Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 7 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    le esportazioni mondiali di prodotti made in Italy, nel 2013, hanno generato introiti per oltre 68 miliardi di euro. Tali esportazioni comprendono un patrimonio di oltre 1.000 prodotti italiani di alta qualità a livello mondiale, che ha bisogno di un'effettiva tutela, oltre che di un'ulteriore promozione sul piano internazionale, in modo da assecondarne la crescente richiesta mondiale, aumentata, nel 2013, del 4,1 per cento rispetto al 2012;
    secondo l'Ocse, il commercio di prodotti contraffatti alimenta il 10 per cento degli scambi mondiali, per un controvalore pari a 450 miliardi di dollari, con punte assolutamente drammatiche per alcuni Paesi, tra i quali appunto l'Italia;
    l'indagine Censis sull'impatto della contraffazione nel sistema Paese dell'ottobre 2012 è da questo punto di vista impietosa: il fatturato del mercato del falso nel nostro Paese ammonterebbe a 6,9 miliardi di euro e il valore legale del mercato vero, equivalente al prodotto che sarebbe venduto al posto del contraffatto, sarebbe di 13,7 miliardi di euro, con conseguenti 5 miliardi e mezzo di euro di valore aggiunto e una perdita di 110-130 mila posti di lavoro;
    l'emersione di questa produzione illegale produrrebbe un gettito aggiuntivo per imposte dirette e indirette di 4,6 miliardi di euro;
    le merci contraffatte non hanno più un ambito definito, ma si collocano nei settori più disparati: dall'abbigliamento al tessile, dalla pelletteria ai giochi, dai farmaci, comprese le protesi, ai mobili e ai materiali edili, per non parlare del settore alimentare;
    l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo. Il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» hanno fornito da sempre un contributo importante alla crescita dell’export italiano, ma sono cresciuti anche allo stesso ritmo i fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
    secondo i dati contenuti nel «2o Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia», realizzato da Eurispes e Coldiretti nel 2013, è emerso che il volume d'affari realizzato dalle agromafie nel nostro Paese nel 2013 è stato di circa 14 miliardi di euro, con un aumento record del 12 per cento rispetto al 2011, anno in cui è stato realizzato il primo rapporto sui crimini agroalimentari, in netta controtendenza rispetto alla fase recessiva del Paese;
    in base agli ultimi dati disponibili, nei primi 9 mesi del 2013 sono stati sequestrati beni e prodotti per un valore di 335,5 milioni di euro, soprattutto con riferimento a prodotti base dell'alimentazione. Secondo la Coldiretti su 28.528 controlli, in ben 9.877 casi (in altre parole in quasi un caso su 3) sono state individuate non conformità. L'attività dei carabinieri dei nuclei antisofisticazione, nello stesso periodo, ha portato all'arresto di ben 24 persone, mentre 1.389 sono state segnalate all'autorità giudiziaria e 8.300 a quella amministrativa;
    il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
    il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
    in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia, e la contraffazione del made in Italy ne minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
    la Gran Bretagna sta sollecitando l'adozione dell'obbligo dell'etichettatura «a semaforo», che consiste nell'apposizione sugli imballaggi di codici verde, arancione e rosso per classificare gli alimenti in base ai contenuti di grasso, sale e zucchero ogni cento grammo di prodotto. Si tratta di un sistema che rischia di discriminare le eccellenze alimentari igp e dop e colpire prodotti che la Gran Bretagna importa per circa 800 milioni di euro dall'Italia (si sta parlando di prodotti quali il parmigiano reggiano, il prosciutto, i salami, i prodotti dolciari, le marmellate e l'olio di oliva);
    il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute, alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti, ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera, all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà, all'educazione al consumo e alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
    la circolazione di alimenti che evocano un'origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale, che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
    sempre dal «2o Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia» si evidenzia anche «l'evoluzione dall’Italian sounding all’Italian laundering», ossia il passaggio dalla commercializzazione di prodotti non italiani con l'utilizzo di nomi e simboli che richiamano il nostro Paese, all'acquisizione di marchi legati alla storia e cultura del territorio italiano, attraverso i quali si commercializzano produzioni dall'origine incerta e spesso pericolosa;
    sul piano normativo a livello nazionale sono stati fatti passi avanti con l'approvazione di numerose disposizioni legislative volte a tutelare il made in Italy in tutti i comparti economico-produttivi;
    sul piano comunitario si rileva l'importanza di norme, come il regolamento 178/2002, che assicura la qualità degli alimenti destinati al consumo umano e dei mangimi, garantendo così la libera circolazione di alimenti sani e sicuri nel mercato interno, e che ha istituito, inoltre, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), che funge da riferimento per il controllo e per la valutazione scientifica degli alimenti;
    secondo i dati dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare, l'Italia risulta prima nel mondo in termini di sicurezza alimentare, con oltre un milione di controlli all'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di 5 volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) ed addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
    alla fine del 2014 entreranno in vigore le disposizioni di cui all'articolo 39 del regolamento n. 1169 del 2011, che prevedono la possibilità, per gli Stati membri, di dotarsi di un maggiore dettaglio del sistema di etichettatura, introducendo ulteriori disposizioni, in particolare per ciò che attiene all'indicazione obbligatoria del Paese di origine e del luogo di provenienza degli alimenti, ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell'alimento e la sua origine o provenienza;
    il 15 aprile 2014 il Parlamento europeo ha approvato il regolamento relativo al made in, emendando e rafforzando il precedente regolamento del 29 settembre 2010 negli obiettivi di valorizzazione e tutela delle produzioni nazionali. Grazie in particolare a quanto contenuto nell'articolo 7, la realizzazione dei prodotti dovrà essere il risultato del lavoro delle imprese che operano nelle filiere. Questo sarà attuabile in concreto solo attraverso la modifica del regolamento doganale;
    rispondendo ad un atto di sindacato ispettivo nel mese di marzo 2014, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali affermava che l'Unione europea spesso ha adottato normative in materia non sempre coerenti con gli stessi interessi italiani e che è in quella sede che l'Italia deve condurre le battaglie in difesa dei prodotti italiani se si vuole che esse sortiscano effettivamente gli effetti sperati;
    il 25 settembre 2013 la Camera dei deputati ha nuovamente istituito una Commissione d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo,

impegna il Governo:

   nel corso del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea:
    a) ad assumere iniziative per istituire, presso ogni Paese nel quale vi è una rappresentanza diplomatica italiana, un ufficio anticontraffazione con il compito precipuo di tutelare il made in Italy;
    b) ad assumere ogni iniziativa utile affinché si pervenga al più presto all'approvazione del regolamento recante la disciplina sul made in in seno al Consiglio dell'Unione europea;
    c) ad adottare ogni utile iniziativa finalizzata a tutelare la qualità dei prodotti italiani, in primo luogo favorendo l'attuazione da parte dei singoli Stati membri dell'articolo 26 del regolamento (UE) 25 ottobre 2011, n. 1169, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori ed assicurando ai singoli Stati la possibilità di integrare la disciplina comunitaria con provvedimenti nazionali di maggior tutela;
    d) a sensibilizzare i Paesi partner dell'Unione europea sull'opportunità di monitorare l'applicazione delle norme di cui al regolamento (CE) 178/2002 relative alla sicurezza degli alimenti che circolano nel mercato interno, introducendo un quadro di controllo e di monitoraggio della produzione, nonché di prevenzione e di gestione dei rischi;
    e) a favorire in tempi rapidi la modifica del regolamento doganale (articolo 24 del regolamento n. 2913 del 1992, e successive modifiche), al fine di dare la certezza della provenienza dei prodotti che circolano nell'Unione europea;
    f) ad assumere iniziative, d'intesa con gli altri Paesi europei interessati, volte a superare il tentativo di introduzione dell'etichettatura «a semaforo», che, oltre a danneggiare le produzioni italiane di eccellenza, rappresenterebbe un palese ostacolo alla libera circolazione delle merci e quindi sarebbe contrario ai principi fondamentali dell'Unione europea;
    g) ad adottare al più presto i decreti ministeriali di attuazione dell'articolo 4 della legge 3 febbraio 2011, n. 4, al fine di rendere immediatamente applicabile la normativa sull'etichettatura di origine dei prodotti agroalimentari a tutela dei consumatori e degli operatori della filiera;
    h) ad assumere ogni iniziativa di competenza per rilanciare la ristorazione italiana di qualità nel mondo, ad esempio sostenendo il marchio «Ciao Italia», in maniera che il vero ristorante italiano sia distinto dalle tante imitazioni che non fanno onore alla vera tradizione italiana e spesso offrono prodotti che non hanno nulla a che vedere con la cucina italiana e la filiera di cui essa è il punto di arrivo;
    i) ad implementare il sostegno alle piccole e medie imprese, espressione dell'eccellenza italiana, nel processo di internazionalizzazione ed a valorizzare l'associazionismo italiano all'estero quale strumento di promozione dell'autentico made in Italy;
    l) a tutelare il prodotto italiano di qualità nell'ambito del negoziato Unione europea-Usa sul Transatlantic trade and investment partnership e in tutti gli altri negoziati in essere tra l'Unione europea ed i suoi partner commerciali.
(1-00527) «Fitzgerald Nissoli, Dellai, Schirò, Marazziti, Caruso, Fauttilli, Santerini, Piepoli».


   La Camera,
   premesso che:
    la globalizzazione dei mercati ha provocato effetti economici complessi. Infatti, il venir meno delle barriere di carattere protezionistico alla libera circolazione delle merci ha alimentato il diffondersi di comportamenti anomali, tra i quali figura l'imitazione dei prodotti e dei marchi aziendali di alcuni Paesi europei da parte dei produttori specialmente dell'area asiatica. Gli effetti negativi di questo fenomeno sono particolarmente preoccupanti per i settori produttivi del cosiddetto made in Italy e per i distretti produttivi locali che ne costituiscono l'asse portante;
    infatti, il fenomeno della contraffazione deprime ogni incentivo al miglioramento della produzione, disorienta i consumatori, impedisce alla concorrenza di espletare i suoi benefici tipici: incremento qualitativo e quantitativo nella gamma dei prodotti e servizi offerti, tendenziale abbassamento dei prezzi, crescita economica;
    nella XVI legislatura la Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale ha svolto un'attenta inchiesta sul fenomeno della contraffazione, mettendo in risalto, nella relazione conclusiva, come il valore della contraffazione si attesterebbe su una cifra pari a 6,5 miliardi di euro. Secondo Confindustria, il valore complessivo dei prodotti contraffatti, solo in Italia, ammonterebbe a 7 miliardi di euro, mentre a livello mondiale l'Ocse ha stimato che il commercio costituito da tali merci riguarderebbe l'8 per cento del totale;
    secondo una ricerca pubblicata dal Censis nell'aprile del 2009, il commercio del falso nel nostro Paese, con il solo riferimento al mercato interno (senza, quindi, contare le quote di merci contraffatte che partono dall'Italia verso l'estero) ha prodotto, nel 2008, un fatturato di 7 miliardi 109 milioni di euro, con una perdita del bilancio dello Stato in termini di mancate entrate fiscali, tra imposte dirette ed indirette, di circa 5 miliardi 281 milioni di euro: il 2,5 per cento del totale del gettito dello Stato. La totale repressione del fenomeno – sempre secondo il CENSIS – garantirebbe in Italia quasi 130 mila nuovi posti di lavoro. A livello sociale, infatti, i danni che le imprese subiscono a causa della contraffazione e della pirateria si riflettono anche sul numero dei posti di lavoro da esse offerti: 250 mila è la stima dei posti di lavoro persi negli ultimi 10 anni a livello mondiale, di cui 100 mila circa nella sola Unione europea;
    stime della Banca mondiale ritengono che il volume di affari della contraffazione si aggiri intorno ai 350 miliardi di euro, pari al prodotto interno lordo di 150 dei Paesi meno ricchi;
    la World customs organization, nel suo rapporto, evidenzia che, su un totale di oltre 290 milioni di prodotti contraffatti sequestrati dalle dogane mondiali nel 2009, il 34 per cento dei sequestri è avvenuto nell'area asiatica e pacifica, il 30 per cento in Europa, il 18 per cento in Medio Oriente, il 14 per cento in America e solo per lo 0,7 per cento in Africa;
    le confische di beni contraffatti all'interno dell'Unione europea durante l'anno 2000 ammontavano a 68 milioni di beni, per passare a circa 95 milioni nel 2001. A fronte di un dato quasi costante per il 2002 ed il 2003, rispettivamente di circa 85 milioni di beni e di circa 92 milioni, il 2004 ed il 2006 hanno registrato un deciso incremento dei sequestri: più di 103 milioni di oggetti sequestrati nel 2004 e più di 128 milioni nel 2006, dopo che il 2005 aveva fatto registrare una certa flessione, con un dato vicino ai 76 milioni di oggetti;
    in passato il fenomeno della contraffazione riguardava, soprattutto, generi di lusso che garantivano ai produttori ed ai venditori di falsi la realizzazione di grossi profitti, commercializzando quantitativi esigui di merci a prezzi elevati. A partire dagli anni ’80, in conseguenza del mutamento delle logiche e degli assetti finanziari e produttivi di tutti i Paesi, anche l'area della produzione e del commercio dei «falsi manifatturieri» ad alto valore aggiunto ha subito profonde modificazioni, orientandosi sulla realizzazione e sulla vendita in massa di beni di largo consumo. Attualmente viene rilevata la presenza di prodotti contraffatti in quasi tutti i settori di mercato, con la percentuale più elevata nel settore calzaturiero e della pelletteria: e rilevantissima e di particolare gravità risulta la contraffazione nel settore agroalimentare (settore in cui le indicazioni sono obbligatorie, al fine di evitare che le loro omissioni possano ingannare il consumatore circa l'effettiva provenienza del prodotto, come previsto dall'articolo 3 della direttiva 2000/13/CE);
    secondo le informazioni contenute nel «1o Rapporto Eurispes sui crimini agroalimentari in Italia», pubblicato nel 2011, l'industria alimentare europea risulta la prima al mondo, rappresentando nel continente europeo il primo comparto manifatturiero, seguito dal settore automobilistico e dalla chimica, con un fatturato di oltre 1.000 miliardi di euro e circa 4,4 milioni di addetti, i quali partecipano all'attività di 310.000 aziende;
    l'industria alimentare europea esporta prodotti alimentari per un valore di 58,2 miliardi di euro e ne importa per un valore di 57,1 miliardi di euro, trasformando il 70 per cento delle materie prime agricole prodotte in Europa;
    con specifico riferimento all'industria alimentare italiana, questa si rivela la terza in Europa dopo quella di Germania e Francia, rappresentando un vero pilastro dell'economia nazionale. È la seconda manifattura dopo il metalmeccanico, vantando un fatturato di 124 miliardi di euro (+3,3 per cento rispetto al 2009), acquistando e trasformando oltre il 72 per cento del prodotto agricolo nazionale, a fronte di un valore dell’export pari a 21 miliardi di euro (+10,7 per cento rispetto al 2009);
    sulla base dei dati prodotti dall'Ice nel corso dell'audizione svolta presso la Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale il 12 gennaio 2011, con riferimento all'andamento, nel periodo 2006-2010, dell'indice di produzione industriale nazionale (anno base 2000), si rileva una crescita costante fino al 2007, cui segue una leggera contrazione nei due anni successivi. Il valore dell'indice di produzione industriale nel 2010, invece, evidenzia una certa ripresa del settore, attestandosi ad un livello leggermente superiore a quello del 2008. L'andamento del trend del settore alimentare riflette quello dell'indice generale di produzione nazionale relativo allo stesso periodo. I dati sull'andamento generale (periodo 2006-2010) del fatturato annuo delle industrie alimentari italiane rilevano un volume d'affari crescente nel tempo, salvo una fase stazionaria tra il 2008 e il 2009, a fronte di una variazione percentuale pressoché nulla;
    secondo gli ultimi dati disponibili, i settori che hanno realizzato la maggiore crescita relativa rispetto al 2009 sono stati quelli oleario (+5 per cento), dolciario (+4,5 per cento) e dei salumi (+4,3 per cento). Si evidenzia, però, la contrazione subita dal settore della pasta (-3,2 per cento) e delle acque minerali (-4,5 per cento);
    dalle risultanze dell'indagine della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, emerge che la contraffazione è un fenomeno fortemente diffuso nell'ambito dell'intero comparto, danneggia tutti, produttori e consumatori: i primi si trovano, chiaramente, ad operare in condizioni di concorrenza sleale, aggravata da una situazione di dumping enorme nel sistema agroalimentare; i secondi, nella stragrande maggioranza dei casi, effettuano i propri acquisti nella convinzione di ottenere un prodotto caratterizzato da una determinata origine e da un'elevata qualità, corrispondente a quanto riportato in etichetta;
    in realtà, non di rado il consumatore incappa in alimenti di qualità inferiore rispetto alle attese, se non, addirittura, in prodotti potenzialmente nocivi per la salute;
    rispetto ad altri segmenti merceologici, una peculiarità della contraffazione nel settore agroalimentare si ritrova nel fatto che, se, in generale, il fenomeno contraffattivo consiste nella copia illegale di un marchio industriale, nel caso dell'agroalimentare l'inganno al consumatore riguarda più spesso l'origine geografica del prodotto;
    merita, altresì, particolare attenzione poi il ruolo del web nell'internazionalizzazione della contraffazione, con riferimento a tutti i segmenti della filiera produttiva e distributiva. Infatti, le opportunità offerte dalla rete permettono una progressione particolarmente rilevante del fenomeno della contraffazione, anche grazie al ruolo degli operatori di rete che spesso tralasciano i dovuti controlli e, in alcuni casi, si rendono addirittura complici dei traffici illegali;
    sul piano sociale la contraffazione implica una serie di rischi per l'acquirente che possono tradursi in un danno sia in termini di salute, sia in termini di sicurezza. In taluni casi il consumatore subisce danni economici;
    durante la XVI legislatura il Parlamento è intervenuto a tutela del made in Italy con il decreto-legge n. 135 del 2009 e con la legge n. 99 del 2009 che tutelano le produzioni del made in Italy. Per specifiche produzioni del made in Italy si ricorda la legge n. 55 del 2010, che ha introdotto disposizioni in materia di commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri;
    da ricordare anche la legge 3 febbraio 2011, n. 4, recante disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari, che ha lo scopo di assicurare ai consumatori una completa e corretta informazione sulle caratteristiche dei prodotti alimentari commercializzati, trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati, nonché al fine di rafforzare la prevenzione e la repressione delle frodi alimentari;
    per quanto riguarda il contesto europeo, in data 11 dicembre 2007 il Parlamento europeo ha adottato una dichiarazione nella quale si ribadiva il diritto dei consumatori europei ad un accesso immediato delle informazioni relative agli acquisti;
    il 25 novembre 2009 ha votato una risoluzione sul marchio di origine, nella quale, tra l'altro, invitava la Commissione ed il Consiglio ad istituire meccanismi di vigilanza e di lotta contro la frode in campo doganale. Il 17 gennaio 2013 il Parlamento europeo in sessione plenaria ha approvato un'ulteriore risoluzione sull'indicazione del Paese di origine di taluni prodotti importati da paesi terzi nell'Unione europea in cui si afferma che l'Unione europea deve rendere obbligatorio l'uso del marchio d'origine per tali beni importati nell'Unione europea, quali abiti, scarpe e gioielli, e si richiede la presentazione da parte della Commissione europea di una nuova proposta legislativa;
    in data 15 aprile 2014, il Parlamento europeo ha approvato le norme per rendere obbligatorie le etichette made in Italy sui prodotti non alimentari venduti sul mercato comunitario;
    è stato approvato, altresì, un regolamento che mira ad una maggiore protezione dei consumatori attraverso il rafforzamento della sorveglianza e dei criteri di sicurezza dei prodotti e che chiede pene più severe per le imprese che non rispettano le norme di sicurezza e, quindi, vendono prodotti potenzialmente pericolosi;
    i provvedimenti sopra citati sono stati approvati dal Parlamento europeo in prima lettura per fare in modo che il lavoro già svolto possa essere valutato dal nuovo Parlamento europeo insediatosi in data 1o luglio 2014,

impegna il Governo:

   ad attivarsi, nel contesto della Presidenza italiana del semestre europeo, per giungere all'approvazione di un regolamento sul made in al fine di tutelare i consumatori e favorire lo sviluppo delle imprese;
   a promuovere la piena attuazione della legge n. 4 del 2011 relativa all'etichettatura dei prodotti, in modo conforme al diritto comunitario e, quindi, in grado di fornire un'ulteriore tutela dei prodotti italiani, agroalimentari e non;
   a rafforzare l'opera di contrasto alla contraffazione dei prodotti, in modo da evitare ingenti danni economici alle imprese ed ai cittadini.
(1-00528) «Dorina Bianchi, Tancredi, Alli».


