Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 15 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica e sociale in atto sta aggravando in maniera sempre più insostenibile l'emergenza abitativa, nel nostro Paese, Nei primi sei mesi del 2013 vi sono state circa 40 mila sentenze di sfratto, un numero che equivale più o meno all'intero ammontare degli sfratti emessi in tutto il 2007, Degli sfratti complessivi, il 90 per cento sono dovuti alla morosità, e oltre 430,000 famiglie in difficoltà con il pagamento dei mutui;
    continua a mancare una vera ed efficace politica sul regime delle locazioni e soprattutto politiche e risorse finanziarie in grado di accrescere sensibilmente il patrimonio di alloggi da destinare alla locazione a canoni calmierati. Il Ministero valuta essere 2,5 milioni le famiglie in affitto che pagano un canone superiore al 40 per cento del loro reddito;
    la priorità legislativa dovrebbe essere quella di garantire un alloggio a tutte quelle centinaia di migliaia di famiglie che non possono sostenere i prezzi di mercato;
    uno dei paradossi è che mentre Italia ci sono circa 4 milioni di persone che vivono una situazione di disagio abitativo, nello stesso tempo, abbiamo milioni di vani vuoti ed invenduti, soprattutto nelle grandi aree metropolitane;
    lo stesso recente decreto-legge n. 47 del 2014 (cosiddetto Piano casa) varato dal Governo con l'obiettivo di dare una risposta efficace all'emergenza abitativa, nonostante alcuni aspetti positivi, non affronta in maniera convincente l'emergenza abitativa nel nostro Paese e non dà risposte adeguate alla necessità urgente di incrementare l'offerta pubblica di alloggi a canone sociale, e alla necessità di ridurre i canoni di locazione e dare così una risposta concreta al continuo aumento degli sfratti per morosità;
    di particolare gravità, anche per la crisi abitativa e sociale che stiamo attraversando, è il comma 1, dell'articolo 5, del suddetto decreto-legge, che prevede, tra l'altro, che chi occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l'allacciamento a pubblici servizi in relazione all'immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge;
    in pratica chi occupa abusivamente un appartamento non potrà ottenere gli allacciamenti di acqua e gas e non potrà vedersi riconosciuta dal comune la residenza in quell'alloggio. Insomma il problema dell'emergenza abitativa, anziché essere affrontato dalla politica come questione sociale, viene di fatto delegato alla magistratura e gestito come uno degli aspetti legati all'ordine pubblico;
    più che ad essere finalizzata, come dovrebbe, a contrastare efficacemente la compravendita clandestina o le occupazioni nelle case popolari gestite dalla criminalità, il comma 1 del suddetto articolo 5, interviene in maniera del tutto generica e soprattutto senza tener in alcun modo conto della fase di emergenza abitativa sempre più esplosiva, e che dovrebbe essere quindi gestita con estrema cautela e con la massima attenzione alle categorie coinvolte più deboli ed esposte;
    la suddetta previsione normativa finisce infatti per colpire principalmente migliaia di famiglie di sfrattati che sono costrette a occupare un immobile pubblico abbandonato solo perché hanno perso il lavoro e la casa e non ricevono risposte dai comuni, a loro volta privi di risorse adeguate;
    peraltro si è di fronte a una norma di molto probabile incostituzionalità. Non si possono mettere in relazione eventuali reati, da perseguire secondo le norme del codice di procedura penale e civile, con diritti come quello della residenza e all'allacciamento di servizi fondamentali, come acqua, luce e gas;
    inoltre la norma così come scritta si presta ad interpretazioni ambigue e possibilità di interpretazione estensiva, che può essere foriera di ulteriore contenzioso, laddove si fa riferimento a chi occupa abusivamente un immobile «senza titolo», in quanto anche coloro che sono sotto sfratto vengono a trovarsi nella fattispecie di occupanti «senza titolo» valido o meglio «titolo scaduto». In linea teorica anche tutti gli immobili senza «abitabilità» sono occupati «abusivamente» e «senza titolo»;
    la cosa più grave, per le sue implicazioni dirette, risiede nella negazione della residenza, andando quindi a toccare uno dei diritti fondamentali dei cittadini. La residenza infatti non può essere negata a nessuno perché da questa discendono molti diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione: senza residenza non si può votare (articolo 48 della Costituzione), non ci si può curare (articolo 32 della Costituzione), non si ha diritto il diritto al gratuito patrocinio e quindi alla difesa, e altro. Tutto questo riguarda ovviamente anche i minori, la cui residenza dipende da quella dei genitori, e che avrebbero difficoltà anche a iscriversi a scuola;
    l'ottenimento della residenza è un completo diritto soggettivo del cittadino che trova tutela e fondamento nei principi generali dell'ordinamento e nella Carta Costituzionale. Il concetto giuridico di residenza è contenuto nell'articolo 43 del codice civile il quale dispone «il domicilio di una persona è nel luogo in cui ha stabilito la sede dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale». Sancisce una sorta di diritto di affermazione dell'esistenza, ovverosia di registrazione quale cittadino residente ai fini di tutte le rilevazioni statistiche e alla distruzione delle risorse e all'imputazione delle imposte. La residenza è precondizione dell'esercizio dei diritti politici, con particolare riferimento all'iscrizione nelle liste elettorali e la possibilità di esercitare l'elettorato passivo. Senza la residenza non è possibile, poi, godere a pieno del diritto alla salute in quanto è condizione per ottenere l'assegnazione di un medico di famiglia e del diritto allo studio in quanto è condizione dell'accertamento dell'obbligo scolastico. Ed infine la «residenza legale» in Italia è necessario requisito per ottenere la cittadinanza italiana;
    in pratica il comma 1, articolo 5 del suindicato decreto legge n. 47 del 2014, negando la concessione della residenza a «chiunque occupa abusivamente un immobile» impedisce qualsiasi intervento legislativo regionale tendente alla regolamentazione e al sostegno in tema di emergenza abitativa. E ciò è dimostrato dall'impossibilità per coloro che non hanno residenza di concorrere all'assegnazione di case popolari,

impegna il Governo:

   stanti le gravi implicazioni esposte in premessa, a predisporre le opportune iniziative normative volte ad abrogare il comma 1, articolo 5, del decreto-legge n. 47 del 2014, anche alla luce delle ricadute negative e il grave pregiudizio che detta previsione normativa arreca al rispetto dell'esercizio dei diritti fondamentali dei cittadini, sanciti espressamente dalla nostra Costituzione;
   a individuare idonee e più mirate politiche di contrasto in materia di occupazione abusiva di immobili che piuttosto che colpire famiglie di sfrattati spesso costrette a occupare un immobile pubblico abbandonato solo perché hanno perso il lavoro e la casa e non ricevono risposte dai comuni, siano in grado di contrastare la compravendita clandestina di immobili e le occupazioni di case, anche popolari, gestite dalla criminalità.
(1-00549) «Costantino, Scotto, Zaratti, Pellegrino, Nicchi, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e XI,
   premesso che:
    il nostro Paese si è distinto per la sua prolungata inadempienza in materia di protezione dall'amianto tanto da costringere le istituzioni europee ad intervenire con la procedura di infrazione n. 240/89, definita con la decisione di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea del 13 dicembre 1990 con la quale veniva dichiarata l'inadempienza dell'Italia agli obblighi derivanti dal Trattato istitutivo della Comunità europea, per non aver recepito la direttiva 83/477/CEE del 19 settembre 1983 entro la scadenza del 1o gennaio 1987. La stessa Corte di giustizia dell'Unione europea affermava di aver presentato, a norma dell'articolo 169 del Trattato istitutivo della Comunità europea, un ricorso finalizzato a far dichiarare che l'Italia, non avendo recepito la direttiva di cui sopra, fosse venuta meno agli obblighi previsti in forza del Trattato istitutivo della Comunità europea;
    la Repubblica italiana, pur ammettendo sostanzialmente di non aver ancora adottato i provvedimenti necessari per l'attuazione della direttiva nel proprio ordinamento, finalmente, dopo qualche anno, recepiva la direttiva con il decreto legislativo n. 277 del 1991, cui aveva fatto poi seguito la legge 27 marzo 1992, n. 257;
    la legge 27 marzo 1992, n. 257, in materia di «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto», ha stabilito il divieto di estrazione, commercializzazione e produzione di amianto, la bonifica degli edifici, delle fabbriche e del territorio, nonché misure per la tutela sanitaria e previdenziale dei lavoratori esposti all'amianto. Tuttavia, una tale importante disposizione, non risulta ad oggi totalmente applicata;
    la «Conferenza governativa sull'amianto e le patologie asbesto correlate: stato dell'arte e prospettive», svoltasi a Venezia dal 22 al 24 novembre 2012, ha evidenziato che vi sono ancora oltre 40 mila siti con presenza di amianto sul territorio italiano, di cui circa 400 ad alto rischio;
    la ricognizione sullo stato di attuazione della legge n. 257 del 1992 ha evidenziato un'omogeneità nazionale di non attuazione: in effetti, mancano linee guida in alcune regioni, la progressione delle bonifiche risulta estremamente lenta se si considera che raggiunge solo l'1 per cento all'anno dell'amianto presente in Italia dal 1992, per cui, mantenendo questo ritmo, si ritiene che siano necessari ancora 60 anni prima di raggiungere livelli integrali di bonifica; i suddetti dati sono, peraltro, decisamente approssimativi se si considera che regioni come Sicilia e Calabria, al momento della conferenza di Venezia, non avevano ancora comunicato alcun dato e che gli utilizzatori indiretti di amianto nelle attività produttive non stilano sistematicamente la relazione annuale;
    i decessi connessi con l'esposizione all'amianto raggiungono la vetta di circa 5.000 casi ogni anno, di cui circa 1.500 per via di mesoteliomi (neoplasia dovuta all'esposizione alle fibre aerodisperse dell'amianto) e il restante tra tumori polmonari e altre patologie asbesto-correlate;
    studi scientifici ed epidemiologici rivelano che il picco si raggiungerà nei prossimi 15 anni a causa del lungo periodo di latenza che caratterizza le malattie asbesto-correlate, in particolare il mesotelioma che, in alcuni casi, può manifestarsi anche dopo 30/40 anni dall'esposizione all'amianto e che ha origine nel mesotelio, la membrana che riveste la maggior parte degli organi interni del corpo, tra cui i polmoni e la parte interna della gabbia toracica (pleura), il cuore (pericardio), l'intestino (peritoneo) e i testicoli (tunica vaginale);
    la Camera dei deputati, nel corso della seduta del 18 giugno 2014, richiamando le premesse delle mozioni all'ordine del giorno, ha impegnato il Governo ad assumere una serie di iniziative di carattere definitivo quali:
     approvare definitivamente il Piano nazionale amianto, prevedendo i finanziamenti necessari alla sua completa attuazione;
     attivarsi, per quanto di competenza, in accordo con le regioni, affinché in tempi congrui sia concluso il programma dettagliato di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati tramite i piani regionali amianto;
     assumere iniziative per incrementare, compatibilmente con gli attuali vincoli di finanza pubblica, le risorse assegnate al fondo per le vittime dell'amianto, istituito dalla legge finanziaria 2008, e rivedere l'attuale legge pensionistica, per garantire benefici ai lavoratori colpiti da patologie amianto-correlate;
     assumere iniziative, compatibilmente con gli attuali vincoli di finanza pubblica, volte ad estendere le prestazioni del fondo non solo a coloro che abbiano contratto una patologia amianto-correlata per esposizione professionale all'amianto ma anche ai familiari delle vittime o a coloro che comunque pur non lavorando direttamente con l'amianto siano stati comunque esposti avendo poi contratto tali patologie;
     prevedere di attivare iniziative – anche in ambito europeo – per escludere dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno le spese per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
     assumere iniziative, compatibilmente con gli attuali vincoli di finanza pubblica, per finanziare adeguatamente sia il fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, istituito dalla legge finanziaria 2008, e mai reso operativo per mancanza di risorse, dando priorità alla messa in sicurezza e bonifica degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme, degli uffici aperti al pubblico, sia il fondo unico per l'edilizia scolastica di cui all'articolo 11, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 179 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012;
     avviare un'intesa con le regioni e le province autonome per concordare le modalità di regolamentazione delle «micro-raccolte di amianto» anche con il coinvolgimento delle aziende municipalizzate locali di raccolta rifiuti e individuare in ogni regione dei siti di discarica del materiale rimosso, a tal fine individuando siti idonei allo smaltimento in sicurezza di scarti pericolosi;

     assumere iniziative per semplificare le modalità di erogazione della prestazione aggiuntiva, fissandola in una percentuale che rimanga fissa negli anni per garantire le risorse al fondo anche negli anni futuri;
     emanare, qualora ne sussistano le condizioni, anche di carattere finanziario, gli atti utili a riconoscere valido, in sostituzione del curriculum lavorativo, l'estratto matricolare mercantile o la fotocopia autenticata del libretto di navigazione, quale documento probante l'esposizione all'amianto da parte del lavoratore marittimo;
     promuovere campagne di informazione sul rischio amianto soprattutto nei luoghi di lavoro e sulle possibili conseguenze della presenza di amianto dal punto di vista ambientale e sanitario;
     valutare la necessità di predisporre misure in termini di diagnosi precoce al fine di tutelare fa salute dei cittadini esposti al rischio amianto;
     rafforzare i sistemi di verifica della tracciabilità dell'amianto, altresì stimolando lo smaltimento sostenibile valutando altresì la possibilità di determinazione di un prezzario nazionale per le singole tipologie di opere di bonifica;
     adottare eventuali iniziative normative che siano utili sia al fine dell'introduzione di un criterio di riequilibrio rispetto al mero requisito temporale per il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge n. 257 del 1992 sia al fine di garantire il risarcimento del danno in favore dei soggetti contaminati, nel pieno rispetto degli attuali vincoli di bilancio ed assicurando la necessaria equità complessiva alla disciplina vigente;
     valutare ogni soluzione per garantire un rifinanziamento della complessiva dotazione finanziaria del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, attraverso il ripristino delle risorse, relativamente limitate nel quadro dei saldi di finanza pubblica, finora sottratte, almeno per una quota aggiuntiva finalizzata al sostegno delle attività del centro in materia di amianto;
     proseguire con determinazione l'impegno già assunto e portato innanzi in sede internazionale per la lotta alla produzione, al commercio e all'utilizzo delle fibre di asbesto, con particolare riferimento al riconoscimento del crisotilo quale sostanza nociva al pari delle altre tipologie di amianto, e per il rafforzamento del sistema dei controlli sulle importazioni di merci contenenti tale materiale ancora largamente in uso nei mercati;
    le su indicate iniziative frutto della condivisione tra tutte le forze politiche nel determinarsi rispetto ad un'azione forte, potrà avere efficacia solo se seguita nell'immediato da iniziative concrete e specifiche che dovranno necessariamente essere corroborate da scadenze temporali certe rispetto all'assunzione degli impegni da parte del Governo;
    del pari, a parere dei firmatari del presente atto, appare opportuno assumere iniziative ancor più incisive e concrete in relazione ai benefìci previdenziali da accordare ai lavoratori affetti da patologie asbesto-correlate di origine professionale, anche nell'ottica dell'adozione di logiche che tengano conto, in casi così gravi, della cura degli aspetti umani da ritenere imprescindibili anche nelle scelte economiche e di bilancio,

impegna il Governo:

   a dare immediato seguito, con data certa, alle iniziative descritte in premessa, in armonia con quanto stabilito dalla mozione n. 1-00505 approvata il 18 giugno 2014;
   ad adottare, nell'immediatezza e entro data certa, iniziative utili a consentire che i lavoratori affetti da patologie asbesto-correlate di origine professionale, qualora non abbiano ancora raggiunto i requisiti per la maturazione del diritto alla pensione, anche dopo la rivalutazione del periodo contributivo ai sensi dell'articolo 13, comma 7, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, possano comunque accedere al pensionamento anticipato, con il sistema contributivo, senza rinunciare alle altre provvidenze vigenti.
(7-00415) «Bechis, Zolezzi, Sibilia, Ciprini, Rizzetto, Chimienti, Cominardi, Baldassarre, Tripiedi, Rostellato».


   La III Commissione,
   premesso che:
    l'Argentina, dopo il default del 2001, ha offerto un concambio scontato ai suoi creditori, accettato dal 97 per cento degli stessi, e ha mantenuto negli anni gli impegni assunti con i creditori e con gli organismi internazionali durante la fase di ristrutturazione del debito;
    nel maggio 2014 l'Argentina ha raggiunto un accordo con il Club di Parigi, formato dai paesi creditori di debito argentino, inclusa l'Italia, per il pagamento di quanto dovuto a partire dal 2015;
    la sentenza emessa dal giudice federale di New York Thomas Griesa nel 2013, e confermata dalla Suprema Corte di Washington nel maggio 2014, rischierebbe di sancire, se applicata, un pericoloso precedente giuridico che potrebbe in futuro impedire di ristrutturare qualsiasi debito sovrano;
    se l'Argentina sarà costretta a pagare il 100 per cento del valore dei titoli in possesso degli hedge found, dovrà pagare ai creditori che avevano accettato la ristrutturazione del credito, per il principio del pari passu, la differenza fra quanto già pagato e valore nominale, più gli interessi;
    questo porterebbe a un nuovo default del debito argentino con il conseguente danno per i risparmiatori italiani che hanno accettato il concambio e per l'Italia stessa, in quanto membro del Club di Parigi dei creditori istituzionali;
    si sottolinea che gli hedge fund beneficiati dalla sentenza Griesa incasserebbero secondo la sentenza Griesa il 100 per cento del valore dei bond detenuti, acquistati nel 2003 sul mercato secondario ad un prezzo pari in media al 17 per cento del valore nominale;
    la volontà dell'Argentina di onorare i propri debiti secondo gli accordi stipulati è certa ed è stata più volte manifestata anche sui giornali internazionali attraverso articoli a pagamento, oltre che dimostrata dall'atteggiamento tenuto a seguito del default;
    il Presidente del Consiglio Matteo Renzi in data 10 luglio 2014 indirizza una lettera alla Presidente argentina Cristina Fernandez Kirchner con la quale esprime «la vicinanza del Governo italiano agli sforzi argentini e la disponibilità ad approfondire nelle sedi europee e internazionali i diversi aspetti della vicenda»;
    a tale disponibilità va dato immediato e concreto seguito, a tutela primaria degli interessi nazionali, dato l'apprezzamento degli investitori per l'accordo di ristrutturazione, che sarebbe messo a rischio dall'applicazione della sentenza Griesa e soprattutto dal principio del pari passu considerato l'effetto che un nuovo default argentino potrebbe avere sulla stabilità finanziaria internazionale e quindi su quella di paesi esposti come l'Italia;
    potrebbe quindi essere utile partecipare ai lavori di un gruppo informale di Paesi (Francia, Brasile, Messico) che stanno sostenendo la posizione argentina per cercare una soluzione negoziata, e a cui potrebbe giovare la partecipazione attiva italiana;
    si potrebbe manifestare al Governo degli Stati Uniti la preoccupazione del nostro paese per le conseguenze della sentenza Griesa non solo sull'Argentina, ma sul complesso dei soggetti creditori e della sostenibilità del sistema del debito sovrano;
    è fondamentale proporre nelle opportune sedi internazionali (OCSE, Club di Parigi, G20) l'avvio e la rapida conclusione di una discussione sulla regolamentazione delle modalità di accesso al mercato secondario dei debiti sovrani da parte dei fondi privati speculativi, e soprattutto sull'introduzione di soglie minime di adesione ad eventuali accordi di ristrutturazione in grado di renderli validi erga omnes ed inappellabili per singoli creditori o gruppi di creditori o loro rappresentanze;
    potrebbe essere opportuno anticipare la visita in Argentina del Ministro degli affari esteri Mogherini, attualmente prevista per il 4 agosto, così da anticipare la scadenza attualmente prevista per il 31 luglio dell'applicazione della sentenza Griesa, rafforzando la solidarietà al Governo di Buenos Aires e discutendo l'agibilità di iniziative congiunte bilaterali in tutti i contesti interessati dal contenzioso in atto,

impegna il Governo

ad assumere iniziative, anche contemplando l'ipotesi di una visita anticipata, a tutela dei molti interessi nazionali coinvolti in questa vicenda e a tutela della prevalenza del diritto e degli organismi internazionali in materia di debito sovrano, anche lavorando in sede internazionale all'introduzione di regole che siano certe e di procedure di gestione concordate per la ristrutturazione dei debiti sovrani.
(7-00414) «Scotto, Paglia, Palazzotto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (ANSV), istituita con il decreto legislativo n. 66 del 1999, in attuazione della direttiva 94/56/CE (oggi sostituita dal regolamento dell'Unione europea n. 996/2010), è l'autorità investigativa per la sicurezza dell'aviazione civile dello Stato italiano, vigilata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri a garanzia della sua posizione di terzietà;
   l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo rappresenta una realtà affermata nel contesto aeronautico italiano ed in quello internazionale, dove apporta – tramite i risultati della propria attività e grazie ai propri avanzati laboratori tecnologici per la lettura della cosiddette «scatole nere» – un positivo e riconosciuto contributo per migliorare i livelli di sicurezza del volo, a tutela della pubblica incolumità;
   il considerando n. 15 del regolamento (UE) n. 996/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010 sulle inchieste e la prevenzione di incidenti e inconvenienti nel settore dell'aviazione civile così recita: «Le autorità investigative per la sicurezza sono al centro del processo investigativo sulla sicurezza. Il loro lavoro è d'importanza fondamentale per determinare le cause di un incidente o di un inconveniente. È pertanto essenziale che le stesse siano in grado di condurre le loro inchieste in piena indipendenza e che dispongano delle risorse finanziarie e umane necessarie per condurre inchieste efficaci ed efficienti»;
   l'articolo 4, paragrafo 6, del predetto regolamento (UE) n. 996/2010 prescrive quanto segue: «L'autorità investigativa per la sicurezza è dotata dal rispettivo Stato membro dei mezzi necessari per adempiere alle sue responsabilità in completa indipendenza e deve poter ottenere a tal fine sufficienti risorse»;
   nel proprio «Rapporto informativo sull'attività svolta e sulla sicurezza dell'aviazione civile in Italia – anno 2013», trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed al Parlamento, l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo rappresenta di trovarsi in una gravissima criticità di organico, soprattutto per quanto concerne i tecnici investigatori: tale situazione, conseguenza dei numerosi interventi legislativi volti al contenimento della spesa pubblica, sta incidendo pesantemente sull'operatività dell'ente, a fronte di impegni sempre più gravosi in ambito nazionale, internazionale e dell'Unione europea;
   risulta che l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, ad oggi, sia rimasta soltanto con quattro tecnici investigatori (sui 12 previsti dalla dotazione organica), di cui uno in uscita al 31 ottobre 2014 in virtù di quanto previsto dal decreto-legge n. 90 del 2014, per cui l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo resterà soltanto con tre tecnici investigatori;
   come risulta dal citato «Rapporto informativo sull'attività svolta e sulla sicurezza dell'aviazione civile in Italia – anno 2013», nonché dalla relazione del presidente al rendiconto generale relativo all'esercizio finanziario 2013, l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo ha ritenuto necessario sensibilizzare l'amministrazione vigilante con una apposita nota informativa, al fine di ottenere le risorse necessarie e prevenire l'eventuale apertura da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per violazione dell'articolo 4, paragrafo 6, del regolamento (UE) n. 996/2010;
   nel corso della seduta del 12 giugno 2014, il Governo ha accolto come raccomandazione l'ordine del giorno 9/02280/001, con la quale impegnava l'Esecutivo a escludere l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo dagli interventi di spending review programmati e a intervenire urgentemente, anche tramite i propri poteri di iniziativa legislativa, al fine di consentire l'aumento delle unità di personale in servizio presso l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, favorendo, in via prioritaria, il completamento dell'organico dei tecnici investigatori, di assicurare l'adeguamento dei trasferimenti dello Stato per il sostenimento dei relativi costi del personale, e di rimuovere le limitazioni normative che penalizzano alcune tipologie di spesa strategiche, e in particolare quella della formazione interna del personale –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare il Governo a favore dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, per evitare che un importante presidio per la sicurezza del volo veda compromessa la propria operatività, con conseguenti ricadute negative sulla prevenzione degli incidenti aerei e quindi sulla tutela della pubblica incolumità.
(2-00630) «Catalano».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALERIA VALENTE. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 ottobre 2012 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, Serie Generale Anno 153o, n. 260, la comunicazione relativa all’«Avviso pubblico per la presentazione di progetti per la promozione ed il sostegno di interventi tesi alla valorizzazione di beni demaniali ovvero patrimoniali» –  «Giovani per la valorizzazione dei beni pubblici»;
   l'avviso in questione rientra nella programmazione «Giovani del no profit per lo sviluppo del Mezzogiorno» (Piano di Azione e Coesione – Pac), volta a promuovere e sostenere i progetti del privato sociale per il rafforzamento della coesione socio-economica del Sud, mediante la creazione di reti in grado di leggere i bisogni emergenti traducendoli in proposte progettuali concrete, sostenibili ed efficaci;
   in data 3 marzo 2014 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, Serie Generale n. 51, l'approvazione della graduatoria riguardante l'avviso «Giovani per la valorizzazione dei beni pubblici» comprensiva di due tabelle, la «Tabella A, relativa alla graduatoria progetti», la «Tabella B relativa ai progetti non ammissibili»;
   in data 21 marzo 2014 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, Serie Generale n. 67, la comunicazione relativa alla pubblicazione del decreto n. 7 del 7 marzo 2014, relativo alla sostituzione della Tabella A «Graduatoria progetti» riguardante l'Avviso «Giovani per il sociale»;
   nei decreti di approvazione delle graduatoria risulta previsto che, relativamente ai progetti risultati idonei ma non finanziati in virtù dell'articolo 1, comma 219, della legge di stabilità 2014, si sarebbe proceduto, con successivi e separati decreti, allo scorrimento della graduatoria, all'esito dell'accreditamento delle risorse finanziarie aggiuntive di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 99;
   il Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie ha disposto il versamento dell'importo di euro 52.000.000,00, ai fini della riassegnazione prevista dall'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 568 del 1988, ai capitoli del Ministero dell'economia e delle finanze per il successivo trasferimento al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per le finalità previste, per gli anni 2013 e 2014, dal decreto-legge n. 76 del 2013, articolo 3, lettera b), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, e modificato dall'articolo 1, comma 219, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), per l'azione del Piano di azione coesione rivolta alla promozione e realizzazione di progetti promossi da giovani, assicurando prioritariamente il finanziamento delle istanze positivamente istruite nell'ambito delle procedure indette dagli avvisi pubblici «Giovani per il sociale» e «Giovani per la valorizzazione di beni pubblici»;
   con successive FAQ pubblicate sul sito del Dipartimento della gioventù della Presidenza del Consiglio, datate 23 aprile 2014 e 22 maggio 2014, rubricate «FAQ di attuazione degli avvisi pubblici Giovani per il sociale e Giovani per la valorizzazione dei beni pubblici», il dipartimento della gioventù ha ribadito essere stato previsto uno stanziamento aggiuntivo di risorse finanziarie per la realizzazione dei progetti ammessi, chiarendo che, una volta incassate le risorse in questione, si sarebbe proceduto a successivi e separati decreti con le indicazioni relative allo scorrimento delle graduatorie esistenti –:
   quale sia lo stato del procedimento di accreditamento delle risorse aggiuntive per gli avvisi pubblici sopra indicati;
   quali siano i tempi e le modalità previste per la stipula delle convenzioni per la realizzazione dei progetti ammessi. (5-03216)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni tra il 30 giugno e il 3 luglio 2014, violenti nubifragi a ripetizione hanno colpito la Lombardia settentrionale, creando ingenti danni, incidenti e allagamenti di scantinati e di abitazioni, nelle province di Como, Bergamo e Monza e Brianza;
   in particolare sul comasco è caduta in 24 ore la pioggia che nel 2013 era caduta in tutto il mese di luglio; in tutta la provincia si sono verificati allagamenti e smottamenti; i servizi bus sono stati interrotti nel quartiere di Como e le auto sono state deviate da Brunate e Ponzate;
   le zone maggiormente colpite sono state quelle del Marianese, dell'Olgiatese e della Bassa Comasca; il lago è uscito in strada in piazza Cavour e nel pomeriggio del 10 luglio è scattato l'allarme anche per il lago di Pusiano, salito di livello di 40 centimetri oltre la soglia di allarme;
   a Mariano, nella notte, è straripata una roggia in via Cappelletti e sono state evacuate circa venti persone;
   a Erba e a Merone sono stati registrati allagamenti di scantinati e di strutture commerciali, nonostante i lavori fatti negli ultimi anni;
   a Cantù gli allagamenti hanno invaso le cantine e hanno creato situazioni critiche al confine con Carimate, dove alcune auto sono rimaste bloccate sul ponte della Serenza;
   allagamenti e situazioni critiche si sono registrati anche a Vighizzolo, tra Fino e Cucciago, a Senna Comasco a Capiago, a Carimate, a Carugo, a Caccivio, ad Arosio e a Bulgarograsso, Mozzate e Locate Varesino; i vigili del fuoco hanno compiuto circa 200 interventi –:
   quali iniziative di competenza nell'immediato intenda assumere il Governo per far fronte alle calamità naturali che nei giorni tra il 30 giugno e il 3 luglio 2014 hanno colpito la Lombardia settentrionale, e in particolare la provincia di Como, prima di tutto sospendendo tutte le scadenze fiscali per la popolazione colpita, e se, intenda dichiarare ove richiesto lo stato di emergenza di carattere nazionale, per far fronte agli ingenti danni alle proprietà private e procedere alla ricostruzione del territorio danneggiato. (4-05517)


