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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 18 marzo 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    le riflessioni ed i confronti sull'assetto e sullo sviluppo dell'Unione europea si concentrano, soprattutto, su questioni di alto spessore economico-sociale che riguardano il presente ed il futuro dei suoi Paesi membri;
    un elemento che, però, riveste un'importanza sempre crescente nel tessuto economico-sociale e negli stessi rapporti tra i popoli europei è lo sport;
    l'attività sportiva ha, infatti, da sempre rappresentato un momento di aggregazione ed integrazione tra classi sociali distinte e diverse, popoli culturalmente e geograficamente lontani tra loro e continua, ancora oggi, a svolgere questa funzione;
    è per questo motivo che, nel dicembre 2000, la dichiarazione del Consiglio europeo ha sancito proprio come caratteristica peculiare dello sport la naturale propensione all'inclusione sociale e, di conseguenza, a favorire un maggiore ed inarrestabile avvicinamento tra i popoli;
    è da ricordare, a tal proposito, come l'11 luglio 2007 la Commissione europea abbia presentato il Libro bianco sullo sport al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al Comitato economico e sociale europeo, con lo scopo di sottolineare il valore dell'attività sportiva e la sua funzione educatrice;
    il Libro bianco sullo sport recita testualmente: «Lo sport è una sfera dell'attività umana che interessa in modo particolare i cittadini dell'Unione europea e ha un potenziale enorme di riunire e di raggiungere tutti, indipendentemente dall'età o dall'origine sociale»;
    il Libro bianco sullo sport invita, quindi, gli Stati membri a considerare il ruolo dello sport come mezzo per favorire l'inclusione, l'integrazione e le pari opportunità tra uomini e donne, nel contesto della programmazione del Fondo sociale europeo e del Fondo europeo di sviluppo regionale, continuando a promuovere tali azioni nel quadro del Fondo europeo per l'integrazione;
    il Libro bianco sullo sport, dunque, spinge gli Stati membri ad operare una vera e propria rivoluzione all'interno del mondo dello sport, in precedenza caratterizzato più dalla presenza maschile rispetto a quella femminile;
    per questi motivi, nel 1985, l'Unione italiana sport per tutti (Uisp) ha opportunamente proceduto alla presentazione della Carta europea dei diritti delle donne nello sport, in seguito trasformata nella risoluzione delle donne nello sport dal Parlamento europeo nel 1987;
    la Carta europea dei diritti delle donne nello sport ha costituito un primo passo per riconoscere ufficialmente la rivendicazione di pari opportunità tra donne e uomini nello sport all'interno dell'Unione europea;
    è stata la stessa Carta europea dei diritti delle donne nello sport del 1985, infatti, a mettere in risalto il gran numero di diseguaglianze fra donne e uomini nel campo dello sport nonché l'importanza di rimuovere le barriere culturali che impediscono il reale coinvolgimento delle donne;
    il 25 maggio 2011 è stata, quindi, presentata la nuova proposta di Carta europea dei diritti delle donne nello sport, che evidenzia come, nonostante i progressi e l'incremento della partecipazione femminile in questo settore della società, permangano ancora delle differenze in termini di pari opportunità, soprattutto con riguardo al coinvolgimento delle donne in ruoli e posizioni di vertice all'interno di enti, federazioni e società sportive;
    la nuova Carta europea dei diritti delle donne nello sport dimostra come uomini e donne debbano avere le stesse opportunità di partecipare ai processi decisionali a tutti i livelli dirigenziali e nell'intero sistema sportivo e debbano, altresì, essere rappresentati in maniera equa nei diversi organismi dirigenziali e in tutte le posizioni di leadership;
    nel 2011, la Commissione europea ha adottato una strategia per sviluppare la dimensione europea dello sport prevedendo, nell'ambito del programma di azioni da intraprendere, proprio la promozione della parità tra uomo e donna;
    nel nostro Paese, non sussiste soltanto la questione delle «quote rosa» nello sport (assenza o parziale assenza dei dirigenti donna), ma, più in generale, vi sono elementi di difficoltà che riguardano la presenza stessa nella società e nei suoi sistemi di discriminanti di tipo contrattuale, economico e di tutela delle donne che devono essere risolti con urgenza;
    è, quindi, necessario avviare politiche che possano permettere a donne e uomini di avere le stesse opportunità e di sviluppare le proprie competenze anche nel settore sportivo,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative dirette a promuovere un'effettiva parità di genere negli organi dirigenziali delle varie discipline sportive;
   ad adottare iniziative in grado di colmare il notevole divario esistente tra le retribuzioni percepite dagli uomini e quelle ancora oggi destinate alle donne anche nell'ambito sportivo;
   ad attivarsi in tutte le sedi perché sia dato seguito a quanto previsto nella Carta europea dei diritti delle donne nello sport adottata nel maggio 2011.
(1-00381) «Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    dal 1999 in Europa le malattie rare hanno cominciato ad accrescere la loro importanza nella normativa comunitaria, acquistando una progressiva visibilità presso le istituzioni e presso l'opinione pubblica. La normativa europea ha un importante peso di indirizzo anche per le scelte politiche dell'Italia. I primi risultati ottenuti per accendere l'interesse dei decisori politici, nazionali ed internazionali, non sono apparsi sufficienti però ai pazienti, ai loro familiari e alle organizzazioni di volontariato. C'era il rischio che le malattie rare rimanessero un argomento colto, ma troppo fragile, nascosto nelle pieghe di articoli di legge, troppo spesso inattuati, perché privi della necessaria forza di contrattazione dei soggetti coinvolti. Un tema di discussione politica riservato ad una ristretta cerchia di decisori che avrebbero potuto anche vanificare tutto il lavoro dei loro predecessori. EURORDIS (European Organization for Rare Diseases), l'organizzazione europea di pazienti, che ha avuto un ruolo di primo piano nella pressione verso i massimi organismi politici comunitari al fine di inserire le malattie rare nelle normative europee, ha ascoltato a lungo i bisogni e le idee dei pazienti, nella loro singolarità, e delle associazioni disseminate in tutta Europa, riunite in Associazioni di associazioni come UNIAMO. Sono queste mega-associazioni che hanno proposto la Giornata mondiale delle malattie rare;
    anche in Italia, ogni anno, si celebra la Giornata mondiale delle malattie rare, istituita per richiamare l'attenzione dei media sulle condizioni dei pazienti con malattie a bassa incidenza, spesso penalizzati per la difficoltà della diagnosi e la scarsa disponibilità di terapie efficaci; nonostante nel corso degli ultimi anni la ricerca scientifica abbia compiuto notevoli progressi, vi sono ancora moltissimi stati patologici non adeguatamente conosciuti e non ancora classificati, moltissime malattie per le quali non sono possibili né sussidi diagnostici, né adeguate forme di prevenzione, né terapie, ed altre ancora che colpiscono un numero relativamente basso di persone, le cosiddette malattie rare;
    l'articolo 3 della Costituzione afferma che tutti i cittadini, senza distinzione di sorta sono uguali davanti alla legge (uguaglianza formale, comma 1) e impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli che concretamente limitano l'uguaglianza dei cittadini per ragioni di vario tipo, comprese quelle che riguardano la loro salute (uguaglianza sostanziale, comma 2). Inoltre poiché il bene «Salute» è tutelato dall'articolo 32 della costituzione, primo comma, non solo come diritto fondamentale dell'individuo, ma anche come interesse della collettività, appare evidente come sia necessario dare a tutti i cittadini le stesse opportunità rimuovendo i fattori di disparità sociale, territoriale ed economica esistenti, anche e soprattutto quando incidono sul piano della salute, come accade per le malattie rare;
