Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 17 giugno 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'eccezionale afflusso di migranti sul territorio nazionale, con sbarchi ormai quotidiani sulle coste, principalmente siciliane (sono oltre 50 mila le persone sbarcate dall'inizio del 2014), porta nel nostro Paese migliaia di persone disperate, il 73 per cento delle quali ha diritto a fare richiesta di asilo secondo la Convenzione di Ginevra, oltre che secondo la Costituzione e le leggi italiane. La gran parte di essi sono profughi, sono rifugiati, sono persone che scappano da guerre, persecuzioni e sono donne che sono state vittime di abusi;
    tra questi migranti, moltissimi sono minori e di questi una buona parte sono minori non accompagnati;
    in base alla legislazione nazionale per «minori stranieri non accompagnati» si intendono i minorenni non aventi cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione europea che, non avendo presentato domanda di asilo politico, si ritrovano per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privi d'assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o d'altri adulti per loro legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano. In tale definizione rientrano sia i minori soli che quelli che vivono con adulti diversi dai genitori che non ne siano tutori o affidatari in base a un provvedimento formale;
    secondo i dati delle Nazioni Unite, nel 2013 i migranti nel mondo sono stati 232 milioni di persone, pari al 3,2 per cento della popolazione globale, contro 175 milioni nel 2000 e 154 milioni nel 1996;
    si calcola che siano 33 milioni i migranti di età inferiore ai 20 anni (il 16 per cento di tutte le persone migranti), di cui 11 milioni hanno un'età compresa tra i 15 e i 19 anni e, all'interno di questo processo migratorio, i minori non accompagnati, negli ultimi anni, sono notevolmente aumentati;
    anche nel nostro Paese i minori stranieri, e quelli non accompagnati in particolare, costituiscono una realtà sempre più importante, dalle caratteristiche molto variegate. Ciò comporta anche la difficoltà di quantificare con precisione il fenomeno;
    in Italia, secondo i dati forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nel consueto report bimestrale, i minori non accompagnati non richiedenti asilo segnalati alla fine di marzo 2014 erano 7.865, di cui 1.966 irreperibili;
    giunto nel nostro Paese, qualora venga individuato o si presenti spontaneamente alle autorità competenti, il minore viene segnalato al Comitato per i minori stranieri (l'organo competente a vigilare sul soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio nazionale, nonché a coordinare le attività delle amministrazioni coinvolte), dotato di un permesso di soggiorno per minore età, come previsto dalla legge, e introdotto nei centri di prima accoglienza per un periodo relativamente breve, previsto per un massimo di quaranta giorni ma che molto spesso si protrae per alcuni mesi;
    negli ultimi anni per fronteggiare la situazione di emergenza si è assistito al moltiplicarsi dei cosiddetti «centri informali», centri di prima accoglienza attivati dai prefetti in luoghi – come per esempio palestre e palasport – spesso non adatti a ricevere ed ospitare degnamente e per periodi medio-lunghi un numero consistente di persone;
    sotto questo aspetto, il 16 maggio 2014, l'Assemblea della Camera dei deputati ha discusso e votato alcune mozioni concernenti iniziative relative all'operazione Mare Nostrum. Tra queste, è stata approvata la mozione n. 1-00466 del gruppo Sinistra Ecologia Libertà, che impegnava il Governo, tra l'altro, e proprio con riferimento ai minori non accompagnati, ad implementare con la massima priorità il sistema di accoglienza dei sopradetti minori, impedendo che tali soggetti possano essere posti, anche temporaneamente, in «centri informali» di grandi dimensioni, garantendo loro una rete di protezione che preveda tutele particolari riconosciute ai minori a garanzia della loro particolare vulnerabilità;
    la situazione dei centri di prima accoglienza per minori non accompagnati è drammatica: sempre più spesso i minori vengono tradotti in strutture di prima accoglienza al collasso e impreparate ad un sostegno specifico. I tempi di trasferimento in comunità idonee ad accogliere i minori sono lunghi e numerose sono le fughe dai sopradetti centri di accoglienza per minori, con la conseguenza che il nostro Paese perde le tracce di gran parte dei minori che sbarcano sulle coste italiane;
    è evidente, infatti, come sia estremamente critica la fase del loro primo inserimento nella società civile, che li espone inevitabilmente a gravi rischi di sfruttamento da parte della criminalità, oltre che per la loro stessa incolumità;
    qualunque previsione di un rientro del minore straniero nel Paese di origine deve essere valutata sulla base di un attento esame dei fattori di rischio e di accurati accertamenti circa l'identità del minore, la sua rete familiare di riferimento, il suo percorso migratorio e la sicurezza che il minore non cada in circuiti di tratta e sfruttamento;
    un minore straniero non accompagnato dovrebbe avere la possibilità di poter restare nel Paese ospite e il permesso di soggiornare temporaneamente nel Paese ospite non dovrebbe essere inteso solo come una procedura amministrativa che può essere interrotta bruscamente quando il minore compie i 18 anni;
    il fenomeno per il quale molti minori si allontanano senza lasciare traccia dalle strutture di ospitalità per loro previste impone, di conseguenza, l'individuazione di efficaci strumenti di contrasto alla loro scomparsa e alla tutela dei loro diritti fondamentali. Va sottolineato come una delle ragioni dell'allontanamento di questi giovani dalle comunità che li ospitano è da rinvenirsi anche nelle poche risorse finanziarie assegnate ai comuni e, conseguentemente, ai relativi centri di prima accoglienza;
    peraltro, i comuni hanno sempre maggiore difficoltà a far fronte agli oneri derivanti dalla sempre maggiore presenza di minori stranieri non accompagnati sul proprio territorio. Il comune, infatti, per competenza, deve provvedere a collocarli temporaneamente in un luogo sicuro sino a quando non si possa provvedere in modo definitivo alla loro protezione;
    si ricorda che l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati – e le relative spese – rientra nella responsabilità dei comuni che, a partire dal 1990, hanno acquisito autonomia statutaria (legge n. 142 del 1990). In questo senso, il Ministero dell'interno si limita a gestire la prima accoglienza fino alla nomina del tutore, mentre i fondi da assegnare per i progetti di accoglienza dei minori vengono stanziati dalle regioni sulla base delle presenze. Per quanto riguarda la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, è la legge n. 328 del 2002 a stabilire che siano i comuni a programmare e realizzare i servizi in accordo con i diversi enti interessati;
    l'ente locale è, quindi, il soggetto su cui gravano i costi di queste permanenze e i comuni spendono complessivamente circa 200 milioni di euro l'anno per la gestione del problema;
    il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, ha istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, con una dotazione di 5 milioni di euro per l'anno 2012;
    successivamente, il decreto-legge n. 120 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 137 del 2013, ha stanziato 20 milioni di euro per l'anno 2013. La legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 202, della legge n. 147 del 2013) ha, quindi, provveduto a stanziare ulteriori 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016. Risorse indispensabili ma ancora insufficienti per assicurare effettiva copertura delle spese sostenute dai comuni per l'accoglienza di tutti i minori presenti, senza alcuna distinzione di provenienza, età, periodo o luogo di ingresso sul territorio italiano;
    il rapporto dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati del marzo 2014 sull'accertamento dell'età dei minori stranieri non accompagnati segnala criticità diffuse nelle procedure di accertamento dell'età. In particolare, tale rapporto sottolinea come in Italia spesso non sia seguito in via privilegiata, come da accordi internazionali, un approccio olistico multidisciplinare e non invasivo nell'espletamento della procedura. L'assenza di personale qualificato ed indipendente porta a prassi disomogenee sul territorio nazionale e, spesso, ad un utilizzo indiscriminato e non come extrema ratio di esami clinici, come la determinazione del grado di maturazione scheletrica o la valutazione dello sviluppo puberale. Tali esami, non esenti da controindicazioni fisiche e psicologiche per i soggetti che vanno considerati minori fino a prova contraria, sono comunque soggetti ad un margine di errore (recenti studi lo quantificano in due anni superiore o inferiore all'età indicata), che deve essere specificato nel referto medico,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per incrementare e rendere pluriennali le risorse assegnate al Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e, più in generale, per aumentare le risorse finanziarie a favore delle regioni e degli enti locali sulla base delle rispettive presenze, per il potenziamento e il miglioramento dei progetti di accoglienza a favore dei minori stranieri non accompagnati;
   ad attuare efficaci iniziative, anche normative, al fine di intervenire nella fase del primo inserimento nella società civile dei minori non accompagnati, aiutandoli in una fase che li espone a gravi rischi per la loro incolumità, e a favorirne la loro integrazione, agevolando a tal fine opportune e adeguate forme di affido temporaneo;
   a promuovere un più stretto coordinamento tra livello centrale e governi locali e a valorizzare a pieno il potenziale della società civile e dell'associazionismo per l'accoglienza e l'integrazione dei minori stranieri non accompagnati;
   a dare soluzione alle difficoltà connesse a procedure e prassi territorialmente eterogenee per quanto riguarda l'identificazione all'arrivo, le tempistiche, le condizioni di accoglienza, i casi di sovraffollamento, il profilo professionale degli operatori e la predisposizione di servizi di mediazione culturale, nonché l'attività informativa riguardo alla possibilità di presentare domanda di asilo;
   a mettere in atto, con particolare riferimento ai minori non accompagnati, un più efficace e costante monitoraggio per valutare gli aspetti quantitativi relativamente alle presenze e agli allontanamenti dai centri di prima accoglienza, e verificare gli standard qualitativi dell'accoglienza approfondendo la situazione e il destino dei sopraddetti minori immigrati clandestinamente in Italia, una volta lasciati i centri di prima accoglienza per gli immigrati;
   a farsi promotore, nell'ambito del prossimo semestre di presidenza europea, di una politica di effettiva collaborazione e condivisione riguardo alle politiche europee di accoglienza dei migranti, con particolare riferimento all'assistenza dei minori non accompagnati;
   a rendere omogenee nel territorio nazionale le procedure di accertamento dell'età, avendo cura che esse siano portate avanti da personale specializzato ed indipendente, rispettando i principi di presunzione della minore età e di utilizzo di procedure non traumatiche e ricorrendo solo come extrema ratio a procedure mediche invasive;
   a dare seguito agli impegni di cui alla mozione n. 1-00466, approvata dalla Camera dei deputati il 16 maggio 2014, relativa all'operazione Mare Nostrum, e in particolare, proprio con riferimento ai minori non accompagnati, a implementare con la massima priorità il sistema di accoglienza dei sopradetti minori, impedendo che tali soggetti possano essere posti, anche temporaneamente, in «centri informali» di grandi dimensioni, garantendo loro una rete di protezione che preveda tutele particolari riconosciute ai minori a garanzia della loro particolare vulnerabilità.
(1-00502) «Palazzotto, Nicchi, Piazzoni, Migliore, Di Salvo, Pilozzi, Kronbichler, Fratoianni, Scotto, Fava, Marcon, Pannarale, Ricciatti, Duranti, Piras, Costantino».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla nazionalità tra i lavoratori degli Stati membri;
    a livello mondiale, l'Unione europea costituisce un punto di riferimento in materia di sistemi di protezione sociale: la disoccupazione, la salute, l'invalidità, la situazione familiare e l'invecchiamento sono fonti di precarietà alle quali tali sistemi permettono di far fronte;
    l'organizzazione ed il finanziamento dei sistemi di protezione sociale sono compiti che spettano agli Stati membri. Tuttavia, l'Unione europea può e deve svolgere un ruolo particolare tramite la sua legislazione per coordinare i sistemi di sicurezza sociale nazionali, in particolare per quanto attiene alla mobilità nell'ambito dello spazio comunitario;
    l'Unione europea deve anche impegnarsi al fine di promuovere una maggiore collaborazione e convergenza tra gli Stati membri in materia di modernizzazione dei sistemi di protezione sociale, per far fronte alle problematiche interne all'Unione stessa;
    la libera circolazione rappresenta un'opportunità al fine di irrobustire il proprio bagaglio di esperienze e di formazione;
    tuttavia, le sfide poste dalla crisi economica hanno generato in molti Paesi un aumento del rischio di povertà e di esclusione sociale dal mercato del lavoro. Gli squilibri sono in aumento tra gli Stati membri: ciò compromette la competitività dell'Europa in un contesto globalizzato, cosa che potrebbe comportare notevoli conseguenze negative, sia in termini economici che in termini sociali;
    la crisi sociale derivata da quella economico-finanziaria, che negli ultimi anni ha visto aumentare seriamente la disoccupazione e l'impoverimento della popolazione, e l'esclusione sociale rischia di aggravarsi ulteriormente con la riduzione delle prestazioni di protezione sociale;
    purtuttavia, occorre impedire che, attraverso la strumentalizzazione degli effetti della crisi, vengano inutilmente alimentate spinte relative allo smantellamento del modello sociale europeo che, invece, va assolutamente rafforzato e modernizzato;
    è la stessa Commissione europea a sottolineare l'importante ruolo di stabilizzatore fornito dai sistemi di protezione sociale, esortando gli Stati membri dell'Unione europea a garantirne l'adeguatezza e la sostenibilità. Al fine di conciliare il risanamento dei conti pubblici e la salvaguardia dei sistemi di protezione sociale l'Unione europea chiede, quindi, agli Stati membri di coniugare, di integrare e di rafforzare efficacia, efficienza ed equità;
    esistono, però, situazioni di vero e proprio abuso rispetto alle misure di protezione e tutela socio-sanitaria che minano l'efficienza e la sostenibilità dei sistemi già citati; per questo motivo, occorre porre in essere una forte opera di contrasto verso distorsioni (turismo sanitario ed altro), con una serie di misure che gli Stati membri debbono adottare a livello europeo: si pensi ad iniziative in grado di individuare le fonti e che impediscano a tali condotte illecite di danneggiare ulteriormente il valore delle risorse disposte dall'Europa per assistere quanti abbiano effettivamente bisogno di un sostegno;
    la necessità di contrastare gli abusi dei servizi di protezione sociale e sanitaria è giustificata anche dal fatto che l'Europa è alle prese con la crisi del debito e dei conti pubblici, con la conseguente difficoltà a ridurre la spesa pubblica in quanto, oltre la metà di questa, è dedicata proprio alla protezione sociale ed all'assistenza sanitaria;
    occorre migliorare l'efficienza della spesa sociale e prevenire povertà ed esclusione sociale. Infatti, tra gli strumenti idonei per conciliare gli obiettivi di lotta alla povertà e di aumento della partecipazione al mercato del lavoro, i firmatari del presente atto di indirizzo ritengono che vi debbano essere politiche che mirino ad equilibrare strategie di inclusione attiva, che uniscano un supporto adeguato al reddito ed all'accesso alle misure di protezione sociale,

impegna il Governo:

   a sostenere in Europa misure che favoriscano una convergenza e un'integrazione delle politiche europee in relazione ai modelli di protezione sociale;
   a predisporre, nel medio periodo, misure di contrasto agli abusi, al fine di preservare l'efficacia e la sussistenza delle attività di protezione sociale;
   a superare le politiche di rigore e di austerità che incidono negativamente sui diritti e sul welfare, pregiudicando i presupposti del processo di costruzione europea in materia di protezione e tutela dei cittadini.
(1-00503) «Pizzolante, Dorina Bianchi, Roccella, Bosco, Calabrò, Garofalo, Leone, Minardo, Piso, Saltamartini, Misuraca, Tancredi, Bernardo, Scopelliti, De Girolamo, Alli, Cicchitto, Alberto Giorgetti, Pagano, Piccone, Vignali».


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno dei minori stranieri affidati ai servizi sociali ha assunto, negli ultimi anni, proporzioni vastissime e incontrollabili, a causa delle massicce ondate migratorie che hanno investito il nostro Paese;
    nel mondo industrializzato i problemi dell'infanzia sono spesso connessi all'ondata dei flussi migratori. I minori, sradicati dal proprio ambiente naturale, in condizioni di povertà, diventano facilmente preda di situazioni di violazione dei diritti fondamentali, dallo sfruttamento del lavoro minorile all'accattonaggio, dallo sfruttamento sessuale all'utilizzo a fini di microcriminalità;
    per la sua posizione geopolitica, l'Italia è stata da sempre esposta al fenomeno migratorio. In primo luogo, poiché geograficamente protesa verso il mare e, di conseguenza, completamente predisposta ai flussi commerciali o migratori, sempre difficilmente controllabili nella loro interezza. In secondo luogo, poiché, trovandosi al centro del Mar Mediterraneo, costituisce il confine meridionale del continente europeo, facilmente raggiungibile non solo dalla vicinissima Africa, ma anche dal più lontano Medio Oriente. Al di là delle sterili cifre il fenomeno migratorio è progressivamente divenuto più drammatico. L'immigrazione negli ultimi anni ha fatto registrare un aumento esponenziale anche a seguito della cosiddetta «primavera araba», ma soprattutto a causa della rivoluzione economico-sociale che ha sconvolto il mondo negli ultimi venti anni;
    il progetto mondialista, rivoluzione economica, politica e sociale che ha conformato il pensiero culturale alle logiche liberiste del mercato, ha scardinato l'identità e le economie di sussistenza (autoproduzione e autoconsumo) su cui le popolazioni del sud del Mondo avevano vissuto, e a volte prosperato, per secoli e millenni privandoli di quel tessuto di solidarietà familiare e comunitaria. In breve, il potere delle risorse prevale sul potere dell'uomo;
    basti pensare che ai primi del Novecento l'Africa era alimentarmente autosufficiente. Lo era ancora, in buona sostanza (al 98 per cento), nel 1961. Ma da quando ha cominciato ad essere aggredita dall'integrazione economica le cose sono precipitate. L'autosufficienza è scesa all'89 per cento nel 1971, al 78 per cento nel 1978;
    tutti gli «aiuti» non solo non sono riusciti a tamponare il fenomeno della fame, in Africa e altrove, ma lo hanno aggravato. Perché gli «aiuti» alle popolazioni del Terzo Mondo tendono ad integrarle maggiormente nel mercato economico mondiale;
    prima, quindi, di affrontare il problema dei minori non accompagnati presenti nel nostro Paese con il solito approccio buonista, si dovrebbe essere capaci di assumere le proprie responsabilità storiche, ma soprattutto si dovrebbe essere in grado di capire che è necessario un intervento in controtendenza, fondato, da un lato, su un'azione forte di contrasto all'immigrazione di massa e, dall'altro lato, finalizzato a sviluppare interventi mirati di aiuto sul posto per le popolazioni sofferenti;
    il Ministro dell'interno ha reso noto che sarebbero ben 600.000 le persone sulle coste dell'Africa in attesa di imbarcarsi per arrivare via mare in Italia;
    se nel 2013 gli sbarchi sono stati 42.925, solo dall'inizio del 2014 gli arrivi hanno già superato quota 20.000 e il Ministero dell'interno ha fatto sapere che il dato è di oltre 10 volte maggiore a quello registrato nello stesso periodo del 2013, un vero e proprio record;
    secondo i dati del Ministero dell'interno dal gennaio 2014 i minori arrivati in Italia sono stati 6722, di cui 4.598 non accompagnati per la maggior parte di nazionalità eritrea, somala ed egiziana;
    il quinto rapporto Anci 2011-2012 sui minori non accompagnati rileva che il problema sta assumendo dimensioni emergenziali;
    la Commissione antimafia della Regione siciliana nel maggio 2014 ha riportato un dato di non trascurabile importanza relativo alla fuga dai centri di prima accoglienza dell'isola di 1.030 minori immigrati;
    la tutela dei minori e del loro equilibrato sviluppo è prioritaria, in quanto i bambini rappresentano il futuro della nostra società; è necessario affermare il diritto delle nuove generazioni a vivere pienamente il loro presente e a sviluppare le proprie potenzialità nel loro contesto familiare, affinché possano affrontare positivamente la loro vita;
    il principio VI della Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1989 afferma: «Il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità, ha bisogno di amore e di comprensione; egli deve, per quanto è possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in atmosfera d'affetto e di sicurezza materiale e morale. Salvo circostanze eccezionali, il bambino in tenera età non deve essere separato dalla madre»;
    non è più accettabile l'atteggiamento ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo ipocrita del Governo, il quale continua a non volere attuare una corretta gestione dei flussi migratori verso il nostro Paese e si limita a scaricare le proprie responsabilità sugli enti locali, che, già fortemente penalizzati dai tagli di risorse provocate dalla perdurante crisi e dalla mancata attuazione del federalismo fiscale, devono, in aggiunta, accollarsi spese enormi per l'erogazione di tali servizi socio-assistenziali, a scapito dei cittadini residenti;
    il piano di accordi bilaterali elaborato al principio della XVI legislatura al fine di impedire le partenze dai Paesi costieri dell'Africa, prima di essere interrotto, aveva contribuito in modo drastico a far diminuire gli sbarchi di immigrati sulle nostre coste;
    con alcuni Stati, e specificamente con quelli a più alta pressione migratoria, è necessario perfezionare pacchetti di intese di portata più ampia che prevedano non soltanto accordi di riammissione, ma anche intese di cooperazione di polizia, accordi in materia di lavoro e progetti specifici volti alla presa in carico dei minori;
    il dramma dell'immigrazione e dei suoi risvolti sociali sta toccando picchi emergenziali. I poteri dello Stato si trovano spesso senza mezzi tecnici, economici e giuridici per fronteggiarne le derive più estreme. Come è avvenuto in passato, in altre situazioni emergenziali (ad esempio, nei fenomeni di contrasto al terrorismo negli anni di piombo, di contrasto alla mafia, di contrasto al terrorismo islamico) soltanto una legislazione speciale, accompagnata da deroghe ai trattati internazionali finalizzate alla sicurezza interna (ad esempio, come avvenne durante il G8 Italia per quanto riguarda il trattato di Schengen) e da una politica di accordi stabili bilaterali, può consentire la reale tutela dell'interesse dei cittadini e degli stranieri regolarmente presenti, nonché diminuire realmente la pressione migratoria e, quindi, le tragedie umanitarie «degli sbarchi» e quelle dei minori non accompagnati preda delle organizzazioni criminali;
    se, da un lato, è necessario, quindi, operare al fine di garantire la presa in carico dei minori stranieri non accompagnati presenti nel territorio italiano, dall'altro lato è fondamentale avviare una politica reale di contrasto all'immigrazione clandestina. È necessario, quindi, evitare anche solo sotto il profilo esclusivamente culturale la diffusione di un'apertura indiscussa all'accoglienza, ipotizzando l'introduzione di misure assurde (come particolari deroghe alla normativa nazionale sulle adozioni e affido dei minori) che rischierebbero di alimentare il problema, rappresentando nella disperazione vissuta dalle popolazioni colpite dalla povertà e dalle guerre una soluzione. Una soluzione che nella migliore delle ipotesi può garantire il futuro del singolo, ma nei fatti rappresenta la negazione del futuro di un popolo,

impegna il Governo:

   a promuovere progetti di aiuto per le popolazioni del sud del mondo volti in primo luogo alla presa in carico dei minori;
   nella consapevolezza della necessità di tutelare i diritti dei minori vittime delle organizzazioni criminali dedite alla tratta di persone, a farsi promotore, in tutte le sedi competenti, di una strategia europea comune per il contrasto del fenomeno emergenziale degli sbarchi di immigrati sulle coste del Mediterraneo europeo, atta ad avanzare, in qualità di Stati coalizzati, una richiesta di autorizzazione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per un intervento finalizzato:
    a) al pattugliamento e al controllo delle coste africane interessate dal fenomeno migratorio;
    b) al contrasto delle associazioni criminali dedite alla tratta di persone;
    c) alla costituzione nelle località sensibili al fenomeno migratorio di aree territoriali sotto il controllo delle Nazioni Unite per la presa in carico dei rifugiati umanitari e politici;
    d) all'attivazione, nelle aree territoriali sotto il controllo delle Nazioni Unite, di rappresentanze diplomatiche ed uffici consolari, per recepire, valutare e contingentare le richieste dei permessi di soggiorno per motivi umanitari;
    e) ad istituire una commissione, formata da rappresentati dei diversi Stati, finalizzata allo studio e all'analisi della capacità recettiva degli Stati, in rapporto alle singole realtà territoriali, per l'ingresso degli immigrati richiedenti permesso di soggiorno per motivi umanitari e politici;
   a promuovere, fino a quando non verrà condivisa dall'Unione europea una politica di intervento comune, anche attraverso l'utilizzo della normativa d'urgenza, norme speciali per contrastare i flussi migratori verso il nostro Paese;
   ad assumere iniziative per prevedere la continuità del finanziamento di un fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati che non gravi sui bilanci dei comuni.
(1-00504) «Rondini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DA VILLA, BUSINAROLO, SPESSOTTO, BENEDETTI, BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'ingegner Silvano Vernizzi è, da circa quindici anni, il «Segretario Regionale per le Infrastrutture» della Regione Veneto, responsabile per le seguenti materie: Cartografia, Pianificazione territoriale e strategica, Reti e infrastrutture, Trasporti e viabilità, Valutazione progetti, Urbanistica, Sicurezza e qualità nell'ambiente di lavoro, Demanio patrimonio e sedi;
   con la Delibera GR. n. 3173 del 10 ottobre 2006 recante «Nuove disposizioni relative all'attuazione della direttiva comunitaria 92/43/CEE e decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997. Guida metodologica per la valutazione di incidenza. Procedure e modalità operative» è stata individuata l'Autorità competente per l'applicazione della VINCA nella figura del ricordato Segretario. In tale provvedimento è richiamata pure l'intesa tra Regione e MIBAC in materia di paesaggio, finalizzata alla redazione del piano paesaggistico regionale, come previsto dall'articolo 135 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 «Codice dei beni culturali e del Paesaggio», anche in applicazione della Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta dallo Stato italiano il 20 ottobre 2000 al fine di perseguire politiche di salvaguardia, gestione e di pianificazione dei paesaggi. L'ingegner Vernizzi è assegnatario pure di tale materia;
   nel medesimo provvedimento si legge inoltre che, per le finalità richiamate, detto Segretario «si avvale direttamente del supporto tecnico-amministrativo della direzione pianificazione territoriale e strategica e dell'Unità di progetto coordinamento Commissioni (VAS, VINCA, NUVV) e provvederà, successivamente con opportuni atti, affinché le due strutture possano integrarsi nella loro complementarietà»;
   le citate direzione pianificazione territoriale e strategica e unità di progetto coordinamento commissioni (VAS, VINCA, NUVV) risultano parte dell'articolazione della Segreteria per le Infrastrutture, pertanto gerarchicamente subordinate al Segretario regionale destinatario del provvedimento in oggetto;
   il richiamato segretario, in forza dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 marzo 2003, n. 3273, è stato altresì nominato «Commissario-delegato per l'emergenza socio-economico-ambientale determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nella località di Mestre...». Trattasi dei lavori di realizzazione del cosiddetto Passante di Mestre, per il quale sono ancora in fase di approvazione alcune delle opere complementari da sottoporre a VINCA (con esito positivo) oltre che ad autorizzazione paesaggistica, rilasciate dalla direzione per l'urbanistica e paesaggio che risulta ugualmente parte costitutiva della citata Segreteria e quindi gerarchicamente subordinata al medesimo segretario;
   detto segretario svolge pure le funzioni di «Commissario-delegato per l'emergenza determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nel territorio delle province di Treviso e Vicenza», in forza dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3802 del 15 agosto 2009, con il compito di creare le condizioni per il superamento dell'emergenza, attraverso la realizzazione della superstrada a pedaggio «Pedemontana Veneta» per la realizzazione della quale sono state richieste autorizzazioni (naturalmente, con esiti favorevoli) in materia di tutela dell'ambiente e del paesaggio, analogamente al punto precedente, comunque dipendenti da strutture regionali subordinate al Segretario regionale per le Infrastrutture;
   il segretario medesimo è pure titolare della carica di amministratore delegato di Veneto Strade spa Tale società, a prevalente capitale azionario pubblico, persegue fini di gestione della rete stradale d'interesse regionale nonché di progettazione, costruzione e gestione di infrastrutture e servizi di interesse viario, per la realizzazione delle quali debbono essere parimenti richiesti specifici atti di autorizzazione/approvazione regionale dipendenti da iter tecnico-amministrativi che ripropongono un rapporto di subordinazione tra chi li rilascia (il controllore) e chi li richiede (il controllato);
   le valutazioni ambientali e le autorizzazioni paesaggistiche riguardanti non solo i progetti stradali ma tutti i più rilevanti progetti di trasformazione del territorio regionale (quali cave, discariche, impianti di produzione d'energia elettrica, piani e programmi urbanistici, porticcioli turistici) sono condizionati da procedure di valutazione e autorizzazioni che fanno capo alle citate strutture (Nucleo di valutazione e direzione urbanistica e paesaggio) subordinate al segretario per le infrastrutture, sia nel caso di rilascio della VAS che della valutazione di incidenza ambientale piuttosto che dell'autorizzazione paesaggistica ai sensi del cosiddetto codice Urbani;
   anche la commissione VIA è direttamente presieduta dal «Segretario Regionale per le Infrastrutture», sebbene sia di competenza, ai sensi dell'articolo 5 legge regionale 10 del 1999, del segretario competente per la materia ambientale. Dei nove esperti in materie ambientali, nominati dalla giunta per comporre tale commissione, più di qualche commissario ha interessi diretti in aziende che hanno presentato progetti sottoposti all'esame della commissione medesima. Infine si verifica un conflitto di interessi quando viene affidata un'alta responsabilità decisionale ad un soggetto che abbia interessi personali o professionali in conflitto con l'imparzialità richiesta da tale responsabilità, che può venire meno visti i propri interessi in causa;
   il nostro ordinamento giuridico tenderebbe a eliminare i possibili conflitti d'interesse: ciò è desumibile innanzitutto dall'articolo 97 della Costituzione che sancisce i generali doveri di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione. Il canone dell'imparzialità è ripetuto dal primo comma lettera d) dell'articolo 2 decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni dedicato al pubblico impiego ed è, in ogni caso, presupposto da tutta la legislazione in materia di pubblica amministrazione;
   la situazione di conflitto d'interessi è rilevabile in modo manifesto nel caso del «Segretario regionale per le Infrastrutture» il quale contemporaneamente svolge le funzioni di commissario-delegato per la realizzazione di rilevanti infrastrutture viabilistiche nonché il ruolo di amministratore delegato di una società per azioni la cui operatività resta però subordinata alle procedure autorizzatorie delle strutture regionali gerarchicamente subordinate al segretario medesimo (VINCA, autorizzazione paesaggistica, VAS) o dallo stesso direttamente presiedute (VIA);
   a causa di tale organizzazione gerarchica regionale, al «Segretario Regionale per le infrastrutture», e Amministratore delegato e due volte Commissario per le nuove arterie autostradali, fanno capo tutte le strutture regionali per la gestione della tutela ambientale, del paesaggio e per la pianificazione del territorio regionale anziché essere devolute al Segretario per l'ambiente;
   dall'inopportuna, se non illegittima, commistione di competenze e incarichi descritta deriva, ad avviso degli scriventi, un pregiudizio ai valori costituzionali di «tutela dell'ambiente» e «paesaggio» nel territorio regionale e di questo si sono avute ben due conferme con le recenti sentenze della Corte Costituzionale n. 58 del 29 marzo 2013 e 251 del 28 ottobre 2013, entrambe riconducibili all'operato dell'ingegner Vernizzi;
   la prima ha censurato una norma regionale (precisamente, l'articolo 40 comma 1, legge regionale n. 13 del 2012, nella parte in cui aggiunge la lettera a) del comma 1-bis all'articolo 14 della legge regionale n. 4 del 2008) la quale limitava, irragionevolmente, l'applicazione della VAS rispetto a quanto stabilito dalla normativa nazionale ed europea in materia di piani urbanistici attuativi e accordi di programma. Nella sentenza si legge che «il legislatore regionale avrebbe, in particolare, limitato il campo applicativo della VAS ai soli casi in cui il piano attuativo abbia per oggetto opere da sottoporre a valutazione di impatto ambientale (VIA), in quanto incluse negli Allegati II, III e IV della parte II del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale)» e poi, emblematicamente, che «è infatti erroneo il convincimento della difesa regionale circa l'assoluta assimilazione di oggetto tra VAS e VIA: posto che si tratta, invece, di istituti concettualmente distinti, per quanto connessi (sentenza n. 227 del 2011), è ben possibile che la prima si riveli necessaria, a seguito di verifica di assoggettabilità, anche quando viene in considerazione un piano relativo a un progetto che non richiede la seconda, ma ugualmente dotato di impatto significativo sull'ambiente. La disposizione impugnata, limitando l'esperibilità della VAS ai soli casi di obbligatorietà previsti dall'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 è dunque costituzionalmente illegittima» (si tratta di materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato);
   la seconda ha censurato invece una norma (l'articolo 22 della legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50) che, irragionevolmente, limitava l'applicazione della VIA. Come affermato dai giudici, infatti «la disciplina regionale escluderebbe indistintamente dall'applicazione della verifica di assoggettabilità a VIA o screening i centri commerciali dalla superficie di vendita superiore a 150 e fino a 1.500 metri quadrati, nei Comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti, e superiori a 250 e fino a 2.500 metri quadrati nei Comuni con popolazione oltre i 10.000 abitanti. Pertanto, la disposizione regionale restringerebbe illegittimamente il campo di applicazione della disciplina della VIA, come definito dal legislatore statale nell'esercizio della sua competenza esclusiva in materia ambientale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera s), Costituzione»;
   le recenti inchieste penali, legate ai lavori di realizzazione del MoSE, hanno dipanato un quadro di malaffare incredibile e diffuso visto il coinvolgimento dell'assessore alle Infrastrutture regionale, Renato Chisso, arrestato per corruzione e presso il quale presta la sua opera il ricordato direttore. Parrebbero poi coinvolti, sempre per corruzione, giudici amministrativi di TAR e Consiglio di Stato presso i quali sono stati spesso impugnati i provvedimenti di VIA, VAS e VINCA favorevoli rilasciati dalla struttura regionale in esame;
   è evidente che il quadro sopra descritto, a dir poco fosco, ha ingenerato, come confermano le due sentenze e i numerosi filoni d'indagine della procura, un pregiudizio alla tutela ambientale e paesaggistica del territorio regionale veneto nonché un legittimo proliferare di comitati a difesa del proprio territorio e contenziosi giudiziari (tra i più recenti: Pedemontana Veneta, revamping inceneritore della ditta ALLES a Marghera), presumibilmente, falsati dall'espressione di giudizi compiacenti. Tale situazione non potrà che aggravarsi per il futuro se non si pongono in essere concrete misure per risolvere questo coacervo di conflitti d'interesse –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri non ritenga di revocare dal ruolo di commissario l'ingegner Vernizzi alla luce delle considerazioni riportate in premessa;
   di quali elementi disponga il Governo in merito alle citate gestioni commissariali e ai risultati prodotti. (5-03005)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta immediata:


   NESCI, SILVIA GIORDANO, CECCONI, BARONI, DALL'OSSO, DI VITA, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della Costituzione sancisce che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
   a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014, l'articolo 81 della Costituzione dispone che «lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico»;
   a parere degli interroganti vi è una palese contraddizione, logica, giuridica e pratica, tra i sopra citati articoli della Costituzione, ciò perché il nuovo testo dell'articolo 81 appare limitare pesantemente la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo, di cui all'articolo 32, il quale configura un obbligo preciso e forte in capo alla Repubblica, non limitabile per motivi di spesa o per altre esigenze esterne all’«individuo», normativamente inquadrato dalla fonte più alta dell'ordinamento;
   il «pareggio di bilancio» è ormai un obbligo, che tuttavia si pone in aperto contrasto con i doveri della Repubblica e con i diritti di rango costituzionale dei cittadini, sempre più sottoposti a tagli e tasse che, di fatto, comportano la perdita dei diritti costituzionali, in particolare quello alla salute;
   con il recente decreto-legge, n. 66 del 2014, il Governo ha assegnato a 10 milioni di italiani – la stima è apparsa sui principali giornali nazionali – un temporaneo contributo di 80 euro mensili;
   sul sito internet del Ministero della salute si legge della pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 2014, del suddetto decreto-legge, con norme che dispongono un bonus irpef fino a dicembre 2014 in busta paga per tutti i contribuenti con un reddito fino a 24 mila euro e dei «tagli alla spesa, dai ministeri agli enti locali»;
   sempre sul sito internet del Ministero della salute si legge – a proposito del richiamato provvedimento, circa il corrispondente taglio dei beni e servizi per un importo pari a 2,1 miliardi di euro per i restanti mesi del 2014, divisi in modo paritario tra Stato, regioni ed enti locali – che «il Ministro della salute Beatrice Lorenzin ha assicurato che non saranno toccati i servizi sanitari ai cittadini, ma solo quei beni e servizi legati al funzionamento delle strutture e non direttamente all'erogazione delle prestazioni sanitarie», con aggiunta una dichiarazione del Ministro della salute, per cui la sanità è «il comparto che in questi anni ha pagato più di tutti gli altri subendo tagli per oltre 25 miliardi di euro solo negli ultimi cinque anni e non era certo in grado di sopportare altri prelievi»;
   il cosiddetto «Patto per la salute» per il triennio 2014-2016, la cui approvazione è prevista per giugno 2014, prevede, per quanto anticipato dalla stampa nazionale, la chiusura di 72 ospedali distribuiti su tutto il territorio italiano, che dalla sera alla mattina cesserebbero le attività, senza, peraltro, la predisposizione di misure alternative efficaci e senza un effettivo coinvolgimento nella decisione degli enti locali e della popolazione residente, che dovrà subire gli effetti della chiusura dei 72 ospedali;
   la decisione di chiudere 72 ospedali si inserisce in una situazione di crisi assoluta derivante dagli effetti dei tagli operati, in particolare, negli ultimi anni, che hanno prodotto riduzione dei posti letto, nonché la chiusura di reparti e punti nascita, mentre, al contempo, le strutture sanitarie pubbliche hanno dovuto garantire, con lo stesso personale, oggetto del blocco del turn over e dei rinnovi contrattuali, prestazioni sanitarie aumentate esponenzialmente, con serissimo pericolo per la salute dei cittadini;
   il Ministro Lorenzin ha dichiarato più volte che il modo migliore di tagliare la spesa improduttiva nella sanità è costruire insieme alle regioni il Patto della salute come dallo stesso proposto;
   solo 5 regioni su 21 hanno attivato modelli di sanità d'iniziativa di programmazione e di presa in carico di tipo ambulatoriale, territoriale e domiciliare con équipe multidisciplinari;
   le regioni che sono in piano di rientro sono le stesse che non hanno attivato modelli di sanità d'iniziativa;
   i posti dove ci sono più richieste d'ospedalizzazione e di pronto soccorso sono presidi dove non c’è un modello sanitario territoriale;
   è importante capire che, fino a quando non ci sarà un reale «piano B» per l'organizzazione della sanità sul territorio e fino a quando non si punterà ad un serio modello di sanità di iniziativa, il Governo sarà sempre costretto a chiudere gli ospedali per rientrare economicamente;
   le regioni maggiormente soggette a fenomeni di corruzione in sanità sono quelle che applicano politiche «ospedalocentriche» e non di tipo territoriale/domiciliare con équipe multidisciplinari –:
   se non ritenga necessario promuovere, per quanto di competenza, ogni iniziativa utile affinché le regioni definiscano (con criteri, tempi e controlli di merito predefiniti dallo Stato) una loro attenta riorganizzazione sanitaria sul territorio, privilegiando un adeguato modello di sanità d'iniziativa, affinché le strutture sanitarie possano garantire, a livelli accettabili, il diritto alla salute delle popolazioni di riferimento e recedere dalla decisione di chiusura degli ospedali italiani con meno di 60 posti letto. (3-00884)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro della difesa, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   nel compendio naturalistico ambientale denominato «Isola Rossa – Capo Teulada», circoscritto nell'ambito del Sito di interesse comunitario (codice ITB040024), protetto da convenzioni internazionali, da leggi dello Stato italiano e della regione Sardegna, caratterizzato da rilevanti emergenze archeologiche, nuragiche e puniche, si svolgono attività vietate e in contrasto totale con le norme e disposizioni nazionali e comunitarie;
   si tratta di attività che hanno generato e generano «distruzione e deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto», con la «distruzione e il deturpamento di bellezze naturali» e «danneggiamento al patrimonio archeologico e storico»;
   tali attività sono svolte, in concorso tra loro, dalla Nato e dall'Esercito italiano, su disposizioni del Ministero della difesa e con l'omissione di tutela e controllo in capo ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dei beni e delle attività culturali e del turismo e della Commissione europea. La gravità della distruzione in atto costituisce, secondo l'interrogante, presupposto per richiedere il sequestro preventivo dell'area oggetto del disastro, l'accertamento del danno, l'individuazione dei responsabili e il risarcimento del danno materiale, economico e morale compreso il ripristino dei luoghi;
   a parere dell'interrogante risultano manifesti i seguenti reati:
    articolo 733-bis codice penale (Distruzione o deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto);
   chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge un habitat all'interno di un sito protetto o comunque lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione, è punito con l'arresto fino a diciotto mesi e con l'ammenda non inferiore a 3.000 euro;
    articolo 733 codice penale (Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale);
   chiunque distrugge, deteriora o comunque danneggia un monumento o un'altra cosa propria di cui gli sia noto il rilevante pregio, è punito, se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale, con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda non inferiore a euro 2.065. Può essere ordinata la confisca della cosa deteriorata o comunque danneggiata;
    articolo 734 codice penale (Distruzione o deturpamento di bellezze naturali);
   chiunque, mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità, è punito con l'ammenda da euro 1.032 a euro 6.197;
   relativamente ai reati di cui: articolo 733-bis codice penale (Distruzione o deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto) e articolo 734 codice penale (Distruzione o deturpamento di bellezze naturali) si richiama l'attenzione sul fatto che tale compendio è a tutti gli effetti «habitat all'interno di un sito protetto», ovvero pienamente coincidente nella fattispecie definita dall'articolo 733-bis codice penale;
   il Sito di Importanza comunitaria denominato «ISOLA ROSSA – CAPO TEULADA» oggetto della «distruzione e deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto», «distruzione o deturpamento di bellezze naturali», «danneggiamento al patrimonio archeologico», storico o artistico nazionale costituisce parte integrante del decreto 3 luglio 2008 – Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – Primo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE (GU Serie Generale n. 184 del 7 agosto 2008);
   tale decreto dispone l'attuazione e il recepimento della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, in particolare l'articolo 4, paragrafo 2, terzo comma;
   il decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, ha disposto il regolamento di attuazione della direttiva 92/43/CEE, come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 12 marzo 2003, n. 120;
   la Commissione europea ha ritenuto necessario l'aggiornamento dell'elenco iniziale di siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea sia per includervi i siti proposti dagli Stati membri a partire dal marzo 2006 come siti di importanza comunitaria per la regione biogeografia mediterranea ai sensi dell'articolo 1 della direttiva 92/43/CEE sia per tener conto di eventuali modifiche nelle informazioni relative ai siti trasmesse dagli Stati membri a seguito dell'adozione dell'elenco comunitario; in tal senso il primo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea costituisce una versione consolidata dell'elenco iniziale dei siti per la regione biogeografica mediterranea;
   ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/43/CEE, Cipro, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna e Regno Unito hanno trasmesso alla Commissione gli elenchi di siti proposti quali siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea tra gennaio 2003 e settembre 2006;
   gli elenchi dei siti proposti sono stati corredati di informazioni su ciascun sito, fornite nel formato fissato dalla decisione 97/266/CE della Commissione, del 18 dicembre 1996, concernente un formulario informativo sui siti proposti per l'inserimento nella rete Natura 2000;
   sulla base dell'elenco proposto, redatto dalla Commissione con l'accordo di ciascuno degli Stati membri interessati, che identifica anche i siti che ospitano tipi di habitat naturale prioritari o specie prioritarie, è stato adottato un primo elenco aggiornato di siti selezionati quali siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea;
   la decisione della Commissione europea n C(2008) 1148 def. del 28 marzo 2008 stabilisce, ai sensi della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, un primo elenco aggiornato di siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea e abroga la decisione 2006/613/CE;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con proprio decreto ha stabilito che i siti di importanza comunitaria per la regione biogeografia mediterranea in Italia, sono individuati ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 92/43/CEE, e sono elencati nell'allegato A che costituisce parte integrante del decreto stesso;
   con il codice di riferimento ITB040024 è parte integrante di tale elenco il compendio denominato Sito Importanza Comunitaria «Isola Rossa e Capo Teulada» di superficie complessiva di ha 3713 e individuato dalle coordinate E 839 N 3854;
   il Sito importanza comunitaria – SIC «Isola Rossa e Capo Teulada è un compendio naturalistico di primaria importanza, considerato che tutte le prescrizioni ambientali regionali, nazionali ed europee hanno circoscritto quel territorio con la massima tutela ambientale e naturalistica;
   il responsabile del sito risulta il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – direzione conservazione della Natura, Via Capitan Bavastro 174, 00147 Roma;
   l'area è così descritta nell'atto di individuazione del Sito di Importanza Comunitaria:
    Promontorio calcareo collegato all'isola da uno strettissimo istmo sabbioso che forma ad ovest «Cala Piombo» e ad est Porto Zafferano la quale, attualmente sotto il Demanio Militare, ha una lunghezza massima di 88 metri e una superficie complessiva di 375 Ha. Le sue dune, con quote non superiori a 13 metri sul livello del mare, non presentano tracce di disturbo antropico e delimitano una stretta spiaggia con un gradino a mare a tratti anche di 2 metri;
    nella spiaggia di Porto Zafferano, l'erosione marina e gli scarsi apporti sabbiosi limitano la formazione dell'Agropyretum mediterraneum, mentre l'Ammophiletum arundinaceae è ben rappresentato anche se discontinuo. Il Crucianelletum maritimae è presente nelle interdune in via di stabilizzazione, mentre il Pistacio – Juniperetum macrocarpae, con esemplari di Quercus calliprinos, occupa le dune stabilizzate e le retrostanti depressioni più riparate. Nel sito si rinviene inoltre un'altra specie arbustiva di alto significato fitogeografico: il Rhamnus oleoides a gravitazione occidentale localizzato esclusivamente in questo biotopo. Tra le specie perenni suffruticose viene segnalato il Polygonum robertii segnalato di recente, e rappresenta la seconda località per la Sardegna. Si segnalano inoltre la presenza delle endemiche: Silene corsica DC., Genista morisii Colla, Genista corsica (Loisel.) DC: Mercurialis corsica Cosson, Euphorbia cupanii Guss. ex Bertol., Stachys glutinosa L, Bellium bellidioides L, Bellium crassifolium Moris, Hyoseris taurina Martinoli, Ornithogalum excapum Ten. ssp. sandalioticum Tornadore et Garbari, Pancratium illyricum L, Crocus minimus DC., Romulea requienii Pari., Arum pictum L, Limonium tigulianum Arrigoni et Diana, Limonium sulcitanum Arrigoni. Dal punto di vista floristico questo sito risulta molto ricco di specie ad alto interesse fitogeografico e tra i più ricchi di endemiche. In tutta la fascia costiera poi si ritrovano le formazioni a Juniperus turbinata ssp. turbinata, che in località Monte Lapanu evidenziano la loro capacità colonizzatrice nella riconquista delle aree abbandonate;
   il sito ha inoltre importanza per la presenza in esso di 22 habitat di interesse comunitario, di cui 5 prioritari (cod. 1120, 2250, 6220, 2270, 3170); di 3 specie di uccelli prioritari, due dei quali in esso riproducentesi (cod.: A181, A392) e 35 specie floristiche di importanza conservazionistica;
   nel capitolo dell'atto di individuazione del sito relativo alla vulnerabilità è scritto: danni da esercitazioni ambientali;
   in tal senso è evidente la persistente azione di «distruzione e deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto» e «distruzione o deturpamento di bellezze naturali» compiuta dalle persistenti esercitazioni militari che si svolgono all'interno del sito protetto con danni gravissimi sia sul piano ambientale, paesaggistico e naturalistico;
   dalla documentazione fotografica in possesso dell'interrogante si evince una devastazione ambientale e naturalistica senza precedenti che colpisce e ha colpito in modo permanente e spregiudicato il patrimonio ambientale e naturalistico della Sardegna e nella fattispecie un sito protetto da convenzioni internazionali, norme nazionali e regionali;
   le esercitazioni militari e il conseguente rilascio di ordigni bellici hanno causato e causano gravissimi danni sia sull'ambiente marino che su quello dunale e retrodunale (inquinamento, frammentazione degli habitat, erosione del suolo, eccessivo calpestio, devastazione paesaggistica e naturalistica);
   nei giorni scorsi un'imponente esercitazione da mare verso terra ha provocato incendi di dimensioni rilevanti che si documentano con foto scattate da mare a dimostrazione di una devastazione ambientale persistente in un'area protetta;
   nella stessa area a causa delle numerose esercitazioni militari e della presenza di rifiuti combustibili nell'area gli incendi sono persistenti e reiterati;
   il poligono permanente per esercitazioni terra-aria-mare affidato all'Esercito e messo a disposizione della Nato rappresenta nella sua attività il più evidente e persistente disastro ambientale e naturalistico dell'intero articolato normativo di tutela ambientale europeo, nazionale e regionale;
   si tratta del secondo poligono d'Italia per estensione, 7.200 ettari di terreno, cui si sommano i 75.000 ettari delle «zone di restrizione dello spazio aereo e le zone interdette alla navigazione» normalmente impiegate per le esercitazioni di tiro contro costa e tiro terra-mare;
   una parte del poligono e dell'area a mare è permanentemente interdetta anche agli stessi militari per motivi di sicurezza;
   relativamente ai reati di cui all'articolo 733 codice penale (Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale):
   la fondazione di Teulada si perde nella notte dei tempi, probabilmente agli inizi dell'epoca nuragica, come sembrano testimoniare i molti nuraghi sparsi un po’ in tutto il territorio comunale, ed i resti di una fortificazione sull'isola Rossa;
   i fenici e i punici più tardi si stabilirono sulla costa come testimoniato dai resti del tophet punico a Malfatano, nell'isolotto davanti a Tuerredda e il porto di Melqart (ora sommerso), sempre a Malfatano;
   la prima ubicazione dell'abitato va ipotizzata alle spalle dell'antico kersonesus (Chersonesum Promontorium), ovvero l'istmo dell'odierno Capo Teulada, dove sembra sia esistito un insediamento militare romano a presidio delle due baie di Cala Piombo e Porto Zafferano. È probabile che tale ubicazione sia resistita fino all'epoca romana, quando il paese prende il nome di Tegula, che probabilmente documenta la produzione di terracotta in epoca romana. Poi, secoli dopo, probabilmente a causa delle incursioni dal mare, il paese è raccolto attorno alla chiesa di Sant'Isidoro, nella piana di Tuerra, in una zona più interna;
   in quel contesto va inquadrata anche una presenza che riguarda il prenuragico;
   la mancanza di altri dati sulle culture prenuragiche nel territorio di Teulada – del resto variamente e riccamente distribuite in tutta l'isola – va attribuita alle lacune della ricerca scientifica, tanto più gravi quando si pensa all'azione molto più spedita e sicuramente dannosa dei «cercatori di tesori»;
   che l’habitat teuladino fosse congeniale all'insediamento umano preistorico è dimostrato dalla congrua presenza di numerosi nuraghi nel territorio. Un calcolo sulla densità ci da una cifra compresa tra 0.1 e 0.35 per chilometro quadrato. È una cifra che, per quanto approssimativa, ci può dare alcune utili informazioni;
   la disposizione delle torri nuragiche – essendo queste torri di difesa – segue la morfologia dei territorio ed è chiaramente volta a proteggere le vie naturali di penetrazione verso l'interno;
   sembra di vedere una catena difensiva che corre poco più a ovest dell'attuale confine orientale del comune, volta a difendere la vallata che dal valico di Nuraxi de Mesu porta all'attuale paese. Simile è il sistema difensivo occidentale a difesa delle vie di penetrazione dal Sulcis;
   è altrettanto interessante la disposizione dei nuraghi che stanno a Nord del Porto di Teulada e che proteggono la via che, seguendo il corso del Rio Launaxiu, porta verso l'interno. Tra questi, doveva avere una funzione di avamposto il nuraghe S. Isidoro, ormai quasi completamente distrutto: un nuraghe complesso costruito con tecnica veramente «ciclopica»;
   nella regione di Malfatano – già identificato dal Lamarmora come il «Portus Herculis» degli antichi – sono state trovate le tracce di un centro abitato suddiviso nelle sue due parti essenziali: una zona commerciale col porto (da identificare con l'insenatura occidentale) e i ruderi di un tempio; una zona sacra (il «tophet») che, ripetendo la stessa situazione verificata per Bithia nell'isola di Su Cardulinu, fu costruito nella prospiciente isola di Tuerredda;
   più a ovest sono state ritrovate, in località Piscinnì, delle cave puniche per l'estrazione di materiale da costruzione;
   altre rovine sono state localizzate a S. Isidoro pertinenti ad un abitato fenicio-punico. In questa località, ricca di testimonianze che vanno dal periodo nuragico fino a quello pisano, alcuni vi hanno voluto riconoscere il sito dell'antica Tegulae;
   le tracce della civiltà punica proseguono ancora nel Capo Teulada (antico «Chersonesus») e nella regione di Zafferano;
   nei pressi della torre di Porto Scudo sono appena evidenti i resti di una fortezza punica costruita con grossi blocchi, in posizione dominante rispetto al porto ed alla piana di Zafferano. Per questa fortezza è stata proposta una datazione intorno al VI sec. a.C;
   dall'utilizzo di strumenti satellitari, visto il divieto di accesso, emerge che lo Stato italiano, con la complicità della Nato e delle Forze armate di eserciti stranieri bombardano, sparano e devastano un'area nuragica di straordinaria rilevanza, sia per il numero dei nuraghi individuati sia per la dislocazione degli stessi nello scenario costiero;
   da notizie assunte risulterebbe che alcuni di questi compendi sarebbero stati addirittura cancellati con l'utilizzo di mezzi pesanti e altri coperti;
   in quest'area, dunque, si è assiste senza alcun tipo di controllo e di tutela alla distruzione di un compendio archeologico paesaggistico esclusivo in totale dispregio e violazione delle norme richiamate;
   nella sola delimitazione del poligono di Teulada, secondo gli atti e i documenti che si allegano e riscontrabili nel sito Nurnet si è dinanzi ad un vero e proprio attentato alla civiltà nuragica con la distruzione di luoghi e compendi archeologici che avrebbero necessitato di protezione e recupero;
   in particolar modo risultano inglobati nella base militare i seguenti nuraghi catalogati da carte militari e topografiche, da rilievi aerofotogrammetrici e satellitari e censiti dalla rete Nurnet:
    1) Nuraghe Maxinas I – Comune Teulada località lat: 38.92193200458267, lon: 8.66831210120662;
    2) Nuraghe Maxinas II – Comune Teulada località lat: 38.916644004582324, lon: 8.664962001206213;
    3) Nuraghe de Carrogu – Comune Teulada – località Nuraghe de Carrogu lat 38.916925004582495, lon: 8.66106000120563;
    4) Nuraghe Brallisteris – Comune Teulada – località lat: 38.9175330045825, lon: 8.661448401205645;
    5) Nuraghe s'Uracheddu Piudu – Comune Teulada – località lat: 8.90471200458135, lon: 8.641161001202907;
    6) Nuraghe Don Antiogu – Comune Teulada località lat: 38.90735400458154, lon: 8.650137501204105;
    7) Nuraghe Turritta – Comune Teulada – località lat: 38.90684900458174, lon: 8.610368301198532;
    8) Nuraghe Mannu – Comune Teulada – località lat: 38.973001004586486, lon: 8.647734201203802;
    9) Nuraghe de Crabili – Comune Teulada – località Nuraghe de Crabili lat; 38.973399004586305, lon: 8.648087001203834;
    10) Nuraghe Di Monte Arbus – Comune Teulada località lat: 38.97321600458627, lon: 8.694009001210237;
    11) Nuraghe Campu Santeddu – Comune Teulada – località lat: 38.94840700458489, lon: 8.712561801212825;
    12) Nuraghe Merareddu – Comune Teulada – località Merareddu lat; 38.94799600458443, lon: 8.70878500121228;
    13) Nuraghe Monte Idu Comune Teulada – località lat: 38.946134004584195, lon: 8.715556501213165;
    14) Nuraghe Maledetta – Comune Teulada – località lat: 38.990119004587484, lon; 8.665096201206193;
    15) Nuraghe Barussa – Comune Teulada – località lat: 38.995854004587976, lon: 8.641093101202852;
    16) Nuraghe – Comune Teulada località lat: 38.972919004586316, lon: 8.650665001204146;
   tali compendi nuragici sono inaccessibili;
   dalla sovrapposizione dei tracciati del transito dei carri armati cingolati con le coordinate dei siti nuragici si evince che gli stessi risultano coincidenti in numerosi casi e in altri decisamente contigui;
   appare evidente che si tratta di una violazione grave di tutte le norme internazionali, nazionali e regionali di tutela non solo ambientali e naturalistiche ma anche e soprattutto di quelle riguardanti beni archeologici di una civiltà di oltre 3.500 anni fa;
   il patrimonio archeologico della Sardegna è talmente rilevante e unico nel suo genere che non solo non è accettabile la devastazione di cui è fatto oggetto ma necessiterebbe di un sistema di tutela sia nei confronti delle scoperte e del ritrovamenti fino ad oggi rilevati, sia dei siti archeologici nuragici dei quali si ha la presunzione di una presenza in determinati compendi areali come nel caso del sito del poligono di Teulada;
   l'urgenza dell'intervento che si richiede si inquadra nella fattispecie penale di nuova introduzione, relativa alla «distruzione o deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto» e «danneggiamento al patrimonio archeologico e storico»;
   per «habitat all'interno di un sito protetto» si deve intendere qualsiasi habitat di specie per le quali una zona sia classificata come zona a tutela speciale a norma dell'articolo 4, paragrafi 1 o 2, della direttiva 79/409/CE, o qualsiasi habitat naturale o un habitat di specie per cui un sito sia designato come zona speciale di conservazione a norma dell'articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CE»;
