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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 24 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il tema dell’«apertura» dei reparti di Terapia Intensiva (TI) si inserisce nella più ampia e delicata questione del riconoscimento e del rispetto della dignità e dei diritti del malato; la letteratura scientifica ha posto inequivocabilmente in evidenza:
     a) che non vi è alcuna solida base scientifica per impedire o limitare l'accesso di familiari e visitatori in TI;
     b) che la presenza in TI dei familiari e delle persone care non comporta alcun rischio per il paziente (in particolare di tipo infettivo) ma rappresenta anzi uno dei principali bisogni della persona malata;
    studi scientifici hanno evidenziato come l’«apertura» delle TI sia una scelta utile e motivata, una risposta benefica ed efficace tanto ai bisogni del malato (producendo, ad esempio, una riduzione statisticamente significativa degli indici ormonali di stress e delle complicanze cardio-vascolari) quanto a quelli dei familiari (con una riduzione dei livelli di ansia);
    le TI italiane, in base a recenti studi, presentano tuttora «politiche di visita» tra le più restrittive (ad esempio solo il 2 per cento dei reparti consente la presenza di familiari senza limitazioni nelle 24 ore contro una percentuale del 70 per cento della Svezia. Inoltre la media del tempo di visita è attualmente di solo due ore al giorno nelle TI per adulti e di cinque ore nelle TI pediatriche);
    l’«apertura» dei reparti di TI è stata a più riprese ed autorevolmente raccomandata dalla letteratura scientifica internazionale di settore;
    nel 2013 il Comitato nazionale per la bioetica in uno specifico documento (Terapia intensiva «aperta» alle visite dei familiari) ha affermato che: il modello organizzativo definito come TI «aperta» esprime con pienezza il «principio del rispetto della persona nei trattamenti sanitari» orientando l'organizzazione sanitaria in funzione del primato della dignità e dei diritti della persona anche nel tempo di particolare fragilità e dipendenza rappresentato dalla malattia grave che necessita di cure intensive;
    la TI «aperta» è una scelta non solo utile ed efficace per dare risposta ad alcuni importanti bisogni del paziente e della sua famiglia ma anche coerente con i principi di «autonomia, beneficialità e non maleficienza»;
    l'organizzazione delle TI deve essere orientata a promuovere il diritto dei pazienti ricoverati in TI alla presenza accanto a sé dei familiari o delle persone care da essi ritenute figure significative;
    i familiari – e in particolar modo i genitori dei bambini ricoverati e i parenti stretti degli anziani – e in generale le persone indicate dal paziente devono poter avere la possibilità di stare accanto al paziente in TI;
    i pazienti in grado di esprimere la loro volontà devono essere consultati in merito a quali persone essi desiderano accanto a sé;
    le TI devono adeguare la loro organizzazione e le loro visiting policies al modello della TI «aperta»;
    i piani nazionali e regionali di edilizia sanitaria devono prevedere spazi adeguatamente attrezzati per favorire la presenza delle famiglie dei pazienti e dei visitatori;
    l'amministrazione sanitaria, nelle sue diverse articolazioni, deve impegnarsi a favorire e sostenere la realizzazione del modello della TI «aperta»,

impegna il Governo:

   ad approntare, in collaborazione con le regioni, linee guida nazionali volte ad adeguare i reparti di Terapia Intensiva al modello della Terapia Intensiva «aperta», coerentemente con quanto indicato anche dal Comitato nazionale per la bioetica;
   a predisporre, per quanto di competenza e in collaborazione con le regioni, un'adeguata e aggiornata formazione per il personale medico, infermieristico e sanitario in genere per quanto riguarda una specifica competenza professionale in tema di comunicazione, gestione dei conflitti, capacità di riconoscere e affrontare i bisogni dei familiari così come ansia o stress;
   ad attivare piani nazionali di edilizia sanitaria, promuovendo, in raccordo con le regioni, quelli regionali, che prevedano spazi adeguatamente attrezzati per favorire la presenza delle famiglie dei pazienti e dei visitatori.
(1-00561) «Antezza, Amoddio, Arlotti, Ascani, Amato, Albanella, Amendola, Basso, Baruffi, Bargero, Paola Bragantini, Capone, Iacono, Iori, Martelli, Mongiello, Oliverio, Piccione, Prina, Rubinato, Paolo Rossi, Sbrollini, Romanini, Taricco, Ventricelli, Zanin, Zappulla».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VI e X,
   premesso che:
    il libro verde «Verso un mercato integrato dei pagamenti» mira alla costruzione graduale di un'area unica dei pagamenti in euro (AUPE) – basata cioè sul presupposto che non vi sia distinzione tra pagamenti elettronici al dettaglio (bonifici, addebiti diretti e carte di pagamento) in euro, transfrontalieri e nazionali – attraverso l'introduzione di misure che favoriscano la diffusione dei pagamenti elettronici;
    requisito essenziale per il funzionamento e lo sviluppo di un'economia è l'efficienza dei sistemi di pagamento che dimostrino di rispondere ai requisiti di trasparenza, sicurezza e velocità delle transazioni;
    nell'attuale contesto di forte evoluzione tecnologica, di progressiva dematerializzazione e di interconnessione su scala globale delle dinamiche produttive e finanziarie, i pagamenti effettuati con strumenti alternativi al contante, quali carte di credito e debito, computer e dispositivi mobili, stanno assumendo un ruolo sempre più centrale, anche nell'agenda strategica degli Stati e delle istituzioni sovranazionali;
    accelerare la transizione verso sistemi socio-economici non più principalmente basati sull'uso della carta moneta è un passaggio obbligato per i Paesi avanzati;
    secondo quanto emerge dal rapporto dello studio Ambrosetti, tra il 2001 e il 2012 il numero delle transazioni elettroniche nel mondo è più che raddoppiato, arrivando a 333 miliardi di transazioni, pari al 60 per cento del valore dei pagamenti totali (oltre 20mila miliardi di dollari); le economie emergenti in Asia, Africa, Est Europa e Sud America segnano tassi di crescita tra il 15 per cento e il 20 per cento all'anno, mentre Europa e Nord America, pur con incrementi più moderati, pesano per i due terzi delle transazioni complessive;
    una recente ricerca del CNEL del 23 gennaio 2014 intitolata «Moneta elettronica: osservazioni e proposte» sottolinea i benefici sociali della moneta elettronica, in termini di riduzione del costo del contante (che la Banca d'Italia stima in 8 miliardi di euro annui, pari allo 0,52 per cento del prodotto interno lordo, di cui il 49 per cento a carico delle banche e il 51 per cento a carico delle imprese e delle famiglie); tracciabilità di tutte le transazioni con evidenti riflessi positivi rispetto alla lotta alla evasione fiscale, al riciclaggio e alla corruzione; semplificazione della contabilità per le banche, le imprese e la pubblica amministrazione; riduzione dei costi sociali (furti, scippi, rapine); possibilità di creazione di nuove imprese dedicate all'implementazione di nuove tecnologie; stimolo alla diffusione di una cultura digitale;
    in Italia l'uso del contante è ancora predominante: anche se il numero di operazioni pro-capite effettuate con strumenti elettronici ha mostrato un incremento nel corso degli ultimi anni, esso è ancora al di sotto della media dei Paesi europei;
    la Banca d'Italia, tramite la segreteria del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, ha comunicato che il nostro Paese si caratterizza nel contesto europeo per un'elevata propensione all'utilizzo del contante: in Italia, nel 2013, sono state regolate 74 operazioni pro-capite con strumenti alternativi al contante contro le 194 dei Paesi dell'area dell'euro (ultimo dato disponibile al 2012);
    un impulso alla diffusione di strumenti elettronici è in grado di produrre effetti benefici per i consumatori, le imprese, le amministrazioni pubbliche e l'economia nel suo complesso; infatti, il sommerso e l'economia criminale sono fortemente correlati con l'uso del contante e incidono per oltre il 27 per cento del prodotto interno lordo;
    sempre secondo la Banca d'Italia, nel confronto internazionale e tra le regioni italiane emerge che tra le principali determinanti del basso utilizzo di strumenti di pagamento elettronici figurano le differenze nel reddito pro capite e nel grado di sviluppo e di diffusione dei punti di accettazione delle carte di pagamento presso le imprese e i liberi professionisti;
    l'Unione europea ha emanato nel luglio 2013, un pacchetto di proposte (COM (2013)547 def.) per facilitare l'uso dei pagamenti via internet, che aggiorna le disposizioni delle direttive sui sistemi di pagamento del 2007 (2007/64/CE) e sulla moneta elettronica del 2009 (2009/110/CE);
    secondo il commissario per il mercato interno, nell'Unione europea il mercato dei pagamenti è frammentato e caro: il suo costo supera infatti l'1 per cento del prodotto interno lordo della Unione europea, ovvero 130 miliardi di euro l'anno;
    la normativa nazionale dal 2007, con il decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 ha ridotto il limite all'uso del contante e dei titoli al portatore da 12.500 a 5.000 euro; la nuova soglia è rimasta in vigore fino a quando l'articolo 32, comma 1, lettera a) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha ripristinato il limite di 12.500 euro; successivamente, il legislatore è intervenuto nuovamente sulla soglia di tracciabilità dei pagamenti con il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, (articolo 20, comma 2, lettera a)), che, a partire dal 31 maggio 2010, ha riportato il valore a 5.000 euro, cifra che è stata poi ridotta a 2.500 euro dal decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 (articolo 2, comma 4); da ultimo, il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (cosiddetto salva Italia), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha fissato, all'articolo 12, il limite all'uso del contante e dei titoli al portatore, con decorrenza dal 6 dicembre 2011 ad un importo inferiore ad euro 1.000;
    l'articolo 34, comma 7, della legge 12 novembre 2011, n. 183, legge di stabilità 2012, ha previsto dal 1o gennaio 2012 la gratuità, sia per l'acquirente che per il venditore, delle transazioni regolate con carte di pagamento presso gli impianti di distribuzione di carburanti, di importo inferiore ai 100 euro;
    l'articolo 12, comma 9, del citato decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha stabilito che l'Associazione bancaria italiana, le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, la società Poste italiane s.p.a., il Consorzio Bancomat, le imprese che gestiscono circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese maggiormente significative a livello nazionale definissero, entro il 1o giugno 2012, e applicassero entro i tre mesi successivi, le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, tenuto conto della necessità di assicurare trasparenza e chiarezza dei costi, nonché di promuovere l'efficienza economica nel rispetto delle regole di concorrenza; il comma 10, del medesimo articolo 12 ha stabilito che, in caso di mancata definizione e applicazione delle misure di cui al predetto comma 9, le stesse fossero fissate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
    l'articolo 27, comma 1, lettera d), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, ha stabilito che, fino alla pubblicazione del decreto che recepisce la valutazione dell'efficacia delle misure definite ai sensi del comma 9, ovvero che fissa le misure ai sensi del comma 10, continua ad applicarsi il comma 7 dell'articolo 34 della legge 12 novembre 2011, n. 183, il quale stabilisce la gratuità dei pagamenti presso gli impianti di distribuzione di carburanti;
    il Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto 14 febbraio 2014, n. 51, ha emanato il regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, ai sensi dei citati commi 9 e 10 dell'articolo 12, che entrerà in vigore il prossimo 29 luglio 2014 (l'entrata in vigore è stabilita decorsi 120 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale), producendo la cessazione dell'efficacia della norma che stabilisce la gratuità dei pagamenti presso gli impianti di distribuzione di carburanti dal 31 marzo 2014 (ovvero dalla data di pubblicazione del decreto);
    secondo il citato regolamento i prestatori di servizi di pagamento sono tenuti a distinguere le commissioni da applicare per ciascuna tipologia di carte di pagamento - di debito, di credito, prepagate; tenuto conto dell'obiettivo di riduzione delle commissioni applicate dal soggetto convenzionatore all'esercente, nel contratto di convenzionamento è inserita una clausola di revisione periodica, almeno annuale, delle commissioni correlata anche al volume e al valore delle operazioni di pagamento effettuate presso l'esercente, nonché alla revisione delle eventuali commissioni d'interscambio;
    inoltre, al fine di promuovere l'utilizzo di strumenti alternativi al contante, il medesimo decreto prevede che i prestatori di servizi di pagamento applichino ai pagamenti di importo non superiore a trenta euro commissioni inferiori a quelle generalmente applicate nel caso di operazioni effettuate, con qualunque modalità, tramite terminali evoluti di accettazione multipla;
    la legge 11 marzo 2014, n. 23, recante la delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, all'articolo 9, comma 1, lettera f), prevede che il Governo introduca, entro marzo 2015, con uno o più decreti legislativi, norme per rafforzare la tracciabilità dei mezzi di pagamento per il riconoscimento, ai fini fiscali, di costi, oneri e spese sostenuti, e prevedere disincentivi all'utilizzo del contante, nonché incentivi all'utilizzo della moneta elettronica;
    l'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, come da ultimo modificato dall'articolo 9, comma 15-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, prevede che a decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, siano tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito;
    in attuazione della citata disposizione il decreto ministeriale del 24 gennaio 2014 ha disciplinato le definizioni e l'ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito, in particolare prevedendo l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte elettroniche per tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro disposti a favore dei soggetti esercenti l'attività di impresa o professionisti, per l'acquisto di prodotti o la prestazione di servizi; in sede di prima applicazione, ovvero fino al 30 giugno 2014, il citato obbligo è stato tuttavia applicato limitatamente ai pagamenti effettuati a favore dei soggetti il cui fatturato dell'anno precedente a quello nel corso del quale è effettuato il pagamento sia risultato superiore a duecentomila euro;
    dal 1o luglio 2014 è dunque in vigore l'obbligo, per gli esercenti attività di impresa e professioni, di accettare anche i pagamenti effettuati attraverso carte di debito; bisogna tuttavia rilevare che, allo stato attuale, non risulta associata alcuna sanzione a carico dei professionisti che non dovessero predisporre della necessaria strumentazione a garanzia dei pagamenti effettuabili con moneta elettronica;
    occorre dare velocemente un impulso importante alla maturazione del mercato italiano dei pagamenti elettronici ed avvicinarlo così agli standard europei;
    anche alla luce della normativa vigente si rende improrogabile la necessità di attuare misure che favoriscano l'adozione spontanea di terminali POS, fisici o virtuali, da parte di commercianti e professionisti;
    secondo un comunicato stampa diffuso l'8 luglio 2014 dal presidente di Netcomm – Consorzio del commercio elettronico italiano – lo sviluppo del commercio elettronico e dei servizi online rappresenta un notevole potenziale portatore di benefìci economici, sociali e societari; l'economia di internet crea 2,6 posti di lavoro per ogni lavoro perso e offre una maggiore scelta ai consumatori anche nelle zone rurali e remote;
    secondo il citato comunicato, in Italia le imprese che vendono online sono solo il 4 per cento del totale, l'accesso alla banda larga rimane carente e i finanziamenti necessari per attivare gli investimenti risultano problematici; i servizi digitali della pubblica amministrazione sono di difficile accesso e una parte consistente di italiani non ha fiducia negli acquisti online; è evidente che, in questo quadro, la dimensione delle imprese diventa un fattore abilitante; poche sono le aziende italiane che competono sul mercato internazionale online;
    la Commissione europea ha adottato una comunicazione che definisce 16 azioni concrete volte a raddoppiare entro il 2015 la quota di e-commerce delle vendite al dettaglio – attualmente al 3,4 per cento – oltre alla quota dell'economia online sul Pil europeo complessivo, che al momento è inferiore al 3 per cento;
   il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura – nella seduta plenaria del 3 aprile 2014 – una proposta del regolamento del Parlamento e del Consiglio relativa alle commissioni interbancarie tramite carta, con cui si persegue l'obiettivo di uniformare nei Paesi membri dell'Unione massimo delle commissioni interbancarie con carte di credito e di debito, fissandolo allo 0,3 per cento per le transazioni effettuate con carte di credito ed allo 0,2 per cento per le transazioni effettuate con carte di debito ed applicandolo alle operazioni transnazionali entro due mesi dalla data di pubblicazione del provvedimento ed a quelle domestiche entro due anni dalla medesima data,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per potenziare l'utilizzo delle carte di pagamento, incentivando – in particolare previa verifica della possibilità di un regime di detraibilità fiscale degli oneri connessi alla installazione ed alla gestione dei POS – i soggetti che effettuano attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, all'installazione di terminali POS, che prevedano il pagamento anche tramite dispositivi mobili, al fine di attuare una rivoluzione dei comportamenti dei consumatori che avrà benefici effetti in termini di legalità, sicurezza e trasparenza;
   a sostenere in sede europea – profittando dell'opportunità del semestre italiano di Presidenza dell'Unione – il processo di più rapida definitiva approvazione della proposta di isolamento in materia di commissioni interbancarie per carte di credito e di debito ed ad assumere iniziative per la sua più tempestiva adozione per le transazioni domestiche;
   ad assumere iniziative per introdurre, intanto, un pricing fisso per le transazioni effettuate presso gli impianti di distribuzione di carburante e presso le rivendite di tabacchi per i servizi prestati dalle stesse per conto dello Stato;
   ad assumere iniziative per prevedere che le commissioni pagate dagli esercenti che svolgano la funzione di intermediari nei confronti di soggetti pubblici o di società partecipate dagli enti pubblici siano poste a carico della pubblica amministrazione beneficiaria del pagamento;
   a istituire un tavolo di confronto tra il Governo, le banche e i rappresentanti degli operatori economici e professionali, al fine di ridurre al minimo i costi di utilizzo delle carte di pagamento a carico di commercianti, artigiani e professionisti, anche prevedendo la possibilità per le banche di offrire contratti di comodato gratuito di terminali POS, nonché la possibilità per le medesime banche di facilitare le anticipazioni e i finanziamenti in relazione alle operazioni transate o prenotate con le carte di credito, nel rispetto del merito creditizio;
   ad assumere iniziative per prevedere misure premiali per i consumatori che utilizzino carte di pagamento e sistemi di pagamento avanzati, privilegiando carte e sistemi a più contenuto costo totale e, dunque, perseguendo trasparenza e confrontabilità della struttura dei loro costi ed anche verificando, in questo contesto, l'opportunità di una revisione della «non discrimination rule» in linea con le indicazioni del libro verde della Commissione europea del 2012 «Verso un mercato europeo integrato dei pagamenti», nonché possibili misure premiali per gli esercenti correlate all'incremento del fatturato rispetto all'anno precedente;
   ad assumere iniziative per introdurre un «indicatore sintetico di costo» (ISC) che chiarisca il costo complessivo di tutte le spese sostenute dall'esercente nel corso di un anno per il terminale POS e garantisca la vera trasparenza e il confronto tra gli operatori;
   a promuovere l'implementazione dei sistemi di autenticazione (identità elettronica) per combattere le frodi telematiche;
   a incentivare la possibilità per gli utenti di effettuare online i pagamenti dei servizi resi dalla pubblica amministrazione e consentire alle imprese di integrare la fatturazione elettronica verso le amministrazioni con le procedure di pagamento al fine di ridurre i costi di esecuzione delle attività amministrative, contabili e finanziarie;
   a provvedere alla contestuale e necessaria dotazione di POS presso tutte le strutture della pubblica amministrazione;
   a realizzare un'adeguata campagna di comunicazione istituzionale volta a informare i consumatori sui benefici sociali determinati della moneta elettronica e sui livelli di sicurezza delle carte, ad oggi percepiti come inadeguati dal pubblico, nonché per la familiarizzazione e il corretto uso dei nuovi strumenti di pagamento;
   ad assumere iniziative per definire standard di sicurezza per le transazioni on line orientati alla tutela del consumatore, al fine di migliorare la fiducia nell'utilizzo di piattaforme di acquisto telematico con particolare riguardo alla trasparenza e alla chiarezza delle informazioni, alla garanzia dei prodotti venduti e dei servizi offerti, nonché ad evitare le cosiddette truffe telematiche a danno dei cittadini in conseguenza dei falsi annunci;
   ad attuare iniziative per favorire l'interroperabilità nel settore dei pagamenti mobili e dei pagamenti elettronici, distinguendo tra interoperabilità tecnica e interoperabilità commerciale, ossia la possibilità per i commercianti di scegliere gli acquirer e per i clienti di scegliere gli emittenti, indipendentemente dal luogo in cui operano;
   ad attuare le necessarie iniziative volte al potenziamento delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione previste all'Agenda digitale europea che è stata presentata dalla Commissione europea nel maggio 2010 (comunicazione «Un'agenda digitale europea» (COM(2010)245) con lo scopo di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) per favorire lo sviluppo dell’e-commerce l'innovazione, la crescita economica e la competitività, nonché al fine del superamento del cosiddetto digital divide definito dal piano nazionale della banda larga predisposto nell'ottobre 2011 dal Ministero per lo sviluppo economico.
(7-00433) «Causi, Benamati, Bargero, Basso, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Folino, Fragomeli, Gutgeld, Lodolini, Montroni, Senaldi, Sberna, Taranto, Tidei».


   Le Commissioni VIII e XII,
   premesso che:
    nel 1983, in un popoloso quartiere di Avellino denominato Borgo Ferrovia, aprì i battenti l'Isochimica s.p.a., azienda dell'imprenditore Elio Graziano con 330 operai addetti a scoibentare carrozze e vagoni di proprietà di Ferrovie dello Stato, provenienti dalle grandi officine di Foligno;
    nei cinque anni di attività dello stabilimento sono state scoinbentate, cioè liberate dall'amianto, 499 elettromotrici e 1740 vetture normali passeggeri. È stato calcolato che ogni carrozza contenesse tra i 2000 e i 3000 chilogrammi di amianto: gli operai hanno lavorato, quindi, oltre 20.000 quintali di materiale nocivo;
    secondo la relazione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore del 22 aprile 1985, il capannone B era privo di impianti di aereazione. I periti hanno rilevato una presenza di amianto in misura anche cinquanta volte maggiore rispetto al valore limite di soglia fissato dalla Comunità europea e questo anche nell'infermeria, nella mensa, nel magazzino e nello spogliatoio;
    il 15 settembre 1988 fu ordinata la sospensione temporanea delle attività lavorative dell'Isochimica dall'allora sindaco di Avellino Enzo Venezia, anche se le operazioni di scoibentazione continuarono per altri 3 mesi fino a quando il procuratore della Repubblica di Firenze, Beniamino Deidda, ne dispose l'effettiva chiusura;
    negli interrogatori svolti dalla procura di Firenze, nel 1989, furono descritte le diverse modalità di smaltimento dell'amianto: gran parte del materiale scoibentato veniva interrato in buche profonde 4-5 metri all'interno dello stabilimento, altro era miscelato con del cemento prima di essere affossato oppure raccolto in sacchetti di plastica, caricato su camion e smaltito in discariche esterne, altro ancora era convogliato nel silos;
    lo stabilimento Isochimica insiste in un contesto industriale definito dalle testate giornalistiche anche nazionali «la valle dei tumori» a causa dei diversi dati scientifici che mettono in relazione le emissioni di sostanze inquinanti con il boom di patologie neoplastiche;
    dopo anni caratterizzati da promesse di bonifiche mai avvenute, il 3 giugno 2013 il Corpo forestale dello Stato di Avellino ha eseguito il decreto di sequestro preventivo dell'intera area dell'ex Isochimica disposto dalla procura della Repubblica di Avellino ai sensi dell'articolo 321, comma 3-bis, del codice di procedura penale dichiarando nella relativa nota stampa diffusa che «gli oltre 500 cubi di cemento armato friabile illecitamente smaltiti sono inidonei a trattenere le fibre» (...) ne consegue un evento grave e complesso che, provocando effetti nocivi di natura diffusiva, espone a concreto pericolo, collettivamente, l'incolumità di un numero indeterminato di persone;
    nel provvedimento di sequestro sono stati contestati a 24 indagati, a vario titolo, tra cui amministratori comunali dell'epoca, i reati di cui agli articoli 110 e 434, comma 1 e 2, C.P. (concorso in disastro ambientale e doloso), di cui agli articoli 113, 434 in relazione all'articolo 449, comma 1, C.P. (cooperazione colposa in disastro ambientale) e di cui all'articolo 328 C.P.;
    il 12 novembre 2013, nel corso di un incontro presso l'ufficio territoriale del Governo ad Avellino alla presenza dell'allora prefetto Umberto Guidato, del presidente della commissione speciale per le bonifiche della regione Campania Antonio Amato, del sindaco di Avellino Paolo Foti, del direttore generale della azienda sanitaria locale Sergio Florio, di funzionari del Consorzio per l'area di sviluppo industriale della provincia di Avellino e dell'assessorato all'ambiente della regione Campania, fu deciso l'avvio di un test medico-sanitario sulla popolazione residente e scolastica di Borgo Ferrovia che avrebbe dovuto coinvolgere almeno 3000 persone potenzialmente a rischio a causa delle fibre di amianto disperse nell'ambiente, e prevedere anche indagini radiologiche e di patologia clinica;
    il 14 aprile 2014, a seguito dell'incontro presso la prefettura di Avellino tra i dirigenti dell'ufficio territoriale di Governo e il Comitato cittadino per la bonifica, si è diffusa la notizia secondo cui non sarà avviato alcun monitoraggio sulla popolazione residente perché tale intervento non sarebbe mai stato previsto dal Ministero della salute e, anzi, l'area ex Isochimica addirittura non risulterebbe nell'elenco dei siti di interesse nazionale da bonificare;
    la suddetta informazione sarebbe contenuta in una nota che l'azienda sanitaria locale di Avellino avrebbe inviato il 18 marzo 2014 alla prefettura in palese contrasto con quanto emerso dal tavolo del 12 novembre 2013 e con le dichiarazioni rilasciate pubblicamente dai dirigenti dell'Asl, che più volte hanno annunciato l'avvio di una sorveglianza sanitaria passiva sugli abitanti adulti del quartiere, dopo aver effettuato il testing sulla popolazione infantile;
    in seguito ai diversi sopralluoghi ordinati dalla procura della Repubblica di Avellino, nell'ambito dell'indagine avviata per valutare il rischio di crolli e i livelli di dispersione di fibre di amianto nell'aria, è stata disposta l'urgente messa in sicurezza del silos esterno, in cui venivano convogliati i materiali di scarto della lavorazione dell'amianto;
    in data 18 marzo 2014 il procuratore della Repubblica di Avellino, Rosario Cantelmo, è stato audito dalla Commissione igiene e sanità presso il Senato, in merito all'indagine conoscitiva sugli effetti dell'inquinamento ambientale sull'incidenza dei tumori, delle malformazioni fetoneonatali ed epigenetica in Campania, con secretazione dei relativi atti;
    in virtù della legge 27 marzo 1992, n. 257, in materia di «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto», che ha stabilito il divieto di estrazione, commercializzazione e produzione di amianto, la bonifica degli edifici, delle fabbriche e del territorio, la improcrastinabile azione di messa in sicurezza e di risanamento dell'area dove è allocata l'ex Isochimica, definita la fabbrica dei veleni, e il monitoraggio epidemiologico dei residenti prossimi allo stabilimento abbandonato necessitano di una assunzione di responsabilità del Governo centrale, come peraltro già avvenuto in situazioni simili,