    le «malattie rare» sono patologie debilitanti e fortemente invalidanti, potenzialmente letali, caratterizzate da bassa prevalenza ed elevato grado di complessità; in gran parte di origine genetica, circa nell'80 per cento dei casi, mentre per il restante 20 per cento dei casi si tratta di patologie acquisite che comprendono anche forme tumorali rare, malattie autoimmuni, patologie di origine infettiva o tossica. Ai sensi del Regolamento CE n. 141 del 2000 e precedenti normative, sono considerate rare quelle patologie «la cui prevalenza non è superiore a 5 su 10.000 abitanti». In Italia si calcola una stima approssimativa di circa 2 milioni di malati, moltissimi dei quali in età pediatrica. Nell'Unione europea (Programma d'azione comunitario sulle malattie rare 1999-2003) questa soglia è fissata allo 0,05 per cento della popolazione, ossia 1 caso su 2.000 abitanti: l'Italia si attiene a tale definizione; altri Paesi adottano parametri leggermente diversi; negli Usa, ad esempio, una malattia è considerata rara quando non supera la soglia dello 0,08 per cento. La legge giapponese, invece, definisce rara una patologia che comprende meno di 50.000 casi (4/10.000 abitanti) in Giappone; molte patologie sono però molto più rare, arrivando appena a una frequenza dello 0,001 per cento, cioè un caso ogni 100.000 persone;
    oggi, nell'Unione europea, si conoscono tra 5.000 e 8000 malattie rare, che colpiscono complessivamente il 6-8 per cento della popolazione, ossia da 27 a 36 milioni di persone. Lo slogan utilizzato dalle associazioni dei malati rari recita: «Le malattie sono rare, ma noi siamo tanti!». La definizione di «rara» non ha certo favorito il processo di ricerca e di attenzione alle cause di tali patologie, frenando gli investimenti sia in campo diagnostico che terapeutico, per cui non solo sono pochi i centri in cui si può ottenere in tempi contenuti una diagnosi esatta, ma è scarsa anche la ricerca per la produzione di nuove molecole, con conseguenti ritardi nella cura. La scarsa disponibilità di conoscenze scientifiche, che scaturisce proprio dalla rarità, determina spesso lunghi tempi di latenza tra l'esordio della patologia e la diagnosi, cosa che incide negativamente sulla prognosi del paziente; inoltre, le industrie farmaceutiche, a causa della limitatezza del mercato di riferimento, hanno scarso interesse a sviluppare la ricerca e la produzione dei cosiddetti «farmaci orfani», potenzialmente utili per tali patologie;
    nel 1999 l'Italia, contestualmente all'Unione europea, ha identificato nelle malattie rare un'area di priorità in sanità pubblica; ha esplicitato priorità ed obiettivi da raggiungere ed è intervenuta con un provvedimento specifico, il decreto ministeriale n. 279 del 2001: Regolamento d'istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie. Il decreto nell'allegato 1 riporta l'elenco delle malattie rare allora riconosciute dal Servizio sanitario nazionale. Il decreto prevede inoltre un costante aggiornamento di questo elenco sulla base dell'evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche. Le regioni italiane, con la modifica del titolo V della Costituzione, che trasferisce loro una competenza specifica in tema di programmazione ed organizzazione sanitaria, hanno preso in carico l'applicazione della normativa nazionale;
    il regolamento CE n. 141/2000 stabilisce i criteri per l'assegnazione della qualifica di medicinali orfani nell'Unione europea e prevede incentivi per stimolare la ricerca, lo sviluppo e la commercializzazione di farmaci per la profilassi, la diagnosi o la terapia delle malattie rare. A livello europeo, nel 2000 è stato pubblicato il regolamento (CE) n. 141/2000 concernente i medicinali orfani con l'istituzione della procedura comunitaria per l'assegnazione della qualifica di medicinale orfano. Per svolgere questa attività è stato istituito, nell'ambito dell’European Medicines Agency (EMA), il Committee for orphan medicinal products (Comp);
    il 20 marzo 2008 l'AlFA – Agenzia Italiana del Farmaco – ha stabilito le linee guida per la classificazione e conduzione degli studi osservazionali sui farmaci. Ma ancora oggi, nonostante un accordo Stato-regioni dell'8 luglio 2010, non esiste una normativa adeguata a sostegno dei malati e delle loro famiglie, che incontrano enormi difficoltà di carattere economico assistenziale, che si sommano alla grave carenza ci strutture e alla assenza di farmaci adeguati alla cura di tali patologie;
    in Francia il piano nazionale per le malattie rare, in vigore dai 1994, prevede l'autorizzazione temporanea di utilizzo dei farmaci (ATU), con lo scopo di garantire l'accesso alle cure da parte dei pazienti e l'utilizzo di un farmaco orfano e/o destinato alla cura di malattie rare o gravi, prima che abbia ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio, purché il farmaco sia in fase di sviluppo avanzato e non vi sia una valida alternativa terapeutica con un farmaco regolarmente autorizzato. Questo modello ha consentito a più di 400 prodotti farmaceutici di ottenere l'autorizzazione temporanea di utilizzo, permettendo ai pazienti di utilizzarli in media 12 mesi prima dell'ottenimento dell'autorizzazione all'immissione in commercio. Lo schema dell'ATU, applicato ai farmaci destinati alla cura di malattie rare o orfane o gravi, consentirebbe ai pazienti di avere a disposizione tali farmaci con largo anticipo rispetto ai tempi necessari alla conclusione degli studi clinici ed all'ottenimento dell'autorizzazione alla commercializzazione. Alla insistenza delle famiglie occorre rispondere con la dovuta solidarietà, ma anche con la indispensabile razionalità nella valutazione dei processi e delle procedure;
    nonostante l'Italia sia sempre stata sensibile su questo tema, non solo inserendolo tra i punti fondamentali del piano sanitario nazionale già nel triennio 1998-2000, ma anche predisponendo il regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n. 279, con cui si stabiliva l'esenzione dai costi sanitari per circa 350 patologie, a tutt'oggi sono molteplici le malattie rare non ancora riconosciute ed inserite nei livelli essenziali di assistenza. Tra le malattie rare non ancora inserite nei livelli essenziali di assistenza si segnalano a titolo d'esempio: 1) sindrome di acalasia-addisonismo-alacrimia; 2) agenesia del corpo calloso; 3) sindrome di Aicardi-Goutières; 4) alveolite fibrosante idiopatica; 5) amartomatosi multiple; 6) sindrome di Andermann; 7) anemia aplastica; 8) anemia refrattaria; 9) angioedema acquisito; 10) angiomatosi cistica diffusa dell'osso; 11) anoftalmia/microftalmia/microcornea complex; 12) anomalie dell'apparato ciliare; 13) sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi; 14) sindrome da anticorpi anti-sintetasi; 15) aracnodattilia contrattuale congenita; 16) atresie, fistole e duplicazioni del tubo digerente; 17) sindrome di Austin; 18) deficit della beta-ossidazione; 19) sindrome di Byler; 20) Cadasil (Cerebral arteriopathy autosomal dominant with subcortical infarcts and leukoencephalopathy); 21) calcinosi tumorale; 22) sindrome cardio-facciale di Cayler; 23) sindrome di Char; 24) cheratodermia ereditaria palmo-plantare; 25) chronic infantile neurologic cutaneous and articular syndrome (sindrome Cinca); 26) deficit di citocromo C ossidasi; 27) malattia di Coats; 28) sindrome di Cohen; 29) colestasi familiari progressive intraepatiche; 30) complesso Carney; 31) congenital deafness, onycho-osteodystrophy and mental retardation (sindrome Door); 32) coroidite multifocale; 33) coroidite serpiginosa; 34) malattia da corpi poliglucosani; 35) sindrome di Costello; 36) sindrome di Dandy-Walker; 37) sindrome di Danon; 38) sindrome di Dent; 39) sindrome di Desbuquois; 40) difetti congeniti della glicosilazione proteica; 41) displasia neuroectodermica tipo Chime; 42) disgenesia gonadica XX; 43) distonia idiopatica familiare; 44) distrofia neuroassonale infantile; 