Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 27 maggio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica che negli ultimi anni si è abbattuta sull'Italia ha colpito maggiormente le fasce sociali più deboli e ha determinato il passaggio alla povertà di numerose persone che prima si trovavano in una fascia di reddito anche medio bassa;
    secondo l'indagine biennale di Banca d'Italia sui bilanci delle famiglie italiane tra il 2010 e il 2012 il reddito familiare medio in termini nominali è diminuito del 7,3 per cento e la ricchezza media del 6,9 per cento, mentre la povertà è salita dal 14 per cento del 2010 al 16 per cento del 2012;
    gli indici esaminati dall'Istat nei dati sulla povertà in Italia, pubblicati nel mese di dicembre 2013, dimostrano come, rispetto al 2011, nel 2012 è risultata fortemente in crescita la quota di persone che vivono in famiglie severamente deprivate, che passa dall'11,2 al 14,5 per cento, all'interno della quale si registra l'aumento dal 12,4 al 16,8 per cento delle persone che, se volessero, non potrebbero permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni;
    in modo particolarmente grave la povertà delle famiglie colpisce i bambini, un milione dei quali, secondo i dati di Save the children, in Italia vivrebbero in una condizione di povertà assoluta, mentre sarebbero circa due milioni e mezzo i bambini e gli adolescenti che, come esemplificato nell'Atlante dell'infanzia pubblicato dall'associazione, soprattutto nelle regioni del Sud, vivono in condizioni di deprivazione materiale;
    l'aiuto alimentare è il primo intervento concreto di sostegno che lo Stato deve garantire alle famiglie che vivono in condizioni di povertà, anche e soprattutto con riferimento ai bambini, che subiscono più pesantemente degli adulti i fenomeni di malnutrizione che ne possono derivare;
    in questo ambito sul nostro territorio nazionale svolge una funzione fondamentale il Banco alimentare, che grazie alle donazioni di centinaia di soggetti della filiera agroalimentare recupera eccedenze alimentari e le ridistribuisce gratuitamente ad associazioni ed enti caritativi, assicurando anche una diversificazione di prodotti che consente di garantire il più possibile un equilibrio nutrizionale a beneficio di quanti usufruiscono di un aiuto alimentare;
    la rete del Banco alimentare recupera i prodotti alimentari attraverso quattro principali fonti di approvvigionamento che donano le proprie eccedenze: l'Unione europea, l'industria alimentare, la grande distribuzione organizzata, la ristorazione collettiva;
    nel 2013 la fondazione Banco alimentare ha raccolto quasi 63.000 tonnellate di cibo, due terzi dei quali sono di provenienza dall'Unione europea, il resto devoluto dall'industria agroalimentare, recuperato dagli scarti della grande distribuzione e dei grossisti, ai quali si aggiungono oltre novemila tonnellate di donazioni personali, scatolette e confezioni raccolte durante la Giornata della colletta alimentare, le donazioni dei privati e i piatti pronti recuperati dalla ristorazione organizzata;
    in questo ambito assume un'importanza fondamentale la questione degli sprechi alimentari, rispetto alla quale, tuttavia, seppure si sono registrati forti miglioramenti, continuano a persistere molteplici criticità sotto il profilo organizzativo per le organizzazioni che si occupano di recuperare e redistribuire il cibo altrimenti destinato alla spazzatura;
    secondo le stime di alcuni ricercatori del Politecnico di Milano sarebbero addirittura sei milioni di tonnellate, per un valore pari a quasi tredici miliardi di euro, le eccedenze alimentari prodotte lungo tutta la filiera e irrimediabilmente perdute nei cassonetti, nei termovalorizzatori, nelle discariche, quasi la metà delle quali proviene da alimenti scaduti e buttati nelle cucine italiane;
    il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, ha previsto l'istituzione presso l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura del «Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti» per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione mediante organizzazioni caritatevoli di derrate alimentari alle persone indigenti nel territorio della Repubblica italiana, cui gli operatori della filiera agroalimentare possono destinare derrate alimentari, a titolo di erogazioni liberali, secondo modalità stabilite dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura;
    con la legge di stabilità per il 2014 il fondo è stato rifinanziato, per il solo 2014, con dieci milioni di euro, una somma che appare a dir poco esigua a fronte delle esigenze registrate sul territorio nazionale;
    nel frattempo, è cambiato anche lo scenario internazionale nella lotta agli sprechi alimentari e nei programmi di aiuti alimentari in favore dei singoli Paesi;
    dal 1o gennaio 2014, infatti, sono cessati gli aiuti alimentari europei previsti dal Programme Européen d'aide alimentaire aux plus démunis (PEAD) ed è entrato in vigore il nuovo programma Fund for European aid to the most deprived (FEAD), che però ha dotazioni finanziarie più ridotte e richiede l'intervento integrativo degli Stati membri;
    per l'anno 2014 il FEAD ha assegnato all'Italia settanta milioni di euro (trenta in meno rispetto al programma precedente), ma il Governo italiano non ha ancora provveduto a stanziare la quota necessaria per mantenere lo stesso livello di prestazioni, bloccando, di fatto, anche l'utilizzo della quota europea;
    di conseguenza, gli approvvigionamenti scarseggiano e in certe regioni, quali, ad esempio, la Calabria, si sta venendo a determinare una situazione critica, che ha spinto il Banco alimentare, per la prima volta nella sua venticinquennale storia, ad una seconda colletta alimentare, organizzata per il 14 giugno 2014 in tutti i supermercati italiani;
    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dato il via all'elaborazione di un Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas) nell'ambito del piano nazionale di prevenzione dei rifiuti, che si dovrà concentrare in primo luogo sulla definizione di misure volte a ridurre la quantità di prodotti alimentari destinati al consumo che finiscono tra i rifiuti, anche attraverso una campagna di sensibilizzazione nazionale contro lo spreco alimentare in ambito domestico,

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le iniziative necessarie a potenziare il sistema di aiuti alimentari in favore delle persone indigenti in Italia, incrementando i volumi e le tipologie di derrate alimentari, adottando strumenti efficaci al fine di combattere il fenomeno degli sprechi alimentari e sostenendo le iniziative di singoli e di associazioni realizzate allo stesso fine;
   a promuovere iniziative di sensibilizzazione sul tema degli sprechi alimentari, al fine di diffondere una maggiore consapevolezza sia negli adulti che nei bambini;
   a completare e dare piena attuazione al Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare;
   ad assumere iniziative per potenziare le dotazioni finanziarie del Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti, affinché attraverso di esso si possa concretamente agire a livello nazionale a sostegno delle famiglie che versino in stato di necessità;
   ad assumere iniziative per disporre tempestivamente lo stanziamento della quota integrativa del Fund for European aid to the most deprived, al fine di rendere immediatamente fruibile l'intera somma giacente sul fondo destinata all'Italia;
   ad attivarsi in sede internazionale affinché la quota stanziata per l'Italia dal FEAD sia adeguatamente incrementata, in considerazione del forte impatto sui redditi determinato in Italia dalla crisi economica internazionale.
(1-00481) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».

Risoluzione in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    l'Aeronautica militare, in relazione all'esigenza operativa di disporre di un'efficace e moderna componente strategica di sistemi di aeromobili a pilotaggio remoto (APR), a partire dal 2001, ha acquisito 6 sistemi Predator A e successivamente, nel 2009, altri 6 del tipo Predator B, aventi prestazioni superiori rispetto alla versione precedentemente adottata;
    in considerazione del fatto che il controllo del vettore aereo e dei sensori di bordo vengono effettuati da piloti ed operatori tramite una stazione di controllo a terra, i Predator sono in grado di assicurare lo svolgimento di attività di monitoraggio, sorveglianza e ricognizione aerea, per prolungati periodi di tempo, anche a notevoli distanze dalla base di partenza ed in aree pericolose o contaminate da agenti chimici, batteriologici, nucleari o radiologici (CBRN), senza rischi per l'essere umano;
    i sistemi Predator, che non sono armati, presentano alcune caratteristiche che li hanno resi e li rendono fondamentali nel segmento operativo ISTAR (intelligence, surveillance, target acquisition and reconnaissance), così come è stato dimostrato con elevata efficacia, efficienza ed economicità nell'ambito delle diverse operazioni internazionali cui ha partecipato l'Aeronautica militare, prima in Iraq e Libia, tuttora in Afghanistan e Kosovo;
    il sistema Predator, grazie ai sensori di bordo tecnologicamente molto avanzati, operanti nei campi elettro-ottico, infra-rosso e radar, possiede spiccate capacità di rilevare, identificare e monitorare persone, mezzi e oggetti al suolo, anche in movimento;
    proprio in ragione di tali capacità, i Predator dell'Aeronautica Militare sono stati impiegati con successo anche nell'operazione «Mare Nostrum», in relazione all'esigenza di avvistare i naufraghi in pericolo di vita, individuare le imbarcazioni dirette verso le coste italiane e identificare gli scafisti e le navi da essi utilizzate;
    la flessibilità d'impiego e la versatilità che caratterizza tali sistemi APR, li rende idonei anche a svolgere attività in supporto ad altri Ministeri in concorso con altri organi dello Stato quali, ad esempio, le forze di polizia, le agenzie di sicurezza o la protezione civile;
    difatti, gli APR, oltre che in ambito precipuamente militare, possono essere impiegati con grande efficacia anche per usi civili, come nelle operazioni di prevenzione e intervento in caso di incendi, per la ricerca ed il soccorso in aree colpite da gravi calamità, per il mantenimento dell'ordine e la sicurezza pubblica, per la sorveglianza dei confini, per il monitoraggio ambientale e, più in generale, in tutti i casi in cui tali sistemi possano consentire l'esecuzione di missioni con maggiore efficienza ed economicità, azzerando, al contempo, il rischio per gli equipaggi;
    l'emergenza nella cosiddetta «Terra dei Fuochi», dove quotidianamente vengono dati alle fiamme ingenti quantità di rifiuti industriali, urbani e speciali, e rinvenuti in vaste aree tonnellate di rifiuti speciali e non, interrati a bassa profondità, con gravissimi danni per l'ambiente e soprattutto per la salute delle comunità interessate, ha assunto proporzioni allarmanti;
    il perpetuarsi di questi crimini in quell'area ha prodotto conseguenze disastrose, quali l'aumento del tasso di mortalità, lo sviluppo di malformazioni nonché la diffusione di forme tumorali correlabili all'inquinamento;
    l'attività di concorso dei sistemi Predator dell'Aeronautica militare potrebbe risultare di notevole utilità, in quanto grazie alle capacità finora descritte, renderebbe maggiormente efficace, efficiente ed economico l'impiego delle forze di polizia nella «Terra dei fuochi», prevenendo eventuali atti delittuosi di smaltimento, sversamento ed incendio illegale di materiali pericolosi e sostanze tossiche, riducendo i rischi per la salute delle comunità interessate e consentendo un pronto intervento in caso di simili azioni criminali e consentendo una più rapida individuazione dei relativi responsabili, anche alla luce di quanto disposto dall'articolo 3, comma 2, del decreto-legge n. 136 del 2013, convertito, con modificazioni dalla legge n. 6 del 2014,

impegna il Governo

mediante l'opportuno coordinamento interministeriale, ad impiegare aeromobili a pilotaggio remoto (APR) dell'Aeronautica militare, di classe strategica del tipo Predator, per lo svolgimento di attività di monitoraggio, sorveglianza e controllo del territorio della Campania, in concorso con le forze di polizia, ai fini della prevenzione e repressione dei crimini ambientali, prevedendo uno specifico capitolo di spesa per l'approntamento, la gestione e l'impiego di detti velivoli in tali attività di concorso con le forze di polizia.
(7-00376) «Sammarco, Scopelliti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, stabiliva, all'articolo 2, comma 1, lettera n), che le regioni escludessero «ai sensi degli articoli 28 e 29 del codice penale, l'erogazione del vitalizio in favore di chi sia condannato in via definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione», pena la decurtazione dell'80 per cento dei trasferimenti erariali verso le medesime regioni;
   il 3 maggio 2014 e nei giorni seguenti, su tutti i principali quotidiani nazionali, nonché numerosi quotidiani locali, è apparsa la notizia dell'erogazione da parte della regione siciliana del vitalizio a Salvatore Cuffaro, ex presidente della regione siciliana condannato in via definitiva per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e rivelazione del segreto istruttorio a 7 anni di carcere, senza, tuttavia, interdizione dai pubblici uffici;
   per tale ragione, nonostante l'assoluta gravità dei reati per i quali è stato condannato, secondo quanto dispone la legislazione vigente, non è possibile sospendere l'erogazione di tale vitalizio;
   dopo una breve ricerca da parte degli interroganti, è emerso che Salvatore Cuffaro non sarebbe l'unica persona condannata per reati di mafia a percepire vitalizi: un altro esempio è costituito dall'ex deputato dell'assemblea regionale siciliana, più volte assessore in giunte della regione Sicilia, Vincenzo Lo Giudice;
   ammonta a svariate decine il numero di membri delle istituzioni che, una volta terminato il proprio incarico, hanno proceduto, senza pudore alcuno, a richiedere l'erogazione del vitalizio, talvolta molto cospicuo, nonostante fossero stati condannati per reati gravi, tra i quali sicuramente rientrano reati di mafia;
   ad avviso degli interpellanti, tale pratica risulta del tutto inopportuna ed insostenibile, anche considerando il fatto che, al pari di chi è stato condannato per reati contro la pubblica amministrazione, anche chi è stato condannato per reati di mafia non dovrebbe aver diritto a ricevere alcun tipo di vitalizio da parte dello Stato, rappresentando inequivocabilmente quella parte della società italiana qualificabile come anti-Stato;
   non è reperibile, attualmente, un elenco dei soggetti che percepiscono vitalizi da parte degli organi della Repubblica, compreso il Parlamento, e che al contempo risultano condannati per reati di mafia;
   si rileva, inoltre, che quanto è attualmente previsto per i consiglieri regionali, non è previsto, per i membri del Parlamento; a tal proposito, si riporta, a titolo esemplificativo, il caso di Marcello Dell'Utri, il quale in data 9 maggio 2014 è stato condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione di tipo mafiosa a 7 anni di reclusione;
   gli interpellanti, attraverso gli strumenti e gli atti idonei, intendono introdurre, tra le cause di sospensione del vitalizio, la condanna per reati di mafia –:
   quale sia l'orientamento del Governo in ordine all'introduzione di una modifica della normativa per vietare l'erogazione di vitalizi da parte delle istituzioni repubblicane a soggetti condannati per reati di mafia;
   se siano in grado di effettuare una ricognizione in ordine ai soggetti che rientrerebbero nell'ambito di tale previsione;
   se intendano adottare iniziative per sostenere il principio della legalità all'interno delle istituzioni repubblicane in riferimento ai propri rappresentanti.
(2-00558) «Nuti, Cozzolino, Toninelli, Dadone, Dieni, Fraccaro, Lombardi, D'Ambrosio».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   l'articolo 18 della legge 11 novembre 2011, n. 180, recante «norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese», stabilisce che ogni anno il Governo debba presentare entro il 30 giugno, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata Stato-città ed autonomie locali, e successive modificazioni, alle Camere un disegno di legge annuale per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese volto a definire gli interventi in materia per l'anno successivo;
   tale norma, peraltro, come espressamente esplicitato nel primo comma dell'articolo 18 medesimo, è attuativa della comunicazione della Commissione europea COM (2008) 394 definitivo, del 25 giugno 2008, recante «Una corsia preferenziale per la piccola impresa – Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (uno “Small Business Act” per l'Europa)»;
   sempre secondo quanto stabilito dal citato articolo 18, tale disegno di legge deve essere diviso in sezioni;
   la prima deve contenere norme di immediata applicazione, al fine di favorire e promuovere le micro, piccole e medie imprese, rimuovere gli ostacoli che ne impediscono lo sviluppo, ridurre gli oneri burocratici, e introdurre misure di semplificazione amministrativa anche relativamente ai procedimenti sanzionatori vigenti connessi agli adempimenti a cui sono tenute le micro, piccole e medie imprese nei confronti della pubblica amministrazione;
   la seconda sezione deve contenere «una o più deleghe al Governo per l'emanazione di decreti legislativi, da adottare non oltre centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge» per realizzare gli obiettivi di sviluppo delle micro, piccole e medie imprese;
   la terza deve prevedere «l'autorizzazione all'adozione di regolamenti, decreti ministeriali e altri atti, sempre per realizzare gli obiettivi di sviluppo delle micro piccole e medie imprese»;
   infine, la quarta sezione deve contenere «norme integrative o correttive di disposizioni contenute in precedenti leggi, con esplicita indicazione delle norme da modificare o abrogare»;
   a tale disegno di legge dovrebbe essere allegata una relazione volta a evidenziare «lo stato di conformità dell'ordinamento rispetto ai principi e agli obiettivi contenuti nella comunicazione della Commissione europea» che la legge si propone di recepire; «lo stato di attuazione degli interventi previsti nelle precedenti leggi annuali per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese, indicando gli effetti che ne sono derivati per i cittadini, le imprese e la pubblica amministrazione; l'analisi preventiva e la valutazione successiva dell'impatto delle politiche economiche e di sviluppo sulle micro, piccole e medie imprese; le specifiche misure da adottare per favorire la competitività e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese, al fine di garantire l'equo sviluppo delle aree sottoutilizzate»;
   l'articolo 18 prevede, infine, che per i fini di cui al comma 1, il Ministro dello sviluppo economico convoca il tavolo di consultazione permanente delle associazioni di categoria, per l'acquisizione di osservazioni e proposte;
   a parere dell'interrogante, la presentazione di tale disegno di legge rappresenterebbe una preziosissima e virtuosissima occasione al fine di aprire un proficuo dibattito parlamentare per l'approvazione di norme utili per lo meno ad alleviare la situazione di gravissima crisi e pesante malessere che vive da ormai troppo tempo il tessuto produttivo di questo Paese;
   di particolare importanza, in questa particolarissima contingenza economica, sarebbe l'introduzione nel nostro ordinamento di semplificazioni amministrative e alleggerimenti con particolare riferimento ai «procedimenti sanzionatori vigenti connessi agli adempimenti a cui sono tenute le micro, piccole e medie imprese nei confronti della pubblica amministrazione»;
   al deputato interrogante risulta che tale disegno di legge non sia mai stato ancora presentato alle Camere;
   l'interpellante giudica deplorevole che, sino ad oggi, non sia mai stata sfruttata la preziosa opportunità evidenziata in premessa –:
   se, nell'avvicinarsi della scadenza del 30 giugno, il Governo non ritenga ineludibile la presentazione di tale disegno di legge soprattutto alla luce della particolarissima contingenza economica, che vede ogni giorno «soffocare» centinaia di micro, piccole e medie imprese.
(2-00552) «Luigi Di Maio».