impegnano il Governo

   a prevedere inserimento dell'area in questione nei siti di interesse nazionale ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in ragione dell'elevato rischio sanitario ed ambientale in modo da impegnarsi direttamente nella bonifica necessaria e messa in sicurezza dell'intera area ex Isochimica, attraverso lo stanziamento di fondi adeguati e a procedere, in caso di rilevata mancata predisposizione degli interventi citati da parte del soggetto responsabile coordinamento diretto del procedimento di bonifica da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   a promuovere il prima possibile ad effettuare uno screening medico sanitario generale in modo da avere un reale quadro delle condizioni di salute della popolazione residente in prossimità del sito in questione, anche avvalendosi dell'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), dell'istituto superiore sanità e dell'E.N.E.A. nonché di altri soggetti qualificati pubblici, ai sensi dell'articolo 252, comma 5, del citato decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   ad attivarsi al fine di assumere iniziative utili a consentire che i lavoratori dello stabilimento Isochimica affetti da patologie asbesto-correlate di origine professionale, qualora non abbiano ancora raggiunto i requisiti per la maturazione del diritto alla pensione, anche dopo la rivalutazione del periodo contributivo ai sensi dell'articolo 13, comma 7, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto», possano comunque accedere al pensionamento anticipato, con il sistema contributivo, senza rinunciare alle altre provvidenze vigenti.
(7-00437) «Zolezzi, Grillo, Sibilia, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Segoni, Terzoni».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    nel corso della seduta dell'8 novembre 2013, il Comitato interministeriale per la programmazione economica – CIPE – ha approvato, con prescrizioni, il progetto preliminare del corridoio di viabilità autostradale dorsale Civitavecchia-Orte-Mestre, relativo alla tratta E45-E55 Orte-Mestre;
    tale opera è ricompresa nell'elenco delle infrastrutture strategiche di cui alla delibera CIPE del 21 dicembre 2001 n. 121, in conformità a quanto previsto dalla «legge obiettivo» (legge n. 443 del 2001), e automaticamente inserita nel piano generale dei trasporti e della logistica (PGTL), approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo del 2001;
    come noto, il soggetto promotore del progetto autostradale risulta essere, insieme ad ANAS spa, una cordata di imprese e di banche, capeggiata dalla società GEFIP Holding, di proprietà dell'ex europarlamentare Vito Bonsignore, e formata da Banca Carige S.p.A., Efibanca S.p.A., Egis Projects S.A., ILI Autostrada S.p.A., MEC S.r.L., Scetaroute S.A., Technip Italy S.p.A. e Transroute International S.A.;
    l'autostrada Orte-Mestre, costituisce una delle opere più grandi e impattanti previste nella legge obiettivo: copre una tratta di circa 396 chilometri, attraverso cinque regioni (Lazio, Umbria, Toscana, Emilia Romagna e Veneto), 11 province e 48 comuni e necessita di 139 chilometri di ponti e viadotti, 64 chilometri di gallerie, 20 cavalcavia, 226 sottovia, 83 svincoli, 2 barriere di esazione e 15 aree di servizio;
    il progetto prevede la realizzazione ex novo di una autostrada a quattro corsie nel tratto Ravenna-Mestre e l'adeguamento con varianti della superstrada E-45;
    l'investimento complessivo previsto per la realizzazione dell'opera, è stimato in quasi 10 miliardi di euro, circa 2 miliardi e 600 milioni in più di quelli inizialmente preventivati dal CIPE;
    tale infrastruttura, che presenta un prospetto finanziario a lunghissimo termine, sarà affidata in concessione per 50 anni e verrà realizzata integralmente in regime di project financing; la società che si aggiudicherà l'appalto e la concessione dell'opera potrà inoltre beneficiare dell'applicazione della normativa per la defiscalizzazione delle opere di project financing, ai sensi della legge n. 183 del 2011, con un credito di imposta, quantificabile in circa 2 miliardi di euro, riconosciuto su Ires, Irap e Iva e valido per 15-20 anni;
    i rimanenti 8 miliardi di euro necessari per realizzare l'opera dovrebbero essere anticipati dalla stessa società privata utilizzando il sistema di project financing e di project bond, fatto salvo il sostegno pubblico, qualora le condizioni pattuite in sede di convenzione sulla base del piano economico e finanziario dovessero venire meno (ad esempio, livelli di traffico insufficienti);
    la realizzazione dell'infrastruttura in regime di project financing comporterà inevitabilmente l'introduzione di un pedaggio dell'arteria, considerata la natura dell'investimento da parte dei privati e considerate le modalità scelte per il ritorno del suddetto investimento;
    il tracciato della nuova autostrada interferisce con importanti zone di interesse storico, paesaggistico ed ambientale come, per esempio, il parco delle foreste casentinesi, la valle del Tevere, il delta del Po, le valli del Mezzano, la laguna di Venezia, la zona archeologica nei dintorni di Lova, la Riviera del Brenta; solo nel tratto emiliano-veneto il consumo suolo sarebbe stimato in 3.300.000 metri quadrati di terreno, per la quasi totalità agricolo ed il tracciato autostradale andrebbe ad interessare 11.000 ettari di siti di interesse comunitario (SIC), 5800 zone a protezione speciale (ZPS), e 8300 ettari di parchi regionali;
    come confermato dalla Commissione europea, il corridoio autostradale Civitavecchia-Orte-Mestre non è ricompreso tra i corridoi infrastrutturali e intermodali considerati strategici per lo sviluppo delle vie di comunicazione in Europa ed è considerato solo come intervento secondario complementare allo sviluppo delle reti TEN-T;
    la strada statale 309 Romea, la cui gestione è in capo alla società ANAS spa, è stata classificata, come riportato dai rilevamenti statistici dell'ACI e dell'ISTAT, come una delle strade più pericolose d'Italia, secondo i parametri relativi al numero di incidenti stradali per chilometro e al numero di decessi per incidente;
    Governo, regione Veneto e ANAS spa demandano la risoluzione del problema legato alla insicurezza dell'arteria strada statale 309, alla realizzazione della nuova autostrada Orte-Mestre, parallela all'attuale Romea commerciale, ma il progetto preliminare approvato dal CIPE non contiene alcun provvedimento significativo diretto alla riqualificazione e messa in sicurezza della strada statale 309 Romea; inoltre, gli attuali flussi di traffico e le stime di quelli futuri che interesseranno la nuova autostrada Orte-Mestre non giustificano assolutamente la costruzione di una nuova tratta autostradale di questa portata: stando a quanto riportato da associazioni e comitati, i dati del traffico commerciale che interessa la Romea sarebbero infatti crollati dal 2008 circa del 30 per cento;
    la strada statale 309 Romea registrerebbe attualmente livelli di traffico bassissimi (circa 15-18 mila veicoli al giorno), inferiori a quelli della SR11 Brentana e quindi considerati tali da non poter giustificare la costruzione di un nuovo tracciato autostradale di circa 400 chilometri le cui previsioni dei flussi di traffico sarebbero, alla luce di questi dati, inattendibili e sovrastimati,

impegna il Governo

   a fronte delle gravi ripercussioni che la realizzazione della nuova autostrada comporterebbe in termini di consumo di suolo, aumento dell'inquinamento atmosferico ed acustico, aumento del rischio idrogeologico, danni al settore agricolo e turistico, e all'insussistenza di stime di traffico utili a giustificarla, ad assumere iniziative per il ritiro del progetto preliminare del corridoio di viabilità autostradale dorsale Civitavecchia-Orte-Mestre – Tratta E45-E55 (Orte-Mestre);
   ad assumere iniziative per avviare, in tempi rapidi, un programma di interventi urgente per la messa in sicurezza del tracciato dell'attuale strada statale 309 Romea e della superstrada E-45 finalizzato alla riqualificazione e al potenziamento delle infrastrutture esistenti, al fine di migliorare la viabilità è la sicurezza su queste arterie;
   ad aprire un tavolo di confronto, con le associazioni, i comitati, tutte le amministrazioni locali interessate dal tracciato, le associazioni di categoria, al fine di raccogliere debitamente le loro istanze ed individuare alternative più sostenibili dal punto di vista ambientale, economiche ed efficaci rispetto, alla realizzazione della nuova autostrada, sia sul breve che sul medio-lungo periodo.
(7-00431) «Busto, Spessotto, Daga, De Rosa, Mannino, Segoni, Terzoni, Zolezzi, Micillo, Vignaroli, Colonnese, Nesci, Cozzolino, Lorefice, Silvia Giordano, Dall'Osso, Dadone, Castelli, Dieni, Grande, Di Battista, Manlio Di Stefano, Sibilia, Di Benedetto, Brescia, Nicola Bianchi, Paolo Nicolò Romano, Liuzzi, Dell'Orco, Brugnerotto, D'Uva, Artini, Frusone, Corda, Basilio, Alberti, Pesco, Cancelleri, Villarosa, D'Incà, Businarolo, D'Ambrosio, Colletti, Baldassarre, Chimienti, Cominardi, Bechis, Tripiedi, Ciprini, Rizzetto, Da Villa, Gallinella, Lupo, Benedetti, Mucci, Gagnarli».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    il 10 luglio 1976 dallo stabilimento Icmesa di Meda (MB) fuoriuscì una nube altamente tossica contenente varie sostanze tra cui la molecola di tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD);
    studi immediatamente susseguenti al disastro ambientale provarono che la nube contaminò 1810 ettari di territorio nei comuni di Seveso (MB), Barlassina (MB), Cesano Maderno (MB), Meda (MB), Bovisio Masciago (MB) e Desio (MB);
    a seconda del grado di contaminazione riscontrato negli studi, l'area colpita dall'incidente venne suddivisa nelle zone A, B ed R, a contaminazione del suolo decrescente;
    negli anni successivi si susseguirono interventi di bonifica limitatamente alla zona A e studi epidemiologici sulla popolazione residente, nonché studi di valutazione dei rischi per la stessa popolazione;
    nonostante l'area B fu sottoposta ad un voluto trattamento di tipo agricolo al fine di diluire la diossina e favorirne la fotodegradazione, i livelli di diossina si mantenevano superiori ai limiti previsti per i siti con destinazione d'uso verde pubblico e residenziale ed anche industriale, e per tale motivo nuovi interventi su quelle aree richiedono, a tutt'oggi, l'effettuazione di indagini ed interventi previsti dal decreto legislativo 152 del 2006, richiesti anche specificatamente dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE);
    la Pedemontana Lombarda, detta anche sistema viabilistico pedemontano, è un insieme di tratte autostradali in fase di cantierizzazione che si sviluppa attraverso le province di Varese, Como, Monza-Brianza, Milano e Bergamo, per un totale di 86,7 chilometri di autostrada e 70 chilometri di nuova viabilità provinciale e comunale, comprendente anche le nuove tangenziali di Como e Varese;
    è in fase di ultimazione la tratta A e i primi lotti di tangenziali di Como e Varese del Sistema Viabilistico Pedemontano e sono appena iniziati i lavori della tratta B1 tra Lomazzo (Como) e Lentate sul Seveso (MB);
    i comuni di Bovisio Masciago e Desio disposti sulla progettata ma non ancora costruita tratta C, così come i Comuni di Barlassina, Meda, Seveso e Cesano Maderno disposti sulla progettata ma non ancora costruita tratta B2, sono tutti inclusi all'interno di aree classificate come contaminate a seguito del disastro dell'ICMESA;
    nella tratta B2, l'autostrada Pedemontana si spingerà all'interno del Parco naturale del «Bosco delle Querce» di Seveso e Meda, anch'esso a tutt'oggi contaminato dalla diossina di Seveso, ambito di memoria creato sulle due enormi vasche di contenimento nelle quali venne riposto tutto ciò che di contaminato era presente nella zona A, compreso il terreno rimosso e i macchinari utilizzati per la demolizione e gli scavi;
    nel periodo di primavera e autunno 2008, Pedemontana spa, con la supervisione di regione Lombardia, ARPA e in accordo con i comuni, ha effettuato campionamenti ed analisi a supporto del progetto definitivo. La prima ha evidenziato alcuni superamenti del limite industriale in 10 casi su 127 campioni, con una distribuzione prevalentemente superficiale degli inquinanti;
    nell'ottobre 2008, intorno ai punti di superamento si è condotto l'approfondimento che ha confermato i precedenti risultati, portando ad affermare la necessità di una maggior attenzione nella movimentazione dei terreni in fase di cantierizzazione;
    nell'anno 2011 è stato pubblicato lo studio: «Dioxin Exposur and CancerRisk in the Seveso Women's Health Study» che, prima volta per un'indagine epidemiologica, evidenzia che l'esposizione a diossina nel passato è significativamente relazionata all'incidenza di ogni tipo di cancro; tali evidenze sono conseguenza del fatto che il tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), più nota come «Diossina Seveso», la più pericolosa tra le circa 200 diossine stabili conosciute, sia un inquinante organico persistente, ovvero una sostanza chimica altamente tossica molto resistente alla decomposizione, tutt'ora presente a pochi centimetri di distanza dal terreno calpestabile nel sottosuolo delle zone sopra indicate;
    con l'opportunità di defiscalizzare l'opera che ad oggi risulta non essere interamente finanziata, è stato impostato un piano economico finanziario che permette di ridurre la ricapitalizzazione da 1,2 miliardi a 850 milioni di euro, garantendo la copertura per le sole tratte A e B1 sprovviste però delle per contratto previste compensazioni ambientali, senza alcuna certezza per le tratte B2, C e D;
    la società concessionaria ha deciso di gestire la direzione dei lavori al suo interno, in conseguenza delle difficoltà finanziarie riscontrate e del recente annullamento del bando per l'affidamento dell'incarico di direzione lavori per il secondo lotto della Pedemontana dove il concessionario ritiene di procedere per singole tratte in relazione alle disponibilità economiche;
    le ripetute aste per la cessione delle quote di provincia e comune di Milano della società Serravalle Spa che detiene il 78,97 per cento di Pedemontana Lombarda, tutte andate deserte, mette a rischio la realizzazione di Pedemontana stessa; vi è un minore interesse da parte degli istituti di credito a finanziare l'opera, in virtù della difficoltà a rientrare dai capitali investiti entro tempi certi;
    nell'ultima seduta del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) del 30 giugno 2014, non è stato destinato alcun finanziamento all'opera Pedemontana Lombarda come più parti politiche avevano invece previsto, in primis il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni;
    in data 3 aprile 2013, l'assessore alle infrastrutture e trasporti della regione Lombardia, Maurizio Del Tenno, ha dichiarato che «per Pedemontana sussistono sia problemi di carattere territoriali dovuti all'avanzamento dei cantieri come rumori, polveri e altro, sia criticità attinenti la certezza della complessiva realizzazione dell'opera»;
    i sindaci dei comuni disposti sulla tratta B1 e B2, hanno mostrato una più che evidente preoccupazione nel caso si dovesse completare la tratta B1 per l'inevitabile ed insostenibile congestionamento dell'esistente superstrada Milano-Meda causato dall'eccessivo traffico di veicoli provenienti dalle province di Como e Varese; gli stessi sindaci hanno denunciato, tra le numerose incongruenze, la mancanza delle compensazioni ambientali all'opera promesse dalla società Pedemontana;
    i cittadini dei comuni di Bovisio Masciago, Cesano Maderno, Seveso e Desio hanno rilevato, a loro dire, diversi profili di illegittimità del progetto definitivo della tratta B2 e hanno inoltrato al TAR due ricorsi contro la delibera di approvazione del CIPE (delibera del 6 novembre 2009, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 18 febbraio 2010), contestando che il progetto definitivo è stato modificato in sede di approvazione per la tratta B2, prevedendo la realizzazione del tracciato stradale fuori terra a differenza di quanto previsto dal progetto preliminare del marzo 2006 che prevedeva, invece, una soluzione in interrato, come altresì indicato da regione Lombardia con DGR VII/17643;
    tali modifiche non sono state assunte con il recepimento di prescrizioni o raccomandazioni impartite dal CIPE nel progetto preliminare, bensì derivano da scelte del collegio di vigilanza dell'accordo di programma, sottoscritto il 19 febbraio 2007;
    nel ricorso presentato si è evidenziata, inoltre, la violazione della normativa nazionale e comunitaria in materia di tutela ambientale e, in particolare, in relazione alla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) dei P/P e a quella di Valutazione d'impatto ambientale (VIA);
    il ricorso ha altresì evidenziato la più che discutibile approvazione della legge regionale 15 del 2008 denominata «Infrastrutture di interesse concorrente statale e regionale» che consente, «in deroga» alla legge regionale 60 del 1985, l'attraversamento dell'opera Pedemontana nel Parco naturale del Bosco delle Querce;
    gli stessi cittadini, inoltre, da sempre ritengono non sia opportuno eseguire lavori così invasivi per territorio ed intervenire su suoli così inquinati;
    la provincia di Monza e Brianza, interessata dal passaggio prossimo della mastodontica opera Pedemontana, risulta essere infatti quella con il più alto tasso di superficie urbanizzata d'Italia e il suo indice medio di consumo di suolo, calcolato come rapporto tra superficie urbanizzata e superficie totale, supera il 54 per cento;
    dall'inizio del concepimento dell'opera Pedemontana risalente agli anni ’50, il territorio interessato dal tracciato si è progressivamente deindustrializzato, l'inquinamento atmosferico aumentato e il suolo rapidamente urbanizzato con la logica conseguenza che gli scenari di mobilità che è oggi possibile prevedere non coincidono con i valori considerati per giustificare la realizzazione di quest'opera infrastrutturale, anche in ragione di un mutamento dei trasporti merci internazionali e interregionali,

impegna il Governo

ad intervenire al fine di limitare la realizzazione dell'opera infrastrutturale Pedemontana Lombarda – «Collegamento autostradale tra Dalmine, Como, Varese, Valico del Gaggiolo ed opere connesse», alla tratta A, tra lo svincolo di Cassano Magnago sulla A8 e lo svincolo di Lomazzo sulla A9 e le tangenziali di Varese e Como esclusivamente per i lotti in via di realizzazione così come individuati nel contratto sottoscritto il 26 agosto 2008 tra società Autostrada Pedemontana Lombarda e la società di progetto denominata Pedelombarda Sepa, e ad assumere iniziative per interrompere immediatamente i lavori appena iniziati della tratta B1, spostando le risorse economiche destinate alle tratte B1, B2, C e D verso investimenti di messa in sicurezza, risanamento e potenziamento del trasporto pubblico su ferro della regione Lombardia, previa attenta analisi delle reali necessità.
(7-00432) «Busto, Tripiedi, Daga, De Rosa, Mannino, Segoni, Terzoni, Zolezzi, Micillo, Carinelli, Manlio Di Stefano, Pesco, Alberti, Sorial, Caso, Toninelli, Cominardi, Ciprini, Rizzetto, Fico, Di Battista, Spessotto, Crippa, Castelli, Dell'Orco, Prodani, Cristian Iannuzzi, Gallinella, Vallascas, Paolo Bernini, Massimiliano Bernini, Liuzzi, D'Uva, Parentela, Cancelleri, Brugnerotto, Simone Valente, Marzana, Luigi Gallo, Battelli, Chimienti, Baldassarre, Turco, Villarosa».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 febbraio 1994 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 35 del 12 febbraio 1994 veniva dichiarato lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani della regione Campania ai sensi e per gli effetti dell'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225;
    con ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei ministri datato 7 ottobre 1994, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 237 del 10 ottobre 1994, veniva prorogato lo stato di emergenza precitato;
    con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 ottobre 1994, ulteriormente integrata con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 7 novembre 1994, venivano prorogati al prefetto di Napoli, fino al 31 dicembre 1995, i poteri di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 11 febbraio 1994, come modificati ed integrati con ordinanze 31 marzo 1994, 16 aprile 1994 e 23 giugno 1994;
    in data 6 dicembre 1994 il sub-commissario delegato viceprefetto di Avellino inviava al sindaco del comune di Ariano Irpino copia del provvedimento n. P00819/DIS datato 22 novembre 1994, con cui il prefetto di Napoli, delegato ex ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 7 ottobre 1994, aveva approvato il progetto nonché l'esecuzione di un impianto di trattamento di rifiuti nel comune di Ariano Irpino in località Difesa Grande;
    nel suddetto provvedimento si teneva conto che sulla base delle stime effettuate dalla regione Campania, assumendo una popolazione residente al 31 dicembre 1989 di circa 395.000 unità, nella provincia di Avellino venivano prodotte circa 238 tonnellate al giorno di rifiuti complessivamente tra solidi urbani, speciali assimilabili agli urbani e altri di cui al punto 4.2.2. della deliberazione assunta in data 27 luglio 1984 dal Comitato interministeriale di cui all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 915 del 1982;
    nel suddetto provvedimento si ritenevano la necessità, l'urgenza e l'opportunità della realizzazione in Irpinia di una discarica controllata di 1a categoria per lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti del tipo sopra specificato, al fine di fronteggiare la grave situazione di pericolo determinatasi nel territorio della regione Campania nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, con la conseguente deliberazione correlativamente assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta dell'11 febbraio 1994 dello stato di emergenza ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e nella successiva seduta del 7 ottobre 1994;
    nel suddetto provvedimento si prendeva atto che, in relazione al progetto fatto predisporre dalla società ASI-DEV-ECOLOGIA s.r.l. di Avellino concernente la realizzazione in una zona estesa per circa 40 ettari nel comune di Ariano Irpino, in località Difesa Grande, di una discarica di 1a categoria nella quale esercitare attività di stoccaggio e smaltimento della sopra riferita tipologia di rifiuti, il comitato tecnico, istituito ai sensi dell'articolo 3, comma 3 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 31 marzo 1994 innanzi citata, aveva espresso – in data 19 maggio 1994 – parere favorevole per l'approvazione;
    nel suddetto provvedimento si disponeva l'approvazione dell'esecuzione di un impianto di trattamento dei rifiuti che, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 17, comma 8, della legge della regione Campania 10 febbraio 1993, n. 10, era assimilato ad infrastruttura di servizio (secondo la tipologia di opere previste dalla regione Campania 31 ottobre 1978, n. 51) e dichiarato opera di pubblica utilità, urgente e indifferibile a cui far affluire, fino alla sua saturazione, e per un periodo di anni 2 e per il relativo smaltimento, i rifiuti di cui al punto 4.2.2. della deliberazione assunta dal Comitato interministeriale di cui all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 253 del 13 settembre 1954). Nell'impianto di cui sopra dovevano essere smaltiti i rifiuti delle tipologie sopra specificate, prodotti nel territorio della provincia di Avellino nonché in quei comuni della regione Campania indicati dal commissario;
    il progetto originario della discarica di Difesa Grande dalla capacità massima di 1.000.000 metri cubi di inerti veniva realizzato non solo senza apposita concessione edilizia, ma in violazione delle norme urbanistiche vigenti e in dispregio del vincolo idrogeologico e paesaggistico della zona, come risulta nella relazione conclusiva della Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse della Camera dei deputati (allegato A), approvata l'11 marzo 1996;
    il TAR della Campania, con sentenza n. 1635/96, dichiarava l'illegittimità sia dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 ottobre 1994 sia del decreto prefettizio n. P00819/DIS che autorizzava la realizzazione dell'impianto;
    nonostante l'impegno di chiusura del sito entro il 31 dicembre 1998 assunto dalla prefettura di Napoli in presenza del Ministro dell'interno fu l'allora sindaco di Ariano Irpino a disporre, con ordinanza n. 132 del 22 dicembre 1998, la chiusura della discarica per motivi di igiene pubblica con la contestuale ingiunzione all'ASI-DEV-ECOLOGIA di demolire gli impianti, ripristinando lo stato dei luoghi entro il termine di 90 giorni;
    a partire dal 1998 i due invasi risultavano già riempiti per oltre il doppio della capacità di conferimento progettualmente consentita, con enormi danni alla salute dei cittadini e alla salubrità dell'ambiente, in dispregio della vocazione agricola del territorio arianese e della sismicità della zona. Inoltre, numerosi e continui erano i cedimenti strutturali del telo di contenimento con fuoriuscita di percolato direttamente nel suolo e nel sottosuolo tant’è che sia l'allora ASL AV 1 sia l'Arpac di Avellino, dopo aver effettuato indagini di competenza, rilevavano il superamento del limite massimo di accettabilità della contaminazione nel terreno e nei pozzi spia nonché l'inquinamento delle acque da metalli pesanti. Nonostante ciò, l'apertura della discarica veniva prorogata;
    nel settembre del 2001 il dipartimento di prevenzione dell'ASL AV 1 dichiarava ex decreto ministeriale n. 471 del 1999 il sito inquinato chiedendo la messa in sicurezza dell'impianto e la bonifica dello stesso;
    nel marzo del 2002 il dipartimento di prevenzione e sanità pubblica dell'ASL AV1, con nota n. 376 del 12 marzo 2002, ribadiva lo stato di grave inquinamento del sito, precisando che la vasca principale riceveva il quadruplo dei rifiuti rispetto alla capacità per cui era stata progettata e per di più con l'utilizzo del sistema dell'abbancamento in sopraelevazione;
    la discarica, diventata vera e propria bomba ecologica di oltre 2 milioni di metri cubi di rifiuti interrati e abbancati in elevazione su un'area di circa 16.000 metri quadrati per oltre 23 metri di altezza, veniva chiusa temporaneamente dall'allora sindaco di Ariano Irpino con ordinanza, del 4 maggio 2002, mentre la procura della Repubblica di Ariano Irpino sottoponeva lo sversatoio a sequestro. Il commissario straordinario per l'emergenza rifiuti emanava, infine, un provvedimento di chiusura definitiva con l'ingiunzione della messa in sicurezza alla società ASI-DEV-ECOLOGIA;
    il commissario straordinario per l'emergenza rifiuti, con ordinanza n. 52, del 2003, disponeva la riapertura del sito sostenendo che, per l'avvio del progetto di bonifica, fosse necessario «livellare» le vasche di Difesa Grande, conferendovi un numero imprecisato di «ecoballe», cioè di rifiuti già trattati, sulla cui reale composizione, tuttavia, l'opinione pubblica ha sempre avanzato più che un dubbio;
    con ordinanza commissariale n. 96 del 2003 si autorizzava il prosieguo dell'attività di conferimento per 120 giorni, giustificandola con una presunta sistemazione finale e messa in sicurezza della discarica: dovevano essere sversati altri 100.000 metri cubi di frazione organica stabilizzata (fos) e sovvalli, ma in realtà si trattava di altre 142.000 tonnellate di rifiuti, pari a circa 160.000 metri cubi;
    nel marzo del 2004, il commissario all'emergenza rifiuti, vista la perdurante emergenza in Campania, decideva la riapertura di Difesa Grande, per 30 giorni e per un quantitativo non superiore a 60.000 tonnellate, promettendo chiusure e bonifiche. La popolazione arianese e dei comuni limitrofi dava vita ad una grande mobilitazione per la chiusura della discarica, sostenuta dalle associazioni ambientaliste e dai comitati civici locali e proseguita per mesi;
    il 7 giugno del 2004, il commissario all'emergenza rifiuti prendeva atto che, in tre mesi, erano stati comunque sversati più di 100.000 metri cubi di rifiuti e con ordinanza n. 122 disponeva la cessazione di ogni ulteriore smaltimento nella discarica di Difesa Grande;
    il 15 giugno del 2007, a causa di una nuova emergenza rifiuti in Campania, la discarica veniva aperta con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3596, per consentire l'abbancamento dei rifiuti per 20 giorni, chiudendo definitivamente il 9 luglio 2007;
    nella discarica sarebbero stati stoccati anche rifiuti indifferenziati, fanghi di depuratori civili e industriali, quintali di pneumatici triturati, medicinali scaduti, polveri di abbattimento dei fumi, ceneri da combustione, pile esauste, pitture e vernici di scarto;
    nella discarica sarebbero stati sversati circa trenta milioni di chilogrammi di fanghi provenienti dal CO.DI.SO. di Solofra, ossia residui chimici conciari ad alta concentrazione di cromo esavalente;
    la vicenda della discarica di Difesa Grande è stata caratterizzata da un susseguirsi di sequestri e dissequestri da parte della magistratura, dal coinvolgimento a vario titolo di quasi tutti i livelli istituzionali italiani e da un processo iniziato, dopo un esposto alla procura della Repubblica di Ariano Irpino da parte delle associazioni locali, nel maggio del 2011 con 25 persone accusate di reati come disastro ambientale, violazioni edilizie, alterazione delle bellezze naturali, omissione di atti di uffici, inquinamento di falde acquifere e smaltimento illegale di rifiuti solidi. Molti capi di imputazione sono andati, tuttavia, prescritti;
    soltanto alla fine del 2012 sono iniziati i lavori di carotaggio per la caratterizzazione della discarica e la bonifica: lavori, però, interrotti e mai conclusi nonostante lo stanziamento di 6.480.000 euro assegnati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare all'ASI-DEV-ECOLOGIA con accordo operativo del 18 luglio 2011,

impegna il Governo:

   a promuovere iniziative finalizzate a verificare, anche attraverso il comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, lo stato della discarica e il livello di inquinamento dei luoghi, con particolare riguardo alle acque dei pozzi spia, alle emissioni di biogas, al sistema di raccolta del percolato e alla situazione delle ecoballe esposte da un decennio alle intemperie;
   ad accertare, per quanto di competenza, le cause tecnico-operative ostative del mancato avvio della bonifica e soprattutto da chi, in che modo e per quale entità sia stato impiegato finora lo stanziamento di 6.480.000 euro concesso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il risanamento di Difesa Grande;
   a valutare l'opportunità di procedere all'inserimento della discarica di Difesa Grande nei siti di interesse nazionale (SIN) ex lege n. 426 del 9 dicembre 1998, così intervenendo direttamente, entro tempi certi, per la messa in sicurezza e la bonifica dell'intera area, nonché per il ripristino dei luoghi, prevedendo adeguati fondi al fine di consentire il completo risanamento di uno sversatoio il cui utilizzo, stabilito in origine in due anni, si è procrastinato per un decennio a danno della salute dei cittadini di Ariano Irpino e della salubrità dell'ambiente, anche attraverso opportuna caratterizzazione ed esame delle falde.
(7-00436) «Zolezzi, Sibilia, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Segoni, Terzoni».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    già dal mese di maggio 2014 si era accertato che con buona probabilità la grande produzione di vino sfuso spagnolo dell'ultima annata agraria avrebbe creato problemi sia allo stesso Stato della Spagna e sia agli altri Stati dell'Unione europea;
    sebbene infatti i dati delle vendite di vino spagnolo per il primo trimestre 2014 siano stati positivi (almeno per quanto concerne i volumi), il commercio di sfuso già in quel periodo soffriva una situazione di stallo;
    secondo l'Agenzia delle entrate della Spagna, infatti, tra gennaio e marzo, le vendite di vino sono cresciute del 16,3 per cento in volume (per un totale di 5,038 milioni di ettolitri), calando del solo 1,7 per cento in valore, per un fatturato totale di 572.400.000 euro;
    in tali circostanze, la più grande preoccupazione degli operatori del settore consisteva allora, ed ancora di più adesso, nel fatto che a pochi mesi dal nuovo raccolto le scorte avrebbero potuto essere così consistenti da non poter immagazzinare il vino nuovo;
    risulterebbe che attualmente circa 3 milioni di ettolitri del vino sfuso spagnolo siano divenuti una eccedenza di cui i produttori iberici devono disfarsi urgentemente. Va fatto presente al riguardo che prima che entrasse in vigore la nuova Organizzazione comune di mercato (OCM) del vino del 2008, avvenuta con il Regolamento (CE) n. 479/2008 relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo, in vigenza del Regolamento CE n. 1493/99, in corrispondenza di eccedenze di vino presso le cantine, si poteva ricorrere alla cosiddetta «distillazione di crisi», cui gli agricoltori potevano accedere tramite richiesta degli Stati interessati alla Commissione europea ed una volta accordata, per tale tipologia di distillazione venivano concessi determinati contributi comunitari in favore dei distillatori e dei viticoltori relativamente interessati;
    con il nuovo regime della Organizzazione comune di mercato introdotto nel 2008, per la distillazione di crisi non sono più stati riconosciuti aiuti pubblici, seppure per i primi quattro anni di nuovo regime (2008-2012), gli Stati membri avrebbero potuto ad ogni modo concedere aiuti ma in maniera progressivamente decrescente;
    la nuova Organizzazione comune di mercato vino 2008-2013, infatti, ha stabilito che poteva essere concesso un sostegno fino al 31 luglio 2012 per la distillazione volontaria o obbligatoria di eccedenze di vino decisa dagli Stati membri in casi giustificati di crisi, sia per ridurre o eliminare l'eccedenza e sia per garantire la continuità di rifornimento da un raccolto all'altro, ma entro una spesa massima limitata al 20 per cento della dotazione finanziaria nazionale nel primo anno, al 15 per cento nel secondo, al 10 per cento nel terzo e al 5 per cento nel quarto anno;
    si apprende dalle associazioni dei produttori di vino che le predette eccedenze della Spagna, pur di essere smaltite, starebbero per essere immesse sul mercato italiano a prezzi irrisori. Vi è pertanto un fortissimo allarme nei nostri operatori vitivinicoli in quanto una tale operazione creerebbe forti squilibri nel mercato interno e drastici abbattimenti dei prezzi delle uve e dei vini per la prossima vendemmia,

impegna il Governo:

   ad intraprendere ogni utile iniziativa, tra cui in particolare un monitoraggio specifico sugli andamenti commerciali nei mercati del vino, volta ad evitare che si possano verificare nel nostro paese possibili squilibri o fenomeni speculativi direttamente connessi a situazioni di crisi delle vendite di vini sfusi, come il caso delle eccedenze vinicole della Spagna che si vorrebbero introdurre a prezzi anomali e distorsivi sui mercati italiani;
   ad adottare le misure di competenza affinché situazioni di mercato non ordinarie nel settore vinicolo derivanti decisioni assunte da altri Stati membri dell'Unione europea nell'ambito del regime dell'organizzazione comune del mercato vitivinicolo, non comportino conseguenze o ripercussioni negative sui produttori vitivinicoli italiani e sulla stabilità dei prezzi delle uve e dei vini relativi alla prossima vendemmia italiana del 2014.
(7-00434) «Mongiello, Oliverio».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    da alcuni anni la direzione generale igiene e sicurezza degli alimenti e nutrizione del Ministero della salute autorizza, in «situazioni di emergenza sanitaria», alcuni prodotti fitosanitari in virtù dell'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009; negli ultimi anni, il ricorso a questa procedura di autorizzazione speciale in Italia è stato esponenziale: secondo quanto indicato sul sito del Ministero della salute sono 17 le istanze di «autorizzazioni eccezionali», ma in alcuni casi si vedono reiterare, di anno in anno, le stesse richieste per gli stessi prodotti e le stesse colture;
    la maggior parte di queste sostanze attive non sono più o non sono ancora autorizzate dall'Unione europea (dicloropropene, cloropicrina, propanile), e il meccanismo dell’«autorizzazione speciale» consente di non effettuare l'iter previsto dal sistema autorizzativo e la verifica dell'impatto (ambientale e sulla salute) non essendo, le richieste, corredate della documentazione necessaria a tali scopi;
    il PAN (piano di azione nazionale per l'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari), entrato in vigore il 13 febbraio 2014, all'articolo 5.6.1 indica che in caso di deroga non si può ricorrere comunque all'uso di prodotti fitosanitari che riportano in etichetta determinate frasi di rischio. All'articolo 5.6.2 indica che in ogni caso è comunque escluso l'utilizzo di prodotti fitosanitari classificati tossici e molto tossici o che riportano in etichetta determinate frasi di rischio; queste sigle della classe di rischio si trovano nelle schede di sicurezza, e solo raramente si trovano nell'etichetta del prodotto, riportandone solo alcune per esteso;
    le autorizzazioni eccezionali sono utilizzate, in particolare, per fitosanitari che nelle schede di sicurezza hanno principi attivi con classi di rischio nocive e tossiche per l'uomo e l'ambiente; tale rischio, molto spesso, è più che ridimensionato nelle etichette approvate con i decreti dirigenziali; l'atto 4/04948, ancora in attesa di risposta, riporta alcuni esempi di prodotti fitosanitari autorizzati nonostante il divieto del PAN;
    a parere dei presentatori i decreti non appaiono quindi conformi alla legge n. 150 del 2012 ed al PAN-2014, che proibisce l'utilizzo dei prodotti T+ (molto tossici), T (tossici) ed elenca le frasi di rischio per le quali vige il divieto di autorizzazione;
    il regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009 all'articolo 30, comma 1, indica che «uno Stato Membro può dare un'autorizzazione provvisoria se la Commissione non è giunta a una decisione entro 30 mesi dalla accettazione del applicazione – L'autorizzazione provvisoria ha validità per tre anni»;
    a giudizio dei presentatori l'articolo 30 del regolamento (CE) n. 1107/2009 è stato di fatto stravolto, visto che le autorizzazioni speciali si sono perpetuate ben oltre i 3 anni previsti; appare inoltre scorretto il reiterarsi annuale dell'emergenza che, diventando prassi, perde di fatto la sua caratteristica fondante, come pure rischia di diventare un abuso il ricorso, anno dopo anno, all'articolo 53 del regolamento (CE) n. 1107/2009, relativo a «situazioni di emergenza sanitaria»;
    in alcune regioni d'Italia (Veneto, Piemonte, Lombardia) i prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro vengono autorizzati ininterrottamente dal 2008 anno dopo anno per l'irrorazione aerea, nonostante l'articolo 9 della Direttiva 2009/128/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 14 agosto 2012 n. 150, lo vieti; e limiti la deroga solo in condizioni estremamente circoscritte e controllate, per esempio nel caso in cui non ci fossero alternative praticabili rispetto all'uso degli elicotteri oppure in caso di evidenti vantaggi per la salute umana e l'ambiente rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
    le autorizzazioni speciali annuali fanno riferimento al regolamento CE/1107/2009, che all'articolo 53 «situazioni di emergenza fitosanitaria» recita: «In deroga all'articolo 28, in circostanze particolari uno Stato membro può autorizzare, per non oltre centoventi giorni, l'immissione sul mercato di prodotti fitosanitari per un uso limitato e controllato, ove tale provvedimento appaia necessario a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»; a parere dei presentatori le deroghe si ispirano impropriamente a tale regolamento in quanto non sussisterebbero tale emergenza fitosanitaria e neppure la necessità del provvedimento di autorizzazione «a causa di un pericolo che non può essere contenuto in alcun altro modo ragionevole»;
    la normativa vigente, tra cui il PAN, indica una serie di misure di gestione dei rischi che i soggetti autorizzati e le autorità competenti devono attuare a tutela dell'ambiente e della popolazione, come per esempio l'obbligo di avviso preventivo dei residenti e le prescrizioni per la riduzione dell'effetto deriva; Il PAN esclude l'utilizzo di prodotti fitosanitari classificati tossici e molto tossici e/o che riportano in etichetta determinate frasi di rischio, presenti anche nei prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro;
    con atto n. 4/04886, ancora in attesa di risposta, si portava a conoscenza del Ministro la situazione della provincia di Treviso, dimostrando l'assenza delle condizioni che consentono la deroga in quanto vi sarebbero alternative praticabili, rispetto all'uso degli elicotteri, e inoltre l'irrorazione aerea non comporterebbe alcun vantaggio per la salute umana e l'ambiente, rispetto all'applicazione dei fitosanitari da terra;
    l'utilizzo dell'elicottero sarebbe giustificato dal fatto che la pendenza delle colline non consentirebbe i trattamenti da terra; ciononostante avvengono regolarmente (in stagione) tutti i trattamenti da terra raccomandati con cadenza quindicinale, come per esempio gli interventi antiperonosporici o acaricidi; l'irrorazione aerea sarebbe quindi l'alternativa praticabile, facendo quindi decadere la condizione che giustifica la deroga; a dimostrazione che le alternative sono possibili, 9 dei 15 comuni del consorzio DOCG Prosecco hanno vietato i trattamenti aerei sull'intera area comunale;
    nella provincia di Treviso, in alcuni comuni del consorzio DOCG Prosecco, zona nella quale avvengono spesso le irrorazioni aeree in deroga, le case, le scuole, gli orti privati, le strade, sono confinanti con i vigneti e pare che siano molte le segnalazioni di residenti e turisti che lamentano di essere stati «irrorati» insieme ai vigneti, di non essere stati avvisati preventivamente e di non essere mai stati informati del tempo di carenza di 48 ore, prima di poter accedere alla zona irrorata dall'elicottero; inoltre, nelle aree trattate non è mai stata posta adeguata e visibile segnalazione;
    considerando che la deriva della nuvola irrorata dai trattamenti a terra non è controllabile, a maggior ragione la deriva risulta ancor più incontrollabile, quando l'irrorazione avviene a 40 e più metri da terra e con correnti d'aria non misurabili; l'irrorazione aerea amplifica i rischi per la salute umana e l'ambiente in quanto le irrorazioni dall'elicottero ovviamente sono molto più invasive; la deriva dell'elicottero si estende oltre i limiti del vigneto in trattamento; grazie all'azione del vento le gocce più piccole vengono trasportate molto più lontano; quindi, a parere dei presentatori, l'irrorazione aerea non può rappresentare alcun vantaggio per la salute umana e l'ambiente rispetto all'applicazione di pesticidi a terra, facendo decadere la condizione che giustifica la deroga;
    a parere dei presentatori appare estremamente difficoltoso il rispetto delle prescrizioni specifiche di cui all'articolo A.4.5 del Pan, soprattutto per quanto riguarda il controllo del diametro medio delle gocce delle miscele irrorate e l'applicazione della scala di Beaufort, essendo prevista per misurazioni in pianura e non per le misurazioni in collina;
    i due prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro hanno una composizione che conosciamo solo in parte: l'85 per cento dell'Aviozolfo e il 20 per cento dell'Aviocaffaro; le percentuali sconosciute sono coformulanti, che la dottoressa Maristella Rubbiani, dell'ISS – Istituto Superiore di Sanità – definisce come «spesso più pericolosi dei principi attivi». A volte i principi attivi vengono registrati come coformulanti, e quindi sfuggono al controllo rendendo difficile la correlazione causa effetto, in caso d'intossicazione, non potendo sapere cosa fa più male, se il principio attivo studiato o il coformulante di cui non si conosce la natura ed il pericolo; entrambe i prodotti hanno frasi di rischio vietate dal Pan;
    con atto 4/05099 in attesa di risposta, si portava a conoscenza del Ministro una iniziativa dell'associazione WWF AltaMarca che ha proposto ai cittadini dei comuni dell'area DOCG Prosecco Conegliano Valdobbiadene di chiedere ai propri sindaci i dati relativi agli erbicidi utilizzati nelle aree urbane; dalle risposte ottenute dalle amministrazioni risulta che, come documentato nell'interrogazione citata, alcuni comuni abbiano utilizzato prodotti che il PAN vieta all'articolo A.5.6.1; lo stesso articolo prevede inoltre, nelle zone frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, il divieto dei trattamenti diserbanti, da sostituire con metodi alternativi;
    in alcuni comuni dell'area DOCG Prosecco Conegliano-Valdobbiadene, come per esempio il comune di Farra di Soligo, le abitazioni sono confinanti con i vigneti irrorati con erbicidi e fungicidi vietati dal PAN; anche il traffico pedonale e automobilistico è a diretto contatto con i vigneti irrorati; trattasi quindi di zone costantemente frequentate dalla popolazione e gruppi vulnerabili, come citati nel PAN all'articolo A.5.6; allo stesso articolo vengono indicate le misure per la riduzione dei rischi derivanti dall'impiego dei prodotti fitosanitari nelle aree frequentate dalla popolazione o gruppi vulnerabili, conferendo alle autorità locali competenti il potere di determinare misure più restrittive;
    a parere dei presentatori è evidente la mancanza di un controllo efficace sulle aree nelle quali il mezzo chimico può essere usato, che garantisca il rispetto della normativa vigente a tutela della salute dei cittadini e del loro ambiente; l'estrema vicinanza uomo-vigneti di fatto annulla la distinzione tra ambiente urbano e ambiente agricolo, che il PAN distingue; trattasi infatti di un unico ambiente nel quale le due entità coesistono, richiedendo, per questo, attenzioni particolari che, a parere degli interroganti, si traducono nell'utilizzo di mezzi non chimici e controllo biologico; anche a livello terminologico manca una adeguata definizione degli ambienti in cui è assente il confine agricolo/urbano; per esempio non è chiaro se i casi di vigneti a ridosso delle abitazioni siano da considerarsi ambiente urbano o agricolo; è altresì necessario definire in modo univoco chi siano concretamente le autorità locali competenti, che dovranno disporre del personale e dei mezzi di controllo del territorio; il cittadino infatti ha necessità di rivolgersi ad un'unica autorità ben definita, per sollecitare controlli puntuali ed eventualmente per segnalare infrazioni alla normativa vigente, con la certezza di avere risposte adeguate;
    il PAN, nell'indicare i divieti o le prescrizioni, fa più volte riferimento alle frasi di rischio indicate in etichetta, per esempio agli articoli A.5.6, A.5.6.1, A.5.6.2; anche le autorizzazioni in deroga dei prodotti fitosanitari, disposte dall'articolo 53 del regolamento (CE) 1107/2009, fanno riferimento alle etichette dei prodotti, che si trovano nel database dei prodotti fitosanitari del Ministero della salute e vengono allegate ai decreti dirigenziali;
    a parere dei presentatori il riferimento alle etichette è pericoloso e fuorviante, per l'utilizzatore e per il cittadino che volesse informarsi correttamente, in quanto le informazioni sono incomplete e quindi scorrette. Per esempio, riportano una parziale composizione dei prodotti (tralasciando spesso proprio i principi attivi maggiormente presenti nel preparato e i coformulanti) e solo alcune frasi di rischio, tralasciando inoltre le frasi R;
    con atto 4-05077, ancora in attesa di risposta, si riportavano alcuni esempi di dati riportati nelle etichette di alcuni prodotti, confrontati con i dati dette corrispettive schede di sicurezza del medesimo prodotto; dall'osservazione di numerose etichette messe a confronto con le schede di sicurezza si nota che le etichette indicano normalmente un solo componente della miscela e non sempre il più rappresentativo della tossicità o quello presente in maggior percentuale; inoltre le frasi di rischio sono riferite al componente dichiarato, mentre quelle relative ai componenti non citati (spesso i più pericolosi e/o maggiormente presenti nella miscela) sono tralasciate; in alcuni casi viene riportata una sola frase di rischio nonostante il prodotto ne abbia più di una; questo fatto appare più evidente in alcune etichette autorizzate in deroga con decreto dirigenziale; spesso le frasi di rischio mancanti in etichetta rientrano tra quelle vietate dal PAN; di fatto queste etichette ridimensionano la classe di rischio ben evidenziata, invece, nelle schede di sicurezza che riportano anche istruzioni dettagliate; informazioni che ogni utilizzatore deve assolutamente conoscere;
    a parere dei presentatori è di fondamentale importanza che, a tutela della salute pubblica e dell'ambiente, i riferimenti informativi a disposizione degli utilizzatori dei prodotti e dei cittadini, cui fa riferimento il Ministero e il PAN, siano affidabili e contengano tutte le informazioni complete e corrette sui prodotti fitosanitari,

impegna il Governo

   a interrompere immediatamente le autorizzazioni eccezionali dei prodotti fitosanitari vietati dal Pan;
   a riconsiderare le classi di rischio assegnate alle etichette, autorizzate con decreto dirigenziale, adeguandole alle classi di rischio indicate dalle schede di sicurezza;
   a ripensare l'iter di autorizzazione dei prodotti, sia in relazione ai criteri in base ai quali vengono emanate tali autorizzazioni e quindi alla relativa situazione di emergenza sanitaria, sia all'assunzione delle eventuali responsabilità, valutando di prediligere, in ogni caso, soluzioni alternative a quella dell'autorizzazione eccezionale che dovrebbe essere considerata l'ultima possibilità;
   ad integrare, in occasione del semestre di Presidenza italiana dell'unione europea, il piano di azione nazionale nelle parti in cui si fa riferimento alle frasi di rischio riportate in etichetta, aggiungendo il riferimento alle schede di sicurezza;
   a promuovere la revisione delle etichette dei prodotti fitosanitari, completando le parti relative alla composizione e alle frasi di rischio;
   ad allegare ai decreti dirigenziali, che autorizzano in deroga i prodotti fitosanitari, anche le schede di sicurezza, inserendole inoltre nel database ministeriale dei prodotti fitosanitari;
   a verificare la corretta e completa composizione dei prodotti fitosanitari e delle corrispondenti frasi di rischio, visibili nelle schede di sicurezza, preliminarmente all'eventuale autorizzazione in deroga dei prodotti;
   a interrompere le autorizzazioni dei prodotti Aviozolfo e Aviocaffaro per l'irrorazione aerea nonché a verificare la reale sussistenza delle condizioni che, ad oggi, hanno consentito le deroghe per tali autorizzazioni;
   a valutare la possibilità di rendere maggiormente stringente il ricorso a tali deroghe così da non alterare il vero significato di emergenza sanitaria che, a causa del continuo ricorso allo strumento della deroga, rischia di perdere completamente il suo significato e il suo scopo;
   a riconsiderare le prescrizioni specifiche di cui all'articolo A.4.5 del PAN, soprattutto per quanto riguarda il controllo del diametro medio delle gocce delle miscele irrorate e l'applicazione della scala di Beaufort, essendo prevista per misurazioni in pianura e non per le misurazioni in collina;
   a promuovere ed attuare tutte le misure affinché nei territori avvengano tutti i controlli necessari a garanzia del rispetto della normativa vigente e dell'attivazione di tutte le misure previste per la gestione dei rischi, a salvaguardia della salute umana e dell'ambiente;
   ad attuare tutte le azioni affinché le leggi attualmente in vigore in materia di prodotti fitosanitari siano rispettate in tutte le loro parti e indicare con maggior chiarezza chi siano le autorità preposte al controllo sulle sostanze utilizzate e al rispetto della normativa vigente, nonché i relativi ruoli e responsabilità;
   ad assumere iniziative dirette a definire un'unica autorità che sia di riferimento per i cittadini, con funzione di coordinamento di tutte le autorità di controllo previste nonché prevedere un implementazione del sistema di verifica sulla effettiva attività svolta dalle autorità locali competenti;
   ad attuare le misure di tutela a salvaguardia dell'uomo e del suo ambiente, nei territori in cui ambiente agricolo e urbano non abbiano confini definiti ma siano integrati, dando nuova definizione a questi ambienti.
(7-00435) «Benedetti, Gagnarli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   il compenso per la cosiddetta «copia privata», ovvero la riscossione da parte della SIAE di Royalty a favore di autori, artisti e produttori, sulla vendita di supporti/apparecchi vergini (attualmente: audiocassette, cd, videocassette, DVD, BLU RAY, USB, hardisk, memorie integrate in apparecchi multimediali audio video, masterizzatori, telefoni cellulari, tablet, e altro) in cambio della possibilità per il consumatore-persona fisica di registrare e riprodurre per uso esclusivamente personale opere protette dal diritto d'autore, è stato introdotto per la prima volta dalla legge 5 febbraio 1992, n. 93; gli articoli 9 e 41 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 68, hanno successivamente recato modifiche alla disciplina in materia;
   il decreto del Ministro per i beni e le attività culturali del 30 dicembre 2009 ha determinato per la prima volta il valore economico dei compensi/royalty che, soggetti ad una revisione triennale, devono/dovrebbero soprattutto tenere conto della diffusione di tale fenomeno «alla luce dell'innovazione tecnologica intervenuta nel periodo»;
   il decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo del 20 giugno 2014 ha recentemente rideterminato il compenso per la «riproduzione privata di fonogrammi» introducendo adeguamenti che sono apparsi iperbolici. In generale il provvedimento è stato diffusamente criticato in quanto frutto di una «periodicità» di natura remunerativa per altre categorie di lavoratori bloccata da anni, nonché disposto in una fase di declinante utilizzo di tale «abitudine», la copia privata, da parte dei privati per il diffondersi di metodi alternativi di fruizione legale dei contenuti, segnatamente lo «streaming»;
   tale provvedimento è stato giudicato, quindi, come una forma di «ristoro» ingiustificato e corporativo, sollecitato a più riprese e a gran voce dalla SIAE, a favore dei produttori/autori di contenuti, anch'essi colpiti dalla crisi economica così come tutti i cittadini e i lavoratori del nostro Paese, nonché dai più, considerato come un'ulteriore «tassa», e in aumento esponenziale, definita dalla magistratura stessa come «una prestazione patrimoniale imposta» assai simile, dunque, alle «tasse» e in assenza di qualsivoglia pregiudizio per autori, artisti e produttori anche soltanto potenziale e meritevole di essere indennizzato;
   la citata normativa, tuttavia, prevede l'esenzione dal pagamento delle royalty per «copia privata» laddove l'utilizzo dei supporti vergini avvenga, in particolare da parte di professionisti, società e pubbliche amministrazioni a fini esclusivamente professionali;
   per tale esonero-franchigia è previsto un sistema di esenzioni e rimborsi per la restituzione di quanto incassato da promuovere e gestire da parte della SIAE, che del tutto arbitrariamente e non avendone la potestà, ha fissato i termini per richiedere la retrocessione dei relativi importi in 90 giorni dalla fine del trimestre nel quale è stato versato l'equo compenso;
   al riguardo non può sussistere alcun dubbio che l'attrezzatura informatica e i supporti/apparecchi vergini acquistati dalle amministrazioni pubbliche siano finalizzati esclusivamente a scopo non privato e, per altro, è altrettanto noto quanto la pubblica amministrazione e, quindi, Ministeri, comuni, regioni, province, università, scuole, ospedali, forze di polizia, tribunali e ogni altra amministrazione dello Stato abbiano speso o investito nell'acquisto di computer e di supporti informatici;
   tuttavia non risulta che la SIAE abbia mai provveduto ad adempiere a quanto la normativa le impone, invece di trattenere somme che non avrebbe neppure dovuto incassare, né si è a conoscenza come affermato di recente dal consigliere SIAE dottore Luca Scordino che: «Per le pubbliche amministrazioni la quasi totalità dei prodotti sono commercializzati senza l'applicazione del compenso. E ciò, per effetto delle esenzioni ex ante...»;
   nel merito il sito della SIAE ad oggi riporta quanto segue: «Poiché è ancora in corso la definizione di protocolli applicativi con i soggetti obbligati alla corresponsione del compenso per copia privata e/o con le loro associazioni, che potranno prevedere eventuali diverse modalità di esenzione, è tuttora vigente il sistema dei rimborsi di seguito esposto» ed, inoltre, sempre nel sito, risulta anche contenuta apposita procedura con la quale, le pubbliche amministrazioni, dopo aver pagato l'equo compenso, possono richiederne il rimborso;
   egualmente, d'altra parte, nell'apposita sezione del sito dedicata alle esenzioni in essere, non c’è traccia di alcuna esenzione relativa alle vendite alle pubbliche amministrazioni –:
   se tale situazione, considerate anche le eventuali nonché rilevanti cifre in questione, sia mai stata valutata dal Governo;
   quali iniziative si intendano porre in essere per far eventualmente restituire dalla SIAE alla pubblica amministrazione quanto di diritto;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere per accertare le responsabilità delle eventuali mancate richieste di restituzione.
(2-00641) «Giancarlo Giordano, Fratoianni».