45) emicrania emiplegica familiare; 46) emi ipertrofia congenita; 47) emiplegia alternante; 48) emosiderosi polmonare idiopatica; 49) estrofia vescicale; 50) eteroplasia ossea progressiva; 51) malattia di Fahr; 52) febbre mediterranea familiare; 53) sindrome da febbre periodica con iper IgD; 54) febbre periodica ereditaria; 55) sindrome FG; 56) fibrodisplasia ossificante progressiva; 57) sindrome di Fine-Lubinsky; 58) galattosialidosi; 59) sindrome di Goldberg-Shprintzen; 60) sindrome di Hallervorden-Spatz; 61) malattia da inclusi neuronali intranucleari; 62) ipertensione arteriosa polmonare idiopatica; 63) sindrome KBG; 64) sindrome di Kenny-Caffey; 65) sindrome di Laron; 66) sindrome di Larsen; 67) sindrome di Lenz; 68) linfedema primario cronico; 69) sindrome di Lowe; 70) sindrome di Lujan-Fryns; 71) macrocefalia-lipomi multipli-emangiomi; 72) sindrome di Mainzer-Saldino; 73) sindrome di Marden-Walker; 74) sindrome megalocornea-ritardo mentale; 75) meloreostosi; 76) sindrome di Menkes; 77) metaemoglobinemia da deficit di metaemoglobina reduttasi; 78) metilmalonicoaciduria; 79) sindrome Michelin tire baby; 80) miosite a corpi inclusi; 81) malattia di Mohr; 82) nanismo primordiale microcefalico osteodisplastico (MOPD); 83) sindrome di Nasu-Hakola; 84) neuropatia ereditaria sensoriale ed autonomica; 85) neutropenia cronica idiopatica grave; 86) sindrome del nevo basocellulare; 87) sindrome di Nijmegen; 88) sindrome di Ondine; 89) sindromi oro-facio-digitali; 90) paralisi bulbare progressiva; 91) sindrome di Pendred; 92) Pfeiffer, sindrome di gruppo «sindromi con (prevalente) cranio sinostosi»; 93) deficit di piruvato decarbossilasi; 94) sindrome di Pitt-Rogers-Danks; 95) poichiloderma congenito; 96) progeria; 97) sindrome di Prune Belly; 98) rachitismo vitamina D dipendente tipo I; 99) sindrome di Refetoff; 100) rene policistico autosomico recessivo; 101) sindrome di Rhotmund-Thomson; 102) sindrome di Schnitzler; 103) sclerosi sistemica; 104) sindrome di Senior-Loken; 105) sindrome di Shpritzen-Goldberg; 106) sindrome di Shwachman-Diamond; 107) siringomielia-siringobulbia; 108) sindrome di Sotos; 109) tubulopatie primitive/congenite e altre;
    la recente vicenda Stamina, se da un lato richiede la massima comprensione verso il disagio e la sofferenza di bambini affetti da malattie rare gravissime, dall'altro obbliga a fare chiarezza sull'uso di farmaci innovativi, perché se sceglie per sé stessi una terapia, fosse anche impropria e inadeguata, rientra tra i diritti dell'individuo, non rientra tra i suoi diritti decidere quali terapie debbano essere autorizzate dal Governo e debbano essere fornite nelle strutture pubbliche. Il Governo dal canto suo ha il dovere di assicurare ai cittadini cure farmacologiche adeguatamente sottoposte a tutti i controlli sperimentali previsti; non ha invece il dovere di assecondare tutte le scelte individuali, se non sono adeguatamente supportate dai dati della ricerca. Non sono le campagne mediatiche lo strumento in base al quale adottare decisioni di carattere terapeutico,

impegna il Governo:

   a verificare in che modo e fino a che punto ci si prende cura dei bisogni delle persone affette da malattie rare, tenendo conto che sono spesso lasciate sole anche dal Servizio sanitario nazionale e in questo momento di crisi economica del Paese sono ulteriormente penalizzati;
   a coordinare a livello nazionale e promuovere a livello regionale, i registri delle patologie di rilevante interesse sanitario, in modo da fare chiarezza sul numero reale di pazienti che ne sono affetti, consentendo l'utilizzo mirato delle risorse pubbliche;
   a dare una definizione tempestiva delle «malattie rare» da includere nell'elenco delle patologie e provvedere all'aggiornamento di norma biennale tenendo conto delle nuove conoscenze tecniche ed epidemiologiche;
   ad istituire il Comitato nazionale delle malattie rare, presso il Ministero della salute, tenendo conto nella composizione dei rappresentanti delle regioni, dell'Istituto superiore della sanità e delle associazioni di tutela dei malati, nonché dei rappresentanti dei ministeri competenti in merito (salute, pubblica istruzione, università e ricerca, politiche per la famiglia, solidarietà sociale);
   a valutare l'opportunità di adempiere alla legge n. 648 del 1996, anche dal unto di vista delle risorse finanziarie al fine di permettere un più ampio e veloce accesso a cure innovative, non ancora approvate in Italia, mantenendo un criterio di equità tra le diverse patologie;
   a valutare l'opportunità di promuovere la defiscalizzazione delle spese sostenute in Italia per la ricerca clinica e pre-clinica relativa ai farmaci orfani e alle malattie rare, con particolare attenzione ai progetti rivolti al territorio delle regioni con disavanzo e sottoposte a piani di rientro;
   a valutare la possibilità di introdurre misure a favore dei farmaci orfani, sul modello vigente negli USA: l'esenzione dei diritti da versare per l'immissione in commercio; una procedura di registrazione accelerata; un credito di imposta pari al 50 per cento delle spese sostenute per la sperimentazione clinica; un periodo di esclusività di mercato di sette anni;
   ad assicurare su questi temi una tempestiva e qualificata comunicazione con l'opinione pubblica attraverso i media per evitare il diffondersi di false teorie, di false aspettative e di ingiustificati timori;
   a porre in essere tutte le iniziative necessarie per garantire la presa in carico dei malati affetti da malattie rare e delle loro famiglie;
   ad assumere iniziative dirette ad aggiornare l'allegato n. 1 del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità n. 279 del 2001, contenente l'elenco delle malattie rare esentate dalla partecipazione al costo, con cadenza biennale e non più triennale, prevedendo l'inserimento nello stesso di altre malattie rare finora escluse e, in particolare, delle 109 malattie rare inserite nel sopra citato elenco dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 aprile 2008;
   ad adottare iniziative che consentano l'accesso universale allo screening neonatale che sarebbe in grado di individuare precocemente nei neonati decine di malattie metaboliche ereditarie, evitando così gravissimi stati di invalidità;
   ad adottare le iniziative necessarie affinché le diagnosi di malattia rara siano effettuate dai presidi della rete di cui all'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n. 279, sulla base di appositi protocolli diagnostici e affinché gli stessi presidi della rete provvedano all'emissione della relativa certificazione di malattia rara con validità illimitata nel tempo e su tutto il territorio nazionale, al fine di assicurare l'erogazione a totale carico del Servizio sanitario nazionale di tutte le prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza;
   a portare a conclusione, il prima possibile, l’iter d'adozione del piano nazionale sulle malattie rare, concertando con le regioni un monitoraggio periodico delle fasi di attuazione;
   a favorire l'utilizzo off-label di farmaci di cui è nota l'efficacia, supportata da evidenze scientifiche, al fine di un eventuale inserimento nella lista del decreto-legge n. 536 del 1996, convertito dalla legge n. 648 del 1996, sviluppando da parte dell'Agenzia italiana del farmaco un'attenzione particolare per le malattie rare;
   ad assicurare l'istituzione e l'implementazione di network di ricerca relativi a singole malattie rare o a gruppi di esse che tengano conto dei criteri già definiti in sede europea per l'identificazione di centri e di network di eccellenza, facendo sì che tali network, oltre a dimostrare il possesso dei requisiti di eccellenza, siano collegati in rete ai rispettivi network europei ed internazionali ed abbiano dimensione di norma sovraregionale e nazionale;
   a valutare l'opportunità di includere nei livelli essenziali di assistenza previsti per i soggetti affetti da malattie rare, solo qualora prescritti dai presidi della rete nazionale delle malattie rare, le prestazioni per le terapie riabilitative, le prescrizioni non farmacologiche quali integratori alimentari o specifici alimenti, nonché i farmaci il cui costo è interamente a carico del cittadino, se funzionali al trattamento delle malattie rare;