   è stato recentemente introdotto un reato contravvenzionale per reprimere penalmente, qualora sia illecita e posta in essere intenzionalmente o quanto meno per grave negligenza, «qualsiasi azione che provochi il significativo deterioramento di un habitat all'interno di un sito protetto» (articolo 3, lettera h)), direttiva 2008/99/CE). L'illecito penale frutto dell'operazione di trasposizione della direttiva ricalca, pressoché integralmente, la previsione contenuta nell'atto comunitario. Il legislatore delegato ha inteso, in particolare, tradurre la formula «provocare il significativo deterioramento di un habitat all'interno di un sito protetto» nelle due condotte descritte dall'illecito penale: a) la distruzione dell'habitat; b) il deterioramento dell’habitat, che ne comprometta lo stato di conservazione;
   la collocazione sistematica della nuova fattispecie fra «le contravvenzioni concernenti l'attività sociale della P.A.», tutela l'interesse dello Stato al mantenimento dello stato di conservazione di un habitat, ossia quello, di rilevanza costituzionale, relativo alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche sul territorio italiano, che trova il parametro costituzionale di riferimento sia nell'articolo 9 della Costituzione), che nell'articolo 117 della Costituzione, il quale obbliga l'Italia ad esercitare la potestà legislativa nel rispetto dei «vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario...» ed, in particolare, dalle direttive comunitarie che contribuiscono a definire l’habitat oggetto di protezione penale;
   il termine habitat è inteso nell'accezione di condizioni ambientali ideali per la vita di una determinata pianta o animale. In ecologia, la definizione di habitat può avere un'accezione più ampia nel biotopo, un habitat condiviso cioè da più specie. Un bioma è, invece, l'insieme della flora e fauna che vivono in un habitat ed occupano una certa geografia;
   sotto il profilo giuridico, il legislatore delegato, al comma 3 della norma citata, rinvia alle definizioni contenute nelle direttive richiamate, viene anzitutto in ausilio dell'interprete la direttiva «habitat» (direttiva 92/43/CE) che, all'articolo 1, dopo aver definito come «conservazione» il complesso delle misure necessarie per mantenere o ripristinare gli habitat naturali e le popolazioni di specie di fauna e flora selvatiche in uno stato soddisfacente (lettera a)), definisce come «stato di conservazione di un habitat naturale» (articolo 1, lettera e)), l'effetto della somma dei fattori che influiscono sull'habitat naturale in causa, nonché sulle specie tipiche che in esso si trovano, che possono alterare a lunga scadenza la sua ripartizione naturale, la sua struttura e le sue funzioni, nonché la sopravvivenza delle sue specie tipiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato;
   il legislatore delegato, rendendo ancora più chiaro l'ambito di applicazione, richiama (comma 3) una definizione ampia di «habitat», precisando che per habitat all'interno di un sito protetto si intende, da un lato, «qualsiasi habitat di specie per le quali una zona sia classificata come zona a tutela speciale a norma dell'articolo 4, paragrafi 1 o 2, della direttiva 79/409/CE» e, dall'altro, «qualsiasi habitat naturale o un habitat di specie per cui un sito sia designato come zona speciale di conservazione a norma dell'articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 92/437CE»;
   la normativa che si richiama alla direttiva «Habitat» individua tre concetti di habitat: a) habitat naturali; b) habitat naturali di interesse comunitario; c) tipi di habitat naturali prioritari;
   quanto alla definizione sub a), sono da considerarsi «habitat naturali» le zone terrestri o acquatiche che si distinguono grazie alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche, interamente naturali o seminaturali; sono, invece, da considerarsi come «habitat naturali di interesse comunitario» gli habitat che, nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato: 1) rischiano di scomparire nella loro area di ripartizione naturale; 2) hanno un'area di ripartizione naturale ridotta a seguito della loro regressione o per il fatto che la loro area è intrinsecamente ristretta; 3) costituiscono esempi notevoli di caratteristiche tipiche di una o più delle nove regioni biogeografiche seguenti: alpina, atlantica, del Mar Nero, boreale, continentale, macaronesica, mediterranea, pannonica e steppica; c) infine, sono definiti «tipi di habitat naturali prioritari», i tipi di habitat naturali che rischiano di scomparire nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato e per la cui conservazione la Comunità ha una responsabilità particolare a causa dell'importanza della parte della loro area di distribuzione naturale compresa nel territorio di cui sopra;
   l'individuazione di tali tipologie di habitat è contenuta nell'allegato I alla direttiva 92/43/CE. Richiamando l'articolo 733-bis, oltre l’habitat naturale, anche l’habitat di specie, è dunque necessario riferirsi alla definizione di «habitat di una specie», contenuta all'articolo 1, lettera f) della citata direttiva «habitat» che definisce come tale l'ambiente definito da fattori abiotici e biotici specifici in cui vive la specie in una delle fasi del suo ciclo biologico;
   la relativa definizione è contenuta all'articolo 1, lettera l), della direttiva 92/43/CE, che individua come tale «un sito di importanza comunitaria designato dagli Stati membri mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale in cui sono applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o delle popolazioni delle specie per cui il sito è designato». Ciò impone, a sua volta, di individuare cosa debba intendersi per «stato di conservazione “soddisfacente”» di un habitat naturale;
   la direttiva 92/43/CEE, che definisce come «soddisfacente» (articolo 1, lettera e), quando: 1) la sua area di ripartizione naturale e le superfici che comprende sono stabili o in estensione; 2) la struttura e le funzioni specifiche necessarie al suo mantenimento a lungo termine esistono e possono continuare ad esistere in un futuro prevedibile; 3) lo stato di conservazione delle specie tipiche è soddisfacente ai sensi della lettera i), lettera il cui contenuto è già stato analizzato a proposito della determinazione dell'oggetto materiale dell'altra fattispecie di cui all'articolo 727-bis codice penale;
   l'ambito applicativo della fattispecie di reato che si intende denunciare richiama la disciplina in tema di danno ambientale (articolo 299 ss. T.U.A.), in particolare ove si prevede (articolo 300, comma 2) che «ai sensi della direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato: a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica, che recepisce le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979; 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991 ed attua le convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di Berna del 19 settembre 1979, e di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, recante regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, nonché alle aree naturali protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive norme di attuazione»;
   ai fini della configurabilità del reato in esame, dunque, può essere utile parametro normativo di riferimento, oltre il citato articolo 300 del decreto legislativo n. 152/2006, anche la previsione contenuta nell'articolo 301 T.U.A., secondo cui «Lo stato di conservazione di un habitat naturale è considerato favorevole quando: a) la sua area naturale e le zone in essa racchiuse sono stabili o in aumento; b) le strutture e le funzioni specifiche necessarie per il suo mantenimento a lungo termine esistono e continueranno verosimilmente a esistere in un futuro prevedibile; e c) lo stato di conservazione delle sue specie tipiche è favorevole, ai sensi del comma 1», che, come già visto in precedenza, riproduce pedissequamente l'articolo 1, lettera i) della direttiva 92/43/CE;
   ove, infatti, la condotta abbia determinato l'alterazione dello «stato di conservazione dell’habitat naturale», potrà ritenersi che vi sia stato un deterioramento che ne abbia compromesso lo stato di conservazione, tale da integrare la fattispecie penale dell'articolo 733-bis codice penale. Ne consegue, quindi, che ove sia provata la «distruzione» o il «deterioramento che si denuncia e abbia compromesso lo stato di conservazione» dell’habitat così inteso, si avrà: a) l'applicazione della sanzione penale (congiunta) carico del contravventore persona fisica; b) l'eventuale applicazione della sanzione pecuniaria a carico dell'Ente cui è imputabile la responsabilità ai sensi del decreto legislativo n. 231/2001;
   qualora le attività descritte in premessa possono essere responsabili a ipotesi di «distruzione e deterioramento di habitat all'interno di un sito protetto», «distruzione e il deturpamento di bellezze naturali» e «danneggiamento al patrimonio archeologico e storico» sarebbe indispensabile che le autorità competenti dispongano l'obbligo dell'effettivo ripristino, a spese del contravventore, della precedente situazione e, in mancanza, quello di adottare le misure di riparazione complementare e compensativa di cui alla direttiva 2004/35/CE (articolo 311, comma 2, T.U.A.);
   il predetto articolo 311 prevede che l'obbligazione risarcitoria è posta a carico di «chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte». I presupposti della responsabilità risarcitoria sono dunque assai simili a quelli che determinano la responsabilità penale per la violazione dell'articolo 733-bis –:
   se risultino avviate indagini in ordine ai fatti in premessa;
   se non intendano verificare la sussistenza di responsabilità in relazione ad ipotesi di omissione di atti di controllo a tutela dei patrimoni di pertinenza e competenza dei loro rispettivi Ministeri in quanto informati dei fatti;
   se non intendano comunicare i fatti enunciati in questa interpellanza al Presidente della Commissione europea in relazione al mancato controllo e eventuali violazioni di disposizioni comunitarie;
   se ritengano di confermare le affermazioni del capo di stato maggiore della Difesa rese in audizione in Commissione Giustizia alla Camera dei deputati, secondo le quali è intervenuto il sequestro preventivo da parte dell'autorità giudiziaria per la presenza di torio in alcune aree del Poligono di Teulada.
(2-00582) «Pili, Pisicchio».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il decreto interministeriale del 12 luglio 2013 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10 agosto 2013) vieta la coltivazione delle sementi di organismi geneticamente modificati, OGM, in Italia per un periodo di 18 mesi. Il decreto è stato emanato ai sensi del combinato disposto degli articoli 54 del regolamento (CE) n. 178 del 2002 e dell'articolo 34 del regolamento (CE) n, 1829 del 2003;
   specificatamente, l'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829 del 2003 stabilisce l'adozione di misure d'urgenza, ai sensi degli articoli 53 e 54 del regolamento (CE) n. 178 del 2002, quando sia manifesto che prodotti autorizzati dal regolamento o conformemente allo stesso possono comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l'ambiente;
   l'articolo 53 del regolamento (CE) n. 178 del 2002 stabilisce che, in situazioni di emergenza, uno Stato membro possa chiedere alla Commissione europea di adottare misure cautelari, tra cui quella di sospendere l'autorizzazione, volte a sospendere l'immissione o l'importazione di un determinato prodotto OGM o a limitarne le condizioni;
   l'articolo 54 del regolamento (CE) n. 178 del 2002 stabilisce però che, nelle more delle decisioni da parte della Commissione europea, lo Stato membro può provvisoriamente adottare le misure cautelari – tra cui la sospensione – limitatamente al territorio del proprio Stato sin tanto che la Commissione europea non decida; ed è quello che ha portato il Governo italiano ad adottare il decreto interministeriale del 12 luglio 2013;
   in data 8 ottobre 2013 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore inviava una nota alla presidente della regione Friuli-Venezia Giulia, al fine di conoscere le iniziative messe in atto dalla regione per assicurare la piena attuazione del divieto di coltivazione del mais MON 810 imposto dal decreto interministeriale, stante l'eventualità di dover dar seguito all'applicazione alle sanzioni previste dagli articoli 35 e 36 del decreto legislativo n. 224 del 2003 e alla bonifica, al ripristino ambientale e al risarcimento ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, qualora sia accertato un effettivo danno ambientale conseguente alla coltivazione del mais MON 810;
   in data 11 novembre 2013 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore con un'ulteriore nota, nel prendere atto che la regione Friuli-Venezia Giulia aveva modificato la legge regionale n. 5 del 2011, «Disposizioni relative all'impiego di organismi geneticamente modificati (OGM) in agricoltura», chiedeva informazioni sull'esatta localizzazione delle coltivazioni di MON 810, prodromiche alla previsione di azioni di monitoraggio degli eventuali effetti OGM sull'ambiente o sulla salute pubblica, per valutare, se del caso, l'applicabilità delle sanzioni citate. Sempre nella stessa nota, il Ministro aveva altresì ribadito che la normativa nazionale in materia di OGM è garantita da un apparato sanzionatorio previsto, con riferimento a fattispecie diverse nei presupposti, dagli articoli 35 e 36 del decreto legislativo n. 224 del 2003 e dal decreto legislativo n. 70 del 2005. Le richiamate disposizioni prevedono specifiche sanzioni di carattere penale relativamente alla fattispecie di immissione in commercio di alimenti e mangimi geneticamente modificati, la cui applicabilità a casi concreti rientra nelle prerogative della magistratura;
   recentemente, è intervenuta la legge regionale n. 5 del 28 marzo 2014, «Disposizioni urgenti in materia di OGM e modifiche alla legge regionale 23 aprile 2007, n. 9 (Norme in materia di risorse forestali)», della regione Friuli-Venezia Giulia, che nel ribadire il divieto di coltivazione per 12 mesi degli OGM, ha previsto specifiche sanzioni amministrative in caso di sua inosservanza, ossia una sanzione massima di 50.000 euro per i trasgressori e autorizza il Corpo forestale regionale ad ordinare la rimozione delle condizioni che determinano l'inosservanza. La norma regionale prevede all'articolo 1, comma 3, anche la segnalazione delle violazioni del divieto di coltivazione previsto dal decreto interministeriale del 12 luglio 2013 alle competenti autorità;
   in data 23 aprile 2014 con sentenza n. 4410 del 2014, il TAR del Lazio si è pronunciato confermando l'impianto giuridico del decreto interministeriale del 12 luglio 2013, il quale vieta la coltivazione di OGM sul territorio nazionale;
   la regione Friuli-Venezia Giulia ha ufficialmente informato il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali che in data 7 maggio 2014 è pervenuta all'amministrazione regionale la notifica, trasmessa con raccomandata il 2 maggio 2014, di avvenuta semina di mais OGM DKC 666YG effettuata in data 17 aprile 2014 nel comune di Vivaro (PN);
   nel mese di aprile 2014 nel comune di Colloredo di Montealbano (UD) avveniva la semina di 6500 metri quadrati di mais transgenico MON 810. In questa specifica circostanza, la semina parrebbe essere una vera e propria dimostrazione scientifica posta in essere col sostegno di un biologo che vuole dimostrare che il polline geneticamente modificato non danneggia l'ecosistema. A tal riguardo, non è dato sapere se ci sia stata la comunicazione alla regione Friuli-Venezia Giulia;
   i primi giorni del mese di maggio 2014 nel comune di Mereto di Tomba (UD) avveniva la semina di 4500 metri quadrati di mais transgenico MON 810. Alla regione Friuli-Venezia Giulia veniva inviata una comunicazione dell'avvenuta semina;
   in data 16 giugno 2014 due parlamentari del Partito Sinistra Ecologia e Libertà hanno depositato due distinti esposti: il primo alla procura della Repubblica di Udine e il secondo alla procura della Repubblica di Pordenone, chiedendo all'autorità giudiziaria se sono ravvisabili delle ipotesi di reato nelle semine di mais geneticamente modificato avvenute nei mesi scorsi in Friuli-Venezia Giulia –:
   quali iniziative urgenti di competenza i Ministri interpellati, intendano adottare al fine di ripristinare il principio di legalità che è stato violato nella regione Friuli-Venezia Giulia, interessata dalla semina di mais geneticamente modificato.
(2-00584) «Migliore, Franco Bordo, Pellegrino, Palazzotto, Zan, Zaratti».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRESCIA, ARLOTTI, MARCO DI MAIO e MARIANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2009 tra il Ministro pro tempore dello sviluppo economico, Claudio Scajola, e il Ministro dell'energia della Repubblica della Serbia, furono sottoscritti due protocolli d'intesa per cooperare alla costruzione e alla concessione di impianti idroelettrici, termici, reti di interconnessione tra Italia, Serbia ed i Paesi confinanti, oltre che allo sviluppo di fonti rinnovabili, anche ai fini del conseguimento degli obiettivi nazionali per il calcolo della quota di emissioni stabilita dall'Unione europea;
   il Piano di azione nazionale presentato dall'Italia alla Commissione europea nel luglio 2010, prevedeva, infatti, l'importazione dall'area dei Balcani di 6 TWh (terawattora) all'anno, attraverso un cavo sottomarino di interconnessione con la rete montenegrina;
   il primo protocollo ha, appunto, ad oggetto la realizzazione dell'interconnessione fisica tra Italia e Serbia attraverso la posa, tra il Montenegro e l'Italia, di un cavo sottomarino di 390 chilometri di lunghezza, in corrente continua, con portata fino a un GW (giga watt), per un costo di 1 miliardo di euro a carico di Terna, ovvero a carico delle bollette elettriche italiane;
   lo stato di avanzamento dei lavori di quest'opera nel 2012, secondo l'Amministratore delegato di Terna, era del 3 per cento che corrisponde alla realizzazione delle opere propedeutiche alla costruzione dell'elettrodotto in prossimità di Villanova (Pescara);
   il secondo protocollo prevedeva:
    a) il ritiro dell'energia elettrica prodotta da impianti da fonte rinnovabile realizzati in Serbia da parte del GSE (gestore servizi energetici) a prezzo fisso per chilowattora;
    b) la costruzione degli impianti realizzati in Serbia da parte di una società mista, al 51 per cento di proprietà della società italiana Seci Energia (Gruppo Maccaferri) e al 49 per cento di proprietà della società statale serba Eps (Elektroprivreda Srbije) per investimenti previsti pari a circa 800 milioni di euro per la costruzione delle centrali sui fiumi Ibar e Drina che si aggiungono agli oltre 775 milioni già previsti per l'interconnessione Italia-Montenegro;
   il 25 ottobre 2011 il Ministro pro tempore Paolo Romani, ha firmato un nuovo accordo, che ha aggiornato quelli firmati nel 2009 ed ha stabilito le condizioni, anche tariffarie, in base alle quali dovevano essere costruiti gli impianti idroelettrici allora individuati, la cui realizzazione, dopo il recepimento della direttiva europea sulle fonti rinnovabili, è stata inquadrata nell'ambito di un «progetto comune» tra Italia e Serbia;
   secondo informazioni risalenti al 2011, l'Italia in conseguenza dell'accordo, oltre al costo del collegamento sottomarino, potrebbe sborsare circa 12 miliardi di euro in 15 anni, per importare l'elettricità balcanica, di cui la metà o più come sovrapprezzo rispetto ai costi di mercato con il rischio evidente di un ulteriore rialzo del costo della bolletta elettrica;
   gli accordi sottoscritti dal Ministero dello sviluppo economico sono stati oggetto di un'inchiesta giornalistica pubblicata il 6 febbraio 2014 sul sito della rivista on line Qualenergia;
   nell'articolo si fa rilevare come, mentre per i serbi permane l'interesse ad andare avanti, l'Italia ha praticamente già conseguito l'obiettivo 2020 grazie all'esplosione di produzione solare, eolica e biomasse autoctone;
   i serbi stimano, inoltre, che il costo totale del progetto, oltre 2 miliardi di euro, sarà largamente recuperato dalla società serba e dai soci privati italiani, grazie alla disponibilità dell'allora Governo Berlusconi di pagare l'elettricità importata ben 155 euro/megawattora, a fronte di un costo medio dell'elettricità italiana quotata dalla Borsa Elettrica, di 63 euro/megawattora nel 2013;
   si aggiunga che in Italia, nel frattempo, si è manifestato un eccesso di capacità produttiva nel settore elettrico che dovrebbe protrarsi fino al 2020 e che rende difficilmente comprensibili le motivazioni di un accordo per l'importazione di ulteriore energia;
   non appare chiaro, in definitiva, perché in un momento in cui molte centrali a ciclo combinato presenti sul territorio nazionale, in grado di produrre energia a prezzi inferiori a 155 euro al megawattora restano ferme per eccesso di capacità produttiva, l'Italia debba pagare, a prezzi molto alti, ulteriori importazioni di energia;
   tale situazione, d'altra parte, ha spinto il legislatore ad individuare forme di sostegno per il settore, tramite l'introduzione del meccanismo del capacity payment;
   i protocolli sottoscritti tra Italia e Serbia discendono dalla normativa contenuta nell'articolo 36 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, che, ai fini del conseguimento degli obiettivi nazionali, fissa i criteri in base ai quali è incentivata l'importazione di elettricità da fonti rinnovabili proveniente da Paesi extra Unione europea sulla base di accordi internazionali;
   in particolare, al comma 1, si prevede che gli accordi di importazione debbano conformarsi a criteri delineati dalle lettere a), b) e c), quali il riconoscimento, sull'energia immessa nel sistema elettrico nazionale, di un incentivo di pari durata e di entità inferiore rispetto a quello riconosciuto in Italia alle fonti e alle tipologie di impianti da cui l'elettricità viene prodotta nel paese terzo, in misura fissata negli accordi tenendo conto della maggiore producibilità ed efficienza degli impianti nei Paesi terzi e del valore medio di incentivazione delle fonti rinnovabili in Italia; modalità di produzione e importazione volte ad assicurare che l'elettricità importata contribuisca al raggiungimento degli obiettivi nazionali in materia di fonti rinnovabili; le necessarie misure che assicurino il monitoraggio dell'elettricità importata;
   il comma 2 dell'articolo 36, consente, inoltre, che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si possa stabilire un valore dell'incentivo diverso da quello previsto al comma 1, lettera a), salvaguardando gli accordi già stipulati e contemperando gli oneri economici conseguenti al riconoscimento dell'incentivo stesso e gli effetti economici del mancato raggiungimento degli obiettivi; il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non risulta ancora emanato;
   alla luce di quanto sopra esposto i contenuti dell'accordo del 2011 appaiono in contrasto con l'articolo 36 laddove:
    a) i criteri di attribuzione degli incentivi all'elettricità prodotta da fonti rinnovabili in Paesi extra Unione europea previsti al comma 1, lettera a), prevedono per l'energia elettrica importata dalla Serbia un incentivo di entità maggiore rispetto a quello riconosciuto alla produzione di energia elettrica da fonte idraulica in Italia;
   b) per quanto riguarda la lettera b), gli obiettivi di produzione italiani da fonte rinnovabile grazie al contributo degli impianti idroelettrici, eolici e fotovoltaici realizzati in Italia sono già stati raggiunti e non dovrebbero potersi prevedere incentivi a fonti rinnovabili all'estero;
    c) in presenza di un incentivo più elevato rispetto a quello riconosciuto in Italia, sarebbe stato necessario procedere all'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 2, per definire un diverso valore dell'incentivo da attribuire;
   nel corso dell'audizione avvenuta il 31 marzo 2014 nell'ambito dell’«Indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia», l'Amministratore delegato di Terna Spa, ha dichiarato che il più volte citato accordo non è stato una scelta di Terna ma del Ministero dello sviluppo economico ed ha ammesso che esiste una controindicazione riguardante l'accordo, in termini di aggravamento del costo in bolletta per l'Italia «visto che a un paese limitrofo, la Serbia, si destinano incentivi legati ai certificati verdi» –:
   se, ed entro quali termini, il Governo, intenda emanare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 36, comma 2, del decreto legislativo n. 28 del 2011, al fine di stabilire che il valore dell'incentivo per l'energia elettrica prodotta dagli impianti in Serbia sia conforme ai dettami di cui al comma 1 di tale norma, ovvero adottare altri atti che evitino rialzi nelle bollette a carico dei cittadini e delle imprese;
   se, in particolare, il Ministro sia al corrente dello stato di avanzamento dei lavori, quale parte degli investimenti sia già stata realizzata e quante siano le risorse impegnate fino ad oggi, anche al fine di ridiscutere l'accordo di cui in premessa per evitare ulteriori danni alle realtà produttive nazionali. (5-03002)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta immediata:


   DI LELLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in Campania non c’è soltanto il sito universale di Pompei, ma un patrimonio ricco di altri tesori straordinari della storia, dell'arte, della cultura. Dai monumenti del centro antico di Napoli alle meraviglie di Pozzuoli e dei Campi Flegrei; dalla grandeur della Reggia di Caserta all'imponente certosa di Padula; da Ercolano a Oplonti, alla suggestione degli itinerari di Velia-Paestum;
   è questo un patrimonio archeologico e culturale che rappresenta un capitale conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, che oggi, però, attende interventi particolari di salvaguardia per non essere devastato dall'usura del tempo e difeso dai colpi della speculazione edilizia;
   come per la Reggia di Caserta, per l'oasi ritrovata di Carditello, per i musei e per le chiese affascinanti del centro storico di Napoli, è il momento di assicurare nuove risposte sul piano finanziario, organizzativo e gestionale, non più rinviabili per il completamento del recupero del mitico Rione Terra di Pozzuoli, dei parchi archeologici di Cuma e di Baia, dei tanti, innumerevoli siti a torto definiti minori dell'entroterra di Avellino e del Sannio, di Caserta, del Cilento;
   le difficoltà finanziarie che il Paese attraversa non giustificano l'atteggiamento di diffusa rinuncia a contrastare l'avvio verso il definitivo declino e la perdita di così immensi tesori, senza mettere in campo nemmeno le soluzioni più semplici che possono assicurare flussi di risorse da destinare alla loro conservazione, valorizzazione e fruizione;
   a questo riguardo risulta all'interrogante che il sito di Rione Terra a Pozzuoli non ha il concessionario per la biglietteria e per i servizi aggiuntivi destinati all'accoglienza;
   nel comprensorio dei Campi Flegrei insistono anche la Piscina Mirabilis e lo Stadio Antonino Pio, oggi inaccessibili per il medesimo motivo;
   la stessa Reggia di Carditello, oggetto di recente acquisizione da parte dello Stato, se si vorrà aprirla dovrà essere dotata del servizio di biglietteria e di tutti gli altri servizi destinati all'accoglienza che possono favorire lo sviluppo e la crescita del turismo;
   molti altri siti, ingiustamente definiti minori, soffrono dello stesso problema;
   va considerato, altresì, che il decreto-legge n. 83 del 2014, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», in tema di attribuzione di maggiori livelli di autonomia scientifica, finanziaria e organizzativa agli «istituti e luoghi della cultura statali e agli uffici competenti su complessi di beni distinti da eccezionale valore archeologico, storico, artistico o architettonico (...)» può mettere tali istituti e uffici in condizione di adottare autonomamente le soluzioni più idonee per sanare le disfunzioni organizzative sopra richiamate, innescando, al contempo, l'attivazione di nuove e indispensabili risorse economiche –:
   cosa intenda fare per rendere fruibile l'immenso patrimonio storico, artistico e archeologico dei Campi Flegrei, della Reggia di Carditello e dei siti oggi inaccessibili, garantendo un futuro degno dell'importanza di questi beni culturali a partire dalla loro tutela e valorizzazione.
(3-00883)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   SCAGLIUSI, SPADONI e RIZZO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si stanno accrescendo gli allarmi diffusi sul potenziale propagarsi di malattie tra gli uomini che partecipano all'operazione Mare Nostrum;
   gli sbarchi di migranti sulle coste italiane hanno raggiunto un livello senza precedenti, tanto che solo a Taranto, per citare un esempio, si sono avuti tre sbarchi in tre giorni;
   tra la popolazione soccorsa sono stati segnalati casi di tubercolosi, di scabbia ed altre patologie potenzialmente infettive;
   il tema della protezione della salute delle forze dell'ordine, volontari civili e dei militari impegnati nelle operazioni di soccorso dei migranti è da tempo all'attenzione dei ministeri coinvolti;
   la settimana scorsa, si è tenuto un apposito incontro al dicastero della salute e altri sono previsti con l'obiettivo di individuare rapidamente un protocollo unico per tutto il personale civile e militare impegnato nelle operazioni di soccorso. Si tratta infatti di impartire istruzioni precise per un'unica profilassi e per dotare il personale di strumenti adeguati al fine di garantire i necessari requisiti di sicurezza sanitaria;
   il personale della Marina militare è sottoposto a screening per l'individuazione di eventuali malattie infettive. Secondo quanto riferito dal Capo di Stato Maggiore della Marina militare ammiraglio De Giorgi proprio otto marinai sarebbero risultati positivi al test della tubercolosi, anche se le cause di questa positività, non sono immediatamente riconducibili alle operazioni di soccorso dei migranti –:
   quali ulteriori misure il Governo intenda adottare per garantire la piena tutela della salute del personale civile e militare impegnato nelle operazioni di soccorso e prima accoglienza ed in particolare per evitare la trasmissione o il contagio di eventuali malattie infettive;
   su quale unità abbiano prestato servizio gli otto militari risultati positivi al test della tubercolosi, negli ultimi quattro mesi;
   se il Governo sia al corrente di altri casi di positività alla tubercolosi tra i militari coinvolti in missioni internazionali, specialmente in luoghi dove il focolaio della tubercolosi è ancora latente e non del tutto debellato. (4-05158)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   MARCO DI STEFANO e CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia nel settore tabacchicolo rappresenta quasi il 40 per cento della produzione di tabacco dell'Unione Europea e il 25 per cento delle imprese del settore dell'Unione, con quasi 200 mila posti di lavoro addetti tra agricoltori, trasformatori, impiegati nelle aziende manifatturiere e rivenditori, creando inoltre un indotto di posti di lavoro e professionalità legate, ad esempio, alla produzione di filtri ed imballaggi per i pacchetti;
   l'attuale ripartizione del mercato del tabacco italiano – costituito principalmente da tre operatori (Philip Morris, British American Tobacco, Japan Tobacco) – è frutto delle disposizioni normative di settore, in particolare dell'evoluzione della struttura delle accise che il legislatore ha determinato mediante le modifiche al citato decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (cosiddetto testo unico accise) e confermato in sede di recepimento della direttiva europea 2011/64/UE (cosiddetta direttiva quadro sui sistemi di tassazione);
   la direttiva europea 2011/64/UE (cosiddetta direttiva quadro sui sistemi di tassazione) richiede, tra l'altro, che gli interventi degli Stati membri sulla struttura delle accise del tabacco siano bilanciati e tali da garantire condizioni neutre di concorrenza;
   la struttura delle accise presente nell'ordinamento italiano è composta da una componente ad valorem, che è quella prevalente, ed una componente specifica, che è invece residuale;
   le sigarette rappresentano la categoria di prodotto più diffusa nel mercato del tabacco e si posizionano principalmente su quattro segmenti di prezzo;
   secondo il bollettino delle entrate tributarie del Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento delle finanze, il gettito dell'imposta sul consumo dei tabacchi nel 2013 ammonta a circa 10,5 miliardi di euro (con un calo di 543 milioni di euro, pari a -4,9 per cento rispetto all'anno precedente) a cui devono essere aggiunti gli introiti derivanti dall'IVA;
   l'articolo 13, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23, recante la delega al Governo per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita, prevede l'introduzione, con uno o più decreti legislativi, di norme per la revisione delle imposte sulla produzione e sui consumi, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
    a) semplificazione degli adempimenti e razionalizzazione delle aliquote;
    b) accorpamento o soppressione di fattispecie particolari;
    c) coordinamento con le disposizioni attuative in materia di federalismo fiscale della legge 5 maggio 2009, n. 42;
   ogni intervento legislativo volto alla rimodulazione della struttura delle accise sui tabacchi lavorati determina effetti importanti sul mercato del tabacco, pertanto nella sua revisione è necessario tener conto di possibili effetti distorsivi sulla concorrenza tali da favorire taluni segmenti di prezzo rispetto ad altri, poiché interventi non bilanciati sulla rimodulazione della struttura delle accise potrebbero determinare contrazioni delle entrate erariali di settore –:
   se, con riferimento agli interventi nel settore delle accise sui tabacchi, siano state avviate le procedure di valutazione propedeutiche alla predisposizione della relazione di analisi di impatto della regolamentazione (AIR), ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 170 del 4 novembre 2008, con particolare riferimento alla «stima dell'incidenza sul corretto funzionamento concorrenziale del mercato delle proposte regolatorie suscettibili di avere un impatto significativo sulle attività d'impresa», di cui all'articolo 6, comma 3, lettera g), del citato decreto e nell'ipotesi in cui non fossero ancora state avviate se non ritenga opportuno avviarle nel più breve tempo possibile, anche nell'ottica di indicare gli obiettivi possibili della riforma basata sulla struttura concorrenziale prevista dalla direttiva europea 2011/64/UE. (5-03006)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 29 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, introduce alcune agevolazioni fiscali per gli anni 2013-2015, in favore di persone fisiche e persone giuridiche che intendono investire nel capitale sociale di imprese «start-up innovative», direttamente o per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio (Fondi comuni di investimento e SICAV) o di altre società che investono prevalentemente in start-up innovative: le persone fisiche possono detrarre dall'IRPEF una percentuale delle somme investite nel capitale sociale delle predette imprese, mentre i soggetti IRES possono dedurre dall'imponibile parte delle predette somme investite nel capitale sociale di imprese start-up innovative. Tali somme saranno dunque esenti da imposizione;
   in particolare, il citato articolo 29 dispone che, per gli anni 2013, 2014 e 2015, i soggetti passivi IRPEF possono fruire di una detrazione d'imposta pari al 19 per cento delle somme investite nel capitale sociale di una o più start-up innovative, direttamente o per il tramite di OICR che investano prevalentemente in start-up innovative; tale percentuale si innalza al 25 per cento per le start-up a vocazione sociale o operanti in ambito energetico; l'investimento massimo detraibile non può eccedere l'importo di 500.000 euro per ciascun periodo d'imposta, con il vincolo che deve essere mantenuto per almeno 2 anni; qualora l'investimento venga ceduto, anche parzialmente, prima del decorso di tale termine, il contribuente decade dal beneficio con l'obbligo di restituire l'importo detratto, unitamente agli interessi legali;
   per quanto concerne gli incentivi in favore delle persone giuridiche soggetti IRES, il medesimo articolo 29 prevede che, per i periodi d'imposta 2013, 2014 e 2015, il 20 per cento della somma investita nel capitale sociale di una o più imprese start-up innovative, direttamente ovvero per il tramite di OICR o altre società che investano prevalentemente in imprese start-up innovative, non concorra alla formazione del reddito dei soggetti passivi dell'imposta sul reddito delle società (IRES) diversi da imprese start-up innovative; la suddetta deduzione sale al 27 per cento per le start-up a vocazione sociale o operanti in ambito energetico; analogamente a quanto previsto per le persone fisiche, per poter fruire dell'agevolazione l'investimento deve essere mantenuto per almeno due anni e in caso di cessione, anche parziale, dell'investimento prima di tale termine il beneficio decade e va recuperato a tassazione l'importo dedotto, maggiorato degli interessi legali; in ogni caso l'importo massimo deducibile non può superare, in ciascun periodo d'imposta, 1.800.000 euro;
   ai sensi dell'articolo 25 del decreto-legge n. 179 del 2012 per start-up si intendono le società di capitali non quotate e residenti o soggette a tassazione in Italia, che: sono detenute direttamente e almeno al 51 per cento da persone fisiche; sono in attività da non più di 48 mesi; hanno sede principale dei propri affari e interessi in Italia; hanno un fatturato non superiore a 5 milioni di euro; non distribuiscono utili; hanno per oggetto sociale lo sviluppo di prodotti o servizi innovativi, ad alto valore tecnologico; non sono costituite da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda; destinano almeno il 30 per cento della spesa ad attività qualificate di ricerca e sviluppo; hanno un terzo della forza lavoro costituito da personale con dottorato di ricerca, o dottorandi o laureati con attività almeno triennale di ricerca; sono titolari o licenziatarie di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale direttamente afferenti all'oggetto sociale e all'attività d'impresa;
   con decreto ministeriale 30 giugno 2014 sono state definite le modalità di attuazione delle agevolazioni previste dal citato articolo 29 del decreto-legge n. 179 del 2012;
   ai sensi dell'articolo 3 del medesimo decreto attuativo le agevolazioni si applicano ai conferimenti in denaro iscritti alla voce del capitale sociale e della riserva da sovrapprezzo delle azioni o quote delle start-up innovative o delle società di capitali che investono prevalentemente in start-up innovative, anche in seguito alla conversione di obbligazioni convertibili in azioni o quote di nuova emissione, nonché agli investimenti in quote degli organismi di investimento collettivo del risparmio;
   i conferimenti rilevano nel periodo d'imposta in corso alla data del deposito per l'iscrizione nel registro delle imprese dell'atto costitutivo o della deliberazione di aumento del capitale sociale ovvero, se successiva, alla data del deposito dell'attestazione che l'aumento del capitale è stato eseguito ai sensi degli articoli 2444 e 2481-bis del codice civile, i conferimenti derivanti dalla conversione di obbligazioni convertibili rilevano nel periodo d'imposta in corso alla data in cui ha effetto la conversione;
   dubbi interpretativi sono sorti in merito alla fattispecie se il versamento, effettuato nell'ottobre 2013, dei soci in conto capitale che affluisce in un'apposita riserva del patrimonio netto di una start-up possa essere annoverato tra le operazioni di investimento che beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dall'articolo 29 del decreto-legge n. 179 del 2012;
   secondo gli esperti del Fisco del Sole 24 Ore, essendo i suddetti versamenti considerati capitalizzazioni da parte soci per finanziare il patrimonio netto, risulterebbe corretto far rientrare la tipologia di investimento in parola tra quelle aventi diritto all'agevolazione fiscale;
   su tale questione è intervenuta l'Assonime con la circolare n. 11 del 6 maggio 2013, che, al punto 15.3, fornisce a tale proposito, in analogia con il cosiddetto bonus capitalizzazione previsto dall'articolo 5, comma 3-ter, del decreto-legge n. 78 del 2009, un'interpretazione della norma che farebbe rientrare, ai fini dell'agevolazione, tutti gli incrementi reali di patrimonio netto, compreso l'effettivo versamento nelle casse della società delle somme dovute dai soci, in relazione a sottoscrizioni di aumento di capitale o all'assunzione di obblighi di versamento a fondo perduto –:
   se non intenda fornire un opportuno chiarimento sulla questione se il versamento, effettuato nell'ottobre 2013, dei soci in conto capitale che affluisce in un'apposita riserva del patrimonio netto di una start-up possa essere considerato tra le operazioni di investimento che beneficiano delle agevolazioni fiscali di cui all'articolo 29 del decreto-legge n. 179 del 2012. (5-03007)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 del decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha introdotto nell'ordinamento una norma denominata ACE (acronimo di auto alla crescita economica) finalizzata al riequilibrio fiscale delle forme di finanziamento delle imprese. La norma, nel prendere atto dello squilibrio esistente fra un finanziamento con capitale di debito e con capitale proprio, introduce un beneficio che si sostanzia in una deduzione dal reddito imponibile del rendimento figurativo degli apporti di capitale: si tratta pertanto di un incentivo, di natura fiscale, riservato ai soli titolari di reddito di impresa, al fine di rilanciare lo sviluppo economico del Paese e fornire un aiuto alla crescita, agevolando le imprese che rafforzano la propria struttura patrimoniale mediante una riduzione della imposizione sui redditi;
   secondo l'allora Governo Monti, che l'ha introdotta per la prima volta, grazie alla norma ed agli effetti di capitalizzazione che ne conseguono, le imprese italiane avrebbero potuto anche pianificare con certezza e maggiore convenienza la distribuzione o meno di dividendi e/o di riserve, nonché eventuali aumenti cash di patrimonio netto;
   la finalità della norma era chiaramente espressa nella relazione illustrativa del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 14 marzo 2012, di attuazione della nuova disciplina, in cui si legge testualmente: «l'obiettivo perseguito con l'ACE, tenendo conto delle esigenze di rafforzamento dell'apparato produttivo del sistema Paese, è quello di incentivare la capitalizzazione delle imprese mediante una riduzione della imposizione sui redditi derivanti dal finanziamento con capitale di rischio. Si tratta di una misura di riequilibrio, nel senso che l'ACE intende migliorare il trattamento di sfavore del capitale di rischio rispetto al capitale di terzi»;
   nell'ambito dei chiarimenti forniti sulle modalità di applicazione della disciplina antielusiva prevista dall'articolo 10 del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 14 marzo 2012, l'Agenzia delle entrate, con la circolare n. 12/E/2014, ha precisato che hanno diritto all'agevolazione fiscale cosiddetta ACE le imprese estere che hanno trasferito la propria residenza in Italia a partire dal periodo d'imposta in cui assumono la qualifica di soggetto residente;
   con la legge di stabilità per il 2014, mentre era in carica il Governo Letta, è stato prorogato il suddetto regime di aiuto per i periodi di imposta 2014, 2015 e 2016, ma senza impatto sugli acconti;
   l'obiettivo della disciplina è di favorire ed incentivare il finanziamento delle piccole e medie imprese mediante capitale proprio, con una agevolazione che permette di portare in deduzione dal reddito complessivo netto dichiarato un importo corrispondente al rendimento nozionale del nuovo capitale proprio, fissato al 3 per cento per i primi tre periodi d'imposta di applicazione della normativa di riferimento, cioè 2012, 2013 e 2014; successivamente l'articolo 1, comma 137, lettere a) e b), della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) stabilisce che: «per il periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2014, al 31 dicembre 2015 e al 31 dicembre 2016 l'aliquota è fissata, rispettivamente, al 4 per cento, al 4,5 per cento e al 4,75 per cento»;
   secondo l'Istat, con una nota sugli effetti dei provvedimenti fiscali sulle imprese del 6 marzo scorso, nel 2014 le imprese avranno un risparmio dell'imposta sui redditi del 9,8 per cento pari a 2,6 miliardi di euro, per effetto dei tre principali provvedimenti in materia di tassazione dei redditi delle imprese adottati a partire dal 2011, quali la nuova disciplina sul riporto delle perdite, la deducibilità dell'IRAP sul costo del lavoro e la detassazione dal reddito di impresa del rendimento figurativo del capitale proprio, il cosiddetto ACE per l'appunto;
   nei giorni scorsi il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha preannunciato la sua intenzione di rafforzare il suddetto strumento di detassazione –:
   quali risultati abbiano comportato i precedenti due interventi in termini di maggiore capitalizzazione delle imprese, con particolare riferimento agli effetti disaggregati per territorio, dimensione e settore di attività. (5-03008)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Vice Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Senatore Riccardo Nencini, durante un'iniziativa congressuale svoltasi in Ancona ha dichiarato, tra l'altro, (Corriere Adriatico del 10 giugno 2014), che sulla Fano-Grosseto e Quadrilatero si augura una pronta accelerazione dei cantieri (soprattutto sull'asse Ancona Perugia dove esistono intoppi burocratici irrisolti). Ma ha pure insistito sulla valenza strategica di questi assi che, almeno in parte, «verranno realizzati con il contributo di fondi privati, secondo una proporzione che è ormai inversa a quanto accaduto negli ultimi 40 anni. Oggi le grandi opere si realizzano all'80 per cento con il contributo di investimenti alternativi a quelli pubblici». La Quadrilatero Marche e Umbria spa è una società di progetto costituita da ANAS spa (92,382 per cento), e quote minoritarie di regione Marche, Sviluppumbria spa, provincia di Macerata, le Camere di commercio Camere di commercio di Macerata-Perugia e Ancona, provincia di Perugia (tutti soggetti pubblici) e ha lo scopo di realizzare una serie di infrastrutture viarie suddivise in due maxilotti, affidati a contraente generale nell'anno 2006. Stando al bilancio integrato ANAS 2012 (pagg. 97-98-99) emerge che i costi alla fine del 2012 sono stati valutati in 2.284 milioni di euro con un incremento rispetto al precedente esercizio di circa 15 milioni di euro. Tutti i finanziamenti risultano a carico pubblico (Stato-ANAS-Regioni, Province e camere di commercio), a differenza di quanto sostenuto dal Vice Ministro Sen. Nencini. Sulla Fano-Grosseto (E78), lo stato di attuazione dell'intervento rilevato al mese di giugno 2013 è il seguente: 127 chilometri ultimati ed in esercizio; 12 km in un unico maxi lotto (lotti 5, 6, 7 e 8) per un importo di 233,70 milioni di euro, appalto integrato consegnato ad aprile 2013; 52 chilometri suddivisi in 9 lotti per un importo di circa 2.320 milioni di euro, (da finanziare), che terminata la progettazione sono stati trasmessi al CIPE per l'approvazione ed il relativo finanziamento; 79 chilometri suddivisi in 6 lotti per un importo di circa 2.045 milioni di euro che sono attualmente in fase di progettazione. Al fine di accelerare la realizzazione dell'intervento, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con D.D. n. 7364 del 6 dicembre 2010 ha istituito una commissione tecnica mista finalizzata all'approfondimento ed alla valutazione delle ipotesi di modalità di finanziamento per il completamento della «E78» Grosseto-Fano, anche mediante il ricorso allo strumento della finanza di progetto e/o a forme di partenariato pubblico/privato. La Commissione sta valutando possibili varianti di tracciato nel tratto di confine tra le regioni Toscana e Umbria e nel tratto marchigiano al fine di pervenire ad una riduzione degli importi dell'intervento e favorire, quindi, il ricorso a forme di partenariato pubblico/privato. Si tratta di fare una «Quadrilatero bis». Anche in questo caso, fino ad ora le opere sono state finanziate dal soggetto pubblico e investimenti ingentissimi dovranno essere individuati (almeno 4.365 milioni di euro) e, se si ripete l'esempio Quadrilatero spa, si tratta di finanziamenti pubblici. In effetti, a tutt'oggi le opere sono state finanziate dallo Stato, al pari del progetto MOSE, che tanto fa discutere in questo periodo e al pari del porto terminal offshore di Venezia, anch'esso a totale finanziamento pubblico. Ad avviso dell'interrogante, c’è un atteggiamento di assoluta continuità rispetto alla realizzazione delle grandi opere che si sono rivelate immense truffe ai danni dello Stato, con tanto di scandali, tangenti e ruberie che stanno minando seriamente la credibilità dello Stato e provocando la sacrosanta indignazione dei cittadini –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti, quali azioni intenda attuare, per quanto di competenza, se ritenga di assumere iniziative per accertare eventuali responsabilità e nel caso agire nei confronti degli autori e con quali modalità, e se intenda mettere fine a tale disinvoltura nella gestione e nella spesa per le opere pubbliche. (5-03003)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 dicembre 2013 è stata sottoscritta una «convenzione» tra l'architetto Mauro Coletta, capo della struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali e l'ingegnere Michele Longo, presidente della società di progetto Passante Dorico s.p.a. La convenzione disciplina il rapporto tra il concedente ed il concessionario per la progettazione, la costruzione e l'esercizio del collegamento viario tra il Porto di Ancona, la A 14 e la strada statale 16, comunemente definito «uscita a ovest». Un collegamento di tipo autostradale di circa 11 chilometri per un costo presunto, a dati 2007, di circa 500 milioni di euro, da realizzare in gran parte sull'area della «grande frana di Ancona». L'interrogante ha presentato a suo tempo un argomentato esposto al Ministro interrogato, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e ad altri organi, ancora tutti senza risposta, mettendo in evidenza una serie di irregolarità e di violazioni delle normative vigenti presenti nella Convenzione sottoscritta e in particolare il fatto che è stata omessa la comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze dell'esito della gara e del piano economico finanziario (PEF) aggiornato, essendo trascorsi sette anni dalla predisposizione del PEF e del piano regolatorio finanziario nonché l'aggiornamento dei dati di traffico, anch'essi datati e largamente sovrastimati ad avviso dell'interrogante. L'interrogante ha altresì messo in luce la presenza di clausole risarcitorie a danno del concedente (lo Stato), che non trovano alcun fondamento giuridico e che possono produrre danni ingenti alla finanza pubblica;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha trasmesso al Ministro interrogato lo schema di decreto interministeriale (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Ministero dell'economia e delle finanze) allo scopo di raggiungere il concerto al fine dell'emissione del decreto. Sono trascorsi sei mesi dalla firma della Convenzione e il vice ministro delle infrastrutture e dei trasporti, senatore Riccardo Nencini, ha dichiarato (Corriere Adriatico del 10 giugno 2014) che sull'uscita a ovest ha rimandato la palla al Ministero dell'economia e delle finanze «dov’è ora tutto bloccato per motivi di ordine finanziario» –:
   quali siano i motivi per cui il Ministro interrogato non ha proceduto, al concerto interministeriale;
   se e quali irregolarità siano state riscontrate nella Convenzione firmata il 18 dicembre 2013 dall'architetto Coletta;
   se e quali misure intenda assumere per evitare pesantissime ricadute sulla finanza pubblica e per quali motivi, a tutt'oggi, non abbia dato alcun riscontro all'esposto citato in premessa. (5-03004)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 67 del Testo unico delle imposte sui redditi (decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) definisce quali «redditi diversi» quelle plusvalenze realizzate «mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione (...omissis), nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione»;
   l'Agenzia delle entrate ha interpretato soggettivamente la questione con la propria risoluzione del 22 ottobre 2008, n. 395, che rispondendo ad un interpello riguardante «la cessione di fabbricati e terreni rientranti in un piano di recupero», si è così espressa: «la circostanza che i predetti fabbricati ricadano in un piano di recupero da cui, com’è noto, discende la possibilità di sviluppare, in termini di incremento, le cubature esistenti, fa sì che l'oggetto della compravendita non possano essere considerati i fabbricati, ma diversamente, l'area su cui essi insistono»;
   la Corte di Cassazione (sezione V, Civile), con sentenza del 21 febbraio 2014, n. 4150, ha rigettato l'interpretazione dell'Agenzia delle entrate, in considerazione del fatto che «non possono rientrare tra le stesse, le cessioni aventi ad oggetto non un terreno “suscettibile di utilizzazione edificatoria” ma un terreno sul quale insorge un fabbricato e che quindi è da ritenersi già edificato»;
   si fa presente che nel complesso delle interpretazioni dell'Agenzia delle entrate, la risoluzione in argomento appare all'interrogante del tutto incoerente ed illogica; infatti, secondo una risoluzione del 28 gennaio 2009, n. 23/E, sulla cessione del fabbricato allo stato rustico, in questo ultimo caso a rilevare è il fabbricato e non il terreno edificabile sul quale il fabbricato persiste –:
   se, alla luce della sentenza della Corte di Cassazione che ha disapplicato la risoluzione n. 395, del 22 ottobre 2008, dell'Agenzia delle entrate, il Ministro non intenda assumere iniziative affinché l'Agenzia formuli una nuova interpretazione che accolga le indicazioni emerse dalla sentenza. (4-05160)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale del 7 marzo 2014 sono state fissate al 25, 26 e 27 giugno le date delle prove del concorso in magistratura a 365 posti bandito il 30 ottobre 2013;
   uno dei candidati ha chiesto, a mezzo di ricorso al tribunale amministrativo, il rinvio del concorso e la fissazione delle prove in tre giorni non consecutivi per potersi così sottoporre a determinati trattamenti sanitari, necessari per la grave disabilità da cui è affetto e non potendo altrimenti, di fatto, partecipare al concorso;
   il tribunale amministrativo regionale del Lazio si è pronunciato il 6 giugno 2014, con ordinanza cautelare numero 2563 con un provvedimento che ha sospeso lo svolgimento delle prove scritte;
   in data 9 giugno il Consiglio di Stato si è, a sua volta, pronunciato sul gravame presentato dal Ministero di giustizia, e con decreto emesso, inaudita altera parte, ha sospeso la sospensiva disposta dal TAR;
   vi sono enormi spese che ogni candidato che si appresti a partecipare ad un concorso come quello in magistratura, particolarmente provante anche dal punto di vista fisico e psichico, deve sostenere;
   il tribunale amministrativo non si è ancora pronunciato nel merito –:
   perché il Ministro interrogato non abbia provveduto predisponendo, in ogni caso, un prudente e quanto mai opportuno rinvio del concorso ad una data successiva alla sentenza di merito del tribunale amministrativo stesso, anche e soprattutto, al fine di evitare i sicuramente numerosissimi ricorsi che verrebbero presentati dai candidati (che si precisa sono più di ventimila), in caso di annullamento dello stesso. (5-03001)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti – per sapere, premesso che:
   come spesso avviene in prossimità dell'entrata in vigore dell'orario estivo delle ferrovie regionali, anche per l'offerta di treni valida dal prossimo 1o luglio 2014, si ripropone all'attenzione del pubblico la delicata questione del trasporto pubblico locale;
   invero, la problematica del trasporto pubblico locale dovrebbe costituire una priorità ineludibile dello Stato e del Governo, considerato che la collettività, soprattutto in momenti di crisi come l'attuale, avverte maggiormente la necessità di poter usufruire di mezzi pubblici di trasporto;
   il trasporto di passeggeri e merci nonché l'intero sistema della viabilità della Calabria sconta un pesantissimo ritardo, frutto di inefficienze nei lavori di ammodernamento e sviluppo della rete infrastrutturale regionale;
   le strategie industriali di Trenitalia hanno condotto alla soppressione di molti treni a lunga percorrenza, nonché dei principali collegamenti dei pendolari (soprattutto lavoratori), trascinando la Calabria in una condizione di vero e proprio isolamento geografico e di marginalità sociale;
   in particolare, la soppressione di 21 treni a lunga percorrenza è causa di disagi devastanti sulla mobilità di persone e soggetti economici lungo la linea jonica calabrese, obbligando gli stessi a ricorrere al mezzo proprio o all'autolinea per raggiungere le stazioni ferroviarie del versante tirrenico, alla volta del centro e nord Italia;
   stando alle prime indiscrezioni attualmente circolanti, sembrerebbe che dal 1° luglio 2014 i tagli proposti da Trenitalia per la regione Calabria interesserebbero le seguenti corse: il treno n. 3740 con partenza alle ore 5 da Reggio Calabria fino a Crotone, il treno n. 3751 con partenza da Catanzaro Lido alle ore 18,05 fino a Reggio Calabria, il treno n. 3752 da Reggio Calabria alle ore 16,05 fino a Catanzaro Lido, il treno n. 12712 da Reggio Calabria alle ore 7,05 fino a Roccella, il treno n. 12713 da Roccella alle ore 9,50 a Reggio Calabria, il treno n. 3696 da Cosenza alle ore 9,50 fino a Sapri ed il treno n. 3697 da Sapri alle ore 5,30 fino a Cosenza;
   il Crotonese e tutta la fascia jonica calabrese risulterebbero pertanto fuori dalle direttrici strategiche di Trenitalia; eppure, questo lato della Calabria vede la presenza di importanti centri urbani, molti dei quali a vocazione turistica, e la connessione con Taranto, considerata la volontà di procedere con l'alta velocità fino a Bari, assicurerebbe a questo territorio un trasporto ferroviario allineato agli standard minimi che un servizio pubblico di mobilità dovrebbe garantire;
   tutto ciò tenuto conto che, la legge, di stabilità 2014, legge n. 147 del 2013, oltre alle risorse previste dal «fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario», ha disposto l'incremento del fondo per il miglioramento della mobilità dei pendolari, per importi pari a 300 milioni di euro per l'anno 2014 e a 100 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2015 e 2016;
   la cancellazione dei numerosi collegamenti a lunga percorrenza e a forte domanda si aggiunge ad una scarsa qualità del servizio, sia per la mancata sostituzione del materiale rotabile che per inefficienze di tipo organizzativo, quali la mancata armonizzazione oraria e tariffaria con gli altri vettori;
   i collegamenti regionali su ferrovia perciò vengono sovente sostituiti con pullman quasi esclusivamente appartenenti a ditte private: aumentano in questo modo i costi di esercizio e il traffico su gomma i quali incidono negativamente sul congestionamento di strade e autostrade regionali a danno della sicurezza stradale e di una mobilità sostenibile degna di una regione europea;
   nei giorni scorsi, una nota congiunta di Astra, Anav e sindacati ha denunciato che, stando a quanto comunicato dalla giunta regionale della Calabria, le risorse disponibili per il trasporto pubblico locale, fino al 31 dicembre 2014, ammontano a 15 milioni di euro; l'insufficienza dei finanziamenti comporterà il taglio dell'80 per cento dei servizi di autotrasporto pubblico locale in tutta la Calabria, con la conseguente eliminazione di servizi essenziali e la perdita di oltre mille posti di lavoro;
   in particolare, nel Crotonese, è previsto il taglio di centomila chilometri di linee nell'autotrasporto pubblico locale che negherà di fatto il diritto primario e costituzionale alla mobilità per migliaia di cittadini, con inevitabili esuberi del personale addetto;
   il casello autostradale più vicino dista 120 chilometri da Crotone e l'unica possibilità di collegamento per i cittadini resta il servizio autobus, messo ora in discussione dai tagli e dalla riprogrammazione regionale;
   l'aeroporto civile S. Anna di Crotone non vive certo un momento felice: il 17 aprile 2014 la rappresentanza legale della società aeroportuale di Crotone è stata convocata a Roma dai vertici dell'Enac con lo scopo di evidenziare tutte le criticità legate alla mancata ricapitalizzazione societaria e annunciare la possibile revoca dell'autorizzazione al volo, stante il mancato rispetto delle norme in materia;
   tale situazione si inserisce in un contesto, quello del Mezzogiorno d'Italia, già marginalizzato dalle politiche generali dei trasporti che, in particolare, hanno previsto l'attivazione dei treni ad alta velocità Freccia Rossa nelle sole tratte del centro-nord e la esclusione della Calabria dalla rimodulazione dei «corridoi europei» per i prossimi anni;
   nel corso di una recente audizione in Commissione trasporti alla Camera, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul Trasporto pubblico locale, il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti ha affermato che l'esplosione della domanda dei servizi di trasporto pubblico degli ultimi anni mette in evidenza l'inefficienza del sistema. Al contrario, «il trasporto regionale e locale può diventare uno dei fattori competitivi e di sviluppo e pone una stretta relazione tra tema degli spostamenti, che devono essere più fluidi, più efficaci, più rapidi, e rispetto all'ambiente. È evidente che si gioca una partita strategica non solo da un punto di vista sociale, ma anche ai fini della modernizzazione del Paese. (...) Se il trasporto pubblico locale è inefficiente, i cittadini italiani sono costretti a sopportare un extracosto stimato in 6 miliardi di euro l'anno rispetto alla media europea. In media il 22 per cento degli italiani utilizza il mezzo pubblico, rispetto al 32 per cento, che rappresenta il dato medio dell'Unione europea a 27. L'inefficienza comporta, dunque, costi più elevati e meno fruizione del servizio. Anche a causa di un sistema inadeguato, l'Italia sopporta un costo associato alla congestione, che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha stimato pari, nel 2011, a 11 miliardi di euro» –:
   se corrisponda al vero che in occasione dell'entrata in vigore del nuovo orario ferroviario estivo previsto per la regione Calabria, verranno effettuati tagli di relazioni su numerose tratte regionali, con particolare riferimento ai treni evidenziati in premessa;
   quali iniziative di competenza, di carattere ordinario e straordinario, intenda mettere in atto per perseguire una efficiente politica dei trasporti nella regione Calabria, in particolare nella zona jonica, attualmente in condizione di vero e proprio isolamento geografico rispetto al resto d'Italia;
   quali iniziative intenda adottare al fine di effettuare una puntuale ricognizione sullo stato dei lavori di ammodernamento e adeguamento delle infrastrutture in Calabria, al fine di ripristinare e potenziare l'offerta attuale di mezzi pubblici;
   qualora ciò corrispondesse al vero, quali iniziative intenda assumere per scongiurare che i predetti tagli vengano effettuati e quali iniziative intenda ad ogni modo intraprendere affinché, non solo in occasione del nuovo orario ferroviario estivo, ma per il futuro, non siano programmati ulteriori ridimensionamenti del sistema pubblico calabrese dei trasporti, già segnato, ad avviso degli interpellanti, dalla incapacità del Governo regionale di gestire le risorse disponibili e dalla mancata copertura dei contributi di esercizio degli esercenti;
   conseguentemente se non intenda attivare, nell'ambito delle proprie, competenze, un tavolo istituzionale di confronto tra azienda Trenitalia e Regione Calabria per affrontare l'urgente necessità del trasporto ferroviario calabrese, in risposta alle esigenze della popolazione e a tutela del fondamentale diritto di collegamento con il resto del Paese.
(2-00583) «Oliverio, Antezza, Stumpo, Pagani, Ginoble, Greco, Berretta, Gullo, Mariano, Miccoli, Impegno, Mongiello, D'Incecco, Piccione, Grassi, Valiante, Galperti, Pelillo, Tino Iannuzzi, Iacono, Covello, Vaccaro, Famiglietti, Carra, Garofani, Pierdomenico Martino, Losacco, Patriarca, Salvatore Piccolo, Lattuca, Anzaldi, Burtone, Garavini, Palma».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 28 maggio 2014 il personale della squadra di polizia giudiziaria della Polstrada ha reso noto di aver eseguito un decreto della procura della Repubblica presso il tribunale di Firenze ed eseguito il sequestro delle barriere di sicurezza (New Jersey) poste sui viadotti nel tratto tra i caselli di Barberino del Mugello e Roncobilaccio in direzione nord e sud dell'autosole;
   le barriere New Jersey sono dispositivi modulari di sicurezza e canalizzazione del flusso stradale, specificamente progettati per minimizzare eventuali danni ai veicoli in caso di contatto accidentale e per impedire a questi ultimi di «saltare» dette barriere fuoriuscendo dalla carreggiata o invadendo le corsie dell'opposto senso di marcia;
   il provvedimento ha per oggetto le barriere laterali in vibrocemento dei viadotti Bue Morto, Lora, Massa, Artellare, Villanecchio, Rio Frassino, Fiumicello, Coretta, Poggio Palina, Settefonti e Poggiolino, che da accertamenti risulterebbero in condizioni tali da non garantire la loro efficienza;
   la Polstrada ha accertato, e documentato fotograficamente, gravi criticità e, in particolare, casi di «insufficiente collegamento longitudinale al piede delle barriere», «deterioramento del calcestruzzo ed esposizione dei ferri di armatura», «mancanza di tirafondi», «giunti di collegamento a cannocchiale mancanti e disallineamento degli elementi», «fenomeni di degrado tra barriere e cordoli»;
   le ipotesi di reato, «a carico di soggetti da individuare, sono quelle contemplate dall'articolo 355 comma 2 n. 3 C.P. che concerne il mancato adempimento degli obblighi che derivano da un contratto di fornitura concluso con lo Stato, facendo mancare, in tutto o in parte, cose od opere, che siano necessarie ad un pubblico servizio»;
   concessionaria del servizio, e responsabile della manutenzione delle barriere di sicurezza, risulta essere Autostrade per l'Italia;
   il 29 maggio 2014 Autostrade per l'Italia ha comunicato che «con riferimento al sequestro ai fini probatori disposto dalla Procura della Repubblica di Firenze di 11 viadotti – per complessivi 4 km circa nelle due direzioni – lungo il tratto Bologna – Firenze dell'A1, la Direzione di Tronco di Firenze, responsabile delle infrastrutture in oggetto, precisa che gli 11 viadotti sono stati oggetto nei primi mesi dell'anno di verifica e di interventi di manutenzione ordinaria idonei al mantenimento delle condizioni di sicurezza. Pertanto non esistono condizioni di pregiudizio per l'efficienza delle barriere di sicurezza e le foto pubblicate non rappresentano la situazione della tratta»;
   la documentazione fotografica resa pubblica dalla Polstrada evidenzia uno stato di degrado delle barriere New Jersey incompatibile con l'asserzione di Autostrade per l'Italia circa l'inesistenza di condizioni di pregiudizio per l'efficienza delle barriere stesse;
   la comunicazione del concessionario, secondo la quale «le foto pubblicate non rappresentano la situazione della tratta», risulta oltremodo generica, e necessita di rilevanti chiarimenti –:
   se quanto premesso corrisponde al vero;
   se il Governo abbia chiesto chiarimenti al soggetto concessionario rispetto alla corretta e positiva assoluzione degli obblighi derivanti dalla concessione stessa;
   quali iniziative, indipendentemente dall'esito delle procedure giudiziarie penali in corso, intenda il Governo adottare, al fine di garantire che il soggetto concessionario della tratta autostradale di cui in premessa assolva tempestivamente ai propri obblighi;
   quali iniziative intenda il Governo adottare al fine di valutare l'esistenza di eventuali danni e per ottenerne il risarcimento, ovvero per valutare la ricorrenza delle condizioni che legittimano la richiesta di penali. (5-02999)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   a seguito delle dimissioni del sindaco di Venezia, ai sensi dell'articolo 141 del decreto legislativo 267 del 2000, potrebbe essere nominato un Commissario straordinario per la gestione dell'ente locale;
   la legge 7 aprile 2014 n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni) ex articolo 1 affida un ruolo determinante al sindaco del capoluogo di provincia nella gestione del periodo transitorio, tra la scadenza degli organi delle province attuali e l'insediamento degli organi delle città metropolitane, la legge prevede:
    a) le elezioni immediate, indette dal sindaco del comune capoluogo all'entrata in vigore della legge, di una conferenza statutaria che deve provvedere alla trasmissione di una proposta di statuto al consiglio metropolitano entro il 30 settembre 2014;
    b) la proroga del presidente della provincia e della giunta, a titolo gratuito, o del commissario in carica, per la gestione ordinaria dell'amministrazione provinciale fino al 31 dicembre 2014;
    c) l'elezione del consiglio metropolitano entro il 30 settembre 2014, organo che dovrà adottare lo statuto e approvare il bilancio dell'ente;
   per la nascita della città metropolitana un ruolo centrale assume, lo statuto nel quale si stabiliscono le norme fondamentali dell'organizzazione dell'ente, le relazioni con i comuni e le unioni di comuni del territorio, nonché l'eventualità che si possa prevedere l'elezione diretta a suffragio universale dei futuri organi di governo delle città metropolitane, previa articolazione del comune capoluogo i comuni metropolitani (o in zone omogenee per le città metropolitane superiori a 3 milioni di abitanti) e previa approvazione di una specifica legge elettorale;
   nella legge 7 aprile 2014, n. 56 sono state previste norme particolari per l'istituzione della città metropolitana di Reggio Calabria in considerazione del commissariamento in atto del comune capoluogo e della scadenza al 2016 della, provincia;
   per Reggio Calabria, dove il comune capoluogo è attualmente commissariato, sono previsti, infatti, termini speciali per la prima istituzione della città metropolitana. L'istituzione della città metropolitana avviene alla scadenza naturale degli organi provinciali o comunque entro trenta giorni dalla decadenza o scioglimento anticipato degli stessi, con ingresso nelle funzioni comunque successivo al rinnovo degli organi del comune di Reggio Calabria. Il termine del 30 settembre 2014 per l'elezione del consiglio metropolitano è sostituito dal centottantesimo giorno dalla costituzione della città metropolitana; i termini del 31 dicembre 2014 per l'approvazione dello statuto e del 1o gennaio 2015 per il subentro della città metropolitana alla provincia sono sostituiti dal duecentoquarantesimo giorno dalla scadenza degli organi provinciali; il termine del 30 giugno 2015 per l'esercizio del potere sostitutivo statale è sostituito dal trecentosessantacinquesimo giorno dalla scadenza medesima;
   ai sensi dell'articolo 1 della Costituzione la sovranità appartiene al popolo e il popolo esercita tale sovranità nelle forme e nei limiti previsti dalla stessa Costituzione. Il riconoscimento del diritto di voto e le sue caratteristiche, enunciate nel secondo comma dell'articolo 48, concorrono pertanto alla definizione dello Stato come Stato democratico. Attraverso di esso si realizza, infatti, principio di organizzazione che caratterizza ogni democrazia, in forza del quale ogni decisione deve essere direttamente o indirettamente ricondotta alle scelte compiute dal popolo, detentore della sovranità;
   il principio fondamentale della rappresentanza elettorale sancito nella nostra Costituzione è garantito anche dal diritto dell'Unione Europea. Il Trattato di Lisbona riunisce in un apposito titolo (Titolo II del TUE «Disposizioni relative ai principi democratici») le disposizioni intese a conferire maggiore visibilità al principio democratico insito nel funzionamento dell'Unione. Tale principio viene affermato e specificato nelle sue diverse configurazioni: la democrazia come rappresentanza e la democrazia come partecipazione all'attività pubblica;
   i cittadini della provincia di Venezia in questa importante fase di trasformazione dell'area vasta provinciale nella città metropolitana non possono essere rappresentanti da un commissario – non eletto ma nominato – che non risponde delle proprie scelte agli elettori ma al Ministro dell'interno che lo ha nominato. Tutto ciò determinerebbe un grave vulnus al sistema democratico ed al diritto di elettorato attivo –:
   se il ministro, alla luce delle considerazioni esposte in premessa e qualora si dovesse provvedere ai sensi del Testo unico degli enti locali al commissariamento del comune di Venezia, non ritenga opportuno farsi promotore, in sede di Consiglio dei ministri, di un'iniziativa normativa d'urgenza finalizzata a prorogare i termini per la trasformazione dell'ente provincia in città metropolitana.
(2-00585) «Giancarlo Giorgetti, Prataviera, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Marcolin».

