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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 28 maggio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La I Commissione,
   premesso che:
    alla luce dei numerosi riferimenti presenti sia nella parte I che nella parte II della Costituzione, si può certamente ritenere che la sicurezza pubblica costituisca un bene costituzionalmente tutelato, in quanto volto alla complessiva salvaguardia dei diritti di libertà dei cittadini;
    compito dei pubblici poteri, infatti, è non solo quello di intervenire in chiave repressiva per arginare condotte che abbiano intaccato la sfera dei diritti individuali, ma altresì quello di promuovere l'effettiva garanzia dei diritti fondamentali, anche attraverso interventi che possano determinare le condizioni per una piena espressione della persona e della sua dignità;
    tuttavia, si può ormai ritenere che i numerosi e ripetuti tagli di risorse che negli ultimi anni hanno riguardato il comparto della sicurezza e del soccorso pubblico, hanno dato vita di fatto ad un graduale e marcato cambiamento del modello di sicurezza in Italia;
    particolarmente problematiche si sono rivelate in tal senso le previsioni dell'articolo 66, comma 9-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto del 2008, n. 133 per gli anni 2010-2011, e il successivo blocco parziale del turn over fissato al 20 per cento per il triennio 2012-2014, al 50 per cento per l'anno 2015 e al 100 per cento a decorrere dal 2016; solo con la legge di stabilità 2014, poi, la facoltà assunzionale è stata in parte elevata al 55 per cento a decorrere dall'anno 2014, con previsione di elevare ulteriormente tale percentuale fino al 70 per cento per l'anno 2015. Si è determinato così un repentino e deciso innalzamento dell'età media di tutti gli operatori del settore, che supera i 45 anni di età ed è oggi tra le più alte d'Europa, con conseguenze tutt'altro che trascurabili: sul piano dell'efficienza in generale, su quello dell'efficacia degli interventi operativi delle forze dell'ordine, sul piano della lievitazione dei costi necessari per fronteggiare le esigenze di ordine e sicurezza pubblica, poste da un personale con un età così elevata che, se scorporata nelle qualifiche (gradi) intermedie (ispettori e marescialli) o apicali (funzionari-dirigenti e ufficiali), ha superato da tempo i 50 anni;
    un ulteriore aggravio dei carichi di lavoro per il personale in uniforme è stato determinato dall'attribuzione di funzioni ordinariamente svolte da personale civile dello Stato, e non da operatori del comparto sicurezza, con inevitabile disagio organizzativo per un comparto a cui dovrebbero essere affidate solo le delicate funzioni dell'ordine e della sicurezza pubblica;
    circostanza questa aggravata anche da una serie di politiche di recente introduzione, a carattere meramente securitario, che in generale hanno determinato soluzioni di dubbia costituzionalità, come nel caso delle previsioni normative in tema di sicurezza pubblica urbana affidata ai privati attraverso le ronde di cittadini o nel caso dei discutibili provvedimenti legislativi che assegnarono ai sindaci poteri di ordinanza superiori ai prefetti;
    vi sono poi state iniziative legislative su temi delicati e complessi, come nel caso del reato di immigrazione clandestina, la cui introduzione ha finito per comportare un inutile aggravio della mole di lavoro degli operatori del settore, non adeguatamente compensata dalle risorse necessarie per fronteggiare l'accresciuto carico di lavoro specie in ordine pubblico;
    va altresì considerato che il modello della polizia di sicurezza (attività di prevenzione) esistente nel nostro Paese è stato in parte modificato a causa delle esigenze sorte successivamente agli attentati terroristici del 2001, che hanno portato, come è noto, ad un aumento della tensione sul piano internazionale, con un conseguente incremento della consistenza delle forze impiegate nel contrasto al terrorismo internazionale;
    anche alla luce dei principi costituzionali sopra citati, oggi non appare più sostenibile un modello di sicurezza e di soccorso pubblico determinato quasi esclusivamente da esigenze di bilancio, e dalle conseguenti ripetute politiche finanziarie dei «tagli lineari», nonché dal congelamento del reddito individuale e dei rinnovi contrattuali;  
    del resto la stessa legge n. 21 del 1981 – che da un lato aveva esaltato il carattere civile e democratico delle autorità di pubblica sicurezza e degli agenti e ufficiali di pubblica sicurezza, e dall'altro aveva ribadito che tale materia fosse necessariamente riservata allo Stato – è stata progressivamente erosa nelle sue finalità da una serie di interventi normativi, che ne hanno intaccato le linee portanti, oltre a produrre duplicazioni di compiti e funzioni, e la conseguente moltiplicazione dei centri di spesa e di spreco del denaro pubblico;
    a fronte di ulteriori tagli previsti nel DEF appena approvato, e dell'annunciata spending review che riguarderà tutti i settori dello Stato, appare ineludibile ripensare un nuovo modello di sicurezza per il nostro Paese che, ferme restando le esigenze e gli obiettivi di bilancio, ne ridisegni obiettivi, funzioni e organizzazione, anche al fine di rendere più efficace ed efficiente il lavoro svolto dagli operatori del comparto sicurezza, e dotandolo delle risorse necessarie a perseguire gli obiettivi istituzionali,

impegna il Governo:

   a presentare al Parlamento, entro tre mesi, una relazione dettagliata sulle condizioni professionali e retributive degli operatori, sugli organici e sulle dotazioni di cui dispongono i diversi corpi e specialità, e sulla dislocazione sul territorio dei diversi presidi del comparto sicurezza e soccorso pubblico, al fine di valutarne l'idoneità e l'efficacia, quantitativa e qualitativa, per il raggiungimento degli obiettivi affidati dalla legge alla sicurezza nazionale, nonché a presentare un'analisi del quadro normativo esistente, sia a livello centrale, che a livello regionale e locale (compreso il sistema della polizia locale), che tenga conto in particolare degli effetti prodotti sul comparto sicurezza e del soccorso pubblico dalle disposizioni di legge entrate in vigore dopo la legge n. 121 del 1981;

    a predisporre, previo esame delle competenti Commissioni parlamentari, ed entro il periodo indicato dal DEF, un piano di riforma che, salvaguardando il principio di specificità, renda più efficiente l'organizzazione dell'intero comparto sicurezza e del soccorso pubblico, compresi il tema del riordino delle carriere, per una effettiva valorizzazione delle professionalità, anche con l'obiettivo di consentire una migliore e più moderna organizzazione delle forze del comparto sicurezza e del soccorso pubblico sul territorio.

(7-00377) «Fiano, Rosato, Giorgis, Fabbri, Gasparini, Naccarato, Capozzolo, Villecco Calipari».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della difesa il 22 maggio 2014 ha impedito il sopralluogo previsto da parte del Comitato paritetico Stato-regione alla base militare di Teulada;
   si tratta di un divieto di una gravità inaudita che non ha precedenti nei rapporti Stato-regione;
   il Comitato misto paritetico (Co.Mi.Pa) è stato istituito il 24 dicembre 1976 con la legge n. 898 sulle servitù militari: «In ciascuna regione è costituito un comitato misto paritetico di reciproca consultazione per l'esame, anche con proposte alternative della Regione e dell'Autorità Militare, dei problemi connessi all'armonizzazione tra i piani di assetto territoriale e di sviluppo economico e sociale della regione e delle aree subregionali ed i programmi delle installazioni militari e delle conseguenti limitazioni»;
   la composizione del comitato prevede una struttura paritaria tra membri dello Stato e membri della regione. È formato da cinque rappresentanti del Ministero della difesa, da due rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze e da sette rappresentanti della regione nominati dal Presidente della giunta regionale, su designazione, con voto limitato, del consiglio regionale;
   il CoMiPa viene consultato ogni sei mesi su tutti i programmi delle esercitazioni per la definizione delle località, degli spazi aerei e marittimi, del tempo e delle modalità di svolgimento e sull'impiego dei poligoni della regione. Gli incontri del comitato seguono un percorso preciso, sia per la richiesta che per lo svolgimento delle riunioni:
    la richiesta può essere effettuata dal comandante militare territoriale di regione, del comandante in capo di dipartimento militare marittimo, del comandante di regione aerea o del Presidente della regione;
    la riunione è presieduta dall'ufficiale generale o dall'ammiraglio più elevato in grado o più anziano;
    la figura del segretario è ricoperta dall'ufficiale meno elevato in grado o meno anziano;
   per ogni riunione viene redatto un verbale che contiene le eventuali proposte di membri discordanti sull'intera questione trattata o su singoli punti di essa;
   il Comitato paritetico, che aveva deciso di effettuare un sopralluogo sulla base per accertare la situazione sia ambientale che archeologica, e per il quale era stato autorizzato, ha ricevuto nella serata del 21 la comunicazione del divieto di accesso con rinvio ad altra data;
   il diniego corrisponde ad avviso dell'interrogante ad una violazione di tutte le regole di gestione dei rapporti Stato regione e soprattutto appone ad avviso dell'interrogante di fatto una sorta di segreto di Stato sulla base di Teulada. Una situazione intollerabile che si intende denunciare con forza con tutti gli atti conseguenti;
   vietare al Comipa l'ingresso con un laconico comunicato in cui si rimanda tutto alla conferenza sulle servitù militari è semplicemente inaccettabile;
   non ci sono ragioni per vietare l'accesso al comitato e soprattutto non è possibile vietare le verifiche di legge sul piano ambientale e archeologico;
   è un abuso senza precedenti che va immediatamente rimosso;
   in attesa che la regione Sarda si faccia rispettare è indispensabile che siano gli organi inquirenti a far luce su quanto sta avvenendo dentro la base;
   la pubblicazione in questi ultimi giorni, di una mole imponente di materiale fotografico sulla devastazione ambientale e la violazione di tutti i protocolli di sicurezza costituisce la chiara ed evidente dimostrazione di quello che sta avvenendo dentro la base senza che nessuno intervenga;
   la comunicazione del capitano di fregata capo ufficio infrastrutture – demanio – efficienza naviglio Massimiliano Molinas è emblematica di un vero e proprio divieto: «sono spiacente dovervi informare che, a parziale modifica di quanto comunicato lo scorso 15 maggio, il sopralluogo presso il Poligono di Capo Teulada, già previsto per il prossimo 22 maggio, non potrà avere luogo in quanto il Ministero della difesa ha stabilito che i dettagli inerenti tale visita saranno concordati in occasione della prossima Conferenza Nazionale sulle Servitù militari, prevista nel mese di giugno p.v.»;
   di fatto da parte del Ministero della difesa si impedisce di accertare la consistenza della devastazione ambientale e sulla civiltà nuragica con una sorta di improprio richiamo ad una sorta di segreto;
   si tratta di una «complicità di Stato» senza precedenti;
   un'omissione che lascia devastare nel silenzio più totale una delle aree più pregiate della Sardegna;
   se si sparassero missili sul Colosseo, 2000 anni di storia, la comunità internazionale sarebbe giustamente indignata e la Nato sarebbe immediatamente dispiegata per tutelare quel bene straordinario dell'antica civiltà romana;
   in Sardegna una civiltà, quella nuragica, con oltre 3500 anni di storia viene quotidianamente bombardata con i cruenti missili anticarro «Milan», fabbricati da Oto Melara su licenza Euromissile e non solo;
   una devastazione ambientale e archeologica messa a segno dallo Stato italiano e dalla stessa Nato;
   un compendio archeologico di sedici nuraghi racchiusi nel perimetro più cruento della base militare di Teulada, gestita direttamente dalla Nato con l'esercito italiano;
   un'estensione di 7.200 ettari e un'interdizione areale di 75.000 ettari. Tutto questo nel silenzio più totale di qualsiasi organismo preposto alla tutela, dalle soprintendenze archeologiche e ambientali alla magistratura;
   nessuno ha mai fatto niente per bloccare questa disastro immane che sta pregiudicando per sempre un territorio immenso e pregiatissimo della Sardegna ed oggi viene vietato agli stessi soggetti tutori del rapporto Stato-regione;
   queste determinazioni contrastano con l'intendimento dello stesso Stato di mantenere in piedi queste inaudite aggressioni al patrimonio archeologico e ambientale della Sardegna;
   pensare che tutto questo avvenga per mano dello Stato e della comunità militare internazionale è secondo l'interrogante la dimostrazione che la Sardegna è divenuta una terra di conquista e devastazione senza precedenti –:
   se non ritenga di dover immediatamente rimuovere il divieto all'accesso alla base da parte del CoMiPa;
   se non ritenga di dover bloccare qualsiasi devastazione ambientale e archeologica in quell'area e procedere alla ricognizione del disastro ambientale e archeologico e predisporre un immediato piano di bonifica che restituisca quel territorio alla piena fruibilità;
   se non ritengano il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e quello dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, segnalare il disastro ambientale in quell'area e in particolar modo la violazione di tutte le norme di governo del territorio sia nazionali che europee. (5-02892)