   ad estendere la sorveglianza effettuata dal registro nazionale delle malattie rare a tutte le malattie rare e non solo – come ora previsto – a quelle per le quali è prevista la gratuità dell'assistenza da parte del Servizio sanitario nazionale;
   ad aggiornare l'elenco delle malattie rare esentate dalla partecipazione al costo, con cadenza almeno biennale:
   a garantire l'aggiornamento della rete nazionale delle malattie rare e delle esenzioni, nonché delle relative prestazioni sanitarie, predisponendo tutti gli atti necessari affinché quando una malattia rara è riconosciuta e certificata dai presidi della rete, questa sia inserita in tempo reale, nel registro nazionale delle malattie rare, snellendo l’iter burocratici che nulla hanno a che vedere con l'identificazione della malattia rara;
   a prevedere all'interno del Fondo Sanitario Nazionale risorse adeguate da destinare alle malattie rare;
   a valorizzare il centro nazionale per le malattie rare presso l'ISS chiamandolo a svolgere, tra le altre, le seguenti attività: coordinamento delle attività degli enti che svolgono attività di ricerca, promuovendo l'attività di aggiornamento dei dati presso medici e operatori sanitari; aggiornamento del registro delle malattie rare di cui all'articolo 3 del regolamento adottato con decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n. 279, coordinamento con l'attività dell'AlFA in materia di farmaci orfani; promozione delle attività di formazione per medici o operatori sanitari in materia di prevenzione, diagnosi e assistenza socio sanitari anche di tipo domiciliare; definizione di parametri e criteri per l'elaborazione di linee guida e protocolli più avanzati sulle malattie rare; elaborazione di linee di indirizzo e proposte da attuare nei settori della diagnosi e dell'assistenza, ricerca, tutela e promozione sociale, formazione;
   ad attivare iniziative finalizzate a rendere le persone con malattie rare consapevoli dei propri diritti e delle proprie potenzialità;
   a coinvolgere i rappresentanti associativi delle persone con malattie rare nei tavoli decisionali;
   ad introdurre la valutazione qualitativa periodica dei centri e dei presidi anche attraverso il pieno coinvolgimento delle associazioni dei pazienti e degli altri soggetti interessati della rete;
   a favorire, per quanto di sua competenza, l’iter delle proposte di legge di iniziativa parlamentare allo scopo di procedere all'approvazione della normativa in materia di malattie rare e farmaci orfani in tempi certi, evitando ritardi che si ripercuotono sul diritto alla salute di tanti cittadini.
(1-00382) «Binetti, Lenzi, Silvia Giordano, Palese, Nicchi, Dorina Bianchi, Balduzzi, Rondini, Argentin».

Risoluzioni in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    sul giornale nazionale Il Tempo del 14 marzo 2014, è stata pubblicata un'ampia intervista al Presidente nazionale della Coldiretti, dottor Roberto Moncalvo, vertente sui rischi dei prodotti agroalimentari d'importazione e sulla scarsa o inesistente informazione circa la loro origine, nonché sulla riservatezza circa la provenienza delle materie prime alimentari importate, sul loro utilizzo nelle imprese industriali di trasformazione ed in quali prodotti finiti siano presenti al momento della loro vendita al consumatore;
    il presidente Moncalvo, in particolare, nel confermare come ormai in Italia i consumatori siano maturi e consapevoli sui rischi alimentari e pertanto siano sempre più esigenti nel chiedere informazioni certe sull'origine dei prodotti agroalimentari e sulle materie prime con cui vengono elaborati, sottolinea anche il fatto che il Ministero della salute conosca la provenienza della totalità dei prodotti alimentari d'importazione e delle materie prime agricole utilizzate in Italia per preparare altre derrate che di norma sono commercializzate come prodotti di origine nazionale. Di tali prodotti agroalimentari importati, però, il Ministero della salute non fornisce né le identità e né gli esiti dei controlli cui le autorità competenti li sottopongono sia presso i punti d'importazione (dogane), sia presso gli eventuali luoghi di trasformazione e presso i punti di vendita finale al consumatore;
    giova anche ricordare al riguardo che il Ministero della salute è il punto di contatto del Piano Nazionale Integrato (PNI o MANCP), ai sensi del Regolamento (CE) n. 882/2004, il quale descrive il «Sistema Italia» dei controlli ufficiali in materia di alimenti, mangimi, sanità e benessere animale e sanità delle piante ed è finalizzato alla razionalizzazione delle attività, mediante un'opportuna considerazione dei rischi ed un adeguato coordinamento di tutti i soggetti istituzionali coinvolti. Al Piano Nazionale Integrato partecipano autorità nazionali con i loro relativi corpi ispettivi: Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero della salute, istituzioni regionali e laboratori di analisi autorizzati, Comando carabinieri per la tutela della salute, Carabinieri delle politiche agricole ed alimentari, Carabinieri per la tutela dell'ambiente, Corpo forestale dello Stato, Guardia di finanza, capitanerie di porto, Agenzie delle dogane, Istituto superiore di sanità, agenzie regionali, aziende sanitarie locali. Per quanto riguarda il sistema degli alimenti, il Piano Nazionale Integrato si occupa dei seguenti settori: sicurezza e nutrizione; qualità merceologica; acque potabili e minerali; importazioni e scambi. Per quanto riguarda i controlli sui prodotti di origine animale, presso le frontiere si eseguono controlli documentali e d'identità sul 100 per cento delle partite, nonché controlli di laboratorio sul 3 per cento delle partite presentate per l'importazione come stabilito dal piano di monitoraggio sui controlli di laboratorio. Per ciò che riguarda i prodotti di origine non animale, si effettuano controlli documentali ed ispettivi (con o senza campionamento e analisi), dei documenti commerciali e certificati (sistematici) e controlli di identità/ispezione visuale (frequenza variabile a seconda del tipo di merce e del suo stato - confezionata o meno), oltre che controlli materiali su imballaggi, su etichettatura, su temperatura e controlli analitici (frequenza variabile dal 5 per cento al 100 per cento a seconda se si tratta di controllo abituale o accresciuto);
    il Ministero della salute applica su questa materia il principio della riservatezza delle informazioni in quanto ritiene che i risultati dei controlli effettuati per la rintracciabilità delle derrate alimentari importate, siano dati sensibili;
    un caso eclatante che richiama il presidente Moncalvo nell'intervista di cui sopra, è quello del concentrato di pomodoro importato, in gran parte dalla Cina, (trattasi di oltre 150.000 tonnellate di concentrato, contenuto in fusti da 200 kg), che poi viene trasformato o aggiunto alla produzione nazionale da determinate imprese agroindustriali per produrre passata di pomodoro italiana;
    si tratta di prodotti che provengono spesso da paesi esteri in cui non sono applicate le rigorose norme sulla sicurezza alimentare che invece sono applicate in Italia ed a cui devono sottostare i nostri agricoltori e le nostre imprese agricole, a cominciare dall'uso responsabile (ed autorizzato) dei prodotti fitosanitari, passando per la loro corretta gestione ed il controllo dei loro residui nei prodotti finali, fino al rispetto della loro etichettatura nella vendita finale, senza tralasciare le altre norme sui vincoli in materia di benessere animale e di tutela dell'ambiente;
    per assicurare questi elevati standard di qualità i nostri agricoltori effettuano ingenti investimenti e sopportano elevati costi di produzione, ciò che al contrario non accade per i prodotti d'importazione che oltre ad essere insidiosi per i consumatori, sono per questo anche meno costosi e perciò diventano spietati e sleali concorrenti di quelli nazionali;
