Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 4 giugno 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    «la difesa della libertà religiosa è la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani in un Paese». Così disse Giovanni Paolo II nell'ottobre del 2003 ai partecipanti all'assemblea parlamentare dell'Osce. Se in un Paese la libertà religiosa non è rispettata, difficilmente lo saranno gli altri diritti umani;
    in quella, come in molte altre occasioni, Papa Wojtyla sottolineò «la dimensione internazionale del diritto alla libertà di religione e la sua importanza per la sicurezza e la stabilità della comunità delle nazioni», incoraggiandone la difesa e la promozione da parte dei singoli Stati e di altri organismi internazionali;
    oggi circa il 74 per cento della popolazione mondiale – quasi 5,3 miliardi di persone – vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a più o meno gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose. Recenti studi dimostrano che circa i tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani. Sono almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
    anche il numero di cristiani uccisi ogni anno in ragione della propria fede è tristemente elevato. Le stime variano da 100 mila a poche migliaia. Non è tuttavia rilevante sapere se vi è un cristiano ucciso in odio alla fede ogni cinque minuti, oppure ogni giorno. È comunque troppo;
    tra i colpevoli di discriminazioni e persecuzioni ai danni di gruppi religiosi vi sono numerosi governi. «La libertà religiosa è qualcosa che non tutti i paesi hanno – ha ricordato Papa Francesco rientrando dal suo viaggio in Terra Santa – Alcuni esercitano un controllo, altri prendono misure che finiscono in una vera persecuzione. Ci sono martiri oggi, martiri cristiani, cattolici e non cattolici. In alcuni posti non puoi portare un crocifisso, avere una Bibbia, o insegnare il catechismo ai bambini. E io credo che in questo tempo ci siano più martiri che nei primi tempi della Chiesa»;
   in Corea del Nord la libertà religiosa è completamente negata. Il governo controlla le attività religiose e chiunque partecipi ad attività religiose non autorizzate è arrestato e soggetto a torture o perfino esecuzioni. Migliaia di nordcoreani sono internati nei campi di lavoro per motivi religiosi – almeno 15 mila su un totale di 150 mila prigionieri – e se rifiutano di rinunciare alla loro fede, subiscono abusi perfino peggiori di quelli cui sono soggetti gli altri detenuti. Molto simile la situazione dell'Eritrea, nota non a caso come la Corea del Nord d'Africa, dove si contano dai 2 mila ai 3 mila prigionieri di coscienza arrestati a causa del loro credo religioso. Prigionieri che subiscono atroci torture e sono costretti a vivere in condizioni disumane;
    in Cina il controllo dello Stato sulle attività religiose è andato tristemente aumentando negli ultimi anni, così come il numero degli arresti di cristiani, buddisti e musulmani e la distruzione di edifici religiosi. Recentemente nella provincia di Zhejang oltre sessanta chiese sono state demolite o danneggiate. La Costituzione riconosce sulla carta la libertà di religione, ma autorizza le sole attività religiose «normali», senza tuttavia fornirne alcuna definizione. Chiunque partecipi a riunioni o manifestazioni religiose non «autorizzate» è arrestato e può subire torture e abusi. Stessa sorte è toccata ai numerosi cattolici che, per fedeltà al Papa, hanno rifiutato di aderire all'Associazione Patriottica Cattolica Cinese;
    lo stretto controllo governativo limita in modo rilevante la libertà religiosa anche in altri Paesi asiatici, quali Laos, Vietnam, Malesia, Kazakhistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam;
    uno dei Paesi in cui la libertà religiosa è meno tutelata è senza dubbio il Pakistan. Qui lo strumento d'elezione per la discriminazione e la persecuzione delle minoranze religiose è la cosiddetta legge anti-blasfemia – corrispondente ad alcuni articoli del codice penale pachistano – che punisce con la pena di morte chi insulta il profeta Maometto e con il carcere a vita chi profana il Corano. In Pakistan sono detenute 36 delle 43 persone arrestate con l'accusa di blasfemia in tutto il mondo. 17 di queste sono state condannate alla pena capitale, mentre le altre stanno scontando una pena detentiva a vita. Senza contare le migliaia di omicidi extra-giudiziali compiuti a causa di tale norma;
    anche se tra gli accusati non mancano appartenenti alla maggioranza musulmana, i dati dimostrano come la legge – che non prevede l'onere della prova per chi accusa e si presta dunque facilmente ad un uso improprio – è soprattutto utilizzata per colpire le minoranze religiose. Nel 2013 su 32 casi registrati, 12 hanno riguardato imputati cristiani: si tratta del 40 per cento delle denunce, in un Paese in cui la minoranza cristiana rappresenta appena il 2 per cento della popolazione;
    un'altra piaga che colpisce le minoranze religiose del Pakistan è il rapimento e la conversione forzata all'Islam di adolescenti e bambine. Secondo i dati ufficiali, ogni anno circa 750 giovani cristiane e 250 indù sarebbero rapite e obbligate a convertirsi per contrarre matrimonio islamico. Ma dal momento che la percentuale dei crimini riportati è minima, si ritiene che i casi siano almeno il doppio;
    in questi giorni il caso di Meriam Yahya Ibrahim Ishaq, la donna sudanese condannata a morte per apostasia, ha portato all'attenzione internazionale il dramma in atto nei Paesi in cui è vietato convertirsi dall'Islam ad altra religione. In 21 Paesi il reato di apostasia è regolato dal codice penale e alcuni di questi, tra cui Iran, Sudan, Arabia Saudita, Egitto, Somalia, Afghanistan, Qatar, Yemen, Pakistan e Mauritania contemplano la pena di morte per questo tipo di reato;
    gravi sono le violazioni alla libertà religiosa nei Paesi in cui la legge islamica è fonte di diritto, sia che questa venga applicata a tutti i cittadini – come ad esempio in Sudan – sia che sia fatta distinzione tra musulmani e non musulmani. In 17 dei 49 Paesi a maggioranza islamica, l'Islam è riconosciuto come religione di Stato. Un primato sancito dalla costituzione che implica molteplici conseguenze: dall'esclusione delle minoranze dalla pratica religiosa – è questo il caso dell'Arabia Saudita – fino a forme di tolleranza vincolate a rigidi controlli delle attività religiose;
    in Medio Oriente, in seguito alla cosiddetta Primavera araba, abbiamo assistito ad un aumento della pressione di gruppi fondamentalisti ed una crescente ostilità nei confronti della minoranza cristiana. In Egitto nel solo 2013 sono stati distrutti o danneggiati oltre 200 tra chiese, edifici religiosi e attività gestite da cristiani;
    in alcune aree di diversi Paesi del mondo arabo – tra cui Egitto, Iraq e Siria – gli estremisti pretendono dai cristiani il pagamento della jizya, la tassa imposta ai non musulmani durante l'impero ottomano;
    la radicalizzazione dei gruppi fondamentalisti ha contribuito ad alimentare il massiccio esodo di cristiani dal Medio Oriente. Se appena un secolo fa essi rappresentavano circa il 20 per cento della popolazione mediorientale, oggi raggiungono a stento il 4 per cento. Tra i fattori che spingono i cristiani ad abbandonare il proprio Paese vi è la concezione, tradizionalmente diffusa nelle società islamiche, che i non musulmani siano cittadini di seconda classe. Tale concezione non di rado porta a gravi discriminazioni in ambito scolastico e lavorativo e perfino a disparità nell'applicazione della giustizia;
    uno dei Paesi simbolo delle difficoltà cristiane nell'area è senza dubbio l'Iraq, che negli ultimi 25 anni ha visto diminuire la propria comunità cristiana da un milione e mezzo di fedeli a poco più di 300 mila;
    anche in molte aree dell'Africa la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici è andata fortemente aumentando, con gravi conseguenze per la popolazione locale e in particolar modo per i non musulmani. Caso emblematico è quello della Nigeria, dove dal 2009 ad oggi si sono intensificati gli attacchi della setta islamica Boko Haram. Nel Nord a maggioranza islamica i fondamentalisti hanno distrutto o danneggiato centinaia di chiese e ucciso migliaia di persone, oltre 2 mila soltanto negli ultimi 12 mesi. Da una ricerca condotta nell'ottobre del 2012 è risultato che su 1201 cristiani uccisi in odio alla fede durante l'anno, ben 791 avevano trovato la morte in Nigeria. Il Governo è stato più volte accusato di non aver saputo reagire in maniera adeguata, anche a causa della dilagante corruzione che caratterizza l'apparato statale;
    molti dei Paesi citati sono firmatari della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, la quale esige dai Paesi firmatari il rispetto di diritti civili e politici, incluso quello alla libertà religiosa;
    la Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 18 stabilisce che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»,

impegna il Governo:

   a promuovere, specie in occasione del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea, l'istituzione di una giornata europea dei martiri cristiani per ricordare i tanti cristiani del nostro tempo uccisi in odio alla fede;
   a rendere il rispetto della libertà religiosa uno dei requisiti necessari alla concessione di aiuti a Paesi terzi e all'instaurazione con questi di relazioni di carattere economico;
   ad organizzare con regolarità incontri tra rappresentanti del Governo ed esponenti delle minoranze religiose di diversi Paesi per acquisire informazioni dirette e poter realizzare interventi più efficaci;
   ad inserire il tema del rispetto della libertà religiosa nell'agenda di incontri tra il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro degli affari esteri ed i loro omologhi di altri Paesi, specie se in questi Paesi tale diritto non è pienamente garantito;
   ad assumere iniziative affinché parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione (esempio borse di studio per appartenenti alle minoranze religiose);
   a richiedere che nei Paesi partner una quota dei posti nel pubblico impiego sia riservata alle minoranze religiose e che venga introdotto, nei diversi livelli dell'istruzione, lo studio storico ed introduttivo delle religioni cui appartengono le minoranze religiose.
(1-00483) «Binetti, Cesa, Buttiglione, Gigli, Fauttilli, Calabrò, De Mita, Cera, Preziosi, Pagano, Sberna, Piepoli, Fitzgerald Nissoli, Fucci».

Risoluzione in Commissione:


   La I Commissione,
   premesso che:
    il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, stabiliva, all'articolo 2, comma 1, lettera n) che le regioni escludessero «ai sensi degli articoli 28 e 29 del codice penale, l'erogazione del vitalizio in favore di chi sia condannato in via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione», pena la decurtazione dell'80 per cento dei trasferimenti erariali verso le medesime regioni;
    il decreto-legge richiamato ha rappresentato un seppur timido passo in avanti per ridurre i costi della politica ma, in materia di vitalizi, la ratio effettiva della suddetta norma va ricercata nell'inopportunità, giuridica, etica e politica, nonché nell'irragionevolezza di riconoscere un vitalizio a quanti si sono macchiati di gravi reati contro le istituzioni che erano chiamati a rappresentare e che con condotte illecite hanno contribuito ad arrecare un danno allo Stato stesso, tanto da ricevere l'interdizione dai pubblici uffici;
    ad avviso dei firmatari del presente atto, la medesima ratio è da applicarsi a tutti gli organi della Repubblica che erogano vitalizi ove i soggetti che li percepiscono si macchino dei medesimi reati;
    il divieto di erogazione dei vitalizi dovrebbe altresì essere esteso ai beneficiari condannati in via definitiva per i reati di mafia i quali hanno sostenuto con le proprie condotte un potere che è in diretta contrapposizione con lo Stato e, in senso ampio, con tutta la collettività; in altre parole, si tratta di soggetti che hanno contribuito ad alimentare un sistema che trova la propria ragion d'essere nel continuo tentativo di far collassare il buon funzionamento della democrazia stessa, per sottometterla alla propria volontà criminogena;
    con riguardo specifico agli assegni vitalizi pregressi e in corso erogati dagli organi della Repubblica, è da sottolineare come essi si configurino, per i requisiti anagrafici a partire dal quale è stato possibile accedervi nonché per la sproporzione tra l'entità dei contributi versati ed il trattamento percepito, come una iniqua e anomala regalia che, a fronte soprattutto del pessimo stato dei conti pubblici e dei sacrifici richiesti ai lavoratori, risulta particolarmente odiosa;
    tale regalia diventa privilegio oltremodo paradossale ove sia conservato verso chi ha recato oltraggio alle istituzioni e ai cittadini tutti con la sua condotta;
    le istituzioni, tutte, a salvaguardia del loro onore e della loro autorevolezza, devono ergersi a primario simbolo della lotta contro l'illegalità e contro i privilegi,

impegna il Governo:

   ad adottare immediatamente le iniziative, anche normative, affinché sia introdotto nel nostro ordinamento il divieto di erogazione di vitalizi da parte delle istituzioni repubblicane a soggetti condannati in via definitiva per reati contro la pubblica amministrazione e per i reati di cui agli articoli 416-bis e 416-ter del codice penale nonché per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo;
   prevedere l'applicazione della suddetta norma ai vitalizi in corso di erogazione da parte delle medesime istituzioni qualora i beneficiari siano già stati condannati in via definitiva per i suddetti reati.
(7-00379) «Nuti, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Di Benedetto, Di Vita, Fraccaro, Lombardi, Lupo, Mannino, Toninelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dal 3 giugno al 30 in Sardegna non si spara solo a terra, in mare, in aria ma anche sul lago;
   una nuova servitù, nel silenzio generale, viene imposta, infatti, sul lago Omodeo nel cuore della Sardegna;
   non bastano i 35.000 ettari di servitù militari, ora si realizza di fatto permanentemente un nuovo poligono militare del Ministero dell'interno che nel silenzio generale sarebbe in funzione da qualche anno;
   con ordinanza n. 6/2014 il prefetto della provincia di Oristano ha emesso un provvedimento di sgombero nella zona sita nel comprensorio del lago Omodeo, al fine di salvaguardare l'incolumità delle persone e degli animali eventualmente in sosta o in transito nell'area interessata durante le esercitazioni;
   nella stessa ordinanza si prende atto che il Ministero della difesa ha rappresentato l'impossibilità di disporre in proposito ai sensi del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66;
   nella stessa ordinanza oltre richiamare le urgenti esigenze addestrative rappresentate dalle forze di polizia si ritiene di dover fissare le modalità di utilizzo di detta area, atteso che tali esercitazioni comportano, per propria natura pericolo per l'incolumità delle persone e degli animali;
   nell'ordinanza si ordina lo sgombero di persone ed animali dalle ore 7.00 alle ore 23.00 dal 3 giugno al 30 giugno dell'intera area delimitata come segue:
    a nord Su Murdegu – Monte Paza, a Est Monte Paza, a Sud Funtana Olecca; a Ovest Funtana Olecca – su Murdegu;
   è disposto il divieto di accesso all'area sgomberata delimitata da bandieroni rossi;
   i contravventori saranno ritenuti responsabile di ogni danno che dovesse derivare in conseguenza di loro inosservanze e, puniti, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, ai sensi dell'articolo 650 codice penale;
   nell'ordinanza si richiama anche il divieto di raccogliere o rimuovere proiettili inesplosi ed ordigni esplosivi di qualsiasi genere;
   l'ordinanza è datata 26 maggio 2014;
   simili ordinanze sono state adottate anche negli anni passati e l'ultima a febbraio 2014;
   dagli anni ’50 la Nato e gli Usa con l'avallo dello Stato Italiano hanno trasformato l'isola in una grande area di servizi bellici: esercitazioni, addestramento, sperimentazioni di nuovi sistemi d'arma, guerre simulate, depositi di carburanti, armi e munizioni, rete di spionaggio e telecomunicazioni;
   si tratta complessivamente di quasi 35.000 ettari di servitù che rendono la Sardegna la terra maggiormente colpita;
   35.000 ettari di devastazione ambientale e archeologica che sfugge al controllo di qualsiasi legge e qualsiasi autorità;
   intorno ai poligoni e agli impianti gravano servitù imponenti;
   le acque costiere corrispondenti ai poligoni di Quirra, Teulada e Capo Frasca, subiscono limitazioni permanenti per gran parte dell'anno;
   in quelle aree è disposto lo sgombero di specchi d'acqua tali che l'estensione di sgombero a mare supera l'intera superficie della Sardegna;
   negli spazi aerei sovrastanti i poligoni vige inoltre il divieto di volo con interdizione permanente;
   la somma di tutti gli spazi interessati, tra demanio militare, servitù a terra, servitù a mare e aeree, costituisce il complesso delle servitù militari utilizzate in Sardegna dal Ministero della difesa;
   emerge dall'ordinanza che il Ministero della difesa avrebbe negato l'utilizzo di sue strutture, in base al codice dell'ordinamento militare del quale non viene citato l'articolo di riferimento sui 2.268 di cui è composto il codice stesso;
   appare una guerra interna di primato sul territorio sardo davvero disdicevole considerato che dover occupare militarmente anche gli specchi acquei interni costituisce una forzatura inaccettabile e incomprensibile visto tutto quello che si è già occupato;
   gran parte della popolazione sarda ignorava questo tipo di esercitazioni e solo di recente la comunicazione è stata trasmessa al Comipa per conoscenza;
   non risultano all'interrogante richiamate autorizzazioni di alcun genere rispetto alla tutela ambientale e naturalistica;
   il territorio del lago Omodeo è inserito nell'elenco dei siti di interesse comunitario per via della sua rilevante importanza dal punto di vista paesaggistico ed ambientale;
   dal punto di vista floristico-vegetazionale le sponde del lago Omodeo sono caratterizzate principalmente da formazioni boschive di leccio (Quercus ilex) e dalla macchia mediterranea, alle quali si sostituisce la roverella (Quercus pubescens) nelle stazioni più fresche. Sono inoltre presenti specie caratteristiche della vegetazione riparia come il pioppo bianco (Populus alba), il salice fragile (Salix fragilis), l'olmo campestre (Ulmus minor), il frassino (Fraxinus ornus), il tamericio (Tamarix gallica e Tamarix africana) e l'alloro (Laurus nobilis);
   la fauna è maggiormente rappresentata dagli uccelli, sia stanziali sia migratori. Le specie più comuni sono la ghiandaia marina (Coracias garrulus), l'occhione comune (Burhinus oedicnemus), il falco pellegrino (Falco peregrinus), il falco pescatore (Pandion haliaetus) ed il piro piro piccolo (Actitis hypoleucos). Tra gli uccelli acquatici sono presenti il codone comune (Anas acuta), il moriglione (Aythya ferina), il mestolone comune (Anas clypeata), l'alzavola (Anas crecca), il fischione (Anas penelope), la folaga (Fulica atra), la gallinella d'acqua (Gallinula chloropus), il germano reale (Anas platyrhynchos), la canapiglia (Anas streperà), l'oca selvatica (Anser anser), la garzetta (Egretta garzetta), l'airone bianco (Egretta alba) e l'airone cenerino (Ardea cinerea). Gli anfibi ed i rettili più comuni sono il discoglosso sardo (Discoglossus sardus), il tarantolino (Phyllodactylus europaeus), la testuggine palustre (Emys orbicularis) e la tartaruga di terra (Testudo hermanni). Tra i pesci va segnalata la presenza dell'agone (Aiosa agone) formatasi in una decina d'anni a causa dello sbarramento del fiume Tirso, dalle cheppie rimaste intrappolate;
   nel dispositivo del sito di interesse comunitario è scritto:
   «il Sito è fondamentalmente costituito da due aree con caratteristiche ambientali e paesaggistiche differenti:
    a) l'altopiano di Abbasanta e Paulilatino, di origine vulcanica (trachite) successivamente ricoperto da colate basalti, che è delimitato ad ovest dal complesso montano del Montiferru e a nord dalla catena del Margine, mentre a sud degradata verso la piana dell'alto Campidano e ad est confina con l'area collinare del Barigadu;
    b) la media valle del Fiume Tirso, il corso d'acqua più importante della Sardegna, comprendente il Lago artificiale dell'Omodeo, interamente ricompresso all'interno del SIC;
   il Lago dell'Omodeo, rappresenta invece un'area storicamente condizionata dall'artificialità conseguente all'intervento dell'uomo sulla regimazione del corso del Fiume Tirso. Il Lago rappresenta comunque un importante e caratterizzante elemento paesaggistico ed ambientale, oltreché una risorsa determinante per l'attuale e futuro sviluppo economico dell'intera area dell'Alto Oristanese e del Barigadu»;
   per qualità e importanza il dispositivo del SIC recita: «il sito ha una elevata importanza conservazionistica in quanto in esso sono presenti numerosi habitat e specie di interesse conservazionistico. Esso rappresenta infatti una delle poche località in Sardegna in cui sono presenti formazioni a Laurus nobilis, habitat prioritario della Direttiva 92/43 CE E. Il Sito è inoltre zona di riproduzione della Gallina Prataiola, specie avifaunistica particolarmente protetta in quanto rara e a elevato rischio di estinzione, elencata nell'allegato I della direttiva 79/409/CEE»;
   per quanto riguarda la vulnerabilità il sito di interesse comunitario enuncia:
   «la vulnerabilità principale per la maggior parte degli habitat presenti è data da:
   per le specie faunistiche in generale:
    trasformazioni ambientali;
    uccisioni illegali;
    disturbo antropico durante il periodo riproduttivo;
    uso dei pesticidi;
   per la Gallina prataiola in particolare:
    distruzione, trasformazione e frammentazione dell’habitat di riproduzione e alimentazione;
    disturbo derivante dalle pratiche agricole;
    modificazione dei sistemi di conduzione agricola;
    persecuzione diretta»;
   è fin troppo evidente che tale esercizio «militare» appare in contrasto con tutte le disposizioni di natura legislativa, regolamentare e comunitaria;
   è evidente a giudizio dell'interrogante una palese ed esplicita violazione di legge sotto ogni punto di vista, considerato il divieto assoluto di alterare l’habitat naturale del sito indicato appunto come di interesse comunitario e come tale sottoposto a tutte le direttive comunitarie di salvaguardia;
   ad avviso dell'interrogante non si possono più ignorare queste evidenti e palesi violazioni di legge senza che nessun intervento venga compiuto sia sul piano amministrativo che di tutela dell'ambiente –:
   se il Presidente del Consiglio non ritenga necessario evitare che la Sardegna continui ad essere oggetto di quelle che all'interrogante appaiono contrapposizioni «infantili» che vietano l'uso organico di strutture dello Stato, senza estendere ulteriormente l'insopportabile carico delle servitù sul territorio sardo;
   se il Ministro della difesa non ritenga di dover dismettere dopo ampia e rilevante opera di bonifica dei siti, la servitù inaccettabile che grava sulla Sardegna tutta, evitando quelli che all'interrogante appaiono atteggiamenti arroganti e prevaricatori nei confronti del territorio sardo;
   se il Ministero dell'interno abbia ottenuto autorizzazioni regionali e dalla Commissione europea per svolgere quel tipo di attività in un sito di interesse comunitario e se non intenda soprassedere utilizzando il poligono di tiro della scuola di formazione di Monastir che ben si addice ad esercitazioni di tiro. (5-02932)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, NICOLA BIANCHI, CANCELLERI, CORDA, CURRÒ, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, PINNA, RIZZO, VALLASCAS e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la procedura di infrazione n. 2008/2071 – ex articolo 226 del Trattato CE – riguarda «la prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento relativo agli impianti esistenti». La Commissione contesta all'Italia la violazione della direttiva 2008/1/CE, per quanto attiene le disposizioni, in essa contenute, relative agli «impianti esistenti». Questi ultimi vengono definiti dall'articolo 2 della direttiva stessa come quelli che, alla data del 30 ottobre 1999, risultavano già in funzione, o autorizzati, ovvero aver costituito oggetto di una richiesta di autorizzazione completa, sempre che, in quest'ultima ipotesi, fossero comunque entrati in funzione entro la successiva data del 30 ottobre 2000;
   con riguardo a tali «impianti esistenti», l'articolo 5 della direttiva 2008/1/CE ha stabilito che gli stessi, entro il 30 ottobre del 2007, dovessero essere messi a norma, cioè dovessero risultare conformi a tutte le prescrizioni recate dagli articoli 3,7,9,10,13,14 e 15 della direttiva stessa, i quali subordinano il rilascio dell'autorizzazione per l'esercizio di nuovi impianti, ovvero l'esito positivo del riesame delle autorizzazioni già concesse per gli «impianti esistenti» al rispetto di precise condizioni finalizzate alla prevenzione e alla riduzione dell'inquinamento;
   in passato, la Commissione ha più volte richiamato gli Stati membri sul rispetto del predetto termine del 30 ottobre 2007 e pertanto, al fine di valutare che i suddetti Stati fossero in regola rispetto agli adempimenti richiesti entro tale scadenza, chiese alle rispettive autorità competenti di comunicare i dati relativi al numero degli «impianti esistenti», nonché delle autorizzazioni nuove, di quelle riesaminate e di quelle eventualmente aggiornate;
   alla luce della risposta inviata dalle autorità italiane, la Commissione osservava che, ancora alla data del 7 gennaio 2009, il nostro Paese risultava inadempiente agli obblighi comunitari sanciti dalla direttiva 2008/1/CE, per due ordini di motivi: da una parte perché, con il decreto legge 180/07 veniva prorogato, dal 30 ottobre 2007 (indicato dalla direttiva) al 31 marzo 2008, il termine per il rilascio delle autorizzazioni; dall'altra anche perché ben 1558 degli impianti in esercizio erano ancora privi dell'autorizzazione rilasciata nel rispetto dei parametri riportati nella direttiva, pur essendo già stata presentata la relativa richiesta. Né, al riguardo, la Commissione condivideva le considerazioni formulate dalle autorità italiane, in base alle quali si evinceva come tutti gli impianti in funzione erano dotati di autorizzazioni la cui procedura, pur diversa da quelle prevista dalla direttiva, risultava comunque adeguata al rispetto delle esigenze ambientali. Tali licenze, rilevò invece la Commissione, non garantivano comunque l'elevato livello di tutela ambientale che caratterizza lo schema di autorizzazione di cui alla citata direttiva;
   con riferimenti a questa procedura, con sentenza del 31 marzo 2011, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha accettato che, al 30 aprile 2009, risultavano in Italia ben 608 impianti in esercizio in violazione della cosiddetta «direttiva IPPC»;
   in base alle informazioni acquisite dal Ministero dell'ambiente e riferite all'VIII Commissione della Camera dei deputati dal Ministro pro tempore per gli affari europei Enzo Moavero – in data 11 settembre 2013 – le criticità oggetto della procedura di infrazione permanevano per soli 4 impianti (1 in Sardegna non ancora adeguato e 3 in Sicilia in fase avanzata di adeguamento);
   durante la citata audizione, lo stesso Ministro pro tempore Enzo Moavero ha dichiarato: «Ho ricordato al Ministro dell'Ambiente quanto sia importante un suo intervento nei confronti del Presidente della Regione siciliana, per ottenere assicurazioni circa la tempistica della messa in conformità degli ultimi impianti fuori norma situati in quella Regione»;
   l'Italia è dunque esposta al rischio che la Commissione decida un nuovo deferimento alla Corte di giustizia dell'Unione europea, con riferimento agli impianti ancora privi delle prescritte autorizzazioni –:
   quale sia il rispettivo stato di avanzamento delle procedure finalizzate ad ottenere l'autorizzazione prevista dalla direttiva 2008/1/CE (cosiddetta IPPC) per i 4 impianti che a settembre 2013 – stando alle informazioni riportate dal Ministro pro tempore Moavero nella citata audizione – ne risultavano ancora privi;
   se e quando abbiano fornito alla Commissione europea nuove e più aggiornate informazioni in merito allo stato di avanzamento ovvero alla chiusura delle procedure autorizzative dei quattro impianti industriali, per i quali l'Italia, nel mese di settembre 2013, risultava ancora inadempiente. (5-02934)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RONDINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   le cronache quotidianamente riportano di incidenti stradali dove sono coinvolte persone che guidano sotto l'effetto di alcol e stupefacenti;
   si riportano anche episodi dove gli automobilisti dopo gli eventi non soccorrono le vittime, dandosi alla fuga;
   la zona est di Milano è tra le più colpite da questi eventi drammatici, basti ricordare l'ultimo incidente che ha coinvolto il giovane Alessandro di Nicola di Melzo e come dimenticare la giovanissima Beatrice Papetti di Gorgonzola;
   da tempo le associazioni delle vittime della strada chiedono una normativa ad hoc che permetta pene certe e più severe per scoraggiare comportamenti irresponsabili alla guida;
   il Presidente del Consiglio Renzi, nei suoi discorsi al Parlamento, ha espresso chiaramente la volontà sua e del Governo di intervenire;
   numerose proposte risultano depositate nei due rami del Parlamento –:
   se il Presidente del Consiglio ed il Ministro della giustizia non intendano intervenire assumendo iniziative per predisporre le misure necessarie per il contenimento del fenomeno e a tutela delle vittime, soprattutto introducendo la figura dell'omicidio stradale e misure di restrizione della libertà certe anche in attesa di giudizio. (4-05010)