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi il maltempo si è, ancora una volta, accanito contro l'Italia e la situazione, soprattutto al Sud, è molto preoccupante. È quanto emerge dalle pagine della Gazzetta del Sud del 20 maggio 2014;
   la Calabria, in particolare, è la regione nella quale si conta il maggior numero di danni: vento e intense precipitazioni anche sotto forma di grandine hanno causato seri danni alle colture pregiudicando soprattutto gli ortaggi e gli uliveti;
   la situazione è apparsa subito critica in provincia di Catanzaro e più precisamente a Amaroni, dove la furia della pioggia e della grandine ha messo in ginocchio l'economia agricola locale;
   anche nei territori circostanti la situazione appare grave: a Vallefiorita sono state segnalate situazioni allarmanti che in hanno colpito impianti elettrici e linee telefoniche;
   la gravità dei danni ha determinato la richiesta, stando a quanto riportato dalla stampa locale, di calamità naturale per le aree colpite;
   moltissimi i terreni che hanno subito danni, che vanno sicuramente ripristinati per poter essere nuovamente coltivati;
   la situazione è certamente aggravata dai cambiamenti climatici in atto che si manifestano con una maggiore frequenza e che provocano eventi calamitosi, sfasamenti stagionali, maggior numero di giorni consecutivi con temperature estive elevate e una modificazione della distribuzione delle piogge;
   queste condizioni mettono a rischio la sicurezza idrogeologica del territorio e l'economia locale, già duramente colpita dalla crisi economica –:
   se il Governo intenda mettere a disposizione delle realtà locali colpite adeguate risorse finanziarie destinate alla difesa del suolo, sia da calamità naturali e da dissesto idrogeologico derivante da queste ultime, stabilendo meccanismi di attribuzione delle stesse che garantiscano che la l'assegnazione delle risorse avvenga in modo da privilegiare le aree maggiormente colpite. (4-04961)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   CARINELLI, COLONNESE, NESCI, MANLIO DI STEFANO e SIBILIA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti di stampa si apprende dell'espulsione di numerosi cittadini europei dal Belgio, fra cui alcuni italiani, perché privi di mezzi sufficienti a mantenersi e quindi considerati un «peso eccessivo» per il sistema sociale;
   nel 2013 sono quasi 2.712 i cittadini dell'Unione che si sono visti recapitare un decreto di espulsione dalle autorità belghe;
   non solo il Belgio, ma anche il Regno Unito, La Francia, l'Olanda e la Germania tentano di allinearsi nel rinchiudere i confini intra-europei;
   le ristrettezze economiche hanno portato, infatti, alcuni Stati a rafforzare un diritto riconosciuto in modo ambiguo dalla legislazione dell'Unione europea, nella fattispecie la direttiva 2004/38;
   in base alla suddetta direttiva le persone inattive, devono disporre, per se stessi e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divengano un onere a carico dell'assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un'assicurazione di malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro;
   la stessa direttiva però riconosce il diritto di soggiorno del cittadino dell'Unione il quale, dopo avere esercitato un'attività lavorativa, si trovi in stato di disoccupazione o sia iscritto presso un ufficio di collocamento;
   l'interpretazione di questa direttiva ha distorto e reso di fatto inesistente la cittadinanza europea;
   negli ultimi anni la Corte di giustizia europea ha fatto acquisire al diritto di muoversi liberamente nel territorio dell'Unione europea una valenza nuova, non più strettamente economica, ma politica;
   la Corte ha svincolato il diritto di libera circolazione e soggiorno, spettante al solo cittadino europeo «economicamente indipendente», che disponga cioè di risorse sufficienti e di un'assicurazione medica, dai riferimenti di ordine economico, elevando tale diritto a categoria inerente lo status di cittadino europeo in quanto tale e facendo sì che il lavoro salariato stabile non restasse la principale modalità di accesso alla circolazione nello spazio europeo;
   con un'altra pronuncia in materia di cittadinanza la Corte ha stabilito il principio secondo cui un cittadino europeo, qualsiasi siano le sue risorse economiche, «durante il suo soggiorno lecito» (Trojani C-456/02 del 2004), «non può non fruire del principio fondamentale relativo alla parità di trattamento»;
   il diritto alla libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea, riconosciuto dall'articolo 21 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dalla Carta dei diritti fondamentali, costituisce l'essenza stessa della cittadinanza dell'Unione;
   questi provvedimenti di allontanamento di cittadini europei snaturano radicalmente la cittadinanza europea, permettendo la circolazione solo a chi dichiara un reddito vicino a quello europeo e sia in grado di mantenersi e quindi mettono in discussione il progetto d'integrazione europea da parte dei suoi stessi fondatori;
   è diventato quasi emblematico il caso della cittadina italiana Silvia Guerra, musicista, legalmente residente in Belgio dal 2010 e dal 2012, con un piccolo contratto di inserimento professionale, in parte erogato dallo Stato belga e, nonostante il suo contratto non costituisse un onere irragionevole per lo Stato sociale belga, è stata invitata a lasciare il Belgio;
   diventano incerti i fondamenti stessi dell'Unione e l'Europa rischia di diventare uno spazio di libertà per i capitali, le multinazionali e le merci, ma non per alcuni cittadini: i lavoratori precari e i disoccupati –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di cittadini italiani regolarmente residenti in Belgio ed illecitamente espulsi e quali iniziative intenda assumere, con la massima urgenza, per garantire ai cittadini europei il diritto di circolazione e soggiorno così come previsto dalla Carta dei diritti fondamentali e dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
(4-04957)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   BATTELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   su Il fatto quotidiano del 25 maggio 2014 si è potuto leggere dell'incarico affidato al critico d'arte Germano Celant relativo a «servizi per la curatela e la direzione artistica per l'area tematica food in art» nell'ambito di EXPO 2015;
   l'incarico prevede 30 mesi di lavoro, la collaborazione di un team di otto persone composto da assistenti, professionisti e collaboratori altamente qualificati, ed un compenso di 750 mila euro;
   nonostante si riconosca l'altissima professionalità del critico d'arte Germano Celant, i recenti avvenimenti, le inchieste e gli arresti per tangenti avvenuti nell'ambito di EXPO 2015, impongono di fare piena luce su ogni conferimento di incarichi –:
   perché si sia reso necessario conferire un incarico di consulenza ad un critico d'arte;
   come sia stato calcolato il compenso da corrispondere;
   quali siano stati i criteri seguiti per la scelta del consulente;
   con quali procedure sia stato formalizzato l'incarico. (4-04960)


   OLIVERIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   un autorevole organo di stampa, Il Quotidiano della Calabria, ha pubblicato un articolo che denuncia una situazione di una certa gravità sociale e ambientale che si è creata a Borgia, centro della provincia di Catanzaro, interamente ricostruito dopo il drammatico terremoto del 1783, oggi una importante città ricca di palazzi nobiliari, monumenti, chiese e sculture antiche;
   nello specifico si rappresenta il caso della Brisella, fontana storica progettata da un monaco di Serra San Bruno e costruita con sei canali e con vasche aggiunte nel 1874 che forniva acqua per le necessità della popolazione ed era utilizzata anche come abbeveratoio per gli animali;
   tale sito è uno dei posti più ameni di Borgia, oggi purtroppo in degrado: la fontana si è trasformata in una vera discarica a cielo aperto, buste e rifiuti di ogni genere invadono le zone immediatamente vicine alla fontana che risulta essere completamente abbandonata e incustodita;
   non si tratta, peraltro, di episodi isolati, poiché negli anni passati sono stati rinvenuti rifiuti che l'hanno quasi completamente tappezzata;
   la salvaguardia non solo dell'ambiente ma anche del patrimonio artistico deve essere una priorità assoluta: per questo è indispensabile procedere ad una bonifica del sito –:
   di quali informazioni disponga il Governo in merito ai fatti riferiti in premessa e se sia a conoscenza della grave situazione in cui versa il patrimonio storico e culturale di Borgia;
   se il Governo intenda assicurare la conservazione delle opere architettoniche di pregio, come la fontana della Brisella. (4-04962)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, come da ultimo modificato dall'articolo 9, comma 15-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, prevede che a decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito;
   in attuazione della citata disposizione che ha funzione antiriciclaggio e di tracciabilità dei pagamenti il decreto ministeriale del 24 gennaio 2014, emanato dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, ha disciplinato le definizioni e l'ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito, in particolare prevedendo l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso «strumenti di pagamento che consentono al titolare di effettuare transazioni presso un esercente abilitato all'accettazione della medesima carta, emessa da un istituto di credito, previo deposito di fondi in via anticipata da parte dell'utilizzatore, che non finanzia l'acquisto ma consente l'addebito in tempo reale», a tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro disposti a favore dei soggetti esercenti l'attività di impresa o professionisti, per l'acquisto di prodotti o la prestazione di servizi;
   in sede di prima applicazione della disposizione ministeriale, ovvero dal 28 marzo 2014, e fino al 30 giugno 2014, il citato obbligo si applica limitatamente ai pagamenti effettuati a favore dei soggetti il cui fatturato dell'anno precedente a quello nel corso del quale è effettuato il pagamento sia superiore a duecentomila euro;
   con successivo decreto, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del citato decreto ministeriale possono essere individuate nuove soglie e nuovi limiti minimi di fatturato rispetto a quelli già individuati;
   secondo l'ordine degli architetti tale norma è insensatamente vessatoria e costosa e il suo scopo primario, cioè quello di contrastare elusione ed evasione, può essere raggiunto attraverso pagamenti tracciati (bonifico o assegni) senza obbligare i professionisti ad attivare i costosi Pos;
   il Tar del Lazio, sezione III, con ordinanza n.01932/2014 depositata il 30 aprile 2014, ha rigettato l'istanza presentata dal Consiglio nazionale degli architetti diretta all'annullamento del decreto ministeriale del 24 gennaio, ritenendo inesistente il “fumus boni juris” atteso che il decreto impugnato sembra rispettare i limiti contenutistici ed i criteri direttivi fissati dalla richiamata fonte legislativa;
   con la circolare interpretativa del 20 maggio 2014, il Presidente del Consiglio nazionale forense, in merito all'obbligo di dotarsi di POS (point of sale) stabilito per legge, ritiene che la disposizione in parola introduca un onere, piuttosto che un obbligo giuridico, ed il suo campo di applicazione sia necessariamente limitato ai casi nei quali saranno i clienti a richiedere al professionista di potersi liberare dall'obbligazione pecuniaria a proprio carico per il tramite di carta di debito; in ogni caso, qualora il cliente dovesse effettivamente richiedere di effettuare il pagamento tramite carta di debito, e il professionista ne fosse sprovvisto, si determinerebbe semplicemente la fattispecie della mora del creditore, che non libera il debitore dall'obbligazione;
   in altre parole, salvi i limiti vigenti nell'ordinamento (perché previsti da altre fonti; si pensi ad esempio al divieto di pagamento in contanti oltre la soglia di mille euro, previsto dalla normativa antiriciclaggio), la volontà della parti del contratto d'opera professionale (cliente e professionista) resta ancora il riferimento principale per la individuazione delle forme di pagamento; nessuna sanzione è prevista in caso di rifiuto di accettare il pagamento tramite carta di debito –:
   come intenda intervenire per quanto di propria competenza al fine di chiarire gli effetti dell'applicazione della norma recante l'obbligo per gli esercenti attività di impresa e professioni di accettare anche i pagamenti effettuati attraverso carte di debito in tal modo evitando l'insorgere del possibile contenzioso che i singoli contribuenti, i professionisti, gli ordini professionali e le associazioni di categoria intendono scongiurare. (5-02886)


   PISANO, ALBERTI, PESCO, VILLAROSA, CANCELLERI, RUOCCO e BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo del 15 dicembre 1997, n. 446, sono soggetti passivi dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) coloro che esercitano abitualmente una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi;
   sono, dunque, soggetti passivi dell'imposta:
    a) le società e gli enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettere a) e b) del TUIR;
    b) le società in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle ad esse equiparate a norma dell'articolo 5, comma 3 del TUIR, nonché le persone fisiche esercenti attività commerciali di cui all'articolo 53 del medesimo testo unico (redditi d'impresa);
    c) le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell'articolo 5, comma 3, del predetto testo unico esercenti arti e professioni di cui all'articolo 53, comma 1, (redditi da lavoro autonomo) del medesimo testo unico;
    d) i produttori agricoli titolari di reddito agrario di cui al TUIR, esclusi quelli con volume d'affari annuo non superiore a 7.000 euro, i quali si avvalgono del regime previsto dall'articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sempreché non abbiano rinunciato all'esonero a norma del quarto periodo del citato comma 6 dell'articolo 34;
    e) gli enti privati di cui all'articolo 73, comma 1, lettera c), del citato testo unico, nonché le società e gli enti di cui alla lettera d) dello stesso comma;
    e-bis) le Amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, nonché le amministrazioni della Camera dei deputati, del Senato, della Corte costituzionale, della Presidenza della Repubblica e gli organi legislativi delle regioni a statuto speciale;
   i criteri per la determinazione della base imponibile IRAP nonché l'aliquota applicabile, variano a seconda della tipologia di contribuente;
   in particolare, ai fini della determinazione della base imponibile e dell'aliquota applicabile, possono distinguersi le seguenti tipologie di soggetti passivi:
    società di capitali ed enti commerciali non esercenti le attività bancaria, finanziaria e assicurativa;
    società di persone e imprese individuali esercenti attività commerciale;
    banche, enti e società finanziarie;
    società di intermediazione mobiliare e gli intermediari, diversi dalle banche, abilitati allo svolgimento dei servizi di investimento indicati nell'articolo 1 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria;
    società di gestione dei fondi comuni di investimento;
    società di investimento a capitale variabile;
    Banca d'Italia e Ufficio italiano dei cambi;
    società la cui attività consiste, in via esclusiva o prevalente, nell'assunzione di partecipazioni in società esercenti attività diversa da quella creditizia o finanziaria iscritte nell'apposita sezione dell'elenco generale dei soggetti operanti nel settore finanziario;
    imprese di assicurazione;
    persone fisiche, società semplici e quelle ad esse equiparate esercenti arti e professioni;
    produttori agricoli ed esercenti attività di allevamento di animali;
    enti pubblici e privati diversi dalle società, trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale, nonché organismi di investimento collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato;
    società ed enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato che svolgono esclusivamente attività non commerciali;
    amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, nonché le amministrazioni della Camera dei deputati, del Senato, della Corte costituzionale, della Presidenza della Repubblica e gli organi legislativi delle regioni a statuto speciale –:
   quale sia la base imponibile IRAP dichiarata e l'imposta netta applicata nei quattro anni precedenti al periodo d'imposta in corso, distinguendole analiticamente in base alla tipologia di contribuenti sopra descritta e/o, in ogni caso, in base alle diverse categorie di soggetti passivi previsti dalla normativa vigente in materia. (5-02887)