   SCOTTO, FRATOIANNI, DURANTI, PALAZZOTTO, PIRAS e MARCON. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   secondo un comunicato diffuso da Finmeccanica – Alenia Aermacchi, in data 9 luglio 2014 sarebbero stati consegnati presso la base israeliana di Hatzerim i primi due velivoli da addestramento avanzato M-346;
   nel comunicato si afferma che, oltre ai due velivoli consegnati, per la Forza aerea israeliana altri sei M-346 sono in fase avanzata di assemblaggio, mentre altri cinque sono nella fase di montaggio delle parti strutturali su un totale di trenta velivoli ordinati;
   l'M-346 è un nuovo velivolo addestratore e il suo principale scopo è di favorire addestramento e «transizione» a caccia di nuova generazione, ma può anche essere armato e utilizzato per bombardamenti;
   in particolare, grazie alla loro maneggevolezza, potrebbero essere utilizzati in aree urbane e di conflitti a basso dispiegamento di forze armate e di contraerea;
   di conseguenza appare agli interroganti fondata e concreta la preoccupazione che i materiali d'armamento prodotti nel nostro Paese possano contribuire a rendere ancora più grave la situazione del conflitto israelo-palestinese;
   l'Italia è il maggiore esportatore tra i Paesi dell'Unione europea di sistemi militari e di armi leggere verso Israele;
   secondo l'articolo 1 della legge n. 185 del 1990, tra le altre cose, è vietata l'esportazione e il transito di armi verso Paesi che sono in stato di conflitto armato o verso Paesi i cui Governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'Unione europea o del Consiglio d'Europa;
   a tal fine il Ministero degli affari esteri ha la facoltà di vietare le esportazioni di armi qualora rientrino nell'ambito di applicazione dell'articolo appena citato –:
   se il Ministro degli affari esteri, secondo quanto previsto dalla legge n. 185 del 1990, non intenda intervenire per vietare le ulteriori forniture degli M-346 al Governo di Israele;
   se il Governo non intenda farsi promotore di una azione a livello dell'Unione europea per un embargo europeo di armi e sistemi militari verso tutte le parti in conflitto, per la protezione dei civili inermi e per la ripresa del dialogo tra tutte le parti. (4-05519)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il sindaco di Rimini Andrea Gnassi ha autorizzato la riapertura del delfinario di Rimini come «spettacolo viaggiante», ad avviso degli interpellanti artificiosamente assimilandolo ad un qualsiasi circo con animali;
   la riapertura della struttura di Rimini contrasta a giudizio degli interpellanti con il dettato del decreto legislativo n. 73 del 2005 in materia di giardini zoologici e con la direttiva europea di riferimento n. 1999/22/CE per la cui mancata applicazione il nostro Paese era già stato condannato nel 2004;
   l'adeguamento alla suddetta direttiva nel 2005, a seguito della condanna, non ha di fatto cambiato il comportamento dei comuni che, contrariamente alla norma che stabilisce che solo il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è autorizzato a rilasciare la licenza di giardino zoologico, continuano, con le motivazioni più varie e con gli artifici legali più stravaganti, ad autorizzare l'apertura di strutture permanenti che espongono animali al pubblico;
   il delfinario di Rimini è secondo gli interpellanti un caso paradigmatico della leggerezza con cui in Italia si aggirano le norme vigenti: il delfinario infatti (ma bisognerebbe chiamarlo piuttosto ex-delfinario) non solo non ha mai ottenuto una licenza quale giardino zoologico, ma, a seguito di ispezioni del Corpo forestale dello Stato che avevano accertato aperte violazioni della legge, maltrattamenti sistematici agli animali ivi ospitati e mancanza dei requisiti minimi di cui al decreto ministeriale n. 469 del 2001, era stato chiuso nel mese di settembre 2013 su ordine della procura della Repubblica di Rimini, confermato a marzo 2014 dalla stessa Corte di Cassazione;
   nonostante poi nel frattempo sia intervenuto il decreto definitivo di chiusura da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il sindaco di Rimini ne autorizza la riapertura in forza di una licenza comunale quale spettacolo viaggiante, caratteristica difficile da immaginare per una struttura permanente che più «stabile» non potrebbe essere, priva comunque della licenza di giardino zoologico, che solo il Ministero può concedere;
   del contenuto di tale licenza comunale non è dato conoscere i dettagli: in data 17 giugno 2014, infatti, la LAV ha depositato istanza per l'accesso alla copia dell'autorizzazione, ma, a tutt'oggi a quanto consta agli interpellanti, nulla di quanto richiesto risulta pervenuto alla suddetta Lega antivivisezione Onlus;
   il primo firmatario del presente atto, a seguito delle sopra richiamate vicende del delfinario di Rimini, ha presentato una proposta di legge in materia di divieto di acquisizione, detenzione e utilizzazione dei cetacei e di chiusura di tutti i delfinari esistenti (A.C. 1703) –:
   quali iniziative intenda intraprendere per dare concreta attuazione al proprio decreto di chiusura al pubblico della struttura «Delfinario Rimini srl» e per conformare l'intera normativa nazionale, compresa la legge 18 marzo 1968, n. 337, recante «Disposizioni sui circhi equestri e sullo spettacolo viaggiante», al dettato della direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici in modo da non permettere aggiramenti della stessa.
(2-00632) «Tacconi, Pisicchio».

Interrogazione a risposta scritta:


   DAGA, DE ROSA, TERZONI, BUSTO, MANNINO, MICILLO, SEGONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano Il Messaggero del 9 luglio 2014 il giornalista Giulio Mancini scrive un articolo sull'assegnazione diretta di un'area di Castelporziano, sito di interesse comunitario, per l'istituzione di «Cancelli Village» sulla spiaggia;
   si legge nell'articolo: «Il Municipio X appalta ad un privato per due mesi un ampio tratto della spiaggia libera di Castelporziano senza lanciare un bando pubblico e la Capitaneria di Porto presenta una relazione alla procura della Repubblica affinché avvii un'indagine. Torna al terzo cancello della spiaggia libera distesa sulla litoranea il «Cancelli Village» che già nell'estate 2013 sollevò una bordata di polemiche e denunce;
   «abbiamo informato la procura della Repubblica riguardo alla vicenda» annuncia invece il comandante della capitaneria di porto, Lorenzo Saverese, che già lo scorso anno denunciò gli abusi commessi nei cinque chioschi di Castelporziano;
   quegli stessi gestori dei punti-ristoro che hanno ricevuto dal municipio una richiesta di 60 mila euro di arretrato ciascuno per oneri non versati e che rischiano un imminente bando pubblico per l'affidamento dei «loro» impianti;
   la spiaggia di Castelporziano è la spiaggia dei romani, che il Presidente della Repubblica Saragat donò ai cittadini della capitale con atto di repertorio n. 50213 del 14 luglio del 1965; l'ultimo baluardo dell'accesso libero al mare e splendido esempio di dune mediterranee del Comune di Roma viene compromesso;
   la spiaggia di Castelporziano è un sito di interesse comunitario (S.I.C.) e come tale contribuisce in modo significativo al mantenimento della biodiversità della regione in cui si trova;
   sono numerose le manifestazioni di associazioni e cittadini organizzate per difendere e proteggere un prezioso tratto di arenile, considerato che la costa demaniale è un bene comune da tutelare per la fruizione collettiva e interesse pubblico –:
   quali siano i motivi per cui non vengono preservati tratti di spiagge di rilevanza ambientale, impoverendo così la collettività di beni ambientali e risorse economiche;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in difesa delle spiagge libere di interesse comunitario, visto che le spiagge sono un bene comune che, però, viene tolto ogni giorno di più attraverso un processo di occupazione e noncuranza di beni preziosi per la comunità. (4-05515)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   LA RUSSA e RAMPELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il sacrario militare di Redipuglia, in provincia di Gorizia, dedicato alla memoria dei soldati italiani caduti durante la prima guerra mondiale è il più grande sacrario militare d'Italia e uno dei più grandi al mondo;
   il monumento ai caduti costituisce il fulcro di un parco commemorativo di oltre 100 ettari che comprende una parte del Carso Triestino, teatro durante la grande guerra di durissime battaglie;
   oggi, proprio nell'anno in cui ricorre il centenario della grande guerra la parte monumentale del sacrario versa in condizioni di grave degrado, mentre la parte museale è quasi sempre inaccessibile al pubblico a causa di carenze d'organico;
   il sacrario è visitato ogni anno da circa duecentomila persone, e si stima che quest'anno, in occasione del centenario, tale numero aumenterà in modo considerevole –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di ripristinare il decoro dei luoghi di cui in premessa, disponendo le necessarie misure di manutenzione del monumento e del parco circostante, nonché provvedendo affinché siano resi accessibili e fruibili al pubblico gli spazi espositivi e museali del complesso.
(4-05518)


   CATALANO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che il 6 marzo 2012 presso il tribunale militare di Verona si sarebbe verificato un episodio discriminatorio a danno di un dipendente civile del Ministero della difesa, oggetto di richiamo in quanto portatore di capelli lunghi e abbigliamento informale, ritenuti non consoni all'ufficialità dell'ente;
   come dichiarato dall'ente stesso, nella risposta all'istanza di accesso agli atti presentata dal dipendente il 30 aprile 2013, non sussistono ordini di servizio e/o direttive scritte dell'ente in materia di canoni estetici e di abbigliamento per il personale a status civile in servizio presso l'ente medesimo, adottati entro il 18 aprile 2012;
   risulta all'interrogante che il lavoratore abbia presentato le proprie dimissioni per giusta causa dichiarando che, non essendosi adeguato all'ordine, sarebbe stato oggetto di ulteriori condotte tese al suo isolamento, quali la privazione per oltre un mese di un'autonoma postazione di lavoro e l'esperimento contro lo stesso di iniziative disciplinari, sino ad innescare documentate patologie a carattere psicologico;
   con reclamo del 05 luglio 2013, il lavoratore, rivolgendosi al Garante per la protezione dei dati personali, ha lamentato che il responsabile della gestione del personale civile del tribunale militare di Verona, al di fuori di ogni normativa attinente alla gestione del personale in malattia, avrebbe contattato telefonicamente il medico di base del citato dipendente, contestando il fatto che fosse stato concesso al lavoratore un ulteriore periodo di malattia;
   con provvedimento del 10 aprile 2014 il Garante per la protezione dei dati personali, «ritenuta illecita nei termini di cui in motivazione la comunicazione di dati personali riferiti al reclamante effettuata nell'ambito della comunicazione telefonica intercorsa tra la responsabile del personale del Tribunale militare e il medico che aveva redatto le certificazioni sanitarie (riferite al reclamante), ai sensi dell'articolo 143, comma 1, lettera b) e 154, comma 1, lettera c) del Codice prescrive al Ministero della Difesa – Direzione generale per il personale civile, di adottare opportune misure, idonee a conformare il trattamento dei dati personali alle disposizioni previste dal Codice, con particolare riferimento alla comunicazione di dati personali dei dipendenti»;
   diversi fatti di cui alla presente interrogazione sono stati oggetto, in sede di Unione europea, di interrogazione a risposta scritta (E-010994-13) alla Commissione europea;
   la Commissione, in data 21 novembre 2013, ha ritenuto di non aver titolo per intervenire e che la questione debba essere trattata in ambito nazionale;
   risulta all'interrogante che, in una società democratica e pluralista, l'aspetto esteriore di un cittadino, dipendente civile della pubblica amministrazione, possa essere limitato solo sulla base di necessità igieniche e di pubblico decoro, strettamente inteso, e che entro tali limiti anche la tenuta di barba e capelli lunghi sia pienamente lecita;
   la vicenda sopra descritta appare all'interrogante come un possibile caso di discriminazione dei lavoratori in ragione del loro aspetto estetico, in assenza di qualsiasi normativa contraria che possa imporre ad un dipendente civile che svolge attività presso un ufficio giudiziario militare di avere i capelli corti e un abbigliamento formale con giacca e cravatta –:
   di quali notizie disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda promuovere per dare esecuzione al provvedimento del Garante dei dati personali di cui in premessa;
   se il Ministro interrogato intenda assumere ogni iniziativa di competenza finalizzata a fare chiarezza in relazione all'indicato episodio. (4-05528)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere — premesso che:
   i commi 177 e 178 dell'articolo unico della legge di stabilità per il 2014 di cui alla legge 27 dicembre 2013, n. 147, recano norme in materia di transfer pricing per le società operanti nella raccolta di pubblicità on line;
   in particolare si prevede che, ferme restando le disposizioni del Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR – in materia di stabile organizzazione di cui all'articolo 162 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le società che operano nel settore della raccolta di pubblicità on line e nei servizi ad essa ausiliari, nella determinazione delle componenti di reddito derivanti dalle cosiddette operazioni intercompany con società non residenti (ai sensi dell'articolo 110 del richiamato TUIR) devono utilizzare indicatori di profitto diversi da quelli applicabili ai costi sostenuti per lo svolgimento della propria attività;
   le citate disposizioni fanno salvo il ricorso alla procedura del cosiddetto ruling di standard internazionale che, per le imprese con attività internazionale, consente con la sottoscrizione di un accordo con l'Amministrazione finanziaria di fare riferimento al regime dei prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi e delle royalties;
   ai sensi del comma 178 è previsto inoltre, per rendere tracciabili le operazioni relative all'acquisto di servizi di pubblicità on line e di servizi a essa ausiliari, che il pagamento di tali operazioni deve essere effettuato esclusivamente mediante bonifico bancario o postale dal quale devono risultare anche i dati identificativi del beneficiario, ovvero con altri strumenti di pagamento idonei a consentire la piena tracciabilità delle operazioni e a veicolare la partita IVA del beneficiario;
   il medesimo comma affida a un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, sentite le associazioni di categoria degli operatori finanziari, il compito di stabilire le modalità di trasmissione all'Agenzia delle entrate, in via telematica, delle informazioni necessarie per l'effettuazione dei controlli —:
   a che punto sia la consultazione delle associazioni di categoria e quali siano i tempi di emanazione del provvedimento dell'Agenzia delle entrate per l'effettuazione dei controlli necessario a rendere cogenti le norme sulla tracciabilità delle operazioni relative all'acquisto di servizi di pubblicità on line, a tal fine anche specificando quali azioni siano state intraprese o siano in corso per l'applicazione della nuova normativa relativa al transfer pricing e se si preveda di aprire apposite procedure di ruling internazionale per la sottoscrizione di accordi con gli operatori operanti nel mercato della raccolta di pubblicità on line. (5-03219)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la cessione di un fabbricato (inserito o meno in un piano di recupero) destinato alla demolizione, nel caso in cui il venditore sia un privato, è un'operazione che ha dato luogo a diverse interpretazioni per quanto concerne il suo inquadramento sotto l'aspetto tributario sia ai fini delle imposte dirette che indirette, ossia se si è in presenza di cessione di terreno o di cessione di fabbricato;
   va rilevato che, ai fini delle imposte dirette, nel caso di cessione di fabbricato, il possesso ultraquinquennale o la provenienza successoria escludono l'intento speculativo, rendendo così neutra l'operazione, mentre per la cessione di area edificabile c’è sempre l'intento speculativo, al di là del periodo di possesso e della provenienza;
   la tesi della equiparazione della cessione di fabbricati da demolire a cessione di terreno è stata più volte confermata dall'amministrazione finanziaria fin dal 2008;
   a dispetto del dato formale (cessione di un fabbricato), l'amministrazione finanziaria ha affermato che nel caso di specie si configura, dal punto di vista delle imposte dirette, una cessione di area edificabile, di modo che si realizzano in ogni caso plusvalenze tassabili (a prescindere dal possesso ultraquinquennale o dalla provenienza successoria dell'immobile);
   con la risoluzione n. 395/E del 22 ottobre 2008, a seguito di un interpello di un contribuente che riguardava la cessione di due fabbricati posseduti da più di cinque anni, rientranti in un'area soggetta ad un piano di recupero già approvato dal comune, l'Agenzia delle entrate ha ritenuto di dover considerare oggetto della compravendita non più i singoli fabbricati, ma l'area edificabile su cui gli edifici insistono;
   l'interpretazione fornita dal contribuente in tale fattispecie era invece che «i beni oggetto della cessione, anche se acquistati dal cessionario al fine di dare esecuzione al piano di recupero, conservino, al momento della vendita, la natura e le caratteristiche di fabbricati integri nella loro struttura ed in grado di essere utilizzati secondo le proprie caratteristiche. Pertanto, dalla cessione dei medesimi non possa emergere plusvalenza ai sensi dell'articolo 67, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 e, di conseguenza, non possa procedersi alla rivalutazione prevista dall'articolo 1, comma 91, della legge n. 244/2007»;
   il parere dell'Agenzia delle entrate è stato invece il seguente: «Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di immobili ad opera delle persone fisiche, qualificabili, sotto il profilo fiscale, come redditi diversi, di cui all'articolo 67, comma 1, del TUIR, subiscono un trattamento differenziato a seconda della tipologia del cespite alienato. Precisamente, mentre le plusvalenze derivanti dalla cessione, a titolo oneroso, di fabbricati sono assoggettate alla disciplina di cui alla lettera b), dell'articolo 1, del citato articolo 67 del TUIR, che ne prevede l'imponibilità nella sola ipotesi in cui tale cessione avvenga prima del decorso del quinquennio dall'acquisto ovvero dalla costruzione – fatte salve le ipotesi in cui l'acquisto avvenga per successione o donazione e le cessioni di unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso fra l'acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari – le plusvalenze realizzate dalla vendita, anche parziale, dei terreni (e degli edifici) dopo che su di essi sono state eseguite opere intese a renderli edificabili, invece, vanno ricondotte nell'ambito applicativo della lettera a) del comma 1 dello stesso articolo 67 del TUIR che ne prevede la tassabilità a prescindere dal periodo di possesso dell'immobile. Ulteriore fattispecie impositiva ricorre qualora la plusvalenza sia realizzata a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione. Quest'ultima previsione, introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 30 dicembre 1991, n. 413, ricollega la tassazione al semplice intervento della destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica dei terreni a prescindere dalla esistenza o meno di una attività speculativa»;
   l'amministrazione finanziaria ha affermato inoltre che «oggetto della compravendita non possano essere più considerati i fabbricati, oramai privi di effettivo valore economico, ma, diversamente, l'area su cui gli stessi insistono, riqualificata in relazione alla potenzialità edificatorie in corso di definizione»: si trasforma così l'oggetto della compravendita da cessione di fabbricato, che per possesso ultraquinquennale sarebbe operazione esclusa dal reddito, a cessione di terreno edificabile, comunque sempre tassabile;
   la stessa risoluzione n. 395/E/2008 ha fatto comunque una importante precisazione: ha consentito al contribuente privato di effettuare l'affrancamento, specificatamente previsto solo per i terreni (edificabili e non) in base alla norma allora vigente; essa ha ammesso, quindi, che potesse essere oggetto di rivalutazione un fabbricato, in quanto inserito in un piano di recupero già approvato dal comune: il fabbricato e stato considerato terreno ai fini delle imposte dirette e, conseguentemente, secondo l'amministrazione finanziaria, ne era ammessa la rivalutazione, che riguardava appunto le aree;
   l'amministrazione finanziaria si è così espressa: «Atteso che per i sopra esposti motivi, deve ritenersi che la cessione abbia ad oggetto un'area edificabile, può tornare eventualmente applicabile la disposizione che prevede la rivalutazione del valore dei terreni tramite l'applicazione dell'imposta sostitutiva del 4 per cento sul valore periziato, a condizione che la redazione ed il giuramento della perizia, nonché il versamento della prima o dell'unica rata, siano effettuati entro la predetta data del 31 ottobre 2008»;
   a favore della tesi sostenuta dall'Agenzia delle entrate con la citata risoluzione del 22 ottobre 2008, n. 395, ossia che l'atto di cessione di fabbricato da demolire, sotto l'aspetto tributario, va riqualificato per le imposte dirette come cessione di area e non di fabbricato, ci sono stati successivamente sia altri interventi dell'amministrazione finanziaria (tra cui l'intervento della direzione regionale dell'Emilia Romagna in risposta ad un interpello del 31 maggio 2010 n. 909-28406/2010, l'intervento della direzione regionale delle entrate dell'Emilia Romagna in risposta ad un interpello di una ULSS del 1o dicembre 2011, n. 909-59654/2011), sia alcune pronunce fornite dalla giurisprudenza sulla fattispecie in oggetto (tra cui la sentenza n. 10/14/08 del 17 marzo 2008 della commissione tributaria regionale della Lombardia, la sentenza n. 7 del 22 maggio 2008 della commissione tributaria regionale di Bologna, la sentenza n. 7 del 2 febbraio 2009 della commissione tributaria regionale di Bologna, la sentenza n. 194/04/2011 dell'11 dicembre 2010 della commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, la sentenza n. 15 del 7 febbraio 2011 della commissione tributaria regionale di Bologna, la sentenza n. 37 del 17 febbraio 2012 della commissione tributaria regionale di Roma, la sentenza n. 87 del 17 giugno 2013 della commissione tributaria di I grado di Bolzano, la sentenza n. 227 del 9 dicembre 2013 della commissione tributaria provinciale di Ravenna, la sentenza n. 7613 del 2 aprile 2014 della Corte di Cassazione);
   contro tale tesi si era espressa, antecedentemente alla risoluzione n. 395 del 2008, la stessa amministrazione finanziaria con la circolare n. 1/E/2007 del 19 gennaio 2007, la quale ha stabilito che nel caso di acquisto di fabbricato da demolire, ma comunque in quel momento ancora atto all'uso, si tratta pur sempre di acquisto di fabbricato, e non di area; al contrario, in presenza di un rudere, da un punto di vista fiscale si considera (sempre ai sensi della stessa circolare) acquisto di un'area. È di tutta evidenza la contraddizione che si è venuta a creare con questi due interventi: da una parte si afferma che se il fabbricato è atto all'uso, ancorché da demolire, è da considerare fabbricato (circolare n. 1/E del 2007); dall'altra si vorrebbe considerare la sola cessione di area (risoluzione ministeriale n. 395/E del 2008);
   sulla stessa linea della circolare n. 1/E/2007, e quindi contro la citata risoluzione n. 395 del 2008 si sono espresse, in materia di imposte dirette, la sentenza n. 105 del 27 novembre 2006 della commissione tributaria regionale di Bologna, le sentenze n. 377 del 2008, n. 26/14/11 e n. 271 del 7 ottobre 2013 della Commissione tributaria provinciale di Milano, le sentenze n. 342/02/2010, n. 289/02/11 e n. 15/02/2011 della Commissione tributaria provinciale di Rimini, le sentenze n. 191 del 6 dicembre 2010, n. 85/02/2011, n. 126/02/2011, n. 47/04/2011 e n. 86 del 26 marzo 2013 della commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, la sentenza n. 45 del 3 maggio 2013 della commissione tributaria provinciale di Cremona, la sentenza n. 125 del 9 maggio 2013 della commissione tributaria provinciale di Ancona, recentemente la sentenza n. 4150 del 21 febbraio 2014 della Corte di Cassazione;
   per quanto invece riguarda le imposte indirette, tra le sentenze a favore della tesi dell'Agenzia delle entrate che con la risoluzione n. 395/E/2008 equipara la cessione di un immobile da demolire a cessione di area edificabile ai fini delle imposte dirette, va menzionata la sentenza del 19 novembre 2009, causa C-461/08, della Corte di giustizia europea, in merito alla cessione di un terreno con relativo fabbricato destinato alla demolizione, con avvio dei lavori già intrapresi da parte dello stesso venditore. Ai fini IVA la Corte di giustizia ha ritenuto che si trattasse di cessione di area non edificata e, nello specifico, soggetta ad IVA, in luogo della esenzione, applicabile invece nel caso di cessione di fabbricato;
   al contrario, con la sentenza del 12 luglio 2012, la Corte di giustizia europea ha ritenuto in un caso analogo trattarsi comunque di cessione di immobile, esente da IVA, piuttosto che cessione di area edificabile, soggetta invece ad IVA;
   la sentenza della Corte di giustizia europea del 17 gennaio 2013, C-543/11, ha invece riguardato il caso, ai fini IVA, della cessione di un terreno da parte di un comune, il quale si era impegnato a demolire l'immobile sovrastante. La parte aveva ritenuto trattarsi di cessione di area, e quindi da assoggettare ad IVA; l'amministrazione finanziaria riteneva invece trattarsi di immobile, e quindi da ritenere esente da IVA; la Corte ha stabilito trattarsi di cessione di terreno, stante l'esplicito impegno da parte del venditore alla demolizione;
   altri interventi in materia di imposte indirette che confermano la tesi a favore della cessione di fabbricato, ancorché da demolire, e non di area, sono la risoluzione n. 72/E del 23 marzo 2009 e la circolare n. 28/E del 21 giugno 2011;
   in occasione della manifestazione «Telefisco 2011» del 26 gennaio 2011, la risposta fornita dall'Agenzia delle entrate circa il corretto inquadramento ai fini IVA di una cessione di immobile strumentale dismesso e da demolire è stata quella di applicazione della normativa di cessione di immobile e non di area;
   la sentenza n. 15629, depositata nei giorni scorsi, della Corte di Cassazione, afferma che non va tassata la plusvalenza conseguente a una vendita di un fabbricato destinato alla demolizione anche se ubicato su un terreno edificabile: la norma è chiara nell'includere nella tassazione solo la cessione di aree e pertanto l'esistenza di un fabbricato censito in catasto è condizione sufficiente per escludere la tassazione;
   la vicenda trae origine da un avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle entrate rettificava la dichiarazione di un contribuente accertando una plusvalenza derivante dalla cessione di un immobile di civile abitazione, individuando il reale oggetto della compravendita nell'area edificabile su cui insisteva il fabbricato e assoggettando pertanto a tassazione la plusvalenza derivante;
   la pretesa è stata impugnata dinanzi al giudice tributario deducendo che la compravendita aveva ad oggetto un fabbricato e pertanto le previsioni del testo unico delle imposte sui redditi richiamate dall'ufficio non erano applicabili;
   l'articolo 67, comma 1, del TUIR comprende tra i redditi diversi le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione;
   nella decisione della Cassazione è stato affermato che l'articolo 67 è chiaro nell'includere solo le cessioni di terreni non edificati; ciò che rileva ai fini dell'applicabilità della norma è la destinazione edificatoria originariamente conferita all'area (appunto non edificata) e non a quella ripristinata da specifico intervento edilizio;
   già con la sentenza n. 4150/2014 era stato precisato che la mera iscrizione del fabbricato in catasto era di per sé condizione sufficiente per l'esclusione della tassazione della plusvalenza;
   la giurisprudenza di legittimità conferma quindi l'errata interpretazione che gli uffici dell'Agenzia delle entrate continuano a sostenere in proposito, tra l'altro in contrasto con alcuni chiarimenti forniti dalla stessa amministrazione –:
   se non ritenga di chiarire definitivamente se, ai fini delle imposte dirette e indirette, le compravendite di fabbricati destinati alla demolizione possono essere qualificate come cessioni di aree edificabili o essere considerate senza ambiguità cessioni di fabbricati e se non intenda attivarsi presso l'Agenzia delle entrate perché l'errata interpretazione venga corretta alla luce della giurisprudenza, evitando il proliferare di inutili contenziosi, perdenti per l'amministrazione stessa e costosi per i contribuenti. (5-03220)