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, CURRÒ, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il sito di Gela è incluso nell'elenco dei siti di bonifica di interesse nazionale (SIN) di cui all'articolo 1, comma 4, della legge 9 dicembre 1998, n. 426. Il sito inoltre, è stato perimetrato con decreto del Ministro dell'ambiente del 10 gennaio 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 44 del 23 febbraio del 2000;
   l'area ricade nel territorio del comune di Gela (provincia di Caltanissetta) ed è stata dichiarata ad «elevato rischio di crisi ambientale» con delibera del Consiglio dei ministri del 30 novembre 1990 e pertanto, è compresa nel «piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Caltanissetta», approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 17 gennaio 1995 (GU Serie Generale n. 100 del 2-5-1995 – Suppl. Ordinario n. 51). La zona dichiarata ad elevato rischio ambientale è costituita dai territori dei comuni di Gela, Butera e Niscemi, per un'estensione complessiva di 671 Km2;
   le superfici private con annessi impianti all'interno del SIN sono: Syndial Spa (ex Agricoltura Spa in liquidazione, ex Enichem), EniMed, EniMediterranea Idrocarburi Spa (ex ENI – Divisione Exploration & Production, ex Agip mineraria), Raffineria di Gela Spa (ex AGIP), ISAF (Industria Siciliana Acido Fosforico SpA in liquidazione), Polimeri Europa Spa (ex Enichem), di questi, solo EniMed, Raffineria di Gela e Polimeri Europa hanno ancora impianti in attività. Le aree pubbliche all'interno del SIN sono: il Biviere di Gela; l'area marina, i tratti terminali dei torrenti Gattano, Acate e del fiume Gela; la discarica Cipolla;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 dicembre 1999 lo stato d'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti urbani nella regione siciliana – precedentemente dichiarato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 gennaio 1999 – è stato esteso anche al sistema dei rifiuti speciali, speciali pericolosi e alla bonifica dei siti inquinati;
   con successivi provvedimenti, lo stato di emergenza in materia di bonifiche e di risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, nonché in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione nell'interno territorio della regione siciliana è stato prorogato fino alla data del 31 dicembre 2012;
   con l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3852 del 19 febbraio 2010 è stato nominato, quale soggetto attuatore, l'ingegnere Ticali, già presidente della commissione Aia/Ippc nazionale, con successiva ordinanza n. 4008 del 14 marzo 2012 è stato nominato soggetto attuatore il dottor Marco Lupo ex direttore generale della direzione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in materie di bonifiche. Al commissario delegato ed al soggetto attuatore sono affidati i poteri sostitutivi di intervento, in caso di inerzia dei soggetti istituzionalmente preposti in materia di bonifica dei siti inquinati, anche con riferimento a discariche autorizzate e non più attive, alle aree a qualsiasi titolo divenute discariche abusive, nonché ai siti contaminati da amianto. Il soggetto attuatore opera anche sulla base di specifiche indicazioni impartite dal commissario delegato, in deroga al regime delle competenze disciplinate dagli articoli 242, 250 e 251 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   dalla lettura della «Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell'attuazione degli interventi e i profili di illegalità» approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti in data 12 dicembre 2012, emerge un quadro particolarmente critico, e dunque drammatico, dei risultati conseguiti dalle gestioni commissariali che si sono susseguite nell'ultimo decennio con specifico riferimento al sito di interesse nazionale di Gela;
   dal quadro aggiornato al mese di marzo 2012 fornito alla Commissione dalla struttura commissariale risulta, infatti, quanto segue:
    a) rispetto alla caratterizzazione dell'area marino–costiera, i risultati della fase prioritaria sono stati trasmessi al commissario delegato l'8 settembre 2008, le attività sono state oggetto di collaudo nel mese di dicembre 2011, ma «non vi sono allo stato informazioni in merito alla fase di completamento delle indagini di caratterizzazione»;
    b) rispetto alla discarica idrocarburi Biviere di Gela, l'intervento che prevede la realizzazione di indagini indirette di tipo geofisico, indagini geotecniche in situ, realizzazione di sondaggi per il prelievo di campioni di terreno e la realizzazione di piezometri per le analisi di acqua di falda, è stato approvato nel mese di aprile 2010, e i lavori, propedeutici alla definizione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza (MISE), sono iniziati nel novembre 2011;
    c) rispetto al piano di caratterizzazione ambientale del sito «Biviere di Gela» approvato nel luglio del 2009, l'intervento operativo che prevede l'esecuzione di sondaggi, il prelievo di campioni e l'esecuzione delle analisi sugli stessi campioni è stato approvato nel 2010, e i lavori sono in corso di esecuzione;
     d) rispetto al piano di caratterizzazione ambientale del sito «Discarica Cipolla, Piana del Signore», l'intervento finanziato con due successive ordinanze nel 2009 e nel 2011 è in corso di esecuzione;
    e) rispetto alla messa in sicurezza d'emergenza (MISE) della «Discarica Cipolla» in contrada Marabusca, i lavori, affidati in esecuzione nel 2011, sono in corso di esecuzione;
    f) rispetto al piano di caratterizzazione ambientale dei sedimenti dei fiumi Gela e Dirillo, del torrente Gattano e del canale Valle Priolo, finanziato nel 2008, è stata redatta ed approvata la valutazione di incidenza, con conclusione prevista nel febbraio 2012;
   nelle considerazioni finali della «Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell'attuazione degli interventi e i profili di illegalità» sull'esperienza siciliana in materia di bonifiche, è stato riportato il seguente giudizio: «è la prova lampante dell'assoluta inettitudine delle strutture commissariali ad affrontare le problematiche connesse alla bonifica dei siti inquinanti e, in generale, all'ambiente. Il territorio rientrante nel SIN di Gela è ben lontano dall'essere bonificato e la magistratura sta svolgendo un attento lavoro finalizzato alla verifica della liceità delle condotte tenute dagli enti interessati alla bonifica medesima»;
   nelle stesse considerazioni finali della relazione si segnala l'esistenza di una situazione sanitaria molto preoccupante, riportando che il Progetto SENTIERI (studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) per il sito di Gela ha evidenziato «un eccesso di tumori polmonari sia tra gli uomini sia tra le donne; tra gli uomini sono in eccesso anche il tumore dello stomaco e l'asma; tra le donne il tumore del colon-retto e l'asma»;
   il decreto-legge del 15 maggio 2012, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2012, n. 100 – con il quale è stata sancito un limite temporale stringente, e non derogabile, rispetto alla possibilità di procedere alla proroga ovvero al rinnovo di una dichiarazione dello stato di emergenza, come è accaduto in Sicilia dal 16 dicembre 1999 fino al 31 dicembre 2012 – detta le norme da osservare per procedere ad una regolare e ordinata transizione dal regime commissariale a quello ordinario;
   in base alle disposizioni richiamate nel punto precedente, e nonostante il quadro drammatico descritto nella Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia, il Capo dipartimento della protezione civile ha emanato l'ordinanza di protezione civile, la n. 44 del 29 gennaio 2013, con la quale – senza adottare alcuna disposizione idonea a tenere in considerazione e conseguentemente a gestire la situazione lasciata in eredità dalla gestione commissariale – sono state disciplinate le modalità attraverso le quali la regione siciliana è subentrata al presidente della stessa regione, quale commissario delegato, nel coordinamento delle attività necessarie al completamento degli interventi da eseguirsi in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati;
   con decreto dirigenziale del 19 luglio del 2012 – registrato dall'Ufficio centrale di bilancio il 10 agosto 2010, al numero decreto 4146 – Cap. 4393 – esercizio finanziario 2010, è stato approvato l'accordo di collaborazione, tra il Ministero della salute e l'Istituto di fisiologia clinica del CNR per la realizzazione del progetto «Sorveglianza epidemiologica in aree interessate da inquinamento ambientale da arsenico di origine naturale o antropica»;
   lo studio del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie del Ministero della salute coordinato dall'istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (IFC-CNR) – del quale è responsabile Fabrizio Bianchi – è stato pubblicato sulla rivista «Epidemiologia & Prevenzione» (supplemento 1 numero 3/4, anno 38 maggio–agosto 2014). La ricerca ha riguardato 282 residenti in aree del Monte Amiata, nel viterbese, a Taranto e Gela;
   lo studio è stato effettuato in due aree caratterizzate da contaminazione da arsenico di origine prevalentemente naturale (Amiata e Viterbese) e in due aree caratterizzate da contaminazione da arsenico di origine antropica (Taranto e Gela). Le analisi statistiche sono state effettuate su 271 soggetti (Amiata 58, 28 maschi e 30 femmine; Viterbo 72, 32 maschi e 40 femmine; Taranto 50, 24 maschi e 26 femmine; Gela 91, 48 maschi e 43 femmine). Per quanto riguarda l'area di Gela, lo studio riporta sia i dati ambientali che i dati sanitari. In merito ai primi si sottolinea come le sostanze pericolose presenti nell'acqua sotterranea, che mostrano elevati superamenti dei limiti normativi, sono prevalentemente metalli pesanti (arsenico, mercurio, nichel, manganese, ferro, piombo, alluminio, cobalto, selenio, vanadio, cadmio, manganese, ferro, cromo), idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e composti alifatici clorurati cancerogeni e BTEX (benzene, toluene, etilbenzene e xileni). L'arsenico ha mostrato concentrazioni massime fino a 25.000 volte il limite normativo. Per quanto riguarda invece i parametri del suolo, lo studio rileva come siano stati superati in modo rilevante le concentrazioni limite della normativa. L'arsenico ha mostrato un livello massimo di 34,24 mg/Kg, rispetto a una concentrazione soglia di contaminazione (CSC) di 20 mg/Kg. Per quanto concerne i dati sanitari riportati alle analisi di mortalità, per il caso in esame, riferiti al periodo 2004–2011 hanno evidenziato eccessi per tutte le cause, tutti i tumori, tumore dello stomaco tra i maschi, tumore della trachea, dei bronchi e del polmone tra le femmine, morbo di Hodgkin tra le femmine, malattie del sistema circolatorio, malattie ischemiche del cuore tra le femmine, malattie cerebrovascolari, sintomi, segni e stati morbosi mal definiti e traumatismi e avvelenamenti tra le femmine;
   dal mancato completamento degli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza in materia di bonifiche e di risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, possono discendere l'alterata esposizione al rischio di mortalità e di morbosità dei cittadini oggetto dello studio e, dunque, una grave e permanente compromissione del diritto costituzionale alla salute –:
   se siano a conoscenza dello studio denominato «Sorveglianza epidemiologica in aree interessate da inquinamento ambientale da arsenico di origine naturale o antropica» condotto dall'Istituto di fisiologia clinica del CNR, e in particolare dei dati allarmanti relativi allo stato di salute della popolazione residente nel sito di interesse nazionale per le bonifiche di Gela e delle raccomandazioni e delle indicazioni operative formulate nel capitolo conclusivo dello stesso studio;
   quali iniziative intendano intraprendere per fronteggiare la drammatica situazione ambientale ed epidemiologica, che viene documentata dai dati forniti nella citata indagine scientifica, in particolare da quelli sulla mortalità e sull'ospedalizzazione riferiti all'area di Gela, numeri – peraltro ed in parte – già presenti all'interno del Progetto SENTIERI (studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento);
   se nelle relazioni semestrali sullo stato di avanzamento delle attività condotte per l'attuazione degli interventi di cui all'ordinanza del capo dipartimento protezione civile n. 44/2013 – da trasmettere al Dipartimento della protezione civile, a cura del Direttore generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti dell'assessorato dell'energia e dei servizi di pubblica utilità della regione siciliana – siano state fornite informazioni aggiornate e circostanziate in merito agli interventi realizzati, in corso di realizzazione e da realizzare, con specifico riferimento a quelli idonei a ridurre i livelli di arsenico nell'acqua di falda e nel suolo all'origine dell'emergenza sanitaria richiamata nelle premesse;
   se il direttore generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti dell'assessorato dell'energia e dei servizi di pubblica utilità della regione siciliana – entro il termine previsto dall'articolo 1 comma 12 dell'Ordinanza n. 44/2013 – abbia provveduto a chiudere la contabilità speciale e a trasmettere al dipartimento della protezione civile una relazione conclusiva sulle attività svolte;
   se nella relazione di chiusura della contabilità speciale, di cui al punto precedente, sia stata evidenziata la presenza di fondi residui utilizzabili per la realizzazione degli interventi necessari a ridurre i livelli di arsenico nell'acqua di falda e nel suolo e per la gestione della grave situazione epidemiologica descritta nello studio;
   quali iniziative, per quanto di competenza, sono state adottate o si intendano adottare per ridurre l'esposizione al rischio di morbosità e mortalità dei cittadini dei comuni di Butrera, Gela e Niscemi. (4-04949)


   PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Linfedema è una patologia cronica, progressiva, degenerativa e disabilitante la quale, pur affliggendo attualmente (tra forme primarie e secondarie) circa 450.000 persone in Italia, è scarsamente assistita dal Sistema sanitario nazionale;
   in molte regioni, infatti, alla luce delle scarse risorse messe a disposizione dallo stesso Servizio sanitario nazionale, la malattia è gestita nei primi stadi evolutivi in strutture ambulatoriali del tutto inadeguate al trattamento della medesima, almeno negli stadi clinici più evoluti;
   nel 2006 solo l'ospedale San Giovanni Battista di Roma decise, con l'avallo della competente azienda sanitaria locale (ASL RMD), di dedicare parte dei posti letto di day hospital alle patologie vascolari periferiche disabilitanti (non chiedendo nuovi posti letto agli organi istituzionali ma gestendone alcuni di quelli già in dotazione a favore di questi malati, con relativi DRG, peraltro, meno incidenti dal punto di vista economico di quelli relativi alle altre patologie gestite fino a quel momento);
   sin da subito, presso la citata struttura si è potuta registrare la presenza di pazienti provenienti da tutte le regioni d'Italia, ad ulteriore riprova – qualora ce ne fosse bisogno – della sistematica inadeguatezza delle strutture sanitarie di appartenenza per la patologia in parola;
   le attività di trattamento sanitario del linfedema si svolgevano in regime di day hospital presso la ridetta struttura (e solo nei casi più gravi in degenza ordinaria riabilitativa), sotto la vigilanza degli organi ministeriali e regionali competenti e nel rispetto dei massimi standard qualitativi;
   in seguito, a nostra conoscenza, solo l'ospedale Le Torrette di Ancona (day hospital di Fisiatria) aprì a questo tipo di presa in carico dei pazienti;
   successivamente, a quanto ci risulta, l'agenzia di sanità pubblica della regione Lazio ha ritenuto inappropriato il trattamento in regime di day hospital di questa malattia, indipendentemente dalla gravità del singolo caso clinico;
   a causa di ciò la stessa direzione generale dell'ospedale San Giovanni Battista di Roma, in attesa che venisse chiarito il quadro amministrativo legato a tali trattamenti, ha deciso di interrompere l'erogazione di queste «tipologie assistenziali», sebbene vi fosse – e v’è tuttora – una forte richiesta di trattamenti in tal senso, anche da parte di utenti provenienti da molte altre regioni e preventivamente autorizzati dalle loro aziende sanitarie di appartenenza;
   a fronte di ciò, molti dei pazienti affetti da questa malattia, durante le riacutizzazioni cliniche della stessa, finiscono spesso in pronto soccorso e, a volte, ricoverati in ambiente medico o chirurgico, ricevendo cure inadeguate o incongrue rispetto alle loro reali necessità (è classico l'esempio dell'erisipela, tipica complicanza del linfedema, che ancora oggi viene scambiata per tromboflebite, trattata incongruamente e, spesso, ricoverata);
   in tal modo, da un lato, le strutture ospedaliere perdono posti letto per erogare trattamenti comunque inadeguati rispetto alle necessità cliniche che il linfedema comporta, mentre dall'altro gli stessi utenti devono andare incontro ad un ricovero spesso inutile o non risolutivo;
   il Ministero della salute, sin dal 2006, ha lavorato sulle linee guida sul linfedema, ma, nonostante sia stato licenziato un documento finale già nel 2007, dette linee non sono state ancora approvate in via definitiva;
   i fatti, sin qui riportati, denunciano una situazione gravissima, essendo un consistente numero di cittadini italiani «tagliati fuori» da quelle cure intensive adeguate cui hanno diritto per esplicita previsione costituzionale;
   un intervento «coordinato» dei Governi nazionale e regionali è, dunque, più che mai urgente, anche perché i malati italiani di linfedema sono al momento costretti a scegliere tra un trattamento inadeguato e non completamente disciplinato in Italia, o un ricovero presso altre strutture sanitarie in Europa (Germania, Svizzera, Austria) con conseguenti e rilevanti costi per il Sistema sanitario nazionale; a fronte di ciò si desidera altresì sottolineare l'assoluta incongruità persistente tra l'autorizzazione che continua ad essere concessa al ricovero all'estero (anche alla luce della normativa europea 2011/24/Ue, approvata dal Governo italiano nell'ottobre 2013) a questi malati e la negazione a poter essere trattati in strutture nazionali analoghe, assolutamente idonee a praticare il medesimo ciclo di terapia fisica intensiva, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo;
   ciò lede anche il principio della possibilità di incremento dell'indice di attrazione nazionale per il trattamento qualificato di tali patologie ed in contemporanea del decremento dell'indice di fuga dei malati stessi con conseguenti minori disagi per i medesimi;
   siamo di fronte all'ennesima, ingiustificata, e inammissibile lesione del diritto alla salute, nonché del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'articolo 3 Cost., all'origine delle quali non può non ravvedersi una certa abulia dei competenti organi Statali e governativi in particolare –:
   di quali informazioni disponga il Governo, ed il Ministro interrogato per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa, e quali siano le ragioni che hanno ostacolato la rapida approvazione definitiva delle linee guida per il trattamento dei linfedemi;
   se non reputino necessario attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di approvare le Linee guida per la cura dei linfedemi, le quali ne consentano il trattamento in day hospital riabilitativo (e quando necessario in degenza ordinaria riabilitativa), ovvero di reperire le risorse necessarie per l'istituzione di almeno un «polo d'eccellenza» che possa soddisfare la domanda nazionale di cure per tale malattia. (4-04951)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, MANNINO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, ZOLEZZI, SEGONI e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella relazione seguita alla riunione del 10 aprile 2014 dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che ha avuto per oggetto il SISTRI, nel capitolo dedicato allo «Stato di attuazione del progetto» si apprende che quanto realizzato da SELEX ad oggi (e cioè: centro operativo primario, centro operativo secondario, dispositivi USB, dispositivi black-box e sistemi di monitoraggio dei siti sensibili) non è ancora stato sottoposto a collaudo;
   questo per quanto risulta agli interroganti contrasta con quanto esposto durante l'ultima riunione del tavolo tecnico di monitoraggio e concertazione del Sistri, tenutasi il 20 febbraio 2014, in occasione del quale sono state illustrate le risultanze della Commissione di collaudo del SISTRI istituita in base al comma 8 dell'articolo 11 del decreto-legge n. 101 del 2013 con esito positivo;
   nella stessa relazione nel capitolo dedicato alla «Commissione parlamentare di inchiesta» vengono indicate alcune problematiche che la commissione stessa ha evidenziato a conclusione dei propri lavori avvenuta il 4 marzo 2013. In particolare, si legge chiaramente che il peccato originale del progetto viene individuato nella decisione di segretare il progetto, il che ha comportato l'individuazione del soggetto affidatario del servizio senza alcuna scelta comparativa che poteva avvenire in rispetto dell'articolo 17, comma 4 del decreto legislativo n. 163 del 2006. Questo avrebbe provocato una serie di conseguenze concatenate che hanno coinvolto tutte le fasi dell'avviamento del progetto dall'affidamento del servizio al contenuto del contratto fino alla fase esecutiva dello stesso;
   viene sottolineato che il Ministero sin dalle prime fasi ha avuto rapporti esclusivamente con la SELEX bypassando qualunque tipo di rapporto con altre imprese che potessero presentare le stesse capacità tecniche, economiche e imprenditoriali;
   analizzando la correttezza della procedura con la quale il Ministero ha sottratto l'affidamento del progetto SISTRI alle ordinarie procedure di gara, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici si esprime dichiarando che la procedura «non rientrava a stretto termine di legge nella fattispecie dei contratti secretati disciplinata dall'articolo 17 nell'assetto normativo vigente al tempo dell'affidamento diretto», richiamando inoltre i principi contenuti nell'articolo 27 del codice degli appalti che presuppongono anche per gli appalti segretati il rispetto dei principi di «imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità»;
   la conclusione dell'Autorità per la vigilanza è riassunta in poche parole: «...discendono dubbi sulla validità del contratto stipulato con SELEX»;
   rispondendo all'interpellanza urgente n. 2-00473 prima firma Terzoni, e in particolare all'ipotesi avanzata dall'interrogante di sospendere il contratto con Selex, il sottosegretario Velo ha risposto come segue: «Circa la possibilità di recedere dal contratto con la Selex e procedere con nuovo procedimento amministrativo, anche con l'applicazione di nuove e più efficienti tecnologie, si richiama quanto approfondito precedentemente ai fatti di questa settimana a cui fa riferimento l'onorevole interpellante. In altre parole, l'ipotesi di risoluzione del contratto è stata valutata dall'amministrazione nel 2012 che, a tal fine, ha chiesto uno specifico parere all'Avvocatura generale dello Stato sulla legittimità della complessiva operazione negoziale. Quest'ultimo ufficio ha, però, ritenuto valido e legittimo il contratto con la Selex. Nel parere a suo tempo reso, l'Avvocatura generale dello Stato concludeva per la legittimità dell'affidamento diretto»;
   il contratto stipulato tra Selex e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare all'articolo 12, «Durata del contratto e trasferimento della proprietà dell'infrastruttura», prevede che il termine della validità del contratto medesimo è fissata al 30 novembre 2014 con possibilità di rinnovo per una durata quinquennale da determinarsi con 24 mesi di anticipo prima della scadenza –:
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto emerso e segnalato nella relazione dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, non ritenga ci siano nuovi e determinanti elementi per rescindere il contratto con Selex;
   se il Ministro, considerato che il contratto è in scadenza al 30 novembre 2014 e ad oggi non risulta essere stato rinnovato nei termini previsti, non ritenga necessario e urgente avviare una nuova procedura di affidamento rispettando quanto previsto nel codice degli appalti con meccanismi che garantiscano trasparenza e legalità, prevedendo nel contenuto del nuovo assetto contrattuale anche l'applicazione di nuove e più efficienti tecnologie;
   se il Ministro sia in grado di fornire chiarimenti riguardo al verbale di collaudo del centro operativo primario, del centro operativo secondario, dei dispositivi USB, dei dispositivi black-box e dei sistemi di monitoraggio dei siti sensibili.
(3-00839)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRANCO BORDO, PELLEGRINO, PALAZZOTTO, ZAN e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto interministeriale del 12 luglio 2013 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10 agosto 2013) vieta la coltivazione delle sementi di organismi geneticamente modificati, OGM, in Italia per un periodo di 18 mesi. Il decreto è stato emanato ai sensi del combinato disposto degli articoli 54 del Regolamento (CE) n. 178 del 2002 e dell'articolo 34 del Regolamento (CE) 1829 del 2003;
   specificatamente, l'articolo 34 del Regolamento (CE) n. 1829 del 2003 stabilisce l'adozione di misure d'urgenza, ai sensi degli articoli 53 e 54 del Regolamento (CE) n. 178 del 2002, quando sia manifesto che prodotti autorizzati dal regolamento o conformemente allo stesso possono comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l'ambiente;
   l'articolo 53 del Regolamento (CE) n. 178 del 2002 stabilisce che, in situazioni di emergenza, uno Stato membro possa chiedere alla Commissione europea di adottare misure cautelari, tra cui quella di sospendere l'autorizzazione, volte a sospendere l'immissione o l'importazione di un determinato prodotto OGM «(...) in tutto il territorio dell'Unione Europea (...)» o a limitarne le condizioni;
   l'articolo 54 del Regolamento (CE) n. 178 del 2002 stabilisce però che, nelle more delle decisioni da parte della Commissione europea, lo Stato membro può provvisoriamente adottare le misure cautelari – tra cui la sospensione – limitatamente al territorio del proprio Stato sin tanto che la Commissione europea non decida; ed è quello che ha portato il Governo italiano ad adottare il decreto interministeriale del 12 luglio 2013;
   in data 8 ottobre 2013 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare inviava una nota alla presidente della regione Friuli-Venezia Giulia, al fine di conoscere le iniziative messe in atto dalla regione per assicurare la piena attuazione del divieto di coltivazione del mais MON 810 imposto dal decreto interministeriale, stante l'eventualità di dover dar seguito all'applicazione alle sanzioni previste dagli articoli 35 e 36 del decreto legislativo n. 224 del 2003 e alla bonifica, al ripristino ambientale e al risarcimento ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, qualora sia accertato un effettivo danno ambientale conseguente alla coltivazione del mais MON 810;
   in data 11 novembre 2013 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con un ulteriore nota, nel prendere atto che la regione Friuli-Venezia Giulia aveva modificato la legge regionale n. 5 del 2011, «Disposizioni relative all'impiego di organismi geneticamente modificati (OGM) in agricoltura», lo stesso Ministro chiedeva informazioni sull'esatta localizzazione delle coltivazioni di MON 810, prodromiche alla previsione di azioni di monitoraggio degli eventuali effetti OGM sull'ambiente o sulla salute pubblica, per valutare, se del caso, l'applicabilità delle sanzioni citate. Sempre nella stessa nota, il Ministro aveva altresì ribadito che la normativa nazionale in materia di organismi geneticamente modificati è garantita da un apparato sanzionatorio previsto, con riferimento a fattispecie diverse nei presupposti, dagli articoli 35 e 36 del decreto legislativo n. 224 del 2003 e dal decreto legislativo n. 70 del 2005. Le richiamate disposizioni prevedono, specifiche sanzioni di carattere penale relativamente alla fattispecie di immissione in commercio di alimenti e mangimi geneticamente modificati, la cui applicabilità a casi concreti rientra nelle prerogative della magistratura;
   recentemente, è intervenuta la legge regionale n. 5 del 28 marzo 2014, «Disposizioni urgenti in materia di OGM e modifiche alla legge regionale 23 aprile 2007, n. 9 (Norme in materia di risorse forestali)», della regione Friuli-Venezia Giulia, che nel ribadire il divieto di coltivazione per 12 mesi degli OGM, ha previsto specifiche sanzioni amministrative in caso di sua inosservanza, ossia una sanzione massima di 50.000 euro per i trasgressori e autorizza il Corpo forestale regionale ad ordinare la rimozione delle condizioni che determinano l'inosservanza. La norma regionale prevede all'articolo 1, comma 3, anche la segnalazione delle violazioni del divieto di coltivazione previsto dal decreto interministeriale del 12 luglio 2013 alle competenti autorità;
   in data 23 aprile 2014 con sentenza n. 4410 del 2014, il TAR del Lazio si è pronunciato confermando l'impianto giuridico del decreto interministeriale del 12 luglio 2013, il quale vieta la coltivazione di OGM sul territorio nazionale;
   la regione Friuli-Venezia Giulia ha ufficialmente informato il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali che in data 7 maggio 2014 è pervenuta all'amministrazione regionale la notifica, trasmessa con raccomandata il 2 maggio scorso, di avvenuta semina di mais OGM DKC 666YG effettuata in data 17 aprile nel comune di Vivaro (PN) –:
   quali interventi urgenti per quanto di competenza i Ministri interrogati, nelle rispettive competenze, intendano adottare al fine di ripristinare il principio di legalità che è stato violato nella regione Friuli-Venezia Giulia, interessata dalla semina di mais OGM DKC 666YG effettuata in data 17 aprile nel comune di Vivaro (PN).
(4-04952)


   ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 luglio 2004 la Cetarola srl, società a responsabilità limitata con sede in Frosinone, presentava una proposta di Piano di Lottizzazione Convenzionata per realizzare un complesso turistico – ricreativo Itri (Latina) in località «Monte Agnellone–Punta Cetarola», area di importante e notevole valore paesaggistico, naturalistico e archeologico, peraltro completamente circondata da zone ambientali altamente protette a livello europeo come le cosiddette zone Sic – Siti di Interesse Comunitario (codice n. IT6040022 – «Costa Rocciosa tra Gaeta e Sperlonga»), nonché inserita in una Zps – Zona a protezione speciale (codice IT6040043 – «Monti Ausoni e Aurunci») classificata peraltro come area Iba (Important birds area) la quale tutela il passaggio di specie animali protette e a rischio di estinzione;
   a seguito di tale proposta, la Regione Lazio – consapevole del prestigio e dell'elevata qualità paesaggistica e naturalistica di quella località ed essendo l'autorità competente ovvero preposta ad emettere pareri urbanistico-ambientali sulla proposta di piano – emetteva parere negativo con nota prot. 129379 del 4 ottobre 2004;
   nel 2007 la società suddetta presentava però una nuova proposta, comunque ubicata sempre sulle stesse aree, che l'amministrazione comunale di allora – con deliberazione del consiglio comunale n. 84 del 20 dicembre 2007 – adottava contestualmente alla stesura di uno schema di convenzione nonostante le forti critiche dell'opposizione sia sul metodo di approvazione, in quanto non era stata avviata l'istruttoria pubblica così come richiesto dall'articolo 62 dello statuto comunale, sia nel merito del piano stesso in quanto non si era proceduto a verificare se il piano medesimo fosse stato oggetto delle necessarie e preliminari valutazioni ambientali specifiche, così come richiesto dalla normativa ambientale vigente;
   la regione Lazio, ancora una volta, interveniva con diversi atti, tra i quali si ricordano:
    a) parere ambientale «NON FAVOREVOLE», n. prot. 134202 del 28 ottobre 2008;
    b) preavviso di rigetto emesso con nota dell'Area valutazione impatto ambientale, prot. n. 123361 del 17 maggio 2010, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 6 della legge n. 15 del 11/02/2005, ovvero dell'articolo 10-bis della legge 241/90;
    c) parere integrativo «NON FAVOREVOLE» della regione Lazio n. prot. 74749 del 12 maggio 2010;
   il 10 marzo di quest'anno, però, il Tar accoglieva con sentenza della seconda sezione bis, n. 2738/2014, il ricorso della società Cetarola srl per la realizzazione della lottizzazione a Punta Cetarola – sospesa nel 2010 dall'ennesimo parere negativo della regione Lazio – ma il Tar stesso non si esprimeva, né avrebbe potuto in quanto non chiamato a farlo, nel merito delle questioni relative all'incompatibilità del piano rispetto ai vincoli – che restano tuttora prescrittivi – sussistenti nelle aree sulle quali il piano è ubicato, bensì rilevava soltanto alcune contraddittorietà esclusivamente formali dovute ad una redazione apparentemente contraddittoria dei suddetti e susseguenti pareri regionali così come eccepito nel ricorso dei lottizzanti;
   nell'istruttoria tecnica allegata alla delibera del consiglio comunale n. 84 del 20 dicembre 2007, predisposta con nota prot. n. 2307 del 26 febbraio 2007 del comune di Itri, non veniva rilevata – in violazione delle norme di legge e della giurisprudenza poc'anzi indicate – la necessità di dover precedere ex lege all'acquisizione, in via necessariamente preliminare, delle seguenti valutazioni ambientali preliminari ed integrative:
    VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 così come vigente in data 20/12/2007;
    VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 così come vigente in data 20/12/2007;
    VALUTAZIONE DI INCIDENZA ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, in quanto il piano interviene con certezza all'interno di una zona Zps, all'interno di un'area Iba, ed è parzialmente ricadente in una zona Sic;
   pertanto, il piano risulterebbe essere – secondo una prima analisi – illegittimo in quanto lo stesso sembrerebbe essere stato approvato, con deliberazione del consiglio comunale n. 84 del 20 dicembre 2007, senza acquisire previamente le necessarie, obbligatorie e preliminari valutazioni ambientali specifiche – ossia senza la valutazione ambientale strategica (VAS), la valutazione di impatto ambientale (VIA), ovvero senza la rilevante valutazione di incidenza (VI) – in apparente violazione del combinato disposto dell'articolo 4, comma 2, 3, 4 e 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 come vigente in data 20 dicembre 2007, ovvero del comma 8 dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, costituendo tali valutazioni presupposto o parte integrante del procedimento di autorizzazione o approvazione, potendo ciò rendere lo Stato italiano potenzialmente passibile di procedura di infrazione con comunitaria per violazione, ovvero per mancata effettiva applicazione della direttiva n. 92/43/CEE (Habitat) relativa alla conservazione degli habitat naturali e semi-naturali e della, flora e della fauna selvatiche, nonché della direttiva, n. 79/409/CEE (uccelli) relativa alla conservazione degli uccelli selvatici, così come recepite ed attuate dallo Stato italiano, in quanto nella zona, ci sono appunto Siti di interesse comunitario (Sic) e Zone di protezione speciale (Zps), peraltro classificate come area Iba (Important birds area). Su tali zone infatti il piano avrà un'incidenza notevole senza aver ricevuto le necessarie valutazioni di compatibilità ambientale;
   sulla vicenda sono state già allertate anche associazioni di protezione ambientale come LIPU, ITALIA NOSTRA – LAZIO, WWF, FAI e LEGAMBIENTE – LAZIO –:
   quali iniziative urgenti intenda, mettere in campo il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, anche per tramite degli uffici territoriali di competenza e delle agenzie ministeriali specializzate, al fine di salvaguardare le zone oggetto di questa interrogazione in quanto ricadenti in aree di importante e notevole valore paesaggistico, naturalistico e archeologico, anche per scongiurare il rischio che possano essere avviate procedure di infrazione per violazione della normativa europea. (4-04953)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata:


   CARIELLO, CASTELLI, SORIAL, CASO, BRUGNEROTTO, CURRÒ e D'INCÀ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con un emendamento approvato al disegno di legge di stabilità per il 2014 è stato inserito, all'articolo 1, il comma 206 che, modificando l'articolo 48, primo comma, della legge 20 maggio 1985, n. 222, aggiunge una nuova finalità a cui destinare la quota dell'otto per mille dell'irpef devoluta alla diretta gestione statale, ossia «la ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica»;
   con decreto del segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri del 14 gennaio 2014, sono stati individuati i parametri specifici di valutazione delle istanze relative alla quota dell'otto per mille nella specifica finalità «Interventi per l'edilizia scolastica» con l'aggiunta, a giudizio degli interroganti eccessivamente discrezionale, del punto n. 1 di «Progetti di riqualificazione volti alla bonifica dell'amianto», che non era inclusa nel testo del comma 206 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2014, nonostante i predetti progetti siano già finanziati per 150 milioni di euro per il 2014, come previsto dall'articolo 18, comma 8-ter, del decreto-legge n. 69 del 2013;
   le modalità, le procedure ed i criteri di riparto per l'utilizzazione delle suddette risorse sono disciplinate nel decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, successivamente modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 23 settembre 2002, n. 250;
   di recente il decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 2013, n. 82, ha apportato ulteriori modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, fra cui la fissazione del nuovo termine per presentare le domande alla Presidenza del Consiglio dei ministri al 30 settembre invece che al 15 marzo;
   sul sito ufficiale della Presidenza del Consiglio dei ministri è indicato che è in corso la modifica del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, in relazione all'introduzione della categoria «edilizia scolastica» –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per effettuare tutte le modifiche citate nelle premesse entro il 30 giugno 2014, al fine di rendere disponibile la modulistica necessaria per consentire agli enti interessati, entro il 30 settembre 2014, di inoltrare le apposite domande correlate a progetti di ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica, escludendo i progetti di riqualificazione volti alla bonifica dell'amianto.
(3-00842)


   BUSIN, GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la crisi ha colpito in modo drammatico il sistema produttivo italiano, costretto ad operare con gravi svantaggi competitivi rispetto ad altri Paesi dell'Unione europea, in particolare alla Germania, che precede il nostro Paese nella classifica dei Paesi con maggiore produzione manifatturiera e con la quale l'Italia è in diretta concorrenza in molteplici settori industriali;
   le aziende italiane non riescono a sopportare ulteriormente un sistema giudiziario praticamente alla paralisi e riconosciuto fra i fattori che più scoraggiano gli investimenti, sia interni che soprattutto esteri in Italia, la più alta pressione fiscale sui redditi d'impresa fra i Paesi Ocse, di oltre 20 punti superiore a quella tedesca, il tax rate complessivo è arrivato ad oltre il 68,3 per cento, un costo dell'energia fra i più alti in Europa (+40 per cento la bolletta elettrica in 2 anni) ed una burocrazia che costa, secondo il centro studi di Confindustria, oltre 30 miliardi di euro al sistema delle piccole e medie imprese italiane;
   a tali evidenti svantaggi non è consentito rimediare con svalutazioni monetarie compensative, dal momento che si è costretti ad operare con una valuta unica in un sistema di cambi fissi, qual è l'euro, attualmente a livelli insostenibili per l'economia italiana;
   in questo quadro desolante non stupiscono i dati, in continuo aumento, sul numero di aziende che falliscono (+4,6 per cento nel I quadrimestre 2014 rispetto al 2013), cessano l'attività o richiedono il concordato. Dal 2007 ad oggi l'Italia ha perso il 25 per cento della produzione industriale e il 40 per cento nel settore delle costruzioni. Molte aziende chiudono per mancanza di liquidità, dal 2008 le banche hanno diminuito del 36 per cento i prestiti alle piccole e medie imprese, di queste il 20 per cento lo ha fatto a causa dei mancati pagamenti da parte della pubblica amministrazione;
   logica conseguenza di questa situazione è, pertanto, il negativo dato sulla disoccupazione, oggi al 12,7 per cento, ma che raggiunge picchi del 41,6 per cento tra i giovani, così che il tasso di occupazione si ritrova sotto quota 60 per cento quando la media europea è del 68,3 per cento e in Germania è del 72 per cento;
   è concreto il rischio che vada perduto definitivamente il patrimonio di piccole e medie imprese vitale per l'economia italiana e da tempo si sente la necessità di escludere, ovvero poter dedurre, l'imu sui fabbricati strumentali, sia per l'oggettiva situazione che vede contrarsi utili d'impresa e valore degli asset immobiliari, sia perché dal 2014 si aggiunge al carico fiscale delle imprese anche la tasi;
   già nel 2013, in fase di esame di alcuni provvedimenti legislativi di carattere finanziario, sono state presentate numerose richieste di rivedere l'attuale tassazione sugli immobili produttivi e, specificatamente, con l'accoglimento dell'ordine del giorno 9/01544-A/043, il Governo si impegnava a valutare l'opportunità di prevedere l'integrale deduzione delle spese sostenute per l'imposta municipale propria relativa agli immobili utilizzati per attività produttive dal reddito imponibile dei soggetti passivi dell'imposta sul reddito, sia ai fini ires che ai fini irap;
   l'intervento previsto dalla legge di stabilità per l'anno 2014 appare insufficiente, laddove si prevede che l'imu relativa agli immobili strumentali delle imprese e dei professionisti sia solo in parte deducibile dal reddito di impresa a decorrere dal periodo d'imposta 2013 ma indeducibile ai fini irap, ed in ragione del fatto che tale deducibilità è stata fissata per l'anno 2014 ad un livello molto limitato, pari al 20 per cento –:
   se, alla luce della grave crisi economica e della difficile situazione nella quale migliaia di aziende italiane si ritrovano oggi e in ragione della prossima scadenza per il versamento della prima rata dell'imu, fissata al 16 giugno 2014, non ritenga opportuno considerare la possibilità di assumere iniziative per prevedere l'integrale deduzione delle spese sostenute per l'imposta municipale propria relativa agli immobili utilizzati per attività produttive dal reddito imponibile dei soggetti passivi dell'imposta sul reddito, estendendo la stessa sia ai fini ires che ai fini irap e dando così seguito alle annunciate intenzioni del Governo in materia. (3-00843)


   SANTERINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri ha in più riprese rimarcato l'importanza della riforma del terzo settore, considerata uno dei punti nodali dell'azione riformatrice della XVII legislatura;
   la rilevanza di questo settore, che si colloca tra lo Stato e il mercato, tra la finanza e l'etica, tra l'impresa e la cooperazione, tra l'economia e l'ecologia, che dà forma e sostanza ai principi costituzionali della solidarietà e della sussidiarietà, si misura soprattutto nei momenti di crisi, quando maggiore è il bisogno di un sostegno per la coesione sociale e per il contrasto alle tendenze verso la frammentazione e disgregazione del senso di appartenenza alla comunità nazionale;
   le linee guida della riforma del terzo settore, illustrate dal Governo, sono ampiamente condivisibili ed improntate al superamento delle vecchie dicotomie tra pubblico/privato, alla valorizzazione del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale, al sostegno dell'impresa sociale, nonché finalizzate a fornire stabilità e ampliare le forme di sostegno economico, pubblico e privato, degli enti del terzo settore;
   sino ad oggi per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (onlus) era previsto il pagamento dell'imposta di registro in misura fissa (pari a 168 euro) sugli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili e sugli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento;
   dal 1o gennaio 2014, con l'entrata in vigore delle previsioni dell'articolo 10 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale», le organizzazioni non lucrative di utilità sociale pagheranno per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e gli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari e di godimento un'imposta pari al 9 per cento del valore dell'immobile;
   tale norma produrrà un effetto inverso rispetto a tutto quanto si sta realizzando negli ultimi anni in termini di recupero di beni culturali, beni sottratti alla criminalità organizzata. Difatti, la pubblica amministrazione locale, per valorizzare beni pubblici non produttivi e che hanno forti costi di manutenzione o gestione, sta operando da anni nella direzione di affidare tali immobili ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale (essendo impensabile affidarli a soggetti lucrativi), affinché essi siano riattati e destinati alla fruizione pubblica;
   gravare con un'imposta alta soggetti no profit, che si fanno carico di un'azione di valorizzazione di questi beni immobili con risorse proprie e private, significa, di fatto, bloccare tale processo con evidenti danni anche per la pubblica amministrazione, che si troverebbe a dover continuare a sopportare alti costi di manutenzione o gestione per beni improduttivi non effettivamente utilizzati –:
   se non ritenga, nell'ambito del più generale processo di riforma del terzo settore che comunque esigerà un esame approfondito e tempi non brevi per l'adozione dei decreti attuativi della delega, adottare iniziative immediate, anche di tipo normativo, volte ad eliminare la criticità citata in premessa. (3-00844)


   TOTARO, TAGLIALATELA e RAMPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 20 marzo 2013 la società Sisal entertainment s.p.a. ha sottoscritto la convenzione di concessione con l'Agenzia delle dogane e dei monopoli per l'affidamento in concessione della realizzazione e conduzione della rete telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento ed intrattenimento previsti dall'articolo 110, comma 6, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773;
   in forza di tale concessione la Sisal entertainment s.p.a. garantisce il collegamento di oltre 40.000 apparecchi da intrattenimento alla rete telematica dei Monopoli di Stato, dei quali circa 15.000 sono di proprietà della stessa società;
   ai fini dell'installazione e gestione degli apparecchi da gioco presso singoli esercenti commerciali, la società Sisal entertainment s.p.a. stipula con essi un contratto per il servizio di comodato e connessione degli apparecchi di gioco;
   nel contratto, al punto che disciplina le modalità di recesso, è previsto che nel caso di recesso da parte dell'esercente «il concessionario si riserva di chiedere una somma a titolo di rimborso per le spese amministrative, di installazione e di riallocazione pari a euro seimila per ogni apparecchio di gioco installato presso l'esercizio»;
   tale previsione costituisce un evidente ed ingiustificato aggravio economico in danno di quegli esercenti che decidano di avvalersi della facoltà di recesso, sostanzialmente costringendoli a mantenere gli apparecchi da gioco precedentemente installati presso il proprio esercizio commerciale;
   nel nostro Paese sta drammaticamente aumentando il numero delle persone affette dalla sindrome del gioco d'azzardo patologico, che determina conseguenze drammatiche sulla loro vita e su quella dei loro familiari;
   l'attenzione che si sta dedicando al fenomeno, anche attraverso provvedimenti normativi, procede di pari passo con una forte sensibilizzazione sul tema;
   anche in considerazione di questa nuova consapevolezza, molti esercenti decidono di far rimuovere gli apparecchi da gioco installati nei propri locali, ma si vedono poi, di fatto, preclusa questa possibilità a causa delle elevate spese per il recesso dal contratto di comodato e connessione con il concessionario dei giochi –:
   se sia informato di quanto esposto in premessa e se non intenda assumere le opportune iniziative affinché nei contratti stipulati tra società concessionaria del gioco ed i singoli esercenti non siano previste clausole che penalizzino la loro libertà di recesso. (3-00845)