    sono noti i molteplici casi di sequestri di alimenti avariati che, se immessi sul mercato, potrebbero causare problemi ai consumatori, ma mai si fanno i nomi di chi li abbia prodotti, come pure non si forniscono i nominativi delle imprese che importano materie prime risultate negative ai controlli doganali o presso le industrie di trasformazione. Tuttavia, seppure non vengono fornite le generalità delle aziende e dei marchi coinvolti, essi sarebbero molto utili per il pubblico, in modo da permettere al consumatore di scegliere con cognizione di causa il prodotto da acquistare e, tanto più, eliminarlo se presente in dispensa;
    sembra che per quanto riguarda i nomi o i marchi delle aziende coinvolte nei sequestri, occorra attendere gli accertamenti penali delle persone implicate, oltre che gli esiti di laboratorio di eventuali analisi richieste dalla magistratura per avere la certezza e il tipo di reato;
    sotto questo punto di vista la nostra normativa è garantista e non consente la comunicazione di nomi o marchi alla stampa o ai cittadini fino ad indagini concluse, anche se in caso di situazioni di grave pericolo per la salute pubblica, la comunicazione è invece immediata;
    ma se in Italia risulta impossibile per i consumatori avere informazioni trasparenti ed aggiornate sull'origine effettiva degli alimenti che acquistano, sulle eventuali irregolarità o ipotesi di illecito che vengono imputate alle imprese produttrici o importatrici e sui nomi dei prodotti stessi e dei loro marchi d'impresa, in altri Stati europei tali ostacoli non esistono ed anzi viene messa davanti ad ogni riserva di tipo burocratica, la trasparenza dell'informazione verso i consumatori;
    la Repubblica Ceca in particolare, dal mese di luglio 2012 ha messo in rete un elenco dei prodotti alimentari segnalati nel corso dei controlli oppure ritirati dal mercato per i più svariati motivi;
    nelle pagine consultabili in rete di questo sito è possibile si trovare di tutto: prodotti ammuffiti, etichette errate, presenza di coloranti vietati, sofisticazioni, adulterazioni. I prodotti sono fotografati e affiancati da una scheda molto dettagliata, che illustra i motivi della segnalazione, il Paese di origine, indicando il nome del distributore o del venditore e il lotto;
    questo sito offre ciò che serve al consumatore della Repubblica Ceca per individuare se nella dispensa di casa è custodito uno dei prodotti sotto accusa;
    il sito in questione è presente all'indirizzo: www.potravinvnapranyri.cz, «cibo alla Gogna». Esso è stato lanciato il 10 luglio 2012 durante la conferenza stampa tenuta dal Ministro dell'Agricoltura della Repubblica Ceca, l'Ingegnere Petr Bendl ed il Direttore Generale dell'autorità per i controlli CAFIA, l'ingegnere Jakub Šebesta;
    la CAFIA è una amministrazione statale della Repubblica Ceca, alle dipendenze del Ministero dell'agricoltura. Si tratta di una autorità statale responsabile della supervisione della sicurezza, la qualità e l'etichettatura dei prodotti alimentari;
    lo scopo del sito è quello di informare i consumatori sulla scarsa qualità degli alimenti, sul cibo adulterato o non sicuro rivelato nel corso dei controlli ufficiali eseguiti dalla CAFIA;
    l'obiettivo del progetto del Ministero dell'agricoltura della Repubblica Ceca è migliorare la posizione dei consumatori che di norma sono l'anello finale del mercato alimentare e del più ampio settore della sicurezza e della qualità alimentare;
    nella prima operazione di 24 ore, il sito fu stato visitato da oltre 200 mila visitatori con una lettura superiore a 4 milioni di pagine e spendono una media di 6,45 minuti sul sito;
    nel sito in oggetto il cibo è suddiviso in tre categorie in base alla severità della non osservanza dei requisiti di legge: di scarsa qualità, adulterati e non sicuri. Vi è un simbolo di una mela visualizzato accanto a ciascun prodotto alimentare non idoneo – il colore giallo indica che il prodotto alimentare appartiene ai prodotti di scarsa qualità, arancione indica che appartiene ai prodotti adulterati e rosso indica che appartiene ai prodotti non sicuri. Il nome del prodotto, la categoria di alimenti e la sottocategoria ed il luogo di ispezione, vengono visualizzati insieme al paese di origine con la bandiera del rispettivo paese e l'immagine del prodotto;
    dopo aver cliccato sul prodotto, il consumatore può visualizzare le seguenti informazioni: il parametro del prodotto non risultato conforme alla legislazione di settore, un'informazione per il consumatore, il lotto, la data di scadenza, informazioni sulla persona che è stata ispezionata, il produttore/importatore/distributore – se sono noti, il paese d'origine, il luogo di produzione e le foto del prodotto,

impegna il Governo:

   ad intraprendere le iniziative volte a far sì che anche in Italia si possano fornire ai consumatori i dati e le informazioni relative ai prodotti agroalimentari ed alle materie prime alimentari importate ed agli esiti non positivi dei controlli allo scopo effettuati, con particolare riferimento ai nomi delle imprese che li fabbricano o li importano o li distribuiscono, ai parametri per cui eventualmente tali prodotti non siano risultati conformi alle relative norme di settore, tra cui quelle sulla sicurezza alimentare o sulla qualità e l'igiene degli alimenti, sul rispetto della sicurezza nelle fasi della produzione, nonché sulla tutela dell'ambiente e del benessere degli animali, ad ogni modo rendendo sempre disponibili i dati relativi all'importazione ed all'utilizzo delle materie prime che essendo analoghe a quelle tipiche della tradizione agricola ed alimentare italiana, vengono poi aggiunte o sostituite nelle preparazione di queste ultime e vendute come vere produzioni italiane, come nel caso del concentrato di pomodoro di origine cinese citato in premessa;
   ad attivare anche nel nostro Paese, analogamente a quanto ha già fatto la Repubblica Ceca con il sito «Cibo alla Gogna», un sito internet in favore della trasparenza e dell'informazione dei consumatori, che riporti le generalità dei prodotti e dei relativi produttori o importatori o distributori, che siano risultati non positivi ai controlli allo scopo previsti o che siano stati segnalati nel corso dei controlli oppure siano stati ritirati dal mercato a causa delle non conformità in tal senso accertate.
(7-00307) «Mongiello».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    lo studio della dottoressa Maristella Rubbiani, primo ricercatore dell'istituto superiore di sanità, dal titolo «La problematica relativa alla presenza di coformulanti pericolosi nei preparati antiparassitari di uso agricolo o domestico», spiega come questi coformulanti, spesso più pericolosi della sostanza attiva autorizzata, vengano utilizzati come solventi, adesivanti, bagnanti, tensioattivi ed altro, nei preparati antiparassitari di uso agricolo, domestico o civile;
    la normativa vigente non prevede, per alcuni di questi agenti, l'obbligatorietà della dichiarazione in etichetta relativamente alla identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato; infatti, mentre per legge solo l'ingrediente attivo deve essere specificato in etichetta con nome e percentuale in peso presente nel prodotto finito, per i coformulanti è sufficiente il nome collettivo («coformulanti e solventi») e la percentuale cumulativa presente nel prodotto, senza l'identificazione specifica di ogni sostanza;
    talvolta, in caso di intossicazione ad esempio, risulta estremamente difficoltoso risalire alla vera causa del danno tossicologico; alcune sostanze possono essere utilizzate come ingredienti attivi in certi prodotti specifici, ma fungere da solventi, ed essere quindi considerati coformulanti, in altri preparati,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per rendere obbligatoria l'indicazione della dichiarazione in etichetta relativamente alla identità ed alla concentrazione della sostanza utilizzata come coformulante all'interno del preparato.