   La Camera,
   premesso che:
    la globalizzazione dei mercati ha provocato il venir meno delle barriere di carattere protezionistico ed ha alimentato il fenomeno dell'imitazione dei prodotti e dei marchi aziendali, i cui effetti negativi sono particolarmente preoccupanti per il made in Italy e per i distretti produttivi locali che ne costituiscono l'ossatura portante;
    secondo elaborazioni dell'Organizzazione mondiale del commercio, il commercio di prodotti contraffatti e della pirateria corrisponde al 10 per cento degli scambi mondiali per un valore pari a 450 miliardi di dollari, mentre la stima più prudente della Commissione europea e dell'Organizzazione mondiale delle dogane attribuisce al fenomeno un peso pari al 7 per cento della merce scambiata a livello mondiale per un valore tra i 200 e i 300 miliardi di euro;
    l'industria del falso arriva a questi risultati dopo un decennio di forte accelerazione con un fatturato che, secondo alcune stime, sarebbe aumentato del 1600 per cento e per queste ragioni non può essere considerata un fenomeno marginale;
    il dato più preoccupante è il forte aumento della contraffazione di medicinali, l'Organizzazione mondiale della sanità stima che il 10 per cento dei medicamenti consumati nel mondo siano contraffatti, con punte del 30 per cento in Brasile e del 60 per cento in alcuni Stati africani; l'Europa non è immune dal fenomeno, gli uffici doganali dell'Unione europea stimano che circa il 10 per cento degli oggetti falsi bloccati alle frontiere siano medicinali;
    per quanto riguarda il mercato alimentare, la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari made in Italy fa perdere all'Italia oltre 60 miliardi di euro di fatturato; l'agropirateria internazionale è arrivata a colpire i prodotti più rappresentativi dell'identità alimentare nazionale, con danni economici e di immagine insostenibili per l'agricoltura italiana;
    il fenomeno dell’Italian sounding a livello mondiale ha un giro d'affari stimabile in circa 54-55 miliardi di euro (pari due volte il fatturato dell’export, che nel 2013 ammontava a 26.179 miliardi) ed è la principale causa di mancato guadagno per le aziende esportatrici italiane perché consente ad alcune aziende locali di avere un vantaggio competitivo immeritato, producendo a prezzi più bassi e collocando il prodotto su fasce di prezzo più alte grazie al richiamo all'Italia o all'italianità;
    l'Estremo Oriente è indicato come la fonte principale delle contraffazioni, ma anche negli Stati Uniti la contraffazione è presente in misura massiccia, soprattutto nei settori della profumeria, degli articoli di lusso e delle componenti elettroniche;
    in Europa i Paesi leader sono l'Italia, la Spagna, la Turchia, il Marocco e i Paesi dell'ex blocco sovietico; fra i Paesi europei un posto di particolare importanza è occupato anche da Belgio ed Olanda, attivi non solo come aree di transito dei prodotti contraffatti, ma anche come luoghi di confezionamento;
    esiste nel nostro Paese una diffusa percezione di un attacco al made in Italy operato essenzialmente da Paesi extraeuropei; in realtà la geografia del fenomeno coinvolge anche importanti Paesi comunitari, tra cui l'Italia, prima nell'Europa dei Paesi avanzati per diffusione di fenomeni di illegalità e intreccio con la criminalità organizzata, del lavoro irregolare (12 per cento del totale occupati) e dell'evasione fiscale (17 per cento del prodotto interno lordo);
    l'economia italiana è, quindi, sotto il duplice attacco dell'industria del falso internazionale ed interna, che in Italia, secondo la Guardia di finanza, ha un volume d'affari quantificato tra 4 e 7 miliardi di euro l'anno; il settore più esposto alla contraffazione è quello dei prodotti della moda (circa il 60 per cento del fenomeno), il resto riguarda giocattoli, prodotti enogastronomici, orologeria, componentistica, audiovisivi, software;
    si stima che queste disfunzioni del sistema economico abbiano determinato una perdita di 40.000 posti di lavoro negli ultimi 10 anni, con un mancato introito fiscale, pari all'8 per cento del gettito irpef e al 21 per cento del gettito iva;
    inchieste e studi sul fenomeno hanno permesso di identificare, in Italia, almeno due macro tipologie di imprese del falso:
     a) le imprese marginali e destrutturate, nascoste negli scantinati, che sfruttano il lavoro e organizzano la produzione in modo illegale;
     b) le imprese ben strutturate e radicate, che combinano un'attività regolare con una produzione di beni contraffatti. Spesso si tratta degli stessi subfornitori a cui è affidata la fabbricazione di prodotti di marca che realizzano quantità in eccedenza, non autorizzate, per poi venderle illegalmente;
    gli effetti negativi dell'industria del falso sono, dunque, molteplici e interessano la sfera economica e sociale; la contraffazione provoca un danno economico per l'impresa legale che può essere misurato in termini di mancate vendite, perdita di immagine e di credibilità del marchio, spese legali per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, riduzione della redditività degli investimenti in ricerca, innovazione e marketing;
    inoltre, i prodotti contraffatti e pirata sono fabbricati solitamente nel più completo disprezzo delle norme a tutela della salute e sicurezza, mettendo in questo modo in pericolo il consumatore;
    la contraffazione danneggia anche il lavoratore, che spesso, quando inserito nelle imprese del falso, subisce una condizione lavorativa priva dei diritti e delle tutele previsti dalle leggi e dai contratti; la contraffazione è anche causa della perdita del posto di lavoro: secondo Indicam negli ultimi 10 anni sono 270 mila i posti di lavoro persi nel mondo, di cui 125 mila nell'Unione europea e 40 mila solo in Italia;
    nel 2013, in Italia, sono stati oltre 130 milioni i prodotti contraffatti sequestrati recanti falsa indicazione d'origine o pericolosi per la salute, con una crescita superiore al 25 per cento rispetto al 2012, e sono state denunciate 9.445 persone, tra le quali 252 affiliate a organizzazioni criminali dedite alla produzione e rivendita di prodotti contraffatti;
    i sequestri hanno riguardato tutte le tipologie di prodotti: dall'abbigliamento (quasi 22 milioni di pezzi) ai giocattoli (quasi 13 milioni), dall'elettronica (quasi 42 milioni) ai beni di consumo (53 milioni di pezzi), tra cui cosmetici, pezzi di ricambio per auto e prodotti per l'igiene;
    nel 2013, la Guardia di finanza ha sequestrato e bloccato l'accesso a 84 piattaforme web illecite, utilizzate per il commercio di prodotti falsi o per consentire agli utenti il download illegale di software, giochi e prodotti multimediali, con una crescita del 60 per cento rispetto al 2012;
    i nuclei antifrodi del Comando carabinieri politiche agricole e alimentari hanno diffuso i dati relativi ai controlli effettuati nel 2013, che hanno portato al sequestro di oltre 3,3 milioni di unità di prodotti alimentari illegali o irregolari, pari a 9.700 mila tonnellate;
    secondo le conclusioni della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, il settore alimentare è tra i business di punta delle mafie, con un volume d'affari delle agromafie che ammonta a circa 12,5 miliardi di euro, il 5,6 per cento dell'intero giro d'affari criminale in Italia;
    è utile sottolineare, inoltre, che un consumatore su quattro, secondo Confcommercio, ha fatto negli ultimi 12 mesi un acquisto consapevole di merci contraffatte, mentre tra gli imprenditori 8 su 10 si ritengono danneggiati e 1 su 3 ritiene il fenomeno in crescita;
    il Parlamento italiano, dal 2009 ad oggi, ha svolto una notevole attività legislativa e di indagine riguardo alla tutela del made in Italy e alla lotta alla contraffazione:
     a) con l'articolo 16 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, si chiarisce che si intende realizzato interamente in Italia il prodotto o la merce, classificabile come made in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano, e si introduce una precisa regolamentazione dell'uso di indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia, quali «100 per cento made in Italy», «100 per cento Italia», «tutto italiano» o simili;
     b) con l'articolo 15 della legge 23 luglio 2009, n. 99, sono state introdotte norme che mirano a rafforzare la tutela della proprietà industriale e gli strumenti di lotta alla contraffazione, anche sotto il profilo penale;
     c) con la legge 8 aprile 2010, n. 55, sono state dettate disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, anche con riferimento alla riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani, prevedendo l'uso dell'indicazione made in Italy esclusivamente per i prodotti le cui fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano. Successivamente tale disciplina è stata congelata da una direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri, che ha precisato che tutte le disposizioni della legge 8 aprile 2010, n. 55, possono considerarsi applicabili solo successivamente all'esperimento della procedura di informazione comunitaria ai sensi della direttiva 98/34/CE e che tale legge non può considerarsi applicabile sino a quando non saranno adottate le necessarie norme attuative previste dall'articolo 2 della legge medesima; con riferimento all'attuazione della legge 8 aprile 2010, n. 55,e alla proposta in sede di Unione europea del marchio di origine obbligatorio per i prodotti importati da Paesi extra Unione europea, la X Commissione della Camera dei deputati nella XVI legislatura ha approvato la risoluzione n. 8-00096, a conclusione del dibattito sulle risoluzioni nn. 7-00411, 7-00426 e 7-00430, che ha impegnato il Governo a dare piena attuazione alla legge 8 aprile 2010, n. 55, opponendosi alla minacciata procedura di infrazione e dando seguito ai previsti provvedimenti attuativi;
     d) la legge 14 gennaio 2013, n. 8, ha, poi, dettato le nuove regole per la definizione, la lavorazione e la commercializzazione dei prodotti di cuoio, pelle e pelliccia, ove si prevede che, per i prodotti ottenuti da lavorazioni in Paesi esteri che comunque utilizzano la dicitura italiana dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia», l'etichetta debba indicare lo Stato di provenienza;
     e) nella seduta del 22 gennaio 2013 la Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, istituita durante la XVI legislatura, ha approvato un'imponente relazione conclusiva oltre, alla relazione sulla pirateria digitale in rete e ad altri documenti settoriali;
     f) infine, il 26 giugno 2014, la Camera dei deputati ha istituito la Commissione parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo;
    la vicenda della sospensione della disciplina dettata dalla legge n. 55 del 2010 si inquadra nello scontro aperto in Europa tra Paesi manifatturieri, che hanno tutto l'interesse ad affermare una tutela stretta del made in, seppure non in contrasto con le regole europee sulla competitività, e i Paesi «commercianti» che hanno l'interesse opposto;
    tale scontro è dato dalla presentazione, il 16 dicembre 2005, di una proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea (COM(2005)661), relativa all'indicazione del Paese di origine di alcuni prodotti industriali (come viti, bulloni, utensileria, tubi e rubinetterie, pneumatici, ceramica, tessili) importati da Paesi terzi, che non è mai stata discussa dal Consiglio;
    il Parlamento europeo dal 2007 al 2013 ha, invece, adottato numerose dichiarazioni e risoluzioni per sollecitare la Commissione europea e il Consiglio ad attuare una politica di tutela dell'origine dei prodotti europei, ma il 16 aprile 2013 la Commissione europea ha ritirato la proposta di regolamento sull'obbligo di indicazione dell'origine per alcuni prodotti importati da Paesi extra Unione europea (cosiddetto made in), presentata nel dicembre 2005 su iniziativa italiana con l'obiettivo di rendere più trasparenti per i consumatori le informazioni sull'origine dei prodotti e assicurare parità di condizioni tra i produttori europei e quelli di Paesi terzi che già dispongono di una legislazione analoga;
    il dibattito che ne è seguito ha consentito di recuperare terreno e il 15 aprile 2014 il Parlamento europeo ha approvato con larghissima maggioranza (485 voti a favore, 130 contrari e 27 astensioni) il pacchetto legislativo per la tutela dei consumatori europei da prodotti falsi e nocivi. La nuova disciplina, che sostituirebbe l'attuale sistema volontario, impone di apporre il made in sia ai prodotti non alimentari realizzati in Europa che a quelli extraeuropei, ma prima che l'obbligo diventi effettivo è necessaria l'approvazione del Consiglio dell'Unione europea;
    l'etichetta made in sarà, quindi, obbligatoria per tutti i prodotti venduti nell'Unione europea, con alcune eccezioni come il cibo e i medicinali; secondo la proposta approvata, i produttori dell'Unione europea potranno scegliere se mettere sull'etichetta la dicitura «made in EU» oppure il nome del loro Paese. Per le merci prodotte fuori dall'Unione europea, il «Paese di origine» dovrà essere quello in cui il bene ha subito «l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata», che si sia conclusa con la «fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione» (come definito nel codice doganale dell'Unione europea);
    la proposta è stata trasmessa al Consiglio per l'approvazione definitiva. In seguito all'adozione del Consiglio, la nuova normativa dovrebbe entrare in vigore nel 2015; è, quindi, molto importante che l'Italia vigili nel semestre di presidenza europea, affinché il Consiglio non blocchi nuovamente tale disciplina;
    nel settore alimentare il regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, che si applica dal 13 dicembre 2014, obbliga alla fornitura di informazioni sugli alimenti, con particolare riguardo alla tabella nutrizionale e all'indicazione d'origine solo per una parte degli alimenti;
    ad eccezione delle regole che sono state fissate per alcuni settori e per le denominazioni di origine, per tutti gli altri prodotti si è preferito affermare un diverso principio, per cui l'indicazione obbligatoria è resa tale solo nel caso in cui la sua omissione possa indurre il consumatore in errore circa l'effettiva provenienza del prodotto alimentare, così come delineato dall'articolo 3 della direttiva 2000/13/CE, confermato dal regolamento (UE) n. 1169/2011;
    il Parlamento italiano ha approvato la legge 3 febbraio 2011, n. 4, sull'etichettatura dei prodotti alimentari con la finalità di difendere e promuovere il sistema produttivo italiano; è, tuttavia, complesso il coordinamento tra l'obbligo stabilito in Italia e le norme europee, che, invece, prevedono, al riguardo, principalmente regimi facoltativi;
    l'indicazione d'origine dei prodotti può essere positivamente conseguita anche con la diffusione di tecnologie in grado di offrire la tracciabilità dell'intera filiera attestata da sistemi non seriali e non replicabili, al fine di consentire ai consumatori finali di conoscere la vera origine dei prodotti italiani, alimentari e non alimentari, e di ricevere un'adeguata informazione sulla qualità dei componenti e delle materie prime, nonché sul processo di lavorazione delle merci e dei prodotti finiti e intermedi made in Italy o interamente realizzati in Italia;
    nella relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per il 2014, il Governo italiano ha ricordato l'importanza che annette, ai fini della competitività del sistema industriale italiano, all'introduzione di un'indicazione di origine dei prodotti non alimentari. L'obbligatorietà di tale indicazione – contenuta all'articolo 7 della proposta di regolamento relativa alla sicurezza dei prodotti – non incontra, tuttavia, l'unanime accordo degli Stati membri;
    nel programma della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, il Governo italiano ha assunto un impegno specifico sulla prevenzione della criminalità ambientale e della contraffazione dei prodotti alimentari e delle merci in generale;
    in un momento di crisi profonda e perdurante come quella attuale, il danno prodotto dalla contraffazione, soprattutto per il settore manifatturiero, composto per la grande maggioranza da micro e piccole imprese, è ancora più schiacciante, poiché comporta una condizione di concorrenza sleale per le aziende dell'autentico made in Italy, che hanno deciso di continuare a produrre in Italia e che devono sopportare un pesantissimo gap competitivo,

impegna il Governo:

   nell'ambito del semestre della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea:
    a) a monitorare l’iter del regolamento relativo al made in, approvato di recente dal Parlamento europeo, affinché il Consiglio dell'Unione europea proceda velocemente alla sua approvazione;
    b) ad attivare una decisa negoziazione al fine di aggiornare l'insieme delle norme europee in materia agroalimentare, in particolare per l'accoglimento in sede europea dei principi della legge 3 febbraio 2011, n. 4, garantendone la piena attuazione in materia di etichettatura di origine a tutela dei consumatori e degli operatori della filiera;
    c) a sviluppare una lotta più dura ai fenomeni di contraffazione in campo alimentare ed extralimentare, anche potenziando la rete dei sistemi di vigilanza e di repressione in ambito europeo sui confini e nel sistema dei porti e delle dogane;
    d) a farsi promotore di una normativa organica e dettagliata che consenta agli Stati membri di dotarsi di misure più flessibili e rispettose delle tradizioni locali riguardo all'indicazione obbligatoria del Paese di origine, sia nel campo alimentare che in quello extralimentare;
    e) a promuovere una rete di monitoraggio delle importazioni comunitarie ed extracomunitarie, al fine di garantire la piena attuazione dei divieti e delle relative sanzioni;
    f) ad aumentare il contrasto alla contraffazione via internet e ad assumere iniziative per introdurre regole condivise nell'Unione europea, con particolare riferimento ai domini internet che fanno riferimento generico a particolari produzioni o marchi senza rispettare le regole sull'origine dei prodotti, né possedere i suddetti marchi;
    g) ad adottare ogni ulteriore iniziativa volta a promuovere, in sede di Unione europea, il rispetto del termine del 13 dicembre 2014, imposto dal regolamento (UE) n. 1169/2011, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza, con riferimento al latte ed ai prodotti lattiero-caseari, alle carni suine fresche, refrigerate o congelate ed altre produzioni interessate dal suddetto regolamento;
    h) a sostenere la diffusione di tecnologie in grado di offrire una tracciabilità certa dei prodotti, attestata da sistemi non seriali e non replicabili, al fine di consentire ai consumatori finali di conoscere la vera origine dei prodotti italiani, alimentari e non alimentari;
    i) a prevedere assidue campagne informative tali da rafforzare la cultura della proprietà intellettuale, soprattutto presso le giovani generazioni, volte a indurre i consumatori a comportamenti virtuosi riguardo alla tematica dei prodotti contraffatti;
    l) a rafforzare i presidi territoriali, applicando le migliori buone pratiche nella lotta alla contraffazione, prevedendo un coordinamento delle forze dell'ordine ed un'adeguata formazione delle stesse.
(1-00529) «Senaldi, Cenni, Berlinghieri, Bargero, Basso, Benamati, Bini, Cani, Civati, Donati, Folino, Galperti, Ginefra, Impegno, Mariano, Martella, Montroni, Peluffo, Petitti, Portas, Taranto, Tidei».


   La Camera,
   premesso che:
    la tutela del made in Italy deve costituire un obiettivo prioritario della azione istituzionale italiana, sia in ambito nazionale, sia, soprattutto in ambito internazionale;
    i prodotti tipici rappresentano, infatti, un'importante opportunità per l'agroalimentare nazionale nell'ambito dei mercati mondiali, in quanto offrono ai consumatori di tutto il mondo elevati standard qualitativi, oltre ad evocare la tanto ammirata italianità dei prodotti;
    secondo le conclusioni della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale che ha operato nella XVI legislatura, la contraffazione e l'imitazione dei prodotti dop e igp producono danni i cui effetti non si limitano ad un'unica impresa o ad una singola fase produttiva, posto che «il valore sottratto alla nostra produzione agricola, stimabile intorno ai tre miliardi di euro, pesa sull'intera filiera impegnata nelle produzioni di qualità, giacché, ad esempio, quasi il 67 per cento dei suini macellati e il 47 per cento del latte vaccino prodotti in Italia sono utilizzati per la produzione di dop»;
    secondo le stime di Federalimentari e quelle dell'Istituto nazionale per il commercio con l'estero, in termini di esportazione i due fenomeni recano un danno alle imprese italiane pari a circa sessanta miliardi di euro, di cui cinque/sei miliardi causati dalla contraffazione vera e propria e la parte rimanente dall’Italian sounding;
    il fenomeno della contraffazione non danneggia solo il settore agroalimentare, ma, soprattutto sul territorio nazionale, interessa tutti i settori merceologici: abbigliamento, tessile e manifatturiero, artigianato, design, arrecando danni enormi a fabbricanti, commercianti e consumatori;
    in Europa il valore dei prodotti italiani imitati raggiunge i 26-27 miliardi di euro, a fronte di esportazioni per 13 miliardi di euro, che equivale a dire che per ogni prodotto originale esportato nell'Unione europea ne esistono due imitati, e in ambito mondiale basta considerare che tra il 2001 e il 2010 il fenomeno dell’Italian sounding è aumentato del 180 per cento;
    i principali mercati dell'Unione europea in cui si verificano fenomeni di contraffazione o di imitazione sono la Germania, la Francia, il Regno Unito ed i Paesi scandinavi, mentre i principali mercati extra Unione europea sono gli Stati Uniti, il Messico, il Brasile, il Canada, l'Australia, la Nuova Zelanda, la Russia e la Turchia;
    in Canada, negli Stati Uniti e nel Centro America, dove la mancanza di tutela legale di alcuni marchi italiani genera un fatturato di contraffazione pari a tre miliardi di euro e un fatturato di ventiquattro miliardi derivante dall’Italian sounding, il rapporto tra prodotti originali e imitati è addirittura di uno a otto;
    questi dati mostrano che un efficace contrasto ai fenomeni di contraffazione e di imitazione nel mondo determinerebbe un significativo miglioramento della bilancia commerciale italiana in termini di esportazioni;
    in ambito internazionale, tuttavia, il fenomeno dell’Italian sounding, in particolare nel settore agroalimentare, se non sconfina in contraffazione di marchio vera e propria non è, in linea di massima, perseguibile;
    a vantaggio del contrasto all’Italian sounding, sebbene solamente a livello europeo, sta, invece, il principio che proibisce simboli ed indicazioni posti in etichetta riferiti in qualche modo ad una nazione e allo spirito e alla suggestione di un determinato Paese;
    in ambito nazionale per combattere il fenomeno della contraffazione la legge 3 febbraio 2011, n. 4, relativa alle «Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari», ha introdotto per la prima volta nel sistema normativo l'adozione di un sistema normativo completo di tutela a difesa dell'origine dei prodotti alimentari, auspicandone l'assunzione anche a livello europeo;
    l'interesse manifestato negli ultimi anni dall'Unione europea in merito alla questione del contrasto alla contraffazione ha trovato un primo ancoraggio nel regolamento n. 1169 del 25 ottobre 2011, che ha introdotto l'obbligo dell'indicazione in etichetta della provenienza di alcuni alimenti, in applicazione del principio che l'indicazione del Paese d'origine è l'elemento base della tracciabilità;
    tuttavia, la normativa europea non ha ancora affrontato compiutamente la questione della conoscenza dell'origine degli ingredienti singoli dei cibi trasformati e ha escluso dal suo campo di applicazione molti prodotti dell'agricoltura e dell'industria agroalimentare per i quali non è obbligatoria l'indicazione d'origine, rendendone, di fatto, impossibile la tracciabilità, quali, ad esempio, pasta, formaggi, latte a lunga conservazione, derivati del pomodoro, frutta e verdura trasformate e derivati dei cereali;
    in assenza di etichettatura d'origine, la scelta di importare dall'estero materie prime, piuttosto che acquistarle in Italia, è una strategia a rischio zero dal punto di vista dell'appetibilità e del successo del prodotto immesso sul mercato, essendo i consumatori del tutto ignari che, dietro marchi, colori e slogan pubblicitari che evocano l'italianità, ci sono prodotti che di italiano hanno poco o nulla;
    superando uno stallo nella legislazione europea in materia, seguito proprio all'approvazione di tale regolamento e che aveva attirato l'attenzione sulla necessità di un'estensione dell'ambito di applicazione di tale regolamento ad un numero più ampio di generi di prodotto rispetto a quelli contemplati, il 15 aprile 2014 il Parlamento europeo ha approvato una proposta di regolamento sulla sicurezza dei prodotti di consumo e sul marchio obbligatorio di origine, in base al quale le etichette made in dovrebbero ora essere obbligatorie per i prodotti non alimentari venduti nel mercato comunitario, sostituendo così l'attuale sistema di etichettatura su base volontaria;
    in ambito nazionale, il piano nazionale anticontraffazione, adottato nel 2011 su iniziativa del Consiglio nazionale anticontraffazione che opera presso il Ministero dello sviluppo economico dal 2010, ha individuato sei macro-priorità in tema di lotta alla contraffazione, incentrate sulla comunicazione e l'informazione, sulla costruzione di un diffuso presidio territoriale, sulla lotta al fenomeno via internet, sulla formazione alle imprese in tema di tutela nazionale e internazionale della proprietà intellettuale, sulla tutela del made in Italy da ogni forma di usurpazione, compreso l’Italian sounding, e, infine, sull'esigenza di specializzazione dei giudici civili e penali chiamati ad occuparsi dei reati connessi;
    sia l'etichettatura che la tracciabilità si impongono ormai quali elementi imprescindibili per la trasparenza della filiera, per la valorizzazione della produzione, per il controllo dei processi ed il contenimento dei costi, nonché per la tutela dei prodotti;
    egualmente imprescindibile appare la necessità di tutelare il made in Italy, con particolare riguardo anche a quello del settore agroalimentare, nel quale è racchiuso anche lo sforzo di proteggere la produzione agricola italiana, già martoriata dai vincoli della legislazione europea, al contempo preservando anche il turismo legato alle coltivazioni tradizionali e di marchi doc, docg e dop,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative, nell'ambito del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, al fine di giungere alla rapida e definitiva approvazione del regolamento sulla sicurezza dei prodotti di consumo e sul marchio obbligatorio di origine in ambito europeo, che garantisca la tutela dei prodotti italiani dai fenomeni di contraffazione ed imitazione;
   ad adoperarsi, in ambito sovraeuropeo e con particolare riferimento all'Organizzazione mondiale del commercio, affinché siano adottate politiche e procedure volte a tutelare i marchi di origine dei prodotti commerciali dei singoli Paesi, al fine di tutelare sia l'identità dei marchi, sia la conseguente qualità dei prodotti offerti ai consumatori;
   in ambito nazionale, ad attivarsi affinché siano realizzati nei tempi congrui gli obiettivi contenuti nel piano per la lotta alla contraffazione ed a promuovere l'adozione delle necessarie modifiche normative, anche con riferimento alla lotta ai fenomeni di criminalità in questo settore.
(1-00530) «Rampelli, Corsaro, Maietta, Nastri, Totaro, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Taglialatela».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FABBRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Parlamento nei mesi scorsi ha approvato la legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione di Istanbul, a cui ha fatto seguito l'approvazione della legge n. 119 del 2013, la cosiddetta legge contro il femminicidio;
   nonostante le norme approvate e l'attenzione mediatica sull'argomento continua ad aumentare il numero delle donne uccise dai loro mariti o compagni;
   a parere dell'interrogante questo dramma nasconde un grande vuoto sociale e culturale da colmare attraverso l'insegnamento al rispetto ed al valore della persona, in modo da creare nuove generazioni, ma non solo, consapevoli del senso del rapporto donna-uomo, di cosa significa il rispetto, l'amore, il sesso, la dignità della persona;
   l'articolo 5 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2013 del 15 ottobre 2013) prevede l'elaborazione di un piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere da parte del Ministro delegato per le pari opportunità;
   tra i punti del piano indicato all'articolo 5, lettera c) è prevista la promozione di un'adeguata formazione del personale della scuola alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere, e nell'ambito delle indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, delle indicazioni nazionali per i licei e delle linee guida per gli istituti tecnici e professionali, nella programmazione didattica curricolare ed extracurricolare delle scuole di ogni ordine e grado, la sensibilizzazione, l'informazione e la formazione degli studenti al fine di prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un'adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo;
   è necessario promuovere attraverso l'educazione scolastica cambiamenti nei comportamenti socioculturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini;
   la scuola infatti può ben rappresentare il primo e più significativo ambito nel quale realizzare la prevenzione e l'educazione attraverso l'introduzione all'interno dei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all'integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi –:
   in che modo si intenda dare attuazione alla lettera c), dell'articolo 5 del decreto-legge n. 93 del 2013, relativo nel piano antiviolenza in prossimità dell'inizio dell'anno scolastico 2014-2015. (5-03169)