   PAGLIA e PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6, comma 3, del decreto-legge n. 102 del 2013, ha esteso, a decorrere dall'anno 2014, la platea dei beneficiari del Fondo di rotazione per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa, istituito dall'articolo 13, comma 3-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, già operativo per le giovani coppie coniugate o i nuclei familiari, anche alle famiglie monogenitoriali con figli minori ed ai cosiddetti «lavoratori atipici» di età inferiore a 35 anni, incrementando, in considerazione di tale allargamento della platea dei beneficiari, la dotazione del medesimo Fondo di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015;
   il suddetto Fondo fornisce alle banche eroganti una garanzia da parte dello Stato nel caso in cui l'aspirante mutuatario non riesca a far fronte al pagamento delle rate dopo i 100 giorni dall'invio del primo sollecito di pagamento, garanzia che non può superare i 75.000 euro complessivi, e viene calcolata considerando sino al 50 per cento della quota capitale, degli oneri (sino ad un massimo del 5 per cento del capitale) e degli interessi del mutuo calcolati al tasso legale; tali condizioni diminuiscono il profilo di rischio dell'operazione di finanziamento, aumentando le possibilità di concessione dei mutui;
   la normativa prevede poi che l'importo del mutuo non può essere superiore ai 200 mila euro ma, considerato che buona parte di questo importo (il 50 per cento della quota capitale esclusi gli interessi e fino a un massimo di 75 mila euro) è assisto dalla garanzia supplementare del Fondo, dovrebbe essere molto più semplice accedere al finanziamento anche per chi percepisce un reddito Isee superiore a 40.000 mila euro (altra condizione di accesso al fondo);
   nonostante l'agevolazione offerta dal Fondo sia duplice, in quanto oltre a favorire l'accesso al prestito è stato previsto inizialmente un tasso massimo che prevedeva uno spread non superiore all'1,5 per cento sia per i mutui a tasso fisso sia per quelli a tasso variabile, ed a cui aggiungere rispettivamente l'indice Eurirs e l'Euribor, i cosiddetti spread (max 1,5 per cento) sono stati pensati in un periodo poco turbolento in cui alcuni istituti, in via promozionale, offrivano anche prestiti ipotecari con spread inferiori all'1 per cento; successivamente, anche a seguito del contagio della crisi greca sul mercato italiano, le condizioni di accesso al credito per molti istituti operanti in Italia sono sensibilmente peggiorate, e l'aumento dello spread che, in alcuni casi ha raggiunto punte del 5 per cento, è stato probabilmente la causa principale del mancato decollo del Fondo, che ha portato successivamente il Governo a modificare i requisiti di accesso al Fondo, prevedendo che il tasso finale applicato sul mutuo non dovesse essere superiore al tasso effettivo globale medio, pubblicato trimestralmente dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   tra le altre novità per rendere meno selettivo il fondo, è saltato il vincolo del possesso di almeno il 50 per cento di un reddito da lavoro dipendente e a tempo indeterminato, e che le banche e tutti i soggetti finanziatori, non potranno più chiedere ulteriori garanzie non assicurative ai giovani futuri mutuatari;
   il 6 settembre 2013 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale 24 giugno 2013, n. 103, che interviene a parziale modifica del «Regolamento recante la disciplina del Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali», di cui, originariamente, al decreto ministeriale 17 dicembre 2010, n. 256;
   le modifiche introdotte riguardano, in particolare, l'abolizione del tasso agevolato che le banche era previsto concedessero ai richiedenti – e che è stato semplicemente sostituito con la generica previsione che il tasso non dovrà essere «superiore al tasso effettivo globale medio sui mutui» –, l'aumento sia del reddito minimo percepito dai richiedenti, sia della metratura massima dell'immobile da acquistare, l'abrogazione della norma che recava il divieto di cartolarizzazione dei mutui garantiti dal fondo e altro;
   la modifica più eclatante, tuttavia, attiene al criterio che era stato individuato, alla stesura del primo regolamento, per far sì che il Fondo andasse effettivamente a beneficio dei giovani precari, sostanziato nell'indicazione, tra i requisiti per avanzare la richiesta di mutuo a valere sul Fondo, che «non più del 50 per cento del reddito complessivo imponibile ai fini Irpef deve derivare da contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato»;
   con il nuovo decreto ministeriale tale criterio non costituisce più un requisito essenziale, ma solo un criterio preferenziale «in presenza di domande pervenute nella stessa giornata e di contestuale parziale indisponibilità delle dotazioni del Fondo»;
   appare evidente, quindi, come il Fondo e il suo utilizzo siano stati distratti dalla loro originaria finalità, stravolgendone, secondo gli interroganti, l'impianto, a danno di quei soggetti che, proprio perché impiegati a tempo determinato, hanno difficoltà ad ottenere dei mutui;
   a tutt'oggi, nonostante i proclami e le risorse messe a disposizione dagli ultimi tre governi, molti istituti di credito – pur avendo aderito formalmente al Fondo – hanno creato ostacoli alle giovani coppie, forti della circostanza che il meccanismo di funzionamento del Fondo prevede che termini e condizioni dei finanziamenti e beneficiari potranno essere negoziati e determinati dalle banche nella loro completa autonomia;
   infatti, gli istituti di credito, anche riguardo alla concessione di tale tipologia di mutui, godono di assoluta discrezionalità nella selezione della propria clientela e sono libere di applicare alcune linee guida per la valutazione del merito creditizio in funzione del livello di rischiosità percepito nei confronti del singolo cliente; con livelli di disoccupazione elevati e crescenti, i giovani e le giovani coppie – che solitamente non hanno ancora guadagnato una posizione lavorativa stabile all'interno del sistema imprese – diventano quindi una classe di mutuatari a potenziale rischio, verso la quale ridurre e contenere le nuove erogazioni di mutuo –:
   quali iniziative, anche normative, intenda intraprendere anche al fine di soddisfare l'interesse legittimo dei beneficiari della suddetta normativa a vedersi concedere il finanziamento. (5-02888)

Interrogazione a risposta scritta:


   NESCI e PARENTELA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sino a metà di aprile 2014 Umberto De Rose è stato presidente di Fincalabra, società finanziaria che, si legge sul sito ufficiale, è «interamente partecipata dalla regione Calabria, che concorre, nel quadro della politica di programmazione economica regionale, all'attuazione delle politiche di sviluppo attraverso strumenti ed iniziative a valenza finanziaria e gestionale»;
   l'azienda di sua proprietà, la «De Rose forniture e servizi srl», si legge sul sito de Il Corriere della Calabria, «ha beneficiato – dopo aver rilevato un ramo d'azienda della società “Stabilimento tipografico De Rose”, sempre di sua proprietà – di un maxifinanziamento da quasi 5 milioni di euro»;
   riguardo alla provenienza dei predetti fondi, l'articolista Pablo Petrasso precisa che sono legati alla legge n. 488 del 1992, «ricordata più per le truffe messe in atto da spregiudicati “prenditori” che per i posti di lavoro creati e le opportunità sfruttate»;
   il 9 gennaio 2013, con atto firmato dalla dirigente regionale Maria Grazia Nicolò, il dipartimento «attività produttive» ha chiesto alla società di restituire l'importo;
   il 6 novembre 2013, è pervenuta alla società di De Rose una richiesta di restituzione, il cui relativo decreto amministrativo, firmato dal direttore generale del dipartimento regionale, Pasquale Monea, ha riepilogato i passaggi della questione, dalla concessione del contributo ai fondi liquidati con quattro bonifici tra il luglio 2000 e il dicembre 2001, sino alla revoca della misura, con ordine «di restituzione di 4.927.850 euro», somma «indebitamente percepita a titolo di contributo»;
   alla suddetta cifra si assommano più di 1,5 milioni di euro di interessi, «calcolati al 31 ottobre 2013 a partire dalla data di erogazione del beneficio» – ha riportato Il Corriere della Calabria – per un totale di circa 6,5 milioni di euro che l'azienda dell'allora presidente di Fincalabra avrebbe dovuto restituire alla regione Calabria;
   sul sito de Il Corriere della Calabria si legge che il 10 luglio 1998 la società «Stabilimento tipografico De Rose» presentò la domanda di agevolazioni, poi, accolta;
   il 7 febbraio 2000 l'impresa summenzionata firmò il contratto di concessione delle agevolazioni, con l'obbligo di effettuare un certo numero di assunzioni, pena la revoca di fondi;
   nel 2003, la regione nominò una commissione di vigilanza sugli obblighi assunti dalle imprese, con conclusione delle verifiche nel luglio 2007;
   già allora, a conclusione delle verifiche, per quanto riportato da Il Corriere della Calabria, ci sarebbe stato per la società di De Rose il «mancato raggiungimento dell'indicatore numero 2: “Occupati attivati dall'iniziativa nell'anno a regime”», con scostamento «maggiore del 30 per cento ammesso»;
   alla lettera f) l'articolo 8 della legge n. 488 del 1992, prevede, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 9, comma 2, dall'articolo 10, comma 4 e dall'articolo 11, comma 1-bis, che «le agevolazioni sono revocate in tutto o in parte dal Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, anche su segnalazione della banca concessionaria, qualora, calcolati gli scostamenti in diminuzione degli indicatori di cui all'articolo 6, comma 4 suscettibili di subire variazioni, anche solo uno degli scostamenti stessi di tali indicatori rispetto ai corrispondenti valori assunti per la formazione della graduatoria o la media degli scostamenti medesimi superi, rispettivamente, i 30 o i 20 punti percentuali»;
   il decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 2008, n. 197, ha riorganizzato il Ministero dello sviluppo economico all'articolo 27 chiarendo che «quando leggi, regolamenti, decreti, norme o provvedimenti fanno riferimento ai Ministri e ai Ministeri dell'industria, del commercio e dell'artigianato o delle attività produttive ovvero a funzioni e compiti già spettanti alle amministrazioni comunque confluite nel Ministero dello sviluppo economico o ai Ministeri del commercio internazionale e delle comunicazioni, il riferimento si intende effettuato rispettivamente al Ministro e al Ministero dello sviluppo economico, ovvero ai corrispondenti compiti e funzioni esercitati dal Ministro e dal Ministero dello sviluppo economico»;
   successivamente alla riferita conclusione delle verifiche, la regione Calabria si rivolse alla società «Ernst & Young» per effettuare una verifica finale e nel frattempo seguirono controdeduzioni di parte;
   con nota del primo marzo 2011 la regione Calabria comunicò alla «De Rose forniture e servizi» l'avvio del procedimento di revoca, cui seguirono controdeduzioni;
   la suddetta dirigente Nicolò scrisse che il programma agevolato realizzato dalla beneficiaria non aveva «generato l'incremento occupazionale previsto (4 unità lavorative annue incrementali verificate, contro 46 unità lavorative annue incrementali dichiarate)»;
   nel dicembre 2013, riporta Il Corriere della Calabria, per aiutare gli imprenditori in difficoltà, «un consiglio regionale parzialmente svuotato vota un provvedimento presentato dal consigliere Mario Magno», in sostanza «un condono tombale per le somme che la Regione aveva chiesto ad alcune imprese di restituire», tra l'altro scavalcando la Commissione bilancio;
   il suddetto provvedimento, la legge regionale 18 dicembre 2013 n. 54, ha previsto, all'articolo 1, che «in considerazione della particolare gravità della crisi economica che ha colpito il sistema produttivo, alle imprese beneficiarie di incentivi e agevolazioni a valere su fondi regionali e/o su fondi comunitari, di cui alla data del 31 dicembre 2011 siano già state pubblicate le graduatorie, si applicano i benefici di cui all'articolo 29, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134»;
   al comma 2 dell'articolo 1 della succitata legge regionale, inoltre, è scritto che, per effetto di quanto previsto al comma 1, «le imprese beneficiarie di agevolazioni a valere su fondi Regionali o su risorse di cui al POP 1994/1999 e al POR 2000/2006 che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 83 del 2012, abbiano completato e regolarmente collaudato gli investimenti, anche in presenza di provvedimenti già adottati, sono esentate dal rispetto degli obblighi e delle prescrizioni derivanti dal calcolo degli indicatori utilizzati per la formazione delle graduatorie, previsti dalle direttive di attuazione, dai bandi e dai relativi provvedimenti di concessione»;
   il comma 1 dell'articolo 29 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, prevede che «le imprese beneficiarie delle agevolazioni di cui all'articolo 1 del decreto-legge 22 ottobre 1992, n. 415, convertito con modificazioni dalla legge 19 dicembre 1992, n. 488, e di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 215, non sono più tenute al rispetto degli obblighi derivanti dal calcolo degli indicatori utilizzati per la formazione delle graduatorie», ma, diversamente dalla legge regionale della Calabria del 18 dicembre 2013, n. 54, prescrive che «sono fatti salvi i provvedimenti già adottati»;
   di fatto, la suddetta legge regionale ha cancellato debiti per diversi milioni di euro che degli imprenditori, tra cui De Rose, beneficiari di agevolazioni regionali pur senza il raggiungimento degli obiettivi previsti, avevano con la regione Calabria –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti; 
   quali controlli ex articolo 11 della legge n. 488 del 1992 siano stati eventualmente disposti su imprese, come la «De Rose forniture e servizi srl», che hanno ricevuto finanziamenti con l'obiettivo di incrementare l'occupazione e che, non avendolo raggiunto, si sono visti richiedere la restituzione delle agevolazioni;
   se risulti agli atti che il Ministro pro tempore avviò procedure per la revoca, ex articolo 8 della legge n. 488 del 1992 delle agevolazioni ricevute dal De Rose;
   se ritengano di disporre, nell'ambito delle proprie competenze, verifiche a largo raggio per l'individuazione di eventuali truffe in tale materia. (4-04955)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli ultimi 3 Governi nazionali sono stati costretti dalla nota scelta giurisdizionale europea ad avviare un percorso di riduzione della popolazione carceraria italiana;
   il sovraffollamento delle nostre carceri è stato affrontato con varie misure: cambio delle norme sulla custodia cautelare, estensione della liberazione anticipata e delle misure alternative alla detenzione, più detenzione domiciliare e meno carcere, avvio di un percorso di depenalizzazione, introduzione della messa alla prova anche per gli adulti;
   la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la legge Fini-Giovanardi sulle droghe;
   è stato inoltre abrogata la norma che prevedeva il reato di immigrazione irregolare;
   il processo di umanizzazione della vita dei detenuti rifiuta l'idea che la pena carceraria debba essere scontata con l'ozio forzato in celle piccole e maleodoranti;
   la sentenza di Strasburgo ha svolto dunque una importante azione di stimolo ma ancora insufficiente visto che i detenuti sono 59.683 e vivono in spazi del tutto insufficienti;
   ai tempi della sentenza Torreggiani erano 6 mila in più di oggi e, dunque, qualcosa è stato fatto ma vi sono ancora 15 mila detenuti senza un posto letto regolamentare, come denuncia l'associazione Antigone;
   il tasso di sovraffollamento è oggi in Italia del 134,6 per cento;
   prima della procedura europea era al 159,3 per cento, dopo solo alla Serbia;
   la media europea è invece del 97,8 per cento –:
   se non intenda assumere iniziative urgenti per eliminare il sovraffollamento delle carceri italiane con un pacchetto di provvedimenti coraggiosi in materia di depenalizzazione e di revisione delle condanne in base alla legge «Fini-Giovanardi» per le quali migliaia di detenuti stanno scontando pene palesemente illegittime sul piano costituzionale. (3-00850)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DANIELE FARINA e NICCHI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa si apprende che un ragazzo di 28 anni, di origine rumena, nonostante dovesse essere scarcerato circa otto mesi fa, si trova ancora presso il carcere di Opera;
   il giovane, con gravi problemi di salute mentale, è totalmente invalido e si trova in tale condizione – incompatibile con il regime detentivo, come attestato dal provvedimento che ne dispone la scarcerazione – anche a seguito di due tentati suicidi, come riferito da Alessandra Naldi, la garante dei diritti dei detenuti del comune di Milano;
   va segnalato che il ragazzo è nella assoluta impossibilità di compiere nuovi reati, essendo costretto su una sedia a rotelle e incapace di provvedere da solo alle esigenze della vita quotidiana;
   la garante, appena avuto notizia del caso, ha segnalato la questione al settore politiche sociali del comune, per l'individuazione di una collocazione idonea dello stesso, tuttavia senza successo; sono stati, infatti, registrati diversi rifiuti da parte delle strutture contattate per l'associazione tra la condizione di gravissima disabilità fisica e i problemi di salute mentale;
   dunque, il giovane non sarebbe stato ancora scarcerato, in quanto non è stata individuata una struttura in grado di accoglierlo;
   tale vicenda, a parere degli interroganti, non può non apparire grave ed illegittima, e non solo in riferimento al singolo caso illustrato, ma anche in riferimento ad altre situazioni nelle quali, dopo un provvedimento di scarcerazione, persone invalide potrebbero trovarsi ad attendere «sine die» di poter accedere alla detenzione domiciliare – o in ogni caso al ricovero – in strutture sanitarie o socio – assistenziali che li accolgano;
   rispetto a tale delicata questione, non può non essere approfondita anche a livello governativo la presenza nei nostri istituti di pena di persone che, pur non ancora beneficiarie di un provvedimento di incompatibilità con il regime carcerario per condizioni di salute, necessiterebbero di ricovero immediato in strutture sanitarie o comunque di accedere al più presto alle misure alternative –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri su quanto riferito in premessa;
   di quali elementi disponga il Governo con riferimento ai detenuti che presentino situazioni di salute particolarmente critiche e alle modalità di trattamento di tali detenuti, sia sotto il profilo delle modalità di detenzione sia sotto il profilo del trattamento medico, e se risultino criticità con riferimento a tali fattispecie;
   quali iniziative urgenti, intendano intraprendere per quanto di competenza al fine di dare soluzione immediata al caso del detenuto di Opera e a quanti siano i detenuti che si trovano in situazioni simili e che, in particolare, nonostante un provvedimento di scarcerazione emesso nei loro riguardi, attendono sine die per poter accedere alla detenzione domiciliare o al ricovero in strutture sanitarie o socio-assistenziali;
   se, in ossequio a quanto previsto dalla legge rispetto alle finalità di tali strutture, non ritengano di dover assumere iniziative per prevedere ulteriori stanziamenti necessari per garantirne l'effettiva ed efficace attività. (5-02894)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MISIANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il settore dell'autotrasporto è di fondamentale importanza per l'economia del nostro Paese, in considerazione della netta prevalenza di tale modalità di trasporto della merce rispetto alle altre;
   la legge 1o marzo 2005, n. 32, ha delegato il Governo al riassetto normativo del settore dell'autotrasporto di persone e cose, introducendo il principio della «liberalizzazione regolata» del comparto, mediante il superamento del sistema delle tariffe obbligatorie a forcella e la definizione di un sistema fondato sulla libera contrattazione dei prezzi;
   in attuazione della citata legge delega, sono stati emanati i decreti legislativi che hanno, tra l'altro, istituito la Consulta per l'autotrasporto e la logistica e l'Osservatorio sull'attività dell'autotrasporto, che ha la funzione di monitoraggio sul rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza della circolazione e di sicurezza sociale;
   in seguito, l'articolo 83-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha reintrodotto significativi vincoli alla disciplina di settore, in particolare attribuendo all'Osservatorio il potere di stabilire costi minimi di esercizio, inizialmente solo con riferimento ai contratti verbali, e poi, con le modifiche stabilite dalla decreto-legge 6 luglio 2010, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2010, n. 127, e dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, anche per i contratti in forma scritta, in ragione della pretesa necessità di garantire il rispetto degli standard di sicurezza;
   la ratio della norma è principalmente quello della tutela della sicurezza stradale e della regolarità del mercato dell'autotrasporto di cose conto terzi, attraverso la determinazione di costi che consentano la copertura almeno dei costi minimi di esercizio inclusi i costi relativi alla sicurezza (vale a dire, i costi necessari a mantenere in efficienza i mezzi di autotrasporto – manutenzione ordinaria periodica e straordinaria – e i costi dei turni di riposo degli autisti);
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con la segnalazione AS913 del 5 marzo 2012, ha ritenuto che il sistema di determinazione dei prezzi minimi sia «in contrasto con principi e disposizioni di tutela della concorrenza, a livello nazionale e comunitario» e che non offra «alcuna fondata parametrazione a istanze di sicurezza proprie della circolazione stradale». A parere dell'Autorità il sistema si limita a «irrigidire e sottrarre alla libera contrattazione delle parti una serie significativa di condizioni contrattuali in relazione alle quali dovrebbero invece tipicamente esplicitarsi le ordinarie dinamiche concorrenziali»;
   la norma è attualmente al vaglio della Corte di giustizia europea (C-184/13, prima udienza tenutasi il 7 aprile 2014) per valutazione di compatibilità con l'ordinamento comunitario e della Consulta per questione di legittimità costituzionale;
   il vincolo della tariffa minima sembrerebbe, tuttavia, essere scarsamente applicato, così che spesso il prezzo del trasporto continua ad essere determinato dalla libera contrattazione tra spedizioniere e auto trasportatore;
   un effetto perverso della disapplicazione di tale vincolo si determina in caso di fallimento dell'autotrasportatore: in tale circostanza, infatti, può accadere che il curatore fallimentare richieda la differenza tra la tariffa minima e il prezzo effettivamente pagato allo spedizioniere, ponendo quest'ultimo in una situazione di difficoltà finanziaria –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali sia il suo orientamento in merito;
   quale sia lo stato di applicazione della norma sulle tariffe minime per l'autotrasporto, quale sia l'efficacia dei controlli in merito all'applicazione delle stesse, se a fronte dei controlli siano state erogate sanzioni e se siano in corso contenziosi e di quale tipologia. (5-02889)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TURCO, CURRÒ, CIPRINI, TRIPIEDI, RIZZETTO, ROSTELLATO, MUCCI, CHIMIENTI, SARTI, BONAFEDE e FERRARESI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dai quotidiani locali del 16 maggio 2014, un detenuto, Francesco A., di 45 anni originario di Crotone, dal 2006 recluso nel carcere Due Palazzi di Padova, è morto in ospedale a Padova l'8 marzo 2014, a causa di una peritonite stercoracea con perforazione del passaggio retto-pelvico;
   il detenuto Francesco A., era arrivato in ospedale la mattina del 7 marzo in stato di shock ipovolemico e dopo essere stato visitato in carcere per cinque volte e da tre medici diversi che però, fino alla visita del 7 marzo, non avevano ritenuto di fare approfondimenti, nonostante per diversi giorni il detenuto avesse lamentato dolori all'addome;
   nonostante l'impegno dei medici dell'ospedale, la buona riuscita dell'operazione chirurgica non è stata però sufficiente a salvargli la vita;
   i chirurghi hanno trasmesso una segnalazione alla direzione sanitaria dell'azienda ospedaliera che è stata inviata alla procura ed alla direzione del carcere Due Palazzi. Sul caso è stata aperta un'inchiesta dal pubblico ministero Francesco Tonon;
   il trattamento sanitario riservato al detenuto in questione secondo gli interroganti appare non conforme alle leggi dello Stato e, soprattutto, a quanto previsto dagli articoli 3, 13 (comma 4), 27 (comma 3), 32 della Costituzione;
   secondo i dati rilevati da Ristretti Orizzonti dal 2010 al 2014 i morti per malattia nel Veneto sono stati 2, quelli per suicidio 14, mentre le morti da accertare sono 9. I detenuti ristretti nei penitenziari del Veneto alla data del 30 aprile 2014, sono 2.826. Gli stranieri sono 1.605. La capienza regolamentare dei 10 istituti veneti è di 2.019 –:
   di quali informazioni i Ministri dispongano in ordine ai fatti esposti in premessa;
   se, negli ambiti di rispettiva competenza, ed indipendentemente dalle indagini della magistratura sulla vicenda, i Ministri non intendano promuovere iniziative per quanto di competenza, l'esistenza di eventuali responsabilità sul piano amministrativo o disciplinare nella morte del detenuto in questione;
   se sia noto se nel corso della sua detenzione l'uomo abbia usufruito di tutte le cure necessarie che il suo precario stato di salute richiedeva;
   più in generale, quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Governo intenda adottare al fine di garantire ai detenuti una non effimera attività di cura e sostegno, nonché i livelli essenziali di assistenza sanitaria all'interno degli istituti di pena. (5-02885)