Interrogazioni a risposta scritta:


   BENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi è stata diffusa dagli organi di stampa la notizia relativa al mancato rinnovo del contratto di una docente dell'istituto comprensivo paritario «Sacro Cuore» di Trento, deciso a seguito di un colloquio tenutosi con la direttrice, durante il quale le sarebbero stati chiesti chiarimenti sul suo orientamento sessuale sulla base di indiscrezioni circolate nell'ambiente scolastico sulla sua presunta omosessualità;
   la direzione dell'istituto ha, dapprima, respinto l'accusa di discriminazione mossa dall'insegnante, affermando che la motivazione del mancato rinnovo contrattuale era legata a generici problemi di natura economica, per poi essere smentita dalle dichiarazioni della stessa madre superiora circa l'applicazione di valutazioni di carattere etico-morale a tutela dell'ambiente scolastico – così come riportato dai quotidiani;
   appare dunque evidente che attribuire la causa del mancato rinnovo del contratto a valutazioni di carattere etico-morale legate all'orientamento sessuale, sia da ritenere un grave atto di discriminazione, lesivo della dignità umana e dei principi costituzionali;
   alla luce di quanto accaduto, risulta indispensabile che le autorità competenti si attivino con la massima rapidità per verificare la sussistenza di atti discriminatori nei confronti di un'insegnate ritenuta del tutto adeguata e irreprensibile sotto il profilo professionale –:
   quali iniziative intenda assumere per garantire negli istituti scolastici il rispetto e la tutela dei principi costituzionali di uguaglianza e pari opportunità, affinché non si ripetano atti discriminatori, come quello riportato in premessa, basati sull'orientamento sessuale di un lavoratore. (4-05661)


   MARCO DI STEFANO e BRANDOLIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   i commi 304-305 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013 hanno introdotto una nuova procedura per la realizzazione e l'ammodernamento degli impianti sportivi, con particolare riguardo alla sicurezza degli stessi impianti e degli spettatori, tali interventi previsti dalla legge in parola debbono essere realizzati prioritariamente mediante recupero di impianti esistenti o relativamente ad impianti localizzati in aree già edificate. La realizzazione di nuovi impianti sportivi riveste il duplice effetto di promozione e sviluppo della pratica dello sport e di volano economico con significative ricadute occupazionali;
   nello specifico il comma 304 recita: «il soggetto che intende realizzare l'intervento presenta al comune interessato uno studio di fattibilità, a valere quale progetto preliminare, redatto tenendo conto delle indicazioni di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, e corredato di un piano economico-finanziario e dell'accordo con una o più associazioni o società sportive utilizzatrici in via prevalente. Lo studio di fattibilità non può prevedere altri tipi di intervento, salvo quelli strettamente funzionali alla fruibilità dell'impianto e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell'iniziativa e, concorrenti alla valorizzazione del territorio in termini sociali, occupazionali ed economici e comunque con esclusione della realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale. Il comune, previa conferenza di servizi preliminare convocata su istanza dell'interessato in ordine allo studio di fattibilità, ove ne valuti positivamente la rispondenza, dichiara, entro il termine di novanta giorni dalla presentazione dello studio medesimo, il pubblico interesse della proposta, motivando l'eventuale mancato rispetto delle priorità di cui al comma 305 ed eventualmente indicando le condizioni necessarie per ottenere i successivi atti di assenso sul progetto». Quindi una volta ottenuto da parte dell'amministrazione comunale competente «all'interesse pubblico alla proposta», «il soggetto proponente presenta al comune il progetto definitivo. Il comune, previa conferenza di servizi decisoria, alla quale sono chiamati a partecipare tutti i soggetti ordinariamente titolari di competenze in ordine al progetto presentato e che può richiedere al proponente modifiche al progetto strettamente necessarie, delibera in via definitiva sul progetto; la procedura deve concludersi entro centoventi giorni dalla presentazione del progetto. Ove il progetto comporti atti di competenza regionale, la conferenza di servizi è convocata dalla regione, che delibera entro centottanta giorni dalla presentazione del progetto. II provvedimento finale sostituisce ogni autorizzazione o permesso comunque denominato necessario alla realizzazione dell'opera e determina la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dell'opera medesima»; il successivo comma 305 recita: «Gli interventi di cui al comma 304, laddove possibile, sono realizzati prioritariamente mediante recupero di impianti esistenti o relativamente a impianti localizzati in aree già edificate»;
   nell'ambito dei predetti commi è pervenuto a Roma Capitale il 29 giugno 2014 da parte dei proponenti (Eurnova Srl, AS Roma Spa e AS Roma SPV, LLc) lo studio di fattibilità per la realizzazione di uno stadio di calcio da 60000 posti circa; l'area scelta per la realizzazione dello Stadio ha una grandezza di circa 55 ettari, ed è collocata nel quadrante sud di Roma, in particolare ricade nell'area dell'ex ippodromo di Tor di Valle;
   quindi Roma Capitale dovrà deliberare, entro il 27 agosto 2014 «l'interesse pubblico della proposta» la quale prevede anche la realizzazione, oltre che dello stadio, anche di spazi commerciali e sportivi per un totale di 341 milioni di euro;
   dall'analisi economica finanziaria presentata dai proponenti, si evince che a fronte di opere infrastrutturali necessarie alla riqualificazione e messa in sicurezza del quadrante oggetto della proposta, pari a euro 270 milioni di euro, i proponenti si faranno carico di soli 50 milioni di euro; per la sostenibilità economica e finanziaria dell'operazione la società proponente, in virtù dell'equivalenza economica consentita dal comma 304 ha chiesto di poter realizzare circa un milione di metri cubi con destinazione commerciale, direzionale, ricettivo; le suddette cubature sono in variante al piano regolatore generale di Roma Capitale approvato nel 2008;
   il comma 304 non esplicita chiaramente quali sono gli organi dell'amministrazione deputati a «deliberare» sull'interesse pubblico della proposta –:
   se si intendano assumere iniziative normative volte a chiarire la portata delle disposizioni contenute nei commi 304-305 dell'articolo 1 della legge n.147 del 2013, precisando in particolare se le procedure in questione, siano da considerarsi in deroga a tutte le leggi urbanistiche vigenti e quali siano gli organi deputati a «deliberare». (4-05676)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, PALAZZOTTO e SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 luglio 2014 l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNCHR) ha pubblicato il rapporto «Siriani rifugiati in Europa: che cosa può fare l'Europa per garantire protezione e solidarietà»;
   il suddetto rapporto illustra le condizioni dei profughi siriani e ne analizza, tra le altre cose, i flussi verso i Paesi europei;
   il rapporto stima che dall'inizio del conflitto solo il 4 per cento dei siriani hanno cercato asilo nei Paesi europei, esclusa la Turchia. Nel 2011 6.400 siriani avevano fatto domanda di asilo in Europa; 23.400 nel 2012; 51.500 nel 2013 e 30.700 da gennaio a maggio 2014;
   lo stesso UNCHR riporta la terribile condizione dei profughi nei paesi limitrofi alla Siria, Egitto, Libano, Iraq e Giordania che raccolgono il maggior numero di siriani in fuga dalla loro terra;
   di particolare gravità, in queste aree, la condizione femminile. Si stima che più di 145.000 famiglie siriane, circa un quarto di tutte le unità familiari, hanno per capofamiglia una donna che deve affrontare da sola la lotta per la sopravvivenza;
   i dettagli di questa particolare condizione sono riportati in uno specifico rapporto intitolato «Donne sole — la lotta per la sopravvivenza delle donne rifugiate siriane», che si basa sulle testimonianze dirette di 135 di queste donne, raccolte nel 2014;
   in questo secondo rapporto vengono illustrate le difficoltà maggiori delle profughe siriane nei Paesi limitrofi alla Siria, che avendo perso i loro compagni o parenti maschi prossimi, si trovano nella condizione di dover prendersi cure di tutte le necessità familiari;
   tra i problemi di maggior rilievo l'insufficienza delle risorse economiche ed alimentari per sostenere le proprie famiglie e gli abusi verbali e fisici ai quali vengono spesso sottoposte;
   altro aspetto drammatico della vicenda siriana è l'esodo verso le coste italiane. Si stima, infatti, che tra i migranti che approdano in Sicilia a bordo delle «carrette del mare» o che vengono soccorsi dalla unità della Marina militare nell'ambito della missione Mare Nostrum, quella siriana è una delle provenienze più frequenti;
   diverse inchieste giornalistiche, tra le quali una del settimanale L'Espresso del 16 ottobre 2013, hanno ben evidenziato come il nostro Paese sia ormai considerato dai profughi siriani una «seconda Libia», ossia una ulteriore tappa intermedia nel loro viaggio verso la speranza;
   nell'articolo de L'Espresso citato, a firma della giornalista Raffaella Cosentino, si fa riferimento anche ad una rete illegale sviluppatasi attorno al fenomeno migratorio della «seconda tappa». Si legge nell'inchiesta: «la microcriminalità offre diversi servizi in cambio di commissioni e lauti guadagni: ritirare soldi alla Western Union, prendere il biglietto dell'autobus o del treno, nel secondo caso viene chiesta una cifra più alta perché hanno bisogno di fornire il loro nome». Questo genere di «mediatori», ad avviso degli interroganti, proliferano dove lo Stato non è in grado di garantire percorsi legali per i profughi;
   circostanza analoga e più volte rappresentata anche per gli incidenti in mare occorsi ai migranti, che in assenza di corridoi umanitari sono costretti ad affidarsi ad organizzazioni criminali ed affrontare i rischi della traversata in condizioni al limite dell'umanità;
   il fenomeno della «seconda Libia» non riguarda però solo il nostro paese. Dal rapporto «Siriani rifugiati in Europa: che cosa può fare l'Europa per garantire protezione e solidarietà» dell'UNCHR — già citato — emerge come un elevato numero di siriani arriva in molti Stati europei con l'intenzione di proseguire il viaggio verso altre destinazioni. Le ragioni che spingono i siriani a proseguire il viaggio sono varie e complesse: vanno dalle condizioni di accoglienza inadeguate, alle difficoltà di accesso alla procedura di asilo, alla presenza di legami familiari in altri Paesi, alle (vere o presunte) prospettive di assistenza e integrazione migliori in altri Paesi –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia adottato o intenda adottare per far fronte al fenomeno illustrato e per potenziare le vie legali per i rifugiati siriani che giungono in Europa, anche alla luce dei doveri di solidarietà e delle responsabilità che scaturiscono dal diritto internazionale.
(5-03323)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSATO e GREGORI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 1o gennaio 2010, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2010, n. 30, all'articolo 4, ha autorizzato il Ministero degli affari esteri, in deroga alle disposizioni riguardanti il blocco del turn over, a procedere all'assunzione di fino a 35 segretari di legazione in prova, attraverso un concorso annuo, per ciascuno degli anni compresi nel quinquennio 2010-2014;
   sulla base di questa previsione normativa, negli anni, quindi, il Ministero ha bandito concorsi nel 2010, nel 2011, nel 2012 e, da ultimo, nel 2013;
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, ha introdotto per le amministrazioni dello Stato, anche quelle ad ordinamento autonomo, l'obbligo – per procedere all'indizione di un nuovo bando di concorso – di verifica dell'avvenuta immissione in servizio di tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti e dell'assenza di idonei collocati nelle graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1o gennaio 2007;
   questa novella normativa che è motivata anche – ma non solo – da esigenze di contenimento della spesa, è tesa a modificare la modalità di assunzione nelle pubbliche amministrazioni dello Stato a prescindere dalla loro capacità assunzionale sia essa dettata dalla norma generale o da una norma di settore;
   il legislatore ha inteso porre fine all'annoso problema della pendenza delle graduatorie, al mancato scorrimento delle graduatorie e al mancato utilizzo dei candidati risultati idonei all'interno delle graduatorie stesse (per le quali si ricorda la validità per legge di almeno tre anni, prorogata con decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, sino al 31 dicembre 2016);
   la circolare n. 5, del 21 novembre 2013, del Dipartimento della funzione pubblica, sottolinea che la previsione normativa contenuta nel decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, si applica a tutte le amministrazioni dello Stato e al punto 3.1 precisa che sullo scorrimento delle graduatorie degli idonei, vigenti e approvate dal 1o gennaio 2007, «c’è un vincolo, previsto dal legislatore, allo scorrimento delle stesse rispetto all'avvio di nuove procedure concorsuali», esplicitando le sole esclusioni del comparto sanità e del comparto scuola;
   il combinato disposto, quindi, tra il decreto-legge 1o gennaio 2010, n. 1, e il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, autorizzerebbe il Ministero degli affari esteri a procedere all'assunzione di fino ad un massimo di 35 unità annue, attraverso lo scorrimento delle graduatorie vigenti;
    una simile interpretazione è riconosciuta dalla sentenza TAR Lazio (Sezione 2) n. 10375, del 3 dicembre 2013, che ha confermato come il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, sia applicabile indistintamente a tutte le amministrazioni, senza limitazioni di carattere oggettivo o soggettivo;
   il Ministero degli affari esteri, invece, disapplicando la normativa sullo scorrimento delle graduatorie ha bandito un nuovo concorso nell'anno 2014;
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, non ha escluso alcun Ministero o alcuna amministrazione dello Stato dall'obbligo di scorrimento delle graduatorie, né esiste una norma di legge che esclude il Ministero degli affari esteri dall'applicazione delle norme sul pubblico impiego; non si capisce, quindi, su quale fonte normativa la direzione per le risorse e l'innovazione abbia bandito un nuovo concorso in vigenza di graduatorie, peraltro recenti, per i medesimi profili professionali;
   il Ministero, va precisato, ha assunto un comportamento contraddittorio con dette graduatorie in quanto: a) nel 2011 ha bandito un concorso per 29 posti anziché i 35 massimo consentiti in quanto ha deciso di assumere la restante parte del contingente attraverso lo scorrimento della graduatoria dell'anno precedente, b) il Dis (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, su indicazione del Ministero degli affari esteri, ricorre a dette graduatorie per il reclutamento nell'ambito della collaborazione istituzionale –:
   se i Ministri interrogati ritengano che l'amministrazione abbia violato il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, bandendo un nuovo concorso in vigenza di più graduatorie esistenti per i medesimi profili professionali;
   visti i ricorsi avanzati avverso i concorsi indetti in vigenza di graduatorie precedenti e che vedono il Ministero degli affari esteri parte in causa in questi procedimenti, come il Ministro intenda intervenire in autotutela al fine di evitare che risulti violata una norma di legge.
(4-05670)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni la stampa calabrese sta riportando più volte lamentele di turisti riguardanti un generale inquinamento delle coste nelle varie province calabresi;
    da anni Legambiente conduce una campagna – «Goletta Verde» – dedicata al monitoraggio ed all'informazione sullo stato di salute delle coste e delle acque italiane;
   secondo quanto denunciato dall'associazione il 21 luglio 2014, dopo aver esaminato e analizzato i dati relativi alle acque costiere calabresi anche grazie al contributo del COOU (Consorzio obbligatorio degli oli usati), la depurazione in Calabria rappresenta un'emergenza;
   dagli esami effettuati emerge che sui 24 punti monitorati ben 19 casi – in pratica l'80 per cento del totale – risultano «fortemente inquinati», giudizio che indica una carica batterica almeno due volte più alta di quella consentita dalla legge (decreto legislativo n. 116 del 2008 e decreto attuativo del 30 marzo 2010);
   quanto emerso dalle indagini di Legambiente, d'altronde, fa eco alla procedura d'infrazione (procedura n. 2014/2059 del 31 marzo 2014) aperta dall'Unione europea proprio alla vigilia della stagione balneare, per il mancato rispetto della direttiva comunitaria sul trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 91/271 CE), da cui emerge come la Calabria sia, a riguardo, tra le peggiori regioni italiane, poiché nella procedura si segnalano ben 129 agglomerati urbani calabresi in cui figurano «anomalie» sulla depurazione;
   come infatti confermato pure da Legambiente, i suddetti agglomerati risultano non conformi poiché una parte del carico di acque reflue generato o non confluisce nel sistema fognario o, se vi confluisce, non arriva all'impianto di trattamento;
   in altri casi, ancora, non risultano impianti costruiti;
   la succitata procedura, peraltro, arriva dopo già due condanne inflitte dall'Unione europea a carico del nostro Paese;
   al suddetto riguardo, si ricorda, per brevità, soltanto l'ultima in ordine temporale, del 19 luglio 2013, in cui la Corte di Giustizia europea condannò l'Italia per la mancata applicazione della direttiva 91/271 CE in oltre cento agglomerati italiani, 18 dei quali comprendevano circa 90 comuni calabresi;
   lo stato emergenziale delle coste calabresi è stata già ampiamente descritto e denunciato nel dettagliato rapporto stilato ancora da Legambiente il 20 aprile 2013, «Depurazione in Calabria: tempo (quasi) scaduto», da cui è emerso, sulla base dell'ultimo censimento ISTAT riguardante i «Sistemi sulle Indagini sulle Acque» (dati 2009), che solo il 49,9 per cento del carico inquinante è servito da un servizio di depurazione adeguato e in linea, appunto, con quanto previsto dalle direttive europee, inferiore alla già modesta media nazionale del 76 per cento e sotto la media delle regioni del Mezzogiorno, che si attesta intorno al 66 per cento;
   i motivi di tale criticità sono stati espressi in maniera chiara dalla relazione relativa all'attività svolta dalla direzione marittima della Calabria e della Basilicata Tirrenica del 2013, secondo cui «l'esame delle criticità riscontrate, valutate complessivamente con le risultanze dell'analisi programmatica dell'ambiente marino e costiero nella zona marittima di giurisdizione, ha messo in evidenza che l'inquinamento delle acque marine della Calabria deriva principalmente dal carente sistema fognario e depurativo»;
   dalla documentazione di Legambiente emerge che la peggiore copertura del servizio di depurazione è quella di Vibo Valentia con solo il 49,9 per cento di abitanti serviti da una adeguato sistema di depurazione;
   accanto ai problemi e alle criticità già ricordate, nel territorio vibonese si segnala anche la «pratica di mancato allaccio ai depuratori, che, restano cattedrali nel deserto e non vengono utilizzati», come emerso dalla relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Calabria, realizzata dalla competente Commissione parlamentare di inchiesta della XVI legislatura e approvata nel maggio 2011;
   nella succitata relazione si insiste sullo specifico «stato dell'arte» della provincia vibonese, da cui emerge ad esempio che «nel fiume Mesima confluiscono gli scarichi di 21 comuni [...] Dieci di questi comuni non risultano in possesso di impianti di depurazione, cinque comuni hanno impianti sottodimensionati o obsoleti. In alcuni dei restanti comuni, che risultano formalmente dotati di sistemi di depurazione, si registrano interi quartieri o frazioni privi di sistemi di collettamento». In altri casi (Briatico, Parghelia, Pizzo, Ricadi, Tropea) molti depuratori risultano privi di autorizzazione allo scarico, altri invece sono ancora sottoposti a sequestro giudiziario;
   la situazione testé descritta non sembra essere cambiata di una virgola, dato che dai controlli effettuati da Legambiente nella scorsa settimana è emerso che in provincia di Vibo Valentia, su sei punti monitorati, «fortemente inquinati» sono risultati Pizzo Calabro (foce del fiume Angitola, località Calamaio), Vibo Valentia (foce del fosso Sant'Anna, in località Bivona), Nicotera (foce torrente Britto), Joppolo (alla foce del torrente Mandricelle, presso spiaggia di Coccorino, in località Porticello) e Ricadi (foce fiumara Ruffa, in località Torre Ruffa);
   a Ricadi i tecnici di «Goletta Verde» hanno analizzato anche un altro punto (Cascatelle sulla spiaggia in località Formicoli), prelevando proprio un campione alla sorgente per verificarne la carica batterica, ma anche qui il risultato è stato «fortemente inquinato»;
   della questione si è occupata anche l'autorità giudiziaria che, l'8 luglio 2014, ha denunciato trenta sindaci dell'area vibonese per scarico abusivo, al termine di un'indagine a tappeto condotta dalla capitaneria di Porto di Vibo Marina che ha messo sotto osservazione gli impianti di depurazione del territorio provinciale, e da cui è emerso che i centri di Acquaro, Filandari, Francica, Gerocarne, Jonadi, Arena, Dasà, Dinami, Fabrizia, Filadelfia, Mileto, Nardodipace, Polia, San Calogero, Soriano, San Gregorio D'Ippona, San Nicola Da Crissa sono tutti sprovvisti di piattaforme;
   secondo la ricostruzione del quotidiano La Gazzetta del Sud del 9 luglio, «dai controlli sarebbe emersa una situazione disastrosa che richiederà anni prima di essere sanata. Di fronte ad un sistema depurativo che fa acqua da tutte le parti non bastano più le denunce e l'impegno della Capitaneria di porto»;
   secondo quanto ricostruito dalla stampa, la situazione sarebbe disastrosa: il servizio di depurazione nel vibonese coprirebbe solo il 40 per cento della popolazione; i reflui del 60 per cento degli abitanti scorrerebbe a mare o in fossi e torrenti; su 50 comuni della provini di Vibo ben 17 non sarebbero dotati di impianti (altri 7, invece, obsoleti); gran parte dei tronchi fognari scaricherebbero le proprie acque, senza alcun tipo di trattamento, nei corsi d'acqua che arrivano a mare;
   a tale situazione peraltro, come sembrerebbe emergere anche dalle indagini giudiziarie, fa da contraltare la mole di finanziamenti pubblici stanziati per completare, adeguare e ripristinare il sistema di fognatura e depurazione in Calabria;
   in totale, secondo i dati raccolti da Legambiente, tra fondi CIPE, POR, fondi del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e altri fondi strutturali, si parla di 717 milioni di euro stanziati negli ultimi dodici anni e, di questi, 42 circa per la provincia di Vibo Valentia –:
   se sia a conoscenza dei fatti suesposti;
   quali improcrastinabili e tempestive iniziative intenda assumere, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di monitorare il livello di inquinamento delle acque costiere calabresi, con particolare riferimento a quelle vibonesi;
   in che modo siano stati utilizzati i 717 milioni di euro di fondi pubblici ricordati in premessa e se i lavori finanziati siano o meno giunti a termine.
(4-05663)


   ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il comma 304, articolo 1, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), ha introdotto delle disposizioni volte a favorire l'ammodernamento o la costruzione di impianti sportivi;
   la lettera a) del suddetto comma 304 prevede – tra l'altro – che il soggetto che intende realizzare l'intervento debba presentare al comune interessato uno studio di fattibilità, a valere quale progetto preliminare, e corredato di un piano economico-finanziario e dell'accordo con una o più associazioni o società sportive utilizzatrici in via prevalente;
   il successivo comma 305 del medesimo articolo 1, della legge di stabilità dispone che i suddetti interventi per la realizzazione di impianti sportivi, «laddove possibile, sono realizzati prioritariamente mediante recupero di impianti esistenti o relativamente a impianti localizzati in aree già edificate.»;
   il 29 maggio 2014 ai sensi del suddetto articolo 1, comma 304, lettera a), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, è stato presentato dalla proprietà AS Roma e da rappresentanti del gruppo PARSITALIA al dipartimento pianificazione e attuazione urbanistica di Roma Capitale lo studio di fattibilità per la realizzazione del nuovo stadio della Roma nell'area di Tor di Valle;
   il comune di Roma previa conferenza di servizi preliminare dovrà esprimere entro il 27 agosto 2014 l'eventuale pubblico interesse dell'opera;
   si evidenzia che l'area, situata nell'ansa del Tevere, sarebbe classificata nel piano stralcio n. 5 del piano assetto idrogeologico della regione Lazio come area di esondazione, nonché direttamente interessata da vincoli paesaggistici volti al mantenimento e alla conservazione di paesaggi naturali e da altri vincoli di inedificabilità assoluta;
   secondo lo studio di fattibilità e per l'equilibrio economico finanziario dell'opera oltre all'impianto sportiva e le cubature commerciali ad esso collegate, verrebbero previsti circa 1 milione di metri cubi di nuova edificazione a destinazione uffici, alberghi e centri commerciali a compensazione delle opere di urbanizzazione ed infrastrutturazione a carico del privato;
   l'intervento così come proposto assume la rilevanza di una nuova centralità urbana dal forte peso urbanistico, in deroga al piano regolatore generale di Roma Capitale, con elevato consumo di suolo, destinato a produrre un forte impatto sull'ambiente e sull'assetto generale della mobilità di quadrante, grave ipoteca sul riconoscimento dell'interesse pubblico dell'opera –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dello studio di fattibilità presentato dalla proprietà AS Roma e da rappresentanti del gruppo PARSITALIA per la realizzazione del nuovo stadio della AS Roma nell'area di Tor di Valle, di quali elementi dispongano sul rispetto dei vincoli paesaggistici e se siano state stimate, anche per il tramite dell'autorità di bacino, le ricadute sul sistema idrogeologico dell'area sulla quale insisterebbe l'impianto. (4-05679)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PES. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la necropoli di Tuvixeddu è la più grande necropoli fenicio-punica ancora esistente, si estende per 25 ettari all'interno della città di Cagliari, su tutto il colle omonimo, in essa si trovano diverse tombe scavate nel calcare, in particolare del tipo a pozzo;
   a seguito di alcune ricerche presso la soprintendenza per beni archeologici per le province di Cagliari e di Oristano, risulta che le condizioni in cui versa il sito sono molto critiche e necessiterebbero di urgenti interventi strutturali di conservazione, che gli uffici tecnici di tutela hanno già predisposto con un progetto di restauro e valorizzazione di un primo lotto funzionale, collocato nell'area più vicina alla zona di accesso al pubblico, la cui previsione di spesa ammonta a circa 3,5 milioni di euro;
   le condizioni precarie dell'area archeologica suddetta, non solo sono note nel nostro Paese, ma anche all'estero e non a caso la stampa francese sul quotidiano «Le Figarò» il 7 marzo 2014 ha dedicato un articolo sul degrado di alcuni siti archeologici e monumenti italiani, definiti «in allarme rosso», tra cui il sito della necropoli di Tuvixeddu;
   nelle stesse condizioni si trova l'area archeologica di Sulky a Sant'Antioco, un'altra importante porzione di necropoli di età fenicia e punica, con tombe a camera ipogea fra le più interessanti della civiltà fenicia, che attualmente non è accessibile al pubblico; anche per questo sito, sono urgenti interventi di messa in sicurezza e valorizzazione, il cui progetto ammonterebbe a circa 700.000 euro, per un'auspicabile apertura a studiosi e turisti che desiderano visitarla;
   sono precarie anche le condizioni dell'area archeologica di Bithia, fra le città fenice più importanti della costa meridionale della Sardegna, la cui conoscenza è molto frammentaria e solo recentemente, con un progetto di quattro campagne di scavo, congiunto tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e il comune Domus de Maria, è stata messa in luce la struttura di accesso all'acropoli della città, che appartiene all'architettura dal carattere scenografico di tradizione ellenistico-romana;
   il contesto paesaggistico di Bithia la colloca tra le baie più belle della Sardegna, meta turistica che potrebbe essere incrementata anche da necessari interventi di restauro, consolidamento e valorizzazione dell'area suddetta, i cui oneri ammonterebbero a circa 200,000 euro, tali da offrire ai visitatori uno straordinario e imponente spaccato dell'area urbana –:
   quali misure urgenti intenda adottare per salvaguardare i siti suddetti di grande interesse e valore culturale che possono essere considerati di priorità strategica per lo sviluppo della cultura e del turismo del nostro Paese;
   se possa valutare l'opportunità di favorire le opere necessarie e urgenti per i siti di Tuvixeddu, Sulky e Bithia, di estrema, importanza anche ai fini del consolidamento della Candidatura della Costa dei Fenici quale sito UNESCO, in considerazione anche dell'accoglimento da parte del Governo dell'ordine del giorno dell'interrogante per un impegno a porre maggiore attenzione ai siti archeologici presenti nelle due isole maggiori posto all'articolo 7 «Piano strategico Grandi progetti beni Culturali e altre misure urgenti (..)» del decreto-legge 83 del 2014, in sede di conversione in legge. (5-03327)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARCHETTI e MORANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con gli interventi di spending review attuati da ultimo con il decreto legge n. 66 del 2014 si sta provvedendo alla riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT), in base al quale esso è tenuto a dotarsi di un nuovo regolamento di organizzazione che recepisca le riduzioni di pianta organica. Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo adempie a tale obbligo e ridisegna se stesso in modo innovativo, riducendo le figure dirigenziali;
   l'adeguamento ai numeri della spending review può essere per tale settore un'opportunità per intervenire sull'organizzazione del Ministero e porre rimedio ad alcuni problemi che da decenni segnano l'amministrazione dei beni culturali e del turismo in Italia;
   il Ministro interrogato ha presentato la proposta di riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che prevede importanti innovazioni per tutto il settore e tenta di risolvere disfunzioni e lacune riconosciute ed evidenziate dagli addetti ai lavori come:
    a) la assoluta mancanza di integrazione tra i due ambiti di intervento del Ministero, la cultura e il turismo;
    b) la eccessiva moltiplicazione delle linee di comando e le numerose duplicazioni tra centro e periferia;
    c) il congestionamento dell'amministrazione centrale, ingessata anche dai tagli operati negli ultimi anni;
    d) la cronica carenza di autonomia dei musei italiani, che ne limitano grandemente le potenzialità;
    e) il ritardo del Ministero nelle politiche di innovazione e di formazione;
   è positivo che il Governo voglia risolvere l’«ingorgo» burocratico venutosi a creare negli anni a causa della moltiplicazione delle linee di comando e dei frequenti conflitti tra direzioni regionali e soprintendenze, ripensando l'amministrazione periferica e mantenendo, secondo quanto previsto dall'ipotesi di riforma dell'amministrazione centrale, il livello regionale quale ambito ottimale di riferimento;
   nel decreto, nel rispetto della distribuzione territoriale, si prevede che vengano quindi accorpate le soprintendenze per i beni storico-artistici (quale è Urbino) con quelle per i beni architettonici e paesaggistici (quale è Ancona);
   la Galleria nazionale delle Marche non è stata inclusa tra i 20 siti museali ai quali è stato riconosciuto lo status amministrativo di «musei di rilevante interesse nazionale», né di prima fascia né di seconda fascia e verranno creati a livello regionale dei poli museali regionali, articolazioni periferiche della direzione generali Musei –:
   cosa intende fare il Governo per valorizzare la città di Urbino, ad oggi patrimonio dell'umanità dell'Unesco, prevedendo magari l'introduzione della Galleria nazionale delle Marche tra i 20 musei di interesse nazionale ovvero se intenda individuare l'ubicazione dell'unica soprintendenza della regione nella città di Urbino. (4-05666)