   MARTELLA, CAUSI, FREGOLENT, MARCHI, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o luglio 2014 l'Italia assumerà la Presidenza semestrale del Consiglio dell'Unione europea, un ruolo essenziale all'interno dell'Unione europea, poiché proprio alla Presidenza spetta il compito di proporre orientamenti ed elaborare i compromessi necessari all'adozione di decisioni da parte del Consiglio;
   le elezioni del Parlamento europeo che si sono svolte la scorsa settimana consegnano un quadro contraddittorio: se, da un lato, l'Italia e il Governo escono rafforzati nel contesto europeo, dall'altro non può non destare forti preoccupazioni l'ingresso nell'Assemblea di forze che, seppur differenti tra loro, sono manifestamente antieuropeiste;
   all'affermazione di partiti che mettono in discussione la stessa esistenza dell'Unione europea ha certamente contribuito il fatto che, nella gestione della lunga crisi che ha avuto inizio nel 2008, le istituzioni europee hanno agito con lentezza e non sempre con efficacia, sono sembrate occuparsi più del consolidamento fiscale che dei temi della crescita e del lavoro e restano ancora oggi incerte di fronte a problemi di grande rilevanza come l'ampiezza delle risorse umane inutilizzate e la capacità di coordinare le politiche fiscali –:
   quale agenda di politica economica intenda promuovere il Governo nel prossimo semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea per segnalare la necessità di un'inversione di tendenza, l'unica in grado di rilanciare le istituzioni comunitarie e di promuoverne in prospettiva il rafforzamento. (3-00846)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   ABRIGNANI e PALESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dal quotidiano Il Sole 24 ore il 18 maggio 2014, il settore delle infrastrutture, che dovrebbe trasmettere l'impulso essenziale per rilanciare l'economia del sistema-Paese, risulta in grave difficoltà, a causa di molteplici fattori negativi, quali: la spesa dei finanziamenti statali oramai marginalizzata, i vincoli derivanti dal patto di stabilità degli enti locali, le lunghe procedure ed i ricorsi ai tribunali amministrativi regionali, nonché i ritardi e gli aumenti del costo degli appalti, determinati dalle varianti progettuali durante i lavori;
   le sopra esposte osservazioni, che rappresentano un freno allo sviluppo, si inseriscono all'interno di una manifesta mancanza di un'azione sinergica di politica economica ed infrastrutturale da parte del Governo Renzi, la cui assenza si sta dimostrando, in particolare, nei confronti del Mezzogiorno;
   a giudizio dell'Associazione nazionale costruttori edili, ulteriori profili di criticità che rallentano fortemente la realizzazione delle opere infrastrutturali in Italia, che ha investito meno rispetto a tutti i principali Paesi dell'Unione europea, perdendo oltre il 30 per cento dal 2009, sono rappresentati dalle carenze e dalle incertezze sui finanziamenti, dai tempi della valutazione di impatto ambientale e delle conferenze di servizi, dalle prescrizioni delle regioni e degli enti locali, nonché dalle difficoltà derivanti dal titolo V della parte II della Costituzione, che hanno determinato lentezze decisionali, responsabilità regolatorie e diffusi contenziosi amministrativi –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere, in considerazione del quadro complessivo esposto in premessa, che rileva evidenti ritardi nel rilanciare un settore essenziale per la ripresa della domanda e del prodotto interno lordo del Paese, e se il Governo intenda assumere iniziative per riportare le infrastrutture strategiche alla competenza esclusiva statale, poste le problematiche cagionate dalla sovrapposizione delle competenze dei diversi livelli amministrativi, che nel corso dell'ultimo decennio ha inciso negativamente sull'efficienza della produttività del sistema economico. (3-00840)


   DI GIOIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   martedì 6 maggio 2014, davanti alla sede di Aeroporti di Puglia spa a Bari, si è svolta una manifestazione, indetta dalle Associazioni e dai comitati pro «Gino Lisa», affinché si decida, in tempi rapidi, non solo l'apertura dell'aeroporto, ma siano avviati i lavori per l'allungamento della pista che rappresenta una necessità strategica per lo sviluppo del territorio;
   sulla realizzazione di tale opera, in merito alla quale l'interrogante ha presentato numerosi atti di sindacato ispettivo, si continuano a riscontrare ritardi e scelte che rischiano di penalizzare un territorio già duramente in crisi;
   la provincia di Foggia e la Capitanata hanno un potenziale turistico e turistico- religioso che potrebbe fungere da volano per la ripresa e lo sviluppo, ma le scelte politiche operate, nel corso degli ultimi anni, hanno determinato evidenti difficoltà;
   non a caso anche la camera di commercio e l'Associazione industriali della città di Foggia hanno dato il loro appoggio, convinti come tutti che il «Gino Lisa», una volta pienamente operativo, rappresenta un'infrastruttura strategica per l'intero comparto dell'economia locale;
   l'arretratezza delle infrastrutture di mobilità è un pesante handicap con il quale questo territorio deve fare i conti e, di fatto, determina l'impossibilità per gli operatori economici di poter competere, ad armi pari, con altre realtà produttive del Paese;
   tutto ciò, in una situazione in cui la crisi economica continua ad affossare lo sviluppo e ad aumentare in termini esponenziali il numero dei disoccupati, appare del tutto incomprensibile e irragionevole;
   non si possono più sopportare tali ritardi, come non si può dimenticare lo spreco delle risorse pubbliche sino ad ora investite e gli ostacoli burocratici e politici posti da chi colpevolmente tende a ritardare i lavori di tale opera, con il rischio di declassare l'aeroporto e l'intera economia del territorio;
   non è più tempo di tergiversare, stante il fatto che a breve, il 30 giugno 2014, scadranno i termini per usufruire dei 14 milioni di euro di fondi comunitari per l'allungamento della pista e le popolazioni e gli operatori economici non potranno accettare in silenzio tale eventualità che si accompagnerebbe ad altre sottrazioni, come lo spostamento dell'Agenzia per la sicurezza alimentare, che hanno rappresentato una preoccupante avvisaglia;
   in tal senso appare ancora più grave la decisione, presa il 17 gennaio 2014, di declassare l'aeroporto di Foggia, iniziativa che era stata letta come tentativo di affossare lo sviluppo e la realizzazione delle opere previste –:
   come e se si intenda, al di là di formali dichiarazioni di buona volontà, attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, con il necessario confronto con le istituzioni regionali e Aeroporti di Puglia spa, affinché si concluda quest'annosa vicenda della piena operatività dell'aeroporto «Gino Lisa», che, a giudizio dell'interrogante, ha assunto ormai i toni della farsa, e si dia risposta alle giuste istanze avanzate dalle associazioni dei cittadini e degli operatori economici della provincia di Foggia e della Capitanata, cominciando dalla pista dell'aeroporto per dare il via, in seguito, ad un reale potenziamento infrastrutturale dell'intero territorio, che rappresenta l'unico fattore strategico per la ripresa e lo sviluppo economico del territorio. (3-00841)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ANZALDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'EDPA (European drone pilots association), l'associazione maggiormente rappresentativa presente in Italia, che raccoglie gli operatori e le aziende operanti nel settore, già da alcuni mesi ha reiteratamente chiesto, all'ENAC, in via ufficiale, senza riuscire ad ottenerlo, un incontro al fine di rappresentare le attuali condizioni di difficoltà che affrontano i circa 600 associati;
   da circa un biennio, a fronte della profonda crisi economica ed occupazionale che investe l'Italia, numerosi operatori (in particolar modo giovani) hanno iniziato ad effettuare lavori, occasionali ed anche sistematici, di fotografia dall'alto, utilizzando piccoli aeromodelli elettrici di peso inferiore ai 7 chilogrammi a cui hanno applicato dei dispositivi video-fotografici;
   questi aeromodelli volano bassissimi (a poche decine di metri dal suolo), sono silenziosi, sicuri e poco inquinanti;
   tale attività ha trovato interessanti sbocchi anche nel settore cinematografico e della televisione, consentendo la sostituzione quasi totale delle attività di ripresa effettuate con elicotteri, che sorvolando i centri abitati potrebbero provocare vere e proprie stragi in caso di caduta come recentemente documentato dalla tragedia che ha coinvolto gli utenti di un pub in Gran Bretagna;
   molti giovani professionisti (geologi, fotografi, architetti, tecnici di impianti) hanno quindi investito – già a partire dal 2011 – diverse migliaia di euro per acquistare degli aeromodelli nonché le apparecchiature fotografiche e hanno dato vita ad una serie di microimprese che attualmente occupano circa 2000 persone;
   le riprese dall'alto consentono ad esempio di ispezionare con costi contenuti e in assoluta sicurezza i tetti delle case, le linee di elettrificazione, gli impianti industriali, e in altre attività molto rilevanti;
   va  detto inoltre che molte associazioni che operano nel settore del pubblico soccorso utilizzano aeromodelli dotati di telecamera per verificare eventuali aree pericolose prima di procedere al recupero di persone e cose in aree impervie;
   aeromodelli vengono utilizzati anche per effettuare ricognizioni dall'alto che vengono poi utilizzate con scopi di giustizia;
   recentemente l'ENAC ha provveduto a predisporre un regolamento concernente l'impiego dei droni sul territorio italiano, velivoli senza pilota che possono raggiungere il peso di un aereo militare;
   tuttavia, nell'ambito di regolamento, secondo l'EDPA, non si è provveduto ad evidenziare, in maniera chiara ed esaustiva, le assolute differenze, in termini di pericolosità, tra un aeromodello di peso inferiore a 7 chilogrammi e un aeromobile senza pilota del peso di diverse tonnellate;
   una legge del 1920 considera «aeromobili», senza alcuna distinzione, tutti gli oggetti che si levano in volo;
   in realtà questi apparecchi, che non sono «droni», i quali nella maggior parte dei casi sono militari, sono multi rotori in quanto pesano dai 300 grammi a 25 chilogrammi ma e i più diffusi pesano meno di due chilogrammi;
   in verità l'assenza di una precisa normativa di regolamentazione consente paradossalmente che in territorio italiano puoi usare ovunque dei multirotori per giocare, senza assicurazione, se invece il multi rotore diventa strumento di reddito allora cominciano le difficoltà;
   per poter utilizzare un multi rotore in una attività economica, in zone definite da Enac «Critiche» (quasi il 90 per cento del territorio italiano sempre secondo Enac) occorre un mezzo che sia certificato da ENAC e ad oggi l'unica società certificata risulta in qualche modo strettamente collegata ad Assorpas (altra associazione del settore e ad oggi unica o quasi interlocutrice di Enac);
   l'EDPA non pone assolutamente in dubbio la necessità di avere una regolamentazione del settore ma occorre una maggiore trasparenza e informazione da parte dell'Enac;
   è assolutamente ingiustificato che l'acquisto di mezzi certificati finisca per creare rendite di posizione per pochi con prezzi maggiorati rispetto a quelli presenti sul mercato;
   lascia molto perplessi, inoltre, la volontà di voler affidare il rilascio del patentino a scuole private che presentano costi altissimi –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere per confrontarsi anche con l'EDPA e attivare un tavolo di lavoro per l'emanazione di norme di regolamentazione del settore che riescano a contemperare la indubbia necessità di sicurezza con la libera iniziativa soprattutto in un ambito che, come illustrato in premessa, offre molte opportunità di impiego anche per il futuro. (5-02881)


   COVELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in base alla denuncia dei sindacati regionali dei trasporti calabresi, Trenitalia si preparerebbe ad effettuare una nuova serie di tagli di corse lungo la rete regionale;
   dal primo luglio 2014 verrebbero ad essere interessate dai tagli di Trenitalia le seguenti corse: il 3740 con partenza alle 5 da Reggio Calabria fino a Crotone, il 3751 con partenza da Catanzaro Lido alle 18,05 fino a Reggio Calabria, il 3752 da Reggio Calabria ore 16,05 fino a Catanzaro Lido, il 12712 da Reggio Calabria ore 7,05 a Roccella, il 12713 da Roccella ore 9,50 a Reggio Calabria, il 3696 da Cosenza alle 9,50 a Sapri, il 3697 da Sapri alle 5,30 a Cosenza;
   a questi si aggiungeranno tagli sulla Catanzaro-Lamezia e lungo la tratta Villa San Giovanni-Rosarno;
   questi tagli seguirebbero quelli autorizzati a seguito della delibera regionale dell'8 aprile 2014 con la quale la regione Calabria ha autorizzato il taglio di risorse per il trasporto ferroviario regionale per i treni «a bassa frequenza»;
   il taglio complessivo operato da Trenitalia inciderebbe per circa 15 milioni di euro e di fatto determinerebbe un gravissimo ulteriore e mortale colpo al trasporto ferroviario in regione penalizzando le fasce di utenza più deboli –:
   se il Governo intenda nell'ambito delle proprie prerogative attivare un tavolo istituzionale di confronto con l'azienda Trenitalia per scongiurare la soppressione delle corse citate in premessa e conseguentemente assicurare anche per i cittadini calabresi un servizio di trasporto pubblico su rotaia con standard adeguati. (5-02882)

INTERNO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   sono anni che si assiste ad un continuo flusso migratorio di uomini che abbandonano l'Africa per approdare sulle coste italiane. Tutte queste persone si imbarcano quotidianamente con l'anelito di avere diritto a un posto nel mondo tentando di approdare sulle coste siciliane che sono la porta d'ingresso dell'Europa, ma il loro viaggio spesso si trasforma in un appuntamento con la morte; le vittime e i dispersi dell'immane tragedia del mese di ottobre 2013 di Lampedusa scappavano dalla disperazione determinata dalla speculazione finanziaria che nasce da questo spietato processo di globalizzazione che, facendo registrare un record dei prezzi dei generi alimentari, ha provocato una vera e propria lotta per il pane;
   in quell'occasione l'isola di Lampedusa è stata lasciata sola nella gestione di un'emergenza umanitaria permanente; essa è divenuta infatti allo stesso tempo un centro di pronta accoglienza, ma anche un confinamento territoriale dove non sono rispettati i diritti umani fondamentali;
   subito dopo quella terribile tragedia è stata varata dalla Marina militare l'operazione Mare Nostrum per far fronte all'emergenza immigrati illegali provenienti dalla Libia (fregate, corvette, navi da sbarco) al fianco dei mezzi più leggeri della capitaneria di porto è stato messo a punto dal Governo Letta sull'onda emotiva degli oltre 300 morti tra i naufraghi di un barcone rovesciatosi al largo di Lampedusa. Gli obiettivi perseguiti con l'impiego massiccio (in media 5 navi mobilitate ogni giorno) della flotta erano di prevenire gli incidenti soccorrendo in alto mare gli immigrati in arrivo soprattutto dalla costa libica, ma anche di costituire un deterrente contro i traffici di esseri umani e l'immigrazione illegale. Il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, annunciando l'avvio di Mare Nostrum, parlò in quell'occasione di rafforzamento «della protezione della frontiera» con la «deterrenza del pattugliamento e dell'intervento delle Procure;
   il Ministro della difesa pro tempore, Mario Mauro, riferì che i migranti raccolti in mare sarebbero stati trasferiti nel porto sicuro più vicino «non necessariamente italiano» e più tardi rese noto che i proventi incassati dai trafficanti finanziavano il terrorismo islamico;
   Mare Nostrum è riuscita in questi mesi ad evitare altre tragedie del mare ma la presenza italiana non ha impedito l'incremento dei flussi migratori illegali, garantendo di fatto l'arrivo in Italia a tutti coloro che si imbarcano sulle coste libiche;
   l'Italia oggi è l'unico Paese ad accogliere di fatto chiunque arrivi illegalmente davanti alle sue coste. I 43 mila arrivi del 2013 rappresentano il 70 per cento dei migranti giunti in Europa via mare e sono il 224 per cento in più di quelli sbarcati nel 2012. Nei primi tre mesi e mezzo di quest'anno ne sono arrivati oltre 20 mila e si preannuncia un'altra estate «calda», specie tenendo conto che, come ha riferito il Ministro Alfano, in Libia vi sono tra i 300 mila e i 700 mila migranti in attesa di raggiungere l'Italia e l'Europa e altri ne arriveranno dalla Siria e dall'area del Sahel e subsahariana; nonostante la cattura di 88 scafisti e di un paio di navi-madri (per individuarle sono stati mobilitati anche droni e un sottomarino) la presenza navale ha fallito nella sua funzione di deterrenza favorendo indirettamente gli affari dei trafficanti. I limiti di Mare Nostrum dipendono per lo più dall'impiego di potenti navi da guerra per operazioni di puro soccorso. Lo stesso dispositivo navale poteva essere schierato a ridosso delle coste libiche per bloccare le partenze e riportare sulla costa i migranti attivando strutture internazionali di assistenza come agenzie dell'Onu e al missione che l'Unione europea schiera il Libia per il controllo delle frontiere;
   l'assenza di supporto da parte dell'Unione per far fronte all'emergenza è stata denunciata più volte e il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, ha recentemente evidenziato come l'agenzia europea Frontex abbia messo in campo 7 milioni di euro quando solo l'operazione Mare Nostrum costa all'Italia 9 milioni di euro al mese. A questa cifra vanno aggiunti l'assistenza agli immigrati, per i quali la legge di stabilità ha stanziato nel novembre 2013 210 milioni di euro;
   secondo un articolo pubblicato il 13 maggio sul Fatto Quotidiano L'Unione europea avrebbe chiesto due mesi fa all'Italia di cosa aveva bisogno per dare il proprio sostegno nell'emergenza sbarchi, ma non avrebbe ricevuto risposta. La commissaria europea agli affari interni Cecilia Malmström, con una nota, ha precisato che la Commissione è pronta ad ascoltare le nuove richieste che arriveranno da Roma per la gestione dell'immigrazione;
   a distanza di mesi si continua ad assistere agli stessi scenari. Ancora sbarchi, oltre duemila in sole 48 ore e l'accoglienza dei migranti si fa sempre più problematica perché i centri siciliani sono pieni, e voli charter stanno distribuendo i nuovi arrivati in diverse province del Paese. Il 2 maggio è arrivata ad Augusta una nave della Marina militare con 1.170 (oltre 200 minori non accompagnati), mentre un'altra con 358 persone a bordo (tra cui due donne incinte) è stata fatta attraccare al porto di Palermo, perché il centro di Pozzallo è pieno. Il 12 maggio un altro barcone con a bordo circa 400 migranti è affondato al largo della Libia, a un centinaio di miglia da Lampedusa. Sono stati recuperati 17 cadaveri e circa 200 sono ancora dispersi. La regione siciliana ha chiesto a 65 istituti pubblici di assistenza e beneficenza (Ipab) proprie strutture per accogliere i migranti che sbarcano sull'isola;
   gli ultimi arrivi di massa hanno messo in crisi le strutture di accoglienza e centinaia di immigrati sono fuggiti facendo perdere le proprie tracce. Oltre 200 migranti sono fuggiti dalle strutture di accoglienza di Pozzallo in quanto lo stato di continua emergenza rende più difficili controlli e la gestione delle presenze. Inoltre, molti stranieri si sono dispersi per le campagne circostanti;
   il sindaco di Modica ha lanciato «l'emergenza sanitaria perché l'ospedale, già in difficoltà per la carenza di posti letto e di personale, ora è alle prese con i numerosi casi di tubercolosi e scabbia e un caso di Aids, segnalati durante i ricoveri di alcuni migranti sbarcati a Pozzallo». Il presidio ospedaliero non è in grado attualmente di supportare ulteriori ricoveri, tra l'altro particolarmente impegnativi e gravosi nell'ambito infettivologico. Ad oggi numerosi casi di queste patologie hanno costretto la struttura ospedaliera ad affrontare i problemi con seria difficoltà, ed inoltre non si è a conoscenza di eventuali casi non intercettati;
   il direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere, Giovanni Pinto, ha dichiarato che «il sistema di accoglienza è al collasso, non abbiamo più luoghi dove portarli e le popolazioni locali sono indispettite dal continuo arrivo di stranieri»;
   tutti i Governi italiani fino ad oggi non sono stati in grado di porre con determinazione al centro del dibattito europeo l'emergenza del flusso migratorio verso la Sicilia, definita la porta dell'Europa, lasciando che questa porta si trasformasse in una vera e propria «forca caudina»;
   l'articolo 79 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea sviluppa una politica comune dell'immigrazione tesa ad assicurare la gestione efficace dei flussi migratori, l'equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi regolarmente soggiornanti ne gli Stati membri e al prevenzione e il contrasto dell'immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani;
   nella relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (anno 2012), ai sensi dell'articolo 13, comma 2, della legge 24 dicembre 2012 n. 234, presentata dal Ministro per gli affari europei pro tempore Moavero Milanesi e trasmessa alla Camera dei deputati il 12 giugno 2013, si rinviene che il Governo italiano avrebbe sollecitato alle istituzioni europee l'adozione di misure, inopinatamente senza menzionare il tipo di richieste avanzate dirette al superamento del problema del flusso migratorio, riscontrando peraltro una resistenza dei Paesi senza frontiere esterne che non intendono assumersi gli oneri necessari per la soluzione del problema. Nella stessa relazione si afferma che anche in materia di asilo il Governo italiano avrebbe sollecitato una politica comune europea di asilo senza specificare gli strumenti e le modalità attraverso cui pervenire a una tale politica comune di asilo;
   ai fini di una maggiore armonizzazione delle diverse prassi nazionali e delle norme vigenti nella Unione europea è stato istituito l'ufficio europeo di sostegno per l'asilo (regolamento n. 439 del 19 maggio 2010) per sviluppare le misure di cooperazione fra gli Stati membri;
   esistono molteplici raccomandazioni, in primis del Consiglio d'Europa rivolte all'Italia dalle organizzazioni internazionali (intergovernative, giudiziarie e non governative) che richiedono un immediato e necessario cambio di indirizzo politico in materia, considerando sbagliate o controproducenti le misure adottate dal nostro Paese in questi ultimi a per gestire l'immigrazione che è destinata a continuare;
   per le operazioni sulle coste italiane Hermes ed Aeneas, l'agenzia europea per al gestione delle frontiere Frontex ha destinato 7,1 milioni di euro tra maggio e settembre 2013. Con un trasferimento di 4,8 milioni di euro dal budget di novembre 2013 è stato possibile condurre le operazioni per il periodo gennaio-aprile. Dopo la tragedia di Lampedusa dello scorso novembre 2013 Frontex aveva ricevuto una somma aggiuntiva di 8,2 milioni di euro: 7,4 per risposte operative alle frontiere marittime e 750 mila per attività del Centro di supporto dell'agenzia; tutto quanto sopra riportato si sostanzia in una insostenibile quanto drammatica situazione nazionale e internazionale in grado di minare la pace e la coesione sociale –:
   quali misure intenda assumere il Governo per gestire il continuo flusso migratorio che genera una situazione di costante emergenza, e che tipo di scelte intenda adottare al fine di condurre in modo efficiente la sua politica di accoglienza e di asilo per i rifugiati adeguandosi ai richiami del Consiglio d'Europa al fine di evitare che si possano verificare nuovamente tragedie come quella del 3 ottobre 2013 e che il problema ragusano rimanga di esclusiva competenza del porto di Pozzallo, dell'ospedale Maggiore di Modica o dei comuni limitrofi;
   come intenda intervenire per trovare soluzione al serio problema sanitario nel territorio siciliano affinché vengano attuate azioni migliorative nella gestione dell'emergenza sbarchi e nei controlli sanitari, potenziando le cure mediche già nei centri di accoglienza monitorando la presenza di patologie per evitare il pericolo di contagio e assicurando ai migranti il pieno godimento dei diritti umani e al contempo alle popolazioni locali il diritto alla salute;
   come intenda il Governo aumentare la trasparenza nelle procedure d'arrivo e di ritorno che riguardano migranti e rifugiati e allo stesso tempo combattere «migrazione della disperazione» e verso le coste italiane;
   quali siano le iniziative e le azioni concrete messe in atto dall'Agenzia europea di supporto all'asilo (Easo) in relazione al piano di supporto speciale per l'Italia, sottoscritto a Malta il 4 giugno 2013;
   quanta parte dei 350 milioni di euro destinati all'Italia dal nuovo quadro finanziario 2014-2020 sia già nelle disponibilità dell'Italia e per quali obiettivi e azioni sia stata utilizzata;
   se, anche a seguito dell'incontro avvenuto li 22 novembre 2013 presso il vice presidente della Banca europea per gli investimenti, siano stati da parte dell'Italia richiesti prestiti e se questi siano stati erogati dalla Banca europea per gli investimenti e, in caso affermativo, per quali progetti relativi al massiccio afflusso di stranieri siano stati utilizzati ovvero si intendano utilizzare, e con quale cadenza temporale;
   quali proposte concrete l'Italia abbia indirizzato alla Commissione europea per far fronte alla emergente questione dell'immigrazione, anche a seguito della disponibilità mostrata dalla Commissaria europea agli affari interni, Cecilia Malmström, con la lettera inviata nel mese di marzo 2014 alle autorità italiane.
(2-00553) «Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Grillo, Dall'Osso, Baroni, Cecconi, Colonnese, Cancelleri, Marzana, Carinelli, Pinna, Fico, Nesci, Vignaroli, Luigi Di Maio, Colletti, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Ferraresi, Sarti, Turco, Cozzolino, Toninelli, Dadone, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Nuti, D'Ambrosio».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta Ufficiale del 26 marzo 2013 veniva pubblicato il concorso pubblico per il reclutamento di n. 964 allievi agenti della polizia di Stato, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma annuale;
   nel dicembre del 2013 è stato pubblicato il nuovo elenco a seguito di rettifica della graduatoria finale e l'ampliamento, in prima aliquota, di ulteriori posti ricomprendenti i candidati risultati idonei alle prove di efficienza fisica ed agli accertamenti dell'idoneità fisica, psichica ed attitudinale e dunque già pronti e disponibili per essere assunti dal Ministero senza dover sostenere alcuna visita medica di controllo;
   il Ministro dell'interno nel gennaio del 2014 ha sottolineato che la legge di stabilità per il 2014 ha previsto una norma ad hoc per Expo Milano 2015: «Nella legge di stabilità – ha spiegato – il blocco del turn over del pubblico impiego subisce una deroga del 55 per cento per le forze dell'ordine» e tra le richieste consegnate dal presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, al Governo nazionale per Expo 2015 vi era anche: «Potenziamento agenti di Polizia: è opportuno un incremento delle Forze dell'ordine, per fronteggiare le necessità legate a Expo, verificando la possibilità di ampliare l'ultima graduatoria “Concorso per 964 Allievi Agenti”»;
   a tal fine, tra le graduatorie di merito in corso di validità nelle quali risultano essere disponibili candidati idonei immediatamente arruolabili, vi sono 512 candidati idonei non vincitori, oltre alle seconde aliquote e VFP4 idonei del suddetto concorso per l'arruolamento di 964 allievi agenti, di cui al bando del marzo 2013 che garantirebbero la copertura delle unità necessarie di agenti in tempo utile per l'esposizione universale di Milano affinché il protocollo «Milano Expo 2015 – Mafie free» possa essere rispettato ed operativo;
   lo scorrimento della graduatoria del concorso del marzo 2013 consentirebbe all'amministrazione – in base al principio di economicità e speditezza dell'azione amministrativa – anche un notevole risparmio economico e di tempo così ovviando ai costi gravanti all'amministrazione derivanti dalla gestione di ulteriori procedure di reclutamento di agenti di pubblica sicurezza anche in applicazione di quanto previsto dal recente decreto-legge n. 101 del 2013 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013;
   simile soluzione è stata, peraltro, adottata mediante decreto dirigenziale dall'Arma dei carabinieri, la quale ha avviato una nuova procedura di arruolamento mediante scorrimento degli idonei della graduatoria del concorso del 2012 per Allievi carabinieri (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 15 del 24 febbraio 2012). Nella fattispecie, non solo sono stati assunti i vincitori, ma anche gli idonei non vincitori, ovvero tutti i restanti idonei presenti nella graduatoria, che è stata esaurita così evidenziandone la compatibilità anche con l'articolo 2199 del decreto legislativo n. 66 del 2010 e dunque non vi sono ragioni giuridiche ostative alla assunzione dei vincitori ed idonei anche nei concorsi banditi per la polizia di Stato –:
   quali ragioni abbiano impedito e impediscano al Governo di arruolare ed immettere in servizio tutte le unità disponibili – vincitori ed idonei – di cui alla procedura concorsuale suddetta del 26 marzo 2013 per 964 allievi agenti della polizia di Stato anche al fine far fronte alle conclamate esigenze di rafforzamento della sicurezza connesse all'evento Expo Milano 2015 pur esistendo risorse finanziarie all'uopo accantonate;
   se il Governo intenda procedere immediatamente allo «scorrimento» della suddetta graduatoria e procedere all'assunzione degli allievi agenti della polizia di Stato risultati vincitori in seconda aliquota e degli idonei nel suddetto concorso pubblico.
(2-00554) «Ciprini, Nesci, Luigi Di Maio, Tripiedi, Rizzetto, Bechis, Baldassarre, Chimienti, Cominardi, Rostellato, Nuti».