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 maggio 2014, il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, ha risposto all'atto di sindacato ispettivo n. 4-04679, presentato dall'interrogante, relativo allo stato in cui versano le centinaia di provvedimenti pendenti presso i vari Ministeri, necessari per l'attuazione di numerosi atti normativi da parte del Parlamento;
   nella lettera citata, nonostante ne fosse stata fatta esplicita richiesta nel citato atto di sindacato ispettivo, non si dà alcun riscontro certo sui tempi di emanazione delle centinaia di decreti attuativi ancora pendenti, salvo generiche rassicurazioni sul ruolo di stimolo e sollecitazione che svolgerà l'Ufficio per il programma di Governo nei confronti dei Ministeri interessati;
   inoltre, nella risposta all'atto di sindacato ispettivo, si assicura la massima trasparenza nel fornire dati relativi all'attività svolta dall'Ufficio per il programma di Governo in merito alla gestione di questa enorme mole di decreti attuativi delle leggi di riforma approvate dal Parlamento;
   tra le centinaia di decreti attuativi pendenti ve ne sono alcuni che sono necessari per destinare importanti risorse economiche: in questi casi i ritardi appaiono ancor più ingiustificati vista la disastrosa situazione in cui versa la nostra economia;
   a tal fine, si ricorda che già il Governo Monti e il Governo Letta, periodicamente pubblicarono dei report sul monitoraggio dei provvedimenti di attuazione delle leggi, dei quali l'ultimo risale al 31 dicembre 2013, mentre il governo Renzi ancora non ha reso pubblica alcuna informazione relativa a quanto fatto in merito fino ad oggi –:
   se siano in grado di fornire informazioni più dettagliate sui tempi di emanazione e di smaltimento della grande mole di decreti attuavi ancora pendenti presso i vari Ministeri;
   quali siano i decreti attuativi ancora pendenti che libereranno direttamente risorse economiche;
   se non ritengano che questi ritardi possano influire economicamente sui soggetti destinatari di tali provvedimenti e, in tal caso, in quale misura;
   se e quando potranno essere pubblicati i dati aggiornati relativi al monitoraggio dei provvedimenti di attuazione delle leggi. (4-05016)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   lo  scempio di nuove pale eoliche nelle montagne del Sarcidano tra Nurri e Laconi deve essere immediatamente fermato;
   occorre valutare con attenzione quanto sta accadendo nel cuore della Sardegna dopo la presentazione di un nuovo assalto eolico con progetti sempre più consistenti di impianti eolici a terra;
   tale denuncia raccoglie la posizione dei consiglieri comunali di Laconi Salvatore Argiolas e Massimo Meleddu sul grave impatto sul territorio del comune di San Ignazio da Laconi di un elettrodotto di rilevanti proporzioni;
   si sta sconvolgendo il paesaggio e il territorio a vocazione turistico ambientale e naturalistica senza alcun piano se non quello di spregiudicati progetti che non tengono, secondo l'interrogante, conto dell'impatto ambientale e provano solo a lucrare sugli incentivi dell'eolico;
   tutto questo mentre i gruppi più inquinanti della produzione elettrica in Sardegna restano ancora in funzione senza alcun abbattimento delle emissioni in atmosfera;
   con i progetti presentati nei comuni di Nurri, comuni di Laconi (Oristano), Nurralao (Cagliari), Isili (Cagliari), Genoni (Oristano), Nuragus (Cagliari) l'intero territorio sarà invaso da pale eoliche capaci di una devastazione gravissima del paesaggio;
   si tratta di un'aggressione all'ambiente che darebbe un colpo letale alla vocazione turistico-ambientale-archeologico del territorio del Sarcidano;
   quest'opera occuperà i boschi, i terreni percorsi dal fuoco, le aree agricole e produttive;
   il tracciato passerà inoltre a soli 40 metri di distanza dalle case più vicine allo stesso e sarà realizzato sulle nostre strade e terreni: strade frequentate per accedere e usufruire del territorio, terreni dove gli agricoltori lavorano o dove viene gestito e curato lo straordinario patrimonio boschivo;
   si tratta di un progetto aggressivo sul piano ambientale e paesaggistico senza alcun benessere e ricaduta economica, questo scempio porterà benefici solo a questi gruppi economici ed industriali e causerà danni e disagi, servitù di passaggio, pericoli, limitazioni dell'uso. Deturperà in modo totale il paesaggio e l'ambiente;
   siamo dinanzi all'ennesimo progetto di una società legata ai grandi gruppi monopolisti del sistema energetico sardo ENSAR Srl (Saras) che tenta di ottenere un'autorizzazione per un impianto per la produzione di energia elettrica e delle relative opere ed infrastrutture connesse da fonte rinnovabile eolica, in un'area sensibile nel comune di Nurri in località Corti Turaci e Taquara, della potenza nominale di 57000 kW;
   la configurazione progettuale finale prevede l'installazione di 18 aerogeneratori da 3 MW ubicati in comune di Nurri, di cui 10 in località Turaci e 8 in località Arreixi, e la realizzazione di due elettrodotti ad alta tensione nei comuni di Laconi, Nurralao, Isili, Genoni, Nuragus tra le due nuove stazioni elettriche ubicate rispettivamente a Isili e Laconi;
   è un progetto di un impatto devastante che prevede l'installazione di 18 aerogeneratori della potenza unitaria di 3 megawatt, 10 in località Corti Turaci e 8 in località Arreixi, con altezza del mozzo fino a 100 metri, diametro del rotore fino a 112 metri, e da tutte le opere accessorie, per una potenza totale installata di 54 megawatt. La produzione attesa è di circa 103 GWh/a;
   un progetto che secondo l'interrogante e la stessa denuncia dei consiglieri comunali di Laconi Salvatore Argiolas e Massimo Meleddu oltre all'impatto eolico avrà un rilevantissimo impatto nella realizzazione di un doppio elettrodotto che attraversa territori ricadenti nei comuni di Laconi e Nurallao e Isili per circa 10 chilometri collegando la stazione di Laconi con la nuova stazione di smistamento di Isil con gravissime interferenze con le zone di pregio ambientale, naturalistico, paesaggistico e archeologico della zona –:
   se il Governo disponga di elementi in merito al rispetto delle linee guida per la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili nel territorio della Sardegna;
   se non si ritenga di dover valutare, anche alla luce degli insediamenti archeologici e naturalistici del territorio, se sussistano i presupposti per impedire qualsiasi tipo di intervento simile;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per riconsiderare le disposizioni nazionali in tema di incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili al fine di evitare che l'Italia possa continuare ad essere terra di conquista per operazioni di speculazione legati agli incentivi all'eolico. (5-02941)

Interrogazione a risposta scritta:


   BALDASSARRE, ARTINI, SEGONI, GAGNARLI e BONAFEDE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con la delibera 207 del 30 aprile 2014 della giunta comunale di Arezzo ha dato il via ad una variante urbanistica – da terreno agricolo con vincolo paesaggistico a terreno edificabile – per la costruzione di una nuova Chiesa proprio a ridosso dello storico acquedotto Vasariano in una zona di forte pregio ambientale della città Toscana;
   in un documento diffuso dall'associazione d'ispirazione cattolica DEMOS tra l'altro si legge che la costruzione della nuova Chiesa «sarebbe un'autentica violenza al paesaggio la volumetria in pectore, un insulto all'impegno che insieme ad altri abbiamo messo nel valore identitario di Arezzo toscana orientale. Ad est la città di Giorgio Vasari ha uno dei francobolli paesaggistici più interessanti insieme all'aerea eleganza dell'Acquedotto Vasariano che da sempre fa da cornice alla vita quotidiana degli aretini. Già anni fa, in una delle sue campagne di sensibilizzazione, l'osservatorio DEMOS promosse una rinnovata attenzione verso l'opera mirabile dell'Acquedotto Vasariano, sullo stato conservativo, sull'aggressione del tempo che lo deturpa con licheni e arbusti e ne mette in pericolo la sua funzione»;
   d'altronde si legge sempre nella nota di DEMOS, «Questa parte di Arezzo ha già capisaldi della spiritualità cristiana come S. Croce bella e austera e la chiesa dei Cappuccini gemma di meditazione religiosa e operosità sociale cara agli aretini, anche per questo facciamo appello all'intelligente gusto per il bello e alla sensibilità pastorale dell'Arcivescovo Riccardo per rivedere radicalmente l'ipotesi di una cementificazione dell'area dell'Acquedotto Vasariano»;
   il progetto della giunta comunale di Arezzo prevede la costruzione di un complesso edilizio articolato in una nuova chiesa parrocchiale, casa canonica, uffici parrocchiali, aule catechismo, oratorio per giovani e centro polifunzionale con annesse opere di urbanizzazione e attrezzature sportive;
   il progetto appare insensato perché, come ricordato, già in quel quartiere che abbraccia via Fonte Veneziana, via Redi, fino al nord della città, è dotato di numerose chiese e altre voluminose strutture religiose, tutte con ampia disponibilità di spazi strutturati ed adiacenti, oggi pressoché inutilizzati a causa della ben nota crisi vocazionale;
   il progetto si configura in completa deroga alle tutele della pianificazione urbanistica comunale, al valore paesaggistico di un complesso culturale della collina di S. Fabiano ed il suo rapporto con il cimitero urbano ed in deroga al vincolo cimiteriale istituito per motivazioni igienico-sanitarie;
   una petizione dei cittadini residenti rivolta alle autorità civili, politiche e religiose è già stata sottoscritta da centinaia di persone richiama giustamente la decisione assunta solo qualche anno fa con l'approvazione del nuovo piano strutturale della città di «consumo del suolo zero» e l'insensatezza di sottrarre nuove aree alla campagna per cementificare –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per evitare uno scempio paesaggistico e ambientale proprio a ridosso dello storico Acquedotto Vasariano;
   quali iniziative intenda assumere per la salvaguardia dell'area dell'Acquedotto Vasariano da effettuarsi anche con restauri, tenendo conto che i suoi pianori, le sue colline sono beni di tutta una città ricca di storia e arte che appartengono all'umanità intera come l'opera di Giorgio Vasari. (4-05023)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPOZZOLO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comparto sicurezza è di fatto oggetto di un blocco contrattuale fermo al 2006, nonché del congelamento di tutte le prerogative connesse ai diritti spettanti ai relativi lavoratori, a partire dall'adeguamento economico attribuito a seguito di progressione di carriera, assegno di funzione fino a quanto riguarda gli scatti di anzianità e finanche il blocco del riordino delle carriere;
   si è quindi venuta a creare una fortissima discriminazione nei confronti del personale delle forze dell'ordine che anche in presenza di requisiti professionali e di anzianità non hanno avuto riconoscimenti sotto il profilo giuridico costituzionale;
   il decreto-legge n. 78 del 2010, in considerazione della «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica» ha previsto l'esclusione, per l'intero triennio 2011-2013, delle retribuzioni del personale della pubblica amministrazione, tra cui rientra il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, tanto dai meccanismi di adeguamento previsti per legge, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi (scatti e classi di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, nonché, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero e senza possibilità di attivare comunque una procedura di concertazione;
   tali disposizioni sono state prorogate fino al 31 dicembre 2014 dal successivo decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122;
   il richiamato blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali ha pregiudicato la maturazione di alcuni istituti tipici specifici del comparto sicurezza, difesa e soccorso strettamente connessi alla valorizzazione dell'anzianità di servizio e alla correlata acquisizione di crescenti competenze professionali, nonché più impegnative responsabilità di servizio, quali l'omogeneizzazione, l'assegno funzionale e gli incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozioni;
   tali disposizioni hanno inoltre determinato anche il blocco degli adeguamenti annuali indicizzati (classi, scatti stipendiali ed effetti economici) delle progressioni di carriera, che sono in gran parte legate a rigide procedure di selezione e avanzamento, assolutamente definite dalla normativa vigente per le varie categorie di personale;
   qualora non si dovesse intervenire nella correzione di tali storture si rischia una palese violazione del diritto ad una equa retribuzione legata alle funzioni svolte, principio sancito costituzionalmente;
   va inoltre detto che con la stratificazione degli effetti dei vari interventi normativi succedutisi nel tempo si è venuto a determinare un diverso trattamento economico tra soggetti che ricoprono le stesse funzioni;
   con il decreto-legge n. 95 del 2012 sono state previste ulteriori misure di contenimento della spesa nel settore della difesa che vanno dalla riduzione del personale militare in misura non inferiore al 10 per cento, alla riduzione di spesa per l'acquisto di beni e servizi del Ministero della difesa pari a 148 milioni di euro, dalla riduzione dei contributi in favore dell'Agenzia industrie difesa, alla riduzione delle spese per la professionalizzazione delle Forze armate;
   pur se la legge di stabilità 2014 ha dato qualche segnale di inversione di tendenza in termini di formazione e addestramento del personale, nonché manutenzione ed efficienza dei mezzi e degli equipaggiamenti per garantire piena funzionalità dello strumento militare, si è ancora in una situazione di oggettiva difficoltà per chi opera nel settore;
   con tutte le voci di ulteriore ridimensionamento della spesa diventa fondamentale e imprescindibile lavorare per la difesa della dignità professionale e della specificità operativa degli addetti alla sicurezza nel nostro Paese –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare, con la massima urgenza, per assicurare al personale del comparto sicurezza, a partire dalle Forze armate, da quelle di polizia nonché dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, la corresponsione integrale dei trattamenti economici connessi con impiego e funzione, con l'effettiva presenza in servizio e con la maturazione dei requisiti di anzianità e di merito, nonché per ripristinare i meccanismi concernenti le progressioni di carriera e gli automatismi retributivi per il personale del comparto difesa e sicurezza, al fine di riconoscere la giusta dignità professionale per gli operatori di questo comparto fondamentale per il Paese. (5-02933)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comma 148 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014) disciplina l'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell'IRAP e di eventuali addizionali, sui maggiori valori, iscritti in bilancio, delle quote di partecipazione delle banche e degli enti finanziari al capitale della Banca d'Italia, assoggettandoli ad un'imposta sostitutiva;
   la legge n. 5 del 29 gennaio 2014 ha innalzato il valore nominale delle quote di partecipazione al capitale sociale della Banca d'Italia elevandolo da 156.000 a 7,5 miliardi di euro, il 5,66 per cento del quale è detenuto da due enti pubblici come Inps e Inail, che in quanto soggetti destinatari della nuova normativa sulla rivalutazione dovranno affrontare, come gli altri istituti di credito, anche il costo, in termini fiscali, dell'operazione –:
   a fronte di quali disponibilità finanziarie ritenga che i due suddetti istituti pubblici di previdenza, Inps e Inail, possano fronteggiare la nuova imposizione fiscale. (5-02935)


   CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, come da ultimo modificato dall'articolo 9, comma 15-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, prevede che a decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito;
   in attuazione della citata disposizione che ha funzione antiriciclaggio e di tracciabilità dei pagamenti il decreto ministeriale del 24 gennaio 2014, emanato dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, ha disciplinato le definizioni e l'ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito, in particolare prevedendo l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso «strumenti di pagamento che consentono al titolare di effettuare transazioni presso un esercente abilitato all'accettazione della medesima carta, emessa da un istituto di credito, previo deposito di fondi in via anticipata da parte dell'utilizzatore, che non finanzia l'acquisto ma consente l'addebito in tempo reale», a tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro disposti a favore dei soggetti esercenti l'attività di impresa o professionisti, per l'acquisto di prodotti o la prestazione di servizi;
   in sede di prima applicazione della disposizione ministeriale, ovvero dal 28 marzo 2014, e fino al 30 giugno 2014, il citato obbligo si applica limitatamente ai pagamenti effettuati a favore dei soggetti il cui fatturato dell'anno precedente a quello nel corso del quale è effettuato il pagamento sia superiore a duecentomila euro;
   con successivo decreto, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del citato decreto ministeriale possono essere individuate nuove soglie e nuovi limiti minimi di fatturato rispetto a quelli già individuati;
   secondo l'ordine degli architetti tale norma è insensatamente vessatoria e costosa e il suo scopo primario, cioè quello di contrastare elusione ed evasione, può essere raggiunto attraverso pagamenti tracciati (bonifico o assegni) senza obbligare i professionisti ad attivare i costosi Pos;
   il Tar del Lazio, sezione III, con ordinanza n.01932/2014 depositata il 30 aprile 2014, ha rigettato l'istanza presentata dal Consiglio nazionale degli architetti diretta all'annullamento del decreto ministeriale del 24 gennaio, ritenendo inesistente il «fumus boni juris» atteso che il decreto impugnato sembra rispettare i limiti contenutistici ed i criteri direttivi fissati dalla richiamata fonte legislativa;
   con la circolare interpretativa del 20 maggio 2014, il Presidente del Consiglio nazionale forense, in merito all'obbligo di dotarsi di POS (point of sale) stabilito per legge, ritiene che la disposizione in parola introduca un onere, piuttosto che un obbligo giuridico, ed il suo campo di applicazione sia necessariamente limitato ai casi nei quali saranno i clienti a richiedere al professionista di potersi liberare dall'obbligazione pecuniaria a proprio carico per il tramite di carta di debito; in ogni caso, qualora il cliente dovesse effettivamente richiedere di effettuare il pagamento tramite carta di debito, e il professionista ne fosse sprovvisto, si determinerebbe semplicemente la fattispecie della mora del creditore, che non libera il debitore dall'obbligazione;
   in altre parole, salvi i limiti vigenti nell'ordinamento (perché previsti da altre fonti; si pensi ad esempio al divieto di pagamento in contanti oltre la soglia di mille euro, previsto dalla normativa antiriciclaggio), la volontà della parti del contratto d'opera professionale (cliente e professionista) resta ancora il riferimento principale per la individuazione delle forme di pagamento; nessuna sanzione è prevista in caso di rifiuto di accettare il pagamento tramite carta di debito –:
   come intenda intervenire per quanto di propria competenza al fine di chiarire gli effetti dell'applicazione della norma recante l'obbligo per gli esercenti attività di impresa e professioni di accettare anche i pagamenti effettuati attraverso carte di debito in tal modo evitando l'insorgere del possibile contenzioso che i singoli contribuenti, i professionisti, gli ordini professionali e le associazioni di categoria intendono scongiurare. (5-02936)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRESCIA e MANZI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della soppressione delle sedi degli uffici dei giudici di pace, con la nuova formulazione circondariale, sono sorti problemi organizzativi relativi al ruolo dei coordinatori per effetto degli accorpamenti operati;
   infatti, il coordinatore della sede accorpante è stato nominato per l'ufficio dove incardinato, con selezione tra i giudici all'epoca presenti. L'accorpamento vede incardinati di diritto i giudici di pace delle sedi soppresse; vari giudici hanno la qualifica di coordinatore attribuita anche a seguito di delibera di Consiglio superiore della magistratura, delibera ancora efficace anche in considerazione del fatto che il decreto ministeriale del 7 marzo 2014 non indica un criterio in forza del quale debba essere definito l'incarico di coordinatore qualora tra i giudici di pace delle sedi soppresse vi siano soggetti titolari di tale ruolo;
   il passaggio di diritto dei giudici di pace nella sede accorpante non può ritenersi un inserimento, come nel caso del trasferimento in cui invece il giudice di pace trasferito si alloca non potendo egli rivendicare l'anzianità giudiziaria in quanto aderente, per sua richiesta, ad una realtà già preesistente e già vagliata dal Consiglio superiore della magistratura;
   la soppressione delle sedi ha creato una situazione novativa ope legis; il dettato dispositivo è silente in merito a differenza della fattispecie relativa alla soppressione delle sedi di tribunale dove per i presidenti dei tribunali soppressi si prevede l'inserimento in quello accorpante tra i presidenti di sezione con i connessi benefici conservativi;
   ragioni di equità e di giustizia, anche al fine di consentire la più corretta applicazione dei criteri di nomina, sulla base delle anzianità giudiziarie e di altri titoli ove posseduti, anche nel rispetto della pari opportunità da riservare tra i giudici tutti presenti per effetto dell'accorpamento, con il nuovo organico come di fatto determinatosi, indurrebbero a dover considerare la possibilità di selezione ex novo per la nomina del coordinatore dell'ufficio circondariale;
   le associazioni dei giudici di pace hanno pubblicamente più volte espresso la necessità di chiarezza in merito ad una situazione che rischia di minare l'efficienza di una funzione giudicante che riesce, con elevata capacità, a dare ai cittadini risposte in tempi brevi –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione sopra illustrata e se non ritenga urgente un chiarimento in merito alla questione relativa al ruolo dei coordinatori per effetto degli accorpamenti operati dalla soppressione delle sedi degli uffici.
(4-05017)


