Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 17 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il settore dell’«economia blu» rappresenta, in Europa, circa 5,4 milioni di posti di lavoro, con un valore aggiunto poco inferiore a 500 miliardi di euro all'anno; il 75 per cento del commercio esterno dell'Unione europea è basato, infatti, sul trasporto marittimo, così come il 37 per cento del commercio all'interno del mercato unico;
    il  Parlamento europeo ha inserito la strategia della crescita blu all'interno della programmazione economica pluriennale 2014-2020, includendovi gli obiettivi propri dell'agenda Europa 2020 e ha invitato gli Stati membri a implementare la competitività del proprio settore marittimo incoraggiando sinergie e politiche coordinate che permettano di generare valore aggiunto su scala europea;
    l'Unione europea ha già sviluppato oltre 9 politiche di sostegno volte a rafforzare gli sforzi degli Stati membri e delle regioni nella creazione di blocchi comuni per una economia blu di successo. Si valuta che un sostanziale sviluppo della blue economy potrebbe creare 2 milioni di posti di lavoro da oggi al 2030;
    il 2 luglio 2013, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in merito alla «strategia per la crescita blu», finalizzata al miglioramento della crescita sostenibile nel settore marino, dei trasporti marittimi e del turismo dell'Unione;
    la risoluzione in particolare:
     a) sottolinea l'importanza dell'economia blu per la crescita e lo sviluppo dell'occupazione futura in Europa e la rilevanza delle aree costiere in Europa (89.000 chilometri di coste) e rappresenta una roadmap del Parlamento per un ulteriore avanzamento nella strategia della «crescita blu» e uno strumento per rivitalizzare la politica marittima integrata;
     b) invita gli Stati membri a concentrarsi nella realizzazione di distretti industriali (cluster) che siano centri di eccellenza per l'attività economica e che possano funzionare come attrattori per la ricerca e l'innovazione nel settore dell'economia blu;
     c) rappresenta un fattivo contributo alla crescita della competitività internazionale degli Stati membri dell'Unione europea, sollecitando iniziative per l'utilizzo efficace delle risorse e per la creazione di posti di lavoro, e favorendo lo sviluppo di nuovi elementi di crescita in una cornice dell'economia legata al mare e alla dimensione marittima, nella sua totalità;
     d) offre nuovo stimolo alla politica marittima integrata, avviando un processo di sviluppo economico, raggruppando i programmi di lavoro delle regioni, delle province, dei comuni, dei territori e della società civile italiani;
     e) identifica come aree fondamentali in cui sviluppare la politica europea e l'impegno degli Stati membri i seguenti settori, interdipendenti e basati su competenze comuni e infrastrutture condivise, che richiedono e necessitano di un uso sostenibile del mare: pianificazione dello spazio marittimo e gestione integrata delle zone costiere; competenze marittime e occupazione; ricerca e innovazione; trasporti marittimi; turismo marittimo e costiero; energia blu; pesca e acquacoltura; minerali marini; biotecnologia blu;
    la sostenibilità è la pietra angolare della crescita nel settore marittimo, l'ambiente marino costituisce un patrimonio prezioso che deve essere protetto, salvaguardato e, ove possibile, ripristinato al fine ultimo di mantenere la biodiversità e preservare la diversità e la vitalità di mari ed oceani che siano puliti, sani e produttivi;
    per far fronte a tali esigenze il 17 giugno 2008 il Parlamento europeo ed il Consiglio dell'Unione europea hanno emanato la direttiva quadro 2008/56/CE sulla strategia per l'ambiente marino, successivamente recepita in Italia con il decreto legislativo 13 ottobre 2010, n. 190, che pone come obiettivo agli Stati membri di raggiungere entro il 2020 il buono stato ambientale (GES, «Good Environmental Status») per le proprie acque marine;
    ogni Stato deve, quindi, mettere in atto, per ogni regione o sottoregione marina, una strategia che consta di una «fase di preparazione» e di un «programma di misure»;
    la citata direttiva quadro stabilisce che gli Stati membri elaborino una strategia marina che si basi su una valutazione iniziale, sulla definizione del buono stato ambientale, sull'individuazione dei traguardi ambientali e sull'istituzione di programmi di monitoraggio e che entro il 15 luglio 2014 istituiscano e attuino programmi di monitoraggio per la valutazione continua dello stato ambientale del mare;
    l'Italia ha in totale circa 8.000 chilometri di coste, comprendenti le aree isolane; circa metà della popolazione italiana vive lungo le coste e nelle aree interne limitrofe; una parte significativa dell'economia nazionale deriva dal cluster marittimo nazionale, che per questo può svolgere un ruolo cruciale per affrontare le sfide economiche e di crescita a lungo termine, e anche la ricerca e i progressi tecnologici favorirebbero l'economia marittima contribuendo alla crescita occupazionale del Paese;
    il cluster marittimo italiano si sviluppa in 7 diversi comparti, interconnessi e interdipendenti: trasporti marittimi, armamento, servizi di logistica portuale, porti, cantieristica, nautica, pesca e acquacoltura. In particolare, secondo il «IV Rapporto dell'economia del mare» (fonte Censis, 2011), le attività marittime in Italia producono attualmente beni e servizi per un totale di 40 miliardi di euro, che rappresentavano nel 2011 il 2,6 per cento del prodotto interno lordo nazionale, con 215.000 posti di lavoro diretti e 265.000 derivanti dalle attività dell'indotto. In tale ambito il comparto della pesca e dell'acquacoltura è al primo posto per numero di occupati (circa 60.000);
    seppure in calo, specialmente in seguito alla crisi economia iniziata nel 2008, il settore dell'economia marittima resta competitivo e in grado di rispondere alle sfide che derivano dalla globalizzazione e dai mercati emergenti;
    per quanto riguarda la gestione delle aree costiere e marittime, l'Italia ha manifestato uno specifico interesse a sviluppare attività macro-regionali, volgendo particolare attenzione alla macroregione ionico-adriatica, che include le regioni italiane affacciate sui mari Adriatico e Ionio, oltre ai Paesi balcanici e alla Grecia e che si fonda su 4 pilastri: crescita marina e marittima innovativa; interconnessione tra le sue aree; preservare, proteggere e migliorare la qualità dell'ambiente; migliorare l'attrattività turistica;
    sussiste una specifica esigenza, per il settore marino e marittimo italiano e per le industrie connesse, di usufruire delle opportunità derivanti dal quadro di finanziamento europeo, come ad esempio dalla nuova programmazione 2014-2020 per i fondi ad accesso diretto e in particolare dal programma «Horizon 2020», dedicato alla ricerca e all'innovazione pari a 160 miliardi per l'Europa, di cui alcuni bandi sono specificatamente dedicati al finanziamento di progetti per la competitività dell'economia blu e per il sostegno alla crescita blu, o derivanti dai fondi strutturali POR e dal nuovo Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP);
    settori quali il turismo marittimo e costiero rappresentano cardini fondamentali sui quali ruota l'economia italiana; altri settori, come le biotecnologie blu, la ricerca mineraria marina e le energie rinnovabili in aree marine, presentano un'elevata necessità di investimenti consistenti in ricerca e innovazione, avendo un grande potenziale in termini economici e come motore per lo sviluppo;
    nel nostro Paese questi settori sono sottodimensionati in termini sia di posti di lavoro sia di valore aggiunto lordo, le potenzialità di crescita che li caratterizzano possono dunque avere un positivo effetto in termini di crescita economica complessiva e di creazione di posti di lavoro;
    l'innovazione e la ricerca nell'economia marittima, temi centrali della giornata europea del mare, che si è tenuta a Brema il 19 e 20 maggio 2014, possono contribuire a rilanciare la crescita e l'occupazione in Europa, garantendo nel contempo un futuro sostenibile per i mari e gli oceani europei e per tutti coloro che da essi dipendono per il proprio sostentamento;
    l'Italia, in virtù della propria tradizione, può svolgere un ruolo importante per impostare uno sviluppo sostenibile dell'economia blu, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti di innovazione tecnico-scientifica e di sostegno dell'industria marittima, della pesca e dell'acquacoltura, della cantieristica e del settore crocieristico,

impegna il Governo:

   a dare piena attuazione, nell'ambito delle proprie competenze, ai principi e ai contenuti delle direttive e delle comunicazioni europee in materia di gestione delle risorse marine e marittime, assegnando un ruolo centrale al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e curando l'elaborazione della strategia marina prevista dalla direttiva quadro 2008/56/CE con particolare riguardo alla scadenza del 15 luglio 2014 per l'istituzione e l'attuazione dei programmi di monitoraggio per la valutazione continua dello stato ambientale del mare;
   ad assumere le opportune iniziative di natura normativa e amministrativa che possano portare ad una significativa implementazione dei suggerimenti della Commissione europea e del Parlamento europeo nella realizzazione di una strategia per la «crescita blu»;
   a predisporre una concreta strategia nazionale per il coordinamento delle politiche settoriali nei diversi comparti dell'economia marittima italiana, dedicando particolare attenzione alle potenzialità in termini di ricerca e innovazione che tali comparti presentano e che possono tradursi, se debitamente supportate da una politica efficace, in crescita economica e in creazione di posti di lavoro, come stimato sia dalle istituzioni europee sia dalle associazioni di categoria italiane;
   ad inserire nell'agenda politica del semestre europeo di Presidenza italiana e nel progetto Europa così come voluto dal Presidente del Consiglio dei ministri, il tema della blue economy, dato che l'Italia è per l'80 per cento bagnata dal mare e potrebbe rappresentare in Europa un attore essenziale nel dare un contributo strategico alla politica di crescita e di sviluppo nel settore dell'economia blu;
   a realizzare una maggiore cooperazione tra i livelli amministrativi ed il sistema delle competenze tecniche esterne, nonché a favorire un effettivo coordinamento tra politiche settoriali e territoriali, al fine di includere, dove possibile, i soggetti regionali e locali, pubblici ma anche privati, nella programmazione territoriale costiera e di creare un effettivo miglioramento della governance marittima lungo le coste italiane, con particolare attenzione al recepimento, una volta definitivamente approvata a livello europeo, della direttiva in materia di pianificazione dello spazio marittimo e la gestione integrata delle zone costiere, attualmente ancora in fase di proposta (COM 2013/133);
   a sostenere occasioni di scambio di conoscenze e competenze, così come corsi di formazione professionale, rivolti agli operatori del settore marittimo e dei suoi diversi comparti, per favorire una sempre maggiore specializzazione professionale e per incrementare la presenza di operatori altamente specializzati e competenti, creando in tal modo una fucina di risorse umane veicolo per iniziative di ricerca innovazione e tutela dell'ambiente marino:
   a valorizzare il ruolo dell’«economia blù» e delle «crescita blu» all'interno dell'economia italiana, come motore di crescita e occupazione, come riserva di talenti e professionalità, come stimolo costante alla tutela dell'ambiente marino, all'innovazione scientifica e tecnica, soprattutto nei settori chiave individuati nella comunicazione della Commissione sulla crescita blu pianificazione dello spazio marittimo e gestione integrata delle zone costiere, competenze marittime e occupazione, ricerca e innovazione, trasporti marittimi e cantieristica navale, turismo marittimo e costiero, energia blu, pesca e acquacoltura, estrazione di minerali marini, biotecnologia blu;
   a farsi portavoce degli interessi delle regioni, delle aree costiere e dell'economia marittima italiana in seno al Consiglio europeo nell'assumere una posizione riguardo alla strategia europea per la macroregione ionico-adriatica e per tutta la macroregione mediterranea;
   a definire canali di finanziamento dedicati per le attività di collaborazione macroregionali e, in particolare modo, per coordinare la partecipazione italiana alla macroregione ionico-adriatica, ad analoghe iniziative che coinvolgano le regioni costiere tirreniche, nonché a tutta la macroregione mediterranea;
   ad avviare in sede europea un confronto stringente dedicato alla soluzione dei problemi generati dall'applicazione della «direttiva Bolkestein» (direttiva 2006/123/CE) alle imprese turistico-balneari, in linea con quanto espresso dalla commissaria europea agli affari marittimi e alla pesca Maria Damanaki nella conferenza di Atene del marzo 2014, e alla luce della clausola prevista dall'articolo 41 della direttiva stessa, che prevede una revisione triennale con possibilità di proposte di modifica sulla base della valutazione degli effetti prodotti sul mercato interno, il cui termine scade a fine dicembre 2014, proprio durante il semestre europeo di Presidenza italiana;
   ad avviare un tavolo interministeriale che individui strumenti e mezzi idonei volti a sviluppare il potenziale della crescita dei mari italiani, per rafforzare e sostenere in Italia la blue economy, al fine di accompagnare ognuna delle realtà costiere, nelle quali le diverse attività marittime (pianificazione dello spazio marittimo e gestione integrata delle zone costiere, competenze marittime e occupazione, ricerca e innovazione, trasporti marittimi e cantieristica navale, turismo marittimo e costiero, energia blu, pesca e acquacoltura, estrazione di minerali marini, biotecnologia blu) potranno apportare un contributo significativo in termini di occupazione e sviluppo economico, nel quadro delle politiche strategiche europee;
   a dedicare una particolare attenzione, nell'elaborazione e nel sostegno della strategia nazionale per la crescita blu, alle piccole e medie imprese che costituiscono una fondamentale componente produttiva del settore marittimo italiano e che sono determinanti nella creazione di nuovi posti di lavoro per il cluster del mare.
(1-00551) «Tullo, Braga, Terrosi, Carocci, Basso, Incerti, Mura, Brandolin, Amato, Bonaccorsi, Bonomo, Bruno Bossio, Cardinale, Carloni, Castricone, Coppola, Crivellari, Culotta, Ferro, Gandolfi, Pierdomenico Martino, Mauri, Minnucci, Mognato, Pagani, Cimbro, Marantelli, Berlinghieri, Arlotti, Manfredi, Lodolini, Galperti, Zardini, Borghi, Capone, Carrescia, Bossa, Venittelli, Rosato, Rocchi, Dallai, Marchi, Manciulli, Mariani, Martella, Mariastella Bianchi».

Risoluzione in Commissione:


   La XII Commissione,
   premesso che:
    nella seduta n. 220 della Camera dei deputati del 29 aprile 2014, il Governo ha accolto l'ordine del giorno 9/2215-AR/022 con il quale si impegnava «ad avviare le necessarie iniziative affinché lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze avvii la produzione di medicinali cannabinoidi anche stipulando con lo stesso apposita convenzione»;
    la direzione dello stabilimento chimico farmaceutico di Firenze ha già preparato un piano per la produzione di tali medicinali, predisponendo un capannone per la coltivazione indoor di cannabis terapeutica;
    i responsabili del centro militare hanno confermato ad una delegazione di parlamentari di aver già inviato una relazione dettagliata al Ministero della difesa (dal quale lo stabilimento dipende) e di aspettare solo il via libera del Ministero della salute per iniziare la produzione di cannabis a scopi terapeutici per i malati italiani, i quali sono ancora costretti in alcuni casi ad importare la cannabis dall'Olanda con grossi ostacoli burocratici ed economici, in altri a rivolgersi al «mercato» nero che ha grossi problemi di controllo e sicurezza; 
    il via libera alla produzione di cannabis sarebbe non solo una buona notizia per i malati che ne hanno bisogno ma per tutto il Paese. Lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze è infatti il centro che da oltre un secolo produce i cosiddetti farmaci «orfani», cioè medicinali per quelle malattie troppo rare per essere considerate commercialmente appetibili dalle multinazionali del farmaco. Se fino a qualche decennio fa nello stabilimento militare si producevano 140 farmaci ora la produzione è di appena 20 medicinali a causa dei continui tagli imposti negli anni da varie manovre economiche, tanto che il centro secondo le norme vigenti potrebbe rischiare l'avvio di un procedimento di chiusura a fine anno;
    i responsabili dello stabilimento hanno già predisposto un capannone di circa 2 mila metri quadrati per la produzione di cannabis terapeutica per la quale è già stata individuata la varietà da piantare, che sarà fornita dal Cra, il Centro per la ricerca di Rovigo,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa di competenza per autorizzare lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze e ad iniziare immediatamente la coltivazione di cannabis ad uso terapeutico, rilasciando le necessarie autorizzazioni anche per la produzione di farmaci derivanti dai suoi principi attivi.
(7-00420) «Mantero, Paolo Bernini, Basilio, Dall'Osso, Lorefice, Massimiliano Bernini, Cecconi, Corda, Rizzo, Caso, Baldassarre, Silvia Giordano».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (ANSV), istituita con il decreto legislativo n. 66 del 1999, in attuazione della direttiva 94/56/CE (oggi sostituita dal regolamento dell'Unione europea n. 996/2010), è l'autorità investigativa per la sicurezza dell'aviazione civile dello Stato italiano, vigilata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri a garanzia della sua posizione di terzietà;
   l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo rappresenta una realtà affermata nel contesto aeronautico italiano ed in quello internazionale, dove apporta – tramite i risultati della propria attività e grazie ai propri avanzati laboratori tecnologici per la lettura della cosiddette «scatole nere» – un positivo e riconosciuto contributo per migliorare i livelli di sicurezza del volo, a tutela della pubblica incolumità;
   il considerando n. 15 del regolamento (UE) n. 996/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010 sulle inchieste e la prevenzione di incidenti e inconvenienti nel settore dell'aviazione civile così recita: «Le autorità investigative per la sicurezza sono al centro del processo investigativo sulla sicurezza. Il loro lavoro è d'importanza fondamentale per determinare le cause di un incidente o di un inconveniente. È pertanto essenziale che le stesse siano in grado di condurre le loro inchieste in piena indipendenza e che dispongano delle risorse finanziarie e umane necessarie per condurre inchieste efficaci ed efficienti»;
   l'articolo 4, paragrafo 6, del predetto regolamento (UE) n. 996/2010 prescrive quanto segue: «L'autorità investigativa per la sicurezza è dotata dal rispettivo Stato membro dei mezzi necessari per adempiere alle sue responsabilità in completa indipendenza e deve poter ottenere a tal fine sufficienti risorse»;
   nel proprio «Rapporto informativo sull'attività svolta e sulla sicurezza dell'aviazione civile in Italia – anno 2013», trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed al Parlamento, l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo rappresenta di trovarsi in una gravissima criticità di organico, soprattutto per quanto concerne i tecnici investigatori: tale situazione, conseguenza dei numerosi interventi legislativi volti al contenimento della spesa pubblica, sta incidendo pesantemente sull'operatività dell'ente, a fronte di impegni sempre più gravosi in ambito nazionale, internazionale e dell'Unione europea;
   risulta che l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, ad oggi, sia rimasta soltanto con quattro tecnici investigatori (sui 12 previsti dalla dotazione organica), di cui uno in uscita al 31 ottobre 2014 in virtù di quanto previsto dal decreto-legge n. 90 del 2014, per cui l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo resterà soltanto con tre tecnici investigatori;
   come risulta dal citato «Rapporto informativo sull'attività svolta e sulla sicurezza dell'aviazione civile in Italia – anno 2013», nonché dalla relazione del presidente al rendiconto generale relativo all'esercizio finanziario 2013, l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo ha ritenuto necessario sensibilizzare l'amministrazione vigilante con una apposita nota informativa, al fine di ottenere le risorse necessarie e prevenire l'eventuale apertura da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per violazione dell'articolo 4, paragrafo 6, del regolamento (UE) n. 996/2010;
   nel corso della seduta del 12 giugno 2014, il Governo ha accolto come raccomandazione l'ordine del giorno 9/02280/001, con la quale impegnava l'Esecutivo a escludere l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo dagli interventi di spending review programmati e a intervenire urgentemente, anche tramite i propri poteri di iniziativa legislativa, al fine di consentire l'aumento delle unità di personale in servizio presso l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, favorendo, in via prioritaria, il completamento dell'organico dei tecnici investigatori, di assicurare l'adeguamento dei trasferimenti dello Stato per il sostenimento dei relativi costi del personale, e di rimuovere le limitazioni normative che penalizzano alcune tipologie di spesa strategiche, e in particolare quella della formazione interna del personale –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare il Governo a favore dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, per evitare che un importante presidio per la sicurezza del volo veda compromessa la propria operatività, con conseguenti ricadute negative sulla prevenzione degli incidenti aerei e quindi sulla tutela della pubblica incolumità.
(2-00636) «Catalano, Pisicchio».