   L'ABBATE, GAGNARLI, PARENTELA, GALLINELLA, BRESCIA, ZACCAGNINI, MASSIMILIANO BERNINI, LUPO, DE LORENZIS, BENEDETTI, FURNARI, SCAGLIUSI, CARIELLO, LABRIOLA e D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il divieto di abbattimento degli alberi di olivo è sancito sin dal decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1945, n. 475, che sancisce limiti, autorizzazioni e sanzioni per gli inadempienti nonostante la situazione post-bellica in cui si trovava l'Italia;
   la legge 14 febbraio 1951, n. 144, ha reso ancor più stringente la materia, affidando al prefetto il controllo e l’iter autorizzativo concernente il divieto di abbattimento degli alberi di ulivo, modificando gli articoli 1 e 2 del già citato decreto legislativo luogotenenziale;
   la Convenzione europea del paesaggio, adottata dal Comitato dei ministri della cultura e dell'ambiente del Consiglio d'Europa il 19 luglio 2000, ufficialmente sottoscritta a Firenze il 20 ottobre 2000 e firmata dai 27 Stati della Comunità europea e ratificata da 10, tra cui l'Italia nel 2006 con la legge 14, stabilisce al capitolo 1, articolo 1, lettera a) che: «Il “Paesaggio” è il territorio, così come è percepito dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni». Inoltre, all'articolo 1, lettera d), delibera che «La “Salvaguardia dei paesaggi” indica le azioni di conservazione e di mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suo valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d'intervento umano». All'articolo 5 «Ogni Parte si impegna a: riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità; stabilire e attuare politiche paesaggistiche volte alla salvaguardia, alla gestione e alla pianificazione dei paesaggi, tramite l'adozione di misure specifiche; avviare procedure di partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e degli altri soggetti coinvolti nella definizione e nella realizzazione delle politiche paesaggistiche; integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un'incidenza diretta o indiretta sul paesaggio»;
   lo stemma della regione Puglia è sancito dalla legge 8 settembre 1988, n. 28, che all'articolo 2, comma 1, stabilisce che «è costituito da uno scudo sannitico e da una corona d'oro speciale. Lo scudo presenta l'albero d'olivo in campo argento racchiuso dall'ottagono di rosso vestito di azzurro»;
   la legge regionale della Puglia 4 giugno 2007, n. 14, «Tutela e valorizzazione del paesaggio degli ulivi monumentali della Puglia» prevede, all'articolo 1, comma 1, che «La Regione Puglia tutela e valorizza gli alberi di ulivo monumentali, anche isolati, in virtù della loro funzione produttiva, di difesa ecologica e idrogeologica nonché quali elementi peculiari e caratterizzanti della storia, della cultura e del paesaggio regionale». La legge definisce il «carattere di monumentalità»  (articolo 2) e dà avvio alla predisposizione e relativo aggiornamento annuale de «l'elenco degli ulivi monumentali della Regione Puglia e determina le risorse finanziarie destinate alla loro tutela e valorizzazione» (articolo 5) istituendo presso «l'Assessorato regionale dell'ecologia l'albo» (articolo 18, comma 1). È istituita, inoltre, con l'articolo 7, la «menzione speciale “Olio extravergine degli ulivi secolari di Puglia”, che può essere utilizzata da tutti i produttori di olio extravergine ottenuto da drupe provenienti da ulivi e uliveti monumentali inseriti nell'elenco di cui all'articolo 5». Infine con l'articolo 8, comma 3, «Nell'ambito dell'applicazione della politica agricola comunitaria e in particolare del regolamento (CE) n. 1638/98 del Consiglio, del 20 luglio 1998, che modifica il regolamento n. 136/66/CEE relativo all'attuazione di un'organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi, e successive modifiche e integrazioni, la regione Puglia promuove azioni nei confronti del Ministero delle politiche agricole e forestali e della stessa Unione europea volte a intraprendere operazioni collettive di mantenimento in produzione degli ulivi monumentali ad alto valore storico-culturale-ambientale e/o rischio di abbandono»;
   la legge regionale n. 14 del 2007 della Puglia diviene una legge pilota imitata anche in altri Stati del bacino Mediterraneo per la sua lungimiranza;
   il consiglio regionale pugliese con delibera n. 146, del 3 aprile 2013, approva la modifica dell'articolo 11 della legge regionale 14 del 2007 aggiunge al comma 1 le parole «ovvero per piani attuativi di strumenti urbanistici generali adeguati alla legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), ubicati nelle zone omogenee B e C e con destinazioni miste alla residenza, nonché per aree di completamento (zona B del Decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'articolo 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765), ricadenti nei centri abitati delimitati ai sensi del Codice della strada, approvati prima della data di entrata in vigore della presente legge. Per tali ultimi interventi non si applicano le previsioni di cui al comma 3 dell'articolo 6»; al comma 3 le parole: «di tutte le piante delle quali si prevede l'espianto. Il reimpianto deve essere realizzato nelle aree libere delle stesse unità edilizie o urbanistiche d'intervento e, qualora ne sia dimostrata l'impossibilità, in altre aree idonee di proprietà pubblica o privata precisamente individuate e preferibilmente contermini»; è approvata altresì la modifica dell'articolo 12, comma 6, aggiungendo il comma 6-bis che stabilisce: «È obbligatoria la presentazione di apposite garanzie fidejussorie a favore dell'Amministrazione regionale idonee ad assicurare, in caso di mancato attecchimento della pianta, il risarcimento del danno prodottosi a carico dei profili di interesse generale di cui al comma 1 dell'articolo 1. Le modalità per la presentazione di tali fidejussioni, anche sotto il profilo della quantificazione economica della garanzia, sono definite con atto del dirigente del Servizio regionale ecologia»;
   con DGR n. 1 dell'11 gennaio 2010 «Approvazione della proposta di Piano paesaggistico territoriale della Regione Puglia (PPTR)», la giunta regionale ha dato avvio al procedimento di adozione del nuovo piano paesaggistico adeguato al codice, iter giunto oramai in fase avanzata, allo scopo di conseguire lo specifico accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali previsto dal codice e per garantire la partecipazione pubblica prevista dal procedimento di valutazione ambientale strategica;
   la legge regionale 6 luglio 2011, n. 15, «Istituzione degli ecomusei di Puglia», ha permesso e sostenuto la creazione di diversi ecomusei, tra cui quello della Valle d'Itria, il SESA in Salento, il Valle del Carapelle; numerosi sono in fase di costituzione come l'Ecomuseo Urbano del Nord Barese;
   la legge 14 gennaio 2013, n. 10, denominata «Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani» all'articolo 7 «Disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale» stabilisce che «entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le Regioni recepiscono la definizione di albero monumentale di cui al comma 1, effettuano la raccolta dei dati risultanti dal censimento operato dai Comuni e, sulla base degli elenchi sono gli elenchi comunali, redigono gli elenchi regionali e li trasmettono al Corpo Forestale dello Stato» (comma 3); al comma 4 si sancisce che «Salvo che il fatto costituisca reato, per l'abbattimento o il danneggiamento di alberi monumentali si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 5.000 a euro 100.000. Sono fatti salvi gli abbattimenti, le modifiche della chioma e dell'apparato radicale effettuati per casi motivati e improcrastinabili, dietro specifica autorizzazione comunale, previo parere obbligatorio e vincolante del Corpo Forestale dello Stato»;
   lo strumento di perequazione urbanistica (articolo 35 della legge urbanistica regionale n. 11 del 2004) è ritenuto la modalità ordinaria per l'attuazione delle scelte operative del piano e, in particolare, per l'acquisizione delle aree necessarie per la collettività, come sostenuto anche dall'Istituto nazionale di urbanistica all'articolo 13 nella proposta di legge per il governo del territorio dallo stesso istituto elaborata –:
   sarebbe opportuno che fosse verificata l'effettiva congruenza delle modifiche apportate dalla delibera regionale n. 146 del 3 aprile 2013 alla legge regionale n. 14 del 2007 con il piano paesaggistico territoriale della regione Puglia il cui iter attuativo, iniziato con il DGR n. 1 dell'11 gennaio 2010, è giunto quasi a conclusione –:
   se i Ministri interrogati intendano, nell'ambito delle proprie funzioni, farsi promotori di iniziative e normative nazionali volte a tutelare il «paesaggio» come da convenzione ratificata nel 2006;
   se il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali intenda assumere iniziative normative per dare valore alla menzione speciale «Olio extravergine degli ulivi secolari» al fine di dare un sostegno quantomeno sul versante del marketing agli agricoltori detentori di ulivi plurisecolari e monumentali, come già disposto dalla regione Puglia;
   se il Governo intenda valutare se sussistono i presupposti per impugnare, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, la legge della regione Puglia n. 12 del 2013 (approvata con la delibera del Consiglio regionale n. 146 del 2013);
   se i Ministri interrogati intendano, nell'ambito delle proprie funzioni, farsi promotori di iniziative e normative nazionali che sostengano la creazione di network imprenditoriali che, puntando su cultura, ambiente, alimentazione e paesaggio, trasformino gli ulivi plurisecolari e monumentali in vera e propria risorsa per gli agricoltori ed i proprietari, in modo che divengano attrazione di turisti e cittadini ed il fulcro attorno a cui sviluppare nuove tipologie di imprese volte al turismo sostenibile, come esempi già presenti sul territorio dimostrano;
   se il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali intenda intercedere presso gli organi competenti dell'Unione Europea per dare maggiore sostegno agli agricoltori ed ai proprietari di ulivi plurisecolari e monumentali anche attraverso lo strumento della Politica agricola comunitaria;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda intercedere presso il Commissario europeo all'ambiente affinché la regione Puglia possa essere sostenuta nelle scelte di vera valorizzazione del paesaggio a beneficio comune di tutti i cittadini;
   se i Ministri interrogati intendano, nell'ambito delle proprie funzioni, sostenere la visione «eco museale» per la valorizzazione del territorio in funzione del turismo sostenibile;
   se i Ministri interrogati intendano, nell'ambito delle proprie funzioni, allargare il concetto di «interesse pubblico» contemplando la questione di tutela paesaggistica in quanto è essa stessa parimenti tale;
   se i Ministri interrogati intendano, nell'ambito delle proprie funzioni, attraverso gli organi competenti, vigilare sull'effettiva applicazione in Puglia di quanto stabilito ai sensi dell'articolo 7 della legge n. 10 del 2013 così da evitare ulteriori ed inutili esborsi prima del termine ultimo stabilito dalla medesima legge. (5-03173)

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i dati del primo trimestre relativi al prodotto interno lordo scesi allo 0,1 per cento nel primo trimestre dell'anno, –0,5 per cento annuo, che rappresentano per il nostro Paese, le valutazioni più negative all'interno delle più importanti economie europee, si sono rivelati deludenti, a causa principalmente del rallentamento dovuto al peso dell'industria e più specificatamente del settore della manifattura e dei servizi che continuano a ristagnare;
   le aziende italiane investono sempre meno, come ha recentemente rilevato l'Istat, che ha constatato come fra i principali fattori che dovrebbero contribuire alla ripresa dell'economia reale emergono sia dall'incertezza derivante dal futuro del Paese che i tempi necessari per una fuoriuscita dalla crisi economica in modo definitivo;
   al calo di redditività delle imprese, il cui risultato netto aggregato segna una contrazione del 12 per cento, si affiancano segnali poco confortanti anche sul versante del potere d'acquisto delle famiglie che ricomincia a scendere dopo i dati positivi riscontrati nella parte conclusiva del 2013;
   la perdita in termini reali dello 0,1 per cento del reddito lordo disponibile delle famiglie, rispetto al trimestre precedente, come evidenziato dall'istituto di statistica nazionale, unitamente al tasso di investimento delle famiglie consumatrici, fermo al primo trimestre al 6,2 per cento, a livelli più bassi da circa 12 anni, determina uno scenario per l'economia nazionale scarsamente ottimistico per i prossimi mesi;
   gli effetti del bonus di 80 euro previsto dal decreto-legge n. 66 del 2014, recentemente convertito, a giudizio dell'interrogante, saranno inoltre estremamente modesti e non determineranno nessuno slancio significativo per l'economia del Paese e per stimolare la ripresa della domanda interna e dei consumi;
   nel complesso l'azione di politica economica del Governo, a parere dell'interrogante, si sta dimostrando ondivaga e deludente in particolare sulle misure relative alla riduzione della spesa pubblica corrente che determina inefficienze ed improduttività nel tessuto socioeconomico del Paese;
   necessitano secondo l'interrogante, misure radicali e strutturali, di politica economica e finanziaria in particolare sul versante della domanda interna in grado di invertire un trend negativo che alimenta incertezza e depressione nell'economia reale del Paese –:
   quali iniziative urgenti e necessarie intendano intraprendere, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di invertire un trend negativo e penalizzante per l'economia nazionale ed in particolare nei riguardi delle famiglie e delle imprese, che continuano ad essere afflitte dagli effetti di una crisi economica che persiste da oltre cinque anni;
   quale sia lo stato di definizione del cosiddetto «Piano-Cottarelli» predisposto dal commissario di Governo, per la revisione del sistema della spesa pubblica improduttiva, il cui progetto costituisce un elemento essenziale, per migliorare l'andamento dei conti pubblici italiani e finanziare misure per la crescita e la competitività del Paese;
   quali iniziative urgenti e necessarie intendano infine prevedere, nell'ambito delle rispettive competenze, per introdurre a favore delle famiglie e delle imprese significative misure volte ad alleggerire il carico fiscale e contributivo e rilanciare in modo efficace la ripresa dei consumi e della produzione. (4-05423)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che: 
   nell'ottobre del 2013 è stato arrestato in Repubblica Dominicana un cittadino italiano, Romeo Pulitelli;
   secondo un'informativa della Dirección Nacional de Control de Drogas Pulitelli sarebbe stato arrestato a seguito di alcuni controlli di sicurezza in un aeroporto dominicano;
   l'informativa afferma che l'arresto sarebbe avvenuto mentre Romeo Pulitelli era in procinto di lasciare la Repubblica Dominicana con un aereo della compagnia tedesca «Airberlin» diretto a Berlino;
   Romeo Pulitelli sarebbe stato trovato con una valigia a doppio fondo contenente tredici pacchetti contenenti cocaina;
   Pulitelli, che attualmente ha 74 anni, è tuttora detenuto in attesa di giudizio nel carcere dominicano di Anamuya Higuey;
   l'accusa pendente è quella di traffico internazionale di stupefacenti;
   la sorella afferma che i fatti sarebbero andati diversamente, che l'arresto sarebbe avvenuto all'esterno dell'aeroporto, che la valigia non sarebbe di sua proprietà e che l'arresto sarebbe avvenuto sulla scorta di intercettazioni di telefonate in cui non era lui a parlare;
   Romeo Pulitelli è in condizioni fisiche estremamente precarie;
   egli è invalido al 100 per cento con indennità di accompagnamento, porta il pacemaker, ha subito nel corso degli anni tre interventi chirurgici di angioplastica per problemi alla valvola mitralica e soffre di disfunzioni alla tiroide ed alle ghiande surrenali;
   inoltre il suo corpo non produce testosterone, e quindi deve iniettarselo costantemente;
   dalla data dell'incarcerazione Pulitelli soffre di scoagulazione del sangue;
   in carcere egli è costretto ad assumere il Coumadin da solo, con tutti i rischi che ne conseguono: troppo poco può causare una trombosi, troppo un'emorragia;
   le precarie condizioni di salute di Romeo Pulitelli lo costringono ad assumere medicinali per un totale di ben quindici pillole al giorno, ed in più occasioni durante la sua permanenza in carcere è stato impossibilitato dall'assumerne;
   alcuni di questi medicinali provocano alterazioni nel comportamento di chi le assume;
   il pacemaker andrebbe costantemente monitorato, cosa che nelle condizioni in cui versa non avviene;
   i medici del carcere hanno più volte espresso la necessità per Pulitelli di uscire dal carcere, per evitare il rischio di una irreversibile compromissione del suo stato di salute;
   anche attivisti per i diritti umani che l'hanno visitato avrebbero espresso, a quanto risulta all'interrogante perplessità sulle condizioni in cui Pulitelli versa in carcere; 
   nei prossimi giorni la sua posizione verrà rivista dal tribunale, ma è forte il rischio che venga trattenuto ancora in carcere –:
   quali iniziative intenda assumere per far sì che la famiglia di Romeo Pulitelli possa avere notizie certe sullo stato di salute e giudiziario del congiunto;
   se non ritenga opportuno e doveroso agire per verificare e garantire il rispetto dei diritti umani del cittadino italiano in questione, con particolare riguardo al diritto alla salute dello stesso, accertandosi che non vi sia il rischio di pericolose ed inaccettabili compromissioni delle condizioni fisiche del Pulitelli;
   se non ritenga opportuno sottoporre alle autorità dominicane, data l'età e lo stato di salute di Romeo Pulitelli, la possibilità di chiedere l'applicazione di misure alternative al carcere che possano permettere maggiori garanzie mediche. (5-03171)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI e MICILLO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Europa ha aperto nei confronti dell'Italia la procedura di infrazione n. 2013/2229 per il mancato recepimento entro il termine stabilito del 23 agosto 2013 della direttiva 2011/70/Euratom in materia di sicurezza nucleare. La messa in mora nei confronti del nostro Paese è stata decisa il 20 novembre 2013 e notificata formalmente al Parlamento dal Ministro per le politiche comunitarie. Il termine ultimo era il 4 dicembre. La Commissione ha fissato un termine di due mesi (entro il 20 gennaio 2014) per la trasmissione di una risposta da parte delle autorità italiane;
   il decreto legislativo n. 45 del 2014 ha dato attuazione alla direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio del 19 luglio 2011 che istituisce un quadro comune di riferimento a livello europeo per la sicurezza e la sostenibilità della gestione del combustibile esaurito e delle scorie radioattive, al fine di proteggere i cittadini, i lavoratori, l'ambiente, dall'effetto nocivo delle radiazioni ionizzanti;
   il decreto legislativo n. 45 del 2014 di attuazione della Direttiva 2011/70/EURATOM afferente alla «gestione responsabile e sicurezza del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 71 del 26 marzo 2014 ha sancito la nascita dell'ISIN: ispettorato per la sicurezza nucleare e la radioprotezione;
   il suddetto ispettorato nasce anzitutto dalla necessità di colmare la lacuna generata, nel dicembre del 2011, dal decreto «Salva Italia», con la soppressione della precedente Agenzia così come espresso dalla volontà popolare attraverso apposito referendum. Tale abolizione ha comportato il trasferimento, in via transitoria, di alcune competenze importanti proprie dell'Agenzia ad altri enti, creando una situazione di considerevole impasse;
   così come disciplinato articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 45 del 2014 l'Isin è designato a svolgere le funzioni e i compiti di autorità nazionale in materia di sicurezza nucleare e radioprotezione stabiliti nella legislazione vigente. In particolare, dovrà espletare: le istruttorie connesse ai processi autorizzativi; le valutazioni tecniche, il controllo e la vigilanza delle installazioni nucleari non più in esercizio e in disattivazioni, dei reattori di ricerca, degli impianti e delle attività connesse alla gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, delle materie nucleari, della protezione fisica passiva delle materie e delle installazioni nucleari, delle attività d'impiego delle sorgenti di radiazioni ionizzanti e di trasporto delle materie radioattive; l'emanazione, inoltre, delle certificazioni previste dalla normativa vigente in tema di trasporto di materie radioattive. L'ispettorato, dovrà emanare inoltre guide tecniche e fornire supporto ai Ministeri competenti nell'elaborazione di atti di rango legislativo nelle materie di competenza e fornire supporto tecnico alle autorità di protezione civile nel campo della pianificazione e della risposta alle emergenze nucleari e radiologiche;
   caratteristica dell'ispettorato è la sua autonomia da un punto di vista regolamentare, gestionale e amministrativo, ma a parere degli interroganti, nella fase di recepimento della direttiva europea non è stata garantita l'autonomia richiesta in sede europea, anche tenuto conto che al Ministero dello sviluppo economico sono comunque attribuite, ai sensi della legislazione vigente (decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79), compiti sia di indirizzo per la società gestione impianti nucleari SOGIN (a sua volta però soggetta al controllo dell'Isin e chiamata ad attuare i programmi nazionali di disattivazione delle installazioni nucleari e di gestione dei rifiuti radioattivi, compresa – ai sensi del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 – la localizzazione, la realizzazione e l'esercizio del deposito nazionale dei rifiuti) che di vigilanza sull'Isin stessa;
   l'ispettorato, composto da un presidente, quattro componenti ed un collegio di revisori, vedrà a capo un direttore, nominato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri da adottarsi con proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sentito il Ministero dello sviluppo economico e acquisiti i pareri favorevoli delle Commissioni parlamentari competenti. A completare il vertice sarà una Consulta formata da tre esperti e nominata con stessa procedura utilizzata per la nomina del direttore. Infine, il personale, in un limite di 60 unità, a fronte delle 100 della vecchia Agenzia, verrà principalmente da pubbliche amministrazioni ed enti di ricerca, come ad esempio dall'Ispra e l'ENEA;
   sempre secondo il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45 il direttore dell'ISIN è nominato entro 90 giorni dall'entrata in vigore del decreto stesso, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri da adottarsi su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, acquisiti i pareri favorevoli delle Commissioni parlamentari competenti. In nessun caso la nomina potrà essere effettuata in caso di mancanza del predetto parere espresso, a maggioranza assoluta dei componenti, dalle predette Commissioni, entro trenta giorni dalla richiesta. Il Direttore:
    a) ha la rappresentanza legale dell'Isin; b) svolge le funzioni di direzione, coordinamento e controllo della struttura; c) definisce le linee strategiche e gli obiettivi operativi dell'Isin; d) definisce le procedure organizzative interne e le tempistiche di riferimento per l'elaborazione degli atti e dei pareri di spettanza dell'Isin; e) emana le tariffe da applicare agli operatori per lo svolgimento dei servizi dell'Isin; f) emana i pareri vincolanti richiesti alla struttura nell'ambito di istruttorie autorizzative condotte dalle amministrazioni pubbliche e gli atti di approvazione su istanza degli operatori; g) svolge il ruolo di rappresentanza per le materie di competenza nei consessi comunitari e internazionali; h) trasmette al Governo e al Parlamento una relazione annuale sulle attività svolte dall'Isin e sullo stato della sicurezza nucleare nel territorio nazionale;
   i componenti della Consulta sono nominati entro 90 giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri da adottarsi su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, acquisiti i pareri favorevoli delle Commissioni parlamentari competenti;
   il programma di smantellamento e messa in sicurezza dei siti nucleari ubicati nel territorio italiano e la necessità di realizzare ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 31 del 2010 «il deposito nazionale destinato allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività, derivanti da attività industriali, di ricerca e medico-sanitarie e dalla pregressa gestione di impianti nucleari, e all'immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato provenienti dalla pregressa gestione di impianti nucleari» rende necessaria la presenza dell'ente Isin in qualità di organo di controllo su tali attività –:
   se, al fine di garantire la sicurezza dei cittadini in relazione alle attività nucleari e in coerenza con quanto indicato dalla direttiva europea e dalla normativa di recepimento, non ritengano urgente adottare ogni iniziativa utile affinché vengano resi operativi il funzionamento dell'Isin e la sua attività di controllo e si proceda alle nomine, tenendo conto dei requisiti previsti di indiscussa moralità e indipendenza e di documentata esperienza ed elevata competenza nei settori della sicurezza nucleare, della radioprotezione, della tutela dell'ambiente e sulla valutazione di progetti complessi di difesa contro eventi estremi o incidenti. (4-05411)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PES. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   puntualmente, durante la stagione estiva, la Sardegna, che per il suo patrimonio naturalistico si colloca ai vertici delle classifiche internazionali, è devastata da numerosi incendi che distruggono miglia di ettari di vegetazione e boschi della macchia mediterranea;
   nei giorni scorsi e anche in quello odierno, vaste fiamme si sono propagate in provincia di Oristano, ma, anche nel Medio Campidano, nel Sulcis e in provincia di Cagliari, distruggendo un'immensa parte della vegetazione;
   nell'oristanese nella notte tra il 3 e il 4 luglio 2014, a Sant'Anna frazione di Marrubiu (Oristano), numerose famiglie sono state evacuate per un incendio divampato dalla zona di «Is Bangius» che ha causato gravi problemi anche alla circolazione ferroviaria e che ha costretto la chiusura del tratto ferroviario che collega San Gavino a Oristano a causa delle fiamme divampate nel tratto tra Oristano-Marrubiu-Sant'Anna;
   a Torre Grande, frazione marittima di Oristano, il fuoco ha incendiato un bosco di eucalipti tra la borgata e il porticciolo, poco distante dalle case;
   sempre nell'oristanese le fiamme hanno raggiunto anche le campagne dei comuni di Uras, Terralba, Palmas Arborea e Zerfaliu, fino al campo sportivo;
   nel Medio Campidano, in un'area collinare tra Gonnosfanadiga, Arbus e Guspini, un incendio di vaste proporzioni ha ridotto in fumo oltre mille ettari di terra e ha costretto all'evacuazione di diverse aziende agricole e, per motivi precauzionali, anche della comunità di recupero per disabili «Betenia», fra Gonnosfanadiga e Guspini, i cui pazienti sono stati trasferiti urgentemente in strutture ricettive della zona;
   nel Sulcis, a Carbonia le fiamme hanno raggiunto la periferia fino alla struttura ospedaliera Sirai e di conseguenza è stato evacuato il reparto pediatria e sono stati trasferiti i pazienti, donne partorienti e neonati, in altre strutture ospedaliere del Cagliaritano; fiamme dirompenti hanno raggiunto la pineta ai Gonnesa, ma danni più consistenti si sono registrati nelle campagne del comune di Nuxis;
   nel cagliaritano, a Sinnai, tra la zona di Sant'Elena e Bellavista, nei pressi di una pineta, nei giorni scorsi, sempre a causa di un devastante incendio, sono state evacuate una decina di abitazioni e, anche in quest'occasione, le fiamme hanno distrutto oltre cento ettari di macchia mediterranea;
   spesso, in Sardegna, per affrontare l'emergenza estiva degli incendi, sono utilizzati i Canaidar che, provenendo da altre regioni, non riescono a domare tempestivamente le fiamme –:
   se i mezzi per prevenire gli incendi dolosi siano sufficienti e se il Ministro, di concerto con la regione Sardegna, non ritenga opportuno rafforzare quelli previsti o urgentemente assumerne ulteriori, per debellare questo fenomeno;
   se il Ministro non ritenga, altresì, necessario assumere le iniziative di competenza per rafforzare anche le misure investigative sui piromani, anche con un potenziamento delle strutture della protezione civile. (4-05417)