   PAGLIA e NICCHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del 26 giugno 2014 il Ministero dell'economia e delle finanze ha approvato il «Modello di dichiarazione degli immobili ai fini IMU e TASI per gli enti non commerciali» corredato delle relative istruzioni per la compilazione, e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 luglio 2014, con il quale sono stati fissati i criteri per la determinazione del rapporto proporzionale a cui bisogna far riferimento, per le unità immobiliari possedute dagli enti non commerciali destinate ad un'utilizzazione mista, e che fissa al prossimo 30 settembre 2014 il termine di presentazione della dichiarazione riferita agli anni d'imposta 2012 e 2013;
   la dichiarazione riguarda gli immobili per i quali è prevista l'esenzione di cui all'articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504 del 1992, e cioè attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive e fa seguito al regolamento sull'emanato dallo stesso Ministero con il decreto n. 200 del 19 novembre 2012;
   gli ambienti scolastici e quelli sanitari hanno accolto favorevolmente il decreto del 26 giugno 2014, rappresentando una esplicita apertura verso la completa esenzione dall'IMU degli immobili relativi alle attività educative e sociosanitarie degli enti non commerciali, rispetto a quanto, invece, previsto dal regolamento del 2012 emanato dal Governo Monti, che per adeguarsi ad un pronunciamento della Commissione europea in sede di richiesta di parere in materia di aiuti di Stato ed evitare l'avvio di una procedura d'infrazione da parte dell'Unione europea, aveva chiuso definitivamente gli spazi di tale agevolazione, limitandola agli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento delle citate attività ma con modalità non commerciali;
   con riferimento alle attività sanitarie ed assistenziali, secondo quanto riportato dalle istruzioni del nuovo modello di dichiarazione, esse sarebbero automaticamente esenti da IMU e TASI qualora si tratti di strutture accreditate o convenzionate con la pubblica amministrazione centrale o locale, a prescindere dai corrispettivi richiesti agli utenti per le prestazioni offerte, in quanto «complementari o integrative rispetto al settore pubblico» nei casi, invece, in cui gli ordinamenti non prevedono per le stesse forme di accreditamento, per vedersi riconoscere l'esenzione dovranno fare riferimento al costo della prestazione per la quale si dovrà richiedere un «importo simbolico»;
   invero, le istruzioni che accompagnano il modello di dichiarazione richiamano le disposizioni del suddetto «regolamento IMU» di cui al decreto n. 200 del 19 novembre 2012, per il quale (articolo 4) le suddette attività si considerano effettuate con modalità non commerciali, soddisfacendo così il requisito per l'esenzione dal tributo, alternativamente in due casi:
    a) nel caso in cui le attività sono accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le regioni e gli enti locali e sono svolte, in ciascun ambito territoriale e secondo la normativa ivi vigente, in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, prestando a favore dell'utenza, alle condizioni previste dal diritto comunitario o nazionale, servizi sanitari e assistenziali gratuiti, salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall'ordinamento per la copertura del servizio universale;
    b) sono svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di rette di importo simbolico e, comunque, non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività convenzionate o contrattualizzate svolte nello stesso ambito territoriale;
   secondo gli interroganti è del tutto evidente che le suddette condizioni non sono di per sé sufficienti ad escludere la natura economica delle attività in questione; infatti in relazione alla lettera a), il regime di accreditamento, convenzionamento o altro tipo di accordo con le competenti autorità pubbliche non esclude di per sé la sussistenza del carattere economico dell'attività, e la menzionata gratuità dei servizi offerti è attenuata da una non meglio precisata possibilità di partecipazione alla spesa ai fini della copertura del servizio universale, che pure non esclude la predetta natura economica dell'attività; mentre con riferimento alla lettera b), l'utilizzo del criterio delle rette di importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività convenzionate o contrattualizzate svolte nello stesso ambito territoriale risulta essere, da un lato, di difficile applicazione e, sotto altro profilo, non è in assoluto idoneo a qualificare l'attività come non commerciale;
   il richiamo alla gratuità del servizio o alle rette di importo simbolico è nella sostanza assorbito dal criterio della non copertura integrale del costo effettivo del servizio, criterio che però non sembra essere compatibile con il carattere non economico dell'attività;
   le istruzioni, rimandando ad una nozione di commercialità vincolata al criterio del «corrispettivo simbolico» senza emanare contestualmente disposizioni esplicative in merito alla determinazione dei parametri di confronto necessaria per apprezzare il carattere di simbolicità, generano molta incertezza; inoltre le stesse, oltre a non contenere alcuna definizione di corrispettivo simbolico, precisano che spetterà a ciascun comune, in sede di verifica delle dichiarazioni e dei versamenti effettuati dagli enti non commerciali, valutare la simbolicità dei corrispettivi praticati da ciascun ente non commerciale, aprendo così la strada a disparità di trattamento fiscale;
   infatti, a pagina 11 delle istruzioni allegate al decreto in questione, si legge testualmente: «Sulla base degli anzidetti principi enucleati dalla decisione della Commissione europea spetta, quindi, al comune, in sede di verifica delle dichiarazioni e dei versamenti effettuati dagli enti non commerciali, valutare la simbolicità dei corrispettivi praticati da ciascun ente non commerciale, non potendosi effettuare in astratto una definizione di corrispettivo simbolico, poiché in tal modo si violerebbe la finalità perseguita dalla decisione della Commissione» in tal modo il Governo, con un'interpretazione letterale a giudizio degli interroganti arbitraria e desunta, affida ad un organo politico, il comune, la valutazione di un risultato, l'importo simbolico, completamente stabilito da regole di mercato;
   sulla stessa questione si è pronunciata la Commissione europea che, chiamata a decidere in merito agli eventuali estremi di aiuti di Stato che potrebbero conseguire dal regime agevolativo per gli immobili utilizzati per fini specifici da enti non commerciali, ha precisato che il costo di una prestazione per essere considerato «partecipazione alla spesa» dev'essere al massimo la metà del prezzo medio praticato per la stessa prestazione dalle altre strutture operanti nello stesso territorio;
   il Governo, nel redigere le istruzioni allegate al citato modello di dichiarazione IMU, sembra anche aver totalmente escluso che vi possano essere strutture sanitarie che eccedano il suddetto limite (mentre nella realtà è vero il contrario perché altrimenti non avrebbero convenienza ad operare nel settore), e, di conseguenza, non lo ha posto come ulteriore requisito, lasciando intendere, implicitamente, che l'esenzione si applichi indiscriminatamente a tutte le strutture sanitarie qualunque esse siano, convenzionate o accreditate;
   l'illegittimo o discrezionale riconoscimento da parte di ciascun comune di un'esenzione totale ai fini IMU e TASI, oltre a generare un'odiosa disparità di trattamento fiscale sul territorio nazionale, potrebbe comportare anche un rilevante danno economico a carico degli esangui bilanci comunali stante l'elevato numero di strutture sanitarie e sociosanitarie, che secondo la «l'ufficio direzione statistica» del Ministero della salute, sfiora le 26.000 unità;
   molte di queste strutture offrono nello stesso immobile ove svolgono l'attività in regime di convenzione o accreditamento con il servizio sanitario nazionale, prestazioni diverse o totalmente escluse da quelle riconducibili ai cosiddetti livelli essenziali di assistenza (LEA) di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001 (si veda l'allegato 2A allo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri), come ad esempio interventi di chirurgia estetica o di medicina non convenzionale;
   la suddetta conduzione differenziata dell'attività non è contemplata dal «modello di dichiarazione», quadro B (riferito agli immobili parzialmente imponibili o totalmente esenti) di cui al sopracitato decreto del 26 giugno 2014 ai fini del calcolo d'imposta, non ritenendosi applicabile il semplice rapporto tra la superficie utilizzata per lo svolgimento di attività con modalità commerciali e la superficie totale dell'immobile, lasciando così intendere che anche la superficie dell'immobile in cui viene offerta una prestazione estranea ai cosiddetti, LEA non verrebbe assoggettata ai fini IMU e TASI –:
   se non ritenga di dover ulteriormente chiarire, con riferimento allo svolgimento delle attività sanitarie e sociosanitarie, quando le stesse sono esenti dal pagamento dei due tributi (IMU e TASI), dando una definizione puntuale ed esatta di corrispettivo simbolico, che nella sua attuale accezione, oltre ad essere lasciato alla discrezionalità dei singoli comuni, è di difficile applicazione e non è idoneo a qualificare l'attività come non commerciale, anche ricorrendo, a tal fine, a parametri di confronto necessari per apprezzare il carattere di simbolicità, ed, al fine di delimitare l'ambito di applicazione dell'esenzione con riguardo all'utilizzo dell'immobile, se non ritenga di dover assumere iniziative per estendere anche alle attività sanitarie e sociosanitarie, quanto previsto dall'articolo 91-bis del decreto-legge n. 1 del 2012 per le fattispecie di utilizzazione mista, stabilendo che dopo aver individuato gli immobili o le porzioni di immobili adibiti alle attività in convenzione o accreditamento con il servizio sanitario nazionale, l'esenzione si applichi solo alla frazione immobiliare nella quale viene svolta l'attività in regime di convenzione. (5-03221)


   VILLAROSA, PESCO, ALBERTI, RUOCCO, CANCELLERI, BARBANTI e PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere — premesso che:
   il decreto-legge 14 marzo 2014, n. 25, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 maggio 2014, n. 75, reca «Misure urgenti per l'avvalimento dei soggetti terzi per l'esercizio dell'attività di vigilanza della Banca d'Italia;
   il comma 1 dell'articolo 1 del suddetto decreto-legge dispone che la Banca d'Italia può avvalersi anche della consulenza di soggetti terzi di elevata professionalità, selezionati con procedure di evidenza pubblica o dalla Banca centrale europea, per l'esercizio dell'attività di vigilanza di cui agli articoli 51, 54, 66 e 68 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, in relazione alla valutazione approfondita prevista dall'articolo 33, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15 ottobre 2013;
   il comma 2 del citato articolo 1 prevede che i suddetti «soggetti terzi» non devono trovarsi in una situazione di conflitto di interessi con l'esercizio dell'attività di vigilanza, in considerazione della posizione personale o degli incarichi ricoperti al momento della nomina; la violazione della disposizione implica il non conferimento della consulenza ovvero, nell'ipotesi di successivo insorgere di conflitto di interessi, la decadenza immediata dall'incarico;
   la Banca d'Italia ha predisposto un disciplinare di prequalifica, nel quale ha provveduto ad indicare le fattispecie che costituiscono un conflitto di interessi, sia totale che parziale;
    sarebbe utile avere conoscenza di chi siano i «soggetti terzi» incaricati anche al fine di valutare eventuali conflitti di interesse;
   in sede di conversione del decreto-legge n. 25 del 2014 il Governo, accogliendo alcuni ordini del giorno, si era impegnato a valutare la possibilità di rendicontare con precisione i risultati che sono stati ottenuti nell'ambito dell'attività di vigilanza informativa ed ispettiva sulle banche ed i gruppi bancari e, nell'ambito dei suoi poteri di collaborazione istituzionale con la Banca d'Italia, a farsi promotore affinché la stessa precisi chiaramente il numero di parti terze coinvolte nell'espletamento dell'attività di vigilanza citata —:
   se alla luce degli impegni assunti possa chiarire quali siano i soggetti terzi ai quali la Banca d'Italia ha conferito l'appalto per l'esercizio dell'attività di vigilanza in premessa e quali siano le banche e gli intermediari finanziari oggetto di controllo da parte di ogni singolo soggetto terzo. (5-03222)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRILLO, D'INCÀ e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel fascicolo della Camera dei deputati, doc. IV n. 8, relativo alla domanda di autorizzazione ad eseguire la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del deputato GALAN, nell'ambito del procedimento penale n. 12236/13 R G N R – n. 9476/13 RGGIP avanzata dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Venezia e pervenuta alla Giunta per le autorizzazioni il 4 giugno 2014 si rileva un dato decisamente anomalo;
   precisamente si fa riferimento a quanto segue: «del dato concreto, accertato dalla Guardia di finanza, della disponibilità in quel momento in capo al BAITA di 283 posizioni bancarie attive (e cioè in corso), e del dato concreto, accertato dalla Guardia di finanza, della disponibilità nel personal computer del BAITA di programmi particolarmente evoluti normalmente in uso ad hacker e professionisti informatici in grado di assicurare forme di comunicazioni non rintracciabili; tutti dati che rendevano CONCRETA un'estensione dell'attività criminosa ben più ampia di quella già accertata»;
   orbene, il decreto legislativo n. 231 del 2007, in attuazione della direttiva 2005/60/CE, conferisce all'unità di informazione finanziaria, istituita presso la Banca d'Italia, l'analisi dei flussi finanziari al fine di individuare e prevenire fenomeni di riciclaggio di denaro nonché l'analisi finanziaria delle operazioni sospette segnalate;
   l'articolo 41 del decreto legislativo n. 231 del 2007 introduce una procedura per la segnalazione, obbligatoria, delle operazioni sospette;
   non si ha comunque conoscenza delle segnalazioni effettuate di cui al decreto succitato, e, se queste siano pervenute all'unità di informazione finanziaria;
   non si ha conoscenza di quali inadempienze l'unità di informazione finanziaria abbia riscontrato in relazione alle operazioni poste in essere dal BAITA, per la sua anomalia di 283 posizioni bancarie aperte;
   non si comprende se sia stata o meno effettuata un'analisi dei flussi finanziari riconducibili al BAITA così come previsto dal decreto legislativo n. 231 del 2007 e dal regolamento per l'organizzazione e il funzionamento dell'Unità di informazione finanziaria;
   non si comprende se le autorità preposte al controllo abbiano adempiuto o meno alle proprie prerogative –:
   a fronte di tale preoccupante scenario quali iniziative intenda assumere al fine di rafforzare i presidi normativi per il contrasto di situazioni quali quelle descritte in premessa e indurre gli operatori tenuti alle segnalazioni dei flussi di capitali sospetti a collaborare in maniera più fattiva per l'attuazione dei controlli.
(4-05516)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Banca Marche è capogruppo dell'omonimo gruppo bancario, che comprende anche la Carilo Cassa di risparmio di Loreto spa con sede in Loreto, la Focus Gestioni SGR spa società di gestione del risparmio e la Medioleasing spa costituita nel 2005 ed avente ad oggetto l'esercizio del leasing finanziario ed operativo;
   Banca delle Marche spa è stata costituita tra il 1994 e il 1995 per effetto della fusione fra le Casse di risparmio di Macerata, Pesaro e Jesi, e costituisce il più importante istituto bancario del territorio regionale;
   la compagine societaria vede la partecipazione di alcuni soci rilevanti: le fondazioni Cassa di Risparmio della provincia di Macerata, Cassa di risparmio di Pesaro e Cassa di risparmio di Jesi (le quali complessivamente detengono il 55,8 per cento del capitale) e, inoltre, il Gruppo Intesa Sanpaolo (5,84 per cento) e la Fondazione Carifano (3,35 per cento), e un'importante quota di capitale (circa il 32,1 per cento) è distribuita tra circa 40.000 piccoli azionisti, per lo più clienti di Banca Marche, che investendo propri capitali hanno partecipato al processo che ha condotto negli anni novanta alla privatizzazione della Società;
   la rete commerciale può contare su oltre 300 sportelli presenti nelle Marche, in Umbria, Emilia Romagna, Lazio, Abruzzo e Molise, e circa 3.000 dipendenti;
   con provvedimento del 27 agosto 2013 la Banca d'Italia ha disposto la sospensione, in via temporanea, degli organi con funzioni di amministrazione e controllo di Banca delle Marche, ai sensi dell'articolo 76 del Testo unico bancario, e provveduto a nominare quali commissari della banca Giuseppe Feliziani e Federico Terrinoni, insediatisi il 30 agosto 2013;
   con decreto del 15 ottobre 2013 il Ministero dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia, ha disposto lo scioglimento degli organi con funzioni all'amministrazione e controllo di Banca delle Marche, e la sua sottoposizione alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi dell'articolo 70, comma 1, lettera a) e dell'articolo 98, commi 1 e 2, lettera a) del Testo unico bancario;
   tutto ciò è avvenuto in concomitanza a procedimenti giudiziari ancora in corso per varie ipotesi di reato a carico dell'ultimo Consiglio di amministrazione e dell’ex direttore generale Massimo Bianconi di Banca Marche;
   secondo notizie di stampa sarebbero stati contestati i reati di falso in bilancio, falso in prospetto, ostacolo alla vigilanza, false comunicazioni sociali e appropriazioni indebite e, per alcuni, anche associazione per delinquere, a carico di 27 indagati;
   tali reati avrebbero procurato alla banca marchigiana un buco di bilancio di circa 800 milioni di euro (oltre un miliardo per il bilancio consolidato) che sarebbe stato «coperto» da false informazioni anche alla Consob e a Bankitalia in occasione della proposta di aumento del capitale sociale per 110,5 milioni di euro nel 2012;
   l'inchiesta su Banca Marche sarebbe partita da un doppio esposto dell'istituto di credito su alcuni affidamenti milionari «imprudenti», erogati a imprenditori prevalentemente ma non solo del settore edilizio, spesso in assenza di garanzie sul rimborso oppure con procedure istruttorie incomplete o corredate da perizie non veritiere, o in violazione delle norme interne e di settore;
   le azioni intraprese da Bankitalia a tutela di Banca Marche sembrano essersi risolte, nella realtà, in un ulteriore impoverimento della stessa con l'aumento degli accantonamenti a copertura dei crediti incagliati e in sofferenza che hanno, di fatto, raddoppiato le perdite, incrementandone le passività;
   mentre, infatti, la media degli accantonamenti dei crediti per tutte le banche italiane è stata di circa lo 0,50 per cento per Banca Marche si è arrivati allo 0,97 per cento tanto da lasciar supporre l'intenzione, da parte di Bankitalia, di incentivare una vendita «facile» e poco onerosa di Banca Marche;
   alla luce di quanto esposto il destino di Banca Marche desta non poche preoccupazioni sia nei dipendenti che nelle imprese e nei cittadini della regione, soprattutto con riferimento ai profili occupazionali della vicenda e all'integrità patrimoniale delle risorse impegnate dai correntisti –:
   di quali informazioni il Governo sia in possesso circa la situazione attuale di Banca Marche e la eventualità di una vendita dell'istituto e, nel caso di vendita, quali saranno le ricadute occupazionali. (4-05525)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   SPESSOTTO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   come riportato, di recente, dai principali quotidiani locali del Veneto (si vedano, in particolare, gli articoli apparsi in data 19 settembre 2013 rispettivamente su La Nuova Venezia, pagina 23, e su Il Gazzettino, edizione Venezia, pagina XXII), presso il comune di San Donà di Piave, è stata attuata, negli ultimi dieci anni, in concomitanza con il mandato del sindaco Francesca Zaccariotto, una gestione del personale che ha comportato per il suddetto comune un contenzioso contro i dipendenti, costato finora all'erario somme vicine ai 500.000 euro (cfr. Il Corriere del Veneto, 20 gennaio 2013, pagina 13);
   a fronte delle numerose irregolarità, denunciate da più parti, in merito alla mancata trasparenza nella gestione del personale nel suddetto comune, nell'agosto del 2009, il Ministero per l'innovazione, Ispettorato per la funzione pubblica, concludeva un'indagine dalla quale risultava la cattiva gestione del personale da parte dell'amministrazione di allora (cfr. Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento della funzione pubblica, ispettorato per la funzione pubblica, n. DFP 0035735 P-1.2.5.2 del 14 agosto 2009), sollecitando anche l'intervento della procura generale della Corte dei conti;
   tale attività di amministrazione del personale presso il comune di San Donà, come risulta da accertamento giudiziario, sconfinava, a detta degli interroganti, nel compimento di atti aventi rilevanza penale, quali quelli definibili come «mobbing», con lesioni personali a danno dei dipendenti interessati (cfr. Tribunale di Venezia, sent. n. 1119/2008, sent. n. 1041/2008, entrambe confermate da Corte d'Appello di Venezia, sent. n. 355/2012 e sent. n. 349/2013);
   a titolo di esempio si cita il caso della condanna a carico del comune di San Donà, da parte del giudice del lavoro di Venezia, a seguito del ricorso presentato dalla signora Daniela Pancino per mobbing e lesioni personali (sentenza Tribunale di Venezia n. 1041/2008, aggravata in appello); il comune, a seguito della pronuncia della Corte di Appello di Venezia, è stato condannato al pagamento di circa 70 mila euro a titolo di danno non patrimoniale alla dipendente;
   risulta inoltre agli interroganti che, a seguito di denunce proposte avanti gli organi giudiziari, sia penali che contabili, della provincia di Venezia, siano attualmente pendenti fascicoli che vedono indagata l’ex sindaco di San Donà di Piave — ed attuale presidente della provincia di Venezia — dottoressa Francesca Zaccariotto;
   da ultimo, è di questi giorni la notizia della conclusione dell'indagine condotta da parte della procura di Venezia a carico dell'ex sindaco di San Donà di Piave (VE) Francesca Zaccariotto, del pregiudicato sandonatese Luciano Maritan, e della dirigente comunale Eugenia Candosin — quest'ultima responsabile, all'epoca dei fatti, del personale del comune di San Donà — tutti accusati di concorso in abuso d'ufficio e falso ideologico;
   secondo gli atti della procura di Venezia, all'epoca dei fatti, Francesca Zaccariotto, in qualità di sindaco, previo accordo con Luciano Maritan, istigava Eugenia Candosin, ad avviare al lavoro Maritan, attestando il falso e preferendolo ai 32 candidati che lo precedevano nella graduatoria, omettendo poi di renderla pubblica;
   la vicenda Maritan non rappresenta un caso isolato di irregolarità nella gestione del personale da parte del comune di San Donà, irregolarità più volte e da più parti denunciate presso il comune e la Corte dei Conti;
   come denunciato, in via formale, da un dipendente del comune di San Donà di Piave, tramite esposto depositato presso la stazione di Falcade dei Carabinieri del Veneto, il giorno 9 agosto del 2011, come ratificato con verbale rilasciato dall'ufficiale di P.G. App. Sc. Franco Debertolis, risulta agli interroganti che tra il 2008 ad oggi sarebbero state effettuate nel comune di San Donà alcune assunzioni, o sia stato rinnovato il contratto di assunzione, di dirigenti con rapporto di lavoro con contratto a tempo determinato di diritto privato, in assenza della pubblicazione dei posti disponibili e di alcun bando di selezione;
   l'instaurazione di tali rapporti di lavoro e l'affidamento dei relativi incarichi per chiamata diretta si configurerebbe come illegittimo poiché in contrasto con le sentenze nn. 103 e 104 del 2207 e n. 161 del 2008 della Corte costituzionale, nonché con le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 27 ottobre 2009, n. 150 recante «Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni», la quale norma, in materia di mobilità prevede la predeterminazione di criteri di scelta dell'assumendo e la predisposizione di una graduatoria tra le domande presentate;
   in particolare, come dettagliatamente riportato nell'esposto di cui in premessa, corredato da numerosi allegati, risulta agli scriventi che, in data 5 ottobre 2010, veniva pubblicato dal comune di San Donà di Piave ravviso di assunzione per mobilità tra enti per i posti di dirigente del settore finanze-tributi e di quello dell'anagrafe-polizia locale, posti all'epoca dei fatti occupati fino allo scadere del mandato dell'allora amministrazione locale (giugno 2013);
   alcuni giorni dopo la pubblicazione dell'avviso, un comunicato a firma Di.C.C.A.P.-S.U.L.P.M., pervenuto, tra gli altri, al giornalista Giovanni Cagnassi de La Nuova Venezia e successivamente denunciato come apocrifo, faceva alcune previsioni sul risultato delle procedure di assunzione ventilando l'ipotesi — ripresa anche da alcuni organi di stampa — che essi fossero destinati a «stabilizzare» l'impiego degli allora titolari del posto, assunti con contratto a termine di tipo privatistico;
   in particolare, si prevedeva — nel suddetto comunicato — che l'assunzione per mobilità sarebbe andata deserta e che a seguito di ciò sarebbero stati banditi due pubblici concorsi; vi si prevedeva altresì che per il concorso da dirigente del 2o settore sarebbe risultata vincitrice la dottoressa Danila Sellan, mentre per il 3o settore sarebbe risultato vincitore il dottor Emanuele Muraro, all'epoca dei fatti entrambi titolari, con contratto a tempo determinato, dei rispettivi posti;
   come previsto da quanto indicato nell'articolo di stampa de La Nuova Venezia del 12 ottobre 2010, la procedura di mobilità andava deserta ed il 24 dicembre dello stesso anno veniva bandito il concorso per la copertura dei posti di dirigente di 2o e 3o settore;
   all'esito dell'espletamento dei suddetti concorsi, la graduatoria finale vedeva primi classificati rispettivamente la dottoressa Danila Sellan e il dottor Emanuele Muraro, come correttamente previsto anche dal comunicato citato; con determinazione n. 410 del 12 aprile 2011 veniva infine approvata la graduatoria finale con il risultato sopraddetto;
   risulta inoltre agli interroganti, come denunciato nell'esposto di cui in premessa e riportato a verbale, che si sarebbero verificate gravi irregolarità all'inizio della seconda prova d'esame del concorso per la copertura dei posti da dirigente di 2o e 3o settore, dal momento che, le buste contenenti gli elaborati dei concorrenti non sarebbero state sigillate, e questo in violazione dell'articolo 14, 2° comma, del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487 –:
   alla luce dei fatti riportati in premessa, se e quali ulteriori informazioni i Ministri interrogati possano riferire sulla vicenda sopra descritta e se non ritengano di valutare se sussistano i presupposti per un'ispezione presso la procura della Repubblica di Venezia ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza;
   se si intenda disporre un'ulteriore ispezione dell'ispettorato della funzione pubblica in considerazione delle circostanze riportate nella presente interrogazione e con riferimento alle stesse anche al fine di valutare la persistenza delle problematiche o l'adozione di iniziative per darvi soluzione alla luce delle segnalazioni contenute nell'atto prot. in entrata n. 9064 del 6 marzo 2009 (istruzioni sugli «esposti» dei dipendenti), e nell'atto prot. in entrata n. 32564 del 25 agosto 2009 (relazione conclusiva). (4-05530)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), operando al suo interno una sorta di miniriforma, ha stabilito le nuove competenze dell'albo nazionale degli autotrasportatori nonché nuovi criteri per la composizione del comitato centrale dell'albo stesso;
   la legge di stabilità, in particolare, ha aumentato le competenze dell'albo nell'ottica di realizzare un maggior controllo sul possesso dei requisiti richiesti alle imprese di autotrasporto per esercitare la professione ma anche di verificare in modo più preciso lo svolgimento della loro attività economica;
   tra i nuovi compiti il più rilevante appare quello di verificare l'adeguatezza e regolarità delle imprese iscritte, in relazione alle modalità concrete di svolgimento dell'attività economica e alla congruità fra il parco veicolare e il numero dei dipendenti autisti, nonché alla regolarità della copertura assicurativa dei veicoli, anche mediante l'utilizzazione dei dati presenti nel Ced presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dei collegamenti telematici fra i sistemi informativi di Inail, Inps e camere di commercio;
   è evidente, quindi, che il ruolo del comitato centrale è fondamentale, in quanto esso è l'organo di direzione dell'albo presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dovrebbe garantire la massima rappresentatività per la categoria, specie alla luce di così nuovi e delicati compiti;
   a marzo 2014 si è conclusa la fase istruttoria per l'insediamento del nuovo comitato centrale; all’iter manca quindi solo l'atto conclusivo rappresentato da un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti che nominerà tutti i componenti effettivi e supplenti del comitato centrale;
   ad oggi la situazione è ancora ferma e nelle ultime settimane diverse associazioni di autotrasportatori, tra le quali Assotrasporti/Fiap-M, Azione nel Trasporto Italiano, Un.i.coop Trasporti, Cepi-Uci, lamentano la mancanza di trasparenza da parte del Ministro interrogato;
   le stesse associazioni avevano già denunciato la poca democrazia del processo di riforma dell'albo previsto dall'ultima legge di stabilità, in quanto, a loro avviso, tendente ad escludere le associazioni minori dalle cariche e quindi limitare la rappresentatività degli autotrasportatori che dovrebbe lasciare spazio anche alle voci minori, ma più vicine alla realtà e ai trasportatori stessi –:
   quali siano le ragioni per cui non è ancora stato emanato il decreto ministeriale di cui in premessa e quindi aggiornato il portale istituzionale dell'albo degli autotrasportatori, al fine di garantire una maggiore trasparenza a chi opera in questo settore;
   se non ritenga opportuno un ragionamento maggiormente approfondito intorno alla figura dell'albo nazionale degli autotrasportatori, magari sostenuto da una proposta di riforma della normativa vigente, alla luce delle diverse opposizioni che hanno interessato la categoria dopo l'approvazione della legge di stabilità 2014. (4-05520)


