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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 25 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    le attività della pesca e della molluschicoltura operate nelle lagune del Delta del Po, in provincia di Rovigo, vedono impegnati oltre 2 mila imprenditori ittici rappresentando un contesto d'eccellenza per l'economia della provincia di Rovigo e della regione del Veneto;
    gli imprenditori ittici e le loro associazioni di categoria da sempre ritengono demaniali gli ambienti lagunari della provincia di Rovigo, così come già accade per le lagune delle altre province italiane in quanto rientrano morfologicamente nella classificazione normativa prevista dall'articolo 822 del codice civile e dall'articolo 28 del codice della navigazione;
    in virtù dell'articolo 28, comma 1, lettera b) cod. nav. fanno parte del demanio marittimo «le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare»;
    come è noto, in ossequio al vigente quadro normativo la disciplina dei beni pubblici risiede ancora, almeno nelle sue linee fondamentali, nel codice civile (articoli 822-831);
    la Corte di cassazione nella sua composizione a sezioni unite con una recente pronuncia (Cass. S. U. 16 febbraio 2011 n. 3813), a proposito delle cosiddette Valli da pesca della laguna di Venezia, fornisce una nozione costituzionalmente orientata di bene demaniale affermando un principio di portata dirompente in materia di beni demaniali ed, in particolare, di beni catalogabili come appartenenti al demanio marittimo (applicabile pertanto anche alle lagune, e valli da pesca del Delta del Po presenti in Polesine ovvero in provincia di Rovigo). Segnatamente, con la predetta sentenza le sezioni unite della Corte rilevano che oggi non è più possibile limitarsi, in tema di individuazione dei beni pubblici o demaniali all'esame della sola normativa codicistica del 1942 (ed in particolare agli articoli 28 del codice della navigazione e 822 del codice civile) «risultando indispensabile integrare la stessa con le varie fonti dell'ordinamento e specificamente con le (successive) norme costituzionali». In altre parole, il Giudice di legittimità afferma che dall'applicazione diretta degli articoli 2, 9 e 42 Costituzione si ricava il principio della tutela della umana personalità e del suo corretto svolgimento nell'ambito dello Stato sociale, anche nell'ambito del «paesaggio», con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativa-codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della «proprietà» dello Stato ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione, risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell'intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività e che per tale loro destinazione, appunto, alla realizzazione dello Stato sociale — devono ritenersi «comuni», prescindendo dal titolo di proprietà, risultando così recessivo l'aspetto demaniale a fronte di quello della funzionalità del bene rispetto ad interessi della collettività;
    storicamente le lagune e valli da pesca venete sono sempre state ritenute demaniali così come anche affermato dalla corte d'appello di Venezia (Appello Venezia del 10/06/2008). In particolare, con detta pronuncia la corte Veneziana afferma che «il regolamento di polizia lagunare 20 dicembre 1841 del Governo austriaco evidenzia, senza ombra di dubbio, la sua natura normativa cogente propria delle leggi. In detto regolamento risulta espressamente affermata la demanialità della laguna di Venezia, concepita quale sistema comprendente anche le valli da pesca, con la conseguenza che queste ultime, in quanto appartenenti al demanio necessario marittimo non potevano e non possono formare oggetto di proprietà privata e neppure di godimento privato se non alle condizioni a tal riguardo fissate dalla legge stessa. In altre parole, «Le cosiddette valli da pesca situate all'interno della conterminazione della laguna di Venezia hanno natura demaniale ai sensi dell'articolo 28 del codice della navigazione essendo del resto la demanialità della laguna già espressamente contemplata dall'articolo 1 del regio decreto-legge 18 giugno 1936 n. 1853 (ribadita dall'articolo 1 della legge n. 366 del 1963) ed affermata, anche in relazione alla cosiddetta laguna morta, costituita appunto dalle valli da pesca, già con sentenza 31 maggio 1921 del T.S.A.P. La natura demaniale dei beni della laguna (“fondo pubblico”), peraltro era stata affermata già dal § 54 del regolamento del 20 dicembre 1841 del Governo austriaco, siccome già riconosciuto da Cass. Firenze con sentenza 14 luglio 1904. Né possono rilevare in senso contrario i successivi trasferimenti di proprietà del bene ed il comportamento inattivo della p.a., atteso che l'appartenenza di un bene al demanio naturale marittimo (necessario) si pone quale conseguenza della presenza delle connotazioni fisiche considerate dalla legge e ciò indipendentemente da atti ricognitivi dell'amministrazione e da formalità pubblicitarie»;
    pertanto, nessun soggetto privato può rivendicare la proprietà di lagune e/o valli da pesca ritenute demaniali;
    le lagune polesane risultano altresì demaniali perché sono stati soddisfatti i pubblici interessi come la conservazione del dinamismo lagunare e quindi la loro salvaguardia, attraverso interventi di vivificazione, realizzati con risorse pubbliche, comunque idonei a determinare la demanialità delle acque similmente a quanto avviene nei bacini montani;
    attualmente nella laguna di Caleri, in quella di Vallona e nella Sacca degli Scardovari vi sono circa mille ettari preclusi, mediante delimitazioni con palificazioni, alla collettività da parte di presunti proprietari;
    il clima di incertezza circa la titolarità giuridica delle lagune suscita negli operatori ittici un sentimento di grande preoccupazione e di incapacità programmatoria dell'attività molluschicola e della pesca con rischi per l'occupazione e per l'ordine pubblico;
    i lavori della commissione delimitatrice si sono interrotti dopo le operazioni condotte in laguna di Caleri che, ad oggi, nonostante l'emissione da parte della direzione marittima di Venezia dei decreti di delimitazione, che assumono valenza da atti dichiarativi della demanialità, continua ad essere occupata, in parte, da presunti proprietari;
    la commissione delimitatrice non ha proceduto alle inderogabili operazioni nelle altre lagune polesane come Vallona, Sacca degli Scardovari, e altro;
    in ogni caso, con la suddetta sentenza del 2011 le Sezioni unite ribadiscono l'ulteriore principio consolidato in base al quale «il procedimento di delimitazione non è costitutivo della demanialità di un bene ma ha una mera funzione di accertamento dei relativi confini». Infatti, il giudice di legittimità ha più volte affermato (ex multis, Cass. n. 10817/2009) che il procedimento di delimitazione del demanio marittimo, previsto dall'articolo 32 codice della navigazione, tendendo a rendere evidente la demarcazione fra tale demanio e le proprietà private finitime, si presenta quale proiezione specifica della normale azione di regolamento dei confini di cui all'articolo 950 codice civile, e si conclude con un atto di delimitazione, il quale ha una funzione di mero accertamento, in sede amministrativa, dei confini del demanio marittimo rispetto alle proprietà dei privati, senza l'esercizio di un potere discrezione della pubblica amministrazione;
    si potrebbe prefigurare un danno erariale per il mancato canone concessorio di ambienti palesemente demaniali ma gestiti come proprietà privata,

impegna il Governo:

   a promuovere tutte le azioni necessarie per il riconoscimento della Demanialità delle zone lagunari del Delta del Po Veneto iniziando sin da subito;
   a conoscere quale sia lo stato dell'arte del contenzioso in atto e del procedimento di delimitazione delle lagune e delle valli polesane;
   ad attribuire alle zone lagunari, lagune e valli da pesca, del Delta del Po Veneto la natura di beni demaniali riconoscendone la demanialità affinché, senza indugio, lo Stato rientri nel possesso di quelle porzioni lagunari come ad esempio i canali sub lagunari realizzati per impedire un pregiudizio all'interesse pubblico con fondi pubblici ad oggi occupati da asseriti proprietari privati;
   in subordine, a svolgere tutte quelle azioni tese alla riattivazione della commissione delimitatrice presieduta dal capo del compartimento di Chioggia allo scopo di accertare, in sede amministrativa, i confini del demanio marittimo rispetto alle proprietà dei privati.
(7-00438) «Moretto, Crivellari, Ginato».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 66 del 24 aprile 2014, convertito nella legge n. 89 del 23 giugno 2014, prevede, per i soli comuni, l'esclusione del patto di stabilità interno delle spese destinate a interventi di edilizia scolastica per 122 milioni per ciascuno degli anni 2014 e 2015, senza indicare le province e l'edilizia scolastica di loro pertinenza e quindi, oltre 5.000 edifici scolastici, cui fanno riferimento 2,5 milioni di studenti;
    recentemente la legge n. 56 del 7 aprile 2014, ha confermato alle province, quali enti con funzioni di area vasta, l'attribuzione della funzione di gestione dell'edilizia scolastica;
    le province esercitano, con decreto legislativo n. 122 del 1998, le competenze concernenti la programmazione dell'offerta formativa e la pianificazione della rete scolastica con l'istituzione, l'unione, la soppressione di scuole, predisposizione del piano di utilizzazione degli edifici, di uso delle attrezzature e la sospensione delle lezioni in casi urgenti e gravi;
    le province sono titolari di funzione di manutenzione ordinaria e straordinaria, messa in sicurezza degli edifici scolastici, compresa la messa a norma degli impianti, la costruzione di nuove scuole e la partecipazione alle spese di funzionamento in seguito alla legge n. 23 del 1996;
    il decreto n. 66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n.89 del 2014, prevede l'esclusione di tali spese dai vincoli del patto per i soli comuni, e pertanto distingue rispetto alla sicurezza delle scuole, classi e di studenti;
    tal, esclusione riguardante solo i comuni e le scuole di diretta competenza, rende note le contraddizioni del provvedimento rispetto a norme sovraordinate poiché crea disparità di trattamento tra fasce di età degli studenti, lede i principi della Costituzione, penalizza circa 2.5 milioni di studenti in Italia frequentanti le scuole secondarie di secondo grado e si ripercuote sul livello di funzionalità e di qualità, nonché sul livello di sicurezza delle scuole,

impegna il Governo:

   a mettere in atto tutti i provvedimenti necessari a rimuovere il blocco totale degli investimenti programmati e in corso sull'edilizia scolastica, e di rimuovere gli impedimenti all'attuazione dei progetti pluriennali finanziati da Regioni e Stato, con la finalità di superare gli ostacoli che interrompono la gestione delle attività e dei flussi di spesa, ostacoli lesivi per la sicurezza degli studenti;
   a consentire alle province gli interventi di manutenzione ordinari e straordinari anche sugli immobili sedi d'istruzione secondaria di secondo grado, attraverso l'esclusione, fin dal corrente anno 2014, di tali categorie di opere dai vincoli del patto di stabilità interno, così come oggi previsto dal decreto n. 66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89 2014 per gli interventi sugli edifici scolastici del primo ciclo di studi.
(7-00440) «Vezzali».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    in attuazione della delega legislativa conferita dell'articolo 1 della legge n. 183 del 2010 (cosiddetto Collegato lavoro), con il decreto legislativo n. 67 del 2011 è stata introdotta una disciplina normativa relativa al pensionamento dei soggetti che hanno svolto) attività lavorative usuranti;
    il decreto legislativo n. 67 del 2011 era volto, in particolare, a consentire ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psico-fisico, di maturare il diritto al trattamento pensionistico con un anticipo di 3 anni;
    per quanto riguarda la platea dei soggetti beneficiari, il decreto dispone che possano usufruire del pensionamento anticipato quattro diverse categorie di soggetti, ossia:
     a) i lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti (di cui all'articolo 2 del decreto ministeriale del 19 maggio 1999);
     b) i lavoratori subordinati notturni (come definiti dal decreto legislativo n. 66 del 2003);
     c) i lavoratori addetti alla cosiddetta «linea catena» che, nell'ambito di un processo produttivo in serie, svolgano lavori caratterizzati dalla ripetizione costante dello stesso ciclo lavorativo su parti staccate di un prodotto finale;
     d) i conducenti di veicoli pesanti adibiti a servizi pubblici di trasporto di persone;
    le condizioni per l'accesso al beneficio pensionistico sono che le attività usuranti vengano svolte al momento dell'accesso al pensionamento e che siano state svolte per una certa durata nel corso della carriera lavorativa (secondo il testo originario del decreto legislativo, nella fase transitoria, ossia fino al 2017, per un minimo di 7 anni negli ultimi 10 anni di attività lavorativa; a regime, ossia dal 2018, per un arco di tempo almeno pari alla metà dell'intera vita lavorativa);
    specifiche norme concernono gli obblighi dei datori di lavoro in ordine alla produzione della documentazione volta a dimostrare il possesso dei requisiti richiesti per l'accesso al beneficio pensionistico;
    una apposita clausola di salvaguardia è volta a garantire il rispetto dei limiti di spesa fissati, prevedendo il differimento della decorrenza dei trattamenti (con criteri di priorità basati sulla data di maturazione dei requisiti) qualora emergano scostamenti tra il numero delle domande presentate e la copertura finanziaria a disposizione;
    l'articolo 24, comma 17, del decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetta riforma Fornero) è intervenuto sul decreto legislativo n. 67 del 2011, modificando le condizioni di accesso al pensionamento anticipato, con l'effetto di ridurre notevolmente la portata dei benefici previdenziali in precedenza previsti, recando, così, un grave pregiudizio per i suindicati lavoratori;
    in particolare, la cosiddetta riforma Fornero ha previsto:
     la limitazione agli anni 2008-2011 (anziché 2008-2012) del periodo transitorio;
     per quanto concerne la disciplina a regime (che decorre dal 1o gennaio 2012, e non più dal 1o gennaio 2013), la previsione che il pensionamento avvenga secondo il sistema delle «quote» previste dalla Tabella B di cui all'Allegato 1 della legge n. 247 del 2007 (ferma restando, comunque, la possibilità di pensionamento anticipato secondo i nuovi criteri previsti dallo stesso decreto-legge n. 201 del 2011) e non più con il riconoscimento dell'anticipo di 3 anni;
     per quanto concerne, specificamente, i lavoratori turnisti che hanno prestato lavoro notturno, la disciplina previgente (sulla riduzione massima dell'età anagrafica di uno o due anni, rispettivamente per i lavoratori che abbiano svolto turni da 64 a 71 giorni all'anno, ovvero da 72 a 78 giorni all'anno) viene limitata al periodo 2009-2011; a regime, ossia dal 1o gennaio 2012, per questi lavoratori il pensionamento avviene secondo il sistema delle «quote» previste dalla Tabella B di cui all'Allegato 1 della legge 247 del 2007 (incrementate di due anni e due unità per i lavoratori che abbiano svolto turni notturni da 64 a 71 giorni all'anno, e di un anno ed una unità per i lavoratori che abbiano svolto turni da 72 a 78 giorni all'anno);
    dai dati disponibili emerge che i lavoratori i quali hanno fin qui effettivamente avuto accesso ai benefici sono relativamente pochi;
    le risorse stanziate per l'attuazione della normativa, allocate nel capitolo n.4534 del bilancio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, risultano ampiamente inutilizzate;
    l'inattuazione della normativa si traduce in una grave quanto ingiustificata penalizzazione per tutti quei lavoratori che hanno maturato l'aspettativa di accedere al sistema previdenziale con specifici benefici;
    nell'agenda di Governo non vi è spazio alcuno per affrontare e risolvere le problematiche emarginate le quali, all'opposto, meritano una doverosa ed urgente, quanto definitiva, risoluzione,

impegna il Governo:

   a porre in essere, in tempi brevi, tutte le misure necessarie per garantire l'effettiva attuazione della normativa in materia di benefici previdenziali a favore dei soggetti impegnati in attività lavorative usuranti, assicurando che tutte le risorse finanziarie fin qui stanziate vengano effettivamente utilizzate per tale finalità;
   ad assumere iniziative per estendere la normativa citata ad ulteriori categorie di lavoratori impegnati in attività ad alto stress psico-fisico, con particolare riferimento al lavoro manuale nel settore dell'edilizia.
(7-00439) «Tripiedi, Cominardi, Ciprini, Chimienti, Alberti, Rizzetto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   FICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione, «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità»;
   l'articolo 97 della Costituzione, in seguito alle modifiche introdotte con la legge costituzionale n. 1 del 2012, recante introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale, stabilisce che «le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio e la sostenibilità del debito pubblico»;
   il decreto-legge n. 101 del 2013, convertito dalla legge n. 125 del 2013, ha ampliato la platea dei soggetti tenuti, ai sensi dell'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, a comunicare, a decorrere dal 1o gennaio 2014, alla Presidenza del Consiglio dei ministri — Dipartimento della funzione pubblica, nonché al Ministero dell'economia e delle finanze, «il costo annuo del personale comunque utilizzato»;
   nel novero dei soggetti tenuti alla suddetta comunicazione rientra anche la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, gravata, rispetto agli altri, dall'onere ulteriore di comunicare alla Presidenza del Consiglio i dati disaggregati, ovverosia quelli relativi «ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo»;
   la legge attribuisce al Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri — Dipartimento della funzione pubblica, il compito di definire le procedure per la raccolta dei dati relativi al costo del personale delle pubbliche amministrazioni e degli altri soggetti indicati dalla legge, tuttavia nulla prevede in ordine alla pubblicità dei dati raccolti;
   con nota 3823 del 12 febbraio 2014, il Ministero dell'economia e delle finanze ha richiesto all'Autorità garante della concorrenza e del mercato «un parere in merito alle modalità di raccolta dei dati relativi al trattamento economico delle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento alla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo», al fine di valutare le implicazioni concorrenziali della raccolta dei dati in forma disaggregata;
   nella risposta al Ministero, l'Autorità conferma che il citato decreto-legge è finalizzato esclusivamente «al rilevamento dei costi del lavoro pubblico e non prevede di per sé alcuna forma di pubblicità dei dati raccolti», ben potendo però il Ministero dell'economia e delle finanze definire una procedura di divulgazione dei dati «in forma anonima e aggregata per classi omogenee, con particolare riferimento alle categorie di collaboratori di maggior rilievo per la competitività dell'azienda»;
   l'articolo 18, comma 7, del parere sul contratto di servizio reso dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi recepisce ed amplia il contenuto delle disposizioni legislative richiamate, laddove stabilisce che «la Rai pubblica, nel rispetto delle disposizioni dell'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 31 marzo 2001, n. 165, come modificato dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, di conversione con modificazioni del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, le informazioni sui curricula e i compensi lordi percepiti dai dirigenti, dai collaboratori e dai consulenti –:
   quale sia lo stato di attuazione della disposizione di cui all'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, come modificato dal decreto-legge n. 101 del 2013, a decorrere dal 1o gennaio 2014;
   in particolare, se ed in quale forma siano state definite le procedure per la raccolta dei dati relativi al costo del personale delle pubbliche amministrazioni e degli altri soggetti indicati dalla legge;
   se, nelle more della stipula del nuovo contratto di servizio fra la RAI ed il Ministero dello sviluppo economico, si intenda procedere in ogni caso alla divulgazione dei dati relativi al personale della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, come previsto dal parere sul contratto di servizio recentemente reso dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. (4-05694)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 24 aprile 1963 riconosce due figure: console di carriera e console onorario;
   il console di carriera è cittadino dello Stato inviante o rappresentato e si limita ad occuparsi di compiti che gli vengono affidati nella sede in cui egli viene inviato;
   il console onorario invece è un cittadino prescelto nello Stato in cui esso risiede e oltre a poter svolgere la propria funzione consolare, può anche dedicarsi alla propria attività di carattere professionale e imprenditoriale;
   spesso il console onorario, per svolgere l'attività consolare, si avvale di collaboratori che sono dipendenti della sua attività professionale o imprenditoriale;
   il consolato onorario non possiede partita iva, né percepisce compensi o redditi svolgendo l'attività interamente a proprie spese;
   i consolati onorari in Italia sono molto attivi nelle attività diplomatiche, di integrazione sociale e culturale, oltre che nel disbrigo di pratiche commerciali, amministrative, giudiziarie e di assistenza ai cittadini e studenti stranieri nel nostro Paese;
   i consoli onorari, per espletare le proprie funzioni, hanno un ufficio dedicato alle attività del consolato;
   i consoli onorari vorrebbero assumere personale per espletare le diverse funzioni di cui sopra, ma la legge italiana in materia di lavoro non consente loro di farlo;
   la legge italiana consente soltanto alle persone fisiche, come il console onorario, che non possiedono partita iva, di assumere personale con le seguenti qualifiche dama di compagnia, badante, autista, maggiordomo, amministratrice del patrimonio personale, ma non la qualifica di segretario/addetto stampa, giornalista, impiegato, funzionario, mediatore culturale del console onorario –:
   se e quali iniziative di competenza intendano assumere per rivedere la normativa in materia di lavoro e trovare così una soluzione sia per i consoli onorari sia per i lavoratori. (4-05686)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   i vertici dell'ENI – nell'ambito di una rivalutazione complessiva delle attività di raffinazione del petrolio – sono intenzionati ad approvare un nuovo piano industriale che prevede la sospensione delle attività di quattro delle cinque raffinerie presenti in Italia, e la chiusura definitiva di quella di Gela;
   tra le ipotesi prese in considerazione negli incontri tra la società e le rappresentanze sindacali ci sarebbe anche quella di trasformare l'impianto localizzato a Gela in un deposito costiero dismettendo le attività produttive;
   a questo proposito, nella giornata del 9 luglio il Presidente della Regione Siciliana ha incontrato il viceministro allo sviluppo economico De Vincenti che, al termine dell'incontro ha dichiarato che per quanto riguardo gli impianti di Gela, l'ENI ha dato indicazioni importanti sull'intenzione di investire, e in relazione a ciò il Ministero dello sviluppo economico ha invitato la società a presentare quanto prima un vero piano industriale;
   da notizie di stampa si apprende che il Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, abbia convocato un tavolo con i vertici dell'ENI, le rappresentanze sindacali e le istituzioni regionali e locali per avviare un confronto sui contenuti del nuovo progetto industriale della Società e delle sue rilevanti ricadute economiche, occupazionali e sociali;
   nonostante ciò, Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil hanno proclamato uno sciopero generale in tutto il gruppo ENI per il prossimo 29 luglio, al quale si aggiungerà uno sciopero di due ore, ancora da definire a livello locale, di tutti gli impianti di raffinazione sul territorio nazionale;
   in relazione al nuovo piano di investimento dell'ENI, che possono avere gravi effetti sul piano occupazionale specialmente nella Regione Siciliana, il presidente della Regione Crocetta ha dichiarato di essere pronto a qualsiasi ipotesi pur di salvare i posti di lavoro dicendosi pronto a ridiscutere un piano di investimenti per un eventuale riconversione industriale dell'impianto;
   lo stesso Presidente Crocetta ha dichiarato che «ENI non può pensare di abbandonare la Sicilia, ci sono anche dei danni ambientali da compensare» aggiungendo che «non possiamo pensare che l'ENI faccia da padrone e sprema il territorio, lo distrugga, lo annienti e poi se ne vada. Vogliamo che si riprendano gli investimenti e si potenzino quelli legati alla tutela dell'ambiente»;
   la raffineria dell'ENI si trova, infatti, in un'area che è stata dichiarata «ad elevato rischio di crisi ambientale» nel 1990, e all'interno del Sito di interesse nazionale (di seguito SIN) di Gela perimetrato con decreto del Ministero dell'ambiente del 10 gennaio 2000;
   con riferimento ai gravi danni all'integrità dell'ambiente e alla salute della popolazione provocati dalle attività produttive localizzate in Sicilia, nel 1999 è stato dichiarato lo stato di emergenza in materia di bonifica e di risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati che riguardava anche non soltanto i siti di interesse regionale e/o comunale ma anche siti di interesse nazionale, tra i quali è compreso quello di Gela;
   con l'Ordinanza del capo dipartimento protezione civile n. 44/2013 – una volta scaduta la dichiarazione dello stato di emergenza prorogata dal 1999 fino al 31 dicembre 2012 – sono state disciplinate le modalità attraverso le quali la Regione Siciliana è subentrata al Commissario delegato nel coordinamento delle attività necessarie al completamento degli interventi da eseguirsi in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati;
   con l'interrogazione scritta n. 4-02858 – ancora pendente – sono state chieste notizie in merito allo stato di avanzamento delle operazione di bonifica del SIN di Gela e in particolare una approfondita verifica delle attività in essere che devono essere condotte al fine di porre fine al perdurante stato di emergenza ambientale che, come dimostrano numerosi studi epidemiologici, espone la popolazione di Gela a rischi di morbosità e di mortalità superiori alla media;
   con successiva interrogazione n. 4-04949 – anch'essa ancora pendente – è stato chiesto al Ministero della salute quali iniziative intendesse intraprendere per fronteggiare la drammatica situazione ambientale ed epidemiologica, che è stata documentata dai dati sulla mortalità e sull'ospedalizzazione riferiti all'area di Gela, contenuti nello studio del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie del Ministero della salute coordinato dall'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (IFC-CNR), pubblicato sulla rivista «Epidemiologia & Prevenzione» (supplemento 1 numero 3/4, anno 38 maggio-agosto 2014);
   con riferimento allo stato di attuazione degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica del sito di interesse nazionale di Gela, dal verbale della conferenze di servizi istruttorie del 30 maggio 2014, emerge che – a fronte di una disponibilità finanziaria pari a euro 20.511.294,42, il commissario delegato, al 31 dicembre 2012, aveva impegnato 16.564.949,42 euro ed effettuato spese soltanto per 924.513,88 euro;
   dal verbale della conferenza di servizi istruttoria del 24 giugno di quest'anno, emerge che a fronte della stessa entità delle somme impegnate, alla data del 31 dicembre 2013, le spese effettuate ammontavano a 1.308.108,73 e che, in merito a ciò, è stato chiesto alla regione siciliana di trasmettere, entro trenta giorni (a partire dallo scorso 24 giugno), un riscontro in merito alle motivazioni che hanno determinato un livello di spesa così basso;
   dagli stessi verbali risulta che, per quanto riguarda le aree di proprietà della raffineria di Gela – che ha aderito al progetto multisocietario per la bonifica delle acque di falda – sono ancora in corso le verifiche per accertare l'efficienza idraulica e l'efficacia idrochimica del sistema di contenimento della contaminazione delle acque sotterranee previsto dal Progetto definitivo di bonifica delle acque di falda dello stabilimento Multisocietario di Gela, approvato nel 2004;
   a questo riguardo, la Conferenza di Servizi istruttoria – nella seduta del 30 maggio 2014 – in relazione al documento «Studio dell'idrogeologia e idrochimica sotterranea dello stabilimento Multisocietario» presentato dalla Raffineria di Gela per conto delle aziende coinsediate, ha sottolineato che «qualora si accerti che il sistema di barrieramento idraulico non garantisce il completo isolamento delle acque di falda contaminate e non impedisce la diffusione della contaminazione come progettualmente previsto nell'Analisi di rischio si determinerà una situazione di rischio sanitario e ambientale, nonché di danno ambientale casualmente riconducibile e imputabile ai comportamenti omissivi della società e della quale la stessa sarà responsabile»;
   dal verbale della conferenza di servizi istruttoria del 24 giugno 2014 per quanto riguarda la bonifica dei suoli, emerge che la stessa Raffineria di Gela non ha ancora provveduto a presentare un progetto definitivo dei suoli delle aree di sua proprietà, ma che ha presentato successivi stralci, e che, anche rispetto all'area di particolare criticità – come l'Area Vasca A zona 2 – la bonifica è stata autorizzata nel 2004, ma l'intervento non è stato ancora realizzato;
   dallo stesso verbale del 24 giugno, risulta anche che a seguito dei numerosi incidenti e sversamenti avvenuti nelle aree di competenza della Enimed – non tutte all'interno del perimetro del SIN di Gela – l'ASL di Caltanissetta, il 28 maggio scorso, ha chiesto di estendere il perimetro del SIN a tutte le «Aree Pozzo» di estrazione del greggio con le relative «Condotte» e il «Centro di Raccolta Olii», di competenza dell'Enimed, e che a questo proposito la stessa Conferenza di Servizi istruttoria ha chiesto alla regione siciliana di perfezionare l'istruttoria, di cui all'articolo 36-bis, comma 3, della legge n. 134 del 2012, per la ridefinizione del perimetro del Sito di «Gela» tenendo conto degli elementi forniti dall'ASL di Caltanissetta;
   la salute dei cittadini siciliani e l'integrità dell'ambiente sono tuttora gravemente minacciate dal permanere della situazione, in relazione alla quale è stato dichiarato e prorogato, per più di un decennio, lo stato di emergenza, e dipendono, in larghissima parte, dal buon esito degli interventi ancora da eseguire per la messa in sicurezza, la caratterizzazione, la bonifica delle aree comprese nel SIN di Gela, all'interno del quale si trovano gli impianti dell'ENI;
   gli interventi finalizzati alla bonifica delle acque di falda e dei suoli di proprietà delle società del Gruppo ENI – dei quali deve essere accertata l'efficienza e l'efficacia ovvero dei quali deve essere ancora approvato ed eseguito il progetto – sono ancora molto numerosi e complessi;
   le responsabilità degli enti territoriali – prima tra tutti della regione siciliana – rispetto allo stato di attuazione degli interventi di risanamento ambientale della piana di Gela sono molto rilevanti e significative, ed è, pertanto, necessario vigilare sull'ottemperanza alle richieste espresse della Conferenza di servizi istruttoria nelle sedute del 30 maggio e del 24 giugno scorsi –:
   se, e di quali informazioni, dispongano in merito alla vertenza tra l'ENI e le rappresentanze sindacali degli addetti degli impianti ENI a Gela e in particolare dei contenuti degli incontri, in corso, tra il Ministero dello sviluppo economico e la stessa ENI, e di quello tra il Presidente della regione siciliana e il viceministro allo sviluppo economico;
   se, e in che modo, intendano rappresentare – all'interno del confronto in corso tra l'ENI, il Ministero dello sviluppo economico, le rappresentanze sindacali e gli enti territoriali coinvolti – la necessità di gestire e porre fine alla gravissima situazione ambientale nella piana di Gela, nonché quella di quantificare in modo congruo il danno ambientale e alla salute dei cittadini inferto dall'attività di raffinazione e le risorse economiche necessarie a porvi concretamente e sollecitamente rimedio;
   se – a partire da una ricognizione delle misure di prevenzione da adottare e degli interventi di messa in sicurezza d'emergenza, di caratterizzazione e di bonifica approvati o per i quali è in corso l'istruttoria – intendano individuare un pacchetto di misure e di interventi da esaminare approfonditamente durante gli incontri tra il Governo, le parti sociali e le istituzioni territoriali, al fine di assicurarne, inderogabilmente, una tempestiva esecuzione qualunque siano i contenuti del programma di investimenti del gruppo ENI e dell'eventuale accordo tra le parti sociali e gli enti territoriali;
   se, e in che modo, intendano procedere nel caso in cui la regione siciliana non fornisca, entro il termine fissato, i chiarimenti richiesti dalla conferenza di servizi istruttoria del 24 giugno 2014, in merito alla modesta entità delle spese effettuate sino al 31 dicembre del 2013, e al grande divario tra quest'ultime e le risorse che la stessa regione ha dichiarato di aver impegnato;
   se, e in che modo, intendano procedere se la regione siciliana non presenti, ai sensi dell'articolo 36-bis della legge n. 134 del 2012, la richiesta di ridefinizione del perimetro del SIN di Gela, al fine di ricomprendere all'interno di quest'ultimo le aree di competenza della Enimed, e non trasmetta i risultati delle attività di verifica relative agli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino delle stesse aree della Enimed;
   con quali modalità e con quali tempi sarà possibile verificare l'efficienza idraulica e l'efficacia idrochimica del sistema di barrieramento a protezione delle acque sotterranee – previsto dal progetto di bonifica del 2004 – e dunque accertare ovvero escludere il verificarsi di una situazione di rischio sanitario e ambientale, nonché di danno ambientale riconducibile alle scelte delle aziende del cosiddetto Multisocietario.
(2-00643) «Mannino, Busto, Daga, De Rosa, Micillo, Segoni, Terzoni, Zolezzi, Cancelleri, Currò, Di Benedetto, D'Uva, Di Vita, Grillo, Lorefice, Lupo, Marzana, Nuti, Rizzo, Villarosa».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, SEGONI, MICILLO e DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   al chilometro 113 200 della SS4 – Salaria si ergono 13 piloni in cemento realizzati allo scopo di collegare attraverso uno svincolo, il nuovo tratto stradale della Salaria con la strada che porta al comune di Micigliano in provincia di Rieti. L'attuale opera per imponenza e caratteristiche copre completamente alla vista l'Abbazia benedettina di SS. Quirico e Giulitta, del X secolo, distante circa trenta metri dal nuovo impianto infrastrutturale;
   il medievalista Tersilio Leggio, assessore alla cultura della Provincia di Rieti, scriveva quanto segue sull'Abbazia dei Ss. Quirico e Giulitta di Micigliano (Rieti) nell'opuscolo «Il Museo diffuso», realizzato da Italia Nostra: «(...) nel territorio del comune di Micigliano, l'Abbazia altomedievale sorge nei pressi del greto del fiume, ed oggi dopo un lungo periodo di grave degrado, è in via di completa ristrutturazione. Le prime notizie del monastero risalgono alla seconda metà del secolo X, ma la sua fondazione è databile ai primi decenni del secolo, subito dopo le incursioni saracene che avevano incendiato e saccheggiato le chiese dell'area. (...) La perdita pressoché totale del cartario monastico lascia nell'ombra l'attività dei fondatori benedettini dell'Abbazia ma sicuramente questa ebbe un ruolo di grande rilievo nell'organizzazione territoriale dell'alta valle del Velino. Ai benedettini, infatti, va attribuita l'introduzione dei terrazzamenti che si dispiegano ancor oggi lungo le pendici diboscate dei monti della vallata»;
   la zona per la sua rilevanza è sottoposta ad una serie di vincoli di carattere ambientale paesaggistico; l'Abbazia e il cantiere stradale sono a ridosso di due grandi aree ZPS-SIC (ZPS IT6020005 Monti Reatini ZPS SIC IT 6020013 Gole del Velino), distanti tra di loro poche centinaia di metri, e di una grande area ritenuta importante per l'avifauna. In essa si adagia l'Abbazia sottoposta a vincolo diretto e diffuso ai sensi del decreto legislativo 42/2004.
   considerata l'importanza e singolarità dell'abbazia per le sue valenze monumentali e paesaggistiche, il comune di Micigliano negli anni del Giubileo si prodiga e ottiene i fondi per il restauro ed il rilancio turistico del monumento religioso; ma, con la legge obiettivo, si predispone un piano di adeguamento della piattaforma stradale proprio all'altezza dell'abbazia. L'opera ribattezzata «l'otto volante», per le estreme dimensioni, sproporzionate rispetto alle reali necessità del traffico locale, rientra nel più vasto progetto di riqualificazione di un tratto di 3 chilometri della Salaria funzionale alla rettifica dell'attuale impianto stradale. Il ministero delle infrastrutture e trasporti autorizzava i lavori che la società Anas appaltava all'impresa SAFAB s.p.a. in data 13 novembre 2007;
   transitandovi, sono ben visibili i tredici piloni di cemento armato che si alzano al cielo a 30 metri dall'Abbazia di SS. Quirico e Giulitta, costata 3,5 miliardi di vecchie lire nel Giubileo 2000, per costruire, in zona protetta, uno svincolo a tre uscite per il comune a più bassa densità abitativa della provincia (140 abitanti);
   così si legge nell'appello indirizzato il 1o luglio 2010 da Riccardo M. Menotti, geologo e ricercatore del CNR di Firenze, al Presidente della Repubblica «quale garante della costituzione che all'articolo 9 tutela il paesaggio ed il patrimonio storico ed artistico della nazione» al quale chiede «la sospensione dei lavori, la revisione del progetto ed il ripristino dello stato dei luoghi»;
   contemporaneamente alla realizzazione delle opere di cantieristica e adeguamento stradale, si concludeva la verifica dell'interesse culturale, ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo 42 del 2004, per l'apposizione del vincolo diretto all'Abbazia di Ss Quirico e Giulitta. Il Ministero dei beni culturali dava altresì avvio al procedimento per l'apposizione del vincolo paesaggistico, ai sensi dell'articolo 46 del decreto legislativo 42 del 2004, conclusosi poi con l'adozione del provvedimento di vincolo, datato 23 luglio 2010, con il quale veniva vietata ogni modifica dello stato dei luoghi;
   nonostante il ricorso presentato al T.A.R. Lazio dalla Soc. Anas Spa contro il Ministero dei beni e le attività culturali (rg.n. 11137 del 2010), il 5 maggio 2010 viene emesso da parte della soprintendenza ai beni architettonici del Lazio nei confronti della SAFAB spa l'ordine di sospensione dei lavori e ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi degli «articoli 28, 160, 169 del decreto legislativo n. 42 del 2004, indirizzata unitamente al Nucleo Tutela del Patrimonio culturale dei Carabinieri di Roma e Antrodoco»;
   emerge da un'interrogazione a risposta scritta, presentata il 18 gennaio 2011 dall'On. Elisabetta Zamparutti (4-10436), che «l'amministrazione comunale di Micigliano (Rieti – sindaco Franco Nasponi nda.) il 7 aprile 2009 ed il 30 novembre 2009 aveva ricevuto il provvedimento di tutela ai sensi dell'articolo 46 del decreto legislativo n. 42 del 2004 per cui «era tenuta da quella data ad attenersi», «evidenzia che l'ente territoriale non ha ottemperato a quanto disposto con il primo avvio» e pertanto invitava «il Comando Carabinieri, quale postazione locale d'intervenire per rendere esecutiva la sospensione dei lavori e nel contempo si ordina il ripristino dello stato dei luoghi. S'inoltra al Comando Carabinieri Nucleo Tutela Patrimonio copia degli atti citati per l'attivazione di una procedura di controllo sulla grave inadempienza dell'amministrazione comunale»;
   nella Risoluzione in Commissione 7-00675 presentata il primo agosto 2011 l'Onorevole Zamparutti segnala che «la ditta beneficiata dell'appalto, Safab spa, è stata oggetto di un'ostativa antimafia dalla prefettura di Roma nel novembre 2009 ed il ricorso proposto avverso la citata informativa antimafia e i conseguenti recessi dai contratti è stato respinto dal T.A.R. Lazio – sezione 1-ter, con sentenza n. 3458 del 24 marzo 2011, depositata il 19 aprile 2011; recentemente, il 19 luglio 2011, Consiglio di Stato, sezione III, NR. 4360, ha respinto, come già il TAR, il ricorso della SAFAB, nuova società derivante dalla precedente dopo che tre amministratori e un dipendente, vennero estromessi perché arrestati, avverso le informative antimafia emanate nei suoi confronti dalla prefettura di Roma (n. 220406, 220617 e 22654 del 23 novembre 2010)»;
   in un convegno del 5 maggio 2009 cui aderiscono Legambiente, Fai, WWF, Cai, Mountain Wilderness, ed Anisa (associazione nazionale insegnanti storia dell'arte), Italia Nostra propone un'alternativa per limitare i danni: un rettifilo con due semplici stop «a raso», il tutto con uno studio su popolazione, traffico e residenti realizzato dall'ingegnere Aldo Riggio docente di tecnica urbanistica a contratto dell'Università Tor Vergata di Roma, con l'intervento di Carlo Cecere ordinario d'ingegneria alla Sapienza di Roma;
   da quanto stabilito dal TAR Puglia (Bari, Sez. III – 28 maggio 2009, n. 1274), la valutazione dell'incidenza sull'ambiente e sul paesaggio di ogni opera di urbanizzazione primaria non può essere limitata esclusivamente all'area su cui ricade l'intervento ma deve essere necessariamente riferita al complessivo contesto ambientale (ivi compreso lo skyline) entro cui l'opera si inserisce;
   risulta ad oggi che non sia stata avviata alcuna opera di demolizione per il ripristino ambientale e paesaggistico. Le uniche operazioni di rilievo riguardano la copertura dei piloni in cemento con inerti ottenuti dallo scavo di una galleria distante pochi chilometri dallo svincolo in realizzazione. Tale operazione non può essere ritenuta congrua, visto che il riempimento della sopraelevazione condurrebbe, necessariamente, alla totale chiusura visiva dell'antica Abbazia –:
   se, alla luce delle numerose criticità riportate in premessa, considerato che il sito è stato dichiarato di importante interesse culturale attraverso l'apposizione di un vincolo di tutela diretta e indiretta, i Ministri interrogati, per le proprie competenze, non ritengano opportuno, sentiti gli enti coinvolti, accertare l'ottemperanza alle prescrizioni di tutela indiretta, al fine di evitare che sia compromessa l'integrità del bene e «ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro» (articolo 45 del decreto legislativo n. 42 del 2004), ad avviare il procedimento per la reintegrazione del bene monumentale nel sito tutelato paesaggisticamente ed il ripristino dei luoghi (articolo 160 del decreto legislativo n. 42 del 2004) al fine di attenuare la gravità del danno e ricondurre l'assetto dell'area alla situazione originaria, compatibile con la tutela e la valorizzazione dell'Abbazia. (5-03339)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 aprile 2012, è stato pubblicato il bando di gara per la costruzione del nuovo depuratore a servizio degli abitati di Manduria, Sava e delle marine di Manduria, i cui reflui hanno come recapito finale il mare Ionio (DCR n. 230/2009) tramite condotta sottomarina allocata nell'area costiera SIC di Specchiarica, di particolare pregio ambientale ed elevato valore turistico;
   in data 28 ottobre 2013 è stato pubblicato l'avviso di aggiudicazione all'impresa Giovanni Putignano e Figli s.r.l. di Noci (BA), relativo all'appalto integrato per i lavori di costruzione del suddetto impianto di depurazione;
   in data 12 giugno 2012, la giunta regionale della Puglia ha effettuato una delibera di indirizzo per l'affinamento dei reflui per il riuso in agricoltura, riconoscendo le necessità irrigue del territorio manduriano a rischio di desertificazione ma mantenendo il recapito finale in acque costiere;
   l'intera popolazione di Manduria ed Avetrana si contrappone alla decisione regionale di mantenere lo scarico in condotta sottomarina nelle acque di Specchiarica, avvalendosi di sostanziali motivazioni tecniche e scientifiche prodotte nella relazione dei professori ordinari Del Prete (idrogeologia) e Caliandro (agronomia), la cui soluzione progettuale prevede l'eliminazione della condotta sottomarina tramite il riuso in agricoltura, lo stoccaggio invernale ed il recapito finale dei reflui depurati tramite pozzi sperdenti negli strati superficiali del sottosuolo;
   la presenza di calcareniti fessurate permeabili permette la filtrazione dei reflui con possibilità di smaltire notevoli portate utili a fronteggiare i processi di intrusione salina in atto per arricchimento con acque dolci depurate che raggiungono le sottostanti acque salmastre, attualmente non utilizzabili in agricoltura;
   il comune ha manifestato la disponibilità di mettere a disposizione cento ettari per la realizzazione di pozzi di dimensioni drenanti sufficienti ad assorbire anche i picchi di portata dei fuori servizio;
   la predetta soluzione è prevista nell'articolo 103 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, che, in materia di scarichi sul suolo, pur nel principio generale di divieto degli scarichi di acque reflue sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo, prevede delle eccezioni allo stesso nei casi «di eccessiva onerosità a fronte di benefici ambientali conseguibili»;
   l'abrogazione dello scarico in condotta sottomarina eliminerebbe l'immissione di reflui ricchi di nutritivi, scongiurando l'alterazione ambientale connessa alla proliferazione abnorme di alghe con conseguenti processi di eutrofizzazione e danni incalcolabili all'ecosistema marino ed agli interessi turistici delle marine di Manduria, Maruggio ed Avetrana;
   la proposta dei pozzi sperdenti antintrusione salina e del riutilizzo dei reflui in agricoltura è stata condivisa dal servizio tutela delle acque, (rif. riscontro nota prot. A00-075/3586 del 2 agosto 2012), ma, senza alcuna motivazione tecnica e scientifica, è stata esclusa dalla regione Puglia ogni eventuale nuova proposta di modifica del recapito finale alternativo al mare con condotta, laddove non già oggetto di valutazione nell'ambito del procedimento VIA (lettera al Sindaco di Manduria, prot. n. A00 021 7140 del 21 ottobre 2013) –:
   nell'ambito delle proprie competenze con riferimento alla problematica esposta in premessa, quali opportuni provvedimenti di competenza intendano assumere a tutela dell'ecosistema marino dell'area costiera SIC di Specchiarica e delle marine di Manduria e di tutta la zona. (4-05692)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO, BALDASSARRE, BECHIS e RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 13 giugno 2014, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 137 del 16 giugno 2014, sono stati prorogati al 7 luglio i termini di effettuazione dei versamenti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi presentate dai soggetti che esercitano attività economiche per le quali sono elaborati gli studi di settore;
   la proroga in questione, non richiesta né dai contribuenti né dai professionisti, fa slittare tutti i termini collegati con adempimenti in scadenza fino al 20 agosto;
   tale iniziativa, peraltro, ha inevitabilmente sovrapposto le attività degli studi professionali dei professionisti che sono chiamati ad elaborare il modello UNICO 2014 e il Modello 770/2014 in scadenza il 31 luglio;
   la dichiarazione dei sostituti di imposta contiene rilevanti dati fiscali, previdenziali e assicurativi che non possono essere predisposti nei pochi giorni a disposizione;
   i ristretti tempi, dovuti a cause non imputabili ai professionisti, rischia di pregiudicare anche la bontà dei dati trasmessi penalizzando soprattutto le imprese virtuose che, con grande difficoltà, intendono assolvere agli obblighi fiscali imposti dalle leggi italiane;
   peraltro, la scadenza del 31 luglio rappresenta anche un momento di verifica del corretto versamento delle ritenute al fine di evitare eventuali conseguenze anche di natura penale. A questo si aggiunga che le ultime novità introdotte al modello 770 necessitano di chiarimenti e di approfondimenti;
   inoltre, la semplice consultazione sul sito dell'Agenzia delle entrate del file contenente le scadenze del mese di luglio 2014 (formato da ben 141 pagine) rende l'idea di quelli che sono gli adempimenti ravvicinati nel tempo a carico dei contribuenti e degli intermediari telematici;
   a seguito del crearsi di questa incresciosa situazione, sono pervenute da tutto il territorio molteplici segnalazioni di disagio organizzativo che meritano di essere prese in considerazione dall'amministrazione finanziaria, soprattutto in questa fase di grande difficoltà e cambiamento –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgentemente di assumere iniziative al fine di prorogare la scadenza del modello 770/2014 e del conseguente ravvedimento operoso, almeno fino al 30 settembre;
   se non intenda istituire un tavolo tecnico avente ad oggetto la definizione di un calendario di scadenze fiscali rispettoso delle esigenze sia dell'amministrazione finanziaria, dei contribuenti e dei professionisti che con il loro operato garantiscono allo Stato il regolare incasso di imposte, tasse e contributi;
   alla luce dei disagi che si creano ogni anno se intenda assumere iniziative per prevedere in via definitiva, apportando le dovute migliorie, attraverso audizioni dei soggetti interessati dalla procedura, l'elaborazione mensile della dichiarazione dei redditi come era stato previsto già nel decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, all'articolo 44-bis, abrogato poi successivamente dall'articolo n. 51 del decreto legge n. 69 del 2013 (cosiddetto decreto del fare). (5-03337)


   RUBINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel novembre del 2013 veniva portata alla ribalta delle cronache (vedi ad esempio il Gazzettino del 5 novembre 2013) la vicenda di un giovane ex imprenditore agricolo trevigiano, Gian Giacomo Comirato, il quale si è visto recapitare da Equitalia una cartella esattoriale per un importo di oltre tre milioni di euro;
   nel 2001 il predetto aveva avviato a Porcia (Pordenone) un'attività agricola di allevamento di 20.000 galline finalizzata alla vendita di uova ad alcune grandi aziende e a piccoli artigiani (pasticceri, pastifici, negozi e altro); l'attività cessava nel 2005, per lo sfratto dall'immobile da parte del proprietario, cessazione che il Comirato comunicava formalmente all'Agenzia delle entrate con dichiarazione in data 5 agosto 2006, nella quale indicava altresì la sua nuova residenze anagrafica/domicilio fiscale in Conegliano presso l'abitazione della madre;
   nel febbraio del 2006 egli subiva il sequestro della documentazione contabile della sua impresa nell'ambito di un'indagine penale condotta dalla Guardia di finanza su altre aziende, con una delle quali aveva avuto rapporti di fornitura;
   la posizione del Comirato veniva in seguito archiviata, in quanto estraneo ai fatti dell'inchiesta penale, e la documentazione già sequestrata gli veniva restituita dalla Guardia di finanza, che però nell'invitarlo a ritirarla gli sottoponeva in data 7 maggio 2007 un processo verbale da sottoscrivere, avendo nel frattempo avviato nei suoi confronti un accertamento ed effettuato nel 2007, a due anni dalla chiusura dell'attività per sfratto dall'immobile di Porcia, un sopralluogo presso il capannone già sede dell'azienda trovandolo vuoto e deducendone che l'ex imprenditore non avesse mai allevato galline, ma svolto attività commerciale, rivedendo quindi i suoi bilanci con il regime fiscale ordinario;
   il Comirato, in buona fede e senza alcuna assistenza legale, firmava il verbale di verifica, pensando di chiudere la vicenda, nel quale confermava il nuovo domicilio/residenza presso l'abitazione della madre a Conegliano (Treviso);
   invece con suo grande sconcerto il signor Comirato dopo circa un anno si vedeva recapitare, in data 6 giugno 2008, nella propria residenza/domicilio in Conegliano, una cartella esattoriale di Equitalia per l'importo di 2,4 milioni di euro, pensando ad un enorme equivoco od errore, non potendo l'attività da lui svolta dal 2001 al 2005 con solo 20.000 galline generare una pretesa fiscale così ingente;
   veniva invece a scoprire che la cartella esattoriale era stata preceduta dall'invio di cinque avvisi di accertamento, notificati in data 18 ottobre 2007 con il rito degli irreperibili presso la sede dell'immobile rilasciato nel 2005 (in quanto domicilio fiscale indicato dal commercialista nell'ultima dichiarazione dei redditi), di cui il Comirato non ha però mai avuto conoscenza (e quindi potuto impugnare), avendo ignorato l'ufficio procedente sia la formale dichiarazione di cessazione dell'attività da lui effettuata all'Agenzia delle entrate in data 5 agosto 2006 (in cui era indicata altresì la nuova residenza anagrafica/domicilio fiscale in Conegliano presso l'abitazione della madre), sia la analoga dichiarazione resa formalmente nel processo verbale del 7 maggio 2007 della Guardia di finanza;
   il signor Comirato, assistito dal suo commercialista, presentava quindi ricorso alla commissione tributaria provinciale di Pordenone per vizio della notifica degli avvisi di accertamento, ricorso che veniva però dichiarato inammissibile e respinto dal collegio giudicante con sentenza in data 27 gennaio 2009;
   il Comirato non riusciva ad impugnare la decisione perché, a seguito dell'improvviso decesso del proprio commercialista, intervenuto dopo il deposito della sentenza e pendente il termine di sessanta giorni per l'impugnazione, si è trovato nell'oggettiva impossibilità di nominare un nuovo consulente, a causa degli acconti richiesti dai professionisti interpellati, per somme superiori alle sue possibilità economiche in quanto calcolate in percentuale all'importo preteso nella cartella esattoriale;
   attesa la decorrenza dei termini senza impugnazione della decisione di primo grado, la situazione debitoria dell'ex imprenditore agricolo trevigiano è pertanto divenuta definitiva e l'asserito debito fiscale verso lo Stato, comprensivo di sanzioni ed interessi, è arrivato all'atto del pignoramento del luglio 2014 alla cifra di 3.594.328,87 euro e sta ulteriormente crescendo;
   la causa di un tale abnorme importo andrebbe ravvisata nell'errore in cui sarebbe incorsa la Guardia di finanza che, ritenendo l'attività dell'imprenditore non agricola ma commerciale (sul presupposto che non avrebbe allevato galline ma solo commercializzato uova), gli ha contestato l'indebito utilizzo della contabilità semplificata in luogo di quella ordinaria e, applicando ai bilanci dell'azienda del Comirato il regime ordinario per l'impresa commerciale, gli ha contestato l'omissione dei versamenti (e delle relative dichiarazioni) IVA, Irpef ed Irap per gli anni 2001, 2002, 2003, 2004 e 2005, asserendo l'esistenza di una evasione fiscale in realtà mai operata;
   della vicenda del signor Comirato si è interessata anche la Federcontribuenti che, tramite il proprio legale, depositava in data 2 dicembre 2013 una memoria all'Agenzia delle entrate competente chiedendo un provvedimento di riforma/annullamento in autotutela e, successivamente, in data 24 marzo 2014 una ulteriore memoria sintetica, su richiesta della direttrice dell'Agenzia delle entrate di Pordenone, per motivare la sussistenza nel caso di specie dei requisiti del piccolo imprenditore agricolo; nessun riscontro è tuttavia sinora pervenuto al contribuente;
   del caso si è occupato anche il programma televisivo Le Iene che, nella trasmissione del 26 febbraio 2014, ha messo in onda un filmato in cui un funzionario dell'Agenzia delle entrate di Pordenone avrebbe ammesso l'errore dell'Ufficio, consistito nel non aver considerato il reddito dell'imprenditore de quo come originato da attività agricola, ma da attività commerciale;
   il signor Comirato sta subendo le gravose conseguenze di un ingiusto provvedimento divenuto senza sua colpa definitivo, e, sposato e padre di un bambino, si trova dal luglio del 2013 costretto a pagare un debito erariale inesistente attraverso il pignoramento a vita (e oltre) del quinto del suo modesto stipendio di operaio –:
   se non ritenga di chiedere all'Agenzia delle entrate chiarimenti in merito ai presupposti in fatto e in diritto in base ai quali è stata stabilita la somma complessivamente pretesa in sede esecutiva dal signor Gian Giacomo Comirato e, ove fossero individuati eventuali errori da parte dell'Ufficio procedente, quali interventi la stessa intenda operare in sede di autotutela per porre rimedio con urgenza alla ingiusta situazione in cui versa il contribuente e la sua famiglia. (5-03341)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSTANTINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio è stato istituito a decorrere dall'anno finanziario 2012 nello stato di previsione del Ministero, per far confluire su di esso le risorse previste a legislazione vigente (dall'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1 della legge 11 febbraio 1992, n. 147, e di cui all'articolo 33, comma 27, della legge 12 novembre 2011, n. 183), da assegnare in misura proporzionale al fabbisogno finanziario delle regioni, in attesa che venga adottato il decreto che definisca i LEP;
   tutte le università in Italia soffrono del fatto che il supporto per il diritto allo studio abbia subito una drastica riduzione: il numero delle borse di studio è diminuito e molti candidati che ne avrebbero avuto diritto sono rimasti senza copertura;
   gli studenti idonei a ricevere una borsa di studio lo scorso anno sono stati 175.993, mentre i borsisti che alla fine l'hanno ottenuta solo 141.310. Il tutto in una situazione nella quale negli ultimi tre anni, anche per le difficoltà delle famiglie a sostenere un figlio all'università, le immatricolazioni hanno subito un drastico calo: 30 mila iscrizioni in meno;
   ci sono inoltre fattori evidenti che penalizzano le università del Sud. Per esempio al Nord il 100 per cento degli studenti idonei ottiene la borsa di studio, mentre al Sud solo il 25 per cento perché i fondi regionali e statali non sono sufficienti a fronteggiare un numero molto più elevato di aventi diritto;
   il decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104 convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, all'articolo 2, comma 2-quater, ha stabilito che il 3 per cento delle somme di denaro confiscate alle mafie deve essere destinato al fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio;
   la predetta disposizione è stata inserita nel decreto-legge con un emendamento a firma dell'interrogante al fine di mettere a disposizione risorse aggiuntive per gli studenti meritevoli, in una situazione in cui le risorse sono insufficienti;
   tuttavia, a distanza di quasi un anno dall'entrata in vigore della legge di conversione, non risulta che nel fondo integrativo sia confluito il 3 per cento delle somme confiscate alle mafie, con successiva riattribuzione alle regioni;
   per conoscere a quale punto sia l'iter burocratico-amministrativo per l'assegnazione delle risorse e il perché del ritardo accumulato, la sottoscritta ha rivolto numerose richieste, per posta elettronica e telefonicamente, al ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e al Ministero dell'economia e delle finanze, ma nessuno dei dirigenti, funzionari, portavoce e uffici contattati è stato in grado di fornire la benché minima informazione, dando quello che all'interrogante appare un pessimo esempio del funzionamento della pubblica amministrazione e del suo operato;
   semplicemente, vi è stato ad avviso dell'interrogante un rimbalzo da un funzionario all'altro e da un ufficio all'altro;
   con il presente atto di sindacato ispettivo si spera di poter ottenere dai Ministri interrogati tutte le informazioni necessarie e la garanzia che le risorse saranno trasferite alle regioni e quindi ai borsisti in un tempo molto ragionevole –:
   per quali ragioni non sia stato assegnato ancora al fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio il 3 per cento delle somme di denaro confiscate alle mafie, a chi sia attribuibile il ritardo e in che tempi si procederà all'effettiva ripartizione tra le regioni. (4-05689)