   MASSIMILIANO BERNINI, TOFALO e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   recentemente un team di scienziati della University of Western Ontario, guidato dalla geologa Patricia Corcoran e da Charles Moore, capitano della nave da ricerca oceanografica Alguita, ha rinvenuto un nuovo agglomerato geologico, battezzato con il nome di plastiglomerato, in 27 siti della spiaggia hawaiana di Kamilo;
   il plastiglomerato è un agglomerato di rifiuti di plastica fusi, mescolati a sedimenti, frammenti di lava vulcanica e detriti organici ed è suddiviso in due categorie, in situ e clastica;
   secondo le opinioni degli scienziati il nuovo agglomerato geologico potrebbe addirittura costituire un marcatore geologico dell'impatto dell'umanità sul pianeta Terra;
   ad oggi l'agglomerato geologico nominato plastiglomerato è stato rinvenuto unicamente nelle spiagge di Kamilo, gli scienziati non escludono però la possibilità che ritrovamenti simili in altre località potranno essere verificati nel breve tempo, arrivando ad affermare che «ovunque ci sia una fonte di calore, come anche nel caso degli incendi boschivi o le colate di lava, e abbondanti detriti di plastica, si possono potenzialmente formare dei plastiglomerati»;
   nel corso del 2013, il risultato di un'indagine sul marine litter effettuata da Goletta Verde e dall'accademia del Leviatano lungo 3.000 chilometri di coste italiane, basata su protocollo elaborato da ISPRA-NAT (Dipartimento difesa della natura) e università di Pisa (Dipartimento Biologia), ha evidenziato una preoccupante presenza di rifiuti plastici, in particolar modo nel Tirreno centrale;
   secondo Legambiente «I dati emersi dal monitoraggio di Goletta Verde e Accademia del Leviatano nel Mar Tirreno evidenziano come la quasi totalità dei macro rifiuti galleggianti siano di plastica e, tra questi, la percentuale più consistente è quella che riguarda le buste. Questo dimostra che il fenomeno della plastica in mare è un problema di dimensione globale e non riguarda solo l'Oceano Pacifico: l'Italia e il Mar Mediterraneo, infatti, sono particolarmente coinvolti e pertanto sono necessarie misure drastiche» –:
   se il Ministro sia a conoscenza sia degli studi effettuati sulle coste hawaiane di Kamilo che degli studi effettuati lungo le coste italiane da Goletta Verde e dall'accademia del Leviatano;
   quali studi siano già in atto o in caso quali studi intenda avviare affinché venga un quadro preciso e ufficiale dello stato delle coste italiane, circa il pericolo di formazione di plastiglomerato;
   se intenda intraprendere una collaborazione con le associazioni ambientaliste, per valutare le loro proposte e le loro soluzioni al problema dei rifiuti. (4-05418)


   ROSATO, BLAZINA, BRANDOLIN e ZANIN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a febbraio di quest'anno la Camera in prima lettura ha approvato il nuovo testo unificato sui delitti ambientali che inasprisce le pene esistenti e crea nuove tipologie di reati a tutela del territorio, concludendo un percorso avviato nel 1998. Una decina di anni fa, infatti, per la prima volta la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha messo in luce come l'inquinamento del terreno non fosse frutto solo di agenti naturali ma anche di cattive usanze della collettività o di organizzazioni criminali che nei meandri del sottosuolo hanno smaltito impunemente rifiuti speciali, industriali e pericolosi;
   le cavità del suolo e i fenomeni ipogei ed epigei, particolarmente presenti nel nostro Paese, sono stati utilizzati criminalmente quali discariche abusive profittando della difficoltà che hanno le autorità di verificare con costanza lo stato di salute di questi spazi. Una inchiesta giornalistica del quotidiano Avvenire del dicembre 2012 ha svelato una situazione di inquinamento del sottosuolo che ha raggiunto dimensioni preoccupanti, riportando alcune situazioni emblematiche tra le quali quella del Carso triestino (già documentato da una inchiesta giornalistica del quotidiano locale Il Piccolo e oggetto di un precedente atto di sindacato ispettivo – n. 4-09085 del 10 ottobre 2010 – rimasto privo di risposta);
   delle oltre 40 mila grotte censite a livello nazionale, infatti, ben 7 mila sono collocate nel Friuli Venezia Giulia e sono 3.175 quelle situate nella provincia di Trieste (una media di quindici grotte ogni chilometro quadrato), ad evidenza del rischio che questo territorio possa essere stato in passato vittima privilegiata di diversi delitti ambientali: sono, difatti, 128 le grotte del Carso triestino inquinate in 212 chilometri quadrati (una media di una grotta inquinata ogni 1,65 chilometri quadrati);
   le indagini speleologiche degli ultimi anni hanno individuato siti di particolare interesse (il Pozzo del Cristo, la grotta 1103, le grotte di Priamo e Bosco dei Pini, la grotta degli occhiali, la grotta Abisso Plutone o la grotta dei colombi, per citare alcune delle operazioni di pulizia effettuate dal 1994 ad oggi) che hanno portato alla luce scenari desolanti ed altamente tossici. In queste cavità sarebbero stati conferiti rifiuti speciali e nocivi quali idrocarburi, metalli pesanti, amianto, acidi, fanghi industriali;
   come può apparire ovvio, per poter effettuare la bonifica di una quantità così elevata di siti e di un'area così vasta necessitano ingenti risorse finanziarie di cui non può farsi esclusivo carico la sola regione Friuli Venezia Giulia;
   inoltre, la morfologia del Carso – che si estende tra l'Italia e la Slovenia – abbisogna di un accordo tra i due Stati per poter programmare una bonifica delle cavità, in quanto la rete sotterranea si distribuisce in modo transfrontaliero e le infiltrazioni di sostanze inquinanti disperse in superficie o nelle grotte che insistono in una località della nazione vicina finisco inevitabilmente per compromettere anche la «salute» dell'ambiente sotterraneo italiano, e viceversa –:
   se il Ministro sia a conoscenza del problema dell'inquinamento del Carso triestino e delle dimensioni del fenomeno;
   se, in tal caso, abbia valutato se tali aree possano essere inserite tra i siti inquinati da bonificare di interesse nazionale o comunque abbia considerato l'ipotesi di contribuire finanziariamente assieme alla regione Friuli Venezia Giulia alla programmazione di una bonifica di queste cavità;
   se, comunque, il Ministro intenda attivarsi, in collaborazione con la regione Friuli Venezia Giulia, per affrontare la questione dell'inquinamento del Carso con il concorso delle istituzioni delle vicina Slovenia. (4-05419)


   ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   La Repubblica ha pubblicato un articolo on line il 26 febbraio 2009 secondo cui il Lago Occhito è invaso dalla «Planktothrix rubescens» detta anche comunemente alga rossa;
   il lago di Occhito il più grande lago artificiale d'Italia e il secondo in Europa, creato con uno sbarramento sul Fortore, e che segna il confine naturale tra la Puglia e il Molise per circa 10 chilometri, avente una lunghezza di circa 12 chilometri;
   il summenzionato lago appartiene per metà alla provincia di Campobasso e per la restante alla provincia di Foggia;
   i comuni che si affacciano sul lago sono: Sant'Elia a Pianisi, Macchia Valfortore, Pietracatella, Gambatesa e Tufara (per la provincia di Campobasso) e Carlantino, Celenza Valfortore e San Marco la Catola (per la provincia di Foggia);
   la Planktothrix rubescens è un'alga d'acqua dolce, che vive nell'ambiente planctonico, in grandi laghi meso-eutrofici e soggetti ad intensa stratificazione termica ma anche in acque stagnanti, dove produce «acque rosse» specialmente durante la stagione estiva;
   la Planktothrix rubescens è nota per produrre microcistine, efficaci epatotossine associate con avvelenamenti anche mortali in umani ed animali;
   tali microcistine sono prodotte e contenute all'interno delle cellule e vengono rilasciate all'esterno per fenomeni di senescenza o lisi cellulare contaminando così le acque;
   in particolare una tossina, la microcistina LR, è stata la prima di cui si è documentata la capacità di determinare gravi patologie per la salute umana e danno alla flora e fauna ed è stata classificata dall'IARC come elemento cancerogeno di classe 2b;
   le microcistine determinano danni istologici a carico del fegato, organo bersaglio principale, dei polmoni e dei reni e fungono anche da promotori tumorali, come riportato dalla letteratura scientifica;
   gli effetti delle microcistine sulle persone e gli animali possono così essere riassunti: epatotossicosi acuta per ingestione diretta, polmoniti allergiche ed epatotossicosi se respirate, nel corso di attività ricreative e sportive in sistemi idrici contaminati da alghe in fase di fioritura, promozione di tumori, se ingerite in dosi sub-acute per diverso tempo (tumori epatici, gastrointestinali, epiteliali);
   le persone possono essere esposte alle tossine attraverso l'ingestione di acqua potabile contaminata, tramite la balneazione, l'inalazione di aerosol durante attività ricreative in prossimità delle aree di fioritura dell'alga, con l'assunzione di alimenti trattati e realizzati con acque contaminate (la microcistina non è termolabile), durante i trattamenti di emodialisi;
   la fauna ittica che vive nel bacino e negli invasi contaminati è anch'essa esposta alle tossine così come gli animali che vivono in allevamenti, nel caso vengano abbeverati con acque contaminate dalle microcistine, e le specie vegetali irrigate con le stesse. La flora e la fauna contaminata da queste microcistine possono divenire ulteriori vettori di esposizione per le persone in quanto entrano a far parte della catena alimentare;
   le acque destinate a consumo umano devono essere trasparenti, incolori, inodori, di sapore gradevole, di composizione chimica tale da essere ben tollerata dall'organismo umano; non devono contenere sostanze tossiche (metalli pesanti, pesticidi, tossine, alghe); non devono veicolare microrganismi patogeni;
   le acque provenienti da laghi e bacini idrici artificiali, come tutte le acque destinate a consumo umano devono subire un processo di trattamento in relazione alla loro classificazione secondo quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica n. 515 del 1982;
   in caso di contaminazione delle acque da Planktothrix rubescens, i potabilizzatori oltre a garantire il trattamento previsto in relazione alla classificazione delle acque utilizzate, devono essere dotati di sistemi di abbattimento e filtraggio (sistemi di flocculazione, filtri a carboni attivi, altri sistemi) adatti ad impedire il passaggio nelle acque di tutti i tipi di alghe e in particolare dell'alga tossica Planktothrix rubescens e delle sue micro cistine, e deve essere prevista ed attuata una regolare manutenzione di tutto il sistema di potabilizzazione e dei filtri in particolare;
   l'alga rossa potrebbe essere giunta attraverso il percolato della discarica di San Bartolomeo in Galdo (Campania) secondo quanto affermato anche nell'articolo de La Repubblica pubblicato un articolo on line il 26 febbraio 2009;
   su Foggia Today, quotidiano on line viene riportata il 6 aprile 2011 la notizia di una interrogazione a risposta urgente in consiglio provinciale di Foggia;
   nessuna notizia è reperibile, agevolmente, nel periodo intercorrente tra l'articolo de La Repubblica e quello del Foggia Today, circa l'evoluzione della situazione di pericolo di cui sopra esposta;
   è noto che, come previsto dal decreto-legge n. 31 del 2001, in situazioni di questo tipo è d'obbligo da parte delle autorità competenti di ricercare ed attuare forme di informazione efficace (manifesti, comunicati stampa, incontri pubblici e altro), rivolte alla popolazione circa lo stato e la qualità delle acque erogate dai pubblici acquedotti e soprattutto in occasione di ordinanze comunali che ne vietino l'uso potabile e quindi anche l'uso nei pubblici esercizi, nelle mense scolastiche e nelle industrie alimentari locali;
   ad oggi nulla perviene pubblicamente circa gli esiti di eventuali interventi atti a limitare, se non ad estinguere, tale situazione di pericolo per uomini ed animali, determinando una palese violazione del decreto-legge n. 31 del 2001 –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano intraprendere per fare interamente luce sulla vicenda, così da informare e tranquillizzare i cittadini residenti nei comuni interessati;
   se non ritengano urgente acquisire elementi, per quanto di competenza, sullo stato della situazione evidenziata riguardo il lago Occhito e l'eventuale pericolosità delle sue acque;
   quali iniziative intenda intraprendere per prevenire e riconoscere, anche incaricando l'istituto superiore di sanità, le ricadute sanitarie dell'esposizione ad agenti altamente tossici dispersi nella riserva idrica del lago Occhito (e di tutti i suoi canali) sui cittadini esposti a tali fattori di inquinamento ambientale. (4-05426)