Interrogazioni a risposta immediata:


   MATTEO BRAGANTINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   due anni fa, con il decreto-legge 6 giugno 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, venne approvato un ambizioso provvedimento mirante alla revisione della spesa pubblica, aprendo la via all'eliminazione delle sorgenti di uscita non più rispondenti alle effettive necessità del Paese;
   dopo un fitto susseguirsi di indiscrezioni, in larga misura raccolte e rilanciate dalle organizzazioni sindacali della Polizia di Stato, hanno preso a girare bozze del piano con il quale l'Amministrazione dell'interno starebbe predisponendo il riassetto e la revisione delle proprie strutture, dando attuazione per le parti di propria competenza alla spending review;
   da tale riassetto e revisione discenderebbero ulteriori contrazioni di personale, destinate a riverberarsi anche sugli organici della Polizia di Stato, già scesi a circa 95 mila unità negli scorsi anni, in seguito alla politica di blocco del turn over adottata dai Governi che si sono succeduti in questi anni;
   la razionalizzazione comporterebbe interventi sui presidi di tutte le specialità della Polizia di Stato, vale a dire la stradale, la ferroviaria, quella di frontiera e quella postale, proprio mentre è in atto una recrudescenza delle attività della criminalità, che ormai si allargano in tutto il Paese, interessando anche aree che ne erano rimaste libere fino a qualche anno fa, forse anche per effetto della grave crisi economica;
   secondo dati ufficiali elaborati dallo stesso Ministero dell'interno e riferiti al 2012, i crimini denunciati complessivamente risultavano aumentati dell'1,3 per cento ed ormai pari a circa 2,8 milioni, ossia 36 mila in più rispetto al 2011, mentre l'analisi per tipologia di reato evidenziava come il peggioramento più pesante si stesse registrando sul versante dei cosiddetti reati predatori, spesso perpetrati con modalità particolarmente violente, senza che il Governo abbia ritenuto di adottare alcuna misura specifica di contrasto;
   mentre si prospettano tagli importanti ai presidi sul territorio ed alle specialità delle forze dell'ordine, non sarebbero infatti previste riduzioni significative nel numero delle direzioni centrali del Ministero dell'interno, attualmente diciannove, nelle quali si concentrano gli amministrativi, lasciando così intravedere un'operazione di snellimento interamente o comunque prevalentemente scaricata sulle unità operative, inopinatamente condivisa o avallata dalla direzione politica del dicastero –:
   quali siano le ragioni per le quali il Governo stia concentrando i tagli richiesti dalla spending review sulle strutture operative delle forze dell'ordine, invece di intervenire prioritariamente sui costi delle funzioni amministrative del Ministero dell'interno. (3-00888)


   COSTANTINO, DANIELE FARINA, PIAZZONI, MIGLIORE, FRATOIANNI, KRONBICHLER, DURANTI, MELILLA, PANNARALE, RICCIATTI e SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 giugno 2014, alle ore 6.30 circa del mattino, presso il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, uno dei più grandi del nostro Paese, ha avuto luogo una protesta da parte dei richiedenti asilo diretta contro l'ente gestore, la cooperativa Auxilium, già oggetto di precedenti rivendicazioni in relazione alle condizioni di vita nel centro;
   i migranti sono usciti dal centro di accoglienza per richiedenti asilo e si son seduti a terra, in strada, con ciò bloccando il traffico sulla Via Tiberina, la via di snodo che porta verso l'adiacente autostrada Roma-Firenze;
   poco dopo l'inizio del blocco stradale, sulla via Tiberina, è arrivato un folto schieramento di forze dell'ordine: polizia, carabinieri, persino i militari di stanza al centro di accoglienza per richiedenti asilo, in assetto anti-sommossa;
   come anche riportato in un articolo (con foto e video) di Dinamopress.it, non sarebbe stato avviato alcun tentativo di interlocuzione con i migranti – nel frattempo esposti alle intimidazioni degli automobilisti – né di mediazione, da parte degli agenti o responsabili dell'ente gestore, rispetto alle istanze dei richiedenti asilo in mobilitazione;
   alcuni attivisti delle reti antirazziste e della redazione di Dinamopress, presenti sul posto, sono stati identificati e invitati ad allontanarsi;
   dopo le ore 8.00 del mattino, gli agenti hanno iniziato a trascinare via di peso le donne e gli uomini seduti a terra e di lì a breve è partita la carica da parte delle forze dell'ordine. I richiedenti asilo sono stati inseguiti e malmenati – buttati a terra, trascinati per i capelli, presi a pugni e calci – lungo tutto il tragitto che porta verso i cancelli del centro di accoglienza per richiedenti asilo, sotto gli occhi degli attivisti man mano arrivati da Roma;
   risulterebbe che almeno quattro di loro sono stati portati via; la carica è proseguita fin davanti ai cancelli del centro di accoglienza per richiedenti asilo e, stando a quanto riferito via telefono dai migranti dall'interno del centro, alle ore 9.00, l'intervento delle forze dell'ordine in assetto antisommossa si sarebbe portato fin dentro la struttura;
   a parere degli interroganti, quanto accaduto non può non apparire particolarmente grave ed è assolutamente necessario fare chiarezza sulla dinamica e le procedure avviate in tale occasione dalle forze di polizia nei confronti dei migranti –:
   se non ritenga non conforme alla legge la condotta delle forze dell'ordine nei confronti dei richiedenti asilo del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, che, in occasione di una protesta assolutamente pacifica, avrebbero usato violenza nei confronti dei migranti e, in particolare, quali siano i provvedimenti disciplinari che riterrà di adottare nei confronti dei responsabili, e in quali tempi. (3-00889)


   FIANO, STUMPO, ROBERTA AGOSTINI, BERSANI, BINDI, CUPERLO, D'ATTORRE, MARCO DI MAIO, FABBRI, FAMIGLIETTI, GASPARINI, GIORGIS, GULLO, LATTUCA, LAURICELLA, MARCO MELONI, NACCARATO, PICCIONE, POLLASTRINI, RICHETTI, ROSATO, FRANCESCO SANNA, MARTELLA e DE MARIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   numerosi episodi con diversi livelli di gravità e pericolosità dell'azione offensiva sono accaduti negli ultimi mesi presso sedi e circoli del Partito democratico presenti su tutto il territorio nazionale;
   da ultimo, nella notte tra giovedì 12 e venerdì 13 giugno 2014 si è verificato l'ennesimo attentato con il lancio di una bottiglia incendiaria contro una sede del Partito democratico a Trento;
   questo grave episodio era stato preceduto soltanto qualche giorno prima da un altro gravissimo atto di aggressione, costituito dall'esplosione di un ordigno rudimentale contro la sede provinciale del Partito democratico di Firenze;
   nonostante il Governo abbia intensificato in alcune città la vigilanza presso le sedi del Partito democratico, a causa del ripetersi di simili attentati, risulta evidente la necessità di un ulteriore aumento delle misure preventive di sicurezza da parte delle forze dell'ordine presso tali sedi;
   da notizie a mezzo stampa sembrerebbe che l'autorità di polizia e la magistratura inquirente siano potuti risalire all'identificazione degli autori degli attacchi in taluni di questi casi e sembrerebbe riscontrabile una comune matrice ideologico-organizzativa, il cui obiettivo, apparente-mente, sarebbe costituito non tanto dai singoli esponenti locali del Partito democratico, quanto piuttosto dall'idea di contrastare con la violenza alcune linee di politica nazionale condotte dal Partito democratico;
   l'articolo 49 della Costituzione prevede che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» e, pertanto, l'attacco ad una sede di partito equivale ad un attacco all'intera democrazia del nostro Paese, che fa degenerare il legittimo diritto all'espressione pacifica di un dissenso politico in un'inaccettabile aggressione fisica e violenta a danno delle sedi di un partito o dei cittadini che lì si riuniscono;
   a fronte di questa preoccupante escalation di violenze è necessario che le autorità preposte continuino a isolare, prevenire e reprimere ogni forma di violenza politica, separando così il diritto ad esprimere un dissenso politico dal netto respingimento di ogni traccia di eversione –:
   sulla base delle conoscenze sin qui acquisite dal Governo, quale sia la valutazione sulla matrice e sul grado di pericolosità di tali eventi, nonché quali ulteriori iniziative straordinarie intenda adottare al fine di offrire tutta la sorveglianza necessaria atta a garantire la libera associazione in partiti e la libertà di riunione di tutti i cittadini, come nel caso degli iscritti al Partito democratico. (3-00890)


   DAMBRUOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge 1o aprile 1981, n. 121, ha rappresentato nella storia del nostro Paese un momento di crescita e di ammodernamento delle istituzioni repubblicane, in quanto ha introdotto, nell'amministrazione della pubblica sicurezza, quelle innovazioni necessarie a favorire la stabilità del sistema politico e a rendere più efficienti gli organi di polizia. Il processo di riforma avviato con la sua entrata in vigore è, tuttavia, rimasto incompiuto, soprattutto per quel che concerne il coordinamento tra le forze di polizia, l'allestimento di centrali operative comuni, la rivisitazione dei percorsi formativi del personale;
   con il decreto-legge 6 giugno 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, è stato approvato un ambizioso progetto di spending review che impone alle pubbliche amministrazioni l'adozione di strumenti idonei a migliorare l'efficienza e l'efficacia della macchina statale nella gestione e nel contenimento della spesa pubblica. Da allora anche l'Amministrazione dell'interno è impegnata in un piano di riassetto e revisione delle proprie strutture, dando attuazione – per le parti di propria competenza – ad un programma di ottimizzazione delle risorse disponibili e alla ricerca di nuove soluzioni non solo per contenere la spesa corrente, ma anche per impiegare in modo più razionale i fondi assegnati. Con decreto del Ministro dell'interno del 28 giugno 2011 è stata, infatti, istituita una commissione con l'incarico di procedere allo studio ed alla analisi delle norme di cui alla legge 1o aprile 1981, n. 121, nonché di formulare ipotesi progettuali di modifica normativa;
   è sempre più urgente adottare misure che favoriscano la condivisione delle risorse umane, professionali, organizzative, formative e tecniche interne all'apparato pubblico con un fattivo scambio di conoscenze tra corpi di polizia nazionali e locali, nonché procedere ad un acquisto comune di attrezzature, vestiario e beni di consumo, al fine di ottimizzare e rendere più trasparente ogni voce di spesa, orientata al razionale risparmio dei costi di gestione –:
   quali iniziative intenda avviare per una effettiva razionalizzazione del sistema della pubblica sicurezza. (3-00891)