   PRODANI e CRIPPA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il GSE — gestore dei servizi energetici — è il secondo operatore nazionale per energia intermediata ed è l'ente preposto alla promozione, incentivazione e sviluppo del fotovoltaico e delle altre fonti rinnovabili nel nostro Paese;
   controllato dal Ministero dell'economia e delle finanze, il GSE tra le altre funzioni previste eroga gli incentivi stabiliti con il conto energia a favore della produzione da fonte fotovoltaica;
   secondo quanto riportato dal quotidiano La Gazzetta di Reggio del 22 luglio 2014, la Guardia di finanza di Reggio Emilia ha compiuto alcuni arresti — tra i quali spicca quello di Igor Akhmerov titolare dell'azienda svizzera Avelar Energy Ltd, riconducibile al gruppo russo Renova del magnate Viktor Vekselberg — nell'ambito di un'inchiesta della procura di Milano relativa a una presunta truffa ai danni dello Stato per circa 37 milioni di euro;
   secondo la ricostruzione della procura di Milano, l'indagine ha avuto inizio con accertamenti fiscali nei confronti della società reggiana Kerself s.p.a., che si interessa della realizzazione di impianti fotovoltaici, rilevata nel 2008 dalla Avelar Energy Ltd;
   quest'ultima, sottolineano gli inquirenti, controlla 16 aziende italiane proprietarie di impianti fotovoltaici presenti per lo più in Puglia e Basilicata che avrebbero beneficiato in modo fraudolento, tra la fine del 2010 e l'aprile del 2013, dei contributi di conto energia erogati dal GSE;
   i reati contestati sono quelli di associazione per delinquere finalizzata alla truffa e falso, visto che le società avrebbero violato numerose disposizioni vigenti per la realizzazione degli impianti fotovoltaici, ricorrendo a pannelli fabbricati in Cina muniti invece di certificazione originaria dell'Unione europea, comunicando il completamento degli impianti prima della loro entrata in servizio e ingannando anche la società di certificazione tedesca Tuv Intercert Gmbh;
   è inammissibile che si verifichino truffe del genere in un settore sensibile e di grande interesse come quello fotovoltaico, in grave crisi nell'ambito di una congiuntura economica sfavorevole che riguarda l'intero Paese ormai da alcuni anni –:
   quante risorse, sia in termini di personale che di costi economici, siano messe a disposizione da parte del GSE per lo svolgimento dei controlli;
   in che modo il GSE intenda agire per recuperare le somme eventualmente erogate in maniera indebita. (4-05691)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, BECHIS, FANTINATI, BUSINAROLO, AGOSTINELLI, MICILLO, CURRÒ e CASO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di questi giorni che l’ex giudice per le indagini preliminari e ora giudice dibattimentale del tribunale di Verona, dottoressa Monica Sarti, è stata nominata a presidente del tribunale del ministri che a breve dovrà decidere sul procedimento a carico dell'ex esponente del governo, il senatore Altero Matteoli;
   il nome del giudice, come da procedura, è stato estratto e adesso il collegio, presieduto dalla dottoressa M. Sarti e che vede come componenti la dottoressa Priscilla Valgimigli del riesame di Venezia ed il dottore Alessandro Girardi della sezione fallimentare di Venezia, avrà tre mesi per decidere se disporre nei confronti di Matteoli l'archiviazione oppure rinviare gli atti alla procura per poter chiedere al Parlamento l'autorizzazione a procedere con le indagini;
   il giudice dottoressa Sarti, comunque, non rappresenta l'unico incarico esterno registrato nell'ultimo periodo al tribunale di Verona: un altro giudice, appartenente alla sezione civile, il dottore Giovanni Campese è stato destinato, per due anni al ruolo di componente della commissione d'esame per il concorso in magistratura, lasciando quindi congelato il ruolo delle cause a lui assegnate, tutte rinviate a data da destinarsi;
   la nomina tribunale dei ministri comporterà per il giudice Sarti, per i tre mesi d'incarico, un continuo spostamento tra Venezia e Verona, nel cui tribunale sta comunque sinora continuando a prestare servizio trattando le cause iscritte al suo ruolo;
   sul punto, il presidente del tribunale di Verona dottore Gianfranco Gilardi, evidenzia che: «è indubbio che sia questo incarico, che quello del collega civilista alla Commissione d'esame vanno ad aggiungersi alla già preoccupante carenza d'organico che da tempo, ormai, affligge il Tribunale di Verona», il quale «si trova alle prese con una scopertura d'organico, per quanto riguarda i Giudici, pari al 25 per cento»;
   considerando sia l'area penale sia civile «mancano 11 magistrati su 41: a gennaio, ne erano stati assegnati a Verona sei di nuovi. Peccato che uno di questi, però, abbia appena fatto istanza di revoca, mentre due colleghe in servizio a Verona stiano entrando in maternità»;
   assommando questa, già di per sé, difficile situazione alle due recenti nomine al tribunale dei ministri e alla commissione d'esame, la carenza di giudici al tribunale di Verona appare ulteriormente aggravata;
   il presidente del tribunale di Verona dottore Gianfranco Gilardi lamenta che: «Non possiamo fare un programma di lavoro, che subito ci viene stravolto da defezioni e partenze» –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta;
   se ed in quali modi ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, al fine di assicurare il proprio impegno a rafforzare l'organico del tribunale di Verona (onde sopperire alla mancanza di giudici determinatasi anche dalle circostanze espresse più sopra);
   se e quali osservazioni, intenda far pervenire al CSM, organo d'autogoverno della magistratura, anche ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 195 del 1958, affinché sia reintegrato il numero di giudici necessario all'efficiente esercizio delle funzioni giurisdizionali nel tribunale di Verona. (5-03342)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCAGLIUSI, L'ABBATE, BUSINAROLO, CRISTIAN IANNUZZI, SILVIA GIORDANO, SPADONI, PARENTELA e SIBILIA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo la relazione sullo stato di attuazione della legge recante modifiche alla disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile, presentato al Presidente del Consiglio dei ministri il 16 dicembre 2013 dall'ex Ministro della giustizia e dall'ex Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al 31 dicembre 2010, i minorenni accolti temporaneamente presso i servizi residenziali familiari e socioeducativi e le famiglie affidatarie sono 29.309.
   secondo il dato presentato in occasione della Conferenza nazionale dell'infanzia e dell'adolescenza il 27 marzo 2014, sono 1900 i bambini e i ragazzi che vivono in famiglie affidatarie o in comunità, in attesa di essere adottati;
   solo uno su cinque di questi ospiti viene assegnato (con adozione o affido) dai tribunali alle oltre 10 mila famiglie che ne fanno richiesta;
   le stime più recenti parlano di oltre 1800 strutture distribuite da Nord a Sud. Con alcune regioni – Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Sicilia – che raggiungono numeri più consistenti (tra le 250 e le 300). Nonostante le casse (e i relativi finanziamenti) di molti Comuni siano al verde, le case-famiglia sono in continuo aumento;
   per le comunità la retta giornaliera può essere unica (52 per cento) o differenziata (48 per cento). Nel primo caso la media giornaliera nazionale si attesta intorno ai 79 euro, mentre nel caso di rette differenziate la forbice si attesta mediamente tra 71 euro e 99 euro;
   la retta agli istituti (sia religiosi sia laici) viene pagata dai comuni. Soldi pubblici, dunque, erogati fino a quando il bambino resta «in casa». Un giro d'affari che si aggira intorno a 1 miliardo di euro l'anno. Tanto ricevono le oltre 1800 case famiglia italiane per mantenere le loro «quote» di minori;
   in Italia, la legge 28 marzo 2001, n. 149, ha introdotto alcune modifiche alla disciplina dell'adozione che sottolineano il diritto del minore ad avere una famiglia, mentre evidenziano che «Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia». Per questo, lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, dovrebbero sostenere i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia;
   la legge n. 149/2001, nel pieno rispetto della Convenzione, ha previsto, tra l'altro, il superamento degli Istituti a partire dal 31 dicembre 2006;
   nelle ultime raccomandazioni rivolte all'Italia, il Comitato ONU sui diritti dell'infanzia invita prima di tutto ad adottare misure preventive, migliorando l'assistenza sociale e il sostegno alle famiglie «in modo da aiutarle ad adempiere il compito di crescere i bambini», adottare tutte le misure efficaci alternative all'istituzionalizzazione, come l'affidamento e l'affido in case famiglia e altri sistemi di assistenza familiare, e collochi i bambini in istituto solo come soluzione estrema; assicurare regolari ispezioni da parte di soggetti indipendenti; stabilire meccanismi efficaci per ricevere e inoltrare ricorsi da parte di bambini assistiti, monitorare i parametri di assistenza e stabilire revisioni periodiche e regolari dei collocamenti;
   il 15 febbraio 2013 è stato firmato dal capo del Dipartimento per la giustizia minorile, Caterina Chinnici, e dal direttore generale dei sistemi informativi automatizzati, Daniela Intravaia, ai sensi dell'articolo 40 della legge 28 maggio 2001 n. 149, il decreto dirigenziale che istituisce la banca dati relativa ai minori dichiarati adottabili, nonché ai coniugi aspiranti all'adozione nazionale ed internazionale;
   con successivo regolamento, adottato con decreto 24 febbraio 2004, n. 91 sono state emanate le norme di attuazione e di organizzazione della banca dati, compresi i dispositivi per la sicurezza e la riservatezza dei dati;
   il Ministero della giustizia sulla questione della banca dati mai messa in funzione — nonostante lo ordinasse la legge 149 fin dal lontano 2001 — ha ricevuto, il 1 ottobre 2012, una condanna del Tar del Lazio. Il ricorso era stato presentato dall'associazione Aibi, che prevalentemente si occupa di adozioni internazionali. La sentenza del Tar aveva ordinato al dipartimento di giustizia minorile di provvedere entro 90 giorni alla creazione di una griglia informatica con l'aggiornamento dei dati dei minori via dichiarati adottabili dai giudici per i minorenni;
   il 25 febbraio 2013 ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 47 il decreto 15 febbraio 2013 del Ministero della Giustizia che dichiara «correttamente funzionante» la tanto attesa Banca Dati delle adozioni. Eppure mai dai corridoi del ministero è uscita alcuna informazione sul contenuto di quella che il decreto chiama «applicazione informatica»;
   a distanza di oltre un anno la banca dati funzioni a macchia di leopardo: ad oggi non tutti i Tribunali per i Minorenni l'hanno resa operativa. Senza dimenticare un limite strutturale del sistema affido/adozione. Gli enti autorizzati non hanno la possibilità di incrociare i dati delle famiglie disponibili all'adozione, con i bambini effettivamente adottabili;
   l'accesso alle informazioni contenute nella banca dati e il rilascio di copie ed estratti è riservato ai magistrati dei tribunali per i minorenni e delle procure presso i tribunali per i minorenni cui sia attribuita la trattazione dello specifico procedimento di adozione nonché ai magistrati degli altri uffici della giurisdizione minorile autorizzati dal capo dell'ufficio. La consultazione è inoltre consentita al personale appartenente agli uffici della giurisdizione minorile, previa autorizzazione da parte del capo dell'ufficio, nonché agli interessati, con riferimento ai soli dati personali –:
   se il Governo possa dichiarare ufficialmente che la Banca dati nazionale è perfettamente funzionante e contiene i dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all'adozione a livello nazionale;
   se il Governo sia in grado di fornire dati aggiornati sul numero di giovani, tra neonati, bambini ed adolescenti, ospitati in strutture di accoglienza e delle coppie disponibili all'adozione, al 31 maggio 2014;
   quali iniziative il Governo stia adottando, secondo la legge 28 marzo, 2011, n. 149 per favorire il diritto del minore di avere una famiglia e per far sì che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non siano di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. (4-05693)