   TURCO, CURRÒ, CIPRINI, TRIPIEDI, RIZZETTO, ROSTELLATO, CHIMIENTI, MUCCI, CARIELLO, D'INCÀ e PRODANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 7 maggio 2014, riportano vari organi di stampa nazionali, la Marina militare ha intercettato e soccorso tre imbarcazioni con a bordo circa 300 persone che sono state trasbordate sulla nave della marina militare «Scirocco» in rotta verso il porto ragusano di Pozzallo;
   su una di queste imbarcazioni c'era anche il cadavere di un uomo, già morto quando militari lo hanno trasbordato, un migrante di probabile nazionalità eritrea, dall'apparente età di 20-25 anni;
   il decesso, in un primo momento, si pensava potesse essere ricondotto agli stenti del viaggio, ma ora, non si esclude nemmeno l'ipotesi che l'uomo sia morto in conseguenza di lesioni riportate o durante la traversata o prima di imbarcarsi;
   è una delle ipotesi al vaglio della squadra mobile della questura di Ragusa che indaga sul decesso del migrante, la procura di Ragusa ha disposto l'autopsia che sarà eseguita domani nell'obitorio del cimitero della città del ragusano;
   un'altra nave militare è arrivata a Catania con 348 extracomunitari soccorsi in due interventi; a Porto Empedocle, nell'agrigentino, intanto sono arrivati 468 migranti, principalmente provenienti da Egitto, Eritrea, Siria e Sudan, tra i quali 104 donne e 25 minori, soccorsi nel canale di Sicilia dalla nave Libra della marina militare;
   ieri a Trapani erano arrivati altri 887 profughi tra i quali 191 minori e 140 donne intercettati e tratti in salvo ieri dalla marina militare a 120 miglia a sud di Lampedusa;
   i persistenti flussi migratori che dalle coste nord-africane si rivolgono verso le coste dell'Italia meridionale, talvolta accompagnati da avvenimenti luttuosi, a parere degli interroganti, dimostrano che l'emergenza migratoria non solo non si arresta ma, nella realtà dei fatti, s'incrementa con sempre maggiore drammaticità;
   questo episodio, infatti, lungi dal rappresentare un caso isolato è ormai divenuta una consuetudine, poiché, gli avvistamenti d'imbarcazioni fatiscenti in alto mare, le operazioni di soccorso ed assistenza con conseguente trasbordo dei migranti poste in atto dalla marina militare e dalle capitaneria di porto, e successivo sbarco sull'isola siciliana si ripetono continuamente;
   primario effetto di tale consistente affluenza di migranti consiste nel sovraccarico delle strutture comunali, destinate all'accoglienza degli stranieri, delle città siciliane che ormai si trovano in palese difficoltà e, stante l'ingente numero di persone che devono essere ospitate, non riescono più a far fronte alle esigenze immediate di assistenza e protezione dei migranti loro affidati, palesando inequivocabilmente una situazione ormai insostenibile;
   sebbene sia stata disposta l'apertura di due centri d'accoglienza, uno dei quali a Castellammare del Golfo, le persone provenienti dall'Africa e dal Medioriente cercano di fuggire dai vari centri in cui vengono indirizzati;
   a Messina, si registra il caso di 184 migranti, siriani e palestinesi, che hanno abbandonato i loro alloggi e sono scappati; un gran numero di minori anche non accompagnati si sono dati alla fuga prima di essere identificati nella speranza di poter raggiungere altri Paesi del nord Europa;
   «non scappano soltanto da Pozzallo – spiega il sindaco Luigi Ammatuna – ma da tutti i centri di accoglienza. Ho parlato con molti di loro e nessuno vuole rimanere in Italia: il sogno, tutt'altro che segreto, anzi dichiarato pubblicamente, è raggiungere un Paese del Nord Europa»;
   dall'inizio dell'anno gli stranieri soccorsi in mare ed approdati via mare sulle coste italiane hanno superato le 21 mila unità, contro le 2.500 unità dello stesso periodo del 2013;
   è notizia del 13 maggio che sia registrato il naufragio di un'imbarcazione carica di migranti avvenuto a 40 miglia di distanza dalle coste della Libia; sino ad oggi sale a 17 il numero dei corpi dei profughi deceduti in mare recuperati dai soccorritori dopo che hanno, altresì, tratto in salvo oltre duecento i migranti;
   la nave della Marina militare «Grecale» sta facendo rotta verso il porto di Catania, con a bordo il suo carico di vittime e di superstiti –:
   se e quali misure intenda promuovere in merito alla necessità di scongiurare il persistente stato di crisi umanitaria migratoria diretta dal nord Africa verso le coste siciliane e conseguentemente verso l'Italia e l'Europa;
   se e quali provvedimenti intenda adottare per il miglioramento delle condizioni di sicurezza che si verificano ai confini del sud dell'Italia anche in relazione all'identificazione dei migranti ed all'avvio delle procedure conseguenti alle richieste di asilo per motivi umanitari;
   se e quali azioni intenda porre in essere in merito al fenomeno dell'emigrazione di massa al fine di supportare la nuova emergenza connessa all'arrivo in Italia di un nuovo e più intenso flusso di migranti;
   se e quali misure intenda adottare con riferimento al soccorso in mare e all'accoglienza, e se ritenga che le condizioni d'accoglienza approntate a terra, igieniche e ambientali, possano essere considerate adeguate in relazione all'incremento del numero di migranti sbarcati in Italia;
   se e quali azioni concrete intenda realizzare per evitare in futuro le frequentissime morti che, troppo spesso, si verificano in relazione ai descritti fenomeni migratori verso l'Italia. (5-02890)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dalle ore 14 di lunedì 26 maggio 2014 il sito della regione Abruzzo preposto alla diffusione dei dati elettorali è stato completamente inaccessibile agli utenti, oscurando praticamente ogni cittadino che voleva conoscere i risultati in tempo reale dello spoglio delle elezioni regionali;
   l'unica fonte dei dati, seppur molto generici, è stata l'emittente televisiva Rete 8;
   a differenza delle precedenti tornate elettorali, la regione Abruzzo ha preferito gestire autonomamente sia l'afflusso dei dati elettorali che la pubblicazione degli stessi;
   il 24 febbraio 2014 a L'Aquila è stata firmata, dal presidente della giunta della regione Abruzzo e i prefetti de L'Aquila, Chieti, Teramo e Pescara la «Intesa quadro tra il Presidente della Giunta Regionale d'Abruzzo Giovanni Chiodi e i prefetti della regione Abruzzo con il raccordo del prefetto della provincia de L'Aquila nella qualità di rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie in Abruzzo»;
   l'intesa prevede, al punto 4, che «La Regione Abruzzo curerà l'acquisizione dei dati e dei risultati ufficiosi della consultazione direttamente dai Comuni provvedendo alla loro diffusione e dandone comunicazione al Ministero dell'interno»;
   nonostante i dati elettorali, che si riferivano alle comunicazioni pervenute dai comuni alle regioni tramite procedura informatica regionale, non rivestivano carattere di ufficialità, l'accesso diretto agli stessi dati avrebbe consentito di comparare in tempo reale di dati elettorali acquisiti dai rappresentanti di lista delle forze politiche presso le sezioni elettorali e quelli comunicati dai comuni;
   tale riscontro di dati elettorali da parte dei rappresentanti di lista, in passato, veniva effettuato presso le Prefetture provinciali in quanto preposte sia a ricevere le comunicazioni dei dati elettorali dai comuni, sia all'invio degli stessi al Ministero dell'interno;
   tale scelta di gestione autonoma dei dati elettorali, a dire della regione Abruzzo, è motivata da un minor costo dello stesso –:
   quali siano stati, nel dettaglio sezione per sezione, i tempi di comunicazione dei dati elettorali da parte della regione Abruzzo al Ministero dell'interno;
   quali costi avrebbe dovuto sostenere, indicativamente, la regione Abruzzo se l'intera gestione dei dati elettorali fosse stata affidata al Ministero dell'interno. (4-04956)


   RAMPI e ASCANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è stata promossa un'iniziativa denominata M5S – RICONTIAMOCI che vede distribuito attraverso la rete internet un formulario che avrebbe come fine dichiarato la volontà di verificare il regolare svolgimento delle elezione del 25 maggio 2014;
   tale formulario chiede, con dovizia di particolari, dati sensibili e documenti al fine esplicito rendere palese il voto dei cittadini che vi aderiscono;
   non è chiaro se il sondaggio sia vero oppure soltanto un tentativo di phishing;
   tale iniziativa appare agli interroganti in palese violazione dell'articolo 48 della Costituzione italiana che sancisce la segretezza del voto quale uno dei fondamenti dell'ordinamento democratico –:
   se il Ministero sia a conoscenza di tale iniziativa;
   quali iniziative intenda assumere per effettuare le dovute verifiche, anche per il tramite della polizia postale, a tutela della riservatezza dei cittadini. (4-04965)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FERRARESI, LUIGI GALLO, D'UVA e VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
    nell'intenzione di adeguare le modalità di reclutamento del personale accademico delle università ai criteri internazionalmente riconosciuti premianti il merito, la qualità e l'efficienza, il Parlamento italiano ha approvato la legge n. 240 del 2010;
   l'articolo 16 della suddetta legge ha istituito l'abilitazione scientifica nazionale (ASN), l'aspetto che attesta la qualificazione scientifica come requisito necessario per l'accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari;
   l'introduzione dell'abilitazione scientifica nazionale era stata inizialmente apprezzata dall'opinione pubblica e dal mondo accademico, in particolare da parte del personale non strutturato, in quanto si presentava come un sistema che sembrava garantire una maggiore obiettività di giudizio per la presenza di commissioni nazionali e di indicatori quantitativi tratti da basi di dati internazionali o comunque indipendenti dalle commissioni, superando finalmente il radicato modello delle assunzioni ad personam, e quell’ autoreferenzialità che appesantisce e toglie dignità al sistema universitario italiano;
   con il decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 222, è stato emanato l'apposito regolamento sulle modalità di espletamento delle procedure per il conferimento dell'abilitazione scientifica nazionale;
   il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 76 del 7 giugno 2012 ha poi definito i criteri e i parametri della valutazione scientifica dei curricula dei candidati all'abilitazione, compresi i relativi indicatori, la cui modalità di calcolo è stata fissata dall'Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) con la delibera n. 50 del 21 giugno 2012;
   con decreto direttoriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca 20 luglio 2012, n. 222, è stata indetta la procedura per conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia per numerose aree disciplinari;
   con deliberazione dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) 13 agosto 2012, n. 64, sono state deliberate le mediane per la valutazione dei candidati;
   dopo oltre tre anni dall'entrata in vigore della legge n. 240 del 2010 questa è l'unica tornata di abilitazione scientifica nazionale rispetto alle tre previste dalla legge;
   la circolare del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 11 gennaio 2013, n. 754, ha inspiegabilmente rimesso in discussione l'oggettività della selezione, dando indicazione alle commissioni esaminatrici che anche i candidati privi di indicatori bibliometrici superiori alle mediane avrebbero potuto conseguire l'abilitazione e, viceversa, non conseguirla candidati titolari di indicatori superiori alle mediane;
   la procedura dell'abilitazione scientifica nazionale ha visto impegnate 184 commissioni nazionali e 59.193 candidati, di cui 18.073 aspiranti alla I fascia delle docenza (docenti ordinari) e 41.120 alla II fascia (docenti associati); alcune commissioni sono state chiamate a giudicare oltre 500 candidati, cosa che di fatto rende difficile immaginare che i giudizi espressi sul merito scientifico possano aver realmente tenuto conto di centinaia di titoli e migliaia di articoli, materialmente impossibile da valutarsi nei tempi prestabiliti;
   lo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, prendendo atto di una serie di incongruenze nella valutazione dei candidati, ha consentito alle Commissioni di riaprire i propri lavori invitandole ad approfondire le domande dei candidati per correggere eventuali errori che risultavano evidenti;
   pur tuttavia, ad un'analisi approfondita dei verbali delle Commissioni, risulterebbe ancora una discrezionalità che ad avviso dell'interrogante supera in molti casi l'illogicità, tanto che questi risultati sono ora gravati da oltre seicento ricorsi al TAR da parte dei candidati; a fine marzo 2014, su 49 ricorsi vagliati, sono stati disposti 15 provvedimenti cautelari, in quanto spesso le commissioni giudicatrici hanno commesso evidenti errori di tipo quantitativo, omettendo completamente la valutazione di importanti titoli inseriti dai candidati nella domanda;
   nonostante la presentazione di ricorsi ai diversi TAR, i giudizi ancora in corso, l'incertezza degli esiti dei ricorsi e quindi del numero reale degli abilitati, il processo di reclutamento dei professori che hanno partecipato all'abilitazione scientifica nazionale ha subito un'improvvisa accelerazione;
   alcuni dipartimenti hanno addirittura deliberato la richiesta dei posti da bandire, prima ancora che fossero ufficialmente noti i nominativi degli abilitati; in alcuni casi, sui quali la magistratura sta indagando, parte dei verbali delle commissioni giudicatrici, sono stati pubblicati on–line dopo diverse settimane dalla pubblicazione degli esiti dell'abilitazione scientifica nazionale;
   l'articolo 16, comma 3, lettera m) della legge n. 240 del 2010, prevede poi che i candidati che non conseguono l'abilitazione scientifica nazionale non possono partecipare alle due tornate annuali successive di procedura per l'abilitazione, mentre si sta verificando il caso che molti dei candidati risultati successivamente non abilitati nella prima tornata hanno presentato regolare domanda alla seconda tornata;
   si ritiene che la difesa di diritti degli aspiranti all'abilitazione, palesemente calpestati dalle commissioni esaminatrici, non può essere demandata solo ai singoli candidati, ma ci debba essere invece una responsabile assunzione di misure da parte del Ministero per porre rimedio a questa situazione di evidente ingiustizia –:
   se non si ritenga necessario dare comunque la possibilità ai candidati che non hanno conseguito l'abilitazione nella prima tornata di partecipare alla seconda tornata dell'abilitazione scientifica nazionale;
   se si intendano assumere iniziative per evitare la discrezionalità riscontrata nel valutare l'idoneità al conseguimento o meno dell'abilitazione, fissando criteri maggiormente chiari e certi da utilizzarsi nel giudizio delle commissioni. (5-02891)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAGNARLI, BENEDETTI, L'ABBATE, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Cassa di previdenza degli agrotecnici e degli agrotecnici laureati inclusa nell'ENPAIA, istituita ai sensi del decreto legislativo n. 103 del 1996, rappresenta la gestione previdenziale della relativa categoria professionale e si caratterizza pressoché per l'assenza di pensionati, per il costante aumento degli iscritti, per la loro giovane età media e per avere fin dall'inizio applicato il sistema contributivo puro;
   la prudente gestione compiuta dagli amministratori ha sempre consentito, nonostante si tratti di una fra le più piccole Casse previdenziali, di chiudere i bilanci in utile e di rivalutare il montante contributivo utilizzando esclusivamente i proventi degli investimenti finanziari, tanto che nel 2010 il «Nucleo di valutazione della spesa previdenziale» del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha definito la Cassa Agrotecnici/Enpaia in grado di «garantire la sostenibilità previdenziale all'infinito»;
   le Casse autonome di previdenza dei liberi professionisti non ricevono alcun aiuto, né diretto né indiretto, dallo Stato e devono provvedere in autonomia al raggiungimento dell'equilibrio di bilancio, alla rivalutazione ed al pagamento delle pensioni;
   la Cassa di previdenza Agrotecnici/Enpaia, così come ogni altra Cassa di previdenza dei liberi professionisti, ai sensi del decreto legislativo n. 103 del 1996, deve rivalutare le pensioni dei propri iscritti utilizzando un indice determinato per legge, dato dalla media del prodotto interno lordo nazionale degli ultimi cinque anni comunicato dall'ISTAT; questo indice, che nel 2009 era del 3,320 per cento, per effetto della crisi economica, nel 2011 è sceso a 1,6165 per cento, nel 2012 ad 1,1344 per cento e nel 2013 allo 0,1643 per cento con l'effetto di deprimere all'inverosimile le future pensioni, che vengono pertanto solo minimamente incrementate;
   il comitato amministratore della Cassa Agrotecnici/Enpaia, preoccupato per gli effetti sul tasso di sostituzione del modesto incremento delle pensioni che si è verificato nel 2011, nel 2012 e nel 2013, che verosimilmente peggiorerà ancora negli anni a venire, il 12 aprile 2012 ha deliberato di incrementare del 50 per cento il tasso di rivalutazione del montante contributivo, così portando il tasso di investimento del 2011 da 1,6165 per cento a 2,42475 per cento. Analogo incremento del 50 per cento è stato deciso per l'aliquota di rivalutazione del 2012;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha tuttavia «bocciato» la delibera del comitato amministratore della Cassa di previdenza Agrotecnici/Enpaia, sostanzialmente con la motivazione dell'impossibilità di modificare l'indice di rivalutazione di cui al decreto legislativo n. 103 del 1996, che il Ministero ritiene debba essere uguale per tutte le Casse di previdenza dei professionisti;
   l'argomentazione ministeriale appare contraddittoria, sia perché il decreto legislativo n. 103 del 1996 si preoccupa di garantire a tutti gli iscritti nelle gestioni previdenziali dei professionisti una rivalutazione minima dei contributi versati, e non una rivalutazione massima, ma soprattutto perché non esiste alcuna disposizione che impedisca di erogare trattamenti previdenziali più congrui, senza oneri per lo Stato, con contributi a carico degli stessi previdenti;
   né peraltro pare potersi ipotizzare il fatto che le gestioni previdenziali più virtuose, ferma la garanzia di sostenibilità dei bilanci a 50 anni, vengano impedite all'utilizzo di almeno parte degli utili di bilancio a favore dei propri iscritti, per finalità strettamente istituzionali, e siano penalizzate rispetto alle gestioni meno oculate ovvero trattate alla stregua di queste ultime;
   nel caso concreto, la maggior rivalutazione del 50 per cento dei contributi pensionistici versati viene effettuata utilizzando solo una parte degli utili conseguiti nel 2011 e nel 2012, sicché i consistenti avanzi delle precedenti annualità non vengono toccati, ed anzi ulteriormente incrementati;
   il bilancio tecnico-attuariale a 50 anni della gestione previdenziale come riconosciuto dallo stesso Ministero vigilante e degli agrotecnici e degli agrotecnici laureati è ampiamente positivo;
   il regolamento della gestione previdenziale degli agrotecnici e degli agrotecnici laureati, approvato dal competente Ministero del lavoro, all'articolo 28, espressamente prevede che le «eventuali eccedenze risultanti dall'ordinaria rivalutazione dei conti individuali» siano conferite in uno speciale fondo di riserva sul «cui utilizzo dispone il Comitato Amministratore», il quale si è legittimamente espresso decidendo di destinare una parte degli utili del 2011 e del 2012 alla rivalutazione delle future pensioni, per rafforzare il tasso di sostituzione;
   di fronte al diniego all'incremento del rendimento dei contributi previdenziali opposto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il comitato amministratore della Cassa di previdenza Agrotecnici/Enpaia ha ritenuto di doverlo impugnare al TAR Lazio il quale, con sentenza di merito n. 6954 dell'11 luglio 2013, ha rigettato il ricorso e la vicenda è attualmente in attesa del giudizio di appello del Consiglio di Stato;
   pertanto, nonostante la certificata sostenibilità previdenziale ben oltre i 50 anni richiesti per legge, l'esistenza di un adeguato fondo di riserva, la perfetta aderenza della decisione di aumentare del 50 per cento il rendimento del montante contributivo con quanto previsto dall'articolo 28 del regolamento previdenziale, gli iscritti alla gestione Agrotecnici/Enpaia si vedono rivalutare i propri contributi previdenziali in misura di gran lunga inferiore a quanto sarebbe avvenuto se il Ministero del lavoro e delle politiche sociali avesse autorizzato la delibera del Comitato Amministratore, di adeguamento del rendimento. Infatti con gli attuali rendimenti dei contributi previdenziali le future pensioni si attesteranno fra il 25 per cento ed il 40 per cento dell'ultimo reddito di lavoro, quindi insufficienti per garantire una dignitosa vecchiaia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario pertanto assumere urgentemente iniziative per chiarire che la gestione previdenziale Agrotecnici/Enpaia, così come ogni altra gestione previdenziale virtuosa e con i conti in ordine, ha l'obbligo di garantire la rivalutazione dei contributi versati dagli iscritti almeno nella misura minima prevista dal decreto legislativo n. 103 del 1996 (media quinquennale del prodotto interno lordo), ma altresì possa aumentare l'indice di rivalutazione, purché nel rispetto del proprio regolamento, della sostenibilità previdenziale di lungo periodo e con l'obiettivo – peraltro indicato come prioritario dallo stesso Governo – di garantire pensioni più dignitose, senza oneri a carico dello Stato. (4-04958)