Interrogazioni a risposta immediata:


   AIELLO, COSTANTINO, FAVA e LACQUANITI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella tarda serata del 18 maggio 2014 l'auto del padre di Rosario Rocca, sindaco di Benestare, in provincia di Reggio Calabria, è stata incendiata da ignoti. Il primo cittadino, che si è ricandidato alla guida del comune, stava tenendo un comizio elettorale, in contrada Belloro, mentre persone ignote hanno appiccato il fuoco all'automobile del genitore;
   non è la prima volta che il sindaco Rocca e la sua famiglia sono oggetto di intimidazioni. A febbraio 2013, infatti, la sorella del primo cittadino subiva l'incendio della propria auto. Mentre ad ottobre 2013 fu proprio il sindaco a subire un'intimidazione analoga, in seguito alla quale presentò le proprie dimissioni dall'incarico, denunciando la situazione di totale abbandono in cui era costretto ad amministrare, salvo poi decidere, una quindicina di giorni dopo, di ritirare coraggiosamente le proprie dimissioni e proseguire nel cammino amministrativo;
   nella notte tra il 13 e il 14 maggio 2014, a Marano Marchesato, in provincia di Cosenza, le autovetture del sindaco Eduardo Vivacqua e dell'assessore Domenico Carbone sono state incendiate, sotto le rispettive abitazioni. All'interno sono state rinvenute anche due buste chiuse con proiettili e fiori. Lo stesso contenuto è stato trovato anche all'interno di un plico collocato sul parabrezza dell'auto del vicesindaco Giuseppe Belmonte. Le indagini condotte dai carabinieri hanno permesso di individuare tre sospettati che sono stati accompagnati nella caserma di Cosenza;
   negli ultimi tre anni gli atti d'intimidazione ai danni di amministratori si sono moltiplicati, con un incremento del 66 per cento, che ha colpito, soprattutto, i sindaci della Calabria –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per assicurare al più presto una doverosa protezione agli amministratori di Benestare e di Marano Marchesato, nonché per contribuire a fare luce sulla natura e sull'origine degli atti intimidatori illustrati in premessa. (3-00847)


   ANTIMO CESARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni sono sempre più numerosi i minorenni che navigano su internet. Si è notevolmente abbassata l'età media degli utenti ed è cresciuto in modo esponenziale il numero di ore che bambini e ragazzi trascorrono davanti al computer;
   i pericoli che si corrono in rete non sono pochi. Tra questi, l'adescamento dei minori e il triste e preoccupante fenomeno del cyber-bullismo, che si sostanzia nell'uso deliberato dei media digitali per comportamenti molesti, anche protratti nel tempo, volti a infastidire, molestare e danneggiare una persona con l'ausilio dei moderni mezzi di comunicazione e attraverso un uso strumentale dei social network;
   è anche accaduto che atti di bullismo, compiuti nella vita reale, siano poi finiti in rete, perché ripresi e poi condivisi in internet, con un'amplificazione nel tempo e nello spazio degli atti di violenza. Episodi che, in molti casi, sono poi sfociati in esiti drammatici;
   l'età minima formalmente indicata per accedere ai social network è di solito 13 anni. Purtroppo, le blande cautele predisposte dai gestori non impediscono la creazione di account da parte di utenti di età inferiore, che, inconsapevoli dei rischi, possono mentire sulla loro età, indicando – per esempio – una data di nascita fittizia, così esponendosi ai rischi sopra descritti;
   si segnala che, per dimostrare la sua attenzione nei confronti degli utenti più giovani, un noto social network – per esempio – afferma che «le sole persone che possono vedere ciò che pubblicano i ragazzi sono i loro amici, gli amici degli amici e le reti (ad esempio, quella della scuola che frequentano)». Tale affermazione, però, invece di tranquillizzare, allarma ancora di più, in quanto candidamente ammette che gli account dei minori possono essere visionati e contattati da soggetti indeterminati ed indeterminabili che possono con essi interagire –:
   se e come intenda intervenire per garantire la tutela dei minori nell'utilizzo dei social network e, in particolare, quali iniziative, incluse quelle normative, ritenga di porre in essere anche a presidio dell'esercizio della potestà genitoriale sui figli minorenni, poiché, in mancanza di provvedimenti concreti, rischia di suonare come una beffa il suggerimento offerto da qualche social network agli utenti: «Si invitano i genitori a insegnare ai propri figli le norme per un utilizzo sicuro di internet». (3-00848)


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal luglio 2012 al luglio 2013 sono stati 68 i procedimenti iscritti dalla direzione distrettuale antimafia di Roma, con 476 indagati per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti;
   la capitale, infatti, rappresenta un grande mercato per lo spaccio di droga e sia l'aeroporto di Fiumicino che il porto di Civitavecchia sono punti di ingresso consolidati di sostanze da smerciare in città ed altrove;
   a Roma convivono anche gli affari delittuosi della camorra e della ’ndrangheta, della criminalità locale e di quella di origine rumena, nigeriana e georgiana, nonché della mafia cinese;
   si contano anche un numero impressionante di rapine, in preoccupante aumento rispetto al 2013, come aumentati sono anche gli omicidi ed i procedimenti per prostituzione minorile e per pedopornografia;
   recentemente, proprio allo scopo di combattere gli episodi di criminalità organizzata e di microcriminalità, il Ministro interrogato ha proposto un apposito piano di sicurezza, denominato «piano Roma sicura» –:
   alla luce del piano Roma sicura, presentato il 19 maggio 2014, quali siano nello specifico le misure ed i tempi previsti per aumentare la sicurezza della capitale.
(3-00849)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 aprile 2014 il tribunale di Torino ha ordinato la rimozione di alcuni cartelli considerati discriminatori, affissi nel comune di Varallo Sesia (Vc) fin dal 2009, quando sindaco della città era Gianluca Buonanno, allora come oggi deputato della Repubblica;
   tale procedimento è frutto di un ricorso presentato da quattro cittadini (M.C., E.G., M.P., e F.M.) insieme all'Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione);
   con ordinanza n. 99/2009 il comune di Varallo Sesia aveva infatti imposto il divieto di indossare «su tutto il territorio comunale, nelle strutture finalizzate alla balneazione» il cosiddetto burkini (un abito utilizzato tra le donne di religione musulmana come costume da bagno) prevedendo, in caso di violazione, una sanzione di euro 500,00;
   con ordinanza n. 100/2009 lo stesso comune, dopo aver richiamato brani del decreto ministeriale 23 aprile 2007, aveva vietato «su tutto il territorio comunale nei luoghi pubblici o aperti al pubblico l'uso di abbigliamento che possa impedire o rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, quale a titolo esemplificativo caschi motociclistici al di fuori di quanto previsto dal codice della strada, e qualunque altro copricapo che nasconda integralmente il volto», stabilendo in caso di violazione, una sanzione pari a 500,00 euro;
   all'approvazione delle suddette ordinanze aveva fatto seguito l'apposizione ad ogni entrata del paese di cartelli di dimensioni 2x3 metri (e di altri più piccoli disseminati nel paese) riportanti le seguenti prescrizioni: «su tutte le aree pubbliche è vietato l'uso di burqa, burqini e niqab, vietata l'attività a “vu’ cumprà” e mendicanti»;
   al centro del cartello, il divieto era «rafforzato» dal simbolo stradale di divieto di accesso e da una croce rossa tracciata sul volto della donna in nijab o burka e su una figura umana di pelle nera che presumibilmente vorrebbe raffigurare un «vu’ cumprà»;
   i suddetti divieti erano riportati anche sul sito ufficiale del comune, dove sono rimasti pubblicati per ben quattro anni;
   in data 14 dicembre 2013, in concomitanza della prima udienza, il deputato Gianluca Buonanno, in base a quanto si apprende da organi di stampa, cartacei e on line, come ad esempio l’Huffingthon Post, si era presentato in tribunale indossando un burqa e quindi era stato richiamato e invitato a scoprire il viso;
   in data 12 febbraio 2013, in occasione dell'aggiornamento dell'udienza, il comune di Varallo, oggi rappresentato dal sindaco Eraldo Botta, aveva preventivamente rimosso i cartelli oggetti dell'esposto avendoli sostituiti con nuovi;
   in data 24 aprile 2014, negli spazi destinati alle pubbliche affissioni, sono stati affissi una trentina di manifesti, a firma dell'attuale sindaco Eraldo Botta e del deputato in carica Gianluca Buonanno, nel comune con la qualifica di assessore e di pro sindaco nei quali si afferma testualmente: «Il ricorso presentato dai quattro “comunistoidi”, contro i cartelli situati agli ingressi della città di Varallo, è costato alla collettività circa 3000 euro di spese legali!! Soldi che invece potevano essere usati come ulteriori aiuti sociali per le persone in difficoltà!!! I 4 suonatori sono stati suonati perché il giudice ha dichiarato inammissibile il ricorso, dando a loro torto su tutta la linea!!»;
   tale comunicazione appare anche a pagina intera sull'ultima pagina di uno dei giornali locali, il Corriere Valsesiano del 25 aprile 2014 –:
   di quali elementi disponga il Governo in ordine alla corretta interpretazione della disciplina relativa allo strumento delle pubbliche affissioni e al pagamento dei relativi diritti in casi analoghi a quello di cui in premessa e se intenda assumere iniziative normative volte a chiarire in modo definitivo in quali termini e con quali limiti va applicato il divieto di indossare indumenti che non consentono l'identificazione della persona in luogo pubblico o aperto al pubblico. (5-02883)


   FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 29 aprile 2014 a Milano si è svolta una manifestazione di diverse sigle del mondo neo fascista;
   tale manifestazione in forma di corteo si svolge da diversi anni per celebrare l'anniversario degli omicidi di Sergio Ramelli ed Enrico Pedenovi, i cui omicidi sono stati condannati a più riprese da tutte le forze democratiche;
   tale manifestazione si svolge anche nel ricordo di Carlo Borsani, membro della Repubblica sociale italiana, ucciso nei giorni della liberazione;
   in tale corteo nonostante le prescrizioni della prefettura di Milano, si sono ostentate bandiere con la croce celtica;
   in filmati presentati nel consiglio comunale di Milano e pubblicati sulla rete internet si riconosce Roberta Capotosti, vicecapogruppo di Fratelli d'Italia nel consiglio provinciale di Milano, nell'atto del saluto romano ripetuto più volte insieme ad altre centinaia di militanti dell'estrema destra milanese;
   a tale manifestazione hanno partecipato anche, come verificato dai filmati, l'ex assessore regionale Romano La Russa, Massimo Turci consigliere provinciale e Carlo Fidanza deputato europeo –:
   se intenda mantenere un costante monitoraggio sulle attività e le manifestazioni che si ispirino a valori non conciliabili con quelli propri della Costituzione repubblicana, adottando ogni iniziativa di competenza al riguardo. (5-02884)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   la formazione specialistica dei nuovi medici è compito delle scuole di specializzazione delle università;
   la formazione specialistica, garantita da ciascuna scuola, si attua all'interno delle aziende servizio sanitario nazionale che costituiscono la rete formativa di cui all'articolo 35 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, e successive modificazioni;
   con l'articolo 21, comma 2-ter, del decreto-legge n. 104 del 2013 è stato disposto che: «I periodi di formazione dei medici specializzandi si svolgono ove ha sede la scuola di specializzazione e all'interno delle aziende del Servizio sanitario nazionale previste dalla rete formativa, in conformità agli ordinamenti e ai regolamenti didattici determinati secondo la normativa vigente in materia e agli accordi fra le università e le aziende sanitarie di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni. L'inserimento non può dare luogo a indennità, compensi o emolumenti comunque denominati, diversi anche sotto il profilo previdenziale da quelli spettanti a legislazione vigente ai medici specializzandi. I medici in formazione specialistica assumono una graduale responsabilità assistenziale, secondo gli obiettivi definiti dall'ordinamento didattico del relativo corso di specializzazione e le modalità individuate dal tutore, d'intesa con la direzione delle scuole di specializzazione e con i dirigenti responsabili delle unità operative presso cui si svolge la formazione, fermo restando che tale formazione non determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale e non dà diritto all'accesso ai ruoli dei medesimo Servizio sanitario nazionale»;
   proprio per la caratteristica formativa del percorso di specializzazione, la graduale assunzione di responsabilità non si configura mai come sostitutiva del personale di ruolo operante nelle singole strutture della rete formativa, ma bensì in affiancamento ad essi;
   la sostituzione di personale di ruolo con specializzandi porterebbe a una dequalificazione dell'offerta del servizio sanitario nazionale e a un aumento del rischio clinico;
   per quanto riguarda gli specializzandi, la possibilità di colmare anticipatamente e temporaneamente le lacune di personale medico prodottesi all'interno del Servizio sanitario nazionale avverrebbe a scapito di un progetto formativo d'insieme e della qualità dell'apprendimento che non può essere solo fondato su una pratica non guidata;
   l'attuale modalità di inserimento prevede generalmente la rotazione degli specializzandi secondo un piano formativo individualizzato, disposto dal consiglio della scuola, tenendo conto delle opportunità di apprendimento offerte dalle singole strutture, universitarie e ospedaliere che compongono la rete formativa;
   il decreto-legge n. 104 del 2013 ha disposto all'articolo 21, comma 2-bis, l'abbreviazione dei corsi di specializzazione, per gran parte dei quali sarà prevista una durata di 4 anni, in luogo dei 5 attuali previsti dal decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368;
   l'automatica assegnazione degli specializzandi dell'ultimo biennio a ricoprire i posti vacanti all'interno del Servizio sanitario nazionale comporterebbe il rimanere in capo alle università del solo primo biennio di formazione, una parte significativa del quale da svolgersi nel tronco comune di medicina;
   sarebbe impossibile per i Consigli delle scuole di specializzazione assumersi la responsabilità di garantire la qualità della formazione, anche a fini concorsuali, dopo aver perso di vista completamente lo specializzando per circa i tre quarti del suo percorso formativo –:
   se non ritenga che il tema della formazione specialistica debba essere oggetto di uno specifico intervento del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, anche relativamente alle risorse da destinare alla riduzione del gap esistente tra numero dei laureati in medicina e numero dei posti a disposizione per la formazione specialistica;
   se non ritenga che la rotazione degli specializzandi all'interno delle strutture cliniche ospedaliere debba piuttosto concretizzarsi favorendo l'attuazione di quanto previsto all'articolo 21, comma 2-ter, del decreto-legge n. 104 del 2013;
   a quale punto sia l’iter per la riduzione della durata dei corsi prevista dallo stesso decreto-legge n. 104 del 2013.
(2-00559) «Gigli, Dellai».