   GRILLO, MANTERO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO e CECCONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   numerose cronache di stampa hanno dato notizia dell'avvenuto arresto di due agenti appartenenti alla polizia di Stato, Franco Caputo, in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, e Cosimo Campagna, in servizio presso l'ispettorato generale della Camera dei deputati;
   da quanto appreso, gli agenti si sarebbero resi responsabili dei reati di accesso abusivo alle banche dati di competenza e di violazione del segreto istruttorio con un uso indebito delle informazioni, entrambi ipotesi di reato che, inutile sottolineare, coinvolgerebbero indirettamente l'istituzione parlamentare, quanto meno in termini di danno di immagine;
   altresì, preme evidenziare che le particolare gravità della loro incriminazione, comporterebbe danni soprattutto per quanto concerne la sicurezza nazionale –:
   di quali elementi disponga in merito alla vicenda, il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze e se non intenda adottare iniziative ispettive;
   a quali uffici erano stati assegnati i signori Caputo e Campagna, nonché quali fossero i servizi e le mansioni svolte dagli stessi, ed infine i nomi dei rispettivi dirigenti preposti dai quali i due agenti dipendevano. (4-05699)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS, BUSINAROLO, PARENTELA, CRISTIAN IANNUZZI, NICOLA BIANCHI e LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 126 del decreto legislativo n. 285 del 1992 al primo periodo del comma 8 sancisce che: «La validità della patente è confermata dal competente ufficio centrale del Dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici, che trasmette per posta al titolare della patente di guida un duplicato della patente medesima, con l'indicazione del nuovo termine di validità»;
   per dare attuazione a detta norma, sono stati emanati due decreti:
    1) decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 9 agosto 2013 recante: «Disciplina dei contenuti e delle procedure della comunicazione del rinnovo della patente» (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 231 del 2 ottobre 2013);
    2) decreto del Capo di Dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici del 15 novembre 2013 recante «Disposizioni procedurali attuative degli articoli 1, 2, e 3 del decreto del 9 agosto 2013, in materia di nuove procedure di comunicazione del rinnovo di validità della patente»;
   il decreto del capo di dipartimento sopra citato disciplina le procedure necessarie affinché i medici autorizzati, le strutture mediche competenti e le commissioni mediche locali, in sede di rinnovo di validità di una patente di guida, procedano alla trasmissione telematica della comunicazione dei contenuti del certificato medico, della foto e della firma del titolare della patente stessa, nonché alla stampa e consegna della ricevuta dell'avvenuta conferma di validità della patente di guida, ai sensi del decreto ministeriale sopra citato;
   i soggetti certificatori sopra richiamati per effettuare le procedure funzionali ai servizi per la patente di guida, devono accedere, previa credenziali ricevute dall'ufficio della motorizzazione territorialmente competente, al sistema informatico del dipartimento per i trasporti, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici, attraverso il sito web «Il Portale dell'Automobilista»;
   il soggetto che elabora le pratiche ricevute in via telematica è l'U.C.O. (Ufficio centrale operativo) del CED della Direzione generale per la motorizzazione – a cui va dato atto di aver snellito e velocizzato con le procedure sopra richiamate, i processi legati al rilascio/rinnovo della patente di guida – una volta acquisita la comunicazione dei contenuti del certificato medico, procede alla stampa del duplicato di patente, rinnovato nella validità, ed alla successiva spedizione postale dello stesso, presso l'indirizzo che il titolare avrà comunicato in sede di visita medica quale luogo di recapito;
   la circolare Protocollo n. 8326 del 9 aprile 2014 della «Direzione Generale per la Motorizzazione» del «Dipartimento per i trasporti, la navigazione e i sistemi informativi e statistici» avente ad oggetto «Nuova procedura di rinnovo di validità della patente di guida», integrando la circolare protocollo 4920 del 3 marzo 2013, sancisce al punto 7 dell'articolo 8 riguardante le «Modalità operative» che «Al fine di ridurre i disagi per l'utenza nel caso in cui, per motivi di natura tecnica, il soggetto autorizzato non possa connettersi o comunque completare la transazione con il sistema informatico della motorizzazione, si riporta di seguito la procedura di emergenza da adottare esclusivamente nei casi in cui la conferma di validità della patente non possa essere rinviata ad altra data. Tale procedura prevede che, successivamente alla visita medica che attesta la sussistenza dei requisiti di idoneità psicofisica, il soggetto accertatore possa rivolgersi all'operatore del call center di cui al punto 8.6, il quale eseguirà alcune delle verifiche di cui al punto 8.2 (prima fase) e, in caso di esito positivo, potrà fornire telefonicamente il numero di protocollo al richiedente, la cui data sarà, naturalmente, coincidente con quella in cui è stata effettuata la predetta visita medica. Il soggetto certificatore dovrà completare la transazione di rinnovo inderogabilmente entro tre giorni lavorativi dalla data di richiesta telefonica e quindi rilasciare all'utente la ricevuta di cui all'allegato 2 al decreto del capo di dipartimento. Dopo tale periodo la prenotazione non sarà più ritenuta valida»;
   al punto 8.6 sopra richiamato della medesima circolare si sancisce che: «Al fine di fornire un supporto efficace ai sanitari e agli operatori professionali nell'utilizzo della nuova procedura per la conferma di validità della patente, è stato potenziato il servizio del call center del CED della Motorizzazione» (...) «È stata inoltre attivata la casella di posta rinnovopatenti@mit.gov.it alla quale è possibile inoltrare richieste di assistenza»;
   presumibilmente, a detta dell'interrogante il lavoro di call center in caso di problemi di natura tecnica del portale web, potrebbe registrare un intasamento di chiamate in entrata;
   da fonti stampa pubblicate domenica 20 luglio 2014 si apprende che «nelle ultime 72 ore vi è stato un blackout nel portale della motorizzazione», i certificatori accreditati hanno riscontrato notevoli difficoltà, se non in alcuni casi l'impossibilità, a svolgere la procedura indicata con consequenziali ritardi nella consegna dei documenti ai cittadini;
   a detta dell'interrogante, l'informatizzazione dei processi amministrativi legati al rilascio dei documenti per i cittadini, deve esser incoraggiato sia per una questione di praticità, velocizzazione e miglioramento del servizio, sia per una notevole diminuzione dell'utilizzo della carta che comporta un risparmio in termini economici oltre a costituire un'ottima pratica per tutelare l'ambiente –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e possa descrivere cosa sia avvenuto nel periodo indicato;
   se gli operatori dei call center sopracitati, per espletare il proprio lavoro, accedano allo stesso portale al quale accedono i soggetti accreditati per l'invio della documentazione e in caso di malfunzionamento o indisponibilità del servizio o del portale web, come possono risolvere le procedure richieste;
   se il servizio di call center sia erogato direttamente dal Ministero e/o dai dipartimenti ad esso facenti parte, oppure sia esternalizzato ad altre aziende e quali sono i rapporti contrattuali lavorativi per gli operatori che ci lavorano;
   se il Ministro abbia previsto un miglioramento del servizio fornito dal CED, implementando personale e risorse al dipartimento che eroga il servizio;
   quali iniziative verranno prese per limitare maggiormente in futuro il ripetersi di tali avvenimenti. (5-03336)

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il lago di Bolsena, con i suoi 113,5 chilometri quadrati di superficie, è per dimensione il quinto lago in Italia, nonché il lago di origine vulcanica più grande d'Europa;
   il lago di Bolsena, situato interamente nel territorio della provincia di Viterbo, è circondato da molti comuni e va quindi ad interessare una popolazione di più di trentamila unità;
   l'ambiente naturale quasi completamente incontaminato che lo rende uno dei pochi grandi laghi italiani ad essere completamente balneabile, fa sì che il lago di Bolsena sia un'ambita meta turistica, specialmente da parte di molti turisti stranieri;
   le attività di pesca professionale e sportiva persistenti durante l'intero arco dell'anno, sommate alle attività turistiche che si manifestano durante il periodo estivo, fanno sì che le acque del lago siano costantemente solcate da natanti di varie dimensioni e natura, tanto da giustificare la presenza di presenza di tre porti ed ormeggi alla boa, rispettivamente nei comuni di Capodimonte, Marta e Bolsena per una capienza totale di circa 700 posti barca, per lunghezze fino a 10 metri;
   i soggetti operanti per il controllo delle acque del lago di Bolsena, muniti di mezzi nautici vari, ma che non ricoprono un ruolo fisso sul lago venendo spesso utilizzati per altri compiti quali i rispettivi corpi hanno competenza non potendo quindi garantire una presenza costante, sono nell'ordine:
    carabinieri: di base nel porto di Bolsena, sono operanti a mezzo di Motovedetta Classe 200 di circa metri 6,30 di lunghezza;
    guardia di finanza: di base nel porto di Capodimonte operanti a mezzo Motovedetta tipo V.A.I. di circa metri 6 di lunghezza;
    polizia provinciale: ormeggiati presso il porto di Marta e di base presso la città di Viterbo (25 chilometri di distanza con tempi di arrivo stimati in circa 30 minuti) operanti a mezzo unità semi cabinata di circa metri 6 di lunghezza con fuoribordo;
    vigili del fuoco: ormeggiati presso il porto di Capodimonte ma di base presso la città di Viterbo (25 chilometri di distanza con tempi di arrivo stimati in circa 30 minuti) operanti a mezzo unità a fondo piatto di circa metri 5 di lunghezza ed unità antincendio di circa metri 5 di lunghezza;
    protezione civile: ormeggiati presso il porto di Capodimonte ma di base presso la città di Viterbo (25 chilometri di distanza con tempi di arrivo stimati in circa 30 minuti) operanti a mezzo gommone di circa metri 5,30 di lunghezza;
   considerando la notevole estensione delle coste (43 chilometri) tale da equipararla ad una giurisdizione pari alle competenze di un comando di circondario marittimo delle capitanerie di porto, nonostante vi sia la presenza di vari soggetti che vi operano, non esiste un piano S.A.R. (search and rescue) né tantomeno un coordinamento tale da assicurare una presenza costante da parte delle varie istituzioni presenti sul lago;
   la mancata preventiva programmazione dei pattugliamenti tra i vari soggetti operanti sul lago, al fine di evitare stessi servizi aventi gli stessi orari, la mancata esistenza di un piano di pronto impiego in avvicendamento che copra le ore di massima presenza di pubblico soprattutto durante il periodo estivo e la mancata esistenza di un soggetto coordinante, potrebbero causare inefficienze nell'eventualità si venissero a creare casi di ricerca e soccorso;
   il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, «codice dell'ordinamento militare» all'articolo 134, comma 3, recita che «Il Corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera esercita ulteriori funzioni relativamente alle seguenti materie: [...] i) soccorso e polizia di sicurezza della navigazione nei laghi e nelle acque interne»;
   la convenzione di Londra del 1974 sulla sicurezza della navigazione (Solas 1974), ratificata dall'Italia con la legge n. 313 del 1980, prevede che ogni Stato deve assicurare un servizio di ricerca e soccorso in mare con mezzi specializzati, e la convenzione di Amburgo del ‘79 ratificata con legge n. 147 del 1989, ed attuata con il decreto del Presidente della Repubblica n. 662 del 1994, individua nel Ministero dei trasporti e della navigazione (ora infrastrutture e trasporti), l'autorità nazionale responsabile e nel comando generale del Corpo delle capitanerie di porto, l'organismo nazionale che deve assicurare il coordinamento dei servizi di soccorso marittimo ed i contatti con gli altri Stati –:
   se sia a conoscenza dei fatti in premessa, o meglio dell'assenza di un presidio permanente della guardia costiera sul lago, a giudizio dell'interrogante in aperta violazione con quanto riportato alla lettera «i», comma 3, articolo 134 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66;
   quali azioni intenda intraprendere, in ottemperanza alla normativa vigente, per dotare anche il lago di Bolsena di un presidio permanente della guardia costiera per assolvere ai compiti di salvataggio, ricerca e soccorso (S.A.R.), con mezzi adeguati e personale all'uopo addestrato. (4-05682)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO e CIMBRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come dichiarato dal sindaco di Milano Giuliano Pisapia nell'audizione presso il Comitato Schengen il 15 luglio 2014, il comune di Milano dal 18 ottobre 2013 al 13 luglio 2014 ha accolto nei propri centri oltre 14.000 profughi di nazionalità siriana, e in minor parte eritrea (di questi ultimi, 615 immigrati registrati);
   le Caritas della Lombardia, coinvolte nelle azioni di sostegno dei profughi, lamentano forti criticità nella gestione della situazione, a causa di forti resistenze di alcune istituzioni locali e soprattutto a causa di una mancata analisi e programmazione del fenomeno su scala nazionale, che facilita l'inserimento di realtà legate alla criminalità organizzata;
   il quartiere milanese di Porta Venezia, data la vicinanza alla stazione ferroviaria, è particolarmente esposto al flusso dei profughi ed è stato stimato che gli arrivi di cittadini eritrei e siriani potrebbe essere pari a circa 200 nuovi individui al giorno;
   tale fenomeno sta destando crescente preoccupazione, anche a causa dei disordini verificatisi nel quartiere, nonché per l'avvenuta organizzazione di ronde da parte di cittadini e residenti milanesi –:
   se e quali iniziative il Governo stia predisponendo al fine di procedere immediatamente alla identificazione dei profughi giunti a Milano, anche al fine di garantire il rispetto delle norme fondamentali in materia di diritto di asilo e di protezione umanitaria, nonché la sicurezza e la civile convivenza con i cittadini residenti. (5-03335)


   QUARTAPELLE PROCOPIO, CARROZZA, CIMBRO, FEDI, FITZGERALD NISSOLI e GARAVINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni 4, 5 e 6 luglio 2014 il comune di Bologna ha ospitato presso l'Arena Parco Nord il «Festival d'Eritrea», che ha visto il diretto e forte coinvolgimento del Governo eritreo e del «Fronte Popolare per la Democrazia e Giustizia» (PFDJ) nell'organizzazione, come affermato anche dall'ambasciatore d'Eritrea presso l'Italia Mr. Zemede Tekle;
   nel report dello special rapporteur delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Eritrea, Sheila B. Keetharuth, posto all'attenzione Consiglio per i diritti umani dell'ONU nel mese di maggio 2014, si sottolinea come il Governo eritreo, guidato dal Presidente Isaias Afewerki, già leader del partito PFDJ, non abbia posto alcun rimedio alle seguenti violazioni dei diritti umani individuate nel Paese: servizio nazionale indefinito; arresti e detenzioni arbitrarie; uccisioni extragiudiziarie; tortura; condizioni dei detenuti disumane; violazione della libertà di movimento, di espressione e di opinione, di assemblea, di associazione e di culto; violenza per motivi sessuali e di genere; violazioni dei diritti dei bambini;
   la drammatica vicenda di Lampedusa impone di ricordare l'imponente flusso migratorio proveniente dall'Eritrea e le difficoltà di fuga dal Paese, persino con gli esiti tragici qui ricordati;
   in virtù della cosiddetta «diaspora taxation», già condannata dai Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nella risoluzione 2023, i cittadini eritrei che riescono a fuggire all'estero sono comunque vincolati alla patria, poiché tenuti al versamento del 2 per cento del reddito guadagnato all'estero, spesso raccolto dalle autorità eritree mediante le rappresentanze diplomatiche, in potenziale violazione della convenzione di Vienna;
   sono state registrate tensioni tra gli oppositori e i sostenitori del Governo eritreo durante un corteo in via Stalingrado, a Bologna, con lancio di pietre e bastoni tra le due parti e l'investimento di un attivista di Eritrea Democratica all'ingresso del Festival;
   è giunta notizia dell'aggressione ai danni di due rifugiati eritrei appartenenti al coordinamento anti-Afewerki «Eritrea Democratica», nella notte tra il 3 e il 4 luglio 2014, da parte di un gruppo di otto persone riconducibili al gruppo filo-governativo, posto alla sicurezza del Festival –:
   quali iniziative il Governo ritenga opportuno adottare al fine di garantire un adeguato sostegno alla popolazione eritrea rifugiata presso il nostro Paese, e se e quali misure di sicurezza particolari intenda adottare al fine di garantire la loro incolumità. (5-03338)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella provincia di Barletta-Andria-Trani, e in particolare sulla piana del Castel del Monte, con la stagione estiva e come di consueto sono avvistati numerosi incendi che, anche quando sono di modesta entità, risultano difficili da domare e quindi potenzialmente molto pericolosi;
   in più di un'occasione, a causa del cumulo di sansa e segatura che si incendia, le fiamme di propagano lambendo le corsie stradali e andando così a creare gravi problemi di visibilità che mettono a rischio la sicurezza stradale;
   già nella passata legislatura, in più occasioni, l'interrogante ebbe modo di segnalare in corrispondenza della stagione estiva questo grave problema al Governo con le interrogazioni a risposta scritta n. 4-00522, n. 4-04346 e n. 4-17028;
   ad aumentare la preoccupazione è il fatto che, dopo la decisione in tal senso da parte del comando provinciale dei vigili del fuoco di Bari, la provincia Barletta-Andria-Trani è stata privata della presenza, pur inizialmente prevista, di una squadra aggiuntiva di assistenza contro gli incendi boschivi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se intenda assumere, per quanto di competenza, iniziative per garantire anche alla provincia di Barletta-Andria-Trani il presidio necessario per prevenire il fenomeno degli incendi durante la stagione estiva. (4-05685)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da qualche anno è operativa, all'interno del Corpo della polizia di Stato, una task force dedicata alla gestione delle pratiche immigratorie denominata U.R.I. unità rapido intervento, della quale fanno attualmente parte 9 agenti;
   negli ultimi mesi l'URI è stata distaccata in Sicilia, presso le questure di Ragusa e Siracusa, in particolare nel C.A.R.A. di Mineo e nei porti di Pozzallo e Augusta;
   risultano sempre più frequenti i casi di malattie infettive accertate tra i migranti;
   sono stati tra l'altro rilevati 66 casi di scabbia e 6 di Tbc tra i 1200 sbarcati dalla nave San Giorgio a fine maggio 2014;