   VALIANTE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 5 settembre 2010 in un agguato criminale veniva barbaramente ucciso Angelo Vassallo, sindaco di Pollica (Salerno);
   Angelo Vassallo è stato un ottimo amministratore, un uomo che ha dedicato tutto il suo impegno civico e politico per favorire azioni a tutela dell'ambiente e della legalità, un uomo che con la sua capacità amministrativa ha permesso di ottenere tanti risultati e un forte rilancio in termini sia di sviluppo turistico che culturale a Pollica e all'intera area cilentana;
   ad oggi le indagini ancora in corso non hanno condotto alla individuazione dei responsabili, nonostante molteplici e contraddittorie indiscrezioni apparse sui mezzi di informazione, anche con riferimento alla ricerca dell'arma in mare effettuata alcuni mesi dopo il delitto;
   è auspicabile e assolutamente necessario che i colpevoli vengano individuati ed assicurati alla giustizia sia per dimostrare la presenza dello Stato in quei territori ed il rispetto della legalità, sia per onorare la memoria di Vassallo, per restituire un po’ di pace alla sua famiglia, a chi gli era amico e alla comunità di Pollica –:
   quali iniziative, per quanto di loro competenza e nel rispetto dell'autonomia delle autorità inquirenti, intendano intraprendere per agevolare l'azione investigativa in atto e permettere alle indagini sull'assassinio di Angelo Vassallo di proseguire più rapidamente per fare luce definitivamente sulla verità di questo ignobile atto criminale. (4-05021)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   lo stabilimento Fiat Group Automobiles (FGA) di Pratola Serra (Avellino) costituisce uno dei quattro stabilimenti italiani dediti alla produzione di motori del gruppo FIAT per il settore auto, specializzato su quelli di cilindrata 1600cc e superiore. Gli altri stabilimenti sono quello di Termoli, Foggia che rifornisce IVECO e VM di Imola che produce i motori per Maserati. A questi si deve aggiungere lo stabilimento Ferrari di Maranello (Modena) dotato di un proprio reparto di produzione motori;
   nel novembre 2012 lo stabilimento, di proprietà della società FMA s.r.l. con l'intero gruppo Fiat Powertrain Technologies (FPT) s.p.a. è stato assorbito, attraverso trasferimento di ramo d'azienda, da Fiat Group Automobiles (FGA) s.p.a. Più precisamente, lo stabilimento FMA è stato oggetto di fusione con FPT a decorrere dal 31 dicembre 2012;
   ad oggi, lo stabilimento in questione è composto da 6 reparti di lavorazione, di cui uno recente (UTE biella, UTE albero di distribuzione, UTE basamento, UTE testa cilindri 16 valvole, UTE albero motore, UTE basamento in alluminio), 4 reparti di montaggio (short block e long block, biking per l'asservimento materiale, UTE montaggio teste cilindri), dal reparto VQM (verifica qualità motori) e da una serie di divisioni/attività di servizio che attengono alla manutenzione, all'ENECO (energia e controllo) e alle attività di sorveglianza;
   la produzione dei motori è andata progressivamente diminuendo: già tra il 2007 e il 2008 la produzione si è ridotta di un terzo passando da 520.000 motori a 350.000. Dal 2009 al 2013 il volume dei motori assemblati è stato in media di circa 190.000 l'anno. Nel 2013 la produzione di circa 180.000 motori è stata superiore del 21,2 per cento a quella dell'anno precedente quando i motori assemblati sono stati circa 150.000, il volume più basso di produzione dal 2000, considerando che l'entrata in produzione vera e propria dello stabilimento è avvenuta solo nel 1998 (a maggio del 2013 è stata raggiunta la produzione di 7 milioni di motori). Si consideri, inoltre, che fino al 2002 lo stabilimento ha lavorato su 18 turni, dal 2003 su 15;
   i motori prodotti nel 2013 (circa 180 mila) sono stati destinati per circa il 65 per cento (nel 2010 tale valore era del 30 per cento) a stabilimenti esteri della FIAT in Europa (Turchia, Ungheria, Serbia) oltre a quello Chrysler di Toluca in Messico dove è assemblata la Fiat Freemont; per il restante 35 per cento agli stabilimenti italiani di Cassino (per Fiat Brava, Alfa Romeo Giulietta e Lancia Delta), di Mirafiori (per Alfa Romero Mito) e per la SEVEL di Atessa che viene rifornita anche dallo stabilimento di Foggia per le cilindrate maggiori per la Maserati di Modena. In questo quadro va osservato che rispetto al 2010 la percentuale di motori destinati allo stabilimento di Cassino è passata dal 46,3 per cento al 28,9 per cento, quella dei motori destinati alla Turchia dal 23 per cento al 27,5 per cento;
   si osserva che in nessun caso lo stabilimento di Pratola Serra è unico fornitore, fatta eccezione per i motori della Fiat Freemont assemblata nello stabilimento messicano della Chrysler e i motori dell'Alfa Romeo 4C. Nello stabilimento di Termoli si realizza il motore versione ibrida 1400cc per i modelli assemblati a Cassino e Mirafiori e per il modello 500L in Serbia. Va poi notato che le produzioni indicate per lo stabilimento di Cassino riguardano modelli a fine ciclo di produzione;
   all'inizio del 2014 i dipendenti dello stabilimento ammontano a 1.850, un numero inferiore rispetto a un anno fa di 30 unità, da imputare al trasferimento di 7 impiegati a Elasis e all'uscita di 23 operai: dieci per dimissioni volontarie, dodici per trasferimento (FGA di Grugliasco e VM di Imola) e uno per decesso;
   l'occupazione indiretta legata alle aziende esterne presenti nello stabilimento si è progressivamente ridotta dal 2008 a oggi, per via della chiusura di alcune aziende (esempio ASTEC), per la re-internalizzazione in FMA di alcune attività cedute in precedenza a società esterne (Ceva Logistics, Tecnogamma, Lomar), per la riduzione degli addetti delle aziende ancora presenti nel sito o il loro trasferimento a Torino (esempio: Fiat Service). Nel complesso si è passati, quindi, tra il 2008 e il 2013 da 770 addetti a 418 (-44,4 per cento);
   in questo quadro, i dipendenti di Ceva Logistics sono ritornati (re-internalizzati) in FGA come le attività in precedenza cedute a Tecnogamma e Lomar, quelli della Logi Services sono stati assorbiti da De Vizia Transfer, già presente nel sito, attraverso un contratto di servizio, ma con un'ulteriore riduzione degli addetti; sempre la De Vizia ha rilevato le attività e i dipendenti della Delivery&Mail; le attività prima cedute alla ASTEC sono state riassorbite dalla FIAT, ma con questo le due aziende hanno dato avvio a una procedura di mobilità per i 90 dipendenti in forza (mobilità la cui scadenza è coincisa con la fine di gennaio di quest'anno). Nel complesso, nel luglio 2010 gli addetti delle aziende terziarizzate incidevano per il 26,5 per cento dell'occupazione complessiva del sito, nel dicembre 2013 per il 18,4 per cento;
   relativamente al parco fornitori la situazione non si presenta molto dissimile da quella già analizzata in anni passati. La fabbrica di Pratola Serra rimane uno stabilimento di assemblaggio di componenti che provengono in larga prevalenza da fuori regione (in particolare da Piemonte e Lombardia) e dall'estero, mentre continua a ridursi l'apporto delle produzioni degli stabilimenti localizzati in Campania, fino al punto di poter affermare che se ieri questo era particolarmente debole oggi si può considerare sostanzialmente inesistente. Secondo l'ultima rilevazione (dicembre 2013) in possesso degli interpellanti, sulle 160 aziende fornitrici della FMA (17 in meno rispetto al 2010), quelle localizzate in Campania (ovvero almeno con uno stabilimento) si sono ridotte a 4, contro le 10 del luglio 2010 e le 14 del 2003;
   in generale, se il numero di aziende è complessivamente diminuito, la perdita maggiore si è verificata proprio tra le aziende con stabilimenti nel Mezzogiorno e in misura minore nel resto del Centro nord e all'estero, dove il principale Paese in cui hanno sede il maggior numero di imprese fornitrici (21 aziende su 42) rimane la Germania;
   il termine della cassa integrazione straordinaria (CIGS) per ristrutturazione, iniziata il 18 giugno 2012, è fissato per il 16 novembre 2014. Nel complesso, considerando anche il ricorso alla cassa integrazione ordinaria (CIGO) nel 2011, i giorni complessivamente lavorati nell'ultimo triennio (2011-2013) sono stati 88 nel 2011, 55 nel 2012 e 65 nel 2013;
   la perdita sul piano salariale è molto rilevante considerato che i giorni lavorati sono stati solo il 38 per cento nel 2011, il 24 per cento nel 2012 e il 28 per cento nel 2013 rispetto a quelli previsti dal contratto;
   osservando, inoltre, l'andamento del reddito dichiarato attraverso l'analisi dei CUD, prendendo a riferimento un lavoratore di 3o livello non coniugato e senza figli a carico (e quindi senza assegni familiari), il reddito percepito è andato progressivamente diminuendo fino al 23 per cento rispetto al valore del reddito pre-crisi del 2007, 16.000 euro contro 21.000 euro;
   se si somma le riduzioni di salario determinate dalla cassa integrazione guadagni dal 2008 ad oggi, si calcola una perdita di circa 30.000 euro. La perdita risulta, poi, ancora più rilevante se si considera che nel 2007 la paga oraria base era di 8,8 euro, mentre oggi è di circa 10 euro;
   l'unico investimento di rilievo che ha riguardato lo stabilimento negli ultimi anni è stato il nuovo reparto per il basamento in alluminio che ha sostituito il reparto «testa cilindri 2 valvole» la cui produzione era legata ai motori euro 3. Questo investimento, di circa 2 milioni di euro, è iniziato nella primavera del 2013 e dovrebbe completarsi nella primavera del 2014. Il nuovo reparto comprende l'installazione di 4 macchine che dovrebbero essere gestite da 7 operatori per un numero complessivo di 21, considerati i tre turni di produzione e 2 manutentori per turno: la capacità produttiva è di 150 pezzi/giorno per 35 mila pezzi l'anno (considerando un calendario di 232 giornate lavorative). Il nuovo basamento sarà utilizzato per i motori 1800cc benzina dell'Alfa Romeo 4C, della Maserati e della Giulietta;
   questo investimento evidenzia, comunque, una riduzione del numero di addetti rispetto al reparto testa cilindri 2, dove gli addetti erano 30 per turno impegnati su più macchine. La ragione sta nell'installazione di macchine meno complesse che svolgono più operazioni e che, quindi, risparmiano sull'impiego di manodopera. Questo investimento, come altri che stanno avvenendo nel resto degli stabilimenti della FIAT, produce dunque una riduzione del fabbisogno di manodopera, ma anche un aumento dei carichi di lavoro (qui nelle attività di controllo/gestione macchina) e/o dell'intensità della prestazione sulle linee di montaggio delle fabbriche dedicate all'assemblaggio delle vetture. Negli altri reparti ci sono stati piccoli investimenti sui nuovi macchinari per consentire l'allestimento dei motori 1800cc a benzina, ma nulla di più;
   per lo stabilimento FGA di Pratola Serra (Avellino) si conferma una situazione particolarmente critica, dovuta alla sottoutilizzazione delle capacità produttive dello stabilimento stesso;
   il calo periodico della produzione si è accompagnata anche ad una riduzione dell'organico del sito che ha colpito le aziende terze a cui in passato erano state affidate delle attività da parte di FIAT;
   si conferma, inoltre, la forte perdita salariale per i dipendenti, determinata dall'ampio ricorso alla cassa integrazione: solo negli ultimi sei anni la perdita è quantificabile in media in 30.000 euro per lavoratore;
   la capacità produttiva dello stabilimento si è ormai attestata al 30 per cento delle capacità produttive e le prospettive rimangono assai poco chiare, se si considera che molto del destino dello stabilimento è affidato al successo del nuovo motore con basamento in alluminio (1800cc) e in considerazione del fatto che la capacità produttiva per questo motore è prevista in 35.000 unità all'anno che corrispondono ad un mese di produzione dello stabilimento;
   appare chiaro che per poter portare a saturare gli impianti occorre una produzione di quantità che possa raggiungere i 500 mila motori all'anno;
   a ciò si aggiunga, come altra criticità, che alcuni motori oggi in produzione sono destinati a modelli di autovetture a fine ciclo di vita, come quelli assemblati nello stabilimento di Cassino;
   più in generale, come si legge nel documento programmatico della Fiom per il XXVI Congresso dell'organizzazione, si impone sempre di più la necessità di una politica industriale da anni assente, di cui il soggetto pubblico deve essere promotore, finanziatore e garante. «La gravità e la profondità della crisi chiamano in causa l'intero modello di sviluppo e la sua gestione privatistica che sta determinando la desertificazione industriale del paese e che in questi anni ha dimostrato di sprecare risorse peggiorando le condizioni di vita dei lavoratori e dei cittadini, mettendone a rischio la salute e praticando una pericolosa distruzione ambientale. In questa situazione solo un soggetto pubblico può garantire un diverso modello di sviluppo caratterizzato dalla tutela e dalla valorizzazione del lavoro e dei beni inalienabili della comunità. Per dar vita a una nuova politica industriale è urgente un piano straordinario d'investimenti pubblici e privati che parta dal valorizzare il patrimonio di conoscenze e professionalità che hanno fatto la storia della nostra manifattura, sottraendole alla speculazione finanziaria. Una particolare attenzione deve essere posta al Mezzogiorno che sta pagando il prezzo più alto della crisi e delle politiche liberiste, perché nel Sud la deindustrializzazione è già in atto e per questo dal Sud bisogna ripartire nella realizzazione di piani industriali “di settore” di cui il lavoro umano sia il fulcro, il mezzo e il fine nella creazione di valore»;
   è da considerarsi assurdo che la politica industriale di questo Paese venga di fatto portata avanti con i salari e i diritti dei lavoratori che attraverso le loro fatiche dovrebbero garantire gli investimenti necessari e pagare di tasca propria il prezzo del loro lavoro;
   la legge di stabilità 2014, recentemente entrata in vigore, ha disposto per l'anno 2014 uno stanziamento di 50 milioni di euro volto al finanziamento dei trattamenti di integrazione salariale per i contratti di solidarietà;
   la disposizione, a differenza degli ultimi interventi in materia, non ha, però, previsto la proroga della norma che consentiva l'innalzamento dell'integrazione salariale del 20 per cento, prescrivendo un aumento limitato – nella misura del 10 per cento – che attesta l'ammontare dell'importo al 70 per cento del trattamento perso a seguito della riduzione dell'orario di lavoro;
   tale scelta provocherà ricadute negative su migliaia di lavoratori già coinvolti da procedure di diminuzione del reddito;
   si rende necessario un ulteriore intervento in materia di contratti di solidarietà, con l'obiettivo di incrementarne l'ammontare del trattamento di integrazione salariale, con particolare riferimento a quello dei lavoratori con redditi più bassi –:
   se il Governo, alla luce di quanto descritto in premessa, non concordi nel ritenere che il rilancio dello stabilimento di Pratola Serra sia legato imprescindibilmente all'attivazione di una seria politica di rilancio degli investimenti e della produzione di motori ibridi benzina/Gpl e benzina/metano e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo;
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere sul piano occupazionale al fine di evitare il progressivo trasferimento di ulteriore personale dallo stabilimento di Pratola Serra su altri stabilimenti, il che significherebbe solo depotenziare lo stabilimento stesso nella sua capacità produttiva;
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo al fine di tutelare i lavoratori a rischio, anche attivando un tavolo di confronto che coinvolga pienamente i rappresentanti dei lavoratori, la dirigenza aziendale e i Ministeri competenti e che individui ogni possibile soluzione volta ad evitare ripercussioni negative sugli attuali livelli occupazionali;
   se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere al fine di tutelare concretamente i lavoratori dipendenti dello stabilimento in questione e, in particolare, se si intenda utilizzare lo strumento dei contratti di solidarietà, nel momento in cui diventi impossibile garantire l'effettiva rotazione dei dipendenti stessi con la cassa integrazione guadagni straordinaria;
   quali urgenti iniziative intenda adottare al fine di prevedere disposizioni che, incrementando l'ammontare del trattamento di integrazione salariale e ripristinando la percentuale di riferimento prevista antecedentemente all'approvazione della legge di stabilità 2014, tengano conto concretamente delle esigenze dei lavoratori;
   se il Governo non concordi sull'opportunità di sostenere un programma di riqualificazione delle maestranze, anche utilizzando le risorse finanziarie e i fondi di Prestimpresa, e quali iniziative di competenza intenda assumere per sostenere il comparto industriale in questione;
   quali iniziative il Governo intenda assumere, anche attraverso un tavolo di confronto con i rappresentanti degli enti locali interessati, al fine di favorire la localizzazione di fornitori nell'area di insediamento dello stabilimento di Pratola Serra, in considerazione del fatto che la fornitura di componenti per l'assemblaggio di motori è rimasta prevalentemente localizzata fuori dal Mezzogiorno o all'estero.
(2-00566) «Airaudo, Giancarlo Giordano, Di Salvo, Ferrara, Migliore, Aiello, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Fava, Fratoianni, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   BRAGA, TENTORI, GANDOLFI, DECARO, FRAGOMELI, GUERRA, MAURI e BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la realizzazione della passerella ciclopedonale lungo la SS36 «del Lago di Como e dello Spluga», principale arteria di collegamento tra Lecco e la Valtellina, che collega il centro abitato di Abbadia Lariana (LC) e la località Pradello con prolungamento fino alla località Caviate nel comune di Lecco, è da ritenersi strategica per la viabilità del territorio lariano e la messa in sicurezza della stessa statale 36, considerata anche la pericolosa promiscuità di traffico e la assoluta mancanza di strade alternative in grado di congiungere tutto il versante del Lario orientale alla città capoluogo;
   tale infrastruttura si configura anche di primaria importanza per lo sviluppo turistico del territorio rivierasco e la fruizione delle sponde del lago, assumendo quindi una grande rilevanza di natura economica, ambientale e strutturale;
   con nota n. DLA/4si 16914 del 24 luglio 2003 la direzione generale di ANAS s.p.a. comunicava che «Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha espresso parere positivo sul programma all'interno del quale è stato inserito l'intervento di realizzazione della pista ciclabile lungo la SS36 tra Lecco e Abbadia Lariana»;
   trascorsi alcuni anni per l'intero iter amministrativo e procedurale durante i quali il comune di Abbadia ha dovuto anche provvedere a sollecitare ANAS affinché l'opera potesse proseguire nei tempi previsti, nel mese di maggio del 2009 è stato pubblicato dall'ANAS sulla Gazzetta Ufficiale il bando di gara per l'appalto di esecuzione dei lavori di realizzazione della suddetta passerella ciclopedonale;
   l'intervento, previsto per un importo di euro 9.374.088 a base d'asta sulle opere, stato aggiudicato al «Consorzio stabile AEDARS S.C.A.R.L.» di Roma per un importo totale di euro 8.416.093,92, con lavori da espletarsi in 500 giorni;
   dopo il superamento di un contenzioso aperto dall'impresa avanti al tribunale di Milano, che tuttavia ha visto prevalere le buone ragioni della stazione appaltante, i lavori sono ripresi in data 19 aprile 2012 e iniziati il 4 giugno 2012 con previsione di conclusione per il 1o settembre 2013. Nel frattempo però essi hanno subito dapprima una lunga pausa e quando, il 4 marzo 2013, sembravano essere ripresi sono stati interrotti di nuovo causando un evidentissimo stimabile ritardo nella consegna dei lavori;
   alla data odierna risulta evidente lo stato di abbandono dei lavori. Sono state difatti realizzate solamente le opere di separazione tra la pista ciclabile e le corsie della vecchia superstrada dalla località Pradello alla località Caviate di Lecco ed iniziate alcune palificazioni nel tratto verso Abbadia Lariana, anch'esse arrestatesi –:
   se sia a conoscenza della questione e se non reputi urgente intervenire nei confronti di ANAS per chiedere conto delle cause dei ritardi dei lavori e della conseguente nuova tempistica dell'opera, considerato anche il rischio, in caso di mancata realizzazione, di vedere inutilizzate le risorse già stanziate per il completamento dei lavori. (5-02937)


   PELLEGRINO, ZAN, ZARATTI, MARCON, BOCCADUTRI, FERRARA, PILOZZI e PIAZZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A23 Udine-Tarvisio, così come l'A4 Trieste-Torino, che avrebbero dovuto smaltire la praticamente totalità del traffico prodotto dai mezzi pesanti, che si muovono nell'area del nord-est del Paese, soprattutto in alcune tratte, vengono sempre più «boicottate» dal trasporto merci, causa principalmente l'attuale livello dei pedaggi autostradali;
   detti mezzi pesanti, con l'obiettivo di ridurre sensibilmente gli oneri conseguenti al pagamento dei pedaggi, sempre più frequentemente preferiscono uscire dal casello Gemona Osoppo sulla A23 per rientrare in A4 a Portogruaro, con l'effetto di sottoutilizzare la rete autostradale e caricare oltre l'accettabile, la viabilità locale la SR463;
   l'effetto finale a cui si sta assistendo è quindi quello di scaricare sulla viabilità locale, e quindi sui centri abitati che si vedono attraversati dai mezzi pesanti, con tutto quello che di negativo ciò comporta in termini di vivibilità delle comunità residenti, di inquinamento ambientale e acustico, nonché di usura delle infrastrutture viarie tradizionali, non adatte a sopportare tale traffico merci;
   va comunque esclusa ogni previsione infrastrutturale, quali per esempio varianti stradali nei pressi dei centri abitati, finalizzata ad agevolare il transito del traffico pesante lungo la rete stradale statale e locale;
   è peraltro in previsione la realizzazione della terza corsia nel tratto Trieste, San Donà di Piave, che rischia anch'essa di tradursi in un costo molto alto per la sua realizzazione, a fronte di una utenza «pesante» limitata, per la scelta di quest'ultima di prediligere le strade statali limitrofe –:
   quali efficaci iniziative in ambito infrastrutturale si intendano adottare per evitare quanto esposto in premessa, e limitare fortemente lo spostamento del traffico merci dall'autostrada alla viabilità locale, escludendo a tal fine il finanziamento e la realizzazione di varianti stradali nei pressi dei centri abitati, nonché individuando idonee modalità volte a rendere obbligatorio l'utilizzo dell'asse autostradale da parte dei mezzi pesanti in luogo della rete stradale, rivalutando la suddetta realizzazione della terza corsia nel tratto autostradale Trieste-San Donà di Piave, con conseguente storno delle ingenti risorse necessarie alla sua realizzazione, per il miglioramento e la messa in sicurezza della viabilità regionale e locale. (5-02938)


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, DA VILLA, SPESSOTTO e COZZOLINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema MOSE è una delle grandi opere pubbliche individuate dalla legge n. 443 del 2001 (cosiddetta «legge obiettivo») tra le infrastrutture strategiche di interesse nazionale ed è finalizzato alla tutela e alla salvaguardia della laguna di Venezia; come noto, sono stati stanziati dallo Stato italiano 4,9 miliardi sui previsti 5,4 miliardi di euro, quali costo totale dell'opera;
   il consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dello Stato italiano, incaricato dal 1983 per conto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del magistrato delle acque di Venezia della realizzazione del MOSE, in conformità con quanto previsto dalla legislazione speciale per Venezia, è stato coinvolto direttamente, con capi di imputazione quali corruzione, concussione, turbativa d'asta e reati fiscali, in un'indagine ancora in corso;
   tale indagine ha portato allo scoperto l'esistenza di una vera e propria associazione a delinquere, assurta a sistema, dedita alla distrazione di risorse destinate alla realizzazione del MOSE mediante la costituzione di «fondi neri»;
   in particolare, al centro delle indagini dei magistrati veneti ci sono presunte distorsioni del sistema di appalti per i lavori del MOSE, inclusa l'accusa di turbativa d'asta;
   a seguito dell'inchiesta condotta dalla procura di Venezia è stato disposto l'arresto per 35 persone tra politici e imprenditori, tra cui il sindaco del Partito democratico Giorgio Orsoni e l'assessore regionale alle Infrastrutture di Forza Italia Renato Chisso; la procura ha chiesto anche l'arresto per l'ex governatore e Ministro Giancarlo Galan;
   i reati contestati a vario titolo vanno dalla corruzione, alla concussione, fino al riciclaggio;
   nei mesi scorsi il gruppo parlamentare del Movimento Cinque Stelle aveva segnalato in più circostanze i rischi correlati alla gestione «impropria» del sistema di appalti del MOSE, senza ottenere risposte –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo al fine di correggere le gravi distorsioni causate dal «sistema MOSE» emerse anche dalle ultime vicende giudiziarie, se non ritenga, in via cautelare, di sospendere appalti e procedure attualmente in corso e se non intenda prendere in considerazione l'ipotesi di una revisione del quadro normativo sull'affidamento dei lavori pubblici, a tutela dei principi di massima trasparenze legalità nella gestione delle gare di appalto e per impedire il verificarsi di nuove quanto imbarazzanti situazioni come quella che ha portato all'arresto di molti politici e amministratori a Venezia. (5-02939)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 giugno 2014 dopo due giornate di fermo causa festività l'autostrada A4 nel suo tratto Veneto ha fatto registrare un sovraccarico di traffico causa mezzi pesanti;
   i mezzi pesanti fermi oltre confine o nelle aree di servizio sono ripartiti contemporaneamente una volta terminato il divieto di transito;
   si sono registrati tra l'altro diversi incidenti tra cui due tamponamenti tra mezzi pesanti, avvenuti tra San Giorgio di Nogaro e Latisana e tra Portogruaro e San Stino con pesanti conseguenze sul traffico tant’è che la Polstrada ha segnalato code addirittura per 70 chilometri lungo il tratto compreso tra il casello di Trieste Lisert e San Stino di Livenza;
   in uno dei due tamponamenti si è registrata la perdita di un carico pericoloso che ha comportato un ulteriore aggravio della criticità;
   sono stati attivati, a tutte le entrate dell'A4 in direzione Venezia, i pannelli a messaggio variabile che avvertono gli utenti della situazione e sconsigliano di entrare in autostrada e per alleggerire l'autostrada dal picco di traffico, è stato anche attivato il by-pass che reindirizza il flusso dei mezzi verso la A28 e la A27 per farlo poi rientrare a Venezia;
   sono state attivate tutte le squadre di Autovie Venete per ridurre i disagi e pur tuttavia rimane la necessità di decongestionare il traffico lungo l'arteria in questione –:
   se e quali iniziative il Governo intenda avanzare, in tempi brevi, per rafforzare il trasporto su rotaia e l'intermodalità per decongestionare il sistema autostradale e viario veneto dal traffico pesante. (5-02931)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   allarme e preoccupazione stanno suscitando le insistenti notizie, riportate dai maggiori organi di stampa locali e nazionali, in merito alla annunciata riforma della legge n. 84 del 1994 recante «Riordino della legislazione in materia portuale»;
   tale ipotesi di riforma, nell'articolare una riduzione delle autorità portuali, sembrerebbe prevedere anche l'abolizione dell'autorità portuale di Salerno e il suo accorpamento autorità portuale di Napoli;
   se confermata, porterebbe a un danno ingiustificato e irreparabile per il porto di Salerno, che si conferma il più consistente sistema-impresa della provincia, anche per numero di occupati;
   in particolare, il porto di Salerno si caratterizza per due importanti indici di eccellenza: il primo riguarda le quantità di merci movimentate per metro quadro, per il quale è tra primi in Italia e tra i primi in Europa; il secondo è relativo all'efficienza nella realizzazione delle opere pubbliche;
   a conferma di ciò, basti considerare che il porto di Salerno ha impegnato in pochi anni oltre 200 milioni di euro per la realizzazione d'infrastrutture portuali, oggi già agibili, ai quali vanno aggiunti altri 75 milioni di euro per la realizzazione del grande progetto, che ha conseguito anche il via libera dell'Unione europea per l'utilizzo dei fondi già disponibili;
   si tratta di un sistema portuale che alimenta annualmente le casse dello Stato per oltre 13 miliardi, tra iva e accise, e che oggi viene messo in discussione, venendo ingiustamente additato come un onere più che una risorsa;
   tale dato, peraltro, è in controtendenza rispetto all'allarme lanciato dalla Corte dei conti che evidenzia, relativamente alle opere gestite da altre autorità portuali, marcati profili di criticità, consistenti, in particolare, nei ritardi accumulati nell'attuazione degli interventi di riqualificazione infrastrutturale, per un totale pari a circa 1.500 miliardi di euro, una parte dei quali non risulta conclusa a oltre un decennio dall'adozione degli atti di programmazione;
   pur volendo condividere la diagnosi sui mali della portualità italiana e, pertanto, l'esigenza di una razionalizzazione e un migliore impiego delle autorità portuali, certamente appare sbagliata la soluzione proposta, che non sembra rispondere ad alcuna ratio di funzionalità;
   una riforma in tal senso, infatti, dovrebbe basarsi su un sistema di premialità che valorizzi le performance di funzionamento degli scali e tenga conto delle singole peculiarità dei territori;
   inaccettabile appare, pertanto, l'ipotesi che il porto di Salerno possa essere accorpato e gestito dalla autorità di Napoli, dove andrebbero a coesistere due realtà portuali totalmente disomogenee per storia, valori, tipologia di mercato, organizzazione operativa, dinamica di crescita, snellezza burocratica, capacità realizzativa, condivisione di intenti e obiettivi;
   rappresentando, poi, Salerno una parte dell'Italia che funziona, non si comprende quale vantaggio potrebbe mai portare alla soluzione dei problemi infrastrutturali del Paese l'abolizione della autorità portuale di Salerno; né si comprende secondo quale criterio verrebbero scelte le autorità portuali da mantenere;
   l'attuale legge n. 84 del 1994, se applicata senza deformazioni patologiche e liberata dai lacci di una soffocante burocrazia, è una legge che consente alla portualità di crescere e alle imprese di svilupparsi, creare valore aggiunto e occupazione;
   essa stessa, tra l'altro, già contiene le indicazioni per costituire o, come già previsto all'articolo 6, commi 8 e 10, ridurre il numero dei porti sede di autorità portuale, in presenza di volumi di traffico insufficienti e, senza dubbio, questo non è il caso dell'autorità portuale di Salerno;
   la legge n. 84 del 1994 può certamente essere sottoposta a interventi di manutenzione ed è certamente auspicabile che autorità portuali appartenenti alla stessa regione o ad aree limitrofe attivino tra di loro percorsi virtuosi di coordinamento, ma senza stravolgere l'impianto legislativo e certamente senza accorpare porti che svolgono attività rilevanti;
   ciò aggraverebbe e non risolverebbe i problemi della portualità, con maggiore burocrazia, complicazione delle procedure, minore capacità reattiva rispetto al mercato, svilimento delle iniziative imprenditoriali e occupazionali, mancata competitività;
   a parere dell'interrogante, non è il numero delle autorità portuali, né la legge n. 84 del 1994, che rimane un'ottima legge, a generare gli endemici problemi della portualità italiana, ma la patologia con la quale sono stati spesso contaminati i criteri di gestione e funzionalità delle autorità, venendo meno allo spirito corretto che animò la formulazione della legge –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative ritenga opportuno adottare per scongiurare il rischio di una riforma che comporti l'abolizione della autorità portuale di Salerno e l'accorpamento all'autorità di Napoli. (4-05013)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi giorni fa la notizia, riportata dai maggiori quotidiani locali, secondo cui a Sala Consilina (Salerno) sarà soppressa la tenenza della Guardia di finanza, vittima della politica dei risparmi messa in atto dal Governo;
   dopo la chiusura del tribunale di Sala Consilina che è stato accorpato, tra non poche polemiche ancora in corso, a quello di Lagonegro, la città capofila del Vallo di Diano starebbe per perdere un ulteriore presidio di legalità;
   la notizia, anche se non è stata ancora ufficializzata, rientrerebbe tra i provvedimenti già approvati dal Ministero dell'interno, che avrebbe provveduto a comunicare la decisione al Comando generale della Guardia di finanza;
   a parziale conferma della soppressione della tenenza della Guardia di finanza salese arriva la notizia del prossimo «addio» del tenente Giuseppe Mosca, attualmente al comando della tenenza, che, prima di salutare le autorità e i cittadini del comprensorio del Vallo di Diano per andare a prestare servizio in Calabria, dovrebbe ufficializzare il declassamento della sottotenenza del presidio salese;
   se confermata, tale decisione comporterebbe una grave perdita per il territorio di Sala Consilina e del Vallo di Diano, nel quale la tenenza della Guardia di finanza ha offerto anche negli ultimi anni un notevole apporto e contributo al rispetto delle normative vigenti e al contrasto delle sue violazioni;
   in particolare, numerose e importanti sono le truffe scoperte ai danni dell'erario, con recupero di ingenti somme a beneficio dell'intera comunità locale, ma tutto ciò evidentemente non è stato ritenuto sufficiente per giustificare la presenza del presidio salese;
   in nome della spending review, a nove mesi dalla soppressione del tribunale di Sala Consilina, sembrerebbe concretizzarsi un altro grave scippo per i servizi relativi alla sicurezza e alla giustizia nel Vallo di Diano e Sala Consilina;
   come se ciò non bastasse, nello stesso territorio è in bilico anche il futuro del carcere: proprio per la cancellazione degli uffici giudiziari, il progetto della costruzione della nuova struttura carceraria potrebbe infatti essere a breve messa in dubbio, sempre nell'ottica del risparmio messo in atto dallo Stato;
   tali scellerate decisioni non tengono in debita considerazione le effettive necessità del territorio a sud di Salerno, che confina con la Basilicata e, pertanto, rappresenta un crocevia di interessi, in molte occasioni in contrasto con le normative vigenti –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga necessario attivarsi con la massima urgenza per l'immediata sospensione di ogni atto relativo alla soppressione di tale fondamentale presidio di legalità nel comune di Sala Consilina. (4-05012)


   RIZZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 maggio 2014, con il fine di procedere all'accoglienza di circa 200 migranti minorenni non accompagnati, è stato affittato un immobile in Caltagirone (CT) dalla cooperativa «La Forza della Vita» di Modica che ha ricevuto tale incarico dal comune di Augusta (SR);
   risulta all'interrogante che il comune di Augusta avrebbe ricevuto a sua volta incarico dalla prefettura di Siracusa per l'accoglienza di detti richiedenti asilo politico sbarcati il giorno prima dalla nave San Giorgio, in seno alla missione Mare Nostrum della Marina militare;
   risulta che né la questura di Caltagirone, né il sindaco della città siano stati messi a conoscenza dell'arrivo dei 200 ragazzi;
   il comune di Caltagirone, ha ottenuto un finanziamento per la ristrutturazione dell'ex Casa delle Fanciulle, immobile di sua proprietà, destinata a diventare «centro specializzato di accoglienza per minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo e non», così come autorizzato dal decreto n. 555/SM/U/006/2010/EM 1/4/2010;
   ad oggi la struttura, sottoposta a ristrutturazione, risulta completata per circa il 90 per cento delle opere;
   all'interno di questa struttura si prevede la realizzazione di laboratori per la lavorazione di pietre dure, l'artigianato orafo, la falegnameria e la ceramica, una sala espositiva, altri spazi per le attività comuni e per quelle destinate all'accoglienza, una sala conferenze con 220 posti, 30 stanze per ospitare 88 minori, la lavanderia e la stireria, la cucina e la sala mensa, oltre a un ascensore per assicurare i collegamenti fra i piani, nuovi arredi e attrezzature varie –:
   se risulti regolare la procedura che ha permesso l'arrivo a Caltagirone dei minori extracomunitari senza che le autorità locali preposte ne fossero messe a conoscenza;
   come il Governo ritenga compatibile l'accoglienza di oltre 200 minori in uno stabile destinato ad ospitarne al massimo 80/90 e per di più in mezzo ai lavori di ristrutturazione dello stabile stesso;
   se siano previsti controlli sulle attività svolte dai gestori l'accoglienza;
   se e quando saranno messe a disposizione delle autorità preposte gli stanziamenti previsti al completamento della struttura ex Casa delle Fanciulle di Caltagirone. (4-05019)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Governo dichiara di avere un grande interesse per l'istruzione dei cittadini, per la formazione culturale e per la crescita qualitativa del nostro Paese;
   a questo proposito, oltre all'evasione ed alla dispersione scolastica, vi è un altro grave fenomeno che sta divenendo insostenibile, specialmente nel territorio campano: il furto di attrezzature e di strumenti informatici indispensabili per la didattica;
   nelle ultime settimane, secondo quanto si apprende da fonti di stampa, hanno subito incursioni notturne gli edifici scolastici di Teverola (prima la scuola media e poi l'elementare dell'istituto comprensivo Ungaretti) e Casaluce (presso la scuola media Beethoven) nel territorio di Caserta, che si aggiungono ad altri istituti scolastici che hanno subito la stessa sorte nei mesi scorsi;
   in tali occasioni, sono stati purtroppo altresì vandalizzati gli edifici;
   si pone all'attenzione dei Ministeri competenti come appaia evidente che i furti non avvengono in considerazione del valore commerciale delle attrezzature, peraltro inutilizzabili per le loro caratteristiche tecniche, ma in funzione del discredito delle istituzioni scolastiche e del conseguente depauperamento culturale dei giovani che rappresenta un obiettivo storico delle organizzazioni criminali che intimoriscono anche i docenti ed impongono la cultura della violenza;
   appare di stringente necessità considerare il fenomeno nella sua complessità per prevenire e reprimere, coinvolgendo in primo luogo gli alunni delle scuole nel giudizio relativo a tali ignobili atti –:
   quali siano le informazioni in possesso dei Ministri interrogati in merito alle vicende segnalate;
   quali siano gli orientamenti del Governo al fine di garantire la sicurezza e l'integrità degli edifici scolastici, soprattutto per fornire una risposta fermissima a questi atti criminali;
   se i Ministeri competenti non ritengano doveroso attivarsi immediatamente affinché i dirigenti scolastici siano adeguatamente sostenuti e per far sì che tutta la comunità scolastica (studenti, genitori, insegnanti e personale non docente) sia coinvolta in iniziative pubbliche di denuncia di tali deprecabili atti che offendono la coscienza civile. (4-05022)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   SIMONE VALENTE, DALL'OSSO, FERRARESI, SARTI, BUSINAROLO, BATTELLI, TRIPIEDI, CIPRINI, COMINARDI, TURCO, BALDASSARRE, BRUGNEROTTO, VACCA, SPADONI e PAOLO BERNINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a Bologna sono presenti alcuni immobili ad uso civile, uffici ed ambulatori di proprietà dell'INAIL e di altri soggetti che hanno acquisito i beni dall'Ente stesso, immobili che dal novembre 2004 sono identificabili come «Condominio Gramsci 2-Milazzo 8»;
   la sede regionale dell'INAIL Emilia-Romagna, quando ne era unica proprietaria e/o amministratrice in nome e per conto della SCIP 2 s.r.l, non ha provveduto ad adeguare l'edificio e le sue pertinenze alle norme sulla sicurezza nei termini e nelle modalità previste dalle normative vigenti, cedendo poi ai privati parte degli immobili;
   la cessione è avvenuta regolarmente e, come si evince dagli atti di vendita, con, garanzia di assenza di vizi ed evizioni, mentre solo recentemente, in maniera quasi fortuita, i nuovi proprietari sono venuti a conoscenza del fatto che gli immobili sarebbero ancora privi delle più banali certificazioni di sicurezza, nello specifico per quanto riguarda le norme antincendio;
   ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto-legge n. 351 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 410 del 2001, l'INAIL, individuato quale ente gestore dopo il trasferimento alla SCIP 2 s.r.l, avrebbe dovuto essere responsabile della manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili, nonché dell'adeguamento alle normative vigenti. A questi obblighi legislativi, a quanto consta agli interroganti, l'INAIL sembra essere venuta meno;
   l'adeguamento degli immobili alla disciplina vigente è quindi ora sulle spalle dei nuovi proprietari, che avevano proceduto all'acquisto a prezzo di mercato con le garanzie già citate, adeguamento che oltre a comportare ingenti spese, avrà come conseguenza la riduzione del patrimonio immobiliare acquisito dai privati cittadini, visto che la messa a norma dell'autorimessa comporterà la soppressione di un numero non ben precisato di posti auto;
   i vizi saranno sanati dalle proprietà con riserva di risarcimento danni a carico dell'ente posto che è palese il comportamento illegittimo dello stesso;
   al giorno d'oggi l'INAIL ha ancora la maggioranza dei millesimi condominiali, avendo pertanto la possibilità di bloccare in assemblea condominiale qualunque delibera o atto a sua discrezione;
   dal momento in cui i condomini sono venuti a conoscenza dello stato delle cose, a quanto consta agli interroganti hanno più volte presentato, anche tramite legali, richieste di chiarimento all'ente ex proprietario e curatore delle vendite, per conoscere le intenzioni dell'istituto in merito alle gravi questioni evidenziate, senza ricevere risposta alcuna, neppure di rigetto delle contestazioni elevate;
   la legge n. 818 del 1984 e successive modificazioni e integrazioni fissava entro il 31 dicembre 1991 la data ultima per richiedere il «nulla osta prevenzione incendi», rinnovabile ogni 6 anni in attesa di essere convertito in «certificato prevenzione incendi». L'INAIL ha fatto questa richiesta solo nel 1998, per effetto dei decreti del Presidente della Repubblica n. 37 del 1998, e decreto ministeriale 4 maggio 1998, in seguito a modifiche strutturali che hanno comportato alterazioni delle preesistenti condizioni di sicurezza, con obbligo, dato il ritardo sui termini prescrittivi, di passare dal regime transitorio del nulla osta prevenzioni incendi direttamente al certificato di prevenzione incendi per tutte le strutture denunciate. In seguito all'ispezione dei vigili del fuoco l'INAIL avrebbe dovuto cantierare i lavori di messa a norma dell'edificio entro marzo 1999 e terminarli entro e non oltre il 2003, quando l'ente era ancora unico proprietario;
   la mancata messa in sicurezza ad avviso degli interroganti contraddice la natura «non economica» e di previdenza infortunistica dell'ente stesso –:
   per quale motivo l'INAIL non abbia adeguato i propri immobili alle normative vigenti, già quando ne era proprietario;
   per quale motivo gli enti preposti al controllo sull'applicazione della normativa antincendi abbiano permesso all'INAIL di svolgere attività all'interno di immobili privi del rispetto delle norme di sicurezza;
   per quale motivo l'INAIL abbia provveduto alla cessione degli immobili, tramite SCIP 2 s.r.l, non adeguandoli alla normativa vigente, né garantendo l'assenza di vizi ed evizioni;
   se la situazione dell'immobile di cui in premessa sia un deprecabile caso isolato o vi sia una situazione diffusa su scala nazionale e come il Ministro intenda ovviare a tali violazioni da parte dell'ente posto sotto alla vigilanza del Ministero che presiede. (3-00862)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della trattativa in corso tra la società ATAC spa ed i sindacati per il personale dipendente, il giorno 28 maggio 2014 è stato sottoscritto un verbale di accordo tra la stessa società e le organizzazioni sindacali nel quale si prevede la possibilità di scelta su base volontaria del personale coinvolto nella procedura ex articoli 4 e 14 della legge 23 luglio 1991, n. 223, attivata il 9 aprile 2014, tra la riconversione professionale ad operatori di esercizio e l'accesso al lavoro part-time;
   la procedura è prevista esclusivamente per un ristretto gruppo di dipendenti con funzioni amministrative, mentre ne risultano esclusi gli operai che attualmente pur avendo un inquadramento formale da operativo, espletano mansioni amministrative, e sono dislocati nei diversi uffici, turni e area mobilità;
   dal verbale di accordo emerge che i lavoratori che opterebbero per il part-time sarebbero esclusi dalla procedura di licenziamento, mentre per quanto riguarda coloro che sceglierebbero la riqualificazione non è chiara la sorte di quelli che dovessero poi scoprire successivamente di non avere i requisiti necessari a svolgere le mansioni cui sarebbero riassegnati;
   ne consegue che nel pieno esercizio delle funzioni amministrative rimarrebbero solo tali dipendenti, assunti con altra qualifica rispetto a quella che attualmente svolgono, esponendo l'azienda al rischio di emanare atti amministrativi illegittimi e, quindi, suscettibili di essere impugnati;
   allo stato, quindi, il personale amministrativo dell'azienda sembrerebbe essere il solo comparto destinato a sopportare lo stato di crisi della stessa;
   è prioritario, in questo momento di forte recessione economica in cui le famiglie stentano ad arrivare a fine mese, salvaguardare e tutelare i posti di lavoro;
   i termini fissati per l'eventuale adesione da parte dei lavoratori, già fissati al 29 maggio 2014, sono stati prorogati al 6 giugno 2014 –:
   di quali elementi disponga il Ministro in merito alla situazione descritta in premessa e in che modo si intendano salvaguardare i livelli occupazionali complessivi dell'azienda. (4-05015)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   oltre 200 tra impiegati e operai a tempo indeterminato e oltre 600 operai stagionali dell'industria Rolli Alimentari di Roseto rischiano, dal prossimo 1o luglio, di dover rinunciare all'attuale contratto di categoria per chi lavora nel settore dell'industria alimentare e doversi accontentare del contratto come impiegati e operai agricoli;
   una prospettiva paventata dalla società, negli scorsi giorni, su cui anche le rappresentanze sindacali chiedono adesso di capire se e con quali modalità i vertici della Rolli possano procedere ad un simile operazione;
   i sindacati infatti si dicono preoccupati per le prospettive che, da inizio luglio, potrebbero interessare circa 800 lavoratori, fissi e stagionali. A loro avviso passare da un contratto «industriale» ad uno «agricolo» significherebbe rinunciare ad una significativa percentuale di salario mensile e a numerose tutele, non solo normative ma anche contributive;
   in questa situazione di estrema incertezza i vertici aziendali intenderebbero inoltre cedere lo stabilimento teramano alla cooperativa Salpa –:
   se non ritengano doveroso convocare le parti sociali per verificare il piano industriale e cercare soluzioni produttive e occupazionali adeguate che salvaguardino il futuro lavorativo dei lavoratori e del territorio. (4-05018)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   ANTEZZA, VALIANTE e VENITTELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la risoluzione n. 8-00048 del 1o aprile 2014 approvata dalla Commissione agricoltura della Camera impegnava il Governo ad assumere una serie di misure per fronteggiare la crisi del settore cunicolo, che persiste da alcuni anni e si è acuita recentemente anche per i meccanismi opachi di formazione dei prezzi all'origine;
   in particolare, l'impegno ad adottare le necessarie iniziative per giungere alla cessazione dell'attività di accertamento dei prezzi svolta dalla Commissione conigli della borsa merci di Verona, dopo quella di Padova, era indirizzato a valorizzare l'attività svolta a livello nazionale dalla Commissione unica nazionale, in linea con le osservazioni espresse dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
   il comparto cunicolo è stato oggetto di attenzione in sede di Conferenza Stato-regioni, dove nella seduta del 29 aprile 2010 è stato sancito un accordo su un «Piano di interventi per il settore cunicolo», con l'obiettivo di offrire una risposta organica alla crisi di redditività che coinvolge l'intera filiera, prevedendo un programma organico di interventi, così come definiti nell'ambito del tavolo di filiera;
   ad oggi l'unica misura del piano di interventi per il settore cunicolo che è stata adottata è l'istituzione della Commissione unica nazionale, avviata dopo una lunga gestazione, con lo scopo di formulare le tendenze di mercato e dei prezzi della categoria di prodotto «conigli vivi da allevamento nazionale» in maniera trasparente e neutrale;
   al riguardo, l'Autorità garante del mercato e della concorrenza, nelle sue osservazioni del 29 aprile 2011 inviate al Governo e alle Camere, ha sancito che l'attività della Commissione unica nazionale deve ispirarsi ai principi di trasparenza e neutralità, elementi fondamentali per tutelare il libero mercato e la libera concorrenza e per consentire di superare i meccanismi discrezionali delle borse merci locali, decretando così l'autorevolezza della Commissione unica nazionale stessa; 
   nonostante siano passati 45 giorni dall'approvazione della risoluzione n. 8-00048 e nonostante nelle ultime settimane gli allevatori abbiano abbandonato la Commissione conigli della borsa merci di Verona, quest'ultima continua a fissare impropriamente il prezzo e a pubblicarlo attraverso il Comitato borsa merci di Verona, che lo ratifica, disattendendo l'indirizzo emerso dalla citata risoluzione;
   il fatto che Borsa merci di Verona pubblichi un prezzo che coincida con quello della Commissione unica nazionale dimostra il contrasto tra il regolamento della commissione borsa merci, (che prevede l'accertamento del prezzo storico settimanale) e il regolamento della Commissione unica nazionale (che prevede invece l'indicazione di una tendenza e di un prezzo per la settimana successiva) –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di pervenire alla cessazione dell'attività di accertamento dei prezzi svolta dalla Commissione conigli della borsa merci di Verona, dopo quella di Padova, affinché possa essere valorizzata l'attività svolta a livello nazionale dalla Commissione unica nazionale e siano evitate duplicazioni in sede locale, in linea con le osservazioni espresse dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato. (4-05020)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, BENEDETTI, PARENTELA e LUPO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   il 25 aprile 2013, la Commissione europea ha deferito l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea per non avere dato seguito a quanto previsto dalla direttiva 1999/74/CE del Consiglio, del 19 luglio 1999, che stabilisce le norme minime per la protezione delle galline ovaiole, nonché le caratteristiche degli allevamenti;
   la direttiva, in particolare, prevedeva che, a decorrere dal primo gennaio 2012, tutte le galline ovaiole fossero tenute a terra o nelle cosiddette «gabbie modificate» fornite di 750 centimetri quadrati di spazio, di un nido, lettiere, posatoi e dispositivi per accorciare le unghie, consentendo così alle galline di soddisfare i loro bisogni biologici e comportamentali. Un sistema alternativo che, seppur minimo, migliorerebbe le condizioni di detenzione attuali degli allevamenti intensivi di galline ovaiole;
   l'Italia ha però prorogato il termine per l'adeguamento degli allevamenti di galline ovaiole prima al 2014, poi, dopo un primo avviso da parte dell'Unione europea al 2013;
   rispondendo all'atto di sindacato ispettivo n. 4-00344 relativo ai provvedimenti per rientrare negli standard europei degli allevamenti, l'allora Sottosegretario alla salute, Paolo Fadda, annunciava, all'interno della legge concernente l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza europea (Legge Europea 2013), una disposizione volta a disciplinare le sanzioni relative alla materia della protezione delle galline ovaiole e alla registrazione dei relativi stabilimenti di allevamento;
   il 22 maggio 2014 la Corte di giustizia europea ha però ritenuto l'Italia inadempiente riguardo le previsioni della direttiva 1999/74/CE, valutando in particolare che, pur con evidenti miglioramenti, la situazione dello Stato italiano è ancora lontana dagli standard previsti: «non avendo garantito che, a partire dal 1o gennaio 2012, le galline ovaiole non fossero più tenute in gabbie non modificate, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 3 e 5, paragrafo 2, della direttiva 1999/74», e per questo condannata al pagamento di sanzioni;
   le inadempienze, secondo quanto si evince dalla lettura della sentenza, si «misurano» alla scadenza del termine stabilito nel «parere motivato», che in questo caso risale all'agosto del 2012;
   secondo quanto dichiarato da Unaitalia, l'associazione che rappresenta il 90 per cento della filiera avicola italiana «le filiere aderenti sono tutte in linea con i nuovi standard europei ben prima del luglio 2013. L'adeguamento ha comportato un grosso impegno economico degli allevatori, ed il parziale ritardo era dovuto alla mancanza di risorse a disposizione, tanto è vero che chi non le ha avute ha dovuto ritirarsi dal mercato»;
   gli allevamenti italiani, a quanto riferisce Unaitalia, sarebbero, quindi, in regola, ma la sanzione dell'Unione europea è ormai stata comminata a causa del ritardo, oltre 14 anni, con cui il nostro Paese ha iniziato da adeguarsi agli standard;
   le responsabilità di una così complessa, quanto paradossale, situazione andrebbero ricercate, a parere degli interroganti, sia nell'indolenza degli allevatori all'adeguamento degli allevamenti di galline, sia, forse principalmente, all'inerzia delle politiche agricole italiane degli ultimi 20 anni, che hanno tralasciato interventi importanti – sia a favore dell'agricoltura che del benessere animale – non rendendosi conto del costo per i cittadini che ciò avrebbe potuto comportare –:
   quale sia la situazione attuale degli allevamenti italiani di galline ovaiole;
   come mai, nonostante nella precedente interrogazione e nella integrazione alla legge europea 2013 si sia provveduto a risolvere la situazione, la Corte di giustizia ritenga tuttora responsabile l'Italia del non completo recepimento della direttiva 1999/74/CE con riferimento agli obblighi da essa previsti;
   come abbia intenzione di gestire il pagamento della sanzione amministrativa comminataci dall'Unione Europea.
(5-02940)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nella seduta del 23 aprile 2014 è stato approvato l'ordine del giorno A.C. 9/2208-A/109 che impegna il Governo «Compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica ad impedire la dispersione dell'esperienza e delle professionalità del personale impiegato, con contratti di lavoro non a tempo indeterminato, presso i servizi pubblici per il lavoro e la formazione, individuando modalità e risorse per la loro stabilizzazione, a cominciare dalla sollecita attivazione di un tavolo di confronto con le parti sociali e le province, nell'ambito della definizione degli interventi che le riguardano»;
   la necessità di procedere al rafforzamento dei servizi per il lavoro italiani è stata recentemente sottolineata da uno studio dell'ISFOL «Lo stato dei Servizi pubblici per l'impiego in Europa: tendenze, conferme e sorprese» del marzo 2014;
   l'articolo 2 del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34, recante «Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese» prevede l'istituzione «senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di un'Agenzia nazionale per l'occupazione partecipata da Stato, regioni e province autonome, vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al cui funzionamento si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente» con «attribuzione all'Agenzia delle competenze gestionali in materia di servizi per l'impiego, politiche attive e Aspl» e per la «razionalizzazione degli enti e uffici che, anche all'interno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, delle regioni e delle province, operano in materia di politiche attive del lavoro, servizi per l'impiego e ammortizzatori sociali, allo scopo di evitare sovrapposizioni e di consentire l'invarianza di spesa, mediante l'utilizzo delle risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente»;
   in considerazione anche delle disposizioni che verranno adottate in relazione all'articolo 1 comma 92 e 94 della legge n. 56 del 2014 riguardanti le facoltà di assumere delle province e degli enti subentranti e ai fini del mantenimento della dotazione organica necessaria all'erogazione di tali servizi e della valorizzazione della professionalità maturata presso gli stessi da parte del personale a tempo determinato in forza alle amministrazioni provinciali, sarebbe fondamentale far confluire nei ruoli delle amministrazioni vigilanti o dell'Agenzia il personale proveniente dalle amministrazioni o uffici soppressi o riorganizzati;
   in relazione al fabbisogno presso le sedi individuate su base regionale e sub-regionale, alle risorse comunitarie, nazionali e regionali disponibili e ai vincoli finanziari relativi alla spesa per il personale gli enti e/o agenzie preposte, o in attesa delle procedure di riorganizzazione, è fondamentale per le province poter:
    a) procedere all'assunzione a tempo indeterminato, secondo le priorità di legge, del personale non dirigenziale provinciale a tempo determinato in possesso di uno dei seguenti requisiti:
     1) risulti vincitore/idoneo inserito nelle graduatorie concorsuali di merito per assunzioni a tempo indeterminato per profili professionali coerenti con le mansioni esercitate nei servizi pubblici provinciali riguardanti lavoro, formazione, politiche attive e funzioni connesse individuati dalla delega al Governo;
     2) risulti in possesso dei requisiti (maturati alle dipendenze dei servizi pubblici provinciali riguardanti lavoro, formazione, politiche attive e funzioni connesse) di cui al comma 6, primo periodo, dell'articolo 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, ed inserito in graduatorie vigenti secondo quanto stabilito al comma 4 dell'articolo 4 del citato decreto-legge riferite a concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato;
     3) risulti assunto con contratto a tempo determinato a seguito di procedure selettive bandite in base all'articolo 1, comma 560, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e abbia maturato alla data di entrata in vigore della legge, almeno tre anni di servizio negli ultimi cinque anni alle dipendenze dei servizi pubblici provinciali;
    b) bandire procedure di assunzione rivolte al personale che risulti in possesso dei requisiti di cui al comma 6, primo periodo, dell'articolo 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 e non inserito in graduatorie vigenti secondo quanto stabilito al comma 4 dell'articolo 4 del citato decreto-legge riferite a concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato. I requisiti di servizio si intendono svolti presso i servizi provinciali riguardanti lavoro, formazione, politiche attive e funzioni connesse, con valutazione dei titoli di anzianità maturata;
    c) inserire, nel conteggio triennale di cui al punto b), anche gli eventuali periodi di collaborazione presso lo stesso ente e, in ogni caso, che il requisito triennale sia posseduto alla data d'indizione delle procedure selettive;
    d) procedere, unitamente agli enti subentranti, in attesa della definizione delle procedure di assunzione a tempo indeterminato, per le necessità connesse alle esigenze di continuità dei servizi, alla stipula di contratti a tempo determinato fino al 31 dicembre 2016 con i soggetti in possesso dei requisiti di cui al punto a) e b) o comunque in servizio presso le province all'atto del passaggio delle funzioni;
   è altresì importante, ai fini del funzionamento dei servizi, che il subentro nelle funzioni alle province comporti anche l'acquisizione delle relative graduatorie dei concorsi pubblici a tempo indeterminato che restano vigenti ai sensi dell'articolo 4, comma 4, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 –:
   se e quali iniziative abbia intrapreso o intenda intraprendere il Governo per ottemperare agli impegni previsti dall'ordine del giorno A.C. 9/2208-A/109 approvato il 23 aprile 2014 dalla Camera dei deputati finalizzato ad impedire la dispersione dell'esperienza e delle professionalità del personale impiegato con contratti di lavoro non a tempo indeterminato presso i servizi pubblici per il lavoro e la formazione e quali modalità e risorse siano state previste per la stabilizzazione di tale personale. (4-05014)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   ZANIN, VENTRICELLI, ZAPPULLA, TERROSI, TARTAGLIONE, TARICCO, TARANTO e TENTORI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea è un'istituzione fondamentale che, dalla sua creazione ad oggi, ha influenzato in modo crescente la vita quotidiana dei cittadini. Infatti da tempo le scelte che vengono prese a Bruxelles hanno un ruolo penetrante nel nostro ordinamento interno, sia attraverso atti legislativi vincolanti sia per mezzo di atti di soft law;
   nonostante ciò i cittadini italiani (e non solo) risultano essere scarsamente informati sulle politiche europee e sui provvedimenti che vengono presi dalle istituzioni europee;
   nel 2010, sul tema della disinformazione dei cittadini degli Stati Membri, il Parlamento europeo nella sessione di Strasburgo del 7 settembre 2014 ha votato una relazione su «giornalismo e nuovi media» intesa a creare una sfera pubblica in Europa. Nel testo si «incoraggia gli Stati membri a includere la copertura dell'Unione europea al momento di determinare il mandato delle emittenti del servizio pubblico». Ed ancora si sottolinea che «le emittenti del servizio pubblico nazionale e regionale abbiano una particolare responsabilità nell'informare il pubblico circa le politiche UE»;
   nel 2012, secondo i dati statistici dell'Osservatorio di Pavia relativi delle reti Rai sulla presenza delle notizie sull'Unione Europea, nelle edizioni di prima serata il TG1 ha parlato di Europa solo per il 7,3 per cento, il TG2 per 6,9 per cento e il più «virtuoso» TG3 per il 9,3 per cento;
   in particolare dalla ricerca dell'Osservatorio di Pavia emerge che gli argomenti affrontati nel periodo 2011-2012 sono: politiche economiche e crisi (72,2 per cento); questioni interne a uno stato (10,0 per cento); politiche pubbliche e normative (7,1 per cento); politica estera e relazioni internazionali (4,6 per cento); diritti (3,5 per cento); rapporti tra stati (1,1 per cento); governance UE (0,7 per cento); attività rappresentative (0,2 per cento); identità e radici (0,1 per cento); altro (0,5 per cento);
   inoltre nel 2010 la dirigenza Rai ha cancellato dal palinsesto di Rai 3 la rubrica di informazione settimanale «Buongiorno Europa», la quale, nata dalla redazione del TgR Rai di Milano nel 1991, offriva un'analisi degli argomenti d'attualità con una prospettiva internazionale grazie anche al contributo dei corrispondenti Rai dalle capitali europee, costituendo una delle pochissime finestre informative dedicate esclusivamente all'Europa nel servizio pubblico di informazione italiano;
   la Rai è tra le 11 emittenti che hanno fondato il consorzio europeo Euronews e tra i primi cinque azionisti, detenendo il 20 per cento circa delle quote societarie. Il canale, che presenta nel suo palinsesto diverse rubriche relative all'attualità europea ed è stato scelto dall'Unione europea per supportarla nella missione di pubblico servizio, in Italia viene trasmesso su Rai 1 solo dalle ore 6:00 alle 6:30, mentre va in toto sul satellite Astra, Hot Bird, Sky e Tivù Sat, sul sito web dell'emittente e su quello delle dirette Rai, ma non va in onda sul digitale terrestre, privando evidentemente la maggioranza dei cittadini di un servizio di informazione fondamentale;
   le raccomandazioni fatte dal Parlamento europeo nel 2010, rendono opportuno che la programmazione del servizio radiotelevisivo pubblico sia argomentato in modo più qualificato, assicurando ai cittadini una più ampia e adeguata informazione europea, a partire da quella legata alle attività dell'Unione;
   è necessario inserire nel nuovo contratto di servizio spazi di approfondimento, affinché vengano messe a disposizione dei telespettatori maggiori informazioni sulle politiche europee;
   data la partecipazione societaria della Rai, sarebbe altresì necessario introdurre il canale Euronews nel pacchetto del digitale terrestre –:
   se nell'ambito del nuovo contratto di servizio, si intenda prevedere espressamente che un certo numero di ore siano destinate a una programmazione dedicata all'Unione europea consentendo il conseguimento degli obiettivi descritti in premessa. (4-05011)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Tabacci ed altri n. 1-00265, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Dorina Bianchi e Scopelliti e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Tabacci, Taricco, Palese, Lavagno, Dorina Bianchi, Monchiero, Di Gioia, Ferrari, Taranto, Covello, Gelli, Tartaglione, D'Ottavio, Pisicchio, Mazzoli, Scopelliti».

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in commissione Paglia e Pagani n. 7-00378, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Montroni, Petitti.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Crimì e altri n. 3-00857, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carnevali.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Dorina Bianchi n. 3-00860, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 giugno 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Tancredi, Garofalo.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Migliore n. 1-00440, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 217 del 23 aprile 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    il 28 aprile è la giornata internazionale in memoria delle vittime causate dall'amianto;
    ventidue anni fa nel nostro Paese, l'amianto è stato dichiarato fuorilegge. Fino al 2004, in Italia, sono stati 9.166 i casi di mesotelioma maligno (MM) riportati nel registro nazionale dei mesoteliomi ReNaM (III rapporto 2010);
    ancora oggi, nel nostro Paese, le stime parlano di 800/1.000 persone morte ogni anno per patologie asbesto-correlate. Persone esposte in passato nei siti produttivi, perché le malattie asbesto-correlate hanno periodi di latenza assai lunghi, (in letteratura scientifica fino 40 anni);
    il picco di patologie, per il principale tumore causato dall'esposizione alla fibra killer, il mesotelioma pleurico, è previsto entro il 2020-2025;
    i principali soggetti a rischio, e potenziali vittime dell'asbesto, sono stati evidentemente i lavoratori che sono stati a contatto con le fibre nell'attività estrattiva con l'amianto grezzo, nella produzione di manufatti, nella manutenzione degli impianti e nel settore edile. Ma ancora oggi, molti lavoratori continuano ad essere ad elevato rischio, laddove – disattendendo le previste norme di prevenzione – si opera nella filiera delle bonifiche e dello smaltimento dell'amianto;
    va peraltro evidenziato l'alto rischio connesso a fibre di amianto disperse nell'ambiente, che producono esposizioni anche di natura non professionale;
    l'asbesto è stato, ed è, un fattore di rischio oltre che per i lavoratori anche per i loro familiari, che potevano respirare le fibre portate a casa con gli abiti da lavoro. Secondo il Registro nazionale italiano dei mesoteliomi (ReNaM) oltre l'8 per cento dei casi è risultato esposto per motivi ambientali (luogo di residenza) o per motivi familiari (la convivenza con familiari professionalmente esposti);
    la legge 27 marzo 1992 n. 257 non consente più in Italia l'estrazione, l'importazione, il commercio e l'esportazione di amianto e materiali contenenti amianto, ma poco si è fatto per la rimozione e le bonifiche;
    i risultati delle azioni di messa in sicurezza e di bonifica dell'amianto condotti fino ad oggi mostrano come, malgrado la legge n. 257 del 1992, siano possibili ancora oggi numerose occasioni di esposizione a causa della presenza dell'amianto negli ambienti di lavoro e di vita, a causa del fatto che le attività di risanamento ambientale non sono state sistematiche e complete. In alcune regioni italiane non si conoscono ancora i dati relativi alla mappatura;
    la legge finanziaria 2008 ha provveduto a istituire un Fondo presso l'Inail che eroga una prestazione aggiuntiva agli altri benefici già riconosciuti per legge, per le vittime dell'amianto che hanno contratto patologie asbesto-correlate e per esposizione alla fibra «fiberfrax». Tale norma prevede, in caso di premorte del lavoratore, risarcimenti in favore degli eredi. Il finanziamento del fondo è a carico delle imprese per un quarto e del bilancio dello Stato per gli altri tre quarti. L'onere a carico dello Stato dall'anno 2010 è determinato in 22 milioni di euro l'anno, mentre ai suddetti oneri a carico delle imprese si provvede con una addizionale sui premi assicurativi relativi ai settori delle attività lavorative comportanti esposizione all'amianto;
    con decreto ministeriale 12 gennaio 2011 n. 30, si è provveduto a definire le modalità di organizzazione e finanziamento del Fondo, nonché le procedure di erogazione delle prestazioni;
    è importante un intervento di miglioramento a favore del citato Fondo vittime amianto, detto Fondo deve essere corretto con la destinazione finale anche alle vittime civili, ossia ai cittadini che non hanno la copertura assicurativa professionale obbligatoria dei lavoratori;
    il CNR ha valutato in circa 32 milioni le tonnellate di cemento-amianto da bonificare in relazione a 2,5 miliardi di metri quadri di coperture in cemento-amianto presenti sul territorio nazionale. Grandi quantità di amianto che si presentano in diverse forme: dalle coperture di edifici pubblici e privati, canne fumarie, cisterne per l'acqua, tubazioni e condutture, ma anche in componenti che entrano in processi produttivi. Senza contare alcuni milioni, di tonnellate di amianto filabile che tutt'oggi continuano a inquinare il territorio nazionale;
    a rendere fallimentari le bonifiche dell'amianto ci sono anche gli elevati costi dello smaltimento e la totale o quasi mancanza di discariche sul territorio nazionale, che fa sì che solo il 40 per cento venga smaltito in Italia, mentre il restante 60 per cento viene smaltito all'estero; inoltre non si è avviato nessuna sperimentazione dei processi di inertizzazione, salvo piccole pratiche sperimentali condotte nella regione Sardegna;
    i rischi dovuti all'elevata presenza di materiali contaminati su tutto il territorio nazionale sono acuiti dal clamoroso ritardo sugli interventi di risanamento e bonifica delle strutture in cui è presente la fibra killer;
    si dovrebbero completare i censimenti e le bonifiche su tutto il territorio nazionale e in tutti i luoghi di lavoro, anche con il finanziamento da parte di coloro che hanno inquinato, fatto ammalare e morire cittadini e lavoratori innocenti;
    dal 5o numero di maggio 2014 del «Diario della transizione» del CENSIS, emerge ancora una volta un quadro grave e preoccupante delle condizioni in cui versano le scuole del nostro Paese. Oltre ai seri problemi strutturali che interessano gran parte degli oltre 41 mila edifici scolastici, si evidenzia come sono circa 2 mila gli edifici che espongono i loro 342 mila alunni all'amianto;
    il piano nazionale amianto (PNA), definito nella Conferenza governativa di Venezia (novembre 2012) e varato dal Governo Monti nel marzo 2013, elenca una serie di obiettivi suddivisi in tre aree; tutela della salute, tutela dell'ambiente, aspetti di sicurezza del lavoro e previdenziali;
    dopo più di un anno, il piano nazionale amianto deve ancora passare al vaglio della Conferenza Stato-regioni;
    è ormai improcrastinabile avviare la realizzazione del citato piano nazionale amianto, e provvedere al conseguente finanziamento per delineare un efficace piano di intervento finalizzato a sviluppare: adeguata sorveglianza sanitaria, puntuali censimenti regionali, bonifiche delle aree contaminate, adeguate misure di benefici previdenziali ivi compresa la revisione dell'ultima riforma pensionistica (riforma Fornero);
    solo alcune regioni hanno individuato precisi obiettivi per l'eliminazione e lo smaltimento dell'amianto dal proprio territorio. Nelle regioni in generale manca un censimento preciso e una mappatura completa dei siti contenenti amianto;
    la legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008), aveva istituito il «Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici» con uno stanziamento di 5 milioni di euro per il 2008, per finanziare gli interventi diretti ad eliminare i rischi per la salute pubblica derivanti dalla presenza di amianto negli edifici pubblici, dando priorità alla messa in sicurezza degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme, degli uffici aperti al pubblico. Detto Fondo, istituito dal Governo Prodi, in realtà non è mai stato reso operativo in quanto i 5 milioni che aveva in dotazione, sono stati azzerati dall'ultimo Governo Berlusconi, con il decreto-legge n. 93 del 2008,

