Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 18 giugno 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   richiamando le premesse delle mozioni oggi all'ordine del giorno,

impegna il Governo:

   ad approvare definitivamente il Piano nazionale amianto, prevedendo i finanziamenti necessari alla sua completa attuazione;
   ad attivarsi, per quanto di competenza, in accordo con le regioni, affinché in tempi congrui sia concluso il programma dettagliato di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati tramite i piani regionali amianto;
   ad assumere iniziative per incrementare, compatibilmente con gli attuali vincoli di finanza pubblica, le risorse assegnate al Fondo per le vittime dell'amianto, istituito dalla Legge finanziaria 2008, e rivedere l'attuale legge pensionistica, per garantire benefici ai lavoratori colpiti da patologie amianto-correlate;
   ad assumere iniziative, compatibilmente con gli attuali vincoli di finanza pubblica, volte ad estendere le prestazioni dei Fondi non solo a coloro che abbiano contratto una patologia amianto-correlata per esposizione professionale all'amianto ma anche ai familiari delle vittime o a coloro che comunque pur non lavorando direttamente con l'amianto siano stati comunque esposti avendo poi contratto tali patologie;
   a prevedere di attivare iniziative – anche in ambito europeo – per escludere dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno le spese per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   ad assumere iniziative, compatibilmente con gli attuali vincoli di finanza pubblica, per finanziare adeguatamente sia il Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, istituito dalla Legge finanziaria 2008, e mai reso operativo per mancanza di risorse, dando priorità alla messa in sicurezza e bonifica degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme, degli uffici aperti al pubblico, sia il Fondo unico per l'edilizia scolastica di cui all'articolo 11, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 179 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012;
   ad avviare un'intesa con le regioni e le province autonome per concordare le modalità di regolamentazione delle «micro-raccolte di amianto» anche con il coinvolgimento delle aziende municipalizzate locali di raccolta rifiuti e ad individuare in ogni regione dei siti di discarica del materiale rimosso, a tal fine individuando siti idonei allo smaltimento in sicurezza di scarti pericolosi;
   ad assumere iniziative per semplificare le modalità di erogazione della prestazione aggiuntiva, fissandola in una percentuale che rimanga fissa negli anni per garantire le risorse al fondo anche negli anni futuri;
   a emanare qualora ne sussistano le condizioni, anche di carattere finanziario, gli atti utili a riconoscere valido, in sostituzione del curriculum lavorativo, l'estratto matricolare mercantile o la fotocopia autenticata del libretto di navigazione, quale documento probante l'esposizione all'amianto da parte del lavoratore marittimo;
   a promuovere campagne di informazione sul rischio amianto soprattutto nei luoghi di lavoro e sulle possibili conseguenze della presenza di amianto dal punto di vista ambientale e sanitario;
   a valutare la necessità di predisporre misure in termini di diagnosi precoce al fine di tutelare la salute dei cittadini esposti al rischio amianto;
   a rafforzare i sistemi di verifica della tracciabilità dell'amianto, altresì stimolando lo smaltimento sostenibile valutando altresì la possibilità di determinazione di un prezzario nazionale per le singole tipologie di opere di bonifica.
(1-00505) «Migliore, Bargero, Grande, Dorina Bianchi, De Mita, Palese, Fedriga, Taglialatela, Balduzzi, Di Lello, Di Salvo, Zan, Nicchi, Airaudo, Zaratti, Piazzoni, Pellegrino, Aiello, Lavagno, Duranti, Speranza, Borghi, Cuperlo, Fiorio, Portas, Boccuzzi, Antezza, Amoddio, Basso, Beni, Baruffi, Berlinghieri, Gnecchi, Lodolini, Zanin, Moscatt, Battaglia, Colaninno, Carra, Zappulla, Fabbri, Braga, Sibilia, Bechis, Zolezzi, Prodani, Artini, Pinna, Currò, Spadoni, Del Grosso, Scagliusi, Rizzo, Corda, Fico, Lorefice, Mantero, Di Vita, Vacca, Brescia, Grillo, Dall'Osso, Baroni, Cecconi, Gallinella, Parentela, Toninelli, Frusone, Barbanti, Nicola Bianchi, Cristian Iannuzzi, De Lorenzis, Lupo, Terzoni, De Rosa, Paolo Nicolò Romano, Mannino, Lombardi, Da Villa, Piccone, Scopelliti, Dellai, Cera, Binetti, Gigli, Santerini, Sberna, Polverini, Calabria, Mottola, Fucci, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Giorgia Meloni, Rampelli, Antimo Cesaro, Matarrese, Vecchio, Molea, D'Agostino, Vargiu, Cimmino, Mazziotti Di Celso, Dambruoso, Tinagli, Monchiero, Oliaro, Rabino, Vitelli, Librandi, Vezzali, Capua, Causin, Sottanelli, Galgano, Catania».


   La Camera,
   premesso che:
    l'arrivo di minori stranieri non accompagnati è un fenomeno che, nel nostro Paese, si manifesta in forma sempre più crescente da più di dieci anni: si tratta di un fenomeno che ha assunto ormai connotati strutturali e che, in quanto tale, necessita di risposte conformi non solo per la dimensione quantitativa, ma anche e soprattutto per i bisogni specifici di protezione e di accoglienza di cui i minori stranieri sono portatori;
    il fenomeno presenta caratteristiche proprie nelle diverse aree di arrivo in cui si manifesta relativamente alle nazionalità, alle modalità di viaggio ed al grado di propensione dei minori a stabilirsi nel luogo di primo ingresso o a proseguire verso altre destinazioni;
    ogni anno, secondo le statistiche ufficiali, arrivano in Italia circa 7.000 minori stranieri soli, lontani dalla famiglia e senza adulti di riferimento;
    i minori stranieri hanno alle spalle viaggi che talvolta sono durati anni e arrivano in Italia, spesso dopo avere vissuto violenze di ogni tipo. Essi costituiscono una facile preda dei circuiti di illegalità, soprattutto se non si attiva, fin dal momento del loro arrivo, una rete coordinata di protezione e di sostegno;
    secondo la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, che ha svolto sul tema un'indagine conoscitiva nella XVI legislatura, il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati che giungono sul territorio italiano è andato sensibilmente aumentando a partire dal 2006. L'indagine ha evidenziato numerose peculiarità. Sotto il profilo della provenienza geografica, la maggioranza dei minori stranieri non accompagnati proviene dal territorio africano, includendo sia il Maghreb (tradizionale serbatoio di migrazione giovanile) sia le regioni subsahariane, i cui flussi migranti spesso fuggono da guerre o carestie, raggiungendo il territorio italiano dopo avere attraversato vasti territori ostili e gravi pericoli per la propria incolumità personale. Negli ultimi anni sono aumentate le presenze di minori egiziani e afghani, mentre per quanto riguarda i minori che provengono dal Marocco la crescita è stata più contenuta; inoltre, è aumentato il numero di minori palestinesi e dei minori provenienti dal Corno d'Africa, somali ed eritrei, o dal Sudan;
    il grosso degli arrivi di minori del nostro Paese avviene per mare. In tutti questi casi, il primo dato evidente riguarda l'estrema pericolosità del viaggio che conduce questi minori nel nostro Paese: la tragedia dei migranti che attraversano il Mediterraneo in cerca di una vita migliore a bordo di barconi in precarie condizioni di sicurezza coinvolge anche molti minori. Per quanto riguarda l'età media di questi ragazzi, la fascia di età dichiarata è di 17 anni e rappresenta il 37 per cento degli arrivi: capita a volte che i maggiorenni dichiarino di avere 17 anni perché informati che in quanto minorenni la legge italiana non consente loro l'espulsione. La seconda fascia di età, che rappresenta il 20-21 per cento dei ragazzi, è quella dei 16 anni, mentre i ragazzi di 15 anni rappresentano l'11 per cento;
    il Parlamento e il Governo nel 1998 hanno apportato alcune modifiche sulla condizione giuridica del minore straniero non accompagnato per meglio disciplinare le diverse problematiche dell'affidamento, della tutela e dell'accoglienza del minore. Tra la normativa internazionale è utile ricordare la Convenzione Onu sui diritti del fanciullo fatta a New York nel 1989, che stabilisce che in tutte le decisioni riguardanti i minori deve essere tenuto in conto come preminente il superiore interesse del minore e che i principi in essa sanciti devono essere applicati a tutti i minori senza discriminazione. La Convenzione riconosce a tutti i minori un'ampia serie di diritti, tra cui il diritto alla protezione, alla salute, all'istruzione, all'unità familiare, alla tutela dello sfruttamento e alla partecipazione. Sono, inoltre, da considerare la Convenzione di Lussemburgo del 1980, la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli del 1996, la direttiva 2003/9/CE del Consiglio dell'Unione europea del 2003. Per quanto riguarda la normativa italiana questa è regolata da diversi provvedimenti che si possono elencare in sintesi: gli articoli 32 e 33 del testo unico in materia di immigrazione, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 535 del 1999, recante regolamento del Comitato per i minori stranieri, l'articolo 19 del decreto legislativo n. 25 del 2008 in materia di minori con protezione internazionale, l'articolo 28 del decreto legislativo n. 251 del 2007 e la direttiva del Ministero dell'interno del 7 dicembre 2006. Tra le modifiche normative più recenti, si segnalano la soppressione, con l'articolo 12, comma 20, del decreto legge n. 95 del 2012 del Comitato per i minori stranieri ed il trasferimento dei compiti da questo svolti alla direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Da ultimo, è da ricordare che è in discussione presso la Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni della Camera dei deputati una proposta di legge che concerne misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati;
    sebbene gli strumenti legislativi e finanziari dell'Unione europea sull'asilo, sull'immigrazione e sulla tratta degli esseri umani si occupino già direttamente ed indirettamente della situazione specifica dei minori non accompagnati, occorrono maggiore coerenza e cooperazione all'interno dell'Unione europea e con i Paesi di origine e di transito. Pertanto, per permettere all'Unione europea e agli Stati membri di fornire risposte concrete ed efficaci, è necessario un approccio comune basato sul rispetto dei diritti dei minori quali definiti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e nella citata Convenzione sui diritti del fanciullo e basato sulla solidarietà tra i Paesi coinvolti, nonché sulla cooperazione con le organizzazioni della società civile e con le organizzazioni internazionali;
    è necessario, altresì, per risolvere in modo efficace il problema dei minori non accompagnati, la prevenzione della migrazione a rischio e della tratta dei minori;
    è necessario, inoltre, affrontare la questione della migrazione dei minori non accompagnati anche nell'ambito di altre politiche, ad esempio di cooperazione allo sviluppo, di riduzione della povertà, di istruzione, della sanità e dei diritti umani, nonché promuovere attività di sensibilizzazione e di formazione per riconoscere rapidamente e proteggere le vittime, rivolte a coloro che sono in contatto con i bambini nei Paesi di origine e di transito e promuovere campagne di sensibilizzazione sui rischi correlati alla migrazione clandestina rivolte ai bambini e alle loro famiglie;
    ai minori stranieri non accompagnati va riconosciuto, altresì, il diritto all'istruzione e il diritto alla salute,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni iniziativa utile, avvalendosi anche di personale specializzato, per procedere il più rapidamente possibile all'identificazione dei minori stranieri non accompagnati fin dal momento della prima accoglienza;
   a favorire una collaborazione a livello europeo per promuovere politiche a favore dei minori stranieri non accompagnati;
   a facilitare l'adozione dei minori stranieri non accompagnati da parte delle coppie dichiarate idonee all'adozione internazionale, come forma qualificata per l'accoglienza e l'integrazione degli stessi e al fine di trovare il supporto educativo, affettivo e materiale.
(1-00506) «Dorina Bianchi, Pagano, Calabrò».


   La Camera,
   premesso che:
    la raccomandazione n. 92/442/CEE del Consiglio dell'Unione europea del 27 luglio 1992 sulla convergenza degli obiettivi e delle politiche di protezione sociale ha ribadito che la responsabilità dell'organizzazione e del finanziamento dei sistemi di protezione sociale spetta agli Stati membri;
    ad essa è seguita nel 1995 una comunicazione della Commissione europea che ha poi aperto il dibattito sul «Futuro della protezione sociale» e nel 1997 ha presentato la comunicazione «Modernizzare e migliorare la protezione sociale nell'Unione europea»;
    tra gli obiettivi di tale comunicazione si segnalano quelli volti a promuovere l'integrazione sociale e a garantire un'assistenza sanitaria di elevata qualità e sostenibile;
    la crisi economica e dei debiti sovrani degli Stati nazionali europei ha imposto severe misure di riduzione della spesa pubblica. Ovviamente la crisi economica globale ha parimenti colpito le famiglie e le comunità, minando la coesione sociale. Tra i gruppi vulnerabili più colpiti ci sono giovani, donne, anziani e lavoratori migranti;
    durante la prima fase della crisi (2008-2009), almeno 48 Paesi a reddito medio-alto hanno adottato misure di stimolo economico per un ammontare complessivo di 2.400 miliardi di dollari, di cui circa un quarto è servito a finanziare misure di protezione sociale. Nei Paesi in cui è stato attuato questo sostegno, esso ha funzionato come uno stabilizzatore automatico anticiclico che ha aiutato le economie a tornare in equilibrio e ha protetto dal disastro economico i disoccupati e i lavoratori precari;
    tuttavia, nella seconda fase della crisi, a partire dal 2010, diversi Governi hanno cambiato rotta, adottando prematuramente misure di risanamento dei conti pubblici, nonostante fosse ancora urgente il bisogno di sostenere le popolazioni vulnerabili e di stabilizzare i consumi;
    secondo il direttore del dipartimento della protezione sociale dell'Organizzazione internazionale del lavoro, le misure di risanamento dei conti pubblici non sono state limitate all'Europa; in realtà, nel 2014 «sono 122 i Governi che stanno riducendo la spesa pubblica e di essi 82 sono Paesi in via di sviluppo»;
    il «Rapporto mondiale sulla sicurezza sociale nel mondo 2014-15: costruire la ripresa economica» dell'Organizzazione internazionale del lavoro, ha stimato che oltre il 70 per cento della popolazione mondiale non è coperto da un'adeguata protezione sociale e solo il 27 per cento della popolazione mondiale beneficia di una sicurezza sociale completa;
    la protezione sociale si conferma lo strumento chiave delle politiche per la riduzione della povertà e delle disuguaglianze e serve a stimolare una crescita inclusiva, migliorando la salute e le possibilità dei componenti più vulnerabili della società;
    diversi Paesi ad alto reddito stanno tagliando i propri sistemi di sicurezza sociale. Nell'Unione europea i tagli alla protezione sociale hanno già contribuito a fare aumentare la povertà, che colpisce ormai 123 milioni di persone, ovvero il 24 per cento della popolazione, e tra esse molti bambini, donne, anziani e disabili;
    a livello mondiale, i Governi dedicano solo lo 0,4 per cento del prodotto interno lordo alle prestazioni per i bambini e per le famiglie, con differenze che vanno dal 2,2 per cento in Europa occidentale allo 0,2 per cento in Africa e nella regione asiatica e del Pacifico. Questi investimenti andrebbero aumentati, se si considera che circa 18.000 bambini muoiono ogni giorno e che molte di queste morti potrebbero essere evitate con un'adeguata protezione sociale;
    la spesa in protezione sociale per le persone in età lavorativa (ad esempio, per le indennità di disoccupazione, la maternità, la disabilità o gli infortuni) varia a seconda delle regioni, tra lo 0,5 per cento in Africa e il 5,9 per cento in Europa occidentale. A livello mondiale, solo il 12 per cento dei lavoratori disoccupati riceve un'indennità di disoccupazione, con differenze che vanno dal 64 per cento dei disoccupati in Europa occidentale a meno del 3 per cento nel Medio Oriente e in Africa;
    la raccomandazione dell'Organizzazione internazionale del lavoro (n. 202) sui sistemi di protezione sociale di base del 2012 rispecchia il consenso dei Governi e delle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori di 185 Paesi sulla necessità di estendere la sicurezza sociale;
    l'instaurazione di sistemi di protezione sociale di base ha anche ricevuto l'approvazione del G20 e delle Nazioni Unite;
    il nostro Paese negli ultimi anni è diventato, anche per ragioni geografiche, meta e luogo di transito di una nuova ondata di migrazione, sia di carattere economico che umanitario. Con una forte prevalenza di persone che fuggono da situazioni di guerra e insicurezza della vita o oppressione politica e religiosa. Questi flussi straordinari di migranti stanno ponendo il sistema di accoglienza italiano in seria difficoltà, con conseguenze negative sulle possibilità di garantire sicurezza e protezione sociale a tutti;
    prima ancora che la protezione sociale, il nostro Paese ha il dovere di garantire la sicurezza fisica di queste popolazioni che fuggono dai loro Paesi in guerra per ragioni politiche, etniche o religiose;
    l'Italia non è più in grado da sola di garantire, nel contempo, accoglienza in sicurezza e protezione sociale e, in quanto frontiera meridionale dell'Europa, dovrebbe contare sul sostegno dell'intera Europa nel fare fronte a questa emergenza, che non è solo italiana, ma europea. Essendo la riva sud dell'Italia da considerare a tutti gli effetti come la porta sud dell'Europa;
    deve considerarsi l'alto prezzo in numero di vittime che continua ad essere pagato per una situazione endemica di disordini e trasformazioni epocali, soprattutto dall'Africa sub-sahariana, dal Medio Oriente e dalla riva sud del Mediterraneo, con un alto numero di persone che provengono da situazioni di vera e propria guerra e persecuzione politica, sociale e religiosa. Fino all'ultimo episodio di 400 persone sbarcate dal Canale di Sicilia e dell'ultimo barcone rovesciato a una distanza di 40 miglia dalle coste libiche, con 40 sopravvissuti messi in salvo dalla Guardia costiera italiana, ma, verosimilmente, almeno altrettanti dispersi in mare;
    la sicurezza della vita è da considerarsi come indicatore minimo di civiltà e premessa a ogni minimo di sicurezza sociale, per i cittadini italiani o immigrati,

impegna il Governo:

   ad assumere, anche in vista del prossimo semestre europeo a guida italiana, concrete iniziative volte:
    a) ad introdurre, in prossimità dell'imminente scadenza fissata per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio (il 2015), la questione della protezione sociale tra le priorità da inserire all'interno dell'agenda di sviluppo post-2015 per il futuro della cooperazione allo sviluppo multilaterale e bilaterale;
    b) a promuovere l'occupazione e le competenze ad assicurare il sostegno al reddito per i disoccupati, rafforzando le loro capacità professionali e mantenendo la base occupazionale delle imprese;
    c) a migliorare i sistemi di protezione sociale, quali motori del «circolo virtuoso di fiducia» e, di conseguenza, della ripresa dell'economia e dell'occupazione;
    d) ad includere la sostenibilità sociale nelle valutazioni di stabilità economica a livello nazionale e internazionale;
    e) a predisporre le misure utili ad avviare la richiesta di protezione internazionale e asilo sulla riva sud ed est del Mediterraneo, con una proposta così ulteriormente efficace e credibile all'Unione europea, al fine di poter predisporre viaggi sicuri, riducendo il numero delle vittime, e aumentare la sicurezza degli ingressi dei profughi, rifugiati e richiedenti asilo, mettendo le autorità in condizione di individuare anticipatamente eventuali opacità.
(1-00507) «Marazziti, Dellai, Santerini, Schirò, Sberna, Gigli, Binetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la Quinta relazione annuale sull'immigrazione e l'asilo relativa al 2013, presentata dalla Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio evidenzia come la migrazione legale possa costituire un vero e proprio strumento di crescita, soprattutto in relazione all'acuirsi delle carenze del mercato del lavoro in determinate zone, all'assenza delle competenze necessarie e all'impatto di una popolazione in progressivo invecchiamento sulla produttività e competitività. Nello specifico, nel 2013 svariate iniziative si sono occupate del contributo degli immigrati alla crescita economica e hanno raccolto conferme del vantaggio associato a una migrazione opportunamente gestita e alla mobilità commerciale. Rappresenta un valido esempio il piano d'azione «Imprenditorialità 2020», che delinea un'azione volta a sprigionare le potenzialità imprenditoriali dell'Europa, a rimuovere gli ostacoli e a rivoluzionare la cultura dell'imprenditorialità, testimonianza del fatto che i migranti rappresentano un importante bacino di imprenditori potenziali in Europa;
    la citata relazione evidenzia l'importanza che l'Unione europea e gli Stati membri proseguano e intensifichino il loro operato nel campo dell'immigrazione, dell'asilo e della gestione delle frontiere, rafforzando l'impegno per la lotta alla violenza e alla discriminazione contro gli immigrati e promuovendone attivamente l'integrazione nella società, combattendo razzismo e xenofobia, che possono costituire un deterrente per tutti gli immigrati, compresi quelli altamente qualificati, a scegliere l'Europa come destinazione;
    la necessità di rispondere a situazioni di crisi, impone all'Unione europea di misurarsi con la sfida di garantire la ripresa economica e la crescita;
    un'immigrazione opportunamente regolata, che sappia coniugare il controllo dei flussi migratori con la doverosa solidarietà nei confronti delle persone spinte dalla necessità ad emigrare, può contribuire a dare slancio all'economia, garantendo l'accesso alle competenze necessarie e in grado di far fronte alle carenze del mercato del lavoro;
    il 2013 è stato un anno di negoziati intensi sulla legislazione europea in materia di migrazione legale. Con l'adozione della direttiva 2014/36/UE del 26 febbraio 2014 si è intervenuti per la prima volta in merito all'occupazione stagionale, principalmente con riferimento a immigrati poco qualificati e alla migrazione circolare, vale a dire gli immigrati che trascorrono brevi periodi nell'Unione europea per poi rientrare in un paese terzo allo scadere del loro contratto. Una volta che la direttiva sarà recepita dalla legislazione nazionale entro il 30 settembre 2016, i lavoratori stagionali godranno di parità di trattamento rispetto ai cittadini degli Stati membri ospiti in termini di condizioni di assunzione e di lavoro, e spetterà agli Stati membri verificare che tali lavoratori abbiano accesso ad alloggi adeguati. È evidente che la presenza di maggiori controlli ridurrà il rischio di occupazione irregolare e di sfruttamento dei gruppi vulnerabili;
   la libera circolazione dei lavoratori è una delle quattro libertà dei cittadini dell'Unione europea. Essa include i diritti di circolazione e di soggiorno dei lavoratori, i diritti di ingresso e di soggiorno dei loro familiari e il diritto di svolgere un'attività lavorativa in un altro Stato membro. Questi diritti sono soggetti a talune restrizioni che riguardano, in particolare, i diritti di ingresso e di soggiorno e il diritto di accesso a posti nella pubblica amministrazione. Inoltre, in alcuni paesi si applicano restrizioni per i cittadini provenienti dai «nuovi» Stati membri;
   tuttavia l'articolo 45 del TFUE sancisce, sopra ogni cosa, la libera circolazione dei lavoratori come uno dei princìpi fondamentali dell'Unione europea, un diritto fondamentale dei lavoratori, che comporta l'abolizione di qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità tra i lavoratori degli Stati membri per quanto riguarda l'occupazione, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro e d'impiego. Questo principio è applicato nel diritto dell'Unione finalizzato a garantire il pieno esercizio dei diritti conferiti ai cittadini dell'Unione e ai loro familiari;
    il trattato dell'Unione europea si basa sul rispetto delle condizioni di lavoro e di impiego nel territorio dello Stato membro ospitante, vale a dire che i lavoratori che sono cittadini di un altro Stato membro non possono essere trattati in modo diverso rispetto ai lavoratori di quest'ultimo Stato in ragione della loro nazionalità, in particolare per quanto attiene all'assunzione, al licenziamento e alla remunerazione. La parità di trattamento si applica anche in materia di formazione professionale e di misure di riqualificazione. I cittadini di uno Stato membro che lavorano in un altro Stato dell'Unione beneficiano degli stessi vantaggi sociali e fiscali e dello stesso accesso all'alloggio dei lavoratori nazionali, e hanno diritto alla parità di trattamento per quanto riguarda l'esercizio dei diritti sindacali;
    nella Risoluzione del Parlamento europeo del 14 gennaio 2014 sulle ispezioni sul lavoro efficaci come strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa, il Parlamento invita la Commissione a riesaminare la legislazione e a monitorare l'attuazione e il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, per il miglioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori migranti dell'Unione europea;
    inoltre, nella medesima risoluzione si chiede agli Stati membri, in caso di abusi accertati dagli ispettori del lavoro o segnalati, di tutelare i lavoratori interessati e gli eventuali informatori coinvolti e di metterli in condizione di far valere i loro diritti e si sottolinea l'importanza di tutelare i lavoratori migranti in situazione irregolare ritenendo che ciò debba rappresentare una delle aree problematiche su cui intervenire, La risoluzione rammenta in proposito agli Stati membri la Convenzione OIL sui lavoratori migranti (disposizioni complementari) del 1975;
    la direttiva 2014/54/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 relativa alle misure intese ad agevolare l'esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione dei lavoratori, dispone all'articolo 3 che gli Stati membri provvedano affinché, previo eventuale ricorso ad altre autorità competenti, ove lo ritengano opportuno, a procedure di conciliazione e possano accedere a procedimenti giudiziari finalizzati all'attuazione degli obblighi ai sensi dell'articolo 45 TFUE e degli articoli da 1 a 10 del regolamento (UE) n. 492/2011, tutti i lavoratori dell'Unione e i loro familiari che ritengano di aver subito o di subire restrizioni e ostacoli ingiustificati al diritto di libera circolazione o che si considerino lesi dalla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento, anche dopo la cessazione del rapporto in cui si asserisce si siano verificati la restrizione e l'ostacolo o la discriminazione;
    diversi studi effettuati periodicamente evidenziano, come la forza lavoro mobile apporti benefici ai paesi ospitanti. I lavoratori mobili integrano la forza lavoro nazionale colmando le carenze di manodopera, hanno maggiori probabilità di trovare un lavoro ed essendo generalmente in età lavorativa – quindi in media più giovani rispetto alla popolazione del Paese ospitante – hanno meno probabilità di ricevere prestazioni, per cui sono di norma contribuenti netti alle finanze pubbliche;
    la libera circolazione dei lavoratori è soprattutto una risorsa per tutti i Paesi dell'Unione europea. La mobilità può contribuire a combattere i livelli elevati di disoccupazione presenti in alcuni Stati membri e a colmare le carenze di competenze e di manodopera esistenti in altri. Per questo motivo la Commissione si sta inoltre adoperando per migliorare ulteriormente l'efficacia di EURES, la rete paneuropea per la ricerca di lavoro, affinché un maggior numero di candidati in tutta l'Unione europea possa avere accesso a più offerte di lavoro (IP/14/26 e MEMO/14/23);
    l'Europa ha l'esigenza di riprendere a crescere e a questo scopo è importante e urgente che tutti i Paesi europei membri utilizzino le risorse finanziare che l'Unione europea mette a loro disposizione, che invece non sono state utilizzate appieno;
    il Fondo asilo, migrazione e integrazione dell'Unione europea ha una dotazione globale per il periodo 2014-2020 di 3.137 milioni di euro, di cui 2.752 milioni di euro per i programmi nazionali degli Stati membri, e 385 milioni di euro per le azioni dell'Unione, l'assistenza emergenziale, la rete europea sulle migrazioni e l'assistenza tecnica della Commissione. Nell'ambito di tale fondo per il periodo 2014-2020 all'Italia sono assegnati 310,3 milioni di euro;
    nell'ambito del Fondo dell'Unione europea per la sicurezza interna è stato inoltre istituito lo strumento di sostegno finanziario per le frontiere esterne e i visti con una dotazione pari a 2.760 milioni di euro per il periodo 2014-2020 di cui 1.551 milioni di euro per i programmi nazionali degli Stati membri; nell'ambito di tale strumento all'Italia sono assegnati 156,3 milioni di euro,

impegna il Governo:

   a farsi promotore in sede di Unione europea di verifiche puntuali dei programmi di utilizzo delle risorse finanziarie messe a disposizione dei Paesi membri per programmi relativi alla gestione dei flussi migratori e all'integrazione, delle regole che disciplinano l'utilizzo di tali risorse, nonché dei risultati che tali programmi producono;
    ad attuare ogni misura atta ad utilizzare tali risorse in Italia e, visto l'alto interesse nazionale che l'utilizzo di tali risorse presenta, a riferire periodicamente alle Camere sullo stato di avanzamento dell'utilizzo;
    a rafforzare e a intensificare con ogni iniziativa normativa la cooperazione tra gli Stati membri, consentendo in particolare il miglioramento e l'efficacia delle condizioni di lavoro in tutti gli Stati membri, garantendo adeguate politiche di sicurezza e protezione sociale per i cittadini europei e per i migranti;
    a migliorare l'applicazione e il controllo del rispetto delle norme dell'Unione europea in materia di libera circolazione dei lavoratori, come evidenziato nella direttiva 2014/54/UE del Parlamento europeo e del Consiglio;
    a promuovere nuove iniziative normative più efficaci e coordinate a livello dell'Unione con riferimento alle condizioni di lavoro e alla protezione dei diritti dei lavoratori, così come avviene nel settore della salute e della sicurezza sul lavoro in tutti gli Stati membri;
    a promuovere un potenziamento della rete di servizi messi a punto da EURES, la rete paneuropea per la ricerca di lavoro, con l'obiettivo di migliorare l'offerta di lavoro, accrescere le possibilità di incontro tra domanda e offerta di lavoro e aiutare i datori di lavoro, in particolare le piccole e medie imprese, ad assumere personale più competente e in tempi più brevi.
(1-00508) «Galgano, Antimo Cesaro, Quintarelli».