   ROSTAN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 1084 del 06 dicembre 1971 (e successive modificazioni), ha istituito il Fondo di previdenza integrativo per i lavoratori delle aziende private del gas, ed ha deferito, in materia di contribuzione obbligatoria per il finanziamento del Fondo di previdenza integrativo prima indicato, al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministero del tesoro del bilancio e della programmazione economica, sentito il parere del Comitato di amministrazione del fondo, il potere di decretarne la variazione della misura, in relazione al fabbisogno del Fondo medesimo ed alle risultanze di gestione (articolo 9, comma 3, legge n. 61 del 3 marzo 1987);
   recentemente, le organizzazioni sindacali e datoriali operative nel settore del gas privato hanno prospettato all'INPS il superamento di tale Fondo;
   in realtà, rispetto a tale ipotesi, vi sarebbe la contrarietà di gran parte degli iscritti per i quali si concretizzerebbe, in caso di superamento del Fondo di Previdenza Integrativa, una grave lesione dei diritti pensionistici quesiti;
   del pari, anche l'INPS, con documenti tecnici attuariali, avrebbe prospettato di poter subire un grave pregiudizio dall'eventuale superamento del Fondo prima indicato e dal conseguente contenzioso previdenziale che ne scaturirebbe;
   negli ultimi 3 anni, il risultato di esercizio del Fondo è stato negativo e ciò ha determinato una significativa erosione patrimoniale dello stesso;
   in considerazione di quanto sopra, i lavoratori iscritti al Fondo hanno più volte sollecitato il Comitato di amministrazione del Fondo stesso ad operare una rimodulazione (verso l'alto) della contribuzione posta a carico delle aziende private operanti nel settore del gas, finalizzata al raggiungimento del pareggio di bilancio;
   in precedenza, e precisamente nel dicembre del 1999, è stata disposta una riduzione della percentuale di contribuzione dal 4 per cento all'1,7 per cento a vantaggio delle aziende (quantificato in un risparmio di circa 5 milioni di euro all'anno), circostanza, quest'ultima, che ha determinato il disavanzo e la conseguente erosione patrimoniale del Fondo;
   al Fondo di previdenza istituito dalla legge n. 1084 del 06 dicembre 1971 sono iscritti 8.300 lavoratori, di cui 600 a contribuzione volontaria e le pensione AGO (Assicurazione Generale Obbligatoria) attualmente erogate sono ben 5.637 –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e se non ritenga di intervenire presso gli organismi di direzione ed amministrazione del fondo, affinché gli stessi, valutate la sussistenza e la fondatezza dei presupposti, provvedano alla rimodulazione della percentuale di contribuzione posta a carico delle aziende;
   se stia valutando l'ipotesi di decretare l'opportuno aumento della percentuale di contribuzione da porsi integralmente a carico delle aziende, anche per le quote a contribuzione volontaria attualmente poste a carico dei lavoratori «esodati» in regime di mobilità e dei lavoratori «ex aziende della distribuzione del gas» confluiti in aziende di vendita del gas ai sensi della legge n. 289 del 2002 e decreto ministeriale del 16 giugno 2003;
   se stia valutando l'ipotesi di disporre l'obbligo per le aziende subentranti nella gestione delle reti di distribuzione del gas, in seguito alle gare espletate in attuazione del decreto legislativo n. 164 del 2000 (e Legge n. 222 del 2007), di continuare la contribuzione obbligatoria al Fondo per i lavoratori iscritti alla data del subentro, e tanto in forza di quanto disposto dal decreto attuativo del Ministero dello sviluppo economico del 21 aprile 2011 che ha statuito, per i lavoratori impiegati in aziende oggetto di trasferimento la «salvaguardia delle condizioni economiche individuali in godimento, con riguardo ai trattamenti fissi e continuativi e agli istituti legati al l'anzianità di servizio»;
   se sia in corso, presso gli uffici ed i dipartimenti del Ministero, una valutazione circa la effettiva possibilità di sopprimere il Fondo di cui in premessa ed in caso affermativo, se tale ipotesi risponda a concreti interessi collettivi e generali o a logiche favorevoli esclusivamente alle parti datoriali. (4-04959)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in provincia di Napoli si trovano le terme di Castellammare di Stabia, che si annoverano tra le terme più rinomate della regione Campania e per capacità operativa, le più grandi del Sud Italia. Le antiche terme di Castellammare di Stabia, risalenti al 1836, hanno sempre rappresentato non solo un centro per il benessere, ma anche un importante punto di riferimento culturale. Le Nuove Terme, complesso termale situato sulla collina del Solaro della città sono state inaugurate nel 1964 dal Presidente della Repubblica Antonio Segni, si sviluppa su una superficie di oltre 150 mila metri quadri. Oltre al centro di otorinolaringoiatria, la struttura è dotata anche di un centro di pneumologia e di un centro di fisioterapia. Le acque, che sgorgano da 28 sorgenti naturali, fanno parte di un bacino idrogeologico unico in Europa; si caratterizzano per la varia composizione chimica (cloruro–sodiche sulfuree – isotoniche, ipotoniche o ipertoniche – ferruginoso–carboniche e bicarbonato–calciche). Sono indicate per la cura di diverse patologie come la calcolosi delle vie urinarie e sue recidive, dispepsia di origine gastroenterica e biliare, sindrome dell'intestino irritabile nella varietà con stipsi, malattie del fegato e del ricambio;
   sono disponibili tutti i trattamenti termali classici come le cure idropiniche, ginecologiche, inalatorie, broncoasmatiche, pneumologiche, dermatologiche, artroreumatiche e balneo–fangoterapiche. Le terme sono dotate di un centro benessere e di cura estetica, di due palestre ed un parco di 20.000 metri quadrati. La struttura offre anche cure riabilitative. Tutti i trattamenti sia termali che fisioterapici sono convenzionati con il servizio sanitario nazionale;
   la società che gestisce le Terme di Castellammare di Stabia è denominata «Terme di Stabia S.p.A.» e il suo assetto proprietario è diviso tra il comune di Castellammare di Stabia (1,90 per cento) e la «Società Immobiliare Nuove Terme S.p.A.» (98,1 per cento) che a sua volta ha come azionista unico lo stesso comune di Castellammare di Stabia; 
   il 2 dicembre 2013 con assemblea straordinaria di Terme di Stabia SpA è stata deliberata la liquidazione della società ed è stato nominato il liquidatore;
   nel mese di gennaio 2014 è stata presentata da parte di Terme di Stabia un'istanza di concordato in bianco la cui ultima scadenza è fissata per il 14 giugno 2014;
   allo stato attuale non risulta intrapresa alcuna iniziativa di risanamento, valorizzazione o privatizzazione ma sono state fornite solo delle linee guida sulla cui reale praticabilità alcune sigle sindacali hanno rilevato molteplici criticità;
   la struttura rischia il fallimento e/o l'abbandono totale, eventualità che comprometterebbero l'enorme valore storico, culturale ed economico che le Terme di Castellammare di Stabia hanno da sempre rappresentato nel territorio campano –:
   se il Governo abbia intenzione di adottare iniziative urgenti, per quanto di competenza, anche di concerto con la regione Campania, al fine di tutelare i livelli occupazionali e fornire un adeguato sostegno ai lavoratori impiegati nella struttura e nel comparto;
   se il Governo intenda assumere iniziative e, di che tipo, per sostenere e rilanciare il settore termale. (4-04963)