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
   in un mondo globalizzato e aperto ai flussi migratori si impone l'internazionalizzazione degli schemi di protezione sociale;
   la Commissione europea con la sua comunicazione del 30 marzo 2012 dedicata a «La dimensione esterna del coordinamento in materia di sicurezza sociale nell'Unione europea» ha richiamato l'attenzione degli Stati membri sull'importanza di una strategia comune dell'Unione europea in materia di coordinamento dei regimi di protezione sociale, anche con riguardo ai lavoratori provenienti da Paesi terzi;
   la cooperazione tra gli Stati in materia di protezione sociale si manifesta tradizionalmente mediante la stipula di apposite convenzioni bilaterali che consentono l'esportabilità delle prestazioni, la totalizzazione dei contributi e il godimento della pensione anche da parte del lavoratore straniero rimpatriato prima di aver raggiunto l'età pensionabile;
   la stipula degli accordi bilaterali in tema di diritti pensionistici mira a raggiungere una parità sostanziale tra lavoratori italiani e stranieri, rimuovendo gli ostacoli che si frappongono ai danni degli stranieri nel godimento delle prestazioni previdenziali per le quali essi hanno nondimeno pagato regolarmente i contributi prevista dalla legge;
   si riscontra tuttavia una chiusura negli ultimi anni da parte dell'Italia alla stipula di ulteriori convenzioni bilaterali con i Paesi da cui maggiormente provengono i lavoratori extracomunitari; l'ultima di tali convenzioni, stipulata con la Tunisia, risale al 1987;
   con il Senegal, invece, si è giunti alla redazione di testi condivisi, senza tuttavia arrivare alla stipula definitiva;
   benché i lavoratori senegalesi abbiano alle spalle una storia di insediamento tra le più lunghe nel nostro Paese, essi sono dunque privi ancora oggi di strumenti di tutela dei diritti previdenziali acquisiti;
   l'11 e 12 dicembre 2013 si è tenuta a Dakar una tavola rotonda dal titolo «Costruire un ponte tra Italia e Senegal per la tutela del lavoratore migrante» a cui hanno partecipato rappresentati dei Ministeri del lavoro e degli esteri senegalesi, del Ministero dell'interno italiano, dell'ente di previdenza senegalese IPRES, dell'università «Roma Tre», dell'università di Dakar «Cheikh Anta Diop», delle associazioni italiane «Progetto Diritti onlus» e «Roma-Dakar» e dell'associazione senegalese «Doxandem»;
   all'esito della conferenza è stata fortemente e unanimemente ribadita da tutti i partecipanti l'importanza degli accordi bilaterali per la creazione di un contesto migratorio consapevole e sicuro;
   l'assenza di convenzioni bilaterali con i Paesi di nuova immigrazione equivale a condannare tante persone, che hanno lavorato regolarmente a pagato giustamente i contributi, a non poter riscuotere le prestazioni maturate;
   si tratta di una politica inaccettabile per un paese come l'Italia che è riuscito invece ad ottenere simili accordi con tutti gli Stati in cui i nostri connazionali sono emigrati;
   la situazione descritta appare ancora più paradossale se si osserva il regime molto più avanzato istituito dai regolamenti comunitari, secondo i quali i lavoratori di Paesi terzi che hanno circolato sul territorio dell'Unione europea possono beneficiare della totalizzazione dei contributi, anche se l'Italia non ha stipulato una convenzione in tal senso con i Paesi di origine;
   in questa situazione il diritto alla pensione rischia di rimanere un miraggio per i lavoratori stranieri (e senegalesi in particolare), per lo meno per coloro che sono orientati al rientro e che sono animati da un progetto migratorio di natura circolare;
   l'impossibilità di godere la pensione finisce per incentivare il lavoro nero e lascia inoltre il lavoratore migrante privo di qualsiasi supporto materiale nel momento in cui decide di intraprendere quel difficile cammino di ritorno nel Paese di origine, che spesso consiste in una vera e propria «migrazione all'incontrario» –:
   quale sia lo stato dei rapporti tra la delegazione italiana e quella senegalese nella stipula di una convenzione in tema di sicurezza sociale e se sia intenzione del Governo, e, in caso di risposta affermativa, con quali tempi, modalità e contenuti, riprendere i contatti per l'adozione di un accordo bilaterale.
(2-00555) «Scotto, Raciti, Gribaudo, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Migliore, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Zan, Zaratti».

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   in Italia, in base ai dati Istat, la prevalenza del diabete riferita all'anno 2012, stimata su tutta la popolazione è pari al 5,5 per cento, pari a circa 3,3 milioni di persone di cui oltre il 90 per cento affette da diabete di tipo 2, alle quali va aggiunta una quota stimabile di circa un milione di persone che, pur avendo la malattia, non ne sono a conoscenza; la prevalenza nelle donne in età fertile è di circa 1 per cento di cui il 39,2 per cento è in sovrappeso ed il 26,3 per cento obesa;
   la prevalenza del diabete è cresciuta dal 3,7 al 5,5 per cento, negli ultimi 12 anni, per cui è ragionevole ritenere che rispetto al 2002 ci siano oggi oltre un milione di persone in più affette da diabete;
   i dati ISTAT pubblicati nel 2010 indicano nella popolazione italiana una percentuale di sovrappeso e obesità nella popolazione con età > 18 anni rispettivamente del 36,1 per cento e 10,3 per cento, in aumento rispetto al 2001. Se si considera la sola popolazione femminile la frequenza è rispettivamente del 27,7 per cento e del 9,3 per cento di cui circa il 20 per cento in età riproduttiva; l'8,7 delle donne in sovrappeso ed il 16,7 per cento delle donne obese sono affette da diabete;
   negli ultimi anni si è osservato un significativo incremento del numero delle gravidanze complicate da diabete sia per l'incremento della frequenza del diabete tipo 2 in età riproduttiva (Diabetes Res Clin Pract 2008;80:2-7; Diabet Med 2011;28:1074-7; Diabetes Nutr Metab 2004;17:358-367), sia per l'incremento della frequenza del sovrappeso-obesità in età fertile;
   i dati epidemiologici italiani risalenti agli anni 80-90’ indicavano una frequenza di diabete gestazionale nella nostra popolazione del 6-7 per cento con notevoli differenze fra le varie casistiche (2,2 per cento-12,8 per cento) (Diabetes Nutr Metab 2004;17:358-367), non sono disponibili dati recenti, ma le stime degli ultimi anni dopo l'introduzione delle nuove linee guida ministeriali per lo screening e la diagnosi del diabete gestazionale in Italia indicano una frequenza fra il 12-15 per cento delle gravidanze (Diabet Med 2011;28:1074-7; Diabetes Care 1998;21(Suppl 2):B161-B167; Diagnosi del diabete gestazionale, pag 169-173);
   il diabete gestazionale, anche nelle sue forme lievi, se non diagnosticato e, quindi, non trattato, comporta rischi rilevanti sia per la madre (ipertensione e più frequente ricorso al parto cesareo), sia per il feto, il neonato (aumentata incidenza di macrosomia, iperbilirubinemia, ipocalcemia, policitemia, ipoglicemia) ed i figli in età adulta (sovrappeso, sindrome metabolica) (Diabetes Care 1998;21(Suppl 2):B79-B84; J Gin Endocrinol Metab 94:2464-2470,2009); 
   due grandi trial randomizzati – uno australiano (ACHOIS, 2005) (N Erigi J Med 2005;352:2477-96) e l'altro statunitense, multicentrico, condotto attraverso una rete di strutture di terapia intensiva neonatale (NICHD – MFMU) (Diabetes N Erigi J Med 2009;361:1339-48) – hanno chiaramente dimostrato che il trattamento del diabete gestazionale riduce l'incidenza degli esiti avversi della gravidanza, anche nelle forme con lievi alterazioni metaboliche. La diagnosi del diabete gestazionale è, pertanto, rilevante per l'esito della gravidanza e rappresenta, inoltre, un'importante occasione di prevenzione della malattia diabetica nella madre (Lancet 2009,373:1773-1779);
   il follow-up del diabete gestazionale dopo il parto rappresenta un aspetto critico, in considerazione della elevata frequenza di sviluppo di diabete tipo 2, sindrome metabolica e malattie cardiovascolari dopo il parto, è oggi insufficiente in quanto la percentuale di donne che dopo il parto esegue la curva da carico di glucosio (inferiore al 30-40 per cento) (Scientific Committee of GISOGD Group.Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol.2009 145(2): 149-53);
   il diabete pregestazionale (diabete tipo 1 e tipo 2) è gravato da una serie di complicanze materne e fetali fra le quali la più significativa sono le frequenti malformazioni. Numerosi studi hanno infatti dimostrato come il rischio di malformazioni aumenti in relazione al grado di compenso metabolico nel periodi precedenti ed immediatamente successivi al concepimento (Diabetes Diabetes Care 2003;26:2990-299; Nutr Metab & Cardiovasc Dis. 2008);
   nel diabete pregestazionale l'attenta programmazione della gravidanza, con l'ottimizzazione del controllo metabolico, permette di ridurre sensibilmente il rischio di malformazioni congenite e la morbilità materno-fetale legata al diabete come dimostrato da numerosi studi (JAMA 1991;265:731-736);
   in Italia la percentuale di gravidanze programmate risulta inferiore al 50 per cento nelle donne con diabete tipo 1 e al 40 per cento in quelle con diabete tipo 2 (Nutr Metab & Cardiovasc Dis. 2008);
   la mancata programmazione della gravidanza e la carenza di centri di riferimento dedicati (Diabet Med 2008;25:379-380) e integrati con gli ostetrici fa sì che la situazione italiana sia ancora lontana dagli standard ottimali indicati dalla dichiarazione di St Vincent: rendere l'esito della gravidanza diabetica simile a quella della gravidanza fisiologica. Ciò spiega, almeno in parte, sia l'incidenza di malformazioni 5-10 volte maggiore nella popolazione diabetica rispetto la popolazione generale, sia l'elevata incidenza di parti pretermine e cesarei;
   è ben dimostrato che l'obesità in gravidanza si associa a complicanze sia materne, quali aborto, tromboembolia, diabete gestazionale, ipertensione, preeclampsia-eclampsia, parto pretermine, taglio cesareo, emorragia post parto, infezioni post parto, sia fetali quali macrosomia, distocìa di spalla, malformazioni, mortalità neonatale (London CEMACH 2007). Ci sono, inoltre, evidenze che l'obesità è un fattore di rischio di mortalità materna. Il report del Confidential Enquiry into Maternal and Child Healths mostra che negli anni 2000-2003 il 28 per cento delle madri decedute erano obese (London CEMACH 2007);
   è, quindi, di fondamentale importanza non solo assicurare uno stretto follow up alle donne obese in gravidanza ma operare in termini di prevenzione delle complicanze legate all'obesità in gravidanza con una attività di counseling preconcezionale (SIO-ADI Standard Italiani per la cura dell'obesità. 2012-2013);
   in data 26 marzo 2014, nel corso dell'evento web hangout 5azioni (www.5azioni.it) dedicato al diabete e gravidanza, realizzato sulla piattaforma digitale Google plus e trasmesso sul portale youtube, cui hanno partecipato medici ed operanti del settore e madri che hanno dovuto gestire il diabete in gravidanza, si è svolto un forte dibattito via web da parte di community di madri (diventaremamme.it; Mammegiardinicavour.blogspot.com; Mammiferadigitale.blogspot.it; Periodofertile.it; blogmamma.it; Romagnamamma.it; Genitori channel; Mammeduepuntozero.it; ciaomamme.it; Pianetamamma.it; Dolceattesa.it.rcs.it) sulle necessità e le problematiche che una donna con diabete o con diabete gestazionale si trova ad affrontare –:
   se non si ritenga opportuno intervenire con urgenza al fine di:
    a) implementare lo screening, la diagnosi ed il follow up del diabete gestazionale che dovrebbero essere gratuiti su tutto il territorio nazionale individualizzando uno specifico codice di esenzione da utilizzare;
    b) implementare il follow up postparto delle donne affette da diabete gestazionale per identificare precocemente le donne ad elevato rischio di diabete o con alterazioni della glicemia o diabetiche rendendo la prima curva da carico di glucosio postparto gratuita;
    c) promuovere da parte del Ministero della salute campagne informative/educative sul diabete gestazionale, la sua prevenzione, le sue complicanze a breve e lungo termine;
    d) promuovere da parte del Ministero della salute campagne informative/educative sui rischi della gravidanza nella donna obesa al fine di promuovere un corretto stile di vita prima della gravidanza per migliorare il peso prima del concepimento;
    e) promuovere percorsi nascita integrati diabetologo-ostetrico per le gravidanze complicate da diabete.
(2-00556) «Binetti, Dellai».

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   RUOCCO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenda digitale italiana (ADI) è stata istituita il primo marzo 2012 con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministro dell'economia e delle finanze;
   le azioni per l'attuazione dell'Agenda digitale italiana sono definite dai decreti-legge n. 83 del 2012 recante «Misure urgenti per la crescita del Paese», n. 179 del 2012, recante «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese», e n. 69 del 2013, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», convertiti, con modificazioni, rispettivamente dalle leggi n. 134 del 2012, n. 221 del 2012 e n. 98 del 2013;
   tali atti demandano a successivi provvedimenti la definizione e la regolamentazione di concreti interventi operativi. I principali interventi sono previsti nei settori: identità digitale, amministrazione digitale, istruzione digitale, sanità digitale, divario digitale, pagamenti elettronici e fatturazione, giustizia digitale;
   la Commissione Trasporti della Camera, il 5 marzo 2014, nel suo ultimo rapporto di «Monitoraggio dell'attuazione dell'Agenda digitale italiana» evidenzia come, in materia di Agenda digitale italiana, fra i 55 adempimenti considerati solo 17 sono stati adottati e, per quelli non adottati, di 21 risultano già scaduti i termini. I settori di intervento non ancora disciplinati sono molti e vanno dal riordino del sistema statistico nazionale alla bigliettazione elettronica, dalla misurazione dei campi elettromagnetici alla trasparenza dell'attività parlamentare;
   la precedente ricognizione in materia, con dati aggiornati al 21 maggio 2013, evidenziava che dei 47 adempimenti considerati solo 4 erano stati adottati (per gli adempimenti non ancora adottati in 19 casi risultava già scaduto il termine per provvedere). Tra i rilievi di aprile dei revisori dei conti, c’è anche quello non secondario che l'Agenda digitale italiana non ha rispettato i termini per presentare il bilancio di previsione e il rendiconto generale e si trova, dunque, in una situazione di sostanziale non operatività coatta;
   la school of management del politecnico di Milano fornisce un'idea di quanto costi la mancata attuazione dei punti dell'Agenda digitale: quasi un miliardo di euro i mancati risparmi per ogni mese di ritardo nell'Agenda. Secondo la ricerca, infatti;
   la fatturazione elettronica verso la pubblica amministrazione permetterebbe un risparmio di 1,1 miliardi di euro l'anno;
   la sanità digitalizzata ricaverebbe risparmi per 6,5 miliardi di euro l'anno;
   il ricorso al cloud vale 1 miliardo di euro in tre anni e lo sviluppo di negoziazioni on line (eProcurement) varrebbe 5 miliardi di euro ogni anno;
   la riduzione dei pagamenti in contante permetterebbe risparmi fino a 5 miliardi di euro, se si incrementasse la quota di pagamenti elettronici dall'attuale 20 per cento al 30 per cento del totale, sommando poi i benefici della conservazione elettronica degli archivi fiscali, che snellirebbe i controlli, ottenendo fino a 10 miliardi di risparmio dall'evasione fiscale mancata –:
   che misure il Governo intenda prendere al fine di evitare danni economici derivanti dai ritardi di attuazione dei provvedimenti. (4-04950)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   nell'ambito dell'inchiesta sulla corruzione che ha colpito l'Expo 2015 la procura di Milano ha aperto un filone diretto verso gli appalti della SOGIN spa, la società costituita il 19 novembre 1999 in ottemperanza al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, con il compito di disattivare e smantellare (decommissioning) gli impianti nucleari dismessi e gestire i rifiuti radioattivi, a seguito dell'esito dei referendum abrogativi del 1987;
   il 21 dicembre 2012, la cordata Maltauro-Saipem si è aggiudicata l'appalto bandito da Sogin per la realizzazione dell'impianto di condizionamento per cementazione delle soluzioni liquide radioattive (Cemex) del sito Eurex di Saluggia. La Maltauro si aggiudicò l'affare grazie a un ribasso enorme, 98 milioni di euro invece dei 135 iniziali, e secondo i pubblici ministeri milanesi anche questo incarico sarebbe stato assegnato in seguito all'intervento di persone ora finite in carcere per la vicenda Expo;
   Saluggia è un paese del Vercellese, dove, in un laboratorio costruito in un'ansa del fiume Dora, erano conservate parte delle barre d'uranio della vicina ex centrale di Trino Vercellese. Il combustibile è stato spostato nel 2008 nel vicino «Deposito Avogradro» di proprietà di FIAT, ove ad oggi sono ancora custoditi all'interno della sua piscina, 63 elementi MOX irraggiati provenienti dalla centrale del Garigliano e un solo elemento irraggiato di Trino Vercellese. Grosse quantità di quei combustibili radioattivi sono stati già spediti in Francia e Gran Bretagna per essere trattati prima di ritornare in Italia;
   il problema più grave del centro di Saluggia sono i rifiuti radioattivi liquidi dell'impianto EUREX costruito dall'ENEA negli anni sessanta per condurre esperienze di ritrattamento a partire da combustibili irraggiati di tipologia diversa e utilizzando schemi chimici differenti. Tali rifiuti sono stoccati da oramai oltre 40 anni nei serbatoi dell'impianto EUREX di Saluggia e costituiscono, nell'ambito dei rifiuti radioattivi e a parte il combustibile irraggiato, l'inventario di radioattività più cospicuo dell'intero territorio nazionale. In particolare, si tratta di elementi di combustibile provenienti da reattori MTR e CANDU sciolti in acido nitrico per un volume complessivo di circa 230 metri cubi, con un'attività complessiva di circa 5,5 1015 Bq. È significativa la presenza di radionuclidi transuranici a lunga vita emittenti alfa, con concentrazioni che arrivano fino ad un valore massimo di circa 2106 Bq/g;
   al fine di mettere in condizioni di sicurezza tali liquidi radioattivi è necessario provvedere alla loro solidificazione, come risulta da apposita prescrizione ministeriale emessa in primo luogo nel 1977 (insieme con la licenza di esercizio dell'impianto EUREX), che fissava il termine di tale operazione entro 5 anni (cioè entro il 1982). Tale scadenza, nel corso degli anni, e per motivazioni varie, è stata più volte prorogata; nel 2000, in seguito a una piena della Dora (l'impianto si trova in un avvallamento nel terreno) il fiume arrivò a sfiorare i serbatoi. Il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia lanciò l'allarme per lo stato di conservazione delle scorie: disse che pochi centimetri di piena in più avrebbero provocato il travaso radioattivo nella Dora, con la conseguente contaminazione del fiume stesso, del Po di cui è affluente e di parte dell'Adriatico dove il Po sfocia;
   in seguito a quest'evento venne emanato il decreto del Ministero delle attività produttive del 7 dicembre 2000, che fissava come termine ultimo per la solidificazione dei rifiuti liquidi di EUREX la data del 31 dicembre 2005;
   nell'agosto 2003 la licenza di esercizio dell'impianto è stata trasferita da ENEA a SOGIN, che, a conclusione di una valutazione comparativa delle possibili alternative di gestione dei rifiuti liquidi, decise di non portare avanti il sistema di solidificazione per vetrificazione progettato dall'ENEA (progetto «CORA»), attribuendo alle complessità delle scelte progettuali gli oltre 20 anni di ritardo accumulati per la messa in sicurezza di questi rifiuti. Nel 2005, l'allora commissario delegato per l'emergenza nucleare fece partire il progetto «CEMEX» per la solidificazione di questi rifiuti mediante cementazione; una tecnologia sicuramente meno raffinata, ma che sembrava potesse garantire tempi di realizzazione più veloci;
   parecchi anni dopo (nel 2010), la Sogin, allora guidata dall'amministratore Giuseppe Nucci (ora indagato) si decise ad aprire una gara d'appalto per la cementificazione delle scorie liquide, il progetto Cemex;
   la gara, bandita in un primo tempo per 145 milioni di euro e per la quale si era presentata Ansaldo Energia, società statale specializzata in impianti nucleari all'estero, venne annullata in «autotutela» da Sogin nel 2011. Il nuovo appalto scese a 135 milioni, esperito con urgenza (scadenza il 5 maggio, meno di due mesi dopo) e vinto da Maltauro e Saipem con un ribasso enorme, che portò il costo per la Sogin a soli 98 milioni contro i 145 della prima asta, poi cancellata;
   nel presentare il nuovo bando la Sogin ammetteva anche società che avessero eseguito progetti nel campo nucleare o equivalenti (esempio petrolchimico e altro);
   il progetto «CEMEX», nonostante sia ad oggi ritenuto da SOGIN uno dei progetti strategici di punta per i quali, nel corso della recente riorganizzazione aziendale condotta dal nuovo vertice, nell'ambito della «Divisione Waste Management e Decommissioning» è stata addirittura istituita un'apposita unità di coordinamento, chiamata appunto «Progetti Strategici», registra ad oggi un notevole ritardo;
   si fa presente che non ci si trova di fronte a un appalto normale come quello per la costruzione di un edificio, ma a un appalto per la realizzazione di un impianto per la messa in sicurezza della situazione più pericolosa negli impianti nucleari esistenti oggi in Italia. Il solo sospetto che l'apparato possa essere stato assegnato a seguito di malversazioni criminose, deve fare scattare immediatamente una serie di verifiche a tutela innanzitutto della salvaguardia dell'ambiente e della salute dei cittadini, nonché per la verifica del corretto utilizzo dei fondi pubblici;
   fonti giornalistiche dell'ultima ora dicono che al centro dell'inchiesta sull'EXPO milanese ci sarebbe una sorta di cupola degli appalti: l'ex parlamentare Dc Gianstefano Frigerio, l'ex funzionario del Pci Primo Greganti, l'ex senatore del Pdl Luigi Grillo, l'ex esponente dell'Udc ligure, poi passato a Ndc, Sergio Cattozzo, l’ex manager di Expo Angelo Paris e l'imprenditore vicentino Enrico Maltauro vincitore della gara per il Cemex di Saluggia;
   a Maltauro sarebbe stato chiesto dalla «cupola» l'1,5 per cento del valore dell'appalto – pari a circa 1 milione e 350 mila euro – di cui 600 mila sarebbero stati effettivamente versati. L'imprenditore, sempre stando alle notizie relative all'inchiesta in corso, avrebbe promesso altri 600 mila euro in cambio dell'appalto «Architetture di servizi» per Expo 2015. Nell'insieme si parla di un giro di denaro che supera i due milioni di euro;
   è una cosa estremamente grave che ciò sia potuto avvenire nel settore nucleare dove dovrebbero esserci sia controlli amministrativi, che controlli tecnici indipendenti e autorevoli che sarebbero dovuti intervenire al primo sentore di qualche anomalia. E qui di anomalie amministrative ce ne sono perché un numero impressionante di gare, durante la gestione Nucci, è stato annullato in «autotutela». Ci sono inoltre anomalie tecniche come l'affidamento di costruzione di un impianto nucleare a imprese di altri settori e risulta strano che l'autorità di controllo non abbia richiesto spiegazioni;
   oggi i cittadini di Saluggia e di Trino, ma anche quelli a loro prossimi e quelli degli oltre cento comuni che bevono l'acqua prelevata appena a valle degli impianti nucleari, hanno il sacrosanto diritto di pretendere che venga affidato anche a loro stessi il compito di vigilare sui pericoli del nucleare e sulle sospette omissioni e «furberie» degli esercenti, attraverso l'istituzione di un apposito «Osservatorio dei Cittadini sul Nucleare»;
   è pensiero degli interpellanti, in sintonia con le istanze giustamente preoccupate del territorio che sia il caso di istituire uno specifico Osservatorio per il nucleare nel Vercellese, che è di gran lunga (dati ufficiali alla mano) la zona più nuclearizzata d'Italia: cosa ben diversa rispetto all'Osservatorio che Sogin ha annunciato a livello nazionale e che dovrà occuparsi di come e dove realizzare il deposito nazionale;
   in parallelo alle indagini della magistratura sulla natura degli appalti della SOGIN, l'azienda, per quanto risulta agli interpellanti, ha avviato negli anni anche una serie di indagini interne, dalle quali più che risultati concreti sorgono ulteriori interrogativi. Anche in questa circostanza si tratta di risorse pubbliche e c’è il timore che il loro utilizzo sia avvenuto in modo improprio;
   l'attualità parla in fine della portata più grande da spartire, e si sta parlando del deposito unico nazionale dei rifiuti nucleari italiani, un'opera che – in teoria – entro il 2025 dovrebbe contenere quei 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi. Ma anche in questo caso la situazione non è scevra da dubbi e da quelli che agli interpellanti appaiono comportamenti poco trasparenti, per non parlare del mostruoso ritardo delle operazioni. Dunque l'ISPRA ha configurato i criteri per l'allocazione del deposito già dal 28 febbraio scorso. L'ente ha a sua volta chiesto al Ministro dell'ambiente ed al Ministro dello sviluppo economico il permesso per poter divulgare la scheda dei criteri; i Ministri dell'ambiente che si sono succeduti, Orlando e l'attuale, Galletti, avrebbero dato l'assenso alla pubblicazione, mentre a quanto consta agli interpellanti il Ministero dello sviluppo economico non avrebbe nemmeno risposto alla sollecitazione dell'ISPRA. Stando alle ultime dichiarazioni del nuovo presidente di Sogin, Giuseppe Zollino, si tratterebbe di un ritardo di natura politico-elettorale –:
   se il Governo non ritenga opportuno verificare la reale capacità e professionalità della cordata Maltauro-Saipem incaricate di effettuare i lavori per il Cemex di Saluggia al fine di garantire un corretto avanzamento delle attività di Sogin, nonché, la salvaguardia dell'ambiente e della salute dei cittadini;
   se si corra il rischio di un aumento dei tempi e dei costi e se, addirittura, vi siano rischi concreti per l'ambiente e la popolazione se l'impianto non venisse realizzato a regola d'arte;
   vista la natura molto delicata della materia in questione, se non sia il caso di rivedere con attenzione l'intero quadro degli appalti di SOGIN nonché la disciplina che regola le assunzioni interne;
   se si intenda verificare l'adeguatezza delle procedure di controllo messe in atto dall'ente di controllo tecnico (ISPRA), cosa particolarmente importante oggi, perché si sta provvedendo all'istituzione della nuova autorità di controllo (ISIN) e l'individuazione di eventuali carenze è fondamentale;
   quale sia il piano di lavoro della cordata Maltauro-Saipem, o meglio, il cronoprogramma relativo alla specifica gara di appalto riguardante il CEMEX, con quali tempistiche sia prevista la chiusura dei lavori e a quale punto si trovino oggi i lavori;
   se si intenda verificare il comportamento degli organismi di controllo amministrativi e per quali ragioni non abbiamo mosso rilievi o assunto iniziative a fronte del grande numero di appalti annullati in autotutela;
   se il Governo non ritenga opportuno intervenire a livello normativo per istituire un vero e proprio Osservatorio per il nucleare nel vercellese che dia modo alla cittadinanza (ed a specifiche organizzazioni territoriali) di controllare e verificare lo stato dei lavori ed il livello di sicurezza dell'ambiente e della salute;
   se le informazioni inerenti ai criteri configurati dall'ISPRA per l'allocazione del deposito nucleare nazionale siano corrette e, nel caso, quali siano le motivazioni secondo le quali il Ministro dello sviluppo economico stia ritardando la pubblicazione degli stessi.
(2-00557) «Busto, De Rosa, Terzoni, Daga, Mannino, Segoni, Zolezzi, Micillo, Manlio Di Stefano, Di Battista, Sibilia, Del Grosso, Grande, Spadoni, Scagliusi, Luigi Gallo, Brescia, Marzana, D'Uva, Di Benedetto, Vacca, Simone Valente, Battelli, Rizzo, Artini, Paolo Bernini, Basilio, Corda, Frusone, Tofalo, Castelli, Sorial, Caso, Brugnerotto, Cariello, Currò, D'Incà, Di Vita, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate».