   La Camera,
   premesso che:
    la semplificazione costituisce – nelle sue diverse declinazioni – una delle questioni fondamentali da affrontare nella prospettiva della modernizzazione e dello sviluppo del Paese;
    in base alle analisi condotte dall'Ocse, la complicazione burocratica è una delle prime cause dello svantaggio competitivo nel contesto europeo e globale. Pertanto, le politiche di semplificazione rappresentano un fattore cruciale per la competitività e lo sviluppo del Paese, in ogni suo settore produttivo e commerciale, nonché per il pieno godimento dei diritti di cittadinanza;
    la semplificazione è infatti uno degli elementi dello stato di salute «interno» di un Paese, attentamente valutato da organismi ed analisti internazionali, i quali solitamente collocano l'Italia nelle ultime posizioni delle graduatorie relative agli oneri amministrativi imposti ai cittadini ed alle imprese;
    la complicazione e la bulimia legislativa generano contenzioso e soprattutto corruzione, attraverso due meccanismi ricorrenti: l'applicazione «accomodata» delle regole; la ciclica ma costante affermazione della necessità di derogare a sistemi normativi molto complessi in presenza di catastrofi naturali o – per quelli fatti salvi dalla riforma della protezione civile operata nel 2012 – di grandi eventi (è sintomatico quanto successo per la manifestazione Expo 2015);
    la normativa in materia di appalti risulta particolarmente amplia, complessa, contorta, minuziosa e sottoposta a continua manutenzione;
    in questo, come in altri settori, la disciplina comunitaria, già di per sé complessa, è stata recepita con l'aggiunta di ulteriori complicazioni;
    il 28 marzo 2014 sono state pubblicate le tre direttive (2014/25/UE, 2014/24/UE e 2014/23/UE) che riformano il settore degli appalti pubblici e delle concessioni;
    l'attuazione delle tre nuove direttive rappresenta l'occasione per una complessiva revisione del codice degli appalti, che dovrebbe vedere una significativa riduzione delle norme in esso contenute e ad una riorganizzazione dei suoi contenuti per settori ordinari, settori speciali e contratti di concessione;
    la semplificazione normativa e amministrativa e la modernizzazione delle pubbliche amministrazioni rappresentano politiche convergenti da perseguire all'interno di un'ottica unitaria e omogenea volta a migliorare il livello complessivo di competitività del sistema produttivo nazionale e accrescere la fiducia dei cittadini e delle imprese;
    nell'ottica predetta, la semplificazione normativa rientra tra le azioni qualificanti il programma dei Governi della Repubblica nelle legislature più vicine e, in particolare, degli esecutivi della XVII legislatura, come emerge dalle dichiarazioni programmatiche dei Presidenti del Consiglio dei ministri del 29 aprile 2013 (Enrico Letta) e del 24 febbraio 2014 (Matteo Renzi), ove sono, altresì, sottolineati il coraggio e la determinazione necessari per individuare e realizzare seriamente ed efficacemente la predetta semplificazione;
    nella XVII legislatura, la Commissione parlamentare per la semplificazione ha svolto un'indagine conoscitiva il cui documento finale offre elementi di conoscenza utili per determinare le scelte prioritarie su questo piano;
    tanto più utile l'opera di semplificazione si potrà rivelare quanto più sarà finalizzata anche ad una semplificazione delle stesse procedure normative e degli oneri burocratici che pesano sui cittadini e sulle imprese;
    la semplificazione cioè deve riguardare non solo lo stock normativo e degli oneri amministrativi ma anche il flusso delle norme, con la dovuta attenzione per la loro qualità e la loro attuazione e per l'utilizzo degli strumenti normativi, riconducendo alla fisiologia l'uso di strumenti pensati per rispondere a casi di necessità ed urgenza (decreti-legge ed ordinanze di protezione civile, per le quali ultime peraltro mancano efficaci strumenti di diffusione dei testi nella loro evoluzione);
    in questa chiave, gli strumenti già a disposizione del Governo, se pienamente utilizzati, potrebbero consentire un importante salto qualitativo dei testi normativi prodotti in quella sede, che rappresentano la maggior parte delle leggi approvate;
    appare indispensabile che Governo e Parlamento procedano lungo tre linee di azione:
     1) l'azione sullo stock normativo, finalizzata anche alla semplificazione amministrativa;
    in questa prospettiva, occorre una visione unitaria della semplificazione normativa ed amministrativa, sulla quale innestare un'analisi della legislazione vigente che potrebbe articolarsi in più fasi: la prima fase, del tutto preliminare, dovrebbe consistere in una ricognizione della legislazione vigente nei singoli settori, procedendo anche all'elaborazione di testi unici compilativi, a norma dell'articolo 17-bis della legge 23 agosto 1988, n. 400; la seconda fase dovrebbe consistere nella ricognizione degli oneri amministrativi derivanti dalle disposizioni vigenti; la terza fase dovrebbe essere volta ad una semplificazione nel contempo normativa ed amministrativa, che elimini il più possibile o per lo meno alleggerisca gli oneri amministrativi a carico dei cittadini e delle imprese;
    nella prima fase, finalizzata ad organizzare la legislazione vigente nei distinti ambiti delle politiche pubbliche, si potrebbe fare ricorso – senza necessità di conferire al Governo specifiche deleghe – ai testi unici compilativi, previsti dal citato articolo 17-bis della legge n. 400 del 1988;
    in base a tale articolo, i testi unici compilativi: devono individuare puntualmente il testo vigente delle norme; effettuare una ricognizione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni; provvedere al coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti in modo da garantire la coerenza logica e sistematica della normativa; procedere, infine, alla ricognizione delle disposizioni, non inserite nel testo unico, che restano comunque in vigore;
    l'elaborazione dei testi unici compilativi sarà agevolata, rispetto al passato, dall'utilizzazione della banca dati pubblica e gratuita dei testi normativi (www.normattiva.it), nata con la duplice finalità «di facilitarne la ricerca e la consultazione gratuita da parte dei cittadini, nonché di fornire strumenti per l'attività di riordino normativo»;
    i testi unici compilativi potrebbero essere accompagnati da regolamenti emanati a norma dell'articolo 17, comma 4-ter, della citata legge n. 400 del 1988, mediante i quali «si provvede al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alle, ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e all'espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete»;
    si tratta di un'operazione del tutto propedeutica ai successivi obiettivi della semplificazione, che consentirebbe di fare chiarezza nella galassia della stratificata e ramificata legislazione italiana, intanto individuando le normative effettivamente vigenti nei singoli settori e le disposizioni che risultino implicitamente abrogate;
    a quest'opera potrebbe dare il suo fondamentale contributo anche il Consiglio di Stato, al quale, a norma del richiamato articolo 17-bis, potrebbe essere demandata anche la redazione degli schemi dei testi unici;
    sarà fondamentale l'apporto delle organizzazioni rappresentative del mondo delle attività produttive, del commercio, delle professioni, dei lavoratori, nonché dei cittadini e consumatori;
    infine, nell'operazione potrebbe essere coinvolto il mondo dell'università e della ricerca, che potrebbe lavorare in sinergia con i singoli Ministeri;
    in questo modo, si potrebbe costruire e realizzare un vasto programma di semplificazione, in grado di coinvolgere tutti i soggetti interessati;
     2) l'azione sul flusso normativo, che dovrebbe partire dalla piena attuazione delle norme esistenti e dalla loro rivisitazione, ove necessaria;
     3) l'azione di semplificazione amministrativa, che dovrebbe basarsi su due pilastri: la razionalizzazione e la riduzione degli enti esistenti a tutti i livelli territoriali, previa una analisi – finora mai effettuata – delle loro funzioni; la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni,

impegna il Governo:

   per quanto riguarda lo stock normativo:
    a realizzare tutti gli sforzi possibili per mettere in atto una vasta opera di semplificazione legislativa ed amministrativa, a partire dalla predisposizione, in prospettiva, di testi unici compilativi per ciascun settore delle politiche pubbliche;
    a presentare a tal fine alle Camere – entro il 31 dicembre 2014 – una relazione contenente un programma di proposte al Parlamento in materia di semplificazione normativa, suddiviso per settori e discipline, anche tenendo conto delle risultanze dell'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione parlamentare per la semplificazione, nonché dei risultati della recente consultazione pubblica di cittadini e imprese. La relazione dovrà formulare proposte puntuali in ordine alla cadenza temporale degli interventi e delle iniziative finalizzati alla redazione dei testi unici compilativi;
    a valutare la possibilità, compatibilmente con la disponibilità di risorse finanziarie, di realizzare un database in formato elettronico che renda accessibile in forma pubblica e gratuita la consultazione dei testi delle ordinanze di protezione civile in testo storico e vigente. Il database potrebbe essere eventualmente integrato nel portale Normattiva;
   per quanto riguarda il flusso normativo:
    a dare piena attuazione, nell'esercizio dei propri poteri normativi, alla legge n. 400 del 1988, con particolare riguardo all'uso della decretazione d'urgenza;
    a rendere operanti e a rafforzare, per quanto di competenza, le disposizioni già vigenti in materia di qualità della legislazione, di redazione dell'analisi di impatto della legislazione, dell'analisi tecnico-normativa, nonché di verifica dell'impatto della regolamentazione, a tal fine:
     a) rafforzando il ruolo della Presidenza del Consiglio dei ministri di monitoraggio in itinere sulla qualità dell'attività normativa ministeriale, nonché di assistenza alle amministrazioni interessate nello svolgimento degli adempimenti richiesti dall'analisi tecnico-normativa e dall'analisi di impatto della regolazione;
     b) rafforzando il controllo di adeguatezza delle relazioni concernenti l'analisi tecnico-normativa e l'analisi di impatto della regolazione, eventualmente consolidando forme di collaborazione di altri organismi con il Dipartimento degli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri;
     c) eliminando sovrapposizioni e duplicazioni di competenze;
     d) a valutare la possibilità di esplicitare eventuali decisioni assunte dal Consiglio dei ministri in dissenso da pareri di dipartimenti o strutture interne;
     e) intervenendo sulla disciplina della verifica dell'impatto della regolazione, sia prevedendo che la suddetta verifica sia elaborata sulla base dell'analisi tecnico-normativa e dell'analisi di impatto della regolazione, sia riordinando le competenze e le procedure per la sua esecuzione, eventualmente considerando la possibilità, in collaborazione con le Camere e compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, di incaricare di tali adempimenti una struttura tecnica formata da componenti di nomina sia governativa sia parlamentare e regionale, configurata in modo tale da poter anticipare in via sperimentale quanto previsto dai progetti di revisione costituzionale all'esame del Senato della Repubblica in ordine alle funzioni di valutazione delle politiche pubbliche da attribuirsi alla seconda Camera;
    ad avviare, insieme al Parlamento e in collaborazione con le regioni e le autonomie locali, un percorso di elaborazione di una disciplina organica concernente le procedure di consultazione e dibattito pubblico, esperibili sia in sede di produzione normativa che in sede di amministrazione attiva;
    ad attivarsi immediatamente per il recepimento delle tre nuove direttive in materia di appalti pubblici e concessioni, al fine di elaborare un nuovo, più organico e semplificato codice in materia;
   per quanto riguarda la semplificazione amministrativa:
    a procedere ad un censimento degli enti pubblici esistenti, che permetta, finalmente, basata un'effettiva analisi delle loro funzioni, al fine di evitare duplicazioni;
    a implementare i processi di digitalizzazione in corso e a promuovere l'interoperabilità delle reti informatiche e delle banche dati, di cui possano fruire tutte le pubbliche amministrazioni;
    ad assicurare agli utenti la possibilità di firmare digitalmente qualsiasi istanza o documento da trasmettere alla pubblica amministrazione e di utilizzare la posta elettronica certificata ovvero gli strumenti di trasmissione elettronica previsti dal Codice dell'amministrazione digitale (CAD) come modello usuale di trasmissione di atti aventi efficacia legale;
    ad adottare in tempi rapidi un'agenda per la semplificazione, che individui obiettivi, risultati attesi, responsabilità, scadenze e tempi di realizzazione, modalità di verifica del raggiungimento dei risultati, da rendere accessibili on line in tempo reale, prevedendo una comunicazione annuale alle Camere;
    a dare concreta attuazione alle norme di semplificazione già vigenti, con particolare riguardo alle previsioni della legge n. 180 del 2011, sul divieto di introdurre nuovi oneri per cittadini ed imprese, al fine di evitare la proliferazione di nuove complicazioni, ad adottare il principio di proporzionalità degli oneri alla dimensione delle imprese, e a procedere all'emanazione di regolamenti per la riduzione degli oneri amministrativi e la semplificazione dei procedimenti amministrativi concernenti l'attività di impresa;
    a rafforzare la cooperazione interistituzionale tra Stato, regioni e autonomie locali e la realizzazione condivisa del programma di semplificazione, a partire, ad esempio, dalla standardizzazione della modulistica e delle procedure entro tempi prestabiliti e certi;
    ad adottare le misure sanzionatorie previste dalla legge nei confronti degli uffici pubblici statali competenti e dei loro responsabili a fronte di inadempienze e ritardi;
    a rendere operativi su tutto il territorio nazionale gli Sportelli unici per le attività produttive (Suap), estendendo il modello dello sportello unico a tutti i procedimenti complessi.
(1-00509) «Tabacci, Taricco, Cozzolino, Prataviera, Balduzzi, Petrenga, Palese, Lavagno, Dorina Bianchi, Monchiero, De Mita, Di Gioia, Rampelli, Ferrari, Taranto, Covello, Gelli, Tartaglione, D'Ottavio, Pisicchio, Mazzoli, Scopelliti, Fabbri, Mucci, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Nuti, Toninelli, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Antimo Cesaro, Mazziotti Di Celso».


   La Camera,
   premesso che:
    poter vivere la paternità e la maternità è un diritto, così come è un diritto per i bambini conservare i legami genitoriali essenziali per la loro crescita e lo sviluppo. Ma la presenza di bambini dietro le sbarre non è degna di un Paese civile. E coltivare un rapporto educativo ed affettivo con i figli durante la carcerazione, esercitando la genitorialità in condizione di reclusione, esige alcune condizioni materiali che consentano innanzitutto di mantenere una frequentazione reciproca e non disperdano i legami familiari;
    il rapporto dell'associazione «Antigone», presentato il 20 dicembre 2013, specifica che in Italia vi sono 16 asili nido penitenziari in cui sono recluse 51 madri con 52 bambini, ma secondo i dati del Ministero della giustizia, dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza e dell'associazione Bambinisenzasbarre Onlus, firmatari della «Carta dei figli dei genitori detenuti» del 21 marzo 2014, sono ben centomila, fra bambini ed adolescenti, i minori che entrano in carcere per incontrare i genitori;
    è di tutta evidenza pedagogica e psicologica che le necessarie esigenze di sicurezza che presiedono le strutture carcerarie e ne regolano l'organizzazione non possono in alcun modo corrispondere allo sviluppo sereno dei bambini ed alle adeguate cure materne né permettere una continuità del rapporto educativo e genitoriale;
    la tutela della maternità e dell'infanzia (sancita dall'articolo 31 della Costituzione) impone di sottrarre i bambini all'esperienza di crescere in una struttura carceraria. La legge 40 del 2001 introduceva misure alternative alla detenzione finalizzate a tutelare la cura del rapporto tra detenute e figli minori, misure che permangono ampiamente disattese. La genitorialità per i padri e le madri detenuti è normata da indicazioni su come devono essere preservate e protette le relazioni con i figli e i familiari. La legge 354 del 1975, all'articolo 28, afferma che «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie» e, all'articolo 45, ribadisce che «il trattamento dei detenuti e degli internati è integrato da un'azione di assistenza alle loro famiglie. Tale azione è rivolta anche a conservare e migliorare le relazioni dei soggetti con i familiari e a rimuovere le difficoltà che possono ostacolare il reinserimento sociale»;
    questa normativa appare oggi disattesa e quasi utopica, a fronte del personale sottodimensionato e dell'impossibilità di soddisfare le richieste di contatti con le famiglie. Per le detenute e i detenuti stranieri ciò è ancora più difficile e possono trascorrere mesi o anni prima che essi riescano ad attivare contatti con le famiglie;
    alla genitorialità in carcere è negato il riconoscimento di quelli che Erving Goffman definisce «diritti sottili», ossia quelli, a rischio di invisibilità, come appunto i legami affettivi che coinvolgono i familiari e soprattutto i figli;
    l'associazione Eurochips (European Committee for Children of Imprisoned Parents) indica che il 30 per cento dei bambini figli di detenuti sviluppa comportamenti devianti per mancanza di interventi e risposte corretti. Eurochips afferma, inoltre che la possibilità per i genitori detenuti di vedere con regolarità i figli, e mantenere rapporti significativi con loro, abbassa del 40 per cento il rischio di provvedimenti disciplinari in carcere;
    il Ministero della giustizia, l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza e l'associazione Bambinisenzasbarre Onlus, quali firmatari della «Carta dei figli dei genitori detenuti» del 21 marzo 2014, condividendo le medesime preoccupazioni, hanno convenuto, all'articolo 1, di detto atto l'opportunità di «tenere in considerazione i diritti e le esigenze dei figli di minore età della persona arrestata o fermata che conservi la responsabilità genitoriale, nel momento della decisione dell'eventuale misura cautelare cui sottoporla, dando priorità, laddove possibile, a misure alternative alla custodia cautelare in carcere» e, all'articolo 3, la necessità di individuare, nei confronti di genitori con figli di minore età, misure di attuazione della pena che tengano conto anche del superiore interesse di questi ultimi;
    nello specifico caso di minorenni con madri detenute, la tutela dell'interesse superiore del fanciullo può essere al meglio attuata, compatibilmente con l'esigenza di sicurezza sociale, tramite lo strumento delle case-famiglia protette, strutture che devono essere realizzate all'esterno degli istituti penitenziari e organizzate con caratteristiche che tengano conto in modo adeguato delle esigenze psicofisiche di crescita armonica dei bambini, ispirate a criteri prioritariamente desunti dalla prospettiva educativa;
    il momento e le modalità del colloquio sono poi aspetti particolarmente urgenti e drammatici stante il particolare significato sul piano degli affetti e delle relazioni che questo comporta. A volte atteso per settimane o mesi, avviene poi in ambienti che sono ben lontani da quei «locali interni senza mezzi divisori o in spazi all'aperto a ciò destinati», stabiliti dal decreto del Presidente della Repubblica 230 del 2000, articolo 37. È noto infatti che i colloqui avvengono generalmente nella confusione di un parlare, spesso urlante, di pianti, in presenza di altri detenuti sconosciuti, dove anche un abbraccio tra padri/madri e figli diventa difficile o imbarazzante per entrambi;
    inoltre, l'allontanamento improvviso dei figli dai genitori è traumatico per entrambi, così come la chiusura forzata dei figli piccoli che, incolpevoli, crescono nei luoghi di pena;
    la responsabilità genitoriale, che non deve interrompersi durante la detenzione, deve essere incentivata rispondendo a criteri psicopedagogici, salvaguardando le modalità di realizzazione degli incontri attraverso un accompagnamento educativo e la predisposizione di spazi aventi finalità socio-educativa nei quali sia garantita, tramite operatori specializzati, ospitalità alle famiglie, circostanza per un'attesa dignitosa, nonché aree di socializzazione e di gioco per i bambini (quale, ad esempio, lo «spazio giallo» come denominato da Bambinisenzasbarre Onlus, già realtà nell'esperienza pilota di San Vittore e di Bollate);
    i colloqui dei figli con madri e padri detenuti devono svolgersi in locali idonei, al fine di evitare la permanenza di bambini e ragazzi in ambienti caotici, sovraffollati e promiscui. Per ridurre l'impatto del carcere sui bambini sono indispensabili luoghi che rispettino la sensibilità dei minorenni, senza mezzi divisori e possibilmente anche all'aperto, consentendo al detenuto di svolgere attività educative e ludiche con il proprio figlio;
    è poi auspicabile un potenziamento della normativa già prevista all'articolo 30 della legge n. 354 del 26 luglio 1975 relativamente ai permessi di visita al minorenne infermo. L'esigenza di tutela del fanciullo rende importante attribuire alla madre detenuta il diritto ad assistere il proprio figlio nei momenti più importanti della vita. Vi sono invece momenti, come la malattia grave o il ricovero ospedaliero, in cui il contatto viene reso indispensabile. La vicinanza ai figli è decisiva per alleviare il senso di solitudine nella struttura ospedaliera e le ansie legate alla malattia o al pericolo di perdere la vita. Per questo occorrerebbe consentire alla madre di bambini di età minore di dieci anni, in pericolo di vita, inviati al pronto soccorso o ricoverati in ospedale, di prestare assistenza, accompagnandoli e permanendo presso la struttura per l'intera durata del ricovero, essendo disumano ed inimmaginabile che il bambino possa affrontare tali situazioni senza l'assistenza della propria madre;
    è infine necessario preservare il minorenne da ogni sanzione che indirettamente possa colpirlo pregiudicandone la serenità emotiva ed il corretto sviluppo psicofisico, anche permettendo la revocabilità del decreto di espulsione disposta in corso o a fine pena, nonché come misura alternativa o sostitutiva della stessa, nei confronti della madre con figli minori di anni dieci,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative immediate, normative o di altra natura, affinché quanto contenuto nella «Carta dei figli dei genitori detenuti» del 21 marzo 2014 trovi concreta realizzazione e applicazione;
   a perseguire l'obiettivo del definitivo superamento del dramma dei bambini cresciuti in carcere tramite lo strumento delle case famiglia protette, anche attraverso le risorse e le opportunità offerte dal privato sociale, assumendo iniziative per l'estensione del beneficio dell'esecuzione della custodia cautelare e della detenzione in casa famiglia protetta, già previsto dalla legge 62 del 2011, alla madre di prole fino a dieci anni di età, con possibilità per il giudice di estendere l'applicazione anche oltre i dieci anni;
   a realizzare, all'esterno degli istituti penitenziari, case famiglia protette con struttura ed organizzazione idonee alle particolari esigenze psicofisiche dell'infanzia, fornite di sistemi di controllo non visibili o percepibili del minorenne e dotate, in prevalenza, di personale in possesso di competenze pedagogiche ed educative per l'infanzia con specifico riferimento alle realtà detentive;
    ad assumere iniziative per consentire alla madre detenuta di essere presente nei momenti più importanti della vita dei figli ed in caso di estremo bisogno degli stessi e in particolare, nel caso di ricovero di figlio minore di anni dieci, garantire alla madre internata o detenuta, tramite un provvedimento adottato d'urgenza, la possibilità di accompagnare il bambino presso la struttura ospedaliera e soggiornarvi per tutto il periodo del ricovero;
   conformemente a quanto previsto dalla «Carta dei figli dei genitori detenuti» del 21 marzo 2014, a tutelare la genitorialità e l'affettività negli istituti di pena nonché a permettere un contatto diretto di madri e padri detenuti o internati con i figli minorenni già dalla prima settimana dopo l'arresto, nonché a garantire la regolarità e la qualità dei colloqui attraverso appositi spazi con finalità socio-educative dove i bambini possano sentirsi accolti e riconosciuti e nei quali sia garantita la presenza di almeno un educatore con funzioni ai presa in carico della famiglia, realizzazione di attività di attesa e ludiche per i bambini, preparazione al colloquio nonché osservazione delle dinamiche comportamentali al fine di fornire risposte educative;
   ad assumere iniziative per permettere lo svolgimento di colloqui personali e telefonici, fra genitori detenuti e figli, anche fuori dai limiti temporali stabiliti dagli articoli 37 e 39 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, in orari o luoghi diversi da quelli comunemente utilizzati per gli incontri fra soggetti maggiorenni nonché in locali tali da rispettare la sensibilità dei minorenni, senza mezzi divisori o all'aperto;
   nel rispetto della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia, ratificata dall'Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176, e contro ogni discriminazione nei confronti del minorenne straniero, figlio di chi ha commesso un reato, ad adottare le opportune iniziative normative o di altra natura al fine di permettere la revocabilità del decreto di espulsione nell'ipotesi in cui quest'ultima sia disposta o debba essere eseguita nel corso o al termine dell'espiazione di una pena detentiva, o come misura alternativa o sostitutiva della pena, nei confronti di madre con figli minori di anni dieci il cui corretto sviluppo psicofisico verrebbe pregiudicato dall'allontanamento dal territorio italiano e dal tessuto sociale di riferimento.
(1-00510) «Iori, Morani, Faraone, Verini, De Micheli, Lenzi, Albanella, Arlotti, Beni, Berlinghieri, Bruno Bossio, Capone, Carnevali, Carra, Casati, Covello, D'Incecco, Distaso, Fabbri, Fossati, Gadda, Carlo Galli, Gandolfi, Gasparini, Gigli, Giuliani, Guerra, Latronico, Lodolini, Maestri, Malpezzi, Manzi, Marantelli, Martelli, Marzano, Miotto, Patriarca, Petitti, Rampi, Rocchi, Rotta, Scuvera, Tartaglione, Tidei, Zampa, Valeria Valente».

Risoluzioni in Commissione:


   La I Commissione,
   premesso che:
    la legge 1o aprile 1981, n. 121, ha rappresentato nella storia del nostro Paese un momento di crescita e di ammodernamento delle istituzioni repubblicane in quanto ha introdotto, nell'amministrazione della pubblica sicurezza, quelle innovazioni necessarie a favorire la stabilità del sistema politico e a rendere più efficienti gli organi di polizia. Il processo di riforma avviato con la sua entrata in vigore è, tuttavia, rimasto incompiuto – soprattutto per quel che concerne il coordinamento tra le forze di polizia, l'allestimento di centrali operative comuni, la rivisitazione dei percorsi formativi del personale – e a distanza di oltre 30 anni la legge n. 121 del 1981 richiede un aggiornamento, una revisione che consenta di migliorare alcuni suoi aspetti tecnici e quelle criticità che hanno prodotto conseguenze negative anche sotto il profilo economico. Col passare del tempo, infatti, il proliferare di Forze di polizia con competenze analoghe se non addirittura identiche, ha dato vita ad una realtà frammentata di servizi e specialità nonché ad inevitabili sovrapposizioni funzionali, con un enorme spreco di risorse organizzative, economiche ed umane, che di fatto incide negativamente sullo stato d'animo di migliaia di uomini e donne in divisa e grava sulla sicurezza dei cittadini;
    con la conversione del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 95, è stato approvato un ambizioso progetto di «Spending review» che impone alle pubbliche amministrazioni l'adozione di strumenti idonei a migliorare l'efficienza e l'efficacia della macchina statale nella gestione e nel contenimento della spesa pubblica. Da allora anche l'amministrazione dell'interno è impegnata in un piano di riassetto e revisione delle proprie strutture, dando attuazione – per le parti di propria competenza – ad un programma di ottimizzazione delle risorse disponibili e alla ricerca di nuove soluzioni non solo per contenere la spesa corrente, ma anche per impiegare in modo più razionale i fondi assegnati. Con decreto del Ministro dell'interno del 28 giugno 2011 è stata, infatti, istituita una Commissione con l'incarico di procedere allo studio ed alla analisi delle norme di cui alla legge n. 121 del 1981 nonché di formulare ipotesi progettuali di modifica normativa. L'obiettivo prioritario, in una ottica di revisione dell'amministrazione della pubblica sicurezza, è quello di:
     a) verificare lo stato della sicurezza sul territorio nazionale e di rispondenza tra i livelli di responsabilità attribuiti all'interno del Comparto e i poteri conferiti;
     b) verificare l'adeguatezza degli attuali assetti di responsabilità dell'amministrazione della pubblica sicurezza alle esigenze del contesto sociale di riferimento;
     c) individuare le nuove sfide per la sicurezza e i problemi emergenti;
     d) accertare l'efficienza dei meccanismi di coordinamento delle Forze di polizia e l'efficacia dei Piani coordinati di controllo del territorio;
     e) valorizzare il rapporto con gli enti territoriali di Governo, con particolare riferimento alle politiche integrate per la sicurezza, e verificare l'efficacia dei patti per la sicurezza e degli attuali meccanismi di sicurezza partecipata;
     f) razionalizzare e ottimizzare il dispositivo attraverso una ridistribuzione sul territorio dei presidi di polizia;
     g) riorganizzare i comparti di specializzazione, distribuendo in modo più netto e preciso le competenze, allo scopo di assicurare e valorizzare le singole specificità di ciascuna forza di polizia, in un contesto di differenziazione degli ambiti operativi;
    è sempre più urgente adottare misure che favoriscano la condivisione delle risorse umane, professionali, organizzative, formative e tecniche interne all'apparato pubblico con un fattivo scambio di conoscenze tra corpi di polizia nazionali e locali, nonché procedere ad un acquisto comune di attrezzature, vestiario e beni di consumo al fine di ottimizzare e rendere più trasparente ogni voce di spesa, orientata al razionale risparmio dei costi di gestione. Si pensi, ad esempio, all'esperienza positiva della scuola di perfezionamento delle Forze di polizia prevista dall'articolo 22 della legge n. 121 del 1981: in un'ottica di razionalizzazione, questo modello dovrà essere esteso a tutte le scuole di formazione esistenti sul territorio, al fine di evitare dispendiosi periodi di missione fuori regione per l'espletamento di corsi di aggiornamento o di formazione, e garantire percorsi formativi comuni per quanto concerne il normale e comune servizio di polizia, e periodi di stage mirati nelle sedi operative per le specializzazioni del servizio. Ed ancora: l'utilità del numero unico delle emergenze è oramai cosa nota in tutta Europa e per questo ci si dovrà orientare su centrali operative interforze distribuite seguendo criteri commisurati alle esigenze logistiche e funzionali del territorio (città metropolitane, provinciali, regionali e/o interregionali);
    la razionalizzazione del sistema della pubblica sicurezza dovrà necessariamente iniziare dalle centrali operative interforze, dai servizi radiomobili e/o delle emergenze, dalla polizia di prossimità, dalle scuole di formazione ed aggiornamento interforze e dalle specialità in seno ad ogni forza di polizia. Queste misure di riorganizzazione e ottimizzazione delle risorse porteranno un naturale ridispiegamento delle Forze dell'ordine sul territorio, a presidio ed a garanzia della sicurezza del cittadino e della collettività, nonché un imponente risparmio di risorse economiche,

impegna il Governo:

   ad avviare una razionalizzazione del sistema della pubblica sicurezza, per definire un percorso formativo/organizzativo/logistico ed operativo comune per tutte le Forze di polizia italiane – nazionali e locali – senza contrapposizioni o sovrapposizioni spesso dannose nella lotta al crimine e nella gestione dell'ordine pubblico, eliminando inutili sprechi di risorse umane, strumentali ed economiche;
   a fissare i criteri in base ai quali i presidi delle forze di polizia a competenza generale verranno ripartiti sul territorio nazionale tenendo conto che, nella medesima località – fatta eccezione per la capitale, i capoluoghi di regione e di provincia nonché alcune aree con specifiche esigenze di ordine e sicurezza pubblica – potrà essere presente un solo ufficio della polizia di Stato o comando dei carabinieri, e conseguentemente a definire gli interventi necessari per una più razionale dislocazione delle compagnie dell'Arma dei carabinieri e dei reparti speciali;
   a stabilire in base al criterio della specificità per materia le competenze dei diversi comparti presenti all'interno di ciascuna forza di polizia, tenuto conto delle pregresse esperienze;
   a riordinare le prefetture prevedendo, nelle aree metropolitane, specifiche strutture permanenti destinate al coordinamento provinciale delle Forze di polizia e nelle altre a rafforzare le competenze del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica;
   ad assumere iniziative per prevedere che le risorse finanziarie recuperate siano destinate:
    a) allo sviluppo di progetti di edilizia abitativa per la realizzazione di alloggi per le famiglie del personale;
    b) all'apertura di asili nido all'interno o nei pressi degli alloggi di servizio del personale;
    c) alla creazione di centri medici specialistici per il personale e i rispettivi familiari.
(7-00393) «Mazziotti Di Celso, Dambruoso».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    il settore del benessere, con particolare riferimento alle attività di acconciatura, estetica, tatuaggio e piercing, costituito da circa 100.000 fra imprese e lavoratori autonomi, garantisce occupazione a circa 300.000 addetti (di cui circa 200.000 lavoratori dipendenti – dati rinnovo 2011 – CCNL artigiano di settore) e riveste, pertanto, un ruolo rilevante per l'economia del Paese, pur essendo caratterizzato – per la quasi totalità – da imprese di micro e piccola dimensione;
    nell'ambito della propria attività, le imprese del settore in questione sono produttori di rifiuti speciali, in taluni casi rientranti nel novero dei pericolosi (taglienti, imballaggi contenenti residui di sostanze pericolose, garze e simili); tali rifiuti, derivanti da prodotti tipicamente di largo consumo e caratterizzati da un bassissimo rischio per la salute umana hanno, parimenti, un bassissimo impatto per l'ambiente; ciononostante essi sono sog- getti ai medesimi adempimenti previsti per i rifiuti prodotti dalle attività economiche di medio grandi dimensioni, appartenenti a settori a più elevato impatto ambientale;
    i rifiuti prodotti da tali aziende costituiscono, quantitativamente, una parte assolutamente minoritaria se raffrontati al quantitativo complessivo di rifiuti che scaturiscono dall'utilizzo non professionale dei prodotti cosmetici: dai dati forniti dalle associazioni dei produttori, infatti, il peso del canale professionale sul totale dei prodotti cosmetici, venduti in Italia nell'anno 2013, è attestato all'8,4 per cento; quindi il 91,6 per cento dei prodotti passa attraverso la grande distribuzione, essendo utilizzato dal cittadino-consumatore nelle proprie abitazioni,

impegna il Governo:

  ad assumere iniziative per prevedere semplificazioni specifiche per le attività di acconciatura, estetica, tatuaggio e piercing nella gestione dei rifiuti speciali;
   ad assumere iniziative per estendere l'esclusione dal modello unico di dichiarazione ambientale annuale e dal registro di carico e scarico, prevista all'articolo 40, comma 8, decreto n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, ora valida per i soli rifiuti taglienti a rischio infettivo (CEER 18 01 03*), in generale ai soggetti operanti coi codici ATECO: 96.02.01, 96.02.02 e 96.09.92;
   ad assumere iniziative per considerare, laddove consentito dalla normativa europea, i rifiuti prodotti dalle suddette attività assimilabili a quelli urbani, lasciando all'impresa la possibilità di optare per il loro conferimento al servizio di raccolta comunale, inclusa la raccolta differenziata laddove fosse attivata.
(7-00392) «Braga, Giulietti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   SIBILIA, PISANO, COLONNESE, LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, LUIGI DI MAIO, TOFALO, FICO, DI BATTISTA, D'UVA e MICILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nel 2007 è stata assegnata alla città di Napoli la quarta edizione del Forum universale delle culture 2013 per la quale è stata istituita una Fondazione quale strumento operativo per la relativa organizzazione e realizzazione;
   in data 21 ottobre 2010 il Ministero degli affari esteri, la regione Campania, il comune di Napoli e la provincia di Napoli hanno sottoscritto un protocollo d'intesa per attribuire alla Fondazione Forum i seguenti obiettivi di programma: (a) sviluppare un'intensa ed articolata opera di promozione della cultura italiana nel mondo; (b) valorizzare a livello internazionale la produzione culturale napoletana e campana; (c) mettere in campo azioni e politiche concrete, finalizzate all'integrazione ed alla cooperazione culturale nell'area euro-mediterranea; (d) definire la costruzione delle reti di cooperazione essenziali da porre a base del programma generale del Forum 2013; (e) valorizzare il patrimonio artistico campano esaltando le sue ricchezze storiche, paesaggistiche, archeologiche e culturali in particolare modo attraverso l'utilizzazione dei siti patrimonio dell'umanità UNESCO in Campania; (f) esaltare i valori della memoria, dell'identità nazionale, della tradizione, della conoscenza condivisa e dei saperi per il raggiungimento della moderna società dell'integrazione culturale; (g) favorire la formazione culturale delle nuove generazioni, attraverso l'ideazione di percorsi formativi diffusi e continui, relativi ai valori ed ai contenuti culturali del Forum al fine di dare risposte concrete ai problemi della disuguaglianza e delle nuove povertà; (h) dare risalto al valore della coesistenza ed al principio del merito responsabile quali stimoli per proporre iniziative legate alla promozione del rispetto delle libertà consapevoli, al valore della ricchezza culturale, con attività volte a migliorare l'accesso alle informazioni e alla conoscenza, per favorire nuove opportunità di sviluppo;
   con accordo stipulato in data 15 dicembre 2012 tra il Ministro per la coesione territoriale e la regione Campania sono state destinate risorse per la realizzazione del Forum delle Culture, confermate nel piano di azione e coesione, III edizione ultima riprogrammazione (OPAC III). La dotazione era stimata in circa 1.600.000 euro;
   in data 26 marzo 2014 sul sito istituzionale del Forum è stato pubblicato un avviso pubblico a presentare manifestazioni di interesse per la realizzazione di eventi di specifica valenza culturale da parte di soggetti che avessero operato nel settore almeno una volta nell'ultimo triennio;
   al suddetto avviso ha risposto il gruppo editoriale L'Espresso, che pubblica il quotidiano la Repubblica, ottenendo, a fronte di una richiesta di 260 mila euro per l'organizzazione della terza edizione della «Repubblica delle idee», un finanziamento di circa 100 mila euro per la realizzazione di 16 eventi da tenersi a Napoli dal 5 all'8 giugno;
   inoltre, in data 21 gennaio 2014 sul sito istituzionale del Forum è stato pubblicato un avviso di selezione di proposte per la realizzazione degli eventi relativi al format «Dialoghi Basic» per un importo di massimo 8 mila euro ad evento. Tra i soggetti che hanno presentato progetti coerenti figura anche l'associazione campana «Big Bang» –:
   se la concessione di finanziamenti al gruppo editoriale L'Espresso e all'associazione «Big Bang» da parte della Fondazione Forum sia compatibile con obiettivi del suo programma contenuti nel protocollo d'intesa sottoscritto in data 21 ottobre 2010. (3-00893)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   recentemente, in una ottica di revisione dell'assetto organizzativo delle direzioni provinciali delle Agenzie delle entrate, alcune amministrazioni hanno operato scelte organizzative con il duplice effetto – da una parte – di una ricollocazione in altre sedi del personale dei team delocalizzati degli uffici di controllo e dall'altra della cessazione o chiusura dell'operatività di tali team di controllo della direzione provinciale delle entrate;
   in particolare, con disposizione di servizio n. 37/2014 del 20 maggio 2014 il direttore provinciale dell'Agenzia delle entrate – direzione provinciale di Perugia ha disposto la cessazione dell'operatività del team delocalizzato di Foligno (Perugia);
   dunque il personale operante presso il suddetto team composto di 18 unità di personale è stato di fatto trasferito all'ufficio controlli – area imprese minori e lavoratori autonomi sede di Perugia;
   le organizzazioni sindacali con un comunicato del 15 maggio 2014 hanno indetto una assemblea criticando duramente la scelta adottata dall'amministrazione;
   la soppressione dei team delocalizzati ed in particolare del team di controllo di Foligno comporterà pesanti disagi non solo per il personale operante che, con ogni probabilità, dovrà impiegare i propri mezzi (il cui onere graverà proprio sul personale) per svolgere i fini istituzionali di controllo e verifica fiscale ma anche per il contribuente che per rapportarsi al personale operante e recarsi all'ufficio controlli del capoluogo di regione dovrà spostarsi percorrendo maggiori distanze con maggiore perdita di tempo;
   risulta che in data 16 giugno 2014 c’è stato un incontro tra l'amministrazione e le organizzazioni sindacali per discutere anche della problematica dei team di controllo;
   il modello organizzativo dei team delocalizzati adottato nel 2010 è presente in altre regioni d'Italia e conta numerosi addetti; appare discutibile la scelta adottata unilateralmente dall'amministrazione di far cessare l'operatività del team a Foligno;
   pur essendo comprensibile in linea di principio l'esigenza di innovare e semplificare per ridurre i costi, appare discutibile – si ripete – la scelta adottata unilateralmente dall'amministrazione di interrompere l'operatività del team a Foligno né è giustificabile, ad avviso dell'interrogante, secondo un piano generale di razionalizzazione degli uffici poiché più oneroso e faticoso per il personale risulterà effettuare i controlli in luoghi distanti dal capoluogo di regione (da Perugia per raggiungere località come Norcia, Città della Pieve, Gualdo Tadino e altre);
   appare necessario un chiarimento per comprendere quale sia la causa che ha indotto l'amministrazione a procedere alla cessazione della sede di Foligno e se ciò risponda ad un disegno organico e razionale di riassetto organizzativo di tutte le strutture –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano i loro orientamenti;
   se la scelta di operare la cessazione dei team delocalizzati di controllo attualmente operanti sul territorio sia frutto di una scelta o di un programma condiviso dal Governo e dai Ministri interrogati e, in particolare, se condividano le valutazioni economiche e politiche che hanno portato alla scelta di far cessare la operatività del team di Foligno;
   se ritengano che l'eventuale chiusura dei team di controllo con sede a Foligno sia un provvedimento coerente con la necessità di garantire il contrasto all'evasione fiscale ed il mantenimento del livello dei servizi di tax compliance rivolti al contribuente e resi sul territorio;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per l'apertura di un tavolo di confronto tra l'amministrazione e le organizzazioni sindacali e, nelle more, per la sospensione della operatività della decisione di chiusura della sede di Foligno.
(4-05174)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 2001 la competenza sul servizio ferroviario pendolare è delle regioni, che definiscono contratti di servizio con i concessionari, soprattutto Trenitalia, mentre le risorse per il funzionamento del servizio ferroviario regionale sono garantite da finanziamenti statali e regionali;
   tra il 2010 e il 2012 il numero dei treni per le tratte degli Intercity è sceso di oltre il 24 per cento, stando al rapporto «Pendolaria 2013», di Legambiente;
   in 13 regioni tra il 2011 e il 2012 si è assistito ad un taglio di treni e corse in media del 5 per cento ogni anno, per quanto ancora dedotto da Legambiente;
   a settembre del 2013 in Calabria furono soppressi 14 treni locali;
   il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 10 settembre 2013, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 19 settembre, tagliò del 15 per cento le tariffe di pedaggio per l'Alta velocità pagate da Trenitalia e Ntv al gestore dell'infrastruttura, Rete ferroviaria Italiana;
   detto sconto fu proposto da Rete ferroviaria italiana con la motivazione che gli utili del biennio precedente erano stati più alti del previsto e i conti dell'azienda «devono presentare un tendenziale equilibrio tra i ricavi da riscossione dei canoni, le eccedenze provenienti da altre attività, i contributi pubblici» da un lato, e «i costi di gestione» dall'altro;
   a tale riguardo, Vincenzo Ceccarelli, assessore alle infrastrutture e alla mobilità della regione Toscana, rilevò che da un lato si tagliavano i servizi essenziali per i cittadini e dall'altro si emanava un decreto per fare sconti agli operatori dell'alta velocità, con minori introiti per 70 milioni a Rete ferroviaria italiana e con risparmi per 50 e 20 milioni a Trenitalia e al gestore privato;
   per contro, il 21 novembre 2013 il governatore della Toscana Enrico Rossi ricordò un sovrapprezzo di legge «al canone dovuto per l'esercizio dei servizi di trasporto di passeggeri» dell'alta velocità da destinare al sistema ferroviario regionale;
   dal 2011 al 2013, i servizi ferroviari della Calabria sono stati tagliati complessivamente del 16,3 per cento, secondo il rapporto «Pendolaria 2013», mentre le risorse statali per il trasporto regionale su gomma e ferro si sono ridotte del 25 per cento a partire dal 2009;
   circa 100 chilometri di linea ferroviaria interna, anche turistica, sono stati completamente chiusi in Calabria, con riferimento alle tratte Pedace-San Giovanni in Fiore (Cosenza) e Gioia Tauro-Cinquefrondi (Reggio Calabria);
   a livello statale c’è stata una costante riduzione dei finanziamenti, con una diminuzione delle risorse nel triennio 2010-2012 del 22 per cento rispetto al triennio 2007-2009;
   nella legge finanziaria del 2010, i tagli nei trasferimenti alle Regioni per il trasporto ferroviario operati d'allora Ministro dell'economia e delle finanze Giulio Tremonti hanno prodotto una riduzione «strutturale» del 50,7 per cento delle risorse, secondo la stima di «Pendolaria 2013»;
   complessivamente le risorse per il trasporto su gomma e ferro sono inferiori di un quarto rispetto al 2009, dato che il totale disponibile in quell'anno corrispondeva a circa 6,1 miliardi di euro e nel 2013 a poco più di 4,9 miliardi;
   con l'introduzione del Fondo unico per il trasporto pubblico locale desta ancora più preoccupazione il confronto del dato attuale con la cifra per il funzionamento del servizio, che nello studio di «Pendolaria 2013» ammonta a 6,5 miliardi di euro;
   per quanto concerne la regione Calabria, la tabella relativa alla spesa del 2013 per il servizio ferroviario pendolare riporta il valore 0 (zero) sotto la voce «stanziamenti per il servizio» e 30 milioni di euro sotto la voce «materiale rotabile», pari allo 0,29 per cento degli stanziamenti sul bilancio regionale, contro il corrispondente dato della regione Lombardia, superiore di quasi un punto percentuale benché la rete viaria e il trasporto su gomma lombardi siano diffusi in modo capillare;
   in due distinti decreti-legge, il n. 201 del 2011 (all'articolo 37) e il n. 1 del 2012 (all'articolo 36 di modificazione del precedente succitato), il governo ha configurato l'istituzione di una specifica autorità indipendente di regolazione dei trasporti, a completamento della rapida liberalizzazione del trasporto ferroviario, decisa ex abrupto, senza però prevedere un organismo di tutela dei diritti dei passeggeri;
   il 20 novembre 2013 la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione perché lo Stato, a 4 anni dal regolamento che avrebbe dovuto essere attuato entro il 3 dicembre 2009, non ha ancora istituito un'agenzia nazionale permanente per vigilare sulla corretta applicazione dei diritti dei passeggeri nelle ferrovie, né stabilito norme per sanzionare le violazioni della legislazione comunitaria;
   in un recente comunicato stampa di Filt-Cgil Calabria, si legge che «dopo la delibera della giunta regionale dell'8 aprile scorso – 2014 – con la quale, tra l'altro, si tagliano risorse per il trasporto ferroviario regionale per i treni a bassa frequenza, già contestata dalle organizzazioni sindacali, Trenitalia si prepara a produrre soppressioni invece di treni su cui c’è una forte domanda»;
   nello stesso comunicato, Filt-Cgil Calabria aggiunge che «i treni che scompariranno dal 1o luglio sono il 3740 con partenza alle 5 da Reggio Calabria fino a Crotone, il 3751 con partenza da Catanzaro Lido alle 18,05 fino a Reggio Calabria, il 3752 da Reggio Calabria ore 16,05 fino a Catanzaro Lido, il 12712 da Reggio Calabria ore 7,05 a Roccella, il 12713 da Roccella ore 9,50 a Reggio Calabria, il 3696 da Cosenza alle 9,50 a Sapri, il 3697 da Sapri alle 5,30 a Cosenza»;
   Filt-Cgil evidenzia, poi, che «verranno eliminate quattro corse su Tropea e saranno di fatto eliminati i treni sulla Catanzaro Lamezia e quelli da Villa San Giovanni a Rosarno»;
   per finire, nel succitato comunicato, Filt-Cgil esprime la preoccupazione che venga «ulteriormente smantellato il trasporto pubblico ferroviario regionale con la colpevole responsabilità della giunta regionale che taglia le risorse e Trenitalia che, a sua volta, elimina il servizio ferroviario calabrese a più alta frequenza con colpi drammatici per i pendolari, i cittadini ed i lavoratori»;
   per quanto riguarda il contratto di servizio della regione Calabria, nonostante una media di 230 soppressioni di treni al mese non sono affatto previste penali, il che appare paradossale, inspiegabile e finanche incredibile;
   in Calabria un'ulteriore cancellazione di treni e una marcata diminuzione del servizio ferroviario per i pendolari si prevede, secondo la stampa, a partire dall'entrata in vigore dell'orario estivo, che sarà effettivo dal prossimo 15 giugno;
   il risultato dei tagli e delle politiche del trasporto ferroviario è che esiste un Paese a due marce, con i pendolari costretti a viaggiare, per le tratte locali, in treni lenti, sporchi e sovraffollati, mentre i passeggeri del Tav hanno standard di qualità elevati e servizi in crescita;
   a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014, l'articolo 81 della Costituzione dispone che «lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico»;
   a parere dell'interrogante, il nuovo testo dell'articolo 81 appare limitare pesantemente i diritti previsti dalla Costituzione;
   l'emissione della moneta è connessa al signoraggio, che è l'insieme dei redditi che ne derivano;
   il premio Nobel per l'Economia Paul Robin Krugman, in un suo testo scritto con Maurice Obstfeld, definisce il signoraggio come il flusso di «risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi»;
   «il signoraggio moderno – rilevò il deputato Renato Cambursano, nella sua interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-05147 del 20 luglio 2011 – è eclissato nella contabilità dall'azione di dubbia legittimità della banca emittente che pone al passivo il valore nominale della banconota», cioè essa dichiara di sostenere per la produzione della carta moneta un costo pari al suo valore facciale (euro 100 per una banconota del taglio di 100 euro);
   le banche centrali sono le istituzioni che raccolgono la ricchezza e il profitto da signoraggio, che dovrebbero essere trasferiti, coperti i costi di coniatura, alla collettività rappresentata nello Stato;
   tale signoraggio, definito primario, deriva dall'abilità che possiede la singola banca centrale di emettere moneta, stampandola e immettendola nel mercato;
   il signoraggio secondario, invece, è – per come riassunto con chiarezza nel succitato atto parlamentare dal menzionato deputato Cambursano – «il guadagno che le banche commerciali ricavano dal loro potere di aumentare l'offerta di moneta estendendo i loro prestiti sui quali ricevono interessi e, negli ultimi decenni, con l'introduzione di nuovi strumenti finanziari quali, ad esempio, i derivati»;
   l'articolo 1 della Costituzione repubblicana sancisce che «la sovranità appartiene al popolo», sicché del popolo è anche la sovranità monetaria;
   poiché il popolo produce, consuma e lavora, la moneta, sin dall'emissione della singola banca centrale, dovrebbe diventare proprietà di tutti i cittadini che costituiscono lo Stato, il quale però non detiene il potere di emettere moneta;
   la distorsione alla base della sovranità monetaria è stata studiata dal procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini, che ha condensato le sue conclusioni nel volume «La banca, la moneta e l'usura», edizione Controcorrente, Napoli, 2001;
   secondo Tarquini, lo Stato avrebbe avuto i mezzi tecnici per esercitare in concreto il potere di emettere moneta e per riappropriarsi della sovranità monetaria, che avrebbe permesso di svolgere una politica socio-economica non limitata da influenze esterne e, soprattutto, al di fuori di qualsivoglia indebitamento;
   anche il professor Giacinto Auriti, accademico fondatore della facoltà di giurisprudenza dell'università di Teramo, compì diversi studi sulla sovranità monetaria e sul signoraggio, sostenendo che l'emissione di moneta senza riserve e titoli di Stato quali garanzie per la realizzazione di opere pubbliche non produrrebbe inflazione, in quanto sarebbe compensata da eguale aumento della ricchezza reale;
   Auriti sostenne pure che le banche centrali ricaverebbero profitti indebiti dal signoraggio sulla cartamoneta, così originando il debito pubblico;
   lo stesso studioso denunciò l'assenza di una norma giuridica sulla proprietà dell'euro all'atto dell'emissione;
   il 2 marzo 2012 a Bruxelles fu redatto il cosiddetto «fiscal compact», il patto di bilancio europeo che prevede enormi sacrifici;
   con l'approvazione del relativo trattato in Italia, avvenuta nell'estate del 2012, il riferito dispositivo è entrato nella Costituzione italiana;
   il derivante «pareggio di bilancio» è ormai un obbligo, come più sopra visto, tuttavia in contrasto con i doveri della Repubblica e con i diritti dei cittadini, sempre più sottoposti a tagli e tasse che producono perdita di servizi, di lavoro, di economie, di speranza nel futuro;
   l'Italia ha dunque ceduto prerogative di giurisdizione nazionale all'Unione europea, così risultando già ipotecate le politiche economiche dei prossimi decenni;
   l'approvazione del «fiscal compact» e degli atti collegati è opera dell'attuale maggioranza e dell'attuale opposizione, ad esclusione del Movimento Cinque Stelle e di Sinistra, Ecologia e Libertà, che non erano in parlamento nella XVI legislatura;
   il 9 maggio 2010 fu costituito il Fondo europeo di stabilità finanziaria, poi sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes), detto anche Fondo salva-Stati, finalizzato alla stabilità finanziaria della zona euro e istituito dalle modifiche al Trattato di Lisbona (articolo 136);
   le suddette modifiche furono approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles, il 25 marzo 2011;
   il Meccanismo europeo di stabilità ha assunto la veste di organizzazione intergovernativa, col potere di imporre scelte di politica macroeconomica ai Paesi aderenti;
   l'Italia ha sottoscritto una partecipazione al Meccanismo europeo di stabilità di 125.395.900.000 di euro, capitale che, per quanto deciso nella riunione del riunione del 30 marzo 2012 dell'Eurogruppo, dovrà essere versato entro la metà del 2014;
   alle riferite misure europee non corrisponde un'informazione chiara e presto disponibile sui soggetti che le gestiscono, pur se rivolte all'intera popolazione degli Stati membri, in larga parte esclusa dalla conoscenza di trattati e dispositivi che nella pratica ne limitano in misura non più controllabile la capacità di spesa, con soppressioni continue dei servizi pubblici indispensabili, diminuzione dei trasferimenti statali agli enti del territorio, dissesti sempre più frequenti e il concreto rischio di sgretolamento della rappresentatività democratica;
   è recente, poi, la proposta di europeizzazione delle quote eccedenti il 60 per cento del rapporto fra debito del singolo Stato membro e Pil, da raggiungere entro 20 anni secondo le previsioni del «Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria»;
   nella formulazione corrente, la predetta europeizzazione delle quote eccedenti, denominata «Fondo di redenzione europeo», prevede, come garanzia dal singolo Stato membro, la possibilità di aggredire propri beni demaniali, opere d'arte e riserve auree;
   la riforma delle pensioni cosiddetta «Fornero», dal nome del Ministro responsabile, emanata ai sensi dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, la quale – arrivata in un contesto di crisi economica su cui, a parere dell'interrogante, si registra una generale, gravissima menzogna in ordine alle sue cause – ha esteso a tutti i lavoratori il metodo di calcolo contributivo delle pensioni, di fatto condannando le nuove generazioni all'indigenza nella vecchiaia e dimenticando completamente la condizione del Mezzogiorno italiano, in cui persistono il lavoro nero e il lavoro mafioso, dei cui proventi, per l'Istat, si potrà inserire – a partire dal 2014, in coerenza con le linee Eurostat – una stima nei conti (e quindi nel Pil), con riferimento ad attività illegali come traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (di sigarette o alcol);
   a parere dell'interrogante, i diritti fondamentali e inviolabili previsti nella Costituzione repubblicana sono seriamente in pericolo, sulla base di quanto qui detto sulla sovranità monetaria, di fatto secondo gli interroganti sottratta al popolo costituzionalmente sovrano, di quanto poi significato sulle cause reali del debito pubblico, di quanto accennato sulla sostanziale perdita di rappresentatività democratica – visto che i processi decisionali decisivi sono rimessi, per l'Europa, a organismi non elettivi – e infine di quanto articolato in materia di strumenti che si assumono di stabilizzazione delle finanze pubbliche;
   oltre a quanto appena opinato, a parere dell'interrogante è in pericolo l'intera tenuta del sistema, che – con riferimento alla delicata questione dei trasporti ferroviari, oggetto della presente interrogazione – non riesce più a reggersi per causa di un continuo e progressivo taglio della spesa pubblica, cui – anche per le liberalizzazioni avvenute – corrisponde, come visto, un vantaggio esclusivo per i gestori privati di servizi di minore necessità;
   la Calabria è una regione ad alto tasso di criminalità organizzata, in cui la ’ndrangheta ha avuto modo di espandersi anche per causa dell'emigrazione e di una corrispondente cultura della subordinazione favorita dall'isolamento delle singole realtà territoriali;
   a parere dell'interrogante, occorrono prontamente risposte univoche sulle risorse disponibili per il trasporto ferroviario –:
   se non ritengono di dover intervenire, nell'ambito delle rispettive competenze, per assicurare alle regioni i fondi necessari al buon funzionamento del servizio ferroviario regionale;
   quali misure – in particolare per il Sud dell'Italia e per la Calabria, i cui collegamenti interni e con il resto dell'Italia risultano molto problematici – possano adottare perché all'aumento generale delle tasse corrispondano servizi adeguati e non attempati, nella fattispecie del trasporto ferroviario pubblico. (4-05181)


   BALDASSARRE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie riportate in passato da Il Fatto Quotidiano, l'organo di informazione Il Velino ha ricevuto da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri cospicui finanziamenti –:
   se trovi conferma l'organo di informazione Il Velino abbia ricevuto finanziamenti da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri ed in caso di risposta affermativa, per quali importi e fino a quale data;
   se l'organo di informazione Il Velino tuttora riceva finanziamenti da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri e, in caso di risposta affermativa, per quali importi. (4-05182)


   PARENTELA, NESCI e DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio regionale della Calabria – sciolto per le dimissioni del 29 aprile 2014 del presidente della giunta, Giuseppe Scopelliti, condannato in primo grado per abuso d'ufficio e falso, con interdizione perpetua dai pubblici uffici e conseguente sospensione ex articolo 8 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 – nella seduta del 3 giugno 2014 ha adottato la legge elettorale per l'elezione dei consiglieri regionali e del presidente della giunta regionale;
   in considerazione del suddetto provvedimento di sospensione, che nel tempo ha preceduto l'approvazione della nuova legge elettorale in argomento, questa stessa legge potrebbe aver avuto una dubbia legittimazione, stando alla lettera dell'articolo 33 dello statuto della Calabria regione Calabria, che al comma 6 prevede «nuove elezioni del Consiglio e del Presidente della Giunta in caso di rimozione, impedimento permanente, morte, incompatibilità sopravvenuta e dimissioni volontarie del Presidente», mentre al comma 7 prescrive che «il Presidente della Giunta e la Giunta rimangono in carica fino alla proclamazione del nuovo Presidente»;
   nell'adozione del proprio sistema elettorale le regioni devono rispettare i princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, come espressamente previsto dall'articolo 122 della Costituzione;
   l'articolo 4, comma 1, lettera a) della legge n. 165 del 2004, che detta i suddetti princìpi, richiede alle regioni di legiferare in materia elettorale in modo da assicurare la governabilità attraverso la formazione di una maggioranza stabile, nel contempo salvaguardando la rappresentanza delle minoranze;
   la nuova legge elettorale della Calabria prevede, ai fini della assegnazione dei seggi in Consiglio regionale, la fissazione di una soglia minima di sbarramento pari al 15 per cento, insieme all'accorpamento dei collegi provinciali di Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia in un unico collegio;
   ad avviso degli interroganti tale ultima previsione appare severamente critica sotto il profilo della legittimità, in quanto l'accorpamento dei collegi provinciali lede la rappresentanza di territori che corrispondono alle province, ancora esistenti;
   a parere degli interroganti la riferita fissazione della soglia di sbarramento al 15 per cento costituisce palese violazione dell'articolo 122 della Costituzione, nonché – lato sensu – degli articoli 3 e 51 della medesima, immediatamente risultando irragionevole, abnorme, iniqua e lesiva del diritto di rappresentanza, in subordine anche a fronte della soglia prevista dalla precedente legge elettorale della regione Calabria, corrispondente al 5 per cento;
   oltretutto, nella nuova legge elettorale approvata dalla regione Calabria è prevista la figura del consigliere supplente, con la quale si consente la sostituzione, attraverso il subentro del primo dei non eletti, del consigliere chiamato ad esercitare le funzioni di assessore;
   la suddetta disposizione appare agli interroganti priva di ragionevole fondamento e finalizzata all'incremento di «posti» all'interno dell'ente regionale, in quanto ignora gravemente la sentenza n. 35 della Corte costituzionale, che ha dichiarato «l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1 della delibera legislativa statutaria della Regione Calabria «Riduzione del numero dei componenti del Consiglio regionale e dei componenti della giunta regionale. Modifiche alla legge regionale 19 ottobre 2004, n. 25 “Statuto della Regione Calabria”», approvata in prima lettura dal consiglio regionale con deliberazione n. 230 del 9 ottobre 2012 e in seconda lettura con deliberazione n. 279 del 18 marzo 2013, nella parte in cui sostituisce il numero «50» con quello di «40», anziché con quello di «30» –:
   se non ritenga che il sistema elettorale delineato dalla nuova legge elettorale adottata dalla regione Calabria risulti esorbitante rispetto ai limiti e ai principi dell'ordinamento e non intenda perciò valutare se sussistano i presupposti per promuovere la questione di legittimità costituzionale ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione. (4-05185)


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nelle varie versioni delle spending review dei Governi Monti, Letta e Renzi si è sempre parlato di accorpare, tagliare e ridurre gli uffici statali presenti fino ad oggi, praticamente in quasi tutte le 110 province italiane;
   da ultimo, l'attuale Presidente del Consiglio dei ministri ha più volte annunciato la volontà di sopprimere gli organi di giustizia amministrativa;
   sconcerto e preoccupazione sta destando, in particolare, il comunicato del Consiglio dei ministri del 13 giugno, dal quale si è appreso che «Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente, Matteo Renzi, ha approvato misure urgenti per la semplificazione e per la crescita del Paese. Tra queste, le seguenti misure. ..... A decorrere dal 1o ottobre 2014 sono soppresse le sezioni staccate di tribunale amministrativo regionale»;
   tale disposizione, se confermata, ad avviso dell'interrogante potrebbe comportare problemi di costituzionalità, per palese irragionevolezza, nonché violazione dell'articolo 125 della Costituzione, secondo cui «Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione»;
   la soppressione di sedi staccate istituite da vari decenni sembra contrastare con tale previsione costituzionale tenuto conto che – malgrado la richiamata disposizione preveda la istituzione di sedi staccate come una facoltà e non già come un obbligo – nel caso di specie, tale facoltà è stata esercitata da oltre un trentennio;
   la soppressione generalizzata di tutte le sezioni, in assenza di un'analitica valutazione delle singole fattispecie, evidenzia secondo l'interrogante un insanabile vizio di irragionevolezza, né, a giustificare siffatta scelta, potrebbero soccorrere generiche esigenze di riduzione della spesa pubblica, tenuto conto che la prevista abolizione non comporterà alcuna apprezzabile diminuzione della spesa pubblica, mentre comporterà un indubbio aggravio di spesa per i cittadini che chiedono giustizia;
   in particolare, la misura che il Governo si appresterebbe a introdurre ha suscitato la forte preoccupazione della camera amministrativa salernitana e dell'ordine degli avvocati di Salerno per le gravi e irreparabili ripercussioni che avrebbe sulla provincia di Salerno, già fortemente colpita dalla riforma della geografia giudiziaria con la chiusura del tribunale di Sala Consilina, che ha creato un enorme vuoto di giustizia in comuni anche densamente popolati;
   ancora una volta, nell'ottica di quella che all'interrogante appare una finta razionalizzazione della spesa pubblica e degli sprechi, il Governo si rende autore di una inaccettabile manovra che non tiene conto della specificità e delle identità territoriali;
   la sezione di Salerno del TAR Campania, città sede di corte di appello, in particolare, copre i territori delle province di Salerno e Avellino, con un bacino territoriale e una produttività superiore a molti T.A.R. capoluogo di regione, rappresentando un insopprimibile presidio di tutela del cittadino;
   secondo la banca dati ufficiale N.S.I.G.A. (Nuovo sistema informativo della giustizia amministrativa), presso la sezione di Salerno del TAR Campania, istituita nel lontano 1980 e ubicata all'interno di un edificio demaniale e, pertanto, senza oneri economici aggiuntivi, sono stati iscritti – per l'anno 2013 – ben 2431 ricorsi; il volume di contenzioso colloca la sede di Salerno al sesto posto rispetto alle 29 sedi TAR, precedendo importanti sedi di TAR Capoluogo, come il TAR Emilia Romagna-Bologna (con n. 1102 ricorsi), TAR Liguria-Genova (con n. 1371 ricorsi), TAR Marche-Ancona (con n. 1026 ricorsi), TAR Piemonte-Torino (con 1386 ricorsi), TAR Puglia-Bari (con n. 1728 ricorsi), TAR Toscana-Firenze (con n. 1899 ricorsi), TAR Veneto-Venezia (con n. 1929 ricorsi);
   al 16 giugno 2014 il numero di ricorsi depositati (n. 1247) supera di circa duecento unità il numero di ricorsi depositati nello stesso giorno del precedente anno, con un contenzioso, dunque, in significativo aumento;
   per la definizione dei ricorsi nel 2013 (n. 4554) la sezione di Salerno si colloca, poi, al quinto posto per produttività della sede, mentre si colloca al quinto posto per numero di ricorsi pendenti (n. 13494 al 16 giugno 2014), in fase di smaltimento mediante la fissazione di udienze straordinarie;
   la misura che il Governo intenderebbe assumere, piuttosto che velocizzare la definizione delle controversie pendenti, creerà, pertanto, ulteriori disfunzioni e criticità, finendo inevitabilmente per allungare i tempi dei processi e provocando una situazione di totale caos che ricadrà su tutti gli utenti della giustizia amministrativa;
   la soppressione della sezione distaccata di Salerno comporterà, infatti, una concentrazione delle controversie innanzi all'unico TAR regionale, con conseguente ingolfamento delle segreterie;
   in caso di accorpamento al TAR di Napoli, poi, lo spostamento del personale eccederebbe i 50 chilometri stabiliti come limite generale alla mobilità obbligatoria e si proietterebbe su una città, Napoli appunto, fortemente critica per la mobilità urbana ed extraurbana;
   una semplificazione della giustizia amministrativa non può certamente passare da un indiscriminato accorpamento dei tribunali amministrativi, né tantomeno da un loro irragionevole riassorbimento negli organi della giustizia civile: la giustizia amministrativa ha, infatti, numeri più bassi e tempi migliori di quella civile e ha, ovviamente, delle sue specificità, configurandosi come organo di controllo imprescindibile dell'operato della pubblica amministrazione nei confronti dei cittadini;
   una cancellazione delle sezioni distaccate dei tribunali amministrativi, così come una loro diluizione nella giustizia civile, in assenza di una valutazione sulle concrete ricadute sociali e sulla funzionalità del servizio, appare all'interrogante un atto a dir poco impulsivo, presumibilmente indotto dal carattere sommario della decretazione d'urgenza, che meriterebbe un radicale ripensamento almeno in sede di Assemblea parlamentare –:
   quali urgenti iniziative intendano sussumere per scongiurare il rischio di soppressione indiscriminata delle sezioni distaccate dei tribunali amministrativi regionali, soprattutto nella provincia di Salerno, dove si tramuterebbe in un grave e irreparabile danno al funzionamento della macchina della giustizia, nonché quali impatti avrebbe sul contenzioso il loro eventuale riassorbimento negli organi della giustizia civile. (4-05192)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TIDEI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Convenzione di Parigi del 1997, istitutiva dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC), prevede, tra l'altro, che la suddetta Organizzazione assicuri l'attuazione della Convenzione, fornisca assistenza e protezione a tutti gli Stati Parte vittime di minacce o aggressioni con armi chimiche e promuova la cooperazione internazionale per lo sviluppo della chimica a fini pacifici, nonché attribuisce all'Organizzazione la facoltà di effettuare accertamenti di vario tipo per verificare che gli Stati Parte rispettino i prescritti obblighi e, in particolare, che distruggano tutte le armi chimiche in loro possesso e non ne producano di nuove;
   l'Italia risulta essere in possesso di armi chimiche prodotte prima del 1946. Tali armi avrebbero dovuto essere distrutte nel rispetto di una particolare procedura entro il 31 dicembre 2012. Tuttavia, all'Italia è stata concessa una deroga temporale, per il prosieguo dell'attività di distruzione delle suddette armi, senza la prescrizione di una data stabilita, né a breve né a medio termine. Pertanto, l'Italia deve distruggere gli ordigni chimici in suo possesso «nel più breve tempo possibile» fornendo su base volontaria un rapporto riguardante le attività di distruzione;
   l'Organizzazione ha riconosciuto all'Italia per la distruzione delle residue armi chimiche presenti nel territorio nazionale un contributo pari a 3.347.667 euro;
   ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 496 del 1995 «Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinaggio ed uso di armi chimiche e sulla loro distruzione, con annessi, fatta a Parigi il 13 gennaio 1993», come modificata dalla legge 93 del 1997, il Ministero degli affari esteri è designato come Autorità nazionale. Secondo quanto disposto dal sopra richiamato articolo 9 presso l'Autorità nazionale è istituito un ufficio di livello dirigenziale che tra le varie competenze è deputato a:
    a) curare i rapporti con l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, nonché a mantenere i collegamenti con le Autorità nazionali degli altri Stati Parte e a stipulare gli accordi di impianto;
    b) promuovere e coordinare le attività delle Amministrazioni competenti;
    c) presentare annualmente al Ministro degli affari esteri una relazione sullo stato di esecuzione della convenzione e sugli adempimenti effettuati ai fini della sua ulteriore trasmissione al Parlamento entro il 31 marzo di ogni anno;
    d) ricevere i dati delle Amministrazioni interessate circa la produzione, il possesso, l'utilizzo, il trasferimento, l'importazione, l'esportazione dei composti chimici di cui alla convenzione, nonché quelli relativi al rinvenimento e alla distruzione di armi chimiche;
    e) informare le Amministrazioni interessate sulla situazione nazionale;
   in data 20 marzo 2014 il Sottosegretario di Stato alla Difesa, onorevole Gioacchino Alfano, ha risposto all'interrogazione n. 5-01015 dell'onorevole Grande. Nel testo della risposta emerge che l'acquisizione e l'installazione di un ossidatore termico, nel territorio di Civitavecchia, sono finalizzate a bruciare le armi chimiche residuate della seconda guerra mondiale. Il Sottosegretario Alfano ha altresì spiegato le ragioni che hanno determinato la scelta di un ossidatore termico, da realizzarsi ex novo, anziché avvalersi di altri sistemi, per la demilitarizzazione di munizionamento a caricamento speciale. In particolare il Sottosegretario ha rilevato che l'utilizzo di un ossidatore termico consente di:
    a) ridurre l'impatto ambientale connesso con l'accumulo dei prodotti di reazione derivanti dall'attuale processo di demilitarizzazione di munizionamento contenente iprite e miscele derivate. Le emissioni in atmosfera saranno ampiamente contenute entro i limiti imposti dalla vigente normativa e i relativi valori saranno costantemente monitorati in tempo reale;
    b) avviare lo smaltimento di altri aggressivi chimici non eliminabili con la tecnologia in uso presso l'attuale impianto di demilitarizzazione del centro tecnico logistico interforze (Ce.T.L.I.) nucleare batteriologico chimico (NBC) di Civitavecchia;
    c) finalizzare lo smaltimento degli ordigni a caricamento speciale presenti presso il Ce.T.L.I. NBC;
    d) limitare le operazioni di movimentazione e manipolazione dei proietti al fine d'incrementare la sicurezza dell'infrastruttura e del personale addetto alle lavorazioni;
   relativamente alle motivazioni che «hanno originato l'eventuale acquisizione» dell'impianto esse derivano, secondo quanto si rileva dalla risposta del Sottosegretario, dal deficit tecnologico che caratterizza gli altri impianti attualmente in funzione, i quali ancorché affidabili in tema di sicurezza delle operazioni, non sono tecnologicamente all'avanguardia, poiché non consentono la distruzione di tutte le tipologie e di adeguati quantitativi di munizionamento chimico stoccato, impedendo di ottemperare pienamente agli impegni assunti con la Convenzione di Parigi;
   per quanto riguarda le problematiche relative alla tutela ambientale il Sottosegretario ha rilevato come, grazie ad emissioni in atmosfera ampiamente entro i limiti imposti dalla vigente normativa, i valori delle emissioni saranno costantemente monitorati in tempo reale da una centrale remotizzata (a distanza);
   non sembrerebbe coerente la scelta di acquisire e installare un ossidatore termico, poiché l'Italia è tenuta a distruggere il residuo delle armi chimiche in tempi, se non certi, verosimilmente non lunghi –:
   quale sia la percentuale, nei limiti dei dati che possono essere resi noti, di ordigni già distrutti dal 1997 ad oggi;
   quanti ne rimangano e quale sia la loro tipologia così da valutare le percentuali, nonché i quantitativi effettivi ancora da distruggere per raggiungere l'obiettivo di eliminazione totale delle vecchie armi chimiche ancora presenti in Italia, ciò al fine di capire, anche e soprattutto, in termini ambientali la variazione di incremento che il territorio di Civitavecchia si deve aspettare da questa operazione;
   se siano state esplorate altre soluzioni alternative con minor impatto ambientale ed economico nonché con minori rischi per il territorio e le comunità interessate, alla luce dell'assenza di una scadenza temporale prefissata per la distruzione delle armi chimiche residuali presenti ancora sul territorio nazionale.
(5-03017)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIBILIA, SPADONI, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, D'UVA, COLONNESE, BARONI e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 aprile 2014 sul sito on-line del quotidiano L'Arena di Verona (www.larena.it) veniva pubblicato un articolo dal titolo «Sequestrato in aeroporto a Mosca»;
   nel citato articolo Ubaldo Procope, riferendosi ad una vicenda datata 2 aprile 2014, dichiarava: «Mi hanno sequestrato per dieci ore all'aeroporto di Mosca. Mi hanno trattato come una bestia, senza portarmi da bere né da mangiare, senza darmi spiegazioni. Mi sono sentito rapito, privato anche del mio passaporto senza il quale, in quel Paese, non si può fare nulla»;
   Ubaldo Procope è un esperto di arte russa e commercio icone, lavora in questo settore da quindici anni e regolarmente si reca a Mosca per l'acquisto da privati di pezzi che poi vengono certificati dal Ministero, al fine di superare i controlli doganali;
   nel corso della trasferta d'inizio aprile Ubaldo Procope aveva acquistato tredici icone, per un valore commerciale di oltre 10 mila euro, da vendere poi in Italia, Francia, Inghilterra e Svizzera. Per i pezzi, come prevede la legge, è stata richiesta al Ministero l'autorizzazione all'esportazione, dopo aver effettuato la perizia dei prodotti. Solo con questi due certificati e con il pagamento delle tasse doganali pari al 10 per cento del valore della merce è possibile portare icone fuori dalla Russia;
   nel citato articolo Ubaldo Procope dichiarava: «Mercoledì mattina, alle otto, sono arrivato all'aeroporto di Domodedovo, a Mosca. Al momento del check-in mi hanno portato in una stanzetta riservata al personale dello scalo: io facevo domande, loro non mi davano spiegazioni. Intanto passava il tempo, il mio volo per l'Italia era già decollato e le mie valigie trattenute anch'esse alla dogana. Gli addetti parlavano tra di loro, io non li capivo. A un certo punto ho visto che aprivano i miei bagagli e fotografavano le icone una a una, compilando delle carte»;
   dopo dieci ore senza cibo né acqua e a seguito di un interrogatorio la dogana ha rilasciato Ubaldo Procope restituendogli il passaporto ma non la merce regolarmente acquistata;
   Ubaldo Procope ha già provveduto ad informare dell'incresciosa vicenda il console generale d'Italia a Mosca Piergabriele Papadia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per conoscere i motivi che avrebbero spinto le autorità russe a trattenere il cittadino italiano Ubaldo Procope per dieci ore all'aeroporto e a non restituirgli le tredici icone acquistate e provviste delle certificazioni necessari all'esportazione. (4-05184)