   CARBONE, BRUNO BOSSIO, CENSORE, AIELLO, COVELLO, BONACCORSI, FANUCCI, PARRINI, GINEFRA, GRIMOLDI, PIERDOMENICO MARTINO, LATTUCA, LAINATI, MANTERO, STUMPO, ASCANI, FIORONI, ROSTAN, AMENDOLA, LEVA, SANI, PELUFFO, BINI, BENAMATI, MALPEZZI, RAMPI, TULLO, CINZIA MARIA FONTANA, MARTELLI, MARCO MELONI, BOSSA, MURER, ROSATO, VENITTELLI, CARNEVALI, MASSA, LODOLINI, GRASSI, D'OTTAVIO, MAGORNO, OLIVERIO, MARCHETTI, MINNUCCI, PELILLO, REALACCI, MORANI, SANTELLI, CALABRIA, FREGOLENT, CAROCCI, BOCCUZZI, MICHELE BORDO, CAMPANA, MARCO DI STEFANO e PALESE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato nel proprio bilancio relativo all'esercizio, approvato nei giorni scorsi dalla società e trasmesso alle autorità di vigilanza destinatarie della presente interrogazione, la SIAE nel 2013 ha raccolto quasi 100 milioni di euro (86,6 per la precisione) in meno di quelli che raccoglieva nel 2008 e oltre 30 milioni in meno di quelli raccolti, nel 2010;
   in particolare la Società ha raccolto, a titolo di diritto d'autore, appena 523 milioni di euro a fronte di costi di gestione superiori a 183 milioni di euro;
   il rapporto tra il valore della produzione e i costi di produzione, nell'esercizio 2013 è stato di segno negativo per oltre 27 milioni di euro;
   l'utile di esercizio è stato di 1,5 milioni di euro;
   tale utile, tuttavia, non vi sarebbe stato e la società avrebbe chiuso il proprio bilancio con una perdita di oltre 60 milioni di euro se non avesse incassato oltre 35 milioni di euro per proventi finanziari ed un analogo importo quale corrispettivo di servizi – estranei all'intermediazione e gestione dei diritti d'autore – erogati in favore dell'Agenzia delle entrate, dell'Agenzia dei monopoli di Stato e di altri enti;
   i ricavi finanziari della società sono essenzialmente dovuti alla circostanza che la SIAE trattiene, in deposito, per periodi di tempo che appaiono agli interroganti abnormi, centinaia di milioni di euro destinati agli autori ed editori, ottenendone così ingenti interessi ed acquisendo l'opportunità di compiere rilevanti investimenti finanziari;
   l'impressione che si ricava dall'esame dell'ultimo bilancio di esercizio è che la società sia in una condizione di palese inefficienza e che la sua precaria stabilità economica sia esclusivamente dovuta a proventi estranei – se non addirittura incompatibili – con la gestione ed intermediazione dei diritti d'autore –:
   se il Ministro interrogato intenda approvare il bilancio loro trasmesso e quali iniziative intenda intraprendere in ordine alla circostanza che:
    a) la società alla quale lo Stato affida, in regime di sostanziale monopolio, la gestione e l'intermediazione dei diritti d'autore di oltre 100 mila autori italiani e di migliaia di editori si mostri palesemente inefficiente ed inidonea allo svolgimento di tali attività;
    b) la società imponga agli autori ed editori italiani di sostenere costi abnormi, superiori ai 100 milioni di euro – tra provvigioni (quasi 90 milioni), quote sociali (oltre 13 milioni) e rimborsi costi di gestione del discusso equo compenso per copia privata (quasi 5 milioni di euro) – nel solo 2013, per garantire loro, la raccolta di importi che, nella maggioranza dei casi, non coprono neppure il valore della quota sociale annuale che sono costretti a versare –:
   se sia a conoscenza o se ritenga di acquisire conoscenza dalla SIAE circa le seguenti circostanze relative alla gestione degli ingenti importi che la SIAE incassa ogni anno a titolo di cosiddetto equo compenso per copia privata:
    a) a quanto ammonterà l'importo che la SIAE tratterrà, a titolo di cosiddetto «rimborso per costi di gestione», sugli oltre 150 milioni di euro che si stima incasserà annualmente, dal prossimo anno, a titolo di equo compenso per copia privata a seguito dell'entrata in vigore del decreto sull'aggiornamento delle relative tariffe e come tale importo è stato determinato;
    b) a quanto ammonteranno i proventi finanziari che SIAE incasserà per effetto della gestione ed intermediazione del citato importo;
    c) come SIAE procederà a ripartire tra i propri associati la quota di propria spettanza di quanto complessivamente raccolto a titolo di equo compenso per copia privata;
    d) se alla luce di tali elementi il Governo ritenga necessaria una profonda riforma di SIAE. (4-05675)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   BENEDETTI, BASILIO, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, CRISTIAN IANNUZZI, BUSTO e RIZZETTO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'utilizzo di sonar particolarmente potenti, come quelli militari, può confondere e danneggiare il sistema di rilevamento di diverse specie marine, rendendo alle stesse impossibile cibarsi, accoppiarsi o addirittura facendole arenare sulle spiagge. La letteratura scientifica documenta che l'affondo sonoro dei sonar militari spaventa i cetacei e li spinge ad una risalita troppo rapida, in cui trovano frequentemente la morte;
   i sistemi sonar civili e militari interferiscono con i sonar naturali utilizzati dai mammiferi per comunicare tra loro, per orientarsi e per cacciare, tale inquinamento acustico assorderebbe i cetacei, disorientandoli e portandoli a spiaggiarsi. I sonar utilizzati dalle flotte militari potrebbero rappresentare un rischio molto più serio per i cetacei di quanto precedentemente immaginato, essi rappresentano un disturbo grave in quanto i mammiferi marini investiti dalla violenza di queste onde acustiche schizzano verso l'alto in preda al panico, tanto velocemente da sviluppare un embolo che spesso risulta mortale;
   negli scorsi anni la Nato è stata autorizzata a sperimentare attrezzature sonar subacquee addirittura nelle acque di Pianosa, nel parco dell'Arcipelago Toscano e dentro il Santuario dei Cetacei, violando le previste misure di protezione, tra le quali il divieto di catture deliberate e di turbative intenzionali per motivi di ricerca e la lotta contro l'inquinamento;
   l'operazione militare Proud Manta 11, svoltasi nel febbraio 2011 al largo delle coste orientali della Sicilia, considerata la principale esercitazione per la lotta antisommergibile organizzata dalla Nato ha impiegato sei sommergibili e sofisticate apparecchiature sonar. Scopo dell'esercitazione era addestrare gli equipaggi nelle tattiche anti-sommergibile e nelle operazioni per il contrasto alle attività illecite perpetrate via mare con particolare attenzione all'antiterrorismo. La Proud Manta 11 rappresenta la continuazione delle esercitazioni della precedente serie, denominata Noble Manta, grazie alla quale le marine dei Paesi membri hanno l'opportunità di sperimentare nuove tecnologie e tattiche nell'ambito della lotta sotto la superficie marina;
   Greenpeace, insieme al velista Giovanni Soldini, denunciò lo spiaggiamento di due cetacei, due rari esemplari di zifio, sulle coste vicino Siracusa, avvenuta proprio mentre era in corso questa esercitazione della Nato che usava apparecchiature sonar. Greenpeace ha dichiarato che i sonar militari possono provocare effetti sui cetacei fino a 100 chilometri di distanza, producendo non solo disorientamento, ma molto spesso danni fisici che possono causarne anche la morte;
   l'esperimento del team di ricerca anglo-americano facente parte del Cto-Cmre di La Spezia (Centre for Maritime Research and Experimentation Nato Science and technology organisation), una sezione di ricerca della Nato, ha prodotto risultati chiari: l'impiego dei sonar per le esercitazioni militari produce un cambiamento nel comportamento dei cetacei; le frequenze dei dispositivi emettono suoni di elevata intensità sott'acqua che disturbano la comunicazione di questi animali, provocando un'estensione dei tempi di immersione e il successivo intervallo di non foraggiamento;
   lo strumento utilizzato nella caccia ai sottomarini si chiama Surtass (surveillance towed array sensor system) e viene usato per setacciare l'ottanta per cento delle acque mondiali. La marina sottolinea che il Surtass trasmette a basse frequenze, che tra l'altro sono le stesse usate dalle balene per comunicare, ma il suono verrebbe comunque trasmesso a più di 180 decibel, livello che molti studiosi ritengono sufficiente per arrecare danni fisiologici, e gruppi di ecologisti come il Natural resources defense council, chiedono alla marina statunitense di dimostrare la sicurezza ambientale del programma;
   l'inquinamento acustico marino è un fenomeno che in questi ultimi anni ha avuto un grande incremento, secondo la NOAA, l'Agenzia federale degli Stati Uniti che si occupa dello stato di salute degli oceani e dell'aria, e la nuova tecnologia sonar utilizzata sia per la mappatura del fondo dell'oceano che per l'individuazione di bersagli sottomarini, emette vibrazioni sonore percettibili fino a centinaia di chilometri di distanza. Quando una specie più sensibile come le balene o i delfini, si trova in prossimità dell'emissione del rumore subisce un vero e proprio trauma che la spinge ad una fuga precipitosa, fatale quando è diretta verso la superficie del mare. I cetacei infatti sono estremamente dipendenti dall'udito per la loro sopravvivenza –:
   se la marina militare italiana abbia intrapreso studi di sistemi di rilevamento che permettano di avvistare in tempo i cetacei evitando le grandi ripercussioni sopra esposte;
   se sia possibile porre restrizioni sull'utilizzo dei sistemi di prospezione con radar ad alta e bassa frequenza data l'estrema sensibilità dimostrata di questi animali ai disturbi sonori;
   per quali motivi vengano autorizzate esercitazioni militari pericolose per i cetacei in aree protette come il Santuario dei cetacei e quali misure si intendano attuare a salvaguardia delle aree marine di protezione espressamente istituite. (4-05668)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Sogin S.p.A. è partecipata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e il suo compito è quello di smaltire i rifiuti nucleari degli impianti italiani, un'attività di grande importanza per garantire la sicurezza dei cittadini, salvaguardare l'ambiente e tutelare le generazioni future;
   nella determinazione n. 21/2013, recante la «Relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Società gestione impianti nucleari (SO.G.I.N. S.p.A.), per l'esercizio 2011», la Corte dei conti, in sezione di controllo sugli enti, ha precisato che: «Nel complesso, la SO.G.I.N. è passata dal 4 per cento di avanzamento delle attività di smantellamento a fine 2007 (0,6 per cento annuo), al 12 per cento a fine 2011, con una media di circa il 2 per cento annuo»;
   a causa dei continui rallentamenti dei lavori, secondo la «Relazione sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia e sulle attività connesse», approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella seduta del 18 dicembre 2012, la spesa prevista attualmente è di 6,7 miliardi di euro. Per questi motivi il Movimento 5 Stelle, con l'interrogazione parlamentare n. 3-00335 a prima firma del senatore Girotto, a settembre 2013 aveva chiesto al Governo la definizione di un nuovo metodo di finanziamento i cui oneri non fossero posti a carico dei clienti finali del sistema elettrico;
   ogni anno Sogin spende milioni di euro in consulenze distribuite tra avvocati, ingegneri, tecnici e professionisti; i cronoprogrammi delle sue attività di smantellamento delle centrali nucleari e degli impianti avviati nel 2001 prevedevano il rilascio «a prato verde» dei siti nel 2020, a fronte di un costo previsto di 4,5 miliardi di euro, quasi interamente a carico dei contribuenti grazie al sovrapprezzo della bolletta elettrica;
   nella lista di incarichi, collaborazioni e consulenze di Sogin tra il 2012 e il 2014 compare l'avvocato Stefano Previti, figlio di Cesare Previti, il quale fu pagato il 28 gennaio 2013 per un incarico di consulenza da 6 mila euro per «assistenza legale stragiudiziale»;
   tra i consulenti legali figura anche Donato Bruno, avvocato, senatore di Forza Italia, che nelle intercettazioni dell'inchiesta sull'Expo (allargata ai lavori per il nucleare) viene indicato da Gianstefano Frigerio come «un altro amico» e quindi come parte della «squadra» composta anche da «Gianni Letta e Cesare Previti», in grado di condizionare le nomine nelle società pubbliche come Terna e Alitalia. Il 7 marzo del 2013 Donato Bruno, in qualità di legale, ha ricevuto dalla Sogin un incarico di consulenza da 30 mila euro per una non meglio precisata «assistenza legale stragiudiziale». Da notizie di stampa si apprende inoltre che Donato Bruno è compreso fra i possibili candidati ai due posti vacanti della Corte costituzionale;
   appare quanto mai singolare che le decine di consulenze legali esterne richieste dalla Sogin S.p.A. nel 2012 e 2013 si siano ridotte a una soltanto nel 2014, affidata all'avvocato Lorenzo Parola, per poco meno di 11 mila euro. Non si comprende come mai la necessità di trovare accordi e comporre liti fuori dai tribunali (assistenza legale stragiudiziale) sia stata tanto forte negli anni precedenti e sia praticamente cessata nel 2014 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   se il Governo abbia verificato che le consulenze richieste dalla Sogin siano state tutte legittime e, in caso contrario, se ritenga opportuno informare la Corte dei Conti per accertare possibili profili di responsabilità al fine del ristoro degli eventuali danni subiti;
   se il Governo reputi necessario assumere iniziative per cambiare le modalità di finanziamento passando dall'attuale sistema di prelievo sulla bolletta elettrica a carico dei cittadini ad un sistema che consenta di erogare finanziamenti solamente in relazione allo stato di avanzamento dei lavori, in tal modo beneficiandone sia lo Stato sia soprattutto, i cittadini. (5-03331)

Interrogazione a risposta scritta:


   CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la situazione delle carceri italiane viola i diritti dei detenuti e l'Italia è obbligata a risolvere il problema entro il maggio del 2014, questo è il monito della condanna della Corte europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo;
   la popolazione carceraria non è fatta di soli detenuti, e delle condizioni di detenzione e del sovraffollamento ne fa le spese anche il personale della polizia penitenziaria in servizio presso le carceri italiane;
   dal 2000, fa sapere Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, si sono consumati all'interno del corpo cento suicidi;
   considerato che il lavoro degli agenti di polizia penitenziaria è un lavoro usurante come pochi, perché il carcere è terra di frontiera e di contraddizioni, accanto a una esposizione diretta al rischio c’è la percezione del dolore altrui che non può non colpire la sensibilità;
   dagli ultimi dati disponibili risalenti a circa un anno fa, emerge che la carenza di dirigenti era del 22,1 per cento (non a caso in molti istituti manca proprio il direttore), quella degli ex educatori, oggi funzionari giuridico-pedagogici, del 27,2 per cento, quella di assistenti sociali addirittura del 35,1 per cento;
   la carenza del personale di polizia penitenziaria, come recita il report dell'osservatorio Antigone è «solo» dell'8,9 per cento, che tradotto in numeri significano circa 3.700 agenti in meno rispetto alla dotazione prevista;
   visto che l'istituto palermitano di via Enrico Albanese, è una struttura che soffre di una grave carenza di personale di polizia penitenziaria, e questa carenza comporta l'abbassamento della soglia di sicurezza, e gli Agenti penitenziari dell'Ucciardone hanno sempre operato per il benessere dell'istituto in generale, mettendosi a disposizione per una turnazione in 3 quadranti anziché 4, lavorando otto ore piuttosto che sei;
   ogni anno si ricorre alla mobilità ordinaria, ma non si attua un'integrazione di organico ma solo sostituzioni di personale che successivamente viene trasferito in altre sedi –:
   se non si intenda mettere in pratica una corretta integrazione del personale, per evitare che si lavori sotto organico, tenendo presente che molti agenti, che offrono servizio da svariati anni, sono in attesa di un trasferimento per avvicinarsi alla propria casa. (4-05667)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul sito Internet del Ministero della giustizia l'ultimo report disponibile dettagliato per singolo istituto sui «Detenuti presenti e capienza regolamentare degli istituti penitenziari» risale al 31 dicembre 1013; gli altri aggiornamenti mensili sono forniti per regione e non istituto per istituto;
   al 31 dicembre 2013, in merito alla capienza regolamentare di 47.709 posti, è specificato con un asterisco che «(*) I posti sono calcolati sulla base del criterio di 9 mq per singolo detenuto + 5 mq per gli altri, lo stesso per cui in Italia viene concessa l'abitabilità alle abitazioni, più favorevole rispetto ai 7 mq + 4 stabiliti dal CPT. Il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato»;
   la specificazione che la «capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato», fa presupporre — come è stato rilevato da più parti — che in diversi istituti ci siano reparti (o sezioni, o celle) chiusi perché inagibili o in fase di ristrutturazione o per carenza di personale;
   secondo la sentenza della Corte di Cassazione — I sezione penale n. 5728/2014 nel calcolo dello spazio vitale minimo che deve essere assicurato a ciascun detenuto, deve essere scomputata l'area degli arredi, con ciò confermando quanto stabilito dalla sentenza Torreggiani della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che l'8 gennaio 2013 ha condannato l'Italia per «trattamenti inumani e degradanti» in violazione dell'articolo 3 della Convenzione;
   la sentenza Torreggiani non si limitava alla questione «sovraffollamento», ma per una detenzione «legale» secondo la Convenzione, richiamava come necessari anche altri importanti parametri: «in cause in cui il sovraffollamento non era così serio da sollevare da solo un problema sotto il profilo dell'articolo 3, la Corte ha notato che, nell'esame del rispetto di tale disposizione, andavano presi in considerazione altri aspetti delle condizioni detentive. Tra questi elementi figurano la possibilità di utilizzare i servizi igienici in modo riservato, l'aerazione disponibile, l'accesso alla luce e all'aria naturali, la qualità del riscaldamento e il rispetto delle esigenze sanitarie di base (si vedano anche gli elementi risultanti dalle regole penitenziarie europee adottate dal Comitato dei Ministri)»;
   il 27 maggio 2014 il Ministro interrogato ha dichiarato che «non ci sono più detenuti che vivono al di sotto di 3 metri quadrati»;
   è fondamentale il monitoraggio costante della situazione carceraria non solo per consentire un controllo effettivo e continuo da parte degli organismi e delle istituzioni europee e transnazionali che, dopo la sentenza Torreggiani, tengono sotto osservazione il nostro Paese, ma anche — più in generale — per garantire il diritto dei cittadini alla conoscenza, basilare in democrazia;
   sul sito del Ministero della giustizia appare da alcuni mesi un banner denominato «schede istituti penitenziari», dove appare questa presentazione: «Schede trasparenza istituti penitenziari, aggiornamento: 9 giugno 2014 – Nelle schede vi sono informazioni sulla struttura, la storia e i servizi degli istituti penitenziari, indicazioni concrete sulle regole da rispettare nel rapporto con i detenuti per le visite, le comunicazioni, l'invio e la ricezione di pacchi e denaro. Descrizioni delle attività lavorative, scolastiche, culturali e dei progetti in corso. Le informazioni sono a cura delle direzioni degli istituti penitenziari. La pubblicazione riguarda 154 strutture su 203 tra istituti e ospedali psichiatrici giudiziari» –:
   quali siano, istituto per istituto, le attuali capienze regolamentari e il numero dei detenuti presenti;
   quanti siano, istituto per istituto, i posti effettivamente disponibili al netto delle celle, sezioni o reparti chiusi per inagibilità o lavori di manutenzione e/o ristrutturazione o sezioni chiuse per insufficienza del personale;
   se la dichiarazione «non ci sono più detenuti che vivono al di sotto di 3 metri quadrati» sia confermata e se lo spazio sia stato calcolato al netto del mobilio e della superficie destinata ai servizi igienici che devono essere necessariamente separati da quello della cella;
   quale sia la situazione, istituto per istituto, riguardo la possibilità di utilizzare i servizi igienici in modo riservato, l'aerazione disponibile, l'accesso alla luce e all'aria naturali, la qualità del riscaldamento e il rispetto delle esigenze sanitarie di base;
   se non ritenga che nel banner del sito giustizia.it «schede istituti penitenziari» debbano essere fornite, almeno settimanalmente, per ciascun istituto, anche le informazioni riguardanti le capienze regolamentari con tanto di specificazione delle celle non disponibili per i motivi citati in premessa, i detenuti presenti, il regolamento d'istituto;
   se non ritenga opportuna l'istituzione di una anagrafe digitale pubblica degli istituti di prevenzione e di pena come previsto nella proposta di legge n. 986 presentata il 17 maggio 2013. (4-05664)