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI GALLO, FICO, SIMONE VALENTE e D'UVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 9 luglio 2014, il giornale il Fatto quotidiano titola quanto segue: Precari contro sindacati «svenduti agli editori», «assalto» dei freelance nella sede della Fnsi;
   dopo mesi di riunioni, silenzi e tentennamenti una delibera governativa lo scorso 19 giugno 2014 ha chiuso l'accordo tra la Federazione Italiana Editori di Giornali e Federazione nazionale stampa italiana sull'equo compenso per i giornalisti. In sostanza, questo il tariffario minimo per un collaboratore: 20,80 per un articolo su un quotidiano; 6,25 euro per una segnalazione ad agenzie e web (eventualmente integrata di un paio di euro se con foto e video); 67 euro ad articolo per i periodici; 14 euro per un articolo su periodici locali; 40 euro per le tv locali, ma solo con un minimo di 6 pezzi al mese; 250 euro per un pezzo sui mensili. Questo è ciò che editori e sindacato dei giornalisti hanno stabilito come «equo compenso» per cronisti a collaborazione coordinata e continuativa;
   il coordinamento precari e dei giornalisti freelance che, attraverso numerose e diverse iniziative, in queste ore protestano contro questo accordo sindacale che tradisce lo spirito con cui, mesi fa, si era arrivati ad avviare la battaglia sul «giusto» compenso e ad istituire una commissione ad hoc, per il tariffario. In queste ore, la mobilitazione dei freelance si diffonde attraverso il web. Si diffonde l'appello diretto al sottosegretario Luca Lotti, con delega all'editoria perché «ritiri la delibera attuativa della legge sull'equo compenso per i giornalisti freelance e atipici»;
   i freelance e gli atipici rappresentano la maggioranza assoluta dei giornalisti attivi. Sono loro – sottopagati – a «consumare le suole delle scarpe», portando le notizie, mantenendo i contatti quotidiani con le fonti, rischiando, quando va bene, qualche querela di troppo. Oppure sono usati come jolly nelle redazioni, rimanendo eternamente in attesa di un contratto, sempre più lontani;
   l'accordo siglato da questa commissione in cui presiedevano fnsi (sindacato) fieg (federazione editori) e due rappresentanti del Governo avrebbe dovuto basarsi sulle prescrizioni della legge 31 dicembre 2012 n. 233 al comma uno stabilisce quanto segue: «In attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, la presente legge è finalizzata a promuovere l'equità retributiva dei giornalisti iscritti all'albo di cui all'articolo 27 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, e successive modificazioni, titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani e periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive, e al comma due; ai fini della presente legge, per equo compenso si intende una remunerazione proporzionata alla quantità è alla qualità del lavoro svolto, tenendo conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione nonché della coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato»;
   alla luce di quanto osservato la tabella che stabilisce i valori dell'equo ha creato un mercato duale del lavoro caratterizzato dalla divisione tra gli «insider» iper-protetti e gli «outsider» senza garanzie;
   a pagarne il prezzo c’è il diritto costituzionale della libera informazione e la pluralità dell'informazione, che il Dipartimento dell'informazione e dell'editoria deve garantire perché è evidente che un giornalista sottopagato è ricattabile, prima di tutto dal suo editore. A queste condizioni non è possibile informare con la dovuta cura, rispettando la deontologia professionale, andando oltre il semplice copia e incolla di un comunicato stampa, verificando rigorosamente le notizie e trattando i temi che si ritengono importanti;
   i proprietari delle testate giornalistiche continuano a ricevere fondi, lo prevede il decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63 convertito, con modificazioni, dalla legge 16 luglio 2012, n. 103 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale 20 luglio 2012, n. 168, e sul sito del Governo si legge: «Ai fini dell'ammissione al contributo per l'anno 2013, le imprese editrici che hanno presentato domanda nei termini di legge devono far pervenire, a pena di decadenza, la relativa documentazione entro la date del 30 settembre 2014»;
   l'obbligo di pubblicazione dei bandi di gara delle pubbliche amministrazioni sui quotidiani nazionali e locali comporta una spesa non meglio stimata che potrebbe anche essere vicino al miliardo di euro all'anno ed è sicuramente una modalità di pubblicazione obsoleta ed onerosa per le casse degli enti locali e delle imprese vincitrici di bandi;
   secondo la classifica internazionale Freedom, organizzazione non governativa statunitense, con lo scopo di misurare il livello di libertà di stampa ed indipendenza editoriale raggiunto in ogni nazione del mondo, a causa dei crescenti tentativi del Governo di interferire con la politica editoriale dei mezzi di comunicazione pubblici e ciò fa di noi una nazione al 68o nella classifica dell'informazione essendo un paese giudicato semi-libero –:
   in che modo si intenda garantire una informazione libera e non ricattabile dai poteri politici, governativi, economici e finanziari che sostengono economicamente l'editoria nel rispetto dell'articolo 36 della Costituzione. (4-05567)


   DAGA, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, SEGONI, TERZONI, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   i primi di luglio ha preso avvio il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea;
   pochi giorni dopo, il 10 luglio, gli organi di stampa hanno riportato la notizia dell'apertura di una nuova procedura di infrazione contro l'Italia da parte dell'Unione europea che ha accusato il nostro Paese di non fornire acqua conforme alla normativa comunitaria, nonostante siano già state concesse ben tre deroghe;
   nel comunicato ufficiale della Commissione europea si afferma quanto segue: «La Commissione europea apre una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per la sua incapacità di garantire che l'acqua destinata al consumo umano sia conforme alle norme europee. La contaminazione dell'acqua da arsenico e fluoro è un problema annoso in Italia, in particolare nel Lazio. [...] Il periodo di deroga era finalizzato a consentire di trovare soluzioni durature. Tuttavia, più di un anno dopo la scadenza della terza deroga, l'Italia continua a violare la direttiva. Le decisioni di deroga stabiliscono condizioni rigorose per tutelare la salute umana. All'Italia era stato chiesto di assicurare che fosse disponibile l'approvvigionamento di acqua salubre destinata al consumo da parte dei neonati e dei bambini fino all'età di tre anni. Le deroghe erano subordinate al fatto che l'Italia fornisse agli utenti informazioni adeguate su come ridurre i rischi associati al consumo dell'acqua potabile in questione e, in particolare, i rischi associati al consumo di acqua da parte dei bambini. L'Italia era tenuta inoltre ad attuare un piano di azioni correttive e a informare la Commissione in merito ai progressi compiuti. I valori limite per arsenico e fluoro non sono ancora rispettati in 37 zone di approvvigionamento di acqua nel Lazio. Per questo motivo, su raccomandazione del Commissario per l'Ambiente Janez Potoĉnik, la Commissione invia una lettera di costituzione in mora all'Italia, la prima fase formale della procedura di infrazione.»;
   nel notiziario del febbraio 2013 dell'Istituto superiore di sanità, per citare uno dei numerosi riferimenti, si legge «L'arsenico è un metalloide presente nell'ambiente in varie forme organiche e inorganiche, di origine sia naturale che antropica. Le forme inorganiche dell'arsenico – arsenico trivalente e pentavalente, denominate collettivamente “arsenico inorganico” (As-i) – sono assai più tossiche di quelle organiche e, pertanto, critiche per l'analisi del rischio. L'esposizione della popolazione generale all'As-i avviene prevalentemente attraverso l'acqua potabile e la dieta, con un contributo preponderante degli alimenti quando l'acqua presenta livelli “di fondo”. Nell'acqua è presente solo l'As-i; negli alimenti si rinvengono anche le forme organiche, in proporzioni, tuttavia, molto differenti. Per valutare il rischio legato all'esposizione alimentare è quindi indispensabile distinguere l'As-i dalle diverse specie organiche che possono essere contemporaneamente presenti, obiettivo reso possibile dalle analisi chimiche di “speciazione”. I principali effetti sulla salute umana associati all'ingestione a lungo termine sono lesioni cutanee, tumori, effetti sullo sviluppo fetale e infantile, malattie cardiovascolari, anomalie nel metabolismo del glucosio e diabete»;
   l'11 febbraio 2014 è stata depositata un'interpellanza urgente in cui, tra altre questioni, si chiedeva al Governo «se e quali iniziative intendano promuovere per quanto di competenza per avviare tutti gli interventi necessari per l'immediata e duratura soluzione della grave contaminazione delle acque potabili di molti comuni italiani, in particolare a causa della concentrazione di arsenico, fluoruri e vanadio»;
   la risposta del Sottosegretario di Stato Silvia Velo del 7 marzo 2014 è stata la seguente:
    «Per quanto riguarda le iniziative assunte dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, volte al dialogo con i diversi segmenti del settore idrico, si porta a conoscenza che, con decreto ministeriale n. 358 del 13 dicembre 2013, è stata istituita una task force per individuare le strategie e le priorità politiche al fine di valutare, tra l'altro, le migliori pratiche in materia di sostenibilità nell'uso delle risorse idriche (il predetto provvedimento è visionabile presso il sito del Ministero). In merito alla contaminazione delle acque potabili, nel rammentare che la materia è regolata dal decreto legislativo n. 31 del 2001 e che le deroghe ai parametri di potabilità in esso previste sono scadute e non più rinnovabili, si rappresenta che la maggior parte delle contaminazioni presenti nelle acque sono di origine naturale e i sindaci di molti comuni italiani hanno provveduto ad imporre divieti, limiti e prescrizioni nell'uso delle acque. Visto che sovente la contaminazione interessa l'intera falda e non vi è la disponibilità di altre risorse idriche a cui attingere per il soddisfacimento della domanda ad uso potabile, quindi si ricorre a forniture sostitutive, atteso anche che le opere di risanamento di tal genere richiedono ingenti investimenti e che, allo stato, non trovano un'adeguata copertura finanziaria e richiedono anche tempi di attuazione di medio e lungo periodo»;
   l'11 marzo 2014 venne presentata una nuova interpellanza in cui si chiedeva al Governo:
    se fosse stato effettuato un monitoraggio periodico della risorsa idrica, costante ed esteso a tutto il territorio nazionale, in relazione agli inquinanti comuni quali arsenico, vanadio e fluoruri, come stabilito dal decreto legislativo n. 31 del 2001; quali fossero i dati attuali relativi ai 128 comuni a cui nel 2010 la Commissione europea voleva negare la deroga ai limiti di potabilità; se il Ministro interpellato ritenesse che fosse stata data corretta informazione ai cittadini rispetto a questi dati e se non intendesse renderli noti, anche fornendo la relativa documentazione, fondamentale per la tutela della salute e dell'ambiente; se la task force istituita con il decreto ministeriale 13 dicembre 2013, n. 358, si sarebbe occupata del monitoraggio dell'effettiva realizzazione degli investimenti necessari sia sul fronte della depurazione sia sul fronte delle infrastrutture per la distribuzione della risorsa; di quali elementi il Ministro interpellato disponesse circa le azioni poste in essere da gestori idrici, autorità d'ambito e regioni per il rientro in conformità delle acque secondo il rigoroso cronoprogramma parte integrante della deroga;
   il 14 marzo 2014, il Sottosegretario Gabriele Toccafondi rispose che «riguardo ai dati attuali relativi ai 128 comuni a cui nel 2010 la Commissione europea voleva negare la deroga ai limiti di potabilità e di quali e elementi disponga circa le azioni poste in essere dai gestori idrici, autorità d'ambito e regioni per il rientro in conformità delle acque secondo il rigoroso cronoprogramma parte integrante della deroga, il Ministero dell'ambiente è venuto a conoscenza dello stato di avanzamento dei lavori di messa in conformità delle acque, comunicato da parte dei competenti uffici della regione Lazio, in sede di Consiglio superiore di sanità (seduta del 21 ottobre 2013), secondo cui sono state concluse le opere finalizzate a mantenere la concentrazione di arsenico al di sotto dei limiti consentiti nelle acque dei territori non rientrati in conformità alla scadenza della terza deroga e sono in corso le azioni per assicurare il rientro in tutti i territori dei tenori di arsenico in acque destinate al consumo umano al di sotto del valore di parametro del decreto legislativo n. 31 del 2001;
   per quanto attiene la task force istituita con il decreto ministeriale n. 358 del 13 dicembre 2013, vi è da dire che il decreto prevede che la stessa potenzi l'attività di studio a supporto delle attività di individuazione di strategie e priorità politiche del Ministro in tema di: correlazione tra pressioni ambientali legate al ciclo dei rifiuti e strumenti tariffari e impositivi; di valutazione di metodologie nazionali ed internazionali nel campo della fiscalità ambientale; di valutazione delle migliori pratiche in materia di sostenibilità energetica; di sostenibilità nell'uso delle risorse idriche e, infine, di modelli per la riduzione degli sprechi alimentari.»;
   dopo 10 anni durante i quali si sono avvicendate inerzia amministrativa e concessione di deroghe, senza tenere in alcuna considerazione gli appelli e le segnalazioni sulla gravità del problema, è in fine arrivato, il 10 luglio scorso, l'avvio della procedura di infrazione verso l'Italia da parte della Commissione europea –:
   se, a seguito dell'avvio della procedura d'infrazione n. 2014–2125 relativa alla «Cattiva applicazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità dell'acqua destinata al consumo umano», il Governo intenda prendere in considerazione e soprattutto risolvere un problema che riguarda la salute dei cittadini e la negligenza di istituzioni e gestori che quasi nulla hanno fatto pur avendo avuto molto tempo e soprattutto abbondanti risorse economiche, grazie alle bollette pagate dai cittadini. (4-05571)


   PALAZZOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 giugno 2014 il Governo ha mandato una comunicazione, a firma del Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, a tutti i presidenti delle regioni italiane e delle province autonome avente ad oggetto «Raccomandazioni per un più efficace contrasto agli incendi boschivi»;
   in particolare, tale raccomandazione ha ad oggetto i tempi di svolgimento e le attività di programmazione per la salvaguardia del territorio soprattutto nel corso della stagione estiva 2014;
   la diminuzione del contingente di velivoli della flotta aerea antincendio rispetto all'anno 2013, unitamente al regime di precipitazioni superiori alla media nello scorso inverno, rendono, a parere del Governo, particolarmente importanti le attività, cui la nota fa riferimento, di previsione e prevenzione, di pianificazione ai sensi della legge quadro sugli incendi boschivi, di pianificazione di protezione civile, di lotta agli incendi e di interfaccia e di gestione dell'emergenza;
   nelle ultime settimane la Sicilia, anche a causa delle alte temperature, è stata teatro di moltissimi incendi in quasi tutte le province. In provincia di Palermo gli eventi più gravi si sono verificati presso montagna grande a Villlagrazia, montagna Casaboli a Pioppo, Monte Vallefico e Fimminamorta ad Altofonte, montagna grande a Piana degli Albanesi. Situazione analoga si è verificata nel catanese: la Pineta dei Monti Rossi a Nicolosi, i boschi di Belpasso, Ardano, Vizzini;
   nel ragusano è toccata alla macchia mediterranea di contrada Piccitto, Calaforno ed altri boschi per un totale 240 ettari. Nel trapanese dalla Riserva dello Zingaro a Custunaci, fino al Belice, le fiamme hanno determinato un vero e proprio disastro boschivo. Centinaia di ettari di boschi nel siracusano (contrada Tre Ponti, Fiumara e Migliorini zona Noto, Cavagrande zona Avola, preriserva di Vendicari), nell'ennese, nell'agrigentino specialmente nella zona di Sciacca, nel messinese e nel nisseno, non sono stati risparmiai dalle fiamme. A Pantelleria i boschi di contrada Gibele sono praticamente scomparsi;
   durante tali episodi si è registrata ad avviso dell'interrogante, un'impreparazione della macchina di intervento regionale sia nella prevenzione sia nel contrasto attivo agli incendi boschivi;
   nonostante le rassicurazioni del presidente della regione Rosario Crocetta, la flotta regionale è ancora a zero elicotteri, una criticità già evidenziata «con preoccupazione» dal capo della protezione civile in una nota inviata all'inizio del mese di giugno 2014 allo stesso governatore, attraverso la quale sottolineava ancora una volta come sia «indispensabile per le Regioni dotarsi di una propria e adeguata flotta antincendio, poiché non può essere sufficiente contare solo e unicamente sul concorso della flotta aerea dello Stato che, in base al principio di sussidiarietà sancito anche dalla legge 353/2000, deve garantire, con un numero ridotto di mezzi aerei rispetto agli anni passati, il supporto a tutte le regioni d'Italia in una materia che – è bene ricordarlo – è di competenza delle Regioni» –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per monitorare l'efficacia su tutto il territorio nazionale del dispositivo di programmazione e di prevenzione lotta agli incendi boschivi, con particolare riguardo alla Sicilia;
   se e quali iniziative straordinarie il Governo intenda assumere, in concerto con la regione siciliana per fronteggiare la gravissima situazione di emergenza riguardante gli incendi boschivi in Sicilia;
   se il Governo intenda valutare la possibilità di dichiarare lo stato di calamità naturale in ordine all'emergenza incendi in Sicilia, ai sensi della legge 8 dicembre 1970, n. 996, ravvisando una «situazione che (...) per natura o estensione debba essere fronteggiata con interventi straordinari». (4-05582)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   SCAGLIUSI, SIBILIA, DE LORENZIS, SPADONI, DA VILLA, RIZZO, BASILIO, MANLIO DI STEFANO e L'ABBATE. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme (Ordine di Malta) è una delle più antiche istituzioni della civiltà occidentale e cristiana. Presente in Palestina attorno al 1050, è un Ordine religioso laicale, tradizionalmente militare, cavalleresco e nobiliare;
   nel 1834 (persa l'isola di Malta), si stabilì a Roma dove ha le sue sedi: il Palazzo di Malta, in via dei Condotti (dove risiede il Gran Maestro e si riuniscono gli organi di Governo) e la Villa Malta sull'Aventino (presso cui hanno sede il Gran Priorato di Roma, l'ambasciata dell'Ordine presso la Santa Sede e l'ambasciata dell'Ordine presso lo Stato italiano). Tali sedi, hanno ottenuto il diritto di extraterritorialità nel 1869 e lo conservano a tutt'oggi;
   oggi, l'Ordine è dedito ad opere assistenziali, funzione assai nobile ma non tale da giustificare il possesso della personalità giuridica (che normalmente viene escluso per la stessa Croce Rossa internazionale);
   il Sovrano Ordine, che conserva le prerogative di un ente indipendente e sovrano, ha un proprio ordinamento giuridico, produce francobolli e monete come pure passaporti internazionalmente validi e dà vita ad enti pubblici melitensi dotati di autonoma personalità giuridica;
   l'attribuzione del requisito della personalità all'Ordine di Malta, in verità, sarebbe innocua se essa non fornisse, sempre in Italia, il pretesto per il riconoscimento di tutte le immunità diplomatiche (inviolabilità personale e domiciliare, immunità dalla giurisdizione penale e civile ed immunità fiscale per le imposte dirette e personali) che spettano agli Stati stranieri e ai loro organi. Soprattutto essa ha consentito all'Ordine di sottrarsi alla giurisdizione civile italiana per le controversie relative ai rapporti con i propri dipendenti, nonché al fisco, in relazione ai beni (ivi compresi i fondi agricoli) posseduti in Italia;
   nell'ambito di ogni ordinamento giuridico territoriale di ciascuno Stato, l'associazione corrispondente emanata dallo SMOM riceve un particolare trattamento che dipende, sostanzialmente, dal tipo di rapporti esistenti tra lo quello Stato ed il governo Giovannita;
   l'associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta è fondata nel 1877. È emanazione ed espressione dell'Ordine di Malta;
   come riportato in un articolo del Messaggero del 28 gennaio 1997, già il 26 gennaio 1997 il Ministro degli affari esteri pro tempore Lamberto Dini veniva messo sotto inchiesta insieme ad un gruppo di diplomatici della Farnesina dall'allora procuratore della Repubblica Raffaele Montaldi per aver consentito ai Cavalieri di Malta un'eccessiva libertà di manovra nel settore previdenziale, in quello sanitario e in quello fiscale, tra gli altri. Solo all'Inps, sempre secondo la stessa fonte, non sarebbero stati pagati contributi per ben cinquanta miliardi di lire per il periodo che va dal 1982 al 1994;
   secondo indiscrezioni riportate nello stesso articolo di cui sopra, sarebbero emerse gravi irregolarità nella concessione dei permessi delle usl per il poliambulatorio romano di via Bocca di Leone; infatti, anche in questo nosocomio si sarebbero verificate irregolarità nel versamento dei contributi previdenziali per i dipendenti;
   come riportato da un articolo online di Repubblica.it del 24 dicembre 2011, il pubblico ministero Giovanni Bombardini accusava Gian Antioco Chiavari, membro dell'Ordine di Malta preposto all'ufficio Ministero delle finanze e del bilancio, Bruno Giovanni, tenente della direzione investigativa antimafia e Giuseppe Iannucci, militare della Guardia di finanza, di reati che vanno dall'accesso abusivo dei sistemi informatici, al trattamento dei dati personali fino alla violazione del segreto d'ufficio;
   qualche anno fa, Bobo Craxi rivelò che i maltesi potevano aiutare suo padre Bettino, prima di morire in latitanza: «Ringrazio Andreotti perché si prodigò per far rientrare in patria mio padre: tentò di fargli avere un passaporto dell'Ordine dei Cavalieri di Malta e ne parlò con Ciampi»;
   il patrono è il cardinale Paolo Sardi, un porporato di primissimo livello. I Cavalieri, che «difendono la fede», sono invincibili perché a volte sono religiosi, a volte sono laici, a volte sono entrambe le cose;
   su un articolo de Il Fatto Quotidiano online, datato 13 luglio 2013, si apprende che la guardia costiera abbia donato all'ordine di Malta una motovedetta in disuso –:
   se il Governo sia al corrente di eventuali inadempienze dell'Ordine di Malta in materia di previdenza, sanità e fisco, settori nei quali in passato ha goduto di ampia libertà, come pienamente indicato in premessa;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare che l'Ordine di Malta possa emettere passaporti validi in campo internazionale e godere di tutte le immunità diplomatiche;
   se relativamente al Palazzo di Malta e alla Villa Malta sull'Aventino, il Governo non ritenga opportuno rivedere il diritto di extraterritorialità, concesso 145 anni fa, alla luce degli eventi descritti in premessa. (4-05585)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLONNESE, GRILLO, DE ROSA, DAGA, TERZONI, ZOLEZZI, SEGONI, SPESSOTTO, FANTINATI, BENEDETTI, D'INCÀ, CARINELLI, BRUGNEROTTO, PESCO, CASO e NESCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che –:
   tutti i Governi che si sono succeduti in Italia negli ultimi anni hanno rassicurato che la riduzione delle procedure d'infrazione pendenti nei confronti del nostro Paese sarebbe stato un obiettivo prioritario, ma nessun Governo è riuscito in tale intento perché l'Italia continua a collocarsi in ultima posizione fra gli Stati membri per gli adempimenti al diritto dell'Unione europea, caratterizzandosi come il Paese con il numero più alto di procedure di infrazioni;
   l'inchiesta condotta dalla procura di Venezia in merito alla realizzazione del MOSE, ha portato alla luce un nuovo rischio per il Belpaese: la riapertura alla procedura d'infrazione 2003/4762. Le autorità italiane non avevano seguito correttamente le normative dell'Unione europea sulla protezione della natura violando la direttiva habitat (92/43/CEE) e la direttiva uccelli (2009/1477CE), pertanto la Commissione europea aveva inviato alle autorità italiane due lettere di diffida, rispettivamente nel dicembre 2005 e nel luglio 2007. Nel 2009, dopo lunghi-scambi con la Commissione, le autorità italiane si impegnavano ad attuare una serie di misure per contenere l'impatto sulle aree protette. L'accordo di programma tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, magistrato alle acque di Venezia, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e ISPRA si prefigurava come l'impegno dell'Italia di ottemperare agli obblighi europei. Le condizioni che decretarono nel 2009 le chiusura della procedure furono: la sospensione di alcune opere in determinati periodi dell'anno per non perturbare eccessivamente gli uccelli che popolano la laguna; il controllo dei lavori da parte di organismi indipendenti e la creazione di un sito web aperto al pubblico attraverso il quale fornire informazioni sui lavori in corso e sugli esiti del monitoraggio ambientale: la designazione di altre zone nella laguna quali siti d'importanza comunitaria (SIC) protetti nell'ambito della direttiva habitat;
   con nota ENV (2008) 13085 del 15 luglio 2008 la Commissione europea aveva richiesto, relativamente al progetto MOSE, che «le attività connesse al monitoraggio siano sotto la responsabilità di un ente indipendente da quello coinvolto direttamente o indirettamente nell'esecuzione dei lavori». Quindi, l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) era stato indicato nel 2008 dall'Unione europea come organo imparziale di controllo per il monitoraggio dei lavori in capo alle dighe della laguna;
   nel 2009 l'accordo fra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Magistrato delle acque di Venezia e ISPRA fu prorogato fino al 31 dicembre 2012;
   nel 2013 la regione Veneto riusciva ad estromettere l'ISPRA dai controlli ambientali mediante la sottoscrizione di un nuovo accordo di programma con Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, subentrando nei monitoraggi delle attività connesse al MOSE in virtù delle funzioni ad essa attribuite dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 in questo modo venivano aggirati di fatto i vincoli imposti dall'Unione europea;
   a seguito di ciò e con la presentazione dell'interrogazione parlamentare al Parlamento europeo E-009581-13, è in atto una valutazione della Commissione europea in merito al requisito di indipendenza dell'organo di controllo, estromissione dell'ISPRA, che era stata associata al monitoraggio, potrebbe essere considerata come violazione di tale condizione e quindi di fatto si riaprirebbe immediatamente la procedura nei confronti dell'Italia, procedendo, data la evidenza e la gravità della violazione stessa, nelle fasi successive (parere motivato e ricorso alla Corte) ove il nostro Paese non ottemperi –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere al fine di garantire la piena attuazione delle misure di mitigazione e di compensazione del progetto che sono state concordate, evitando la riapertura della procedura d'infrazione 2003/4762 a carico dello Stato italiano.
(5-03252)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PLACIDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 25 settembre 2001 ENEL produzione ha presentato un progetto di riattivazione, attraverso la riconversione a biomasse, di uno dei due gruppi della centrale termoelettrica del Mercure — centrale risalente alla metà degli anni ’60 e ormai completamente inattiva da oltre 15 anni;
   il sito ove sorge la centrale si trova nel territorio del comune di Laino Borgo (CS), all'interno di un'area doppiamente protetta a livello nazionale e comunitario (parco nazionale del Pollino e zona di protezione speciale — ZPS — Pollino e Orsomarso — IT 9310903);
   il progetto di riconversione rappresenta perciò un grave pericolo per l'integrità ambientale dell'intera area, ma presenta altresì marcati profili di rischio sotto l'aspetto economico ed occupazionale, vista la certificata vocazione turistica e agro-alimentare di qualità del territorio compreso nel parco nazionale del Pollino;
   la valle del Mercure è caratterizzata, inoltre, dal punto di vista microclimatico, da uno scarsissimo e assai lento ricambio d'aria, per cui le emissioni della centrale – e gli inquinanti in esse contenute – persisterebbero prolungatamente all'interno della valle, concretizzando gravi rischi per la salute delle popolazioni residenti;
   per tali motivi il progetto è osteggiato con grande forza e determinazione dall'intera popolazione della Valle, nonché, anche con atti formali e iniziative legali, dalle amministrazioni delle comunità più a rischio, nonché dall'ente parco nazionale del Pollino;
   nell'ambito dei pericoli per la salute pubblica – fonte di massimo allarme e costante preoccupazione tra i cittadini – vanno sottolineati quelli determinati dalla presenza di ingenti quantità di amianto nei due gruppi costituenti la vecchia centrale;
   Enel ha inizialmente dichiarato di non aver bonificato il gruppo uno della centrale per motivi economici, ma di essersi limitata alla messa in sicurezza dell'amianto ivi presente, mentre completamente bonificato sarebbe stato, sempre a detta dell'Enel, il gruppo due, interessato dal progetto di riconversione a biomasse. Solo in seguito a successive prescrizioni da parte dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza, l'azienda elettrica avrebbe proceduto alla bonifica anche del gruppo uno;
   non sono state, però, fornite, da parte dell'ENEL, informazioni dettagliate, come pure sarebbe stato opportuno e necessario, né sulle quantità di amianto rimosse, né sulle modalità della bonifica, né sul suo effettivo completamento;
   si è perciò reso necessario una valutazione diretta della documentazione relativa alla bonifica, documentazione in possesso dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza, attraverso una richiesta di accesso agli atti, formalmente presentata dall'interrogante, unitamente a rappresentanti di associazioni e comitati impegnati da anni nella vertenza;
   all'esame della documentazione è seguita la richiesta di copia di alcuni dei documenti presenti nell'incartamento detenuto dall'azienda sanitaria provinciale di Cosenza;
   tali copie, relative a documentazione di pertinenza dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza sono state sollecitamente fornite dai funzionari dell'azienda sanitaria provinciale medesima, mentre per quelli depositati da ENEL la stessa, informata del procedimento, ha fatto opposizione alla loro concessione, malgrado si tratti di documenti pubblici;
   adesso la vicenda è all'esame dell'ufficio legale dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza per l'ulteriore prosieguo;
   tale comportamento, ad avviso degli interroganti sconcertante oltre a dilatare imprevedibilmente i tempi dell'acquisizione di documenti pubblici, solleva inquietanti interrogativi e determina preoccupazioni e timori nelle popolazioni della valle del Mercure, a motivi della delicatezza della materia, per le evidenti implicazioni di carattere sanitario, visti i potenziali, gravi rischi connessi alla eventuale presenza di amianto nella centrale –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano adottare per:
    a) tutelare, in primo luogo, il diritto alla salute delle popolazioni della Valle del Mercure, attraverso la verifica e la chiara individuazione delle attività svolte per la bonifica dell'amianto contenuto nella centrale del Mercure e, ancora, per chiarire quale sia la situazione attuale all'interno della centrale;
    b) tutelare il diritto ad una corretta informazione, alla trasparenza e fruibilità degli atti amministrativi, inibendo quei censurabili atteggiamenti che, nei fatti, negano tali diritti, oltre a porsi in antitesi con le leggi vigenti e con i trattati internazionali – come la convenzione di Aarhus- sottoscritti anche dal nostro Paese. (4-05566)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Edipower-A2A, avendo già ottenuto i decreti autorizzativi AIA (nel 2012) e VIA (nel 2009) a settembre 2013 ha semplicemente presentato al Ministero dell'ambiente il «piano di adeguamento» per l'esercizio della centrale termoelettrica di Brindisi. Il piano prevede che il nuovo combustibile possa essere prodotto in un impianto situato in un raggio di circa 20 chilometri dalla centrale;
   A2A Ambiente, società del gruppo A2A, multiutility dei comuni di Brescia e Milano, ha depositato, nel marzo 2014, presso provincia e comune di Brindisi, in Puglia, il progetto definitivo e lo studio di impatto ambientale del nuovo impianto per la produzione di Ecoergite;
   la tecnologia sviluppata e brevettata da A2A Ambiente per la produzione di Ecoergite prevede una prima fase di trattamento di asciugatura dei materiali, una di raffinazione ed una terza di triturazione della pezzatura ridotta;
   il nuovo piano energetico della regione Puglia prevede che tutti gli impianti di trattamento dei rifiuti solidi urbani e delle raccolte differenziate, siano dotati di trattamento a freddo, in grado di prevedere il quasi totale recupero della varie componenti, non contemplando la possibilità di realizzare nuovi impianti pubblici dedicati al trattamento termico/combustione;
   per la città di Brindisi, con questa e con altre situazioni già in essere, si prospetta sempre più uno scenario da terminal di scarti di depuratori civili e di combustibile da rifiuti solidi urbani e speciali, accendendo, così, emergenze ambientali e sanitarie sul territorio –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano intraprendere affinché sia fatta una approfondita valutazione sulla precaria situazione ambientale già in essere nella zona di Brindisi. (4-05572)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo intende adottare una proposta di semplificazione della organizzazione dei beni archivistici, prevedendo che i direttori degli archivi di Stato delle città capoluogo di regione, tutti dirigenti di II fascia dipendenti dalla direzione generale centrale archivi, svolgano anche le funzioni di sovrintendente archivistico, avvalendosi dei direttori degli archivi di Stato non dirigenziali;
   praticamente si aboliscono le soprintendenze archivistiche e finisce l'attività di tutela sul territorio degli archivi non statali: un'eccellenza italiana che il mondo invidia al nostro Paese;
   non è infatti possibile che gli archivi di Stato possano assolvere contemporaneamente le funzioni di soprintendenze con efficacia;
   il modello organizzativo proposto è stato già sperimentato in Italia, nei primi decenni dopo l'Unità e non ha funzionato –:
   se non ritenga utile riconsiderare questa scelta che penalizzerebbe l'organizzazione dei beni archivistici. (4-05562)


   MELILLA e ZARATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Teatro Eliseo di Roma ha uno sfratto esecutivo da questo mese;
   viene messa in crisi una grande e storica realtà della cultura romana e nazionale che, secondo i sindacati, dà lavoro, tra dipendenti e indotto, a circa mille lavoratrici e lavoratori;
   le rappresentazioni del Teatro Eliseo sono state condivise da oltre 8 mila abbonati e 200 mila spettatori nelle ultime stagioni teatrali a testimonianza del grande prestigio e autorevolezza della sua attività teatrale;
   si tratta di un patrimonio culturale e professionale che non può andare disperso;
   le lavoratrici e i lavoratori, con i sindacati confederali, sono in assemblea permanente per salvare i posti di lavoro e rilanciare questo polo culturale evitando ogni speculazione privatistica –:
   se il Governo non ritenga opportuno avvalersi delle prerogative del codice dei beni culturali e del paesaggio decreto legislativo n. 42 del 2004 ed in particolare di quanto previsto all'articolo 10, comma 3, lettera d), e che consente di porre a vincolo le strutture con determinate destinazioni di uso non di proprietà pubblica;
   se il Governo – qualora tale vincolo risulti già esistente – intenda promuovere, d'intesa con gli enti locali, iniziative utili a garantire la sopravvivenza ed il rilancio di una realtà culturale che rappresenta per Roma un luogo speciale e storico di promozione culturale. (4-05578)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   VITELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è stata rilevata da parte di un cittadino un'anomalia nei dati sulla spesa pubblica forniti dal SIOPE-Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici, pochi giorni dopo la data in cui tali dati sono stati resi disponibili per la consultazione. Secondo tali dati, nel 2013, le spese per il codice 064 (utenze e canoni per acqua) risultano essere pari a circa 3.390 milioni di euro, mentre negli anni precedenti si aggiravano intorno a 16 milioni (nel 2012) e a 5,8 milioni (nel 2011);
   rilevata l'anomalia, il cittadino ha segnalato l'errore su twitter ed ha chiesto chiarimenti al SIOPE, il quale avrebbe risposto affermando che «dagli approfondimenti svolti sul Codice oggetto di spesa (COS)064 «Utenze e canoni per acqua», è emerso che l'anomalia riscontrata nel dato del 2013 è dovuta all'errata codifica attribuita ad alcuni mandati di pagamento che avrebbero dovuto esser imputati al COS 164 (trasferimenti a enti di previdenza e assistenza sociale) per un importo di circa 3.390 milioni»;
   l'errore, a quanto risulta all'interrogante, avrebbe, avuto come conseguenza che la spesa complessiva per il codice COS 164 (trasferimenti a enti di previdenza assistenza sociale), che era pari a 100 miliardi di euro nel 2012, è risultata pari a 110 miliardi di euro invece che 113.390;
   un errore di tale entità non è ammissibile né giustificabile dal momento che il SIOPE:
    a) rappresenta uno strumento fondamentale per il monitoraggio dei conti pubblici, attraverso la rilevazione in tempo reale del fabbisogno delle amministrazioni pubbliche e l'acquisizione delle informazioni necessarie ad una più puntuale predisposizione delle statistiche trimestrali di contabilità nazionale, ai fini della verifica delle regole previste dall'ordinamento comunitario (procedura su disavanzi eccessivi e patto di stabilità e crescita);
    b) esso, in particolare, a seguito dell'emanazione del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 23 dicembre 2009, costituisce la principale fonte informativa per la predisposizione delle relazioni trimestrali sul conto consolidato di cassa delle amministrazioni pubbliche da presentare alle Camere ai sensi dell'articolo 14, comma 4, delle legge n. 196 del 2009;
   non è ammissibile, a parere dell'interpellante, che siano i cittadini a dover rilevare eventuali errori commessi dalla pubblica amministrazione in una materia così delicata e con conseguenze così gravi –:
   se sia a conoscenza dell'errore commesso e descritto in premessa e, nel caso in cui trovi conferma, se non ritenga urgente avviare una verifica puntuale sulle motivazioni alla base di un errore di tale entità e che implica così gravi conseguenze sia per il conto consolidato di cassa delle amministrazioni pubbliche, sia per la verifica delle regole previste dall'ordinamento comunitario;
   quali strumenti di controllo esistano e perché essi non siano stati attivati;
   a chi debba esser imputata la responsabilità dell'errore;
   quale sistema di controlli si intenda, attivare per verificare che non esistano altri errori di questo tipo e per evitare che tali errori possano ripetersi in futuro.
(3-00958)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SIMONETTI, BUSIN, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 18 febbraio 1992, n. 162, recante «provvedimenti per volontari del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico e per l'agevolazione delle relative operazioni di soccorso», All'articolo 1, comma 3, prevede che «i volontari che siano lavoratori autonomi hanno diritto a percepire un'indennità per il mancato reddito relativo ai giorni in cui si sono astenuti dal lavoro (...)»;
   il decreto 24 marzo 1994, n. 379, concernente il «Regolamento recante norme sui volontari del soccorso alpino e speleologico» all'articolo 3, comma 1, dispone che «i volontari che siano lavoratori autonomi, al fine di percepire l'indennità prevista dal comma 3 dell'articolo 1 della legge 18 febbraio 1992, n. 162, per il periodo di astensione dal lavoro, debbono farne richiesta all'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione competente per territorio» ed il successivo comma 2 del medesimo articolo dispone che «La domanda deve essere inoltrata, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui il volontario ha effettuato l'operazione di soccorso o l'esercitazione»;
   la citata legge n. 162 del 1992 riconosce, pertanto, ai tecnici del soccorso alpino e speleologico del CNSAS che siano lavoratori autonomi il diritto a un rimborso per non perdere la giornata di lavoro; il rimborso è tassato alla fonte con una ritenuta del 20 per cento, cui si sono finora aggiunte 2,00 euro a titolo di imposta di bollo;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con istanza di interpello 954-83/2014 presentata in data 17 febbraio 2014 all'Agenzia delle entrate, facendo presente che alcuni uffici territoriali hanno manifestato dubbi in merito all'importo dell'imposta di bollo da applicare alle istanze presentate dai volontari del soccorso alpino e speleologico per l'erogazione della predetta indennità, chiedeva appunto di chiarire se su tali istanze dovesse applicarsi l'imposta di bollo e in quale misura;
   con risposta fornita il 13 giugno 2014 all'Agenzia delle entrate, nell'osservare che «in linea generale le istanze rivolte alla pubblica amministrazione e che costituiscono l'atto di impulso di un procedimento amministrativo sono soggette all'imposta di bollo» precisava che a suo parere le istanze presentate dai volontari del soccorso alpino e speleologico per, l'ottenimento delle predette indennità devono essere ricondotte nell'ambito applicativo dell'articolo 3 della tariffa, parte prima, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642, ai sensi del quale è dovuta l'imposta di bollo, fin dall'origine, nella misura di euro 16,00 per ogni foglio;
   secondo l'interpretazione dell'Agenzia delle entrate, quindi, per ogni richiesta da parte del lavoratore autonomo di rimborso della giornata di soccorso andrebbero apposte due marche da bollo di 16 euro l'una, per un totale di spesa di 32 euro pari al 44 per cento del rimborso;
   come evidenziato dal CNSAS nel comunicato stampa del 9 luglio 2014, «Non si può chiedere a un soccorritore di pagare una tassa su una richiesta di rincorso per un'attività svolta a favore della cittadinanza» e con tale interpretazione si corre il rischio che «gli oltre 7000 tecnici del CNSAS, tra cui tanti montanari lavoratori autonomi e artigiani, di fronte a una richiesta di soccorso e con davanti un intervento che potrebbe durare anche diversi giorni (possano pensare) per un solo momento di dover scegliere tra mancato reddito per la propria famiglia e il salvataggio di una vita umana –:
   se non ritengano opportuno assumere le iniziative di competenza volte a prevedere che la richiesta di rimborso per l'indennità di mancato reddito da parte dei lavoratori autonomi volontari del soccorso alpino e speleologico sia prodotta mediante autocertificazione esente da ogni imposta di bollo o comunque se intendano assumere iniziative finalizzate tese al superamento dell'interpretazione dell'Agenzia delle entrate di cui in premessa.
(5-03244)