   DORINA BIANCHI e GAROFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'8 maggio 2014 si è tenuto a Bruxelles il primo vertice dei Ministri dell'interno sui cittadini dell'Unione europea di religione musulmana che si arruolano tra le fila dei ribelli al regime di Assad e partono per combattere in Siria: un allarme ormai diffuso in tutta l'Europa. Secondo diverse fonti di intelligence, sarebbero duemilatrecento circa i nuovi jihadisti occidentali che hanno deciso di imbracciare le armi accanto agli insorti;
   un fenomeno nuovo e finora incontrollato e il summit è servito innanzitutto a mettere insieme dati. La Francia, dove vive la più numerosa comunità musulmana del continente, è il Paese più colpito. Secondo il Ministro dell'interno francese, sarebbero circa 500 i militanti arruolati e già 23 i jihadisti francesi morti in combattimento. Quattrocento partenze sono state accertate nel Regno Unito, quasi duecento in Belgio, un centinaio in Olanda, solo una decina in Germania. In Italia l'allarme è circoscritto ed è stato accertato un unico caso di una persona, peraltro deceduta;
   nella riunione erano presenti rappresentanti della Turchia, del Marocco e dalla Tunisia, i quali hanno fatto presente che esiste una filiera di reclutamento ben collaudata che utilizza internet e i social network, ma anche la compiacente complicità di Paesi limitrofi alla Siria;
   quel che più preoccupa è, da un lato, la scoperta di atteggiamenti di forte radicalismo religioso, tra ragazzi che appaiono integrati nella nostra società, dall'altro i pericoli di un accresciuto rischio di proselitismo terroristico, rappresentato dal ritorno di questi giovani da quest'area di conflitto;
   tutto ciò è ben rappresentato dalle modalità con cui avvengono le partenze: le famiglie scoprono spesso la radicalizzazione dei figli quando sono già scappati e postano i loro selfie su Facebook imbracciando un kalashnikov; a inizio maggio 2014 in Francia è stato attivato un numero verde, che ha già ricevuto circa 30 telefonate. Sono genitori che cercano i loro figli. Molti raccontano di un sms o di una lettera ricevuti poco prima della scomparsa. I messaggi si assomigliano tutti. «Vado a difendere le vittime innocenti di un regime assassino». «Parto per un'operazione umanitaria». «Sono un combattente della guerra santa» –:
   quali intendimenti abbia il Ministro interrogato sul problema esposto in premessa e quali forme di coordinamento abbia avviato o ritenga di avviare con le autorità competenti degli altri Stati dell'Unione europea. (3-00892)

Interrogazione a risposta orale:


   LOSACCO. — Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   in queste ore la città di Taranto sta affrontando con generosità, soprattutto da parte del suo tessuto associativo, l'accoglienza dei profughi sbarcati presso il porto dalle navi della Marina militare che stanno svolgendo l'operazione «Mare Nostrum»;
   l'assessore regionale alla cittadinanza sociale e protezione civile della Puglia, Guglielmo Minervini, ha richiamato il Governo alle proprie responsabilità in quanto lo straordinario afflusso di profughi sta determinando il collasso del sistema di accoglienza e il territorio non in grado di gestire una emergenza così complessa;
   al momento tutto il peso dell'accoglienza grava sulle istituzioni locali, sulle strutture del volontariato, sul sistema della protezione civile regionale e anche in particolare sul servizio sanitario regionale;
   individuare Taranto quale unico porto hub per l'accoglienza e lo smistamento dei migranti salvati dalle navi militari rischia di rivelarsi una scelta non efficace, anche perché gli arrivi non diminuiscono e la situazione potrebbe divenire presto ingestibile;
   la assoluta generosità della comunità tarantina necessita di adeguati supporti che consentano una gestione sostenibile della situazione eccezionale venutasi a creare;
   occorrono risorse umane e finanziari congrue per sostenere gli arrivi –:
   se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere per evitare che Taranto rimanga l'unico porto hub per gli arrivi di profughi e quali iniziative intenda adottare per supportare il territorio con il potenziamento delle risorse umane e lo stanziamento di risorse finanziarie finalizzate a gestire l'emergenza sbarchi.
(3-00882)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI BATTISTA e BARONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della legge n. 189/2002 (la cosiddetta Bossi-Fini), ha introdotto nel decreto-legge n. 416 del 1989, l'articolo 1-sexies, che disciplina il «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati»;
   nell'ambito di tale normativa il Ministro dell'interno, con proprio decreto ministeriale, provvede annualmente, e nei limiti delle risorse del «Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo», di cui all'articolo 1-septies della predetta legge n. 189, al sostegno finanziario dei servizi di accoglienza, in misura non superiore all'80 per cento del costo complessivo di ogni singola iniziativa;
   i servizi di accoglienza sono poi prestati dagli enti locali inseriti nella rete S.P.R.A.R., che, a tal fine, provvedono a presentare le domande di contributo;
   gli enti locali per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono volontariamente, nei limiti delle risorse disponibili, al succitato «Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo» attraverso la partecipazione ad un bando ministeriale del Ministero dell'interno disposto con decreto ora di durata triennale;
   a livello territoriale, poi, gli enti locali si avvalgono, a loro volta, del supporto delle realtà del terzo settore, affidandone in convenzione i servizi ai cosiddetti enti attuatori;
   con decreto del Ministro dell'interno del 30 luglio 2013, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 207 del 4 settembre 2013, si sono stabilite le modalità di presentazione delle domande di contributo da parte degli enti locali che prestano servizi finalizzati all'accoglienza dei richiedenti e dei titolari di protezione internazionale ed umanitaria per il triennio 2014-2016;
   nel predetto decreto sono elencati i servizi minimi da garantire e gli obblighi degli enti locali che si candidano per gestire l'accoglienza: promuovere la realizzazione di attività di sensibilizzazione e di informazione al fine di facilitare il dialogo tra i beneficiari e la comunità cittadina, promuovere e sostenere la realizzazione di attività di animazione socio-culturale mediante la partecipazione attiva dei beneficiari (eventi di carattere culturale, sportivo, sociale, ecc.), costruire e consolidare la rete territoriale di sostegno al progetto coinvolgendo gli attori locali interessati;
   inoltre, tra i requisiti minimi delle strutture da adibire a centri di accoglienza, vi è quello di trovarsi in luoghi facilmente raggiungibili dai servizi di trasporto pubblico;
   l'interrogante è venuto a sapere che Roma Capitale ha presentato domanda per il triennio in questione, chiedendo la partecipazione al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo per 2581 posti; 
   tra le strutture individuate nella domanda vi è quella situata all'interno del quartiere di Settecamini, in Via Largo Davanzati (nel quadrante est della città di Roma), che, a quanto risulta all'interrogante, ospiterà 80 rifugiati e verrà assegnata in gestione alla Cooperativa «Atlante» che aderisce al Consorzio Eriches;
   la struttura di accoglienza è però collocata in un contesto sociale assolutamente incompatibile con una reale accoglienza ed integrazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati, per tale ragione ha incontrato la ferma opposizione di cittadini, comitati e associazioni operanti nel quartiere;
   difatti non sono state evidentemente considerate, ai fini della valutazione delle domande, le numerose problematiche sociali e ambientali in cui versa il quartiere di Settecamini;
   in Via di Salone, a pochi chilometri, fin dal 1997, è stato insediato il più grande campo Rom della Capitale, a ridosso della omonima stazione ferroviaria;
   sempre in Via di Salone opera una azienda chimica, la BASF (ex Engelhard) che sembra provochi inquinamento ambientale come dimostrerebbero i dati epidemiologici (che hanno evidenziato una mortalità per tumori nell'uomo superiore del 30 per cento rispetto alla media del Comune di Roma), nonché il recente blitz negli impianti della Basf – da parte di circa 150 agenti tra vigili della polizia locale e della polizia provinciale, oltre ai tecnici dell'Arpa – che ha portato al sequestro di alcuni documenti ed alla campionatura sulle canne fumarie, sugli scarichi, sulle falde acquifere per verificare il possibile inquinamento ambientale nell'area della fabbrica;
   il quartiere è poi caratterizzato da gravi carenze di infrastrutture e di servizi;
   la via Tiburtina, da sempre congestionata dal traffico, è infatti l'unica via di collegamento con il resto della città e i mezzi pubblici che vi transitano, già di per sé insufficienti, impiegano ore per i collegamenti con il capolinea della Metro B, a Rebibbia;
   la locale scuola elementare del quartiere, poi, è ospitata in una struttura costruita negli anni ‘20 e, a causa dei continui nuovi insediamenti abitativi, è già insufficiente ed inizia a mostrare i segni del tempo, considerando che un mese fa un'ala è stata chiusa perché il vecchio impianto elettrico ha causato un incendio;
   nella zona non esistono centri medici di pronto soccorso, né ambulatori per le necessità dei molti anziani e bambini della cittadinanza locale così come non vi sono scuole superiori e centri socio-culturali per le esigenze della popolazione;
   alla luce di quanto appena esposto non si comprende come possa avvenire una reale e proficua integrazione dei rifugiati in un simile contesto;
   per tali ragioni, dopo una lunga battaglia dei cittadini e dei comitati di quartiere, l'assessorato al Sostegno sociale ed alla Sussidiarietà di Roma Capitale, nella persona dell'assessore Rita Cutini, ha richiesto la sospensione definitiva dell'apertura del centro d'accoglienza SPRAR oggetto del presente atto di sindacato ispettivo; 
   in ragione di ciò non è dato sapere come abbia proceduto la competente commissione, istituita ai sensi dell'articolo 8 del citato decreto del Ministro dell'interno del 30 luglio 2013, alla valutazione delle singole domande di contributo in quanto, ai sensi delle linee guida dettate dal decreto ministeriale vigente per la presentazione delle domande di partecipazione al contributo, gli enti locali, devono indicare, all'allegato b1, tutte le caratteristiche di ogni struttura facente parte il progetto, ivi compresa la sua collocazione;
   a ciò si aggiunga che mentre i precedenti decreti del Ministero dell'interno del 28 novembre 2005 e del 27 giugno 2007 prevedevano espressamente che la commissione doveva procedere alla valutazione delle domande, a partire dal decreto del Ministero dell'interno 22 luglio 2008 (fino all'attuale decreto del 30 luglio 2013) alla Commissione de qua sembra che spetti soltanto la selezione delle domande, con un'attività vincolata priva della minima discrezionalità;
   in realtà, ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lett. b) della Costituzione, lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di immigrazione e, pertanto, è di competenza statale la valutazione preliminare delle domande di contributo al Fondo e, di conseguenza, dei progetti ivi contenuti che non possono essere rimessi alla scelta degli enti locali ai quali spetta solo, ai sensi dell'articolo 1-sexies del decreto-legge n. 416 del 1989, la presentazione delle domande stesse;
   inoltre, nel caso di specie, la cittadinanza interessata dall'attivazione del centro di accoglienza è stata completamente tenuta all'oscuro della ubicazione della struttura, come denunciato dai comitati e dalle associazioni locali i quali hanno sottolineato come i lavori di ristrutturazione e di adeguamento dell'edificio, precedentemente destinato ad uso ufficio, siano stati effettuati durante le ore notturne;
   di conseguenza, l'interrogante, ritiene opportuno, anche e soprattutto ai fini di una maggiore integrazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati, che le linee guida per la presentazione delle domande di contributo per il fondo nazione per le politiche e i servizi dell'asilo, da parte degli enti locali, preveda una necessaria fase almeno di informazione della cittadinanza, se non di vera e propria consultazione –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se, in merito alla richiesta di sospensione definitiva dell'apertura del centro d'accoglienza SPRAR, oggetto del presente atto di sindacato ispettivo, possa dirsi definitivamente abbandonata l'apertura del centro;
   se, con riferimento alla commissione istituita al fine di esaminare le domande di partecipazione al contributo, non ritenga di ripristinare la precedente lettera dei decreti del Ministero dell'interno del 28 novembre 2005 e del 27 giugno 2007, prevedendo dunque, per i decreti di prossima attuazione, anziché una mera attività di selezione, una vera e propria fase di valutazione preliminare delle domande e dei singoli progetti da parte della commissione stessa;
   se, per i futuri decreti ministeriali di attuazione dell'articolo 1-sexies del decreto-legge n. 416 del 1989, non intenda introdurre, all'interno delle linee guida per la presentazione delle domande di contributo da parte degli enti locali della rete SPRAR, anche l'obbligo in capo a questi ultimi di procedere ad una fase almeno di informazione della cittadinanza ed eventualmente di realizzare un vero e proprio processo partecipativo dei cittadini, in merito ad ogni singola struttura facente parte del progetto di accoglienza. (4-05167)


   DI BATTISTA e BARONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della legge n. 189 del 2002 (la cosiddetta Bossi-Fini), ha introdotto nel decreto-legge n. 416 del 1989, l'articolo 1-sexies che disciplina il «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati»;
   nell'ambito di tale normativa il Ministero dell'interno, con proprio decreto ministeriale, provvede annualmente, e nei limiti delle risorse del «Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo», di cui all'articolo 1-septies della predetta legge n. 189, al sostegno finanziario dei servizi di accoglienza, in misura non superiore all'80 per cento del costo complessivo di ogni singola iniziativa;
   i servizi di accoglienza sono poi prestati dagli enti locali inseriti nella rete S.P.R.A.R., che, a tal fine, provvedono a presentare le domande di contributo;
   gli enti locali per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono volontariamente, nei limiti delle risorse disponibili, al succitato «Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo» attraverso la partecipazione ad un bando ministeriale del Ministero dell'interno disposto con decreto ora di durata triennale;
   a livello territoriale, poi, gli enti locali si avvalgono, a loro volta, del supporto delle realtà del terzo settore, affidandone in convenzione i servizi ai cosiddetti enti attuatori;
   al fine di razionalizzare e ottimizzare il sistema di protezione, oggetto del presente atto di sindacato ispettivo, il Ministero dell'interno ha attivato un servizio centrale di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali che prestano i servizi di accoglienza de quibuis;
   ai sensi della predetta legge n. 189 del 2002, tale servizio centrale è affidato, con apposita convenzione, all'ANCI, con il compito di: a) monitorare la presenza sul territorio dei richiedenti asilo, dei rifugiati e degli stranieri con permesso umanitario; b) creare una banca dati degli interventi realizzati a livello locale in favore dei richiedenti asilo e dei rifugiati; c) favorire la diffusione delle informazioni sugli interventi; d) fornire assistenza tecnica agli enti locali, anche nella predisposizione dei servizi di cui al comma 1; e) promuovere e attuare, d'intesa con il Ministero degli affari esteri, programmi di rimpatrio attraverso l'Organizzazione internazionale per le migrazioni o altri organismi, nazionali o internazionali, a carattere umanitario;
   ciò posto, a parere dell'interrogante, l'attuazione ed applicazione della predetta normativa presentano alcuni aspetti che è necessario sottoporre all'attenzione del Ministro in indirizzo che è necessario chiarire;
   in primo luogo l'ANCI si avvale del supporto operativo della Fondazione Cittalia, ente strumentale della stessa Associazione nazionale comuni italiani, pur in assenza di una disposizione normativa che lo stabilisca;
   a quanto risulta all'interrogante, poi, tale affidamento sarebbe avvenuto senza alcuna procedura di evidenza pubblica;
   a ciò si aggiunga che il segretario generale della Fondazione CITTALIA è Pierciro Galeone, che, come l'interrogante ha appreso da organi di stampa, è stato condannato ad 8 mesi di reclusione dal Tribunale di Messina per falso ideologico commesso da pubblico ufficiale;
   in secondo luogo ai sensi dell'articolo 12 del decreto del Ministero dell'interno del 30 luglio 2013 (rubricato «Modalità di presentazione di domande di contributo da parte degli enti locali che prestano servizi finalizzati all'accoglienza dei richiedenti e dei titolari di protezione internazionale ed umanitaria») la direzione centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo effettua verifiche ed ispezioni sui servizi degli enti locali assegnatari del contributo, avvalendosi del supporto del Servizio centrale, e dunque dell'ANCI;
   a tal riguardo innanzitutto tale compito non è stato legislativamente attribuito all'ANCI ed inoltre, è quantomeno inopportuno che i controlli sulla corretta attuazione dei progetti, di cui alla legge n. 189 del 2002, siano rimessi all'ANCI in quanto dovrebbe effettuare ispezioni sulla qualità dei servizi di accoglienza sulle stesse amministrazioni locali che poi sono sue associate, con ciò generando una sostanziale identità tra chi assume le vesti di controllore ed i soggetti controllati –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se non intenda modificare l'articolo 12 del decreto ministeriale 30 luglio 2013, citato in premessa, eliminando la possibilità che le ispezioni ed i controlli sui servizi erogati e sulla corretta attuazione dei progetti da parte degli enti locali siano affidati al servizio centrale e di conseguenza se non intenda stabilire che gli stessi poteri ispettivi siano attribuiti soltanto alla direzione centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo;
   se il Ministro interrogato disponga di elementi in merito alla gestione dello SPRAR in relazione alla convenzione sottoscritta e quali iniziative intenda assumere per verificare la sostanziale attuazione della convenzione medesima anche con riferimento all'affidamento del servizio centrale alla fondazione CITTALIA, che peraltro, come segnalato in premessa ha come segretario generale Pierciro Galeone condannato dal tribunale di Messina per falso ideologico commesso da pubblico ufficiale ad 8 mesi di reclusione. (4-05168)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa che il 14 giugno 2014 si è svolto un incontro in regione, a Udine, tra i sindacati di Fim-Cisl, Fiom-Cgil e rappresentanze sindacali unitarie con i tecnici regionali delle attività produttive per la Evraz Palini e Bertoli di San Giorgio, per comprendere quale sarà il destino della società considerando che la cassa integrazione dei lavoratori è quasi giunta al termine;
   in tale occasione, i sindacati, mentre i lavoratori tenevano un presidio fuori dal palazzo della regione, hanno chiesto ai tecnici regionali l'impegno affinché si tenga un incontro con la proprietà o l'amministratore delegato, per capire se è intenzione dei vertici chiudere o riaprire l'azienda. È infatti necessario avere notizia del destino della Evraz Palini e Bertoli, per individuare a quali ammortizzatori sociali ricorrere in attesa di una futura ripresa o di una ipotetica chiusura;
   sulla vertenza è intervenuto il vicepresidente del consiglio regionale, Paride Cargnelutti che ha dichiarato: «Sono passati ormai troppi mesi dalle rassicurazioni sul futuro del laminatoio Palini e Bertoli da parte della proprietà, cui però non è conseguito sino ad oggi nessun fatto concreto e rilevante. L'assessore regionale all'industria, Bolzonello, già lo scorso settembre assicurava, dopo aver sentito e incontrato la proprietà, che la situazione di crisi dello stabilimento era sotto controllo e che c'erano in vista incoraggianti sviluppi. Da allora non sono conseguiti atti concreti da parte della proprietà. Sono al fianco dei lavoratori per rimarcare attenzione su questa situazione di crisi da parte del consiglio regionale» –:
   se e quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato, per favorire una corretta gestione delle relazioni industriali e sindacali, al fine di individuare un piano che consenta alla Palini e Bertoli di tutelare i lavoratori e salvaguardare gli attuali livelli occupazionali. (4-05162)


