è allarme. Troppi rifiuti. Un pericolo anche per l'uomo». Il caso dopo la colomba del Papa attaccata in Vaticano. Nello stesso articolo si precisa come — «Questi enormi volatili hanno scelto la capitale non più come luogo di passaggio, ma per nidificare. Quale habitat migliore della nostra città, che per decenni ha assicurato succulenti pasti al “ristorante Malagrotta” e continua ad offrire cibo a volontà dai cassonetti ridondanti di rifiuti ?» «I gabbiani — avvisa Bruno Cignini, zoologo e direttore del dipartimento Ambiente del comune — si riproducono a ritmi esponenziali: da ogni coppia nascono almeno due piccoli, e ormai siamo a 40 mila esemplari»;
   uno studio portoghese pubblicato dalla rivista Proteome Science ha evidenziato come i gabbiani potrebbero essere pericolosi per la salute, secondo gli studiosi sono portatori di batteri resistenti agli antibiotici. I ricercatori dell'Università Tras-os-Montes hanno analizzato le deiezioni dei gabbiani su un'isola a largo delle coste portoghesi, applicando una tecnica chiamata «proteomica» per scovare le più’ piccole tracce di proteine batteriche;
   dalle analisi è risultato che almeno un esemplare su dieci è portatore di enterococchi resistenti alla vancomicina. «Probabilmente gli uccelli sono stati infettati rovistando nelle discariche — ha spiegato Gilberto Igrejas, che ha coordinato la ricerca — il fenomeno è preoccupante perché con le migrazioni questi animali possono estendere il territorio coperto da questi batteri»;
   il gabbiano reale (Larus cachinnans), abitante delle coste, ha iniziato a colonizzare le città costiere italiane all'inizio degli anni `70 dando il via ad un crescente fenomeno di urbanizzazione. Il motivo principale di questo spostamento è la presenza massiccia di rifiuti alimentari e soprattutto discariche, dove gli animali, particolarmente adattabili detti generici (come i topi), trovano cibo in abbondanza. I tranquilli tetti ed i terrazzi inoltre, rappresentano un luogo ideale per costruire i nidi, lontano dai predatori e soprattutto dalle folle di bagnanti (sono ormai pochi i tratti di costa liberi da attività umane);
   il gabbiano reale è un uccello marino, come tutte le altre specie di gabbiani (circa una dozzina) che popolano tutte le zone costiere e tutti i mari del mondo. Tuttavia il gabbiano reale non è un uccello strettamente legato all'ambiente marino, spesso si spinge all'interno della terraferma, risalendo lungo il corso dei fiumi. In taluni casi abbandona perfino la sua abitudine di migrare per insediarsi in una zona ove si trasforma in stanziale. È abbastanza frequente trovare alcune coppie che, analogamente ai gabbiani comuni, nidificano e vivono tutto l'anno lungo i fiumi o sulle rive dei laghi. Il gabbiano non è un pescatore, si nutre infatti di tutti i resti animali e dei rifiuti che trova sulla superficie dell'acqua e sul bagnasciuga. Raccoglie i pesci morti, ma non si limita certo a questo tipo di cibo. In realtà è un predatore che si può ragionevolmente definire rapace, dal momento che ruba le uova e i nidiacei di molte specie di uccelli che nidificano sul terreno. È stato osservato che alcune decine di gabbiani reali riescono a decimare un'intera colonia di sterne o di gabbiani di un'altra specie. Il gabbiano reale vive in colonie più o meno numerose, ma si possono trovare anche coppie isolate;
   tutte le specie e sottospecie di gabbiano reale, nonché uova, nidiacei e nidi, in Italia sono protetti ai sensi della legge nazionale n. 157 del 1992 e non cacciabili, (per il Friuli Venezia Giulia vige anche la legge regionale n. 14 del 2007), non si toccano i nidi e non si corre alcun rischio. In caso di gravi e giustificati motivi e con il consenso della forestale, gli animali possono essere spostati da personale competente –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti narrati e quali azioni intendano intraprendere;
   se non intravedano nel proliferare di questa specie un reale rischio sia per la salute dell'uomo, sia per l'alterazione dell'ecosistema e la biodiversità che vede specie più deboli nella catena alimentare essere vittime di predazione e «competizione sleale» (dopo il proliferare dei gabbiani romani grazie alla discarica di Malagrotta);
   se considerata l'emergenza soprattutto nelle grandi città, come Roma, non sia necessario intervenire a livello governativo affinché venga attuata la legge nazionale n. 157 del 1992 che permette in casi necessari l'intervento della forestale per rimuovere nidi di gabbiani anche se specie protetta così come è avvenuto nella città di Firenze. (4-03396)

  Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo indicato in oggetto, relativo alle problematiche concernenti il proliferare del gabbiano reale (Larus cachinnans), soprattutto nelle grandi città come Roma, non v’è dubbio – in ciò condividendo le preoccupazioni espresse dall'interrogante – che il problema, sia in ambito urbano che non, riveste in generale una grande rilevanza sul piano della gestione faunistica.