   CURRÒ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 337, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, ha introdotto, a titolo iniziale e sperimentale, la disciplina del 5 per mille, attribuendo la possibilità ai contribuenti di destinare una quota dell'imposta sul reddito delle persone fisiche alle seguenti finalità:
    a) sostegno degli enti del volontariato:
     enti del volontariato di cui alla legge 266 del 1991;
     onlus – organizzazioni non lucrative di utilità sociale (articolo 10 del decreto legislativo 460 del 1997);
     associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale, regionali e provinciali (articolo 7, commi da 1 a 4, legge 383/2000);
     associazioni riconosciute che operano nei settori indicati dall'articolo 10, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 460 del 1997;
     fondazioni riconosciute che operano nei settori indicati dall'articolo 10, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 460 del 1997;
    b) finanziamento agli enti della ricerca scientifica e dell'università;
    c) finanziamento agli enti della ricerca sanitaria;
    d) sostegno alle attività delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici;
    e) sostegno delle attività sociali svolte dal Comune di residenza del contribuente;
    f) sostegno alle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal Coni a norma di legge che svolgono una rilevante attività di interesse sociale;
   l'opzione è stata estesa anche per gli anni successivi; da ultimo, l'articolo 1, comma 205, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) ha confermato lo strumento del 5 per mille anche per l'anno fiscale 2013, estendendolo anche alle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal Coni a norma di legge che svolgono una rilevante attività di interesse sociale;
   per l'ammissione al beneficio, gli enti del volontariato presentano annualmente apposita domanda d'iscrizione all'Agenzia delle entrate; la domanda va trasmessa in via telematica direttamente dai soggetti interessati, se abilitati ai servizi Entratel o Fisconline, oppure tramite gli intermediari abilitati a Entratel (professionisti, associazioni di categoria, Caf, e altro). Le fasi della procedura per la predisposizione degli elenchi dei beneficiari, la formulazione della scelta e la successiva assegnazione delle somme sono definite dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 aprile 2010. In particolare, è prevista la redazione di distinti elenchi per ciascuna delle tipologie di soggetti aventi diritto. Allo stesso modo si prevede che la corresponsione a ciascun soggetto delle somme ad esso spettanti venga effettuata sulla base degli elenchi all'uopo predisposti dall'Agenzia delle entrate (articolo 11). Quanto alla destinazione della quota del 5 per mille del reddito Irpef, invece, si prevede che il contribuente provveda a tal fine compilando l'apposito quadro del modello di dichiarazione, facendo attenzione all'indicazione del codice fiscale del soggetto beneficiario;
   il beneficio del 5 per mille è stato riconosciuto anche per l'annualità 2012 dall'articolo 33, comma 11, della legge 12 novembre 2011 n. 183 (legge di stabilità 2012). Al riguardo, in data 9 aprile 2014 l'Agenzia delle entrate ha pubblicato sul proprio sito istituzionale l'elenco dei soggetti ammessi al beneficio e destinatari di quote del 5 per mille. Sennonché, come si desume dagli elenchi pubblicati, molte associazioni risultano regolarmente indicate, ma, allo stesso tempo, non appaiono come destinatarie di quote del cinque per mille. Tra queste si segnala l'associazione «Il Giglio» (al protocollo n. 33878 nella categoria onlus e volontariato): tale associazione, infatti, pur essendo certa di essere destinataria di quote di cinque per mille (comprovate dalle dichiarazioni dei redditi in suo possesso), non risulta essere beneficiaria di alcuna donazione; né risultano spiegate le ragioni di tale esclusione;
   i vari decreti attuativi, pur disciplinando adeguatamente le modalità di accesso al beneficio e di erogazione del credito, non chiariscono le modalità attraverso le quali l'Agenzia procede alla verifica delle dichiarazioni dei redditi ai fini della predisposizione degli elenchi dei soggetti ammessi al beneficio ed effettivi destinatari di quote del cinque per mille –:
   se sia a conoscenza delle descritte problematiche connesse alla verifica e al riconoscimento della destinazione di quote del cinque per mille e se intenda assumere iniziative, anche a carattere normativo, al fine di chiarire e specificare le modalità con cui vengono verificate, da parte dell'Agenzia delle entrate, le dichiarazioni dei redditi per la destinazione del cinque per mille nonché l'individuazione degli importi da erogare ai singoli soggetti beneficiari. (5-03246)


   PESCO, BARBANTI, RUOCCO, VILLAROSA, LOMBARDI, PAOLO BERNINI, CASO, MICILLO, SORIAL, BRUGNEROTTO, MARZANA, FICO, LUIGI GALLO, FRUSONE, RIZZO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, TONINELLI, VIGNAROLI, PINNA, SPADONI, DEL GROSSO, VACCA, DELL'ORCO, TERZONI, D'INCÀ, SIMONE VALENTE, BUSINAROLO, CORDA, DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, BATTELLI, BARONI, TOFALO, BASILIO, DALL'OSSO, CASTELLI, MUCCI, BUSTO, AGOSTINELLI e COLONNESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 giugno 2014 sul sito https://wikileaks.org/tisa-financial/ è stato pubblicato un articolo intitolato «Press Release – Secret Trade in Services Agreement (TISA) – Financial Services Annex». In allegato al richiamato articolo è stato pubblicato uno stralcio della «bozza» risalente al 14 aprile 2014 riguardante il capitolo «servizi finanziari» di un presunto trattato internazionale definito «segreto» (anche per i 5 anni successivi all'entrata in vigore dell'accordo) che riguarderebbe tutti i «servizi» (dai dati personali alle assicurazioni, passando dalla sanità), diffuso in Italia in esclusiva sul sito de L'Espresso;
   questa bozza di trattato, da quanto riportato, coinvolgerebbe ben 50 Paesi (rappresentanti il 70 per cento del mercato mondiale dei servizi, tra i quali l'Europa con l'Italia), e mirerebbe alla privatizzazione (e quindi collocazione sul mercato) di praticamente tutti i servizi, non solo quelli finanziari contenuti nel documento divulgato da Assange;
   a detta di quanto riportato da Wikileaks e ripreso da L'Espresso, nell'ultima decade di giugno 2014, si sarebbe dovuto tenere un nuovo incontro tra i rappresentanti dei Paesi coinvolti, al fine di continuare la trattativa;
   il 12 e 13 giugno 2011 con referendum abrogativo il popolo italiano si è espresso a favore della cancellazione di due norme che favorivano la privatizzazione dei servizi idrici e la remunerazione del capitale investito su tali gestioni, in quanto, seppur «l'iniziativa economica privata è libera» – così come sancito dall'articolo 41 della Costituzione – la stessa «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana»;
   l'articolo 11 della Costituzione italiana «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni»;
   l'articolo 3 della Costituzione dispone che: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Da quanto asserito si desume l'impraticabilità e l'inopportunità di accordi tenuti segreti ai cittadini, che di fatto ostacolerebbero e limiterebbero lo sviluppo personale in parità di condizioni economico-sociali, favorendo proprio quei soggetti a conoscenza dell'esistenza di questi accordi e relative modalità operative;
   l'articolo 80 della Costituzione recita «Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi»;
   l'articolo 15 della Costituzione sottolinea e ribadisce «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili» –:
   se il Ministero dell'economia e delle finanze sia al corrente della specificità di tali trattative ed, in caso positivo, se intenda riferire i contenuti specifici e lo stato dei lavori del citato accordo TISA. (5-03249)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZETTO, PRODANI e BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa che l'Abi, l'Associazione banche italiane, ha inoltrato richiesta al Ministro dell'economia e delle finanze di reintroduzione della penale per l'estinzione anticipata del mutuo;
   si ricorda che con la legge Bersani entrata in vigore nel 2007 era stata liberalizzata l'estinzione del mutuo, eliminando l'obbligo del pagamento di una penale per aver estinto in anticipo il finanziamento;
   a quanto è dato sapere, l'Abi lamenta l'eccessiva pressione fiscale a cui sono sottoposte le banche italiane adducendo che l'assenza della commissione sull'estinzione anticipata dei mutui determinerebbe una difficoltà da parte delle banche di riuscire a tenere saldi i collegamenti tra i costi per la raccolta e quelli, invece, necessari per mantenere i finanziamenti ipotecari;
   di conseguenza, l'associazione predetta richiede la modifica della «legge Bersani» per reintrodurre la possibilità da parte delle banche di chiedere una penale sull'estinzione anticipata, prevedendo comunque che debba esistere un periodo, in relazione alla durata complessiva del contratto di mutuo, entro cui non è possibile chiedere l'estinzione;
   si ritiene che la richiesta dell'Abi non debba avere alcun seguito per le conseguenze che determinerebbe. Si mette in evidenza che l'associazione lamenta una presunta pressione fiscale eccessiva, mentre nulla dice sul fatto che le banche italiane continuano a proporre mutui ben più costosi della media europea, addirittura pari circa al doppio;
   la reintroduzione della penale pregiudicherebbe notevolmente la concorrenza tra i gruppi di credito, poiché verrebbe ridotta drasticamente la portabilità dei mutui, in danno ai mutuatari che vedrebbero limitata la possibilità di accedere a mutui più vantaggiosi per la riduzione delle proposte concorrenziali di portabilità tra banche;
   pertanto, va scongiurata la reintroduzione della penale sull'estinzione anticipata del mutuo, che determinerebbe un ingiusto onere a carico del mutuatario e pregiudicherebbe il diritto alla portabilità verso mutui con condizioni più favorevoli –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative intenda adottare affinché non vengano introdotte ulteriori disposizioni che rendano ingiustamente più gravose le condizioni del mutuo a carico del mutuatario, che, per la natura di questa tipologia di contratto, di fronte all'ente di credito, è già la «parte debole» dell'accordo contrattuale. (4-05570)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   numerosi quotidiani riportano la notizia che la Gtech, società italiana leader mondiale nel settore del gioco regolamentato e nel campo dei sistemi di processing ad alta sicurezza per le lotterie online, di cui De Agostini spa e la propria controllata DeA Partecipazioni spa, detengono complessivamente circa il 59 per cento delle azioni in circolazione, ha sottoscritto un accordo per la fusione con International Game Technology (IGT), leader globale nel settore dei casinò e del social gaming con sede a Las Vegas. Lo stesso accordo prevede che successivamente le due società confluiranno in una holding di nuova costituzione di diritto inglese, NewCo, con sede nel Regno Unito e sedi operative a Roma, Las Vegas e Providence, che negozierà le proprie azioni esclusivamente presso il New York Stock Exchange (Nyse), controllata al 20 per cento dagli attuali azionisti di Igt e all'80 per cento da quelli di GTech;
   l'operazione, il cui valore complessivo si aggira intorno a 6,4 miliardi di dollari (4,7 miliardi di euro), comprensivi della stima di circa 1,75 miliardi di dollari (1,29 miliardi di euro) di debito netto esistente presso l'inglobata IGT, è stata deliberata all'unanimità dai consigli di amministrazione di entrambe le società e dovrebbe perfezionarsi entro il secondo trimestre del 2015. Il closing dell'operazione è soggetto al preventivo rilascio delle necessarie autorizzazioni antitrust e di quelle delle competenti autorità di vigilanza del settore del gioco, all'approvazione degli azionisti di IGT e di GTech e ad altre condizioni tipiche per questo genere di operazioni. Agli azionisti di GTech che non abbiano concorso all'approvazione della delibera assembleare relativa alla fusione spetterà il diritto di recesso;
   a seguito della suddetta operazione la GTech, (ex gruppo Lottomatica spa), inglobando la IGT, leader mondiale nella produzione di apparecchi da intrattenimento, da primo operatore al mondo nelle lotterie, arriverà quasi a raddoppiare la propria capitalizzazione per diventare il maggiore gruppo internazionale nell'intera gamma dei giochi, assumendo dimensioni di primo piano in tutti i segmenti di business, aree geografiche e linee di prodotto ed arrivando a realizzare, entro il terzo anno dal perfezionamento della fusione, secondo stime le stime del management, sinergie per oltre 280 milioni di dollari (oltre 200 milioni di euro);
   è previsto che la nuova entità, la NewCo, generi un flusso di cassa significativo e che l'operazione sarà immediatamente accrescitiva a livello di cash EPS, poiché prevede inoltre un meccanismo opzionale per gli azionisti della IGT che potranno scegliere di ricevere l'intero corrispettivo tutto in azioni, o in contanti o misto, secondo precisi criteri di ripartizione previsti nell'accordo di fusione;
   molti la definiscono come la maggiore operazione di acquisizione all'estero realizzata nell'ultimo anno da una società italiana: infatti, nella gara per la scalata della IGT, la GTech ha scalzato concorrenti di peso come la società MacAndrews & Forbes del miliardario Ron Perelman, Scientific Games ed i fondi di private equity Apollo e Carlyle;
   non sfugge all'interrogante che operazioni di questo tipo potrebbero dar luogo quantomeno a considerevoli vantaggi dal punto di vista fiscale;
   la suddetta scelta tra l'altro segue, quella analoga già operata, il 29 gennaio, nel contesto della fusione fra Fiat Industrial e CNH, nell'ambito della quale fu chiarito che la Newco sarebbe stata costituita nei Paesi Bassi, ma che la stessa sarebbe stata considerata fiscalmente residente esclusivamente nel Regno Unito;
   tali due operazioni, ad avviso dell'interrogante, fanno annoverare anche il Regno Unito tra i fra i Paesi europei che, insieme ad Olanda, Lussemburgo ed Irlanda, da tempo oramai praticano apertamente una politica di «dumping fiscale», tanto da aver attirato entro i propri confini migliaia e migliaia di sedi legali di imprese con attività reale ovvero profitti raccolti in altri Paesi dell'Unione;
   la GTech (ex Lottomatica group spa all'epoca dei fatti) è una delle 10 concessionarie di slot machine a cui la Corte dei conti ha contestato il mancato collegamento delle «macchinette» al cervellone della Sogei, operazione indispensabile a valutare il volume delle giocate, condannandole ad un risarcimento, per danno erariale, pari a 98 miliardi di euro, importo successivamente ridotto dal Governo Letta con il ricorso ad una norma che ha consentito alle stesse concessionarie di liberarsi della sanzione pagando una percentuale pari al 20 per cento e che ha convinto la GTech a chiudere il contenzioso con lo Stato dietro l'esborso, avvenuto a fine anno 2013, di una somma pari a 34,7 milioni di euro, affidando ad un comunicato stampa la contestuale dichiarazione di «non aver violato alcuna norma e di aver deciso di sottoscrivere i relativi atti, tenuto conto della lunghezza dei tempi di risoluzione di tali pendenze e dei costi connessi a un lungo contenzioso, nonché della naturale incertezza sugli esiti» –:
   se non ritenga di dover vigilare sul pieno rispetto da parte della nuova società della normativa fiscale. (4-05583)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO, CIPRINI e MUCCI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale per i minorenni è un organo collegiale specializzato dell'amministrazione della giustizia, istituito con regio decreto n. 1404 del 1934, convertito dalla legge n. 835 del 1935, composto da quattro giudici, di cui due togati e due onorari, un uomo e una donna, «benemeriti dell'assistenza sociale, scelti tra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia ...» (articolo 2 della legge n. 835 del 1935), figure che compendiano funzioni giudiziarie e competenze psicologiche nonché socio-pedagogiche;
   i tribunali dei minori, di competenza territoriale su tutto il circondario della corte di appello o sezione di corte d'appello, sono 29 sul territorio nazionale, con un organico di circa 782 magistrati, dei quali circa 600 sono onorari;
   un servizio della trasmissione di inchiesta Le Iene, del 21 maggio 2014, ha rifocalizzato l'attenzione su una questione già oggetto di una commissione di inchiesta di Federcontribuenti sugli affidamenti minorili chiamata «Finalmente Liberi». L'inchiesta aveva riscontrato ben oltre 100 conflitti di interessi tra giudici onorari ed associazioni per minori in tutta Italia;
   sarebbe emerso che l'allontanamento di parecchi minori dalla propria famiglia sia stato deciso da giudici onorari che ricoprivano anche la carica di presidente o vicepresidente delle associazioni alle quali tali minori venivano affidati. Queste associazioni sarebbero sovvenzionate dallo Stato, per un ammontare che dipende dal numero dei minori presenti nella struttura;
   si tratta di psicologi, medici e assistenti sociali, che da un lato sono chiamati a pronunciarsi sull'allontanamento dei bambini dalle proprie famiglie, e dall'altro sono essi stessi titolari, dipendenti o consulenti di centri di affido o istituti, dove poi vengono accolti gli stessi minori;
   il giudice onorario per tutta la durata dell'incarico è un giudice a tutti gli effetti e quindi, nell'esercizio di tale attività, deve osservare i principi deontologici del giudice, tra cui il principio di terzietà ed indipendenza, come interprete degli interessi del minore e delle relazioni all'interno della famiglia;
   l'ultima circolare del CSM in merito al ruolo di giudice onorario minorile, risalente al 14 maggio 2010, fissava i criteri di selezione e nomina dei giudici onorari minorili per il triennio 2011-2013 ed in particolare all'articolo 7 fissa le cause di incompatibilità allo svolgimento dell'incarico;
   anche il Garante per l'infanzia aveva proposto di «scrivere un rigido codice etico, coinvolgendo gli ordini professionali, per vietare a ogni giudice onorario di tribunale dei minori di avere un ruolo nelle comunità di affido» e di far sottoscrivere ai tribunali un protocollo sulle ispezioni, così da metterli in condizione di effettuare controlli presso le strutture che dovessero risultare «sospette»;
   è emerso che nel 2010 i minorenni sottratti alle famiglie sono stati 39.698, collocati dai tribunali dei minori in centri di affido temporaneo o in altre famiglie, il 24 per cento in più rispetto a 10 anni prima. Inoltre, comuni e aziende sanitarie locali pagano per ciascun/minorenne affidato una retta minima giornaliera di 200 euro (ma spesso si arriva a superare i 400) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se sia noto quanti minori siano stati affidati ad associazioni da parte di giudici onorari che ricoprivano ruoli nelle medesime associazioni e a quanto ammontino le somme ricevute da tali associazioni a fronte di detti affidamenti;
   quanti minorenni siano stati sottratti alle famiglie nel 2013;
   se il Ministro ritenga di assumere iniziative normative per precisare le cause di incompatibilità per la nomina dei giudici onorari minorili. (5-03251)

Interrogazione a risposta scritta:


   VILLAROSA, BONAFEDE, COLLETTI, AGOSTINELLI, FERRARESI, TURCO e D'UVA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto è una struttura che occupa complessivamente 58.000 mq. Sono presenti 8 padiglioni (ciascuno dei quali composto da due piani), cucine, lavanderie, palazzina direzione, magazzini, caserma, palazzina alloggi, capannone lavorazioni e orto;
   tale struttura, secondo quanto disposto dalla legge di conversione n. 81 del 2014, dovrebbe non «esistere» più dopo la data 31 marzo 2015 ed il relativo definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari;
   attualmente la struttura detentiva-contenitiva ospita circa 150 soggetti, ma in passato ha ospitato senza grossi problemi anche più di 400 persone grazie anche alle caratteristiche ed alle dimensioni della struttura stessa;
   in data 5 luglio 2014 il sindacato di polizia penitenziaria (Si.P.Pe.) ha organizzato un incontro, a Barcellona Pozzo di Gotto, avente come oggetto la possibile conversione dell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto in casa di reclusione, che ha visto la partecipazione, oltre che del sottoscritto, anche dell'ex Ministro, Gianpiero D'Alia, del direttore dell'Ospedale psichiatrico giudiziario Nunziante Rosania oltre che, naturalmente, del sindaco della città ospitante, Maria Teresa Collica;
   la commissione senatoriale per l'efficienza e l'efficacia del servizio sanitario nazionale già ne auspicava la trasformazione in istituto penitenziario ordinario dopo l'effettivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari ed anche il DAP, con una nota del 18 aprile 2013, ha manifestato chiaramente l'intenzione di procedere «alla trasformazione dell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto in casa di reclusione, con eventuale sezione di Circondariale, e che, a tale scopo, sono già stati predisposti alcuni progetti di ristrutturazione e manutenzione della struttura»;
   il Provveditore dell'amministrazione penitenziaria per la Sicilia e i direttori generali del DAP (detenuti e trattamento, beni e servizi) hanno svolto un'accurata ricognizione sulla situazione strutturale dell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto traducendola in un progetto per una casa di reclusione per soggetti a medio-bassa pericolosità con annessa anche sezione femminile, sezione per minorati psichici, sezione per soggetti detenuti articolo 148 del codice penale e sezione osservandi;
   anche le segreterie generali di tutte le organizzazioni sindacali di polizia penitenziaria e del comparto ministeriale si sono espresse, a più riprese, a favore della conversione in casa di reclusione e, in un recente passato, anche il consiglio comunale di Barcellona, a seguito di una riunione con i cittadini tenutasi nell'aula consiliare, si espresse chiedendo con forza la trasformazione dell'Ospedale psichiatrico giudiziario in istituto penale ordinario;
   la situazione degli istituti carcerari Italiani presenta gravissime criticità e la Sicilia da questo punto di vista eccelle nell'inefficienza delle strutture detentive, presentando problemi sia di sovraffollamento che di strutture non adatte al rispetto della persona detenuta che, ricordiamolo, resta sempre una persona titolare di diritti. Anche in conseguenza dei problemi di sovraffollamento nel 2013 nella sola regione Sicilia abbiamo avuto 4 suicidi riusciti, 99 suicidi tentati e 473 episodi di autolesionismo verbalizzati;
   la struttura già esistente di Barcellona Pozzo di Gotto, una volta convertita in casa di reclusione con un investimento di denaro relativamente irrisorio, garantirebbe un numero complessivo di 486 posti che renderebbero tale istituto una struttura di assoluta avanguardia trattamentale oltre che contribuire in maniera significativa al decongestionamento degli istituti penitenziari siciliani ed al consequenziale miglioramento delle condizioni di vita degli stessi detenuti –:
   se sia a conoscenza del progetto di conversione del provveditore penitenziario per la Sicilia e i direttori generali del DAP esposto nella premessa di questo atto di sindacato ispettivo;
   se intenda prendere immediati provvedimenti per predisporre un piano di conversione, da Ospedale psichiatrico giudiziario a casa di reclusione, della struttura barcellonese che ben si adatta a tale destinazione finale e che richiederebbe un investimento economico di gran lunga giustificato considerati i benefici per la collettività che ne deriverebbero. (4-05574)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'INCÀ, ROSTELLATO, DE LORENZIS, SPESSOTTO, DA VILLA e BRUGNEROTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 37 del 14 febbraio 1974 «accesso gratuito per i cani guida per non vedenti sui mezzi di trasporto ed esercizi pubblici» prevede che il privo di vista ha diritto di farsi accompagnare dal proprio cane guida nei suoi viaggi su ogni mezzo di trasporto pubblico senza dover pagare per l'animale alcun biglietto o sovrattassa;
   al privo della vista è riconosciuto, altresì, il diritto di accedere agli esercizi aperti al pubblico con il proprio cane guida;
   i responsabili della gestione dei trasporti e titolari degli esercizi pubblici che impediscano od ostacolino, direttamente o indirettamente, l'accesso ai privi di vista accompagnati dal proprio cane guida, sono soggetti ad una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da euro 500 fino ad euro 2500;
   la legge n. 67 del 1 marzo 2006 «Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità» promuove, ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione, la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali;
   sono sempre più diffusi gli episodi, denunciati da più parti:
    nel mese di dicembre 2013 M. Q. un veneziano non vedente, con cane guida al seguito si è trovato al centro di una disputa sui diritti dei non vedenti e delle loro guide a quattro zampe, al parcheggio di Lambioi. Ciò poiché l'addetto alle scale mobili, attenendosi al regolamento trasmessogli, non ha permesso allo stesso di accedere alle scale con il cane;
    è stato verificato, tramite colloqui telefonici con le associazioni che si occupano di questo problema, che i cani guida vengono addestrati anche a salire sulle scale mobili;
    il comune di Belluno, a cui va dato merito, si è scusato pubblicamente con il signor Q. tramite i propri amministratori;
    l'episodio accaduto, il 5 gennaio 2013 a Roma, alla signora L. F. madre di Pietro, 13 anni, affetto da una grave malattia rara che gli impedisce di camminare. La signora F. organizza una gita con il figlio e due suoi nipoti presso gli studi di Cinecittà. Consultando il sito dell'ATAC e vedendo che sia la stazione vicino a casa sua (Metro Cipro) sia quella di arrivo (Cinecittà) risultano essere accessibili, sceglie la metropolitana come mezzo di trasporto;
   all'arrivo nella stazione di Cinecittà però la sgradita sorpresa, la signora non riesce a trovare l'ascensore. Chiede aiuto, gridando, per attirare l'attenzione di qualcuno. Poi, visto che il figlio si stava spaventando, decide di chiamare il 113 che le risponde di cercare bene, perché l'ascensore esiste. Nessuno, intanto, interviene in suo aiuto. La signora si accorge allora che c’è un ascensore, ma che questo è fuori uso e sbarrato da una transenna. Disperata, telefona al marito, che arriva a Cinecittà, prende in braccio il figlio e riesce a salire le due rampe di scale (in tutto quarantacinque scalini), notando anche un montascale fuori uso. Decisa a non subire il sopruso, la signora si organizza e quattro mesi dopo, il 14 aprile 2013, rifà il percorso insieme a una giornalista del TG3 e a una telecamera. Stavolta si parte di domenica, alle 15, dalla stazione Cipro. E ci si ferma subito, perché l'ascensore, che esiste, non può funzionare per mancanza di personale. È dunque di nuovo il padre a «caricarsi» Pietro per le scale e lo stesso fa alla stazione di Cinecittà, dove i due ascensori e il servoscala sono disattivati. Al ritorno il «miracolo»: grazie alla provvidenziale telefonata della signora alla polizia, l'ATAC convoca il suo personale e gli ascensori delle due fermate vengono messi in funzione;
   una settimana dopo, il 22 aprile, il TG3 manda in onda il servizio nell'edizione delle 19. Quasi contestualmente parte il ricorso al tribunale, che si è concluso con una sentenza che ha visto il tribunale di Roma condannare contemporaneamente sia il comune della capitale che l'azienda municipalizzata dei trasporti, per avere discriminato un giovane con disabilità, impedendogli di accedere alla metropolitana –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti in premessa;
   se e quali iniziative di competenza intenda intraprendere, anche di tipo normativo, al fine di evitare il ripetersi di episodi quali quelli enunciati. (4-05581)


   BRUNO, CATALANO, BRUNO BOSSIO, AIELLO e CENSORE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sulla strada statale 107 Silana-Crotonese nei pressi del chilometro 25+450, dove sono in corso lavori per la realizzazione di una stazione di servizio, si sono verificati una serie di incidenti stradali in un breve lasso di tempo;
   per realizzare l'area di servizio si è reso necessario eliminare, letteralmente, le corsie di immissione degli svincoli di Piano Monello e di Piano di Maio;
   per realizzare tali svincoli, che rivestono un ruolo importante nella mobilità dell'intera area, lo Stato italiano ha impegnato, da poco tempo, ingenti risorse rinvenienti dai lavori di ammodernamento della autostrada A3, che si snoda subito a lato della strada statale 107 nel tratto in questione;
   l'eliminazione delle corsie d'immissione non può essere riconducibile a ragioni di sicurezza considerato che sull'intera strada statale 107 sono stati interessati da lavori simili solo e soltanto i due svincoli prospicienti la neo costruenda area di servizio;
   agli incidenti stradali richiamati ha evidentemente contribuito la notevole riduzione dello spazio disponibile per le vetture che devono immettersi sulla statale;
   gli svincoli in questione sono particolarmente interessati da frequenti episodi di congestione del traffico in direzione dell'Università della Calabria, inoltre, servendo una specifica area industriale del comune di Rende, vengono normalmente utilizzati da mezzi pesanti;
   parrebbe che le autorizzazioni comunali necessarie per la realizzazione dell'opera siano state rilasciate a ridosso dell'insediamento del commissario prefettizio in una fase di sostanziale vuoto amministrativo, a quanto consta agli interroganti senza nemmeno informare tutti gli uffici comunali e sovracomunali preposti alla viabilità di quel territorio;
   se non si interviene con celerità nel ripristinare almeno il livello di sicurezza precedente si rischia di registrare altri incidenti gravi con chiare ed evidenti responsabilità dei decisori pubblici –:
   se risulti completo l’iter tecnico e amministrativo delle opere realizzate;
   quanto riceverà l'Anas per il rilascio della concessione;
   quante siano state le risorse pubbliche impiegate per rendere i due svincoli funzionali e sicuri durante i lavori di ammodernamento della A3;
   quali iniziative urgenti intenda adottare il Ministro affinché vengano sensibilizzati gli organismi preposti a provvedere al più presto al ripristino della situazione precedente in modo da rimettere in sicurezza gli svincoli in questione. (4-05584)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DA VILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 17 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL), stabilisce, al comma 1, che «I comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti articolano il loro territorio per istituire le circoscrizioni di decentramento, quali organismi di partecipazione, di consultazione e di gestione di servizi di base, nonché di esercizio delle funzioni delegate dal comune» ed al comma successivo che «l'organizzazione e le funzioni delle circoscrizioni sono disciplinate dallo statuto comunale e da apposito regolamento»;
   il comune di Venezia, in accordo alla norma di cui sopra, si è articolato in sei circoscrizioni, chiamate «municipalità» e considerate «...organismi di governo e di rappresentanza del territorio, di consultazione, di partecipazione, di gestione ed esercizio delle competenze ad essi delegate e di espressione dell'autonomia comunale nell'ambito delle competenze e dei limiti fissati dalla normativa vigente e, in particolare, della gestione dei servizi di base» (articolo 1 del regolamento comunale delle municipalità);
   il consiglio comunale di Venezia, per le note vicende giudiziarie legate alle tangenti derivanti dai lavori del Mo.S.E., è in attesa di scioglimento, sussistendo i presupposti di cui all'articolo 141, comma 1, lettera b), n. 2 e 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000. n. 267 (TUEL). Il Prefetto ha nominato così, ai sensi del successivo comma 7, il dottor Vittorio Zappalorto quale commissario prefettizio. Egli cumula in sé le prerogative di tutti e tre gli organi di governo comunali;
   non risultano tuttavia venute meno le sei circoscrizioni sopra ricordate e ciò appare all'interrogante vieppiù illegittimo visto il rapporto «pertinenziale» tra gli organi decaduti e l'attività degli organi circoscrizionali che era, in massima parte, dedicata all'espressione di pareri su provvedimenti poi votati da giunta e consiglio comunale. Ebbene, tale attività si è d'improvviso azzerata, palesando la sopravvenuta inutilità degli organi municipali;
   l'articolo 9 del citato regolamento comunale statuisce poi che i «Consigli di Municipalità sono eletti contemporaneamente al Consiglio comunale, anche nel caso di scioglimento anticipato dello stesso» mentre il successivo articolo 12 dichiara, inequivocabilmente, che «il Consiglio di Municipalità resta in carica per tutta la durata del mandato del Consiglio comunale ed esercita le proprie funzioni sino all'elezione del nuovo, limitandosi ad adottare dopo la pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali, solo gli atti urgenti ed improrogabili. Tali norme sembrano confermare, dunque, la tesi secondo cui il venir meno del consiglio comunale causerebbe la decadenza, de iure, anche delle relative circoscrizioni comunali salvi, appunto, quegli atti urgenti ed improrogabili. Ma non è quello che sta accadendo nel comune lagunare ove si continuano a convocare commissioni e consigli nei sei organismi del decentramento;
   l'azzeramento delle municipalità, con conseguente razionalizzazione e riorganizzazione delle sei strutture, comporterebbe poi risparmi di spesa, non ingenti ma comunque utili, per il difficile compito del commissario prefettizio il quale si trova a dover tagliare spese correnti per circa 47 milioni di euro affinché il comune non sfori, per il secondo anno consecutivo, il patto di stabilità –:
   se e con quali misure il Ministro interrogato, nel rispetto dell'autonomia degli enti locali di cui all'articolo 114 della Costituzione, intenda intervenire presso la gestione commissariale del comune di Venezia, alla luce delle considerazioni riportate in premessa. (5-03248)


   MAGORNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 luglio 2014, lo stadio comunale di Catanzaro «N. Ceravolo», è stato concesso per la cerimonia nuziale del signor Andrea Amendola, consigliere comunale di Forza Italia del capoluogo calabrese e capo ultras della squadra cittadina;
   durante la suddetta cerimonia, come ampiamente documentato dagli organi di informazione, lo stesso Andrea Amendola avrebbe intonato, in gruppo, un coro oltraggioso contro «le divise blu», con evidente riferimento al colore dell'uniforme indossata proprio dagli agenti della polizia di Stato;
   sempre dalla stampa, inoltre, si apprende che, nel regolamento comunale, non sarebbe previsto l'uso della stadio per i matrimoni e che la concessione del «Ceravolo» per la cerimonia nuziale in questione non sarebbe passata attraverso alcuna delibera comunale né altro atto formale;
   sempre dalla carta stampata, risulta che la Digos, nei giorni scorsi, avrebbe fatto visita negli uffici del comune di Catanzaro acquisendo, secondo le ricostruzioni, il parere di concessione dello stadio per tre anni, rilasciato dalla precedente giunta, la richiesta del consigliere-sposo Andrea Amendola e la risposta della società;
   a parere dell'interrogante, è intollerabile che le riprese video che immortalano il coro contro la polizia di Stato siano passate inosservate all'attenzione delle istituzioni locali considerato che, tra l'altro, alla cerimonia nuziale erano presenti alcuni amministratori, tra i quali anche il sindaco di Catanzaro, Sergio Abramo, ed il commissario straordinario della provincia, Wanda Ferro;
   episodi di questo genere, ancora secondo l'interrogante, offendono non solo le forze dell'ordine ma anche i cittadini onesti e perbene di Catanzaro e dell'intera Calabria che sentono forte il senso dello Stato, delle istituzioni e della convivenza democratica e civile –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro intenda attivare per contribuire a far luce su quanto accaduto e per tutelare l'immagine e la dignità delle donne e degli uomini delle forze dell'ordine che si spendono quotidianamente per garantire sicurezza e legalità. (5-03250)

Interrogazione a risposta scritta:


   SARRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel Comune di Castelvolturno (Caserta), ormai da diversi anni, trovano stabile dimora circa quindicimila immigrati clandestini, provenienti prevalentemente da Paesi africani;
   la presenza così massiccia di extracomunitari irregolari in quella realtà territoriale ha determinato fortissimi disagi alle popolazioni locali ed alle amministrazioni comunali che hanno dovuto fronteggiare, con risorse limitate e con mezzi contenuti, una così complessa situazione;
   ciononostante, i cittadini di Castelvolturno hanno costantemente mostrato un elevato spirito di accoglienza verso questi svantaggiati, favorendone l'inclusione sociale;
   di recente, tuttavia, si è determinato un clima di forte tensione tra i cittadini di Castelvolturno e le comunità di immigrati irregolari ivi insediate, dal quale sono derivati gli episodi di violenza ampiamente riportati dalle cronache di questi ultimi giorni;
   in tale contesto, gli stessi cittadini extracomunitari sono costretti a vivere in una condizione di assoluto degrado, nella quale hanno trovato facile presa pratiche illecite volte allo sfruttamento del loro lavoro;
   inoltre, la presenza di un numero così elevato di immigrati clandestini, in quanto tali impossibilitati ad accedere al mercato del lavoro regolare, ha favorito la costituzione di vere e proprie organizzazioni criminali, dedite principalmente allo sfruttamento della prostituzione e al traffico di droga, in un contesto territoriale già caratterizzato, purtroppo, dalla presenza di consorterie malavitose autoctone;
   i rapporti già tesi tra comunità locale e stranieri, rischiano di aggravarsi ulteriormente per l'arrivo a Castelvolturno di un elevato numero di rifugiati politici, che vanno ad aggiungersi ai circa quindicimila immigrati irregolari già presenti in quella città –:
   quali iniziative si intendano porre in essere per garantire il ripristino di ordinarie condizioni di sicurezza nel comune di Castelvolturno, anche per impedire che in futuro abbiano a ripetersi episodi gravissimi come quelli accaduti in queste ultime ore;
   quali iniziative si intendano assumere al fine di garantire agevolazioni, anche inerenti al patto di stabilità, alle amministrazioni locali, ed in specie al comune di Castelvolturno, per sostenere l'erogazione di servizi adeguati all'effettivo bacino di utenza e per promuovere serie e durature azioni di integrazione degli immigrati regolari. (4-05569)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   ANTIMO CESARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il documento finale AVA (autovalutazione, valutazione periodica, accreditamento) approvato dall'ANVUR il 9 gennaio 2013, il decreto ministeriale n. 47 del 2013, e infine il decreto ministeriale n. 1059 del 2013 hanno di fatto obliterato la disciplina alla quale le università non statali legalmente riconosciute sono assoggettate dalla legge n. 243 del 29 luglio 1991, che prevede il loro adeguamento solo ai «principi generali della legislazione universitaria, in quanto compatibili»; sono stati infatti resi identici, per le università statali e non statali, sia tutti gli onerosi adempimenti previsti dal sistema AVA, sia il numero, la tipologia e le caratteristiche dei docenti di riferimento necessari per l'accreditamento dei corsi;
   quanto sopra esposto comporta un notevole appesantimento dei relativi bilanci, specie nelle partite di spesa fissa relative al personale docente non essendo più possibile alle università non statali – come finora accaduto – raggiungere i medesimi requisiti di docenza, sia pure solo parzialmente, con adeguati strumenti alternativi (supplenze, contratti di particolare qualificazione scientifico-professionale) e ciò proprio nel momento in cui il continuo riassettarsi dei saperi e della domanda di formazione suggerirebbe, soprattutto a soggetti che non dispongono di consistenti partite fisse di entrata, un massimo di agilità finanziaria;
   a fronte di questa identità di richieste e oneri con il sistema universitario statale, il contributo in favore delle università non statali legalmente riconosciute ha visto un fortissimo decremento, niente affatto paragonabile con quello che pure ha toccato gli atenei statali: il contributo si è infatti pressoché dimezzato nel giro di un solo biennio (passando dal 2009 al 2011 da 130 a 69 milioni di euro);
   il contributo riservato alle università non statali, reso nel tempo già così esiguo, è stato ulteriormente ridotto, poiché il decreto ministeriale 23 dicembre 2013, n. 1061, ha incluso tra le destinatarie anche le università telematiche, nonostante i fattori evidenti che rendono il loro funzionamento e le loro finalità in nulla equiparabili con quanto espletato, in termini di ricerca e di «pubblico» servizio, dalle università non statali –:
   se ritenga opportuno e urgente assumere iniziative normative e/o di implementazione del contributo, che consentano la sopravvivenza del le università non statali (molte delle quali segnalate come modello di eccellenza per il sistema nazionale della ricerca e per il placement), e di conseguenza la persistenza, per gli studenti e per le loro famiglie, della possibilità di scegliere tra i diversi sistemi formativi costituzionalmente garantiti.
(3-00955)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 104 del 2013 avente ad oggetto «Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca» dispone di una serie di articoli volti a tutelare la salute nelle scuole, la formazione del personale docente e la formazione tecnologica degli studenti;
   in particolare all'articolo 4 dispone di svariati commi volti a delineare quali siano le norme da attuare per garantire una corretta e sana alimentazione nelle scuole al fine di garantire il diritto alla salute degli alunni e una maggiore tutela per gli alunni e personale scolastico affetto da celiachia;
   nello specifico al comma 5 dispone che «Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, al fine di favorire il consumo consapevole dei prodotti ortofrutticoli (locali, stagionali e biologici) nelle scuole, elabora appositi programmi di educazione alimentare (anche in collaborazione con associazioni e organizzazioni di acquisto solidale)»;
   al comma 5-bis sottolinea che «il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca adotta specifiche linee guida, sentito il Ministero della salute, per disincentivare, nelle scuole di ogni ordine e grado, la somministrazione di alimenti e bevande sconsigliati, ossia contenenti un elevato apporto totale di lipidi per porzione, grassi trans, oli vegetali, zuccheri semplici aggiunti, alto contenuto di sodio, nitriti o nitrati utilizzati come additivi, aggiunta di zuccheri, semplici e dolcificanti, elevato contenuto di teina, caffeina, taurina e similari, e per incentivare la somministrazione di alimenti per tutti coloro che sono affetti da celiachia»;
   al 5-quater si affida la gestione dei servizi di refezione scolastica nelle strutture pubbliche con alunni fino a 18 anni di età, a ditte che siano in grado di garantire un'adeguata quota di prodotti agricoli e agroalimentari provenienti da sistemi di filiera corta e biologica, nonché l'attribuzione di un punteggio per le offerte di servizi e forniture rispondenti al modello nutrizionale denominato dieta mediterranea, e una particolare attenzione anche a prodotti per celiaci;
   in merito al tema della divulgazione di testi digitali, invece, all'articolo 15, comma 2-bis, si prevede, al fine di potenziare la disponibilità e la fruibilità a costi contenuti di testi, documenti e strumenti didattici da parte delle scuole degli alunni e delle loro famiglie di adottare materiale scolastico digitale assunto come libro di testo per la specifica disciplina. L'elaborazione di ogni prodotto dovrà essere affidata a un docente supervisore che crea uno staff di docenti in collaborazione con gli studenti delle proprie classi in orario curriculare nel corso dell'anno scolastico, L'opera didattica multimediale dovrà essere registrata con licenza creative commons «Attribuzione-Non Commerciale-Condividi allo stesso modo (CC BY-NC-SA)» e successivamente inviata entro la fine dell'anno scolastico al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che individuerà un sistema per renderla disponibile a tutte le scuole pubbliche del territorio italiano anche adoperando piattaforme digitali già preesistenti prodotte da reti nazionali di istituti scolastici e nell'ambito di progetti pilota del Piano nazionale scuola digitale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per l'azione «Editoria Digitale Scolastica»;
   nel suddetto decreto si è introdotta «la promozione del plurilinguismo nelle scuole dell'infanzia attraverso l'acquisizione dei primi elementi della lingua inglese»;
   si sottolinea l'urgenza e l'importanza di continuare a formare il personale docente della scuola italiana per garantire una maggiore efficienza e educazione degli alunni, ma a tal proposito pur essendo deciso, come si può leggere all'articolo 16, comma 1, nel decreto-legge n. 104 del 2013 per il 2014 la spesa di euro 10 milioni, oltre alle risorse previste nell'ambito di finanziamenti di programmi europei e internazionali, per attività di formazione obbligatoria del personale scolastico non risultano ancora stanziate le risorse previste –:
   data l'urgenza e l'importanza attuativa dei succitati articoli in che modo intenda applicare quanto più celermente possibile le suddette norme del decreto-legge n. 104 del 2013. (5-03243)