(7-00308) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Cecconi, Baroni, Dall'Osso, Di Vita, Silvia Giordano, Grillo, Lorefice, Mantero».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il 14 marzo 2014, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale), che prevedeva vantaggi per i locatari che registravano contratti di affitto in nero;
   la motivazione della sentenza risiede in un eccesso di delega: i contenuti del decreto legislativo n. 23 del 2011, sono andati oltre i principi e criteri direttivi fissati nella legge delega, violando l'articolo 76 della Costituzione;
   in particolare la Consulta ha dichiarato incostituzionale la disposizione che riguarda la cedolare secca sui contratti di locazione, in particolare i due commi 8 e 9, che stabilivano, dei vantaggi per l'inquilino che procedeva alla registrazione nei casi in cui il contratto d'affitto non era stato registrato entro il termine previsto dalla legge; quando in esso era indicato un importo inferiore a quello reale; o quando, al posto di un contratto di locazione, era stato registrato un finto comodato gratuito;
   detti vantaggi consistevano nel fissare la durata della locazione in quattro anni più quattro, a decorrere dalla data di registrazione, volontaria o d'ufficio, e nel ridurre il canone annuo in misura pari al triplo della rendita catastale (importo che in genere è del 70-80 per cento inferiore ai valori di mercato);
   la sentenza della Corte ha effetto retroattivo, e conseguentemente diventano nulli i contratti che sono stati registrati dagli inquilini o dai funzionari del Fisco a partire dal 6 giugno 2011;
   in Italia sono potenzialmente 500 mila i contratti irregolari che dal 2011 ad oggi potrebbero aver registrato il contratto di locazione in nero, così imponendo ai proprietari di subire la drastica riduzione del canone. Oggi tutte queste persone, almeno uno o due milioni di soggetti, potrebbero essere costrette a pagare ai proprietari, con gli interessi, la parte di canone che hanno risparmiato;
   gli effetti della sentenza rischiano di essere pesantissimi. Un problema sociale ingente e un colpo duro per molte famiglie, anziani e studenti, in un momento di crisi economica gravissima –:
   se non si ritenga urgente assumere iniziative per giungere a una quantificazione dei soggetti potenzialmente interessati dalla suddetta sentenza, e per stimare l'entità complessiva del danno che potrebbe mettere sul lastrico centinaia di migliaia di persone;
   quali conseguenti immediate iniziative si intendano adottare per evitare che i pesanti effetti della sentenza della Corte costituzionale ricadano su centinaia di migliaia di inquilini che, senza alcuna responsabilità, rischiano di pagare per colpe riconducibili a norme varate nel 2011 dal Governo Berlusconi, valutando in particolare la possibilità di istituire un apposito fondo finalizzato a sostenere gli oneri che attualmente sarebbero solo a carico dei suddetti inquilini.
(2-00460) «Piazzoni, Zan, Zaratti, Pellegrino, Nicchi, Aiello, Di Salvo, Migliore, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Ferranti».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BERGAMINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   dopo ben quattro anni parte il processo relativo al disastro ferroviario più grave che sia mai avvenuto nel nostro Paese: il 29 giugno del 2009 un convoglio merci carico di GPL ha deragliato in prossimità della stazione della città di Viareggio, in pieno centro città, causando distruzione e la morte di 32 persone, tra le quali alcuni bambini;
   in occasione dell'udienza di apertura del processo tenutasi il 13 novembre 2013 l'avvocato dello Stato che rappresenta la Presidenza del Consiglio dei ministri e i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'interno ha annunciato che lo Stato non si costituirà parte civile;
   l'avvocato dello Stato ha motivato tale decisione con il fatto che è in fase di definizione una transazione tra lo Stato e le assicurazioni di FS e Gatx (la società proprietaria del convoglio che deragliò);
   i cittadini e le istituzioni della città si attendono che il Governo, al contrario, si costituisca parte civile dimostrando così la propria vicinanza alle vittime –:
   se non ritenga opportuna la costituzione di parte civile da parte dello Stato nel processo in corso per la strage di Viareggio al fine di garantire ai familiari delle vittime un sostegno non solo materiale, ma anche morale, manifestando altresì ad essi in modo concreto il dovuto sostegno dello Stato e dando loro quella giustizia e verità che, con dignità e rispetto nonostante il tremendo lutto subito, chiedono. (5-02383)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   al termine del commissariamento (1997-2013) per l'emergenza sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e dopo un anno di digestione politica della materia da parte dell'assessorato regionale all'ambiente, la regione Calabria versa in piena emergenza, senza che sia stato adottato un piano per mettere a regime un efficace trattamento complessivo dei rifiuti;
   a causa del maltempo, nel febbraio ultimo scorso la discarica di Pianopoli (Catanzaro), unico sito di conferimento individuato come utilizzabile dalla regione Calabria per gran parte dell'area centro-nord del territorio regionale, è rimasto chiuso creando l'ennesima emergenza ambientale;
   il dipartimento ambiente della regione Calabria, che inizialmente aveva inibito con ordinanza N. 62821 del 21 febbraio 2014 il conferimento dei rifiuti dei comuni di Cosenza, Rende e Paola nella discarica di Celico (Cosenza), il 4 marzo 2014 emetteva altra ordinanza (n. 76660) in contrasto con la precedente, con la quale disponeva il conferimento di circa 350 tonnellate di rifiuti indifferenziati al giorno nella discarica di Celico, principalmente dei predetti comuni;
   l'ordinanza del suddetto dipartimento faceva seguito all'ordinanza urgente n. 41 del 10 maggio 2013, successivamente prorogata sino al 10 maggio 2014 con l'ordinanza n. 146 dell'11 novembre 2013, con la quale si disponeva lo sversamento dei rifiuti in discarica senza alcun trattamento, ciò in contrasto con le leggi nazionali (decreto legislativo n. 152 del 2006 e decreto legislativo n. 36 del 2003) e comunitarie (direttiva 1999/31/CE);
   la discarica di Celico è di proprietà della società MI.GA. srl, che fa capo al gruppo Vrenna, citato nella relazione della commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, nella quale si riferisce che «benché non abbia avuto un riscontro processualmente rilevante, è emersa l'esistenza di posizioni cosiddette “di reciproco rispetto” tra i mafiosi e Vrenna, che riuscivano a relazionarsi e a intendersi, e dunque di rapporti che possono definirsi “gelatinosi”, per usare una terminologia recentemente entrata in uso in altre inchieste»;
   la discarica in questione sorge a ridosso del Parco nazionale della Sila – che, si rammenta è candidato a Mab Unesco – a circa 500 metri di distanza da centri abitati, a un'altitudine di 800 metri, a ridosso dei torrenti Pinto e Cannavino, in un'area con il maggiore rischio sismico, condizioni che avrebbero dovuto scoraggiare il rilascio delle dovute autorizzazioni;
   a seguito dell'ordinanza eccezionale sopra richiamata, i cittadini dell'area in cui insiste la discarica di Celico si sono legittimamente mobilitati per tutelare il loro territorio;
   lo sversamento del «tal quale» in discarica avrebbe causato, infatti, ingenti danni all'ambiente circostante, con conseguente avvelenamento dei torrenti e delle falde acquifere, mettendo a repentaglio la salute degli abitanti della Presila e di Cosenza;
   la pacifica mobilitazione della cittadinanza – che con un presidio permanente ha ostacolato il transito contro le norme vigenti di rifiuti indifferenziati – e il suggerimento di alcuni sindaci – che hanno individuato una soluzione per risolvere la grave emergenza ambientale della città capoluogo – hanno indotto il dipartimento ambiente della regione Calabria a emettere un'ordinanza successiva per il trattamento dei rifiuti prima dell'abbanco in discarica, come previsto dalla normativa in vigore;
   durante il presidio della strada di accesso alla discarica da parte dei manifestanti, sostenuti da sindaci e altri amministratori della zona, stando a testimonianze esperibili, si sono susseguiti tentativi da parte delle forze dell'ordine di sgombero dell'area;