  Va, tuttavia, osservato che la normativa vigente – la legge n. 152 dell'11 febbraio 1992, recante: «norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatoria» – al comma 2 dell'articolo 19, assegna alle regioni la competenza circa il controllo delle popolazioni faunistiche anche nelle zone vietate alla caccia – nelle quali rientrano i centri urbani – per svariati motivi, quali – per quanto qui interessa – quelli sanitari e quelli concernenti la tutela del patrimonio storico-artistico.
  Per quanto attiene, in particolare, alla regione Lazio, dette funzioni sono state recepite e regolamentate con la legge regionale n. 17 del 2 maggio 1995, recante: «norme per la tutela della fauna selvatica e la gestione programmata dell'esercizio venatorio», in particolare all'articolo 35, rubricato «Controllo della fauna selvatica».
  Esistono, quindi, strumenti normativi che consentono a livello locale il conseguimento di qualche risultato positivo in termini di controllo mirato alla presenza infestante – come nel caso di specie – del gabbiano reale, soprattutto se attuati in fase di colonizzazione ancora iniziale. Ma, per tutta una serie di difficoltà tecniche, facilmente immaginabili se si considera l'assetto urbanistico di una nostra città – e, in particolare, quello che caratterizza la capitale – essi sono totalmente svantaggiosi se esaminati in un'ottica di costi-benefici e su una prospettiva temporale ragionevolmente ampia.
  Peraltro, la causa prima dello sviluppo demografico che ha caratterizzato questa specie di volatili negli ultimi decenni – come ha ben sottolineato l'interrogante – è riferibile alle risorse alimentari che per essi si rendono disponibili all'interno delle discariche. Si sono osservati, in proposito, fenomeni di rapida risposta nell'occupazione e nell'abbandono di zone riproduttive al variare dell'operatività dei singoli impianti.
  Di fatto, le disposizioni comunitarie in materia di gestione delle discariche (quale, ad esempio, la copertura quotidiana dei rifiuti conferiti) laddove adottate in maniera soddisfacente, hanno già determinato conseguenze concrete sulla presenza di volatili. Al contrario, ove i problemi continuano a manifestarsi, è implicito ritenere che la situazione non soddisfi ancora le già esistenti prescrizioni gestionali.
  In altre parole, in relazione alla situazione di fatto descritta dall'interrogante appare senz'altro possibile procedere, a norma di legge, alla adozione di iniziative volte a mitigare il rischio derivante dalla presenza infestante di volatili.
  Tra queste, ad esempio, è da menzionare la rimozione dei nidi, il cui effetto non potrà che rivestire, tuttavia, carattere solo palliativo, con qualche eventuale concreta efficacia solo su situazioni molto localizzate.
  Anche la soppressione dei riproduttori adulti, che sarebbe del pari consentita dagli strumenti di legge esistenti senza che lo
status di specie protetta rappresenti un ostacolo, appare tecnicamente difficile e non risolutoria in assenza di azioni volte a ridurre l'offerta generalizzata di cibo. Le caratteristiche demografiche del gabbiano reale sono tali, infatti, che l'esistenza di una quota rilevante di popolazione flottante (subadulta o comunque non nidificante) comporterebbe il rimpiazzo degli esemplari stanziali oggetto della pertinente azione limitante – la soppressione, appunto – eventualmente messa in atto.
  Al contrario, lo stesso drastico intervento di soppressione sarebbe auspicabile per limitare le conseguenze dei trasferimenti in massa (la cosiddetta «rinidificazione») laddove venisse attuato contestualmente ad una sensibile riduzione dell'offerta di cibo. Questa potrà essere conseguita mediante cessazione del conferimento a discarica delle risorse appetibili (entro un raggio di 50-60 Km dalle colonie) ovvero con la loro copertura con materiale inerte o mediante la installazione di batterie fisiche (teli) che le rendano inaccessibili.
  Per quanto riguarda la presenza di ceppi batterici con caratteristiche di antibiotico resistenza, è stato appurato che la loro presenza sia relativamente comune anche per il territorio italiano, con prevalenze variabili in funzione delle specie selvatiche e batteriche esaminate.
  In particolare, le specie poste ai vertici della catena alimentare mostrano le maggiori prevalenze, e il gabbiano reale è inevitabilmente coinvolto in tali dinamiche. Il problema è già affrontato in modo complessivo, sia in termini di analisi del rischio sia in termini di una sua mitigazione, attraverso specifiche indicazioni scientifiche prodotte dall’
european food safety authority e largamente recepite dalle direttive comunitarie.
  Premesso tutto quanto sopra, e nel sottolineare ancora che la competenza alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio conseguente alla presenza infestante del gabbiano reale sono rimessi alla esclusiva competenza istituzionale delle regioni, valga rilevare la necessità che qualsiasi iniziativa in tal senso venga messa in opera, sia comunque accompagnata da un corrispondente monitoraggio scientifico.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.