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   Enel Distribuzione spa – richiamandosi all'articolo 10.1 lettera b), dell'allegato A della delibera 578/2013/R/eel – vuole imporre l'installazione di un gruppo di misura dedicato alla valutazione quantitativa dell'energia prodotta, a coloro che fanno richiesta di connessione alla rete del proprio impianto fotovoltaico;
   nello specifico, la precitata delibera del 12 dicembre 2013, all'articolo 10 rubricato «Disposizioni relative all'erogazione del servizio di misura dell'energia elettrica prodotta, immessa, prelevata e consumata per un ASSPC», lettera b), comma 10.1, stabilisce la necessità di disporre «dei dati relativi all'energia elettrica immessa nella rete pubblica e prelevata dalla rete pubblica, nonché dei dati dell'energia elettrica prodotta dalle singole unità di produzione, in tutti gli altri casi»;
   dunque, in applicazione della delibera 578/2013/R/EEL dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, per tutti gli impianti fotovoltaici entrati in esercizio a partire dal 1o gennaio 2014, l'Enel Distribuzione spa richiede l'installazione di un contatore per misurare l'energia prodotta;
   la richiesta di tale adempimento, sembra essere preliminare all'attuazione, in tempi futuri, di un più ampio piano che possa prevedere la tassazione dell'autoconsumo degli impianti fotovoltaici, che a giudizio degli interpellanti danneggerebbe gravemente ed illegittimamente il settore;
   il serio timore di possibili iniziative di tassazione dell'autoconsumo nasce anche dal fatto che non si ritengono esaustive le motivazioni per le quali venga imposto l'onere d'installazione di un contatore, soprattutto, nell'ipotesi in cui si tratti di utenze domestiche. Al riguardo, infatti, non appare sufficiente affermare la mera necessità di raccogliere i dati relativi all'energia prodotta per giustificare l'imposizione di un contatore e delle spese connesse, a carico del proprietario dell'impianto;
   si ricorda che la normativa comunitaria e nazionale promuove lo sviluppo dell'energia da fonti rinnovabili prefiggendosi l'obiettivo di potenziare e razionalizzare il sistema per incrementare l'efficienza dell'energia alternativa, anche diminuendo gli oneri relativi alla realizzazione degli impianti da essa alimentati;
   la previsione di qualsiasi tipologia di onere nel settore deve essere conforme alla normativa in materia e specificamente giustificata. Sicché, si ribadisce, l'installazione del contatore non essendo adeguatamente giustificata, appare un obbligo preordinato alla adozione di politiche di tassazione dell'autoconsumo;
   si mette in evidenza che, ad avviso degli interpellanti, nell'ambito del settore delle energie rinnovabili, vengono adottati di frequente dei provvedimenti che invece di incentivare tali investimenti virtuosi, come prevede la normativa, li scoraggiano o addirittura, determinano un danno attraverso l'addebito di costi/oneri retroattivi che gravano su coloro che hanno già provveduto ad investire in queste tecnologie;
   pertanto, si rileva l'esigenza di conoscere quali siano gli attuali indirizzi che il Governo ha in materia, scongiurando qualsiasi ipotesi di iniziative che dispongano la tassazione dell'autoconsumo di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito a quanto premesso;
   se non ritenga di fornire assicurazioni al settore rispetto al fatto che non sussiste l'intenzione di assumere iniziative, anche normative, che possano prevedere la tassazione dell'autoconsumo per gli impianti fotovoltaici e, più in generale, per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili;
   se e quali iniziative, anche normative, intenda promuovere per consentire la piena effettività dei benefici riconosciuti al settore delle energie rinnovabili dalla normativa in materia, che appaiono spesso ingiustamente limitati.
(2-00550) «Rizzetto, Prodani, Mucci».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   è noto che la normativa comunitaria e nazionale promuove lo sviluppo dell'energia da fonti rinnovabili prefiggendosi l'obiettivo di potenziare e razionalizzare il sistema, per incrementare l'efficienza dell'energia alternativa anche diminuendo gli oneri relativi alla realizzazione degli impianti da essa alimentati;
   tuttavia, nell'ambito del settore delle energie rinnovabili, vengono adottati di frequente dei provvedimenti che invece di incentivare tali investimenti, come prevede la normativa, li scoraggiano o addirittura, determinano un danno attraverso l'addebitando di costi/oneri retroattivi per coloro che hanno già provveduto ad investire in queste tecnologie;
   al riguardo, una questione sulla quale è necessario intervenire, con idonei provvedimenti di modifica, concerne l'accatastamento degli impianti fotovoltaici;
   in base alla circolare dell'Agenzia delle entrate, n. 36/E del 19 dicembre 2013, l'impianto fotovoltaico installato sul tetto di un edificio è sottoposto all'obbligo di accatastamento se ha una potenza superiore ai 3,00 Kwp;
   dunque, l'amministrazione fiscale è intervenuta con un documento di prassi dove si esprime sulla qualificazione mobiliare o immobiliare degli impianti fotovoltaici e sulle conseguenze che ne derivano in materia catastale e tributaria;
   nel testo della circolare si fa riferimento agli articoli 2 e 3 del decreto ministeriale 2 gennaio 1998, n. 28, rubricato Regolamento recante norme in tema di costituzione del catasto dei fabbricati e modalità di produzione ed adeguamento della nuova cartografia catastale, che enunciano rispettivamente la definizione di unità immobiliare e, più specificamente, gli immobili oggetto di censimento nonché quelli non oggetto di inventariazione a meno di una autonoma suscettibilità reddituale;
   la circolare prevede che ai fini dell'obbligo di accatastamento e della determinazione della rendita catastale di un impianto fotovoltaico, non è fondamentale esclusivamente la facile amovibilità delle sue varie componenti impiantistiche, quanto, piuttosto, il rapporto di tali componenti con la capacità ordinaria dell'unità immobiliare a cui appartengono di produrre un reddito temporalmente rilevante;
   in altri termini, gli uffici dell'Agenzia accertano gli immobili che ospitano i medesimi impianti, indagando, ai fini della determinazione della relativa rendita catastale, sulla correlazione che sussiste tra l'immobile e, in generale, quelle componenti impiantistiche rilevanti ai fini della sua funzionalità e capacità reddituale;
   l'Agenzia ha quindi proceduto a definire l'irrilevanza catastale delle installazioni fotovoltaiche, qualora la potenza nominale dell'impianto fotovoltaico non è superiore a 3 chilowatt;
   di contro, ha qualificato gli impianti fotovoltaici come beni immobili e, di conseguenza, da dichiarare al catasto, quando: a) costituiscono una centrale di produzione di energia elettrica autonomamente censibile nella categoria D/1 oppure D/10; b) risultano posizionati sulle pareti o su un tetto, oppure realizzati su aree di pertinenza comuni o esclusive di un fabbricato;
   dunque, l'Amministrazione fiscale ha applicato agli impianti fotovoltaici i criteri relativi all'individuazione dell'unità immobiliare oggetto di censimento catastale, estendendoli inderogabilmente sul presupposto di una sussistente autonomia funzionale e reddituale;
   ebbene, si ritiene che l'Agenzia delle entrate abbia esteso categoricamente agli impianti fotovoltaici con potenza superiore a 3Kwp i criteri di individuazione delle unità oggetto di censimento catastale, senza la dovuta considerazione delle peculiarità che sono proprie di tali investimenti e, altresì, in mancanza di necessarie direttive per procedere alla dichiarazione di variazione catastale, determinando, pertanto, la dubbia legittimità e la carenza della circolare emessa;
   i moduli fotovoltaici sono installati per abbattere i costi in bolletta ed il Governo più volte ha dichiarato di essere a favore della Green Economy, settore che va sostenuto anche per la creazione di nuovi posti di lavoro e il mantenimento di quelli attuali, tali fini è chiaro che si contrappongono al riconoscimento di ulteriori oneri, come quelli connessi all'accatastamento per gli impianti installati sulle coperture e/o pertinenze degli edifici al servizio di utenze domestiche o delle piccole e medie imprese, quali sono generalmente gli impianti con potenza inferiore a 20 Kwp;
   stabilendo l'obbligo della dichiarazione di variazione catastale quando l'impianto fotovoltaico integrato a un immobile ne incrementa il valore capitale (o la redditività ordinaria) di una percentuale pari al 15 per cento o superiore, si determina un aumento del valore e un aumento di tutte le imposte che hanno carne base il valore catastale per chi procede al predetto virtuoso investimento;
   generalmente, un impianto di 3,00 Kwp è quello che serve per coprire i consumi di una famiglia – tipo, tuttavia, molti proprietari hanno scelto di installare impianti più potenti, così da massimizzare i benefici, sicché, se l'estensione del tetto dell'abitazione lo consente, molti acquirenti hanno scelto potenze sino ai 6/12 Kwp di potenza installata (in media, 1,00 Kwp richiede circa 7 metri quadri di superficie);
   pertanto, a quanto afferma l'Agenzia delle entrate, per gli impianti con potenza superiore a 3,00 Kwp, va verificato se la rendita catastale dell'unità immobiliare deve essere aggiornata, al riguardo, come predetto, la circolare afferma che la variazione catastale è obbligatoria quando il valore dell'impianto è pari o supera il 15 per cento della rendita catastale;
   la circolare in questione, tra l'altro, non ha chiarito attraverso quali procedure il proprietario dell'impianto possa accertare se il valore dello stesso superi o meno il 15 per cento della rendita catastale. È certo che tale calcolo non può essere effettuato dal proprietario stesso, ma da un tecnico abilitato, con l'aggiunta, quindi, di ulteriori costi;
   dunque, non solo non si specificano i criteri per valutare oggettivamente l'aumento della tariffa d'estimo catastale dovuta alla presenza dell'impianto fotovoltaico, ma, altresì, sul punto, non si considerano due ulteriori e rilevanti problematiche che renderebbero necessaria la rimodulazione della tariffa d'estimo al ribasso: innanzitutto la vita media di un impianto è convenzionalmente di circa 25-30 anni durante i quali la produzione di energia decresce e con essa anche la redditività dell'impianto, in secondo luogo, al termine della vita convenzionale dell'impianto, quando lo stesso non produrrà più un alto beneficio per l'utente, quest'ultimo dovrà, altresì, sostenere i costi per lo smaltimento;
   quanto affermato dalla circolare dell'Agenzia delle entrate è gravemente penalizzante per il settore del fotovoltaico, che, invece, andrebbe valorizzato così come previsto dalla normativa comunitaria e nazionale, anche considerando che la realizzazione di impianti da fonti energetiche rinnovabili presenta i caratteri di un servizio di pubblica utilità;
   ad avviso degli interroganti vi sono fondati dubbi sulla legittimità della circolare dell'Agenzia delle entrate rispetto all'accatastamento degli impianti fotovoltaici con una potenza compresa tra 3,00 a 20,00 Kwp, e ciò ha dato luogo ad uno stato d'incertezza in cui versano circa 312 mila impianti (dati GSE);
   si ritiene che debbano essere esentati dalla rivalutazione della rendita catastale i piccoli impianti con potenza inferiore ai 20,00 Kwp, trattandosi generalmente di utenze domestiche o quelle di piccole imprese, installati con finalità di risparmio energetico ed autoconsumo e non di investimento o mera speculazione, quindi, non soggetti a denuncia di apertura di officina elettrica ed installati sulle coperture e pertinenze degli edifici;
   quantomeno, devono essere esentati dalla rivalutazione della rendita catastale gli impianti, della medesima taglia e caratteristiche a quelle predette, che non beneficiano delle tariffe incentivanti ai sensi di tutte le edizioni del conto energia e hanno optato per il regime di scambio sul posto;
   le menzionate criticità della circolare sono state eccepite con interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02215 pubblicata in data 24 febbraio 2014;
   alla predetta interrogazione è stato dato riscontro con atto pubblicato in data 22 aprile 2014 – nell'allegato al bollettino in Commissione X (Attività produttive) – che nel merito non ha in alcun modo soddisfatto l'interrogante;
   sul punto, infatti, con la risposta acquisita in Commissione X si presume la legittimità della circolare dell'Agenzia dell'entrate, applicando meccanicamente la normativa in materia di accatastamento e determinazione della rendita catastale, senza effettuare un'interpretazione estensiva che tenga conto anche della normativa europea e nazionale che riconosce specifici benefici per la promozione dello sviluppo degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, affinché tale fonti energetiche alternative diano un sempre maggiore contributo alla produzione di energia elettrica nel mercato italiano e comunitario; 
   seppure si volesse ipotizzare che la normativa concernente l'accatastamento e la determinazione della rendita catastale debba essere applicata agli impianti fotovoltaici così come affermato dall'Agenzia dell'entrate, la cui tesi continuerebbe a giudizio degli interpellati comunque ad essere carente e lacunosa, si sottolinea l'evidente necessità di immediati interventi normativi che aggiornino e conformino tale normativa, nel rispetto di quella prevista per incrementare gli investimenti virtuosi nel settore delle rinnovabili;
   ed invero, anche nell'atto di risposta in Commissione X, per sostenere la tesi assunta dall'Agenzia delle entrate, ci si richiama ad una normativa ormai obsoleta che deve essere adeguata ai nuovi principi normativi sviluppatisi nel tempo come quelli relativi al settore delle energie alternative. In particolare, ci si riferisce al regio decreto – legge addirittura del 1939 che nel determinare gli elementi che concorrono alla determinazione della rendita catastale, di certo non avrebbe potuto tenere conto delle specificità riconosciute dall'attuale normativa agli impianti alimentati da energie rinnovabili;
   pertanto, si ribadisce che quanto stabilito dalla circolare dell'Agenzia delle entrate sull'accatastamento degli impianti fotovoltaici limita drasticamente e secondo gli interpellanti illegittimamente i benefici riconosciuti al settore, pregiudicando ingiustamente chi ha investito in tali impianti con finalità di risparmio energetico –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito a quanto premesso e se sia intenzione dello stesso promuovere concretamente lo sviluppo di impianti di energia da fonti rinnovabili in conformità ai principi sanciti dalla normativa in materia;
   se sia intenzione del Governo porre in essere iniziative per rendere efficaci gli investimenti effettuati nel settore delle energie rinnovabili, adottando anche iniziative normative che aggiornino e adeguino la normativa in materia di accatastamento e determinazione della rendita catastale a quella prevista rispetto allo sviluppo ed alla promozione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, esentando dalla rivalutazione della rendita catastale i piccoli impianti con potenza inferiore ai 20,00 Kwp – trattandosi generalmente di utenze domestiche o di piccole imprese installate con finalità di risparmio energetico e non di investimento – e, in particolare, gli impianti, della medesima taglia e caratteristiche a quelle predette, che non beneficiano delle tariffe incentivanti ai sensi di tutte le edizioni del conto energia e hanno optato per il regime di scambio sul posto.
(2-00551) «Rizzetto, Prodani, Crippa, Mucci».

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Catania e altri n. 1-00146, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antimo Cesaro.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Migliore e altri n. 2-00549, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Aiello.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Lombardi n. 4-04894, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sarti.