   CRISTIAN IANNUZZI, NICOLA BIANCHI, DE LORENZIS e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la mobilità è un diritto tutelato dalla Costituzione (articolo 16) e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (protocollo n. 4, articolo 2);
   il quadrante Est di Roma sopporta, da decenni, un peso insediativo di abitanti in continua espansione, che grava sulla rete viaria esistente, formata dalle strade Casilina, Prenestina, Collatina, Tiburtina e dal tratto urbano dell'autostrada A24;
   i lavori di adeguamento della rete viaria rispondono solo parzialmente alle crescenti esigenze degli abitanti della zona: l'allargamento, in sede, della via Tiburtina (dal Km 9,300 al Km 15,800) sarà ultimato solamente fra 3 anni; la linea FR2, a doppio binario dalla stazione Tiburtina a Lunghezza, nelle ore di punta, non è sufficiente a fornire un servizio paragonabile alle metropolitane; il prolungamento della metro B, previsto a servizio dell'Asse Tiburtino, è stato cancellato, mentre ancora non si hanno certezze in merito alla messa in esercizio della metro C;
   in tale contesto, al fine di risolvere almeno parzialmente le esigenze del traffico nella zona, 10 anni fa venivano progettate le complanari alla autostrada A24;
   il 15 dicembre 2004 il Ministro dei trasporti, il presidente della regione Lazio, il presidente della provincia di Roma e il sindaco di Roma firmavano un protocollo d'intesa per realizzare due complanari alla A24, da Lunghezza a via Palmiro Togliatti, dichiarando: «i pendolari del quadrante est della città avranno una viabilità più scorrevole e non dovranno più pagare il pedaggio autostradale»;
   nel mese di aprile 2014 sono state completate le complanari all'autostrada A24, che, nonostante gli intenti delle parti contraenti al momento della sottoscrizione del protocollo di intesa, prevedono il pagamento di un pedaggio per chi vi accede dai caselli di Lunghezza, Ponte di Nona e Settecamini;
   al contrario, l'accesso alle complanari è libero per chi vi accede dal Grande Raccordo Anulare;
   si realizza di fatto una discriminazione ingiustificata nei confronti dei residenti del VI e IV Municipio di Roma Capitale, a tutti gli effetti cittadini romani al pari di chi risiede all'interno del Grande Raccordo Anulare;
   non si comprende la ragione di tale discriminazione, atteso il fatto che l'opera è stata finanziata, per circa due terzi, con soldi pubblici; il suo costo, pari ad euro 273.339.558,00 è stato così ripartito: 85.000.000,00 a carico degli enti territoriali, 80.000.000,00 a carico dell'ANAS e la parte restante a carico della società Strada dei Parchi S.p.A.;
   a fronte delle rimostranze manifestate dalla cittadinanza in merito al pagamento del pedaggio nel tratto stradale in questione, la società concessionaria dell'opera, Autostrada dei Parchi, ha dichiarato che il pagamento del pedaggio per l'accesso alle complanari dell'A24 è previsto ab origine dall'accordo contrattuale sottoscritto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   se sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   se corrisponda al vero la circostanza che il pedaggio relativo alle complanari dell'Autostrada A24 nella zona indicata in premessa sia stato oggetto di accordo tra codesto Ministero e la società concessionaria, Strada dei Parchi spa;
   in caso tale affermazione corrisponda al vero, se sia possibile rinegoziare tale accordo, al fine di scongiurare l'ennesima tassa occulta a carico dei cittadini.
(4-05522)


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, recante interventi urgenti di avvio del piano «Destinazione Italia» convertito dalla legge n. 9 del 2014 ha revocato le assegnazioni disposte dal CIPE con le delibere n. 146 del 17 novembre 2006 e n. 33 del 13 maggio 2010;
   le risorse revocate riguardano rispettivamente un contributo quindicennale di 6,258 milioni di euro annui per il finanziamento del progetto «Completamento schema idrico Basento-Bradano: attrezzamento settore G», di cui risultano utilizzabili, secondo quanto riportato nella relazione tecnica, dieci annualità, pari a 62,580 milioni di euro, ed il tronco di Acerenza – distribuzione 3o lotto: l'opera si sviluppa dalla diga di Genzano alla vasca del Marascione. Gli interventi previsti completano la linea di adduzione dello schema idrico Basento-Bradano e realizzano un primo stralcio di distribuzione irrigua nel distretto B nel territorio del consorzio di Bonifica Vulture-Alto Bradano (Potenza) per un importo pari a 104,50 milioni di euro;
   l'interrogante sulla questione aveva già presentato un'interrogazione a risposta in Commissione (5-00334) nella quale chiedeva quali azioni urgenti intenda porre in essere per garantire il completamento dell'infrastruttura che garantirebbe un più efficace ed efficiente utilizzo delle risorse idriche, contribuendo allo sviluppo del comparto agro-industriale lucano e al rilancio del settore edile della Basilicata;  
   la risposta del Governo fu di assicurare che entro i primi mesi del 2014 avrebbero dovuto partire tutte le opere principali relative allo schema idrico Basento-Bradano;
   nel mese di giugno 2014 si apprende da organi stampa che il presidente della regione Basilicata ha incontrato il Governo per affrontare i nodi irrisolti dello schema idrico Basento-Bradano e addivenire a una accelerazione per la nomina di un commissario ad acta per la gestione del progetto «Marascione» ed, a quanto pare, le risorse sarebbero state individuate in un «decreto sviluppo», ma l'unico provvedimento varato dal Governo che riguarda la competitività, il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, non ha stanziato nulla in merito;
   invece il cantiere della cosiddetta diga di Marascione non si è sbloccato per un problema dovuto al soggetto attuatore –:
   qual sia l'attuale stato di attuazione del progetto «Completamento schema idrico Basento-Bradano: attrezzamento settore G» e del tronco di Acerenza – distribuzione 3o lotto;
   quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di sbloccare il cantiere tronco di Acerenza -distribuzione 3o lotto diga Marascione, e garantire le risorse finanziarie del completamento schema idrico Basento-Bradano. (4-05524)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PISICCHIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 14 luglio 2014 nel centro storico di Bari sono stati esplosi da una pistola calibro 7,65 quattro proiettili, i cui bossoli sono stati rinvenuti dalle forze dell'ordine insieme con un casco da motociclista;
   il fatto che, fortunatamente, nessun proiettile abbia colpito persone, non sottrae gravità all'episodio che si è verificato nel cuore della «movida» barese, nei pressi di una delle piazze più affollate da giovani e turisti;
   l'episodio, inquietante e non isolato, mette in crisi la percezione della sicurezza nella città capoluogo pugliese, creando danni anche al commercio locale, già duramente provato dalla crisi –:
   quali urgenti iniziative di competenza il Ministro intenda assumere per contribuire a far luce sull'episodio di violenza, ancorché fortunatamente privo di vittime, al fine di ripristinare nella cittadinanza e negli ospiti che frequentano la città nel periodo estivo il necessario senso di sicurezza della propria incolumità. (4-05521)


   LOREFICE, GRILLO, MANTERO, SILVIA GIORDANO, CECCONI, DALL'OSSO e DI VITA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Pozzallo, sede di un centro di primo soccorso e accoglienza molto importante in Sicilia per la posizione strategica, in questi giorni sono stati ritrovati nei cassonetti della spazzatura decine di portate di cibo ancora cellophanate provenienti dal CPSA;
   su tali fatti stanno indagando i carabinieri della compagnia di Modica ed è stata anche aperta un'inchiesta amministrativa interna alla struttura per verificare la corrispondenza tra il numero di pasti fornito quotidianamente e il numero degli ospiti del centro, nonché per verificare il rispetto delle tradizioni religiose dei migranti attraverso una giusta scelta degli alimenti;
   il capitolato speciale d'appalto tra il comune di Pozzallo e la ditta Gran Menù, vincitrice della gara per il servizio di ristorazione in favore degli ospiti del CPSA con scadenza 31 agosto 2014, prevede la consegna di pasti agli ospiti nei locali del CPSA destinati a mensa tre volte al giorno, e precisamente la colazione dalle 8:00 alle 8:30, il pranzo dalle 12:00 alle 13:00 e la cena dalle 18:30 alle 19:00;
   il contratto prevede altresì che nella scelta degli alimenti dovranno essere rispettati tutti i vincoli costituiti dalle regole alimentari dettate dalle diverse scelte religiose;
   non è menzionata invece in tale contratto la gestione di eccedenze e avanzi dei pasti eventualmente somministrati –:
   se non ritenga opportuno estendere l'operatività delle linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica del 29 aprile 2010 al servizio mensa per i migranti, in particolare gestendo le eccedenze alimentari attraverso iniziative di solidarietà per la destinazione del cibo ad enti assistenziali, evitando in tal modo che numerose pietanze finiscano nella spazzatura;
   se, di concerto con il Prefetto, per quanto di competenza, nel rispetto della libertà di religione dei migranti, non intenda prendere in considerazione la possibilità di modificare gli orari di distribuzione dei pasti, conseguentemente a particolari periodi di preghiera come quello attuale del ramadan;
   se non ritenga opportuno verificare che vengano distribuite pietanze non in contrasto con i principi e le abitudini alimentari e culturali dei migranti, ad esempio attraverso la sostituzione della pasta con il riso. (4-05523)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 7 agosto 2013 alcuni deputati del Movimento cinque stelle hanno presentato un'interpellanza parlamentare per chiedere alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'interno di procedere allo scioglimento del consiglio provinciale di Salerno ai sensi dell'articolo 143 del testo unico degli enti locali;
   in particolare, prendendo spunto da un avviso di garanzia che l'onorevole Edmondo Cirielli aveva ricevuto l'interpellanza chiedeva l'immediato scioglimento di Palazzo Sant'Agostino e il suo commissariamento;
   nell'atto di sindacato ispettivo si denunciava la sussistenza di elementi che avrebbero fatto supporre il rischio della presenza di infiltrazioni camorristiche all'interno dell'amministrazione provinciale di Salerno;
   la vicenda giudiziaria riportata nell'interpellanza si è conclusa con una rapidissima richiesta di archiviazione che il pubblico ministero della procura della Repubblica di Salerno ha avanzato al giudice per le indagini preliminari per infondatezza della notizia di reato e che è stata accolta lo scorso 14 dicembre 2013;
   nonostante ciò, e anche a causa di un'insistente richiesta da parte dello stesso onorevole Cirielli, l'interpellanza parlamentare a prima firma dell'onorevole Tofalo ha ricevuto una risposta dal Ministro dell'interno nella seduta n. 202 del 1o aprile, dopo oltre quattro mesi dall'avvenuta archiviazione del procedimento;
   in tale occasione il Sottosegretario di Stato, Gianpiero Bocci, ha finalmente chiarito la vicenda e, conseguentemente, l'infondatezza delle accuse rivolte all'amministrazione provinciale presieduta dall'onorevole Cirielli;
   nella sua relazione, però, il Governo non si è limitato a chiarire i fatti denunciati nell'interpellanza, ma ha inopinatamente arricchito il suo intervento con fatti giudiziari che non riguardavano né l'onorevole Cirielli, né la sua amministrazione, che, anzi, proprio relativamente alle vicende narrate dal Sottosegretario, ha fornito notoriamente un contributo importante, prestando piena collaborazione con le autorità inquirenti;
   si legge, infatti, nel resoconto della seduta che «un ulteriore processo, scaturito da una complessa ed articolata attività investigativa denominata “Due torri”, che non vede coinvolto l’ex presidente della provincia, ha evidenziato l'esistenza di un sistema illecito di aggiudicazione degli appalti banditi dalla provincia di Salerno e da altri enti pubblici, tra gli anni 2002 e il 2009»;
   l'accostamento delle due vicende, tra loro estranee, appare all'interrogante certamente fuorviante e offensivo, sebbene indirettamente, nei confronti, oltre che dello stesso onorevole Cirielli, in particolare, dell'amministrazione provinciale in carica, i cui membri, peraltro, non hanno mai subito alcun coinvolgimento in tali indagini e, peraltro, mai alcun esito giudiziario per nessuno degli atti posti in essere durante i cinque anni di mandato;
   suddetta amministrazione provinciale si è, anzi, costituita parte in giudizio proprio contro i protagonisti dell'inchiesta «Due torri»; molti sono rappresentanti politici esponenti del PD –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   per quale motivo la risposta all'interpellanza n. 2-00184 sia arrivata solo a distanza di ben otto mesi dalla data di deposito dell'atto di sindacato ispettivo e di quattro mesi dall'archiviazione del procedimento penale che vedeva indagato l'onorevole Cirielli;
   per quale motivo nella risposta del Governo vengano forniti dati non attinenti né alla vicenda giudiziaria richiamata, né all'amministrazione in carica e che, anzi, rischiano di contribuire a inquinare la credibilità personale e politica dell’ex presidente della provincia di Salerno, nonché il suo operato e quello della sua amministrazione, che si sono sempre contraddistinti per legalità, trasparenza e coerenza. (4-05526)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata:


   LIBRANDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 30 dicembre 2010, n. 240, all'articolo 2, comma 2, lettera l), fa riferimento a: «rafforzamento dell'internalizzazione anche attraverso una maggiore mobilità dei docenti e degli studenti, programmi integrati di studio, iniziative di cooperazione interuniversitaria per attività di studio e di ricerca e l'attivazione, nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, di insegnamenti, di corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua straniera»;
   il processo di Bologna del 1999 tra i suoi obiettivi cita:
    a) promozione della mobilità (per studenti, docenti, ricercatori e personale tecnico-amministrativo) mediante la rimozione degli ostacoli al pieno esercizio della libera circolazione;
    b) promozione di un'indispensabile dimensione europea dell'istruzione superiore: sviluppo dei piani di studio, cooperazione fra istituzioni universitarie, programmi di mobilità, piani di studio integrati, formazione e ricerca;
   il comunicato di Bucarest del 2012 e, in particolare, il punto 5 del capitolo 8 «Adotteremo misure per eliminare gli ostacoli alla mobilità ancora esistenti» recita: «Sosteniamo l'insegnamento delle lingue straniere a tutti i livelli, a partire dall'istruzione primaria, in quanto prerequisito per la mobilità e l'internazionalizzazione. Inoltre, sosteniamo fortemente il miglioramento delle capacità linguistiche dei docenti»;
   inoltre, va segnalata la recente approvazione da parte del Parlamento europeo del programma quadro per la ricerca e l'innovazione Horizon 2020 attraverso il quale almeno la metà dei fondi strutturali e d'investimento europei deve essere dedicata alla ricerca (70,2 miliardi di euro stanziati in totale), per cui il sistema italiano dovrà necessariamente attrezzarsi soprattutto dal punto di vista della ricettività internazionale, accentuando la dimensione europea del programma nazionale per la ricerca, coinvolgendo, oltre alle regioni, le amministrazioni centrali, le imprese, in primo luogo le università e gli enti di ricerca;
   la sentenza del tribunale amministrativo regionale della Lombardia (sentenza n. 01348/2013), che annulla la delibera adottata in data 21 maggio 2012 dal senato accademico del Politecnico di Milano, riguardante le linee strategiche di ateneo 2012-2014, nella parte in cui ha approvato la mozione sull'adozione della lingua inglese per i corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca a partire dall'anno accademico 2014-2015, ritenendola in contrasto con l'articolo 271 del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, recante l'approvazione del testo unico delle leggi sull'istruzione superiore, che prevede che «la lingua italiana è la lingua ufficiale dell'insegnamento e degli esami in tutti gli stabilimenti universitari»;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore, e il Politecnico di Milano, in persona del rettore pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, hanno presentato appello al Consiglio di Stato (n.r.g. 5151/2013) avverso la sentenza del tribunale amministrativo regionale della Lombardia (sentenza n. 01348/2013);
   in un panorama accademico e lavorativo ormai globalizzato, l'internazionalizzazione è un obiettivo prioritario grazie al quale l'Italia potrà continuare a garantire nel futuro un livello formativo competitivamente adeguato alle esigenze degli studenti e la stessa internazionalizzazione formativa, per essere efficace, deve essere accompagnata da un'internazionalizzazione linguistica, riconoscendo in modo trasversale, che quella inglese, oltre a essere una delle lingue ufficiali dell'Unione europea, è la lingua più utilizzata nel mondo e mezzo più comunemente utilizzato per l'espressione dei concetti del sapere scientifico;
   proprio alla luce dei già citati accordi del processo di Bologna, un percorso formativo universitario, in particolare se di carattere tecnico-scientifico, potrà essere efficacemente svolto nei primi tre anni in lingua italiana e nei due successivi anni del percorso specialistico integralmente in lingua inglese, in Italia o in un altro Paese europeo;
   infine, una delle modalità più efficaci per il sistema universitario italiano di essere attrattivo per i migliori studenti del resto del mondo è proprio quella di offrire percorsi formativi in lingua inglese, così come avviene nelle migliori università dell'Unione europea e del mondo; infatti, nel caso del Politecnico di Milano, con l'attuazione delle nuove regole e l'introduzione dei corsi di laurea magistrale del medesimo ateneo in lingua inglese, ben 7.150 studenti internazionali hanno proposto domanda di iscrizione, dei quali i migliori 2.562 sono stati ammessi; tali studenti eccellenti, per effetto del procedimento contenzioso in atto, rischiano di non vedere avviato il corso di laurea per il quale hanno domandato l'iscrizione e per cui stanno programmando il proprio arrivo nel nostro Paese, con evidenti conseguenze negative per la credibilità dell'Italia proprio nel corso del semestre italiano di Presidenza dell'Unione europea –:
   quali iniziative intenda mettere in atto affinché, da un lato, si risolva l'evidente antinomia tra l'articolo 271 del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, «Testo unico delle leggi sull'istruzione superiore», e i testi normativi e di indirizzo sopra citati, e, dall'altro, si risponda all'esigenza di internazionalizzazione del sistema formativo italiano di livello universitario e di svolgimento ordinato dei corsi di laurea magistrali ai quali molte migliaia di studenti, italiani e stranieri, si sono già iscritti. (3-00949)


   CENTEMERO e PALESE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è stata annunciato un forte cambiamento della scuola italiana dal Governo Renzi, che, a nome del Sottosegretario Reggi sulle pagine di un quotidiano nazionale, ha annunciato un nuovo orario di servizio per tutti i docenti, in base al quale verranno impegnati per 36 ore a settimana con auspicabili aumenti di stipendio;
   si vorrebbero tenere aperte le scuole dalle 7 alle 22 e 11 mesi su 12, prevedendo un incremento del lavoro degli insegnati, ma non quantificando il conseguente aumento di stipendio e senza far riferimento all'ulteriore utilizzo del personale ausiliario, tecnico e amministrativo per l'apertura delle scuole;
   come ha precisato anche il Sottosegretario per l'istruzione, l'università e la ricerca Roberto Reggi, agli insegnanti verrà richiesta una disponibilità a lavorare di più nella giornata e nell'anno scolastico per la formazione, per le attività organizzative e amministrative, i corsi di recupero, attività finora non riconosciute, attraverso la formalizzazione e la contrattualizzazione di un orario di servizio differente dalle 18 alle 24 ore o di un monte ore annuale per le attività in oggetto, il tutto prevedendo, anche per i docenti, come per tutti i dipendenti pubblici, un orario lavorativo pari a 36 ore settimanali;
   il Sottosegretario Reggi ha, inoltre, semplicemente affermato che chi darà maggiore disponibilità avrà un premio maggiore, così come funziona per le altre professioni, senza far nessun riferimento alla qualità della formazione degli studenti, alla valutazione e al monitoraggio dei progetti e delle attività svolte dai docenti nelle sopraddette attività, ai fini della reale efficacia dei servizi;
   non è dato sapere se le 36 ore in oggetto includano le ore funzionali all'insegnamento previste dall'articolo 29 del contratto e che i docenti già impiegano per le attività non strettamente legate alla lezione frontale, quali la progettazione e la programmazione di lezioni, la correzione dei compiti, il supporto all'organizzazione scolastica, attraverso una diversa modulazione del monte ore annuale legato alla funzione docente, e se le sopra citate 36 ore comprendano le supplenze brevi;
   la scuola deve incentrare la propria azione formativa sugli studenti e sugli insegnanti, che, con la qualità del loro insegnamento, concorrono e contribuiscono alla formazione degli alunni;
   è necessario puntare sulla qualità della formazione, sull'innovazione, sulla valorizzazione della professionalità di docenti e dirigenti, prevedendo una valutazione dei requisiti di competenza nell'esplicazione dell'attività scolastica e nella capacità di insegnare, raggiungendo gli obiettivi previsti dalle indicazioni nazionali e dalle linee guida, come delineate nel piano dell'offerta formativa di ciascuna istituzione scolastica;
   la formazione dei docenti è riservata alle università, mentre i processi di selezione e di assunzione del personale sono competenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e, secondo l'articolo 97 della Costituzione, si accede ai pubblici uffici mediante concorso;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 2010 ha previsto i tirocini formativi attivi, come percorsi di formazione e di individuazione dei docenti per le scuole secondarie, che sono oggi al II ciclo, e contemporaneamente il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha bandito i percorsi abilitanti speciali, come sanatoria per il personale privo di abilitazione che aveva prestato servizio nelle istituzioni scolastiche per 3 anni, ma senza una reale valutazione dell'idoneità all'insegnamento;
   è necessaria e fondamentale una valutazione delle istituzioni scolastiche e alla luce di standard individuati a livello nazionale, per favorire il miglioramento continuo dell'offerta formativa e della qualità del processo di insegnamento-apprendimento, e non soltanto tramite l'Invalsi, ma anche mediante un'azione degli ispettori e mediante un organo di valutazione professionale, all'interno della scuola, che sia garanzia dello sviluppo della professione e che sappia escludere con i mezzi e le tutele opportuni coloro che non possono essere definiti insegnanti;
   il contratto collettivo nazionale di lavoro del 2006-2009 non è stato rinnovato e prevede all'articolo 26 la funzione docente, all'articolo 27 il profilo professionale del docente, all'articolo 28 le attività di insegnamento, all'articolo 29 le attività funzionali all'insegnamento e all'articolo 30 le attività aggiuntive e le ore eccedenti;
   il progetto di ampliare l'orario degli insegnanti dovrebbe essere previsto attraverso un nuovo contratto di lavoro e non può prescindere dall'individuazione di un nuovo stato giuridico dei docenti, che va definito per legge, deve affermare i valori e i principi su cui fondare la professionalità del docente a tutti i livelli e deve affermare una carriera articolata su più livelli e fondata sulla professionalità raggiunta e sulle competenze certificate;
   sarebbe opportuno che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca fornisse dati aggiornati che comparino lo stato giuridico, il carico di lavoro, la retribuzione e la valutazione dei docenti italiani in rapporto ai loro colleghi degli Stati membri dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa –:
   come e in che tempi il Governo intenda attivarsi per realizzare una riforma complessiva della professionalità del docente – dalla formazione, al reclutamento, allo stato giuridico – che abbia come obiettivo e che garantisca la qualità del livello d'istruzione nelle scuole con riferimento agli standard nazionali.
(3-00950)