   LEVA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 24 aprile 2014 presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per il tramite della divisione VIII della direzione generale delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro, alla presenza della regione Molise in persona dell'assessore al lavoro si è tenuta una riunione per l'espletamento dell'esame congiunto della ITTIERRE SPA in concordato preventivo alla quale hanno partecipato i rappresentanti di: ITTIERRE SPA; FEMCA CISL, UIL TEC, UIL e UGL tessili nazionali; FIL-CTEM CGIL e UIL TEC UIL territoriali; rappresentanze sindacali unitarie degli stabilimenti interessati;
   dopo l'analisi delle istanze presentate dalle parti si dava parere favorevole alla richiesta di intervento della cassa integrazione guadagni straordinaria, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge n. 223 del 1991, per la durata di 12 mesi, decorrenti dal 3 aprile 2014, per complessive n. 600 unità lavorative, così distribuite:
    565 unità lavorative presso la sede di Pettoranello di Molise (IS);
    19 unità lavorative presso la sede di Montaquila (IS);
    7 unità lavorative presso la sede di Bagnolo San Vito (MN);
    5 unità lavorative presso la sede di Valmontone (RM);
    4 unità lavorative presso la sede di Molfetta (SA);
   ad oggi i suddetti lavoratori ancora non percepiscono alcun trattamento salariale e la provincia di Isernia è stata riconosciuta dal Ministero dello sviluppo economico quale «area di crisi» ai sensi della normativa vigente –:
   quale sia la fase in cui si trova l’iter procedurale, con particolare riferimento alla tempistica riguardante il decreto di pagamento all'INPS, alla luce del fatto che ad oggi i 600 lavoratori interessati si trovano completamente privi di qualsivoglia tutela sociale;
   se il Ministro intenda intervenire onde adottare rapidamente il succitato decreto. (4-05166)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRANCO BORDO, PAGLIA e PALAZZOTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia opera l'Istituto sviluppo agroalimentare spa, ISA, società finanziaria con socio unico il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con finalità di promozione e sostegno di progetti di sviluppo agroindustriale che comportino un miglioramento strutturale dei livelli di reddito dei produttori agricoli;
   l'intervento dell'ISA si rivolge a società di capitali e società cooperative economicamente e finanziariamente sane, con accertata redditività;
   l'ISA si è dotato di un «codice etico», che prevede tra l'altro che la propria attività sia improntata:
    a) a principi di lealtà e onestà che si concretizzano nel rispetto dei principi etici richiamati, nel rispetto della legalità e dei diritti fondamentali della persona, nell'applicazione di regole chiare e trasparenti e in sintonia con l'ambiente esterno e con gli obiettivi della comunità;
    b) al soddisfacimento delle necessità e delle aspettative degli interlocutori tutti, attraverso un elevato standard di professionalità ed escludendo condotte in contrasto con le disposizioni di legge e con i principi propri della Società;
    c) alla tutela della positiva immagine aziendale che rappresenta certamente un valore primario ed essenziale dell'ISA;
   tale «codice etico» ha la dichiarata finalità di indicare concrete norme di comportamento da osservare nei confronti di tutti gli interlocutori quali: l'azionista, i dipendenti, i collaboratori, i consulenti, la pubblica amministrazione e, in generale, tutti i soggetti legati da un rapporto di collaborazione con l'ISA;
   le disposizioni del «codice etico» sono vincolanti per i vertici aziendali, per tutte le persone legate da rapporti di lavoro con l'ISA e per tutti coloro che operano per l'Istituto, quale sia il rapporto che li lega allo stesso;
   in nessun caso, il perseguimento dell'interesse o del vantaggio dell'ISA può giustificare una condotta non in linea con lo stesso, che fa parte integrante del modello di organizzazione, gestione e controllo di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001;
   il «codice etico» stabilisce, inoltre, che tutti i destinatari, nonché quanti operano con l'ISA, siano tenuti, nello svolgimento delle proprie mansioni e nella propria vita professionale, ad allinearsi ai seguenti principi etico-comportamentali:
    a) equità, ovvero condotta ispirata al senso comune della giustizia sostanziale;
    b) uguaglianza, ovvero uniformità di trattamento nei confronti di ogni interlocutore;
    c) tutela e valorizzazione della persona, ovvero rispetto per ciascun individuo, valorizzazione delle rispettive capacità, instaurazione di meccanismi di fiducia e responsabilizzazione dei singoli, atti a rendere solidali i destinatari e comune la mission aziendale;
    d) diligenza, ovvero assolvimento delle proprie mansioni con cura assidua e scrupolosa attenzione ed accuratezza;
    e) onestà, ovvero impegno a non compiere atti illegali, illeciti o immorali. I destinatari debbono avere la consapevolezza del significato etico delle loro azioni, non devono perseguire l'utile personale o aziendale a discapito delle norme sopra indicate, o anche solo compiere azioni che, secondo il comune senso di coscienza, contrastino con l'onestà;
    f) trasparenza, ovvero esecuzione delle proprie mansioni in un regime di chiarezza e piena trasparenza;
   nel mese di gennaio 2014, l'ISA ha sottoscritto un accordo con il Consorzio Casalasco, finalizzato ad ottenere una partecipazione al capitale sociale pari a 12 milioni di euro, da versarsi in due tranche di 6 milioni cadauna, a gennaio 2014 e maggio 2015, nell'ambito di un progetto di sviluppo che, pur non prevedendo esplicitamente saldi occupazionali positivi, nemmeno allude a chiusure di stabilimenti;
   al termine dell'operazione l'ISA sarà di fatto il maggior partecipante al Consorzio, pur avendo diritto come da statuto del medesimo solo al 10 per cento dei diritti di voto;
   il Consorzio, nel corso di un incontro con le organizzazioni sindacali del 29 aprile 2014, ha comunicato la decisione di chiudere lo stabilimento di Felegara (Parma), acquisito dopo l'incorporazione nel 2007 della Boschi F&B, prima dell'avvio della campagna produttiva del pomodoro del 2014, attraverso il ricorso agli ammortizzatori sociali, proponendo come sola alternativa il trasferimento dei lavoratori agli stabilimenti di Fontanellato (Parma) e Rivarolo del Re (Parma), ovvero ad una distanza rispettivamente di 23 e 62 chilometri da Felegara;
   questa operazione porterà, forse, la continuità occupazionale per i 66 dipendenti a tempo indeterminato, ma anche la certezza che questo non accada per i circa 70 stagionali, in un contesto, quello della pedemontana delle valli del Taro e del Ceno già segnato da calanti opportunità lavorative e drastico impoverimento reddituale;
   è da segnalare, inoltre, che la redditività dello stabilimento di Felegara non appare negativa, pur in un quadro di carenza di investimenti negli ultimi anni, soprattutto grazie alle capacità delle lavoratrici e dei lavoratori;
   della situazione suddescritta è già stata data un'ampia illustrazione nell'atto di sindacato ispettivo n. 4-04826 del 15 maggio 2014 a firma di uno degli interroganti –:
   se anche alla luce della partecipazione dell'ISA al Consorzio Casalasco, e in virtù dei vincoli che il citato «codice etico» pone alla partecipata del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, non ritenga di dover assumere iniziative a tutela dell'occupazione e della continuità produttiva, ravvedendo in esse un interesse pubblico da tutelare, soprattutto laddove lo Stato, in una delle sue articolazioni, partecipi direttamente al capitale di rischio di un'impresa privata.
(5-03000)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'INCÀ e DA VILLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere — premesso che:
   il diritto alla tutela della salute è garantito dall'articolo 32 della Costituzione e non può essere oggetto di discriminazione a nessun titolo;
   i dati pubblicati dalla (SIMEUP) Società italiana di emergenza e urgenza pediatrica descrivono un quadro allarmante, nel quale la rete ospedaliera per i bambini non gode di buona salute e si presenta quanto mai disomogenea tra le diverse regioni;
   ogni anno il numero di accessi ai pronto soccorso pediatrici aumenta del 4 per cento a fronte di una disponibilità di 4,5 posti letto ogni 1.000 abitanti, con una media di oltre 350 accessi ogni 1000 abitanti;
   inoltre, nel corso degli ultimi anni i bisogni di salute dei neonati e dei bambini e la complessità dell'assistenza ospedaliera necessaria, sono notevolmente aumentati. Basti pensare che almeno il 10 per cento dei neonati richiede un ricovero entro i primi 30 giorni di vita e che sono in forte aumento le nascite premature con età gestazionali sempre più basse (23-28 settimane) con patologie malformative, respiratorie o chirurgiche;
   lo scenario descritto, ha spinto, ad esempio, la regione del Veneto, già dall'anno 2010, a potenziare l'intera organizzazione rivolta ai suoi pazienti più giovani e a definire una vera e propria rete ospedaliera integrata per la gestione del neonato critico e del bambino in emergenza-urgenza;
   la stessa regione, però per sopperire alla carenza di organico, ha disposto, a partire dal 1o luglio 2014, la soppressione dei 10 posti letto del reparto di pediatria, presso l'ospedale Giovanni Paolo II di Pieve di Cadore, nonostante la estrema marginalità del territorio dolomitico, che fa capo al nosocomio Cadorino già di riferimento per altri paesi limitrofi;
   come in questo caso, in tutto il nostro Paese risulta evidente che la soppressione dei suddetti reparti comporterebbe inevitabilmente un depotenziamento dell'intero settore maternità, con conseguenze sui servizi e per la salute dei neonati più bisognosi di cure;
   peraltro, la chiusura di questo servizio essenziale produrrà solo risibili risparmi e comporterà, nel breve e nel lungo periodo, solo un deterioramento qualitativo del sistema sanitario –:
   se il Ministro interrogato, ritenga opportuno adottare ogni iniziativa di competenza utile a garantire il mantenimento di standard qualitativi e quantitativi adeguati del sistema sanitario nazionale ed i livelli essenziali delle prestazioni dando anche particolare attenzione ai reparti di maternità prossimi alla chiusura su tutto il territorio nazionale. (4-05159)


   BERRETTA, GIUSEPPE GUERINI, BOCCUZZI, GNECCHI, GIULIETTI e GIULIANI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 giugno 2014 l'incontro tra Ministero della salute e parti sociali sulla bozza del «DPCM medici precari» ha prodotto un esito negativo a seguito della sostituzione dell'obbligatorietà con la possibilità di bandire i concorsi riservati, con l'esclusione della partecipazione per tali procedure concorsuali dei medici con contratti di lavoro atipico e la «non disponibilità» di deroga per le regioni in piano di rientro dove il fenomeno del precariato nell'ambito del Servizio sanitario nazionale è particolarmente accentuato;
   la prima stesura di tale bozza, risalente al dicembre scorso, aveva avuto esito favorevole negli incontri tra ministero e parti sociali in quanto prevedeva percorsi di stabilizzazione per i medici precari entro il 31 dicembre 2016;
   le modificazioni intervenute sono da ascrivere ad un richiamo del Ministero dell'economia e delle finanze;
   la prima stesura della bozza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che aveva trovato l'accordo con tutte le parti sociali, e che i citati percorsi di stabilizzazione trovavano riscontro nella circolare ministeriale del 10 dicembre 2013 a firma del Sottosegretario Paolo Fadda che recita: «la permanenza del blocco del turn-over anche negli enti del SSN induce a ritenere che il mantenimento in essere dei rapporti di lavoro flessibile del personale del comparto sanità [...] concorra a garantire l'attuale livello di erogazione delle prestazioni previste dai Livelli essenziali di assistenza, anche attraverso il mantenimento e lo sviluppo di programmi di ricerca in sanità, in ossequio all'articolo 32 della Costituzione. A tale riguardo, come è noto questo Ministero, in attuazione dell'articolo 4, comma 10 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, è impegnato nella predisposizione di uno schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per disciplinare specifiche procedure concorsuali riservate alle professionalità del Servizio sanitario nazionale, in possesso di contratti di lavoro a tempo determinato e garantire, nel contempo, la continuità. Nelle more dell'emanazione del predetto decreto, al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza, per i contratti di lavoro a tempo determinato del personale del Servizio sanitario nazionale trova in ogni caso applicazione il disposto dell'articolo 4, comma 5, del decreto-legge 13 settembre 2012 n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189. [...] Al fine della migliore programmazione dell'utilizzo delle risorse umane e professionali con la conseguente predisposizione ad un migliore benessere organizzativo, premessa necessaria e indispensabile per l'erogazione di prestazioni sanitarie e sociosanitarie, nonché di mantenimento e sviluppo di programmi di ricerca in sanità, le Regioni possono, come previsto dalla legge n. 125 del 2013, procedere alla proroga anche fino al 31 dicembre 2016, nel rispetto della normativa vigente» –:
   quali eventuali percorsi di stabilizzazione siano previsti per il personale sanitario al dicembre 2016, tenuto conto degli impegni assunti tramite la circolare ministeriale a firma Fadda del 10 dicembre 2013;
   quali garanzie si abbiano sui fondi per i rinnovi previsti dalla circolare sopra citata per garantire i livelli essenziali di assistenza. (4-05163)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta immediata:


   BRUNETTA, PALMIERI e BERGAMINI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 47 del decreto-legge n. 5 del 2012 aveva istituito l'Agenda digitale italiana, contestualmente ad un'apposita cabina di regia, un organo di alto livello presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri con il compito di definire il quadro strategico per l'attuazione dell'agenda;
   pochi mesi più tardi, uno dei primi provvedimenti del Governo Monti, il decreto-legge n. 83 del 2012, ha segmentato e confuso le funzioni degli enti pubblici ai quali era affidato il compito di attuare i programmi di innovazione tecnologica; le nuove norme hanno determinato la soppressione di DigitPA, il Dipartimento per la digitalizzazione e l'innovazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, e dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione; lo stesso decreto-legge n. 83 del 2012 ha istituito l'Agenzia per l'Italia digitale, preposta alla realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana e che solo in parte ha assorbito anche le funzioni degli enti e delle strutture preesistenti;
   il decreto-legge n. 179 del 2012 ha poi previsto che «entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e successivamente entro il 30 giugno di ogni anno, il Governo presenta alle Commissioni parlamentari competenti una relazione che evidenzia lo stato di attuazione dell'articolo 47 del decreto-legge n. 5 del 2012»;
   ad oltre un anno dalla prima scadenza tale relazione non è stata ancora presentata e risultano ancora non adottati numerosi decreti attuativi del decreto legislativo n. 82 del 2005, «Codice della amministrazione digitale», e dei decreti-legge n. 83 del 2012 e n. 179 del 2012 in materia di digitalizzazione dei servizi delle amministrazioni pubbliche;
   con il decreto-legge n. 69 del 2013 è stata prevista (articolo 13) l'istituzione presso la cabina di regia di un organismo consultivo permanente, composto da esperti in materia di innovazione tecnologica e da esponenti delle imprese private e delle università, denominato «Tavolo permanente per l'innovazione e l'Agenda digitale italiana» e presieduto dal Commissario del Governo per l'attuazione dell'Agenda digitale, che viene posto a capo di una struttura di missione per l'attuazione dell'Agenda digitale istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;
   a quasi due anni dall'istituzione dell'Agenzia per l'Italia digitale non è stato ancora nominato il comitato di indirizzo previsto dal decreto legge n. 83 del 2012 (articolo 21);
   alcuni organi di stampa hanno riportato la notizia di una intervenuta decadenza ex lege dell'attuale direttore generale dell'Agenzia per l'Italia digitale per la mancata approvazione, nei termini previsti dalla normativa vigente, del bilancio di previsione e del rendiconto consuntivo; successivamente, la notizia della presentazione delle dimissioni del medesimo direttore;
   in questo quadro è da oltre due anni che è sostanzialmente ferma qualsiasi attività tesa a favorire e governare i processi di digitalizzazione dell'azione amministrativa e permane lo stato di evidente confusione normativa e operativa, nella quale, da troppo tempo, si trovano i progetti e i programmi per l'attuazione dell'Agenda digitale italiana –:
   come si intendano superare le gravissime criticità che caratterizzano ad oggi i temi dello sviluppo delle reti di nuova generazione, dell'interoperabilità tra i sistemi informativi delle pubbliche amministrazioni, della standardizzazione delle procedure e della revisione organizzativa dell'azione amministrativa che da due anni sono sostanzialmente bloccati dall'assoluta mancanza di una visione strategica e da numerosi e non più tollerabili ritardi ed inefficienze della struttura amministrativa deputata all'attuazione dell'Agenda digitale. (3-00885)


   SCHIRÒ. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   i temi della semplificazione normativa ed amministrativa hanno assunto negli ultimi tempi grande rilevanza nei mass media e nel programma di Governo, anche nella prospettiva di uscita dalla crisi economico-finanziaria e dello sviluppo;
   la complessità degli adempimenti formali si somma alla quantità di scadenze da osservare ed alla molteplicità dei soggetti istituzionali chiamati ad esercitare funzioni di controllo nei vari settori;
   l'espletamento di numerose pratiche amministrative coinvolge una pluralità di soggetti istituzionali e di livelli territoriali;
   in molti casi, le procedure e la modulistica differiscono da comune a comune;
   il Governo si sta attivando per una complessiva, organica ed articolata azione di semplificazione, che parte dalla modifica del titolo V della Costituzione e si impernia sulla riforma della pubblica amministrazione;
   in questa prospettiva, appare fondamentale semplificare radicalmente le interlocuzioni cui cittadini ed imprese sono tenuti per l'esercizio delle loro attività;
   l'articolo 118 della Costituzione dispone in via generale che «Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza»;
   il principio costituzionale, se correttamente ed universalmente attuato, consentirebbe di concentrare nel solo livello territoriale dei comuni la maggior parte delle funzioni amministrative, semplificando la vita di cittadini ed imprese;
   la piena attuazione del principio costituzionale permetterebbe di tenere conto della cornice europea, là dove individua i settori che necessitano di particolari regimi autorizzativi e quelli invece che non ne necessitano, senza ulteriori oneri per cittadini ed imprese, nel rispetto della clausola di gold plating, sancita da tempo nell'ordinamento italiano, in particolare con la legge n. 234 del 2012, che disciplina la partecipazione dell'Italia all'Unione europea –:
   se non ritenga opportuno, nell'attuazione delle politiche di semplificazione amministrativa, adottare ogni utile iniziativa, anche di carattere normativo, per dare piena attuazione all'articolo 118 della Costituzione, attribuendo ai comuni il ruolo di interlocutori di cittadini ed imprese, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
(3-00886)


   RAMPELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   alla copiosa produzione normativa d'urgenza emanata dai Governi che si sono succeduti negli ultimi due anni e mezzo, con l'asserito intento di rilanciare lo sviluppo del Paese, non corrisponde un eguale iperattivismo quando si tratta di emanare i decreti e regolamenti di attuazione delle norme di primo grado;
   la gravissima conseguenza è che delle tante annunciate e sbandierate riforme quasi nessuna risulta allo stato completamente attuata;
   un esempio eclatante in questo senso – e solo per citarne uno – è costituito dai regolamenti attuativi che dovevano essere adottati per garantire la realizzazione nei tempi stabiliti dell'Agenda digitale, mettendo l'Italia al passo con gli altri Paesi europei in tema di tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che ad oltre due anni dall'adozione della relativa legge sono ancora quasi del tutto assenti;
   complessivamente, le norme attuative ancora da adottare sarebbero oltre ottocento, attenenti a tutti gli ambiti, da quello economico a quello sociale e del lavoro, fino a temi quali la scuola e la cultura, ed il loro numero è destinato inevitabilmente a crescere –:
   quanti siano ad oggi i provvedimenti di attuazione non ancora emanati, se non si intenda procedere ad una ricognizione complessiva di tutti gli atti il cui iter non risulti ancora completato e quali iniziative intenda assumere al fine di accelerare le procedure di adozione di tali atti, garantendo la realizzazione delle riforme.
(3-00887)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOMBARDI, DADONE, DIENI, COZZOLINO, FRACCARO, TONINELLI, NUTI e D'AMBROSIO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 101 del 2013, Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, all'articolo 1 (Disposizioni per l'ulteriore riduzione della spesa per auto di servizio e consulenze nella pubblica amministrazione), ai commi 5-bis, 5-ter e 5-quater recita:
    «5-bis. Le pubbliche amministrazioni di cui al comma 5 trasmettono, entro il 31 dicembre 2013, i dati inerenti alla spesa disaggregata sostenuta per studi e incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi e incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, nonché per gli incarichi e i contratti a tempo determinato;
    5-ter. La mancata trasmissione nei termini indicati dal comma 5-bis comporta l'applicazione della sanzione di cui al comma 7 al responsabile del procedimento;
    5-quater. Entro il 31 marzo di ogni anno, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione presenta alle Camere una relazione contenente i dati di cui al comma 5-bis»;
   le amministrazioni interessate dall'obbligo di comunicazione dei dati sono quelle individuate dall'Istituto nazionale di statistica ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché dalle autorità indipendenti e dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (escluse le università, gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati, nonché gli istituti culturali e gli incarichi di studio e consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla regolamentazione del settore finanziario);
   ad oggi, pur essendo spirato da oltre due mesi il termine previsto dalla norma citata, al Parlamento non è ancora stata presentata alcuna relazione contenente i dati inerenti alla spesa disaggregata sostenuta per studi e incarichi di consulenza da parte delle pubbliche amministrazioni interessate, di cui al comma 5-bis dell'articolo 1 del decreto-legge 101 del 2013 –:
   se le amministrazioni coinvolte abbiano fornito al Ministro i dati relativi alla spesa sostenuta per studi e incarichi di consulenza nel 2013 – e se, in caso contrario, risulti che i responsabili di eventuali inadempienze siano stati colpiti da sanzioni disciplinari – e per quale ragione il Ministro non abbia ancora adempiuto all'obbligo di comunicazione dei dati al Parlamento. (4-05165)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   QUARANTA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Fincantieri è un'azienda pubblica italiana qualificata al momento come «uno dei maggiori gruppi esistenti al mondo, attivo nella progettazione e costruzione di navi mercantili e militari» controllata da Fintecna, società finanziaria italiana a sua volta controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   il 6 giugno 2014 l'amministratore delegato ha comunicato che visti i nuovi ordini nel settore civile (15 navi) e grazie alle prospettive derivanti dalla «legge navale» a partire dalla seconda parte del 2015 non sarà più necessario ricorrere alla cassa integrazione nei siti cantieri e nei cantieri del gruppo;
   sempre in quell'occasione ufficializzava che a partire dalla fine di giugno 2014 una quota di minoranza del pacchetto azionario del gruppo sarà quotata alla borsa di Milano, indicando anche le condizioni e le caratteristiche dell'intera operazione;
   la collocazione avverrà, per circa l'80 per cento verso invertitori istituzionali (fondi di investimento nazionali e internazionali). Un 20 per cento delle azioni quotate sarà collocata verso investitori indistinti. Per tutti ci sarà un tetto massimo del 5 per cento di quote detenute;
   l'operazione avviene a valle dell'approvazione di un aumento del capitale sociale di Fincantieri che sarà finanziato dalla suddetta collocazione azionaria e al quale Fintecna, che attualmente detiene oltre il 99 per cento della proprietà del Gruppo, ha preventivamente e formalmente rinunciato;
   a questo proposito, l'Azienda ha dichiarato che, a fronte di tale rinuncia, le risorse ottenute attraverso la collocazione rimarranno all'interno e a disposizione di Fincantieri –:
   quali iniziative intendano prendere, per quanto di competenza, al fine di avviare un'interlocuzione con l'azienda per avviare un confronto con le organizzazioni sindacali circa il piano industriale di Fincantieri e per esercitare attività di garanzia affinché le risorse ottenute attraverso la collocazione in borsa vengano utilizzate per la realizzazione di un piano di investimenti finalizzato al miglioramento infrastrutturale e produttivo di tutti i cantieri nonché alla crescita della capacità progettuale aziendale, per affrontare in maniera adeguata la nuova fase e le prospettive del mercato. (4-05161)


   LOREFICE, GRILLO, MANTERO, CECCONI, DI VITA, BARONI e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Sosvi (società sviluppo ibleo), società a responsabilità limitata a capitale misto e a prevalente maggioranza pubblica, è stata costituita nel 2001 per sovrintendere al patto territoriale della provincia di Ragusa e ha gestito finora circa 70 milioni di euro per iniziative private e qualche milione di investimenti pubblici;
   da circa cinque anni la Sosvi non ha compiuto alcuna attività: l'assemblea non si è riunita nell'ultimo triennio né per gli adempimenti obbligatori né per le preventivate modifiche statutarie, non si è provveduto al rinnovo delle cariche sociali (il presidente-amministratore delegato Giovanni Iacono è rimasto in carica per oltre sei anni) e non si è riusciti ad approvare nemmeno i bilanci 2011 e 2012;
   il comune di Ragusa nell'ottobre 2013 ha operato il recesso dalla compagine sociale ritenendo conseguito l'oggetto sociale;
   già nel 2011 la Sosvi doveva essere liquidata, infatti i privati avevano portato a compimento gli ultimi progetti con circa il 50 per cento di investimento a fondo perduto, e le opere pubbliche erano state collaudate e rendicontate;
   improvvisamente e inaspettatamente lo scorso maggio il Ministero dello sviluppo economico ha stanziato circa 3,5 milioni di euro per finanziare infrastrutture e sono stati nominati soggetti attuatori degli interventi i soci pubblici della Sosvi, l'ex provincia regionale di Ragusa, la camera di commercio di Ragusa, l'IRSAP, 12 comuni e tutte le associazioni di categoria;
   in tempi rapidissimi è stato inoltre emanato dall'assessore della regione Sicilia, Linda Vancheri di Megafono, un decreto per ampliare i poteri del commissario straordinario della locale camera di commercio, altrimenti impossibilitato a presenziare all'assemblea e soprattutto a garantire il numero legale;
   contestualmente si è proceduto alle modifiche statutarie della Sosvi che hanno trasformato la maggioranza per la validità dell'assemblea elettiva da qualificata a semplice e alle nuove nomine del direttivo assegnate tutte ad ex politici;
   lo stesso premier Matteo Renzi, all'indomani dello scandalo del Mose a Venezia, ha dichiarato che «la politica non deve più interferire nella sfera degli affari» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti suesposti e se intenda verificare, per quanto di competenza, la regolarità dell'assegnazione e della gestione dei fondi alla Sosvi, posto che si tratta di una società che, sino a prima dello stanziamento dei 3,5 milioni di euro era a tutti gli effetti «dormiente», considerando in tale contesto che l'assemblea non si è riunita nell'ultimo triennio né per gli adempimenti obbligatori né per le preventivate modifiche statutarie, che non si è provveduto al rinnovo delle cariche sociali (il presidente-amministratore delegato Giovanni Iacono è rimasto in carica per oltre sei anni) e che non sono stati approvati i bilanci 2011 e 2012;
   per qualche ragione, alla luce del fatto che la Sosvi era sostanzialmente una società «dormiente», siano stati stanziati i citati 3,5 milioni di euro. (4-05164)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Binetti e altri n. 1-00483, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bueno.

  La mozione Zampa e altri n. 1-00501, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zanin.

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Binetti ed altri n. 1-00209, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Locatelli e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Binetti, Adornato, Buttiglione, Capua, Caruso, Cera, Cesa, Antimo Cesaro, Cimmino, D'Agostino, Dambruoso, De Mita, Galgano, Gigli, Gitti, Locatelli, Marazziti, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Molea, Fitzgerald Nissoli, Oliaro, Piepoli, Sberna, Sottanelli, Schirò, Tinagli, Vargiu, Vitelli».

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Currò n. 4-05156, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Uva.

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: risoluzione in Commissione D'Uva n. 7-00205 del 12 dicembre 2013.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Vallascas n. 5-02340 del 12 marzo 2014;
   interpellanza urgente Brunetta n. 2-00573 del 10 giugno 2014;
   interpellanza Costantino n. 2-00576 del 12 giugno 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Pili n. 5-02994 del 13 giugno 2014.