   LUIGI GALLO, D'UVA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con l'accordo del 28 marzo 2014 tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, le ditte di pulizia e i sindacati si garantisce alle stesse ditte di pulizia che attualmente svolgono il servizio nelle scuole di ottenere l'appalto per «attività di ripristino del decoro e della funzionalità degli immobili scolastici»;
   il destino di questi lavoratori è legato all'accordo sottoscritto in data 28 marzo 2014 tra le parti sociali presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, finalizzato a risolvere le problematiche occupazionali relative degli appalti di pulizie nelle scuole, determinati a seguito degli affidamenti Consip, riguardanti i lavoratori e le lavoratrici ex LSU e appartenenti ai cosiddetti appalti storici, tutelati ai sensi dell'articolo 4 del contratto collettivo nazionale di lavoro per dipendenti esercenti servizi di pulizia e servizi integrati multiservizi;
   nell'ambito di un programma per l'edilizia facente capo alla presidenza del Consiglio dei Ministri, sono state individuate ulteriori attività; piccoli interventi di manutenzione, di ripristino del decoro della funzionalità degli immobili adibiti ad edifici scolastici; elencate nel verbale di accordo che il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca finanzierà con 450 milioni di euro e provvederà ad affidare al personale adibito alla pulizia nelle scuole a decorrere dal 1o luglio 2014 al 31 marzo 2016. Tale programma stabilisce inoltre che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca entro il mese di maggio provvedeva a realizzare tramite richieste degli istituti scolastici, l'elenco degli interventi di ripristino della funzionalità degli immobili ed al fine di consentire l'effettuazione di tali servizi a partire dal 1o luglio 2014 e attivare corsi di formazione e di riqualificazione ad hoc i cui contenuti e le modalità siano definiti con il fattivo concorso delle parti sociali, nell'ambito di un apposito gruppo tecnico coordinato presso il Ministero. Ne consegue che il relativo gap da colmare in base all'azione formativa non potrà che essere correlato anche all'età e alle capacità del singolo, in quanto tali lavoratori spesso appartengono a categorie protette e il datore di lavoro non può chiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni;
   sembra però che la prescrizione relativa alla formazione non venga rispettata, come riportato sul quotidiano locale Metropolis, che titolava così un suo articolo: «Corsi farsa LSU ignorati dal Governo» –:
   di quali elementi dispongano in merito i Ministri interrogati e quali misure hanno assunto per lo svolgimento di una adeguata formazione professionale;
   in che modo si intenda supervisionare la tutela dei lavoratori diversamente abili e in precarie condizioni di salute;
   in che modo si intendano tutelare i lavoratori attualmente in cassa integrazione e che hanno svolto i corsi di formazione e come si possa garantire il rispetto delle condizioni contrattuali previste per questa categoria di lavoratori;
   se intenda programmare ispezioni a campione negli istituti dove operano le ditte e cooperative di pulizia, per verificare il corretto svolgimento ed il rispetto delle vigenti prescrizione di legge. (5-03245)

Interrogazione a risposta scritta:


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la città di Taranto sta attraversando un momento di profonda crisi, da un lato a causa dei problemi che attanagliano l'economia di tutta la nazione, dall'altro la questione ILVA;
   la situazione viene aggravata dalla fuga dei giovani in un contesto dove l'università continua ad avere numerosi problemi irrisolti e mancano prospettive lavorative e occasioni per crescere professionalmente;
   in tale contesto la paventata chiusura del polo universitario jonico rende ancora più drammatica la situazione;
   è di questi giorni, infatti, la notizia, che il polo universitario tarantino rischia di chiudere a meno che il Governo non destini a Taranto risorse finanziarie straordinarie pluriennali da includere nel patto di stabilità. Un intervento di questo tipo darebbe solidità e prospettive a un insediamento che soffre più di altri dei tagli governativi che ne mettono in pericolo la sopravvivenza;
   lo stesso rettore, nella missiva inviata al Governo ove ribadisce che l'università è un patrimonio di tutti ed è la leva su cui costruire il futuro, sottolinea che il polo universitario se non supportato adeguatamente dal Governo, rischia di dover necessariamente ridimensionare l'offerta formativa con grave danno per l'utenza;
   lo sviluppo, invece, del suddetto polo potrebbe avere un ruolo importante per il rilancio dell'intera università. Avere un polo universitario di qualità potrebbe portare numerosi vantaggi sia dal punto di vista economico sia per quanto riguarda la formazione;
   quest'ultimo infatti, è l'aspetto più compromesso in quanto già diversi corsi di laurea sono stati soppressi e l'offerta formativa è stata ridotta al minimo;
   con l'istituzione invece di corsi di laurea qualitativamente paragonabili a quelli delle grandi università ci sarebbe la possibilità di formare giovani che dopo la laurea potrebbero mettere a disposizione della città le loro conoscenze e la loro capacità per creare quelle opportunità di lavoro che servono per il rilancio economico di Taranto;
   la situazione riportata è sicuramente il frutto di una serie di provvedimenti presi dai vari Governi precedenti e dalla mancanza di un progetto complessivo sul polo universitario jonico –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine prevedere adeguate risorse finanziarie per il polo universitario jonico in modo che l'offerta formativa venga riportata a standard adeguati alle esigenze sia degli studenti che del territorio del sud Italia. (4-05565)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la funzione istituzionale dell'attività di garanzia del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, tendente a favorire la conoscenza delle norme di settore, al fine di facilitarne l'applicazione della normativa, viene spesso interpretata nelle provincie, diversamente, a seconda del territorio e del momento;
   l'articolo 8, del decreto legislativo n. 297 del 2002 mantiene esplicitamente in vigore l'articolo 16, della legge n. 56 del 1987, ove si configura uno speciale regime giuridico riguardo l'assunzione presso le pubbliche amministrazioni di personale da adibire a «qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità». La vigenza di tale particolare modalità di reclutamento del personale presso gli enti pubblici, accanto alle «procedure selettive», è confermata dall'articolo 35, del decreto legislativo n.  165 del 2001;
   per le assunzioni a tempo indeterminato, prima di ricorrere all'avviamento a selezione ai sensi dell'articolo 16, legge n. 56 del 1987, la pubblica amministrazione esperisce gli adempimenti previsti dagli articoli 34 e 34-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001, verificando la presenza di eventuale personale collocato in disponibilità ai sensi dell'articolo 33 del medesimo decreto ed in possesso della stessa qualifica professionale;
   le province e le altre pubbliche amministrazioni, pertanto, si raccordano con il servizio politiche attive del lavoro delle regioni per una verifica relativa alla presenza di personale eventualmente collocato in disponibilità;
   sulla base delle informazioni assunte, le richieste di personale presso gli enti pubblici pubblicate dal centro per l'impiego di Perugia evidenziano requisiti superiori alla scuola dell'obbligo contrariamente a quanto previsto dalla normativa nazionale a cui fa riferimento l'articolo 16 della legge n. 56 del 1987;
   risulta che l'accesso agli atti avanzato da diversi utenti al centro per l'impiego della provincia di Perugia è stato spesso motivo di conflitto e di tensione con gli utenti stessi –:
   quali criteri interpretativi siano stati forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sull'applicazione dell'articolo 16 della legge n. 56 del 1987 e dell'articolo 8, del decreto legislativo n. 297 del 2002. (3-00957)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCO DI MAIO, ASCANI, GALPERTI, DONATI, GADDA, D'INCECCO, PETITTI, ARLOTTI, LATTUCA, MONTRONI, MORANI, DE MENECH e CAPOZZOLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con quattro decreti governativi, il primo datato 13 dicembre 2004, l'ultimo 24 dicembre 2004, si imponeva all'INPS la vendita di 43 sedi – tra cui quella di Forlì – di assoluta sconvenienza, con un prezzo complessivo pari a 667.947.600 euro al metro quadro pari a 1784,60 euro tra i più bassi del mercato;
   le stesse sedi venivano successivamente riprese dall'INPS con contratti d'affitto, viceversa, elevatissimi, con fitto annuale complessivo pari a 52.217.921 euro, con una rendita di affitto pari al 7,81 per cento del valore degli immobili, di gran lunga più elevata rispetto agli standard di redditività di tutti i valori mobiliari ed immobiliari presenti sul mercato e con l'aggiunta dei costi per ordinaria e straordinaria manutenzione compresa la messa a norma degli impianti. Basti pensare che per la sede di Forlì, comprese le due agenzie di Cesena e Savignano, l'importo complessivo annuo erogato si aggira oltre i 900.000 euro;
   inoltre, si sottolinea che il patrimonio immobiliare degli enti, che a tutti gli effetti sono istituti pubblici di assicurazioni, costituisce la sola ed unica garanzia dei contributi pagati dai lavoratori, dai commercianti, dagli artigiani, dai coltivatori diretti, dai marinai, dagli armatori e dall'industria per garantirsi solidaristicamente contro le inevitabili avversità della vita –:
   se il Governo, in tempi di revisione della spesa pubblica come quelli attuali e di ridimensionamento dei servizi, intenda fornire un bilancio per quantificare gli effetti economici arrecati al patrimonio INPS e quindi allo Stato, valutando conseguentemente provvedimenti da assumere al fine di non prolungare ulteriormente gli effetti di questa scelta sbagliata, ridurre gli sprechi e migliorare l'efficienza. (4-05579)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come riportato nei giorni scorsi dai maggiori quotidiani nazionali e locali, da ampi servizi televisivi ed approfondimenti online, Coldiretti ha lanciato un allarme sulla concorrenza sleale del riso asiatico contro la produzione nostrana. Si tratta non solo di dumping commerciale ma anche di timori legati alla qualità e alla nocività di risi coltivati senza i necessari controlli fitosanitari;
   nel 2014 si è altresì verificata in un solo anno una riduzione del 22 per cento, per una riduzione di oltre 15 mila ettari, delle risaie destinate alla coltivazione di riso varietà «indica», che viene importata dalla Cambogia senza dazio e con grave danno ai coltivatori italiani;
   l'accordo «Everything But Arms» – «Tutto tranne le armi» – che ha portato all'azzeramento dei dazi, ha favorito, come denuncia Coldiretti, l'insediamento di multinazionali in Paesi meno avanzati dove hanno fatto incetta di terreni e si coltiva riso senza adeguate tutele del lavoro e con l'utilizzo di prodotti chimici vietati da decenni nelle campagne italiane ed europee. Per questo dopo la mobilitazione sul territorio, una delegazione di produttori rappresentativa di tutte le regioni guidata ha portato al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, un campione di riso importato dalla Cambogia per chiedere che vengano fatti controlli qualitativi dopo che nel primo semestre 2014 il sistema di allerta rapido europeo (RASFF) ha effettuato quasi una notifica a settimana per riso e prodotti derivati di provenienza asiatica per la presenza di pesticidi non autorizzati o che superano i limiti ammessi di residuo e assenza di certificazioni sanitarie;
   il 20 maggio 2014 la «Autorità europea per la sicurezza alimentare», EFSA, ha inoltre pubblicato il «rapporto 2014 sui residui di pesticidi negli alimenti», frutto del «programma coordinato di monitoraggio dell'Unione europea»; il rapporto si riferisce alle attività di controllo relative ai residui antiparassitari nei prodotti alimentari effettuate nel 2011 in 29 Paesi europei (i 27 Stati membri e 2 Paesi EFTA, Islanda e Norvegia). Nel medesimo documento viene illustrata anche una valutazione del rischio ambientale, che ha prodotto alcune raccomandazioni alle istituzioni europee intese a migliorare l'applicazione della legislazione europea sui residui di antiparassitari negli alimenti; nel 2011 più di 79.000 campioni di oltre 600 prodotti alimentari sono stati testati per verificare la presenza di residui fitosanitari. Oltre al peperoncino vietnamita vi sono altri alimenti di consumo quotidiani come l'okra dall'india col 43,3 per cento di irregolarità; i piselli dal Kenya col 40,4 percento di irregolarità; le lenticchie dalla Turchia (1,6 milioni chili importati) che sono risultate irregolari in un caso su quattro col 24,3 per cento di irregolarità; le melagrane col 40,5 per cento di irregolarità; le arance dall'Uruguay col 19 per cento di irregolarità presentano residui di pesticidi quali l'imazil, il fenthion e l'ortofenilfenolo, oltre i limiti di legge, il cui utilizzo è vietato nel nostro Paese; i fichi dal Brasile col 30,4 per cento di irregolarità; il frutto della passione dalla Colombia col 25 per cento di irregolarità; l'ananas dal Ghana col 15,6 per cento di irregolarità; le foglie di the dalla Cina col 15,1 per cento di irregolarità, le cui importazioni nei primi due mesi del 2014 sono aumentate addirittura del 1100 per cento; il riso dall'India, Myanmar e Cambogia col 12,9 per cento di irregolarità, con un flusso di importazione record di 38,5 milioni di chili nel 2013, risulta essere il prodotto a rischio più importato in Italia; i fagioli dal Kenya col 10,8 per cento di irregolarità; i cachi da Israele col 10,7 per cento di irregolarità; il peperoncino dalla Turchia col 10,5 per cento di irregolarità. Si tratta di valori preoccupanti per l'Italia che può contare su una produzione con livelli di sicurezza elevati con un numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite di appena lo 0,2 per cento (limite di un già basso 0,3 per cento delle precedenti analisi) che sono risultati inferiori di nove volte a quelli della media europea (1,6 per cento di irregolarità) e addirittura trentadue volte a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   secondo il Dossier della Coldiretti le importazioni del riso cambogiano in Italia sono aumentate del 360 per cento nel primo trimestre. Il riso «indica» lavorato cambogiano arriva in Italia ad un prezzo riferito al grezzo inferiore ai 200 euro a tonnellata, pari a circa la metà di quanto costa produrlo in Italia nel rispetto delle norme sulla salute, sulla sicurezza alimentare e ambientale;
   l'Italia è ancora il primo produttore europeo di riso su un territorio di 216 mila ettari. Questa produzione storica riveste poi un ruolo ambientale insostituibile e contribuisce a dare opportunità occupazionali a migliaia di famiglie che compongono così una delle filiere più importanti dell'agroalimentare italiano di qualità, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo –:
   se il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali intenda attivarsi da subito affinché la questione del dumping commerciale del riso asiatico sia posta e risolta in ambito comunitario e affinché venga attivata la «clausola di salvaguardia» contro importazioni a dazio zero di riso. (4-05575)


   GAGNARLI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, PARENTELA e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   ad oltre due anni dall'entrata in vigore del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, moltissimi produttori agricoli lamentano la mancata osservanza del divieto di vendite sottocosto introdotto all'articolo 62;
   l'articolo 4 del decreto ministeriale n. 199 del 2012 recante norme di attuazione del succitato articolo 62, disciplina le pratiche commerciali sleali specificando che le cessioni di prodotti agricoli e alimentari, rientrano nella definizione di «condotta commerciale sleale» e, tra queste, anche il mancato rispetto dei principi di buone prassi nonché le pratiche sleali identificate dalla Commissione europea e dai rappresentanti della filiera agro-alimentare a livello comunitario;
   in particolare, il comma 2 dell'articolo 4 vieta qualsiasi comportamento del contraente che, abusando della propria maggior forza commerciale, imponga condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, ivi comprese quelle che: a) prevedano a carico di una parte l'inclusione di servizi e/o prestazioni accessorie rispetto all'oggetto principale della fornitura, anche qualora queste siano fornite da soggetti terzi, senza alcuna connessione oggettiva, diretta e logica con la cessione del prodotto oggetto del contratto; b) escludano l'applicazione di interessi di mora a danno del creditore o escludano il risarcimento delle spese di recupero dei crediti; c) determinino, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, prezzi palesemente al di sotto dei costi di produzione medi dei prodotti oggetto delle relazioni commerciali e delle cessioni da parte degli imprenditori agricoli;
   le disposizioni di divieto di vendita sottocosto sancite dall'articolo 62 purtroppo, risultano ancora disattese, nonostante esse trovino una specifica ratio anche nelle sentenze della Corte di giustizia europea che ha recentemente stabilito, con riferimento alle vendite al dettaglio, che il divieto è contenuto nel concetto di «modalità di vendita», e che non rientra nel campo di applicazione dell'articolo 34 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea qualora esso valga nei confronti di tutti gli operatori interessati e qualora esso incida in egual misura sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri;
   ad oggi neppure nelle commissioni uniche nazionali-Cun, nate attraverso protocolli d'intesa tra tutti gli operatori interessati per restituire trasparenza e neutralità alle quotazioni delle merci, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, cui compete l'azione di vigilanza, è riuscito ad implementare e far rispettare questo divieto attraverso la funzione di pubblicizzazione del costo di produzione medio, che il Ministero stesso ha introdotto nel decreto attuativo dell'articolo 62;
   tra i vantaggi proposti dal divieto di vendite sottocosto si segnala la tutela del patrimonio agricolo e zootecnico italiano per il quale si rischia un effetto di estinzione dovuto ai meccanismi opachi di formazione dei prezzi nelle borse merci locali, ad avviso degli interroganti sempre più «maschere legali» per cartelli vietati dal diritto comunitario;
   nonostante la decisione del Ministero risalga al mese di ottobre del 2012, ad oggi non risultano ultimate le procedure atte a consentire l'implementazione del divieto in parola –:
   quali siano le ragioni della mancata effettiva operatività del divieto di cui in premessa e se non ritenga urgente predisporre, anche in considerazione dell'andamento anomalo delle commissioni uniche avversate dalle lobby agroindustriali, le procedure necessarie ad implementare il divieto di vendita sottocosto al fine di rispettare i principi di buone prassi previste dalla Commissione europea. (4-05576)


   GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 1 aprile 2014 la Commissione agricoltura della Camera approvava la risoluzione n. 8-00048 che impegnava il Governo a garantire un processo di miglioramento del regolamento istitutivo della Commissione unica nazionale (Cun) verso principi di trasparenza e neutralità, e pervenire quindi alla cessazione dell'attività di accertamento dei prezzi dei conigli svolta dalla Commissione della Borsa merci locale di Verona affinché potesse essere valorizzata l'attività svolta a livello nazionale dalla Cun, ed evitate duplicazioni in sede locale;
   dopo due riunioni tra il dirigente del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali dottor Di Genova, il dottor Cuomo (Bmti) presso la Camera di Commercio di Verona, è stata redatta una bozza di modifica del regolamento di funzionamento della Cun cunicola;
   il 23 giugno il dirigente dottor Di Genova convocava la riunione della Cun – cunicola per il giorno 10 luglio presso il Ministero, alla quale non partecipava, durante la quale il coordinatore dottor Cuomo, consulente esterno del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali illustrava le modifiche al regolamento Cun, che introducono una sovrastruttura chiamata «Comitato Cun», mai esistita nei precedenti regolamenti, né accettata dalla Cun – suini, attraverso la quale si introducono le stesse modalità anticoncorrenziali della borsa merci di Verona, privando di fatto gli allevatori commissari della facoltà di definire i prezzi dei propri conigli e demandando, in caso di disaccordo, questo compito ad altri soggetti esterni alla Cun;
   gli allevatori commissari della Commissione unica nazionale ritengono che, essendo la trattativa libera ed autonoma, sia molto più semplice che in caso di disaccordo vi sia la possibilità di effettuale un «Non quotato» piuttosto che affidare le sorti del mercato a soggetti non commissari, come prevede la proposta di mediazione proposta e avallata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   altra illogicità sollevata dai commissari della Commissione unica nazionale, ed inserita nella penultima modifica regolamentare, è l'indicazione del doppio prezzo invece del prezzo singolo, avvenuto ben 8 volte su 24 durante l'attuale semestre. A tal proposito, i commissari della Commissione unica nazionale propongono al Ministero di stabilire una limitazione dei non quotati (massimo uno al mese) e negli altri casi di disaccordo far decidere alternativamente a sorte le due parti, come avveniva in precedenza;
   i regolamenti delle borse merci prevedono di rilevare i prezzi storici settimanali, mentre di fatto sinora la borsa merci di Verona ha fissato i prezzi per la settimana successiva, anche senza gli allevatori, come lamentano i commissari della Commissione unica nazionale negli ultimi mesi, in palese contrasto con la normativa europea, con il parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e con la Commissione prezzi unica nazionale-Cun, che è nata proprio per superare strumenti desueti – che risalgono addirittura a decreti regi del 1913 – con nuovi meccanismi più trasparenti e neutrali;
   le modalità anticoncorrenziali della borsa merci di Verona, a causa dei vetusti regolamenti istitutivi, non consentono agli allevatori né di partecipare in tutte le fasi decisionali perché esclusi dal Comitato, che sinora ha fissato illecitamente prezzi di vendita sottocosto, né di esercitare la loro libertà negoziale in piena autonomia;
   i commissari della Commissione unica nazionale fanno rilevare che la condotta assunta dalla borsa merci di Verona non è più tollerabile. I margini di discrezionalità adottati, i numerosi tentativi di mediazione ed il contrasto normativo pongono in essere attività restrittive della concorrenza, da svariati anni, senza che le organizzazioni sindacali agricole abbiano assunto sinora possibili azioni a tutela degli allevatori e della concorrenza nelle sedi competenti;
   la sentenza della Corte di giustizia europea del 9 settembre 2003, causa C-198/01, riconosce a tutti gli organi di uno Stato, ivi comprese le autorità antitrust nazionali, il potere-dovere di disapplicare la normativa interna che imponga o favorisca l'adozione di comportamenti contrari alla disciplina antitrust comunitaria, accertando l'infrazione ed inibendone la continuazione. Secondo tale sentenza l'esistenza di una normativa interna anticoncorrenziale, come quella che regolamenta il funzionamento della borsa merci di Verona, non esclude l'applicazione degli articoli 101 e 102 del TFUE (ex articolo 81 e 82 del Trattato CE) ove il disposto legislativo non lasci al soggetto alcun margine di autonomia, imponendo un comportamento restrittivo, o creando un contesto giuridico che di per sé elimina ogni possibilità di concorrenza;
   in forza del principio del primato del diritto comunitario sul diritto nazionale in materia di concorrenza e degli effetti diretti degli articoli 101 e 102 del TFUE, le imprese sono tenute a non conformarsi alla normativa anticoncorrenziale della borsa merci di Verona, e il Ministero, essendo organo dello Stato che svolge attività di vigilanza sulle Commissioni uniche nazionali, è tenuto a tutelare il buon andamento di questo nuovo organismo da eventuali comportamenti contrari alla disciplina antitrust o in contrasto con altre norme interne;
   la stessa Autorità garante della concorrenza e del mercato italiana aveva già inviato un parere in data 29 aprile 2011 al Governo e alle Camere, con cui auspicava un «esame in senso proconcorrenziale dell'attuale processo di formazione dei prezzi alla produzione, al fine di adeguare il sistema alla normativa posta a tutela della concorrenza (...)»;
   nonostante l'istituzione della Commissione unica nazionale e la prevista attività di vigilanza del Ministero, la coesistenza di due organismi, produce ormai come prassi, delle quotazioni doppie e sottocosto dei prezzi dei conigli, da un lato, e, dall'altro, la fissazione impropria del prezzo da parte della borsa merci di Verona, attraverso il suo comitato di borsa interno, che lo ratifica in assenza degli allevatori, disattendendo l'indirizzo emerso dalla citata Risoluzione e dal parere dell’antitrust italiano;
   la borsa merci di Verona infatti continua a pubblicare un prezzo che nella maggior parte dei casi coincide con quello della Commissione unica nazionale, a riprova del palese contrasto tra il regolamento della commissione borsa merci stessa, che prevede l'accertamento del prezzo storico settimanale, e il regolamento della Commissione unica nazionale, che prevede invece l'indicazione di una tendenza di mercato e di un prezzo per la settimana successiva;
   i liberi allevatori, rappresentati dai commissari presenti in Commissione unica nazionale, esprimono forte disaccordo con la previsione, prevedibile nel caso in cui la bozza di modifica del Regolamento di funzionamento della Commissione unica nazionale Cunicola diventi operativo, di far confluire dentro la Commissione unica nazionale i difetti di funzionamento della borsa merci di Verona, generando restrizioni alla libertà e all'autonomia negoziale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che, avallando la modifica del regolamento della Commissione unica nazionale (Cun), approvata in data 10 luglio, ma non ancora operante, si mantengano i meccanismi discrezionali delle borse merci locali, avallando quotazioni sottocosto vietate dall'articolo 62, in contrasto con le indicazioni dell’antitrust e degli impegni della Risoluzione n. 8-00048, trasferendone i vizi all'interno della stessa Commissione unica nazionale;
   cosa intenda fare per dare finalmente attuazione alle disposizioni della Risoluzione n. 8-00048 approvata in Commissione agricoltura in data 1 aprile 2014, ed in particolare per garantire un processo di miglioramento del regolamento istitutivo della Commissione unica nazionale (Cun), che lasci agli allevatori margini di autonomia e libertà negoziali, senza imporre loro comportamenti restrittivi, e richiedendo l'intervento dell’antitrust al fine di giungere alla disapplicazione con urgenza della normativa regolamentare della borsa merci di Verona;
   se non ritenga opportuno predisporre un quadro normativo che impedisca le continue modifiche peggiorative apportate ai regolamenti della Commissione unica nazionale introducendo criteri di trasparenza, neutralità ed effettività del ruolo cui i regolamenti delle nuove Commissioni uniche nazionali debbono attenersi, preveda un organo di vigilanza la cui attività sia rivolta alla tutela dei commissari della Commissione unica nazionale, alla verifica dei loro prerequisiti, all'efficienza, alla trasparenza e allo sviluppo del mercato delle merci agricole italiane, definisca il perimetro degli illeciti penali e amministrativi, le relative sanzioni, i procedimenti di applicazione e le forme di tutela giurisdizionale. (4-05580)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   RONDINI, MATTEO BRAGANTINI, SIMONETTI e CAON. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2014, l’import di riso dalla Cambogia fa crollare del 22 per cento la produzione in Italia, con una riduzione di oltre 15.000 ettari di risaie. Un danno economico che mette a rischio la salute dei consumatori, e che causa un allarme sanitario alla settimana;
   l'accordo Everything But Arms (tutto tranne le armi), che ha portato all'azzeramento dei dazi, ha favorito l'insediamento di multinazionali in Paesi meno avanzati dove hanno fatto incetta di terreni e si coltiva riso senza adeguate tutele del lavoro e con l'utilizzo di prodotti chimici vietati da decenni nelle campagne italiane ed europee;
   una delegazione di produttori rappresentativa di tutte le regioni guidata dal presidente della Coldiretti ha portato al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali un campione di riso importato dalla Cambogia per chiedere che vengano fatti controlli qualitativi dopo che nel primo semestre 2014 il sistema di allerta rapido europeo (Rasff) ha effettuato quasi una notifica a settimana per riso e prodotti derivati di provenienza asiatica per la presenza di pesticidi non autorizzati o che superano i limiti ammessi di residuo e assenza di certificazioni sanitarie;
   la concorrenza sleale provocata dalle speculazioni sulle importazioni del riso cambogiano ha comportato che le stesse in Italia sono aumentate del 360 per cento nel primo trimestre, dove il riso indica lavorato cambogiano arriva ad un prezzo riferito al grezzo inferiore ai 200 euro a tonnellata, pari a circa la metà di quanto costa produrlo nel nostro Paese nel rispetto delle norme sulla salute, sulla sicurezza alimentare e ambientale e dei diritti dei lavoratori;
   l'Italia è il primo produttore europeo di riso su un territorio di 216.000 ettari con opportunità occupazionali, ma alla luce di quanto espresso la situazione sta precipitando e a rischio c’è il lavoro per oltre 10.000 famiglie tra dipendenti ed imprenditori di lavoro nell'intera filiera –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione e intenda intervenire predisponendo controlli sanitari e qualitativi al fine di tutelare i consumatori, che in un periodo di crisi importante come quello attuale si rivolgono per gli acquisti a risi più economici come quelli importati, senza curarsi delle potenziali conseguenze di tutela della salute. (4-05564)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   D'ALIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 luglio 2013 l'Eni confermava la volontà di continuare ad investire nel territorio di Gela firmando un accordo con le parti sociali e istituzionali del territorio nel quale si prevedeva un progetto di ristrutturazione e rilancio del sito produttivo con un investimento di 700 milioni di euro, con l'obiettivo di dare vita ad una raffineria capace di affrontare le sfide di un mercato competitivo ed in continua evoluzione, economicamente solida, ancora più ecocompatibile ed attenta al territorio;
   secondo i dirigenti Eni il «progetto di ristrutturazione e di rilancio mirava a recuperare sostenibilità economica attraverso il superamento delle debolezze strutturali del sito». Sempre la stessa Eni dichiarava che a regime nel 2017, grazie ad un nuovo assetto industriale ed organizzativo, la raffineria di Gela doveva essere capace di generare utili con produzioni più adeguate alle esigenze di mercato (massimizzazione della produzione di diesel e interruzione della produzione di benzine e polietilene), recuperando nel contempo affidabilità, flessibilità ed efficienza operativa;
   nel mese di giugno 2014 lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare accoglieva le istanze proposte dal gruppo Eni riguardo al rilascio della certificazione AIA, riconoscendo alla raffineria di Gela il principio della media ponderata sulle emissioni inquinanti in atmosfera che consente di vendere l'energia elettrica prodotta dalla centrale termoelettrica;
   nei giorni scorsi l'amministratore delegato di Eni, De Scalzi, comunicava agli organi di stampa la volontà della società di procedere al fermo degli impianti a tempo indeterminato, non rispettando di fatto quanto previsto dall'accordo del 9 luglio 2014 sottoscritto con le parti sociali e istituzionali; tale volontà veniva confermata nel corso degli incontri con i sindacati tenutosi a Roma in data 8 luglio 2014;
   a dimostrazione di quanto annunciato da De Scalzi, la produzione presso la Raffineria di Gela si è interrotta il 15 marzo 2014, facendo precipitare nel panico un'intera comunità che ha ancora nel presidio industriale il cuore pulsante della propria economia;
   come viene riportato nel documento approvato dal consiglio comunale di Gela «Nessun indizio di chiusura era paventato, atteso che la stessa Eni dichiarava che, a differenza delle altre società petrolifere europee che stavano chiudendo le loro raffinerie in Europa (15 dal 2008) per investire in Asia e in Medio Oriente, loro invece avevano deciso di affrontare la difficile congiuntura economica del settore senza delocalizzare, bensì investendo nel riassetto dei siti italiani in crisi»;
   la paventata chiusura della raffineria di Gela metterebbe in discussione il posto di lavoro di almeno 5.000 lavoratori tra diretto ed indotto, con dirette conseguenze per la tenuta sociale ed economica della città stessa e del suo comprensorio, scelta che se confermata rappresenterebbe un tradimento per l'intera comunità siciliana che ha dato molto di più di quanto abbia ricevuto;
   il territorio di Gela e i comuni limitrofi non potrebbero sostenere le ricadute sociali di un'eventuale delocalizzazione del sito di raffinazione, che determinerebbe il rischio concreto di un pericoloso ritorno della recrudescenza criminale;
   ai cittadini di Gela, che considerano ancora l'Eni come un'industria di Stato e che hanno scommesso in questi anni sul riscatto di quella terra, puntando sull'affermazione della legalità come presupposto di un modello di sviluppo, una tale evenienza farebbe passare l'insidioso sospetto che a garantire i presidi della legalità e dello sviluppo in Sicilia, debbano essere soltanto i sacrifici unilaterali a carico dei cittadini –:
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere affinché sia riattivata la produzione e restituita la serenità alle centinaia di famiglie preoccupate;
   se non ritengano di assumere iniziative affinché l'Eni dia seguito a quanto sottoscritto nell'ultimo accordo del 2013, che prevedeva, è bene ricordarlo, investimenti di adeguamento tecnologico e ambientale che avrebbero dato sicuramente ristoro e fiducia a quella comunità, vessata dagli effetti di questa crisi perdurante;
   quale sia il piano industriale dell'Eni in Sicilia e in Italia, e se si possa ancora ritenerla un'industria strategica per il nostro Paese; infine, qualora dovesse trovare conferma da parte dell'Eni l'attuazione di quanto annunciato, se non ritengano di agevolare soluzioni alternative a quelle offerte da Eni. (3-00956)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FERRARA, RICCIATTI e PALAZZOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il polo petrolchimico di Gela (CL) è un complesso industriale destinato alla raffinazione e trasformazione in prodotti finiti del petrolio, inaugurato nel 1965 su iniziativa di Enrico Mattei, il quale progettava di creare un grande polo industriale a Gela allo scopo di sfruttare il petrolio greggio che era stato trovato sia nell'area gelese che nel vicino ragusano nonché le riserve di gas naturale scoperte nel territorio di Gagliano Castelferrato. Così vennero costruiti grandi impianti di raffinazione e un impianto petrolchimico lungo la costa ad est di Gela;
   oggi il sito industriale gelese include solamente una raffineria petrolifera, quanto gli impianti di tipo chimico sono stati tutti dismessi. In particolare, gli ultimi impianti, facenti capo alla Syndial spa (ex Polimeri Europa), sono stati definitivamente fermati nel 2009 e le produzioni trasferite a Ragusa e Priolo;
   a causa della perdurante crisi petrolifera europea, e ad alcune condizioni di disagio infrastrutturale e impiantistico, la raffineria gelese da circa un, decennio marcia a regime ridotto, tra il 60 e il 70 per cento della propria capacità produttiva;
   a causa delle copiose perdite di tipo economico, tra 2012 e 2013 l'azienda ha disposto la fermata di due delle tre linee produttive e da aprile 2014 gli impianti hanno subito un nuovo fermo in seguito, tra l'altro, ad un incendio prodotto dalla fuoriuscita di idrocarburi ad alta temperatura da una tubazione;
   il petrolchimico è un enorme complesso diviso in isole, che si affacciano sul mare, sul fiume o sono divise tra di loro da terreni agricoli;
   è uno degli impianti più grandi e importanti presenti in Europa;
   la raffineria riceve ogni anno oltre 5 milioni di tonnellate di materia prima che viene poi trasformato in prodotti finiti da vendere sul mercato. Vengono inoltre prodotti 1530 MWh di energia elettrica derivanti dalla combustione dei prodotti residui dalla raffinazione. Lavora prevalentemente grezzi provenienti dai 7 pozzi EniMed situati a Gela, da Ragusa, dalla piattaforma Vega, dall'Egitto, dall'Iran, dalla Libia, dalla Russia e dalla Siria;
   in Sicilia è concentrato il 40 per cento della raffinazione del greggio in capo al gruppo Eni. Infatti, oltre alla raffineria di Gela che occupa 1.500 lavoratori diretti e altrettanti nell'indotto, il gruppo Eni conta anche il petrolchimico di Priolo (Siracusa);
   nel luglio 2013 la regione siciliana ha sancito un accordo con i vertici Eni per rilanciare la raffineria di Gela e riconvertirla con la produzione in gasoli di qualità, grazie a un investimento da 700 milioni di euro;
   l'Eni stima in 150 milioni di euro l'anno le perdite accumulate finora a Gela, a fronte del rosso da 250 milioni del sito di Sannazaro (Pavia) e sembrerebbe quindi che l'amministratore delegato Claudio De Scalzi abbia intenzione di accelerare il processo di riduzione della raffinazione e di chiudere i rubinetti in Italia per puntare sempre di più all'estero;
   infatti, a distanza di un anno dall'accordo siglato con la regione siciliana, a seguito della crisi che ha colpito il mondo della raffinazione, l'amministratore delegato di Eni ha annunciato il mancato riavvio del sito di Gela, l'archiviazione del piano da 700 di euro investimenti previsti per la riconversione del sito e ha prospettato per il sito un piano di bioraffinazione (modello Porto Marghera) da 200 milioni, da aggiungere a 80 milioni da spendere per le bonifiche;
   a parere degli interroganti l'entità dell'investimento sembra troppo esigua per rilanciare il sito che rischierebbe di veder lavorare poco più di 200 lavoratori a fronte dei 3.000 tra diretti e indotto;
   in attesa di conoscere il futuro della raffineria di Gela, le imprese che operano per l'indotto cominciano in questi giorni, come riportato dalla stampa e da fonti sindacali, a ufficializzare i primi licenziamenti;
   infatti 15 dei 40 addetti alla coibentazione della ditta Riva e Mariani sono stati già licenziati e si sommano ai 40 metalmeccanici licenziati dalla Tucam, l'impresa che si occupava delle manutenzioni degli impianti della fabbrica del colosso energetico Eni insieme alla Smin impianti che da ormai un anno conta 130 lavoratori in cassa integrazione;
   a questa lunga lista si sommano i 90 dipendenti della Ecorigen, l'azienda chimica francese che effettua lavori di rigenerazione dei catalizzatori, a rischio occupazione a causa del fermo prolungato degli impianti della raffineria che non garantisce più la fornitura delle materie prime per i processi di lavorazione;
   la situazione a Gela è drammatica e dopo i primi licenziamenti al petrolchimico, conseguenza diretta della mancanza di commesse di lavoro, a parere degli interroganti vi è un serio allarme per la tenuta sociale di un'intera comunità e l'auspicio è quello che non si verifichi come a Termini Imerese il crollo dell'occupazione e la fine del sogno industriale;
   il timore degli interroganti è inoltre legato al fatto che quanto sta accadendo nel polo petrolchimico di Gela sia destinato a ripetersi anche negli altri territori interessati dal drastico piano industriale deciso da Eni;
   la Sicilia non può essere esclusa dal business industriale dell'Eni, proprio quando lo stesso gruppo ha appena siglato un accordo da 2,4 miliardi di euro di investimenti per lo sviluppo di giacimenti nel Canale di Sicilia (al largo tra Licata e Pozzallo) e a terra (nel Ragusano), il potenziamento di 5 campi già esistenti e nuove esplorazioni per 5 pozzi. L'Eni non può sfruttare il territorio con i pozzi e chiudere le raffinerie –:
   se il Ministro, non intenda convocare urgentemente un tavolo nazionale con l'Eni, le parti sociali e la regione siciliana affinché si giunga ad una soluzione positiva della vicenda che salvaguardi l'occupazione dei 3.000 lavoratori tra diretti e indotto attraverso piani industriali seri e credibili che pongano il rispetto dell'ambiente come aspetto prioritario;
   se il Ministro, per quanto di competenza, non intenda richiamare il gruppo Eni alle proprie responsabilità sia per quanto concerne il rispetto dell'accordo con la regione siciliana del 2013 che prevede un investimento da 700 milioni di euro sia rispetto alle necessarie e urgenti bonifiche del territorio, affinché ai danni ambientali non si aggiungano anche quelli occupazionali. (5-03247)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in tema di lotta ai cambiamenti climatici e di autosufficienza in campo energetico, l'Unione europea ha deciso di sostenere l'orientamento delle energie prodotte con fonti rinnovabili;
   l'obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti può essere raggiunto in Italia attraverso una serie di iniziative che, oltre a puntare sul risparmio e sull'efficienza energetica, mirino anche ad un maggiore sfruttamento dell'energia solare, la fonte energetica rinnovabile più compatibile con le caratteristiche geografiche e paesaggistiche del nostro Paese;
   lo sviluppo del settore delle fonti energetiche rinnovabili e l'indotto ad esso connesso, specialmente nell'attuale momento di crisi economica mondiale, creano occupazione e hanno un impatto positivo sull'economia italiana;
   nel settore del fotovoltaico a concentrazione, in particolare, si stanno sviluppando nel nostro Paese tecnologie innovative, interamente italiane, che, se supportate dagli atti necessari per promuoverne lo sviluppo, possono adeguatamente maturare e trovare un definitivo sbocco industriale e commerciale a tutto vantaggio del Paese;
   tra le numerose iniziative imprenditoriali per lo sfruttamento innovativo dell'energia solare va ricordata quella che fa capo al gruppo Angelantoni, leader nella fabbricazione di componenti per il termodinamico;
   l'attività di questa società, in particolare, ha prodotto tecnologie fotovoltaiche estremamente innovative e apprezzate a livello internazionale da Paesi come India, Arabia Saudita, Sudafrica, Marocco, Cina, dove oggi esporta, ottenendo diversi consensi anche nel nostro Paese;
   nella strategia energetica nazionale non vi è alcun riferimento ad un programma di sviluppo del termodinamico in Italia;
   fino ad oggi è stata progettata soltanto una piccola centrale sperimentale a Priolo Garganello in Sicilia, accoppiata ad una centrale tradizionale a metano;
   la fonte solare fotovoltaica a concentrazione rappresenta una reale opportunità di sviluppo per le imprese nazionali, offrendo loro uno strumento efficace per aumentare i livelli di crescita e di occupazione in un settore strategico e ad alta tecnologia. Per il raggiungimento di più alti livelli di competitività è necessario puntare sulla realizzazione in Italia di tali centrali, anche in considerazione del fatto che molti Paesi nel mondo si stanno già muovendo in tale direzione –:
   se intenda adottare le occorrenti iniziative che possano garantire lo sviluppo del solare a concentrazione in Italia, sostenendo in primo luogo la realizzazione di nuove centrali solari termodinamiche nel territorio italiano. (4-05563)