   DI LELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in riferimento al concorso a cattedra indetto con decreto del direttore generale n. 82 del 24 settembre 2012 ed alle graduatorie di merito da esso scaturite, con decreto ministeriale n. 356 del 23 maggio 2014 il Ministro interrogato, raccogliendo le sollecitazioni anche dell'interrogante, ha positivamente disposto lo scorrimento delle stesse oltre i posti messi a bando;
   in alcune regioni, tra le quali Sicilia, Lazio e Toscana, la pubblicazione delle graduatorie di merito risale a pochi giorni fa;
   nelle regioni del Sud è presente nelle graduatorie di merito gran parte dei 13.000 idonei al concorso e c’è un divario con le effettive disponibilità proprio in quelle regioni;
   applicando le aliquote del 2013, in alcune regioni e per alcune classi di concorso, presumibilmente il citato decreto ministeriale potrà essere funzionale non prima di qualche anno;
   a partire dal 2004, con l'articolo 3-bis del decreto-legge n. 97 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 143 del 2004, è stata creata una graduatoria di specializzati nel sostegno presenti nelle graduatorie di merito concorsuali, come da decreti direttoriali 31 marzo 1999 e 1o aprile 1999, da utilizzare, in subordine agli specializzati che abbiano dichiarato il titolo all'atto del concorso, qualora la gra- duatoria di questi ultimi fosse esaurita; gli uffici scolastici regionali si stanno comportando in maniera differenziata nei riguardi dell'estensione di questa norma all'ultimo concorso 2012, concorso che, evidentemente, non poteva essere previsto da una disposizione scritta precedentemente alla sua indizione, disposizione estesa, peraltro, al concorso del 1990 non esplicitamente individuato all'interno dalla stessa legge, facendo ritenere automatica questa estensione;
   chiunque abbia superato un concorso pubblico ha diritto ad essere immesso in ruolo, indipendentemente dalla regione di appartenenza e dalla classe di concorso per la quale è risultato idoneo;
   fino al concorso antecedente a quello del 2012, cioè quello del 1999, chiunque avesse superato le prove concorsuali era automaticamente abilitato ed è poi entrato di diritto nelle ex graduatorie permanenti, ora graduatorie ad esaurimento, avendo così l'immissione in ruolo garantita, mentre per il concorso del 2012 nessuna delle due cose è stata prevista;
   il bando concorsuale, come da decreto del direttore generale n. 82 del 24 settembre 2012, prevede il conferimento dell'abilitazione a seguito dell'immissione in ruolo, prescrizione che appare anacronistica nel momento in cui quest'ultima sia stata slegata dai numeri presenti a bando;
   la paventata chiusura a docenti non abilitati delle future selezioni concorsuali lederebbe il diritto dei docenti che hanno superato un concorso pubblico, eventualmente ancora residualmente presenti nelle graduatorie, a partecipare alle successive selezioni, generando la possibilità di contenziosi su cui sembra ragionevole porre preventivo rimedio;
   risulta in via di definizione il pensionamento in data 1o settembre 2014 dei docenti appartenenti alla cosiddetta «quota 96», operazione che permetterebbe l'incremento delle assunzioni di docenti previste per l'imminente anno scolastico –:
   quali azioni intenda intraprendere il Governo per garantire l'immissione in ruolo di tutti i presenti nelle graduatorie di merito del concorso a cattedra indetto con decreto del direttore generale n. 82 del 24 settembre 2012 e dare, dunque, piena attuazione, nel più breve tempo possibile, indipendentemente dalla regione o dalla classe di concorso di appartenenza, al decreto ministeriale n. 356 del 23 maggio 2014, richiamato in premessa, anche in relazione al numero di immissioni in ruolo previste per i prossimi anni scolastici, al riconoscimento dell'abilitazione ai docenti che abbiano superato le selezioni concorsuali ed alla creazione ed utilizzo della graduatoria aggiuntiva sul sostegno relativa a questa procedura concorsuale.
(3-00951)


   CALABRÒ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   come si è appreso durante una recente audizione del Ministro interrogato al Senato della Repubblica, il bando per accedere alle scuole di specializzazione in medicina sarà pubblicato entro il 31 luglio 2014 e le prove di ammissione si svolgeranno nel mese di ottobre 2014;
   per l'anno accademico 2013-2014 gli studenti universitari, in maniera del tutto anomala, accederanno alle scuole ad anno già concluso;
   con la legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014) e con il decreto-legge n. 90 del 2014 sono stati stanziati fondi necessari a coprire i 5 mila contratti –:
   come si intenda articolare la formazione tecnico-pratica per gli studenti assegnatari dei contratti per l'anno accademico 2013/2014, considerando anche il necessario inizio in tempi brevi del successivo anno accademico 2014/2015.
(3-00952)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo n. 509 del 1994 gli enti previdenziali sono stati trasformati in associazioni o in fondazioni con deliberazione dei competenti organi, a condizione che non usufruissero più di finanziamenti o altri ausili pubblici di carattere finanziario (articolo 1 del decreto legislativo n. 509 del 1994);
   pur continuando a sussistere come enti senza scopo di lucro assumevano personalità giuridica di diritto privato, rimanendo così titolari di tutti i rapporti attivi e passivi dei corrispondenti enti previdenziali e dei rispettivi patrimoni (si veda l'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 509 del 1994);
   le associazioni o le fondazioni hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell'attività svolta (articolo 2.1 del decreto legislativo n. 509 del 1994);
   infatti, la sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 6014 del 2012, ha chiarito una volta per tutte che la trasformazione operata dal decreto legislativo n. 509 del 1994 ha lasciato, quindi, immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza e assistenza svolta dagli enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all'interesse pubblico, costituendo la privatizzazione un'innovazione di carattere essenzialmente organizzativo;
   a seguito dell'interpellanza urgente n. 2-00062, presentata dalla firmataria del presente atto e discussa nella seduta n. 22 del 23 maggio 2013, alla quale ci si riporta integralmente, ha risposto in rappresentanza del Governo il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Carlo Dell'Aringa;
   la risposta fornita a suo tempo non ha soddisfatto l'interpellante e, per tali motivi, era stata presentata nella seduta n. 31 dell'11 giugno 2013 la mozione ex articolo 138 comma 2 n. 1-00092, con l'intento di impegnare il Governo ad intervenire sulle problematiche relative alla dismissione del patrimonio immobiliare, sospendere gli sfratti, verificare la legittimità della persona che ricopre il ruolo di Presidenti dell'Enasarco rispetto ai requisiti richiesti e intervenire sulla gestione finanziari;
   l'interpellante, sollecitata dagli inquilini e dagli iscritti alle casse, ha inviato una missiva all’ex Ministro Giovannini, in data 14 ottobre 2013, ricevendo in pari data la seguente risposta: «Ferma restando l'autodeterminazione delle Casse nella selezione delle scelte di realizzo del fine di interesse pubblico, indubbiamente rientra nelle attribuzioni delle Amministrazioni vigilanti verificare il conseguimento del risultato ottenuto nonché la piena legittimità delle procedure intraprese, improntate a criteri di trasparenza e professionalità degli operatori (...). L'attività di vigilanza sopra richiamata non ha lasciato emergere, fino ad oggi, elementi che possano indurre a ravvisare, da parte delle Casse, la propensione ad una sistematica supervalutazione del patrimonio immobiliare, né di conseguenza può sostenersi che tale ipotizzata anomalia abbia determinato un'alterazione delle poste di bilancio, formalmente certificato da società di revisione, nonché verificato dagli organi di controllo interni agli enti e infine sottoposto al vaglio di questo Ministero e del covigilante Ministero dell'economia e delle finanze (...). Quanto (...) al caso Enasarco e alle operazioni mobiliari intraprese dall'ente, rappresenta che questa Amministrazione ha da tempo posto sotto osservazione la gestione degli investimenti e le obbligazioni strutturate, coinvolgendo la Covip nell'attività di verifica e indagine ispettiva. Il referto della Commissione che ha valutato le attività finanziarie dal novembre 2006 al 2012, ha messo in evidenza alcuni profili degni di ulteriore approfondimento, senza tuttavia rilevare alcuna chiara fattispecie di illecito tali da configurare possibili responsabilità amministrative o addirittura penali (...). Le illustrate verifiche sono oggi valutabili alla luce dei generali criteri di sana e trasparente gestione, improntata a scelte prudenziali, in ragione del fine pubblico perseguito dagli enti gestori della previdenza obbligatoria»;
   il 18 settembre 2013 è stata discussa la mozione ex articolo 138 comma 2 n. 1-00092 concludendosi con la votazione del 9 dicembre 2013 il cui esito è stato quello di respingere l'atto;
   l'interpellante, nuovamente sollecitata dagli inquilini e da un loro sindacato di categoria ASIA USB, oltre che dagli iscritti alle casse e da un loro sindacato di categoria FederAgenti, ha inviato ulteriormente una missiva in data 3 dicembre 2013, sollecitando la risposta alla gravose perplessità nei propri atti parlamentari: all’ex Ministro del lavoro e delle politiche sociali Enrico Giovannini, all’ex Ministro dell'economia e delle finanze Fabrizio Saccomanni e al sottosegretario rapporti con il Parlamento e coordinamento attività del Governo Maria Teresa Amici, soprattutto in considerazioni della gestione finanziaria dell'Enasarco con particolare riferimento agli «investimenti alternativi» sui quali vi sono molti punti oscuri;
   il 30 gennaio 2014, vi è stata l'audizione in Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, del Presidente e del direttore generale della fondazione Enasarco, Brunetto Boco e Carlo Bravi, ai quali il senatore del Movimento 5 Stelle Sergio Puglia ha esposto una serie di quesiti legati agli investimenti finanziari della Fondazione che ancora oggi attendono risposta;
   preme evidenziare che la stessa fondazione in tale sede, per dimostrare la correttezza del proprio operato ha affermato che: «Infine, preme precisare che la trasparenza della gestione finanziaria della Fondazione è assicurata dalla presenza coordinata di norme e procedure di investimenti e di controllo, sia interne sia a cura delle autorità vigilanti. Per i controlli esterni, la vigilanza è assicurata dalle norme in essere attraverso un meccanismo articolato e stringente di vigilanza, così composti:
    vigilanza Ministero del lavoro;
    vigilanza del Ministero dell'economia;
    vigilanza della Covip;
    vigilanza della Corte dei conti;
    revisione contabile e certificazione del bilancio a cura di società indipendenti;
    presenza nel Consiglio di amministrazione del rappresentante del Ministero del lavoro;
    presenza nel Collegio dei sindaci del rappresentante del Ministro del lavoro, con funzioni di presidente;
    presenza nel Collegio dei sindaci del rappresentante del Ministro dell'economia;
   il 4 marzo 2014 l'odierna interpellante presentava nella seduta n. 182 anche un'interrogazione a risposta scritta n. 4-03804, rivolta al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze, sull'operato della Covip come previsto dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 con cui è stato attribuito alla Commissione anche compiti di controllo sugli investimenti finanziari e sul patrimonio delle Casse professionali private e privatizzate;
   nulla è stato chiarito da nessuno degli organi di vigilanza o soggetti preposti al controllo degli enti previdenziali privatizzati anzi, vi è un rimpallo finalizzato a generare confusione nonostante i fatti di cronaca sugli investimenti scellerati realizzati da alcune Casse professionali privatizzate, che invero, dovrebbero garantire la pensione ai propri iscritti e che al contrario determinano perdite ingenti a danno dei contribuenti;
   all'interno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali la vigilanza tecnico-finanziaria sulle attività correnti e sulla gestione patrimoniale degli enti previdenziali è affidata alla direzione generale per le politiche previdenziali e assicurative il cui direttore generale è il dottor Edoardo Gambacciani, quest'ultimo soggetto di un nuovo atto di sindacato ispettivo (vedi interrogazione a risposta scritta 4-04184 del 25 marzo 2014), da parte degli interpellanti, che ad oggi non ha risposta, a dispetto dei semplici quesiti posti: 1) se esista un rapporto di parentela tra il dottor Edoardo Gambacciani e l'avvocato Marco Gambacciani, collaboratore con la cattedra del professor Proia legale di Enasarco; 2) qualora sia assodata l'esistenza di un rapporto di parentela, sulla base di quali criteri oggettivi e soggettivi sia stato scelto il dottor Edoardo Gambacciani a dirigere l'ufficio; 3) se sia stato valutato il «potenziale conflitto d'interessi» tra l'avvocato Marco Gambacciani e il dottor Edoardo Gambacciani, tenuto conto del ruolo da quest'ultimo svolto presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   nell'inerzia dei ministeri vigilanti, nel mese di aprile 2014 il Consiglio di Stato su un ricorso d'urgenza presentato da un inquilino il 15 gennaio 2014 è intervenuto con una ordinanza (n. 103 del 2014) dichiarando di fatto illegittima la procedura di conferimento del patrimonio immobiliare della cassa nazionale previdenza ragionieri; infatti, il Consiglio di Stato ha statuito che il patrimonio immobiliari della cassa nazionale di previdenza dei ragionieri è pubblico, indipendentemente dallo schema giuridico adottato per il conferimento ad un altro soggetto incaricato della dismissione degli immobili e deve essere riconosciuto all'inquilino la prelazione nonostante il conferimento al fondo immobiliare;
   l'interpellante con la sua solita solerzia, nella seduta n. 209 del 10 aprile 2014 ha presentato un'altra interrogazione a risposta scritta n. 4-04464 al Ministero del lavoro e delle e politiche sociali per chiedere alla luce della nuova normativa e giurisprudenza circa la qualificazione giuridica degli enti un intervento normativo immediato per far rispettare agli enti previdenziali la legge nelle loro dismissioni così come delineata dal Consiglio di Stato nell'ordinanza n. 8826/2014 onde evitare ripercussioni sulle pensioni degli iscritti della cassa;
   nello stesso mese, sul blog beppegrillo.it veniva pubblicato una notizia: «Il Gruppo Movimento 5 Stelle alla Camera ha ricevuto da mittente anonimo una copia del verbale integrale della discussa seduta del Cda Enasarco del 7 febbraio 2013. Se queste pagine fossero autentiche, e chiediamo in tal senso lumi anche ai vertici della Fondazione, la denuncia lanciata quel giorno dall’ex vicepresidente dell'ente Andrea Pozzi sarebbe pesantissima e andrebbe ad avvalorare la tesi che sosteniamo da mesi, ovvero che il progetto FEROCE di dismissioni del patrimonio immobiliare dell'ente serva per coprire i buchi nel bilancio creati da investimenti finanziari disastrosi, sempre con i soldi dei contributi pensionistici. Pozzi, infatti, spiega che nel Cda del 20 dicembre 2012 era stata deliberata «l'approvazione e la ratifica dell'operato del presidente della Fondazione sugli investimenti» e relativa successiva ristrutturazione (perché in perdita) in alcuni fondi (denominati Athena) tramite veicolo residente alle Mauritius (paradiso fiscale in black list della Banca d'Italia): 70 milioni di euro. Peccato che in quel Cda di dicembre, secondo Pozzi, non fosse stato approvato «alcun punto all'ordine del giorno recante questo argomento». «A questi 70 milioni si sommano quelle effettuate da Anthracite, per un totale di 185,8 milioni ora svalutati a 155,5 milioni», dice Pozzi nel verbale. Pozzi poi ribadisce che questi investimenti in finanza opaca hanno «abbondanti criticità» e che «non è mai stata data alcuna informativa al Consiglio di amministrazione fino alla seduta del 20 dicembre 2012». Perché il Cda è stato tenuto all'oscuro di operazioni finanziarie così rischiose e importanti? Chi ha deciso quegli investimenti? Con quali scopi? La reputazione della Fondazione è a rischio, si legge ancora nel verbale, perché «gli investimenti in Athena sono destinati tramite un complicato meccanismo di veicolo finanziario e senza alcun controllo» da parte della Fondazione «nel finanziamento della Time&Life di Raffaele Mincione, un finanziere con sede a Londra» (che ha puntato tra l'altro su Monte Paschi Siena) «con una perdita di 17,6 milioni su 40 investiti». Di tutto questo, secondo Pozzi, il Cda Enasarco non ha saputo nulla per oltre un anno. Così come non è stato informato del fatto che all'inizio del 2012 la Fondazione «aveva ricevuto due finanziamenti dal Fondo The Four Elements Pcc Athena Special Situation per evidenti ragioni di cassa». «Sono riportate le gravissime dichiarazioni del direttore generale che, in tutta serenità, afferma: «...Enasarco ha effettuato la manutenzione sugli immobili solamente a rottura, ossia in presenza di una situazione di evidente necessità, comportando una situazione di degrado o fatiscenza di molti stabili (...) questi lavori interessano tutti gli immobili oggetto delle dismissioni...». Ma la cosa più grave riguarda il riferimento alla sostituzione dei divisori dei balconi in eternit di alcuni immobili a Roma; gli inquilini di questi stabili sapevano di aver «coabitato» con l’eternit? Da parecchio tempo il M5S segue da vicino la vicenda Enasarco e si batte con forza per la trasparenza e la sostenibilità degli investimenti delle casse previdenziali»;
   il 3 aprile 2014 vi è stata una nuova audizione in Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, del Presidente e del Direttore generale della Fondazione Enasarco, Brunetto Boco e Carlo Bravi per discutere le risposte inviate all'ufficio di Presidenza della commissione, in tale occasione il presidente della fondazione ha dichiarato che l'ente non può procedere a pagare al pagamento delle pensioni dei silenti (iscritti alla cassa che hanno versato in passato da 5 ai 15 anni di contributi);
   il 9 maggio 2014 si leggeva da articoli di giornali in vicende connesse a CNPR e INPGI – che la magistratura procedeva con l'arresto di noti finanzieri italiani Ruggero, Aldo, Giorgio e Luca Magnoni, oltre che di Gianluca Selvi, presidente della cooperativa Confidi-Prof e «dominus» occulto della Hps, Andrea Toschi e Alberto Ciaperoni, rispettivamente ex direttore generale e amministratore delegato di Sopaf capital management, società di gestione del gruppo; «Per la Procura di Milano i Magnoni, vicini a personaggi di spicco della finanza, l'amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel e il finanziere renziano Vincenzo Manes, hanno utilizzato Sopaf come un bancomat prelevando indebitamente almeno un centinaio di milioni. Senza contare il frutto illecito delle operazioni finanziarie perpetrate a danno della Cassa dei ragionieri (Cnpr), dell'istituto nazionale previdenza giornalisti (Inpgi) e della Cassa dei medici, Enpam. Diversi i meccanismi attraverso i quali i Magnoni avrebbero operato per appropriarsi del denaro e sui cui i magistrati stanno ancora acquisendo materiale attraverso le perquisizioni effettuate dalle fiamme gialle negli uffici di Paolo Saltarelli, presidente della Cassa di previdenza dei ragionieri, e di Andrea Camporese, presidente dell'Inpgi»;
   inoltre, il 10 maggio 2014, si leggeva su una testata giornalistiche online che: «A metà novembre, Covip ha consegnato al Ministero del lavoro una corposa relazione di oltre 300 pagine sui conti 2012 delle Cosse previdenziali... Dal documento dell’authority di previdenza, presieduta da Rino Tarelli, emerge che i funzionari Covip avevano segnalato le proprie “perplessità” ai ministeri vigilanti del lavoro è dell'economia in merito al metodo di contabilizzazione in bilancio del BTP Stripped messo a garanzia degli investimenti da 780 milioni di euro realizzati da Enasarco nell'ex veicolo finanziario Anthracite». «Della commissione parlamentare si è già detto. Covip, in ambito Casse, ha solo potere di ispezione e raccolta informazioni. La vigilanza è di competenza dei Ministeri del lavoro e dell'economia. Il Ministero del lavoro, in particolare, ha una divisione ad hoc specializzata sulla previdenza: abbiamo chiesto al direttore generale di questa area, Edoardo Gambacciani, se la contabilizzazione del BTP Stripped, viste le perplessità Covip, sia stata effettuata in modo corretto ma fino ad ora non abbiamo ricevuto risposta»;
   l'interpellante, tramite la commissione enti gestori ha avuto copia della relazione che la Covip ha inviato ai Ministeri competenti, con allegata solo una parte dei documenti in essa richiamati;
   tale documento, anziché fugare i dubbi, in una parte copia pedissequamente quanto riportato nel bilancio e nei documenti della fondazione Enasarco, fomentando le perplessità con un testo che non dice e assolutamente non fornisce alcuna risposta ai quesiti sollevati dall'interpellante ma si limita a sostenere che vi sono «delle perplessità»;
   in data 12 luglio 2014 il TAR con la sentenza n. 07428/14 reg. prov. coll. riconosce:
    a) gli immobili di Cassa nazionale previdenza e assistenza ragionieri e periti commerciali nonostante il conferimento, non sono di proprietà del Fondo, visto che lo stesso è privo di personalità giuridica, né di Bnp Paribas che si limita a gestire il Fondo, quindi, tali immobili sono ancora di proprietà della Cassa nazionale previdenza e assistenza ragionieri e periti commerciali;
    b) la Cassa nazionale previdenza e assistenza ragionieri e periti commerciali, sebbene sia privatizzata con il decreto legislativo n. 509 del 1994, è sottoposta al controllo dei Ministeri vigilanti, al controllo della Corte dei conti, ha una funzione previdenziale, usufruisce della contribuzione obbligatoria dei propri iscritti, quindi; trattasi di un soggetto di natura sostanzialmente pubblica vedi Cons. di Stato VI n. 6014 del 2012;
    c) sempre il TAR dice che essendo Cassa nazionale previdenza e assistenza ragionieri e periti commerciali un soggetto pubblico di conseguenza la dismissione del suo patrimonio è pubblica, ragion per cui non si applica il comma 38 articolo 1 della legge n. 243 del 2001 norma che invece era stata utilizzata dalle Casse per sottrarsi alla dismissione secondo la normativa per gli enti pubblici;
    d) i prezzi degli immobili degli enti previdenziali ex privatizzati si calcolano secondo l'articolo 3 del decreto-legge n. 351 del 2001, convertito con modificazioni dalla legge n. 410 del 2001, quindi, si riconosce il diritto di prelazione ed il prezzo è quello corrente di mercato secondo il reale valore di mercato diminuito del 30 per cento e se si raggiunge 80 per cento delle vendite si può usufruire di un ulteriore sconto fino al 15 per cento. Questo calcolo di applica anche se il patrimonio è stato conferito a Fondi immobiliari;
    e) infine dice il TAR nella sentenza che chi vuole contestare il prezzo (che è un diritto soggettivo) deve rivolgersi al giudice civile per ottenere giustizia;
   è evidente che i princìpi contenuti in tale sentenza si possono applicare a tutte le casse privatizzate con il decreto legislativo n. 509 del 1994:
    Cassa nazionale previdenza e assistenza ingegneri e architetti liberi professionisti (Inarcassa);
    Cassa italiana di previdenza e assistenza geometri (CIPAG);
    Cassa nazionale del notariato;
    Cassa di previdenza tra dottori commercialisti (CNPADC);
    Cassa nazionale previdenza e assistenza ragionieri e periti commerciali (CNPR);
    Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense;
    Ente nazionale di previdenza e assistenza dei farmacisti – ENPAF;
    Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei veterinari – ENPAV;
    Ente nazionale di previdenza e assistenza per i consulenti del lavoro – ENPACL;
    Ente nazionale di previdenza per gli addetti e gli impiegati in agricoltura – ENPAIA;
    Ente nazionale previdenza e assistenza dei medici e degli odontoiatri – ENPAM;
    Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio Fondazione ENASARCO;
    Fondo agenti spedizionieri e corrieri – FASC;
    Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani G. Amendola – INPGI;
    Opera nazionale per l'assistenza agli orfani dei sanitari italiani – ONAOSI –:
   se i Ministri interpellati non ritengano opportuno:
    a) intervenire immediatamente al fine di assumere le iniziative normative sollecitate anche dalla giurisprudenza, per le dismissioni degli enti previdenziali di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994, così da applicare la norma prevista ed utilizzata per le dismissioni degli enti pubblici;
    b) stabilire anche mediante iniziative normative che la legge di dismissione del patrimonio pubblico trovi applicazione anche alle dismissioni attuate attraverso fondi immobiliari SGR di qualsiasi tipo che hanno avuto il conferimento del loro patrimonio da enti previdenziali di cui al decreto menzionato;
    c) istituire una commissione di inchiesta governativa che valuti le omesse vigilanze e le relative responsabilità dei soggetti preposti al controllo della gestione del patrimonio immobiliare e non, degli enti previdenziali privatizzati;
    d) intervenire in ordine alla truffa, che vede coinvolte tre casse di previdenza, quella dei ragionieri (CNPR) quella dei medici (ENPAM) e quella dei giornalisti (INPGI) per un danno di 79 milioni di euro, che hanno subìto perquisizioni e/o sequestri avvenuti presso gli uffici dei presidenti di CNPR e INPGI, oltre a quelle relative al direttore generale di ENPAIA, per non dire di tutte quelle notizie che hanno riguardato i vertici di ENASARCO, così da disporre il commissariamento di tali enti per tutelare le future pensioni degli iscritti così come previsto dalle norme in casi simili;
    e) valutare la possibilità di assumere iniziative normative per far confluire tutti gli enti privatizzati di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994 con i relativi patrimoni immobiliari, anche se conferiti a fondi immobiliari SGR di qualsiasi tipo, nell'INPS, così come avvenuto per altri enti in modo da poter meglio tutelare sia i patrimoni immobiliari che gli iscritti beneficiari dei trattamenti pensionistici.
(2-00631) «Lombardi, Cozzolino, Toninelli, Dadone, Dieni, Fraccaro, Nuti, D'Ambrosio».