   PELLEGRINO, ZARATTI e PIRAS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 1997 la società Sardinia Gold Mining ha realizzato quattro miniere a cielo aperto nel comune di Furtei, con un investimento di oltre 13 milioni di dollari, nel sud della Sardegna, a circa 40 chilometri da Cagliari;
   lo sventramento della collina di Santu Miali è valso, in dieci anni di lavoro, appena 5 tonnellate d'oro, 6 d'argento e 15 mila di rame ma ha lasciato un'eredità ben più pesante: ben 300 ettari di fanghi tossici e acque acide che a ogni acquazzone fanno temere il peggio;
   una fuoriuscita dagli invasi sarebbe uno «tsunami ecologico» (come ha spiegato il direttore della bonifica dell'ex miniera, Attilio Usai) in grado di contaminare non soltanto i terreni circostanti, ma anche i fiumi e tutti i bacini da cui dipendono l'agricoltura, la pastorizia e la vita del medio Campidano;
   nel 1997, nel momento dell'avvio dei lavori, i dipendenti della Sardinia Gold Mining erano 110, quando, nel 2008, l'attività è stata interrotta, i dipendenti erano solamente 42. Decretato il fallimento, nel 2009 i libri contabili sono stati portati in tribunale e delle bonifiche dei laghi al cianuro nessuno si è più preoccupato;
   l'Igea, la società controllata dalla regione Sardegna che si occupa delle miniere dismesse, ha il compito di monitorare la situazione, ma, intanto, il lago acido dell'agro di Furtei diventa sempre più grande. Dal 2001 al 2003 la Sardinia Gold Mining è stata controllata dall'ex Governatore sardo Ugo Cappellacci, recentemente sconfitto alle regionali da Antonio Pigliaru. La giunta regionale uscente aveva stanziato 11 milioni di euro per la messa in sicurezza del bacino idrico contaminato da cianuro e altri metalli, ma dall'Igea, la società pubblica regionale incaricata della dismissione delle ex miniere, ha stimato che la bonifica arriverà a costare decine di milioni di euro;
   nel 2002 Cappellacci affermava che sarebbero stati i privati della Sardinia Gold Mining a provvedere alle bonifiche e ai ripristini successivi alle attività estrattive. In uno slancio a lungo termine si ipotizzò addirittura la costruzione di un eco-parco. Nonostante gli 80 milioni di euro fatturati dalla miniera nel decennio di attività, le promesse sono rimaste inattese –:
   quali iniziative intenda intraprendere per intervenire a tutela della popolazione minacciata da un danno ambientale che incide sulla salute della stessa;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per quanto di competenza al fine di prevenire l'estendersi della contaminazione nelle aree circostanti determinando così un vero disastro ecologico di natura irreversibile;
   se non ritenga di intervenire per quanto di competenza al fine di riportare l'area interessata allo stato originario precedente all'intervento dell'attività umana e al conseguente danno ambientale.
(4-05427)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da un articolo del Messaggero Veneto del 3 luglio 2014 – intitolato «Le atomiche sono qui: il satellite lo conferma» – che uno studio dell'esperto Hans Kristensen, direttore del Nuclear information project della Federation of american scientists – rivela che nel nostro Paese sono presenti venti bombe nucleari nella base italiana di Ghedi, in provincia di Brescia, altre cinquanta in quella americana di Aviano. Si tratta di un arsenale di cui si parla da anni e che non è mai stato confermato dai Governi di Roma e Washington, ma che, a quanto è dato sapere, esiste e addirittura assegnerebbe all'Italia il primato europeo nel numero di ordigni atomici statunitensi;
   tali fatti sembrerebbero confermati anche da alcune foto satellitari che mostrano nella base di Ghedi i veicoli speciali della Nato destinati alla gestione operativa degli ordigni;
   i venti ordigni nella base di Ghedi sono di proprietà americana e vengono custoditi da un reparto statunitense, ma è previsto che in caso di guerra vengano sganciati dai cacciabombardieri Tornado del sesto stormo italiano. Nel gennaio 2014 i militari dei due Paesi hanno celebrato con una cerimonia a Ghedi i cinquantanni dall'arrivo delle armi atomiche, inaugurando anche un ceppo commemorativo;
   risulta che l'Italia garantisce le spese per ospitare i custodi americani degli ordigni e l'addestramento degli equipaggi dell'Aeronautica alle missioni nucleari. Inoltre, dovrà anche farsi carico di una parte dei costi delle misure di protezioni rinnovate –:
   se trovino conferma i fatti esposti in premessa e quale sia il suo orientamento circa la presenza e la gestione in Italia degli ordigni atomici in questione;
   quale sia il numero degli ordigni atomici presenti in Italia e, ove sia ostensibile, quale sia la loro localizzazione.
(4-05412)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA, SIBILIA e MANTERO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   come si evince dall'indagine sulla sostenibilità ambientale della filiera del carbone proveniente dalla Colombia commissionata da Greenpeace Italia all'istituto di ricerca indipendente olandese SOMO dal titolo «Colombian Coal in Europe – Imports by Enel as a Case Study», la società energetica controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze avrebbe instaurato importanti relazioni commerciali con due grandi aziende minerarie che operano nello stato sudamericano oggetto della relazione: la Drummond Company Inc. e la CI Prodeco SA;
   secondo il comunicato «No blood far coal» diramato da Greenpeace Italia nel giugno 2014, le informazioni dello studio sopracitato sono state sottoposte, prima della sua pubblicazione, a Enel, che non ha provveduto ad alcuna smentita;
   la statunitense Drummond Company Inc. risulta uno dei maggiori fornitori di carbone di Enel, con i suoi cinque carichi, documentati dallo studio di SOMO nell'anno 2013, forniti presso i porti di Civitavecchia, La Spezia e Venezia;
   l'azienda è stata bersaglio di diverse inchieste giornalistiche e procedure giudiziarie negli USA e in Colombia a causa di gravi problemi ambientali e violazione dei diritti umani;
   come riportato dal noto osservatore internazionale «www.sourcewatch.org» all'interno del proprio rapporto «Coal transport accidents», nel gennaio 2013 la Drummond avrebbe sversato 2.000 tonnellate di carbone nell'oceano al fine di evitare l'affondamento della chiatta di trasporto;
   l'azienda americana avrebbe provveduto ad avvisare le autorità colombiane solo 17 giorni dopo l'evento, nonostante la legge colombiana preveda un massimo di 3 giorni;
   a causa di questa violazione, ai danni di Drummond sono stati inflitti 3,5 milioni di dollari di ammenda, oltre che il divieto di utilizzare il porto di Santa Maria per le proprie operazioni;
   Sourcewatch afferma inoltre che «Nel maggio 2009, gli studi legali Conrad & Scherer LLP (Florida) e Ivey Law Firm (Alabama) hanno intentato una causa federale contro Drummond per il coinvolgimento della società negli omicidi di sessantasette colombiani. Drummond avrebbe pagato milioni di dollari a favore del gruppo terrorista paramilitare “Autodefensas Unidas de Colombia” (Unità di autodifesa della Colombia, AUC) in modo che questi ultimi potessero proteggere le proprietà della società e i lavoratori degli Stati Uniti, e secondo le carte processuali, “ha permesso ai terroristi AUC di istituire una base militare per le operazioni sulla sua proprietà, fornendo energia elettrica, cibo e carburante”»;
   tale accusa parrebbe trovare un'importante conferma in alcuni dispacci diplomatici U.S.A. intercettati e poi pubblicati da WikiLeaks risalenti al periodo 2006-2010 secondo cui la Drummond avrebbe pagato paramilitari per la protezione delle sue operazioni colombiane;
   un dispaccio dell'ottobre 2006 afferma come ci sarebbero stati significativi miglioramenti nella sicurezza nella regione nord-orientale della Colombia, dove Drummond opera, grazie a pattuglie lungo ferrovia della miniera di La Loma al porto di Santa Marta. Tale documento continua affermando che queste guardie di sicurezza private sarebbero state ex paramilitari;
   sempre secondo i dispacci pubblicati da WikiLeaks, nel periodo 2006-2010 diversi funzionari dell'Ambasciata degli Stati Uniti avrebbero inviato 15 diverse comunicazioni diplomatiche a Washington in cui avrebbero espresso preoccupazione su qualità del lavoro per i dipendenti della società, pratiche ambientali lassiste e collegamenti apparenti con squadroni della morte paramilitari;
   per quanto riguarda il processo sopracitato, Sourcewatch riporta come l'accusa, in circa sessanta pagine, tenti di dimostrare pesanti accuse di violenza «(...) contro persone che sono state percepite come in sintonia con i gruppi guerriglieri di sinistra o di supporto alle organizzazioni sindacali locali, tra cui pressioni, minacce e violenza nei confronti di (...) centinaia di uomini, donne e bambini nelle loro case, nel loro cammino verso e dal lavoro (...)», o come «(...) persone innocenti uccise dentro o vicino le loro case o rapiti per non tornare mai più a casa, i loro coniugi e figli picchiati e legati e cittadini colombiani tirati fuori da autobus e sommariamente giustiziati sul posto (...)»;
   come riporta l'agenzia di stampa americana «PRNewswire» in una nota del 28 maggio 2009, durante il processo i legali avrebbero anche descritto un incontro tra Drummond e l'AUC nel novembre 2000 dove la società stessa avrebbe direttamente ordinato l'esecuzione di due dirigenti sindacali;
   sempre Sourcewatch racconta come nel 2002, le famiglie di tre dirigenti sindacali colombiani assassinati e il sindacato cui appartenevano, Sintramienergética, hanno presentato una denuncia contro Drummond Company, Inc. e la sua consociata interamente controllata Drummond Ltd. Presso la corte federale degli Stati Uniti;
   questo è stato il primo caso in cui si è usufruito del cosiddetto «Alien Tort Claims Act», una legge risalente al 1789, che consente ai non cittadini statunitensi di citare in giudizio le imprese americane per la loro condotta al di fuori dei confini USA;
   i ricorrenti sostengono che Drummond avrebbe assunto paramilitari colombiani per uccidere e torturare i tre dirigenti sindacali nel 2001;
   come si può leggere dal comunicato stampa di Greenpeace Italia sopracitato, lo studio di SOMO, afferma inoltre che i tre sindacalisti sarebbero stati «(...) gettati fuori da un mezzo di trasporta dell'azienda e uccisi dai paramilitari dell'AUC»;
   nella relazione, si ricorda inoltre che nel febbraio 2013, in un altro processo, un giudice colombiano ha condannato Jaime Blanco, un ex appaltatore Drummond, a 38 anni di reclusione per l'uccisione di due sindacalisti nella miniera di La Loma (provincia di Cesar, Colombia);
   da un'intervista rilasciata dallo stesso Bianco all'agenzia di stampa globale «Associated Press», sarebbe stata proprio la Drummond a ordinare l'esecuzione dei due uomini;
   altro importante fornitore di Enel è la già citata CI Prodeco SA, acquistata nel 1995 dalla multinazionale mineraria anglo-svizzera Glencore International plc;
   sempre secondo la relazione di SOMO, nel secondo semestre del 2013 Enel avrebbe acquistato almeno 330.000 tonnellate di carbone dalla Prodeco, arrivate in Italia attraverso cinque viaggi di navi carboniere;
   anche Prodeco si è trovata coinvolta in inchieste giornalistiche e giudiziarie per omicidi di cittadini colombiani;
   infatti almeno 10 persone sono state uccise nel 2002 da paramilitari colombiani al fine di sequestrare un territorio denominato «El Prado», accanto alla miniera di Calenturitas, in concessione a Prodeco;
   come riporta l'inchiesta del programma giornalistico Panorama, trasmesso da BBC nell'aprile 2012, durante il processo per gli omicidi sopracitati diversi ex paramilitari avrebbero dichiarato di aver ceduto il controllo e la proprietà della zona a un'agenzia del Governo colombiano che intendeva venderla a Prodeco al fine di aprire una miniera di carbone a cielo aperto;
   secondo la BBC, il giudice avrebbe accettato la loro testimonianza e avrebbe concluso che il carbone è stato il movente della strage;
   nonostante Ivan Glasenberg, Chief Executive Officer (CEO) di Glencore, avesse affermato che la società da lui rappresentata non fosse proprietaria del territorio incriminato, i giornalisti di «Panorama» (BBC) sono venuti in possesso dei contratti di vendita tra Prodeco ed i nuovi occupanti di El Prado, che le autorità crederebbero essere complici degli assassini;
   Enel S.p.A. risulta essere nel giugno 2011 fra i promotori (tra le quali figurano solo compagnie elettriche europee) di un'iniziativa di controllo della filiera del carbone, denominata «Bettercoal»;
   le compagnie partecipanti, hanno sottoscritto un codice etico che, fra i punti, prevede anche che le stesse debbano garantire il rispetto dei diritti umani e del lavoro, della salute e della sicurezza, oltre alla preservazione dell'ambiente;
   nel comunicato di Greenpeace sopracitato, è inoltre specificato che «Bettercoal ha anche sviluppato un meccanismo di autocertificazione per le miniere e individuato alcune linee guida per valutazioni sul campo, condotte da certificatori terzi e indipendenti. Le miniere devono in altre parole procedere a una sorta di autovalutazione e produrre documentazione a supporto di quanto certificano. Queste autocertificazioni alimentano un database finalizzato a definire alcune priorità per successive indagini. Queste ultime, condotte da parti terze, devono produrre dei piani di continuo miglioramento dei siti di estrazione, che le aziende partecipanti a Bettercoal (ma non l'opinione pubblica) potranno quindi tracciare e considerare per i loro processi di auditing ed eventualmente nelle scelte commerciali»;
   Greenpeace continua osservando che «Il fatto che Enel, che aderisce a Bettercoal per garantire il «tenore» etico e ambientale del carbone che acquista, possa intrattenere relazioni commerciali con la Drummond e la Prodeco è probabilmente la spia più evidente di come questo organismo di controllo [Bettercoal] sia sprovvisto di effettivi poteri di ispezione e di come non possa garantire realmente la tutela dell'ambiente e dei diritti umani.»;
   Enel SpA risulta inoltre provvista di un proprio codice etico, che, nel campo relativo alla tutela degli aspetti etici nelle commesse legate alla scelta dei propri fornitori recita che: «Nella prospettiva di conformare l'attività di approvvigionamento ai principi etici adottati, Enel si impegna a richiedere, per particolari commesse, requisiti di tipo sociale (per esempio, la presenza di un Sistema di Gestione Ambientale) e il rispetto della normativa in materia di Safety. Le violazioni dei principi generali del Codice Etico comportano meccanismi sanzionatori, tesi anche a evitare reati che possano comportare responsabilità amministrativa a carico di Enel. A tal-fine, nei singoli contratti sono predisposte apposite clausole. In particolare, nei contratti con i fornitori di Paesi a «rischio», definiti tali da organizzazioni riconosciute, sono introdotte clausole contrattuali che prevedono:
    l'adesione da parte del fornitore a specifici obblighi sociali (per esempio, misure che garantiscono ai lavoratori il rispetto dei diritti fondamentali, i principi di parità di trattamento e di non discriminazione, la tutela del lavoro minorile);
    la possibilità di avvalersi di azioni di controllo presso le unità produttive o le sedi operative dell'impresa fornitrice, al fine di verificare il soddisfacimento di tali requisiti.»;
   con nota stampa pubblicata dalla testata online «www.ilfattoquotidiano.it» all'interno dell'articolo «Carbone e sangue, Enel: Se accuse provate, pronti a rescindere contratti» del 1o luglio 2014 a firma Thomas Mackinson, Enel, che prima della pubblicazione dello studio commissionato da Greenpeace italia si era limitata a non smentire le informazioni contenute nella relazione, dichiara che «(...) qualora fossero riscontrate le accuse che vengono mosse dallo studio SOMO alla Drummond e alla Glencore (Prodeco), o più in generale una rilevante violazione etica, Enel non avrebbe alcuna esitazione ad agire nei confronti delle controparti e ad attuare tutte le determinazioni necessarie (...)»;
   si ritiene insostenibile che una partecipata controllata dello Stato italiano tramite il Ministero dell'economia e delle finanze mantenga partnership attive di fornitura con compagnie che non garantiscano i più elementari diritti dei lavoratori;
   secondo gli interroganti sarebbe opportuno che lo Stato indirizzasse Enel a riconsiderare gli accordi al momento vigenti con Drummond e Glencore-Prodeco, facendo in modo che le future partnership siano basate su principi di sostenibilità ambientale, sociale, sanitaria oltre che sulla salvaguardia dei diritti fondamentali e lavorativi propri di ogni essere vivente –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione quali iniziative intendano assumere per quanto di competenza nei confronti di Enel Spa considerando quanto indicato in premessa;
   se e come si intenda vigilare su situazioni analoghe che coinvolgono altre società, a partecipazione pubblica, che abbiano rapporti diretti o indiretti di fornitura energetica, che abbiano sede o che svolgano in qualsivoglia attività collegata all'Italia. (5-03172)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   la pubblica assistenza ANPAS, Associazione nazionale pubbliche assistenze, coinvolge 880 associazioni di pubblica assistenza in tutta Italia, e rappresenta una delle più grandi Associazione nazionali di volontariato per quanto riguarda l'ambito socio-sanitario;
   il lavoro di volontari e operatori, competenti e adeguatamente formati, consente di fornire una risposta immediata alle esigenze dei cittadini, ragione per cui ANPAS svolge da anni un ruolo strategico fondamentale, in grado di offrire assistenza ospedaliera, servizi ambulatoriali e un'efficace mobilità sul territorio, svolgendo circa il 70 per cento del trasporto sanitario del nostro Paese;
   ANPAS, nei prossimi mesi, rischia di attraversare una situazione di forte difficoltà nell'espletamento dei servizi sanitari, sia di emergenza che di trasporto socio sanitario cosiddetto ordinario;
   a partire dal 2 luglio 2014, infatti, la Società Autostrade per l'Italia spa ha confermato la disdetta dell'accordo con ANPAS (stipulato dai 1999) per il rilascio di telepass esenti in modo permanente senza concedere ulteriore proroghe, decidendo in modo unilaterale le nuove modalità;
   la decisione pone in grave difficoltà le organizzazioni di volontariato, quotidianamente impegnate da oltre 100 anni in questo settore e, più in generale, nella presa in carico di ogni cittadino malato o infortunato;
   dal mese di luglio, 2962 telepass in dotazione sulle ambulanze e sui veicoli di soccorso avanzato delle associazioni di pubblica assistenza aderenti ad ANPAS, oltre a quelli delle Misericordie, saranno disattivati, provocando molti problemi e serie difficoltà nei transiti e nell'accesso ai tratti autostradali, con particolare riferimento a quelli che non sono presenziati dal personale di Autostrade;
   a questo proposito, le ripetute istanze di modifica del codice della strada che ANPAS, insieme alla Confederazione delle Misericordie d'Italia, ha rivolto al Governo e la manifestazione di protesta organizzata il 3 aprile 2014 a Roma sono rimaste del tutto inascoltate;
   analogamente, la risoluzione approvata dalla IX Commissione trasporti della Camera dei deputati (n. 8-00060 Tullo-Fossati) il 4 giugno 2014, che impegna il Governo a «definire e rendere individuabili i veicoli adibiti al soccorso; concedere telepass per l'esenzione del pedaggio autostradale in comodato d'uso gratuito senza aggravi burocratici ed organizzativi ai veicoli di soccorso delle associazioni di volontariato, modificando ed integrando le concessioni in essere su tutte le autostrade italiane, senza oneri per il bilancio dello Stato» non ha avuto alcun seguito;
   al momento, persiste un'evidente disomogeneità di trattamento in termini di esenzione del pedaggio fra i mezzi di Croce Rossa Italiana, ANPAS e Misericordia, in seguito alla recente trasformazione della Croce Rossa Italiana, nella sua parte civile, in ente privato –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per consentire ad ANPAS ed alle altre associazioni di volontariato di garantire interventi tempestivi ed efficaci, nel rispetto della sicurezza, allo scopo di tutelare la salute dei cittadini, anche in seguito alla disdetta del suddetto accordo da parte della società Autostrade spa.
(2-00614) «Fanucci, Albini, Beni, Biffoni, Bini, Carrozza, Cenni, Capozzolo, Coppola, Dallai, De Menech, Donati, Ermini, Famiglietti, Faraone, Fontanelli, Fossati, Gadda, Gelli, Grassi, Manciulli, Mariani, Morani, Parrini, Rigoni, Rocchi, Sani, Senaldi, Simoni, Vazio».