   BRUNO BOSSIO, MANCIULLI, LEVA, GIORGIO PICCOLO, CENSORE, PATRIARCA, PELILLO, STUMPO, SGAMBATO, CARLONI, MOSCATT, MURA, PASTORINO, IACONO, BOCCADUTRI, RIBAUDO, COVELLO, BORGHESE, FAMIGLIETTI, MAGORNO, LODOLINI, DALLAI, CULOTTA, MAZZOLI, CRIVELLARI, FOLINO, BATTAGLIA, BONACCORSI, CASSANO, GINEFRA, NACCARATO, TULLO, OLIVERIO e AIELLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 98 del 9 agosto 2013 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 194 suppl. ord. N 63/L del 20 agosto 2013) veniva convertito il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia» nel quale era disposto il rifinanziamento del decreto legislativo n. 185 del 21 aprile 2000 «Incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144»;
   in ragione di tale norma Invitalia – Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, in data 17 dicembre 2013 provvedeva ad emanare bando per l'assegnazione delle agevolazioni previste dal decreto legislativo n. 185 del 21 aprile 2000 che regola la concessione degli incentivi all'autoimprenditorialità (Titolo I) e all'autoimpiego (Titolo II), per iniziative da realizzarsi nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia;
   con il decreto-legge n. 145 del 2013 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23 dicembre 2013) venivano però novellate le norme che regolano la concessione delle agevolazioni di cui al suddetto decreto legislativo n. 185 del 2000 Titolo I e, di conseguenza, i bandi emanati venivano sospesi in attesa della pubblicazione dei regolamenti attuativi;
   con la legge n. 9 del 21 febbraio 2014 «Interventi urgenti di avvio del piano Destinazione Italia» (GU Serie Generale n. 43 del 21 febbraio 2014) veniva convertito, con modificazioni, il decreto-legge n. 145 del 2013;
   in particolare in sede di conversione era modificato l'articolo 24, comma 1, alla lettera h), capoverso del decreto legislativo n. 185 del 2000 «la parola: “novanta” è sostituita dalla seguente: “sessanta”» e che, pertanto, recita: «1. Il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, relativamente alle disposizioni di cui al Capo 0I del Titolo I, nonché il Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, relativamente alle disposizioni di cui al titolo II, fissano con uno o più regolamenti, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, criteri e modalità di concessione delle agevolazioni previste nel presente decreto. Per gli interventi di cui al Capo III del Titolo I, il predetto regolamento è emanato, entro i medesimi termini, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.»;
   la vigenza del decreto-legge n. 145 del 2013 già avrebbe imposto l'emanazione da parte del Ministero dello sviluppo economico entro 90 giorni dei relativi regolamenti attuativi;
   in ogni caso, considerate le modificazioni intervenute con la legge di conversione n. 9 del 2014, i tempi per l'emanazione dei suddetti decreti sono ormai scaduti lo scorso 22 aprile 2014;
   tale situazione sta creando non pochi disagi alle imprese che sin dalla prima emanazione dei bandi si erano apprestate alla presentazione di progetti –:
   quali siano i motivi per i quali la competente direzione generale del Ministero dello sviluppo economico non ha ancora disposto l'emanazione dei decreti contenenti i regolamenti attuativi;
   quali iniziative il Ministero dello sviluppo economico intenda assumere al fine di individuare le responsabilità di tale eccessivo ritardo sui tempi di attuazione previsti;
   quali iniziative il Ministero dello sviluppo economico ritenga di dover adottare al fine di garantire, in tempi rapidi, l'emanazione dei relativi regolamenti attuativi per poter attivare con efficacia le risorse finanziarie disponibili e consentire alle nuove imprese di poter accedere alle agevolazioni previste. (4-05568)


   SBROLLINI e GINATO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   acqua oligominerale Recoaro è un marchio con una lunga e forte tradizione sia per l'acqua minerale sia per il mercato delle bibite gasate;
   l'attività industriale dello stabilimento di Recoaro (VI) inizia nel 1927 con la nascita degli «stabilimenti demaniali» di Recoaro a.p.a. che, oltre all'acqua minerale Lora di Recoaro, contano una gamma di bibite e aperitivi di alta qualità apprezzati su tutto il territorio nazionale. Nel 1992 la società entra a far parte del gruppo San Pellegrino per passare poi, nel 1999, al Gruppo Nestle;
   la nuova proprietà ha annunciato di recente che nello stabilimento di Recoaro, dove lavorano 86 dipendenti, ci saranno 16 esuberi;
   lo stabilimento rappresenta la realtà produttiva più importante della zona, divenuta una pietra miliare dell'economia recoarese, emblema delle antiche origini delle fonti, orgoglio e tradizione degli abitanti locali;
   lo stabilimento ha sede a Recoaro Terme, uno dei più conosciuti centri termali d'Italia. La fama dei benefici effetti delle sue acque risale alla fine del 1600, quando il Conte Lelio Piovene ne divulgò le virtù. Verso la fine del 1700 si diffuse la pratica delle cure idroterapiche che determinò il sorgere di numerosi impianti termali e una notevole espansione alberghiera. Grazie alle proprietà curative delle sue fonti, il paese ospitò esponenti illustri della cultura, della politica e dell'arte, tra i quali Giuseppe Verdi, Nietzsche, Giacomo Zanella, Radetzscky, Lamarmora, Mayerbeer, Ponchielli, molti membri della casa imperiale degli Asburgo e la regina d'Italia Margherita di Savoia;
   appare chiaro che la presenza dello stabilimento dell'acqua Recoaro non è solo garanzia di occupazione e lavoro, ma significa anche salvaguardare il territorio: si ritiene che l'impegno debba essere quello di tutelare le sorgenti per garantire un prodotto unico e raggiungere un incremento turistico grazie anche al rilancio dell'attività del centro termale, oggi in forte difficoltà;
   acqua oligominerale Recoaro, da sempre apprezzata per la sua leggerezza ed il basso contenuto di sodio, nasce nell'incantevole Conca di Smeraldo, in un'area protetta e incontaminata circondata dalle Piccole Dolomiti;
   la storia di Acqua Recoaro, fortemente intrecciata con le tradizioni locali, ha stabilito un notevole legame, anche affettivo, con il territorio;
   da parte dei lavoratori e dei sindacati, vi è forte preoccupazione per la mancanza di chiarezza da parte della proprietà che non esprime quale sia il piano industriale dell'azienda;
   la preoccupazione maggiore è che con la riduzione dell'organico si arrivi al punto che lo stabilimento possa diventare improduttivo;
   per Recoaro, anche il singolo lavoratore vale molto. Si tratta di un comune al confine di una regione e di una provincia e, per di più, si trova alla sommità di una valle. In questa situazione ogni posto di lavoro ha un valore sociale –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto; se non intenda intervenire a tutela dei lavoratori, del marchio storico e importante, del territorio di Recoaro e contro la sua desertificazione; se non intenda attivare un dialogo con la proprietà al fine di fare luce sulle intenzioni della stessa nel medio e lungo termine; se e quali iniziative di competenza intenda adottare per assicurare che le società estere che subentrano a proprietà italiane acquisendo marchi storici attivino al contempo un piano industriale nel lungo termine in grado di valorizzare il territorio. (4-05573)


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la società ex Keller Elettromeccanica Spa in liquidazione – adesso New Sardinian Railway – rischia il fallimento se non verrà ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria;
   è indispensabile un immediato intervento del Governo per consentire l'accoglimento della richiesta di procedura di amministrazione straordinaria per salvaguardare un importante attività produttiva della provincia del Medio Campidano;
   il 23 maggio 2014 i liquidatori giudiziali hanno attivato la procedura di licenziamento collettivo dei dipendenti della ex Keller (296 unità lavorative) con decorrenza 6 agosto 2014;
   la ex Keller era stata acquisita nell'agosto 2013 dalla New Sardinian Railway, società di scopo costituita da tre gruppi industriali e bancari indiani;
   si ritiene indispensabile che il Governo italiano intervenga presso il Governo dell'Egitto per verificare la possibilità di recuperare la commessa da parte della società egiziana Semaf, appaltatrice di un ordine di 212 carrozze passeggeri da parte delle Ferrovie di Stato dell'Egitto, che ha revocato l'ordine a favore dell'azienda di mezzi rotabili di Villacidro;
   la cancellazione della commessa, conseguente al mancato rispetto dei tempi di realizzo e consegna delle carrozze ordinate, ha fatto precipitare la crisi dell'azienda di Villacidro –:
   se non ritenga il Governo di intervenire con somma urgenza per convocare le parti e definire positivamente tutte le procedure necessarie per l'avvio dell'amministrazione straordinaria;
   se non ritenga indispensabile intervenire presso il Governo dell'Egitto per ripristinare le condizioni dell'appalto e fornire le necessarie garanzie diplomatiche. (4-05577)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Ginefra e altri n. 1-00134, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cera.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Tullo e altri n. 7-00417, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Narduolo.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Menech e altri n. 5-03164, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gribaudo.

  L'interrogazione a risposta scritta D'Incà e altri n. 4-05495, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 11 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rostellato.

  L'interrogazione a risposta scritta D'Incà e altri n. 4-05509, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rostellato.

  L'interrogazione a risposta scritta D'Uva e Nicola Bianchi n. 4-05556, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Villarosa.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Vallascas n. 7-00343, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 212 del 15 aprile 2014.

   La X Commissione,
   premesso che:
    il sistema economico e produttivo del nostro paese sta attraversando una fase di profonda crisi recessiva, con gravi ripercussioni sui livelli delle produzioni, della forza lavoro, del credito, degli investimenti, dell'innovazione;
    le conseguenze di questa situazione sono di tali dimensioni e così pervasive da aver ingenerato uno stato di grave malessere nel tessuto sociale del paese, con espressioni di disagio anche drammatiche;
    a partire dal 2008, il sistema industriale e manifatturiero ha registrato un progressivo arretramento: a giugno 2014, la distanza dal picco di attività pre-crisi (aprile 2008) si attestava a –23,5 per cento;
    al primo trimestre 2014, l'Istat rilevava 3.293.000 disoccupati, pari al 12,9 per cento, il più alto mai registrato dall'istituto, con un tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) pari al 42,24 per cento;
    viste le dimensioni del fenomeno e la stessa ampiezza dei settori interessati, non è azzardato parlare di crisi di sistema, con dati preoccupanti sulla sopravvivenza delle imprese, sugli investimenti a sostegno dell'innovazione e competitività, sulle infrastrutture e gli stessi trasporti. In quest'ultimo settore, considerato un importante misuratore della crisi dell'economia, nel 2012, si è registrato un saldo negativo, tra aziende iscritte e cessate, pari a –6.881, e nel 2013, sino a settembre, –5.101;
    ad acuire gli effetti di questa situazione, è l'assenza di interventi innovativi che coinvolgano tutto il sistema e non unicamente le situazioni di emergenza;
    in particolare si evince una frammentarietà dei provvedimenti proposti, spesso con un approccio volto alla salvaguardia di situazioni particolari e non già con una visione d'insieme e con obiettivi di politica industriale;
    gli stessi interventi derivanti dagli obblighi di contenimento della spesa pubblica rappresentano un ulteriore freno allo sviluppo del sistema impresa: il meccanismo del Patto di Stabilità, ad esempio, prevedendo un unico conto tra spese correnti e investimenti, penalizza questi ultimi, con un rallentamento e una progressiva contrazione della spesa in conto capitale;
    il recente decreto-legge 66/2014, convertito con modificazione della legge 23 giugno 2014 n. 89, rischia di introdurre ulteriori rallentamenti alla capacità di spesa delle pubbliche amministrazioni, in relazione ai vincoli per i Comuni non capoluogo di procedere ad acquisti di lavori, servizi e forniture in assenza di una Centrale unica di committenza;
    la conseguenza immediata è che non si investe nell'ammodernamento del sistema, proprio in una fase in cui il mercato e le imprese italiane chiedono più efficienza e maggiori servizi e in cui è diffusa la consapevolezza che le sfide si devono affrontare con l'innovazione digitale e lo snellimento delle procedure;
    le aziende italiane, per qualità dei prodotti realizzati, per abilità artigiane e per ingegno riconosciuto in tutto il mondo, risultano essere altamente competitive, ma sono fuori mercato per quanto riguarda il regime fiscale, l'eccessiva burocrazia, i costi energetici, i costi dei trasporti e i costi del lavoro;
    se l'indice di competitività globale 2013-2014, stilato dal World economie forum, colloca l'Italia al 49o posto su 148 economie mondiali valutate (dietro la Lituania e davanti al Kazakhstan), il nostro paese si classifica al 27o posto per la qualità delle sue imprese, i beni prodotti, con uno dei migliori gruppi di imprese di tutto il mondo (2o posto);
    l'Italia è tra i paesi sviluppati in cui si investe meno in innovazione (-1,25 per cento del Pil nel 2011) per effetto di due fattori: produzioni manifatturiere basate sulle abilità, i saperi tradizionali e l'esperienza, ma spesso con una bassa componente tecnologica, e le dimensioni medio/piccole delle imprese, tutti elementi che scoraggiano l'avvio di procedimenti di rinnovamento;
    la rivoluzione digitale ha fatto emergere ancora una volta la grande creatività e ingegnosità di numerosi giovani ricercatori, che per mancanza di opportunità e di adeguati sostegni sono costretti a emigrare;
    la rapida diffusione nel nostro paese di strutture FabLab e di microimprese giovanili impegnate nella ricerca e nella realizzazione di prototipi a basso costo può rappresentare un valido supporto alle esigenze di innovazione e ammodernamento del tessuto produttivo italiano;
    la salvaguardia e il futuro del patrimonio industriale e manifatturiero del nostro Paese dipendono dalla capacità del Governo di intraprendere politiche di ampia visione in grado di ammodernare profondamente il sistema industriale, in tutti i suoi aspetti, e fare tesoro delle grandi competenze e delle grandi abilità maturate dalla nostra forza lavoro,

impegna il Governo:

   ad attivarsi affinché le decisioni in merito al Piano industriale nazionale siano prese con il coinvolgimento pieno delle Commissioni parlamentari competenti;
   a individuare risorse necessarie a sviluppare gli investimenti nelle infrastrutture informatiche e telematiche, per favorire operatività, efficienza e competitività delle imprese, nelle reti locali di trasporto dell'energia elettrica e in un più ampio processo di ammodernamento del paese, attivandosi per svincolare le risorse necessarie dai limiti posti dal Patto di stabilità;
   a promuovere e a sostenere anche con incentivi le nuove tecnologie e le realtà imprenditoriali nascenti con un'alta componente tecnologica in grado di arricchire con i loro saperi e le loro competenze il tessuto produttivo e sociale di questo paese e contribuiscono all'innovazione tecnologica delle imprese italiane;
   a promuovere e a sostenere la ricerca scientifica e a promuovere le occasioni di contatto e collaborazione tra comunità scientifica e imprese italiane;
   a snellire le procedure e gli adempimenti previsti per le attività produttive con particolare riguardo alle procedure per impiantare e avviare nuove attività.
(7-00343)
«Vallascas, Da Villa, Crippa, Della Valle, Fantinati, Mucci, Petraroli, Prodani».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Businarolo, 5-02138, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 172 del 12 febbraio 2014.

   BUSINAROLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   presso il comune di Pescantina (Verona), è attiva fin dal 1987 la discarica di rifiuti solidi urbani di Ca’ Filissine, gestita dalla Daneco spa con sede in Milano;
   risulta che ad oggi non siano stati ancora definiti progetti di bonifica e messa in sicurezza permanente del sito di discarica di Ca’ Filissine;
   da un sopralluogo dell'8 febbraio 2014 del Movimento Ambiente e Vita è emerso che il livello di percolato è oramai arrivato a quota 32 metri, a fronte di un limite di legge di 2 metri, con conseguente rischio di tracimazione ed un evidente inquinamento della falda, in direzione della città di Verona. Anche se si continua ad estrarre percolato, data la pioggia incessante oramai da 10 giorni, essendoci dei buchi il percolato si sta alimentando con sprigionamento di odori insopportabili;
   rimangono le preoccupazioni in quanto il percolato dal 2011 viene estratto a singhiozzo;
   le gravi problematiche ambientali connesse alla discarica di Ca’ Filissine hanno, di fatto, scatenato la crisi comunale del maggio 2013, portando alle dimissioni del sindaco Alessandro Reggiani e al successivo commissariamento del comune attraverso la nomina della vice prefetto dottoressa Maria Machinè a commissario straordinario per la provvisoria gestione del comune con decreto del Presidente della Repubblica del 5 agosto 2013 ai sensi del dell'articolo 53, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
   in data 23 gennaio 2014 sono stati arrestati i vertici della Daneco spa, la società che gestisce la discarica di Ca’ Filissine, proprio nel momento cruciale della presentazione pubblica delle linee guida per la bonifica e messa in sicurezza di Ca’ Filissine;
   in carcere sono finiti con l'accusa di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, corruzione e attività finalizzata al traffico illecito di rifiuti, Francesco Colucci, presidente del consiglio di amministrazione della Daneco Impianti; Bernardino Filipponi, amministratore della stessa Daneco; Luigi Pelaggi, dirigente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e, all'epoca dei fatti contestati, capo della segreteria tecnica del Ministro Stefania Prestigiacomo. Oltre a questi, sono ai domiciliari Fausto Melli, membro del consiglio di amministrazione della Sogesid spa; Luciano Capobianco consiglio di amministrazione di Sogesid e Claudio Tedesi, consulente tecnico;
   l'indagine dei carabinieri ha evidenziato varie condotte illecite che vanno dalla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, alla corruzione, alle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, in ordine alla aggiudicazione dell'appalto per l'esecuzione dei lavori di bonifica del sito e allo smaltimento dei rifiuti in siti di proprietà, previa fraudolenta declassificazione degli stessi da pericolosi a non pericolosi, con l'ottenimento di ingiusti profitti, presso il sito di bonifica di interesse nazionale di Pioltello e Rodano;
   gli arresti dei vertici della Daneco gettano un'ombra inquietante sulla gestione della discarica di Ca’ Filissine. Si è di fronte all'ennesima dimostrazione di un sistema di malagestione che coinvolge molte discariche e centri di trattamento rifiuti in tutta Italia, da Nord a Sud;
   la situazione dal punto di vista ambientale sta certamente precipitando in una vera e propria emergenza sanitaria/ambientale;
   in data 2 dicembre 2013 da un sopralluogo organizzato dal Movimento Ambiente e Vita, è emersa una fuoriuscita d'aria in un consistente ristagno di percolato leggero;
   la zona interessata è sul fronte nord-ovest tra i lotti 7 e 8: dalle immagini del sopralluogo appare che la zona sia senza impermeabilizzazione. Il ribollire del percolato potrebbe essere sintomo di una perdita o fuoriuscita di biogas;
   nonostante tutte le soluzioni proposte compresa quella del commissario prefettizio straordinario del comune di Pescantina che prevede una bonifica del sito e una successiva immissione di rifiuti per parecchi anni, in modo tale da consentire il pagamento della bonifica e l'estrazione del percolato (con l'effetto che la discarica rimarrebbe aperta e il percolato continuerebbe comunque a formarsi), per cambiare direzione, occorre chiudere definitivamente il sito di Ca’ Filissine;
   inoltre se si dovesse fare un bilancio, anche economico, della presenza della discarica, il segno sarebbe sicuramente negativo. L'impianto continuerà, infatti, a produrre percolato per chissà quanti anni ancora e le spese per la sua asportazione finiranno per fagocitare i benefici e gli eventuali guadagni legati alla tariffa di conferimento;
   per attuare tale soluzione tecnica alternativa sarebbe necessario lo stanziamento da parte del Governo di un finanziamento di circa 30 milioni di euro per completare la discarica ed estrarre il percolato in via definitiva;
   il 25 giugno 2014, la «bomba d'acqua» ha interessato anche la discarica con conseguenze importanti. Lo scoppio della tubatura che convoglia le acque perimetrali, ha provocato una frana sul lato a Nord della discarica interessando i lotti 7 ed 8. Il materiale, portato dalle acque, è scivolato verso il basso riversandosi all'interno della discarica, mentre l'abbondanza delle piogge, ha fatto aumentare il livello del percolato rendendo oltretutto inutili i lavori di regimazione delle acque effettuati negli ultimi mesi e costati decine di migliaia di euro. Il lago formatosi sopra i rifiuti, dopo aver superato le argille di impermeabilizzazione, si è infiltrato nel terreno, aumentando progressivamente il livello di inquinamento. La situazione già critica, sembrerebbe ormai totalmente compromessa e richiede risposte ed interventi urgenti –:
   se il Ministro interrogato, anche per il tramite del commissario prefettizio, sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga il Ministro interrogato di disporre al riguardo ogni verifica e attività ispettiva, anche da parte del personale appartenente al comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.), ai sensi dell'articolo 197, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per constatare lo stato di inquinamento delle falde e delle acque nonché del suolo e del sottosuolo nelle zone adiacenti al sito di cui in premessa. (5-02138)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza urgente Brunetta n. 2-00604 del 1o luglio 2014;
   interpellanza urgente Bruno Bossio n. 2-00608 del 2 luglio 2014;
   interpellanza Catalano n. 2-00630 del 15 luglio 2014.