Interrogazioni a risposta immediata:


   AIRAUDO, PLACIDO, SCOTTO, PANNARALE, ZARATTI, FERRARA, FRATOIANNI, PIRAS e QUARANTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con riferimento all'annosa vicenda relativa ad Alitalia, in un comunicato diffuso da Filt-Cgil dal titolo «Accordo separato in Alitalia – Stracciate le regole» emerge che la trattativa svolta per 4 giorni in sede ministeriale ha avuto un epilogo molto negativo. Si è conclusa, infatti, da poco con un accordo – firmato da Cisl, Uil e Ugl e dalle rispettive federazioni di categoria – che Filt-Cgil ha valutato come impossibile da sottoscrivere;
   l'azienda Alitalia avrebbe confermato sin dall'inizio la ferma volontà di procedere a licenziamenti, volontà ribadita più volte, arrivando a rifiutare una proposta di mediazione avanzata dal Ministro interrogato. Una proposta, quella del Ministro interrogato, nata dalle considerazioni avanzate dalla delegazione Filt-Cgil al tavolo guidata dal Segretario generale Susanna Camusso, che si è opposta all'inaccettabile posizione che l'azienda ha voluto imporre al tavolo;
   Alitalia, infatti, per quanto risulta agli interroganti, ha ricercato fin dall'inizio i licenziamenti, negando il diritto disponibile all'ammortizzatore sociale conservativo e difensivo dell'occupazione;
   Filt-Cgil ha, invece, sostenuto sin dall'inizio l'esigenza di evitare licenziamenti attraverso la riduzione degli esuberi e l'utilizzo della cassa integrazione;
   l'azienda, per quanto risulta agli interroganti, ha portato il confronto fino alla serata del 12 luglio 2014, facendo finta di negoziare, per poi presentarsi con un testo già preconfezionato, distruttivo dei diritti utile alla gestione incontrollata dei processi di mobilità;
   i diritti delle persone vengono così calpestati attraverso l'utilizzo di una recente disposizione di legge (il nuovo comma 4-bis dell'articolo 47, comma 4-bis, della legge n. 428 del 1990), che presenta, ad avviso del sindacato Filt-Cgil, seri problemi di legittimità;
   ad oggi, visto lo stato disastroso dei conti aziendali ed il fallimento prossimo, l'unica alternativa che azienda e Governo sono stati in grado di costruire è stata l'intesa con la compagnia aerea Etihad, che ha imposto condizioni draconiane per l'ingresso nel capitale sociale;
   di queste condizioni imposte dal socio fanno parte i contenuti dell'intesa che negano le tutele che i lavoratori hanno a disposizione nel nostro Paese;
   si determina, ad avviso di Filt-Cgil, il licenziamento di ben 1.635 lavoratori in Italia e di 52 lavoratori all'estero;
   a questi lavoratori si offrirebbe, infatti, l'incerta prospettiva del reimpiego fuori da Alitalia per 681 unità, tutte da verificare e senza alcuna garanzia in assenza di accordi (allo stato inesistenti) con le imprese che dovrebbero assumerli;
   il resto dei lavoratori ha davanti a sé, nell'arco di pochi mesi, la prospettiva disastrosa della mobilità e della successiva disoccupazione. Tra le numerose negatività dell'accordo viene perfino ridotta, a partire dal 31 dicembre 2014, la copertura degli ammortizzatori sociali definiti con gli accordi pregressi;
   si porrebbero, inoltre, le basi per un tentativo che potrebbe determinare le condizioni per l'abbattimento delle prestazioni a favore dei 12.000 addetti del settore sostenuti dal fondo;
   era possibile ed è ancora possibile un accordo che tenga insieme le tutele e i diritti dei lavoratori e la salvaguardia dell'azienda di fronte al possibile fallimento –:
   quali elementi il Ministro interrogato intenda fornire al Parlamento alla luce di quanto descritto in premessa e quali iniziative urgenti intenda adottare per confermare il ripristino dei diritti violati dei lavoratori di Alitalia, nella denegata ipotesi in cui l'accordo siglato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti nei giorni scorsi con Cisl, Uil e Ugl e le rispettive federazioni di categoria dovesse comportare realmente, come denunciato da Filt-Cgil, il licenziamento di ben 1.635 lavoratori in Italia e di 52 lavoratori all'estero.
(3-00943)


   RIZZETTO, TRIPIEDI, ROSTELLATO, BALDASSARRE, CIPRINI, COMINARDI, CHIMIENTI e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si avvicina il termine previsto per la chiusura dello storico insediamento industriale di Ideal Standard ubicato ad Orcenico (Pordenone);
   qualora non venga trovata una soluzione all'ipotesi di chiusura, che sembra ormai certezza, i 450 lavoratori del predetto stabilimento si troveranno senza lavoro. Dunque, 450 famiglie a breve vedranno gravemente peggiorata la propria situazione economica;
   a nulla sono serviti in questi anni di crisi aziendale i sacrifici di questi lavoratori, finalizzati alla promessa di salvaguardia dei posti di lavoro;
   la gestione di questa crisi aziendale non risolta ha evidenziato, ancora una volta, a parere degli interroganti, l'incapacità del Governo che non appare in grado di adottare adeguate iniziative per salvaguardare i lavoratori, consentendo un sostanziale abuso degli ammortizzatori sociali e il non rispetto dei piani industriali intercorsi;
   è stata permessa un'inaudita arroganza dei vertici della società, che, senza alcun rispetto per i lavoratori e le istituzioni, si sono avvalsi di fondi pubblici e degli ammortizzatori sociali non per risollevare le sorti dello stabilimento di Orcenico, ma quali strumenti che hanno costituito l'anticamera della chiusura dello stesso e quindi dei licenziamenti –:
   quali iniziative intenda in extremis intraprendere il Ministro interrogato per salvaguardare gli attuali livelli occupazionali, scongiurando la chiusura dello stabilimento che avrebbe un gravissimo impatto sul comparto industriale friulano.
(3-00944)


   MARTELLA, GNECCHI, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DELL'ARINGA, FARAONE, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GREGORI, GRIBAUDO, INCERTI, MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROTTA, SIMONI, ZAPPULLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali – Per sapere – premesso che:
   i lavoratori sotto copertura di ammortizzatori in deroga si trovano da mesi in una condizione di oggettiva difficoltà;
   in molte regioni i pagamenti sono fermi al 2013 e da oltre 7 mesi non ricevono alcun contributo di sostegno al reddito;
   dopo i primi 400 milioni di euro stanziati il 22 gennaio 2014, si è in attesa della firma del Ministero dell'economia e delle finanze per sbloccare ulteriori 400 milioni che dovrebbero servire alle regioni per pagare le ultime mensilità del 2013 e avviare il pagamento delle prime mensilità del 2014;
   le citate risorse sono quelle previste dalla legge di stabilità che ammontano a circa 1 miliardo e 600 milioni di euro per l'anno 2014;
   le regioni avevano inizialmente siglato accordi con le organizzazioni sindacali, che avevano come data ultima quella del 30 giugno 2014, ma in diversi casi alcune regioni, come, ad esempio, il Veneto, hanno convenuto con le organizzazioni sindacali di prorogare fino al 31 agosto 2014 gli ammortizzatori che scadevano il 30 giugno 2014, e così anche Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Friuli Venezia Giulia;
   su tutti questi accordi pende l'emanazione del decreto interministeriale di riordino dei criteri di concessione degli ammortizzatori in deroga, in vista del superamento di tale strumento a partire dal 2016 disposto dalla «riforma Fornero»;
   la situazione economica non consente facile ottimismo in relazione a possibili riassorbimenti delle unità lavorative attualmente beneficiarie degli ammortizzatori in deroga;
   decine di migliaia di lavoratori sono in oggettiva difficoltà, non ricevendo da mesi il beneficio dell'ammortizzatore sociale;
   questi ritardi, tra l'altro, penalizzano doppiamente i lavoratori, perché, non percependo con regolarità l'ammortizzatore sociale, possono essere esclusi dal beneficio degli incentivi presenti per eventuali nuove assunzioni, in quanto rischiano di non figurare iscritti nelle liste di mobilità –:
   quali siano i tempi di erogazione degli ammortizzatori in deroga per l'anno 2014 e quali iniziative intenda assumere in merito al futuro di tale strumento.
(3-00945)


   BINETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali – Per sapere – premesso che:
   secondo quanto comunicato ieri dall'Istat, in Italia 3 milioni e 230 mila famiglie sono sotto la soglia di povertà relativa: ciò significa che quei nuclei, se composti di due persone, spendono meno di quanto avvenga nella media pro capite del Paese, cioè 972,52 euro mensili. Per la precisione, la loro spesa media nel 2013 è stata di 764 euro mensili, in calo dai 793,32 del 2012. Un dato che scende nel Mezzogiorno a 744 euro;
   va ancora peggio al 7,9 per cento dei nuclei, che sono sotto la soglia di povertà assoluta, che non riescono a sostenere la spesa minima necessaria per acquistare quei beni e servizi «considerati essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile»;
   la conclusione della ricerca è che in Italia circa una famiglia su cinque è povera, coinvolgendo oltre 10 milioni di persone, mentre quelle in povertà assoluta sono oltre 6 milioni 20 mila (9,9 per cento);
   la povertà assoluta è aumentata tra le famiglie con tre (dal 6,6 all'8,3 per cento), quattro (dall'8,3 all'11,8 per cento) e cinque o più componenti (dal 17,2 al 22,1 per cento). Peggiora la condizione delle coppie con figli: dal 5,9 al 7,5 per cento se il figlio è uno solo, dal 7,8 al 10,9 per cento se sono due e dal 16,2 al 21,3 per cento se i figli sono tre o più, soprattutto se almeno un figlio è minore. Nel 2013 1 milione 434 mila minori sono poveri in termini assoluti (erano 1 milione 58 mila nel 2012);
   le maggiori difficoltà, dunque, si registrano tra le famiglie con figli, soprattutto in quelle numerose, tanto che anche nuclei familiari con 3-4 figli, apparentemente fuori dalle soglie di povertà, sono in realtà non autosufficienti e questa situazione rischia di accentuare ancor di più quello che comunemente viene definito l'inverno demografico del Paese;
   migliora, invece, la condizione dei single non anziani nel Nord (l'incidenza passa dal 2,6 all'1,1 per cento, in particolare se con meno di 35 anni), seppur a seguito del ritorno nella famiglia di origine o della mancata formazione di una nuova famiglia da parte dei giovani in condizioni economiche meno buone;
   si tratta di una fotografia impietosa che avvicina il nostro Paese a degli standard da terzo mondo più che da Paese del G8 e che, stante la tendenza, rischia di peggiorare nel corso del 2014 –:
   se non ritenga di adottare iniziative urgenti per fare fronte a questa emergenza sociale, che colpisce, in particolare, le famiglie con figli e residenti nel Mezzogiorno, prevedendo innanzitutto un incremento degli stanziamenti statali dei fondi sociali, in particolare del fondo per la non autosufficienza, a partire dalla legge di stabilità per il 2015. (3-00946)


   RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Calabria sta vivendo una crisi dell'occupazione particolarmente significativa, con un'emorragia costante di posti di lavoro, che condanna la regione al record europeo di disoccupazione giovanile;
   i dati ufficiali dicono, infatti, che nella regione il 65 per cento dei giovani sotto i 25 anni non trova lavoro, contro la media nazionale del 26,2 per cento ed europea del 17 per cento, che il tasso di disoccupazione femminile è al 41 per cento, mentre il dato relativo alla disoccupazione totale è pari al 17,3 per cento, con un incremento annuo di quasi il 6 per cento;
   la regione Calabria detiene anche il triste record del lavoro nero e irregolare, che sfiora il 28 per cento;
   la crisi economica ha colpito la Calabria in maniera più dura rispetto ad altre realtà regionali, anche a causa delle particolarità del suo territorio, pesantemente infiltrato dalla criminalità, con un tessuto occupazionale più debole e con una finanza regionale dissestata;
   a questi elementi si aggiunge un tasso di abbandono scolastico particolarmente elevato, che si attesta quasi al 9 per cento dei bambini e ragazzi in età scolare;
   le risorse destinate dallo Stato e dall'Unione europea al contrasto della disoccupazione nella regione devono essere soggette ad un attento monitoraggio, al fine di verificare che esse siano effettivamente impiegate per i fini previsti e non siano disperse;
   occorre, inoltre, valorizzare le risorse naturali della regione, impedendo la cementificazione selvaggia delle coste, al fine di rilanciare il turismo e la produzione ed il commercio dei prodotti tipici –:
   quali provvedimenti intenda assumere al fine di garantire il rilancio occupazionale della regione. (3-00947)


   INVERNIZZI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GRIMOLDI, GUIDESI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali – Per sapere – premesso che:
   già con precedente atto di sindacato ispettivo n. 5-02359, ad oggi privo di risposta, la Lega Nord poneva l'attenzione del Governo sull'operazione di salvaguardia di circa 800 lavoratori lombardi esodati da parte della regione Lombardia;
   in particolare, la regione Lombardia ha sottoscritto nel novembre 2013 con le parti sociali un accordo per estendere la mobilità in deroga fino al raggiungimento dei requisiti necessari per l'accesso alla pensione a quanti avrebbero terminato la mobilità senza raggiungere i requisiti pensionistici per mancanza di qualche giorno o qualche settimana, in virtù del fatto che la vigente normativa, nel prevedere la salvaguardia dei lavoratori collocati in mobilità a condizione che maturino i requisiti utili alla pensione ante decreto-legge n. 201 del 2011 durante il periodo di godimento dell'indennità di mobilità, non specifica se ordinaria o in deroga;
   nonostante già nel gennaio 2014 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia convalidato l'interpretazione regionale, l'Inps ancora oggi tentenna sul dare seguito all'accordo, adducendo quale motivazione il mancato rilascio da parte della direzione generale dell'istituto previdenziale e dei Ministeri vigilanti di ufficiali «indicazioni in merito al percorso operativo per l'applicabilità dell'accordo siglato da regione Lombardia in materia di mobilità in deroga e salvaguardia del diritto a pensione»;
   l'assenza di procedure normative da parte dell'Inps ha, di fatto, creato una situazione di stallo dell'applicabilità dell'accordo da oltre sette mesi, per via della mancata comunicazione alla regione da parte dell'Inps dei nominativi e dei periodi di mobilità in deroga da coprire per i lavoratori esodati rientranti nell'accordo medesimo;
   con il messaggio Inps n. 372 del 9 gennaio 2014, successivo all'accordo regionale, è stato comunicato che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con nota n. 4332 del 16 dicembre 2013, nelle more dell'entrata in vigore dei nuovi criteri per il riconoscimento degli ammortizzatori sociali in deroga per il 2014, ha invitato le regioni e le province autonome a non concedere cassa integrazione guadagni in deroga o mobilità in deroga superiori a 6 mesi per i periodi di competenza 2014;
   facendo seguito al predetto messaggio l'Inps, con successivo messaggio n. 5787 del 3 luglio 2014, ha precisato che lo stesso Ministero, con riferimento ai periodi concedibili di mobilità in deroga ha invitato le regioni e le province autonome a non superare i limiti previsti nell'emanando decreto che, per l'anno 2014, sono i seguenti:
    a) per i lavoratori che alla data di decorrenza del trattamento abbiano già beneficiato di prestazioni di mobilità in deroga per almeno tre anni, anche non continuativi, per un periodo temporale, che, unitamente ai periodi già concessi per effetto di accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del presente decreto, non superi complessivamente cinque mesi nell'anno 2014, non ulteriormente prorogabili, più ulteriori tre mesi nel caso di lavoratori residenti nelle aree di cui al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218;
    b) per i lavoratori, che alla data di decorrenza del trattamento abbiano beneficiato di prestazioni di mobilità in deroga per un periodo inferiore a tre anni, il trattamento può essere concesso per ulteriori sette mesi, non ulteriormente prorogabili, più ulteriori tre mesi nel caso di lavoratori residenti nelle aree di cui al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218. Per tali lavoratori il periodo di fruizione complessivo non può comunque eccedere il periodo massimo di tre anni e cinque mesi, più ulteriori tre mesi nel caso di lavoratori residenti nelle aree di cui al citato testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218;
   i predetti messaggi Inps, in quanto successivi alla sottoscrizione dell'accordo, non consentirebbero ai lavoratori rientranti nell'accordo di raggiungere i requisiti o, ancor peggio, qualora i lavoratori interessati ottenessero la mobilità in deroga anche solo per pochi giorni, sarebbero esclusi dalla platea della cosiddetta sesta salvaguardia già approvata da questo ramo del Parlamento ed ora all'esame del Senato della Repubblica;
   il 10 marzo 2014 – si ricorda – il coordinamento lombardo lavoratori esodati, insieme al consigliere regionale della Lega Nord, Pietro Foroni, ed al segretario nazionale del partito, Matteo Salvini, hanno organizzato un presidio davanti alla sede Inps di via Pola a Milano, per protestare contro le lungaggini burocratici dell'Inps e chiedere la tempestiva applicazione del provvedimento regionale –:
   se corrisponda al vero che l'Inps Lombardia non ha ancora dato seguito all'accordo di cui in premessa per mancate indicazioni da parte della direzione generale dell'Inps e dei Ministeri vigilanti e, in tal caso, quali siano le motivazioni di tale ritardo, ovvero se non si intenda verificare prontamente presso l'istituto previdenziale vigilato le reali ragioni che ad oggi hanno impedito l'applicabilità dell'accordo, atteso che il medesimo aveva già ricevuto riconoscimento di validità da parte dello stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali, chiarendo, altresì, la portata dei messaggi Inps citati in premessa, per non colpire gli 800 lavoratori lombardi esodati interessati. (3-00948)

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   oltre ai dati relativi all'occupazione giovanile, c’è un altro dato che desta preoccupazione e riguarda quello riguardante l'occupazione degli «over 50»;
   la crisi economica se da una parte ha contribuito a far aumentare il peso dei lavoratori ultracinquantenni sul totale della forza lavoro, dall'altra, nel periodo considerato 2008-2013, ha determinato un raddoppio del tasso di disoccupazione degli «over 50» in quanto ha ridotto le possibilità di collocamento per questa fascia di lavoratori;
   la capacità di reinserimento degli «over 50» risulta molto indebolita anche a causa del cattivo funzionamento dei servizi di incontro tra domanda e offerta, pur non mancando gli strumenti per fronteggiare questa difficoltà: la riforma Fornero dispone, infatti, uno sgravio contributivo del 50 per cento al datore di lavoro che assume un lavoratore «over 50» disoccupato da oltre 12 mesi, si tratta di un incentivo che può durare anche 18 mesi se viene fatto sottoscrivere un contratto a tempo indeterminato;
   anche a livello regionale si registrano iniziative in tal senso, anche se il quadro è abbastanza differenziato in quanto solo otto regioni dispongono di iniziative specifiche per gli «over 50»;
   il rischio è che queste misure non riescano a prendere piede come è già accaduto per gli incentivi per le assunzioni dei giovani varati dal Governo Letta e dallo Youth Guarantee –:
   se non ritenga, atteso che le agevolazioni previste attualmente non sono in grado di fare fronte a questa problematica, di potenziare per quanto di competenza gli strumenti che favoriscano l'incontro domanda/offerta e i programmi di riqualificazione professionale, focalizzandoli su ambiti e competenze richieste dal mercato al fine di evitare che all'emergenza giovanile si aggiunga quella, forse ancor più drammatica per i risvolti sociali, degli «over 50» che nella stragrande maggioranza, rappresentano l'unica fonte di reddito per famiglie, soprattutto per quelle con figli. (3-00941)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'espressione edilizia residenziale pubblica ci si riferisce comunemente a tre tipologie di operazioni edilizie caratterizzate dall'intervento della pubblica amministrazione, sia a livello nazionale che locale, per offrire ai cittadini immobili ad uso abitativo a titolo di proprietà, in locazione ovvero in superficie; a seconda del ruolo svolto dalle amministrazioni pubbliche si distinguono, in particolare, tre tipologie di interventi di edilizia residenziale pubblica:
    a) edilizia residenziale sovvenzionata, caratterizzata dal fatto che l'ente pubblico edifica direttamente il fabbricato, mediante finanziamenti integralmente pubblici;
    b) edilizia residenziale agevolata, caratterizzata dal fatto che l'amministrazione incentiva l'edificazione residenziale, attribuendo specifiche agevolazioni creditizie alle imprese costruttrici affinché trasferiscano l'immobile a prezzi calmierati;
    c) edilizia residenziale convenzionata, quando l'immobile abitativo è realizzato da un privato al quale l'ente pubblico attribuisce direttamente beni o contributi all'impresa costruttrice;
   a partire dagli anni settanta si è assistito, come è noto, al progressivo trasferimento di competenze dallo Stato alle regioni che è culminato nel decreto legislativo n. 112 del 1998 e, poi, nella riscrittura del titolo V della Costituzione del 2001;
   i compiti che residuano allo Stato nella materia dell'edilizia residenziale pubblica vengono indicati in modo puntuale dall'articolo 59 del decreto legislativo n. 112 del 1998 che così dispone:
    «I. Sono mantenute allo Stato le funzioni e i compiti relativi:
    a. alla determinazione dei principi e delle finalità di carattere generale e unitario in materia di edilizia residenziale pubblica, anche nel quadro degli obiettivi generali delle politiche sociali;
    b. alla definizione dei livelli minimi del servizio abitativo, nonché degli standard di qualità degli alloggi di edilizia residenziale pubblica;
    c. al concorso, unitamente alle regioni ed agli altri enti locali interessati, all'elaborazione di programmi di edilizia residenziale pubblica aventi interesse a livello nazionale;
    d. alla acquisizione, raccolta, elaborazione, diffusione e valutazione dei dati sulla condizione abitativa; a tali fini è istituito l'Osservatorio della condizione abitativa;
    e. alla definizione dei criteri per favorire l'accesso al mercato delle locazioni dei nuclei familiari meno abbienti e agli interventi concernenti il sostegno finanziario al reddito»;
   dal 1998 la maggior parte delle funzioni in materia di edilizia residenziale pubblica è stata quindi trasferita alle Regioni ed ai Comuni, secondo il principio della sussidiarietà verticale;
   su un piano più generale va rilevato tuttavia che il fallimento delle politiche di edilizia residenziale pubblica, sia imputabile anche all'improprio utilizzo delle risorse dei Fondi Gescal;
   come è noto il fondo Gestione Case per i Lavoratori (GESCAL), è stato costituito nel 1963 in seguito alla trasformazione del Piano INA-Casa;
   si trattava di un fondo destinato alla costruzione e alla assegnazione di case ai lavoratori. Scopo del fondo Gescal era quello di costruire case per i lavoratori con contributi provenienti dai lavoratori, dalle imprese e, solo in parte, da finanziamenti governativi;
   esso veniva costituito mediante la trattenuta di contributi aziendali e di contributi dei lavoratori. In particolare il finanziamento derivava dai prelievi effettuati direttamente sulle retribuzioni di dipendenti pubblici e privati, comprensive di contingenza, pari allo 0,35 per cento, mentre le imprese dovevano versare lo 0,70 per cento. Secondo una ricerca Eurisipes, fino al 1994, il fondo, che a quell'epoca aveva una dotazione di 21 mila miliardi di lire complessivi, era stato utilizzato solo parzialmente dalle regioni in favore di Iacp e comuni, cioè solo per il 63,4 per cento;
   una «così cospicua» giacenza, in pratica, è stata la riserva dalla quale attingere per ripianare buchi di bilancio e mettere a posto i conti dello Stato o di altri enti pubblici;
   in pratica le risorse dei fondi GESCAL sono state spesso utilizzate per realizzare finalità diverse da quelle istituzionali, in questo modo affossando un settore produttivo come l'edilizia residenziale pubblica che produceva decine di migliaia di posti di lavoro l'anno;
   nel 1996, ad esempio, dai fondi ex Gescal, furono attinti i due terzi dei fondi necessari per il finanziamento della riforma delle pensioni, in contrasto con l'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 424 del 1995 che ha dichiarato l'incostituzionalità di simili storni;
   questa distrazione di fondi GESCAL dagli scopi istituzionali è stata una delle principali ragioni del fallimento della politica residenziale pubblica;
   in pratica i contributi prelevati dalle buste paghe dei lavoratori dipendenti «a tutto sono serviti, tranne che a costruire le case per i lavoratori dipendenti» (cfr Enzo Cirillo, Fondi GESCAL dirottati all'Inps, la Repubblica, 12 febbraio 1996);
   i contributi GESCAL sono stati quindi soppressi dal primo gennaio 1996, per la quota a carico dei lavoratori, e dal 31 dicembre 1998 per la quota versata dalle aziende;
   in pratica dal 1998 è cessato il prelievo ex-Gescal dalla busta paga dei lavoratori dipendenti, per cui lo Stato da allora non trasferisce più risorse alle Regioni per i programmi ordinari di investimento nel settore dell'Edilizia Residenziale Pubblica (ERP), se non nella forma di interventi mirati su singole situazioni (Contratti di Quartiere I e II, PIPERRU eccetera, più recentemente il Piano Nazionale Città);
   in questo quadro appare evidente che dopo quindici anni dal trasferimento di gran parte delle funzioni in materia di edilizia residenziale pubblica alle regioni e agli enti locali urge acquisire un quadro che dia conto degli esiti di tale scelta anche in termini di risultati;
   in tal senso ad esempio emerge da uno studio del CRISS (Centro interdipartimentale di ricerca sociosanitaria), condotto sui 49 comuni della provincia di Ancona, che ha preso in considerazione il decennio 2001/2010, che nel comune di Senigallia, gli alloggi assegnati dalle amministrazioni comunali, durante il decennio preso in considerazione sono stati solo 78, di cui 41 nuovi e 37 di recupero;
   con delibera del consiglio comunale n. 70 dell'11 luglio 2007, avente ad oggetto «P.E.E.P. Cesano», il citato comune ha adottato un piano per l'edilizia economica e popolare in zona Cesano di Senigallia, approvando un programma pluriennale che prevede l'attuazione di 4 comparti (A, B, C, D), per un totale di 92 alloggi di edilizia pubblica sovvenzionata a canone sociale. Ma la destinazione di gran parte di quegli alloggi è prevista per coloro che guadagnano uno stipendio compreso tra i 1000 e i 1500 euro mensili, quando a giudizio degli interroganti tale forma di prestazioni dovrebbero prioritariamente andare a beneficio delle fasce più deboli, cioè fasce con redditi inferiori ai 1000 euro; infine, in esecuzione della delibera di giunta municipale n. 344 del 1o dicembre 2005, il comune ha pubblicato in data 9 maggio 2011 un bando per l'assegnazione di 44 alloggi destinati all'edilizia residenziale pubblica da porre in locazione permanente, nel quartiere Cesanella; a fronte di ben 506 famiglie aventi diritto all'accesso di un alloggio pubblico sociale appare del tutto evidente come l'intervento locale sia del tutto insufficiente a far fronte alle problematiche descritte –:
   se siano stati definiti i livelli minimi del servizio abitativo ed elaborato il programma di edilizia residenziale pubblica di interesse nazionale di cui all'articolo 59 del decreto legislativo n. 112 del 1998 e, nel caso positivo, se sia mai stato oggetto di verifica lo stato di attuazione, sia a livello nazionale, sia a livello locale, con particolare riguardo alla regione Marche ed al territorio del comune di Senigallia;
   sempre alla luce dell'articolo 59 del decreto legislativo n. 112 del 1998, se non ritenga opportuno individuare tra i principi e delle finalità di carattere generale e unitario in materia di edilizia residenziale pubblica, quello per il quale nella valutazione dei soggetti aventi titolo ad alloggi di edilizia economica e popolare debbano essere privilegiati i nuclei familiari a più basso reddito;
   se possa riferire, anche sulla base degli atti depositati, quale sia stata la destinazione dei contributi GESCAL.
(5-03218)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   il radicale processo di riforma del settore bieticolo-saccarifero in ambito europeo ha portato, negli anni scorsi, alla chiusura di 15 stabilimenti in tutto il territorio nazionale, con il conseguente avvio di processi di riconversione industriale, alcuni dei quali ancora in essere;
   in particolare, la decisione della Unione europea di non erogare più le quote zucchero dal 2017 ha costretto l'Italia in una posizione di svantaggio competitivo: tale decisione ha infatti provocato una forte svalutazione del prodotto sul mercato internazionale; ne approfittano alcune grandi aziende che stanno facendo cartello, assumendo condotte sempre più lesive della libera concorrenza;
   lo zuccherificio del Molise è l'unica realtà produttiva del settore presente nel centro-sud del nostro paese e impiega operai a tempo indeterminato, determinato ed ha una notevole influenza, in termini occupazionali, nel relativo indotto;
   la crisi in cui versa da tempo lo zuccherificio investe pesantemente i bieticoltori delle regioni Puglia, Abruzzo, Basilicata, Marche e Molise che hanno rinunciato, per la campagna 2013, a un milione e seicentomila euro circa sul prezzo concordato della bietola, nonché a 6 euro per tonnellata per la campagna 2014 e oggi rischiano di non poter raccogliere le bietole sui 5 mila duecento ettari destinati in nelle suddette realtà regionali alla loro coltivazione;
   è urgente aprire una discussione pubblica sul valore strategico nell'economia italiana della filiera bieticola-saccarifera, che ha conosciuto un progressivo disinvestimento delle politiche pubbliche di sostegno al settore; basti pensare al recente stanziamento di 19 milioni, previsti dagli aiuti accoppiati alla bieticoltura, a fronte di una richiesta di 24 milioni, cifra minima per garantire almeno un sostegno pari a 600 euro ad ettaro –:
   quali azioni il Ministro interpellato intenda porre in essere per sostenere il settore bieticolo saccarifero e, per la particolare situazione sopra rappresentata, quali azioni intende promuovere per garantire il regolare svolgimento della campagna saccarifera 2014 dello zuccherificio del Molise e per la difesa della filiera produttiva di questo importante settore nelle regioni Molise, Puglia, Abruzzo, Basilicata e Marche.
(2-00634) «Venittelli, Mongiello, Fiorio, Ventricelli, Cera, Manciulli, Losacco, Lattuca, Lauricella, Bruno Bossio, Minnucci, Fucci, Sannicandro, Distaso, Di Gioia, D'Alia, Buttiglione, Binetti, De Mita, Catania, Rosato, Ginefra, Petrini».