   l'ultimo dei suddetti tentativi è avvenuto a meno di due ore da un incontro previsto tra sindaci e prefetto, funzionale all'individuazione di una soluzione all'emergenza in argomento;
   durante il confronto pacifico e civile tra i manifestanti – che chiedevano il rispetto della legalità – e le forze dell'ordine – che cercavano di liberare la strada per consentire il transito di un mezzo – si assisteva a pericolosi tentativi di sfondamento del presidio, con il coinvolgimento di un manifestante, vittima di una compressione toracica e ricoverato in ospedale;
   successivamente, in prefettura veniva raggiunto un accordo sul ritiro dell'ordinanza contestata;
   i tentativi di sfondamento del presidio e l'accordo in prefettura avvenivano lo scorso 10 marzo, ciononostante il giorno successivo si assisteva allo schieramento imponente di forze dell'ordine e di mezzi, a presidio di una strada che in virtù delle decisioni già assunte in prefettura sarebbe stata, come poi è avvenuto, libera da manifestanti;
   parte dei manifestanti ha ricevuto una contestazione amministrativa ai sensi dell'articolo 14, comma 2, della legge n. 689 del 24 novembre 1981, con obiettivo effetto di dissuasione rispetto alla protesta di massa, legittima e legale a parere dell'odierno interrogante –:
   se non ritengano di assumere iniziative per dichiarare lo stato di emergenza nel settore della gestione rifiuti nella regione Calabria, sotto il diretto controllo della Presidenza del Consiglio;
   quali provvedimenti, per le rispettive competenze, intendano adottare per evitare che si reprimano forme di dissenso civile per il rispetto delle leggi da parte dell'amministrazione pubblica. (4-04053)


   LABRIOLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sono sempre più numerosi in Italia i casi di bambini strappati con la forza alla famiglia naturale e affidati a istituti o a genitori adottivi;
   l'allontanamento dei minorenni dal proprio nucleo familiare è stato riportato ancora una volta alla ribalta, nei giorni scorsi, da alcune trasmissioni televisive, le quali hanno documentato anche la superficialità che a volte viene usata in tali situazioni;
   in Italia il fenomeno ha raggiunto numeri che impongono una seria riflessione: più di 32.000 bambini vengono chiusi nelle comunità o dati in affido, in alcuni casi con giustificate motivazioni in altri sulla base di ragioni a dir poco fumose ed inconsistenti. Un numero enorme, che costa allo Stato mezzo miliardo di euro all'anno solo in rette giornaliere. Un sistema che negli ultimi mesi è stato messo in discussione da alcune associazioni, libri e pubblicazioni che raccontano addirittura di «bambini rubati dalla giustizia», di assistenti sociali troppo interventisti, di psicologi disattenti, di una magistratura impassibile e fredda nell'emanare tali disposizioni;
   una così brutale e definitiva lacerazione del legame umano in assoluto più forte e profondo, quello tra genitore e figlio minore, è un fatto di tale gravità che pone ad ogni cittadino urgenti quesiti di ordine morale, giuridico e psicologico;
   la legge che disciplina adozione e affidamento dei minori è la n. 184 del 4 maggio 1983, le cui lacune più macroscopiche riguardano proprio il suo ambito di applicazione, nel quale si può riscontrare, a favore dei giudici minorili e dei loro consulenti (assistenti sociali, medici, psicologi), un assoluto potere discrezionale;
   la legge dopo aver solennemente sancito che «il minore ha diritto di essere educato nell'ambito della propria famiglia», prosegue affermando: «il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad un'altra famiglia.... o ad una persona singola, o ad una comunità. Ove non sia possibile un conveniente affidamento familiare, è consentito il ricovero del minore in un Istituto... da realizzarsi di preferenza nell'ambito della regione di residenza del minore....»;
   sono numerosissime le segnalazioni pervenute in questa e nelle precedenti legislature alla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, da parte di privati e associazioni no profit che denunciano il cosiddetto fenomeno degli «allontanamenti facili», quasi tutti conseguenza di analisi frettolose di separazioni conflittuali o di difficoltà economiche familiari –:
   quali iniziative normative il Governo ritenga opportuno assumere, nell'ambito di una generale riflessione sullo stato delle politiche sociali e familiari in Italia, al fine di ridefinire i ruoli e le competenze di chi è deputato alla tutela del minore fuori dalla famiglia (il giudice tutelare e gli assistenti sociali in primo luogo), al fine soprattutto di disincentivare la «prassi» degli allontanamenti «non giustificati», favorendo invece programmi di supporto a sostegno della genitorialità da attivare all'interno della famiglia stessa. (4-04058)


   LUIGI DI MAIO. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il TAR Lazio ha depositato la sentenza n. 03048/2012 sul ricorso proposto dall'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e dall'Unione province italiane (UPI) contro l'ISTAT per impugnare la loro inclusione nell'elenco delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato dello Stato. Il Tar Lazio ha respinto il ricorso asserendo che il controllo dell'ANCI è esercitato dai comuni associati, tramite gli organi dell'Associazione; la sentenza ha ritenuto che l'attività dell'ANCI ha evidenti riflessi sulla spesa pubblica, poiché essa non ha entrate proprie ma agisce esclusivamente con i contributi versati dagli enti associati e con i finanziamenti assicurati dallo Stato;
   la sentenza ha ritenuto infondata la questione di legittimità posta dalle associazioni ricorrenti ove affermano che l'inserimento nell'Elenco le costringerebbe a limitare la propria spesa «entro i parametri quantitativi assai penalizzanti e comunque predeterminati»; il TAR del Lazio ha sottolineato che la questione posta è davvero incomprensibile poiché mossa da due soggetti che vivono utilizzando proventi pubblici sui quali non hanno alcun diritto;
   la sentenza ha infine evidenziato che il costo sostenuto dagli enti locali e dallo Stato per mantenere in vita le due Associazioni è talmente documentato che ragioni di prevalente interesse pubblico impongono di intervenire, soprattutto nell'attuale periodo di grave crisi economica, introducendo restrizioni e controlli nei confronti di soggetti che beneficiano di ingenti contributi e finanziamenti pubblici;
   nei mesi precedenti la sentenza, ricorrenti articoli di stampa denunciavano gli sprechi e ribadivano la necessità di ridurre i costi del gruppo ANCI, l'associazione aveva quindi annunciato sugli organi di stampa che stava per adottare un codice etico, operando vari interventi per rendere più trasparenti i propri bilanci e l'uso delle risorse pubbliche;
   vari organi di informazione hanno sollevato dubbi circa la gestione delle risorse finanziarie dell'ANCI nell'ultimo decennio, ovvero in un lungo periodo in cui al comando dell'ANCI e delle società controllate e partecipate, si sono alternati vari sindaci come presidenti dell'associazione (Domenici, Chiamparino, Delrio) sempre con Angelo Rughetti come segretario generale, oggi sottosegretario di Stato;
   nel corso degli ultimi 6 anni tra le numerose società controllate da ANCI, costituite per la fornitura di servizi all'associazione e alla rete dei comuni e per implementare progetti istituzionali, finanziati da risorse pubbliche, c’è stato un elevato tasso di mortalità con evidenti costi economici e sociali;
   la società Ancidata srl è stata costituita nel 2012 da Ancitel spa con Data management spa, la quale è controllata dalla Almeida SA società privata di diritto lussemburghese (che non risulta essere controllata da alcun soggetto ai sensi dell'articolo 93 TUF) e da CO.GE.IN. srl, come evidenziato dalla relazione sul governo societario dell'esercizio 2012 di Exprivia spa e prima ancora dal provvedimento n. 16101 dell'AGCOM del 24 ottobre 2006;
   anche per Ancidata srl – dopo soli 18 mesi di attività – è prevista oggi la chiusura tramite fusione per incorporazione in Ancitel spa. La fusione di Ancidata, difatti ingiustificata, consentirebbe al socio privato Data management spa di entrare nell'azionariato di Ancitel spa al fine di acquisirne il controllo, ponendo in minoranza ANCI, da 25 anni socio di maggioranza di Ancitel spa;