   DI VITA, AGOSTINELLI, MANTERO, GRILLO, LOREFICE, BONAFEDE, NUTI e CASTELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 25 settembre 2011, dopo tre anni di lavori ed una spesa di circa 11 milioni di euro, è stata inaugurata la nuova casa di reclusione dell'isola di Favignana, struttura progettata per ospitare 120 detenuti;
   gli uffici del vecchio istituto penitenziario, il Castel San Giacomo, sono stati spostati alla nuova Casa di reclusione, ubicata proprio di fronte al vecchio carcere;
   l'opera si contraddistingue per la mancanza di una partizione opportunamente dedicata ad uso alloggio per il personale della polizia penitenziaria, ciò a fronte di un progetto iniziale del nuovo carcere che, invece, ne prevedeva, o che comunque avrebbero dovuto prevederne, la realizzazione;
   allo stato attuale gli agenti della polizia penitenziaria continuano ad alloggiare dunque all'interno del Castel San Giacomo e, oltretutto, sono sovente costretti a prolungarvi la propria permanenza e pernottamento a causa delle condizioni meteorologiche avverse che non di rado colpiscono l'isola;
   la struttura del castello complessivamente versa in condizioni a dir poco fatiscenti e certamente inadatte, anche e soprattutto da un punto di vista igienico sanitario oltreché di messa in sicurezza in sé, ad ospitare il personale di servizio;
   parallelamente, si auspica altresì un'autorevole e fruttuosa destinazione del vecchio istituto, il Castel San Giacomo, tutt'ora sede degli alloggi del personale penitenziario, ritenendosi opportuno utilizzare sin da subito la struttura a favore della intera comunità isolana, soprattutto al fine di favorire il turismo;
   la prima firmataria delle presente interrogazione, con nota datata 2 ottobre 2013, ha inviato ai competenti uffici amministrativi una formale richiesta di accesso alla documentazione riguardante la gara di appalto ed il progetto di costruzione della casa di reclusione di Favignana, cui però non è stato dato seguito positivo;
   appare non più procrastinabile l'individuazione di una nuova ed adeguata struttura ad uso alloggio per il personale della polizia penitenziaria in servizio sull'isola –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali siano motivi per cui nella costruzione del nuovo carcere di Favignana non sia stata prevista e, di conseguenza, realizzata una partizione destinata agli alloggi del personale penitenziario;
   quali opportuni ed urgenti provvedimenti intenda prendere al fine di ovviare alla situazione di estremo disagio in cui versano gli agenti della polizia penitenziaria distaccati sull'isola. (4-05665)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il piano urbanistico comunale (PUC) è uno strumento di gestione del territorio comunale del nostro Paese, disciplinato dalla legislazione urbanistica e composto da elaborati cartografici e tecnici che regolano la gestione delle attività di trasformazione urbana e territoriale del comune di pertinenza;
   nell'ambito del piano urbanistico comunale, l'amministrazione comunale, secondo la legge 18 aprile 1962, n. 167, predispone il cosiddetto Piano di edilizia economica popolare (P.E.E.P.), un piano attuativo che serve per programmare, gestire e pianificare tutti gli interventi riguardanti l'edilizia economica popolare;
   gli alloggi realizzati nell'ambito dei Piano di edilizia economica popolare sono interessati da alcune clausole limitative al loro utilizzo; in particolare, i limiti riguardano la locazione e l'alienazione per quanto concerne:
    a) requisiti necessari per potere acquisire un alloggio;
    b) iniziale non locabilità o inalienabilità;
    c) successiva possibilità di locare o alienare, ma a canone o prezzo inferiore a quello di mercato;
   le leggi 22 ottobre 1971 n. 865 e 17 febbraio 1992 n. 179 contengono Norme per l'edilizia residenziale pubblica (o edilizia sociale, dall'inglese social housing) – ERP –, espressione con cui ci si riferisce a tre tipologie di operazioni edilizie che vedono l'attivazione della pubblica amministrazione statale, a livello nazionale e/o locale, per offrire ai consociati immobili abitativi in proprietà, in locazione o in superficie;
   il ruolo concretamente svolto dalle amministrazioni pubbliche contribuisce a differenziare le tipologie e, pertanto, si suole distinguere in:
    a) edilizia residenziale sovvenzionata di esclusiva proprietà pubblica;
    b) edilizia residenziale agevolata in proprietà e/o a canone calmierato;
    c) edilizia residenziale convenzionata in diritto di superficie o proprietà;
     a) edilizia residenziale sovvenzionata di esclusiva proprietà pubblica: l'ente pubblico edifica direttamente il fabbricato, mediante finanziamenti integralmente pubblici e le abitazioni così realizzate vengono cedute in locazione a canoni molto bassi a soggetti (nuclei familiari) in particolare condizione di disagio economico e sociale, identificati attraverso appositi bandi pubblici;
     b) edilizia residenziale agevolata in proprietà e/o a canone calmierato: l'amministrazione incentiva l'edificazione residenziale attribuendo specifiche agevolazioni creditizie alle imprese costruttrici (finanziamenti pubblici – statali, regionali e/o comunali – sotto forma di contribuiti in conto capitale oppure di agevolazioni particolari sui finanziamenti); anche in questo caso i soggetti destinatari delle abitazioni devono possedere particolari requisiti di reddito minimo e massimo e soprattutto non possedere una casa di proprietà e generalmente sono individuati anch'essi attraverso appositi bandi che stabiliscono anche particolari requisiti di preferenza (ad esempio giovani coppie, oppure anziani soli, e altre situazioni simili);
    in tempi recenti i bandi pubblici di finanziamento per l'edilizia agevolata propongono un nuovo modello: l'edilizia a canone calmierato, in pratica i promotori degli interventi si impegnano, in cambio di finanziamenti pubblici in conto capitale e/o agevolazione anche tributarie (abbattimento oneri urbanizzazione, o esonero del pagamento IMU per un certo numero di anni), a realizzare abitazione da cedere, per periodi non inferiori a 8 anni, ad affitti calmiera predefiniti in sede di bando;
     c) edilizia residenziale convenzionata in diritto di superficie o proprietà: l'ente pubblico non offre agevolazioni creditizie, ma stipula una convenzione con i costruttori, con la quale, a fronte di concessioni da parte dell'Amministrazione pubblica (riguardanti l'assegnazione delle aree su cui edificare o la riduzione del contributo concessorio), vengono assunti obblighi inerenti l'urbanizzazione del comparto e l'edificazione di alloggi di edilizia economico popolare e dalla quale, inoltre, discendono vincoli incidenti sulla successiva circolazione degli alloggi così realizzati;
   due sono le convenzioni che tradizionalmente si fanno rientrare nell'ambito della «EDILIZIA RESIDENZIALE CONVENZIONATA»:
    I) la convenzione di attuazione di un piano di edilizia economico popolare (P.E.E.P.), convenzione che si pone nell'ambito del più ampio procedimento di edilizia residenziale pubblica tracciato dalla legge 22 ottobre 1971 n. 865; questa convenzione è disciplinata dall'articolo 35 suddetta legge n. 865 del 1971;
    II) la convenzione per la riduzione del contributo concessorio al cui pagamento è subordinato il rilascio del permesso di costruire; questa convenzione è disciplinata dall'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380 (T.U. in materia edilizia) che sul punto ha sostituito la disciplina in precedenza dettata dalla «Legge Bucalossi»;
   in molti comuni del nostro Paese, specie in grossi centri quali Roma e Firenze, i costruttori, dopo aver ricevuto contributi da parte della pubblica amministrazione per realizzare opere di edilizia residenziale pubblica, stipulano contratti di locazione a canoni ben più elevati di quelli previsti dagli articoli 8-10 della legge n. 179 del 1992 in totale violazione di legge;
   così facendo, le cooperative edilizie e/o le imprese costruttrici, lungi dal considerare in alcun modo le finalità per cui vengono realizzati alloggi del genere – ovvero risolvere l'emergenza abitativa – ottengono indebiti vantaggi economici in danno dello Stato visti i finanziamenti incamerati e dei conduttori degli immobili i quali, percependo redditi molto bassi, non sono in grado di corrispondere canoni tanto onerosi e sono frequentemente sfrattati per morosità;
   nel marzo 2012 Asia Usb attraverso una denuncia penale presentata dall'avvocato Vincenzo Perticaro contestava una serie di illegittimità nella procedura seguita nell'applicazione dei canoni agli inquilini, ma ancor di più nell'uso dei finanziamenti pubblici da parte dei costruttori;
   dopo tale denuncia la procura di Roma ha proceduto al sequestro di 326 alloggi di costruiti da società che appartenevano al consorzio Vesta, assegnandone la custodia agli inquilini titolari del relativo contratto di locazione;
   il comune di Roma attraverso gli uffici preposti ha agito in autotutela per accertare la correttezza della procedura, invero, accertava la mancata detrazione del finanziamento regionale dal prezzo massimo di cessione, utilizzato per la determinazione del canone di locazione con conseguente pagamento da parte dei conduttori di canoni ben al di sopra dei canoni dovuti per legge;
   la regione Lazio, in data 2 dicembre 2013, ha pubblicato sul sito istituzionale le nuove tabelle del corrispettivo di cessione per le cooperative/imprese, al fine del calcolo del canone di locazione annuo, trasmesse da Roma Capitale con canoni molto più bassi rispetto a quelli realmente applicati;
   è emerso che gli inquilini degli immobili di edilizia residenziale pubblica appartenenti alle fasce deboli vantano un credito nei confronti delle società e cooperative edilizie;
   infatti, il contributo erogato dalla regione a fondo perduto doveva essere detratto dal prezzo massimo di cessione preso a base per il calcolo del canone di locazione, così come ha determinato recentemente anche dal TAR del Lazio con la sentenza N. 06800/2014 REG.PROV.COLL del 26 giugno 2014;
   ne è derivato che la mancata detrazione di quel contributo, al momento della approvazione da parte degli uffici comunali della tabella di determinazione del prezzo di cessione e del conseguente canone di locazione degli alloggi delle società e cooperative edilizie, ha generato un ingannevole errore nei confronti degli inquilini stessi, costretti a corrispondere canoni di locazione elevati, oggi invece ridotti della metà;
   tuttavia, nonostante l'emanazione delle suddette tabelle che hanno visto la riduzione dei canoni di locazione, a dispetto delle numerosi violazioni poste in essere dai beneficiari dei finanziamenti pubblici, sebbene il TAR del Lazio si sia pronunciato statuendo l'illegittimità delle procedure utilizzate per l'applicazione dei canoni di locazione, le stesse imprese stanno diffidano gli inquilini a pagare i vecchi ed illeciti canoni pena lo sfratto per morosità e/o finita locazione, quindi le cooperative edilizie continuano a percepire dagli inquilini i precedenti importi;
   ma cosa ancor più grave riguarda la circostanza che, le stesse problematiche suindicate stanno interessando anche gli immobili costruiti ex articolo 18 del decreto-legge n. 152 del 1991 convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203;
   tale norma che prevede la realizzazione di un programma straordinario di edilizia residenziale da concedere in locazione o in godimento ai dipendenti delle amministrazioni dello Stato, quando è strettamente necessario alla lotta alla criminalità organizzata, con priorità per coloro che vengono trasferiti per esigenze di servizio;
   sul punto e sulle irregolarità sollevate si è pronunciato anche il Consiglio di Stato con sentenza n. 1125/2014 REG.PROV.COLL del 10 marzo 2014 riconoscendo tutte le ragioni degli inquilini, compresa l'illegittimità del canone applicato;
   eppure tali soggetti, sono dipendenti dello Stato, con compiti delicatissimi svolti nell'intesse dello Stato stesso, nonostante la pronuncia dei giudici di Palazzo Spada, ancora oggi si trovano a pagare canoni di locazione in totale contrasto con quanto disciplinato dalla legge stessa e senza alcuna tutela da parte delle istituzioni;
   solo per ricordarlo, gli immobili oggetto di contestazione, si trovano soprattutto nella città di Roma, e si trovano in zone in cui non sono garantiti i minimi standard urbanistici (verde pubblico, servizi, e altro) ed in alcuni casi mancano le basilari dotazioni di un abitato, quali l'illuminazione esterna e il manto stradale;
   per le violazioni oggetto della presente interrogazione sono stati presentati anche esposti – dal sindacato Asia Usb nella persona di Angelo Fascetti – alla procura regionale della Corte dei Conti di Roma, proprio per far emergere sia le responsabilità individuali che il danno erariale –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti alla luce dei gravi episodi riportati nella sentenza del Tar del Lazio n. 06800/2014 reg. prov. coll. del 26 giugno 2014 relativa a costruzioni finanziate ex lege n. 179 del 1992, in merito alle violazioni poste in essere dai beneficiari dei finanziamenti;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro dell'interno alla luce dei gravi episodi riportati nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1125/2014 reg. prov. coll. del 10 marzo 2014 relativa alle costruzioni finanziate ex articolo 18 del decreto-legge n. 152 del 1991 convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, anche con l'ausilio delle prefetture competenti, in merito alle violazioni delle convenzioni poste in essere dai beneficiari dei finanziamenti, quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere al fine di tutelare gli inquilini ex lege n. 179 del 1992 ed ex articolo 18 del decreto-legge n.152 del 1991 convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 visto che gli stessi sono stati costretti a pagare canoni di locazione in violazione di legge costringendo così le proprie famiglie a mutare le proprie condizioni di vita come dimostrato dalla sentenza n. 1125 del 2004 del Consiglio di Stato;
   quali iniziative normative, alla luce di quanto accaduto, i Ministri interrogati intendano assumere per porre in essere i dovuti accorgimenti per evitare il ripetersi di tali situazioni.
(2-00642) «Lombardi, Daga, De Rosa, Rizzetto, Bechis, Tripiedi, Cominardi, Ciprini, Baldassarre».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARLONI, AMENDOLA, BOSSA, CAPOZZOLO, CHAOUKI, COCCIA, FAMIGLIETTI, SALVATORE PICCOLO, SGAMBATO e VALERIA VALENTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 del decreto-legge n. 83 del 2012 – che reca disposizioni urgenti per la continuità dei servizi di trasporto – con i commi da 5 a 10 interviene in materia di trasporto ferroviario regionale campano, delineando una procedura di accertamento dei disavanzi e una conseguente procedura di definizione del piano di rientro, da realizzarsi nel termine di 5 anni, necessarie a riorganizzare e riqualificare il sistema di mobilità regionale su ferro della regione Campania;
   per l'attuazione delle misure relative alla razionalizzazione e al riordino delle società partecipate regionali, recate dal piano di stabilizzazione finanziaria della regione Campania, al fine di consentire l'efficace realizzazione del processo di separazione tra l'esercizio del trasporto ferroviario regionale e la proprietà, gestione e manutenzione della rete, salvaguardando i livelli essenziali delle prestazioni e la tutela dell'occupazione, nel citato articolo 16 comma 5 si dispone che il Commissario ad acta nominato ai sensi dell'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010 per il riordino delle società partecipate della regione Campania, provveda alle necessarie azioni di riorganizzazione, riqualificazione o potenziamento del sistema di mobilità regionale su ferro;
   il comma 6, per garantire la continuità dell'erogazione dei servizi di trasporto pubblico regionale, consente al commissario, nelle more dei tre mesi previsti per la predisposizione del piano di rientro, di adottare ogni atto necessario ad assicurare lo svolgimento della gestione del servizio da parte di un unico gestore a livello di ambito o bacino territoriale ottimale, coincidente con il territorio della regione, con il vincolo di garantire comunque il principio di separazione tra la gestione del servizio e la gestione e manutenzione delle infrastrutture;
   il comma 9 del medesimo articolo 16 ha previsto, per il finanziamento del piano di rientro, l'incremento automatico dell'addizionale regionale IRPEF e dell'IRAP, incremento fino ad allora previsto, ai sensi, da ultimo, del decreto-legge n. 78 del 2010, per il finanziamento del rientro dal disavanzo sanitario; per il finanziamento del piano di rientro, è stato previsto altresì l'utilizzo, nel limite di 200 milioni di euro per gli anni 2012 e 2013, delle risorse del fondo di sviluppo e coesione, assegnate alla regione Campania; per la medesima finalità, altre risorse sono state disposte dall'articolo 1, comma 9-bis del decreto-legge n. 174 del 2012, che ha istituito un fondo di rotazione per la concessione di anticipazioni alle regioni in situazione di squilibrio finanziario destinato, oltre che alle regioni in situazioni di deficit sanitario, anche al finanziamento del piano di rientro della regione Campania nel settore del trasporto regionale ferroviario nonché dall'articolo 11, comma 13, del decreto-legge n. 76 del 2013 che ha autorizzato l'utilizzo, per l'attuazione del piano di rientro dai debiti del settore del trasporto ferroviario regionale campanti, anche delle somme anticipate alla regione Campania ai sensi del decreto-legge n. 35 del 2010 (cosiddetto «debiti PA») per il pagamento dei debiti della pubbliche amministrazioni; l'articolo 13, comma 9-bis del decreto-legge n. 145 del 2013 (cosiddetto «destinazione Italia») ha destinato risorse, nel limite di 5 milioni di euro, per l'acquisto di materiale rotabile al fine di garantire la funzionalità del contratto di servizio ferroviario regionale nella regione Campania, per il biennio 2014-2015;
   nel contempo, per assicurare lo svolgimento delle attività di cui al citato comma 5 e l'efficienza e continuità del servizio di trasporto, il comma 7 ha disposto il blocco delle azioni esecutive e dei pignoramenti nei confronti delle società a partecipazione regionale esercenti il trasporto ferroviario regionale fino al 27 giugno 2013, termine successivamente prorogato dalla legge di stabilità a tutto il 2013; l'articolo 17, comma 5, del decreto-legge n. 16 del 2014 (cosiddetto «Salva Roma 3») ha prorogato fino al 30 giugno 2014 il blocco delle azioni esecutive, anche in considerazione della situazione del trasporto ferroviario regionale campano, nei confronti delle società a partecipazione regionale esercenti il trasporto ferroviario regionale, sulle somme anticipate alla regione Campania per il pagamento dei debiti dell'amministrazione regionale e destinate anche al piano di rientro nel settore del trasporto ferroviario regionale campano, sulle risorse derivanti dall'incremento dell'addizionale regionale IRPEF e IRAP che, a decorrere dal 2013, sono incrementate per finanziare il medesimo piano di rientro; sulle somme del fondo di rotazione per la concessione di anticipazioni alle regioni in situazione di squilibrio finanziario, espressamente destinato anche al finanziamento del piano di rientro della regione Campania nel settore del trasporto regionale ferroviario;
   tali disposizioni sono state adottate per garantire il fondamentale diritto degli utenti alla mobilità e la continuità dei servizi ferroviari nella, regione Campania;
   nel quadro della riorganizzazione del servizio, l'ente autonomo Volturno (EAV), con atto di fusione del 27 dicembre 2012, ha incorporato le 3 società esercenti il trasporto ferroviario – società Circumvesuviana, Metro Campania Nord-Est e Sepsa – partecipate dalla regione Campania – costituendo la società EAV Srl, esercente il trasporto ferroviario e su gomma nella regione Campania; la medesima società provvede alla realizzazione delle opere di manutenzione, ammodernamento e potenziamento della rete ferroviaria regionale e alla gestione del patrimonio infrastrutturale; l'EAV offre inoltre supporto alla regione nelle attività di pianificazione, progettazione, programmazione degli investimenti regionali nel campo della mobilità e del trasporto;
   il tavolo tecnico istituito presso il Ministero delle infrastrutture e i trasporti ai sensi dell'articolo 16, comma 8, del citato decreto-legge n. 83 del 2012, il 24 dicembre 2013 ha raggiunto l'accordo sul piano di rientro dal disavanzo e sul piano dei pagamenti, successivamente adottati dalla regione Campania con delibera di giunta n. 130 del 2 maggio 2014;
   il blocco delle procedure esecutive è un provvedimento anche a tutela dei creditori dell'Ente autonomo Volturno (EAV) che con atto di fusione del 27 dicembre 2012, ha incorporato le 3 società esercenti il trasporto ferroviario – società Circumvesuviana, Metro Campania Nord Est e Sepsa – partecipate dalla Regione Campania – costituendo la società EAV Srl, esercente il trasporto ferroviario e su gomma nella regione Campania; non potendo infatti quest'ultima garantire il pagamento di tutti i debiti scaduti, le azioni esecutive avrebbero – come conseguenza – il pignoramento delle somme necessarie all'attuazione del piano di rientro per un ammontare complessivamente superiore alle disponibilità, con il conseguente, inevitabile blocco del medesimo piano: un pregiudizio degli interessi dei creditori ben più grave – i crediti sarebbero, di fatto, inesigibili – della mera dilazione temporale derivante dal blocco delle procedure esecutive funzionale alla continuità del servizio e della gestione in vista del possibile obiettivo del riequilibrio finanziario;
   il tribunale di Napoli ha sentenziato la non assoggettabilità a fallimento dell'ente autonomo volturno, in quanto società in house della regione Campania assimilabile a un ente pubblico;
   anche nel caso in cui la sezione fallimentare cambi orientamento accogliendo un eventuale ricorso per il fallimento dell'ente, i creditori ne ricaverebbero un danno evidente, atteso che le procedure fallimentari consentono il ristoro dei creditori solo dopo molti anni e in percentuali minime rispetto ai crediti vantati;
   la Corte Costituzionale, con sentenza 186/13, si è pronunciata su una fattispecie analoga, valutando con favore la predisposizione di meccanismi diretti proprio all'effettiva soddisfazione dei crediti scaturenti da titoli esecutivi; parimenti, l'approvazione del piano dei pagamenti e il suo effettivo avvio, nelle ultime settimane, fa ritenere che non venga violato nemmeno l'articolo 6 par. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, stipulata a Roma il 4 novembre 1950, che garantisce il giusto processo anche nella fase di attuazione concreta dei diritti, attesa la garanzia, con il piano di rientro, del soddisfacimento del diritto dei creditori a ottenere quanto di loro spettanza entro termini sicuramente ragionevoli e per intero, a differenza di quanto avverrebbe in caso di fallimento o con altra procedura concorsuale –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere nell'interesse pubblico, degli utenti del servizio di trasporto della regione Campania e degli stessi creditori dell'EAV, per accordare, anche mediante opportune iniziative legislative, una proroga del termine del 30 giugno 2014 di blocco delle azioni esecutive nei confronti di Ente autonomo volturno Srl almeno fino al 31 marzo 2015, allo scopo di conseguire l'obiettivo di garantire l'attuazione del piano di rientro elaborato dal Commissario ad acta e approvato dagli organi competenti. (5-03328)


   TULLO, D'ARIENZO e ROTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere — premesso che:
   la grave crisi che coinvolge il comparto del trasporto aereo sta ridisegnando il sistema del segmento economico di cui si tratta;
   come è noto, infatti, la compagnia aerea Etihad è interessata all'acquisto della quota di maggioranza della compagnia aerea Alitalia e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha garantito che per gli esuberi della compagnia di bandiera – pari a circa 2.500 – saranno predisposti specifici ammortizzatori sociali;
   la seconda compagnia aerea italiana, privata anch'essa come l'Alitalia, è Meridiana che ha base di armamento a Olbia e sedi a Cagliari, Milano e Verona. Quest'ultima è l'unica base con attività costante nel corso dell'anno e meno patisce la fluttuazione della domanda in ragione dei picchi stagionali, tanto che vi lavorano stabilmente 300 dipendenti da 17 anni;
   la compagnia aerea Meridiana fly spa a decorrere dal mese di settembre del 2011, ha collocato in cassa integrazione guadagni straordinaria integrata 1290 lavoratori appartenenti alle categorie del personale di terra (350), degli assistenti di volo (760) e dei piloti (180);
   nel medesimo periodo, però, Meridiana acquisisce Air Italy, che gradualmente è divenuto il principale competitor «interno» di Meridiana. Si è verificato, di fatto, un costante processo di dumping interno dove la controllata ingloba l'attività di volo della controllante;
   la società Meridiana ha comunicato recentemente il piano industriale che prevede un riorientamento delle proprie attività necessario ad evitare il fallimento della società. Nel dettaglio, emerge l'esubero di oltre 1.200 persone tra il personale di volo e quello di terra;
   per i lavoratori di Meridiana fly la cassa integrazione guadagni straordinaria terminerà nel giugno 2015 e, pertanto, è presumibile che a partire da quella data ci sarà il ricorso al licenziamento;
   pare sia in atto un vero e proprio spostamento di diverse attività da Meridiana fly verso altri vettori. Meridiana fly spa, infatti, starebbe facendo volare su molte rotte del proprio network, oltre ad aeromobili ed equipaggi della società Air Italy, controllata dalla holding Meridiana spa, anche mezzi e personale di altre società, in particolare dell'est europeo. Ciò dimostrerebbe una certa attrattività sul mercato, oltre al fatto che non appare comprensibile come questo possa avvenire contemporaneamente alla cassa integrazione;
   pare che nella riorganizzazione di cui si tratta la sede operativa di Verona sarà cancellata, con grave danno per il territorio e per le centinaia di lavoratori interessati. Rispetto alla possibile chiusura, inoltre, appare incomprensibile in rapporto alle enormi potenzialità che il territorio veronese offre termini di appetibilità turistica ed economica;
   in merito, i firmatari temono che il peso della ristrutturazione graverà sostanzialmente sul personale che rischia di essere licenziato;
   infatti, se il piano industriale prevedrà di incrementare l'attività in Airitaly nonché la riduzione di aerei in Meridiana fly con conseguente messa in mobilità di tutti i dipendenti in esubero, appare palese che gli stessi esuberi saranno sostituiti dal personale Airitaly e che in quest'ultima saranno ripristinate tutte le attività della capogruppo;
   alla fine del processo, quindi, potrebbe essere completata la fusione societaria fra i due COA (quello della casa madre e quello della new entry), la compagnia avrebbe ancora le stesse rotte commerciali, lo stesso numero di aerei e potrebbe chiamarsi ancora allo stesso modo, ma resterà in azienda personale diverso e con contratti decisamente più convenienti per la società. Al contrario, se la fusione avvenisse subito al momento della acquisizione, per legge il contratto di riferimento dei dipendenti sarebbe il migliore fra i due, verosimilmente quello di Airitaly, e la lista di anzianità sarebbe data dalla anzianità di provenienza delle due società —:
   quali iniziative intendano assumere per evitare il fallimento della seconda compagnia di bandiera del nostro Paese che in termini di proprietà si trova in una posizione del tutto analoga a quella di Alitalia;
   se e come intendano intervenire al fine di chiarire l'aspetto concernente la scelta di spostare le attività di volo in altre aziende, anche esterne al perimetro del gruppo, a fronte della contemporanea fruizione degli ammortizzatori sociali per il proprio personale, peraltro posta a carico dello Stato. (5-03330)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'ARIENZO, DAL MORO, ROTTA e ZARDINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le ormai abbondanti piogge unite allo scioglimento dell'innevamento invernale alimentano a dismisura il Lago di Garda che ad ogni stagione supera o rischia di superare la soglia massima prevista dai livelli di regolamentazione stabiliti dal Ministero dei lavori pubblici ancora nel lontano 1965 e che fissano per il periodo estivo come livello massimo 1,35 metri sullo zero idrometrico;
   gli attuali livelli, appunto stabiliti nel 1965, rispondono a ben altre condizioni ambientali ed economiche; dai livelli scaturiscono il moto ondoso, che oltre ad allagare le passeggiate delle località lacuali che presentano quote inferiori, provoca la sistematica erosione delle spiagge e del territorio e difficoltà nella defluizione delle acque piovane attraverso i canali esistenti;
   i danni per l'economia locale, esclusivamente a carattere turistico, per il paesaggio, per i pontili e le strutture di protezione del collettore nonché per le finanze degli enti locali di tutta l'area del lago di Garda sono evidenti;
   il lago di Garda è da sempre considerato il bacino idrico a sostegno dell'agricoltura intensiva del sottostante territorio mantovano e da ciò discendono le volontà di mantenere i livelli normalmente in linea con questa esigenza, normalmente più alti del livello minimo;
   si ritiene che il Governo debba affrontare la situazione e avviare un percorso volto al riesame del contesto e finalizzato all'attualizzazione dei livelli delle acque del lago di Garda;
   per la salvaguardia dell'ambiente ed in ragione del fatto che l'area del Garda si è arricchita d'insediamenti per il tempo libero occorre una riconsiderazione del sistema lacuale revisionando i livelli operativi minimo e massimo e riducendo il limite di erogazione media;
   in questa direzione, le proposte avanzate nel tempo dalla comunità del Garda appaiono idonee a garantire lo scopo (codificazione del principio di proporzionalità, nel senso che «gli apporti a monte del Lago devono supportare le esigenze idriche del lago nei periodi di magra» e, correlativamente, le erogazioni a carico del lago devono essere proporzionalmente alle disponibilità dello stesso; razionalizzazione dei sistemi d'irrigazione, così da evitare o almeno ridurre gli sprechi; un'opportuna regolamentazione dei rilasci d'acqua dai bacini idroelettrici a monte del Garda; il riordino delle utenze irrigue; la limitazione dell'apertura dello scolmatore Adige-Garda esclusivamente ai casi di assoluta necessità per eventi di piene straordinarie; interventi infrastrutturali di canalizzazione dell'acqua del fiume Adige nel Mincio e nel sistema irriguo, senza passare attraverso il lago; revisione delle colture agricole e privilegio per quelle meno «idrovore»;
   gli enti locali gardesani, veronesi e bresciani, ancora a fine estate 2013 hanno raggiunto un'intesa sul documento di revisione della regolazione dei livelli idrometrici del lago di Garda con il quale si è deciso di sperimentare, per cinque anni, la riduzione di 15 centimetri del livello stabilito nel lontano 1965 per il periodo da novembre a marzo di ogni anno;
   che la sperimentazione in questione non è ancora partita –:
   al fine di accelerare la definizione della grave situazione, se il Ministro intenda avviare con urgenza un'istruttoria in merito – come si ritiene opportuno – nell'ambito della quale considerare le proposte avanzate dalla comunità del Garda e dal documento richiamato in premessa lo scopo di riesaminare il contesto e giungere alla definizione dei livelli corrispondenti alle esigenze contemporanee.
(4-05671)


   MURA e CANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'intero comparto aereo italiano soffre da anni per le conseguenze della crisi internazionale, ma certamente anche per errori manageriali e scelte gestionali che stanno ricadendo sul personale e sulla qualità stessa del servizio offerto ai viaggiatori;
   vanno considerati l'importanza per il «sistema Paese» dell'operazione Alitalia-Etihad e l'impegno con il quale il Governo sta seguendo da vicino i difficili passaggi della transazione, in particolare la questione legata agli esuberi, per i quali sembra assodato che saranno predisposti specifici ammortizzatori sociali;
   non solo Alitalia è in forte sofferenza, ma anche Meridiana, la seconda compagnia aerea italiana privata, che da settembre 2011, ha collocato in cassa integrazione guadagni straordinaria integrata 1290 lavoratori appartenenti alle categorie del personale di terra (350), degli assistenti di volo (760) e dei piloti (180);
   la stessa compagnia ha nei mesi scorsi presentato un piano industriale, mirante ad evitare il fallimento e che prevede circa 1300 esuberi, definiti dai vertici come «strutturali»;
   sempre secondo Meridiana, «l'attuale livello di attività non è in grado di mantenere i livelli occupazionali del passato, ulteriormente incrementatisi a seguito di centinaia di reintegri di personale che, nel decennio precedente, avevano lavorato in azienda a tempo determinato, talora solo per periodi brevissimi»;
   nel frattempo, però, la compagnia sta attuando una riorganizzazione delle attività e dei servizi, che coinvolge altri vettori controllati dalla holding Meridiana spa e società terze, utilizzate per fare fronte alle richieste di un mercato che non sembra così in crisi come sostengono i vertici della compagnia;
   la sopravvivenza di Meridiana è importante per Olbia, la Gallura, Cagliari e l'intera Sardegna, ma anche per città come Verona e Milano dove attualmente sono presenti sedi operative;
   costituisce un passo avanti significativo l'impegno assunto nei giorni scorsi dal Governo per l'apertura, a settembre, di un tavolo interministeriale con la regione Sardegna –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per evitare il fallimento della seconda compagnia di bandiera del nostro Paese che in termini di proprietà si trova in una posizione del tutto analoga a quella di Alitalia;
   se e come si intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di chiarire l'aspetto concernente la scelta di spostare le attività di volo in altre aziende, anche esterne al perimetro del gruppo, a fronte della contemporanea fruizione degli ammortizzatori sociali per il proprio personale. (4-05674)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIGLI e SBERNA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 luglio 2013, a Napoli, presso palazzo San Giacomo, alla presenza del sindaco Luigi de Magistris, è stato trascritto nel registro dell'anagrafe cittadina, un matrimonio contratto all'estero fra persone dello stesso sesso: tale atto è stato possibile grazie ad una direttiva del sindaco che consente all'anagrafe cittadina l'operazione di trascrizione;
   il sindaco, secondo autorevoli fonti di stampa, avrebbe dichiarato: «Siamo convinti che il sindaco abbia il diritto e il dovere di far trascrivere presso gli uffici dell'anagrafe e dello stato civile i matrimoni che, purtroppo, per ora possono essere celebrati soltanto all'estero», asserendo inoltre che: «Questa trascrizione ha un valore anche giuridico: mette a pari livello un matrimonio etero e uno omosessuale, per esempio per partecipare alle politiche sociali della città oppure all'assegnazione delle case»;
   il 17 luglio anche il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha deciso di riconoscere i matrimoni gay celebrati all'estero, dichiarando: «Quando si tratta di diritti civili non arretriamo davanti a nessuno. Io non ho paura della parola matrimonio e noi riconosceremo, o almeno io chiederò che possano essere riconosciuti, i matrimoni, qualunque sia il sesso degli sposi, che sono celebrati all'estero»;
   lunedì 21 luglio 2014 anche il sindaco di Bologna Virginio Merola ha emanato una direttiva che permetterà, a partire dal 15 settembre 2014, di trascrivere nei registri di stato civile del comune le unioni gay celebrate all'estero;
   il primo caso di riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso avvenuto all'estero si è avuto nel 2012 a Grosseto: una coppia omosessuale, dopo aver contratto matrimonio a New York nel 2012, ha chiesto all'ufficiale dello stato civile la trascrizione di tale matrimonio;
   l'ufficiale di stato civile coinvolto nella vicenda ha rifiutato la trascrizione, richiamando, a sostegno delle proprie argomentazioni, la normativa italiana che non consente il matrimonio di persone dello stesso sesso, nonché la sentenza della Corte di Cassazione n. 4184 del 15 marzo 2012 in cui viene sottolineato il ruolo e l'importanza delle funzioni dell'ufficiale dello stato civile, a cui «sono attribuite penetranti poteri di controllo sulla trascrivibilità degli atti di matrimonio celebrati all'estero»;
   la stessa sentenza è stata poi richiamata dal tribunale nelle sue motivazioni, per arrivare però a conclusioni opposte e quindi autorizzare la trascrizione: nella sentenza n. 2184/2012 Corte Cass. viene citata la giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell'uomo, al fine di evidenziare come il diritto al matrimonio di cui all'articolo 9 CEDU non sia limitato al matrimonio tradizionale;
   rimane in ogni caso chiara evidenza giuridica che sia compito del legislatore nazionale intervenire, disciplinando le diverse ipotesi negli ordinamenti nazionali;
   va ricordato peraltro che la famosa sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo n. 510 del 24 giugno 2010, richiamata nella sentenza già citata n. 2184/2012 Corte Cass., ha rigettato il ricorso Schalk et Kopf contro Austria, in quanto lo Stato austriaco, pur non riconoscendo in alcun modo il matrimonio omosessuale, non ha affatto violato la Carta europea dei diritti dell'uomo, avendo riconosciuto il diritto alla convivenza omosessuale;
   la sentenza del tribunale di Grosseto è stata impugnata dalla procura della Repubblica;
   nel maggio scorso, a Fano, una coppia omosessuale che aveva contratto matrimonio in Olanda ha presentato formale istanza al sindaco per la trascrizione del proprio matrimonio, allegando copia dell'atto; i dipendenti dell'ufficio dello stato civile non hanno ritenuto legittima la trascrizione, ma successivamente è stato lo stesso sindaco, svolgendo direttamente la propria funzione di ufficiale di governo e di ufficiale dello stato civile, ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, a procedere alla trascrizione del matrimonio, sottoscrivendo personalmente l'atto;
   con sentenza n. 170, 11 giugno 2014, la Corte costituzionale, su giudizio incidentale sollecitato dalla Corte di cassazione, si è pronunciata su un matrimonio di una coppia eterosessuale regolarmente sposata nella quale però l'uomo decide di cambiare sesso: la coppia decide di rimanere unita risultando così composta da persone dello stesso sesso;
   in tale caso, l'ufficiale dello stato civile, dopo avere ricevuto sentenza di rettificazione di sesso di uno dei coniugi, dietro indicazioni della prefettura e del Ministero dell'interno, aveva disposto il cosiddetto «divorzio automatico»; i coniugi hanno presentato ricorso al tribunale di Modena che aveva accolto il ricorso; il Ministero dell'interno aveva esposto reclamo in corte di appello di Bologna che lo aveva accolto; la coppia presenta ricorso in Cassazione; la Corte di Cassazione con ordinanza n. 14329 del 6 giugno 2013 ha disposto remissione degli atti alla Corte costituzionale, avendo riscontrato dubbi di legittimità costituzionale degli articoli 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso);
   la Consulta, pur nel dichiarare l'illegittimità costituzionale degli articoli 2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), con sentenza manipolativa additiva volta a prevedere che «la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore», pur considerando al punto 5.5 che «nella nozione di formazione sociale – nel quadro della quale l'articolo 2 Cost. dispone che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo – è da annoverare anche l'unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia», ha però molto chiaramente sottolineato al punto 5.1 dei considerata che «la situazione [...] di due coniugi che, nonostante la rettificazione dell'attribuzione di sesso ottenuta da uno di essi, intendano non interrompere la loro vita di coppia, si pone, evidentemente, fuori dal modello del matrimonio – che, con il venir meno del requisito, per il nostro ordinamento essenziale, della eterosessualità, non può proseguire come tale»;
   in sintesi, la nostra Suprema Corte si è tenuta ben lungi dal considerare legittimo il matrimonio omosessuale nel nostro ordinamento costituzionale;
   di conseguenza, sembra molto arduo considerare legittimo il riconoscimento giuridico da parte delle nostre istituzioni nazionali e locali del matrimonio omosessuale, pur se celebrato all'estero –:
   quali considerazioni possano i Ministri trarre dalla su esposta premessa, in merito al riconoscimento da parte di istituzioni italiane dei matrimoni omosessuali avvenuti all'estero e se in particolare intendano rilevarne l'illegittimità della condotta dei sindaci coinvolti;
   quali urgenti iniziative, anche di natura normativa, intendano porre in essere al fine di colmare un evidente vuoto normativo in merito, seguendo il dettato dell'articolo 29 della Costituzione che impone alla Repubblica il riconoscimento dei «diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», tenendo conto del principio da ultimo espresso con la sentenza Corte Cost. n. 170 del 2014, ove si dichiara con estrema chiarezza che requisito essenziale del matrimonio è la «eterosessualità» della coppia. (4-05673)