Interrogazione a risposta scritta:


   COVA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   alcune aziende agricole hanno presentato ricorso presso il tribunale di Cassano D'Adda con la causa n. 15093/2003 che è giunta a sentenza definitiva da parte del giudice unico dottoressa Anna Landriani in data 12 dicembre 2008. Tale sentenza inibisce alla AGEA di richiedere ai ricorrenti e/o all'acquirente il versamento a titolo di prelievo supplementare per le annate in causa;
   inoltre, la stessa sentenza afferma: «... Il Tribunale definitivamente pronunciando, l'integralmente conferma della ordinanza del Dott. Manfredini del 19 dicembre 2003: accerta il diritto delle aziende agricole ricorrenti di essere integralmente pagate per le consegne effettuate nel corso dell'annate 1995/1996 alla presente 2002/2003 senza trattenute»;
   AGEA ha provveduto a far riscuotere le fidejussioni bancarie per queste annate ad alcune aziende agricole ricorrenti e in questi giorni sono state inviate le richieste di pagamento dei «debiti esigibili» riferiti alle annate oggetto di tale sentenza –:
   se AGEA abbia agito nel rispetto della sentenza citata e per quali motivi si sia apprestata a mandare le richieste di pagamento per un prelievo non più dovuto a seguito della sentenza e a riscuotere le fidejussioni bancarie. (4-05527)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il settimanale l’Espresso nell'edizione di venerdì 4 aprile 2014, rese nota l'esistenza di un'inchiesta, definita choc, dei carabinieri dei Nas e della procura di Roma, in relazione alla vicenda del virus dell'aviaria e ad un traffico internazionale di virus;
   dall'inchiesta dei Nas sembrerebbe che virus dell'aviaria siano stati spediti dall'estero in Italia in plichi anonimi, senza alcuna autorizzazione e in violazione di tutte le norme sulla sicurezza vigenti;
   il sospetto avanzato dagli investigatori dei Nas è che ci sia stato un business delle epidemie che viene attuato attraverso una cinica strategia commerciale;
   la strategia commerciale si sarebbe basata sulla diffusione di notizie amplificate sul pericolo di diffusione e i rischi per l'uomo derivanti dall'aviaria, che avrebbero spinto le autorità sanitarie ad adottare provvedimenti d'urgenza;
   i provvedimenti di urgenza si sarebbero trasformati in un affare da centinaia di milioni di euro per le industrie farmaceutiche;
   sembrerebbe, a detta degli inquirenti, che si sia verificato anche un caso, di diffusione dell'influenza tra il pollame del Nord Italia direttamente legata alle attività illecite di alcuni manager;
   l'indagine ricostruisce i retroscena sullo sfruttamento dell'allarme per l'aviaria nel nostro Paese, che nel 2005 portò il Governo Berlusconi ad acquistare farmaci, per 50 milioni di euro, rimasti inutilizzati, senza alcun approfondimento e con gravissime carenze nei controlli e nell'attendibilità delle informazioni e delle fonti;
   l'inchiesta, in realtà, è stata aperta dagli investigatori americani, che hanno ottenuto le confessioni di Paolo Candoli, manager della filiale italiana di Merial, sui ceppi patogeni di aviaria spediti illegalmente a casa sua in Italia e poi venduti ad aziende statunitensi. Nel 2005 la Homeland Security Usa ha trasmesso i documenti ai carabinieri del Nas, che già erano occupati a Bologna di una organizzazione criminale dedita al traffico di virus ed alla produzione clandestina di vaccini;
   la nuova inchiesta dell'Arma si è allargata, seguendo le intercettazioni disposte dai magistrati di Roma. Paolo Candoli nella capitale sa come muoversi: sponsorizza convegni medici organizzati da professori universitari, regala viaggi e distribuisce consulenze ben pagate (e questo gli permette di avere «corsie preferenziali» al Ministero della salute per ottenere autorizzazioni), e riesce a far cambiare parere alla commissione consultiva del farmaco veterinario per mettere in commercio i prodotti della Merial;
   tra i referenti più stretti di Paolo Candoli da quanto si apprende dall'articolo dell’Espresso risulta Ilaria Capua, virologa di fama internazionale, attualmente deputato di Scelta Civica e vice presidente della Commissione coltura alla Camera;
   fino all'elezione alla Camera dei deputati, Ilaria Capua era responsabile del dipartimento di scienze biomediche comparate dell'Istituto zooprofilattico sperimentale (Izs) delle Venezie con sede a Padova. Il risultato degli accertamenti del Nas ha portato il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, a ipotizzare reati gravissimi. La Capua e alcuni funzionari dell'Izs sono stati iscritti nel registro degli indagati per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, all'abuso di ufficio e inoltre per il traffico illecito di virus. Stessa contestazione per tre manager della Merial. Anche il marito della Capua, ex manager della Fort Dodge Animal di Aprilia, attiva nella produzione veterinaria, è indagato;
   nell'elenco degli indagati figurano, a detta dell’Espresso, tre scienziati al vertice dell'Izs di Padova; funzionari e direttori generali del Ministero della salute; alcuni componenti della commissione consultiva del farmaco veterinario; sembrerebbe coinvolta anche Rita Pasquarelli, direttore generale dell'Unione nazionale avicoltura. I fatti risalgono a sette anni fa, ma molti degli indagati lavorano ancora nello stesso istituto;
   sempre stando a quanto scritto nell'articolo dell’Espresso, sembrerebbe che alcuni dei manager al telefono si vantavano dei metodi usati per trasferire i virus clandestinamente in tutto il mondo: dalla Francia al Brasile, nascondendoli in pacchi anonimi o tra gli abiti delle valigie, «Abbiamo fatto cose turche», dicono. Secondo gli investigatori del Nas, anche la Capua e l'istituto zooprofilattico sono coinvolti nel traffico illegale; la scienziata sarebbe stata pagata per fornire agenti patogeni;
   sembrerebbe che in una conversazione registrata sia la stessa virologa a farne esplicito riferimento, sostenendo di aver ceduto ceppi virali in favore di un veterinario americano. Contattata da l’Espresso, Ilaria Capua ha respinto tutte le accuse: confermando di conoscere Candoli ma spiegando «di non aver mai venduto ceppi virali. Sono dipendente di un ente pubblico e non vendo nulla personalmente»;
   ancora una volta emergono gravissime lacune da parte del Ministero della salute e ancora una volta inchieste portano ad iscrivere nel registro degli indagati, in questo caso in seguito ad una indagine dei carabinieri del Nas, funzionari del Ministero della salute, componenti della commissione consultiva del farmaco veterinario, funzionari dell'Istituto zooprofilattico sperimentale;
   in un articolo pubblicato dal quotidiano Il Tempo dell'11 luglio 2014, a pagina 5, si è appreso che la procura di Roma, in relazione all'inchiesta sui mercanti del virus dell'aviaria, ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini, l'anticamera della richiesta di rinvio a giudizio, nei confronti di 41 persone tra funzionari del Ministero della salute, dirigenti di istituti zooprofilattici sperimentali di Padova e Teramo, manager di aziende farmaceutiche, tra questi spicca il nome della deputata Ilaria Capua, all'epoca responsabile del laboratorio di virologia del centro nazionale per l'influenza aviaria, con accuse che variano dalla ricettazione alla corruzione, dalla somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica alla tentata epidemia, dalla concussione all'abuso di ufficio;
   sull'argomento è stata già presentata l'interpellanza urgente a prima firma della deputata Lorefice n. 2-00494 dell'8 aprile 2014 svolta nella seduta dell'11 aprile 2014; in tale sede il rappresentante del Governo non ha tuttavia fornito risposta ad alcune questioni sollevate dagli interpellanti; in particolare, non è stato chiarito se risulti agli atti su quali dati scientifici il Governo pro tempore abbia proceduto all'acquisto dei farmaci rimasti inutilizzati e quali iniziative di competenza siano state assunte per contribuire a chiarire la dinamica dei fatti e le eventuali responsabilità sul piano amministrativo –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza dell'avviso di chiusura delle indagini e di quali ulteriori elementi disponga al riguardo;
   se risulti agli atti sulla base di quali dati scientifici e quali informazioni nel 2005 il Ministro della salute pro tempore decise di procedere all'acquisto di 50 milioni di euro di farmaci tanto fondamentali che sono rimasti oltretutto inutilizzati;
   quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, per fare piena luce sull'accaduto e sulle responsabilità, in particolare quelle delle competenti strutture ministeriali, avviando in tale contesto ogni iniziativa per il risarcimento al servizio sanitario nazionale da parte delle aziende farmaceutiche, dato che nel 2005 furono acquistati 50 milioni di euro di farmaci a tutt'oggi mai utilizzati mediante, stante l'inchiesta dei Nas di Roma, un « business delle epidemie» attuato attraverso una cinica strategia commerciale;
   se non intenda rendere noti, anche fornendo la relativa documentazione, i dati e le informazioni in base alle quali sono state assunte le determinazioni di acquisto dei farmaci antivirali indicati in premessa, le motivazioni scientifiche e i presupposti delle predette determinazioni, i costi sostenuti derivanti dai contratti di fornitura stipulati, e loro eventuali allegati, con le ditte farmaceutiche e le obbligazioni assunte, nonché quelli derivanti dallo smaltimento dei vaccini pandemici non utilizzati e scaduti e le ragioni del mancato utilizzo dei citati farmaci.
(2-00633) «Silvia Giordano, Lorefice, Baroni, Cecconi, Dall'Osso, Di Vita, Grillo, Mantero, Baldassarre, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Nicola Bianchi, Carinelli, Chimienti, Ciprini, Colonnese, Cominardi, Crippa, Da Villa, De Lorenzis, Della Valle, Dell'Orco, Fantinati, Fico, Gagnarli, Gallinella, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Cozzolino, D'Ambrosio, Dieni, Fraccaro, Dadone, Lombardi, Toninelli».

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   PAGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   venerdì 4 luglio 2014 i lavoratori della raffineria Eni di Gela (RaGe) insieme ai metalmeccanici dell'indotto hanno proclamato uno sciopero per protestare contro la decisione del management del gruppo di mantenere ferme le due linee di produzione di carburanti, di sospendere gli investimenti già programmati dell'importo di 700 milioni di euro, nonché contro lo stato d'incertezza circa il futuro dello stabilimento e della raffinazione in Sicilia di cui gli stessi vertici Eni si starebbero rendendo responsabili. La notizia è stata pubblicata da numerosi organi di stampa, sia del circuito «tradizionale» che «elettronico», tra cui si menzionano: Giornale di Sicilia del 4/5/6 luglio 2014, La Sicilia del 5 luglio, Gazzetta del Sud del 6 luglio, Il Resto del Carlino, Il Giorno, La Nazione del 5 luglio;
   in data 15 marzo 2014 un grave incendio si era verificato all'interno dello stabilimento seminando panico tra la popolazione e mettendo a serio rischio l'incolumità di quanti lavoravano all'interno della struttura o si trovavano nelle immediate vicinanze, e che solo un miracolo ha permesso di evitare conseguenze mortali. L'incidente, verificatosi all'interno della tubazione di collegamento tra gli impianti «Topping 1» e «Cooking 1» con un'improvvisa perdita di prodotto idrocarburico ad alta temperatura che ha innescato l'incendio nell'area di lavorazione del greggio determinando una densa colonna di fumo nero visibile da lunga distanza, è stato oggetto di apposita interrogazione al Ministro dello sviluppo economico presentata il 19 marzo 2014 e tuttora in attesa di risposta;
   ad oggi, a quasi quattro mesi dall'incidente, i vertici Eni non hanno ancora chiarito quali siano le ragioni del mancato riavvio delle lavorazioni dopo lo «stop» conseguente all'incendio dello scorso 15 marzo;
   tra le inadempienze oggettivamente riscontrabili, occorre sottolineare come i vertici Eni non abbiano ancora provveduto a fornire i dovuti chiarimenti circa le reali cause all'origine della rottura dei tubi da cui sarebbe fuoriuscito materiale idrocarburico ad alta temperatura, né tanto meno ad individuare le singole responsabilità. Seri dubbi sussistono anche in ordine alla questione se siano state effettuate o meno tutte le riparazioni necessitate dall'incidente e se il dissequestro dell'impianto sia stato nel frattempo disposto dalla competente autorità giudiziaria dopo averne ordinato il sequestro per svolgere le normali attività d'indagine;
   l'incidente del 15 marzo poc'anzi descritto non è purtroppo il solo ad essersi verificato all'interno dello stabilimento. Negli ultimi anni, infatti, la raffineria ha registrato numerosi incidenti, tra cui due terribili incidenti mortali, il primo dei quali avvenuto il 28 novembre 2012 in cui ha perso la vita un ragazzo di 30 anni, dipendente della ditta Cosmisud, mentre lavorava in raffineria (Repubblica.it, edizione Palermo, 28 novembre 2014), il secondo accaduto il 1o aprile scorso in cui è rimasto vittima un operaio di 46 anni dipendente della ditta Lorefice (Repubblica.it, edizione Palermo, 01 aprile 2014);
   il 4 giugno 2013, come riportato nelle stesse ore da Repubblica.it edizione Palermo, si è invece verificato uno sversamento a mare di idrocarburi causato, secondo la nota diramata dai responsabili dello stabilimento, dal «disservizio di uno scambiatore». Gli evidenti rischi per la salute e il pericolo di un disastro ambientale anche in quel caso indussero la procura a disporre il sequestro dell'impianto e ad aprire un'inchiesta per disastro colposo;
   oltre ad una gestione delle criticità e ad una capacità di prevenzione dei rischi rivelatesi largamente opache e insufficienti, come dimostra quanto finora esposto, il management Eni si sta mostrando altrettanto evasivo e lacunoso anche sotto il profilo della pianificazione industriale. Allo stato attuale, il gruppo non ha ancora reso noto lo stato di avanzamento del progetto da 700 milioni di euro presentato dai vertici della raffinazione Eni e dai vertici della raffineria di Gela alle istituzioni locali, regionali e alle forze confindustriali e sindacali. Le ambiguità e i silenzi su un progetto tanto ambizioso, presentato in pompa magna, fanno sorgere una serie di inquietanti interrogativi. Anzitutto, viene da domandarsi se il progetto non sia, alla luce delle condizioni attuali, superato oppure se sin dall'inizio era tecnicamente inidoneo a garantire un futuro prospero alla raffineria e un miglioramento degli aspetti ambientali connessi ci si chiede il perché sia stato presentato;
   a determinare lo stato di agitazione proclamato dai dipendenti del gruppo e dai metalmeccanici dell'indotto e ad accrescere le tensioni, come anticipato in premessa, l'annuncio dei vertici della raffineria di tenere fermi gli impianti di raffinazione per tutta l'estate. Una decisione del tutto inaspettata, e che ha spinto l'intera comunità ad esprimere tutto il proprio sdegno gridando di sentirsi presa in giro, visto che in data 18 giugno il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva concesso alla raffineria una deroga ai livelli di emissioni in atmosfera pur bruciando pet coke. Per mesi, come si apprende da La Sicilia del 5 luglio 2014, l'azienda si era avvalsa del pretesto della mancanza di tale deroga per giustificare la mancata messa in atto dei 700 milioni di investimenti del piano industriale presentato nel luglio 2013;
   da altre fonti di stampa, come il quotidiano la Repubblica del 3 luglio, si apprendono anticipazioni, davvero allarmanti, sul nuovo piano industriale, che verrà completato verso dicembre, e che confermano la volontà della nuova dirigenza di intraprendere una riconversione spinta delle raffinerie in perdita, con conversione di molte di esse in depositi di derivati del greggio. Secondo gli analisti è allo studio il progetto di convertire in depositi di smistamento di prodotti derivati proprio la raffineria di Gela, sebbene rientrerebbero nel piano anche quelle di Sannazzaro, Livorno, Venezia e Taranto –:
   quale sia l'impatto sui risultati negativi a Gela dei numerosi upsets e conseguenti sequestri disposti dalla magistratura e quanto dipenda dallo scenario petrolifero europeo;
   quali siano le condizioni di scenario variate negli ultimi mesi in termini di prezzo del petrolio e calo della domanda petrolifera e se queste variazioni siano tali da giustificare un cambiamento repentino del piano di sviluppo presentato meno di un anno fa;
   se le condizioni di scenario, come sembra dalla stampa specializzata, non sono variate sostanzialmente, se si tratti allora di un piano strategico non adeguato sin dalla sua fase di concepimento;
   se a parte l'unico esempio della bioraffineria di Venezia Eni abbia proposto o intenda proporre altri progetti basati sulle tecnologie innovative;
   per quali ragioni i vertici del settore della raffinazione, da lungo tempo in carica, propongano chiusure generalizzate con l'effetto di perdere tutto quel patrimonio scientifico e tecnologico che il nostro Paese ha accumulato in oltre 60 anni di storia della raffinazione dai rispettivi dipendenti e da tutte le imprese dell'indotto specializzato che opera nelle varie raffinerie. (3-00942)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RACITI e TARANTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'8 luglio 2014 si è svolto, a Roma, un incontro tra l'ENI e le organizzazioni sindacali Femca-Cisl, Uilcer-Uil, Filctem-Cgil avente ad oggetto – secondo quanto è stato riferito da organi di stampa – «le misure per la sostenibilità finanziaria dell'attività di raffinazione del petrolio» e, in relazione a tale questione, il programmato fermo provvisorio di cinque raffinerie italiane, con il rischio del fermo definitivo di una delle cinque;
   tale rischio sarebbe particolarmente rilevante per l'impianto siciliano di Gela – bloccato peraltro dal 15 marzo 2014 per i danni causati da un incendio – per cui si prospetterebbe la trasformazione in deposito costiero e la cancellazione del piano di investimenti da 700 milioni di euro – già oggetto di impegni sottoscritti con le organizzazioni sindacali circa un anno fa – che avrebbe dovuto consentire il ritorno della raffineria siciliana a condizioni di profittabilità a partire dal 2017;
   la messa in discussione del richiamato piano di investimenti e l'ipotesi di trasformazione dell'impianto in deposito costiero metterebbero a repentaglio – secondo le valutazioni delle organizzazioni sindacali – circa 3500 posti di lavoro in un contesto territoriale già profondamente segnato da disoccupazione e crisi produttive;
   tali notizie hanno indotto forte allarme sociale, motivando la mobilitazione dei lavoratori e l'attivazione di enti locali e regione siciliana;
   il Governo – sempre secondo quanto riferito da organi di stampa – avrebbe comunque invitato l'ENI a presentare quanto prima un piano industriale –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, per quanto di competenza, affinché possa essere assicurato il rispetto degli impegni già assunti da ENI in merito agli investimenti finalizzati al rilancio produttivo della raffineria di Gela. (5-03217)

Interrogazione a risposta scritta:


   PETRAROLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Franco Tosi Meccanica s.p.a. (FTM), ditta metalmeccanica lombarda specializzata in turbine e componenti per generare energia elettrica, ha rivestito una importanza strategica ed economica per l'area del basso varesotto;
   il tribunale fallimentare di Milano ha dichiarato lo stato di insolvenza per l'azienda (sentenza del tribunale di Milano n. 757/13 del 24-25 luglio 2013) e 360 dipendenti si sono trovati senza lavoro e senza stipendio;
   il Ministero dello sviluppo economico, a giudizio dell'interrogante senza alcuna giustificazione e in modo alquanto superficiale, ha scartato l'ipotesi di affittare l'azienda nonostante l'interesse da parte di quattro imprese e ritenendo invece strategica la soluzione della vendita. L'aver rinunciato all'affitto della FTM ha portato ad una perdita di valore della stessa di fatto a tutto vantaggio di chi in futuro andrà ad acquistarla;
   oggi il destino della Franco Tosi è nelle mani del commissario straordinario Andrea Lolli che, secondo l'interrogante senza valido motivo, ha prorogato la data per la presentazione delle offerte per l'acquisto della ditta al 30 settembre 2014, mentre in origine la scadenza sarebbe stata il 4 luglio 2014;
   paradossalmente a impianti ormai fermi sono stati spesi 700.000 euro per gli adeguamenti anti incendio e 300.000 euro per bonifiche da amianto (La Prealpina, 5 luglio 2014) circostanza che farebbe lievitare sensibilmente il prezzo di acquisto riducendo il numero degli eventuali compratori;
   oggi, a seguito delle lungaggini e dello spostamento della data per la presentazione delle offerte di acquisto, circa la metà dei dipendenti rischia di non avere più la cassa integrazione;
   l'interrogante si è già interessato alla vicenda della Franco Tosi Meccanica s.p.a. con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-03736 del 26 febbraio 2014;
   per quale motivo il Ministero dello sviluppo economico abbia scartato l'ipotesi di affittare la ditta FTM, che avrebbe permesso alle maestranze di lavorare e contestualmente renderla attiva, funzionale e più competitiva;
   perché sia stato spostato il termine delle presentazioni delle offerte di acquisto;
   come si pensi di salvaguardare la cassa integrazione a quelle maestranze, circa il 50 per cento dei dipendenti, che tra poco tempo non l'avranno più.
(4-05529)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Fiano ed altri n. 1-00538, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Dorina Bianchi, Scopelliti e Sammarco e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Fiano, Dorina Bianchi, Scanu, Scopelliti, Roberta Agostini, Cuperlo, D'Attorre, Marco Di Maio, Fabbri, Famiglietti, Ferrari, Gasparini, Giorgis, Gullo, Lattuca, Lauricella, Marco Meloni, Naccarato, Piccione, Pollastrini, Richetti, Rosato, Sammarco, Francesco Sanna, Aiello, Bolognesi, D'Arienzo, Ferro, Fioroni, Fontanelli, Carlo Galli, Garofani, Gregori, Lorenzo Guerini, Marantelli, Massa, Moscatt, Salvatore Piccolo, Giuditta Pini, Stumpo, Valeria Valente, Villecco Calipari, Zanin».

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Quartapelle Procopio e altri n. 1-00326, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Alfreider, Piccione.

  La mozione Artini e altri n. 1-00539, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rostellato.

Apposizione di firme ad interpellanze.

  L'interpellanza Zaccagnini e altri n. 2-00610, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rubinato.

  L'interpellanza urgente D'Alia e Dellai n. 2-00616, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Schirò;

  L'interpellanza Zaccagnini altri n. 2-00626, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Scotto, Palazzotto, Marcon.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in commissione Liuzzi e Mantero n. 5-03053, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Baroni.