   NESCI e PARENTELA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la legge regionale della Calabria n. 24 del 2013 prevede l'assorbimento dei dipendenti di Calabria IT – per le cronache 132 – in Fincalabra, finanziaria dell'ente regione Calabria deputata allo sviluppo delle imprese;
   la suddetta legge ha inoltre previsto entro il 31 dicembre 2013 la liquidazione di Calabria IT, deducendosi lo stesso termine per il riferito trasferimento di personale;
   quanto sopra non è ancora avvenuto, sia per la presentazione da parte di Fincalabra, al termine del 2013, di un piano industriale considerato incompleto e inadeguato nei racconti della stampa, sia per una lunga serie, a parere dell'interrogante, di evidenti, gravi mancanze da parte della politica regionale di maggioranza e opposizione;
   nonostante diverse riunioni indette dalla regione Calabria, incontri partecipati dai sindacati, accantonamento di presunte limitazioni che – hanno riferito dei lavoratori interessati – per l'assessore regionale alle attività produttive Demetrio Arena sarebbero sorte da norme dell'ultima legge nazionale di stabilità, il personale di Calabria IT resta, ad oggi, nella lacerante attesa di conoscere il proprio destino lavorativo;
   a nulla sono valsi, finora, rassicurazioni di membri del consiglio regionale della Calabria e impegni assunti in tv dal presidente di codesta assemblea elettiva, Francesco Talarico;
   ancora, per quanto denunciato da dipendenti di Calabria IT, vi sarebbero stati perfino colloqui illegittimi, al fine di agevolare contrattualmente soltanto una parte del personale, tenuti da soggetti contrattualmente legati a Fincalabra a ridosso delle elezioni europee;
   la situazione generale è resa più complicata dal fatto che il commissario liquidatore di Calabria IT fece a suo tempo partire delle lettere di licenziamento;
   il presidente della commissione speciale di Vigilanza in seno al Consiglio regionale della Calabria, Aurelio Chizzoniti, ha più volte sottolineato resistenze del governo di Fincalabra rispetto all'assorbimento dei dipendenti di Calabria IT, con ciò rilevando un'aperta contrapposizione della predetta finanziaria rispetto al Consiglio regionale, che all'unanimità ha disposto con legge il passaggio dei lavoratori in Fincalabra;
   con proprio esposto, il consigliere regionale Chizzoniti ha rappresentato ai procuratori della Repubblica di Catanzaro e della sezione giurisdizionale della Calabria della Corte dei conti l'opportunità di estendere una già dedotta attività investigativa a una serie di quesiti tecnici connessi al funzionamento di Fincalabra ed al rispetto della predetta legge regionale n. 24 del 2013;
   lo stesso consigliere Chizzoniti ha rilevato alle suddette autorità, per quanto si legge sulla stampa, una serie di presunte anomalie relative alla gestione di Fincalabra da parte del suo presidente da poco decaduto, Umberto De Rose, peraltro indagato per aver assegnato consulenze illegittime a Lory e Andrea Gentile, figli del senatore del Nuovo Centrodestra Antonio, dimessosi da sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti del governo presieduto da Matteo Renzi in seguito alla mancata uscita del quotidiano «L'Ora della Calabria», vicenda su cui esiste un'inchiesta per violenza privata che il De Rose avrebbe esercitato al fine di evitare la pubblicazione della notizia di un'indagine penale sul suddetto Andrea Gentile, relativa a consulenze affidategli dall'Azienda sanitaria provinciale di Cosenza;
   il mancato assorbimento dei lavoratori di Calabria IT in Fincalabra, previsto da legge regionale, è ancora più pesante alla luce della particolare situazione politico–amministrativa della regione Calabria, il cui presidente della giunta, Giuseppe Scopelliti, è stato sospeso ai sensi del decreto legislativo 31 dicembre 2012 n. 235, rassegnando anche le dimissioni in un contesto temporale che ha indotto il Consiglio regionale a chiedere pareri ministeriali sull'esercizio delle proprie funzioni alla luce della riferita vicenda del governatore;
   l'articolo 1 della Costituzione repubblicana recita che l’«Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» e l'articolo 4 sancisce che «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto»;
   i fatti esposti, al di là di quanto le procure della Repubblica competenti vorranno accertare, meritano senza ogni dubbio approfondimento sotto i profili della competenza ispettiva del lavoro, al fine di svolgere ogni verifica in relazione ad eventuali responsabilità in capo agli attori di questa ennesima triste vicenda che si abbatte sui lavoratori di una regione già martoriata dalla piaga della disoccupazione –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ritenga opportuno porre in essere ogni iniziativa utile, ivi compresa, quella ispettiva, finalizzata all'accertamento dei fatti connessi alla situazione dei lavoratori di Calabria IT;
   quali misure anche urgenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano assumere per garantire i diritti dei 132 lavoratori interessati. (4-04964)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   L'ABBATE, GAGNARLI, PARENTELA, LUPO e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   La SGFA, società di scopo a responsabilità limitata di proprietà di Ismea gestisce gli interventi per il rilascio di garanzie dirette e sussidiarie volte a migliorare le condizioni sui prestiti effettuati dagli Istituti di credito a favore delle imprese agricole con un conseguente abbassamento del tasso d'interesse;
   il decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74 recante «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012», convertito con modificazioni dalla legge 1o agosto 2012, n. 122, prevede tra l'altro, adeguati interventi a favore delle imprese agricole danneggiate e dispone il trasferimento di 5 milioni di euro, a valere sul fondo appositamente istituito, ad ISMEA SFGA, destinati ad abbattere, secondo il metodo di calcolo di cui alla normativa europea, le commissioni per l'accesso alle garanzie dirette di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102;
   allo stato attuale, presso SGFA non risulta attivata alcuna misura specifica in tal senso –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto espresso in premessa e se non ritenga urgente procedere all'attivazione del Fondo per la ricostruzione delle aree terremotate al fine di consentire alle imprese e cooperative agricole di contenere i costi connessi alle operazioni di finanziamento secondo quanto previsto dal decreto-legge n. 74 del 2012, convertito, con modificazioni dalla legge n. 122 del 2012. (4-04954)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 19 dicembre 2013 si è svolta presso il Ministero dello sviluppo economico (MiSE) la verifica delle prospettive produttive ed occupazionali dello smelter di Portovesme di proprietà della società «ALCOA»;
   all'incontro, presieduto dal Sottosegretario pro tempore De Vincenti, erano la regione autonoma Sardegna, l'incaricato del coordinamento delle attività connesse al «Piano Sulcis», rappresentanti della società «ALCOA», le Confederazioni nazionali e regionali di CGIL, CISL, UIL, rappresentanti delle segreterie nazionali e territoriali di FIM CISL, FIOM CGIL, UILM UIL, UGL meccanici, unitamente alle Rappresentanze sindacali unitarie;
   il rappresentante del Governo ha comunicato che sono proseguiti gli incontri con «ALCOA» ed il gruppo «KLESCH» per definire le condizioni inderogabili per entrambe le parti (oltre che per il Governo nazionale e la regione Sardegna) in merito alla eventuale cessione del sito produttivo in esame;
   al termine dell'incontro si è convenuto di predisporre un verbale riassuntivo dei problemi esaminati, delle condizioni da assolvere nonché delle tempificazioni necessarie per la prosecuzione del confronto. Il verbale è stato predisposto dal Ministero dello sviluppo economico ed inviato alle due società per la condivisione che si presume positiva e che sarà formalmente comunicata entro e non oltre il 30 dicembre 2013;
   nel testo sono richiamati sia gli aspetti relativi alle garanzia reciproche (quelle di ordine finanziarie attraverso un intervento di ente terzo, sia quelle connesse al piano industriale che Klesch accetta di far asseverare da società indipendente e competente), sia le tempistiche che prevedono la assegnazione dell'incarico di revisione del piano industriale entro il 15 gennaio 2014 ed il suo completamento entro il 15 febbraio 2014;
   sia gli impegni operativi per dare concretezza alle modalità di governo e controllo dei flussi finanziari da Alcoa a Klesch (da realizzare entro la fine del mese di febbraio) oltre che alla individuazione della documentazione necessaria per il completamento del deal (anche questo impegno da assolvere entro la fine del mese di febbraio 2014);
   il rappresentante del Governo comunicò in quell'occasione che, mentre il confronto tra KLESCH e ALCOA sta proseguendo nei termini illustrati, non sono cessati altri contatti (in forma molto meno avanzata e concreta) con altri soggetti che hanno continuano a manifestare interesse per la ripresa delle attività nello smelter di Portovesme;
   alla data odierna nessuno degli impegni richiamati è stato rispettato;
   emerge con estrema chiarezza che le parole del Governo pro tempore e gli stessi impegni erano destituiti di fondamento;
   risulta evidente il totale fallimento politico, istituzionale e strategico dell'azione di Governo che, ignora o omette volutamente il problema centrale del costo dell'energia e punta in modo secondo l'interrogante pretestuoso e strumentale ad un nuovo acquirente che, senza la definizione del costo energetico, sarebbe impossibilitato di portare avanti qualsiasi serio progetto industriale;
   emerge evidente che non solo la questione energetica risulta totalmente elusa ma allo stato attuale l'unico provvedimento relativo alla cosiddetta «superinterrompibilità» ha una vigenza limitata ad un solo anno;
   appare difficile una sua proroga considerato che la stessa era stata ottenuta con dichiarazioni formali dello Stato italiano alla Commissione europea, da parte di Terna, con le quali si affermava che erano in corso lavori per superare i limiti del sistema ed ovviare al regime di «superinterrompibilità»;
   tale situazione ad avviso dell'interrogante conferma la totale insipienza del Governo che non ha messo in campo nessun serio percorso teso a realizzare un pacchetto energia che consentisse di mettere a disposizione di possibili acquirenti credibili una soluzione strutturale che potesse garantire per 10/15 anni un costo energetico in grado di fornire energia a costi pari alla media europea per impianti energivori –:
   se non ritenga di dover superare questa gestione, secondo l'interrogante, fallimentare della vertenza Alcoa avviando la definizione di un serio progetto strategico per la ripresa produttiva dello stabilimento Alcoa che risulta possibile solo attraverso la definizione di un contratto bilaterale per la fornitura di energia elettrica da sottoscrivere da parte dell'Enel o altro soggetto con la parte privata titolare dello stabilimento di Portovesme;
   se non ritenga di dover immediatamente predisporre un immediato decreto – legge per il rilancio dell'alluminio primario in Italia definendo strategico il comparto e attivando sia sul piano ambientale che infrastrutturale azioni che possano realizzare un vero e proprio polo integrato nazionale. (5-02893)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Zaccagnini e Pisicchio n. 1-00473, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Catalano, Franco Bordo.