   L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo un'inchiesta condotta da Altroconsumo e pubblicata alla fine del 2013, l'Italia è il terzo Paese d'Europa per consumazione di gamberi di origine tropicale, con circa 64 mila tonnellate ogni anno;
   i maggiori allevamenti di gamberetti tropicali, che rappresentano circa il 20 per cento in valore del mercato ittico internazionale, si trovano per lo più in Cina, Thailandia, Indonesia, India, Vietnam, Brasile, Ecuador e Bangladesh;
   in particolare, gli allevamenti tailandesi, secondo quanto emerge dall'inchiesta di Altroconsumo, ma anche da diverse fonti stampa, anche estere (vedi The Guardian), sono tristemente famosi per il vergognoso sfruttamento delle persone che vi lavorano;
   si tratta per lo più di immigrati, provenienti dalla Birmania o dalla Cambogia, trattati come schiavi e costretti a lavorare per anche 20 ore al giorno per produrre le circa 500 mila tonnellate di gamberetti del marcato thailandese, obbligati a lavorare in capannoni sporchi e malsani, esposti a sostanze chimiche aggressive e spesso senza cure mediche in caso di necessità;
   secondo i dati diffusi dal Labour Rights Promotion Network (LPN) gran parte di questi lavoratori sarebbe minorenne: il 19 per cento ha meno di 15 anni e il 22 per cento ha un'età compresa tra i 15 e i 17 anni;
   quello dello sfruttamento del lavoro, ignobile e già denunciato da altri Stati europei e da alcune grandi catene di distribuzione (si veda Carrefour), non è l'unico risvolto negativo degli allevamenti di gamberetti tropicali: la stessa inchiesta di Altroconsumo denuncia che gli allevamenti costituiscono la principale causa di distruzione delle foreste di mangrovie lungo le coste tropicali;
   per costruire gli impianti per l'acquacoltura di questi crostacei, è stato annientato il 38 per cento della superficie di foreste di mangrovie a livello mondiale, una tipologia di foresta che, oltre ad essere ricchissima di vita vegetale e animale, rappresenta anche un argine naturale contro uragani e maremoti;
   inoltre, questi allevamenti sono anche altamente inquinanti sia perché depositano sui fondali enormi quantità di rifiuti organici – escrementi, scarti di lavorazione, mangimi non consumati, sia perché rilasciano massicce quantità di sostanze chimiche – tra cui antibiotici, utilizzati per prevenire le infezioni, alle quali i crostacei, costretti in vasche anguste rispetto alla loro quantità, sono costantemente esposti –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga quantomeno inopportuno che il mercato italiano continui ad incentivare l'importazione di gamberetti tropicali, considerando le condizioni, sia di sfruttamento dei lavoratori che ambientali, nelle quali vengono prodotti e se intenda mettere in atto iniziative volte a disincentivare il consumo di gamberetti tropicali nel nostro Paese.
(4-05190)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   GRILLO, MANTERO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, BARONI, DALL'OSSO, CECCONI e DI VITA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ormai è da anni che mari italiani sono sottoposti a rischio inquinamento a causa delle trivellazioni, ovvero dell'attività di ricerca petrolifera in corso lungo i litorali italiani che sempre più numerose scandagliano coste e fondali;
   secondo una stima di Legambiente, di qualche mese fa, se tutte le richieste di trivellazioni offshore dovessero essere accettate, l'area coinvolta dagli scavi raggiungerebbe una superficie complessiva di circa 30 mila chilometri quadrati, superiore all'intera Sicilia;
   inoltre, la maggior parte delle domande, arriva da compagnie petrolifere estere, che sperano di approfittare delle vantaggiose condizioni di ricerca offerte dall'Italia;
   dunque si continuano a privilegiare gli interessi delle compagnie petrolifere a discapito di una maggiore tutela delle risorse del mare che possano favorire l'economia locale;
   infatti, non bisogna tralasciare che l'Italia è una sorta di paradiso fiscale per i petrolieri, come previsto dal decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, e successive modificazioni e integrazioni, secondo cui le royalties gravano per il 10 per cento sugli idrocarburi liquidi e gassosi estratti on-shore, e, per il 4 per cento su quelli estratti in mare, contro una media delle aliquote applicate negli altri Paesi del mondo che oscilla tra il 20 e l'80 per cento;
   tanto è stato maggiormente permesso con l'approvazione durante il governo tecnico Monti della SEN, Strategia energetica nazionale, con decreto-legge del 27 dicembre 2012 del Ministro dello sviluppo economico;
   senza contare che a seguito del medesimo disegno di legge, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2013, è divenuto più allarmante il pericolo di trivellazioni off-shore in un'area che costituisce parte della piattaforma continentale italiana e si estende a est nel Mare Ionio meridionale e a sud-est nel Canale di Sicilia;
   infatti il provvedimento ha disposto il più grande allargamento di una zona marina concedibile per attività petrolifera «Zona marina C – settore sud, in Sicilia» per la ricerca e la coltivazione degli idrocarburi in mare, prevedendo tre mesi per richiedere i permessi, e che si sovrappone addirittura ai blocchi di mare di Malta per cui si è reso necessario a novembre 2013 un incontro tra il Presidente del Consiglio dei ministri e il premier maltese Joseph Muscat con il fine di superare, attraverso un accordo, l’impasse sull'esplorazione nelle aree contese;
   inoltre in Sicilia, come in tutta Italia, per ogni singola concessione c’è una franchigia annua per le prime 50 mila tonnellate, per le estrazioni offshore equivalenti a 300 mila barili di petrolio, mentre sotto questa soglia produttiva, le società non sono obbligate a pagare l'esiguo 4 per cento per le estrazioni offshore. Inoltre va sottolineato che è la compagnia l'unica responsabile della corretta misurazione delle quantità prodotte comunicate mensilmente all'URIG;
   prevedendo dunque la semplificazione dell’iter autorizzativo per il rilascio alle compagnie petrolifere dei permessi per la ricerca e sfruttamento degli idrocarburi anche in prossimità di coste e zone protette, sarebbero sostanzialmente esclusi gli aspetti di carattere ambientale; senza contare che tutti i soggetti interessati possono presentare istanze di permesso di prospezione o di ricerca per idrocarburi liquidi e gassosi ai sensi delle norme vigenti; le associazioni ambientalistiche, Greenpeace, insieme a Stoppa la Piattaforma, Apnea Pantelleria e le associazioni di pescatori, Agci-Agrital Sicilia e LegaCoop Pesca Sicilia, si sono opposte con forza alle trivellazioni off-shore;
   preme rilevare, che la normativa italiana si contrappone alla risoluzione legislativa votata in prima lettura dal Parlamento europeo il 21 maggio 2013, sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza delle attività offshore di prospezione, ricerca e produzione nel settore degli idrocarburi, con la quale si avvia a compimento il procedimento per l'adozione del nuovo regolamento che prevede sostanziali innovazioni normative in materia di autorizzazione delle attività estrattive, prevenzione degli incidenti, responsabilità per il danno ambientale e cooperazione fra gli Stati membri dell'Unione europea, secondo la quale qualsiasi attività di trivellazione deve essere sottoposta a verifiche e controlli periodici, prevedendo che per ottenere una licenza siano indispensabili una valutazione di impatto ambientale e un piano di risposta alle possibili emergenze –:
   quale esito possano produrre ovvero hanno prodotto le suddette attività e quali siano gli intendimenti del Governo in merito alla prosecuzione delle attività di ricerca;
   se non ritenga, il Ministro interrogato, di dover decidere l'immediata sospensione dei lavori e di attivarsi adottando provvedimenti di immediata moratoria di ogni tipo di ricerca e trivellazione in mare;
   in che modo e con quali tempi intenda procedere alla istituzione nel canale di Sicilia di una zona di protezione ecologica come previsto dalla legge n. 61 del 8 febbraio 2006;
   se ritenga opportuno dover rivedere il complesso delle autorizzazioni per la ricerca, le prospezioni e le perforazioni in mare rilasciate a seguito del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 27 dicembre 2012, che ha ampliato la zona marina «C». (4-05176)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRANDOLIN. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Selex ES, una società Finmeccanica, è leader internazionale nella realizzazione di sistemi per la difesa, l'aerospazio, la sicurezza e la protezione delle informazioni, delle infrastrutture e del territorio, nonché di soluzioni «smart» sostenibili;
   nello stabilimento Selex ES di Ronchi dei Legionari in Friuli Venezia Giulia, vengono prodotti gli aerei Falco: il primo velivolo senza pilota in Europa che ha ottenuto la certificazione Enac nel 2005; le caratteristiche dei Falco sono frutto di un lungo lavoro di ricerca partito nei primi anni 2000; infatti il Falco può essere pilotato sia in modalità manuale che automatica;
   il velivolo Falco attualmente è operativo presso 5 clienti internazionali, compreso l'ultimo contratto di servizio con le Nazioni Unite per attività di sorveglianza nell'ambito della missione di peacekeeping «Monusco» in Congo; 
   per questa operazione molti ambasciatori hanno avuto parole di elogio per il fondamentale aiuto dei «Falchi» italiani che hanno dato un contributo non solo alle operazioni dei soldati dell'ONU, ma anche ad altre agenzie: dall'appoggio dal cielo alla spedizione del Pam, al salvataggio di civili che stavano annegando nel lago Kiwu;
   persino il segretario generale dell'ONU, Ban Ki Moon ha voluto sottolineare la soddisfazione dell'ONU per il servizio che stanno dando i «Falchi» nell'ambito della missione «Monusco»;
   mentre i velivoli italiani vengono apprezzati e utilizzati all'estero, in Italia dove è in atto un colossale sbarco di migranti, che vede nell'operazione Mare Nostrum impiegati centinaia di droni, a quanto pare stranieri, dei «Falchi» non vi è traccia –:
   per quali motivi l'Aeronautica militare italiana preferisca utilizzare velivoli prodotti all'estero e non una eccellenza italiana cosa che contribuirebbe a mantenere posti di lavoro nello stabilimento di Ronchi dei Legionari, e non solo, che rischiano la cassa integrazione o il licenziamento. (4-05179)


   RIZZO, CORDA e BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo Militare del Sovrano Militare Ordine di Malta è corpo ausiliario dell'Esercito italiano; in base a una convenzione firmata all'inizio del 2014 (in sostituzione di analoga del 1949) esso fornisce supporto sanitario all'Esercito in caso di guerra o emergenze;
   tale convenzione, nonostante il Corpo dipenda dall'Associazione italiana del Sovrano militare ordine di Malta (ACISMOM), è stata firmata dal Ministro della difesa e dal Gran cancelliere del Sovrano Ordine di Malta Jean-Pierre Mazery, formalmente il ministro degli esteri dell'Ordine che, com’è noto, gode dello statuto di extraterritorialità. Quest'ultima cosa, a suo tempo, sollevò diverse perplessità in considerazione del fatto che il Corpo militare del Sovrano militare ordine di Malta è a tutti gli effetti inserito nelle Forze Armate della Repubblica italiana;
   attualmente il comandante è un colonnello facente funzioni mentre, in base all'articolo 1764 del Codice dell'ordinamento militare, il comandante dovrebbe essere un generale; il regime di vacatio dura dal luglio 2010 a seguito del pensionamento del precedente comandante, generale Mario Prato;
   il Corpo militare del Sovrano militare ordine di Malta e composto da 19 militari in servizio permanente, costituenti il Nucleo permanente di mobilitazione, e da circa 500 volontari mobilitabili; gli ufficiali del corpo sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica;
   in base ad una convenzione sottoscritta tra il Corpo militare del Sovrano militare ordine di Malta con il Ministero della difesa gli ufficiali superiori devono essere scelti tra gli ufficiali laureati;
   l'assunzione di personale in servizio permanente non risulta avvenga attraverso concorso o selezioni pubbliche, come invece la natura pubblica del Corpo consiglierebbe, ma con procedure diverse;
   non risulta che il personale del Corpo disponga di organismi di rappresentanza previsti dalla legge 11 luglio 1978 n. 382, unica eccezione visto che ne sono dotati invece anche gli appartenenti al Corpo militare della CRI;
   le attività del Corpo militare del Sovrano militare ordine di Malta sono estremamente limitate, al punto che negli ultimi anni l'unica attività operativa sarebbe consistita nell'inviare per periodi di tempo limitati un ufficiale medico in Kosovo nell'ambito dell'operazione Joint Enterprise, oltre a poche esercitazioni con unità militari e la costituzione di posti di pronto soccorso –:
   quali siano i contenuti della Convenzione firmata nel gennaio 2014 tra il Ministro della difesa e il Sovrano militare Ordine di Malta e se non ritenga di doverla portare a conoscenza del Parlamento;
   quali siano i contributi erogati dal Ministero della difesa e da altri Ministeri al Corpo militare del Sovrano militare Ordine di Malta e quali siano le modalità di rendicontazione di tali contributi;
   quali siano le modalità di arruolamento del personale in servizio permanente in considerazione della natura di ente di diritto pubblico dell'Associazione italiana del Sovrano militare Ordine di Malta;
   quali siano inoltre le modalità e i criteri di nomina degli ufficiali superiori e, nello specifico, se sia sempre garantito il possesso del prescritto titolo di studio;
   per quale motivo al personale volontario e in Spe del Corpo non siano garantiti i diritti di rappresentanza sanciti dalla legge 11 luglio 1978 n. 382. (4-05194)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   OTTOBRE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il signor Lino Gobbi di Arco (Trento) conduce da anni una dura battaglia «burocratica» per veder riconosciuto il diritto ad un assegno vitalizio secondo quanto previsto dalla legge n. 791 del 18 novembre 1980 «Istituzione di un assegno vitalizio a favore degli ex deportati nei campo di sterminio nazista K.Z.»;
   infatti, con un'istanza del 7 febbraio 1986, il signor Gobbi chiese alla Commissione per le previdenze agli ex deportati nei campi di sterminio nazisti K.Z. di poter fruire dei benefici previsti dalla succitata legge, ma la richiesta fu respinta con la deliberazione n. 34160 del 16 maggio 1986, con la motivazione che l'interessato non fosse stato deportato in un campo di sterminio K.Z., né ristretto nella risiera di San Sabba a Trieste;
   avverso detta pronuncia il signor Gobbi presentò ricorso alla D.G. delle pensioni di guerra che, con nota del 16 maggio 1993, gli comunicò che non essendo stato possibile definire il ricorso entro il biennio dalla presentazione, previsto dalla legge n. 656 del 1986, tale ricorso doveva intendersi respinto, salvo la possibilità di ricorrere alla Corte dei conti;
   con atto depositato il 20 aprile 1993, il signor Gobbi ha ricorso alla Corte dei conti richiamando la documentazione, i fatti ed i motivi già dedotti innanzi al Ministero del tesoro e cioè: fatto prigioniero l'8 settembre 1943 dalle truppe tedesche e deportato nello Stalag IXA di Ziegenhain, nelle vicinanze di Kassel, fu sottoposto ad atti persecutori e sevizie per non aver voluto aderire alla Repubblica di Salò;
   inviato a Kassel, per recuperare i cadaveri delle vittime di un bombardamento, saccheggiò un magazzino militare di viveri sottoposto al comando generale delle SS di Kassel, consentendo ai prigionieri addetti ai lavori ed anche ai civili, allo stremo delle forze, di sfamarsi;
   per reazione, le SS isolarono tutti i prigionieri in celle di punizione in attesa della fucilazione e, dopo 60 giorni, fu sottoposto a sommario processo e condannato a 4 anni di carcere; dal 3 marzo 1944 fu trasferito nel penitenziario di Butzbach, nel quale erano stati internati cittadini del Lussemburgo arrestati per atti di resistenza, oltre a prigionieri di altre nazionalità, dove rimase detenuto fino all'aprile del 1945, all'arrivo delle truppe americane;
   la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Trentino-Alto Adige, con la sentenza n. 22 del 1997, ha respinto il ricorso del signor Gobbi richiamando i contenuti del decreto del Presidente della Repubblica n. 2043 del 6 ottobre 1963, del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 23 dicembre 1978, della legge n. 656 del 6 ottobre 1986 nonché dalla già citata legge n. 791 del 18 novembre 1980;
   secondo la sentenza, infatti, la legge n. 791 del 1980 individua quali destinatari del vitalizio i cittadini italiani che, per ragioni di razza, fede o ideologia, furono deportati nei campi di concentramento nazionalsocialisti per aver compiuto atti relativi alla lotta di liberazione, svolto attività politica in contrasto con le direttive del regime fascista e delle forze tedesche di occupazione, appartenuto a partiti politici vietati e così via; la concessione dei benefici è esclusa, quindi, per quanti, pur in condizioni di prigionia in Germania, si trovassero in situazioni diverse da quelle indicate dalla legge;
   il signor Gobbi ha presentato, il 9 luglio 1997, ricorso in appello alla sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti, contro la sentenza n. 22/97 e contro la deliberazione n. 34160/86 contestando soprattutto la definizione del reato di «saccheggio» dato dall'autorità tedesca, definizione che deve essere contestualizzata all'evento bellico ed alla ovvia e risaputa volontà delle autorità germaniche di far apparire i nemici che attentavano alla sicurezza del loro paese come banditi;
   l'elemento che qualifica positivamente l'atto del signor Gobbi e ne connota la sua qualità di atto di resistenza è l'oggetto materiale su cui è ricaduta l'azione: i viveri asportati non erano custoditi in abitazioni private o negozi, ma si trovavano in un deposito militare e cioè, come si legge all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 2043 del 1963, all'interno di un'opera strumentale alla produzione tedesca in quanto adoperata per l'interesse primario e per i fini istituzionali delle forze armate;
   in data 19 maggio 1998, la Corte dei conti ha dichiarato inammissibile l'appello presentato dal signor Gobbi contro la sentenza n. 22 del 1997;
   successivamente, essendo intervenuto il sindaco di Arco con lettera del 29 maggio 2001, il Ministero dell'economia e delle finanze, con lettera del 25 ottobre 2001, ha dichiarato che «stante le definitive pronunce delle competenti autorità amministrative e giurisdizionali, il rapporto si è ormai giuridicamente esaurito e non è più suscettibile di revisione amministrativa né di rimozione da parte dell'autorità giudiziaria»;
   nel 2002, la Camera dei deputati ha approvato un ordine del giorno in cui si chiede al Governo di intervenire, in tutte le sedi, compreso il Governo tedesco, al fine di riconoscere anche agli «internati militari italiani» (categoria ignorata dalla Convenzione di Ginevra del 1929 sui prigionieri) lo status di prigionieri di guerra al fine di addivenire al riconoscimento di un indennizzo –:
   se non ritenga, per quanto sopra esposto, di dover promuovere un'iniziativa normativa che intervenga e modifichi le condizioni previste per la titolarità dell'indennizzo agli ex internati, anche al fine di rendere giustizia ove ne ricorrano i presupposti a chi, come il signor Lino Gobbi che ha servito lealmente il proprio Paese, si vede negato tale diritto. (4-05191)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRUNO BOSSIO, MAGORNO, COVELLO e AIELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale del 19 settembre 2013 il Ministro della giustizia pro tempore ha costituito presso il suo gabinetto un gruppo di lavoro col compito di monitorare lo stato di realizzazione della riforma della geografia giudiziaria, introdotta dai decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012, rilevare eventuali criticità e proporre idonee soluzioni organizzative e normative, da adottare nell'arco di tempo concesso per l'emanazione di decreti correttivi;
   in data 11 giugno 2014 è stato pubblicato sul Sole 24 Ore un resoconto dell'attività di monitoraggio da parte del gruppo di lavoro e dell'esito dello stesso;
   nella stessa pubblicazione si fa riferimento, quanto al caso Rossano, a dichiarazioni acquisite dal gruppo di lavoro dal presidente del tribunale di Castrovillari, secondo cui la sede dell'ufficio accorpante sarebbe dotata di locali addirittura sovrabbondanti rispetto alle necessità consequenziali all'accorpamento dei due uffici giudiziari di Castrovillari e Rossano;
   nel report gestionale, inviato nel dicembre 2013 al Consiglio superiore della magistratura e alla corte d'appello del proprio distretto, lo stesso presidente del tribunale di Castrovillari ha dichiarato, al contrario, che i locali del tribunale di Castrovillari non sono idonei a soddisfare le esigenze dei due tribunali, perché la struttura è stata progettata e realizzata per far fronte alle attività giurisdizionali del solo circondario originario di Castrovillari e che l'accorpamento ha vanificato i benefici della nuova struttura;
   di fatto l'Ufficio N.E.P. (ufficio notifiche esecuzioni protesti) non ha trovato collocazione nella stessa nuova sede dell'ufficio giudiziario di Castrovillari per mancanza di spazi ed attualmente è allocato altrove, con duplicazione di spesa in locali distanti chilometri, peraltro inidonei per come accertato dal servizio ispettivo dell'Asp, e con il personale UNEP del già tribunale di Rossano ancora oggi ivi allocati;
   in sostanza il gruppo di lavoro, a quanto consta agli interroganti, ha proceduto all'audizione soltanto dei presidenti dei tribunali accorpanti ai quali era stata concessa con decreto ministeriale, ex articolo 8 del decreto legislativo n. 155 del 2012, l'utilizzazione di immobili sede di tribunali o sezioni distaccate soppressi, nonché all'esame di relazioni e documentazione richiesti agli stessi dal gruppo di lavoro ovvero comunque pervenuti, riconoscendo espressamente però di non aver proceduto a specifiche verifiche mirate ad accertare la concreta realtà;
   in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2014, il procuratore generale di Catanzaro, consapevole della criminalità esistente nel circondario di Rossano, ha evidenziato il grave vulnus arrecato all'amministrazione della giustizia nel distretto di Catanzaro con la soppressione del tribunale di Rossano;
   con verbale dell'8 febbraio 2014, l'Unione regionale degli ordini forensi della Calabria ha contestato la decisione di sopprimere il tribunale di Rossano per violazione della lettera B) del comma 2 dell'articolo 1 della legge 14 settembre 2011, n. 148 «in presenza in quel territorio di una criminalità organizzata diffusa, gestita da cosche mafiose, operanti soprattutto nei territori di Rossano, Corigliano Calabro, Mirto Crosia e Cariati, nel cui ambito è stato anche sciolto per infiltrazioni mafiose il Consiglio Comunale di Corigliano Calabro, la città più grande della provincia di Cosenza, criminalità che, dopo il provvedimento di soppressione del Tribunale, ha incrementato la sua attività criminosa, come dimostrano i gravissimi episodi riportati sulla stampa nazionale e locale e come risulta dalla ingente attività della Direzione Distrettuale Antimafia»;
   entrambi gli atti sono stati acquisiti dal gruppo di lavoro e richiamati nella relazione, ma in maniera ad avviso degli interroganti del tutto contraddittoria non sono stati valorizzati nella loro portata;
   il compito del gruppo di lavoro, per espresso riconoscimento operato in relazione, è limitato alla rilevazione di criticità tecniche esulando dai suoi compiti di valutazione le considerazioni di carattere politico e socio-economico riguardanti i territori interessati dalla riforma, di competenza di altri e diversi livelli decisionali;
   numerose sono le relazioni, corredate da documenti, predisposte ed inviate dal foro del tribunale di Rossano in ordine alle criticità strutturali ed ineliminabili che comporterebbe (e sta comportando) l'accorpamento dell'ufficio giudiziario di Rossano al tribunale di Castrovillari: segnatamente l'assenza di infrastrutture idonee di viabilità e la mancanza di collegamenti pubblici, l'inadeguatezza ed incapienza della struttura del tribunale di Castrovillari, l'aumento esponenziale dei costi di notifica a carico dello Stato, per i giudizi di lavoro e previdenza e altre notifiche di cancelleria penale senza l'uso della pec;
   le Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, all'epoca dei Governi Monti e Letta, hanno espresso parere in ordine all'esistenza di criticità da superare per ottimizzare la riforma della geografia giudiziaria, ritenendo la necessità di ripristinare con decreto correttivo, alcuni tribunali erroneamente soppressi e le relative procure, tra cui l'ufficio giudiziario di Rossano;
   nello stesso senso si è espressa nel giugno 2013 la Commissione europea competente in sede di elaborazione delle linee guida per la revisione della geografia giudiziaria, che cita espressamente Rossano indicandolo tra i tribunali da salvare/salvati;
   tanto è emerso anche nel corso di riunioni della Commissione antimafia, segnatamente alla presenza del Ministro della giustizia pro-tempore in sede di audizione;
   nel decreto ministeriale del 13 settembre 2013, autorizzativo dell'utilizzo degli immobili del tribunale di Rossano per anni 2 anche per gli affari penali, è stata riconosciuta la presenza, nel circondario di riferimento, del fenomeno della criminalità organizzata e dei conseguenti numerosi processi penali;
   nel programma elettorale del PD, delle ultime elezioni politiche, nel capitolo giustizia e con riferimento alla nuova geografia giudiziaria, sono state individuate alcune criticità, tra cui l'errata soppressione di alcuni tribunali, tra cui Rossano, assumendone l'impegno del ripristino –:
   se intenda procedere all'adozione di decreti correttivi per il ripristino del tribunale di Rossano, al fine di evitare il pericolo di una paralisi del funzionamento della giustizia nel territorio di riferimento, il rischio della delegittimazione dello Stato di diritto in un'area ad alta densità di criminalità organizzata, e l'aggravio dei disagi per la comunità interessata.
(5-03010)

Interrogazione a risposta scritta:


   VILLAROSA, D'UVA, CANCELLERI, SEGONI e DAGA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l’iter e la valutazione del progetto di elettrodotto Terna Sorgente-Rizziconi sono caratterizzati da numerose «anomalie» nell'applicazione delle norme vigenti (regionali, nazionali e comunitarie), anche se l'opera è in possesso delle autorizzazioni previste dalla legge;
   un'anomalia molto forte è certamente costituita dalla frammentazione a fini della valutazione di impatto ambientale (VIA) dell'originario e unitario progetto. Nella Conferenza dei Servizi del 12 dicembre 2007 il Ministero dello sviluppo economico (MISE) e Terna chiedevano di poter anticipare l'autorizzazione unica di cui alla legge n. 239 del 2004 per quella parte del progetto costituita da interventi ritenuti non soggetti a VIA anche per l'errata interpretazione delle soglie dimensionali. Le risposte erano quasi tutte negative, compresa quella del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM), che già in precedenza aveva diramato, con circolare 15208 del 7 ottobre 2006, l'interpretazione corretta della norma, secondo la quale la VIA si applica all'intero progetto generale definitivo;
   in tal senso si era pronunziato il Consiglio di Stato già nel 2002 con sentenza 4368, reiterata con sentenza 5760 nel 2006 e 3849 nel 2009. Ma anche la Corte di giustizia della Comunità europea interveniva sull'argomento nel 2008 con linea analoga, in occasione della causa C-2/07;
   nel Torrente Gallo, nel comune di Villafranca Tirrena, la costruzione della Nuova stazione elettrica, pur ricadendo in Zona di protezione speciale (ZPS) sottoposta a vincolo paesaggistico, veniva avviata a realizzazione senza la valutazione di impatto ambientale, facendo parte di quel pacchetto di interventi estrapolati dall'originario progetto unitario, non sottoposti a valutazione di impatto ambientale ed autorizzati direttamente dal Ministero dello sviluppo economico con autorizzazione unica del 20 febbraio 2009, mentre la parte di progetto sottoposta a valutazione di impatto ambientale era oggetto dell'autorizzazione unica dell'8 luglio 2010;
   a questo va aggiunto che il progetto della strada di accesso alla nuova stazione, prescritta nel 2008 dal genio civile di Messina e ricadente sempre in ZPS, veniva presentato al comune di Villafranca Tirrena, piuttosto che al Ministero competente, come si sarebbe dovuto fare trattandosi di una variante rispetto al progetto originario autorizzato dal Ministero dello sviluppo economico;
   la sentenza della Corte di costituzione n. 93 del 22 maggio 2013 afferma che i soli limiti geometrici non sono sufficienti per la esclusione di un progetto dalla VIA e dalla verifica di assoggettabilità a VIA, dovendosi fare riferimento anche agli altri elementi di valutazione, peraltro già indicati nell'Allegato V, commi 1, 2 e 3, della Parte II del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni;
   sull'esclusione di alcuni progetti dalla VIA per previsione normativa italiana nel decreto legislativo n. 152 del 2006 lo Stato italiano è oggetto della procedura di infrazione 2009/2086 per interpretazione non corretta della Direttiva VIA 85/337/CEE sulla valutazione di impatto ambientale;
   la Direttiva 2011/92/UE del 13 dicembre 2011 ha puntualizzato la corretta interpretazione della direttiva 85/337/CEE sulla valutazione di impatto ambientale;
   la legge n. 97 del 2013 del 6 agosto 2013 ha recepito formalmente la citata direttiva 2011/92/UE, anche allo scopo di fermare la procedura di infrazione 2009/86 per non conformità alla direttiva 85/337/CEE in materia di valutazione d'impatto ambientale, per le tipologie progettuali di cui all'allegato IV alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   la frantumazione in due del progetto Terna originario e unico depositato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a fine 2006 e la successiva esclusione dalla VIA di una parte del progetto senza valutare alcuno dei parametri già indicati e ribaditi dalla Direttiva 2011 sembrerebbero motivazioni più che valide per chiedere la determinazione comunitaria sulla procedura di infrazione 2009/2086;
   in occasione del rilascio per l'elettrodotto del parere VIA della regione siciliana, prot. 62725 del 7 agosto 2008, i vari elementi di criticità rilegati avevano determinato la prescrizione dell'acquisizione del parere della Commissione europea, secondo quanto previsto dal comma 10 dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e successive modificazioni e integrazioni che norma i casi in cui l'impatto rilevato non consentirebbe di realizzare l'opera. Tale prescrizione veniva dapprima recepita nel decreto VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 29 luglio 2009, ma veniva revocata secondo gli interroganti incredibilmente nel maggio 2010 dalla regione siciliana privo di valida motivazione e nonostante la stessa regione avesse approvato, con DA del 30 giugno 2009, il Piano di gestione della ZPS, che prevedeva l'obbligo di costruzione interrata dei nuovi elettrodotti, dal momento che l'area in questione ricade all'interno di uno dei più importanti corridoi di migrazione del Paleartico Occidentale;
   in fase di realizzazione del progetto gli originari tralicci a V sono stati sostituiti anche in Sicilia da pali monostelo, per una prescrizione paesaggistica relativa alla regione Calabria. Da tener presente che l'obbligo dell'interramento del tratto aereo della regione siciliana, sancito dal piano di gestione della ZPS ITA030042, era motivato dalla necessità di evitare il rischio di elettrocuzione per l'avifauna migratoria. Con la scelta del monostelo i 19 cavi che costituiscono l'elettrodotto si troveranno a distanza molto più ravvicinata: così non solo non si è eliminato il rischio, ma addirittura lo si è accentuato;
   nel fascicolo dell'elettrodotto in questione, consultato nell'inverno del 2013 presso l'assessorato regionale territorio e ambiente, servizio VAS-VIA della regione Siciliana, non si rilevava traccia della verifica di ottemperanza sul progetto esecutivo, indispensabile per l'avvio dei lavori, comunicato da Terna già nell'estate del 2012 e lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ammetteva nel marzo del 2013 il mancato avvio da parte di Terna della verifica di ottemperanza sul progetto esecutivo, nell'ambito del quale doveva essere presentato e verificato il progetto di dismissione di alcune delle linee esistenti, come prescritto in ambito di VIA;
   nel mese di gennaio 2010 veniva pubblicato il piano paesaggistico dell'ambito 9, adottato nel novembre 2009, che individua, fra l'altro, un crinale che scende dallo spartiacque Jonio-Tirreno verso il Mar Tirreno, nel comune di Saponara. Tale crinale risulta sottoposto a livello di tutela 3, il massimo previsto dal Piano, per una larghezza di 400 metri in cui è previsto il divieto di realizzare nuove strade, antenne, elettrodotti e altro;
   il crinale ricade per intero nella ZPS ed è attraversato dal tracciato dell'elettrodotto. Il decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni prevede, all'articolo 143, comma 9, che dalla data di adozione del piano non sono consentiti interventi in contrasto con le previsioni del piano stesso (norme di salvaguardia). L'articolo 10 richiama l'impossibilità di realizzare interventi in contrasto con il Piano stesso, in seguito all'entrata in vigore delle norme di salvaguardia. La stessa normativa all'articolo 57 definisce gli elettrodotti (normali) come opere di rilevante trasformazione del territorio e all'articolo 63 prevede che le autorizzazioni già rilasciate per progetti di opere non ancora intraprese alla data di adozione del Piano restano valide limitatamente alle aree in cui il Piano non preclude la loro realizzazione. Alla luce pertanto di quanto esposto, poiché i lavori dell'elettrodotto sono stati avviati solo a metà del 2012, con la pubblicazione del Piano (2010) l'autorizzazione rilasciata a Terna nel 2007 ha perso la sua validità nella parte che riguarda l'attraversamento del crinale citato e la soprintendenza BBCC, competente in Sicilia per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, non è più titolare dell'ampio potere discrezionale proprio per l'avvenuta adozione del Piano, secondo quanto ben indicato nella sentenza del Consiglio di Stato n. 220 del 2013, ma non esercita i previsti compiti di vigilanza, col risultato che i lavori proseguono nell'area interdetta, con possibili responsabilità penali a livello provinciale, regionale e ministeriale;
   l'Associazione mediterranea per la natura ha già impugnato il decreto di compatibilità ambientale emesso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, n. 342 del 26 maggio 2010, con ricorso al TAR del Lazio sede di Roma, ai sensi della normativa vigente presso il quale pende al n. 8605 del 2010;
   l'Associazione mediterranea per la Natura ha anche presentato altro ricorso al Tar del Lazio in merito alla medesima vicenda;
   anche i cittadini di Serro, uno dei villaggi interessati, hanno presentato ricorso al Consiglio di Stato 911/2013 registro generale ricorsi;
   notevoli criticità sussistono nella parte restante del tracciato siciliano, a Venetico, Monforte San Giorgio e soprattutto Pace del Mela e San Filippo, dove è stata ignorata la già grave situazione preesistente che ha portato nel 2002 alla dichiarazione da parte della regione siciliana dell'area ad elevato rischio di crisi ambientale;
   nonostante quanto sopra enunciato solo a titolo di esempio, Terna ha ritenuto opportuno proporre nel Piano di Sviluppo 2013 un secondo elettrodotto nel territorio siciliano, dalla stazione elettrica nel torrente Gallo a Sergente, ripercorrendo lo stesso territorio gravato dai numerosi vincoli di vario tipo Sic, Zps, vincoli paesaggistici, vincoli derivanti dalla presenza dell'area ad elevato rischio di crisi ambientale e dalla esiguità del territorio attraversato e sta procedendo alla cosiddetta concertazione con gli enti locali –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno valutare nuovamente la realizzazione dell'intera opera e della nuova proposta di elettrodotto tra Villafranca Tirrena e Sorgente, considerando anche i ricorsi presentati al Tar Lazio ed al Consiglio di Stato, i quali, in caso di accoglimento, potrebbero avere effetti notevoli sulle procedure di autorizzazione dell'opera;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno valutare nuovamente la realizzazione dell'intera opera e della nuova proposta di elettrodotto tra Villafranca Tirrena e Sorgente, considerando anche i rischi notevoli di procedura di infrazione per le irregolarità segnalate in tema di valutazione di impatto ambientale e di siti natura 2000;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno una sospensione immediata della realizzazione dell'elettrodotto per trovare una unica soluzione in Sicilia per entrambi gli elettrodotti, da realizzare possibilmente via mare o con galleria dedicata, risolvendo così ottimamente in unica soluzione tutte le problematiche evidenziate e derivanti anche dal fatto che non può addossarsi alla popolazione della cuspide nord orientale della Sicilia l'onere derivante dalle esigenze di attraversamento dello Stretto di Messina, che deve essere realizzato con soluzioni straordinarie, tipo galleria. (4-05193)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 68, comma 4, del codice della strada stabilisce che «con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sono stabilite le caratteristiche costruttive, funzionali nonché le modalità di omologazione dei velocipedi a più ruote simmetriche che consentono il trasporto di altre persone oltre il conducente»;
   risulta all'interrogante che, a oggi, non sia stata data attuazione alla predetta norma;
   in Italia esistono diverse imprese di costruzione di velocipedi a più ruote simmetriche, che offrono una variegata gamma di prodotti, alcuni dei quali internazionalmente noti;
   risulta opportuno, al fine di garantire la sicurezza della circolazione, definire, sulla base di analisi condotte con rigorosa metodologia tecnico-scientifica, caratteristiche costruttive, funzionali nonché le modalità di omologazione dei velocipedi a più ruote simmetriche che consentono il trasporto di altre persone oltre il conducente –:
   se quanto premesso corrisponda al vero;
   se esistano decreti o regolamenti attuativi della disposizione di cui comma 4 dell'articolo 68 del codice della strada;
   altrimenti, quali iniziative intenda il Governo adottare per dare esecuzione a detto comma. (5-03013)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la linea ferroviaria Pescara-Roma ha tempi di percorrenza di quasi 4 ore per una distanza di appena 200 chilometri;
   nel 1980 si impiegavano 3 ore e 17 minuti, e a distanza di oltre 30 anni si impiegano 45 minuti in più per raggiungere Roma da Pescara;
   basterebbe poco per migliorare il servizio: innanzitutto utilizzare treni più veloci e moderni, svincolare la relazione dal servizio metropolitano Tivoli-Roma, eliminare fermate inutili sia nel territorio abruzzese che in quello laziale, almeno per i collegamenti della prima mattinata e del tardo pomeriggio, come si è fatto per tanti anni dando un servizio accettabile;
   anni fa il treno per Roma fermava solo a Chieti, Sulmona ed Avezzano e in territorio laziale solo a Tivoli, ora le fermate abruzzesi sono 8 e nel Lazio sono innumerevoli e spesso scarsamente inutilizzate;
   la situazione è tale che si ha la sensazione di viaggiare su una diligenza del far west e non su un treno italiano del 2014;
   ciò comporta un disincentivo alla utilizzazione del treno per collegarsi da Pescara a Roma con una proliferazione enorme dell'offerta su gomma via autostrada;
   sarebbe inoltre possibile ridurre i costi di gestione della linea, attivando il controllo centralizzato del traffico, specialmente nel tratto Sulmona-Avezzano, con il pessimo risultato di una modesta riduzione dei costi e un netto aumento dei tempi di percorrenza;
   è possibile avvicinarsi al tempo di percorrenza di poco più di 3 ore da Pescara a Roma solo attraverso accorgimenti del tutto realistici e convenienti per Trenitalia a meno che non si voglia nel tempo decidere la chiusura della relazione con la Capitale, come si è già fatto con il collegamento storico tra Pescara e Napoli;
   il presidente della regione Abruzzo Luciano D'Alfonso ha avanzato a Trenitalia proposte realistiche e risolutive che dovrebbero prese in considerazione in tempi urgenti –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere nei confronti di Trenitalia che, ad avviso dell'interrogante, con il suo comportamento sta affossando la relazione ferroviaria tra Pescara e Roma in modo inspiegabile. (4-05172)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VENTRICELLI e GINEFRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la sera del 16 giugno 2014, poco dopo le 21.30, ad Altamura, in provincia di Bari, è stato assassinato Francesco Cammisa, 29 anni, sorvegliato speciale di pubblica sicurezza, con precedenti per droga colpito a morte nella sua casa davanti a moglie e figlio; a quanto si apprende dalla stampa, un uomo con il volto coperto da un passamontagna ha suonato alla porta dei Cammisa e ha immediatamente raggiunto la camera da letto, dove si trovava la vittima che è stata freddata da due colpi d'arma da fuoco, sotto gli occhi della moglie incinta e del figlio di due anni;
   sarebbe opportuno, ad avviso degli interroganti, che fosse convocato ad Altamura un consiglio comunale monotematico, invitando tutte le autorità civili e militari, come pure sarebbe auspicabile, nelle sedi deputate alla tutela dell'ordine pubblico nella provincia, un coinvolgimento di parlamentari del territorio –:
   se, a seguito di quanto occorso, non ritengano di dover rafforzare le misure di sicurezza nella zona dell'entroterra barese che, in più occasioni, è stata teatro di atti criminosi e di episodi di inaudita gravità ai danni dei cittadini;
   quali ulteriori iniziative intendano assumere per ripristinare nella città murgiana la serenità invocata dall'intera comunità;
   se intendano assumere iniziative affinché il prefetto di Bari convochi senza esitazione alcuna un tavolo sull'ordine pubblico allargato alla presenza delle istituzioni locali per far sentire, immediatamente, la forte presenza dello Stato.
(5-03009)


   ROSTELLATO, BECHIS, CIPRINI e BALDASSARRE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con messaggio n. 13983 del 4 settembre 2013, l'INPS ha riconosciuto agli stranieri con disabilità, regolarmente residenti in Italia e titolari di un permesso di soggiorno di almeno un anno, le prestazioni economiche concesse per invalidità civile;
   infatti, nel citato messaggio si precisa quanto la Corte costituzionale ha più volte dichiarato, e cioè l'illegittimità costituzionale dell'articolo 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno (permesso di soggiorno CE di lungo periodo) la concessione di alcune tipologie di prestazioni assistenziali richieste per cittadini stranieri extracomunitari legalmente soggiornanti nello Stato italiano;
   le sentenze riguardavano l'indennità di accompagnamento (sentenze n. 306/2008 e n. 40/2013), la pensione di inabilità (sentenze n. 11/2009 e n. 40/2013), l'assegno mensile di invalidità (sentenza n. 187/2010) e l'indennità di frequenza (sentenza n. 329/2011 e successiva ordinanza n. 588, del 12 luglio 2013, del tribunale di Pavia);
   pertanto, al fine di conformarsi a quanto stabilito dalla Corte costituzionale, le prestazioni economiche concesse per invalidità civile – indennità di accompagnamento, pensione di invalidità, assegno mensile e indennità di frequenza – dovranno essere concesse «a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti, anche se privi di permesso di soggiorno CE di lungo periodo, alla sola condizione che siano titolari del requisito del permesso di soggiorno di almeno un anno di cui all'articolo 41 TU immigrazione»;
   è chiaro che dovranno esserci anche gli ulteriori requisiti di legge, ossia: condizioni sanitarie, residenza in Italia e altro;
   in merito ai presupposti, rileva la residenza: solitamente accade che, lo straniero che ha la residenza in Italia, e che quindi riceve le prestazioni (previo regolare iter per ottenerne i benefici) non è più controllato e numerosi risultano essere i casi in cui lo stesso, pur avendo regolare documento che ne attesta la residenza in Italia e pur ricevendo mensilmente le prestazioni in premessa, soggiorna, privo di un qualunque controllo, in un altro territorio, il tutto a spese dei cittadini –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente della situazione su esposta;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di regolamentare i controlli, prevedendo, ad esempio, obblighi di presentazione mensile dello straniero presso la stazione dei carabinieri più vicina, in modo da valutare l'effettiva permanenza dello stesso nel territorio italiano, oltre che al fine di limitare situazioni di abuso nei casi di residenza fittizia. (5-03016)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LODOLINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la crescente crisi economica che sta investendo il Paese offre ai clan mafiosi l'opportunità di accrescere i propri guadagni proprio nei territori più dinamici, che saranno costretti a misurarsi con inedite difficoltà;
   secondo il procuratore generale di Ancona Vincenzo Macrì, intervenuto in data 16 giugno 2014 nell'ambito di un incontro svoltosi ad Ancona su iniziativa di Unioncamere e Libera per sottoscrivere un protocollo di intesa per la legalità nell'economia, «nelle Marche non ci troviamo di fronte all'occupazione del territorio da parte della criminalità organizzata ma assistiamo a infiltrazioni della camorra e delle mafie pugliesi, calabresi e, in parte siciliane». Ma anche a infiltrazioni di mafie «nuove» e sono secondo il Procuratore Generale di Ancona «cinese, romena, nigeriana e dell'Europa dell'Est. Organizzazioni che si occupano di droga, riciclaggio, attività turistiche lungo la costa delle Marche, lavori pubblici»;
   le Marche per la attuale condizione di area relativamente tranquilla è un territorio contendibile per le attività di riciclaggio e per investimenti in diversi settori;
   analoghi campanelli di allarme hanno trovato riscontro nelle relazioni semestrali della direzione investigativa antimafia e della direzione distrettuale antimafia già oggetto all'epoca di una specifica interrogazione del firmatario del presente atto in attesa, ancora, di risposta. Nel dettaglio i rapporti ricordano come nelle Marche sono oltre 150 le persone denunciate o arrestate per reati associativi. In particolare, nel 2013 in 5 operazioni di antiriciclaggio sono state arrestate 11 persone e denunciate altre 50. Sono stati inoltre evidenziati 54 episodi di estorsione di cui 11 da parte di stranieri, 6 di usura, 4 di concussione e 3 di corruzione;
   cresce la consapevolezza dei pericoli e dei danni che le mafie possono produrre nelle Marche insieme alla voglia di reagire respingendo l'illegalità e rendendo più solido il tessuto democratico delle realtà locali;
   l'impegno della società civile, delle organizzazioni democratiche e imprenditoriali, delle associazioni insieme a quello delle amministrazioni territoriali ha bisogno di essere sempre sostenuto e ricondotto alla più rigorosa azione dello Stato per contrastare e sconfiggere la criminalità organizzata –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato con riferimento alle dinamiche di crescita della presenza e del radicamento delle organizzazioni mafiose nelle Marche;
   quali siano le iniziative anche economiche con le quali il Governo intenda contrastare questa crescita e, soprattutto, intenda sostenere le imprese locali, piccole e grandi, impedendo che la crisi economica o i vantaggi illegali le asservano ai criminali;
   quali siano le iniziative che intenda porre in essere per sostenere l'impegno istituzionale e civile dei comuni delle Marche, unitamente alla regione, e per aiutare le imprese, i commercianti, i cittadini a non avere paura e mantenere alta la fiducia nella legalità. (4-05171)


   NESCI e CIPRINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 2012, decine di concorrenti per il ruolo di allievi agenti della polizia di Stato sono risultati idonei fuori della graduatoria utile di un concorso pubblico del Ministero dell'interno, bandito per 2.800 unità con decreto ministeriale del 24 novembre 2011 e riservato ai volontari in ferma prefissata congedati senza demerito;
   nella graduatoria approvata con decreto del Ministero dell'interno del 5 novembre 2012, figurano 2800 vincitori dietro ai quali vi sono ulteriori 939 idonei;
   il 19 marzo 2013 il Ministero dell'interno ha bandito un ulteriore concorso per il reclutamento di 964 allievi agenti della polizia, senza prima aver provveduto all'utilizzo della graduatoria degli idonei del precedente concorso;
   86 dei 939 suddetti idonei hanno presentato ricorso al Tar del Lazio, per impugnare il nuovo bando di concorso del 2013;
   il 23 luglio 2013 il giudice amministrativo, con sentenza n. 7482 del 2013, ha accolto, nei limiti dell'interesse dei soli rincorrenti, l'annullamento in parte del bando impugnato, riconoscendo agli idonei il diritto allo scorrimento;
   lo scorrimento delle graduatorie della pubblica amministrazione è previsto – sia pure con problemi interpretativi che per gli interroganti vanno risolti con urgenza e in via definitiva in Parlamento – dal recente decreto-legge n. 101 del 2013, convertito con legge n. 125 del 2013;
   dopo la succitata sentenza di accoglimento del Tar del Lazio, il Ministero dell'interno ha chiesto al Consiglio di Stato di non pronunciarsi su una eventuale misura cautelare che sospendesse la sentenza del giudice di prime cure;
   il 27 novembre 2014, ignorando la riferita sentenza del Tar del Lazio, il Ministero dell'interno ha pubblicato la graduatoria del suddetto concorso per 964 allievi agenti, prescindendo dal diritto di cui alla menzionata pronuncia del giudice amministrativo;
   nel dicembre 2013, alcuni dei succitati 939 idonei hanno depositato ricorso per l'ottemperanza della menzionata sentenza, poi chiedendo la sospensione della nuova graduatoria pubblicata, atteso che nel frattempo è intervenuta la sentenza del Consiglio di Stato del 14 gennaio 2014, n. 100, che ha accolto l'appello proposto avverso la suindicata sentenza di primo grado;
   il 19 febbraio 2014, il giudice della predetta richiesta di ottemperanza ha ritenuto fondato il ricorso proposto e, con la misura cautelare, ha sospeso la graduatoria ultima per 964 allievi agenti;
   questa ennesima vicenda dimostra – a parere degli interroganti, che ha formulato altri atti di sindacato ispettivo sulla stessa materia – la necessità di assumere lo scorrimento delle graduatorie come principio universale e inderogabile, prima di indire nuovi concorsi in polizia e, più in generale, nelle forze dell'ordine –:
   quali misure intenda assumere per garantire nella fattispecie i diritti degli interessati e, in considerazione degli esiti del succitato concorso bandito il 19 marzo 2013 e relativo al ruolo in argomento, per assicurare la copertura dei posti vacanti con efficacia ed economicità delle procedure. (4-05175)


   GRILLO, MANTERO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, CECCONI, DALL'OSSO e DI VITA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro Paese, i sindacati hanno e continuano ad assumere un ruolo sempre più rilevante e forse spropositato;
   tranne che nella nostra Nazione, non vi sono altri Paesi, nei quali il sindacato interferisca così pesantemente nella politica economica del Governo, arrivando persino all'elaborazione di testi di legge ed esigendo una preventiva consultazione in merito alle più importanti decisioni governative;
   in Gran Bretagna inizialmente il sindacato esercitava una forte influenza sulle scelte governative, oggi invece si assiste ad un rilevante ridimensionamento delle trade unions, arrivando alla liberalizzazione del mercato del lavoro;
   per non parlare di una serie di privilegi normativi assolutamente incomprensibili ottenuti dal sindacato negli ultimi decenni, quali l'istituto del distacco retribuito per tutti i funzionari sindacali, il ruolo dominante ottenuto nella gestione dei fondi previdenziali, all'assurdità giuridica della mancata applicazione degli articoli 39 e 40 della Costituzione;
   il distacco o permesso sindacale sono una caratteristica della pubblica amministrazione italiana, utilizzato in particolari tipologie di lavoro e più volte oggetto di analisi da parte di giurisprudenza e dottrina, che ha trovato una disciplina legislativa nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (cosiddetto Testo unico sul pubblico impiego);
   nel settore del pubblico impiego, il dirigente sindacale durante il periodo di distacco, oltre a conservare il proprio posto di lavoro, usufruisce di regolare e continua retribuzione;
   già, nel corso del solo anno 1995, esclusivamente nel pubblico impiego, oltre cinquemila statali non avevano prestato alcuna attività lavorativa, perché impegnati, a tempo pieno, in quella sindacale; tutto ciò per un costo complessivo, a carico dello Stato, di duecentotrentacinque miliardi di lire;
   bene, oggi a distanza di quasi 20 anni, nulla sembra essere cambiato o migliorato, infatti, attualmente, i dipendenti distaccati sono circa 2.500, per un costo annuo, a carico delle casse statali, che sfiora i cento milioni, considerando che vi è stata già una riduzione di circa il 15 per cento dei dipendenti distaccati, disposta dal Ministro della pubblica amministrazione, Renato Brunetta qualche anno fa;
   si pensi inoltre, a coloro che ricoprono cariche dirigenziali all'interno dei sindacati, i quali godono probabilmente anche di retribuzioni e benefit, ulteriori soldi che si sommano allo stipendio pagato dall'amministrazione pubblica dalla quale dipendono;
   ancor più grave è che pur essendo applicabile anche ai dipendenti pubblici, in distacco sindacale, la disciplina delle incompatibilità, gli stessi, di fatto, sono svincolati da ogni controllo amministrativo;
   tanto che le amministrazioni, pur pagando, non sono a conoscenza delle attività svolta quotidianamente dai dipendenti in «distacco» né del luogo ove di fatto esercitano, ovvero che contemporaneamente lavorano come dipendenti presso altri enti;
   insufficiente appare, dunque, il solo taglio annunciato dal Governo, del 50 per cento del monte ore per i permessi sindacali;
   altresì, da alcuni articoli di giornale sembra che i distaccati retribuiti nel pubblico impiego siano uno ogni 100 dipendenti in servizio, ripartiti tra tutte le associazioni sindacali, e posto che gli statali risultano essere circa 3,4 milioni, i dirigenti sindacali dovrebbero essere un numero impronunciabile;
   agli stessi dipendenti che svolgono attività per conto dei sindacati, le amministrazioni stesse assicurano oltre il trattamento retributivo complessivo, anche quello previdenziale che avevano nel momento del distacco; un trattamento economico che viene rimborsato dal Ministero dell'interno alle amministrazioni di spettanza; questi rappresentano indubbiamente un costo per lo Stato;
   gli interroganti ritengono inaccettabile da un punto di vista etico, prima che giuridico consentire e preservare tale situazione, che crea, di fatto, una categoria di cittadini super-privilegiati a fronte di milioni di italiani ed intere famiglie che versano nella più cupa disperazione –:
   di quali elementi informativi dispongano i Ministri interrogati con riferimento a quanto in premessa;
   quanti siano i dipendenti in distacco sindacale pagati dal Ministero dell'interno e se non ritenga opportuno ridurne il numero, se la cifra indicata in premessa, fosse vera;
   a quanto ammonti l'importo complessivo annuo pagato dal Ministero dell'interno per i dipendenti in distacco sindacale e se gli stessi usufruiscano di ulteriori retribuzioni ed in quale misura;
   se ritengano opportuno, in un momento di crisi economica, che lo Stato si assorba il costo dei dipendenti in distacco sindacale, i quali di fatto svolgono attività al di fuori di ogni controllo e se il distacco sia compatibile con altri incarichi sempre in enti pubblici vigilati;
   se intendano, dunque, procedere alla verifica dei dipendenti che usufruiscono del distacco sindacale, presso le seguenti organizzazioni sindacali della pubblica amministrazione UIL, CISL, CGIL e CISAL al fine di prendere adeguati provvedimenti. (4-05186)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'OTTAVIO, COCCIA e PAOLA BRAGANTINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni è in via di definizione l'attribuzione dell'organico docente per l'anno 2014/2015, operazione che dovrebbe tenere conto dei dati sulle iscrizioni;
   i dati del Ministero evidenziano che in Piemonte c’è un calo di iscritti, mentre sono 9.311 in più rispetto all'anno appena terminato e, in particolare, nella scuola secondaria di secondo grado ci sono 6.013 iscritti;
   l'ufficio scolastico della provincia di Torino ha comunicato con lettera del 10 giugno 2014 all'istituto Cena di Ivrea che i dati sono quelli che risultano al Ministero e non quelli segnalati dalla scuola;
   sempre a Torino, si rischia di comporre classi con densità molto superiore alle previsioni di legge e di non poter tenere conto della presenza di alunni con disabilità e del rispetto delle norme di sicurezza;
   il presidente della regione Piemonte ha inviato una lettera al Ministro interrogato per richiedere di riparametrare l'attribuzione dei docenti per le scuole piemontesi in base ai dati effettivi e con un incremento di almeno 160 unità rispetto a quanto assegnato lo scorso anno scolastico –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro in relazione a quanto esposto in premessa. (5-03012)


   COSTANTINO, GIANCARLO GIORDANO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca — dipartimento per l'istruzione — direzione generale per il personale scolastico con DDG n. 58 del 25 luglio 2013 ha disposto l'attivazione di corsi speciali per il conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento;
   atenei ed istituzioni AFAM dovevano istituire corsi speciali, aperti agli insegnanti aventi almeno un triennio lavorativo (180 giorni) in scuole statali e paritarie fino all'anno scolastico 2011/2012 nella classe di concorso da loro richiesta;
   nell'agosto 2013, attraverso il sistema informatico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ogni candidato ha inviato la domanda di partecipazione ai percorsi abilitanti speciali (PAS) ed entro il mese di gennaio 2014 ha confermato la scelta della sede preferita, rispetto alle istituzioni disponibili;
   in gran parte dei conservatori la conclusione dei percorsi abilitanti speciali per la classe di concorso A077 — strumento musicale, prevista per i mesi di giugno-luglio 2014, è slittata, probabilmente al mese dicembre 2014-primi mesi dell'anno 2015;
   addirittura in alcuni conservatori i corsi devono ancora iniziare e, probabilmente, partiranno nei prossimi mesi di novembre-dicembre 2014. Tutto ciò per le difficoltà sorte in relazione all'attivazione dei corsi stessi, avvenuta in completa autonomia da parte delle stesse istituzioni AFAM e degli atenei;
   il decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 375 del 6 giugno 2014 ha disposto l'ammissione con riserva e ad integrazione del precedente decreto n. 353 del 22 maggio 2014, delle domande per inserimento nelle graduatorie di istituto per gli anni scolastici 2014/2015, 2015/2015 e 2016/2017 degli aspiranti già iscritti ad un percorso abilitante, che conseguono il titolo di abilitazione all'insegnamento entro il 31 luglio 2014;
   la scadenza per la presentazione delle domande per il rinnovo delle graduatorie di istituto fissata dal citato decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca impedisce a moltissimi frequentanti o in attesa dell'inizio dei percorsi abilitanti speciali della classe di concorso A077 di accedere alla seconda fascia delle graduatorie di istituto, non potendo terminare, il percorso abilitante entro il 31 luglio 2014 –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per correggere questa misura discriminatoria nei confronti di larga parte dei frequentanti o di coloro che sono in attesa dell'inizio dei percorsi abilitanti speciali per classe di concorso di strumento musicale, affinché tutti abbiano gli stessi diritti e opportunità di lavoro, altrimenti escluse. (5-03014)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROTTA e ZARDINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la grave crisi economica e sociale dell'Italia ed il conseguente alto tasso di disoccupazione colpisce i ceti più deboli e tra questi i soggetti disabili, tutelati dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, avente la finalità di «promozione dell'inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro» (articolo 1); a tal fine, l'articolo 3, comma 1, della medesima legge disciplina le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva a favore dei soggetti disabili;
   la normativa precedente al decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito con modificazioni dalla legge 30 novembre 2013, n. 125, ha vietato alle pubbliche amministrazioni che presentano una situazione di soprannumerarietà e di eccedenza di personale di effettuare le assunzioni dei soggetti disabili per le quote d'obbligo riservate per legge a tali soggetti;
   l'ultima indagine condotta dall'Istat, i cui dati sono confermati dall'ufficio per i diritti dei portatori di handicap delle Nazioni Unite, rileva che la disoccupazione tra i portatori di disabilità è tra il 50 e il 70 per cento nei paesi industrializzati e in Italia raggiunge una punta dell'80 per cento, nonostante la legislazione in vigore preveda percorsi specifici per l'inserimento nel mercato del lavoro;
   la Corte di giustizia europea ha emesso la sentenza C31211 che condanna l'Italia per non aver applicato in modo completo i principi europei in materia di diritto al lavoro per le persone con handicap ed invita il Governo ed il Parlamento ad adeguarsi alla direttiva 2000/78 CE del Consiglio, del 27 novembre 2000;
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito con modificazioni dalla legge 30 novembre 2013, n. 125, prevede all'articolo 7 una deroga a favore delle categorie protette, incluse le persone disabili, al divieto di nuove assunzioni nel caso in cui le amministrazioni pubbliche registrano una situazione di soprannumerarietà. Il comma 6 disciplina la rideterminazione del numero di assunzioni obbligatorie delle categorie protette sulla base delle quote d'obbligo e dei criteri di computo previsti dalla normativa vigente, tenendo conto, ove necessario, della dotazione organica come rideterminata secondo la legislazione vigente ed il comma 7 assegna al dipartimento della funzione pubblica il compito di monitorare l'adempimento dell'obbligo da parte delle pubbliche amministrazioni. Tale provvedimento risponde alle aspettative delle persone disabili di entrare nel mondo del lavoro;
   la preoccupazione è quella di assistere a tempi troppo lunghi del processo di selezione e reclutamento dei soggetti disabili da parte delle amministrazioni pubbliche, regolato dall'articolo 7, commi 6 e 7, del decreto-legge n. 101 del 2013 rispetto agli adempimenti da porre in essere ed alle esigenze delle categorie protette, le quali da molto tempo aspirano ad entrare nel mondo del lavoro –:
   se non ritenga necessario effettuare una ricognizione nelle pubbliche amministrazioni al fine di conoscere lo stato di attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68 ed intervenire nel caso in cui venga rilevato che gli obblighi della legge a favore dei soggetti disabili non siano rispettati;
   se non reputi urgente porre particolare attenzione ai tempi di attuazione degli adempimenti previsti dal decreto-legge n. 101 del 2013 affinché il processo di selezione e reclutamento delle categorie protette da parte delle pubbliche amministrazioni venga avviato e si concluda in tempi accettabili, posto che occorre controllare tale processo ed intervenire in modo efficace nel caso in cui si presentino comportamenti dilatori e burocratici da parte delle pubbliche amministrazioni al fine di renderli improduttivi per non disattendere le aspettative delle persone interessate e la volontà del Governo;
   se non ritenga necessario intervenire affinché i datori di lavoro pubblici ed il dipartimento della funzione pubblica pubblichino nei propri siti istituzionali i dati relativi alle quote d'obbligo scoperte a favore delle categorie protette posto che la trasparenza di tali informazioni mette nelle condizioni i cittadini di conoscere i comportamenti dei datori di lavoro pubblici riguardo lo stato di assunzione delle categorie protette e le pubbliche amministrazioni di velocizzare gli adempimenti di cui all'articolo 7, commi 6 e 7, del decreto, decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 2013, n. 125. (5-03015)


   BALDASSARRE, ROSTELLATO, COMINARDI, BECHIS, TRIPIEDI, CIPRINI, RIZZETTO e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il sito Repubblica, attraverso un articolo a firma Daniele Autieri, pone l'attenzione sul documento n. 1091, registrato al protocollo il 10 gennaio 2014 e che al suo interno contiene la Relazione sul bilancio di previsione per il 2014, «un lungo rendiconto finanziario di 85 pagine dentro le quali si trova il dato più preoccupante: nel corso dei prossimi mesi il patrimonio dell'istituto sarà azzerato»;
   dal documento suddetto si evince inoltre che: secondo la relazione di Mastrapasqua, confermata nel quadro generale per il 2014 redatto dal direttore generale Mauro Nori, negli ultimi quattro anni il paracadute patrimoniale dell'istituto è stato consumato ed è passato dai circa 40 miliardi di euro del 2009 (primo anno di gestione Mastrapasqua) ai -4,5 miliardi previsti per il 31 dicembre 2014;
   il Governo nella legge di stabilità, approvata il 27 dicembre 2013, è andato in soccorso di Inps attraverso la cancellazione di alcune passività patrimoniali accumulate dall'ex-Inpdap nei confronti dello Stato per un totale di 25,1 miliardi di euro;
   come si desume dallo stesso articolo: «lo sconto sui debiti pregressi, una volta inserito a bilancio, permetterà all'Inps di riportare per qualche mese il suo patrimonio in attivo. Si tratta però di un palliativo, un semplice artificio contabile che non cambia le carte in tavola. “Quei soldi – spiega oggi Gian Paolo Patta, membro del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'Inps – non arriveranno materialmente, ma sono solo una posta positiva da iscrivere a bilancio per far quadrare i conti. Inoltre, il regalo del governo non incide sulle cause strutturali del passivo e il suo beneficio sarà annullato nel giro di pochi mesi quando il disavanzo miliardario continuerà ad erodere le riserve dell'istituto”.»;
   l'interrogante ha posto le suddette criticità, in precedenti atti di sindacato ispettivo in merito al famoso «Buco INPS», e altresì la necessità di riorganizzare e predisporre un piano per ripianare i bilanci INPS ed evitare un default dell'istituto, annunciato da più parti;
   a parere dell'interrogante appare evidente che non si può più agire con semplici compensazioni contabili, ma che serva una profonda riforma, basata sul principio costituzionale della solidarietà, che possa incidere a livello strutturale sui bilanci dell'istituto stesso, in quanto i problemi rilevati ed emersi in questi anni sono di tipo strutturale e non più ascrivibili a mere situazioni momentanea –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti e, per quanto di propria competenza, quali interventi intenda intraprendere al fine di sopperire alle criticità ormai lapalissiane del famoso «buco INPS»;
   in che modo il Ministro interrogato intenda agire al fine di ripianare i bilanci Inps, strutturalmente e non apponendo semplici «toppe» al bilancio dell'istituto, e, in tal caso, quali siano le iniziative, anche normative, che intende portare avanti per arrivare ad una soluzione della criticità emersa ormai non più rimandabile. (5-03019)