impegna il Governo:

   ad approvare definitivamente il Piano nazionale amianto, prevedendo i finanziamenti necessari alla sua completa attuazione;
   ad attivarsi per quanto di competenza, in accordo con le regioni, affinché entro un anno sia concluso il programma dettagliato di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati anche tramite i piani regionali amianto;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse assegnate al Fondo per le vittime dell'amianto, istituito dalla legge finanziaria 2008, e rivedere l'attuale legge pensionistica, per garantire benefici ai lavoratori colpiti da patologie asbesto-correlate;
   ad assumere iniziative per prevedere la possibilità di estendere le prestazioni del Fondo non solo a coloro che abbiano contratto una patologia asbesto-correlata per esposizione professionale all'amianto ma anche ai familiari delle vittime o a coloro che comunque pur non lavorando direttamente con l'amianto siano stati comunque esposti avendo poi contratto tali patologie;
   a prevedere opportune iniziative volte a salvaguardare i lavoratori che operano nella filiera delle bonifiche dello smaltimento dell'amianto;
   a garantire, per quanto di competenza, un'adeguata sorveglianza sanitaria per gli ex-esposti all'amianto;
   ad assumere iniziative per escludere dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno le spese per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   ad attivarsi in sede europea affinché vengano scorporati dai saldi di finanza pubblica relativi al rispetto del patto di stabilità e crescita, le risorse stanziate per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'amianto;
   ad assumere iniziative per la messa a regime delle detrazioni fiscali attualmente previste per gli interventi di bonifica dei manufatti contenenti amianto dagli edifici, valutando l'opportunità di incrementare le vigenti percentuali di detraibilità;
   ad assumere iniziative per finanziare adeguatamente il Fondo nazionale per il risanamento degli edifici pubblici, istituito dalla legge finanziaria 2008, e mai reso operativo per mancanza di risorse, dando priorità alla messa in sicurezza e bonifica degli edifici scolastici ed universitari, delle strutture ospedaliere, delle caserme, degli uffici aperti al pubblico;
   a dare priorità, nell'ambito degli interventi urgenti volti alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, agli interventi di bonifica dall'amianto.
(1-00440) (nuova formulazione) «Migliore, Di Salvo, Zan, Nicchi, Airaudo, Zaratti, Piazzoni, Pellegrino, Aiello, Lavagno».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Tentori n. 5-00619 del 15 luglio 2013;
   interpellanza urgente Airaudo n. 2-00480 del 1o aprile 2014;
   interpellanza urgente Migliore n. 2-00549 del 26 maggio 2014;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Causi n. 5-02886 del 28 maggio 2014;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Paglia n. 5-02923 del 3 giugno 2014.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ALLASIA, MATTEO BRAGANTINI e ATTAGUILE. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nella Repubblica Centrafricana è in atto una complessa crisi politico-militare che ha già determinato la scelta del Governo francese di intervenire con un contingente delle proprie Forze Armate allo scopo di ristabilirvi l'ordine e la convivenza civile;
   la grave instabilità e gli scontri armati che hanno contrassegnato la storia recente della Repubblica Centrafricana, in particolare dopo il colpo di Stato realizzato dai ribelli musulmani del Seleka, hanno altresì provocato una grave emergenza umanitaria, le cui dimensioni sono attestate dal fatto che circa un milione di persone — un quarto della popolazione del Paese — ha dovuto abbandonare la propria abitazione;
   in questo contesto difficile, operano dal lontano 1971 i religiosi dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi, che hanno accolto rifugiati, sfollati e perseguitati politici presso le proprie sei missioni — situate a Baoro, Bouar Sant'Elia, Bossentelé, Bouar Yolé e Bozoumnel nel nord-ovest del Paese, oltre che nella capitale Bangui — spesso con al seguito numerosi bambini, salvati in questo modo dai sequestri e, talvolta, da una fine certa;
   il degrado delle condizioni di sicurezza nella Repubblica Centrafricana, dove agiscono ormai milizie di varia estrazione che combattono tra di loro e si accaniscono indistintamente contro la popolazione civile, pone tuttavia il problema di assicurare un'adeguata protezione alle missioni cattoliche dei Carmelitani Scalzi –:
   come il Governo intenda attivarsi presso le autorità della Repubblica Francese, al fine di ottenere un impegno del suo esecutivo nella difesa delle missioni cattoliche centrafricane ed in particolare di quelle gestite dai Carmelitani Scalzi, utilizzando allo scopo anche parte delle unità militari rischierate dalla Francia nel Paese centroafricano. (4-03760)

  Risposta. — La complessa crisi politico-militare in atto nella Repubblica Centro-africana (RCA) con scenari di violenza ed emergenza umanitaria, ha dato avvio da parte della Francia all'operazione Sangaris (iniziata con l'arrivo il 5 dicembre a Bangui delle truppe francesi) a rinforzo della Mission internationale de soutien à la Centrafricaine (Misca).
  Ad oggi, tuttavia, le missioni Sangaris e Misca non sono in grado di controllare militarmente tutto il territorio della RCA; in base al mandato ricevuto ed alle forze a disposizione la loro presenza si limita ad aree ben delimitate in Bangui, aree limitrofe e corridoio umanitario Bangui-frontiera con il Camerun. Da parte italiana, finora, la cooperazione con Sangaris e Misca è stata buona e le segnalazioni di nostri religiosi in difficoltà in zone sotto il loro controllo, o comunque vicine, ne ha determinato interventi positivi.
  L'ambasciatore italiano competente sul Paese centrafricano ha invitato a più riprese i nostri religiosi che operano in zone fuori controllo a ripiegare su zone controllate, questi tuttavia comprensibilmente non hanno voluto lasciare i luoghi dove operavano e ciò li espone inevitabilmente a gravi rischi.
  Il contributo italiano alla missione
European Union Force (EUFOR) RCA consentirà di liberare risorse militari francesi finora dislocate all'aeroporto di Bangui, favorendone il dispiegamento in altre aree del Paese. Questo porterebbe in principio a rafforzare il dispositivo di protezione in zone dove siano presenti comunità a rischio di attacchi a sfondo etnico o criminali, quali le missioni cattoliche, come illustrato di recente dai Ministri degli affari esteri e della difesa in sede parlamentare.
  Il Ministero degli affari esteri, attraverso L'unità di crisi, intrattiene costanti contatti con gli omologhi francesi che nel corso delle scorse settimane hanno permesso l'invia di pattuglie di militari francesi nonché della forza di pace dell'Unione africana a protezione di ospedali e luoghi di culto dove sono presenti nostri connazionali (ad esempio all'ospedale di Bimbo, quartiere periferico della capitale).
  Tra Roma e Parigi vengono scambiate regolarmente liste di connazionali residenti in RCA, inseriti nel sistema di maglie del piano di emergenza francese. Vengono regolarmente inviati SMS di allerta ai nostri connazionali in raccordo con l'ambasciata francese a Bangui.
  La Farnesina continuerà a contattare sistematicamente i religiosi che operano in zone non controllate da francesi o militari ONU, tornando ad avvertirli circa i rischi della loro permanenza in potenziali aree di conflitto non salvaguardate.
  Da ultimo giova sottolineare che la nostra ambasciata a Parigi, opportunamente sensibilizzata, non mancherà di continuare ad attirare l'attenzione degli interlocutori francesi, nei frequenti contatti con i Ministeri degli affari esteri e della difesa, sull'esigenza di tutela delle missioni cattoliche nella RCA, in particolare per quanto attiene ai religiosi di cittadinanza italiana.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriLapo Pistelli.


   BRUNETTA e MILANATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   al momento della richiesta da parte della Croazia di far parte della Comunità europea, è stata affrontata la questione della denominazione del vino prosecco, che, con le sue articolazioni storiche, è stata riservata all'Italia;
   con l'entrata effettiva della Croazia nell'Unione europea lo scorso 1° luglio 2013, si è riproposto il problema perché, nonostante il vino prosecco sia tutelato a livello comunitario ed internazionale con la denominazione di origine protetta, sono state sollevate numerose obiezioni all'utilizzo del nome «Prosek» da parte della Croazia, principalmente per una questione di assonanza che potrebbe trarre in inganno i consumatori;
   il «Prosek» è un vino passito con una produzione limitata di circa 10 mila bottiglie annue contro le 300 milioni di bottiglie (per un fatturato vicino al miliardo di euro annuo) delle tre denominazioni italiane riconosciute a livello europeo (Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore docg, Asolo Prosecco Superiore docg e il Prosecco doc);
   il comparto dell'agricoltura veneta ha subito, così come altri settori economici, pesanti ripercussioni a livello occupazionale e di fatturato a causa della perdurante crisi economica, e tuttavia il vino prosecco nel primo trimestre 2013 ha aumentato del 30 per cento le esportazioni;
   le norme europee sono state pensate per assicurare una protezione efficace a difesa delle denominazioni in quanto patrimonio comune e, in base a questo principio, le denominazioni sono uniche e non devono entrare in conflitto tra loro;
   con l'entrata dell'Ungheria in Europa, l'Italia ha dovuto cedere il nome del vino Tocai a favore del vino doc ungherese Tokaj e dal 2007 il Tocai friulano ha dovuto prendere il nome di «Friulano»;
   i produttori del Prosek croato sostengono che esso rappresenti un prodotto della tradizione –:
   quali provvedimenti abbia preso il Governo, in ambito europeo, per far rispettare gli impegni assunti dalla Croazia in fase di adesione e per fare sì che non si deroghi alla normativa europea in materia di denominazione del vino Prosecco. (4-01203)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame vorrei, anzitutto, rassicurare gli interroganti che la mia amministrazione, in collaborazione con il Ministero degli Affari esteri ha sempre seguito con la massima attenzione l'evoluzione della normativa europea e internazionale sulla protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei prodotti agroalimentari, in particolare dei vini, al fine di assicurare la massima protezione alle produzioni in questione che, rientrando nell'ambito dei diritti di proprietà intellettuale, costituiscono un importantissimo patrimonio storico-tradizionale e, dunque, socio-economico e culturale dell'intero Paese.
  In linea con tale orientamento, già in sede di negoziati di adesione all'Ue da parte della Croazia, in collaborazione con il ministero affari esteri, abbiamo impedito che il vino croato «Prosek» ottenesse il riconoscimento quale denominazione tradizionale ovvero denominazione d'origine. Del resto tale denominazione non è contemplata nell'elenco delle denominazioni dei vini della Croazia protette nell'UE ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 4, del Regolamento UE n. 1308/2013 (elenco pubblicato nel registro informatico E-Bacchus della Commissione UE ove, peraltro, alcuna menzione tradizionale riguarda i vini della Croazia).
  Al fine di evitare l'accoglimento di eventuali nuove richieste della Croazia intese ad utilizzare «Prosek» quale menzione tradizionale, seguiremo con la massima attenzione anche la pertinente procedura europea per l'adozione degli atti delegati del citato regolamento UE, tra i quali figurerà anche un regolamento concernente disposizioni in materia di menzioni tradizionali dei vini.
  Assicuro, infine, che manterremo ferma la nostra posizione in tutte le sedi europee ed internazionali, laddove si affronti la concreta gestione dell'organizzazione comune di mercato e la gestione degli accordi stipulati dall'Unione europea con i Paesi terzi per il settore in questione, al fine, non solo, di evitare la concessione di deroghe a Paesi UE o terzi (tali da scardinare i principi di protezione sanciti dalla normativa di base europea), ma anche per ottenere il pieno rispetto delle pertinenti norme comunitarie dagli altri Paesi e così assicurare (soprattutto alle DOP e IGP europee) una protezione che si attesti al massimo livello consentito dal vigente accordo TRIPS.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   COSTANTINO, PIAZZONI, MIGLIORE, DURANTI, PILOZZI e RICCIATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la delibera della giunta regionale del Lazio 1614/2001 recante «Disposizioni normative per i soggetti affetti da nefropatie in trattamento dialitico» prevede che le ASL, qualora l'assistito sia nell'impossibilità di raggiungere i centri di cura con mezzi di trasporto pubblico e/o privato, debbano provvedere con mezzi idonei: pulmini collettivi e autolettighe;
   non tutte le ASL sono tuttavia dotate di tali servizi, e in ogni caso, ove esistenti, spesso risultano insoddisfacenti a causa del numero esiguo di persone trasportabili definite dagli importi delle gare d'appalto;
   la regione Lazio prevede, per i residenti con la documentazione secondo la normativa, la possibilità di richiedere alla ASL di appartenenza i contributi per il viaggio con mezzo pubblico, il viaggio mediante auto privata, per il trasporto mediante autovettura con un accompagnatore familiare, per il trasporto mediante auto pubbliche (taxi), pulmino collettivo e autolettiga;
   tra le realtà impegnate su questa delicata problematica figurano l'Associazione Lazio Dializzati Onlus, organizzazione operante a Latina, che effettuano servizio di trasporto con pulmino e ambulanza da e per i centri dialisi pubblici (ospedale S. Maria Goretti), nonché pubblici/privati di Latina città e provincia, con passaggi su Roma;
   da notizie di stampa risulta che su un'ambulanza delle citate Onlus – come noto, in quanto organizzazione non lucrativa d'utilità sociale, anche destinataria del 5 per mille – sarebbe stato affisso materiale elettorale a sostegno di un candidato del «Nuovo Centro Destra» al Parlamento europeo;
   i pulmini e le ambulanze, come intuibile, entrano ed escono dagli ospedali e da strutture sanitarie private più volte al giorno, trasportando numerosi pazienti, soprattutto anziani con pluripatologie che, usufruendo per necessità del servizio di trasporto delle citate associazioni, di troverebbero, di fatto – e anche loro malgrado – a fare campagna elettorale per un candidato alle elezioni europee;
   il decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, recante «Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale» prevede che le ONLUS debbano perseguire esclusivamente finalità di solidarietà sociale o comunque finalità inerenti a quelle di solidarietà sociale;
   è del tutto evidente che la propaganda elettorale non rientra tra le attività, in ogni caso esulando dalle finalità di solidarietà sociale caratterizzanti le Onlus, peraltro espressamente indicate all'articolo 10 del decreto legislativo n. 460 del 1997 –:
   di quali informazioni disponga il Governo in merito a quanto descritto in premessa e quali siano gli orientamenti in proposito;
   se non ritenga di dover intervenire con urgenza in relazione ad una situazione che appare in contrasto con quanto previsto dalla legge 460 del 1997 e che vede pazienti utenti del servizio di trasporto delle due Onlus citate effettuare, di fatto, campagna elettorale per un candidato alle elezioni europee, indipendentemente dalla loro volontà;
   in caso affermativo, quale tipo di iniziativa intenda intraprendere e con quali tempi. (4-04853)

 Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare in esame, si pone all'attenzione del Governo la notizia riportata il 13 maggio 2014 sul quotidiano Oggi Latina, relativa all'esposizione di un manifesto elettorale su un'ambulanza dell'associazione Lazio Dializzati Onlus.
  Preliminarmente, si rappresenta che la questione prospettata investe profili di competenza di più dicasteri, ivi incluso quello del lavoro e delle politiche sociali, il quale, con riferimento alle Onlus, oltre a svolgere le funzioni di vigilanza, promozione, indirizzo e controllo (precedentemente attribuite alla soppressa Agenzia per il terzo settore), presiede alle attività di erogazione e rendicontazione del 5 per mille, nonché di concessione dei contributi per l'acquisto di ambulanze, beni strumentali e beni da donare a strutture pubbliche per scopi sociali.
  Ciò premesso, con particolare riguardo all'Associazione Lazio Dializzati Onlus, si precisa che la stessa risulta esclusa dalla concessione del contributo del cinque per mille e dal 2005 non percepisce contributi derivanti dall'articolo 96 della legge 21 novembre 2000, n. 342, in materia di attività di utilità sociale.
  Il Ministero dell'interno, esplicitamente interpellato sulla vicenda in questione, ha fatto sapere che la vigente normativa (i.e, articolo 6 della legge 4 aprile 1956 n. 212) vieta «ogni forma di propaganda elettorale luminosa o figurativa a carattere fisso in luogo pubblico, escluse le insegne indicanti le sedi dei partiti» e non anche la propaganda con mezzi mobili. Tale forma di pubblicità elettorale, pertanto, in linea generale, non può che considerarsi consentita.
  Per quanto attiene al caso concreto, invece, tralasciando le ovvie considerazioni sull'opportunità di esporre manifesti di propaganda elettorale su veicoli destinati a finalità di carattere socio-sanitario – nel caso di specie su ambulanze adibite al trasporto di persone dializzate – si rappresenta che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha avviato le dovute verifiche concernenti il rispetto della normativa nelle materie di competenza, mentre il Ministero dell'interno ha assicurato di rivolgere la dovuta attenzione alla vicenda in discussione.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiLuigi Bobba.


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella Regione;
   il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
   deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e sopra tutto, alla produzione della regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del prodotto interno lordo nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre, allora, ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   l'omissione delle informazioni sull'origine di un prodotto agroalimentare ed una pubblicità che suggerisca un legame inesistente tra un prodotto ed un territorio aumentano in modo significativo il rischio di confusione;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono pregiudica l'immagine del patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169 del 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, impone come obbligatoria l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza per una serie di prodotti, fissando alla Commissione il termine del 13 dicembre 2013 per adottare le disposizioni di attuazione dell'obbligo –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio con l'estero al fine di prevenire le pratiche fraudolente o ingannevoli, ai danni del made in Italy o, comunque, ogni altro tipo di operazione o attività commerciali in grado di indurre in errore i consumatori e, ancora, la più ampia trasparenza delle informazioni relative ai prodotti alimentari ed ai relativi processi produttivi e l'effettiva rintracciabilità degli alimenti nazionali;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare in sede europea al fine di promuovere il rispetto del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento n. 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative per l'adozione di un sistema analogo a quello previsto dall'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine dei prodotti, nonché assicurare l'accesso ai relativi documenti da parte dei consumatori, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche. (4-02843)

  Risposta. — In materia di tutela del made in Italy e di indicazione, sulle etichette dei prodotti agro-alimentari, del Paese d'origine o del luogo di provenienza, mi preme innanzitutto ricordare che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha sempre svolto un ruolo determinante nelle trattative europee, concertando la posizione negoziale con il Ministero della salute, con l'obiettivo di difendere, sui mercati nazionali ed esteri, la competitività della produzione italiana e il diritto dei consumatori alla trasparenza delle informazioni sulla tracciabilità.
  Ciò premesso, segnalo, quindi, con soddisfazione la recente adozione, anche grazie al sostegno dell'Italia, del regolamento di esecuzione (UE) n. 1337/2013 della Commissione del 13 dicembre 2013 che stabilisce criteri di etichettatura per gli operatori del settore alimentare delle carni fresche, refrigerate o congelate di suino, ovino, caprino e di volatili, destinate alla commercializzazione, introducendo la prescrizione relativa all'indicazione del Paese di origine, o luogo di provenienza, nel quale gli animali sono stati allevati e macellati. Tale regolamento è stato adottato nel rispetto del termine del 13 dicembre 2014 di cui all'articolo 26, paragrafo 8, del regolamento (CE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di informazioni sugli alimenti ai consumatori.
  La modifica del quadro giuridico europeo di riferimento rappresenta un risultato notevole a beneficio dei consumatori poiché garantisce una maggiore conoscibilità dei prodotti attraverso le informazioni in etichetta, ma anche un importante passo avanti in favore delle più efficaci azioni che possono essere attuate a tutela del
made in Italy.
  A tal proposito si può affermare che le modifiche apportate al testo originario proposto dalla Commissione, tra le quali il raddoppio del periodo minimo di allevamento per poter indicare in etichetta il Paese di allevamento dell'animale, sono state sostenute in sede negoziale dalla delegazione italiana proprio con la finalità di evitare di fornire al consumatore informazioni con modalità poco trasparenti o addirittura fuorvianti rispetto alla realtà produttiva, contribuendo quindi a dare maggiore chiarezza circa le procedure da seguire per l'apposizione delle diciture in etichetta che segue anche la carne suina nelle varie fasi di commercializzazione e alla tutela del
made in Italy.
  Il citato regolamento di esecuzione n. 1337/2013 prevede, infatti, la possibilità di utilizzare il termine «origine» solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese nonché di indicare il luogo di provenienza delle carni secondo un preciso schema differenziato in funzione delle diverse specie.
  Nel rispetto degli articoli 36 e 37 del regolamento (CE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento di esecuzione suddetto consente, inoltre, alle aziende l'integrazione delle informazioni sull'origine anche con ulteriori informazioni, tra cui un livello geografico più dettagliato.
  Il sistema europeo sintetizzato si applicherà a partire dal 1° aprile 2015.
  Nella consapevolezza della valenza concreta di quanto raggiunto a livello europeo, le istituzioni italiane saranno impegnate affinché il predetto regolamento sia applicato in modo concreto e conforme in relazione a tutte le disposizioni in esso contenute.
  Per ciò che concerne il sistema di tutela di tutti i prodotti agroalimentari italiani e di contrasto alla contraffazione del
made in Italy, mi preme ricordare che l'articolo 4, comma 49, della legge n. 350 del 2003 prevede il divieto dell'uso ingannevole «di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana» allorché ciò non risulti conforme a verità, con conseguente applicabilità dell'articolo 517 del codice penale.
  I controlli per la tutela e la riconoscibilità del made in Italy sono, pertanto, svolti in tutte le fasi della filiera produttiva secondo quanto stabilito dalle disposizioni nazionali ed europee per ogni varietà di prodotto.
  L'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) è l'autorità nazionale specificatamente impegnata a garantire l'efficacia delle azioni volte a difendere la qualità e l'identità dei nostri prodotti e che, a tal fine, collabora strettamente con l'Agenzia delle dogane e le capitanerie di porto, per migliorare l'attività di monitoraggio dei flussi d'introduzione dei prodotti agroalimentari provenienti da Paesi terzi ed evitare fraudolente commercializzazioni di alimenti falsamente dichiarati «italiani» sul territorio nazionale.
  Data l'ampiezza delle varianti fraudolente nel settore agroalimentare, l'impegno nell'attività e la condivisione di banche dati è sempre più in rete interforze. A livello nazionale, infatti, oltre alle istituzioni già segnalate, opera con costante efficacia a tutela dei consumatori anche il comando carabinieri politiche agricole e alimentari (NAC – nuclei antifrodi carabinieri) con attività di riscontro effettuate sulla rintracciabilità dei lotti di produzione e con analisi di laboratorio e, sin dai primi mesi del 2012, è stato implementato anche il coinvolgimento del Corpo forestale dello Stato in una vera e propria campagna di monitoraggio ed intervento a tutela del
made in Italy.
  Attraverso i comandi territoriali dei vari corpi ispettivi e di polizia vengono verificati i prodotti appartenenti a tutte le filiere alimentari – tra cui i prodotti lattiero caseari, i diversi tipi di prosciutti crudi e stagionati, pasta, olio, olive, grappe – che appongono la dicitura made in Italy o richiamano esplicitamente l'origine nazionale, rilevando le fattispecie di falsa o fallace indicazione.
  Da maggio 2013, e cioè in meno di un anno, per le finalità della campagna di intervento a tutela della produzione agroalimentare italiana, sono stati controllati oltre 900 esercizi commerciali in tutta Italia e verificati centinaia di prodotti alimentari differenti: 122 sanzioni amministrative sono state elevate a carico dei distributori e delle ditte produttrici, per un importo totale di oltre 300.000,00 di euro; 15 notizie di reato sono state comunicate alle procure e 14 sono state le persone denunciate. Le attività hanno condotto al sequestro di circa 592 tonnellate di prodotti.
  Inoltre, sul fronte internazionale, sono state attivate le procedure di cooperazione internazionale di polizia sulle reti Interpol ed Europol. In proposito sottolineo che, nel 2013, il comando carabinieri politiche agricole e alimentari ha effettuato controlli su 3.121 aziende agroalimentari, sequestrando 9,5 mila tonnellate di prodotti e oltre 3 milioni di etichette illegali nonché segnalando all'Interpol 70 casi di falso
made in Italy all'estero.
  Nei primi mesi del corrente anno 2014, nel perseguimento degli obiettivi del Piano nazionale dei controlli a tutela dei consumatori, il comando carabinieri politiche agricole e alimentari ha già provveduto a controllare 90 aziende agroalimentari.
  Grazie a specifiche attività di riscontro effettuate sulla rintracciabilità dei lotti di produzione e con analisi di laboratorio, i NAC (nuclei antifrodi carabinieri) hanno sequestrato 17.254 chilogrammi di prodotti agroalimentari, costituiti da vini adulterati, formaggi falsamente evocanti marchi Dop, olio presentato come extravergine d'oliva risultato invece miscelato con olio di semi, tonno commercializzato come tonno nazionale, lavorato e conservato in olio extravergine risultato importato, congelato e conservato in olio raffinato. I sequestri hanno riguardato anche 219.300 etichette irregolari, con indebite evocazioni di importanti marchi Dop/Igp e biologico, che avrebbero potuto trarre in inganno i consumatori.
  Contestualmente ai controlli specifici a tutela del
made in Italy sono stati verificati altri aspetti della produzione agroalimentare, quali quelli connessi alla sicurezza dei prodotti a denominazione protetta, all'igiene degli alimenti e alla salute dei cittadini. A queste casistiche appartengono, infatti, innumerevoli prodotti facilmente reperibili nei nostri supermercati, afferenti ai settori del lattiero caseario, delle carni lavorate, dei prodotti da forno, prosciutti, salumi e insaccati realizzati con suini provenienti da Paesi esteri.
  L'obiettivo complessivo del sistema di controllo è quello di garantire sui mercati nazionali ed esteri le condizioni di conoscibilità delle filiere e di tracciabilità degli alimenti, basandosi sulla considerazione che i valori alimentari, territoriali, ambientali, culturali della produzione nazionale rappresentano un bene collettivo dell'Italia da valorizzare e difendere in modo specifico e diversificato rispetto agli altri settori manifatturieri sia a beneficio dei consumatori che a vantaggio della competitività dei nostri produttori.
  Ricordo inoltre che l'articolo 1 del disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica per il 2014, A.S. 1328 prevede un maggiore coordinamento tra le diverse autorità preposte all'effettuazione di controlli a carico delle imprese agricole, introducendo un divieto di duplicazione dei controlli medesimi.
  Il Governo intende anche rafforzare tale principio, pertanto ho proposto, nell'ambito del piano d'azione «Campo libero», presentato il 9 aprile 2014 l'istituzione di un registro unico dei controlli da tenere presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e un deciso intervento di semplificazione e sburocratizzazione, che, fermo restando l'obiettivo di garantire la qualità dei prodotti che vengono consumati, non sia vessatorio per le imprese.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   GIANCARLO GIORGETTI, PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON e MARCOLIN. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la maestosa villa dei nobili Pisani, la più grandiosa villa della Riviera, la Villa Pisani di Strà (Venezia), detta anche la Nazionale, rappresenta certamente uno dei più celebri esempi di Villa veneta della Riviera del Brenta: sorge a Strà, in provincia di Venezia, ed occupa un'intera ansa del naviglio del Brenta, estendendosi su una superficie di 11 ettari ed un perimetro esterno di circa 1.500 metri; venne costruita a partire dal 1721 su progetto di Gerolamo Frigimelica (cui si deve anche il progetto del Palazzo Pisani in campo Francesco Morosini o Santo Stefano a Venezia, attuale sede del conservatorio) e Francesco Maria Preti per la nobile famiglia veneziana dei Pisani di Santo Stefano; al suo interno sono conservate opere di Giambattista Tiepolo (l'Apoteosi della famiglia Pisani), Giambattista Crosato, Giuseppe Zais, Jacopo Guarana, Giovanni Carlo Bevilacqua, Francesco Simonini, Jacopo Amigoni e Andrea Urbani; all'epoca della costruzione la Villa contava 114 stanze (ora 168), in omaggio al 114° doge di Venezia Alvise Pisani;
   i Pisani di Santo Stefano, cui si deve la costruzione della villa, costituivano un importante ramo del casato Pisani, antica famiglia patrizia veneziana; arricchitisi nel corso del Trecento grazie ai traffici commerciali e alle rendite immobiliari, nel Quattrocento divennero proprietari di un ampio feudo nella bassa padovana e successivamente arrivarono a ricoprire le più alte cariche della Repubblica di Venezia: Alvise Pisani (1664 - 1741) fu ambasciatore alla corte del Re Sole, il quale fu padrino di uno dei suoi figli, e venne poi eletto doge nel 1735; il crollo della Repubblica (1797) costrinse i Pisani a vendere la villa a Napoleone Bonaparte che era diventato re d'Italia nel 1805, l'11 gennaio 1807, per 1.901.000 di lire venete; la villa venne donata dall'imperatore Bonaparte al figliastro Eugenio di Beauharnais, viceré d'Italia; Eugenio, raffinato mecenate, commissionò una serie di lavori di ammodernamento che cambiarono l'aspetto di molte sale della residenza e del parco. Nel 1814 le sorti dell'Europa, decise a Waterloo, portarono a villa Pisani la famiglia imperiale asburgica, ora divenuta signora del regno Lombardo-Veneto; la dimora divenne così luogo di villeggiatura prediletto dall'imperatrice d'Austria Marianna Carolina e ospitò l'intero gotha dell'aristocrazia europea, dal re di Spagna Carlo IV (1815) allo zar di Russia Alessandro I (1822), dal re di Napoli Ferdinando II (1837) al re di Grecia Ottone (1837) e molti altri; la brillante atmosfera di vita di corte ebbe termine nel 1866, quando il Veneto venne annesso al regno d'Italia; la villa non entrò a far parte dei beni della corona di casa Savoia ma divenne invece proprietà di Stato, perdendo così la sua funzione di rappresentanza; non più abitata, divenne museo nel 1884 e fu meta di visita di personaggi quali Wagner, D'Annunzio (che vi ambientò una scena fondamentale del suo romanzo Il Fuoco), Mussolini e Hitler (il cui primo incontro ufficiale avvenne qui, nel 1934);
   a destra e a sinistra della villa due scenografiche cancellate in ferro battuto introducono al parco; non lontano dalla cancellata di destra, fra le siepi, si scorge la statua marmorea raffigurante «Apollo» eseguita intorno al 1718 da Giovanni Bonazza; nel parco, al centro di un monticello, si trova la «casa dei freschi» cioè la ghiacciaia studiata dal Frigimelica; il parco annesso è la realizzazione di un progetto basato sull'incrocio di assi ottici: in fondo le scuderie per i cavalli create come finta facciata, come palcoscenico di sfondo per una società teatrale del 1700 dove Carlo Goldoni inscenava le sue commedie; Villa Pisani è famosa inoltre per il suo labirinto di siepi di bosso, uno dei tre labirinti in siepe sopravvissuti fino ad oggi in Italia; la presenza di una preziosa raccolta di agrumi, delle serre con piante e fiori, di alberi secolari e di alcune specie vegetali esotiche determina l'importanza del parco anche dal punto di vista botanico;
   il codice dei beni culturali (decreto legislativo n. 42 del 2004), all'articolo 101, comma 2, lettera f), individua tra gli istituti e i luoghi di cultura i «complessi monumentali» formati da una «pluralità di fabbricati anche di epoche diverse, che col tempo hanno acquisito, come insieme, un'autonoma rilevanza artistica, storica o etnoantropologica»: il complesso monumentale Villa Pisani museo nazionale, di proprietà demaniale, appartiene a tale categoria di beni ed è in consegna alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, che ne cura la gestione con il finanziamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   nonostante il rilievo storico di tale bene, oggi lo stato manutentivo dei locali interni è estremamente lacunoso: stanze chiuse, scarse note didascaliche, pochi oggetti e mobilio esposto (nonostante risulti agli interpellanti che i magazzini ospitino molti oggetti che testimoniano la storia della Villa), guano di piccione nei davanzali, tendaggi strappati, spazi e stanze che risultano restaurate ma chiuse;
   gli spazi esterni poi risultano non gestiti in maniera ottimale o inagibili (parte del giardino, alcune torri di osservazione panoramiche, la coffee house, le mura perimetrali in alcuni tratti a pericolo di cedimento, l'illuminazione esterna e la segnalazione della villa assolutamente inadatte all'importanza storico-architettonica della struttura, e altro);
   nonostante un glorioso passato, poche sono ancora le occasioni importanti di richiamo turistico, e le mostre allestite accolgono un pubblico troppo di nicchia rispetto alle potenzialità di accoglienza della Villa;
   non esiste inoltre alcun incentivo alla fruizione della Villa per i residenti –:
   quali siano gli elementi contabili del bilancio di tale poco attenta gestione della Villa, i costi di manutenzione, compreso il personale, e le entrate da biglietti e/o da trasferimenti pubblici;
    alla luce della pesante situazione suesposta, se la Soprintendenza competente abbia programmato urgenti interventi o, in caso negativo, se il Ministro non intenda intervenire per adottare i provvedimenti più urgenti, nonché per prevedere un progetto di specifica valorizzazione della Villa che coinvolga più opportunamente il comune di Strà (Venezia) e la regione Veneto. (4-04833)

  Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, con la quale l'interrogante, rilevando come lo stato manutentivo di Villa Pisani a Strà sia, a suo dire, «estremamente lacunoso», chiede quali iniziative il Ministro intenda adottare, ivi compresa l'adozione di uno specifico progetto di valorizzazione, al fine di superare le criticità esposte nell'interrogazione.
  Al riguardo, premesso che per questo Ministero, tanto nei suoi organi centrali che nelle articolazioni periferiche, la tutela e la valorizzazione dei beni ad esso affidati rappresentano obblighi inscindibili, da perseguire in spirito di collaborazione e sinergia con le amministrazioni e le comunità locali, si forniscono i seguenti elementi informativi, che si confida possano dare risposta soddisfacente alle preoccupazioni espresse dagli interroganti e ferma restando la doverosa disponibilità ad ogni ulteriore approfondimento.
  Come ricordato nell'interrogazione, Villa Pisani, detta la «Regina delle ville venete», è uno dei più celebri esempi di villa veneta sulla Riviera del Brenta ed è, per attrattiva turistica, tra le principali mete turistiche del Veneto. Il complesso della Villa, che comprende l'edificio principale con il salone interamente affrescato dal Tiepolo, l'esteso parco (13 ettari) con il suo labirinto, è visitato, ogni anno, da circa 100.000 visitatori; il 1o maggio scorso, giornata ad ingresso gratuito, la villa ha registrato 2.700 visitatori. Situata lungo la Riviera del Brenta, a 10 minuti da Padova e 20 da Venezia, la maestosa villa dei nobili Pisani ha ospitato nelle sue 114 stanze dogi, re e imperatori, ed oggi è un museo nazionale che conserva arredi e opere d'arte del Settecento e dell'Ottocento, tra cui il capolavoro di Gianbattista Tiepolo «Gloria della famiglia Pisani», affrescato sul soffitto della maestosa sala da Ballo. Il parco si caratterizza per le scenografiche viste, le originali architetture, dalla Coffee House all'Esedra, il famoso labirinto di siepi, tra i più importanti d'Europa, la preziosa raccolta di agrumi nell'orangerie e di piante e fiori nelle serre tropicali. Per questi motivi, nel settembre 2013, la trasmissione «Linea Blu» di Rai3 ha dedicato a Villa Pisani un ampio servizio che rende pienamente l'immagine positiva della Villa e delle sue attrattive storiche ed artistiche.
  In riferimento, poi, alla gestione della villa, il competente Soprintendente ha precisato che «il complesso monumentale Villa Pisani Museo Nazionale, di proprietà demaniale, è in consegna alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, che ne cura la gestione con il finanziamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Per realizzare ogni utile forma di valorizzazione e promozione dell'immagine del complesso monumentale, in attuazione dei principi normativi istituiti dal Codice per i beni culturali, la Soprintendenza, a partire dal 2007, ha affidato alcuni servizi aggiuntivi in concessione a un'associazione temporanea di imprese costituita da Munus (Capogruppo), Mosaico, Medoacus Maior, Giovannella Company e CNCP, società specializzate nei servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico; ciò ha consentito di definire un programma pluriennale per l'organizzazione di eventi culturali, la cui divulgazione avviene attraverso il sito istituzionale (www.villapisani.beniculturali.it). Il Museo Nazionale Villa Pisani, inoltre, ha aderito alla Carta dei Servizi delle Ville Venete, consultabile nel sito della regione Veneto... Dal 2000 il museo partecipa attivamente a tutte le iniziative di valorizzazione via via proposte dal Ministero: Settimana della cultura, Giornate europee del patrimonio, Maggio dei libri, 150o dell'Unità d'Italia, Centenario della Grande Guerra, ecc. Il museo, inoltre, da anni offre giornate di apertura straordinaria, anche con programmazione di eventi culturali, per il Primo Maggio, Natale e Capodanno».
  Relativamente, poi, ai dati contabili e sul personale richiesti nell'interrogazione, si precisa che la predetta Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso ha fornito i seguenti dati:
   le entrate da biglietti, nel 2013, sono ammontate ad euro 255.167,57 per un numero di visitatori pari, nel predetto anno, a 97.583;
   relativamente ad altri introiti registrati, nel 2013, le
royalties derivanti dal bookshop sono ammontate ad euro 11.000,00, il canone pagato dalla società per i servizi aggiuntivi è stato pari ad euro 40.000,00 e le somme incassate per concessione di spazi o riprese fotografiche sono state pari euro 11.379,81;
   il personale attualmente in servizio presso la villa è pari a 35 unità, di cui 4 funzionari di area III con funzioni di direttore, conservatore-restauratore, responsabile delle manutenzioni e responsabile degli impianti, 30 unità di area II addette alla vigilanza e accoglienza ed un operatore amministrativo gestionale di area II.

  Per quanto concerne, poi, i dati relativi ai finanziamenti stanziati dal Ministero per la Villa nel 2013, la già menzionata Soprintendenza ha ricordato che, oltre alle spese per il personale presente, il Ministero ha stanziato, per suo tramite, la somma di euro 130.000,00 per le manutenzioni (di cui euro 60.000,00 per la manutenzione del parco e euro 70.000,00 per la manutenzione ordinaria), e la somma di euro 25.000,00 per un progetto integrato per la valorizzazione del complesso concernente il miglioramento della fruibilità degli spazi e accesso in sicurezza ai vari settori del parco.
  In aggiunta a tali fondi, poi, il Ministero è intervenuto anche tramite la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto, la quale ha fornito il seguente riepilogo delle disponibilità finanziarie giacenti nella propria contabilità:
   euro 989.871,00, afferenti alla programmazione dei fondi 8 per mille provenienti dall'anno 2010. Si tratta di un finanziamento dedicato per la maggior parte all'esecuzione di lavorazioni impiantistiche del museo, segnatamente quelle di sicurezza. A tal fine, mediante un distinto finanziamento di euro 100.000,00, provenienti dalla programmazione dei fondi del gioco del lotto A.F. 2010, la scrivente (direzione regionale) ha provveduto ad individuare, tramite procedura negoziata, uno studio di ingegneria che ha già consegnato gli elaborati progettuali richiesti. Questi elaborati sono stati integrati con quelli riguardanti il restauro architettonico, predisposti dalla competente Soprintendenza in un unico elaborato tecnico. Attualmente è in via di pubblicazione il bando di gara per l'esecuzione delle menzionate lavorazioni;
   euro 238.000,00, afferenti la programmazione dei fondi di cui alla quota del gioco del lotto riservata al restauro di beni culturali A.F. 2013, che serviranno ad esecuzione di opere di restauro e di miglioramento antisismico. La competente Soprintendenza sta predisponendo gli elaborati progettuali che si prevede verranno ultimati entro poche settimane.

  Oltre ai dati sopra ricordati, la già citata Soprintendenza ha ricordato che «importantissima è l'attività didattica offerta alle scuole nel corso dell'anno scolastico, che coincide anche con il periodo di minore affluenza turistica (l'affluenza massima si registra, difatti, da aprile a settembre). Ogni anno più di 150 classi (molte delle quali provenienti dal territorio circostante o comunque del Veneto: anche questa può essere considerata una forma di servizio particolarmente indirizzata alle comunità locali) usufruiscono gratuitamente di percorsi e laboratori didattici, grazie alla presenza del Servizio educativo della Soprintendenza, formato da personale interno. Lo stesso servizio cura anche l'offerta destinata al pubblico adulto e alle famiglie con bambini in età scolare (progetto “Nati per leggere”), in un'ottica di educazione permanente e alla cittadinanza, su temi specifici. Tutte queste attività sono pubblicizzate nel sito www.villapisani.beniculturali.it. Il gradimento del pubblico per queste attività è monitorato tramite schede di gradimento in forma anonima e il riscontro è assolutamente positivo».
  Chiarito così lo stato dell'arte, ci si sofferma brevemente sull'analisi delle criticità specificamente richiamate nell'interrogazione che riguarderebbero la gestione di Villa Pisani.
  In merito, la più volte citata Soprintendenza ha esposto quanto segue:
   con riferimento a quanto riportato nell'interrogazione circa la presenza di «stanze chiuse» e «spazi e stanze che risultano restaurate ma chiuse»: tutte le stanze del piano nobile, che costituisce la parte di allestimento museale della Villa, sono visibili al pubblico; negli ultimi anni lo spazio espositivo si è arricchito di altre due sale a pianterreno, utilizzate anche come sala conferenza e per le attività didattiche;
   con riferimento alla presenza di «scarse note didascaliche»: non corrisponde al vero, in quanto in ogni stanza sono presenti approfondite schede descrittive in 4 lingue (italiano, inglese, tedesco e francese), in alcune stanze vi sono ulteriori pannelli esplicativi relativi alla storia del complesso museale e a pezzi d'arredo di particolare pregio o recentemente restaurati; nei luoghi più significativi del parco sono presenti dei pannelli esplicativi in italiano e in inglese;
   con riferimento ai «pochi oggetti e mobilio esposto»: la disposizione di mobili e oggetti nel piano nobile della Villa è stata oggetto di un accurato. riallestimento basato su di un «Inventario degli arredi mobili» del 1895 conservato nell'archivio storico del museo, curato con la consulenza del professor Enrico Colle, uno dei maggiori esperti di storia delle arti applicate in Italia e che ha curato analoghi allestimenti in altre importanti residenze storiche, come Palazzo Pitti. Tutti gli oggetti esposti, secondo un criterio di carattere filologico, fanno parte della storia del complesso museale. Negli ultimi anni l'allestimento è stato comunque ulteriormente arricchito con altri oggetti provenienti dai depositi del museo, come con il restauro della sala da pranzo, l'allestimento della camera da letto del Duca di Modena e della Camera della Regina di Svezia, tutti frutto di ricerche d'archivio e con pezzi originali;
   con riferimento all'affermazione secondo cui «Nonostante risulti agli interpellanti che i magazzini ospitino molti oggetti che testimoniano la storia della Villa»: gli oggetti ospitati nei magazzini sono, per la massima parte, pezzi giunti in consegna al museo nel 1961 dal Palazzo Reale di Venezia, che non fanno quindi assolutamente parte del patrimonio originale della Villa (in particolare da varie residenze sabaude). Attualmente, comunque, si sta svolgendo un lavoro di revisione inventariale dei beni conservati nei depositi;
   con riferimento all'affermazione secondo cui «alcune torri di osservazione panoramiche inagibili nel parco»: le terrazze panoramiche di alcuni edifici del parco non sono effettivamente agibili, ma a causa di motivi di sicurezza e per la tutela della salute dei visitatori;
   con riferimento all'affermazione secondo cui «poche sono ancora le occasioni importanti di richiamo turistico e le mostre allestite accolgono un pubblico troppo di nicchia rispetto alle potenzialità della Villa»: le potenzialità di accoglienza della Villa sono numericamente determinate dalle esigenze di sicurezza e dalle necessità di tutela del bene.

  Inoltre, la Soprintendenza ha ricordato che «la villa viene aperta al pubblico anche con gratuità in occasione di occasioni particolari organizzate dal Comune: il carnevale, il cinema d'estate eccetera. Ultimamente si è intrecciato un rapporto di collaborazione con i Comuni della Riviera del Brenta, volto a inserire Villa Pisani nella comunicazione congiunta delle attività programmate dai Comuni e dalle associazioni presenti nel territorio».
  In merito, poi, al rilievo secondo cui non esiste alcun incentivo alla fruizione della Villa per i residenti, si ricorda che è previsto un biglietto unico per la visita della Villa, del parco e della mostra per i residenti nei comuni di Campagna Lupia, Camponogara, Campolongo Maggiore, Dolo, Fiesso d'Artico, Fossò, Mira, Strà e Vigonovo dal costo pari ad euro 5.
  Per quanto attiene, infine, alle mostre ospitate, la Soprintendenza ricorda che «ogni anno Villa Pisani ospita significative mostre organizzate e ampiamente pubblicizzate dalla ricordata società Munus, concessionaria dei servizi al pubblico di Villa Pisani. Ad ogni mostra si accompagna il relativo catalogo. Al momento è in corso la mostra “Luce su Venezia. Viaggio nella fotografia dell'Ottocento” (12 aprile-2 novembre 2014), con esposte 200 preziose fotoincisioni del capolavoro di Ferdinando Ongania, “Calli e canali di Venezia”. Ad essa si accompagna l'innovativa forma promozionale e partecipativa di un concorso fotografico, in esito al quale trenta foto verranno poi esposte».

Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoDario Franceschini.


   NASTRI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   le recenti notizie pubblicate dagli organi di stampa la scorsa settimana, secondo le quali il Governo indiano si appresterebbe a ricevere il consenso da parte del Ministero degli esteri indiano, attraverso un rapporto della polizia investigativa locale, che prevederebbe gli estremi per applicare una norma che stabilisce la pena di morte per i due marò italiani trattenuti in India da circa due anni, non possono che destare a giudizio dell'interrogante sconcerto e incredulità;
   l'incontro avuto a Palazzo Chigi la scorsa settimana tra il Presidente del Consiglio dei ministri Letta, il Ministro interrogato e il Guardasigilli Cancellieri, evidenzia come la situazione relativa all'incolumità dei due militari italiani, stia sprofondando verso scenari negativi e allarmanti, dalle conseguenze imprevedibili;
   l'azione diplomatica avviata nel corso degli oltre 500 giorni trascorsi dall'arresto dei marinai italiani, sia dal precedente Governo Monti, che dall'attuale Esecutivo, si è dimostrata, a giudizio dell'interrogante, debole, scarsamente incisiva e confusa nell'avviare una condotta politico-diplomatica lineare e convincente in grado di risolvere positivamente ciò che è diventato un incidente diplomatico fra i due Paesi;
   l'interrogante evidenzia inoltre, le diverse rassicurazioni che il Governo italiano a più riprese, ha ricevuto dal Paese indiano, sull'esito positivo di una vicenda che sta diventando grave e inaccettabile, ma ciononostante la situazione sembrerebbe evolversi negativamente –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritengano opportuno intervenire nelle sedi europee ed internazionali anche coinvolgendo la massima organizzazione intergovernativa internazionale, l'ONU, al fine di adottare le opportune iniziative volte a ripristinare i diritti umani e la sicurezza dei militari italiani;
   se siano in possesso di informazioni ulteriori rispetto a quanto pubblicato dalla stampa italiana ed internazionale sulla vicenda che conferma evidenti rischi e in caso affermativo, se non ritengano urgente e necessario fornire ogni elemento in merito all'evolversi della situazione;
   se, ove fossero confermate le notizie pubblicate dagli organi di stampa, in considerazione del comportamento ambiguo e di scarsa correttezza da parte del Governo indiano, non ritengano infine opportuno valutare l'opportunità di sospendere i negoziati di libero scambio tra Italia e India, al fine di rafforzare le iniziative italiane, anche sul versante commerciale, nei riguardi di un Paese che non rispetta i diritti umani. (4-03127)

  Risposta. — Come illustrato di recente in Parlamento dal Ministro degli affari esteri Mogherini, il Governo italiano ha aperto una fase nuova nella questione dei fucilieri di Marina. Essa prevede infatti un'internazionalizzazione del caso, che viene ora seguito, dal punto di vista tecnico-giuridico, da un gruppo di esperti, anche internazionali.
  Rimangono inoltre costanti i contatti del Ministro Mogherini, insieme alla collega Pinotti, con i due fucilieri di Marina e con le loro famiglie per condividere passo passo tutti i passaggi che il Governo sta effettuando nella fase che si è appena aperta.
  I due fucilieri, nei cui confronti – come noto – le autorità indiane non hanno formulato alcun capo di imputazione, hanno sempre contato e continuano a contare sull'assistenza e il sostegno dell'ambasciata italiana a Nuova Delhi, struttura nella quale sono tuttora ospitati e dove spesso ricevono la visita delle rispettive famiglie, con l'ultima che si è di recente conclusa.
  Come anticipato nelle sedi parlamentari dal Ministro Mogherini, l'11 maggio ha fatto rientro a New Delhi l'ambasciatore Mancini, richiamato per consultazioni nel febbraio 2014.
  In merito all'Expo di Milano del 2015, le autorità di Nuova Delhi sono state tra le prime ad accogliere l'invito del Governo italiano a partecipare all'Esposizione universale. Per tale motivo, l'India rientra tecnicamente nel novero dei Paesi aderenti all'Expo. Tuttavia, si segnala che dal dicembre 2012 il
team indiano di tecnici ha interrotto ogni contatto con la società Expo.
  L'avvio della nuova fase conferma la perdurante buona fede del Governo italiano nella ricerca di una soluzione consensuale della controversia. Come più volte è stato anche richiesto dal Parlamento, da ultimo con un ordine del giorno unanime votato dall'Aula della Camera in occasione della conversione dell'ultimo decreto-legge missioni e sottoscritto da tutti i gruppi parlamentari, questa è la strada che il Governo ha scelto di intraprendere con il sostegno unanime e convinto del Parlamento stesso. Tale impostazione conferma che la nuova strategia di internazionalizzazione che si è aperta è effettivamente rappresentativa della volontà di tutto il popolo italiano e delle sue istituzioni. Si tratta di una fase sulla quale il Governo conta di procedere nel modo più condiviso, più trasparente e più convinto possibile, con l'auspicio che i due fucilieri possano ritornare definitivamente in Italia quanto prima e nel miglior modo possibile.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriBenedetto Della Vedova.


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   le ulteriori e recenti novità del Governo indiano sulla vicenda due Marò italiani trattenuti in India, da quasi due anni, confermano a giudizio dell'interrogante, lo stato di confusione e di indeterminatezza da parte delle autorità indiane, nel gestire e risolvere in via definitiva un avvenimento dai risvolti grotteschi, se si considerano i rinvii continui, le dichiarazioni contraddittorie e le successive smentite da parte delle medesime autorità di New Delhi;
   l'interrogante evidenzia che se è stato dichiarato che per i due marinai italiani non sarà prevista la pena capitale, risulta inaccettabile processare i medesimi sulla base di una legge antiterrorismo internazionale, che prevede addirittura dieci anni di reclusione;
   le dichiarazioni contraddittorie che giungono dall'India da parte degli organi d'informazione internazionali, in questi giorni, non rendono chiara la situazione attuale, nell'ambito delle decisioni definitive che il Governo indiano intende adottare;
   se le intenzioni da parte delle autorità indiane sono quelle di allungare i tempi per deliberare definitivamente quali saranno le decisioni per i nostri connazionali, a dopo le elezioni politiche di maggio, l'interrogante evidenzia come tale scelta sia strumentale oltre che inaccettabile –:
   quali orientamenti intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa, nell'ambito delle rispettive competenze;
   se siano in possesso di ulteriori informazioni sulle sorti dei due marinai italiani, bloccati in India da un periodo di tempo ormai esagerato, rispetto a quelle confuse pubblicate e diffuse dagli organi di informazione nazionale e, in caso affermativo, se non ritengano opportuno fornire chiarimenti sulle novità eventuali;
   quali iniziative urgenti e necessarie intendano intraprendere al fine di dirimere definitivamente la vicenda internazionale, per far rientrare definitivamente i due marinai italiani nel nostro Paese, posto che la situazione, a seguito dell'arresto, si sta rivelando a giudizio dell'interrogante, preoccupante e intollerabile se si valuta l'andamento delle indagini da parte delle autorità preposte indiane.
(4-03525)

  Risposta. — Come illustrato di recente in Parlamento dal Ministro degli affari esteri Mogherini, il Governo italiano ha aperto una fase nuova nella questione dei fucilieri di Marina. Essa prevede infatti un'internazionalizzazione del caso, che viene ora seguito, dal punto di vista tecnico-giuridico, da un gruppo di esperti, anche internazionali.
  Rimangono inoltre costanti i contatti del Ministro Mogherini, insieme alla collega Pinotti, con i due fucilieri di Marina e con le loro famiglie per condividere passo passo tutti i passaggi che il Governo sta effettuando nella fase che si è appena aperta.
  I due fucilieri, nei cui confronti – come noto – le autorità indiane non hanno formulato alcun capo di imputazione, hanno sempre contato e continuano a contare sull'assistenza e il sostegno dell'Ambasciata italiana a Nuova Delhi, struttura nella quale sono tuttora ospitati e dove spesso ricevono la visita delle rispettive famiglie, con l'ultima che si è di recente conclusa.
  Come anticipato nelle sedi parlamentari dal Ministro Mogherini, l'11 maggio ha fatto rientro a New Delhi l'ambasciatore Mancini, richiamato per consultazioni nel febbraio 2014.
  In merito all'Expo di Milano del 2015, le autorità di Nuova Delhi sono state tra le prime ad accogliere l'invito del Governo italiano a partecipare all'Esposizione universale. Per tale motivo, l'India rientra tecnicamente nel novero dei Paesi aderenti all'Expo. Tuttavia, si segnala che dal dicembre 2012 il
team indiano di tecnici ha interrotto ogni contatto con la società Expo.
  L'avvio della nuova fase conferma la perdurante buona fede del Governo italiano nella ricerca di una soluzione consensuale della controversia. Come più volte è stato anche richiesto dal Parlamento, da ultimo con un ordine del giorno unanime votato dall'Aula della Camera in occasione della conversione dell'ultimo decreto-legge missioni e sottoscritto da tutti i gruppi parlamentari, questa è la strada che il Governo ha scelto di intraprendere con il sostegno unanime e convinto del Parlamento stesso. Tale impostazione conferma che la nuova strategia di internazionalizzazione che si è aperta è effettivamente rappresentativa della volontà di tutto il popolo italiano e delle sue istituzioni. Si tratta di una fase sulla quale il Governo conta di procedere nel modo più condiviso, più trasparente e più convinto possibile, con l'auspicio che i due Fucilieri possano ritornare definitivamente in Italia quanto prima e nel miglior modo possibile.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriBenedetto Della Vedova.