   PRATAVIERA e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 luglio 2014, proveniente dalla Sicilia, è giunto all'aeroporto di Marco Polo di Venezia un gruppo di 100 migranti irregolari africani, in massima parte eritrei;
   di questi 100 migranti, 20 sono stati immediatamente avviati verso Pesaro;
   i rimanenti 80, invece, dovevano essere trasferiti a Jesolo, per essere ospitati in una struttura di accoglienza gestita dalla croce rossa italiana in via Levantina;
   il personale della croce rossa italiana ha tuttavia obiettato di aver soltanto 60 posti disponibili, ingaggiando un braccio di ferro con la prefettura di Venezia che si è protratto per ore, durante le quali si sono registrati anche dei momenti di tensione;
   alla fine, è stato deciso di distribuire gli 80 migranti su varie località venete: Chioggia, Padova, Treviso, Verona e Vicenza –:
   in che modo il Governo intenda ovviare all'evidente sovraccarico delle strutture preposte all'accoglienza dell'eccezionale numero di migranti irregolari e richiedenti asilo che stanno raggiungendo il nostro Paese anche per effetto della missione Mare Nostrum ed in che modo si conti di garantire che la dispersione dei clandestini in varie località non ne faciliti l'eventuale fuga. (4-05677)


   D'ALESSANDRO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la cronaca quotidiana testimonia il grave problema di una città invasa dai rom e dagli extracomunitari che, soprattutto nelle stazioni ferroviarie della nostra capitale popolate da turisti e dai nostri cittadini che viaggiano per lavoro o diletto e dai pendolari, rubano, scippano, minacciano indisturbati ed hanno dato vita ad un vero e proprio racket dei bagagli e dei biglietti automatici;
   a Roma alcuni nomadi non si limitano a sfilare il portafoglio al distratto turista che transita nelle stazioni ferroviarie (e su questa pratica ci sarebbe molto da dire), ma come risulta dalla stampa braccano le persone, le seguono e le intimidiscono se queste si rifiutano di soddisfare le loro richieste senza alcun controllo o repressione;
   alla stazione Termini, dopo aver compiuto il viaggio Fiumicino-Roma su quello che l'interrogante giudica uno dei più vergognosi treni navetta del nostro Paese (il Leonardo Express), si arriva in un vero e proprio suk, fatto di immondizia, senzatetto e rom che si appostano per aspettare i viaggiatori, di fatto costringendoli a prenderli come facchini, in una ressa incredibile con tanto di liti e spartizione di clientela. Puntano gruppi di turisti e li circondano non appena scendono dal treno e nella migliore delle ipotesi impongono il loro aiuto, nella peggiore li derubano;
   per il viaggiatore è un'impresa anche comprare un biglietto ferroviario ai distributori elettronici perché sono piantonati da rom che si insinuano nell'operazione di acquisto pigiando i pulsanti facendo finta di aiutare l'acquirente, ma in realtà per richiedere soldi per aver prestato il loro aiuto non richiesto o arrivando a derubare il viaggiatore più distratto;
   per quanto riguarda le banchine degli eurostar, che dovrebbero essere il fiore all'occhiello delle Ferrovie italiane, si è creata una sorta di mafia tra rom ed extracomunitari che si spartiscono i vagoni (soprattutto di prima classe), azzuffandosi tra loro per il territorio di competenza, litigandosi il cliente che viene portato da una parte all'altra della stazione per prendere un taxi perché in quel momento il viaggiatore è come una merce al mercato;
   il tutto avviene senza che, come in passato o come avviene in altre stazioni italiane, ci sia alcun tipo di filtro per l'accesso ai vagoni, con controllori che autorizzano il passaggio solo all'esibizione del biglietto;
   sempre a Termini, extracomunitari e rom impediscono ai viaggiatori di scendere o salire se non si accetta la loro assistenza, salvo poi attendere lo svuotamento dei convogli (specie di prima classe) per saccheggiare in particolar modo i vagoni di prima classe;
   tutto questo avviene senza il minimo controllo, con i pochi rappresentanti delle forze dell'ordine che – non certo per responsabilità loro – hanno serie difficoltà a presidiare la stazione. Stazione che, è bene ricordarlo, dovrebbe essere e rappresentare il primo, immediato biglietto da visita della città –:
   se i Ministri interrogati intendano prendere immediati provvedimenti per far fronte all'incredibile situazione di degrado in cui versa una delle stazioni più importanti della Capitale per garantire un maggior controllo sulla sicurezza dei viaggiatori sia sui convogli che sulle banchine e negli altri locali delle stazioni ferroviarie.
(4-05678)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALBANELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il liceo delle scienze umane ed economico sociale di Castiglione di Sicilia (Catania), sede associata dell'I.I.S., M. Amari di Giarre (Catania) costituisce e ha costituito da oltre cinque decenni un centro culturale e formativo di notevole importanza sia per il comune stesso sia per i comuni dell'hinterland (S. Domenica Vittoria, Roccella Valdemone, Malvagna, Moio, Randazzo, Linguaglossa, Graniti, Francavilla, Gaggi) in quanto unico istituto con indirizzi specifici di scienze umane-economico sociale su tutto il territorio;
   inoltre, rappresenta l'unico e naturale proseguimento di studi per gli studenti del comune incidendo in maniera considerevole sulla limitazione della dispersione scolastica;
   il comune di Castiglione di Sicilia è considerato comune montano ai sensi della legge 1o marzo 1957 n. 90 e richiamato articolo 1, legge 25 luglio 1952, n. 991; per ordinanza del TAR di Catania dicembre 2005 continua a essere tale e al 30 giugno 2014 risulta inserito nell'elenco dei comuni italiani redatto dall'ISTAT con le indicazioni «T» (ovvero comune totalmente montano);
   le scuole dei comuni montani non possono considerarsi come semplice trasposizione del modello impoverito delle scuole di città in quanto costituiscono per gli stessi la matrice identitaria, il naturale luogo di aggregazione, di crescita e condivisione del senso di appartenenza territoriale;
   lo scorso 12 maggio 2014 i docenti dell'istituto suddetto sono stati informati dal Dirigente Scolastico della soppressione delle classi I, II e III ai sensi della C.M. n. 34 del 1o aprile 2014 (oggetto: Dotazioni organiche del personale docente per l'a.s. 2014/2015) e di conseguenza individuati in soprannumero e invitati a presentare domanda di mobilità condizionata;
   la necessità per gli studenti delle classi in oggetto di iscriversi in altri istituti dello stesso indirizzo, parecchio distanti e non facilmente raggiungibili con i mezzi pubblici, determinerebbe nella maggior parte dei casi un aggravio di spese, anche perché non tutti i comuni del comprensorio riescono a provvedere al trasporto gratuito degli studenti le cui spese quindi sono spesso interamente a carico delle famiglie –:
   quali provvedimenti il Ministro interrogato intenda adottare in merito alla soppressione delle classi I, II e III del liceo delle scienze umane ed economico sociale di Castiglione di Sicilia (Catania) al fine di tutelare i giovani residenti di quel diritto allo studio sancito dalla Costituzione.
(5-03321)


   VACCA, LUIGI GALLO, MARZANA, CHIMIENTI, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO, BATTELLI, BRESCIA e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni gli organi di stampa informano che il sottosegretario Reggi sta lavorando ad una bozza di disegno di legge che abolirebbe le chiamate esterne per supplenze, assegnando le assenze ai docenti di ruolo e, di fatto, eliminando le graduatorie di istituto;
   a questo si aggiunge l'ipotesi di taglio di un anno del percorso formativo delle scuole superiori che dovrebbe ridursi da 5 a 4 anni;
   per fare ciò pare che il Governo voglia chiedere ai docenti un impegno orario fino a 36 ore settimanali e differenziare le retribuzioni per mezzo di maggiori poteri dei dirigenti scolastici anche attraverso l'incrocio dei test INVALSI;
   queste ipotesi dovrebbero comportare un taglio di 1,5 miliardi di euro alle spese per l'istruzione che si aggiungono ai drammatici tagli operati dal Ministro Tremonti nel 2008;
   la valorizzazione della professione dei docenti, di cui il Sottosegretario all'istruzione all'università e alla ricerca Reggi e il Ministro Giannini hanno parlato in molte interviste, in realtà è già possibile senza alcun intervento normativo fornendo alle scuole le risorse finanziarie necessarie per attuare l'ampliamento dell'offerta formativa prevista dall'autonomia didattica attualmente vigente;
   i fondi d'istituto (FIS) e quelli per il miglioramento dell'offerta formativa (MOF) hanno subito negli anni pesanti decurtazioni che hanno messo in difficoltà le istituzioni scolastiche anche nella gestione ordinaria delle proprie attività;
   nella scuola italiana ci sono oltre 150 mila precari storici che ogni hanno vengono chiamati a coprire ruoli di docenza, spesso con supplenze annuali;
   tale sistema provoca innumerevoli conseguenze negative sia per il lavoratore-insegnante che per l'attività didattica, pregiudicando soprattutto l'offerta formativa agli studenti;
   a ciò si aggiungono le aspettative delle varie categorie di abilitati e docenti precari non abilitati create nell'ultimo decennio e le aspettative dei neolaureati che, allo stato attuale, attraverso i percorsi di TFA aspirano alla professione di insegnante;
   da un articolo di giornale apparso su «Tempi» della scorsa settimana parrebbe che il Ministro interrogato punti direttamente a quella che agli interroganti appare una destrutturazione della scuola statale a vantaggio della scuola paritaria;
   nel contempo è in atto una campagna di propaganda mediatica contro gli insegnanti per far leva sull'opinione pubblica attraverso l'errato messaggio che le ore lavorative di un insegnante della scuola secondaria siano solo le 18 ore di lezione frontale, con l'intento di arrivare ad un nuovo contratto degli insegnanti con basse retribuzioni e con aumenti retributivi solo per pochi, sempre nell'ottica dei tagli;
   i tagli operati dalla riforma «Gelmini-Tremonti» non solo hanno provocato una riduzione dell'offerta formativa nelle scuole, ma hanno anche provocato l'aumento del rapporto studenti docenti oltre i limiti consentiti causando il fenomeno delle classi pollaio –:
   se le iniziative ricordate in premessa comportino un risparmio per lo Stato ai danni del comparto istruzione e, quindi, rientrino nei tagli del piano di Cottarelli nell'ambito della spending review.
(5-03325)

Interrogazione a risposta scritta:


   FANUCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la figura sanitaria del massofisioterapista è una figura attualmente riconosciuta dalla legge n. 403 del 1971;
   in seguito alla legge n. 42 del 1999, che ha riformato le professioni sanitarie, ha stabilito la sola equipollenza tra i diplomi e gli attestati conseguiti prima della riforma e il diploma universitario di fisioterapista;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 luglio 2011 ha stabilito i criteri e le modalità per il riconoscimento dell'equivalenza ai diplomi universitari dell'area sanitaria dei titoli del pregresso ordinamento, prevedendo la esclusione dalla procedura di valutazione ai fini del riconoscimento dell'equivalenza, fra l'altro, i «titoli di massofisioterapista conseguiti dopo l'entrata in vigore della legge 26 febbraio 1999, n. 42»;
   la normativa, quindi, non prevede l'equipollenza dei diplomi di massofisioterapista al diploma universitario di fisioterapista, ma soltanto nei limiti in cui tali diplomi siano stati conseguiti in base alla normativa precedente a quella attuativa dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992;
   diverse sentenze del Consiglio di Stato, per ultima la 3325/2013, fanno riferimento alla figura del massofisioterapista, ma senza la necessaria chiarezza in merito al ruolo e alle mansioni professionali che la figura può svolgere in riferimento alla normativa vigente;
   in particolare, la normativa non stabilisce modo puntuale se, per un massofisioterapista che ha conseguito il titolo successivamente al 1999, sia possibile l'utilizzo di elettromedicali senza un «costante controllo» del medico e se la figura del direttore sanitario sia essenziale per la gestione di uno studio medico privato –:
   se il Governo non intenda chiarire i compiti, le mansioni e il ruolo degli operatori sanitari che hanno conseguito la qualifica di massofisioterapista in seguito alla legge n. 42 del 1999. (4-05672)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BOCCUZZI, GNECCHI, BARUFFI, GIACOBBE, MAESTRI, BERLINGHIERI, ALBANELLA, DELL'ARINGA, ZAPPULLA, PARIS, GREGORI, GRIBAUDO, INCERTI, GIORGIO PICCOLO, CINZIA MARIA FONTANA, CARRA, MOSCATT e PORTAS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24, comma 10, del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito, con modificazioni, nella legge n. 214 del 2011 ha disposto che sulla quota di trattamento di pensione calcolata con il sistema retributivo relativo all'anzianità maturata fino al 31 dicembre 2011 sia applicata una riduzione percentuale qualora il pensionamento anticipato avvenga prima del compimento dell'età di 62 anni. Tale riduzione è pari all'1 per cento all'anno per i primi due anni mancanti al raggiungimento dei 62 anni ed elevata al 2 per cento per gli ulteriori anni mancanti alla suddetta età calcolati alla data del pensionamento;
   l'articolo 6, comma 2-quater del decreto-legge n. 216 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2012 ha altresì disposto che la riduzione di cui sopra non trova applicazione limitatamente ai soggetti che maturano il requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, qualora la contribuzione derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, malattia e cassa integrazione guadagni ordinaria e successive modificazioni positive;
   pur essendo sufficientemente chiara la norma, l'Inps nel liquidare la pensione anticipata di anzianità alle donne, con età inferiore a 62 anni, non riconosce il periodo di astensione obbligatoria per maternità, quando lo stesso sia intervenuto fuori dal rapporto di lavoro, comportando come conseguenza le percentuali di riduzione applicate per la determinazione della pensione;
   se questa è la ratio con la quale l'Inps sta applicando la norma succitata, dobbiamo immaginare che l'Inps non consideri come prestazione effettiva, anche l'assolvimento degli obblighi di leva, quando lo stesso si sia svolto prime o fuori dal rapporto di lavoro;
   la manovra Fornero sulle pensioni è già stata particolarmente punitiva nei confronti delle donne e questa ennesima interpretazione restrittiva dell'Inps, colpisce nuovamente le donne, nonostante la maternità sia ampiamente tutelata dalle leggi dello Stato –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di intervenire urgentemente nei confronti dell'Inps, per rimuovere questa ulteriore penalizzazione, vero accanimento nei confronti delle pensioni delle donne. (5-03326)


   SCUVERA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dagli organi di stampa si apprende che i 135 lavoratori dello stabilimento Guala Closures Group di Torre d'Isola, in provincia di Pavia, multinazionale italiana leader nella produzione di chiusure per bevande alcoliche, nei giorni scorsi hanno appreso dall'azienda, tramite sms e senza alcun preavviso, dell'imminente chiusura dello stabilimento pavese nonché della risoluzione dei loro rapporto di lavoro entro i termini del preavviso contrattuale, cioè da metà settembre, mentre è stata avviata la procedura di mobilità;
   la motivazione addotta da Guala Closures Group risiede nella mancata redditività del sito secondo le attese e non in uno stato di crisi dell'azienda locale;
   l'azienda ha comunicato altresì la volontà di delocalizzare l'impianto in Polonia, dove il costo dei lavoro è minore, e ha dichiarato in una nota stampa che prevede di poter offrire occupazione ad un numero significativo di persone presso altri siti produttivi;
   dopo aver appreso la notizia della chiusura di Guala Closures Group pavese, i lavoratori hanno occupato la fabbrica con un presidio permanente volto ad evitare che l'azienda smantelli lo stabilimento a partire dai macchinari;
   presso la prefettura di Pavia è stato aperto un tavolo di crisi con le istituzioni locali, le organizzazioni sindacali e l'azienda, ma al primo incontro il responsabile delle risorse umane ha confermato l'intenzione di chiudere lo stabilimento e di continuare con la procedura di mobilità, con la possibilità di ricollocare parte dei lavoratori di Torre d'Isola in altri stabilimenti, in Italia come all'estero –:
   se il Ministro sia al corrente di cosa sta accadendo al Guala Closures Group di Torre d'Isola, come intenda affrontare questa ennesima crisi occupazionale che vede altri 135 disoccupati ingrossare le fila dei licenziati nel territorio pavese, su cui gravano anche altre crisi, come Maugeri, e se non ritenga necessario convocare un tavolo ministeriale che accompagni e agevoli la trattativa tra le parti sociali e i vertici dell'azienda nella direzione della tutela di tutti i posti di lavoro e dell'insediamento produttivo. (5-03329)

Interrogazioni a risposta scritta:


   QUARANTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il settore del trasporto su gomma affronta, ormai da qualche anno, una crisi che ne minaccia fortemente la tenuta e che, soprattutto, rischia di avere pesanti ricadute occupazionali in un settore che in Italia, fornisce lavoro direttamente ad oltre 400.000 addetti, oltre ai lavoratori dell'indotto;
   tale crisi trova le sue origini in una molteplicità di fattori: oltre al difficile ciclo economico ed ai costi fissi sempre crescenti che le aziende si trovano ad affrontare (carburanti, pedaggi autostradali, e altro) sui quali, nonostante numerosissime richieste d'intervento ad oggi non si sono ricevute risposte convincenti;
   una ulteriore fonte di preoccupazione è il cosiddetto distacco transfrontaliero. Con tale illegittima pratica si genera un fenomeno di concorrenza sleale a carico degli operatori che si trovano a dover affrontare concorrenti che possono ottenere, a parità di orario di lavoro, costi molto inferiori di manodopera;
   il meccanismo è tanto semplice quanto perverso: si apre una ditta in un paese dell'Est, che ha contratti di lavoro con salari minimi (se previsti) molto bassi e lì si assumono lavoratori, anche italiani, con contratto di lavoro locale. Sfruttando istituti molto simili all'indennità di trasferta, si garantisce a tali lavoratori una retribuzione in linea con quella italiana, ma con un carico contributivo del tutto risibile e con un risparmio di almeno il 35 per cento. Tali lavoratori, in virtù del principio di libertà di stabilimento, potranno operare in tutta l'Unione europea, con un evidente vantaggio per chi li impiega. Tale vantaggio, però, comporta che gli ignari lavoratori avranno contributi più bassi e quindi pensioni più basse e minori tutele assistenziali. INPS ed INAIL subiscono una evasione contributiva notevole e le imprese che operano correttamente si trovano di fronte concorrenti che riescono a praticare prezzi più bassi. Tutto questo per non parlare delle condizioni di lavoro e degli orari a cui sono costretti gli autisti, con evidente pericolo per tutti gli utenti della strada;
   codesta pratica sarebbe però vietata, in quanto già il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con interpello 33 del 2010 ha evidenziato che la direttiva europea 96/71/CE recepita dal decreto legislativo 72 del 2000 ha stabilito che in materia di distacco transnazionale, per lavoratori operanti in Italia, vi debba essere parità salariale e non vi possano essere discriminazioni di sorta. A quanto risulta, sia le organizzazioni sindacali dei lavoratori, sia le associazioni del trasporto hanno evidenziato tali problematicità, ricevendo però risposte evasive e non riscontrando mai la reale volontà di reprimere tale fenomeno –:
   se siano a conoscenza di questa grave situazione che coinvolge lavoratori, aziende, Inps e Inail e cosa intendano fare per contrastare tali pratiche illegittime al fine ripristinare un corretto regime di concorrenza nel settore dell'autotrasporto a tutela delle aziende, degli istituti previdenziali, ma soprattutto dei lavoratori operanti nel settore. (4-05658)


   CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge 12 giugno 1990, n. 146, disciplina l'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e la salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati nonché l'istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge;
   il 23 luglio 2014 l'organizzazione sindacale ADL associazione difesa lavoratrici e lavoratori Varese – sindacato di base, in persona del segretario provinciale della ADL Varese, con lettera avente ad oggetto: «denuncia di atto intimidatorio e richiesta di chiarimenti e accertamenti» indirizzata alla direzione polizia Malpensa, a Sea spa, Sea Handling spa, alla prefettura e questura di Varese, ha denunciato presunti comportamenti della società SEA in contrasto con il regolare esercizio del diritto di sciopero e delle disposizioni in materia emanate dalla Commissione di garanzia posti in essere dai responsabili della medesima società durante lo sciopero di 24 ore del 20 luglio 2014 nell'aeroporto di Milano Malpensa;
   l'organizzazione sindacale con la suddetta lettera ha evidenziato che durante lo sciopero del 20 luglio 2014 alle ore 17,30 circa «tre lavoratori autisti bus (tra cui un nostro associato) sono stati convocati presso gli arrivi A dalla responsabile di turno [...] e, in tale occasione tre agenti di polizia di Malpensa chiedevano l'identificazione con relativa richiesta di documenti, chiedendo insistentemente spiegazioni sul perché gli stessi non eseguissero il lavoro loro assegnato essendo regolarmente in turno e dipendenti di SEA»;
   la ADL ha contestato tale condotta da parte dei responsabili di SEA e degli agenti in servizio precisando che i lavoratori durante lo sciopero non si erano rifiutati di svolgere la loro attività lavorativa per i voli programmati da Enac, ma si erano soltanto dichiarati indisponibili a servire voli che fossero non garantiti, essendo i suddetti dipendenti «lavoratori comandati in servizio»;
   non è la prima volta che la associazione sindacale ADL denuncia presunte condotte antisindacali e in violazione della legge sull'esercizio del diritto di sciopero da parte di SEA e anche la interrogazione a risposta scritta dell'interrogante (n. 4-04573 del 18 aprile 2014) è rimasta priva di riscontro –:
   se, nell'ambito delle rispettive competenze, i Ministri interrogati abbiano intenzione di verificare i fatti esposti con i modi e i mezzi che riterranno più opportuni;
   quali iniziative intendano assumere al fine di garantire il rispetto della legge sullo sciopero e una corretta gestione delle relazioni sindacali ed evitare il ripetersi di tali comportamenti lesivi dei diritti dei lavoratori che esercitano il diritto di sciopero garantito dalla Costituzione.
(4-05669)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in virtù della legge n. 56 del 7 aprile 2014, dal primo gennaio 2015, la provincia di Milano muterà in città metropolitana;
   ai lavoratori impiegati a tempo determinato presso l'attuale provincia di Milano, per effetto della legge del 125 del 2013 (di conversione del decreto-legge 101 del 2013), è stato prorogato il contratto fino al 31 dicembre 2014;
   la provincia di Milano, non verrà completamente dismessa e dovrà, invece, garantire continuità di erogazione del servizio;
   i soggetti attualmente impiegati, pur se con contratto a tempo determinato, hanno maturato esperienza e professionalità specifiche, ricoprendo ruoli indispensabili anche per il futuro assetto della città metropolitana;
   la situazione descritta in premessa potrebbe riprodursi anche in altre realtà con notevoli ripercussioni sul piano occupazionale –:
   se il Governo abbia un quadro aggiornato circa il numero e le categorie di lavoratori dipendenti dalle province, con particolare riguardo a quelli a tempo determinato, di quali elementi disponga circa l'impatto delle riforme di cui in premessa sul piano occupazionale e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per evitare squilibri e garantire un recupero delle professionalità interessate.
(4-05680)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TERROSI, OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, VENITTELLI, COVA, CENNI e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   ISMEA, l'istituto dei servizi per il mercato agricolo alimentare svolge diverse attività sia relative ad analisi dei mercati dei diversi comparti produttivi sia per lo sviluppo e il sostegno di impresa attraverso l'attivazione di vari strumenti quali il subentro in agricoltura agevolando l'insediamento di giovani agricoltori, la riassegnazione dei terreni agricoli per bando a giovani laureati e diplomati, la vendita di terreni agricoli per asta pubblica e la riassegnazione dei terreni agricoli assegnati per bando;
   ISMEA persegue l'obiettivo di cui sopra anche attraverso l'attivazione di strumenti finanziari quali il fondo di riassicurazione e l'attivazione di garanzie per l'accesso al credito;
   in particolare, lo strumento noto come ex cassa per la piccola proprietà contadina, aiuta gli agricoltori ad accedere al bene primario per lo svolgimento dell'attività agricola: la terra;
   l'agevolazione, come noto, consiste nella «vendita rateale agli agricoltori con riserva della proprietà a favore di Ismea»; il periodo di ammortamento è stabilito in massimo 30 anni, l'assegnatario Ismea — che ha l'obbligo della conduzione diretta per 5 anni — acquista la proprietà con il pagamento dell'ultima rata;
   negli ultimi anni, a causa della crisi economica che ha reso più difficili le condizioni di mercato per molti settori produttivi, compreso quello agricolo, gli imprenditori agricoli sempre di più hanno riscontrato difficoltà nel pagamento delle rate di ammortamento;
   ISMEA, secondo quanto riportato dalla stessa struttura, per far fronte alle difficoltà economiche connesse alla perdurante crisi del mercato agricolo, e non solo, ha deciso di porre in essere, già dal 2011, urgenti misure a sostegno degli assegnatari;
   in presenza di specifiche e documentate situazioni di crisi produttiva e/o commerciale, ha previsto la sospensione delle rate e il conseguente adeguamento del piano di ammortamento a beneficio delle aziende agricole e, in particolare di:
    a) aziende colpite da calamità naturali o da avversità atmosferiche di carattere eccezionale alle infrastrutture, alle strutture aziendali o alla produzione agricola situate nelle zone delimitate da decreto emanato ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 185 del 1992, che abbiano subito danni non inferiori al 35 per cento della produzione lorda vendibile, esclusa quella zootecnica;
    b) aziende colpite da epizoozie o fitopatie riconosciute con provvedimento dell'Autorità competente e che, conseguentemente, abbiano subito sospensione dell'attività produttiva, riduzione del reddito e costi per l'abbattimento dei capi e lo smaltimento delle carcasse;
    c) aziende che abbiano la produzione lorda vendibile prevalentemente costituita da produzioni colpite da crisi di mercato (la cui gravità risulti anche da fatto notorio, oltre che da provvedimenti dell'Autorità competente) previa determinazione degli indicatori economici di riferimento;
   con appositi atti regolamentari dell'ISMEA, a seconda della gravita dell'evento o del perdurare dell'evento medesimo, sono stabilite modalità e tempi di sospensione delle rate e di adeguamento del piano di ammortamento;
   l'analisi del dato relativo alle morosità dell'ultimo quindicennio, riferita alle assegnazioni di terreni con piano di ammortamento, evidenziano un tasso di insolvenza medio nazionale dell'8 per cento, con valori differenti a livello regionale. In particolare l'Abruzzo presenta una percentuale media di default del 15 per cento, la Sicilia del 14 per cento, la Basilicata del 13 per cento, la Toscana e la Calabria del 12 per cento, le Marche dell'11 per cento, la Campania, il Lazio, la Liguria e l'Umbria del 9 per cento, il Molise dell'8 per cento, la Puglia del 7 per cento, il Veneto del 6 per cento, la Sardegna del 4 per cento, l'Emilia Romagna e il Piemonte del 3 per cento, la Lombardia del 2 per cento, il Friuli Venezia Giulia dell'1 per cento e solo il Trentino Alto Adige dello 0 per cento;
   nel calcolo dell'insolvenza media sono compresi diversi livelli di morosità, con aziende morose per una o poche rate, e aziende che hanno maturato un debito più consistente o che hanno già avuto una sentenza passata in giudicato che può determinare la rescissione del contratto con ISMEA e la perdita dei terreni assegnati e non riscattati –:
   se il Governo confermi i dati relativi all'insolvenza delle aziende e, in particolare, anche al fine di individuare i comparti agricoli maggiormente coinvolti, quali iniziative intenda assumere per:
    a) reintegrare tali dati con altri che diano conto della consistenza del debito residuo da ammortizzare, con indicazione del numero e tipologia di aziende per ogni diverso livello di morosità nonché del numero e tipologia di quelle destinatarie di provvedimenti passati in giudicato, nelle diverse regioni;
    b) evitare la perdita dei terreni assegnati e la chiusura dell'azienda per gli agricoltori in condizioni di reiterata morosità — anche con sentenza passata in giudicato — qualora sia documentato e documentabile che la morosità reiterata che ha condotto alla situazione debitoria estrema sia incolpevole, perché effettivamente dovuta ad una delle cause in premessa nonché al perdurare e all'inasprirsi della crisi economica;
    c) prevedere l'accesso di ISMEA, per la quota di morosità incolpevole degli agricoltori, a fondi di garanzia pubblica «a prima richiesta», esplicita, incondizionata e irrevocabile in grado di coprire, nei limiti dell'importo massimo garantito, l'ammontare dell'esposizione di ISMEA nei confronti degli agricoltori. (5-03319)