   I sottoscritti chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il comma 4 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 66 del 24 aprile 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014 sostituisce il comma 3-bis dell'articolo 33 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
   tale nuova formulazione del suddetto comma 3-bis dell'articolo 33 del codice dei contratti pubblici sancisce che «I Comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi nell'ambito delle unioni dei comuni di cui all'articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture non rilascia il codice identificativo gara (CIG) ai comuni non capoluogo di provincia che procedano all'acquisizione di lavori, beni e servizi in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma»;
   tale novella ha previsto come data di avvio delle nuove modalità di acquisto aggregato o congiunto il giorno 1o luglio 2014;
   tale fattispecie si differenzia considerevolmente da quella previgente, in quanto:
    a) risulta determinare l'obbligo di acquisizione di lavori, servizi e forniture mediante le particolari modalità a tutti i comuni non capoluogo di provincia (precedentemente riferito solo ai comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti);
    b) pur ampliando il novero dei soggetti ai quali i comuni possono fare riferimento per i loro processi di acquisizione di lavori, servizi e forniture, non replica la previsione derogatoria, che consentiva alle amministrazioni comunali di minori dimensioni di procedere comunque in modo autonomo all'acquisizione di lavori, servizi e forniture in amministrazione diretta o, mediante cottimo fiduciario, quando di valore inferiore a 40.000 euro, sulla base di quanto previsto dal secondo periodo del comma 8 e dal secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   la mancata previsione della deroga applicativa della disposizione data nel comma 3-bis dell'articolo 33 del codice dei contratti pubblici sulla base della nuova formulazione dettata dal comma 4 dell'articolo 9 del decreto in questione, inerente alla possibilità per i singoli comuni di procedere autonomamente ad acquisizione di lavori, servizi e forniture mediante amministrazione diretta o con cottimo fiduciario entro i 40.000 euro in base a quanto stabilito dal secondo periodo del comma 8 e dal secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006, comporta per le amministrazioni comunali l'obbligo di acquisire lavori, beni o servizi mediante l'organismo individuato come gestore dei processi di acquisto (unione di comuni, centrale di committenza, stazione unica appaltante provinciale o ufficio comune organizzato con altra amministrazione comunale), e riguarda anche acquisizioni di modesto o di modestissimo importo; 
   in merito alla nuova formulazione del comma 3-bis dell'articolo 33 del decreto legislativo n. 163 del 2006, dal momento che essa comprende significative realtà collocate su tutto il territorio nazionale e viste anche le difficoltà, sollevate da più parti, per un adeguamento organizzativo in così breve tempo, il Governo, in sede di conversione del decreto sopra citato si era impegnato, accogliendo un ordine del giorno, a chiarire, in via interpretativa, che i singoli comuni non capoluogo di provincia potessero continuare ad acquisire autonomamente lavori, servizi e forniture nei casi previsti secondo periodo del comma 8 e dal secondo periodo del comma 11 dell'articolo 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006, entro la soglia (attualmente di 40.000 euro) nelle stesse disposizioni individuata;
   è noto che in molte province e regioni non si è a tutt'oggi proceduto alla costituzione delle centrali di committenza cui è fatto obbligo di aderire ai comuni che non hanno costituito le unioni in convenzione –:
   quali iniziative urgenti il Governo abbia intenzione di porre in essere al fine di rendere operativa quella deroga, dando corso agli impegni assunti in sede di conversione del decreto-legge di cui sopra, che altrimenti rischierebbe di paralizzare l'attività negoziale della maggioranza dei comuni italiani;
   quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere al fine di consentire ai comuni con popolazioni inferiore a 30.000 abitanti di pervenire alla costituzione delle unioni di comuni nei tempi necessari non inferiori a 12 mesi.
(2-00615) «Di Lello, Pisicchio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   L'ABBATE, LIUZZI, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SCAGLIUSI, GAGNARLI, CRISTIAN IANNUZZI, TURCO, NICOLA BIANCHI, DE ROSA, PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI e D'UVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dalle statistiche reperite (statistiche passeggeri e veicoli dal 1995 al 2011 – Fonte: «Avvisatore Marittimo di Brindisi») l'implementazione dell'autorità portuale, prevista dalla legge n. 84 del 1994, ha coinciso con l'inizio del declino del porto di Brindisi con la quasi scomparsa del traffico nobile e veicoli in favore di altri porti vicini, la diminuzione delle merci (fatto salvo per le merci obbligate, ma meno nobili, come carbone e gpl) e la perdita di competitività;
   in data 7 giugno 2011, con decreto ministeriale del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti su designazione dell'allora sindaco D. Mennitti, viene nominato presidente dell'autorità portuale il greco Hercules Haralambides;
   il candidato brindisino alla presidenza, ingegner Calogero Casilli, designato nelle terne della provincia e della camera di commercio, ha proposto ricorso al Tar di Lecce contro la nomina del presidente Haralambides sulla base dell'assunto che un cittadino non italiano seppur comunitario non potesse assumere la carica di presidente di un'autorità portuale;
   in data 21 marzo 2012, il comitato portuale dell'autorità brindisina ha riconfermato alla carica di segretario generale dell'ente Nicola Del Nobile, già segretario generale durante la gestione del precedente presidente dell'autorità portuale di Brindisi, Giuseppe Giurgola;
   il Tar di Lecce, accogliendo il ricorso dell'ingegner Casilli, sentenziava che «si deve ritenere che la cittadinanza italiana sia un requisito indispensabile per accedere alla carica di Presidente dell'Autorità portuale». L'esito comporta la nomina, dal luglio 2012, dell'Ammiraglio Ferdinando Lolli come commissario dell'autorità Portuale di Brindisi;
   in data 9 gennaio 2013, il Consiglio di Stato ha concesso la sospensiva della sentenza del Tar di Lecce in favore di Haralambides e ha rinviato la decisione alla Corte di Giustizia dell'Unione europea. Contestualmente, Haralambides è ritornato a rivestire la carica di presidente dell'autorità portuale, priva però del segretario generale Nicola Del Nobile che il 28 febbraio 2013 presenta le dimissioni;
   in data 13 settembre 2013, l'ordine del giorno del Comitato Portuale previsto per il 18 settembre, viene integrato con proposta per la nomina di segretario generale del dottor Cosimo Casilli (di professione farmacista ed ex parlamentare del Partito Democratico, già dirigente della provincia di Lecce). Una proposta di nomina effettuata a giudizio degli interroganti ignorando i dettami in merito alle competenze stabiliti dalla legge n. 84 del 1994;
   in data 18 settembre 2013, il Comitato portuale ha bocciato il rendiconto consuntivo 2012 dell'Autorità portuale di Brindisi a causa di alcune poste di bilancio relative alle premialità (oltre 700.000 euro) ai dipendenti dell'Authority, elargite saltando il parere dell'organo collegiale e non prevedendo alcun tipo di trasparenza nel conferimento di queste somme (fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno, 19 settembre 2013, pagina 26), mentre la nomina del segretario generale viene rinviata;
   in data 18 marzo 2013, alcuni membri del Comitato portuale hanno presentato una richiesta di «trasparenza amministrativa», lamentando «un'eccessiva riservatezza dell'Ente, con particolare riferimento ai Decreti Presidenziali». In data 22 marzo 2013, la presidenza del Comitato portuale ha risposto affermando che l'accesso agli atti amministrativi, per verificarne la legittimità, da chiunque richiesto (sia esso cittadino, associazione o impresa), deve essere dettato dalla legge n. 241 del 1990, per possibili profili di riservatezza;
   nel mese di maggio 2013 è stata completata una petizione cittadina a titolo «Trasparenza degli atti dell'Autorità Portuale» di Brindisi con la quale si chiedeva di rendere pubblici i seguenti atti (passati e futuri): decreti presidenziali, preventivi di spesa, consuntivi di spesa, elenco fornitori dell'Ente. Veniva richiesta, altresì, la creazione di un albo pretorio dell'ente, consultabile on-line, con lo scopo di rendere pubblici tutti gli atti dello stesso ente;
   la trasparenza per la pubblica amministrazione è prevista dal decreto legislativo n. 33 del 14 marzo 2013 che all'articolo 1, comma 2, recita «La trasparenza, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d'ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali, concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell'utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali misure intenda adottare alla luce del protrarsi dello stato di non trasparenza dell'ente, in contrasto con la normativa vigente nonché con le richieste del comitato cittadino;
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno che le nomine relative al presidente e agli organici dell'autorità portuale siano stabilite dopo una selezione basata sul merito e sulle competenze. (5-03174)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI e BUSINAROLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il signor Giuseppe Lucà, tecnico professionale (geologo) in Anas spa, compartimento di Perugia, riveste il ruolo di direttore operativo per i lavori della direttrice Civitavecchia Orte Rieti, tratta Terni (San Carlo) confine regionale;
   in data 4 dicembre 2012 il signor Lucà, dopo aver appreso nel maggio del 2012 di presunte irregolarità, si è rivolto al nucleo di polizia tributaria (guardia di finanza) di Perugia esponendo che all'ex direttore dei lavori, nonché RUP (responsabile unico dei lavori), ing. M. L., «è stato liquidato nella misura del 50 per cento (pari ad un ammontare di circa 230.000,00), dall'Anas Spa, l'incentivo riguardante l'ex articolo 18 della legge 109 del 1994, come previsto dalla n. 56 del manuale operativo» che esibiva al militare verbalizzante;
   il signor Lucà riferiva nell'esposto l'anomalia nascente «dal fatto che il regolamento Anas che stabilisce le modalità di erogazione di detto incentivo, detta che lo stesso deve avvenire all'emissione del certificato di ultimazione dei lavori, della relazione sul conto finale, della nomina del collaudatore e alla presentazione delle parcelle di tutti gli aventi diritto. Tutte circostanze che in questa precisa situazione non si sono verificate, in quanto i lavori si trovavano a quel periodo al 70 per cento di avanzamento»;
   lo stesso infine rappresentava l'utilizzo delle autovetture aziendali per uso personale e la corresponsione di una elevata indennità di alloggio pari a circa euro 1.500,00/1.800,00, senza l'utilizzo degli appartamenti che erano in uso ai precedenti dirigenti;
   il signor Lucà rappresentava tali fatti anche all'organizzazione sindacale;
   successivamente all'esposto, nella primavera del 2013 il signor Giuseppe Lucà si è rivolto al servizio mobbing dell'ospedale di Foligno (Perugia) lamentando fenomeni di molestie morali, vessazioni, persecuzione e violenze psicologiche ai suoi danni da parte dei colleghi e superiori e la preoccupazione di subire un trasferimento in altra sede; nel settembre del 2012 ha ricevuto un avviso di garanzia dalla procura della Repubblica di Perugia per presunta violazione dell'articolo 368 codice penale (calunnia) ai danni dei dirigenti del compartimento Anas dell'Umbria (procedimento n. 4114/13 RG) e nei suoi confronti è stato aperto un procedimento disciplinare;
   sono sempre più numerosi gli episodi di dipendenti che all'interno dell'amministrazione denunciano presunte irregolarità ma subiscono l'isolamento da parte della amministrazione di appartenenza;
   l'articolo 1, comma 51, della legge 6 novembre 2012, n. 190, prevede che «Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia. Nell'ambito del procedimento disciplinare, l'identità del segnalante non può essere rivelata, senza il suo consenso, sempre che la contestazione dell'addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione, l'identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti;
   se i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, intendano assumere concrete iniziative, con i modi e i mezzi che riterranno più opportuni, per chiarire i fatti esposti;
   se intendano assumere iniziative volte alla verifica del rispetto della legge 6 novembre 2012, n. 190 e della normativa in materia di trattamento dei dati personali e sensibili da parte dell'Anas spa e se l'Anas abbia conformato il proprio Codice etico alle previsione della suddetta legge;
   quali iniziative, nei limiti delle proprie attribuzioni, intendano adottare – anche di tipo normativo – affinché la posizione dei cosiddetti whistleblower venga adeguatamente tutelata nelle aziende, in ambito privato e pubblico, da fenomeni di mobbing e altre forme di vessazione o discriminazione che possano pregiudicarne l'integrità psicofisica o la carriera lavorativa. (4-05422)


   NICCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 17 gennaio il Consiglio dei ministri ha approvato la proposta di piano nazionale degli aeroporti che prevede, tra l'altro, quale aeroporto strategico per il bacino di traffico nord-ovest insieme a quello di Bologna anche quello di Pisa/Firenze ma a condizioni che si realizzi la gestione unica, piano che presto dovrebbe essere approvato dal Consiglio dei ministri in seconda lettura;
   da anni in Toscana si discute della necessità di una holding a prevalente capitale pubblico tra la società SAT, che gestisce l'aeroporto di Pisa e la società Adf, che gestisce l'aeroporto di Firenze, in un'ottica di collaborazione, di differenziazione e di completamento dei due scali;
   sia nel programma di governo della regione Toscana, così come negli atti di programmazione, quali il Programma regionale di sviluppo, la regione Toscana prevede che «la specializzazione delle funzioni di aeroporto di rilevanza internazionale per Pisa e di city airport per Firenze, in un'ottica di pianificazione integrata di attività e servizi e del relativo sviluppo»;
   il parere tecnico assunto dal consiglio di amministrazione di SAT il 29 ottobre 2013 attesta esplicitamente, per quanto riguarda la nuova pista di Firenze, che «la configurazione di pista di 2400 metri con pista di rullaggio è potenzialmente competitiva con la capacità operativa di Pisa»;
   il 16 ottobre del 2013 il Consiglio dei ministri ha confermato Vito Riggio presidente di ENAC per 5 anni, incarico che ricopre fin dal 10 aprile 2003; era infatti stato nominato commissario straordinario dell'Enac dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Pietro Lunardi il 10 luglio 2003. Successivamente era stato nominato Presidente con decreto del Presidente della Repubblica l'11 agosto 2003, su delibera del Consiglio dei ministri nella seduta dell'11 luglio 2003 e poi riconfermato il 27 settembre 2007. Quindi è stato nominato con reiterate proroghe commissario straordinario fino alla nuova nomina a Presidente del 16 ottobre 2013 da parte del Governo Letta;
   la rotazione delle cariche pubbliche, in particolar modo quelle di vertice, è un principio importante di cui ogni governo dovrebbe tenere conto nelle nomine di propria competenza;
   Vito Riggio continua ad interpretare il ruolo di presidente di ENAC in maniera estensiva e ripete che la nuova ipotizzata pista dell'aeroporto di Peretola deve essere di 2400 metri, rivendicando il fatto che la scelta finale, al di là degli atti di programmazione locale come il PIT, deve essere presa in nome di un preminente interesse nazionale;
   il «Master Plan» di Adf prevede che il 50 per cento degli investimenti necessari a potenziare l'aeroporto di Peretola siano coperti da investimenti pubblici;
   dal febbraio 2014 il Gruppo Corporacion America ha espresso la volontà di acquisire azioni in SAT, che Roberto Naldi, plenipotenziario del Gruppo Corporacion America, il 4 marzo scorso ha annunciato l'Opa obbligatoria su Adf e volontaria su SAT, non concordata con il patto parasociale dei soci pubblici, andata a buon fine con l'acquisizione della maggioranza nei due scali, anche a seguito della decisione della giunta regionale Toscana di vendere gran parte delle sue quote in SAT, e chiedendo la fusione della due società entro il 2014, pur in assenza di un piano industriale;
   a questo è seguito un contenzioso tra le amministrazioni locali pisane e Società Corporacion America e regione Toscana, con prese di posizioni unanimi del consiglio comunale di Pisa, della provincia di Pisa e della camera di commercio di Pisa; 
   il 3 e 4 giugno Vito Riggio, il Sottosegretario Nencini e Marco Carrai, presidente di AdF hanno confermato la scelta per una pista di 2400 metri, competitiva con quella dello scalo pisano, esercitando secondo l'interrogante una manifesta interferenza sulle decisioni che il consiglio regionale Toscano dovrà assumere il prossimo 1o luglio, in sede di approvazione definitiva della variante al PIT relativa alla pista dell'aeroporto di Peretola –:
   se non ritenga prioritario riportare in mano pubblica, senza alcuna interferenza da parte di soggetti privati la definizione dello sviluppo aeroportuale toscano e quali misure intenda mettere in atto perché questo avvenga;
   quali iniziative intenda intraprendere per tutelare le precipue competenze territoriali di regione Toscana e degli enti locali;
   se non ritenga opportuno revocare l'incarico di presidente di Enac a Vito Riggio. (4-05424)


   PISO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 in materia di materia di autonomia di entrata delle regioni, ha trasformato in tributo regionale l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili, istituita dalla legge 21 dicembre 2000, n. 342;
   nel dicembre 2012 la conferenza delle regioni (doc 12/175/CR5a/C2), ha dettato regole comuni sull'IRESA (imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili) «al fine di favorire l'uniformità di disciplina nelle regioni ordinarie ed evitare che elementi operativi o di dettaglio possano condurre a discriminazioni tra le diverse regioni..»; la relativa tabella 3 prevede un range di aliquote;
   inoltre, «al fine di evitare effetti distorsivi della concorrenza tra gli scali aeroportuali e di promuovere l'attrattività del sistema aeroportuale italiano» il comma 15-bis dell'articolo 13 del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145 (cosiddetto Destinazione Italia) ha stabilito che nella «...definizione della misura dell'imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili civili (IRESA), il valore massimo dei parametri delle misure IRESA non può essere superiore a euro 0,50»;
   sia la regione Lazio che la regione Lombardia hanno introdotto l'IRESA, tra le generali proteste degli operatori turistici; tuttavia, l'elemento di maggiore sconcerto deriva dal fatto che la regione Lazio ha applicato un'aliquota esorbitante: un aeromobile di medio raggio (esempio Airbus 320) è soggetto ad una tassa sul rumore di circa 14 euro a volo a Milano e di 267 euro a Roma (il 1907 per cento in più); un aeromobile di lungo raggio (esempio Boeing 777) paga circa 69 euro a Milano e ben 1.257 euro a Roma (il 1712 per cento in più); su un Boeing 777 a Fiumicino si pagano 1.257 euro per ogni atterraggio e decollo, rispetto ai 69 euro di Malpensa;
   l'IBAR, l'associazione con 104 vettori associati che rappresenta più dell'85 per cento del trasporto aereo in Italia, ha inviato in questi giorni una lettera all'Autorità per i trasporti sostenendo che le differenze applicative tra Lazio e Lombardia sono al di là di ogni ragionevole soglia e che l'imposta «invece di essere utilizzata per realizzare opere di mitigazione dell'impatto acustico a Fiumicino e Ciampino, .... viene di fatto usata per il 90 per cento dalla regione Lazio per ripianare il proprio deficit di bilancio»;
   secondo i calcoli resi noti da Assaereo, nel complesso la nuova imposta avrà un impatto di 37 milioni di euro nel 2013 e di 55 milioni di euro 2014; secondo quanto emerge dall'ufficio studi di Federviaggio le compagnie aeree che operano negli scali romani avranno un impatto di circa 5 euro per passeggero per viaggi nel medio raggio e di oltre 2 euro per viaggi nel breve raggio;
   l'interrogante registra: un federalismo mal regolato e incurante degli stessi limiti posti dalla legge n. 42 del 2009 nella parte che impone il coordinamento tra i soggetti impositori e la fissazione limiti massimi di imposizione complessiva; le decisioni della Corte Costituzionale che hanno assicurato agli enti decentrati la massima libertà in termini impositivi; la finanziaria regionale 2013 della nuova giunta Zingaretti, che ha fissato, per motivi di copertura di bilancio, l'IRESA a livelli elevatissimi arrecando un danno al turismo e all'immagine della regione –:
   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati in relazione a quanto sopra esposto e se intendano assumere iniziative normative volte a evitare gli effetti distorsivi di cui in premessa, se del caso rendendo più stringenti i limiti alla determinazione delle aliquote dell'Iresa. (4-05425)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il degrado delle condizioni di sicurezza nel nostro Paese non sembra aver fine ed interessa porzioni sempre maggiori del territorio nazionale;
   in particolare, continua ad aumentare l'incidenza dei furti nelle abitazioni della provincia comasca e dell'Alto Lario;
   in data 4 luglio 2014, ad esempio, la stampa locale comasca ha dedicato ampie porzioni delle pagine di cronaca ai furti nelle abitazioni verificatisi «a raffica» nei comuni di San Fedele Intelvi, Vercana e Dongo;
   vengono prelevati soprattutto gioielli, macchine fotografiche e telefoni cellulari. Proprio un telefono cellulare sottratto nel corso di una di queste effrazioni ha peraltro permesso ai carabinieri di rintracciarne gli autori attraverso il GPS;
   è opinione diffusa tra i cittadini residenti che ad alimentare il fenomeno concorra in modo decisivo la penuria delle risorse a disposizione dei locali presidi delle forze dell'ordine, che andrebbero potenziati, anche per generare una dissuasione credibile nei confronti dei malintenzionati, e che rischiano invece di essere ulteriormente assottigliati in attuazione della spending review –:
   quali misure di competenza il Governo intenda assumere per porre fine all'emergenza criminalità in atto nella provincia comasca ed, in particolare, a San Fedele Intelvi e nell'Alto Lario. (4-05416)


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'operazione militare e umanitaria denominata «Mare nostrum» finalizzata a fronteggiare il massiccio fenomeno degli sbarchi clandestini di migranti, ha avuto inizio nell'ottobre 2013;
   sui territori la situazione è al collasso così come sul fronte, dell'accoglienza, l'operazione si è rivelata del tutto inadeguata a fronte del numero incredibile degli sbarchi. Il sovraffollamento delle strutture ha fatto scoppiare una grave emergenza sanitaria;
   si assiste in diverse zone del Sud del nostro Paese a diversi casi di contagio da tubercolosi, e si sono registrati casi in aumento di scabbia e di AIDS. I reparti ospedalieri per la cura delle malattie infettive sono in difficoltà, i posti letto sono deficitari, il personale medico è insufficiente;
   infine è recentissima la notizia che una decina di marinai impegnati nell'operazione sarebbero stati positivi al test della tubercolosi;
   l'ultimo caso in ordine di tempo si è verificato in Puglia dove alcuni militari avrebbero contratto la tubercolosi durante gli interventi di assistenza ai profughi;
   fonti della marina militare hanno assicurato all'Adnkronos che: «Nessuno di questi casi è in fase attiva o contagiosa, sono risultati positivi a questo screening precauzionale e continuano a lavorare quindi nessun campanello d'allarme perché in operazioni così complesse e dove sono impegnati migliaia di uomini questo dato è fisiologico;
   tra i dieci casi di contagio non ci sarebbe alcun medico né operatori sanitari impegnati nei soccorsi a bordo delle navi. Eppure, nonostante i toni rassicuranti della marina militare, la nuova ondata migratoria, che dall'inizio dell'anno ha inondato le nostre coste di almeno 50 mila clandestini, riporta in Italia malattie dimenticate da anni come appunto la scabbia e la tubercolosi;
   la gravità della situazione sembra essere confermata dal fatto che nelle scorse settimane il ministero della salute avrebbe coordinato un tavolo di tecnici ed esperti della polizia di Stato, della guardia di finanza, della guardia costiera e della marina militare che, insieme ai rispettivi uffici sanitari, hanno iniziato a lavorare ad un protocollo unico per tutti gli operatori in divisa finalizzato a individuare un'unica profilassi e strumenti adeguati al fine di garantire un requisito minimo di sicurezza sanitaria –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati, per le rispettive competenze abbiano intenzione di attuare al fine di tutelare la salute non solo dei militari impegnati nell'operazione di cui sopra ma anche di tutti i cittadini italiani. (4-05421)