   BALDASSARRE, ROSTELLATO, BECHIS, COMINARDI, TRIPIEDI, CIPRINI, CHIMIENTI e RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, ha istituito presso l'INPS, a decorrere dal 1o gennaio 1996, la cassa pensionistica denominata gestione separata per i cosiddetti lavoratori atipici (parasubordinati);
   l'obbligo di iscrizione alla gestione separata grava su milioni di lavoratori, in particolare: categorie residuali di liberi professionisti, precari, occasionali, parasubordinati, collaboratori a progetto, addetti vendita porta a porta, per i quali non è stata prevista una specifica cassa previdenziale nonché specializzandi o dottori titolari di assegni di ricerca;
   le suddette categorie di soggetti sono tenuti a versare i contributi presso la gestione separata dell'INPS;
   il conseguimento del diritto all'accesso al trattamento pensionistico a carico della gestione separata è subordinato alla maturazione da parte del lavoratore di un'anzianità contributiva effettiva minima di cinque anni e dei requisiti anagrafici di cui all'articolo 24 della legge 22 dicembre 2011, n. 214, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201;
   il lavoratore iscritto alla gestione separata presso l'INPS, che cessi la propria attività prima del perfezionamento del requisito contributivo prescritto per la liquidazione di un autonomo trattamento pensionistico, è ascrivibile alla più ampia categoria dei contribuenti «silenti»;
   i suddetti contribuenti «silenti» sono accomunati dal fatto che adempiono al versamento dei contributi a «fondo perduto» e questa circostanza contravviene a qualsiasi principio sinallagmatico;
   il direttore generale dell'INPS, in una dichiarazione resa il 28 gennaio 2013, pubblicata dal quotidiano economico «Italia Oggi», ha specificato che sono «diversi milioni» i lavoratori interessati da questa criticità;
   nel suddetto articolo si evidenzia che la stima dei contributi «silenti» potrebbe ammontare a circa 10 miliardi di euro;
   appare evidente l'iniquità della disciplina dei contributi «silenti», tenuto conto della circostanza che i soggetti che non riescono a conseguire l'anzianità contributiva minima, oltre a non poter accedere alla pensione di anzianità, perdono i contributi versati;
   ad oggi i contributi dovuti per effetto delle diverse aliquote riferite ai soli soggetti iscritti alla gestione separata sono dovuti nella misura minima del 22 per cento fino al 28,72 del reddito conseguito –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno procedere ad una ricognizione per determinare l'ammontare totale dei contributi «silenti» e come tale importo potrà evolversi, nei prossimi 10 anni, alla luce delle innovazioni in materia previdenziale e del mercato del lavoro;
   se il Ministro interrogato intenda comunicare l'ammontare complessivo e la destinazione attuale, da parte dell'INPS, dei contributi versati dai lavoratori iscritti alla gestione separata istituita dall'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non utili alla maturazione di un corrispondente trattamento pensionistico;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario adottare le opportune iniziative normative relativamente alle criticità suddette, al fine consentire l'utilizzo dei contributi «silenti» prescindendo dai requisiti minimi al fine di corrispondere un trattamento – a calcolo puro – a favore dei soggetti non titolari di altre prestazioni al raggiungimento dell'età anagrafica di 65 anni. (5-03020)


   BALDASSARRE, CHIMIENTI, BECHIS, CIPRINI, RIZZETTO, ROSTELLATO, COMINARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 aprile 2013 si è verificato l'ennesimo gravissimo incidente sul lavoro e a farne le spese, questa volta, un lavoratore di nazionalità bulgara impiegato per la lavorazione dei campi per il tramite dell'utilizzo di una motozappa;
   la conseguenza dell'incidente è stata la perdita degli arti inferiori che ha comportato la necessaria amputazione della gamba destra, oltre che irreversibili danni alla gamba sinistra, che risulta gravemente danneggiata a seguito dell'incidente;
   risultano agli interroganti una serie di anomalie che avrebbero fatto da contorno alla grave vicenda e che sono state peraltro descritte dal lavoratore nel modo che testualmente si riporta come da dichiarazione da quest'ultimo rilasciata: «Il 20 Ottobre 2009 io sottoscritto Ninov Nikolay Milchov e mia moglie arriviamo in Italia ed entriamo nella casa dove in avanti succedeva l'incidente. Abbiamo concordato con il proprietario della casa l'affitto dove alloggiavamo nella misura di euro 60 a persona residenti nella stessa. Le bollette venivano pagate a parte a formale richiesta del proprietario della casa (...) poco dopo la nostra entrata Pietro Fusaro in qualità di proprietario della casa da noi condotta ci ha proposto di pagare l'affitto lavorando nelle sue terre (...) Nel 2010 Pietro Fusaro ci ha permesso di avere sia io che mia moglie residenza e carta di identità grazie alla stipula del contratto di locazione. (...) Successivamente alla proposta di lavoro mi ha richiesto se potevo lavorare con la motozappa ed io gli ho risposto che avrei provato. (...) La motozappa è molto vecchia ed è priva di sicurezza. (...) Così tutta la mia famiglia quando è sprovvista di lavoro si trova a lavorare le terre dello stesso Fusaro per poter pagare l'affitto (...) 8 aprile 2013 (...) Dopo aver zappato n. 2 alberi di ulivo, al bordo del terrazzo mi ha dato la motozappa dicendomi di scendere al terrazzo inferiore, ma essendo il terreno molto ripido è possibile lavorare solo in salita, ma nonostante tutto lo stesso Fusaro mi ordinava di lavorarlo in discesa. (...) mi sono ritrovato sotto la stessa motozappa. (...) Solo dopo che il Fusaro ha sollevato la motozappa ho visto la mia gamba destra sotto il ginocchio tagliata e stava in disparte dallo stesso arto e quella sinistra tagliata in diverse parti. (...) Fusaro (...) ha chiamato gli operatori del pronto soccorso. (...) gli operatori del a mettermi la flebo, mi hanno portato vicino all'ambulanza in attesa dell'arrivo dell'elicottero con il quale sono andato all'ospedale di Cosenza»;
   orbene la dichiarazione di parte sopra riportata è confermata dal referto dell'azienda ospedaliera di Cosenza, servizio di pronto soccorso, che corrobora le dichiarazioni del signor Ninov Nikilay Milchov per quanto riguarda le gravi menomazioni intervenute, l'anamnesi clinica e l'effettiva amputazione dell'arto destro;
   ulteriori conferme sulla drammatica situazione clinica e sanitaria del signor Ninov Nikilay Milchov si evincono dalla cartella clinica dell'azienda ospedaliera di Cosenza – unità operativa complessa di ortopedia e traumatologia con direttore dottor Francesco Togo – e N° NOSOGRAFICO 8598;
   la cartella clinico-assistenziale n. 85 del 2013 dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza, distretto sanitario di Acri, la quale si è occupata delle terapie di riabilitazione e assistenziali post-operazione, reca infatti la seguente: «diagnosi: esiti amputazione gamba destra, ferita traumatica gamba sinistra»;
   da comunicazione INPS protocollo 13NEDCH002830 datata 16 dicembre 2013, si evincerebbe altresì che in data 10 giugno 2013 è stata presentata una domanda di invalidità civile da parte del signor Ninov Nikilay Milchov;
   appare evidente come la vicenda descritta, tanto per la gravità del fatto, quanto per le palesi criticità che emergono meriti una attenta analisi e più acconce verifiche;
   a parere dell'interrogante merita approfondimento il fatto che il signor Ninov Nikilay Milchov sia stato indirizzato all'avvio di una pratica di invalidità civile, così come apparirebbe, di conseguenza, anomalo, il mancato coinvolgimento di INAIL; per quanto di conoscenza dell'interrogante il signor Milchov non sarebbe stato ascoltato dalle forze di polizia il che lascerebbe presupporre l'assenza della compilazione del modulo obbligatorio INAIL prevista per i casi di incidenti sul lavoro;
   tenuto conto che le lesioni patite dall'infortunato si palesano come «gravissime», a mente dell'articolo 590 del codice penale, trattasi di uno dei casi rispetto ai quali sussiste l'obbligatorietà dell'azione penale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto e, se per quanto di competenza, intendano far luce sull'accaduto anche attraverso l'invio, qualora non già avvenuto, di ispettori del lavoro;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno intervenire, per quanto di propria competenza, al fine di far chiarezza sul tragico evento verificando il corretto svolgimento delle attività dei soggetti responsabili di ciascun procedimento amministrativo attivatosi. (5-03021)


   BALDASSARRE, RIZZETTO, ROSTELLATO, BECHIS e COMINARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da vari organi di stampa, appare che i sindacati – CGIL, CISL, UIL – si spartiscono un miliardo di euro circa all'anno, di fondi pubblici, grazie a convenzioni di caf e patronati;
   si apprende inoltre che la cifra di un miliardo di euro sarebbe al netto delle quote associative e delle rendite dell'ingente patrimonio immobiliare dei sindacati suddetti;
   la cifra suddetta di un miliardo di euro è solo quella che transita dai patronati e dai centri di assistenza fiscale (caf) e per tale ragione si può dedurre che i fondi pubblici che vengono erogati sono nettamente superiori;
   come si evince da un articolo a firma Osvaldo de Paolini su Il Messaggero in data 11 marzo 2014, patronati e caf non sono sottoposti a nessuna verifica sulla qualità effettiva del servizio, da parte di alcun Ministero;
   dall'articolo suddetto si evince che 600 milioni di euro sono i compensi sottratti ad un negoziato di mercato, ma garantiti da norme di legge o convenzioni stipulate dagli enti pubblici, che vengono incassati da patronati e caf per i servizi erogati;
   i 600 milioni di euro vengono ripartiti in 430 milioni di stanziamento per i patronati e 170 milioni per i caf;
   inoltre, i caf ricevono compensi a carico dello Stato anche per l'elaborazione e la trasmissione dei modelli 730: 26 euro ciascuno;
   la cifra dei compensi ai patronati è di 430 milioni di euro e, dall'articolo suddetto de Il Messaggero, si apprende che non c’è alcun regolamento che definisca e sanzioni la qualità delle attività patrocinate –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Ministro interrogato possa fornire dati certi e dettagliati sulle cifre che lo Stato eroga ai sindacati e a tutte le organizzazioni annesse, a qualsiasi titolo;
   se il Ministro interrogato non intenda porre in essere tutte le opportune iniziative normative al fine di favorire una più stringente disciplina sui controlli che ponga in relazione la qualità dei servizi erogati con i fondi pubblici ricevuti dallo Stato. (5-03023)


   BALDASSARRE, RIZZETTO, ROSTELLATO, BECHIS e COMINARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da un articolo a firma Osvaldo de Paolini su Il Messaggero in data 11 marzo 2014, la Eustema, una società Ict che fornisce servizi a Inps e Inail per non meno di 30 milioni di euro l'anno, è una società di proprietà della Cisl;
   come si evince da un'interrogazione a risposta scritta n. 4-02205, la società Eustema spa – insieme a RTI Engineering spa, Innovare 24 Spa, Inmatica Spa – si sarebbe aggiudicata il lotto n. 1 per un valore di 35.643.131 euro dell'appalto Inps con oggetto «Fornitura dei servizi di sviluppo, reingegnerizzazione e manutenzione del software applicativo dell'INPS» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Ministro interrogato possa indicare quanti e quali soggetti analoghi ad Eustema – riconducibili a sindacati – siano attualmente in circolazione e quanti e quali di essi si siano aggiudicati ovvero stiano partecipando all'aggiudicazione di appalti pubblici. (5-03024)


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie riportate nell'edizione del giornale Il Fatto Quotidiano del 7 aprile 2014, l'INPDAP avrebbe pagato degli importi «extra» ai propri dipendenti per perizie effettuate durante le pratiche per la concessione di mutui;
   tale criticità è stata segnalata e messa all'attenzione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali con l'interrogazione n. 4/04432 presentata dall'interrogante in data 9 aprile 2014;
   a seguito dell'interrogazione suddetta – a cui a tutt'oggi non vi è ancora alcuna risposta da parte del Ministro – l'interrogante ritiene opportuno completare il quadro e approfondire la questione con ulteriori quesiti da porre al Ministro al fine di far luce sulla vicenda su descritta che appare fin da subito «poco chiara» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di somme di denaro pagate come segnalato dall'articolo suddetto e, nel caso, se siano state attivate da parte dell'Ente procedure di recupero di tali somme non dovute;
   se il Ministro interrogato non ritenga che vi possano essere delle responsabilità di natura amministrativa disciplinare e se altresì, non ritenga opportuno attivarsi in merito alla questione suddetta al fine di aiutare nel far luce sui soggetti a cui eventualmente imputare tali responsabilità;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di eventuali procedure poste in essere dall'Ente al fine di adottare provvedimenti sanzionatori inerenti alla questione su descritta. (5-03025)


   BALDASSARRE, BECHIS, CIPRINI, COMINARDI, RIZZETTO, CHIMIENTI, ROSTELLATO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1-ter del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito dalla legge n. 291 del 2004, ha istituito, presso l'INPS, un fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del settore del trasporto aereo;
   il decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito dalla legge n. 43 del 2005 ha introdotto il «cofinanziamento» del suddetto fondo attraverso l'istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco di 1 euro sui biglietti emessi in Italia;
   il decreto-legge n. 134, convertito dalla legge n. 166 del 2008, ha elevato l'addizionale da 1 euro a 3 euro;
   il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, mantiene nel suo assetto attuale, il fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione nel settore del trasporto aereo, evitando la sua trasformazione in fondo di solidarietà e altresì è prolungata di 3 anni la sua operatività e delle norme che prevedono la devoluzione al Fondo delle maggiori entrate derivanti dall'incremento dell'addizionale sui diritti di imbarco dei passeggeri sugli aeromobili;
   dalla «determinazione e relazione della sezione del controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2012» pubblicata dalla Corte dei conti, si evincono alcune criticità:
    con il decreto-legge n. 7 del 2005 e l'introduzione del «cofinanziamento» del Fondo, si ha «di fatto spostato il carico dalle categorie interessate alla fiscalità generale»;
    «La Corte ha ribadito che una gestione di sostegno, istituita originariamente sullo schema dei fondi di solidarietà e quindi in autofinanziamento, si è tramutata in una singolare gestione quasi totalmente alimentata da risorse pubbliche, con una quota assolutamente irrilevante di contribuzioni proprie e per di più con perdurante e totale disattivazione delle previste contribuzioni a carico del sistema aeroportuale, di fatto consegnando la relativa disposizione primaria a norma «inutilier data»;
    «I dati del bilancio 2012 evidenziano un ulteriore aumento delle entrate, ma sempre di derivazione dall'addizionale e nella perdurante assenza dei previsti apporti del sistema aeroportuale»;
    «(...) va segnalato l'avvio dell'azione di recupero dell'addizionale passeggeri nei confronti dei soggetti tenuti alla riscossione e al riversamento nelle contabilità speciale aperta presso la tesoreria centrale gestita dall'INPS»;
   con la circolare INPS n. 112 emanata in data 25 luglio 2013, vengono delineate le modalità di riscossione dell'incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco di passeggeri sugli aeromobili;
   dalla suddetta circolare si evince che: «Le disposizioni normative prevedono che le società che gestiscono servizi aeroportuali provvedano a riversare all'INPS, mediante modello F24 le somme ricevute dalle compagnie aeree a titolo di incremento dell'addizionale comunale per i diritti di imbarco»;
   con messaggio INPS n. 14354 datato 12 settembre 2013 vengono rese note le modalità sanzionatorie applicate agli importi già riscossi dalle società di gestione in periodi antecedenti il 1o luglio 2013 ed ancora non riversati ad INPS –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle criticità su esposte e se non ritenga opportuno porre in essere ogni iniziativa di sua competenza al fine di correggere le stesse;
   se il Ministro interrogato ritenga legittimo mantenere attivo il Fondo suddetto – qualificato come «speciale» – attraverso il prelievo di una addizionale posta a carico della fiscalità generale, come denunciato anche dalla stessa Corte dei conti nella relazione suddetta;
   se non ritenga il Ministro interrogato che il Fondo suddetto si sia tramutato in una singolare gestione quasi totalmente alimentata da risorse pubbliche e quindi non possa più mantenere lo schema istitutivo iniziale che prevedeva un meccanismo integrale di autofinanziamento;
   se il Ministro interrogato possa fornire cifre esatte in merito ai contributi che il sistema aeroportuale avrebbe dovuto versare ad INPS e se ci siano ancora situazioni in cui tali versamenti sono assenti e quali siano le ragioni che hanno portato alla situazione di inadempienza;
   se il Ministro interrogato possa fornire e quantificare il livello prestazionale che il suddetto fondo garantisce ai propri iscritti. (5-03026)


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dallo stenografico della seduta del 16 aprile 2014 a seguito di una interrogazione a risposta immediata in Aula – la n. 3/00775 – il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha affermato che: «Tra questi rapporti sono compresi i contratti relativi al deposito, gestione ed archiviazione della documentazione cartacea dell'ex Inpdap, servizio affidato in outsourcing a soggetti esterni. In particolare, il servizio di archiviazione, custodia e gestione dei fascicoli e dei documenti relativi agli affari amministrativi e contenziosi dell'INPS è gestito in modo centralizzato per tutto il territorio nazionale, secondo le prescrizioni impartite dalla sovraintendenza archivistica per il Lazio, dalla società Delta Uno Servizi Spa, con contratto che copre il periodo 1o agosto 2008-31 luglio 2017. Quindi la risposta alla domanda è affermativa.» e altresì: «(...) il Ministero esercita nei confronti dell'istituto una funzione di vigilanza (...)»;
   come si evince da un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano, in data 30 aprile 2014, emergono delle criticità nel servizio di deposito, gestione, archiviazione e distribuzione agli uffici INPS del materiale cartaceo dell'istituto-Archivi Ex Inpdap, affidato alla società Delta Uno Servizi Spa;
   le criticità rilevate nell'articolo suddetto riguarderebbero sia il contratto stipulato nel 1998 fra INPS e la Società Delta Uno Servizi Spa, che lo stesso rinnovato nel 2008;
   dall'articolo suddetto emerge che l'importo contrattuale – per il periodo 2008/2017 – per i servizi «base» è di 74.945.000,00 euro iva esclusa e altresì, in aggiunta a tale cifra, vi sarebbero dei corrispettivi per «altri servizi» che vengono quantificati, di volta in volta, sulla base delle tariffe concordate in sede di trattativa fra INPS e la società Delta Uno Servizi Spa –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se al Ministro interrogato risulti legittimo e conforme alle normative di legge vigenti il contratto stipulato nel 1998 – e il successivo nel 2008 – fra INPS e la Società Delta Uno Servizi Spa;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover svolgere una funzione di vigilanza – come da lui stesso dichiarato e trascritto nello stenografico della seduta del 16 aprile 2014 – della regolarità di tale affidamento e di tale tipologia contrattuale applicata e altresì se ha già attivato ulteriori controlli al fine di garantire la massima trasparenza;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza e se possa fornire – in quanto inserite a bilancio INPS – le cifre che INPS eroga ed ha erogato alla società Delta Uno Servizi Spa, dal 1998 a oggi, comprensive delle somme erogate sia come servizio «base» sia le somme quantificate, di volta in volta, sulla base delle tariffe concordate in sede di trattativa. (5-03027)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAMPANA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel 1994 è stata costituita la società Roma Multiservizi di proprietà dell'Ama al 51 per cento e per il restante 49 per cento di proprietà della Manutencoop s.p.a. – La Veneta;
   la suddetta società – il cui valore della produzione annuale è pari a circa 84 milioni – ad oggi raggiunge gli obiettivi aziendali risultando società sana, non indebitata e con bilancio positivo;
   la stessa registra un numero di dipendenti pari a circa 3.800 unità di cui 3.700 operai, 85 impiegati e 2 dirigenti con prevalenza del 75 per cento di donne;
   attualmente la Roma Multiservizi gestisce per conto di Roma Capitale – con contratto di global service pari a circa 42 milioni di euro all'anno, tra gli altri, i servizi di pulizia e manutenzione del verde delle scuole dell'infanzia e degli asili nido e di accompagnamento scolastico;
   Roma Capitale ha comunicato l'intenzione di non rinnovare il contratto di servizio alla suddetta società e di aderire alle convenzioni Consip a partire dal 1o settembre 2014;
   i servizi attualmente affidati alla sopraindicata società sono caratterizzati dall'alta incidenza del valore economico della manodopera;
   la convenzione Consip a cui Roma Capitale intende aderire, non copre la totalità dei lavoratori della Multiservizi, lasciando in esubero circa 600 lavoratori –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in precedenza;
   se il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di tutelare e mantenere gli odierni livelli occupazionali e retributivi della società multiservizi che da anni si contraddistingue per efficienza. (4-05169)


   GALATI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le ultime rilevazioni statistiche e le analisi sugli andamenti del mercato del lavoro e dell'occupazione in Italia descrivono un quadro economico allarmante ed insostenibile, oltre che inaccettabile, sia a livello nazionale che, soprattutto, per le regioni del Mezzogiorno;
   solo qualche settimana fa sono stati diffusi i risultati del rapporto annuale Eurostat sulla disoccupazione per il 2013, i quali riportavano, per ciò che attiene all'Italia, risultati che, a parere dell'interrogante, apparivano sufficienti a descrivere bene l'entità di questo drammatico fenomeno e la dimensione che esso assume nel Meridione: secondo i dati rilevati dall'ufficio statistico dell'Unione Europea, la Sardegna registra un tasso di disoccupazione pari al 17,5 per cento, valore che aumenta progressivamente spostando l'attenzione sulla Puglia (19,8 per cento), sulla Sicilia (21 per cento), sulla Campania (21,5 per cento), mentre la Calabria, in questa drammatica classifica, risulta la prima regione italiana per tasso di disoccupazione, con un valore pari al 22,2 per cento;
   più in particolare, dalla medesima rilevazione emerge come per la stessa regione, all'interno di tale soglia di disoccupazione, oltre la metà della percentuale sopra riportata (ben il 56,1 per cento) è costituita da giovani «potenzialmente abili al lavoro», cioè in possesso di qualifiche, competenze e specializzazioni, ma nonostante ciò privi di occupazione; ancora, il dato sulla disoccupazione giovanile assume i tratti dell'emergenza se letto a fronte del valor medio europeo, pari al 23,4 per cento e con ben 16 punti percentuali in più rispetto alla media italiana, che si attesta sui 40 punti percentuali;
   l'emergenza è oggi confermata anche dall'Istat: secondo la rilevazione effettuata sul primo trimestre del 2014, il calo tendenziale del numero di occupati prosegue soprattutto nel Mezzogiorno, con ben 170.000 unità di disoccupati in più nel periodo considerato e con un dato: 6 giovani su 10 senza lavoro al Sud, con un picco di inoccupati nella fascia compresa tra i 15 ed i 24 anni che raggiunge la soglia del 60,9 per cento. Secondo l'Istat i ragazzi attualmente in cerca di lavoro al Sud sarebbero 347.000; anche la categoria dei cosiddetti «scoraggiati», cioè coloro che vogliono lavorare ma non cercano l'impiego perché ritengono di non trovarlo, conosce un sostanziale incremento: oltre 1 milione e 948 mila nel primo trimestre 2014, con un incremento su base annua pari a n. 277.000 unità;
   si tratta di dati che non sorprendono, data l'estensione temporale di una tendenza in atto da decenni in Calabria e nel Meridione e senza alcun cenno di diminuzione registrato; dati che costituiscono la mera certificazione ed il suggello di una realtà caratterizzata da un trend recessivo ormai strutturale ed apparentemente congenito e da una crisi economica generalizzata sempre più pesante e penalizzante per imprese, cittadini e famiglie;
   un simile tasso di disoccupazione giovanile al Sud Italia ed in Calabria si configura tra le principali piaghe dell'economia non solo regionale ma nazionale, assumendo livelli non più sostenibili. Il dato assume tratti ancora più preoccupanti se letto congiuntamente alle più recenti rilevazioni effettuate sulle dinamiche dei flussi migratori e sull'aumento delle forme di mobilità dal Meridione d'Italia verso le regioni del Centro-Nord oltre che verso l'estero;
   a tal proposito, l'interrogante ritiene opportuno portare all'attenzione del Governo i dati contenuti nell'ultimo rapporto AIRE, i quali evidenziano infatti livelli di «perdita migratoria» che raggiungono una soglia ormai insostenibile ed inaccettabile per un Paese che deve necessariamente investire su sé stesso in modo adeguato ed individuare ed applicare strategie di supporto e di promozione dell'impresa e dello sviluppo ed adottare con urgenza misure che siano realmente funzionali alla ripresa ed al sostegno di un processo di «normalizzazione» e di crescita, valorizzando le proprie potenzialità ed incanalandole correttamente all'interno di un sistema economico efficiente, funzionale ed in grado di consentire ai territori di proporsi quali competitors interregionali ed internazionali di rilievo ed in grado di stare al passo ed adeguarsi alle repentine trasformazioni del mercato globale;
   è emblematica ed idonea a descrivere efficacemente la complessità del fenomeno ivi considerato e la portata della crisi in atto, l'emersione, evidenziata dallo stesso rapporto, del nuovo profilo del «migrante», sempre più qualificato e specializzato e delle nuove forme di mobilità, determinate, in larga parte, dalla maggiore flessibilità del mercato del lavoro, basata su spostamenti originariamente temporanei, che tendono però a superare il consueto pendolarismo giornaliero o settimanale e che si trasformano in cambiamenti definitivi di residenza anagrafica;
   con riferimento alla regione Calabria, viene infine in considerazione, a supporto delle criticità ivi evidenziate e con particolare riferimento al fenomeno delle cosiddette «migrazioni universitarie», il recente rapporto sul sistema universitario calabrese tra scelte di mobilità degli studenti e strutture economiche degli atenei, elaborato dalla Fondazione Giovanni Agnelli per l'assessorato alla cultura, istruzione e ricerca della regione Calabria, pubblicato nel 2013. L'analisi, elaborata osservando i dati degli anni accademici 2007/2008 e 2008/2009, dimostra come, annualmente, circa 36 diplomati su 100 scelgono di iscriversi ad un corso universitario offerto da un ateneo calabrese con sede al di fuori della Calabria, nonostante la presenza di un'opzione a livello locale; tra le scelte che determinano tali flussi migratori, tra i giovani studenti, sono annoverate, alla voce «Altre caratteristiche dei territori», l'offerta culturale e di intrattenimento del territorio, che può essere un elemento di forte attrazione per i giovani universitari (dato tratto dall'apposita sezione «tempo libero» nella classifica de «il Sole24Ore» sulla qualità della vita nelle province) ed il tasso di disoccupazione della provincia (dato di fonte Istat), che è un elemento di sicuro interesse per coloro che vedono la migrazione per motivi di studio come primo step di una strategia di affermazione lavorativa anche fuori dalla Calabria;
   a fronte di tali rilevazioni va considerata la necessità ormai non demandabile di mettere a punto un sistema sinergico di strumenti e misure in grado di stimolare l'economia ed avviare il rilancio del Meridione –:
   quali interventi urgenti i Ministri interrogati ritengano di poter adottare, anche eventualmente in modo congiunto, al fine di affrontare adeguatamente ed in modo strutturale le problematiche della crisi del mercato del lavoro e della disoccupazione, in specie giovanile, nel Meridione;
   quali siano le strategie di politica economica attualmente al vaglio del Governo, finalizzate al rilancio dell'occupazione ed al sostegno dell'economia delle regioni meridionali che hanno risentito più fortemente della crisi economica.
(4-05177)


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 aprile 2014 l'ATAC ha avviato la procedura di licenziamento collettivo ex articolo 4 e 24 della legge n. 223 del 1991 per 323 lavoratori inquadrati nella categoria professionale «amministrativi»;
   la trattativa tra ATAC e organizzazioni sindacali relativamente alla vertenza sul personale dipendente ha portato alla firma, il 28 maggio 2014, di un verbale di accordo nel quale si prevede, genericamente, la possibilità di riconversione professionale ovvero l'accesso al lavoro part-time su base volontaria per il personale coinvolto nella procedura ex legge n. 223 del 1991, fissando al 29 maggio 2014, poi prorogato al 6 giugno 2014, il termine per l'adesione volontaria ad una di tali opzioni;
   stante il predetto verbale, sembra offrirsi indistintamente a tutti i lavoratori coinvolti una riqualificazione in mansioni operative senza riduzione del livello retributivo, con la garanzia di essere esclusi dalla procedura di licenziamento;
   se così fosse, l'operazione non porterebbe ad alcuna riduzione di costi e ad alcun beneficio economico per l'Azienda, ma si tratterebbe soltanto di una redistribuzione di personale realizzata con lo spettro della procedura di licenziamento collettivo;
   secondo quanto riportato nei giorni scorsi dalla stampa, risulterebbero presenti in azienda centinaia di dipendenti che, pur avendo un inquadramento contrattuale da «operativo» (operai, verificatori IV area della mobilità, operatori di stazione e altri) svolgono nel concreto mansioni amministrative senza alcun titolo; a titolo esemplificativo si menzionano la sede centrale di via Prenestina e gli uffici di via Silone;
   la predetta categoria di operai adibita ad altre mansioni risulterebbe formalmente esclusa dalla procedura di licenziamento collettivo ex legge n. 223 del 1991, creando una paradossale situazione in cui si propone al personale amministrativo di svolgere funzioni operative, onde mantenere il posto di lavoro, ed al contempo lasciare in posti amministrativi centinaia di dipendenti «operativi» privi di titolo –:
   se corrisponda al vero quanto riportato in premessa e pubblicato a mezzo stampa, ovvero la presenza in Atac s.p.a. di centinaia di lavoratori cosiddetti «fuori posizione», ovvero giuridicamente inquadrati come «operativi» (operai, verificatori IV area della mobilità, operatori di stazione e altri) ma formalmente utilizzati dall'azienda, senza alcun titolo, come «amministrativi»;
   se non ritenga doveroso far luce sull'operazione dell'ATAC, al fine di chiarire se il procedimento di licenziamento collettivo sia basato sui presupposti di legge, posto che la procedura di licenziamento collettivo ex lege n. 223 del 1991 penalizza fortemente i lavoratori coinvolti che non possano impugnare ordinariamente il licenziamento. (4-05183)


   BARUFFI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da diversi mesi è ormai aperta una vertenza sindacale che coinvolge i lavoratori della General Montaggi, azienda operante nel settore delle grandi opere e del montaggio meccanico, che ad inizio 2014 aveva sede legale nel comune di Castelnuovo Rangone (Mo), poi oggetto di cessioni e trasformazioni societarie;
   la vicenda che coinvolge questa rilevante realtà produttiva è salita agli onori della cronaca nel gennaio 2014, quando si è appreso, attraverso la stampa, della cessione della stessa, per fusione attraverso incorporazione, ad una piccola società romena, la «Fruit Marius srl»;
   l'azienda occupava alla fine del 2013 circa 140 lavoratori;
   nel maggio 2014 si è avuto notizia, a fatto compiuto, del licenziamento dei 48 lavoratori rimanenti; nessuna delle procedure previste dalla legge e dai contratti è stata posta in essere per il licenziamento collettivo;
   nessun contatto era precedentemente intercorso con le rappresentanze sindacali e con le istituzioni locali quando, in data 30 aprile 2014, sono pervenute ai singoli lavoratori le lettere di licenziamento;
   a seguito di denuncia della situazione da parte dei lavoratori e del sindacato le istituzioni locali – comune di Castelnuovo Rangone e provincia di Modena – hanno tempestivamente convocato le parti, ottenendo in quella sede il ritiro dei licenziamenti, anche al fine di poter attivare tutti gli strumenti di ammortizzazione sociale previsti;
   l'azienda non ha poi dato corso agli impegni assunti e per ben due volte – da ultimo nella giornata di lunedì 16 giugno 2014 – il tavolo provinciale non ha visto la presenza della proprietà né di altri legalmente incaricati di rappresentare la stessa;
   le istituzioni locali e le stesse organizzazioni sindacali non dispongono di un quadro certo di informazioni circa il pagamento degli stipendi e la regolarità dei versamenti contributivi da parte dell'azienda;
   non è dato al momento sapere quanti e quali lavoratori abbiano trovato nel frattempo altra collocazione;
   è possibile che vi siano altre pendenze verso terzi da parte dell'azienda (altri creditori quali fornitori, banche e altri) –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti in premessa e se sia nelle condizioni di chiarire in quali condizioni reali si trovi l'azienda, con particolare riferimento ai rapporti verso dipendenti e fornitori;
   quali iniziative il Governo intenda assumere per tutelare tutti i soggetti coinvolti, in primis i lavoratori dipendenti dell'azienda, e per ripristinare una condizione di rispetto del diritto e delle procedure previste dal nostro ordinamento per i licenziamenti collettivi. (4-05195)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA, GALLINELLA, LUPO, GAGNARLI, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il basilico è una pianta erbacea annuale, appartenente alla famiglia delle lamiaceae, originaria in India e normalmente coltivata come pianta aromatica. Le regioni italiane dove si concentra la maggior parte della coltivazione sono Liguria, Lazio ed Emilia Romagna;
   peronospora belbhrii è un oomicete biotrofico che attacca il basilico. Si propaga con la produzione di spore su sporofori dicotomici ramificati che emergono dalla foglia. La sporulazione si verifica quando le piante infette sono incubate per almeno 7 ore e mezzo al buio in atmosfera satura di umidità a 10-27°. C’è un pericoloso parassita trasmesso per seme, segnalato in Italia per la prima volta una decina di anni fa;
   alcuni attacchi di peronospora sulle coltivazioni di basilico erano stati osservati in Uganda negli anni ’30, nel continente europeo la malattia si manifestò per la prima volta in un orto familiare in Svizzera nel 2002;
   il primo violento attacco della peronospora belbharii sulle colture italiane di basilico risale all'autunno del 2003 quando l'80 per cento degli oltre 100 ettari coltivati a basilico in Liguria erano stati infatti interessati dalla malattia;
   nel 2013, complice un'annata particolarmente fredda e piovosa, la peronospora belbharii ha inferto ingenti danni alle colture italiane di basilico concentrate in Piemonte, Emilia Romagna e Liguria, trasferendo a cascata i propri effetti nefasti sulle industrie di trasformazione e determinando quindi il crollo della produzione di pesto;
   la malattia si trasmette attraverso semi infetti, che vengono prodotti in pochi stabilimenti, in genere in area subtropicale, e commercializzati in tutto il mondo. Basta un solo seme infetto su dieci mila per mettere a rischio l'80 per cento della produzione in una regione come la Liguria;
   Agroinnova, il Centro di competenza per l'innovazione in campo agro-ambientale dell'università di Torino, sta da tempo conducendo importanti ricerche per individuare rimedi efficaci per fermare la propagazione della peronospora belbharii;
   secondo i ricercatori di Agroinnova sta crescendo oggi di importanza la diagnostica molecolare che permette di analizzare il DNA delle sementi e che potrebbe consentire di attivare strategie preventive a livello internazionale, basate sul controllo fitosanitario del materiale riproduttivo;
   da quanto emerso da alcune fonti di stampa, non vi sarebbero ad oggi rimedi veramente efficaci per evitare la propagazione del patogeno, anche se vanno segnalati alcuni risultati per frenare l'agente ottenuti attraverso i sistemi di concia (ovvero di disinfezione dei semi) utilizzando mezzi fisici (ovvero un trattamento dei semi con acqua o aria calda a temperature variabili tra i 45 e i 70 gradi), mezzi chimici (fungicidi) o mezzi biologici (con l'impiego, in fase di concia del seme, di micro-organismi antagonisti in grado di contrastare il patogeno) anche se vanno sottolineate le crescenti difficoltà nell'impiego di questi mezzi dovute alle restrizioni imposte alla loro registrazione dalle nuove normative europee;
   in data 4 ottobre 2013 è stato emanato il decreto ministeriale concernente «Estensione d'impiego, ai sensi dell'articolo 53, paragrafo 1, reg. CE 1107/2009 del prodotto fitosanitario denominato Cabrio duo, contenente le sostanze attive pyraclostrobin e dimetomorf per la lotta alla Peronospera belbhrii;
   situazione analoga per la rucola selvatica, che è andata recentemente incontro ad un aumento delle superfici coltivate grazie a mirate politiche di mercato, essendo diventata – insieme a lattuga e valerianella – una specie assai apprezzata in Europa nell'ambito dei prodotti di quarta gamma. In Italia la coltivazione di questo ortaggio è principalmente localizzata in Campania e in Lombardia. Ma proprio la diffusione della sua coltivazione ha favorito l'insorgenza di malattie mai osservate prima su questa pianta, per molte delle quali è stata dimostrata la trasmissibilità per seme, particolarmente pericolosa in aree di coltivazione intensiva in serra. Anche in questo caso va tenuto in conto il fatto che il materiale riproduttivo è prodotto in pochi stabilimenti specializzati, spesso situati in Paesi in via di sviluppo, e di qui inviato in tutto il mondo. Questa tendenza, sempre più diffusa negli ultimi anni, ha comportato da un lato un miglioramento dei livelli qualitativi della semente grazie all'impiego di tecnologie sempre più sofisticate, ma dall'altro ha favorito la rapida diffusione di parassiti in molte aree geografiche diverse da quelle in cui i semi sono stati prodotti. E proprio grazie agli studi condotti da Agroinnova su alcuni campioni di rucola campana è stata rilevata, nella primavera del 2012 – per la prima volta in Italia e nel mondo – una nuova malattia;
   le ultime tecnologie di diagnostica molecolare condotte nei laboratori di Agroinnova hanno consentito di identificare il patogeno: si tratta di Plectosphaerella cucumerina, segnalato come responsabile di gravi danni su differenti colture sulle quali provoca sintomi più o meno gravi in diverse parti del mondo, ma mai prima d'ora sulla rucola –:
   se i Ministri interrogati, siano a conoscenza dei fatti sopra esposti e se intendano aggiornare lo stato attuale dei risultati ottenuti sulla ricerca portati avanti da Agroinnova per la riduzione del rischio di trasmissione e diffusione delle malattie trasmesse da seme e sull'utilizzo del prodotto fitosanitario denominato Cabrio duo;
   nell'ambito delle proprie competenze, se e come i Ministri interrogati intendano attuare misure più stringenti sui controlli del materiale vegetale e sementiero che importiamo dai paesi esteri al fine di poter contrastare i cosiddetti «parassiti killer», patogeni derivanti dai paesi esteri portati da seme o da altro materiale vegetale non autoctoni del nostro Paese, che hanno di fatto messo in ginocchio un'intera parte della produzione che riguarda il settore primario;
   quale proposta intendano portare all'attenzione della Commissione europea per risolvere il problema delle specie aliene invasive, per proteggere la biodiversità e gli ecosistemi e per minimizzare l'impatto sulla salute dell'uomo, degli animali, delle piante e sull'economia del Paese; (4-05170)


   GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da un articolo de «il Fatto Alimentare» che fino al 15 per cento della carne bovina italiana è trattata con steroidi anabolizzanti, corticosteroidi e altre sostanze vietate. I dati emergono dall'ultima relazione del piano di monitoraggio compilata pochi giorni fa dall'Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta. I dati provengono dai test istologici realizzati in Italia per individuare gli effetti delle sostanze vietate su alcuni organi dei bovini. Con questa tecnica si individuano percentuali decisamente più elevate rispetto ai valori dei test chimici (0,2 per cento) che invece sono sempre molto tranquillizzanti;
   il trattamento con sostanze illecite dei bovini, non solo in Italia ma anche in Europa, è ormai una costante negli ultimi 40 anni. Una prima denuncia era stata fatta nel dicembre 2013, con un'inchiesta firmata da Valentina Murelli de «Il Fatto Alimentare» dove si stimava che il 15 per cento dei capi macellati in Italia sono trattati con diverse sostanze anabolizzanti. La percentuale derivava da indagini condotte con un metodo biologico alternativo alle metodiche chimiche, appunto il metodo istologico, che fa parte di un piano nazionale del Ministero della salute ma che non è ancora stato riconosciuto tra i metodi ufficiali;
   a seguito dell'inchiesta di cui sopra gli interroganti chiedevano ai Ministri della salute e delle politiche agricole, dai quali non si è ancora ricevuta alcuna risposta, di pubblicare il quadro completo dei risultati relativi allo screening istologico dei tessuti degli animali analizzati, e di divulgare la lista delle catene di supermercati operanti in Italia che richiede agli allevatori certificati di effettuare le analisi dei campioni con metodo istologico;
   la relazione annuale del Centro di referenza nazionale per le indagini biologiche sugli anabolizzanti animali di Torino, conferma il precedente dato del dicembre 2013 sul livello di trattamenti illeciti (fino al 15 per cento della carne bovina italiana trattata con steroidi anabolizzanti, corticosteroidi e altre sostanze vietate). Dai rilevamenti effettuati in 18 regioni risulta che l'esame istologico ha classificato come «sospetti» per la presenza di corticosteroidi 72 bovini rispetto ad un totale di 514; per quanto riguarda il trattamento illecito con ormoni steroidei sessuali i casi «sospetti» sono stati 12 rispetto a un totale di 576 capi esaminati; l'ultimo dato riguarda i casi «dubbi» per trattamento illecito a base di corticosteroidi: 74 su 512 capi;
   dal piano emerge inoltre che il superamento della soglia di positività fissata coinvolge rispettivamente 3 regioni nel caso dei tireostatici, 6 regioni nel caso degli steroidi sessuali e 15 regioni nel caso dei corticosteroidi. L'ultima nota riguarda la costante crescita delle positività negli ultimi cinque anni per quanto riguarda i corticosteroidi;
   l'articolo in questione denuncia anche che le aziende agricole abituate ad usare trattamenti illeciti nella maggioranza dei casi non vengono identificate e, rispetto agli allevatori onesti, riescono ad ottenere rese maggiori in fase di macellazione, operando una vera e propria frode alimentare;
   la catena di supermercati Coop da molti anni adotta un sistema di controllo che, oltre al controllo istologico sui capi, prevede il prelievo di sangue e urine nella stalla e in alcuni casi anche al macello per un totale di oltre 1.000 ispezioni e 66.000 analisi, per identificare il fenomeno della somministrazione fraudolenta di farmaci vietati –:
   quali siano le ragioni in seguito alle quali l'esame istologico, affiancato alle analisi chimiche tradizionali, non sia ancora stato ufficializzato tra gli esami da effettuare per la individuazione delle frodi legate all'uso sulle carni bovine di sostanze vietate a base di anabolizzanti;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, per quanto esposto in premessa, divulgare la lista delle catene di supermercati operanti in Italia che richiede agli allevatori certificati di effettuare le analisi basate su prove biologiche, posto che i risultati degli esami dell'istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, nella ultima relazione sul piano di monitoraggio, confermano una situazione molto meno tranquillizzante rispetto ai valori dei test chimici, al fine di salvaguardare il buon nome e la qualità della carne made in Italy dalle frodi degli allevatori disonesti. (4-05187)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   SILVIA GIORDANO, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sono 72 i farmaci autorizzati dall'Agenzia del farmaco europea (EMA) per la cura delle malattie rare, ma sono solo 55 i farmaci disponibili sul territorio nazionale;
   da un articolo del Fatto quotidiano del 16 giugno 2014 si apprende che sarebbero oltre duemila i farmaci detti «orfani» per i quali le aziende farmaceutiche non hanno ancora presentato all'Aifa la richiesta per l'autorizzazione alla messa in commercio;
   tra i duemila farmaci orfani per i quali le aziende farmaceutiche non hanno ancora presentato all'Aifa la richiesta per l'autorizzazione figurano: l'Ivacaftor per la cura della fibrosi cistica, prodotto dalla Vertex, autorizzato dall'EMA da luglio 2012 che in Italia è irreperibile; il Crizotinib per la cura del tumore al polmone ma efficace anche contro il linfoma Alk, prodotto dalla Pfizer;
   le malattie rare riconosciute sono tra le settemila e le ottomila, in Europa ne sono affette 30 milioni di persone e circa tre milioni in Italia;
   le aziende farmaceutiche con una logica esclusivamente mercantile ritengono di avere altre priorità che garantiscono enormi introiti;
   la spesa che il servizio sanitario nazionale è così costretto a subire è di circa 670 milioni di euro l'anno;
   è in via di presentazione il piano nazionale delle malattie rare il quale è chiamato a definire le strategie di intervento e la pianificazione delle attività;
   dal 4 giugno 2013 il gruppo del MoVimento 5 Stelle ha presentato una proposta di legge che reca norme capaci di affrontare in maniera efficace le malattie rare sia in termini di aggiornamento dell'elenco delle stesse, sia per l'inserimento nei livelli essenziali di assistenza dei trattamenti non farmacologici che per il supporto al paziente e alle famiglie, una proposta di legge che come altre presentate non ha visto ancora l'avvio dell'iter per l'approvazione;
   il 18 marzo 2014 la Camera ha approvato una mozione unitaria firmata da tutti i gruppi con la quale si impegnava, il Governo, in particolare ad avviare e valutare azioni e iniziative concrete sia sul versante dello sviluppo della ricerca e della produzione di farmaci orfani, che del sostegno alla ricerca e la commercializzazione di farmaci destinati alla profilassi, alla diagnosi e alla terapia delle malattie rare, così come a prevedere risorse adeguate da parte del servizio sanitario nazionale e il pieno coinvolgimento delle associazioni attive nel campo delle malattie rare –:
   quali siano le iniziative che intenda intraprendere al fine di sostenere la ricerca, la produzione e commercializzazione di farmaci per la cura delle malattie rare sull'intero territorio nazionale;
   quali siano stati gli impegni derivati dalla mozione approvata il 18 marzo 2014 dalla Camera dei deputati ai quali il Governo ha dato seguito. (4-05188)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   BOMBASSEI e GALGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dovrebbe concludersi entro il 2014 il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TIPP), l'accordo tra Unione europea e Stati Uniti che, oltre a favorire lo scambio di merci tra due delle maggiori superpotenze economiche, porterebbe ad una ridefinizione del quadro geopolitico globale, sancendo la fine delle barriere commerciali tra Stati Uniti ed Europa;
   l'accordo ha come obiettivo fondamentale l'abbattimento delle barriere tariffarie e non tariffarie che frenano gli investimenti. La revisione delle norme non tariffarie andrà ad incidere soprattutto sull'attuale legislazione europea che prevede regole stringenti in materia di ambiente, salute, lavoro, istruzione;
   l'accordo sta nel rendere «compatibili» le differenti normative tra Usa e Unione europea che regolano i diversi settori dell'economia, al fine di intervenire e migliorare l'entità degli scambi commerciali, tenendo conto degli interessi dell'industria italiana e americana. Considerata l'entità degli scambi commerciali, potrebbero scaturire risultati consistenti ed immediati;
   i controlli preposti ai traffici commerciali tra i due Paesi, sono capillari e richiedono molta documentazione, con procedure lente e complesse, quindi costose, che rallentano l'efficienza e l'efficacia degli scambi, riducendone l'accesso al mercato e la competitività, perciò la cooperazione doganale è fondamentale soprattutto per le piccole e medie imprese –:
   quali iniziative intenda adottare per agevolare le piccole e medie imprese italiane nell'affrontare il nuovo quadro commerciale, chiarendo anche se saranno rispettati i tempi previsti per la firma dell'accordo di libero scambio Europa-Stati Uniti. (5-03028)


   DA VILLA, SIBILIA, CRIPPA, DELLA VALLE, FANTINATI, MUCCI, PRODANI, PETRAROLI, VALLASCAS, GALLINELLA, BENEDETTI, GRILLO, CIPRINI e DAGA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il quarto round del negoziato Unione europea-USA denominato TTIP, si è svolto il 26 marzo 2014, quando Obama ha incontrato i vertici dell'Unione europea;
   sul sito dell'Unione europea si legge che lo scopo dell'accordo è quello di «aumentare lo scambio delle merci, eliminando dazi e barriere commerciali», ossia attuare una sorta di deregulation attraverso tre strumentini: il libero accesso ai reciproci mercati, l'armonizzazione delle regole e l'introduzione di norme in materia di commercio ancor più favorevoli alla globalizzazione. È evidente che un tale cambiamento potrebbe ricadere negativamente sui piccoli imprenditori italiani;
   nelle intenzioni dei negoziatori, l'accordo succitato riguarderà i prodotti agroalimentari e industriali, il mercato dei servizi, il trasporto e la liberalizzazione degli investimenti privati, che coinvolgeranno anche gli appalti pubblici, la sicurezza ambientale e alimentare, i farmaci, i diritti di proprietà intellettuale ed energia;
   il trattato di Lisbona demanda all'Unione europea le scelte in materia di accordi d'investimento, nel momento in cui si parla testualmente «di garantire un equilibrio tra gli Stati Membri e gli investitori»; agli interroganti appare quantomeno strano far rientrare l'accordo TTIP in questo ambito, ma il Parlamento europeo, il 6 aprile 2011, si è già espresso in tal senso;
   l'accordo ha come obiettivo di migliorare gli accessi per gli scambi oltreoceano relativi alla manifattura, all'agricoltura e ai servizi (compresi servizi pubblici essenziali) «made in USA». Agli occhi dell'interroganti, questo accordo pare disegnato a misura degli statunitensi e finalizzato a estendere all'Europa una forte egemonia delle grandi imprese sulla volontà democratica, nella forma di una predeterminata supremazia degli interessi degli investitori privati sull'interesse pubblico come interpretato (o interpretabile) dai legislatori degli Stati membri;
   in Europa sembra che la strada sia già stata scelta: infatti, il Consiglio dell'Unione europea ha già approvato gli orientamenti adottati dalla Commissione per trattare a nome dell'Unione in ambito TTIP e, al termine del negoziato, saranno il Parlamento europeo (che ha una funzione consultiva) e il Consiglio, che si è già espresso favorevolmente, a decidere;
   esiste, inoltre, uno studio che ipotizza che tale accordo incrementerà di circa 120 miliardi di euro ogni anno l'interscambio commerciale dell'Unione europea. Tale studio, apparentemente commissionato da un ente indipendente, il Center for Economic Policy Research (CEPR) di Londra, è stato finanziato, di fatto, dalla Banca d'Inghilterra, dalla Fondazione Rockfeller, oltre che da altre banche private, quali la Banca del Canada e di Israele, la BCE, Alpha Bank, Barclays, Citigroup, Credit Suisse, Intesa San Paolo, Gruppo Santander, JP Morgan e il MES;
   la Commissione europea ha dichiarato che tali trattative devono restare riservate, ma agli interroganti appare invece auspicabile, e doveroso in termini di moralità democratica, che i contenuti alla base dei negoziati che sottendono il trattato siano resi pubblici, poiché le conseguenze ricadranno sui cittadini europei –:
   se sia in corso un'analisi da parte del Governo degli impatti e degli scenari circa le ricadute positive e negative sul sistema economico, produttivo, imprenditoriale, in particolare in settori strategici come l'energia. (5-03029)


   POLIDORI e ABRIGNANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 7 febbraio 2014 è stato siglato l'accordo tra il Direttore Generale dell'ICE-Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, Roberto Luongo, e il Segretario generale di Unioncamere, Claudio Gagliardi;
   l'intesa è nata per realizzare iniziative comuni a sostegno dell'internazionalizzazione finalizzate a promuovere la formazione per le piccole e medie imprese e i giovani laureati, tramite la definizione di specifiche attività e di una forte integrazione dei programmi dei due enti e ha lo scopo di supportare congiuntamente le piccole e medie imprese italiane nelle strategie di incremento dei volumi di interscambio e di radicamento sui mercati internazionali attraverso il miglioramento della formazione manageriale, elemento propedeutico ed imprescindibile perché le imprese realizzino stabili progetti di internazionalizzazione per battere la concorrenza estera;
   con tale accordo si è voluto dimostrare come le istituzioni siano in grado di collaborare per affrontare con successo la sfida per l'internazionalizzazione, dal momento che il sistema camerale rappresenta il punto di contatto delle istituzioni verso le imprese sui territori. Gli sportelli delle Camere di commercio per l'internazionalizzazione, la rete WorldPass, sono dunque il terminale migliore per consentire alle piccole imprese italiane, soprattutto a quelle non ancora protagoniste nell’export ma ad «alto potenziale», molte delle quali al Sud, di internazionalizzarsi con successo;
   l'Italia sta attraversando una drammatica crisi industriale esponendosi sempre più alle strategie degli altri Paesi senza tuttavia sapersi difendere o prestare resistenza. Come ha evidenziato dalla Commissione europea nel suo rapporto sulla competitività industriale nei Paesi membri dell'Unione europea, nonostante la quota dei settore manifatturiero, in termini di valore aggiunto totale nell'economia, resti leggermente al di sopra della media Ue, il nostro Paese tuttavia ha subito una perdita di 20 punti percentuali nell'indice di produzione industriale rispetto al 2007 sia a causa della riduzione dell'attività dovuta al rallentamento economico, sia per la chiusura di numerosi impianti in alcuni settori industriali di base (petrolchimica, siderurgia e biocombustibili). Ciò vuol dire che in termini di costo unitario medio del lavoro, negli ultimi dieci anni abbiamo perso competitività a causa di un aumento del salario lordo nominale combinato con una debole crescita della produttività. Nella produttività del lavoro nel settore industriale, l'Italia nel 2012 ha perso posizioni rispetto al 2007, ed è stata superata persino dalla Grecia, che nel 2007 era molto più indietro. È evidente anche una forte accelerazione della produttività del lavoro da parte della Spagna, che comunque era già più avanti dell'Italia nel 2007;
   la ragione del declino economico dell'Italia è dovuta alla mancanza, da più di vent'anni a questa parte, di una pianificazione industriale a livello nazionale cui si aggiunge un sistema capitalistico malato e portatore di moltissime anomalie ed asimmetrie economiche, oramai croniche nel sistema Italia;
   nel corso del 2013 la nostra situazione industriale è stata fallimentare. Si è raggiunto il record di aziende chiuse per fallimento. Secondo gli ultimi dati a disposizione ed analizzati da Cerved, nel corso del primo trimestre del 2013, infatti, sono state avviate circa 3.500 pratiche di fallimento e solo tra gennaio e aprile 2013, si sono contate 4.218 chiusure di attività. Dal 2009, preso come anno zero dalle statistiche a disposizione, le aziende italiane che hanno chiuso sono state 45.280;
   negli ultimi anni molte nostre aziende sono state acquistate da concorrenti internazionali: Star, Carapelli, Bertolli e Riso Scotti sono state comprate da aziende alimentari spagnole; Gancia è passata in mano russa mentre, sempre per rimanere in ambito culinario, Parmalat, Galvani, Locatelli ed Invernizzi sono state una dopo l'altra acquistate da compagnie francesi. Per quanto riguarda la moda, mondo che ha fatto grande il made in Italy, compagnie come LoroPiana, Gucci, Bulgari e Fendi sono state comprate da concorrenti francesi, mentre «Valentino» è passato in mano ad alcuni sceicchi del Qatar. Non dimentichiamoci altri nomi importanti dell'industria italiana, come Baci Perugina e Buitoni, oggi di proprietà Nestlé (Svizzera) e Fiorucci (Spagna); da ultimo l'accordo con Etihad per risollevare l'Alitalia dal fallimento;
   questi anni di svendita sono stati un colpo basso per l'economia del Paese ma si è rimasti ad osservare il disfacimento della sua struttura industriale e il problema maggiore è intimo ai nostri confini perché, come sottolineato dal rapporto della Commissione dell'Unione europea cui si è già fatto riferimento, senza riforme, per la produzione, la competitività e la produttività delle industrie saranno destinate a diminuire sempre più, lasciando gli italiani e l'Italia sempre più poveri, nonché emarginati dall'Europa che conta;
   è vero che la globalizzazione non spaventa più nessuno, ma deve essere invece vista come una risorsa fondamentale per le aziende e nel corso della tappa mantovana del Roadshow, che si è tenuta al centro congressi del MAMU (Mantova Multicentre) l'11 giugno 2014, si è riservato uno spazio agli enti che operano nel settore (ICE Agenzia, SIMEST, SACE, ed altri) e le aziende partecipanti hanno potuto chiedere agli esperti delle consulenze mirate su aspetti dell'internazionalizzazione quali: procedure doganali, credito all’export, esame delle opportunità nei vari mercati, occasioni di contatti e finanziamenti di azioni di promozione, incoming, missioni all'estero –:
   se ci sia realmente la volontà di realizzare un piano di riorganizzazione e di internazionalizzazione delle aziende, soprattutto piccole e medie, del nostro Paese attraverso una facilitazione delle procedure e delle risorse necessarie al fine di ottenere dei concreti benefici per l'economia italiana. (5-03030)


   BENAMATI e TARANTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Rapporto Svimez 2013 – presentato nello scorso mese di marzo – ha sottolineato che la riduzione della base industriale del Mezzogiorno è stata, tra il 2007 ed il 2012, di ampiezza tale da rendere concreto «il rischio dell'innesco di processi di desertificazione» dovuti all'impatto della recessione sulle fragilità strutturali del tessuto produttivo: «in particolare, sul fronte delle tecnologie e della capacità innovativa, che insieme al grado di internazionalizzazione costituisce uno dei due indicatori principali della capacità di competere con successo sui mercati internazionali»;
   del resto – si osserva ancora nel suddetto Rapporto – «il divario tra il Mezzogiorno e il Centro-Nord è estremamente ampio se si considerano le principali forme di integrazione economica internazionale: con riferimento alle esportazioni del settore manifatturiero, la quota del Mezzogiorno sul totale nazionale risulta» nel 2012, pari ad appena l'8,1 per cento»;
   al riguardo, il documento del febbraio 2013 dal titolo «Una politica di sviluppo del Sud per riprendere a crescere» – sottoscritto da ventuno associazioni meridionaliste – già annotava che «il rafforzamento e il completamento delle reti infrastrutturali e logistiche deve favorire il processo di integrazione del sistema produttivo meridionale nel mercato internazionale, cogliendo le opportunità derivanti da nuovi scambi con le aree del mondo caratterizzate da una maggiore crescita della domanda, a partire dal vasto bacino mediterraneo fino all'estremo oriente»;
   peraltro, le analisi presentate da SRM in occasione del convegno dell'ottobre 2013 su «L'economia reale nel Mezzogiorno», promosso dall'Accademia Nazionale dei Lincei e dalla Fondazione Edison, hanno richiamato l'attenzione sui dati di un Mezzogiorno che innova, che produce, che esporta: i suoi settori export-oriented a maggiore impatto risultano essere l'aeronautico (con una partecipazione all’export Italia del 26,9 per cento, l'automotive (con una partecipazione all’export Italia del 17,1 per cento), l'agroindustria (con una partecipazione all’export Italia del 17,8 per cento); verso oltre cinquanta paesi, l’export del Mezzogiorno presenta una specializzazione maggiore del dato nazionale; nel 2012, il Mezzogiorno registra un interscambio di 16,1 miliardi di euro con l'area del Mediterraneo, collocandosi alle spalle del Nord-Ovest (17,8 miliardi di euro), ma con un valore subtotale del suo interscambio del 15,5 per cento rispetto al 7,9 per cento del dato Italia e rispetto al 5,5 per cento del dato Centro-Nord;
   il Rapporto Istat 2014 ricorda poi che, dopo la forte caduta del 2009 dovuta alla crisi internazionale, «nel biennio successivo le esportazioni italiane hanno ripreso a crescere in misura sostenuta, per poi rallentare progressivamente fino a segnare un andamento stagnante nel 2013»; quanto al saldo commerciale, migliora a partire dal 2011 «e, dopo essere tornato in attivo nel 2012, ha raggiunto lo scorso anno la rilevante cifra di 30,4 miliardi di euro»;
   sempre il Rapporto Istat 2014 segnala ancora che la crescita della propensione all’export nel manifatturiero riflette, negli anni della crisi, la necessità di «compensare la sostanziale e persistente debolezza della domanda interna»; quanto agli aspetti strutturali di tale crescita, «da un lato potrebbe riflettere un processo di progressivo aumento dell'apertura internazionale del sistema produttivo italiano, dall'altro la crescita sui mercati internazionali legata a incrementi della competitività del sistema delle imprese su specifiche nicchie di mercato»;
   ripresa della domanda nazionale ed incremento dei prezzi internazionali delle materie prime si tradurrebbero – conclude il citato Rapporto Istat – in un rapido deterioramento dell'attuale avanzo commerciale, «se non controbilanciato da una sostanziale e persistente ripresa dell’export, sostenuta da imprese con una maggiore capacità competitiva sui mercati internazionali»;
   il Piano export per le regioni della Convergenza (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) ha reso disponibili – nell'ambito del Piano di Azione Coesione e della riprogrammazione del PON ricerca e competitività 2007-2013 – cinquanta milioni di euro per un programma pluriennale – di cui l'Agenzia ICE è il soggetto attuatore – di sostegno alla promozione sui mercati internazionali di prodotti e servizi, con la finalità di concorrere al recupero delle quote di export perse dalle imprese italiane in Europa e nell'area mediterranea e di rafforzare l'azione verso paesi con tendenziali economici in crescita come i BRICS;
   il citato Piano vede quali destinatari delle misure PMI, start-up, parchi universitari e tecnologici, consorzi e reti di impresa, prevedendo per la prima annualità – quarto trimestre 2013/fine febbraio 2015 – ottanta iniziative articolate in nove linee di intervento, riferite all'area delle azioni di tutoraggio e formazione ed all'area delle iniziative promozionali, con il coinvolgimento delle filiere dell'agroalimentare, della moda, della mobilità, dell'arredo e delle costruzioni, dell'alta tecnologia, dell'energia –:
   quale sia lo stato di attuazione del suddetto Piano Export Sud e quali indicazioni, ad avviso del Ministro interrogato, se ne possano ricavare per il potenziamento delle politiche e degli strumenti a supporto dell’export delle imprese meridionali e ciò anche in riferimento all'opportunità di ulteriori scelte di riprogrammazione dei fondi europei per il ciclo 2007-2013 ed al migliore avvio del ciclo di programmazione 2014-2020. (5-03031)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 30 giugno 2014 sarà obbligatorio per i professionisti installare il Pos nei propri uffici, in attuazione del decreto del 24 gennaio 2014 del Ministero dello sviluppo economico;
   per il professionista l'installazione di un Pos costa in media un centinaio di euro, a cui si deve aggiungere un canone mensile di circa 30 euro da pagare alla banca e una commissione che oscilla tra l'1 e il 3 per cento per ogni pagamento eseguito con questo sistema;
   l'obbligo introdotto dal decreto si applica a tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro disposti a favore del professionista per l'acquisto di prodotti o la prestazione di servizi;
   ex articolo 3 del decreto andavano individuate entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto stesso nuove soglie e nuovi limiti minimi di fatturato rispetto a quelli provvisoriamente individuati;
   ci sono molti professionisti con un reddito modesto, anche al di sotto dei 10.000 euro annui, per i quali sarebbe gravemente iniquo doversi sobbarcare anche la spesa di gestione del Pos;
   anche per il tipo di entrate degli avvocati, sembra inutile e rilevante per le tasche dei liberi professionisti, porre l'obbligo del Pos per coloro che fatturano meno di 40.000 euro annui –:
   quali siano le ragioni per le quali il Ministero dello sviluppo economico non abbia ancora introdotto le soglie e i limiti minimi di fatturato di coloro che debbano effettivamente installare i Pos e in quali tempi intenda farlo;
   se il Ministro dello sviluppo economico abbia attentamente valutato il rischio concreto che l'obbligo del Pos vada a costituire una «tassa occulta», trasformando il reddito per i professionisti in rendita per il sistema bancario, e quali iniziative intenda attuare per prevenire tale rischio. (5-03011)


   MUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   BredaMenarinibus era una delle principali realtà italiane dell'industria dell'autobus per tradizione e storia;
   in quasi 95 anni di attività, nello stabilimento di via San Donato 190 a Bologna sono stati prodotti oltre 30.000 autobus che, circolando in tutte le città del nostro Paese, hanno trasportato milioni di passeggeri e hanno contribuito alla storia del trasporto pubblico italiano;
   l'Azienda occupava una superficie di 155.000 metri quadrati di cui 46.000 metri quadrati coperti; all'interno dello stabilimento venivano svolte attività produttive e di assemblaggio con collaudo finale effettuato su ogni autobus prodotto nella speciale pista di prova che si sviluppa per circa 2 chilometri all'interno dell'area;
   BredaMenarinibus vantava la più qualificata competenza nella progettazione di autobus; ogni modello veniva concepito e sviluppato interamente (carrozzeria e meccanica) dai propri progettisti con le più evolute tecniche di progettazione e calcolo;
   le intuizioni tecniche dei fondatori, la continua ricerca di soluzioni innovative e la costante applicazione di componenti avanzati, hanno visto BredaMenarinibus più volte in anticipo sulla concorrenza italiana ed estera, che anche in anni più recenti ha spesso dovuto seguirne l'impostazione progettuale;
   in proposito, si possono citare le applicazioni di freni a disco già nei primi anni ’80, le prime generazioni di autobus corti e medi a pianale integralmente ribassato, le sospensioni a ruote indipendenti, gli impianti elettrici Multiplex con diagnostica onboard, e negli anni ’90 la 1a omologazione di serie di autobus alimentati a gas metano, settore nel quale BredaMenarinibus continuava ad occupare un ruolo di leadership;
   protagonista nel settore del trasporto collettivo urbano su scala nazionale, BredaMenarinibus si è da sempre proposta di migliorare e facilitare gli spostamenti dei passeggeri rendendo questi ultimi sempre più confortevoli, piacevoli e soprattutto sicuri. Contemporaneamente, ha avuto come obiettivo la semplificazione delle mansioni quotidiane dei conducenti e il miglioramento della redditività delle società di gestione del trasporto pubblico locale, il tutto in coerenza con lo sviluppo sostenibile, la salvaguardia dell'ambiente e l'attenzione alle esigenze dei passeggeri;
   dal 2006 la BredaMenarinibus è rientrata a pieno titolo nella holding Finmeccanica dove assieme ad AnsaldoBreda e Ansaldo STS costituisce la divisione trasporti;
   negli ultimi anni ha raggiunto accordi di collaborazione tecnica con altri costruttori esteri del settore per ampliare ulteriormente le tradizionali linee di prodotto e acquisire maggiore competitività sui mercati internazionali;
   molti modelli BredaMenarinibus, all'avanguardia per design e tecnica, hanno costituito un esempio della migliore tradizione industriale italiana del settore e un riferimento per molti concorrenti;
   secondo fonti stampa, BredaMenarinibus ha sempre puntato su qualità, innovazione, sostenibilità ambientale e design tutto italiano come chiavi per lo sviluppo del mercato. Finora è stata l'unica azienda in Italia a produrre una gamma completa di autobus per il trasporto urbano. Un investimento coraggioso, deciso in un momento di forte crisi del trasporto pubblico locale, che oggi, dopo anni di assoluta carenza finanziaria, vede una prospettiva interessante grazie allo stanziamento annuale aggiuntivo di 100 milioni di euro per l'acquisto di mezzi su gomma per il triennio 2014/2016, previsto dalla legge di stabilità;
   di tutt'altro avviso sembrava essere l'amministratore delegato di Finmeccanica, Alessandro Pansa, nel corso dell'audizione alla Camera, quando ha affermato che «BredaMenarinibus è un'altra fonte di perdita del nostro gruppo, anche se in valori assoluti abbastanza limitata. Noi cerchiamo di far diventare Finmeccanica un gruppo integrato, che abbia come denominatore comune tecnologie compatibili con tutte le attività che il nostro gruppo svolge. Questo è vero nei settori di aeronautica, spazio e difesa; la BredaMenarinibus non è qualcosa di integrabile in questo ambito, e non ha la possibilità di sfruttare i vantaggi competitivi che potrebbe avere se fosse integrata in un gruppo più ampio». «Stiamo lavorando a più di un'operazione possibile – ha proseguito Pansa – per preservare lo stabilimento, i dipendenti e la capacità produttiva in Italia. Stiamo lavorando insieme al Ministero dello sviluppo economico per trovare, se possibile, una soluzione comune all'industria degli autobus italiani, ma valutiamo anche alternative a questa scelta, che in linea di principio sposiamo, se non si riesca a individuare un soggetto nazionale abbastanza forte sul piano patrimoniale». BredaMenarinibus, ha aggiunto Pansa, richiede «consistenti iniezioni patrimoniali e capacità di sfruttare le economie di scala». Il manager ha sottolineato che «il tema degli autobus in Italia è stato piuttosto sfortunato. Negli autobus si vivono gli stessi problemi dei trasporti ferroviari: BredaMemarinibus ha dimensioni estremamente piccole per il settore in cui lavora, un settore totalmente trasportato al di fuori del mondo occidentale. I maggiori produttori di bus sono infatti turchi, cinesi e indiani»;
   il 30 giugno 2014 sembra sarà costituita l'industria Italiana Autobus, con un capitale per l'80 per cento della King Long (multinazionale cinese) e del 20 per cento Finmeccanica. La nuova new company rileverà la Bredamenarinibus e lo stabilimento di Flumeri ex Iribus, con l'obiettivo di costituire un produttore di autobus italiano;
   il piano presentato al Ministero dello sviluppo economico dalla cordata di cui fanno parte la cinese King Long (40 per cento del capitale), Finsita holding (ancora 40 per cento) e Finmeccanica (20 per cento), sembra prevedere il conferimento al nuovo soggetto da parte di Finmeccanica dello stabilimento bolognese di Bredamenarinibus con i suoi 190 addetti e da Cnh Industrial (Fiat) di quello di Irisbus di Valle Ufita con 290 addetti;
   sembra che la nuova società dia avvio all'attività entro settembre 2014 relativamente allo stabilimento di Bologna, mentre i lavoratori irpini dovrebbero aspettare dicembre per entrare in fabbrica, fino a quel momento coperti da cassa integrazione in deroga, con assorbimento totale degli addetti entro gennaio 2015 –:
   se il Ministro interrogato intenda chiarire le prospettive industriali e garantire gli attuali livelli occupazionali della Bredamenarinibus;
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato nell'ambito della produzione, della prototipazione, dell'omologazione di veicoli elettrici, della conversione di veicoli da endotermici ad elettrici;
   se il Ministro intenda chiarire come questa operazione abbia effettivamente garantito la produttività italiana e come abbia migliorato le sorti della Bredamenarinibus, un'azienda italiana, colonna portante del trasporto pubblico nazionale, che da sempre ha puntato su qualità, innovazione, sostenibilità ambientale e design italiano, soddisfacendo le mutevoli e diverse esigenze dei clienti italici ed esteri e contraddistinguendosi sempre per un'innovativa e avanzata competenza nella progettazione di autobus. (5-03018)