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il ventiseiesimo rinvio da parte della Corte di giustizia suprema indiana, dell'udienza relativa alla vicenda dei marò italiani Latorre e Girone, deciso la scorsa settimana per deliberare se sia da applicare la normativa anti-terrorismo e anti-pirateria nei confronti dei due fucilieri di marina, a giudizio dell'interrogante, oltre a manifestare l'evidente incapacità indiana di gestire il caso internazionale, sta assumendo i toni di una farsa, in considerazione dell'atteggiamento di continui ed inspiegabili rinvii da parte delle autorità indiane nel definire in modo risoluto un evento dai risvolti assurdi, che ormai da due anni;
   le dichiarazioni da parte del Ministro degli esteri indiani, successivamente contraddette, dal suo stesso Governo e in seguito nuovamente confermate e ancora smentite, dalla Corte di giustizia suprema indiana, alimentano a parere dell'interrogante, la convinzione della scarsa considerazione che le stesse autorità indiane, hanno sia nell'osservanza dei Trattati internazionali, nell'ambito del rispetto della giurisdizione, che in particolar modo nei riguardi del nostro Paese;
   a giudizio dell'interrogante, necessitano interventi quanto mai rigorosi e decisi, in grado di determinare un effetto mediatico a livello mondiale, di rilevante risonanza, finalizzato a condizionare profondamente l'atteggiamento delle autorità indiane nei riguardi del nostro Paese palesemente lesivo, che possano pertanto di invertire, il comportamento remissivo e inaccettabile, del Governo indiano per la vicenda dei due fucilieri della marina militare italiana, prigionieri da due anni in India, accusati di aver ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati;
   l'esposizione universale di EXPO 2015, che porrà al centro dell'attenzione le sfide globali, in tema di sviluppo e sicurezza alimentare, rivolgendo l'interesse e la solidarietà verso i Paesi più poveri, com’è noto, si svolgerà in Italia e prevede la partecipazione di oltre 150 Paesi partecipanti fra cui l'India, ed un numero cospicuo di enti internazionali;
   il percorso di riavvicinamento all'evento mondiale che partirà il 1° maggio del 2015, ha visto un forte coinvolgimento del Governo di New Delhi, che ha considerato particolarmente attrattiva la manifestazione organizzata dal nostro Paese, in tema di alimentazione sostenibile e di ricerca e sviluppo per garantire cibo e acqua alla popolazione mondiale;
   a giudizio dell'interrogante, il suindicato evento mondiale, rappresenta l'occasione per intervenire nei riguardi del Paese indiano, al fine di escluderlo dalla manifestazione, in quanto considerata non gradita la presenza, a seguito dell'atteggiamento umiliante messo in atto da parte del Governo di New Delhi e della magistratura indiana nei riguardi del nostro Paese;
   la predetta misura di estromissione dell'India, dallo svolgimento di EXPO 2015, ad avviso dell'interrogante, determinerebbe pertanto, come in precedenza rilevato, un effetto mediatico mondiale, condiviso ed efficace da parte della comunità internazionale ed in particolare nei confronti dei rappresentanti diplomatici indiani, dimostratisi inadeguati e scorretti nei confronti dell'Italia –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se ritengano in considerazione della situazione relativa alla vicenda dei due fucilieri italiani, ingiustamente trattenuti in India, da due anni, vicenda divenuta a giudizio dell'interrogante, ormai grottesca e stupefacente se si valutano i continui rinvii e gli atteggiamenti assunti dal Governo indiano sulle decisioni da intraprendere nei riguardi del futuro dei nostri militari, che siano necessari interventi rigorosi e intransigenti, come quello esposto in premessa. (4-03701)

  Risposta. — Come illustrato di recente in Parlamento dal Ministro degli affari esteri Mogherini, il Governo italiano ha aperto una fase nuova nella questione dei fucilieri di Marina. Essa prevede infatti un'internazionalizzazione del caso, che viene ora seguito, dal punto di vista tecnico-giuridico, da ori gruppo di esperti, anche internazionali.
  Rimangono inoltre costanti i contatti del Ministro Mogherini, insieme alla collega Pinotti, con i due fucilieri di Marina e con le loro famiglie per condividere passo passo tutti i passaggi che il Governo sta effettuando nella fase che si è appena aperta.
  I due fucilieri, nei cui confronti – come noto – le autorità indiane non hanno formulato alcun capo di imputazione, hanno sempre contato e continuano a contare sull'assistenza e il sostegno dell'ambasciata italiana a Nuova Delhi, struttura nella quale sono tuttora ospitati e dove spesso ricevono la visita delle rispettive famiglie, con l'ultima che si è di recente conclusa.
  Come anticipato nelle sedi parlamentari dal Ministro Mogherini, l'11 maggio ha fatto rientro a New Delhi l'ambasciatore Mancini, richiamato per consultazioni nel febbraio 2014.
  In merito all'Expo di Milano del 2015, le autorità di Nuova Delhi sono state tra le prime ad accogliere l'invito del Governo italiano a partecipare all'Esposizione universale. Per tale motivo, l'India rientra tecnicamente nel novero dei Paesi aderenti all'Expo. Tuttavia, si segnala che dal dicembre 2012 il
team indiano di tecnici ha interrotto ogni contatto con la società Expo.
  L'avvio della nuova fase conferma la perdurante buona fede del Governo italiano nella ricerca di una soluzione consensuale della controversia. Come più volte è stato anche richiesto dal Parlamento, da ultimo con un ordine del giorno unanime votato dall'Aula della Camera in occasione della conversione dell'ultimo decreto-legge missioni e sottoscritto da tutti i gruppi parlamentari, questa è la strada che il Governo ha scelto di intraprendere con il sostegno unanime e convinto del Parlamento stesso. Tale impostazione conferma che la nuova strategia di internazionalizzazione che si è aperta è effettivamente rappresentativa della volontà di tutto il popolo italiano e delle sue istituzioni. Si tratta di una fase sulla quale il Governo conta di procedere nel modo più condiviso, più trasparente e più convinto possibile, con l'auspicio che i due fucilieri possano ritornare definitivamente in Italia quanto prima e nel miglior modo possibile.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriBenedetto Della Vedova.


   NASTRI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto ha dichiarato l'Alto Commissario per i diritti umani Navi Pillay, l’iter giudiziario a cui sono sottoposti i due marò italiani, arrestati in India sta violando i loro diritti umani, determinando un nuovo capitolo nella complessa vicenda giuridico-diplomatica dei fucilieri della Marina militare Latorre e Girone;
   a tal proposito in un articolo pubblicato dal quotidiano: «Il Tempo» il 15 marzo, il professor Tullio Scovazzi, docente di diritto internazionale presso l'università degli studi di Milano-Bicocca, ha rilevato come sia l'India che l'Italia sono parti del Patto internazionale sui diritti civili e politici, aggiungendo inoltre che l'articolo 9 del documento prevede, tra l'altro: «Chiunque sia arrestato è informato, al momento dell'arresto, delle ragioni del suo arresto ed è prontamente informato di ogni accusa contro di lui e ha diritto a un giudizio entro un tempo ragionevole o a essere liberato» (traduzione non ufficiale italiana);
   nel caso specifico, considerato il comportamento delle autorità giudiziarie indiane, nonostante il fatto che il procedimento sia indubbiamente complesso e che i fucilieri stessi abbiano invocato la loro immunità dalla giurisdizione indiana, cosa che non ha contribuito ad accelerarne la soluzione, la vicenda che dura ormai da oltre due anni, a giudizio dell'interrogante, necessita ulteriori interventi rispetto a quelli già intrapresi in tutte le sedi internazionali;
   i diritti umani, secondo quanto affermato dal docente, sono enunciati nella Costituzione e nelle leggi degli Stati, ed hanno un doppio livello di protezione, in quanto sono enunciati anche in numerosi trattati internazionali mediante i quali gli Stati si obbligano a rispettare determinati diritti umani (ad esempio, la Convenzione europea dei diritti umani);
   tali trattati creano diritti e obblighi per gli Stati che ne sono parti ed anche i singoli individui possono direttamente fare valere tali diritti o di fronte agli organi degli Stati o di fronte ad appositi organi giudiziari o quasi giudiziari istituiti dai trattati stessi (ad esempio, la Corte europea dei diritti umani);
   l'interrogante evidenzia come le osservazioni riportate nel corso dell'intervista pubblicata dal suindicato quotidiano, siano condivisibili e necessitano pertanto ulteriori approfondimenti –:
   quali iniziative di competenza intendano assumere in relazione alla vicenda di cui in premessa. (4-04061)

  Risposta. — Come illustrato di recente in Parlamento dal Ministro degli affari esteri Mogherini, il Governo italiano ha aperto una fase nuova nella questione dei fucilieri di Marina. Essa prevede infatti un'internazionalizzazione del caso, che viene ora seguito, dal punto di vista tecnico-giuridico, da un gruppo di esperti, anche internazionali.
  Rimangono inoltre costanti i contatti del Ministro Mogherini, insieme alla collega Pinotti, con i due fucilieri di Marina e con le loro famiglie per condividere passo passo tutti i passaggi che il Governo sta effettuando nella fase che si è appena aperta.
  I due fucilieri, nei cui confronti – come noto – le autorità indiane non hanno formulato alcun capo di imputazione, hanno sempre contato e continuano a contare sull'assistenza e il sostegno dell'Ambasciata italiana a Nuova Delhi, struttura nella quale sono tuttora ospitati e dove spesso ricevono la visita delle rispettive famiglie, con l'ultima che si è di recente conclusa.
  Come anticipato nelle sedi parlamentari dal Ministro Mogherini, l'11 maggio ha fatto rientro a New Delhi l'ambasciatore Mancini, richiamato per consultazioni nel febbraio 2014.
  In merito all'Expo di Milano del 2015, le autorità di Nuova Delhi sono state tra le prime ad accogliere l'invito del Governo italiano a partecipare all'Esposizione universale. Per tale motivo, l'India rientra tecnicamente nel novero dei Paesi aderenti all'Expo. Tuttavia, si segnala che dal dicembre 2012 il
team indiano di tecnici’ ha interrotto ogni contatto con la società Expo.
  L'avvio della nuova fase conferma la perdurante buona fede del Governo italiano nella ricerca di una soluzione consensuale della controversia. Come più volte è stato anche richiesto dal Parlamento, da ultimo con un ordine del giorno unanime votato dall'Aula della Camera in occasione della conversione dell'ultimo decreto-legge missioni e sottoscritto da tutti i gruppi parlamentari, questa è la strada che il Governo ha scelto di intraprendere con il sostegno unanime e convinto del Parlamento stesso. Tale impostazione conferma che la nuova strategia di internazionalizzazione che si è aperta è effettivamente rappresentativa della volontà di tutto il popolo italiano e delle sue istituzioni. Si tratta di una fase sulla quale il Governo conta di procedere nel modo più condiviso, più trasparente e più convinto possibile, con l'auspicio che i due fucilieri possano ritornare definitivamente in Italia quanto prima e nel miglior modo possibile.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriBenedetto Della Vedova.


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   ad avviso dell'interrogante, negli ultimi anni si è fatto un ricorso sproporzionato a decreti attuativi di norme licenziate dal Parlamento: questi decreti troppo spesso risultano essere l'ultimo tassello mancante per poter dare piena attuazione a disposizioni di legge, e in alcuni casi produrrebbero positivi effetti economico-finanziari o addirittura risulterebbero necessari per liberare direttamente decine di milioni di euro in favore delle imprese, come nel caso del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione;
   tale fenomeno, congiuntamente alla lentezza degli uffici governativi nel predisporre codesti testi, ha prodotto un tangibile ritardo nell'emanazione dei decreti che, conseguentemente, si sono vistosamente accumulati;  
   nella interpellanza n. 2/00444 del 10 marzo 2014, l'interrogazione già denunciava il grave stato di inadempienza in cui versavano i vari Ministeri, in merito al rispetto dei tempi di emanazione dei vari decreti attuativi;
   il quotidiano «Il Sole 24 Ore», attraverso l'iniziativa di monitoraggio «Rating 24», pubblica periodicamente dei rapporti sullo stato di questi decreti e, secondo l'ultima rilevazione effettuata pubblicata in due recenti articoli del 22 e del 25 aprile 2014, vi sarebbero, a seguito del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, circa 540 decreti attuativi mancanti, senza contare 36 provvedimenti non più adottabili perché sono venuti meno i presupposti;
   da una breve analisi dei dati si può notare come nel corso degli ultimi 3 Governi che si sono susseguiti alla guida del Paese, i cui Presidenti del Consiglio sono rispettivamente Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi, il numero dei provvedimenti attuativi pendenti sia costantemente e inesorabilmente aumentato;
   infatti, se nell'agosto del 2012 i decreti attuavi mancanti ammontavano a circa 340, nel febbraio 2014, erano aumentati a circa 480, mentre ad oggi sarebbero circa 540: dunque, in circa un anno e 8 mesi, il numero dei decreti attuativi da emanare è aumentato di quasi il 60 per cento, nonostante nell'agosto del 2012 fosse stata annunciata la costituzione di una task force incaricata di monitorare l'attività dei vari Ministeri chiamati ad applicare le varie disposizioni;
   i ritardi sono talmente evidenti che i termini per l'approvazione di 200 di questi risulterebbero addirittura scaduti, mentre per molti dei rimanenti 340 i termini non sono stati neppure previsti;
   spesso si tratta di decreti dal contenuto molto limitato, costituiti dà pochi od unici articoli, e dunque semplici e rapidi da produrre, verso i quali il Governo ha evidenziato in certe occasioni, ad avviso dell'interrogante, una vera e propria assenza di interesse ovvero una marcata intenzione di ritardarne o comunque ostacolarne l'emanazione;
   a questo proposito, si riporta, a mero titolo esemplificativo, la vicenda legata al decreto ministeriale che ha consentito anche a privati cittadini la possibilità di effettuare versamenti nel Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese: tale possibilità fu ottenuta grazie ad un emendamento, presentato dal MoVimento 5 Stelle nell'agosto del 2013 durante l'esame della legge di conversione del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, cosiddetto «del fare»; il relativo decreto attuativo, costituito da un unico articolo suddiviso in tre brevissimi commi, è stato adottato dal Ministero dell'economia e delle finanze in data 18 dicembre 2013, solo a seguito di quasi tre giorni di protesta pacifica da parte di semplici cittadini oltre che di simpatizzanti, attivisti ed esponenti del MoVimento 5 Stelle;
   tra i decreti attuativi mancanti, vi sono anche quelli relativi al decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149: secondo quanto rilevato da «Il Sole 24 Ore», dei 5 provvedimenti previsti, ne sarebbe stato emanato solo 1, relativo alla predisposizione dei moduli per la destinazione da parte dei contribuenti del 2 per mille dell'Irpef in vista delle dichiarazione dei redditi, mentre dei rimanenti 4 ancora da approvare (per due dei quali è già scaduto il termine per l'emanazione), alcuni riguardano, ad esempio, le modalità d'identificazione dei donatori e le modalità di vigilanza sul rispetto dei limiti delle donazioni delle società –:
   se sia a conoscenza del grave stato di inadempienza in cui versano attualmente i vari Ministeri, in merito al rispetto dei tempi di emanazione dei decreti attuativi;
   se e quali iniziative intenda intraprendere a livello collegiale, al fine di velocizzare le procedure di emanazione dei decreti attuativi ancora mancanti, che i vari Ministeri sono chiamati ad emanare;
   in che maniera e con quali tempi il Governo ed i suoi componenti intendano, ognuno per le parti di propria competenza, procedere all'emanazione dei decreti attuativi tuttora pendenti. (4-04679)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono le seguenti precisazioni.
  I dati quantitativi riferiti ai provvedimenti attuativi di specifiche disposizioni di legge non ancora adottati, manifestano, in casi che risultano effettivamente numerosi, una difficoltà da parte dei Ministeri competenti a dare concreta e tempestiva applicazione alle disposizioni legislative approvate dal Parlamento. A tale proposito, si assicura che il Governo si sta facendo carico di monitorare tale situazione che riguarda, per la massima parte, provvedimenti normativi riferiti a precedenti Esecutivi.
  Come è stato recentemente reso noto dal Presidente del Consiglio dei ministri, è intenzione del Governo privilegiare l'emanazione di leggi auto-applicative, limitando, quanto più è possibile, in fase di procedimento di formazione delle leggi, l'utilizzo dei rinvii a provvedimenti di secondo livello ed evitando di ricorrere ai «concerti» e ai «pareri» tra Ministeri se non è strettamente necessario. L'Ufficio per il programma di Governo svolgerà, a tale fine, non soltanto un ruolo di monitoraggio e di controllo sullo stato di attuazione delle leggi, ma anche di stimolo e di sollecitazione nei confronti dei Ministeri interessati, per velocizzare i procedimenti di adozione degli atti. Ai risultati di tale attività, l'Ufficio darà la massima trasparenza, assicurando alla collettività la piena conoscenza dei dati sullo stato di attuazione delle leggi di riforma approvate dal Parlamento.

Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il ParlamentoMaria Elena Boschi.


   PALAZZOTTO e FRANCO BORDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la rete di informazione contabile agricola, RICA, è uno strumento comunitario finalizzato a conoscere la situazione economica dell'agricoltura europea e a programmare e valutare la politica agricola comune, PAC;
   i dati della RICA sono funzionali ad alimentare una serie d'indicatori relativi alle caratteristiche delle aziende agricole quali: redditività, produttività, struttura dei costi e ecc.;
   la RICA svolge un'indagine campionaria annuale che fu istituita dalla Commissione economica europea nel 1965, con il regolamento (CEE) 79/56 e aggiornata con il regolamento (CE) 1217/2009;
   l'indagine campionaria viene svolta con un'impostazione analoga in tutti i Paesi membri dell'Unione europea e rappresenta l'unica fonte armonizzata di dati microeconomici sul funzionamento e sulle dinamiche economico-strutturali delle aziende operanti nel settore agricolo;
   la RICA italiana si basa su un campione ragionato di aziende, strutturato in modo da rappresentare le diverse tipologie produttive e dimensionali presenti sul territorio nazionale. Le aziende agricole che partecipano all'indagine RICA vengono selezionate sulla base di un piano di campionamento redatto in ciascun Paese membro a livello di circoscrizione;
   l'istituto nazionale di economia agraria, INEA, è stato individuato quale «organo di collegamento» tra l'Italia e l'unione europea per la creazione e la gestione della RICA (decreto del Presidente della Repubblica 1708/65). L'INEA gestisce la RICA attraverso una rete di rilevazione coordinata a livello nazionale dal «Servizio 1» e, a livello locale, dai responsabili RICA delle sedi regionali dell'INEA;
   i rilevatori dei dati contabili delle aziende della rete RICA dell'INEA per la Sicilia sono stati selezionati con un concorso per titoli – di cui alla Gazzetta Ufficiale della regione siciliana serie speciale concorsi n. 4 del 28 marzo 2003. I rilevatori sono laureati in scienze agrarie o equipollenti (in prevalenza) e diplomati periti agrari e agrotecnici;
   tale concorso prevedeva che detti tecnici specializzati svolgessero attività connesse al protocollo d'intesa tra l'INEA e l'ISTAT e le regioni e le province autonome, e le Province Autonome, con l'incarico di collaborazione coordinata e continuata o di collaborazione professionale;
   i suddetti rilevatori, allo stato attuale, attendono i pagamenti delle retribuzioni spettanti per le rilevazioni dell'anno contabile 2008, effettuate nel corso del 2009 e gestite dall'INEA tramite la regione siciliana. Dal 2009 in poi l'INEA contrattualizza e gestisce, direttamente i rilevatori siciliani e ha pagato i compensi per le rilevazioni degli anni contabili 2009, 2010, 2011 e 2012 solo ai rilevatori senza partita IVA, mentre tutti i professionisti rilevatori con partita IVA attendono, non si sa bene il perché, le retribuzioni per i lavori di rilevazione per gli anni sopra citati;
   i compensi per l'anno contabile 2008, in base al protocollo d'intesa sopra citato, per un importo di circa euro 137.400,00 sono stati trasferiti dall'INEA all'assessorato delle risorse agricole e alimentari della regione siciliana nell'aprile 2013;
   a tutt'oggi e dopo 10 mesi dal trasferimento dei compensi da parte dell'INEA, dopo una serie di passaggi burocratici tra l'assessorato delle risorse agricole e alimentari e l'assessorato dell'economia – dipartimento del bilancio e del tesoro, ragioneria generale della regione siciliana, i rilevatori non hanno ancora ricevuto alcun riscontro in merito ai loro compensi –:
   quali iniziative urgenti e immediate s'intendano porre in essere per garantire il pagamento dei compensi ai lavoratori.
(4-03468)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente il mancato pagamento dei compensi dovuti ai rilevatori di dati contabili operanti per conto della Rete di informazione contabile agricola (RICA) dell'INEA per la Sicilia (spettanti per l'attività svolta nel 2009 relativamente all'anno contabile 2008), premetto che l'INEA ha espletato la predetta attività fino all'esercizio contabile 2008 compreso, sulla base di specifiche convenzioni annuali con la regione Sicilia.
  In virtù di dette convenzioni, l'importo delle spese sostenute per la rilevazione dei dati in questione (effettuata, nel caso di specie, da personale selezionato con un concorso per titoli pubblicato nella G.U. della regione Siciliana) è stato corrisposto alla regione Sicilia cui spetta, pertanto, il pagamento dei corrispettivi di cui si chiede conto.
  Premesso quanto sopra, vorrei comunque informare l'interrogante che la regione Sicilia, con una recente nota inviata alla Federazione regionale degli ordini dei dottori agronomi e forestali, ha comunicato di aver impegnato sul bilancio 2014 la somma spettante ai predetti rilevatori per la campagna 2008, i cui compensi saranno corrisposti nel corso del corrente anno.
  Con l'occasione evidenzio che, dal 2009, la gestione delle rilevazioni RICA viene effettuata direttamente dall'INEA, avvalendosi di rilevatori selezionati tra gli iscritti all'albo degli esperti INEA sulla base delle competenze professionali possedute. Tale modifica di conduzione dell'indagine (che riguarda la quasi totalità delle regioni) è stata decisa dall'INEA per esercitare un maggiore controllo sulla qualità dei dati rilevati.
  Peraltro, fermo restando che la gestione della RICA è stata attribuita all'INEA con la legge istitutiva dell'ente che prevede, altresì, la copertura di tutti gli oneri di funzionamento (compresa la realizzazione dell'indagine), è da evidenziare che il contributo ordinario per il suo finanziamento è stato sensibilmente ridotto nel tempo (attestandosi, oggi, a circa 450.000 euro) e che il rimborso europeo per la trasmissione delle informazioni destinate ad implementare la banca dati europea (percepito dallo Stato, andando ad alimentare direttamente il fondo di rotazione del Ministero dell'economia e delle finanze) ammonta a circa 1,8 milioni di euro.
  L'Unione europea, del resto, reputando che le fonti statistiche di ciascuno Stato membro dispongano già di informazioni ufficiali sul funzionamento e sui redditi delle imprese agricole, eroga il «rimborso» solo per coprire la rilevazione di eventuali informazioni aggiuntive, elaborazioni specifiche e la trasmissione dei dati secondo tracciati stabiliti dalla Commissione.
  Tenendo altresì conto che la rilevazione dei dati in questione viene eseguita dall'INEA (che è anche membro del SISTAN) per assolvere all'obbligo comunitario e che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali fa fronte al finanziamento della RICA con un contributo straordinario, appare evidente che il rimborso comunitario va a coprire solo una parte degli costi.
  L'effettiva erogazione di detto contributo avviene, annualmente, mediante un anticipo del 50 per cento della spesa programmata da parte del fondo di rotazione (anticipo che include la quota di cofinanziamento nazionale e il rimborso comunitario); il restante 50 per cento viene corrisposto solo dopo il pagamento di tutte le spese quietanzate e rendicontate. Tuttavia, dopo aver fatto fronte alle spese indifferibili per la gestione dell'indagine (che risultano, nel complesso, superiori all'anticipo percepito), l'INEA si trova nella situazione di dover anticipare le restanti spese (fino al 100 per cento dell'importo programmato) per poter rendicontare il progetto e ricevere il saldo. In una situazione di scarsa liquidità che caratterizza tutti gli enti pubblici, tale anticipazione di spesa risulta di difficile attuazione.
  Nonostante il recentemente commissariamento di INEA da parte della mia amministrazione, dovuto anche a causa delle evidenti difficoltà di cassa, ci stiamo comunque adoperando per definire con il Fondo di rotazione (IGRUE-MEF) soluzioni tecniche, già condivise con i Ministeri competenti che, se concretamente adottate in tempi brevi, consentiranno all'INEA di procedere, entro la fine del 2014, al pagamento di almeno due delle quattro annualità arretrate.
  In ogni caso, l'INEA ha predisposto gli atti amministrativi per il pagamento dei compensi dovuti per l'anno contabile RICA 2009 e, nelle more della liquidazione dei compensi dovuti, ha già provveduto a rilasciare, per tutti i rilevatori, le certificazioni dei crediti maturati negli anni 2009 2010 e 2011 attraverso la piattaforma per la certificazione dei crediti della pubblica amministrazione all'uopo predisposta dal Ministero dell'economia e delle finanze.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   REALACCI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   come lamentato nei giorni scorsi da Amnesty international ed anche da alcune Ong che operano in Kenya, ad esempio Afrikasi, fino a 3.000 abitanti degli «slum» di Nairobi, capitale del Kenya, rischiano di essere sfrattati con la forza dalle loro baracche per far posto a una strada nell'ambito di un progetto di urbanizzazione e riduzione della povertà finanziato dall'Unione europea per circa 37 milioni di euro;
   il paradosso è dato dal fatto che accanto alle buone finalità di aiuto e sviluppo del progetto di cooperazione si affiancano da parte della autorità kenyote pratiche di violenze, demolizioni forzate con incendi di baracche e da ultimo la gravissima non «riprotezione» in altri alloggi degli sfrattati che perdono, con la distruzione degli slum, un riparo anche se di fortuna;
   pare quindi che l'intento del Governo di Nairobi sia quello di spostare la baraccopoli con il solo effetto di spingere ancora di più nella povertà gli abitanti di Deep Sea –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda, se essa corrisponda al vero e quali azioni intenda mettere in campo, per quanto di competenza, anche in ambito comunitario, affinché il sopraddetto progetto venga implementato non a discapito delle popolazioni degli slum che dovrebbero essere le prime beneficiarie dello strumento di aiuto di cooperazione. (4-04135)

  Risposta. — La costruzione del tratto di strada che comporta l'evacuazione di famiglie da una sezione dell'insediamento («slum») di Deep Sea presso Nairobi, rientra nell'ambito di un progetto più ampio («Nairobi Missing Links Roads and Non-Motorised Facilities») di ammodernamento della rete stradale della capitale che si avvale di finanziamenti dell'Unione europea per 31 milioni di euro, su un costo totale di 41 milioni di euro. Il Governo keniota, attraverso la Kenya Urban Road Authority-KURA, gestisce e amministra il progetto.
  Le preoccupazioni espresse da Amnesty International sono state rese note alla delegazione UE a Nairobi che si è interessata al fine di avviare un dialogo tra KURA e l'associazione dei residenti coinvolti, attraverso l'istituzione di un «
Resettlement Commitee», di cui fa parte un rappresentante eletto dai residenti dello «slum»; sono in corso trattative che dovrebbero portare ad una soluzione e a mitigare le conseguenze del «resettlement».
  In parallelo, la KURA procede con la «
notice to vacate» agli abitanti interessati di Deep Sea sulla base della legislazione keniota che prevede la notifica del preavviso formale dal proprietario all'affittuario e consente di attivare gli strumenti di salvaguardia previsti dalla normativa o dalle clausole contrattuali. In questo caso la procedura è stata avviata dal Governo nei riguardi delle famiglie che non sono in possesso di un titolo di proprietà ed occupano illegalmente appezzamenti di terreno classificati come «road reserve» di proprietà del Governo.
  Sulla base delle informazioni acquisite dalla nostra ambasciata, i lavori non potranno iniziare prima della metà dei 2015, quindi entro un arco di tempo che la delegazione UE e le autorità locali considerano sufficiente per il raggiungimento di una soluzione soddisfacente per tutti.
  La delegazione UE assicura lo stretto raccordo con la KURA al fine di garantire il rispetto dei più elevati parametri di tutela dei diritti delle famiglie nel progetto da essa cofinanziato.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriLapo Pistelli.