a seguito della loro esposizione a questi agenti patogeni sono diversi i casi di agenti della polizia con ipotesi di positività di malattie infettive;
   da notizie apparse recentemente sulla stampa a seguito di una denuncia di AssoTutela, pare che gli agenti dell'URI non siano stati sottoposti ad alcun trattamento di prevenzione sanitaria e che siano mandati a svolgere le loro mansioni a diretto contatto con i migranti dotati unicamente di guanti di lattice e mascherine, tra l'altro prive di filtro, e privi di visiera;
   la direzione centrale di sanità del dipartimento della pubblica sicurezza, fin dal 2002 (circolare n. 850/A P1-2161) poi richiamata anche il 4 luglio 2014 (n. 556/A. 1/1/132/14), stabilisce che «il personale che partecipa direttamente alle attività di soccorso in mare dei migranti o che svolge attività e servizi complementari, quali fotosegnalamento, rilievi dattiloscopici, accompagnamento e scorta presso i centri di accoglienza, va sottoposto al test tubercolino»;
   alcuni agenti in servizio all'URI avrebbero sollecitato più volte, in ultimo anche nei giorni scorsi, un trattamento di profilassi;
   l'esposizione a malattie contagiose, quali tbc, scabbia, meningite, febbre emorragica e altro, è un'eventualità tutt'altro che teorica –:
   se il Governo sia in grado di confermare che il 21 luglio 2014 è stato finalmente comunicato agli agenti dell'URI che sarebbero stati sottoposti a un trattamento di profilassi;
   in caso affermativo, quale sia la ragione per la quale si è atteso così tanto a farlo, nonostante fossero stati accertati tra i migranti numerosi casi di malattie infettive;
   in caso negativo, se il Governo non ritenga opportuno procedere in tempi strettissimi a un corretto trattamento di prevenzione sanitaria e di vaccinazione al personale impiegato nell'URI;
   se il personale delle altre unità delle forze dell'ordine impegnate nella gestione dei flussi migratori sia stato o meno sottoposto a trattamenti sanitari preventivi;
   se corrisponda al vero, come rilevato da notizie on line, che il dipartimento centrale avrebbe intenzione di chiudere l'URI e in caso affermativo, per quali ragioni, visto che una simile unità svolge una funzione importante di rinforzo degli uffici immigrazione delle varie questure nello smaltimento delle pratiche giacenti. (4-05690)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, BALDASSARRE, RIZZETTO, CHIMIENTI e BECHIS. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo delle Capitanerie di porto – guardia costiera, è uno dei corpi tecnici della Marina militare e svolge, nei fatti, anche attività di polizia marittima. Tale attività, come è noto, va dal coordinamento della ricerca e soccorso come stabilito dalla convenzione di Amburgo, al contrasto all'immigrazione clandestina, alla sicurezza della navigazione, all'antiterrorismo nei porti mercantili, al controllo di tutta la filiera della pesca, all'ambiente, al concorso di traffico illegale di stupefacenti, al contrasto alle eco-mafie, abusivismi demaniali ed altro;
   il Corpo delle capitanerie di porto – guardia costiera dipende e ne risponde dal punto di vista giudiziario al dicastero delle infrastrutture e dei trasporti, ed è alle dipendenze funzionali dei Ministeri dell'interno, delle infrastrutture e dei trasporti, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dei beni e delle attività culturali e del turismo, della giustizia, delle politiche agricole alimentari e forestali e della difesa per il solo mantenimento delle liste della leva per una eventuale mobilitazione;
   fra le attività più gravose che il personale compie, vi è quella chiesta dalle prefetture nel concorrere al regolare svolgimento delle operazioni di sbarco dei migranti nei porti mercantili;
   dal 3 dicembre 2008, con decreto dirigenziale veniva autorizzato il personale del Corpo delle capitanerie di porto – guardia costiera all'uso di pettorine reflex con dicitura «guardia costiera», al fine di identificare chiaramente il personale nei servizi esterni e nella fattispecie delle operazioni di sbarco dei clandestini;
   le pettorine hanno funzione di riconoscimento indispensabili sia per la popolazione civile che per le collaboranti forze di polizia che si vedrebbero disorientate nel non riconoscere in modo immediato il personale del Corpo delle capitanerie di porto – guardia costiera;
   in data 11 giugno 2014, allo sbarco di migranti dalla nave Bergamini nel porto mercantile di Taranto, in concomitanza dello sbarco del Capo di Stato Maggiore della Marina, la presenza di personale del Corpo delle capitanerie di porto – guardia costiera di Taranto non è stata più identificabile con le pettorine che lo contraddistingue per un ordine di togliersele impartito, parrebbe, dal comandante del porto e «autorità marittima»;
   tale tesi è stata confermata in una delibera del consiglio intermedio di rappresentanza del comando generale del corpo delle capitanerie di porto, in data 16 giugno 2014, dove venivano riportati i fatti suddetti;
   da parte del personale interessato, tale allontanamento è stato percepito come voluto dalla Forza armata con l'intento di negare visibilità al personale del corpo delle capitanerie di porto – guardia costiera di Taranto, impedendone l'operato nonostante nei giorni precedenti si fosse distinto per professionalità e competenza;
   tale increscioso evento ha creato forte malumore tra il personale, sulla sua condizione morale e sulla sua professionalità, rischiando ad avviso degli interroganti di rappresentare un grave precedente di ingerenza delle funzioni del dicastero della difesa sulle funzioni del dicastero delle infrastrutture e dei trasporti dal quale il personale del Corpo delle capitanerie di porto – guardia costiera dipende e ne risponde dal punto di vista giudiziario  –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se i Ministri interrogati non ritengano che l'episodio accaduto sia da ritenersi grave e lesivo nei confronti del personale del corpo delle capitanerie di porto – guardia costiera di Taranto;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di chi e in base a quali motivazioni abbia impartito l'ordine di privare il personale del Corpo delle capitanerie di porto – guardia costiera di Taranto delle pettorine di riconoscimento nell'episodio sopra citato. (4-05700)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FABBRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in vista dell'inizio dell'anno scolastico 2014-2015 si stanno riproponendo in diversi comuni della regione Emilia Romagna, i soliti problemi connessi all'accesso al tempo pieno nelle scuole primarie;
   la rilevanza del numero degli esclusi ed il ripetersi ogni anno di livelli di richiesta così alti e generalizzati di tempo pieno dimostra come questo strumento sia un'esigenza ormai irrinunciabile per il nostro paese;
   in Emilia-Romagna le donne lavorano con percentuali alte e il tempo pieno ha rappresentato una conquista importante che ha consentito lo sviluppo, la ricchezza, la coesione sociale, alla quale si è arrivati dopo tante battaglie e che fa ormai parte integrante del modello organizzativo della società e dell'economia locale;
   nella scuola primaria di Budrio Fedora Servetti Donati e nella prima classe a tempo pieno della Scuola Primaria di Mezzolara sono stati esclusi ben 47 bambini;
   tale esclusione a parere dell'interrogante rappresenta la privazione di un diritto fondamentale per i bambini per la valenza formativa ed educativa del tempo pieno, ma anche un enorme disagio per i genitori lavoratori, madri e padri che potrebbero essere penalizzati sul lavoro, in un momento così delicato e critico dal punto di vista economico, sociale ed occupazionale che sta vivendo il nostro paese;
   a rischio sembrerebbe essere anche il mantenimento del tempo pieno nella seconda classe dell'anno 2014/2015 nella scuola di Mezzolara;
   le famiglie sono profondamente cambiate, molte sono ormai quelle monoparentali e la stessa società, inoltre, è profondamente cambiata con una rete familiare «ridotta» o distante; rispetto a qualche anno fa le giovani coppie non possono più contare su zii, nonni e altri parenti, spesso lontani oppure impossibilitati a fornire quel supporto pomeridiano ai bambini più piccoli;
   stante la crisi economica e occupazionale, il tempo pieno significa per quelle donne che lavorano non solo la possibilità di riuscire a conciliare i tempi di vita familiare con quelli del lavoro ma il presupposto stesso per la conservazione del posto di lavoro, bene che diventa primario e imprescindibile per le famiglie monoparentali;
   pertanto il venir meno di questo servizio implica che ancora una volta ad essere penalizzate e discriminate sono le donne che si trovano a dover optare tra lavoro e cura dei figli –:
   se non reputi tale esclusione una privazione di un diritto fondamentale per i bambini per la valenza formativa ed educativa del tempo pieno, nonché un sostegno necessario per i genitori lavoratori, in particolare per le madri, che resterebbero penalizzate nella vita lavorativa, economica e sociale e cosa intenda fare nel caso specifico suesposto. (5-03340)


   IORI, ZAMPA, VERINI, FARAONE e CARNEVALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i fatti recentemente accaduti presso il centro socio-riabilitativo per giovani disabili «Casa di Alice» di Grottammare, Ascoli Piceno, struttura che ospita minori autistici, con l'arresto di cinque operatori con l'accusa di maltrattamenti, hanno evidenziato la carenza di personale qualificato per la presa in carico, la cura e l'educazione dei minori in situazione di disabilità;
   i media hanno usato il termine «educatori» per indicare gli arrestati nonostante solamente uno di essi fosse in possesso dello specifico titolo;
   spesso si tratta invece di personale privo di apposita qualifica per svolgere la professione educativa, secondo quanto riferito anche dall'avvocato Donatella Di Berardino sulla base delle dichiarazioni fornite dal direttore dottor Colucci, responsabile della struttura;
   i comportamenti improntati a disumanità e incompetenza professionale non sono attribuibili ad educatori bensì a personale dequalificato che impropriamente è stato chiamato a svolgere un ruolo educativo;
   la figura dell'educatore professionale vive negli ultimi anni una situazione di profonda incertezza identitaria e professionale, sia per quanto riguarda le facoltà universitarie preposte nell'ambito della formazione, sia per quanto riguarda l'inserimento nel mondo del lavoro;
   la situazione normativa è, infatti, complessa e a volte contraddittoria tant’è che per quel che riguarda in particolare l'educatore professionale, soltanto con decreto legislativo n. 30 dicembre 1992, n. 502, è stata istituita la figura e il relativo profilo professionale stabilendo altresì che le università provvedessero alla formazione attraverso la facoltà di medicina e chirurgia in collegamento con le facoltà di psicologia, sociologia e scienze dell'educazione;
   in base al medesimo decreto sono stati attivati negli anni Novanta i corsi regionali per la formazione degli educatori professionali, progressivamente, poi, chiusi in concomitanza con l'apertura dei corsi di laurea per educatore nella facoltà di scienze della formazione;
   tale corso di laurea, inizialmente quadriennale, è stato riconvertito in laurea di 1° livello (prima in classe 18 poi in classe 19), a partire dall'anno accademico 2000/2001;
   nonostante l'anomalia della doppia formazione universitaria concernente la figura dell'educatore professionale (facoltà di medicina e facoltà di scienze della formazione) non sia stata ancora risolta, entrambi i corsi di laurea preparano oggi agli accessi ai servizi socio-educativi e socio-sanitari che comprendono in particolare i servizi per la disabilità;
   al fine di evitare il verificarsi di ulteriori simili situazioni occorre che le strutture educative siano sottoposte ad un costante monitoraggio sulla qualità delle attività svolte e sulle qualifiche del personale preposto alle attività educative che, per affrontare adeguatamente le delicate e difficili situazioni dei minori autistici, devono essere in possesso di un titolo che ne attesti la preparazione professionale sul piano tecnico ed etico –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione sopraesposta sulle violenze ai ragazzi ospiti della struttura «Casa di Alice»;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per rendere obbligatorio il possesso del titolo di educatore per svolgere il lavoro educativo nell'ambito socio-educativo e socio-sanitario;
   se non ritenga, altresì, necessario procedere al riconoscimento della preparazione professionale degli educatori in possesso della laurea di scienze dell'educazione conseguita nelle facoltà di scienze della formazione come titolo qualificante per il lavoro nelle strutture per persone affette da disabilità;
   se, infine, non si ritenga necessario, assumere ogni iniziativa di competenza per incrementare le attività di controllo e vigilanza nei confronti delle strutture socio-educative, con particolare riferimento a quelle che ospitano ragazzi con disabilità. (5-03343)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRUNO BOSSIO, MAGORNO, COVELLO, CENSORE, STUMPO, D'ATTORRE, OLIVERIO, BRUNO, BATTAGLIA e AIELLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 28 marzo 2014 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è stato sottoscritto un accordo interministeriale con le organizzazioni sindacali in relazione alla vertenza dei cosiddetti lavoratori EX LSU scuola;
   in questo accordo veniva garantito a questi lavoratori la continuità occupazionale e reddituale, con lo stanziamento da parte del Governo di 450 milioni di euro per le attività di manutenzione e di decoro di oltre 4500 edifici scolastici su tutto il territorio nazionale;
   tale accordo interveniva a seguito della concessione della CIG in deroga, conclusasi il 20 luglio 2014;
   nel suddetto accordo, inoltre, si demandava al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca l'individuazione con procedure certe degli istituti scolastici capofila per l'acquisto di nuovi servizi di pulizia e manutenzione a decorrere dal 1o luglio 2014 per un importo complessivo di 150 milioni di euro per l'anno 2014 e di 300 milioni per l'anno successivo ed i primi mesi del 2016 e si impegnava il Ministero del lavoro e delle politiche sociali all'attivazione di percorsi di formazione e di riqualificazione professionale;
   in buona sostanza con l'accordo sottoscritto il Governo ha inteso, giustamente, non solo garantire la continuità lavorativa e reddituale di questi lavoratori ma anche un loro utilizzo produttivo e la possibilità di crescita professionale;
   in questi mesi la CONSIP ha provveduto all'aggiudicazione degli appalti per garantire la continuità dei servizi di pulizia e manutenzione, fatta eccezione per le regioni Sicilia e Campania dove si è chiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri di procedere con apposito decreto legge;
   a partire dal 22 luglio 2014 solo una parte di questi lavoratori ha ripreso la propria attività lavorativa negli istituti scolastici interessati dal provvedimento perché ancora non tutti i dirigenti scolastici hanno sottoscritto i contratti di servizio con l'azienda appaltatrice;
   gli uffici scolastici regionali, a tal fine, erano stati individuati come i soggetti incaricati a sensibilizzare e sollecitare i dirigenti scolastici al fine di velocizzare le procedure di sottoscrizione dei suddetti contratti con l'azienda appaltatrice;
   a tutt'oggi sono ancora molti i dirigenti scolastici che non hanno sottoscritto i contratti con l'azienda appaltatrice;
   nel contempo si sono immediatamente manifestati alcuni vistosi problemi di organizzazione del lavoro prontamente denunciati dalle organizzazioni sindacali;
   in particolare si rileva come l'azienda appaltatrice abbia deciso l'impiego dei lavoratori divisi in squadre di 9-11 elementi su istituti scolastici anche molto distanti dai comuni di residenza (in alcuni casi fino a 100, chilometri per la sola andata e privi di collegamento con i mezzi pubblici) scaricando interamente su di essi il peso delle spese di trasporto quantificate, in alcuni casi, attorno ai 10-15 euro al giorno;
   nell'accordo del 28 marzo 2014 tra Governo e parti sociali sulla vertenza dei lavoratori di pulizia ex LSU scuola, era stato stabilito che l'onere finanziario per le spese di trasporto fosse a carico solo di quei lavoratori impegnati in istituti scolastici allocati a 20 chilometri dal confine del proprio comune di residenza, oltre i quali i costi relativi dovevano essere coperti dall'azienda appaltatrice;
   la scelta di questa irrazionale organizzazione del lavoro si deve all'azienda appaltatrice ai fini, evidenti, di massimizzare i profitti;
   tali scelte organizzative rappresentano un peso davvero eccessivo per lavoratori che, è bene ribadirlo, percepiscono un salario di appena 800 euro mensili in molti casi unica fonte di reddito familiare –:
   quali iniziative il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca intenda assumere al fine di velocizzare le procedure di sottoscrizione dei contratti con l'azienda appaltatrice da parte dei dirigenti scolastici;
   quali iniziative il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intenda assumere al fine di impedire che i costi dell'organizzazione del lavoro da parte dell'azienda appaltatrice vengano fatti ricadere esclusivamente sui lavoratori;
   quali iniziative il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intenda assumere al fine di garantire l'effettiva attuazione dell'accordo nella parte che riguarda l'impegno sottoscritto per la loro formazione professionale ed il loro utilizzo produttivo. (5-03333)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TRIPIEDI, L'ABBATE, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, BALDASSARRE, RIZZETTO e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sono state pubblicate nel bollettino ufficiale della regione Puglia n. 24 del 20 febbraio 2014 n. 5 determinazioni del dirigente dell'ufficio politiche attive e della sicurezza e qualità delle condizioni di lavoro per la presa in carico delle istruttorie da parte dell'INPS delle istanze di mobilità in deroga – anno 2013;
   per le istanze di autorizzazione ai trattamenti di mobilità in deroga relative alla regione Puglia, in assenza di risorse e di continuità con le autorizzazioni relative al 2013, è stato stabilito che le nuove risorse assegnate alle regioni per l'erogazione degli ammortizzatori sociali in deroga per l'anno 2014 congiuntamente ai residui per il 2013, dovranno essere prioritariamente destinate alla copertura del secondo trimestre del 2013;
   è stato altresì stabilito che le domande di cassa integrazione e mobilità in deroga non saranno in nessun caso istruite, autorizzate e liquidate, in assenza di ulteriori idonei stanziamenti da parte del Governo;
   a parere degli interroganti è assolutamente necessario che il Governo provveda nell'immediato ad adottare le iniziative necessarie finalizzate al finanziamento dei fondi utili a garantire l'accesso ai benefici in favore di tutti gli aventi diritto, tanto nella regione Puglia, quanto su tutto il territorio nazionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative intenda adottare nell'immediato, al fine di addivenire al finanziamento della cassa integrazione in deroga e della mobilità in deroga. (4-05683)


   RUOCCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la Covip è l'autorità amministrativa indipendente istituita nel 1993 con il decreto legislativo n. 124 del 21 aprile 1993 per vigilare sul buon funzionamento del sistema dei fondi pensione, a tutela degli aderenti e dei loro risparmi destinati a previdenza complementare. Le sue competenze sono state aumentate con il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 che ha attribuito alla Commissione anche compiti di controllo sugli investimenti finanziari e sul patrimonio delle Casse professionali private e privatizzate;
   la funzione che è chiamata a svolgere la Commissione è essenzialmente quella di garantire ed assicurare la trasparenza e la correttezza nella gestione e nell'amministrazione dei fondi pensione; in particolare, essa è tenuta a vigilare sulla corretta gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale e contabile dei fondi pensione e sull'adeguatezza del loro assetto organizzativo e ad assicurare il rispetto dei principi di trasparenza nei rapporti tra i fondi pensione ed i propri aderenti;
   in base alla «Carta delle attività», redatta sulla scorta della legge delega n. 243 del 2004, la Covip «verifica le linee di indirizzo della gestione e vigila sulla corrispondenza delle convenzioni per la gestione delle risorse ai criteri dettati dalla normativa; vigila sull'attuazione delle disposizioni normative e, in generale, sull'attuazione dei principi di trasparenza nei rapporti con gli aderenti, nonché sulle modalità di pubblicità; esercita il controllo sulla gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale, contabile delle forme pensionistiche complementari, anche mediante ispezioni»;
   annualmente la COVIP presenta al Ministro del lavoro e delle politiche sociali una relazione sull'andamento del settore della previdenza complementare, sull'attività svolta e sugli indirizzi e le linee programmatiche che intende seguire; la relazione viene presentata in sede pubblica;
   questi compiti vanno però a sovrapporsi in maniera quasi totale a quelli della Banca Centrale e dell'Ivass (ex Isvap) che a loro volta vigilano sulle assicurazioni, sui vecchi fondi pensioni e sugli istituti di credito;
   nel 2012 il Governo Monti tentò di sopprimere la Commissione di vigilanza sui fondi pensione per incorporarla nel nuovo istituto Irvap, che avrebbe anche accolto le funzioni dell'Isvap (Istituto di vigilanza sulle imprese di assicurazione). Il progetto era incorporato nel decreto sulla spending review, approvato da Senato e Camera nella prima settimana di agosto, sul quale fra l'altro il Governo aveva posto la fiducia. Lo scopo era proprio quello di fondere i due istituti in modo da abbassare i costi a carico dello Stato. Ma la proposta decollò con l'approvazione di un maxiemendamento che salvò dai tagli la Covip, eliminando però l'Isvap, le cui funzioni sono passate al nuovo Ivass, controllato dalla Banca d'Italia;
   all'articolo 22 del decreto legge 24 giugno 2014 n. 90, «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari» si è previsto un accorpamento della Cosip ad altre autorità indipendenti ma non si parla né di tagli né di risparmi;
   secondo un'inchiesta del quotidiano «Il Tempo», pubblicata il 22 luglio 2014, la Covip farebbe risparmiare allo Stato cifre non trascurabili. Si legge difatti che «Eppure i risparmi da un suo accorpamento non sarebbero del tutto trascurabili. Soprattutto alla luce della lotta agli sprechi nel settore pubblico che sta conducendo Matteo Renzi. L'Authority ha infatti un organico di 70 dipendenti, a quali si aggiungono una decina di persone assunte con contratto interinale. Ma quello che pesa sul bilancio è soprattutto un consistente gruppo dirigente: il presidente, Rino Tarelli, sindacalista della Cisl, ha uno stipendio di 162.683,92 euro lordi mentre per i due commissari la retribuzione annua è fissata in 138.410,45 euro. E da dove arrivano i soldi per farla funzionare ? Una piccola parte è a carico dello Stato mentre la fetta più consistente dei finanziamenti proviene dal contributo che ogni anno versano gli stessi fondi pensionistici. Quindi ancora una volta i soldi dei contribuenti»;
   l'ente ha speso da poco tre milioni di euro per ristrutturare l'appartamento in cui si trova in piazza Augusto Imperatore –:
   se non si intenda urgentemente proseguire sulla strada intrapresa dal decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», che prevedeva la soppressione della Covip ed il passaggio delle sue competenze alla Banca d'Italia, creando così un'unica autorità del settore assicurativo e previdenziale, sul modello europeo, al fine di esercitare la vigilanza direttamente attraverso le strutture della Banca d'Italia e di creare un risparmio per lo Stato e per i contribuenti. (4-05697)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia, com’è noto, rappresenta il più importante Paese produttore di riso a livello europeo, che si contraddistingue per una vera e propria monocoltura nell'area nord-occidentale della pianura Padana che si estende nelle province tipicamente risicole di Vercelli, Pavia, Novara, e in altre contigue di Alessandria, Biella, Milano e Lodi;
   l'area geografica piemontese, nel suo complesso, sommata alla zona lombarda della Lomellina, rappresenta infatti circa l'80 per cento dell'area risicola italiana e costituisce un'eccellenza qualitativa della coltivazione e della produzione;
   gran parte dell'economia agricola della pianura piemontese ed in particolare del novarese, è rivolta alla coltura del riso che peraltro nell'ambito dell'attività gastronomica occupa un posto primario e conosciuto a livello internazionale;
   la risoluzione n. 8-00069 approvata in Commissione agricoltura, il 23 luglio 2014, che ha previsto una serie d'interventi in ambito europeo a tutela della produzione italiana di riso, a seguito degli effetti negativi determinati dall'aumento anomalo delle importazioni di riso a basso prezzo dai Paesi asiatici, rappresenta una decisione importante a livello istituzionale a cui occorre tuttavia affiancare misure a livello nazionale volte a tutelare e valorizzare maggiormente i territori ad alta produzione risicola;
   interventi di sostegno a favore delle imprese risicole italiane s'intendono infatti necessari in considerazione del fatto che il settore del riso è quello che in Italia sta maggiormente risentendo negli ultimi anni degli effetti di questo sistema;
   l'Italia rappresenta infatti il principale produttore europeo di riso con un peso sul totale dell'export europeo di settore di circa il 40 per cento e ha una filiera che dà lavoro a 10.000 famiglie tra dipendenti e imprenditori;
   in considerazione degli evidenti livelli di criticità in cui si trovano il settore risicolo italiano ed in particolare le imprese piemontesi, in cui è particolarmente concentrata un'elevata quantità di coltivazioni e di produzione, necessitano, a parere dell'interrogante, misure, anche attraverso agevolazioni fiscali, sia per rilanciare un comparto essenziale per l'immagine del Paese nel mondo, che per tutelare un settore che contribuisce in maniera rilevante alla composizione del prodotto interno lordo –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se non con ritenga opportuno prevedere nelle prossime iniziative normative del Governo, misure ad hoc, volte a sostenere le imprese risicole italiane e un settore che rischia di essere fortemente ridimensionato, con gravi ripercussioni economiche ed occupazionali per tutta la filiera interessata. (4-05681)


   LUPO, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, L'ABBATE, GAGNARLI, GALLINELLA e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nella campagna 2013 sono stati poco meno di 7.500 gli ettari destinati alla moltiplicazione di sementi con metodo biologico, per le specie soggette a certificazione obbligatoria, appena il 3,9 per cento della superficie nazionale (quasi 193.000 ettari nel complesso);
   in cinque anni le superfici destinate alla produzione di sementi biologiche sono quindi diminuite del 30 per cento, visto che nel 2009 erano 10.600 ettari, il 5,3 per cento del totale. Lo rivelano le statistiche pubblicate di recente dal Cra-Scs, l'organo di certificazione ufficiale delle sementi;
   le flessioni maggiori nella moltiplicazione in bio hanno toccato alcune delle colture portaseme più significative, come il frumento duro (-58 per cento della superficie dal 2009), la veccia (-60 per cento) e il frumento tenero (-17 per cento);
   i dati del CRA-SCS (ex ENSE) sulla contrazione della produzione di sementi biologiche confermano che lo strumento della deroga, soprattutto se gestito con scarso rigore, allontana le aziende sementiere dal settore;
   non è possibile investire in una produzione oltretutto più impegnativa e costosa – commento di Guido Dall'Ara, presidente di Assosementi, l'associazione delle aziende sementiere italiane – di fronte alla scarsa propensione dei coltivatori biologici ad acquistarle. È un vero peccato perché il nostro paese è comunque leader in Europa nella moltiplicazione di sementi e la quasi totalità dei contratti per il biologico è fatta per paesi esteri.» (Ansa 22 luglio 2014);
   sempre secondo i dati del CRA-SCS (ex ENSE), nel 2012 sono state accolte oltre 32.000 richieste di deroga per l'utilizzo di sementi convenzionali, pari al 91 per cento delle circa 35.000 richieste, concentrate nei settori della coltivazione di ortaggi (circa 13.000 richieste, accolte per l'88 per cento), di cereali (7.500 richieste, accolte per il 95 per cento) e di foraggere (6.500 richieste, accolte per il 92 per cento) –:
   se non ritenga di assumere iniziative per introdurre all'interno della proposta di riforma comunitaria sul biologico delle regole certe in grado di rilanciare il settore delle sementi biologiche, arrivando anche a sopprimere la possibilità di deroga prevista e disciplinata dal regolamento (CE) 1452/2003;
   se ritenga che la problematica succitata sia di interesse per il semestre di presidenza italiana dell'Unione europea.
(4-05687)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sulla base di un recente studio del CENSIS la spesa sanitaria privata nel 2013 ha raggiunto i 26,9 miliardi di euro, il 3 per cento in più in termini reali rispetto al 2007. Nello stesso arco di tempo la spesa sanitaria pubblica è rimasta quasi ferma (+0,6 per cento);
   aumentano gli italiani che pagano per intero esami del sangue (+74 per cento) e accertamenti diagnostici (+19 per cento). Ormai il 41,3 per cento dei cittadini paga di tasca propria per intero le visite specialistiche. Cresce anche la spesa per i ticket, che sfiora i 3 miliardi nel 2013 (+10 per cento in termini reali nel 2011-2013);
   sulla base dello studio di cui sopra è possibile dedurre alcuni dati:
    a) per effettuare una prima visita oculistica in una struttura pubblica il ticket costa 30 euro e si debbono aspettare mediamente 74 giorni (due mesi e mezzo), mentre nel privato, pagando in media 98 euro, si aspettano solo 7 giorni;
    b) per una prima visita cardiologica si pagano 40 euro di ticket e la lista d'attesa è di 51 giorni, nel privato con 107 euro si aspettano 7 giorni;
    c) una visita ortopedica nel sistema pubblico costa 31 euro di ticket con 34 giorni di attesa, nel privato 104 euro e occorrono 5 giorni per avere l'appuntamento;
    d) una visita ginecologica richiede 29 euro di ticket e 27 giorni di attesa, nel privato 100 euro con 5 giorni di attesa;
   in sintesi, pagando in media 70 euro in più rispetto a quanto costerebbe il ticket nel sistema pubblico, si risparmiano 66 giorni di attesa per l'oculista, 45 giorni per il cardiologo, 28 per l'ortopedico, 22 per il ginecologo –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato, per quanto di competenza, per salvaguardare i livelli essenziali di assistenza ed evitare non solo che si verifichino problemi per la salute dei cittadini ma anche che il costo delle prestazioni sanitarie sia sempre più a carico dei cittadini. (4-05684)


   FABRIZIO DI STEFANO e RICCARDO GALLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il consumo di alcol rappresenta un importante problema di salute pubblica ed è responsabile in Europa del 3,8 per cento di tutte le morti e del 4,6 per cento di anni di vita persi a causa di disabilità;
   in Italia le prevalenze dei consumi a rischio identificano circa 8.000.000 di individui a rischio di età superiore agli 11 anni con le percentuali maggiori che si registrano nella classe di età 65-74 anni e tra gli ultra 75enni per un totale di oltre 2.000.000 di anziani di sesso maschile che necessiterebbero di un intervento di identificazione precoce e sensibilizzazione del problema;
   l'uso di alcol è associato direttamente o indirettamente all'insorgenza di oltre 200 malattie e condizioni patologiche, inclusi numerosi tipi di cancro. Secondo il rapporto AMPHORA nell'Unione europea 1/7 decessi per gli uomini e 1/13 per le donne è attribuibile all'alcol. Nell'ambito delle malattie totalmente alcol-attribuibili sono stati calcolati nell'anno 2010 1.185 decessi evitabili di sesso maschile e 337 decessi evitabili di sesso femminile;
   l'articolo 3 della legge 30 Marzo 2001 n. 125 «Legge quadro in materia di alcol e problemi alcolcorrelati» prevede che «la Commissione unica del farmaco adotti un provvedimento diretto ad assicurare che siano erogati a carico del Servizio sanitario nazionale i farmaci utilizzati nelle terapie antiabuso o anticraving dell'alcolismo, per i quali è necessaria la prescrizione medico-specialistica.»;
   la Strategia Globale sull'Alcol dell'Organizzazione Mondiale della Sanità fornisce una cornice di riferimento per la realizzazione di azioni basate sull'evidenza di efficacia di cui l'Assemblea Mondiale della Sanità ha preso atto nell'approvare la risoluzione del maggio 2010 volta a supportare l'esigenza di una riduzione del consumo dannoso di alcol;
   i farmaci attualmente dispensati a carico del servizio sanitario nazionale sono indicati esclusivamente per il mantenimento dell'astenzione/prevenzione delle ricadute in pazienti con dipendenza da alcol;
   nel febbraio 2013 la Commissione europea ha autorizzato l'immissione in commercio (AIC) di nalmefene (nome commerciale Selincro) prodotto dalla casa farmaceutica Lundbeck. Tale farmaco, l'unico attualmente indicato per la riduzione del consumo di alcol in pazienti adulti con dipendenza da alcol che hanno livelli di consumo ad elevato rischio, senza sintomi fisici da sospensione e che non richiedono interventi immediati di disintossicazione, è già presente nel mercato europeo e prodotto nello stabilimento italiano di Padova per tutto il mercato mondiale;
   tale farmaco non risulta ad oggi essere a disposizione del Servizio sanitario nazionale (SSN) in quanto nel corso dell’iter di prezzo e rimborsabilità presso l'AIFA, avviato nel luglio del 2013, si sono riscontrate molteplici e continue fasi di stallo, tra cui una valutazione della CTS riportante quanto segue: «La CTS ha ascoltato la relazione della Ditta alla quale sono stati chiesti numerosi chiarimenti in merito al rapporto rischio-beneficio (che al momento non appare favorevole al punto tale da giustificare una rimborsabilità) e al place in therapy del farmaco in relazione alla realtà italiana. Al contrario di altri paesi infatti l'Italia dispone di pochi centri dedicati che possono attuare un controllo dei possibili effetti avversi ed offrire il supporto psicologico che necessariamente deve accompagnare l'utilizzo del farmaco. Alla luce della presente valutazione si rileva quanto segue:
    1. il rapporto rischio-beneficio è oggetto di valutazione dell'Agenzia Europea per i medicinali e tale assessment, come riportato nell'EPAR è risultato positivo;
    2. secondo quanto riportato nella Relazione del Ministro della salute al Parlamento sugli interventi realizzati ai sensi della legge 30 marzo 2001 n. 125 “Legge Quadro In Materia Di Alcol E Problemi Alcolcorrelati” per l'anno 2013 lo scorso 7 marzo, al 31 dicembre 2012 sono stati rilevati ben 454 servizi o gruppi di lavoro per l'alcoldipendenza: il 91,4 per cento sono di tipo territoriale, lo 0,4 per cento di tipo ospedaliero e lo 0,2 per cento di tipo universitario con globalmente 4.306 unità di personale: 837 addette esclusivamente (19,4 per cento del totale) e 3.469 addette parzialmente (80,6 per cento del totale); nel 2012 sono stati presi in carico presso i servizi o gruppi di lavoro, 69.770 soggetti alcoldipendenti;
    3. il 29,6 per cento dell'utenza complessiva è rappresentato da utenti nuovi, il rimanente 70,4 per cento da soggetti già in carico dagli anni precedenti o rientrati nel corso dell'anno dopo aver sospeso un trattamento precedente per i quali potrebbe essere utile valutare strategie di trattamento alternative»;
   lo spirito alla base della legge quadro in materia di alcol, e del relativo piano OMS per la riduzione del consumo dannoso di alcol implica che, per definizione, farmaci che contrastano l'alcoldipendenza dovrebbero essere resi immediatamente disponibili ai pazienti in tutte le regioni;
   la quasi totalità delle autorità regolatorie europee ha concesso la rimborsabilità alla specialità nalmefene, tra cui recentemente anche Francia e Spagna;
   a più di un anno dall'approvazione europea in Italia non si è ancora riusciti ad avere la rimborsabilità a carico del Servizio sanitario nazionale e questo ha causato una lunga attesa per i pazienti, a pregiudizio della loro possibilità di cura –:
   se il Ministro interrogato ritenga necessario attivarsi con urgenza al fine di consentire ai pazienti affetti da dipendenza da alcol l'introduzione nella pratica clinica di recenti farmaci innovativi validati dalle comunità scientifiche e autorità regolatorie europee;
   se non ritenga necessario, anche alla luce delle ulteriori valutazioni positive da parte delle autorità regolatorie di Francia e Spagna, prevedere un rapido riconoscimento in termini di rimborsabilità di tale farmaco. (4-05696)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   RUOCCO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 83 del 22 giugno 2012, cosiddetto decreto sviluppo, è nata l'Agenzia per l'Italia Digitale per intervenire in alcuni settori cruciali, quali: identità digitale, PA digitale/Open data, istruzione digitale, sanità digitale, pagamenti elettronici e giustizia digitale;
   l'Agenda è quindi nata per un duplice obiettivo: da un lato, sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT) per favorire l'innovazione, la crescita economica e la competitività, grazie a un mercato digitale unico basato su Internet veloce; dall'altro l'Agenda ha lo scopo di portare nel breve periodo grandi trasformazioni nella vita quotidiana dei cittadini;
   sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio, l'AGID deve rispondere ai seguenti Ministeri: sviluppo economico, infrastrutture e trasporti, pubblica amministrazione e semplificazione, economia e finanze, istruzione università e ricerca scientifica (si aggiungerà quello della salute);
   il 15 gennaio 2013 Ragosa viene nominato direttore generale dell'accorpata DigitPa e dopo diversi mesi Mario Dal Cò viene nominato direttore dell'Agenzia per l'innovazione;
   il 13 giugno 2013 il premier Enrico Letta rende nota la nomina di Francesco Caio, manager di Avio, a «mr. Agenda Digitale». Con il decreto n. 98 del 2013, il cosiddetto «Decreto del fare», viene ridefinita la governance dell'Agenda digitale italiana: Francesco Caio presiederà l'istituenda cabina di regia dell'Agenda digitale italiana e dovrà operare come raccordo politico tra l'Agenzia e la Presidenza del Consiglio;
   tra agosto e dicembre 2013, diversi consulenti esterni preparano la strategia per l'agenda digitale e, senza un incarico in tal senso, lavorano alla stesura del documento strategico per l'Agenda digitale italiana;
   a marzo 2014 dei 55 adempimenti previsti per l'attuazione dell'Agenzia digitale italiana solo 17 sono stati adottati e altri 21 risultano scaduti. Tra i settori strategici non disciplinati ci sono il riordino del sistema statistico nazionale, la bigliettazione elettronica, la sanità digitale, la sicurezza informatica e la trasparenza dell'attività parlamentare. Nello studio viene sottolineato che l'Agenzia non ha trasmesso al Presidente del Consiglio o Ministro delegato, l'Agenda nazionale dei contenuti e degli obiettivi delle politiche di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, e di non aver predisposto organizzazione, pianta organica e bilancio;
   1o maggio 2014, Agostino Ragosa decade da direttore. Si tratta di una sanzione automatica prevista dalla legge n. 98 del 2011, e ribadita dalla circolare n. 33 del 28 dicembre 2011 del Ministero dell'economia e delle finanze, per non aver presentato né il bilancio di previsione a fine ottobre, né il rendiconto generale a fine aprile senza i quali l'Agenzia è nell'impossibilità di operare. Dal primo maggio ogni determinazione del DG è impugnabile;
   il 3 giugno 2014, Ragosa si dimette dopo essersi incontrato per la seconda volta col Ministro Marianna Madia e accetta di mantenere l’interim sull'Agenzia in attesa della scelta del nuovo direttore;
   il 6 giugno 2014, il totonomine parte con un tweet di Marianna Madia all'ora di pranzo. Un'ora dopo esce il bando per il nuovo direttore dell'Agid. Due paginette sul tipo di incarico e sulle qualità dei candidati che devono inviare il curriculum entro la mezzanotte del 15 giugno. L'amministrazione si riserva la discrezionalità di scelta dei candidati e li invita a esporre le proprie linee programmatiche per le politiche dell'agenzia. Di candidature ne arriveranno 154;
   il 10 luglio il Ministro Marianna Madia nomina come direttore e presidente del comitato di indirizzo, Alessandra Poggiani e Stefano Quintarelli. Tra le numerose candidature pervenute secondo il Ministro è la Poggiani ad avere il profilo più adeguato per ricoprire l'incarico;
   il 22 luglio diverse fonti di stampa parlano di una non equipollenza della laurea di Alessandra Poggiani in Italia. Nel quotidiano online Italia oggi si legge: «La Poggiani ha dichiarato, Cv riportato sul sito della società Venis Spa, di aver conseguito una laurea in Honours Communications and Cultural Studies a Londra. Un corso solo triennale quindi mai equiparabile ad una laurea piena italiana. Londra, poi, è un termine vaghissimo se non viene specificato presso quale università o College della capitale inglese sia stato effettivamente preso il titolo, vista la numerosità e la pluralità di istituzioni presenti. L'equipollenza è quindi un concetto molto aleatorio perché dipende, caso per caso, dalla singola università interessata e dal tipo di programma svolto. Fatto reso ancora più vago, nel caso di specie, dal fatto che la Poggiani non precisa, come già detto, neppure in quale università inglese ha conseguito la sua autocertificata laurea. Troppi pochi dettagli e troppa indeterminatezza. Così, la Poggiani senza una laurea italiana rischia di restare alla Venis spa, sempre che non le venga contestata anche questa nomina»;
   l'Agenda digitale è un punto di partenza per lo sviluppo digitale, informatico del nostro Paese –:
   se non si intenda rivalutare la nomina della dottoressa Alessandra Poggiani al fine di considerare più attentamente anche gli altri curricula pervenuti per porre alla dirigenza dell'AGID un profilo più idoneo a coprire tale incarico.
(4-05698)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Kosme, azienda di Roverbella (MN) di proprietà della multinazionale tedesca Krones (operante nel settore packaging & beverage) ha annunciato ai primi di luglio la decisione di tagliare due linee produttive, quella per le macchine da imballaggio e quella dei nastri trasportatori con 139 esuberi a cui devono essere aggiunti circa 40 lavoratori con contratto interinale;
   le linee che rimarrebbero operative sono le etichettatrici e le imbottigliatrici mentre i nastri trasportatori e le macchine per imballaggio non verranno più prodotti in proprio ma acquistati sul mercato;
   le organizzazioni sindacali, che hanno già indetto una serie di manifestazioni e di giornate di sciopero, evidenziano la preoccupazione delle maestranze e chiedono maggiori garanzie sul piano industriale per tentare di rilanciare l'attività dell'azienda e perché anche i lavoratori non interessati dalle chiusure di linea temono per le loro prospettive occupazionali e che il rischio sia la sopravvivenza stessa dello stabilimento;
   è opportuno che il Ministro interrogato sappia che i dipendenti hanno ricevuto la comunicazione dei preannunciati tagli attraverso la e posta elettronica e senza alcun preavviso, così evidenziando un comportamento della proprietà riprovevole nei confronti dei dipendenti e così affermando una sorta di "irresponsabilità" sociale molto grave –:
   se intenda attivare, con la massima urgenza, un tavolo di confronto tra la parti in sede ministeriale, per valutare il piano industriale e porre in essere tutte le iniziative volte ad assicurare le massime garanzie in materia di rilancio dell'impianto al fine di salvaguardare i livelli occupazionali. (5-03332)


   SENALDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la delibera del 3 ottobre 2013, n. 43772013/R/EEL l'AEEG dispone che le imprese consumatrici aventi le caratteristiche indicate dall'articolo 3, comma 1, del decreto 5 aprile 2013 (ovvero che abbiano utilizzato, per lo svolgimento della propria attività, almeno 2,4 gigawatt/ora di energia e che il rapporto tra il costo effettivo dell'energia utilizzata e il valore del fatturato, determinato ai sensi dell'articolo 5, non sia risultato inferiore al 2 per cento) e con codice ATECO prevalente riferito ad attività manifatturiere (da 10.xx.xx a 33.xx.xx) possono registrarsi come imprese a forte consumo di energia e quindi aventi diritto ad agevolazioni sugli oneri di sistema elettrico;
   le attività manifatturiere comprese dai codici ATECO contemplati nella delibera dell'AEEG sono incluse tutte le attività di «trasformazione fisica o chimica di materiali». L'alterazione, la rigenerazione o la ricostruzione sostanziale dei prodotti sono in genere considerate attività manifatturiere, sia che il nuovo prodotto sia finito, sia che si tratti di un semilavorato destinato ad un'ulteriore attività manifatturiera. Tuttavia il riciclaggio dei materiali di scarto, ossia la trasformazione di questi in materie prime secondarie, è classificato all'interno del gruppo 38.3 («Recupero dei materiali»). Nonostante implichi nella quasi totalità dei casi trasformazioni fisiche o chimiche, questo processo non è considerato attività manifatturiera. La conseguenza diretta di ciò è che la famiglia dei codici ATECO «38» comprende sia i semplici recuperatori dei rifiuti, sia i cosiddetti «riciclatori» di rifiuti, i quali assommano nella propria attività anche quella di «trasformatori» della materia prima secondaria ottenuta con le operazioni di recupero dei rifiuti. Tutti questi soggetti sono stati esclusi dalla scelta ministeriale di limitare l'accesso alle agevolazioni sui costi dell'elettricità alle imprese aventi codice ATECO tra il 10 e il 33;
   ciò nonostante gli impianti di recupero/riciclaggio di rifiuti «energivori», ovvero per i quali ricorrono le condizioni suddette enunciate all'articolo 3, comma 1, del decreto 5 aprile 2013, ben possono rientrare nei provvedimenti di cui trattasi per le seguenti motivazioni: tali «riciclatori» sostengono una spesa energetica che in alcuni casi arriva a rappresentare più del 20 per cento del fatturato complessivo dell'azienda, di conseguenza non riescono a competere con i costi dell'energia sostenuti dai loro «competitor» oltralpe (in alcuni casi i costi sono pari alla metà di quelli praticati in Italia). Si aggiunga poi che imprese di questo tipo consentono di diminuire l'utilizzazione (e ove ricorra anche l'importazione) di materia prima vergine necessaria alla realizzazione di taluni beni (il caso più diffuso sono gli imballaggi), provvedendo poi al trattamento dei rifiuti evitano che i medesimi vengano avviati allo smaltimento –:
   se il Ministero dello sviluppo economico intenda valutare di assumere iniziative se del caso normative, per quanto di competenza, per l'allargamento della platea dei soggetti «energivori» beneficianti di siffatte agevolazioni anche con riguardo agli impianti di riciclaggio per il riuso di rifiuti in particolare di materie plastiche. (5-03334)


   TONINELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 194 del 1986, che disciplina la modalità di conferimento dell'onorificenza di «Cavaliere del lavoro» ai cittadini benemeriti in diversi campi dello sviluppo economico, stabilisce all'articolo 4 che essa è attribuita annualmente dal Presidente della Repubblica, sulla base di un elenco di candidati scelto dal Ministro per lo sviluppo economico sulla base delle risultanze istruttorie del Consiglio dell'Ordine dei Cavalieri del lavoro sulle proposte di candidatura provenienti dai ministri competenti;
   la stessa legge stabilisce al successivo articolo 13 che incorre nella perdita dell'onorificenza l'insignito che se ne renda indegno;
   l'indegnità dovrebbe conseguire logicamente all'accertamento definitivo di gravi responsabilità penali, e in particolare nel caso di condanna passata in giudicato per un reato gravissimo e lesivo per la struttura stessa del tessuto sociale quale la frode fiscale, quando attuata in proporzioni macroscopiche;
   è il caso di Silvio Berlusconi, condannato in via definitiva un anno fa per una frode fiscale di oltre sette milioni di euro, cifra che peraltro si riferisce soltanto alle annualità successive al 2002, mentre secondo i giudici di primo e secondo grado, i fondi neri che costituiscono l'oggetto del reato ammontano all'iperbolica cifra di 280 milioni di euro, sebbene il reato relativamente a tali cifre sia stato prescritto per il decorso del tempo necessario allo svolgimento del giudizio, grazie a leggi che, com’è noto, sono entrate in vigore in virtù dell'intervento dello stesso imputato quali la cosiddetta legge ex-Cirielli;
   in questo senso, la sussistenza dell'indegnità è del tutto evidente se si considera che in base alla stessa legge (articolo 3), i requisiti minimi per l'attribuzione della decorazione sono:
   a) aver ottenuto una specchiata condotta civile e sociale;
   b) aver adempiuto agli obblighi tributari ed aver soddisfatto ogni obbligo previdenziale e assistenziale a favore dei lavoratori;
   c) non aver svolto né in Italia, né all'estero attività economiche e commerciali lesive dell'economia nazionale;
   requisiti chiaramente contrastanti con la perpetrazione di una qualunque frode fiscale, e tanto più dinnanzi a una frode di queste proporzioni;
   peraltro, in virtù delle pene accessorie stabilite in relazione all'accertamento del reato in via definitiva, ai sensi dell'articolo 28 del codice penale, l'interdizione temporanea dai pubblici uffici priva il condannato della capacità di acquistare o di esercitare o di godere, durante l'interdizione, dei gradi e delle dignità accademiche, dei titoli, delle decorazioni o di altre pubbliche insegne nonché di ogni diritto onorifico, inerente a qualunque degli uffici, servizi, gradi o titoli e delle qualità, dignità e decorazioni indicati nella stessa disposizione;
   nonostante l'evidente concretezza di queste circostanze, l'onorificenza non è stata revocata;
   Silvio Berlusconi si è autosospeso dalla federazione dei Cavalieri del lavoro con una missiva datata 18 marzo 2014, all'indomani della sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato i due anni di interdizione dai pubblici uffici per la stessa vicenda giudiziaria, subito prima che la stessa federazione deliberasse sulla sua posizione. La federazione è tuttavia una semplice associazione di diritto privato, come lo è qualsiasi altra associazione di categoria: l'esclusione dalla stessa non incide sull'attribuzione del titolo onorifico, che invece è ancora attribuito al pregiudicato, come risulta dal sito istituzionale della Presidenza della Repubblica, nella sezione «onorificenze» di «Cavaliere del Lavoro»;
   il procedimento per la revoca dell'onorificenza, annunciato ma non attuato, è di competenza del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Presidente della Repubblica. Secondo la legge (articolo 13), spetta al Ministro la proposta di revoca indirizzata al Capo dello Stato, a cui spetta disporre la revoca con suo decreto;
   interrogato al proposito, il Ministro pro tempore all'epoca della condanna in via definitiva, il dottor Flavio Zanonato, secondo la stampa ha risposto di non aver avviato la pratica in attesa della decisione della Cassazione sulle pene accessorie. Tale affermazione appare singolare, dal momento che il procedimento per la revoca dell'onorificenza avrebbe dovuto avviarsi a seguito della condanna, indipendentemente dalle eventuali conferme relative alle pene accessorie, che nulla hanno a che vedere con l'onorificenza, specialmente se si considerano casi recenti e del tutto analoghi come quello di Calisto Tanzi, di cui si dirà;
   in ogni caso, quando le pene accessorie sono state confermate dalla Cassazione, un nuovo Ministro era preposto al competente dicastero, a seguito dell'avvicendamento di Matteo Renzi alla guida del Governo;
   l'attuale Ministro, dottoressa Federica Guidi, definito dalla stampa vicina al Centrodestra «il ministro berlusconiano del governo Renzi» (Libero, 22 febbraio 2014), raggiunto dalla stampa circa la questione della revoca dell'onorificenza, ha confermato di avere «ben presente il dovere di provvedere per la definizione della revoca dell'onorificenza conferita a Berlusconi» (Corriere della Sera, 11 giugno 2014), impegnandosi «ad essere parte attiva per definire la procedura nei tempi tecnici necessari». A questo proposito merita ricordare che il Ministero dello sviluppo economico ha al suo interno un'apposita struttura preposta alle questioni riguardanti le onorificenze dei Cavalieri del Lavoro, chiamata appunto «Area Onorificenze»;
   merita altresì evidenziare, come anticipato, quanto è avvenuto in circostanze del tutto analoghe quando la questione ha coinvolto il fondatore della Parmalat Calisto Tanzi, al quale, condannato in secondo grado dalla corte d'appello di Milano per aggiotaggio il 26 maggio 2010, l'onorificenza è stata revocata dal Presidente della Repubblica il 17 settembre 2010;
   in questo caso non è neppure stata attesa la definitiva statuizione sulle accuse, dato che la Cassazione si è pronunciata con forza di giudicato soltanto il successivo 4 maggio 2011. Ma in quel caso la revoca del titolo è giunta addirittura otto mesi prima della pronuncia definitiva. Il Ministro dello sviluppo economico era proprio Silvio Berlusconi, che ha svolto il ruolo ad interim dal 5 maggio 2010 al 4 ottobre 2010;
   quali siano le ragioni di una disparità di trattamento tanto manifesta. Con Calisto Tanzi il principale partito del Governo, che è tale in virtù di un premio di maggioranza a giudizio dell'interrogante, antidemocratico e incostituzionale, non aveva stipulato né «larghe intese», né un «patto del Nazareno» –:
   per quali motivi gli adempimenti procedurali di competenza non siano stati ancora definiti e in quali modi e tempi intenda adoperarsi per la loro attuazione. (5-03344)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito di una fase di riorganizzazione le aziende Terna spa ed Enel Distribuzione sembra abbiano intenzione di dismettere le proprie sedi calabresi;
   Terna si appresterebbe a chiudere la sede di Cosenza, definita ad esaurimento, e quella di Castrovillari, che sarà accorpata definitivamente a quella di Rotonda, in Basilicata, nonostante l'ottanta per cento degli asset che saranno gestiti da quest'ultima sede si trovino in territorio calabrese;
   Enel Distribuzione, invece, nel piano nazionale predisposto che prevede un taglio del trenta per cento delle strutture a livello nazionale, prospetta per la Calabria un taglio del cinquanta per cento delle zone e del quaranta per cento delle unità operative;
   le attuali sei zone potrebbero, quindi, diventare tre con la cancellazione, insieme ad altre due, di quella di Castrovillari;
   non appaiono chiare né le ragioni di un taglio così pesante a carico degli impianti calabresi, né le conseguenze per l'utenza –:
   quali urgenti iniziative si intendano assumere al fine di salvaguardare gli stabilimenti e gli insediamenti produttivi delle citate aziende nella regione Calabria, e al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali e di servizio attualmente esistenti. (4-05688)


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società di call center InfoContact s.p.a., che occupa circa duemilaseicento persone in tutta la Calabria, quasi millesettecento delle quali nella sola città di Lamezia Terme, ha chiesto il ricorso all'amministrazione straordinaria e si prospetta l'ipotesi di una sua vendita;
   la notizia, appresa informalmente dai lavoratori nel dicembre 2013, è stata poi confermata dalla stessa azienda in data 8 gennaio 2014 durante un incontro con i sindacati;
   dall'incontro è emerso che l'azienda avrebbe un buco di svariati milioni di euro in termini di contributi fiscali;
   al termine di una lunga trattativa tra azienda e sindacati si è raggiunto l'accordo in merito all'applicazione dei contratti di solidarietà, i quali, riducendo l'orario di lavoro — e conseguentemente anche gli stipendi percepiti — di tutti i lavoratori permettano di evitare la riduzione del personale e anche in merito all'incentivazione di richieste di esodo volontario, garantendo comunque la possibilità di ricevere mensilmente l'assegno di disoccupazione per il tempo previsto dalla legge;
   fino alla fine del mese di giugno 2014 l'azienda ha continuato a funzionare regolarmente, ma in data 10 luglio è stato pubblicato un comunicato aziendale per informare i lavoratori che il tribunale di Lamezia Terme aveva emesso un'ordinanza per bloccare lo stipendio versato per il mese marzo 2014 in quanto doveva rientrare nella gestione e competenze del giudice delegato, e di conseguenza l'azienda comunicava la mancata corresponsione dello stipendio di giugno a copertura della erronea erogazione di marzo;
   nonostante la disponibilità dimostrata dall'azienda, che ha proposto il pagamento anticipato di metà stipendio di luglio, è evidente come la perdita di una mensilità rappresenti un grave danno per tutti i lavoratori coinvolti;
   nel frattempo molti dei dipendenti che hanno sottoscritto un accordo per lasciare l'azienda sono ancora in attesa sia dell'incentivo promesso, sia del TFR;
   la pronuncia del tribunale di Lamezia Terme in merito alla proposta di concordato presentata dall'Infocontact è attesa per il 29 luglio 2014 –:
   quali urgenti iniziative intendano assumere per la tutela occupazionale dei lavoratori di cui in premessa e per garantire la continuità di una importante realtà aziendale della Calabria, già gravata da una forte disoccupazione. (4-05695)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Ottobre e altri n. 1-00291, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palese.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

L'interpellanza Zaccagnini e altri n. 2-00626, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fitzgerald Nissoli.