   TIDEI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Tirreno Power, società operante nel settore energetico, è una società per azioni attualmente partecipata al 50 per cento da Gdf Suez e per il restante 50 per cento da una «scatola» le cui quote sono detenute prevalentemente da Sorgenia e in misura molto minore, ma pari, da Iren e da Hera;
   in data 6 giugno 2014 è stato firmato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il decreto ministeriale n. 157 relativo alla sospensione temporanea dell'esercizio delle sezioni VL3 VL4 della centrale termoelettrica della società Tirreno Power s.p.a. ubicata nei comuni di Vado Ligure e Quiliano, nella provincia di Savona. Nel decreto ministeriale si evince che la sospensione temporanea dell'autorizzazione integrata ambientale è dovuta al mancato rispetto di avvio dei lavori di realizzazione della nuova sezione VL6, la cui realizzazione avrebbe, in ossequio al programma previsto dall'autorizzazione integrata ambientale del dicembre 2012, comportato la continuazione del funzionamento della sezione VL4, previa riqualificazione, e la definitiva dismissione della sezione VL3;
   precedentemente, in data 14 maggio 2014, la società Tirreno Power ha presentato al giudice per le indagini preliminari istanza di dissequestro dell'impianto;
   la suddetta sospensione dell'autorizzazione integrata ambientale pone in prospettiva ulteriori gravissimi problemi occupazionali già sul tappeto. A seguito di tale sospensione, la società Tirreno Power proprio nei recenti giorni, ha ufficialmente inviato alle rappresentanze sindacali aziendali la comunicazione di licenziamento collettivo che interessa 315 lavoratori, secondo quanto previsto dalla legge 23 luglio 1991, n. 223 ai sensi dell'articolo 4, commi 2 e 3, con un taglio dell'organico che dalle 508 unità attuali, in forza a tutta la società, porterebbe il numero dei dipendenti a 193, con una riduzione di oltre il 60 per cento dell'organico complessivo;
   relativamente al sito produttivo di Napoli Levante la riduzione occupazionale, riguarderebbe circa il 60 per cento del complesso della forza lavoro. Ciò andrebbe ad aggravare non solo sui livelli occupazionali, critici particolarmente nelle regioni meridionali, ma rischierebbe di compromettere il futuro di un'azienda che è fondamentale per la regolazione del sistema elettrico in Campania e nel Mezzogiorno;
   per quanto attiene alla centrale di Torrevaldaliga Sud, che si compone di due unità a ciclo combinato alimentate a gas naturale per una potenza complessiva pari a circa 1.200 megawatt, essa occupa 94 dipendenti legati alla produzione più il nucleo della direzione Energy Management (18 unità) più le funzioni di staff di centrale (18 unità) che portano il totale del personale che opera presso il sito di Civitavecchia a 130 unità. Tale sito produttivo, attiguo alla centrale a carbone Enel, risente della riconversione a ciclo combinato avviata nel 2003 e predeterminata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 agosto 1999 (cosiddetto decreto D'Alema) che successivamente al decreto legislativo n. 79 del 1999 (cosiddetto decreto Bersani) ha definito specificamente quale dovesse essere il mix produttivo prospettico di ciascuna delle tre Gen.co. che avrebbero ereditato i circa 15.000 MWh ceduti da Enel nell'ottica della liberalizzazione del mercato elettrico nazionale;
   quando si realizzò il passaggio del personale tra Enel ed Interpower (divenuta poi Tirreno Power), avvenuto senza la facoltà di scelta, Enel stessa riversò nella nuova nata tutto il personale in esubero della più grande centrale di Torrevaldaliga Nord (oggi appunto riconvertita a carbone) non considerando, tra l'altro, l'imminente obsolescenza del 4 gruppo ad olio combustibile di Torrevaldaliga Sud, la cui sezione produttiva, difatti, nel 2011 è stata definitivamente fermata con prescrizione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rendendo oggi disponibili, in aggiunta agli spazi degli ex serbatoi, aree pregiate a ridosso del porto e della centrale Enel «concorrente»;
   è indubbia l'importanza che la società Tirreno Power s.p.a. rappresenta nel panorama italiano della produzione di energia elettrica, con diciassette centrali idroelettriche e tre centrali termoelettriche e con una dimensione occupazionale di assoluto rilievo, con i suoi oltre 500 occupati. È importante rilevare che soltanto nel 2009 la stessa ha assunto, a tempo indeterminato, giovani dipendenti nelle sedi di Civitavecchia e Vado Ligure;
   i rilievi di natura occupazionale, come è evidente, si amplificherebbero notevolmente se si considerano i negativi effetti che un tale ridimensionamento produttivo e impiegatizio avrebbero sull'intero indotto e sulle popolazioni che già hanno pagato un contributo rilevante in termini ambientali;
   a seguito della riconversione del sito Enel di Torrevaldaliga nord approvata dal consiglio comunale di Civitavecchia nel 2003, fu approvato nella apposita convenzione tra Enel, comune e Governo, la clausola di salvaguardia (punto 6.6) che prevede il riassorbimento di eventuali esuberi dalla centrale di Torrevaldaliga sud (di proprietà Tirreno Power) in Enel. Gli esuberi previsti per Civitavecchia risultano dal documento sopra citato essere 80 sui 130 dipendenti attuali –:
   se non ritenga opportuno aprire con urgenza un tavolo di confronto con il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, rappresentanti istituzionali nazionali e locali, della società di cui in premessa, così come di Enel, nonché di rappresentanti dei lavoratori, al fine di addivenire ad una soluzione che tenga insieme la salvaguardia della produzione di energia elettrica, a garanzia di un'adeguata offerta energetica necessaria per la ripresa economica, e la tutela dei livelli occupazionali resasi ancora più urgente a seguito dei drammatici dati sull'occupazione resi noti recentemente dall'Istat nel suo ultimo rapporto annuale del 2014. (5-03022)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CINZIA MARIA FONTANA e FRANCO BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo agroalimentare francese Danone, che è il maggiore produttore mondiale di yogurt e di prodotti lattiero freschi, è presente in 120 Paesi, tra cui l'Italia con il solo sito produttivo di Casale Cremasco (CR);
   in data 11 giugno 2014 Danone ha annunciato che «verrà attuato il progetto di discontinuità dello stabilimento di Casale Cremasco in provincia di Cremona», progetto che «interesserà la totalità delle linee produttive presenti sul sito» e si svilupperà nel corso del 2014 per concludersi intorno alla metà del 2015.
   l'intenzione di chiudere lo stabilimento di Casale Cremasco comporta la perdita di circa 100 posti di lavoro;
   il sito italiano, che ha chiuso l'anno 2013 con un utile di 35,6 milioni di euro, si è sempre distinto per l'alta qualità della lavorazione del prodotto, delle linee produttive, delle maestranze e la notizia della chiusura prevista per il 2015 è un duro colpo, non solo per le lavoratrici e i lavoratori, per le loro famiglie e per il territorio, ma anche per il segnale profondamente negativo in vista dell'Expo 2015, dedicato al tema della qualità nutrizionale e della sicurezza alimentare;
   quali iniziative i Ministri intendano intraprendere in merito alla annunciata chiusura dello stabilimento della Danone sito in Casale Cremasco, in primo luogo per scongiurare la chiusura dell'unico sito produttivo italiano;
   se non si ritenga opportuno costituire con la massima urgenza un tavolo di confronto nazionale presso il Ministero dello sviluppo economico, al fine di individuare ogni soluzione possibile per garantire la continuità produttiva industriale dello stabilimento Danone di Casale Cremasco. (4-05173)


   MINARDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2013 sono stati oltre 130 milioni i prodotti contraffatti sequestrati recanti falsa indicazione d'origine o pericolosi per la salute, con una crescita superiore al 25 per cento rispetto al 2012. I sequestri hanno riguardato tutte le tipologie di prodotti: dall'abbigliamento (quasi 22 milioni di pezzi) ai giocattoli (quasi 13 milioni) dall'elettronica (quasi 42 milioni) ai beni di consumo (53 milioni di pezzi) tra cui cosmetici, pezzi di ricambio per auto e prodotti per l'igiene. Le Fiamme gialle hanno effettuato 11.409 interventi, una media di 30 al giorno. L'azione di contrasto ha interessato anche gli acquisti online, dove i traffici di merci contraffatte trovano sempre maggiore diffusione. Nel 2013, la Guardia di finanza ha sequestrato e bloccato l'accesso a 84 piattaforme web illecite, utilizzate per il commercio di prodotti falsi o per consentire agli utenti di scaricare illegalmente i software, giochi e prodotti multimediali, con una crescita del 60 per cento rispetto all'anno precedente;
   per quanto riguarda il mercato alimentare la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari made in Italy fa perdere all'Italia oltre 60 miliardi di fatturato. C’è in atto un salto di qualità dell'agropirateria internazionale che è arrivata a colpire i prodotti più rappresentativi dell'identità alimentare nazionale con danni economici e di immagine insostenibili per l'agricoltura italiana. La denominazione parmigiano reggiano resta la più copiata nel mondo, ma una vera e propria truffa colpisce anche i vini italiani più prestigiosi;
   il comune denominatore degli esempi di imitazione e contraffazione di prodotti agroalimentari costituisce l'opportunità, per un'azienda all'estero, di ottenere sul proprio mercato di riferimento un vantaggio competitivo associando indebitamente ai propri prodotti l'immagine del Made in Italy apprezzata dai consumatori stranieri senza alcun legame con il sistema produttivo italiano e facendo concorrenza sleale nei confronti dei produttori nazionali impegnati a garantire standard elevati di qualità;
   la pirateria agroalimentare internazionale utilizza, sempre di più denominazioni geografiche, marchi, parole, immagini slogan e ricette che si richiamano all'Italia per pubblicizzare e commercializzare prodotti che non hanno nulla a che fare con i prodotti italiani;
   si tratta di un vero e proprio inganno globale per i consumatori e per il nostro Paese è causa di enormi danni economici e di immagine alla produzione e all'esportazione italiana di prodotti agroalimentari;
   secondo le conclusioni della Commissione parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale il settore alimentare è ormai tra i business di punta delle mafie, con il volume d'affari delle agromafie che ammonta a circa 12,5 miliardi di euro, il 5,6 per cento dell'intero business criminale in Italia. Una situazione che danneggia pesantemente sia le imprese agricole sia i consumatori. I primi effetti di un mercato viziato da pratiche estorsive e da speculazioni criminali sono, infatti, il crollo dei prezzi pagati all'origine agli imprenditori agricoli (che in molti casi non arrivano a coprire i costi di produzione) ed il ricarico anomalo ed eccessivo dei prezzi di consumo;
   è, inoltre, da ricordare che l'estensione del contrasto alle contraffazioni agroalimentari offre anche la possibilità di offrire nuovi posti di lavoro. Secondo una ricerca pubblicata dal Censis, il commercio del falso nel nostro Paese, con il solo riferimento al mercato interno, (dunque senza considerare la quota di merci contraffatte che dall'Italia finiscono sui mercati esteri) ha prodotto un mancato gettito fiscale per 1,7 miliardi di euro e senza la contraffazione ci sarebbero 110.000 posti di lavoro in più;
   in Sicilia recentemente il presidente provinciale FIPE, la Federazione italiana dei pubblici esercizi aderente a Confcommercio – Imprese per l'Italia di Catania, è intervenuto per ricordare l'importanza dei controlli per prevenire i rischi alla salute dei consumatori, contrastando attività criminose e per mantenere alta l'offerta dei prodotti alimentari –:
   quali iniziative intendano adottare per eliminare la pratica della contraffazione, nei settori di rispettiva competenza, che comporta una notevole perdita sia per l'erario che in termini di crescita dell'occupazione;
   quali iniziative intenda adottare, in sede europea, per rendere obbligatorio d'uso del marchio d'origine per i beni quali abiti, scarpe e gioielli;
   se non sia necessario utilizzare le risorse disponibili onde consentire ai consumatori di prendere decisioni di acquisto più informate anche attraverso l'educazione e una maggiore sensibilizzazione del pubblico mediante i mezzi di comunicazione. (4-05178)


   PRATAVIERA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i cittadini residenti nei territori del Veneto orientale lamentano da anni ormai numerosi problemi riferiti alla ricezione del segnale televisivo per tutti i canali trasmessi attraverso il digitale terrestre, compresi quelli del servizio pubblico Rai, che in base all'articolo 45 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, dovrebbe essere un servizio garantito su tutto il territorio italiano;
   il passaggio dall'analogico al digitale non solo non ha apportato i benefici promessi inizialmente, ma addirittura ha peggiorato la situazione e, nei fatti, agli utenti non sono state garantite le medesime condizioni di accesso alle reti, creando una situazione di disagio per tutti e soprattutto per le strutture di ricezione turistica;
   in questo periodo dell'anno in cui la costa è popolata da migliaia di turisti, l'impossibilità di offrire un servizio come quello della trasmissione delle partite calcistiche dei mondiali da parte di alberghi, ristoranti o pub si traduce in una perdita economica per gli esercizi commerciali;
   a causa del disservizio, si viene a creare una situazione paradossale in cui alcuni esercizi godono di un vantaggio per il solo fatto di usufruire di un servizio che dovrebbe essere un diritto garantito a tutti, a norma dell'articolo 2 del nuovo contratto di servizio 2013-2015 stipulato fra la Rai e il Ministero dello sviluppo economico, in cui si legge che la Rai è obbligata a garantire la diffusione con elevati standard di qualità audio e video di tutte le trasmissioni televisive di pubblico servizio, mediante l'esercizio efficiente delle reti di diffusione digitale terrestre sulle frequenze oggetto di diritti d'uso assegnati alla concessionaria medesima dal Ministero;
   qualunque siano le cause che generano tale problema, appare chiaro che ai cittadini e agli esercenti veneti non è garantita una ricezione adeguata del segnale, mentre viene loro richiesto, al contempo, il pagamento puntuale del canone Rai –:
   in quali tempi il Ministro intenda intervenire, per quanto di competenza, per risolvere i gravi disservizi che stanno vivendo da anni i cittadini del Veneto orientale in merito alla mancata ricezione del segnale televisivo, anche considerando che l'accesso alle reti del servizio pubblico è un diritto che deve essere garantito a tutti i cittadini con copertura integrale sul territorio, in ottemperanza a quanto previsto dal decreto legislativo n. 177 del 2005 e dal contratto di servizio in vigore e che questo disservizio si traduce, nei fatti, in perdite economiche da parte di esercenti e commercianti. (4-05180)


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO, PARENTELA, BUSTO, DAGA, SEGONI, MANNINO, MICILLO, TERZONI, DE ROSA e ZOLEZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con un editoriale sul quotidiano Il Messaggero del 18 maggio 2014, l'ex Presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha ipotizzato per il nostro Paese una strategia di sfruttamento intensivo delle risorse di idrocarburi presenti in Adriatico; nell'articolo Prodi ha affermato che l'estrazione del greggio dai fondali dell'Adriatico permetterebbe di ottenere, entro il 2020, 22 milioni di tonnellate di idrocarburi, che, in caso di nostra inerzia, sarebbero comunque estratte dalla Croazia;
   il 20 maggio 2014, il Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, ha dichiarato, a proposito dell'articolo di Prodi, che «L'analisi del presidente Prodi mi sembra assolutamente condivisibile, è una realtà. Abbiamo importanti giacimenti in diverse zone del Paese, molto spesso localizzate nelle regioni più svantaggiate del Mezzogiorno, che purtroppo sono fortemente sotto utilizzate»;
   il Ministro avrebbe precisato che «per l'Adriatico è stato emanato nel 2013 un decreto di rimodulazione delle aree marine aprendo nuovi spazi di ricerca. Abbiamo insomma disciplinato dove è possibile intervenire e dove no. Tutto questo in attesa del recepimento della direttiva europea del 2013 sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi»;
   la Strategia energetica nazionale (Sen) che ha tra i suoi elementi chiave la valorizzazione delle risorse domestiche di olio e gas prevede un raddoppio della produzione di idrocarburi da qui al 2020, cosa che è stata ribadita dal Ministro dello sviluppo economico, che ha sottolineato che «non si può continuare a far finta di nulla sapendo che sotto i nostri piedi ci sono enormi potenzialità energetiche, giacimenti di gas e idrocarburi indispensabili a garantire energia allo sviluppo del Paese»;
   in occasione della riunione del G7 dell'energia che si è tenuta a Roma, il Ministro ha anticipato le direttive del Governo Renzi per la sicurezza energetica del Paese, una nuova strategia in favore delle rinnovabili «ma con incentivi meno generosi», confermando i progetti di nuovi gasdotti e rigassificatori, dal Tap al South Stream, la ripresa delle trivellazioni alla ricerca di petrolio e metano, compensazioni economiche per le realtà locali che accettano nuove infrastrutture che, a parere degli interroganti, tanto ricordano gli oneri di urbanizzazione che hanno consentito agli amministratori locali di «svendere» il territorio e condannarlo alla cementificazione;
   appare opportuno sottolineare che 22 milioni di tonnellate di petrolio rappresentano circa un terzo dei consumi annui del nostro Paese, il cui fabbisogno energetico – complice anche il pur timido avvio di politiche di risparmio e razionalizzazione nel campo dell'energia – è in progressivo calo; in pratica l'estrazione di 22 milioni di tonnellate di petrolio da adesso al 2020, contribuirebbe con poco più del 2 per cento all'anno per 15 anni, rispetto ai consumi attuali;
   il mare Adriatico ha un ecosistema molto delicato data la scarsa profondità dei fondali e la conformazione delle coste e le trivellazioni necessarie alla estrazione di idrocarburi nonché le attività di ricerca e prospezione rappresentano un ulteriore pericolo per l’habitat marino;
   studi scientifici, l'esperienza e la storia insegnano che le trivellazioni e la dipendenza da idrocarburi rappresentano un pericolo per l'ambiente, il turismo, il paesaggio e la salute umana;
   la scelta di ricorrere alle fonti combustibili fossili attraverso le trivellazioni non tiene conto dell'importante dibattito che è stato avviato sulla sicurezza energetica; in quest'ottica proprio nei giorni scorsi, Connie Hedegaard, commissaria per l'azione per il clima, ha ribadito la forte correlazione tra sicurezza energetica e lotta ai cambiamenti climatici, il cui conseguimento può avvenire soprattutto attraverso l'efficienza energetica e lo sviluppo delle rinnovabili;
   il «pacchetto clima-energia 20-20-20» varato dall'Unione europea impegna anche l'Italia a ridurre le emissioni di gas serra del 20 per cento, alzare al 20 per cento la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili e portare al 20 per cento il risparmio energetico entro il 2020;
   nell'ambito del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea l'Italia sarà chiamata a portare proposte e prendere decisioni importanti riguardanti clima ed energia, anche in previsione della Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici che si terrà a Parigi nel 2015 –:
   se il Governo non ritenga di valutare l'opportunità di rivedere la politica energetica nazionale, escludendo esplicitamente il ricorso allo sfruttamento di nuove risorse petrolifere a terra e a mare, soprattutto nelle zone dove l'attività estrattiva rischierebbe la compromissione di habitat ed ecosistemi. (4-05189)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Zampa e altri n. 1-00501, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zappulla, Carra.

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Berlinghieri e altri n. 1-00500, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Locatelli e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Berlinghieri, Locatelli, Gnecchi, Moscatt, Giuseppe Guerini, Albini, Battaglia, Bonomo, Casellato, Chaouki, Culotta, Gianni Farina, Giachetti, Giulietti, Iacono, Mosca, Pastorino, Picierno, Scuvera, Vaccaro, Ventricelli, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Dell'Aringa, Faraone, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gregori, Gribaudo, Incerti, Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rotta, Simoni, Zappulla».

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Marzana e altri n. 7-00385, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia.

Apposizione di firme ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Giuliani e altri n. 2-00579, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Cominelli, Saltamartini.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Rampelli n. 3-00887, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Corsaro.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Migliore n. 1-00505, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 248 del 18 giugno 2014.

   La Camera, richiamando le premesse delle mozioni oggi all'ordine del giorno,

impegna il Governo:

   ad approvare definitivamente il Piano nazionale amianto, precedendo i finanziamenti necessari alla sua completa attuazione;
   ad attivarsi, per quanto di competenza, in accordo con le regioni, affinché in tempi congrui sia concluso il programma dettagliato di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati tramite i piani regionali amianto;
   ad assumere iniziative per incrementare, compatibilmente con gli attuali vincoli di finanza pubblica, le risorse assegnate al Fondo per le vittime dell'amianto, istituito dalla legge finanziaria 2008, e rivedere l'attuale legge pensionistica, per garantire benefici ai lavoratori colpiti da patologie amianto-correlata;
   ad assumere iniziative, compatibilmente con gli attuali vincoli di finanza pubblica, volte ad estendere le prestazioni del Fondo non solo a coloro che abbiano contratto una patologia amianto-correlata per esposizione professionale all'amianto ma anche ai familiari delle vittime o a coloro che comunque pur non lavorando direttamente con l'amianto siano stati comunque esposti avendo poi contratto tali patologie;
   a prevedere di attivare iniziative – anche in ambito europeo – per escludere dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno le spese per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   ad assumere iniziative, compatibilmente con gli attuali vincoli di finanza pubblica, per finanziare adeguatamente sia il Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, istituito dalla legge finanziaria 2008, e mai reso operativo per mancanza di risorse, dando priorità alla messa in sicurezza e bonifica degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme, degli uffici aperti al pubblico, sia il Fondo unico per l'edilizia scolastica di cui all'articolo 11, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 179 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012;
   ad avviare un'intesa con le regioni e le province autonome per concordare le modalità di regolamentazione delle «micro-raccolte di amianto» anche con il coinvolgimento delle aziende municipalizzate locali di raccolta rifiuti e ad individuare in ogni regione dei siti di discarica del materiale rimosso, a tal fine individuando siti idonei allo smaltimento in sicurezza di scarti pericolosi;
   ad assumere iniziative per semplificare le modalità di erogazione della prestazione aggiuntiva, fissandola in una percentuale che rimanga fissa negli anni per garantire le risorse al fondo anche negli anni Futuri;
   a emanare qualora ne sussistano le condizioni, anche di carattere finanziario, gli atti utili a riconoscere valido, in sostituzione del curriculum lavorativo, l'estratto matricolare mercantile o la fotocopia autenticata del libretto di navigazione, quale documento probante l'esposizione all'amianto da parte del lavoratore marittimo;
   promuovere campagne di informazione sul rischio amianto soprattutto nel luoghi di lavoro e sulle possibili conseguenze della presenza di amianto dal punto di vista ambientale e sanitario:
   a valutare la necessità di predisporre misure in termini di diagnosi precoce al fine di tutelare la salute dei cittadini esposti al rischio amianto;
   a rafforzare i sistemi di verifica della tracciabilità dell'amianto, altresì stimolando lo smaltimento sostenibile valutando altresì la possibilità di determinazione di un prezzario nazionale per le singole tipologie di opere di bonifica;
   ad adottare eventuali iniziative normative che siano utili sia al fine dell'introduzione di un criterio di riequilibrio rispetto al mero requisito temporale per il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge n. 257 del 1992, sia al fine di garantire il risarcimento del danno in favore dei soggetti contaminati, nel pieno rispetto degli attuali vincoli di bilancio ed assicurando la necessaria equità complessiva alla disciplina vigente;
(1-00505)
(Nuova formulazione) «Migliore, Bargero, Grande, Dorina Bianchi, De Mita, Palese, Fedriga, Taglialatela, Balduzzi, Di Lello, Di Salvo, Zan, Nicchi, Airaudo, Zaratti, Piazzoni, Pellegrino, Aiello, Lavagno, Duranti, Speranza, Borghi, Cuperlo, Fiorio, Portas, Boccuzzi, Antezza, Amoddio, Basso, Beni, Baruffi, Berlinghieri, Gnecchi, Lodolini, Zanin, Moscatt, Battaglia, Colaninno, Carra, Zappulla, Fabbri, Braga, Sibilia, Bechis, Zolezzi, Prodani, Artini, Pinna, Currò, Spadoni, Del Grosso, Scagliusi, Rizzo, Corda, Fico, Lorefice, Mantero, Di Vita, Vacca, Brescia, Grillo, Dall'Osso, Baroni, Cecconi, Gallinella, Bechis, Parentela, Toninelli, Frusone, Barbanti, Nicola Bianchi, Cristian Iannuzzi, De Lorenzis, Lupo, Terzoni, De Rosa, Paolo Nicolò Romano, Mannino, Lombardi, Turco, Da Villa, Piccone, Scopelliti, Dellai, Cera, Binetti, Gigli, Santerini, Sberna, Polverini, Calabria, Mottola, Fucci, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Giorgia Meloni, Rampelli, Antimo Cesaro, Matarrese, Vecchio, Molea, D'Agostino, Vargiu, Cimmino, Mazziotti Di Celso, Dambruoso, Tinagli, Monchiero, Oliaro, Rabino, Vitelli, Librandi, Vezzali, Capua, Causin, Sottanelli, Galgano, Bombassei, Catania».

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo ulteriormente riformulato della mozione Migliore ed altri n. 1-00505, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 248 del 18 giugno 2014:

   La Camera, richiamando le premesse delle mozioni oggi all'ordine del giorno,

impegna il Governo:

   ad approvare definitivamente il Piano nazionale amianto, precedendo i finanziamenti necessari alla sua completa attuazione;
   ad attivarsi, per quanto di competenza, in accordo con le regioni, affinché in tempi congrui sia concluso il programma dettagliato di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati tramite i piani regionali amianto;
   ad assumere iniziative per incrementare, compatibilmente con gli attuali vincoli di finanza pubblica, le risorse assegnate al Fondo per le vittime dell'amianto, istituito dalla legge finanziaria 2008, e rivedere l'attuale legge pensionistica, per garantire benefici ai lavoratori colpiti da patologie amianto-correlate;
   ad assumere iniziative, compatibilmente con gli attuali vincoli di finanza pubblica, volte ad estendere le prestazioni del Fondo non solo a coloro che abbiano contratto una patologia amianto-correlata per esposizione professionale all'amianto ma anche ai familiari delle vittime o a coloro che comunque pur non lavorando direttamente con l'amianto siano stati comunque esposti avendo poi contratto tali patologie;
   a prevedere di attivare iniziative – anche in ambito europeo – per escludere dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno le spese per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   ad assumere iniziative, compatibilmente con gli attuali vincoli di finanza pubblica, per finanziare adeguatamente sia il Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, istituito dalla legge finanziaria 2008, e mai reso operativo per mancanza di risorse, dando priorità alla messa in sicurezza e bonifica degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme, degli uffici aperti al pubblico, sia il Fondo unico per l'edilizia scolastica di cui all'articolo 11, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 179 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012;
   ad avviare un'intesa con le regioni e le province autonome per concordare le modalità di regolamentazione delle «micro-raccolte di amianto» anche con il coinvolgimento delle aziende municipalizzate locali di raccolta rifiuti e ad individuare in ogni regione dei siti di discarica del materiale rimosso, a tal fine individuando siti idonei allo smaltimento in sicurezza di scarti pericolosi;
   ad assumere iniziative per semplificare le modalità di erogazione della prestazione aggiuntiva, fissandola in una percentuale che rimanga fissa negli anni per garantire le risorse al fondo anche negli anni futuri;
   a emanare qualora ne sussistano le condizioni, anche di carattere finanziario, gli atti utili a riconoscere valido, in sostituzione del curriculum lavorativo, l'estratto matricolare mercantile o la fotocopia autenticata del libretto di navigazione, quale documento probante l'esposizione all'amianto da parte del lavoratore marittimo;
   promuovere campagne di informazione sul rischio amianto soprattutto nel luoghi di lavoro e sulle possibili conseguenze della presenza di amianto dal punto di vista ambientale e sanitario;
   a valutare la necessità di predisporre misure in termini di diagnosi precoce al fine di tutelare la salute dei cittadini esposti al rischio amianto;
   a rafforzare i sistemi di verifica della tracciabilità dell'amianto, altresì stimolando lo smaltimento sostenibile valutando altresì la possibilità di determinazione di un prezzario nazionale per le singole tipologie di opere di bonifica;
   ad adottare eventuali iniziative normative che siano utili sia al fine dell'introduzione di un criterio di riequilibrio rispetto al mero requisito temporale per il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge n. 257 del 1992, sia al fine di garantire il risarcimento del danno in favore dei soggetti contaminati, nel pieno rispetto degli attuali vincoli di bilancio ed assicurando la necessaria equità complessiva alla disciplina vigente;
   a supportare efficacemente le attività già in corso nell'area sanitaria del piano, in particolare:
    a) a valutare ogni soluzione per garantire un rifinanziamento della complessiva dotazione finanziaria del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, attraverso il ripristino delle risorse, relativamente limitate nel quadro dei saldi di finanza pubblica, finora sottratte, almeno per una quota aggiuntiva finalizzata al sostegno delle attività del centro in materia di amianto;
    b) a promuovere una cabina di regia nazionale, secondo le caratteristiche dette in premessa, per il coordinamento degli studi clinici di settore, tale da coinvolgere significativamente gli operatori industriali, consentendo in ultima analisi un sufficiente finanziamento a tale programma di ricerca;
   a considerare quale priorità della propria azione le attività di bonifica degli edifici, assumendo iniziative per ripristinare il fondo nazionale per la bonifica degli edifici pubblici di cui alla legge n. 244 del 2007, nonché utilizzando efficacemente le risorse messe a disposizione dall'articolo 18 del decreto-legge n. 69 del 2013, relativamente agli interventi nelle strutture scolastiche;
   a proseguire con determinazione l'impegno già assunto e portato innanzi in sede internazionale per la lotta alla produzione, al commercio e all'utilizzo delle fibre di asbesto, con particolare riferimento al riconoscimento del crisotilo quale sostanza nociva al pari delle altre tipologie di amianto, e per il rafforzamento del sistema dei controlli sulle importazioni di merci contenenti tale materiale ancora largamente in uso nei mercati emergenti.
(1-00505)
(Ulteriore nuova formulazione) «Migliore, Bargero, Grande, Dorina Bianchi, De Mita, Palese, Fedriga, Taglialatela, Balduzzi, Di Lello, Di Salvo, Zan, Nicchi, Airaudo, Zaratti, Piazzoni, Pellegrino, Aiello, Lavagno, Duranti, Speranza, Borghi, Cuperlo, Fiorio, Portas, Boccuzzi, Antezza, Amoddio, Basso, Beni, Baruffi, Berlinghieri, Gnecchi, Lodolini, Zanin, Moscatt, Battaglia, Colaninno, Carra, Zappulla, Fabbri, Braga, Sibilia, Bechis, Zolezzi, Prodani, Artini, Pinna, Currò, Spadoni, Del Grosso, Scagliusi, Rizzo, Corda, Fico, Lorefice, Mantero, Di Vita, Vacca, Brescia, Grillo, Dall'Osso, Baroni, Cecconi, Gallinella, Bechis, Parentela, Toninelli, Frusone, Barbanti, Nicola Bianchi, Cristian Iannuzzi, De Lorenzis, Lupo, Terzoni, De Rosa, Paolo Nicolò Romano, Mannino, Lombardi, Turco, Da Villa, Piccone, Scopelliti, Dellai, Cera, Binetti, Gigli, Santerini, Sberna, Polverini, Calabria, Mottola, Fucci, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Giorgia Meloni, Rampelli, Antimo Cesaro, Matarrese, Vecchio, Molea, D'Agostino, Vargiu, Cimmino, Mazziotti Di Celso, Dambruoso, Tinagli, Monchiero, Oliaro, Rabino, Vitelli, Librandi, Vezzali, Capua, Causin, Sottanelli, Galgano, Bombassei, Catania».

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Bargero n. 1-00200 del 3 ottobre 2013;
   mozione Tabacci n. 1-00265 del 28 novembre 2013;
   mozione Grande n. 1-00286 del 17 dicembre 2013;
   mozione Migliore n. 1-00440 del 23 aprile 2014;
   mozione Dambruoso n. 1-00480 del 26 maggio 2014;
   mozione Dorina Bianchi n. 1-00484 del 5 giugno 2014;
   mozione De Mita n. 1-00485 del 9 giugno 2014;
   mozione Palese n. 1-00486 del 9 giugno 2014;
   mozione Cozzolino n. 1-00487 del 9 giugno 2014;
   mozione Fedriga n. 1-00488 del 9 giugno 2014;
   mozione Prataviera n. 1-00491 del 9 giugno 2014;
   mozione Taglialatela n. 1-00492 del 9 giugno 2014;
   mozione Balduzzi n. 1-00493 del 9 giugno 2014;
   mozione Balduzzi n. 1-00494 del 10 giugno 2014.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Rondini n. 4-04940 del 26 maggio 2014.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Baldassarre e altri n. 4-03574 del 12 febbraio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03019;
   interrogazione a risposta scritta Baldassarre e altri n. 4-03884 del 6 marzo 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03020;
   interrogazione a risposta scritta Baldassarre e altri n. 4-04075 del 18 marzo 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03021;
   interrogazione a risposta scritta Baldassarre e altri n. 4-04090 del 19 marzo 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03023;
   interrogazione a risposta scritta Baldassarre e altri n. 4-04092 del 19 marzo 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03024;
   interrogazione a risposta scritta Baldassarre n. 4-04560 del 17 aprile 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03025;
   interrogazione a risposta scritta Baldassarre e altri n. 4-04681 del 30 aprile 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03026;
   interrogazione a risposta scritta Baldassarre n. 4-04686 del 30 aprile 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03027.