  L'interrogazione a risposta in commissione De Menech e altri n. 5-03164, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Rampelli n. 1-00543, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 263 del 14 luglio 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    le adozioni in Italia riguardano un numero piuttosto considerevole di minori e di famiglie: nel 2011 sono stati 909 i minori che hanno trovato stabilmente una famiglia mediante le procedure dell'adozione nazionale e 4.022 attraverso l'adozione internazionale;
    per quanto concerne le adozioni internazionali, dopo il picco segnato nel 2010 con l'ingresso in Italia di ben 4.122 minori a conclusione di più di un decennio di crescita esponenziale, si è registrata un'inversione di tendenza, che con 4.022 minori adottati nel 2011 e 3.106 nel 2012 ha segnato un calo davvero rilevante, con il quale l'Italia si è, di fatto, allineata ad un trend in atto in tutti i Paesi occidentali;
    i motivi di tale flessione sono molteplici: il primo può essere ricercato nel fatto che molti dei Paesi di provenienza dei minori si sono orientati verso l'attuazione di politiche sociali ed interventi di prevenzione, a volte in accordo con quanto stabilito dalla Convenzione de L'Aja del 1993, firmata da molti dei Paesi da cui provengono i minori, cercando, laddove è possibile, di rimuovere le cause che portano all'allontanamento del bambino dalla sua famiglia ed incentivando misure alternative, quali l'affido e l'adozione nazionale;
    d'altra parte, seppur il numero di coppie disponibili all'adozione rimane ancora di gran lunga superiore a quello dei minori dichiarati adottabili, anche rispetto al numero di domande di disponibilità all'adozione si è verificato un sensibile calo, che ha portato nel 2012 ad una riduzione significativa delle coppie adottive, risultate pari a 2.469;
    la contrazione nella disponibilità all'adozione potrebbe essere ricondotta a diversi fattori, tra i quali la crisi economica, l'insicurezza in cui versano molte famiglie, i notevoli costi anche di ordine economico che debbono essere sostenuti dalle famiglie che intraprendono le procedure, come anche la diffusione di una maggiore consapevolezza che l'accoglienza di bambini, che hanno alle spalle spesso una lunga istituzionalizzazione, oltre che traumi, abusi e trascuratezza, richieda delle competenze genitoriali specifiche;
    tuttavia, non solo la difficile congiuntura economica, ma anche la complessità e la burocratizzazione delle procedure, oltre ad un atteggiamento a volte troppo sospettoso verso gli aspiranti genitori, hanno ridotto la capacità del sistema di realizzare uno dei principi-base su cui si ispira la nostra legislazione: il diritto del minore a crescere in una famiglia;
    con la legge n. 149 del 2001 è stata prevista la creazione di una banca dati nazionale sulle adozioni, relativa ai minori dichiarati adottabili, nonché ai coniugi aspiranti all'adozione nazionale ed internazionale per garantire un miglioramento degli esiti dei procedimenti di adozione;
    ad oggi, tuttavia, in base alla Relazione sullo stato di attuazione della legge recante modifiche alla disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile, trasmessa al Parlamento il 16 dicembre 2013, alcune carenze infrastrutturali informatiche hanno bloccato, e rallentano tuttora, di fatto, l'avvio della banca dati;
    seppure si tratta di una percentuale di casi non elevata, un'importante problematica da affrontare in materia di adozioni è certamente quella dei cosiddetti fallimenti, vale a dire delle famiglie che, non riuscendo a gestire il minore avuto in adozione, lo restituiscono, causandogli un ulteriore trauma emotivo, che, oltretutto, comporta il suo trasferimento di nuovo nella realtà di origine, spesso rappresentata da Paesi nei quali vigono una disciplina normativa ed un approccio sociale arretrati rispetto ai minori che versino in stato di abbandono;
    un'ulteriore fattore della contrazione della disponibilità alle adozioni è certamente rappresentato dalla carenza di strutture e di servizi dedicati all'infanzia nel nostro Paese, rispetto ai quali, peraltro, si continua ad assistere alla progressiva erosione delle risorse finanziarie dedicate;
    in particolare, la legge n. 285 del 1997, recante «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza», aveva istituito il fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, successivamente inglobato al 70 per cento dal fondo nazionale per le politiche sociali di cui alla legge n. 328 del 2000, che però ha il grave limite di essere un fondo unico indistinto, senza vincoli di spesa, rispetto al quale è demandata alle regioni la programmazione e la pianificazione nell'ambito della loro esclusiva competenza, individuando nei livelli essenziali di assistenza la base comune delle prestazioni sociali per tutto il territorio nazionale;
    essere accolto e crescere all'interno di un ambiente familiare sereno rappresenta un diritto fondamentale del minore e costituisce un bene sociale irrinunciabile;
    i rilevanti cambiamenti intervenuti nel corso del tempo nelle scelte di adozione da parte delle famiglie italiane e le conseguenti significative criticità determinano il dovere in capo al legislatore di affrontare in modo organico i seri problemi finora individuati;
    i costi sociali ed economici dei mancati investimenti sull'infanzia e sull'adolescenza avranno un impatto negativo sull'Italia del presente, ma soprattutto del futuro,

impegna il Governo:

   ad elaborare le opportune iniziative di modifica delle normative volte alla semplificazione delle procedure per le adozioni internazionali;
   ad istituire un sistema di monitoraggio delle spese sostenute dalle coppie che decidano di adottare un minore straniero e, al contempo, a valutare l'introduzione in favore di tali coppie di un rimborso delle medesime spese, attraverso un meccanismo di detraibilità fiscale;
   a valutare l'opportunità che gruppi tecnico-professionali specializzati, formati da soggetti dei diversi settori operanti nell'ambito delle adozioni nazionali ed internazionali, operino presso la Commissione per le adozioni internazionali al fine di monitorare e favorire il migliore processo evolutivo adozionale e il più attento svolgimento delle procedure di adozione, contribuendo al miglioramento dei rapporti tra i diversi partner, anche esteri;
   con specifico riferimento alla problematica dei fallimenti e delle restituzioni, a prevedere iniziative normative per ridurne il rischio, individuando percorsi di sostegno e formazione alla famiglia adottiva ed introducendo azioni di monitoraggio garantite da servizi specializzati e destinati solo a tale scopo;
   a garantire l'adozione internazionale dei bambini in stato di abbandono o comunque privi di genitori a famiglie tradizionali riconosciute dall'articolo 29 della Costituzione e formate da persone di sesso diverso.
(1-00543)
«Rampelli, Corsaro, Maietta, Nastri, Totaro, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Taglialatela».

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza Piras n. 2-00628, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 262 dell'11 luglio 2014.

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere — premesso che:
   la riduzione della presenza militare e lo smantellamento della base americana nell'arcipelago di La Maddalena avrebbe dovuto favorire lo sviluppo di iniziative economiche innovative soprattutto nel settore del turismo, con particolare riferimento a quello ambientale, balneare, del diportismo e congressuale e, ad oggi si registra un andamento insoddisfacente rispetto a quella prospettiva;
   la mancata bonifica del sito militare dismesso, la scandalosa gestione delle opere finalizzate allo svolgimento del G8 (poi trasferito a L'Aquila), l'assenza di un progetto più generale di riconversione dell'economia locale, costituiscono elementi decisivi che hanno concorso a un impoverimento generalizzato della comunità locale;
   l'amministrazione comunale di La Maddalena si è da sempre impegnata in modo particolare per favorire un nuovo modello di sviluppo in questa delicata fase di transizione dalla vecchia economia fondata su una forte dipendenza dalla presenza militare a una nuova, che punta alla valorizzazione delle proprie risorse territoriali e ambientali;
   la presenza militare statunitense, in loco per lunghi quarant'anni, ha concorso in maniera determinante a modificare la struttura economica, sociale e persino la psicologia profonda della comunità locale, determinando una integrazione economica che, una volta dismessa, non poteva che generare, in assenza di una attività coordinata di costruzione dello sviluppo, un contraccolpo violento, ragione per cui, in primis, lo Stato avrebbe dovuto – ed ancora dovrebbe – farsi carico di un risarcimento al prezzo pagato dalla comunità maddalenina agli interessi dell'Alleanza con gli USA ed a quello nazionale;
   in tale contesto, a fini di sviluppo economico ecosostenibile e della tutela ambientale, riveste una funzione decisiva il parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena, istituito con legge n. 10 del 4 gennaio 1994, il cui ente gestore è stato istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 17 maggio 1996;
   tale soggetto è risultato per lungo tempo inadempiente (così come già rilevato dalla Corte dei conti con delibera n. 02/2006 della sezione regionale di controllo per la Sardegna) rispetto a quanto stabilito dall'articolo 12, comma 3, della legge n. 394 del 1991, legge quadro sulle aree protette, ovverosia nella redazione del piano del Parco, principale strumento di pianificazione e di indirizzo urbanistico-economico del territorio, infine redatto dal Presidente dell'Ente – senza alcun sensibile coinvolgimento dell'Amministrazione comunale – solamente a marzo 2014;
   il Parco nazionale risulta ancora inadempiente nella redazione del piano pluriennale economico e sociale così come stabilito dall'articolo 14, comma 2, della legge n. 394 del 1991;
   il Consiglio direttivo dell'ente ha concluso il suo mandato in data 10 febbraio 2013;
   a oltre un anno dal termine del mandato del Consiglio Direttivo, inoltre, non si è ancora proceduto alla nomina dei nuovi membri. Le responsabilità di questa condizione sono da considerarsi diffuse nel sistema istituzionale che ha il potere di nomina e tuttavia denunciano un ulteriore elemento di difficoltà ed una condizione nella quale la Presidenza si trova costretta ad operare in regime monocratico;
   a far data dal settembre 2013, l'Ente gestore ha visto perdere un consistente parte del proprio personale così come già sottolineato con interrogazione a risposta scritta 4-02059 presentata dal senatore Luciano Uras in data 15 aprile 2014;
   i rapporti fra l'Ente gestore e l'Amministrazione de La Maddalena risultano da tempo particolarmente tesi; per le ragioni citate l'Ente gestore si trova in condizioni di tendenziale paralisi politica e amministrativa;
   tale condizione arreca un significativo danno economico e occupazionale alla comunità di La Maddalena e d'immagine all'Area Protetta in oggetto –:
   quali siano le iniziative che il Governo intenda assumere al fine di imprimere definitiva attuazione ai progetti di sviluppo eco-sostenibile del territorio del Parco;
   quali siano i tempi di nomina del nuovo consiglio direttivo e della comunità del parco del parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena;
   quali siano le attività di vigilanza assunte o che il Ministro competente intenda assumere rispetto alle criticità citate in premessa.
(2-00628) «Piras».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Businarolo n. 4-04530, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 213 del 16 aprile 2014.

   BUSINAROLO e AGOSTINELLI. – Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 giugno 2013 (interrogazione n. 4-00869, seduta pubblica n. 33) l'interrogante presentava una interrogazione al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, relativa ai progetti Motorcity, District Park e Centro agroalimentare di Trevenzuolo per la cui realizzazione è prevista l'utilizzazione di 12 milioni di metri quadrati, 4,5 dei quali solo per l'autodromo, nella zona di Vigasio e Trevenzuolo in provincia di Verona;
   la sottoscritta interrogava il Governo per sapere se intendesse acquisire elementi in merito alla possibile compromissione, nelle aree interessate dai progetti descritti, di valori paesaggistici protetti e se la competente soprintendenza fosse stata coinvolta nelle procedure o avesse mosso rilievi in relazione ad esse;
   con risposta scritta del 7 novembre 2013 il Ministro interrogato affermava quanto segue: «L'unico progetto portato a conoscenza degli uffici territoriali dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con particolare riferimento alla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto, è quello indicato nell'interrogazione come “Motorcity” »;
   l'area interessata dal progetto in questione è parzialmente soggetta alla tutela paesaggistica di cui all'articolo 142, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, per la presenza di alcuni corsi d'acqua. Non risultano provvedimenti di tutela ai sensi della parte II o III del citato decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Tale area presenterebbe, inoltre, un potenziale interesse archeologico, su cui sono in corso i necessari approfondimenti da parte della competente soprintendenza per i beni archeologici del Veneto;
   con decreto 25 giugno 2007, n. 16, la regione del Veneto, direzione regionale progetti e investimenti, ha stabilito l'assoggettamento del progetto in questione alla procedura di valutazione di impatto ambientale («Via») di interesse regionale, ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 152;
   il 21 maggio 2008, l'autodromo del Veneto Spa, soggetto proponente nell'ambito della procedura di Via, ha inoltrato a questa amministrazione un progetto preliminare e uno studio di impatto ambientale relativi all'intervento di cui si discute. Nel caso di specie, la regione del Veneto ha riferito per le vie brevi che il procedimento di Via è ancora in corso;
   tenuto conto della parziale sottoposizione dell'area a tutela paesaggistica, il progetto di cui si discute deve ottenere necessariamente il parere favorevole di questa amministrazione di cui all'articolo 146, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, che, ad oggi, non è stato ancora espresso, atteso che il soggetto proponente non risulta aver trasmesso a questa amministrazione l'istanza di Via corredata di tutti gli allegati (tra i quali il progetto definitivo dell'intervento e la relazione paesaggistica ad esso relativa), conformemente a quanto previsto dall'articolo 25, comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152»;
   da un articolo di stampa del 30 marzo 2014, emerge che «il primo ostacolo per l'avvio dei cantieri del “District Park”, quello della compatibilità ambientale, è caduto. Il dirigente del Settore ambiente della Provincia, ha dato il via libera alla realizzazione del primo stralcio del nuovo polo della logistica avanzata, che occuperà con capannoni artigianali e industriali 500mila metri quadrati di terreno nella località Vò di Rua. Era stata la società che si propone di realizzare l'intervento, la “Serenissima Sgr”, a chiedere lo scorso anno agli uffici ambientali di Palazzi scaligeri il parere sulla conciliabilità dell'intervento con il territorio, dopo che la stessa impresa aveva modificato il Piano urbanistico attuativo originario, suddividendolo in due stralci da mezzo milione di metri quadrati ciascuno. Il dirigente provinciale, sulla base degli incartamenti presentati dall'impresa e dopo aver consultato la Commissione provinciale per la Valutazione di impatto ambientale (Via), ha ritenuto sufficienti i dati dello screening ambientale forniti dalla società, escludendo che l'intervento debba essere sottoposto alla ben più lunga procedura Via»;
   il District Park dovrebbe essere realizzato su una superficie di un milione 30 mila 345 metri quadrati di terreno, che per circa il 55 per cento sarà ricoperta da capannoni. Il polo logistico dovrebbe poi essere raggiungibile grazie ad una circonvallazione ad ovest del capoluogo e che verrà realizzata dalla Serenissima Sgr;
   la sottoscritta ha presentato un ordine del giorno (9/02373/039), accolto dal Governo, nella seduta del 20 maggio 2014: premesso che il trend di consumo di suolo nel nostro Paese è allarmante a causa dell'espansione edilizia e urbana e della realizzazione di nuove infrastrutture ed il valore di superficie consumata pro capite supera i 300 metri quadrati per abitante all'anno, il Governo si è impegnato a realizzare progetti per il riuso delle città secondo politiche volte al consumo di «suolo zero», per evitare di realizzare nuove costruzioni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa ed in particolare del tentativo, da parte del settore ambiente della Provincia di Verona, di esclusione dalla procedura di Via, sostituita con meri dati di screening ambientale forniti dalla società che si propone di realizzare l'intervento;
   se e come il Ministro intenda intervenire al fine di tutelare l'area in questione, parzialmente soggetta alla tutela paesaggistica di cui all'articolo 142, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. (4-04530)

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Quartapelle Procopio n. 1-00326, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 161 del 28 gennaio 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    avere un figlio adottivo è aprire nella propria famiglia uno spazio non solo fisico, ma soprattutto mentale e di cuore per l'accoglienza di un bambino o di una bambina, generato da altri, con una sua storia, che desidera continuare con i nuovi genitori, con cui formerà una vera famiglia, come una «sua» seconda possibilità di vita. Solo così, partendo dal diritto di ogni bambino ad avere una famiglia e dal desiderio di una coppia di accogliere un figlio, e costruendovi sopra un percorso personale e genitoriale che sia di vera accoglienza, si può iniziare correttamente la strada dell'adozione. Nel caso dell'adozione di un bambino straniero questo percorso è più articolato ma per molti versi anche più ricco. L'adozione internazionale permette di accogliere a far parte integrante della propria famiglia bambini di altri Paesi, con cultura, lingua, tradizioni diverse. Per questo, per tutelarne i diritti, la normativa italiana sul tema delle adozioni internazionali si fa più complessa, ma offre in cambio la sicurezza sullo stato di abbandono del bambino, una più approfondita preparazione ed un migliore sostegno alle coppie che hanno deciso di intraprendere questo percorso;
   l'Italia ha ratificato la Convenzione de L'Aja del 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozioni internazionali; con tale provvedimento ha recepito nella sua legislazione, sulla base della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, i principi di fondo sui quali si basa la tutela dei bambini privi di famiglia. I compiti relativi all'adempimento di questi princìpi i tra cui stabilire l'idoneità degli aspiranti genitori adottivi nel rispetto della Convenzione sono affidati ad una serie di istituzioni, coordinate nel Paese di adozione dalla Commissione adozioni internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, mentre le procedure all'estero sono affidate alla necessaria attività degli enti autorizzati, sull'operato dei quali vigila la medesima Commissione;
   le mamme e papà italiani dimostrano una grande sensibilità alle adozioni, infatti più che negli altri Paesi di accoglienza sono disponibili ad adottare bambini grandi, che hanno problemi di salute, anche gravi e non reversibili, (cioè i cosiddetti special needs secondo i criteri della Convenzione de L'Aja) ma essendo spesso i Paesi di origine Paesi con forti problematiche sociali, economiche e politiche, di volta in volta si possono avere delle «crisi Paese» (vedi Ucraina) che si riflettono anche sulle adozioni, che pertanto possono subire forti rallentamenti o sospensioni, che incidono quindi qualche volta in maniera determinante sul numero complessivo di adozioni portate a termine;
   in questi decenni, il delicato e complesso meccanismo dell'adozione ha visto alcune modifiche a seguito delle trasformazioni sociali. Sono però rimasti immutati e validi i principi fondamentali su cui si poggia: il rispetto dei diritti e il perseguimento del maggior interesse del minore, il concetto di sussidiarietà, il ruolo e la funzione dei diversi enti nel processo di adozione; rimane solido, in particolare, l'impianto normativo e istituzionale su cui si basa il processo adottivo, con il ruolo dei servizi sociali territoriali e dei Tribunali per i Minorenni, e quello centrale della Commissione per le Adozioni Internazionali. Il carattere pubblico di questi soggetti garantisce imparzialità di giudizio e professionalità nella valutazione delle coppie e soprattutto nella tutela dell'interesse superiore dei bambini. La Commissione è inoltre necessario punto di riferimento per la vigilanza sugli enti ai quali le coppie italiane si affidano. Pertanto deve essere messa in condizioni di operare efficacemente dal punto di vista delle risorse economiche e professionali, disponendo di fondi per operare nell'ordinario e nelle situazioni di emergenza, per gestire le relazioni bilaterali con le istituzioni che sovrintendono al processo adottivo nei Paesi di provenienza e per sostenere progetti di cooperazione;
   negli ultimi anni sono intervenute alcune criticità, a partire da varie problematiche nel rapporto con i Paesi di origine dei minori. In alcuni di questi Stati lo sviluppo socio-economico ha contribuito a rendere residuale l'adozione internazionale rispetto alle possibilità offerte all'interno del Paese, sia attraverso adozioni interne oppure soluzioni di affido che, comunque, mantengono l'identità e il radicamento del bambino nel proprio Paese. In altri paesi talvolta si assiste ad improvvise chiusure o limitazioni nelle procedure di adozione in corso, anche a causa delle incerte condizioni sociali e politiche. La cooperazione internazionale nel campo dei diritti dei minori va quindi incentivata e favorita;
   inoltre, nonostante l'Italia resti uno dei Paesi più accoglienti al mondo, l'insicurezza dovuta alla crisi economica in Italia si aggiunge ai fattori internazionali che hanno contribuito alla diminuzione del numero degli ingressi in Italia (-7 per cento nel 2013 rispetto al 2102, -23 per cento nel 2012 rispetto al 2011). Proprio per far fronte agli elevati costi (il costo di un'adozione internazionale supera facilmente i 20 mila euro tra spese per l’iter e quelle di viaggio) nel 2005 è stato istituito un «Fondo di sostegno delle adozioni internazionali», finalizzato al rimborso di parte delle spese sostenute per l'adozione di un bambino straniero nel corso dell'anno precedente, le cui funzioni sono state successivamente assorbite dal Fondo per le politiche della famiglia, istituito dall'articolo 19, comma 1 del decreto-legge 223 del 2006, destinato a finanziare anche il sostegno delle adozioni internazionali;
   risulta a questo proposito che, mentre i decreti relativi ai rimborsi per l'anno 2011 sono stati predisposti dalla Commissione Adozioni Internazionali e sono in corso di firma da parte del Dipartimento per le politiche della famiglia (pur se i fondi erogati nel 2013, ormai in via di esaurimento, non copriranno tutti i rimborsi 2011), relativamente alle adozioni concluse nel 2012 ancora non è stato emesso alcun decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e neppure per le adozioni concluse negli anni 2013 e 2014. Risulta quindi esaurito per il 2013 il Fondo per l'esecuzione della convenzione Aja e in via di esaurimento le risorse del Fondo per il sostegno delle adozioni internazionali. Per quanto riguarda il 2014 la Commissione non ha ancora assegnazione di fondi e possibilità di riparto degli stessi;
   si ritiene dunque indispensabile che il Governo decida quali risorse destinare alla Commissione e ai rimborsi e in quali tempi, per garantire alle tante famiglie interessate tempi più rapidi e notizie più certe, soprattutto in un periodo di crisi quale quello attuale, considerando anche che spesso si è costretti, per coprirle, a chiedere prestiti in banca o a familiari. È evidente che l'interruzione della misura del rimborso a favore delle famiglie adottive costituisca un grave ostacolo per tante coppie italiane altrimenti decise ad adottare, rischiando altresì di configurare una disparità di trattamento tra cittadini, con un'ulteriore ingiusta penalizzazione nei confronti di tante coppie più fragili economicamente ma che credono fermamente nel diritto di ogni bambino ad avere una famiglia;
   la più elevata età delle coppie, la disponibilità di bambini più grandi o con special needs (bambini con patologie, con disagi psico-affettivi ingenti, con seri disturbi cognitivi, che necessitano di interventi di psicomotricità, logopedia, tutoraggi, terapia psicologica) rende il percorso post-adottivo più impegnativo dal punto di vista del sostegno richiesto dalle famiglie, che si rivolgono alle associazioni familiari (che non sono un interlocutore istituzionale e hanno scarsi fondi) o a professionisti privati, con costi elevati. Pochissime Asl garantiscono sul territorio servizi di post adozione e, comunque, solo nei primissimi anni; tra le ragioni del predetto calo delle adozioni, vanno altresì considerate le procedure amministrative, spesso piuttosto farraginose, e i tempi dagli esiti incerti, nonostante la normativa fissi precisi limiti di tempo, che caratterizzano i procedimenti di adozione. Ad esempio, attualmente la trascrizione della pronuncia straniera di adozione nei registri dello stato civile viene effettuata dal Tribunale per i minorenni, mentre potrebbe essere attribuita alla Commissione adozioni internazionali per semplificare la procedura;
   è auspicabile che finalmente il governo torni a dare rinnovata, palese e concreta attenzione alle politiche in materia di adozioni internazionali, alla Cai, agli enti e alle famiglie dei genitori adottivi, come indicato anche dalla decisione di mantenere sotto la Presidenza del Consiglio dei Ministri la delega in materia di adozioni nazionali ed internazionali e la Commissione per le adozioni internazionali,

impegna il Governo:

   a dotare la Commissione adozioni internazionali di risorse economiche adeguate per i suoi compiti istituzionali, per quanto riguarda le attività ordinarie, per le attività di vigilanza nazionale e internazionale, per le relazioni internazionali ed i negoziati con i Paesi di origine dei minori, per i casi critici in cui è prevista la presa in carico delle coppie, nonché per sostenere i progetti di cooperazione internazionale atti a realizzare il principio di sussidiarietà;
   ad adoperarsi per assicurare il diritto dei minori ad avere una famiglia nel minor tempo possibile, a partire dalla conclusione nei tempi previsti dalla legge del percorso di idoneità per gli aspiranti genitori adottivi, con particolare riguardo alle relazioni dei servizi sociali e alle sentenze da parte dei tribunali per i minorenni;
   a rafforzare l'iniziativa politica per la definizione di accordi bilaterali con quelle nazioni con le quali negli ultimi anni si è assistito a problematiche nel percorso di adozioni, al fine di ottenere maggiori garanzie da questi paesi;
   a continuare a sostenere con convinzione ogni iniziativa volta a sbloccare le pratiche adottive di famiglie italiane in quei paesi nei quali per ragioni sociali e politiche queste hanno subito un rallentamento;
   ad adottare ogni iniziativa utile a reperire le risorse necessarie per erogare i rimborsi relativi alle procedure di adozione ancora in sospeso (anni 2011, 2012, 2013), nonché a stabilizzarli per il futuro, attraverso un aumento delle risorse disponibili per il Fondo per le politiche della famiglia;
   a valutare la possibilità di superare il sistema dei rimborsi sostituendolo con misure fiscali idonee a sostenere le famiglie che concludono il percorso adottivo, sia per le spese sostenute durante il percorso adottivo che nel percorso di post-adozione;
   ad assumere iniziative per aumentare la percentuale degli oneri deducibili dal reddito relativa alle spese sostenute dai genitori per l'espletamento dell'adozione e per il percorso di post-adozione dei bambini con special needs;
   a riconsiderare l'obbligatorietà della certificazione delle spese, oggi in capo agli enti autorizzati, permettendo l'autocertificazione in merito da parte delle coppie purché idoneamente documentata;
   a valutare di prevedere che – per quanto riguarda i paesi che hanno ratificato la Convenzione de L'Aja – la trascrizione della sentenza nei registri dello stato civile venga effettuata esclusivamente dalla Commissione adozioni internazionali;
   a prevedere la possibilità di agevolazioni relative ai congedi parentali, anche spostando il limite temporale in cui godere dei permessi non retribuiti, ampliando la normativa vigente;
   ad incentivare l'attenzione della Commissione alla consultazione, all'ascolto delle proposte degli enti e all'accompagnamento delle loro attività in campo nazionale e internazionale.
(1-00326)
«Quartapelle Procopio, Santerini, Palmieri, Binetti, Dorina Bianchi, Locatelli, Scotto, Sibilia, Brambilla, Calabrò, Caruso, Centemero, Antimo Cesaro, D'Agostino, Daniele Farina, Fauttilli, Fucci, Gelmini, Gitti, Lainati, Marazziti, Mariani, Marti, Molea, Nicchi, Palazzotto, Palese, Piepoli, Prestigiacomo, Preziosi, Roccella, Sberna, Sbrollini, Schirò, Scuvera, Sereni, Squeri, Vella, Vezzali, Zampa, Alfreider, Piccione».

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Binetti n. 1-00309 del 13 gennaio 2014;
   mozione Santerini n. 1-00512 del 23 giugno 2014;
   mozione Palmieri n. 1-00542 del 14 luglio 2014:
   mozione n. 1-00544 del 14 luglio 2014.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza Lombardi n. 2-00598 del 1o luglio 2014;
   interrogazione a risposta orale Tacconi n. 3-00937 del 10 luglio 2014.

ERRATA CORRIGE

  Mozione Ginefra e altri n. 1-00134 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 45 del 3 luglio 2013.

  Alla pagina 2893, prima colonna, dalla riga quarantesima alla riga quarantunesima deve leggersi: «Luciano Agostini, Grassi, Ventricelli, Carbone, Mariano,» e non «Agostinelli, Grassi, Ventricelli, Carbone, Mariano,», come stampato.