   NUTI e NESCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Francesco Oliverio è collaboratore di giustizia dal 2012;
   fu membro della ’ndrangheta con il ruolo di trequartino di un locale di Belvedere Spinello, in provincia di Crotone;
   le informazioni fornite da Francesco Oliverio ai magistrati sono state ritenute attendibili e quindi utilizzate nel corso di importanti procedimenti giudiziari, tra i quali si cita, a titolo esemplificativo, il procedimento scaturito dall'indagine «La Svolta», tramite cui si è proceduto alla ricostruzione della penetrazione mafiosa in Liguria e nel milanese;
   Francesco Oliverio, dopo il pentimento e la decisione di collaborare con la giustizia, ha denunciato più volte la situazione di pericolo che si stava creando attorno a sé, in particolare a causa di pressioni che la ’ndrangheta ha esercitato sulla propria persona utilizzando il figlio naturale e la madre del ragazzo, L.R.J.;
   gli interroganti ritengono che la situazione testé esposta è oggettivamente molto pericolosa per l'esito dei procedimenti penali in cui sono state acquisite le testimonianze di Oliverio, dal momento che le riferite pressioni potrebbero indurre il medesimo collaboratore a ritrattazione, con grave nocumento per la giustizia e il contrasto della criminalità organizzata, nonché per il bilancio dello Stato;
   gli interroganti ritengono ciò estremamente grave e inconcepibile;
   il collaboratore Oliverio ha più volte rappresentato i suddetti fatti al nucleo operativo protezione di competenza;
   inoltre, sempre ad avviso dello stesso collaboratore, le condizioni economiche del suo nucleo famigliare, incluso nel circuito di protezione, nonché le condizioni di salute di alcuni suoi membri, risultano essere particolarmente critiche e quindi, a parere degli interroganti, vanno attentamente verificate dal Ministro dell'interno;
   dai primi mesi del 2013 a Francesco Oliverio non è consentito incontrare il figlio naturale, anche per accertarsi del suo stato di salute, nonostante le ripetute richieste al NOP –:
   se non si intenda garantire la protezione, oltre che di Oliverio, anche della moglie e del figlio, assicurando loro la sicurezza e la serenità che oggettivamente non hanno al momento;
   se non si intenda autorizzare Oliverio a incontrare il figlio naturale, fatto che può essere importante anche per la formazione del minore, specie in considerazione della scelta del genitore di collaborare per la giustizia;
   quali iniziative intendono intraprendere per assicurare che il minore, figlio del suddetto collaboratore di giustizia, si sviluppi in un ambiente adeguato, lontano da pressioni psicologiche, discriminazioni e altri atteggiamenti o comportamenti che possano comprometterne la libertà di giudizio e di scelta, al fine di svolgere, con la maggiore età, in linea con l'articolo 4 della Costituzione, «un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». (4-05428)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   LIBRANDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 30 dicembre 2010, n. 240, cita all'articolo 2, comma 2, lettera l) «rafforzamento dell'internalizzazione anche attraverso una maggiore mobilità dei docenti e degli studenti, programmi integrati di studio, iniziative di cooperazione interuniversitaria per attività di studio e di ricerca e l'attivazione, nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, di insegnamenti, di corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua straniera»;
   il processo di Bologna del 1999 tra i suoi obiettivi cita:
    promozione della mobilità (per studenti, docenti, ricercatori e personale tecnico-amministrativo) mediante la rimozione degli ostacoli al pieno esercizio della libera circolazione; promozione di una indispensabile dimensione europea dell'istruzione superiore: sviluppo dei piani di studio, cooperazione fra istituzioni universitarie, programmi di mobilità, piani di studio integrati, formazione e ricerca;
   il comunicato di Bucarest del 2012 ed, in particolare il punto 5, del capitolo 8 «Adotteremo misure per eliminare gli ostacoli alla mobilità ancora esistenti» cita: «Sosteniamo l'insegnamento delle lingue straniere a tutti i livelli, a partire dall'istruzione primaria, in quanto prerequisito per la mobilità e 11 internazionalizzazione. Inoltre, sosteniamo fortemente il miglioramento delle capacità linguistiche dei docenti»;
   inoltre, va segnalata la recente approvazione da parte del Parlamento europeo del programma quadro per la ricerca e l'innovazione Horizon 2020 attraverso il quale almeno la metà dei fondi strutturali e d'investimento europei deve essere dedicata alla ricerca, (70,2 miliardi di euro stanziati in totale) per cui il sistema italiano dovrà necessariamente attrezzarsi, soprattutto dal punto di vista della ricettività internazionale, accentuando la dimensione europea del programma nazionale per la ricerca, coinvolgendo oltre alle regioni, le amministrazioni centrali, le imprese, in primo luogo le università e gli enti di ricerca;
   la sentenza del TAR Lombardia (sentenza n. 01348/2013) annulla la delibera adottata in data 21 maggio 2012 dal senato accademico del Politecnico di Milano, riguardante le linee strategiche di ateneo 2012-2014, nella parte in cui ha approvato la mozione sull'adozione della lingua inglese per i corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca a partire dall'anno accademico 2014-2015, ritenendola in contrasto con l'articolo 271 del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, recante l'approvazione del testo unico delle leggi sull'istruzione superiore, che prevede che «la lingua italiana è la lingua ufficiale dell'insegnamento e degli esami in tutti gli stabilimenti universitari»;
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore, e dal Politecnico di Milano, in persona del rettore pro tempore, entrambi rappresentanti e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato avverso la sentenza TAR Lombardia (n. 01348/2013), hanno presentato appello al Consiglio di Stato (n. R.G. 5151/2013);
   in un panorama accademico e lavorativo ormai globalizzato, l'internazionalizzazione è un obiettivo prioritario grazie al quale l'Italia potrà continuare a garantire nel futuro un livello formativo competitivamente adeguato alle esigenze degli studenti e la stessa internazionalizzazione formativa, per essere efficace, deve essere accompagnata da una internazionalizzazione linguistica, riconoscendo in modo trasversale, che quella inglese, oltre a essere una delle lingue ufficiali dell'Unione europea, è la lingua più utilizzata nel mondo e mezzo più comunemente utilizzato per l'espressione dei concetti del sapere scientifico;
   proprio alla luce dei già citati accordi del processo di Bologna, un percorso formativo universitario, in particolare se di carattere tecnico-scientifico, potrà essere efficacemente svolto, nei primi tre anni in lingua italiana e nei due successivi anni del percorso specialistico integralmente in lingua inglese, in Italia o in un altro Paese europeo;
   infine, una delle modalità più efficace per il sistema universitario italiano di essere attrattivo per i migliori studenti del resto del mondo è proprio quello di offrire percorsi formativi in lingua inglese, così come avviene nelle migliori università dell'Unione Europea e del mondo;
   infatti, nel caso del Politecnico di Milano, con l'attuazione delle nuove regole e l'introduzione dei corsi di laurea magistrale del medesimo ateneo in lingua inglese, ben 7.150 studenti internazionali hanno proposto domanda di iscrizione dei quali i migliori 2.562 sono stati ammessi;
   tali studenti eccellenti, per effetto del procedimento contenzioso in atto, rischiano di non vedere avviato il corso di laurea per il quale hanno domandato l'iscrizione e per cui stanno programmando il proprio arrivo nel nostro Paese, con evidenti conseguenze negative per la credibilità dell'Italia proprio nel corso del semestre italiano di Presidenza dell'Unione europea –:
   quali iniziative intenda mettere in atto affinché si risolva, da un lato, la evidente antinomia tra il regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, Testo unico delle leggi sull'istruzione superiore, nella fattispecie all'articolo 271, Capo I – disposizioni generali, titolo IV – disposizioni generali, finali, speciali e transitorie recante: «la lingua italiana è la lingua ufficiale dell'insegnamento e degli esami in tutti gli stabilimenti universitari», ed i testi normativi e testi d'indirizzo sopracitati e, dall'altro, si risponda alla esigenza di internazionalizzazione del sistema formativo italiano di livello universitario e allo svolgimento ordinato dei corsi di laurea magistrali ai quali molte migliaia di studenti, italiani e stranieri, si sono già iscritti se intenda considerare, stante la pronuncia prossima del Consiglio di Stato nel mese di novembre 2014 sull'impugnazione della sopracitata sentenza del Tar, l'opportunità di proporre e sostenere, in seno al Consiglio dei ministri, ogni apposita iniziativa  diretta ad eliminare l'incertezza normativa sopra menzionata.
(3-00923)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   L'ABBATE, MANNINO, BECHIS, TERZONI, DE LORENZIS, SCAGLIUSI, MASSIMILIANO BERNINI e LOREFICE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi della normativa vigente le università italiane non hanno la facoltà di procedere ad assunzioni di personale se hanno superato il valore del 90 per cento nel rapporto tra spese fisse per il personale di ruolo e il Fondo di funzionamento ordinario – disciplina prevista dall'articolo 1, comma 1, decreto-legge n. 180 del 2008, convertito in legge n. 1 del 2009;
   a causa del venir meno del succitato vincolo, nel triennio 2010-2012 l'università degli studi di Bari «Aldo Moro» non ha dato seguito alle chiamate delle facoltà di ricercatori e professori idonei a seguito di valutazioni comparative bandite dalla stessa università o da altri atenei;
   il Decreto interministeriale 28 dicembre 2012, concernente il «Piano straordinario 2012-2013 per la chiamata di professori di seconda fascia», ha assegnato all'università di Bari la quota pari a 22,70 punti organico (P.O.) per l'anno 2012 e di una quota parte pari a 0,90 per l'anno 2013 sulla base dei criteri di utilizzo delle somme assegnate, pari a 15 milioni di euro per l'anno 2012 e di 90 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013, relativi al piano straordinario 2012, per la chiamata di professori di II fascia, nonché dell'importo di ulteriori 5 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014 relativi al piano straordinario 2013, per la chiamata di professori di II fascia;
   il Senato accademico e il Consiglio di amministrazione dell'università di Bari nelle sedute del 5 febbraio 2013 e 8 febbraio 2013, rispettivamente, hanno condiviso l'esigenza che il piano triennale 2013-2015 per la programmazione del reclutamento del personale, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 49 del 2012, debba considerare quale parte integrante, relativamente alla componente docente, i chiamati su posti di professori di seconda fascia, in valutazioni comparative bandite dall'Ateneo barese, nonché degli idonei per il ruolo di seconda fascia su valutazioni bandite da altri atenei, già deliberate dai consigli di facoltà;
   gli stessi organi dell'università di Bari nelle suddette sedute hanno riaffermato il principio, di cui alle proprie delibere del 13 novembre 2012 e del 20 novembre 2012, ossia l'impegno prioritario dell'università di Bari, non appena avrà la disponibilità di punti organico, a completare le procedure relative alle assunzioni dei vincitori di procedure di valutazione comparativa per posti di professore di prima e seconda fascia bandite dall'università di Bari, di idonei in procedure di valutazione comparativa bandite da altri atenei per i quali siano state deliberate le proposte di chiamata da parte delle rispettive facoltà;
   l'università di Bari ha ritenuto opportuno che le risorse disponibili per il personale docente fossero distribuite sulla base delle esigenze di didattica e di ricerca, rappresentate dai dipartimenti, da conciliare con le aspirazioni di progressione di carriera e tenendo conto della parte di programmazione costituita dalle chiamate già deliberate dalle facoltà;
   l'università di Bari, con la delibera del consiglio di amministrazione dell'8 febbraio 2013, ha proceduto all'assunzione, per chiamata diretta, di 37 chiamati/idonei nel ruolo di professore di seconda fascia mediante utilizzo dei punti organico assegnati dal piano straordinario 2012-2013 per la chiamata di professori di seconda fascia;
   in data 1o marzo 2013 hanno preso servizio come professori di seconda fascia 33 dei 37 ricercatori individuati dal consiglio di amministrazione dell'università di Bari, mentre gli altri quattro ricercatori non hanno potuto prendere servizio perché la loro idoneità, stando a quanto riferito dai competenti uffici del MIUR, risulta essere scaduta;
   i quattro ricercatori idonei per il ruolo di seconda fascia sono stati esclusi dalla presa di servizio come professori di seconda fascia perché, pur essendo stati chiamati dalle rispettive facoltà (due di loro nel novembre 2009 e con successiva deliberazione del Senato accademico), hanno conseguito l'idoneità a ricoprire il nuovo ruolo più di 5 anni prima del provvedimento deliberato da ultimo dal consiglio di amministrazione dell'università di Bari l'8 febbraio 2013;
   due dei quattro ricercatori, appartenenti alla ex facoltà di agraria dell'università degli studi di Bari «Aldo Moro», sono stati chiamati come professori associati da parte del Consiglio di facoltà il 9 dicembre 2009;
   il 22 dicembre 2009 il Senato accademico dell'università di Bari ha approvato la presa di servizio come professori associati dei suddetti ricercatori chiamati dalla facoltà di agraria;
   nel 2010 è avvenuto il blocco delle assunzioni di personale per le università che hanno superato il valore del 90 per cento nel rapporto tra spese fisse per il personale di ruolo e il Fondo di funzionamento ordinario (articolo 1, comma 1, decreto-legge n. 180 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 1 del 2009);
   di fatto, per le cosiddette università «non virtuose» – quelle che hanno superato il valore del 90 per cento nel rapporto tra spese fisse per il personale di ruolo e il Fondo di funzionamento ordinario e tra queste l'università di Bari – il decreto-legge n. 180 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 1 del 2009 ha omesso la previsione di una sospensione della durata dell'efficacia delle idoneità conseguite nei concorsi di professore universitario, per tutto il tempo in cui opera il divieto di assunzione, penalizzando le aspirazioni di progressione di carriera di ricercatori risultati idonei in procedure di valutazione comparativa per posti di professore di seconda fascia, che non hanno alcuna colpa del fatto che la loro università sia risultata «non virtuosa» –:
   se il Ministero interrogato ritenga che alla luce della citata normativa il termine di durata dell'idoneità sia decorso nonostante l'avvenuta chiamata dell'idoneo da parte di una facoltà o dipartimento universitario, posto che appare sproporzionato, irragionevole e in contrasto con il principio di buon andamento dell'amministrazione, che il termine di durata dell'idoneità decorre durante il periodo in cui opera il divieto di assunzione, sicché il divieto di assunzione imposto alle università si traduce anche in una perdita definitiva, per gli idonei, della chance di assunzione, tutte le volte in cui le università non rientrino nei parametri di legge durante il periodo di validità dell'idoneità;
   se il Ministro interrogato intenda, nell'ambito delle proprie funzioni, assumere iniziative in relazione a quanto descritto in premessa ed affinché in futuro non abbiano a verificarsi situazioni di questo genere. (5-03175)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa, in particolare da un articolo del Fatto Quotidiano del 3 luglio 2014, intitolato «Taranto, gli schiavi dei call center: “350 euro ogni 31 giorni effettivi di lavoro”», della grave condizione dei lavoratori di molti call center che operano a Taranto, come denunciato dalla Cgil;
   al riguardo, sono state individuate delle realtà presso le quali i dipendenti percepiscono regolare stipendio, ma dopo l'accredito sono costretti a restituire all'azienda oltre metà del compenso per mantenere il posto di lavoro. Si tratta, dunque, di una vera e propria tangente;
   dalle verifiche effettuate di frequente in tale settore di riscontrano violazioni dei diritti dei lavoratori sia per le condizioni di lavoro in cui si trovano, considerando che in molte aziende sono costretti a lavorare in luoghi malsani come scantinati, sia per le condizioni economiche previste dal contratto. Addirittura, in molti casi non esiste la copia dell'accordo contrattuale;
   sono tante le denunce in cui si parla di dipendenti schiavizzati costretti a lavorare per 2 euro all'ora con pause ridotte, ricatti e violenze morali;
   tra i tanti casi, si racconta di un call center che opera per una nota compagnia nazionale di telefonia mobile, dove la paga è di 300 euro lordi al mese, quindi, in violazione dell'accordo nazionale del 1° agosto 2013, che stabilisce l'equiparazione con il costo del lavoro previsto dal contratto nazionale. Ed ancora, vi è l'esempio di un'azienda a cui è stato assegnato il sovvenzionamento pubblico, che ha contattato dei disoccupati promettendo assunzione a tempo indeterminato ma senza ricevere la prestazione lavorativa, dunque garantendo il pagamento dei contributi, ma nulla in busta paga;
   le gravi condizioni descritte dei lavoratori di call center sono state denunciate nella provincia di Taranto, ma tale problematica è riscontrata a livello nazionale, tanto da rendere questo settore ormai caratterizzato dalla presenza di lavoratori, esasperati dalle condizioni di lavoro alienanti e dai continui soprusi cui sono sottoposti poiché operano in una situazione di estrema ricattabilità –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare delle specifiche iniziative, anche normative, per garantire maggiori tutele ai lavoratori di call center, considerando le peculiarità del settore che oggettivamente determinano una posizione di particolare vulnerabilità dei diritti che di fatto vengono frequentemente violati dai datori di lavoro. (4-05413)


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Vismara, fondata nel 1898, è stata acquistata dal gruppo Ferrarini nel 2000. Nel primo decennio hanno trattato con il comune per la delocalizzazione dalla sede storica in centro ad un territorio agricolo presso la cascina San Anna di Campofiorenzo, lasciando in mano al comune la ex zona Vismara per riqualificarla (riqualificazione al momento ancora immobile);
   tra il dicembre 2011 e il gennaio 2012 comincia la produzione nella nuova sede, con grandi prospettive di incremento della produttività, garanzie per i dipendenti già in forza lavoro e, addirittura, l'assunzione di nuovo personale;
   nei fatti, invece, la riorganizzazione dello stabilimento Vismara con il trasferimento nel nuovo sito produttivo si è concretizzata in tentativi di riduzione del costo del lavoro sulle spalle dei dipendenti;
   già alla fine del 2013 l'azienda aveva preannunciato alle sigle sindacali l'esigenza della messa in mobilità per 25 dipendenti, di cui solo la metà prossimi alla maturazione dei requisiti pensionistici, taglio che si è formalizzato il 30 aprile 2014;
   nel maggio 2014, poi, l'azienda avrebbe messo sul tavolo della trattativa sindacale «un progetto di ristrutturazione che prevede l'introduzione all'interno dell'azienda di una cooperativa a cui cedere non solo parte dell'attività produttiva, ma soprattutto circa la metà dei dipendenti oggi occupati in azienda (118 su un numero complessivo di circa 250)»;
   è chiaro che così procedendo la Vismara-Ferrarini intende far proseguire ai 118 dipendenti lo stesso lavoro, all'interno della stessa azienda ma non alle sue dirette dipendenze, scaricando sui lavoratori medesimi in termini di minor tutele economiche e normative l'eccessivo costo del lavoro –:
   se e quali iniziative di propria competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda porre in essere con urgenza per scongiurare il ricorso alla cooperativa per quasi metà dei dipendenti Vismara-Ferrarini;
   se non ritenga opportuno istituire al più presto un tavolo istituzionale con tutte le pari coinvolte per conoscere il reale stato di salute della Vismara-Ferrarini ed affinché siano chiariti gli intendimenti della proprietà sul futuro dello stabilimento;
   se  ritenga di intervenire con opportune iniziative di competenza in maniera più incisiva di quanto finora fatto per l'abbattimento del costo del lavoro e la riduzione del cuneo fiscale, causa principale oggigiorno di licenziamenti collettivi, cassintegrati e mobilitati. (4-05414)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   L'ABBATE, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge 14 gennaio 2013, n. 10, reca, tra l'altro, disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale;
    la suddetta legge demanda alle regioni la raccolta dei dati risultanti dai censimenti operati dai Comuni e la predisposizione degli elenchi regionali degli alberi monumentali presenti nei loro territori da trasmettere al Corpo forestale dello Stato incaricato di gestire l'elenco degli alberi monumentali d'Italia –:
   quale sia lo stato di attuazione dell'articolo 7 della legge di cui in premessa, in particolare se le regioni abbiano trasmesso al Corpo forestale dello Stato, gli elementi di loro competenza. (5-03178)

Interrogazione a risposta scritta:


   FAUTTILLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale — considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore — ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che, dietro questo sistema, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicari, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   quali determinazioni intenda assumere alle autorità di controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy. (4-05409)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano: «Il Messaggero Veneto» lo scorso 18 giugno, la regione Friuli Venezia Giulia, con una lettera inviata il 30 maggio 2014 dal segretario regionale della presidenza, al capo dell'ufficio legislativo del Ministero interrogato, ha formulato l'intenzione di riformare il sistema sanitario regionale, attraverso la fusione tra aziende ospedaliere e territoriali, tramite la concertazione di un percorso da attuare, anche attraverso un eventuale procedimento autorizzatorio che delinei per il livello regionale, tempi e modalità di avvio del nuovo modello organizzativo;
   la lettera prosegue il suindicato articolo, evidenzia come l'iniziativa s'inserisca all'interno di un disegno di legge concertato anche con l'altro ministero interrogato, a fronte di una normativa nazionale, che stabilisca l'articolazione della sanità in ospedali, aziende territoriali e aziende ospedaliero-universitarie;
   la missiva, successiva all'approvazione delle linee guida, continua il quotidiano friulano, testimonia la necessità di una concertazione con lo Stato fin qui inespressa, la cui novità rischia di tradursi tuttavia se non in uno stop, in un allungamento dei tempi della riforma;
   la suddetta regione inoltre, secondo quanto contenuto nel documento, risulterebbe intenzionata a porre in essere un nuovo modello organizzativo, del proprio sistema sanitario, attraverso riduzioni, accorpamenti ed una nuova rete strutturale degli enti del servizio sanitario regionale;
   a giudizio dell'interrogante quanto suindicato, se fosse confermato, determinerebbe una serie di difficoltà e complessità di funzionamento nell'assetto del servizio sanitario regionale, sia con specifico riferimento alla scelta di accorpare l'azienda territoriale con quella sanitaria, come ad esempio l'unificazione tra istituti scientifici (Burlo e Cro), con gli ospedali ed i servizi territoriali, che in relazione alle dichiarazioni del presidente della regione Serracchiani, la quale, a differenza di quanto in precedenza sostenuto, ha affermato che la riforma sanitaria che intende prevedere sia da intendersi in via sperimentale;
   secondo il parere dell'interrogante a tal fine, l'incertezza di quanto annunciato dal medesimo presidente, risulta tanto contraddittoria quanto paradossale, se si valuta che le intenzioni iniziali di riformare strutturalmente il servizio sanitario, per l'intero territorio regionale erano di prevedere soltanto di 5 aziende ospedaliero-territoriali;
   i ritardi riscontrati anche a livello regionale nell'avviare il processo di riforma annunciato in tre date tutte entro il 15 giugno 2014, a seguito delle conclusioni dei gruppi di lavoro dei tecnici per la revisione dei punti nascita e delle pediatrie, ribadiscono inoltre a giudizio dell'interrogante, sia un evidente stato confusionale nelle decisioni organizzative intraprese in ambito regionale, che delle eventuali decisioni a livello nazionale per la politica sanitaria del Friuli Venezia Giulia e per la quali necessitano i necessari chiarimenti;
    se secondo l'interrogante le intenzioni di avviare in maniera sperimentale il nuovo assetto organizzativo e di assistenza della sanità nei riguardi della suddetta regione, si del fatto appaiono negative e penalizzanti per la comunità regionale, in considerazione, che la sperimentazione sulla salute che rappresenta una delle tematiche più importante della vita degli individui, anche dal punto di vista normativo –:
   se intendano confermare il contenuto della lettera esposta in premessa e pubblicata dal quotidiano «Il Messaggero Veneto» il 18 giugno 2014, secondo la quale la presidenza della regione Friuli Venezia Giulia, avrebbe evidenziato al Ministro della salute, la necessità di avviare attraverso la concertazione, l'individuazione di un percorso da attuarsi anche tramite un eventuale procedimento autorizzatorio, i tempi e le modalità di avvio del nuovo modello organizzativo del servizio sanitario;
   in caso affermativo come intendano esprimersi sulla richiesta rivolta dalla suindicata regione, al ministero interrogato, di accorpare l'azienda territoriale con quella sanitaria; 
   se, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano inoltre chiarire, se le intenzioni di concertare con il Governo la riforma del servizio sanitario della regione Friuli Venezia Giulia, siano in forma sperimentale o la configurazione che s'intende proporre sia strutturale. (5-03170)

Interrogazione a risposta scritta:


   LABRIOLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a Taranto la mortalità infantile registrata per tutte le cause è maggiore del 21 per cento rispetto alla media regionale. È il dato che emerge dall'aggiornamento dello studio epidemiologico Sentieri pubblicato dall'istituto superiore di sanità, che ha confermato anche gli eccessi di mortalità per gli adulti trovati dalle precedenti edizioni della ricerca;
   dallo studio vengono conferme le criticità del profilo sanitario della popolazione di Taranto emerse in precedenti indagini. Le analisi effettuate utilizzando i tre indicatori sanitari sono coerenti nel segnalare eccessi di rischio per le patologie per le quali è verosimile presupporre un contributo eziologico delle contaminazioni ambientali che caratterizzano l'area in esame, come causa o concausa, quali: tumore del polmone, mesotelioma della pleura, malattie dell'apparato respiratorio nel loro complesso, malattie respiratorie acute, malattie respiratorie croniche;
   il quadro di eccessi in entrambi i generi riguarda anche molte altre patologie, rafforzando l'ipotesi di un contributo eziologico ambientale in un'area come quella di Taranto ove è predominante la presenza maschile nelle attività lavorative legate al settore industriale;
   per quanto riguarda la fascia d'età pediatrica (0-14 anni), si osserva un eccesso di mortalità per tutte le cause (SMR 121), e di ospedalizzazione per le malattie respiratorie acute (SHR 105), inoltre, per tutti i tumori si osserva un eccesso di incidenza (SIR 154). Nel corso del primo anno di vita si osserva un eccesso di mortalità per tutte le cause (SMR 120) ascrivibile all'eccesso di mortalità per alcune condizioni morbose di origine perinatale (SMR 145); per questa stessa causa si osserva un eccesso di ospedalizzazione (SHR 117) –:
   quali misure urgenti di prevenzione per quanto di competenza il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di attuare a beneficio delle popolazioni, con particolare attenzione alla tutela della salute materno-infantile già nel periodo prenatale. (4-05420)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   DI LELLO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 71 del decreto legislativo n. 112 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 6 agosto 2008, stabilisce il trattamento delle decurtazioni economiche in caso di assenza per malattia per il personale della pubblica amministrazione;
   in materia il dipartimento della funzione pubblica ha emanato due circolari: la n. 7 e la n. 8 del 2008 al fine di fornire i necessari chiarimenti sull'interpretazione della norma di cui sopra;
   come è noto, il primo comma di questa disposizione ha disposto che «per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, avente carattere fisso e cumulativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio. Resta fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze di malattia dovute ad infortunio sul lavoro o da altra causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonché per assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita»;
   in altre parole la trattenuta per assenza per malattia opera per ogni episodio di assenza, anche di un solo giorno, e per tutti i primi 10 giorni decorsi i quali si applica il regime giuridico-economico previsto dai CCNL e dagli accordi di comparto;
   in materia è intervenuta anche una sentenza, la n. 120 del 2012, della Corte costituzionale che ha dissipato definitivamente ogni dubbio sulla legittimità costituzionale delle previsioni dell'articolo 71 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
   nonostante la fondatezza costituzionale, nell'applicazione concreta la diversa struttura del trattamento economico sembra penalizzare fortemente il personale delle fasce medio-basse dell'inquadramento, per le quali la trattenuta per ogni giorno di malattia risulta inversamente proporzionale al livello retributivo dell'incarico ricoperto;
   in ordine invece alle assenze per visite mediche, terapie ed esami diagnostici, con legge n. 125 del 30 ottobre 2013, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 255 del 30 ottobre 2013, è stato convertito in legge con modifiche il decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni». Il citato decreto-legge come modificato in sede di conversione, introduce una disposizione in materia di assenze per malattia dei pubblici dipendenti al fine di contrastare il fenomeno dell'assenteismo nelle amministrazioni;
   in particolare, l'articolo 4, comma 16-bis, del decreto, in vigore dal 31 ottobre 2013, ha novellato il comma 5-ter dell'articolo 55-septies del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001, sulle assenze per visite, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, mentre resta invariato il regime della giustificazione dell'assenza di cui al comma 1 del medesimo articolo;
   il citato articolo 55-septies, comma 5-ter, del decreto legislativo 165 del 2001, come novellato, prevede che «Nel caso in cui l'assenza per malattia: abbia luogo per l'espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il permesso è giustificato mediante la presentazione di attestazione, anche in ordine all'orario, rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione o trasmesse da questi ultimi mediante posta elettronica»;
   a seguito dell'entrata in vigore della novella, per l'effettuazione di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il dipendente deve fruire dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei CCNL, o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore) –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di chiarire la portata e l'ambito applicativo delle diverse disposizioni citate in premessa, al di là delle motivazioni e delle finalità che sono alla base della normativa, cioè contrastare il fenomeno dell'assenteismo nelle pubbliche amministrazioni e incrementare l'efficienza delle pubbliche amministrazioni, anche mediante interventi in materia di trattamento del personale. (4-05415)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   L'ABBATE, SCAGLIUSI, CARIELLO, D'AMBROSIO, DE LORENZIS e BRESCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si richiamano l'interrogazione scritta 4/02307, trasformata in interrogazione a risposta in commissione 5/01687 e la relativa risposta del sottosegretario allo sviluppo economico pro tempore Claudio De Vincenti ed il conclamato interesse pubblico nella realizzazione della «Cittadella dell'Economia di Capitanata» per evitare il possibile sperpero di denaro pubblico;
   si richiamano altresì le nuove disposizioni previste dall'articolo 72 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nonché il decreto 22 gennaio 2008, n. 37, e le disposizioni in materia di «dichiarazione di conformità degli impianti» e «certificato di agibilità»;
   sia i SAL sia le perizie di variante sulla «Cittadella dell'Economia di Capitanata», sottoscritti dal consorzio CAT e dal committente CCIAA Foggia, evidenziano come la società «Dema Impianti S.r.l.» abbia effettuato tutti i lavori di categoria OS28 ed abbia maturato una situazione creditoria nei confronti del CAT pari a oltre euro 900.000. Medesima situazione per la società «Tecnoelettra S.r.l.» che ha realizzato parte dei lavori categoria OS30, lavorando in cantiere sino alla comunicazione del fallimento del consorzio CAT (3 aprile 2013) ed incrementando la propria situazione creditoria verso CAT per circa euro 380.000;
   alla luce di questa situazione creditoria verso CAT e del fallimento del consorzio, la «Dema» in data 8 novembre 2013 e la «Tecnoelettra» in data 18 novembre 2013 avrebbero presentato, a quanto consta agli interroganti, «diffida a modificare e certificare gli impianti realizzati» di Categoria OS30 e OS28;
   la società mandataria CCC di Bologna, appreso del fallimento del consorzio CAT, in data 24 giugno 2013, per quanto risulta agli interroganti, ha chiesto al CCIAA Foggia il subentro di un'altra sua ditta consorziata, il CEIF di Forlì, che dovrebbe dare continuità ed ultimare le opere impiantistiche residue e chiedendo una proroga al 31 ottobre 2013 per l'ultimazione dei lavori. In data 7 agosto 2013, la CCIAA Foggia attesta che i lavori al SAL n. 10 (19 dicembre 2012) sono giunti al 95,06 per cento ed autorizza l'ingresso in cantiere della ditta CEIF per completare le residue lavorazioni impiantistiche –:
   se, alla data del 31 ottobre 2013, i lavori impiantistici e strutturali siano stati ultimati, visto che gli stessi sono certificati dall'ente essere già al 95,06 per cento alla data del 19 dicembre 2012 e quali società, in questo caso, abbiano certificato gli impianti realizzati dalle società «Dema» e «Tecnoelettra»;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della fase di stallo creatasi dal mancato rilascio delle certificazioni delle società che hanno eseguito i lavori, come previsto dalla normativa, e come intendano adoperarsi per garantire l'apertura della «Nuova Cittadella dell'Economia» alla luce dei finanziamenti statali dedicati a tale opera. (5-03176)


   L'ABBATE, GAGNARLI, LUPO, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, PARENTELA, DE LORENZIS, SCAGLIUSI, BRESCIA, CARIELLO e D'AMBROSIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la cooperativa allevatori Putignano nasce nel 1966 per volere del cavaliere Giovanni Laera, con lo scopo di raccogliere il latte prodotto nella zona della murgia barese e tarantina. Inizialmente è divisa in due rami produttivi: il primo costituito dal conferimento dei soci del latte che viene trasformato per la vendita sottoforma di prodotti (mozzarelle e formaggi freschi e stagionati di diverso genere) ed attraverso l'imbottigliamento dello stesso che viene venduto come prodotto fresco; il secondo costituito da acquisto, lavorazione, trasformazione e distribuzione tra i soci di cereali e di mangimi da utilizzare nel settore zootecnico ed agricolo;
   negli anni ’80 e ’90, sotto la presidenza Laera (durata dal 1978 al 2007) si possono contare circa 700 soci e 130 lavoratori che, direttamente o indirettamente, erano coinvolti nel ciclo produttivo e distributivo della CAP;
   in data 1 novembre 2008, la gestione della rete vendita viene affidata, tramite contratto, al signor Lorenzo Battista. La CAP, infatti, da qualche anno aveva deciso di mutare la rete vendita passando dal canale «retail» (con numerosissimi punti vendita di prodotti di medio-alta qualità) alla «grande distribuzione», con il conseguente affidamento delle forniture ad una rete di grossisti nonché il relativo aumento dei rischi da una parte ed un prezzo di vendita ridotto dall'altra. Durante la presentazione della stesso bilancio viene portata a conoscenza dei soci la grave situazione di insolvenza di alcuni commessi che forniscono il prodotto con mezzi propri (in gergo denominati «padroncini») verso cui sono state avviate azioni legali atte al recupero dei crediti vantati. Nell'autunno dello stesso anno, alcuni assegni ricevuti da clienti a copertura di forniture di prodotti per importi consistenti, ma non meglio specificati, risultano scoperti e ciò comporta il mancato pagamento di oltre euro 500.000 ai soci quale ricavo derivato dal conferimento del latte. Le perdite di bilancio, ammontanti ad oltre euro 183.000, vengono appianate facendo accesso al Fondo di riserva straordinario;
   nel 2009 viene presentato un «Progetto Integrato di Filiera» denominato «Latte della Murgia e dei Trulli» che vede la CAP capofila, con l'obiettivo del miglioramento delle sinergie tra operatori economici della filiera per accrescere la competitività sui mercati, incidendo sulla qualità dei prodotti. La spesa prevista per il progetto ammonta a euro 1,5 milioni. Giunge all'attenzione dei soci CAP, inoltre, la ricerca di un ulteriore collaboratore a cui affidare l'incarico di responsabile della rete commerciale. Il bilancio presenta una perdita di esercizio pari a circa euro 33.600, a cui viene fatto fronte attraverso l'accesso al Fondo di riserva straordinario;
   nel 2010, la cooperativa allevatori Putignano propone ai propri soci di mettere al centro delle azioni strategiche la valorizzazione dei reflui da caseificio, con l'intento di ottenere energia da fonti rinnovabili così da abbattere i costi relativi all'energia elettrica ed al metano. A tal proposito, risulta essere in fase avanzata lo studio per la realizzazione di una centrale a biomassa ed un impianto fotovoltaico. Viene, inoltre, proposto un tavolo di concertazione tra rappresentanze sindacali dei dipendenti e direttivo CAP al fine di stilare un piano di riorganizzazione del personale, attraverso mobilità, riqualificazione e formazione. Intanto, il PIF «Latte della Murgia e dei Trulli» entra nella fase di avvio dell'investimento e viene comunicato che ci si avvarrà di una collaborazione con soggetti pubblici e privati (organismo inizialmente costituito da 66 componenti, ad oggi ridottosi a 40). I costi del progetto sono pari a circa euro 1,4 milioni: per circa euro 702.000 attraverso contributo pubblico garantito dai 40 soggetti e, per la restante parte, a carico della CAP, attraverso mezzi propri (circa euro 215.000) e attraverso finanziamento bancario non inferiore ai 10 anni (circa euro 494.000). In data 29 dicembre 2010, il 50 per cento del contributo pubblico viene anticipato da AGEA. Viene, inoltre, comunicato ai soci che è stato sottoscritto mandato ad una agenzia (il cui nome non viene menzionato nei documenti di chiusura bilancio), specificando che i compiti sono quelli di rivedere la struttura commerciale della CAP. Avendo optato per spostare la rete vendita verso la «GDO», viene fatto notare come il fatturato sia concentrato verso i grossisti, i quali propongono pagamenti dilazionati a volte superiori anche a 90 giorni: un rischio da correre per restare sul mercato secondo il parere del direttivo CAP. La perdita di bilancio corrente, di oltre euro 40.000, viene appianata dal Fondo di riserva straordinario;
   la relazione di bilancio 2011 espone i soci a difficoltà economiche crescenti, dovute anche all'aumento del costo del latte. Il progetto «energie rinnovabili» risulta, di conseguenza, congelato in attesa di congiunture più favorevoli. Il tavolo di concertazione per la riorganizzazione del personale prosegue con la mobilità di 4 unità a decorrere dal febbraio 2012 e la possibilità di contratti di solidarietà quando le nuove linee di produzione entreranno a regime. Il monitoraggio della spesa PIF riporta una percentuale raggiunta pari al 50 per cento mentre il progetto risultato ad uno stato di avanzamento dell'80 per cento. Anche in funzione di ciò, AGEA conferisce un ulteriore 34 per cento di fondi sulla quota prevista a carico regionale (circa euro 240.000) che, sommati al precedente 50 per cento, portano l'anticipo all'84 per cento sulla spesa totale prevista come partecipazione regionale. Per la prima volta viene presentata ai soci la possibilità che, nel breve periodo, possa essere riconosciuto un marchio DOP per la denominazione «Treccia della Murgia e dei Trulli». Viene, inoltre, resa pubblica l'intenzione di voler sgravare il presidente dai ruoli di responsabilità manageriali, quali rapporti con i clienti, fornitori e banche. A tal proposito, CAP è alla ricerca dell'individuazione di un profilo che possa subentrare nella gestione delle predette funzioni. Intanto, grazie al lavoro dei responsabili della rete vendita è mutata la tipologia di cliente: la «GDO» passa dal 7 per cento al 33 per cento, il «normal trade» dall'80 per cento al 60 per cento e la ristorazione e gli altri canali dal 13 per cento al 7 per cento. Per il quarto anno consecutivo, il bilancio viene chiuso con una perdita che, per questo esercizio, ammonta ad oltre euro 148.000 a cui viene fatto fronte, nuovamente, attraverso l'accesso al Fondo di riserva straordinario per il 94 per cento e dal Fondo contributivo C/C legge regionale 7/75 per il restante 6 per cento;
   dal bilancio 2012 emergono 348 soci, detentori delle 2.625 azioni che costituiscono il capitale sociale ammontante pari a euro 65.265: con un crollo del valore della CAP rispetto al potenziale di produttività e vendita. Vengono edotti i soci sulle grandi difficoltà che comportano i gravi ritardi nell'incasso delle fatture, tali da inasprire i rapporti con i soci stessi che non ricevono il pagamento del prodotto conferito in tempi ragionevoli di 60 giorni. Gli unici soci che risentono meno di questa grave situazione sono coloro che si avvalgono dei mangimi prodotti dallo specifico ramo aziendale, i quali vanno in compensazione prelevando dallo stesso il nutrimento dei bovini. Il 23 novembre 2012 il presidente Costa lascia la carica per problemi di salute, sostituito dal vicepresidente Vito Campanella. La situazione si è resa talmente grave che, nello stesso mese, viene chiuso il mangimificio e viene resa ai soci l'informazione che, dall'aprile 2013, partirà la cassa integrazione per 26 dipendenti. Nell'anno si è prima cercata una aggregazione o collaborazione con un gruppo cooperativo di primo piano a livello nazionale (tentativo non andato a buon fine) ed è poi stato dato mandato tramite il consiglio di amministrazione, sotto la guida dell'allora vicepresidente Campanella, a poter cercare forme di collaborazione con società con spiccata specializzazione in trasformazione del latte e commercializzazione/distribuzione. Nasce così la collaborazione con Carmelo Quattrone per la parte amministrativa/finanziaria e del dottor D'Oria (per alcuni mesi) relativamente ai costi di gestione e produttività. Dagli studi svolti, il consiglio di amministrazione decide di sospendere i pagamenti per il conferimento del latte del quadrimestre luglio-ottobre 2012. Nell'anno 2012, il PIF rimane bloccato ad un avanzamento al 50 per cento della spesa, stornando le voci previste a bilancio in altre per far fronte a gestione ordinaria. A fronte di continui solleciti di pagamento da parte delle ditte fornitrici, inoltre, si opta per un ridimensionamento del PIF, con eventuale riconsegna di macchinari già installati, previa autorizzazione della regione alla variante. Il bilancio viene chiuso con una perdita di esercizio pari a euro 936.142, a cui viene proposto di far fronte mediante fondi di rivalutazione, contributo conto capitale enti pubblici, contributo conto capitale legge regionale n.7 del 1975, Fondi di rivalutazione decreto-legge n. 185 del 2008, Fondi iniziative mutualistiche e Fondo di Riserva;
   in data 16 novembre 2013, viene arrestato Carmelo Quattrone, componente dell'agenzia che aveva ricevuto precedentemente mandato di vendita per conto CAP, nell'ambito dell'imponente operazione «Araba Fenice», condotta dalla guardia di finanza di Reggio Calabria su mandato della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, che avrebbe portato alla «disarticolazione di un'associazione di stampo mafioso composta da imprenditori e professionisti», ritenuti essere affiliati alle più importanti cosche della «ndrangheta». I reati contestati sono «associazione a delinquere di stampo mafioso, trasferimento fraudolento di valori, abusiva attività finanziaria, utilizzo ed emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, favoreggiamento, peculato, corruzione, illecita concorrenza ed estorsione», tutti aggravati dalle modalità «mafiose». Carmelo Quattrone, indicato dagli investigatori come «dottore e commendatore» è stato prelevato dalla propria abitazione, sottoposta anche a perquisizione, nel comune di Putignano. Per gli inquirenti, Quattrone, inserito nella «zona grigia della ndrangheta» era ritenuto una figura di rilievo dell'organizzazione tanto che, unitamente al collega Francesco Creaco, nel rapporto con il boss Giuseppe Stefano Tito Liuzzo (capo dell'organizzazione criminale) non si sarebbe limitato a svolgere solamente la sua attività di consulente, ma si poneva come un vero e proprio consigliere del pregiudicato, tanto che avrebbe indotto Liuzzo ad effettuare una rivisitazione della società Euroedil in modo da evitare eventuali provvedimenti di sequestro. In conseguenza di questi accadimenti, in data 18 gennaio 2014, si è dimesso Vito Campanella dalla carica di presidente della CAP, che intanto ha visto allargare il proprio debito di bilancio a euro 5 milioni, di cui euro 2 milioni nei confronti dei soci conferitori. A febbraio 2014, sono iniziati gli stati di agitazione indetti dai 40 dipendenti che non percepiscono stipendi da 7 mesi: dopo 48 ore di scioperi hanno ottenuto una bozza di impegno sottoscritto tra le sigle sindacali ed i rappresentanti della cooperativa, innanzi alla responsabile dell'ufficio provinciale del lavoro. L'accordo prevede un riconoscimento di 15.000 euro da dividersi tra i dipendenti (a malapena circa 400 euro a persona) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda e se, a fronte della mancanza di chiarezza nelle scritture contabili e nella gestione degli ultimi anni della CAP, al fine di tutelare l'intera economia legata al mondo agricolo murgiano minacciata dalle possibili azioni fraudolente, non ritengano opportuno, ognuno per le proprie competenze, predisporre proprie ispezioni straordinarie ai sensi degli articoli 8, 9 e 10 del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220. (5-03177)

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da un articolo pubblicato dal quotidiano «Il Sole 24 Ore» il 2 luglio 2014, il mercato italiano dell'automobile è cresciuto nel mese di giugno, ma gli acquisti delle famiglie sono crollati al livello più basso di sempre;
   le 127.489 nuove immatricolazioni avvenute nel mese di giugno, sebbene rappresentino un incremento del 3,8 per cento, rispetto al giugno del 2013, non devono illudere, in considerazione del fatto che la crescita del mercato del settore, come rileva il presidente del Centro studi Promotor, è dovuto esclusivamente agli acquisti di autovetture da parte delle aziende, poiché gli acquisti delle famiglie, come evidenziato in precedenza, sono scesi al 57,4 per cento del totale;
   a giudizio dell'Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri – Unrae, ad indicare lo stato di salute del mercato, risulta essere proprio l'andamento del «segmento privato», che si trova tutt'altro che in buona salute, nonostante le rilevazioni di Anfia e della stessa Unrae evidenzino 117 mila contratti, in progresso di quasi il 7 per cento;
   il responsabile del suindicato Centro studi ritiene che sarà possibile una inversione di tendenza, nella fase in cui s'interverrà per un rilancio del settore, attraverso una riduzione dell'eccessivo carico fiscale, ad esempio allineando la tassazione dell'automobile aziendale agli standard europei;
   i tenui segnali di miglioramento, prosegue il suddetto quotidiano economico, che riporta il parere del presidente della Unrae, potranno essere confermati nel secondo semestre dell'anno, a condizione che si riescano a riportare i concittadini nei concessionari;
   l'inchiesta congiunturale di Centro studi Promotor evidenzia infatti un minor afflusso dei visitatori nelle sale di esposizione di automobili di tutte le aree regionali nazionali, così come confermato dall'Anfia secondo cui c’è un peggioramento dei giudizi dei consumatori sulla convenienza di un acquisto immediato e cala anche la propensione all'acquisto per i prossimi mesi;
   ulteriori profili di criticità si rilevano, inoltre, anche con riferimento al mercato delle auto usate, secondo cui la flessione dall'inizio dell'anno e dell'1,4 per cento con 2.110.326 trasferimenti di proprietà da giugno 2014;
   l'interrogante evidenzia come, in aggiunta alle suesposte osservazioni, le difficoltà relative alla crisi delle vendite del settore delle automobili, sia nuove che private, siano anche da attribuirsi alle esagerate complicazioni causate dalla quasi totalità degli istituti di credito, società e/o intermediari finanziari, nell'impedire per coloro che sono interessati all'acquisto di una automobile, l'accesso al finanziamento richiesto, per effetto di eccessive rigidità nella valutazione del rating che individua le categorie dei soggetti a rischio;
   l'interrogante rileva altresì come, sebbene quanto detto sia connesso ad una tipologia di contratto concluso in forma privatistica tra le parti, le conseguenze derivanti dalla mancata accettazione delle richieste di finanziamento previste per l'acquisto dell'autovettura interessata si ripercuotono inevitabilmente sull'intero mercato del settore, contribuendo a deprimere gli acquisti e i consumi;
   interventi mirati ed urgenti risultano, pertanto, a parere dell'interrogante necessari per rilanciare nel nostro Paese il comparto dell'auto, profondamente colpito da una gravissima crisi che persiste oramai da oltre sei anni, anche a causa dell'elevata tassazione che grava sugli acquisti e del mancato apporto da parte del settore creditizio e finanziario, nel sostenere in maniera più flessibile gli interessati ad acquistare ratealmente la propria autovettura –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, a causa della perdurante crisi economica che insiste nel Paese e che ha colpito gravemente anche il settore automobilistico, il Governo non ritenga opportuno avviare iniziative volte a sostenere tale comparto e ad incentivare l'acquisto, sia alleggerendo il carico fiscale, anche eliminando la tassa automobilistica che risulta oggi particolarmente anacronistica, che promuovendo, per quanto di competenza, iniziative nei confronti degli operatori del settore creditizio e finanziario, volte a rendere meno rigido il sistema di giudizio sulla valutazione finanziaria per i soggetti privati interessati ad acquistare una automobile nuova o usata, per sostenere le compravendite. (4-05410)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Ottobre ed altri n. 1-00291, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Giachetti, Di Lello, Alfreider, Binetti, Carella, Catalano, De Menech, Fabrizio Di Stefano, Fauttilli, Furnari, Galgano, Riccardo Gallo, Gebhard, Ginoble, Labriola, Lacquaniti, Latronico, Paglia, Palmizio, Pastorelli, Realacci, Giovanna Sanna, Sberna, Scanu, Schullian, Stumpo, Tabacci, Tacconi, Vargiu, Zaccagnini e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Ottobre, Giachetti, Cicu, Kronbichler, Marcolin, Dellai, Corsaro, Pisicchio, Di Lello, Bruno, Nicoletti, Alfreider, Binetti, Capelli, Carella, Catalano, De Menech, Di Gioia, Fabrizio Di Stefano, Fauttilli, Furnari, Galgano, Gallo, Gebhard, Ginoble, Labriola, La Marca, Lacquaniti, Latronico, Locatelli, Marguerettaz, Migliore, Paglia, Palmizio, Pastorelli, Piepoli, Plangger, Realacci, Rossi, Rostan, Giovanna Sanna, Sberna, Scanu, Schullian, Stumpo, Tabacci, Tacconi, Vargiu, Zaccagnini».

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Dorina Bianchi n. 1-00520, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Saltamartini, Scopelliti.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Zaccagnini e altri n. 2-00610, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paglia.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza Fanucci n. 2-00611 del 3 luglio 2014.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo  (ex articolo 134, comma 2 del Regolamento).

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
    interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-00614 del 28 maggio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03173;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-02423 del 6 novembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03174;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-03028 del 20 dicembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03175;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-03810 del 4 marzo 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03176;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-03968 dell'11 marzo 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03177;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-04022 del 14 marzo 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03178.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:
   interrogazione a risposta orale Fauttilli n. 3-00505 del 5 dicembre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-05409.