  La mozione Dorina Bianchi n. 1-00478, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Piccone.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Tinagli e Andrea Romano n. 2-00546, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Molea.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Abrignani e Palese n. 3-00840, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Laffranco.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Dorina Bianchi n. 3-00849, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Piso, Sammarco.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Cova n. 1-00474, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 233 del 26 maggio 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    secondo le stime dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao), delle 100 specie di colture che forniscono il 90 per cento di prodotti alimentari in tutto il mondo, 71 sono impollinate dalle api;
    nonostante la grande moria di alveari verificatasi dal 2008, l'Italia è al quarto posto in Europa con un patrimonio apistico di 1.300.000 alveari, 50.000 apicoltori, per un fatturato complessivo di 60 milioni di euro che arriva a 2,5 miliardi di euro se si considera l'incremento produttivo che le api generano in agricoltura attraverso l'impollinazione;
    l'esportazione di miele, supportata dai sistemi di certificazione che ne garantiscono la qualità come quello del biologico, della denominazione di origine protetta e dell'indicazione geografica protetta, contribuisce ad incrementare il valore dell’export agroalimentare italiano grazie ai circa 10 mila quintali venduti ogni anno in Europa, Stati Uniti, Giappone e Paesi Arabi;
    in Italia l'apicoltura, considerata «attività agricola», ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile, costituisce, secondo la legge 24 dicembre 2004, n. 313, un settore di interesse nazionale utile per la conservazione dell'ambiente naturale, dell'ecosistema e dell'agricoltura in generale ed è finalizzata a garantire l'impollinazione naturale e la biodiversità di specie apistiche, con particolare riferimento alla salvaguardia della razza di ape italiana (apis mellifera ligustica spinola) e delle popolazioni di api autoctone tipiche o delle zone di confine;
    l'articolo 5 della legge n. 313 del 2004 prevede, in particolare, che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali predisponga il «documento programmatico per il settore apistico» anche sulla base di quanto disposto dall'articolo 1 del regolamento (CE) n. 797/2004 del Consiglio del 26 aprile 2004 relativo alle azioni dirette a migliorare le condizioni della produzione e della commercializzazione dei prodotti dell'apicoltura;
    il documento programmatico per il settore apistico sottolinea come, per la salute degli alveari, non sia più possibile prescindere da una corretta gestione igienico-sanitaria basata su specifiche ed efficaci misure di profilassi;
    nonostante l'impegno delle regioni nel combattere la moria delle api attraverso i programmi apistici regionali, anche nel 2014, il servizio «spia» (squadra di pronto intervento apistico) del progetto di monitoraggio Beenet, sotto l'egida del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha ricevuto decine e decine di segnalazioni da tutta Italia;
    le api sono contemplate nella Strategia dell'Unione europea 2007-2013 per la salute degli animali e nella legislazione sulla certificazione sanitaria di salute animale, che prevede i requisiti per i movimenti di api fra gli Stati membri (direttiva 92/65/CEE);
    il regolamento (CE) 1107/2009 ha, inoltre, stabilito che un prodotto fitosanitario possa essere autorizzato soltanto se, alla luce di un'adeguata valutazione del rischio, fondata su orientamenti per l'esecuzione di test riconosciuti a livello comunitario o internazionale, sia stabilito che, nelle condizioni d'utilizzo proposte, tale prodotto comporti un'esposizione trascurabile per le api, o non abbia alcun effetto inaccettabile acuto o cronico per la sopravvivenza e lo sviluppo della colonia, tenendo conto degli effetti sulle larve e sul comportamento delle api;
    a maggio del 2012, nel contesto della propria strategia per combattere la diminuzione del numero di api, la Commissione europea ha stanziato 3,3 milioni di euro a sostegno di 17 Stati membri che stanno effettuando studi di sorveglianza volti a raccogliere ulteriori informazioni sulle perdite di colonie di api da miele;
    secondo una relazione dell'Efsa, pubblicata il 13 marzo 2014, sul lavoro di valutazione del rischio ambientale per le api svolto nell'Unione europea, occorre una cooperazione più intensa tra agenzie, Stati membri e ricercatori per una migliore comprensione di come i fattori multipli di stress danneggino la salute delle api;
    per limitare la moria delle api l'Efsa ha, pertanto, proposto la creazione di una rete che comprenda il «Gruppo interservizi per le api» della Commissione europea, il laboratorio europeo di riferimento per la salute delle api, organismi degli Stati membri, come l'Agenzia francese per la sicurezza alimentare Anses, altre agenzie dell'Unione europea, come l'Agenzia europea per i medicinali (Ema) e organizzazioni internazionali;
    secondo il rapporto «Api, il bottino avvelenato», di Greenpeace international, pubblicato il 16 aprile 2014, che riporta i dati del più vasto studio condotto a livello europeo su oltre 100 campioni prelevati contemporaneamente in 12 Paesi, due pallottoline su tre, del carico di ciascuna ape bottinatrice, è contaminato da un micidiale cocktail di molecole tossiche (insetticidi, acaricidi, fungicidi ed erbicidi);
    i risultati dell'indagine hanno evidenziato che una delle più rilevanti cause della moria di api sia da attribuirsi all'impiego dei neonicotinoidi nella concia delle sementi di mais; la sospensione cautelativa di tali prodotti predisposta dal Governo ha prodotto, infatti, effetti benefici e la stessa Unione europea ha approvato, il 25 maggio 2013, la messa al bando di tre pesticidi appartenenti alla famiglia dei neonicotinoidi;
    per descrivere il fenomeno della moria delle api, alcuni scienziati americani hanno studiato il colony collapse disorder, una sindrome dello spopolamento degli alveari caratterizzata dalla rapida perdita della popolazione di api operaie adulte, per la quale non è stata individuata un'unica causa, ma sono stati indicati diversi fattori concomitanti, che agiscono in combinazione fra loro o separatamente;
    fra i predetti fattori si annoverano, oltre ai noti effetti dell'agricoltura intensiva e dell'uso di pesticidi, la scarsa o del tutto insufficiente alimentazione delle api, i virus, tra i quali la peste americana, Nosema spp, Covata calcificata causata da Ascospherosi, gli attacchi di agenti patogeni e delle specie invasive, come, ad esempio, l'acaro varroa (Varroa destructor), la vespa asiatica (Vespa velutina), il piccolo scarabeo dell'alveare (Aethina tumida) e l'acaro Tropilaelaps, i vegetali geneticamente modificati e i cambiamenti ambientali, quali la frammentazione e perdita dell’habitat;
    a differenza degli altri animali non è la singola ape ad essere allevata ma il super organismo, comunemente definito «colonia», costituito dall'insieme degli insetti e da tutti gli elementi che solidalmente ne fanno parte (le differenti caste di api, la covata, i diversi tipi di favi, le riserve di miele, di polline, la propoli, l'arnia in cui è contenuta);
    per tali ragioni l'allevamento delle api comporta una notevole specializzazione da parte degli apicoltori in quanto l'accudimento si svolge principalmente sulla base di osservazioni effettuate durante la visita delle colonie; la conduzione delle colonie richiede, quindi, una grande abilità e un intervento professionale continuativo da parte dei veterinari pubblici e privati quando si verifichino patologie a carico dell'alveare; lo stesso sistema «spia», in maniera incomprensibile, non prevede la figura del medico veterinario per le api;
    per poter definire una politica sanitaria di profilassi e prevenzione è necessaria la diagnosi di infezione o infestione o inquinamento dell'alveare da parte del veterinario aziendale libero professionista, che rileva le manifestazioni cliniche o subcliniche e le indagini di laboratorio e le comunica al servizio veterinario pubblico;
    una politica pubblica di profilassi deve, dunque, prevedere la formazione degli apicoltori e delle altre figure professionali che collaborano con loro (responsabili veterinari specializzati, istituti di ricerca e tecnici specializzati) ed attuare politiche sanitarie con la piena collaborazione e l'aiuto delle associazioni apistiche;
    attualmente i veterinari dotati di conoscenze apistiche adeguate sono molto pochi, talvolta completamente mancanti, pertanto non disponibili a intraprendere ispezioni in campo su vasta scala, quali visite complete di tutti gli alveari prima di prescrivere un medicinale veterinario;
    l'obiettivo da perseguire è, dunque, quello di disporre di una rete geografica di sufficienti competenze veterinarie nell'ambito di ciascuna regione;
    le differenze tra le api e le altre specie allevate non permettono, infatti, l'utilizzazione di prodotti farmaceutici per trasposizione e i farmaci che molti allevatori utilizzano hanno una ricaduta negativa sulla salute umana, in quanto non prevedono tempi di sospensione adeguati ad impedire che tali farmaci finiscano nella catena alimentare umana;
    la mancanza di medicinali, preventivi e curativi, efficaci per la lotta contro le diverse malattie o parassiti, e la sottovalutazione dei rischi dei residui conseguente all'assenza di metabolizzazione delle molecole facilitano e incoraggiano l'utilizzazione diffusa di sostanze chimiche illegali;
    l'Unione europea vieta l'uso di farmaci, antibiotici e sulfamidici in apicoltura proprio perché non si calcolano i tempi di sospensione; in particolare, non sono determinati i tempi di lmr (livello massimo di residuo) e comunque, indipendentemente da questo, la presenza dell'antibiotico permarrebbe all'interno dell'alveare trattato e inquinerebbe in maniera permanente la matrice dell'alveare, sensibilizzando le api per più tempo, anche successivamente ai trattamenti antibiotici; inoltre, le api trattate con antibiotici potrebbero distribuirlo sulle piante e sui fiori che vanno ad impollinare, determinando un ulteriore inquinamento del territorio,

impegna il Governo:

   al fine di consentire una corretta diagnosi del fenomeno della mortalità delle api, a promuovere un'indagine epidemiologica sulla presenza di malattie infettive e parassitarie delle api effettuata dai veterinari aziendali libero professionali, in collaborazione con i veterinari pubblici dipendenti e con la rete del sistema sanitario nazionale, servizio profilassi;
   ad adottare una politica pubblica di profilassi che preveda necessariamente e diffusamente una seria formazione degli apicoltori ed il loro accompagnamento ad opera di personale veterinario specializzato;
   a favorire, per una loro giusta attuazione, lo sviluppo di adeguate politiche sanitarie a livello nazionale, con la piena collaborazione delle associazioni apistiche;
   a ribadire il divieto dell'uso di antibiotici e di sulfamidici nell'allevamento delle api, in linea con quanto stabilito dalla normativa europea e italiana che ne vieta l'utilizzo in considerazione del fatto che non è possibile determinare i tempi di lmr (livello massimo di residuo) e che la presenza dell'antibiotico permane all'interno dell'alveare a tempo indeterminato, sensibilizzando le api per più tempo anche in assenza di trattamenti antibiotici che riassumono il farmaco dalla matrice dell'alveare stesso;
   ad attuare una politica pubblica di profilassi e di prevenzione per affrontare le problematiche conseguenti alle patologie degli alveari, con lo scopo di impostare una medicina preventiva sulle api, attraverso l'aiuto e la piena collaborazione tra le associazioni apistiche e i veterinari pubblici e libero professionisti per favorire forme adeguate di tutela della salute delle api e di controllo sulla salubrità dei prodotti apistici;
   ad attuare, anche all'interno del piano di azioni per l'agroalimentare «Campolibero» promosso dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, un piano di assistenza tecnica volto a rafforzare le attività di supporto agli apicoltori (formazione, addestramento, informazione) per migliorare la conoscenza della salute dell'ape e la profilassi diretta in apiario ad opera di personale veterinario specializzato, personale ad oggi non previsto nei progetti «spia» e Beenet;
   ad assumere iniziative per migliorare, per quanto riguarda i veterinari, la conoscenza dell'ape e la formazione in patologia apistica, implementando lo sviluppo di formazione specifica in apicoltura negli studi universitari di medicina veterinaria e creando una rete di esperti in grado di fornire supporto ai veterinari per le visite di campo;
   ad assumere iniziative per sviluppare laboratori in grado di coprire l'intera gamma di analisi necessarie alla diagnostica delle problematiche dell'apicoltura, anche al fine di valutare gli effetti dei pesticidi sugli impollinatori e ridurne l'utilizzo, di stimolare ricerca e sviluppo di tecniche non inquinanti per la gestione dei parassiti e di promuovere la diffusione di pratiche agricole ecologiche;
   ad aumentare il monitoraggio e i controlli per evitare l'introduzione di parassiti emergenti e a implementare azioni per contribuire a contrastare l'attuale presenza e un'ulteriore diffusione della vespa velutina, fornendo linee guida alle associazioni degli apicoltori sulle azioni da intraprendere in caso di rinvenimento di nuove parassitosi e patologie;
   a sostenere lo sviluppo di una rete di centri tecnici di riferimento diffusi in ogni regione, in grado di adottare misure per aumentare la diversità floreale mellifera e pollinifera, al fine di assicurare alle api un'alimentazione di qualità;
   a limitare il carico di burocrazia sulla professione di apicoltore e a gestire le patologie entro limiti che non presentino rischi per gli allevatori, definendo metodiche chiare e semplici da seguire e diffondere nel mondo apistico;
   a sostenere in sede europea il bando dei tre pesticidi neonicotinoidi, principale causa della moria delle api (evitando quanto accaduto nel maggio 2013 quando fu impedito il raggiungimento della prevista maggioranza qualificata dei due terzi per il bando permanente), assumendo iniziative per colmare alcune carenze con cui è stato concepito il provvedimento comunitario, in particolare integrando nel divieto anche le serre e le coltivazioni apparentemente non attrattive per le api quali i cereali invernali;
   ad assumere iniziative al fine di allargare l'estensione del bando a tutte le sostanze di sintesi chimica riconosciute dannose e letali per le api e gli insetti impollinatori, risultando insufficienti le restrizioni incluse nell'attuale divieto temporaneo di due anni che si applicano solo su una parte dei pesticidi tossici per le api attualmente in commercio in Europa;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza in relazione ai trattamenti antiparassitari con prodotti fitosanitari ed erbicidi tossici per le api, al fine di salvaguardarne l'azione pronuba non solo durante il periodo di fioritura ma anche in quello di melata;
   ad attivare immediatamente un tavolo tecnico coinvolgendo le associazioni di apicoltori riconosciute a livello nazionale, l'Ispra, gli enti di ricerca universitari ed istituzionali e l'Efsa, per individuare lo «stato dell'arte» e le linee guida per l'eradicazione della vespa velutina e degli altri patogeni e parassiti che minacciano le api e per la formazione degli apicoltori, al fine dell'individuazione e dell'ubicazione dei nidi e degli esemplari di calabrone asiatico;
   a promuovere una rete geografica di adeguate competenze veterinarie nell'ambito di ciascuna regione.
(1-00474)
(Nuova formulazione). «Cova, Massimiliano Bernini, Dorina Bianchi, Caon, Zaccagnini, Oliverio, Lenzi, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Carra, Cenni, Covello, Dal Moro, Ferrari, Fiorio, Marrocu, Mongiello, Palma, Taricco, Tentori, Terrosi, Valiante, Venittelli, Zanin, Amato, Argentin, Beni, Bossa, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Iori, Miotto, Murer, Patriarca, Piccione, Sbrollini, Scuvera, Franco Bordo, Catalano».

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Zaccagini n. 1-00473 del 26 maggio 2014;
   mozione Massimiliano Bernini n. 1-00476 del 26 maggio 2014;
   mozione Caon n. 1-00477 del 26 maggio 2014;
   mozione Dorina Bianchi n. 1-00478 del 26 maggio 2014.