   GALLINELLA, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come è noto, l'Italia continua ad essere deficitaria di sementi per l'agricoltura; nel 2013, in base ad elaborazioni di Assosementi su dati Istat, il valore delle esportazioni italiane è rimasto infatti sostanzialmente stabile a 255 milioni di euro, confermando il risultato raggiunto nel 2012;
   nel 2013 le importazioni di sementi come quelle da orto (141 milioni di euro), foraggere (52 milioni di euro), mais ibrido dolce (44 milioni di euro), patata da semina (30 milioni di euro) e sementi di soia (8 milioni di euro) sono cresciute del 13 per cento, attestandosi a 350 milioni, a fronte dei 310 milioni dell'anno precedente;
   le sementi italiane sono riconosciute nel mondo come sinonimo di alta qualità; particolarmente apprezzate sono le sementi da orto, stabili nelle esportazioni con un valore di 91 milioni, e quantitativamente destinate per il 50 per cento ai Paesi dell'Unione europea e per l'altro 50 per cento a Paesi extra-Ue; 61 milioni di euro è il valore del mercato dell'esportazione delle sementi foraggiere; 31 milioni quello delle sementi di barbabietole da zucchero, 30 milioni quello di mais ibrido dolce e 11 milioni quello di semi di girasole, per un totale di 255 milioni di euro, che comunque, risulta inferiore al valore delle importazioni di sementi analoghe –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto espresso in premessa e quali azioni intenda intraprendere al fine di garantire, per quanto possibile, l'autosufficienza del nostro Paese nella produzione delle principali sementi.
(5-03322)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NARDUOLO, D'ARIENZO e NACCARATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   per l'Italia uno dei fondamentali presupposti per la tutela dei nostri prodotti di eccellenza in diversi settori produttivi, dal lusso (scarpe, vestiario, pellame, ecc.) all'agroalimentare di grandissima qualità, è da tempo quello del riconoscimento a livello europeo del marchio di origine dei prodotti il cosiddetto «made in»;
   ciò che per la nostra cultura produttiva è considerato normale ovvero il fatto che, pur nella piena libertà della circolazione delle merci, si riconosca senza equivoci o zone grigie l'origine dei prodotti e, più in generale, si tutelino i consumatori europei garantendoli anche sulla sicurezza e la qualità delle merci che acquistano, non è considerato tale da molti stati europei;
   dopo diversi tentativi solo recentemente, e cioè il 15 aprile 2014, il Parlamento europeo ha approvato le norme per rendere obbligatoria l'etichettatura «made in» sui prodotti non alimentari venduti sul mercato comunitario;
   che recentemente (10 luglio 2014) la Camera dei deputati ha approvato mozioni ed ordini del giorno che, oltre a ripercorrere le tappe del difficile confronto in seno all'Europa su tali temi, impegnano il Governo a proseguire con determinazione la battaglia per il rafforzamento di queste norme e per l'introduzione dell'etichettatura anche per i prodotti alimentari;
   tutto il mondo dell'agroalimentare italiano ed in particolar modo i coltivatori e gli allevatori denunciano il fatto che le loro merci (in particolare quelle legate ai prodotti DOP e IGP) giustamente assoggettate a rigide regole di produzione vengono spesso «sostituite» da chi confeziona il prodotto finale con materie completamente estranee alle filiere produttive indicate nei protocolli e acquistate a basso costo anche da paesi extra dell'Unione europea –:
   quali siano le azioni che il Governo italiano intenda dispiegare su questo versante durante il semestre di presidenza del Consiglio dell'Unione europea;
   quali siano attualmente i sistemi di monitoraggio sulle filiere dei prodotti di eccellenza e come venga applicata e fatta rispettare la legge dello Stato italiano n. 4 del 3 febbraio 2011 relativa all'etichettatura con la finalità di promuovere e difendere il nostro sistema produttivo per il quale la qualità è un elemento strettamente collegato all'origine territoriale delle materie agricole e dell'allevamento. (4-05660)


   D'INCÀ, BUSINAROLO, ROSTELLATO, SILVIA GIORDANO e BRUGNEROTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha inoltrato il 10 luglio 2014 un parere motivato, ai sensi dell'articolo 258 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, per il mancato rispetto degli obblighi di garantire l'effettiva riscossione del prelievo sulle eccedenze di latte, istituito con regolamento (CE) n. 856/84, successivamente abrogato e sostituito attraverso l'adozione di una complessa normativa del Consiglio e della Commissione che ha progressivamente prorogato l'applicazione del regime delle «quote latte» per ulteriori periodi e da ultimo fino al 31 marzo 2015;
   il parere motivato ha per oggetto l'accertata mancata riscossione di quanto posto a carico dei produttori di latte che, a decorrere dalla campagna 1995/96, avendo superato le quote loro assegnate, non hanno poi corrisposto, per l'accertata commercializzazione di quantità eccedentarie, le somme dovute a titolo di prelievo supplementare;
   dalla iniziale costituzione in mora le cifre relative ai mancati recuperi hanno subito l'evoluzione che risulta dalla nota europea ed in particolare: l'ammontare totale del prelievo ripartito corrisponde a circa 2,264 miliardi di euro; l'ammontare del prelievo recuperato al di fuori dei piani di rateizzazione è di 264 milioni di euro; il prelievo tuttora da riscuotere al di fuori dei piani di rateizzazione è di 1,552 miliardi di euro; dei 1,552 miliardi di euro ancora dovuti, circa 158 milioni sono stati dichiarati non recuperabili; l'ammontare ancora da recuperare risulta pari a 1,395 miliardi di euro;
   il mancato recupero di tali somme, oggi poste a carico di non più di 700 produttori, ha creato per anni non solo ingenti danni all'immagine dell'Italia ma anche distorsioni della concorrenza nel mercato del latte a danno della maggioranza delle aziende produttrici (assommanti oggi, dopo i consistenti abbandoni che si sono registrati nel corso degli anni, a circa 30.000 unità) che si sono invece conformate alle disposizioni comunitarie producendo entro le quantità assegnate, acquisendo a caro prezzo diritti produttivi, corrispondendo il prelievo dovuto in caso di produzione eccedentaria anche, se del caso, in modo rateale;
   la Commissione ha invitato il Governo italiano a rispondere esaustivamente alle domande di informazioni, già più volte avanzate e nuovamente formulate nel parere motivato, entro due mesi dal ricevimento del medesimo ed a prendere, entro il medesimo arco temporale, le misure necessarie per conformarsi al parere;
   la Commissione, in assenza di risposte esaurienti e di iniziative e misure necessarie ad assicurare e garantire il recupero del prelievo esigibile dovuto, proseguirà l’iter della procedura d'infrazione;
   in caso di conclusione sfavorevole della procedura d'infrazione la conseguente condanna potrebbe comportare l'imposizione, a carico dell'amministrazione italiana, di ulteriori sanzioni finanziarie, mentre l'imposizione di tali sanzioni non farebbe che aggravare l'onere finanziario già sostenuto da tutti i contribuenti italiani a seguito dei recuperi per compensazione applicati nel corso degli anni dalle istituzioni comunitarie sui trasferimenti finanziari disposti a diverso titolo dalle normative europee verso l'Italia –:
   se nella mancata applicazione del regime non si ravvisino, oltre a generiche responsabilità politiche, elementi di danno per le casse dello Stato;
   se e quali azioni intendano intraprendere, al fine di scongiurare un ulteriore contenzioso ed ulteriori penalizzazioni economiche, e come intendano rispondere ai motivati e puntuali rilievi avanzati dalla Commissione europea;
   se e quali azioni intendano intraprendere per risolvere definitivamente l'annosa vicenda del recupero delle somme, al di fuori dei piani di rateizzazione, a carico di quegli allevatori che hanno «splafonato» le quote loro assegnate, prima che queste diventino inesigibili, anche in considerazione che la cessazione del sistema di contingentamento produttivo, prevista per l'aprile 2015, potrebbe rappresentare, una volta valicato tale termine temporale, un ulteriore elemento di difficoltà. (4-05662)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Parkinson è una patologia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge principalmente alcune funzioni quali il controllo dei movimenti e dell'equilibrio ed è considerata la più frequente tra le malattie rientranti nel gruppo dei «disordini del movimento». Quando, a seguito della perdita di neuroni, i livelli di dopamina si riducono di oltre il 60-80 per cento compaiono i sintomi della malattia, sintomi motori e sintomi non motori. I sintomi non motori possono diventare rilevanti nelle fasi più avanzate, assumendo un ruolo determinante sulla disabilità e sulla qualità della vita del paziente e della famiglia;
   si stima che attualmente in Italia 230.000 persone siano affette da parkinsonismo, di cui due terzi presentano la malattia di Parkinson, mentre gli altri sono affetti dai cosiddetti parkinsonismi, quali atrofia multisistemica (MSA), paralisi sopranucleare progressiva (PSP) e degenerazione corticobasale (CBD). Le patologie neurodegenerative aumentano con l'età, per cui si prevede che, con il progressivo invecchiamento della popolazione, entro il 2030 il numero di persone affette da parkinsonismo raddoppi, raggiungendo quasi mezzo milione;
   l'esordio della malattia avviene mediamente in età lavorativa, intorno ai 55-60 anni, ma la malattia di Parkinson può comparire a qualsiasi età. In circa il 5 per cento dei casi, soprattutto quando vi è una componente ereditaria, compare in età giovanile, anche tra i 20 e 40 anni. Un esordio prima dei 20 anni è molto raro;
   la malattia di Parkinson si colloca in terza posizione, fra 35 patologie oggetto di analisi dei dati di health search 2010-2011, per numero di contatti/paziente/anno con un valore di 7,86 subito dopo le malattie ischemiche del cuore (8,47) e il diabete mellito di tipo II (8,06), e precedendo tutte le altre patologie, molte delle quali hanno notoriamente una prevalenza superiore nella popolazione generale (fibrillazione atriale 7,64; scompenso cardiaco congestizio 6,82; ipertensione non complicata 6,70 e così via);
   la diagnosi è essenzialmente clinica, viene effettuata in base all'anamnesi (storia clinica), ai sintomi ed al loro andamento nel tempo. Nei primi anni di malattia la diagnosi non è facile. In caso di sintomi non ben definiti il paziente soprattutto nelle prime fasi di malattia viene erroneamente inviato ad altri specialisti (ortopedico, fisiatra e altri) prima dell'invio ad un neurologo esperto. Infatti, i tempi necessari per ottenere una diagnosi di malattia di Parkinson sono in media di 16,8 mesi;
   ad oggi non esiste un trattamento risolutivo, la terapia farmacologica è essenzialmente una terapia sintomatica che ha lo scopo di ovviare alla carenza di dopamina. La terapia deve essere il più possibile personalizzata ed impostata in base alle caratteristiche del paziente. Non esistono infatti linee guida univoche sul trattamento della fase iniziale a sottolineare come non esista una terapia standardizzata, idonea per tutti i pazienti;
   la velocità della progressione della malattia varia considerevolmente da paziente a paziente. Con le terapie moderne i pazienti parkinsoniani, soprattutto quelli con esordio giovanile, possono vivere a lungo e convivere con la malattia per 30 anni e oltre;
   la gestione del paziente si modifica in funzione della storia naturale della malattia, in fase precoce, intermedia o avanzata, e in relazione alla associazione di sintomi non motori che appaiono determinanti, soprattutto nelle fasi più avanzate, per la disabilita e la qualità della vita del paziente;
   la malattia di Parkinson, in quanto fortemente invalidante, ha elevati costi diretti sanitari ed indiretti sia a carico del paziente sia a carico dei familiari che se ne prendono cura (ad esempio esami diagnostici, trasferimento del malato, visite e terapie di supporto ed altro). I costi del trattamento aumentano con la progressione della patologia, la presenza di discinesie, di fluttuazioni motorie, di sintomi non motori e l'aumento del tempo in OFF;
   un paziente affetto da Parkinson in stadio avanzato (caratterizzato da discinesie ed elevata percentuale del tempo in OFF), costa al servizio sanitario nazionale circa 73.303,84 euro all'anno comprensivi di costi diretti sanitari costi indiretti e assistenza specializzata;
   la «Carta dei diritti del Parkinsoniano» presentata dall'Associazione italiana Parkinson (AlP) presso la Camera dei deputati l'8 maggio 2014; individua tre categorie di problemi cui vanno incontro i malati di Parkinson e le relative famiglie: la difficoltà a ottenere in tempi ragionevoli e senza spostamenti troppo gravosi diagnosi accurata e impostazione e gestione nel tempo della terapia presso centri o reti specializzate; la difficoltà a ottenere servizi di sostegno sociale e socio-sanitario adeguati a compensare per quanto possibile la perdita di autonomia e di qualità della vita; la carenza di risorse per la ricerca scientifica finalizzata a combattere la malattia e i suoi esiti invalidanti;
   la stessa «Carta dei diritti del Parkinsoniano» chiede ai decisori politici di: avere una visione a 360o della malattia di Parkinson; riqualificare e potenziare l'offerta territoriale di servizi sanitari e socio-sanitari per ridurre le diseguaglianze nell'accesso alla diagnosi, al trattamento e alla gestione della malattia di Parkinson; identificare delle strutture ospedaliere di riferimento che consentano un più rapido accesso alle cure per i pazienti con malattia di Parkinson e in particolare nei pazienti in stadi più avanzati della malattia; migliorare e riqualificare il finanziamento per la ricerca scientifica nell'ambito delle malattie neurodegenerative; favorire la formazione e la sensibilizzazione agli specifici problemi della malattia di Parkinson del personale sanitario e dei servizi sociali, oltre che degli amministratori di enti locali e dei componenti di tutti gli organi di decentramento; coinvolgere e recepire le indicazioni dei malati e delle loro famiglie;
   sebbene una delle priorità del servizio sanitario nazionale sia quella di offrire al paziente un modello di assistenza che garantisca appropriatezza terapeutica e continuità assistenziale, è assente un documento nazionale programmatorio specifico per la malattia di Parkinson né la stessa è oggetto di specifica attenzione nei documenti di programmazione più recentemente approvati, quali il piano sanitario nazionale 2006-2008 e il piano nazionale di prevenzione 2010-2012 –:
   quali siano le iniziative che intende intraprendere per ridurre le diseguaglianze sul territorio nell'accesso alla diagnosi, al trattamento e alla gestione della malattia di Parkinson durante tutta la sua evoluzione, ad esempio mediante la definizione di percorsi diagnostici terapeutici assistenziali (PDTA);
   in particolare se intenda includere la malattia di Parkinson in un piano nazionale delle malattie croniche o all'interno del patto della salute;
   se sia possibile assumere iniziative per identificare delle strutture ospedaliere di riferimento che consentano un più rapido accesso alle cure per i pazienti con malattia di Parkinson e, in particolare, nei pazienti in stadi più avanzati della malattia. (5-03320)

Interrogazione a risposta scritta:


   BALDUZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina della professione di odontotecnico trova la propria disciplina di base nel risalente regio decreto 31 maggio 1928, n. 1334, che la riconosce quale arte ausiliaria delle professioni sanitarie, mostrando già in tale qualificazione, ormai obsoleta, la propria inadeguatezza rispetto all'effettiva evoluzione della figura professionale in questione. Lo sviluppo delle tecnologie sanitarie legate alla protesica dentaria ha infatti richiesto e determinato un'elevata professionalizzazione dell'odontotecnico, il quale, responsabile ai sensi della normativa comunitaria per la conformità dei dispositivi medici da lui progettati e realizzati, nonché inserito, pur in assenza di obblighi formativi, nei programmi del sistema ECM, può esercitare in proprio soltanto alla conclusione di un ciclo di studi superiori quinquennale e dopo il superamento di un esame di abilitazione;
   la necessità di un compiuto aggiornamento del suo profilo professionale è avvertita ormai da alcuni anni e l'ordinamento ne era fatto per la prima volta carico tra il 2001 e il 2002, con l'approvazione di uno schema di regolamento recante il riconoscimento e la disciplina della professione sanitaria di odontotecnico; tale regolamento, tuttavia non venne mai emanato per l'intervenire della revisione del Titolo V di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, che privò lo Stato della potestà regolamentare nelle materie di competenza legislativa concorrente, quale è la materia «professioni» ai sensi dell'articolo 117, comma 3, Cost. (cfr. il parere Consiglio di Stato n. 67 del 2002 che rilevò tale novum normativo);
   a questa novazione del riparto costituzionale delle competenze conseguì la legge n. 43 del 2006, la quale, all'articolo 5, demanda l'individuazione di nuove professioni sanitarie – ovvero di professioni diverse da quelle riconosciute direttamente dalla legge – ad accordi sanciti in Conferenza Stato-regioni, previo parere tecnico-scientifico di specifiche commissioni istituite presso il consiglio superiore di sanità, da recepirsi successivamente e su deliberazione del Consiglio dei Ministri da parte di decreti del Presidente della Repubblica;
   conformemente alla nuova disciplina, nel 2007 il Ministero della salute si attivò per avviare la procedura finalizzata all'individuazione della professione di odontotecnico, con relativo aggiornamento del profilo professionale; lo schema di accordo fu sottoposto al parere tecnico-scientifico di un'apposita commissione insediata presso il Consiglio Superiore di Sanità, la quale si espresse favorevolmente, proponendo alcune modifiche che vennero recepite nello schema medesimo, poi trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni; sul testo in questione, che presentava ancora alcuni profili controversi, non fu però trovato l'accordo in Conferenza, che nella seduta del 2 dicembre 2009 ne rinviò l'esame in attesa di acquisire approfondimenti;
   da allora, le resistenze rispetto alla conclusione dell’iter a suo tempo avviato non sono state superate; in particolare dopo alcune iniziative adottate, anche a seguito di atti informativi parlamentari (ad esempio l'interrogazione atto Camera n. 5-06468 Molteni, XVI leg.), dal Ministero nel 2012 nell'ambito di una complessiva azione sui percorsi formativi e i profili di alcune professioni sanitarie, va constatato il successivo stallo in cui è ricaduta la vicenda in questione;
   allo stato, appare opportuno e necessario che le predette resistenze, riconducibili specialmente alle responsabilità (che potrebbero essere maggiori) poste in capo all'odontotecnico e ai suoi rapporti con i medici odontoiatri, siano affrontate definitivamente, ricercando un punto di equilibrio certamente possibile e anche doveroso, da un punto di vista del pari trattamento delle categorie professionali, alla luce dei riconoscimenti che nel frattempo stanno acquisendo altre figure coinvolte nella cura dell'apparato dento-parodontale, come quella dell'assistente di studio odontoiatrico, il cui profilo professionale è oggetto di uno schema di accordo recentemente approdato all'attenzione della Conferenza Stato-Regioni;
   le associazioni rappresentative degli odontotecnici, il 13 marzo 2014, hanno inviato ai presidenti di regione e agli assessori alla sanità e alle, attività produttive, una nota congiunta ad illustrazione della problematiche della categoria;
   che, a seguito di tale iniziativa, che ha ricevuto riscontri ancora preliminari ma positivi presso alcuni consigli regionali, la posizione delle parti regionali al riguardo potrebbe andare incontro a significative evoluzioni –:
   quale sia lo stato attuale della vicenda descritta in premessa e se vi siano nuovi sviluppi rispetto alla situazione nota a quest'aula;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per promuoverne la soluzione, anche nell'ottica di invitare le parti regionali ad una considerazione della questione pari a quella mostrata nei confronti di altri profili professionali il cui riconoscimento è attualmente in discussione.
(4-05659)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il Gruppo CASTI è in situazione pre-fallimentare, con accertato stato di insolvenza da parte del tribunale di Varese;
   per tentare di evitare il fallimento è necessario intervenire immediatamente secondo i disposti della legge Marzano con un intervento di amministrazione straordinaria;
   il tribunale di Varese ha già dato parere favorevole a tale procedura individuando un commissario straordinario che possa operare con un «Piano di Continuità»;
   è già stata depositata istanza in tal senso presso il Ministero dello sviluppo economico;
   rischiano di essere compromessi centinaia di posti di lavoro in una provincia che ha il tasso di disoccupazione più alto della regione Lombardia –:
   se intenda ammettere il gruppo CASTI alla procedura prevista dalla legge, nominando il commissario straordinario nei tempi più rapidi.
(2-00639) «Marantelli».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi due anni, il settore della produzione di acciai inossidabili in Italia ha registrato cambi proprietari, ri-acquisizioni e annunci di piani di ridimensionamento produttivo che suscitano molte incertezze e preoccupazioni per il futuro di produzioni ad alto contenuto tecnologico nel nostro paese;
   il 31 gennaio 2012, il gruppo finlandese Outokumpu acquista per 2.7 miliardi di euro Inoxum, la Divisione Acciai Inossidabili di ThyssenKrupp, di cui fa parte ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni. Tuttavia, tale acquisizione è stata subordinata dall'Antitrust europeo alla cessione delle attività italiane di Inoxum, al fine di scongiurare la costituzione di una posizione dominante sul mercato europeo dell'inox;
   per tali ragioni, il 12 febbraio scorso, la Commissione europea ha ufficializzato il ri-acquisto dell'AST e VDM da parte di ThyssenKrupp, e il Commissario europeo per la concorrenza, Joaquin Almunia, ha motivato tale operazione pronosticando che il gruppo Thyssen avrebbe fatto di Terni un concorrente forte e credibile di Outokumpu, così riuscendo a «proteggere la concorrenza nel mercato europeo dell'acciaio inossidabile»;
   il 17 luglio 2014, ThyssenKrupp ha annunciato un piano che, di fatto, calerà la scure dei tagli su Acciai Speciali Terni, prevedendo una riduzione di costi in tutte le aree (operative, strutturali, vendita e organico) di oltre 100 milioni di euro l'anno e un ridimensionamento del personale di circa 550 dipendenti, oltre che la chiusura del secondo forno entro il 2015-16;
   secondo l'azienda, che è stata integrata nella divisione Business Area Materials Services «al fine di beneficiare nel miglior modo della presenza di ThyssenKrupp sul mercato internazionale», è stato deciso di intraprendere un «piano di azione strategico globale, in grado di ristabilire la profittabilità sostenibile dell'azienda, nonostante il difficile quadro del mercato caratterizzato da un'esistente sovraccapacità». Indicando, inoltre, «un maggiore focus sui laminati a freddo e un incremento delle vendite rivolte agli utenti finali e presuppone un cambiamento nella produzione che deve limitare i propri volumi in base alle vendite redditizie. Ciò comporta l'incremento delle capacità nella produzione dei laminati a freddo affiancata da un'ottimizzazione dell'efficienza nella fase liquida e una contemporanea chiusura del secondo forno entro il 2015/2016». La chiusura del secondo forno potrebbe essere riconsiderata – avverte l'azienda – solo se le condizioni di mercato miglioreranno notevolmente e tutti gli obiettivi saranno stati raggiunti. La società ha dichiarato di essere «fermamente convinta che tali misure siano ben ponderate e indispensabili per garantire il futuro di Acciai Speciali Temi e il suo valore per i propri stakeholder»;
   le reazioni delle organizzazioni sindacali, del sindaco della città di Terni, del presidente della provincia e della regione Umbria sono state di immediata contestazione di tale approccio definendolo «irricevibile», trattandosi di un «piano che di industriale ha davvero poco, perché prevede esclusivamente un taglio drastico sia in termini di dipendenti che di salario, scaricando così tutto il costo sociale soltanto sui lavoratori delle acciaierie, in un territorio già duramente colpito in passato da piani di ridimensionamento delle acciaierie e su tutto il sistema delle imprese dell'indotto. Peraltro, ciò a fronte di un peso del costo complessivo del lavoro all'interno del bilancio di Tk che è assai marginale, attestandosi attorno al quattro per cento. Una sproporzione che è indice di un'assoluta mancanza di strategia industriale da parte di Tk per ciò che riguarda il sito di Terni» senza «alcuna significativa voce relativa a investimenti che possano, anche in minima parte, supportare le supposte strategie di rilancio di Ast che il management ha in maniera troppo sommaria riferito di voler perseguire», ricordando inoltre come «l'approvazione della Commissione Europea dell'operazione di retrocessione di Ast da Outokumpu a Tk fosse anche il frutto di rassicurazioni in ordine alla conservazione della potenzialità produttiva del sito, alla realizzazione di investimenti e del necessario sostegno finanziario»;
   con una nota ufficiale del Ministro interrogato si evidenzia come: «Così com’è, il piano industriale per Ast presentato oggi proprio non va ... è da rivedere nei sui punti centrali perché manca di prospettiva, non lascia cioè intravedere, dopo tre anni di incertezze gestionali, quale possa essere il futuro delle acciaierie di Temi», cioè di un impianto di interesse nazionale –:
   quali siano le strategie del Governo relativamente all'obiettivo di mantenere nel nostro paese un importante presidio di produzione di acciai speciali ad alto contenuto tecnologico;
   quali ulteriori iniziative intendano assumere, oltre all'avvio del tavolo di confronto con l'azienda, i sindacati e le amministrazioni territoriali interessate, al fine di assicurare le migliori condizioni per il rafforzamento di comparti strategici per il sistema industriale, oltre che per la continuità produttiva di detti impianti e la salvaguardia dei livelli occupazionali.
(2-00640) «Boccuzzi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MALPEZZI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Aastra Italia spa è la filiale italiana di Mitel Networks Corporation, società multinazionale operante nel mercato delle telecomunicazioni con sede a Ottawa in Canada, leader mondiale nelle comunicazioni per l'impresa;
   Aastra Italia spa opera in Italia attraverso tre unità locali site a Cernusco sul Naviglio (Milano), Roma e Napoli ed impiega n. 54 dipendenti e n. 1 dirigente;
   in data 16 maggio 2014 la società Aastra ha avviato la procedura per riduzione di personale attraverso l'apertura della mobilità per n. 28 dipendenti;
   preme agli interroganti evidenziare il rischio del graduale disimpegno della società multinazionale dal nostro Paese, viste le incognite sul futuro –:
   quali urgenti iniziative i Ministri interrogati intendano attivare al fine di preservare i livelli occupazionali di Aastra Italia spa;
   se sia noto quale strategia e quale progetto industriale la società multinazionale canadese intenda attuare in Italia;
   quali iniziative di competenza i Ministri intendano assumere al fine di individuare un percorso di rilancio di un settore strategico per il Paese quale quello delle telecomunicazioni. (5-03324)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Ginefra e altri n. 1-00134, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Alfreider, Vezzali.

  La mozione Scotto e altri n. 1-00537, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bossa.

Apposizione di firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Ottobre ed altri n. 1-00291, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Leone e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Ottobre, Giachetti, Fabrizio Di Stefano, Leone, Kronbichler, Marcolin, Dellai, Corsaro, Pisicchio, Di Lello, Bruno, Nicoletti, Alfreider, Binetti, Capelli, Carella, Catalano, De Menech, Di Gioia, Fauttilli, Furnari, Galgano, Gallo, Gebhard, Ginoble, Labriola, La Marca, Lacquaniti, Latronico, Locatelli, Marguerettaz, Migliore, Paglia, Palmizio, Pastorelli, Piepoli, Plangger, Realacci, Rossi, Rostan, Giovanna Sanna, Sberna, Scanu, Schullian, Stumpo, Tabacci, Tacconi, Vargiu, Zaccagnini».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Lombardi n. 4-05657 del 23 luglio 2014.