  L'interrogazione a risposta scritta Lombardi n. 4-04895, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sarti.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Migliore n. 1-00161, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 63 del 1o agosto 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    in Europa e in Nord America si stima che i consumatori buttino via tra i 95-115 chilogrammi pro capite di cibo l'anno, mentre nel Sud-Est asiatico e nell'Africa subsahariana il dato è di 6-11 chilogrammi pro capite;
    lo spreco alimentare ha assunto, e sta sempre più assumendo, una dimensione di portata mondiale, tant’è che metà del cibo prodotto nel mondo non arriva mai ad essere consumato. Il problema dello spreco alimentare è da ritenersi connesso alle politiche economiche e di marketing che, negli ultimi vent'anni, hanno prodotto fattori e azioni comportamentali altamente distorsivi della realtà fattuale e delle conseguenze effettuali che da tali modus comportandi e vivendi ne sono conseguite. Le politiche di marketing delle multinazionali e le normative sulla brevettazione dei prodotti agroalimentari hanno contribuito a generare comportamenti sociali tendenti a produrre sempre più «spreco» e «scarto» alimentare. La cultura del «riciclo» e del «riutilizzo» alimentare fatica non poco ad affermarsi rispetto al suo contrario. La sproporzione della produzione alimentare, senza che ciò abbia nel corso degli ultimi quattro lustri consentito di ridurre drasticamente il numero delle persone che nel mondo non hanno accesso alla nutrizione, ha, al contrario, polarizzato, ulteriormente, le fasce sociali del pianeta. Questa paradossale ipertrofia produttiva ha sull'ambiente impatti devastanti e, se non fermata per tempo, irreversibili. Nell'immaginario collettivo dei Paesi cosiddetti «ricchi» l'educazione alimentare, erroneamente, si traduce in «performanti» diete, o nuovi «costumi alimentari», che si rivelano dannosi per l'organismo umano con ricadute sulla spesa sanitaria che diventa crescente a fronte di nuove patologie connesse all'alimentazione. Il tema della «scarsità delle risorse naturali», che deve essere centrale nell'agenda politica di questo millennio, è vissuto, il più delle volte, come un mero esercizio percettivo. I dati sullo spreco di cibo nei Paesi industrializzati ammontano a 222 milioni di tonnellate, ossia il corrispettivo della produzione alimentare disponibile nell'Africa subsahariana che è di 230 milioni di tonnellate;
    a contribuire, ulteriormente, alla «cultura dello scarto alimentare» a valle, e nella produzione delle eccedenze a monte, è il disallineamento tra la domanda e l'offerta e la non conformità del prodotto agli standard di mercato: calibratura della frutta, aspetto della verdura che non deve presentare macchie o quant'altro possa far percepire all'acquirente la non salubrità del prodotto e le pratiche commerciali che incoraggiano i consumatori a comprare più cibo di quello di cui hanno effettivamente bisogno;
    un altro motivo dello spreco alimentare è da imputare alle etichette che indicano la data di scadenza. Sarebbe corretto porre in etichetta la doppia scadenza: il termine minimo di conservazione, che si riferisce alle caratteristiche qualitative del prodotto, «preferibilmente entro» (data di scadenza commerciale del prodotto) e la data di scadenza vera e propria, «da consumarsi entro», (relativa alla salubrità del prodotto alimentare), al fine di evitare confusione sulla commestibilità del cibo. Inoltre, gli imballaggi per alimenti dovrebbero essere offerti anche in confezioni monodose e progettate per la migliore conservazione possibile. Da ultimo, i cibi prossimi alla scadenza e i packaging danneggiati dei prodotti alimentari dovrebbero essere venduti a prezzi scontati, al fine di renderli economicamente più accessibili alle persone bisognose;
    il 19 gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato, in seduta plenaria, una risoluzione su: «Come evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'Unione europea», la quale si pone come obiettivo principale la riduzione degli sprechi alimentari del 50 per cento entro il 2025 e di dedicare il 2014 quale anno europeo contro lo spreco alimentare, attraverso una strategia per migliorare l'efficienza della catena alimentare degli Stati membri;
    dalla relazione (2011/2175(INI) preparatoria della risoluzione, si evince che, secondo uno studio della Commissione europea, la produzione annuale di rifiuti alimentari nei 27 Stati membri ammonterebbe a circa 90 milioni di tonnellate, ossia 179 chilogrammi pro capite, senza contare gli sprechi a livello di produzione agricola o le catture di pesce rigettate in mare, considerando che entro il 2020 il totale dei rifiuti alimentari aumenterà fino a circa 126 milioni di tonnellate, ovvero il 40 per cento in più dello stock attuale;
    da recenti studi è emerso che, per produrre un chilogrammo di cibo, si immettono in atmosfera in media 4,5 chilogrammi di anidride carbonica, che in Europa si producono 170 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente/anno, ripartiti tra industria agroalimentare (59 milioni di tonnellate), consumo domestico (78 milioni di tonnellate) e prodotti non raccolti nei campi (34 milioni di tonnellate). Si pensi, ad esempio, che in Inghilterra il 30 per cento della produzione orticola non viene raccolta (corrisponde allo spreco di 550 milioni di metri cubi di acqua), percentuale che in Italia si attesta al 3,2 per cento;
    la concentrazione in atmosfera di anidride carbonica, a gennaio 2013, ha raggiunto il record di 395 parti per milione, avviando la temperatura globale – si consideri che il 2012 è stato il nono anno consecutivo più caldo dal 1880 – verso un aumento superiore di due gradi di media, con gravi danni irreversibili all'ambiente, all'agricoltura e, di conseguenza, all'alimentazione;
    la Fao stima che, a livello mondiale, la quantità di cibo che finisce tra i rifiuti ammonta a 1,3 miliardi di tonnellate e che 925 milioni di persone nel mondo sono a rischio di denutrizione e la popolazione mondiale ipernutrita è pari a quella sottonutrita e denutrita: questi dati allontanano, oggettivamente, il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, incluso quello di dimezzare la fame e la povertà entro il 2015;
    sempre secondo dati della Fao, il previsto aumento da 7 miliardi a 9 miliardi della popolazione mondiale richiederà un incremento minimo del 70 per cento della produzione alimentare entro il 2050;
    Oliver De Schutter, relatore speciale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per il «diritto al cibo», nonché docente universitario di diritto all'Università Cattolica di Lovain-La Neuf (Belgio), nel marzo del 2012 ha presentato al Consiglio per i diritti umani, in conformità alla risoluzione 13/14, la sua relazione che analizza i nessi di causalità tra salute, malnutrizione e spreco alimentare. Relativamente al nesso che esiste tra salute e malnutrizione, il rapporto mette in evidenza che: «(...) l'urbanizzazione, “supermercatizzazione” e la diffusione globale degli stili di vita moderni hanno scosso le tradizioni alimentari. Il problema è di “sistema” e trova le sue cause nel commercio globale, nei cibi troppo elaborati, nelle politiche agricole attuali, nelle tecnologie con brevetto proprietario, nell'elaborare diete “disastrose” dei Paesi sviluppati e in quelli dalle economie emergenti (come il Messico, ad esempio). Il risultato è il disastro per la salute pubblica: 2,8 milioni di persone muoiono prima dei 60 anni a causa di malattie non trasmissibili, diabete e obesità collegate alla dieta, (saranno 5,1 milioni nel 2030, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità) a cui aggiungere le ripercussioni economiche sulla spesa sanitaria pubblica (...)» E, inoltre, il, relatore ha denunciato, in termini generali, la sproporzione che esiste tra gli investimenti pubblicitari nel food, 8,5 miliardi di dollari negli Stati Uniti nel 2010, e i modesti budget per l'educazione alimentare pubblica, che nello stesso anno sono stati pari a 44 milioni di dollari per il programma federale «Nutrition Physical Activity and Obesity». Nel rapporto si evidenzia come la pubblicità di cibi «spazzatura» (junk food), rivolta ai bambini e non solo, contribuisce all'eccessivo consumo di snack nell'alimentazione quotidiana che ha snaturato la cultura del rispetto e della conservazione del cibo, che è stata falsata dalle multinazionali nella composizione dei valori nutrizionali come, per esempio, nell'alterazione del contenuto dei grassi, degli zuccheri e del sale, al fine di rendere il cibo «appetitoso» e maggiormente prossimo al consumo immediato e meno prossimo alla sua conservazione perché facilmente deteriorabile. Sempre secondo il rapporto il «cibo perso» nei Paesi in via di sviluppo – dove la carenza di infrastrutture e regole stringenti per la conservazione incide fino al 50 per cento sul deterioramento degli alimenti – comincia ad assumere dimensioni quasi vicine a quelle dei Paesi industrializzati;
    nell'Unione europea, oltre 79 milioni di persone vivono ancora al di sotto della soglia di povertà, mentre 18 milioni di persone dipendono dagli aiuti alimentari. Al contempo, le percentuali degli sprechi alimentari sono così ripartite: il 42 per cento dalle famiglie, il 39 per cento dai produttori, il 5 per cento dai rivenditori e il restante 14 per cento dal settore della ristorazione;
    secondo i dati dell'indagine realizzata nel 2012 dalla Fondazione per la sussidiarietà e dal Politecnico di Milano, in collaborazione con Nielsen Italia, lo spreco alimentare in Italia ammonta a 6 milioni di tonnellate, pari a un valore di 12,3 miliardi di euro (6,9 miliardi direttamente dai consumatori). Il cibo sprecato in Italia è di 108 chilogrammi pro capite, 450 euro a famiglia composta da un nucleo di 2,5 persone (famiglia media), 42 chilogrammi a persona di avanzi alimentari non riutilizzati ancora commestibili buttati da ogni italiano in un anno, 35 per cento la percentuale di prodotti freschi sprecati, 250 chilogrammi la quantità di cibo buttato dai 600 ipermercati italiani, 16 per cento la percentuale dello spreco che finisce direttamente nelle discariche per la cattiva gestione del frigorifero famigliare, mentre la parte di cibo recuperato e donato alle food bank e agli enti caritativi rappresenta poco più del 6 per cento del totale;
    sempre secondo l'indagine summenzionata emerge che quasi un miliardo di euro di cibo viene recuperato e l'obiettivo è quello di portare sulla tavola degli indigenti altri 6 miliardi di euro di cibo;
    infatti, non sempre i prodotti ritirati dagli scaffali che sono prossimi alla scadenza finiscono nella pattumiera. Il merito è da attribuire alle onlus come il Banco Alimentare, rete antispreco con oltre 1400 volontari. Obiettivo analogo a quello di Last Minute Market, spin-off dell'università di Bologna che unitamente a SWG ha creato un «Osservatorio sullo spreco alimentare», il cui nome è Waste Watchers (sentinelle dello spreco). Secondo le prime stime fatte da Waste Watchers, in Italia lo spreco alimentare rappresenta l'1,9 per cento del prodotto interno lordo (circa 18,5 miliardi riferiti al 2011) così ripartito: lo 0,23 per cento si colloca nella filiera di produzione (agricoltura), trasformazione (industria alimentare), distribuzione (grande e piccola) e ristorazione (collettiva), il restante valore percentuale, lo 0,96 per cento del prodotto interno lordo, è rappresentato dal livello domestico. La quantità di cibo sprecato potrebbe essere ridotta del 60 per cento con un'educazione più attenta ai consumi alimentari;
    Last Minute Market ha realizzato un documento denominato «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero», il quale viene continuamente arricchito e aggiornato grazie all'implementazione delle conoscenze, allo scambio delle buone pratiche fra amministrazioni e, di conseguenza, all'adozione di nuovi strumenti di analisi e di indirizzo che il documento propone;
    il documento «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero» è stato sottoscritto da oltre 700 sindaci europei e detta un decalogo comportamentale alimentare con cui poter avviare processi razionali al fine di ridurre drasticamente gli sprechi e le perdite alimentari;
    la legge n. 155 del 2003, detta anche legge del «buon samaritano», disciplina il recupero e la distribuzione di alimenti cotti e freschi da parte di organizzazioni non profit a fini sociali. Il principio finalistico della legge è quello di incentivare il riutilizzo di cibo ancora commestibile proveniente dai produttori o dalla grande distribuzione – non più vendibile per difetto di packaging o perché vicino alla scadenza – ma anche dalle mense aziendali e scolastiche. Unico vincolo della legge è l'attenzione da prestare al trasporto e al corretto stato di conservazione degli alimenti, equiparando, di fatto, gli enti non profit ai consumatori finali. Infatti, il recupero del cibo deve avvenire mantenendo «la catena del freddo». Grazie alla legge del «buon samaritano» è stato possibile avviare progetti di raccolta viveri, come il progetto «Siticibo» che in nove anni ha consentito di salvare dal cestino dei rifiuti 2,5 milioni di porzioni distribuendole nelle mense cittadine degli enti e delle organizzazioni caritative;
    la lotta allo spreco alimentare nei Paesi industrializzati è stato avviato alla fine degli anni Sessanta a Phoenix (Arizona, Stati Uniti), grazie a John Van Hengel, attraverso la distribuzione ai bisognosi di cibo non venduto e destinato alla distruzione. Questo strumento di «perequazione alimentare» ha assunto il nome di food bank, banco alimentare, che si è diffuso in Europa negli anni Ottanta e in Italia nasce nel 1989. Basato sul concetto di «dono e condivisione», il banco alimentare si estrinseca nella raccolta delle eccedenze di produzione alimentare agricola e industriale, specificatamente riso, olio d'oliva, pasta e latte. In Italia la raccolta delle eccedenze viene effettuata dal 1995 dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), la quale ridistribuisce le eccedenze agli enti caritativi iscritti nel relativo albo istituito presso l'ente medesimo;
    il maggiore fornitore della rete che fa capo ai banchi alimentari d'Europa è stata l'Unione europea, attraverso il Programma europeo d'aiuto agli indigenti, Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead), nato nel 1987 all'interno della Politica agricola comune (Pac). Il programma d'aiuto è stato concepito come misura per evitare che le eccedenze della produzione agricola europea fossero distrutte. Oggi, queste eccedenze, grazie alle numerose revisioni della Politica agricola comune e al miglioramento delle pratiche tecniche di conservazione, si sono sempre più ridotte, portando l'Unione europea ad acquistare direttamente sul mercato le derrate da donare ai poveri che, in Europa, rappresentano 18 milioni di persone;
    il 14 novembre 2011, il Consiglio dei ministri dell'agricoltura dei 27 Stati membri riuniti a Bruxelles ha sbloccato i piani di assistenza, Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead), per gli anni 2012 e 2013 che prevedono lo stanziamento di 500 milioni di euro l'anno; all'Italia per l'anno 2013 sono stati assegnati 98 milioni di euro;
    il 31 dicembre 2013 si è concluso il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead);
    la Commissione europea ha proposto che, nel Quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, il programma d'aiuti alimentare debba essere coperto non più con i fondi della politica agricola, ma con quelli della coesione sociale, Fondo sociale europeo, prevedendo 2,5 miliardi di euro per i sette anni della nuova programmazione finanziaria comunitaria. Alcuni Paesi europei hanno sostenuto che il programma dovesse rientrare nell'ambito delle politiche sociali, di competenza quindi dei singoli Paesi, e non più con la cabina di regia dell'Unione europea, con il rischio di scatenare una guerra tra poveri;
    il 12 giugno 2013 il Parlamento europeo, in seduta plenaria, ha votato a favore della nuova proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo al finanziamento del nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead), che andrà a sostituire il programma di distribuzione delle derrate alimentari Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead). Il di aiuti europei agli indigenti sarà costituito da una base obbligatoria di finanziamento di 2,5 miliardi di euro e gli Stati membri possono decidere di aumentare le proprie allocazioni di un ulteriore miliardo di euro su base volontaria;
    il Consiglio europeo del 27-28 giugno 2013 ha sollecitato la necessità di adottare in tempi rapidi tutti i dossier strettamente correlati al Quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea e, pertanto, tutte le istituzioni hanno insistito per un rapido accordo anche sul «Fondo indigenti», affinché lo stesso diventi operativo tra la fine del 2013 e gli inizi del 2014;
    l'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ha istituito il «Fondo per la distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti», gestito dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), con lo scopo di raccogliere le derrate alimentari, a titolo di erogazioni liberali, dagli operatori della filiera agroalimentare e da organismi agricoli o imprese di trasformazione dell'Unione europea, al fine di far fronte alle eccedenze alimentari e consentire, conseguentemente, la redistribuzione sul territorio nazionale al fine di ridurre lo spreco alimentare;
    a fronte dei dati preoccupanti, relativi allo spreco alimentare in Europa, la Commissione europea ha deciso di avviare, recentemente, una «consultazione pubblica sul cibo» che si è conclusa il 1o ottobre 2013. L'obiettivo della Commissione europea è quello di individuare azioni efficaci per ridurre lo spreco alimentare e, in generale, di come assicurare che il sistema utilizzi le risorse in modo efficiente, secondo il principio della scarsità delle risorse. I risultati della consultazione costituiranno la base per una «Comunicazione sul cibo sostenibile»,

impegna il Governo:

   a promuovere, in sede comunitaria e nazionale, modelli di agricoltura sostenibile al fine di ridurre, drasticamente, a monte e a valle della filiera alimentare, gli sprechi che si producono a causa dei requisiti di qualità imposti dalla legislazione europea e nazionale, concernenti l'aspetto e la calibratura degli ortofrutticoli freschi che, nel tempo, si sono rivelati tra le principali cause di produzione di inutili scarti alimentari, nonché di cibo sprecato, e, susseguentemente, adottare opportune iniziative normative di settore con cui spiegare ai consumatori il valore nutritivo di prodotti agricoli che presentano forme o calibri imperfetti;
   ad agire, congiuntamente con gli altri partner europei in materia d'investimenti relativi alla promozione di programmi comunitari finanziati dall'Unione europea, al fine di introdurre specifiche iniziative «faro» sull'educazione alimentare, sull'ecologia domestica e di filiera;
   a farsi promotore in ambito europeo dell'istituzione della comunità della conoscenza e dell'innovazione per l'alimentazione;
   a far sì che, in occasione dell'Esposizione universale «Expo Milano 2015», titolata «Nutrire il Pianeta, energia per la vita», venga adottato un «Piano tra Nazioni», incentrato sulla prevenzione dello spreco di cibo e sull'educazione alimentare, con cui, da un lato, fronteggiare lo spreco e, dall'altro, impedire che diete «dannose» per la salute distorcano le reali esigenze nutrizionali dell'organismo umano;
   ad adoperarsi nel semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea per far proclamare l'anno 2015 «anno contro lo spreco alimentare», con lo scopo di stimolare l'opinione pubblica ad assumere comportamenti maggiormente responsabili rispetto alla fruibilità sostenibile degli agroalimenti;
   ad introdurre, sin dal prossimo ciclo scolastico della scuola dell'obbligo, programmi di studio di «educazione alimentare e gestione ecosostenibile delle risorse naturali» che abbiano, quale punto di partenza, gli effetti negativi che lo spreco alimentare produce, facendo sì che tali programmi di studio tendano a strutturare, nell'immaginario delle future generazioni, un approccio meno utilitaristico e maggiormente eco-responsabile delle risorse naturali viste nella loro complessità sistemica;
   a valutare eventuali modifiche alle regole che disciplinano gli appalti pubblici per i servizi di ristorazione e di ospitalità alberghiera, in modo da privilegiare, in sede di aggiudicazione a parità di altre condizioni, quelle imprese che garantiscono la ridistribuzione gratuita di cibo eccedente a cittadini indigenti, attraverso enti non profit;
   ad introdurre modifiche normative sulla commercializzazione e la vendita dei prodotti agroalimentari, partendo dall'introduzione della doppia scadenza che indichi le caratteristiche qualitative del prodotto, «preferibilmente entro» (data di scadenza commerciale), e la data di scadenza vera e propria, «da consumarsi entro», relativa alla salubrità del prodotto alimentare, al fine di non generare confusione per il consumatore finale;
   ad introdurre in campo agricolo e agroenergetico misure normative volte alla valorizzazione degli alimenti non più commestibili, ma utili nella produzione di energia rinnovabile e di concimi organici;
   ad elaborare un testo unico di riordino della materia – alla luce di quanto esposto nel presente atto di indirizzo – che, ad oggi, appare regolata in modo non organico sia dalla legge n. 155 del 2003, sia dall'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, che ha istituito il «Fondo per la distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti» e, conseguentemente, a istituire un osservatorio nazionale sullo spreco alimentare, d'intesa con il sistema delle regioni e delle province autonome, al fine di conoscere in maniera più organica gli effetti delle esternalità negative sull'economia, sul sistema sanitario e sul sistema sociale che lo spreco alimentare genera;
   a tenere in debita considerazione, anche legislativa, quanto previsto dal documento «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero»;
   a valutare l'inserimento obbligatorio, a carico delle imprese che fanno pubblicità a prodotti destinati al consumo umano, nelle comunicazioni pubblicitarie, del messaggio «lo spreco alimentare è un problema per la salute e l'ambiente. Mangia sano e quanto basta. Per maggiori informazioni consulta un esperto medico», o altro messaggio equivalente.
(1-00161)
(Ulteriore nuova formulazione) «Migliore, Franco Bordo, Palazzotto, Zan, Zaratti, Pellegrino».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Antimo Cesaro n. 3-00254 del 2 agosto 2013;
   interpellanza Nuti n. 2-00444 del 10 marzo 2014;
   interrogazione a risposta scritta Totaro n. 4-04754 dell'8 maggio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Di Gioia n. 4-04757 dell'8 maggio 2014;
   interrogazione a risposta in commissione Binetti n. 5-02773 del 12 maggio 2014;
   interpellanza Scotto n. 2-00534 del 13 maggio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Lorefice n. 4-04818 del 14 maggio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Busto n. 4-04836 del 15 maggio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Aiello n. 4-04915 del 20 maggio 2014.