   SORIAL. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati diffusi in questi giorni da Save the Children con il rapporto Ending Newborn Deaths, nell'ambito della campagna globale Every One, il primo giorno della vita di un bambino è il più pericoloso e purtroppo diventa anche l'ultimo per più di due milioni di bambini nel mondo che perdono la vita poco dopo essere nati, anche a causa dei 40 milioni di donne nel mondo abbandonate a loro stesse durante la delicata fase del parto;
   il rapporto spiega che vi sono ancora 6,6 milioni di bambini che muoiono nei primi 5 anni di vita, a dimostrazione che il percorso per la lotta alla mortalità infantile è ancora lungo e sembra anche essere oramai giunto ad una fase di stallo, per cui occorre intervenire al più presto, come dichiarato dal direttore generale di Save the Children, Valerio Neri, nonostante nell'ultimo decennio siano stati fatti molti passi, grazie a un intervento globale di vaccinazioni, trattamenti per polmonite, diarrea e malaria, così come di pianificazione familiare e lotta alla malnutrizione;
   sono circa 2,9 milioni i bambini che perdono la vita nei primi 28 giorni dalla nascita e più di 1 milione di loro muoiono nel primo giorno di vita, il più pericoloso per nascite premature e complicazioni durante il parto, spesso fatali anche perché le madri partoriscono senza aiuto qualificato, mentre un milione e 200 mila bambini nascono già morti ogni anno perché il loro cuore smette di battere durante il travaglio stesso;
   la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, approvata nel 1959 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e revisionata nel 1989 con l'approvazione della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, afferma che ogni bambino, senza discriminazione alcuna, deve godere degli stessi diritti, compreso il diritto alla tutela sanitaria;
   nel settembre del 2000 i 191 membri delle Nazioni Unite, tra cui l'Italia, hanno sottoscritto e dunque adottato gli obiettivi di sviluppo del millennio (OSM), impegni per la comunità internazionale che rappresentano il più importante quadro di orientamento per la cooperazione internazionale allo sviluppo: 8 obiettivi generali che l'intera comunità internazionale si è impegnata a raggiungere entro il 2015, come sradicare la povertà estrema e la fame o garantire l'educazione primaria universale, tra i quali vi è anche quello di ridurre la mortalità infantile;
   il raggiungimento degli obiettivi del millennio entro la scadenza del 2015, non è solo un imperativo etico di solidarietà verso chi è più svantaggiato ma anche un investimento di fondamentale importanza a favore della pace, della stabilità e sicurezza a livello globale;
   mentre in Europa, nel periodo neonatale, muore un bambino su 1.000, in Africa o in alcune parti dell'Asia, il rapporto è almeno 5 volte tanto, mentre a detenere il terribile primato è il Pakistan, con il più alto tasso di neonati che muoiono durante il travaglio o comunque nel primo giorno di vita (40,7 su 1.000 nati), seguito dalla Nigeria (32,7) e dalla Sierra Leone (30,8);
   circa il 50 per cento della mortalità neonatale e il 45 per cento delle morti intra partum si potrebbero prevenire con l'assistenza specializzata durante travaglio e parto, come sottolinea il rapporto di Save the Children, ma purtroppo nell'Africa Subsahariana il 51 per cento dei parti non è assistito, nell'Asia sudorientale la percentuale è del 41 per cento e vi sono zone rurali dove la percentuale di assistiti è ancora minore come in Etiopia, ad esempio, dove solo il 10 per cento delle nascite avvengono in presenza di personale specializzato, mentre in Afghanistan c’è solo 1 ostetrica ogni 10.000 persone;
   spesso il problema è prettamente economico e le cure mediche sono a pagamento, come in India, dove il tasso di mortalità neonatale riferito alla parte ricca della popolazione è la metà di quello dei più poveri, o come in Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana dove le cure di emergenza legate al parto spesso hanno lo stesso costo del cibo di un mese: ciò indica come vi sia bisogno di una reale volontà politica per dare a questi bambini una possibilità di sopravvivere, che agisca innanzitutto sulle disuguaglianze socio-economiche;
   tra le misure necessarie alla risoluzione del problema della mortalità infantile, Save the Children ha indicato la necessità di impegno chiaro affinché ogni nascita nel mondo sia seguita da operatori formati ed equipaggiati che possano offrire interventi sanitari essenziali ai neonati e alle loro madri, aumentando la spesa destinata alla salute per arrivare all'obiettivo di almeno $ 60 a persona previsto dall'Organizzazione mondiale della sanità per assicurare la gratuità degli interventi ostetrici di emergenza, e l'investimento di risorse nella formazione, l'equipaggiamento e il sostegno di operatori sanitari –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali misure e strategie stia approntando o intenda adottare per contribuire maggiormente alla riduzione della mortalità infantile, in particolare in Africa e in Asia;
   se stia promuovendo l'applicazione dei principi di coerenza ed efficacia degli aiuti, relativi agli obiettivi del millennio, monitorando gli interventi, l'analisi dei risultati e dell'impatto effettivo sullo sviluppo e se non ritenga necessario assicurare, allo stesso tempo, comunicazioni periodiche al Parlamento sull'andamento degli aiuti pubblici allo sviluppo attraverso un puntuale rendiconto delle risorse stanziate e dei risultati operativi conseguiti, anche al fine di innalzare l'ancora insufficiente grado di trasparenza e accountability dell'aiuto pubblico internazionale.
(4-03977)

  Risposta. — Degli otto Obiettivi di sviluppo del Millennio (MDG), due sono dedicati in maniera specifica alla salute materno-infantile: il «4» che si propone di ridurre di 2/3, tra il 1990 e il 2015, il tasso di mortalità infantile al di sotto dei cinque anni e il «5» che mira a migliorare la salute materna (target 1: ridurre di 3/4, fra il 1990 e il 2015, il tasso di mortalità materna; target 2: raggiungere, entro il 2015, l'accesso universale ai sistemi di salute riproduttiva).
  Nel 2010, a fronte dei gravi ritardi nel settore della salute materna-infantile, la Presidenza canadese del G8 aveva lanciato al vertice di Muskoka l'iniziativa volta a colmare il divario nel raggiungimento dei 2 MDGs. Il progetto, basato su un approccio integrato agli Obiettivi «4» e «5» e correlato agli Obiettivi «1» (nutrizione) e «6» (HIV/AIDS, malaria e altre malattie), si proponeva di conseguire un rafforzamento degli impegni in materia di salute. Per il quinquennio 2011-2015, quindi aveva previsto un impegno collettivo a stanziare 5 miliardi di dollari nel settore. In quel contesto, l'importo addizionale indicato dall'Italia fu di 75 milioni di dollari (ripartibile in 15 milioni annui). Per tale motivo, i finanziamenti a favore di azioni mirate agli Obiettivi «4» e «5» sono stati sostenuti dalla cooperazione italiana in seno agli
Executive Board dei programmi e Fondi Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali sui temi collegati alla salute delle donne e dei bambini (UNFPA, UNICEF, OMS e UN Women).
  La cooperazione italiana sostiene la politica della salute delle donne e dei bambini sotto forma di interventi bilaterali e multilaterali. Nel corso del 2013 sono state impegnate risorse pari a complessivi euro 18.890.449,01 (in dettaglio: per l'obiettivo n. «4», sono stati impegnati euro 13.412.161,98 pari al 71 per cento dell'intero stanziamento; per l'obiettivo n. «5», sono stati impegnati euro 5.478.287,03, pari al 29 per cento dello stanziamento, di cui per il
target 1 sono stati impegnati euro 3.154.462,57 e per il target 2 euro 2.323.824,46). In particolare, in Asia e in Africa sono stati stanziati euro 14.381.478,1 che rappresentano il 76 per cento dello stanziamento totale.
  In generale, per gli Obiettivi «4» e «5» si è registrato un miglioramento della situazione in base al
Human Development Report 2013 dell'UNDP. Dal 1990 il tasso di mortalità dei bambini al di sotto dei 5 anni è diminuito del 41 per cento circa; tuttavia in Africa sub-sahariana un bambino su 9 muore prima di aver raggiunto l'età di 5 anni (15 volte in più rispetto alla media delle regioni «sviluppate») e in Asia meridionale la situazione stenta a migliorare in maniera consistente. La cooperazione italiana con iniziative bilaterali e attraverso il ricorso all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica n. 177 del 1988 ha contribuito alla riduzione della mortalità infantile tramite un'azione a sostegno dei servizi sanitari e di formazione del personale sanitario in Etiopia, Uganda, Mozambico, Sudan e Burkina Faso.
  In relazione, poi all'efficacia degli aiuti e dello sviluppo, giova ricordare il forte impegno dell'Italia su questo fronte, confermato anche dalla recente partecipazione della delegazione, guidata dal Vice Ministro, On. Lapo Pistelli, al primo
High Level Meeting della Global Partnership for Effective Development Cooperation, tenutosi a Città del Messico lo scorso aprile (che segue il Foro di Roma 2003, Parigi 2005, Accra 2008 e Busan 2011). Sono stati sottoscritti, da parte dei donatori e dei Paesi partner, una serie di impegni volti a rendere più efficaci le politiche e gli strumenti di cooperazione allo sviluppo. Inoltre, in osservanza ad una direttiva OCSE, pubblicata lo scorso dicembre, è stato introdotto un nuovo marker sulla «Salvaguardia della salute riproduttiva, materna, infantile e neonatale» nell'ambito dell'elaborazione dei dati sull'aiuto pubblico allo sviluppo che la Farnesina riporta annualmente nel Creditor Reporting System (CRS), sul quale si fonda il database online dell'OCSE.
  In ambito più strettamente interno, si evidenzia che dal 2009 sono in vigore le linee guida sulla cooperazione sanitaria e che, anche grazie ad una recente iniziativa della ONG
African Medical and Research Foundation (AMREF), si è fatto il punto sull'applicazione dei principi guida, decidendone un aggiornamento in vista della scadenza degli Obiettivi del Millennio e dei risultati finora ottenuti. Inoltre, nel contesto dell'impegno di maggiore efficacia e trasparenza delle iniziative di cooperazione e in linea con i principi fissati dai Fori di Roma 2003, Parigi 2005 e Accra 2008, è stato dapprima (nel 2009) elaborato e applicato il cosiddetto «Marker Efficacia» e successivamente (nel 2011) ideato il cosiddetto «Marker Unico (o integrato)». Questo Marker consiste in una griglia composta di 12 criteri di scrutinio che viene regolarmente utilizzata nell'istruttoria e nella valutazione delle iniziative di cooperazione, ivi comprese quelle socio-sanitarie.
  Da ultimo, per quanto riguarda le comunicazioni al Parlamento sull'andamento degli aiuti pubblici allo sviluppo (APS), si segnala che il Ministero degli affari esteri provvede a elaborare annualmente una relazione, a rendiconto, relativa alle iniziative di cooperazione allo sviluppo, all'interno della quale è presente una specifica sezione sugli aiuti pubblici allo sviluppo. Tale sezione attinge all'elaborazione dei dati effettuata dalla Farnesina anche sulla base di quanto fornito da tutti gli attori della cooperazione allo sviluppo, seguendo le precise tempistiche individuate dall'OCSE-DAC per la notifica dei elementi (a metà marzo il rapporto preliminare e a metà luglio il
memorandum definitivo con i dati di dettaglio ricompresi nel sopra richiamato CRS).
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriLapo Pistelli.


   TARICCO, FIORIO, MARTELLI, GUERRA, GANDOLFI, ANZALDI, BRAY, CARRA, PICCOLI NARDELLI, GRASSI e ROSATO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, all'articolo 2, comma 11, dispone, tra l'altro, che «Per le unità di personale eventualmente risultanti in soprannumero all'esito delle riduzioni previste dal comma 1, le amministrazioni, fermo restando per la durata del soprannumero il divieto di assunzioni di personale a qualsiasi titolo, compresi i trattenimenti in servizio, avviano le procedure di cui all'articolo 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, adottando, ai fini di quanto previsto dal comma 5 dello stesso articolo 33, le seguenti procedure e misure in ordine di priorità:
    a) applicazione, ai lavoratori che risultino in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi i quali, ai fini del diritto all'accesso e alla decorrenza del trattamento pensionistico in base alla disciplina vigente prima dell'entrata in vigore dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, avrebbero comportato la decorrenza del trattamento medesimo entro il 31 dicembre 2014, dei requisiti anagrafici e di anzianità contributiva nonché del regime delle decorrenze previsti dalla predetta disciplina pensionistica, con conseguite richiesta all'ente di appartenenza della certificazione di tale diritto. Si applica, senza necessità di motivazione, l'articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Ai fini della liquidazione del trattamento di fine rapporto comunque denominato, per il personale di cui alla presente lettera:
     1) che ha maturato i requisiti alla data del 31 dicembre 2011 il trattamento di fine rapporto medesimo sarà corrisposto al momento della maturazione del diritto alla corresponsione dello stesso sulla base di quanto stabilito dall'articolo 1, commi 22 e 23, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148;
     2) che matura i requisiti indicati successivamente al 31 dicembre 2011 in ogni caso il trattamento di fine rapporto sarà corrisposto al momento in cui il soggetto avrebbe maturato il diritto alla corresponsione dello stesso secondo le disposizioni dell'articolo 24 del citato decreto-legge n. 201 del 2011 e sulla base di quanto stabilito dall'articolo 1, comma 22, del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148»;
   dette disposizioni si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
   l'articolo 2, comma 14, del citato decreto-legge 95 dispone che «Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di eccedenza dichiarata per ragioni funzionali o finanziarie dell'amministrazione»;
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», all'articolo 2, detta «Disposizioni in tema di accesso nelle pubbliche amministrazioni, di assorbimento delle eccedenze e potenziamento della revisione della spesa anche in materia di personale»;
   alcune regioni hanno avviato delle riorganizzazioni volte alla ricerca di una maggiore efficienza e alla riduzione della spesa e tra queste la regione Piemonte con D.G.R. n. 10–6035 del 02 luglio 2013 ha previsto per le aziende del servizio sanitario regionale, un tetto di spesa per il personale stabilito per gli anni 2013, 2014 e 2015;
   conseguentemente, a detti atti amministrativi le aziende sanitarie locali hanno già posto in essere una serie di azioni finalizzate alla riduzione della spesa del personale, ma in molti casi nonostante tutte le azioni intraprese, gli obiettivi del rispetto del tetto di spesa non sono raggiungibili se non attraverso una riduzione della consistenza organica per adeguarla ai tetti previsti;
   alla luce delle normative succitate, alcune ASL del Piemonte, seguito di accordi sindacali, hanno avviato le previste procedure, dovendo però registrare diversi livelli di sensibilità e di chiarezza nelle risposte da parte degli uffici INPS competenti per territorio, alcuni dei quali lamenterebbero l'assenza di chiare circolari interpretative sulla materia –:
   se non ritenga il Governo, visti gli importanti riflessi che la citata disciplina può produrre sia nei confronti dei lavoratori che per quanto concerne la possibilità di raggiungimento degli obiettivi finanziari ed organizzativi indicati da parte delle aziende, di adottare ogni iniziativa utile, anche attraverso la previsione di un'apposita circolare applicativa, volta a garantire che l'attuazione delle norme sopra riportate risulti uniforme su tutto il territorio nazionale e che siano assicurati tempi certi per il pagamento del trattamento di quiescenza agli aventi diritto collocati a riposo con i requisiti «pre-Fornero». (4-04970)

  Risposta. — Sulla questione prospettata dall'interrogante, segnalo che il 28 aprile 2014 è intervenuta la circolare n. 4/2014 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione recante «Piani di razionalizzazione degli assetti organizzativi e riduzione della spesa di personale. Dichiarazioni di eccedenza e prepensionamento». La circolare, attualmente in corso di registrazione presso la Corte dei conti, è stata predisposta di concerto con i Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, dell'economia e delle finanze e con l'INPS, amministrazioni competenti sulla materia.
  Come auspicato dall'interrogante, il Governo intende così fornire indirizzi applicativi sul ricorso ad alcuni strumenti che, nel quadro degli interventi di riduzione della spesa pubblica, permettono una migliore allocazione del personale delle amministrazioni pubbliche.
  In particolare, la circolare individua i limiti entro i quali è ammesso il ricorso all'istituto del cosiddetto «prepensionamento» per riassorbire le eccedenze di personale conseguenti alla riduzione delle dotazioni organiche, ovvero alla redazione di piani di ristrutturazione per ragioni funzionali o finanziarie.
  Al riguardo è opportuno chiarire, in via preliminare, che l'istituto del prepensionamento non può in nessun caso essere utilizzato per eludere il regime pensionistico introdotto dalle disposizioni dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, cosiddetta «riforma Fornero». La circolare precisa, poi, che per prepensionamento deve intendersi la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro del personale in soprannumero o eccedentario nelle amministrazioni pubbliche, individuato in esubero, per il quale è prevista l'ultrattività – fino al 31 dicembre 2016 – delle disposizioni relative ai requisiti di accesso al trattamento pensionistico e alle decorrenze di tale trattamento, previgenti rispetto alla citata «riforma Fornero».
  Nel merito, si prevede che nel caso in cui l'amministrazione ritenga di poter ricorrere al prepensionamento, ai sensi dell'articolo 2, comma 11, lettera
a), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, cosiddetto decreto spending review, essa dovrà effettuare una ricognizione delle posizioni dei lavoratori che potrebbero risultare in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi, applicati prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011, o che possano conseguire i medesimi requisiti in tempo utile per maturare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2016. Rispetto a tali posizioni, l'amministrazione potrà procedere, nei limiti del soprannumero, alla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, soltanto dopo aver acquisito la specifica certificazione del diritto alla pensione e della relativa decorrenza da parte dell'INPS.
  La circolare chiarisce, altresì, che le posizioni dichiarate eccedentarie non possono essere ripristinate nella dotazione organica di ciascuna amministrazione e che le cessazioni disposte per prepensionamento, limitatamente al periodo di tempo necessario al raggiungimento dei requisiti di cui al citato articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, non possono essere calcolate come risparmio utile per definire l'ammontare delle disponibilità finanziarie da destinare alle assunzioni o il numero delle unità sostituibili in relazione alle limitazioni del
turn over ciò in conformità di quanto stabilito dal comma 7 dell'articolo 14 del suindicato decreto-legge n. 95 del 2012.
  Infine, un ulteriore vincolo, posto dalla circolare per la salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica, è dato dal divieto, per l'amministrazione, di assumere vincitori di concorso o idonei fino al riassorbimento del personale eccedentario nelle aree e categorie in cui è dichiarata l'eccedenza e alla presenza di ulteriori vacanze a seguito del pensionamento ordinario.
  In conclusione, il ricorso al prepensionamento è consentito solo nei casi di dichiarazione di soprannumerarietà ed eccedenza sopra illustrati e nel limite massimo delle posizioni individuate in esubero da parte delle stesse amministrazioni. Quanto alla giusta esigenza di assicurare tempi certi nella corresponsione del trattamento di fine rapporto, la norma di cui al citato articolo 2, comma 11, lettera
a), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, stabilisce che per coloro i quali maturano i requisiti a partire dal 1o gennaio 2012, la decorrenza del termine è quella relativa al conseguimento dei requisiti che il dipendente avrebbe dovuto raggiungere per avere diritto alla pensione, se non fosse stato collocato a riposo in deroga da parte dell'amministrazione (cosiddetto «requisito teorico»). Con riferimento, poi, al termine da applicare per la corresponsione del trattamento di fine rapporto, le recenti modifiche introdotte alla normativa previgente dall'articolo 1, comma 484, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) prevedono due ipotesi:
   1) nel caso in cui il dipendente sia stato collocato a riposo in deroga entro il 31 gennaio 2013, viene applicato il termine più breve di 6 mesi a partire dalla data di maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi, cui sarebbe stato soggetto il dipendente se non fosse stato collocato in soprannumero;
   2) nel caso in cui il dipendente sia stato collocato a riposo a partire dal 1o gennaio 2014, il termine da applicare è di 12 mesi.

Il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazioneMaria Anna Madia.


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i quotidiani abruzzesi in questi giorni riportano notizie su annosi problemi nelle gallerie della variante della Strada Statale 16 compresa tra Pescara e Francavilla al Mare (Chieti);
   nelle gallerie in questione sono presenti acqua, detriti, pozzanghere stagnanti e sfondo sdrucciolevole e liscio che mette in pericolo i mezzi in circolazione;
   sono anni che gli allarmi lanciati vengono minimizzati e si susseguono le rassicurazioni e i lavori di manutenzione della durata di qualche giorno;
   le infiltrazioni d'acqua sono costanti nel tempo e aumentano i rischi alla circolazione;
   trattandosi di infiltrazioni di una certa entità probabilmente non si è di fronte a problemi di manutenzione ordinaria ma a criticità strutturali;
   le gallerie sono state inaugurate nel 2007: la San Silvestro della lunghezza di 3600 metri e Le Piane della lunghezza di 1900 metri entrambe a doppio senso di marcia;
   il costo per la realizzazione dell'intera variante si aggira intorno ai 180 milioni di euro;
   nel mese di agosto l'Anas abruzzese ha emesso un bando del valore di quasi 1,7 milioni di euro per il risanamento strutturale e la messa in sicurezza delle gallerie;
   già durante la fase di realizzazione delle gallerie la società appaltatrice, la TOTO spa aveva riscontrato problemi non previsti in fase di progettazione a causa delle caratteristiche meccaniche dei terreni difformi dalle previsioni; tali problematiche hanno fatto lievitare il costo dell'opera di svariati miliardi di lire;
   durante la fase di realizzazione sono state necessarie opere aggiuntive che permettessero la reale fruizione della variante: infatti, non erano stati previsti gli svincoli di ingresso e di uscita nelle località urbane attraversate dalla variante ed in particolare nel comune di Francavilla al Mare non permettendo la reale fruizione dell'opera pubblica in fase di realizzazione;
   l'ANAS ha affidato i lavori di realizzazione delle modifiche che permettevano la fruizione della variante alla stessa ditta concessionaria dell'appalto, la TOTO spa –:
   quali sono i reali problemi strutturali che riguardano l'opera pubblica in questione, se ci siano delle responsabilità in merito ai problemi che si sono immediatamente manifestati ed, eventualmente, a quanto ammonti il costo che lo Stato dovrebbe affrontare per sanare i problemi esistenti;
   a chi debbano essere imputati i costi di eventuali interventi sulle gallerie tenendo conto che l'opera è stata inaugurata nel 2007. (4-01834)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Le gallerie «Le Piane» e «San Silvestro» sono state realizzate nell'ambito dei lavori di costruzione della Variante di Francavilla al Mare mediante il congiungimento della variante di Pescara con la variante di Ortona, 1o stralcio 1o lotto funzionale, dalla variante di Pescara alla strada statale 263 «vai di Foro»; i lavori sono stati ultimati nel dicembre 2003 e regolarmente collaudati, come risulta dal verbale dell'ottobre 2004, che non ha evidenziato alcun vizio realizzativo.
  Tuttavia, con il passare degli anni si sono manifestate alcune infiltrazioni d'acqua sul piano viabile a causa delle condizioni litostratigrafiche locali particolarmente complesse che hanno reso estremamente variabile la permeabilità dei terreni sui quali insiste l'opera.
  La galleria «Le Piane», in particolare, attraversa una falda acquifera sostenuta da argille impermeabili del substrato che fungono da «acquiclude». Per di più, la capacità e la potenza della falda varia in funzione degli apporti meteorici e idrici provenienti dalle formazioni sabbiose-ghiaiose sommitali. I fenomeni descritti hanno fatto ritenere che la funzionalità del sistema drenante, realizzato nella citata galleria, sia stata inficiata dal rilascio di silicati trasportati dalle acque di drenaggio che ostruivano i fori della condotta posta sotto l'arco rovescio.
  Pertanto, per una definitiva soluzione delle criticità riscontrate è stata valutata positivamente la progettazione di un intervento mirato esclusivamente al ripristino integrale dell'intero sistema drenante sottostante la pavimentazione stradale e al rifacimento totale della pavimentazione stessa, senza interventi strutturali in galleria.
  Detti lavori, per quanto riguarda la galleria «Le Piane», sono stati consegnati il 19 novembre 2013 dalla società ANAS alla ditta Ricci Guido Srl e sono stati ultimati il 20 febbraio 2013. L'intervento è stato finanziato, per un importo complessivo di circa 2 milioni di euro comprensivo degli oneri di investimento, con le risorse previste dal decreto-legge n. 69 del 21 giugno 2013 e relativa legge di conversione.
  Per quanto concerne, invece, la galleria «San Silvestro», interessata dalle medesime criticità, informo che sarà eseguito analogo intervento non appena si renderanno disponibili le relative risorse finanziarie.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   ZAN e KRONBICHLER. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 15 febbraio 2014 si è tenuto a Rovereto presso la sala conferenze del palazzo della Fondazione Cassa di risparmio di Trento e Rovereto un convegno dal titolo «Russia ed Europa la sfida del Terzo Millennio» organizzato da varie associazioni, La Torre, Terra e Identità, Pro Vita, Anthropos e con il patrocinio tra gli altri del Consolato della Federazione Russa a Bolzano;
   nel comunicato stampa diffuso dagli organizzatori e pubblicato sul sito si legge «Tutti hanno voluto porre l'accento soprattutto sulla strisciante e scientifica distruzione dei ruoli sociali in atto in Occidente, sin da bambini, con le scuole che diverranno, secondo le indicazioni di documenti dell'OMS e promossi anche dal Governo italiano, luoghi di diffusione dell'ideologia gender anche tramite un'educazione sessuale che prevede l'inserimento della masturbazione sin dalle scuole d'infanzia. Applausi a scena aperta per l'ambasciatore Alexey Komov, per le sue parole chiare e dirette in materia di tutela della famiglia e della natalità. Il pubblico si è levato con particolare fragore di consenso nei confronti delle normative volute da Putin per vietare ogni forma di pubblicità delle pratiche abortive e contro la propaganda omosessualista rivolta ai minori. A fronte di un Occidente che tutto ciò invece promuove, la Russia assurge a baluardo di buona politica. L'Ambasciatore Komov ha voluto lasciare un simbolico omaggio, chiaro e genuino quanto le sue parole: una matrioska in cui la prima figura è un uomo che contiene una donna la quale, a sua volta, racchiude cinque bambini. Ecco la famiglia tradizionale, senza troppe congetture di ordine sociologico: il marito che protegge e si unisce alla propria moglie per generare ed amare la vita»;
   in un articolo pubblicato sul quotidiano Alto Adige e Trentino del 18 febbraio il titolo è «Gay e immigrati servono per disgregare la società» frase attribuita a Alexey Komov, ambasciatore russo all'Onu del Congresso Mondiale delle Famiglie fotografato insieme al Console onorario della Federazione Russa per il Trentino Alto Adige, Bernard Kiem, anche lui tra i partecipanti al convegno;
   Alexey Komov rispondendo ad una domanda della giornalista nello stesso articolo dichiara: «Anziché utilizzare il proletariato contro la borghesia, oggi, come nuovi agenti della rivoluzione per distruggere la tradizione cristiana dell'Europa, si utilizzano gli omosessuali – che in ogni società non sono più del 2 per cento anche se pretendono, in maniera antidemocratica, di imporre a tutti le loro regole – rafforzati da una massiccia iniezione di immigrati, specie di religione islamica, per creare ulteriore confusione sociale»;
   nelle dichiarazioni di Komov in premessa e nel contenuto del convegno c’è un attacco diretto contro gli omosessuali –:
   se non intenda intervenire presso l'Ambasciata russa in Italia per chiedere chiarimenti circa il coinvolgimento dei diplomatici russi nell'organizzazione del Convegno e censurare a nome del Governo italiano le tesi pro leggi anti gay russe che favoriscono la discriminazione. (4-03843)

  Risposta. — Il caso cui ci si riferisce è stato discusso presso l'Ambasciata russa a Roma. È in particolare emerso che il signor Komov non detiene ruoli istituzionali nell'ambito della carriera diplomatica russa, ma ricopre incarichi nel mondo dell'associazionismo in Russia, in particolare nella promozione della famiglia e dei valori della tradizione. L'ambasciata russa non era peraltro a conoscenza del convegno in parola e non ha inviato alcun proprio rappresentante. I nostri interlocutori hanno comunque assicurato un approfondimento rispetto al ruolo del console onorario in Trentino Alto Adige.
  Nel contesto più generale, la posizione del Governo italiano, che viene reiterata peraltro nelle appropriate occasioni di dialogo e di scambio di vedute in tema di diritti umani con gli interlocutori russi, rimane immutata. Fin dalla sua approvazione, si sono manifestate forti preoccupazioni per la legge russa che vieta la diffusione di informazioni volte a formare nei minori orientamenti sessuali non tradizionali. Si è convinti che essa rappresenti un
vulnus per la libertà di manifestazione e associazione della comunità lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) e che apra la strada a più ampie limitazioni dei diritti umani, in particolare della libertà di espressione, in Russia. A tale fine, l'Italia, sia a livello bilaterale sia nel più ampio contesto multilaterale, in particolar modo in sede di Unione europea e di Consiglio d'Europa (di cui la Russia è uno degli Stati membri), ha espresso preoccupazione per tale provvedimento, che rischia di avere riflessi negativi sul partenariato bilaterale strategico tra Italia e Russia e fra Unione europea e Russia.
  Anche in ragione del carattere universale e indivisibile delle libertà fondamentali che sono minacciate dall'atto legislativo approvato dalla Duma, il Governo ha scelto di accordare priorità alla trattazione della questione nell'ambito dei fori internazionali (Nazioni Unite, Unione europea, Consiglio d'Europa), ove con più forza si è potuto sottolineare la contrarietà della legislazione russa a tutti gli strumenti negoziali a tutela dei diritti umani, a cominciare, in sede ONU, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, di cui la Russia è firmataria, nonché in sede europea, dalla stessa Convenzione europea dei diritti dell'uomo. La contestazione è perciò avvenuta con riferimento agli strumenti pattizi (e ai relativi consessi internazionali) di cui la Russia stessa è parte, con l'obiettivo di far rispettare alla Russia gli impegni presi in materia di non discriminazione, di libertà d'espressione, di associazione e di assemblea.
  La via dell'Unione europea appare d'altra parte quella più efficace e suscettibile di produrre risultati in quanto può iscrivere questi interventi di sensibilizzazione nel quadro istituzionale dei rapporti con la Russia, che prevede anche specifiche e regolari consultazioni in materia di diritti umani. Per tale obiettivo l'Unione si può avvalere delle linee guida dell'Unione europea sui diritti delle persone LGBT, redatte anche con il contributo italiano negli appositi gruppi di lavoro e adottate a livello politico dai 28 Ministri degli esteri dell'Unione europea. Si tratta di linee-guida che promuovono il diritto alla diversità in chiave di condanna e di eliminazione di tutte le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere, uniformano il comportamento degli stessi Ministri e vengono utilizzate nell'azione esterna dell'Unione europea.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriLapo Pistelli.