   Il Fatto Quotidiano del 22 gennaio 2013 ha infine pubblicato i dati sulle donazioni erogate dai privati ad alcuni deputati nel corso della campagna elettorale delle Politiche 2013, nell'articolo è evidenziato che Angelo Rughetti, sino alla metà del 2013 Segretario Generale di ANCI (da oltre 10 anni), ha usufruito di donazioni erogate anche da COGEIN srl per 10 mila euro, Data management spa per 10 mila euro, Sistemia spa per 10 mila euro e SPQR 2000 srl per 5 mila euro;
   appare all'interrogante oltremodo singolare che un soggetto come ANCI, inserito nell'elenco delle amministrazioni pubbliche, non applichi tuttora i necessari provvedimenti per adottare regole di governance confacenti alla sua natura pubblica, con il rispetto di un codice etico che consenta all'Associazione e alle società partecipate di rendere più trasparenti i propri bilanci e l'informazione sull'uso delle risorse pubbliche, facilitando inoltre i controlli normalmente operati nei confronti dei soggetti pubblici –:
   se il Governo non ritenga di doversi attivare urgentemente, anche utilizzando i poteri normativi di cui dispone, per garantire che organismi come ANCI, ricompresi nell'elenco delle amministrazioni pubbliche, possano celermente correggere il proprio operato adottando misure di governance per rispettare pienamente le regole di finanza pubblica e per disciplinare la gestione della associazione e delle società controllate, tra cui ANCITEL spa principale società del gruppo, anche alla luce delle operazioni di riassetto societario in corso, a tutela dei prevalenti interessi pubblici. (4-04076)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto ha dichiarato l'Alto Commissario per i diritti umani Navi Pillay, l’iter giudiziario a cui sono sottoposti i due marò italiani, arrestati in India sta violando i loro diritti umani, determinando un nuovo capitolo nella complessa vicenda giuridico-diplomatica dei fucilieri della Marina militare Latorre e Girone;
   a tal proposito in un articolo pubblicato dal quotidiano: «Il Tempo» il 15 marzo, il professor Tullio Scovazzi, docente di diritto internazionale presso l'università degli studi di Milano-Bicocca, ha rilevato come sia l'India che l'Italia sono parti del Patto internazionale sui diritti civili e politici, aggiungendo inoltre che l'articolo 9 del documento prevede, tra l'altro: «Chiunque sia arrestato è informato, al momento dell'arresto, delle ragioni del suo arresto ed è prontamente informato di ogni accusa contro di lui e ha diritto a un giudizio entro un tempo ragionevole o a essere liberato» (traduzione non ufficiale italiana);
   nel caso specifico, considerato il comportamento delle autorità giudiziarie indiane, nonostante il fatto che il procedimento sia indubbiamente complesso e che i fucilieri stessi abbiano invocato la loro immunità dalla giurisdizione indiana, cosa che non ha contribuito ad accelerarne la soluzione, la vicenda che dura ormai da oltre due anni, a giudizio dell'interrogante, necessita ulteriori interventi rispetto a quelli già intrapresi in tutte le sedi internazionali;
   i diritti umani, secondo quanto affermato dal docente, sono enunciati nella Costituzione e nelle leggi degli Stati, ed hanno un doppio livello di protezione, in quanto sono enunciati anche in numerosi trattati internazionali mediante i quali gli Stati si obbligano a rispettare determinati diritti umani (ad esempio, la Convenzione europea dei diritti umani);
   tali trattati creano diritti e obblighi per gli Stati che ne sono parti ed anche i singoli individui possono direttamente fare valere tali diritti o di fronte agli organi degli Stati o di fronte ad appositi organi giudiziari o quasi giudiziari istituiti dai trattati stessi (ad esempio, la Corte europea dei diritti umani);
   l'interrogante evidenzia come le osservazioni riportate nel corso dell'intervista pubblicata dal suindicato quotidiano, siano condivisibili e necessitano pertanto ulteriori approfondimenti –:
   quali iniziative di competenza intendano assumere in relazione alla vicenda di cui in premessa. (4-04061)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il piombo è uno del quattro metalli più tossici che causa danni importanti ai reni, al sangue, al sistema riproduttivo e, soprattutto, al sistema nervoso centrale. Il piombo risulta dannoso anche se si è esposti a bassi livelli ma in modo costante nel tempo. Il pericolo aumenta per i bambini e soprattutto per i feti poiché il loro sistema nervoso è ancora in fase di costituzione ed è quindi particolarmente sensibile agli effetti nocivi di questo metallo (Canfield et al., 2003; Chandramouli et al., 2009);
   a causa della intensa attività venatoria, in Italia ogni anno si accumulano sul territorio tonnellate di piombo nei terreni, nelle falde acquifere e negli animali selvatici attraverso i quali, inevitabilmente, entra nella catena alimentare;
   appare quanto meno contraddittorio, a parere degli interroganti, che la legge imponga di raccogliere e smaltire mediante riciclaggio le batterie al piombo esauste e poi ammetta e finanzi la diffusione diretta del piombo nei boschi per opera dei cacciatori, per i quali è vietato l'utilizzo di pallini al piombo per uso venatorio solo nelle zone umide (Piano d'azione collegato all'accordo AEWA del 1999 e successiva Risoluzione AEWA 4.1 del 2008);
   in sede europea, nessun atto normativo fa esplicito riferimento alla problematica, tuttavia le direttive uccelli (2009/147/CE) e habitat (92/43/CEE) prevedono che specie e habitat siano adeguatamente tutelati. I Paesi membri pertanto sono tenuti ad una «saggia utilizzazione» della fauna selvatica e degli ambienti e devono impedire ogni attività che possa costituire una minaccia per la loro conservazione;
   in Italia, la legge quadro nazionale n. 157 del 1992 «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio» stabilisce quali mezzi possono essere utilizzati per l'esercizio della caccia (articolo 13), ma non fornisce indicazioni specifiche sul tipo di materiale che deve essere utilizzato nelle munizioni. Maggiori restrizioni sono previste invece nel caso del controllo della fauna selvatica, che deve essere «praticato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici», su parere dell'ISPRA (articolo 19);
   alla luce delle evidenze scientifiche disponibili, le munizioni contenenti piombo non possono essere annoverate tra i metodi ecologici; inoltre non possono nemmeno essere adottate in via eccezionale, essendo disponibili valide alternative, come risulta dai pareri rilasciati dall'ISPRA ai sensi di legge (rapporto ISPRA n. 158 del 2012);
   risulta agli interroganti che l'unico atto normativo a livello nazionale che prevede espressamente limitazioni sull'uso di munizionamento contenente piombo è il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 184 del 17 ottobre 2007 recante «Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a ZSC e a ZPS»;
   all'articolo 2, comma 4, lettera i), per tutte le zone speciali di conservazione (ZSC) è previsto il «divieto di utilizzo di munizionamento a pallini di piombo all'interno delle zone umide, quali laghi, stagni, paludi, acquitrini, lanche e lagune d'acqua dolce, salata, salmastra, nonché nel raggio di 150 metri dalle rive più esterne a partire dalla stagione venatoria 2008/2009
   all'articolo 5, comma 1, lettera d), il decreto dispone che le regioni e le province autonome provvedano a porre lo stesso divieto anche per tutte le zone di protezione speciale (ZPS);
   a livello regionale sono stati approvati regolamenti che recepiscono il decreto n. 184 del 2007. Inoltre, localmente sono state assunte iniziative per superare l'uso del piombo nelle operazioni di controllo della fauna selvatica che arreca danni alle attività antropiche;
   queste esperienze dimostrano come sia possibile bandire le munizioni tradizionali per tutte le forme di caccia e di controllo, garantendo il mantenimento delle pratiche venatorie tradizionali;
   per quanto riguarda i materiali alternativi al piombo per attività venatoria, al momento non risulta agli interroganti che nel nostro Paese siano previsti controlli specifici sulla tossicità dei materiali alternativi, prima della loro commercializzazione;
   negli Stati Uniti d'America, a tal fine, sono stati approvati 12 tipi di leghe o materiali compositi che prevedono principalmente l'uso di bismuto, ferro, tungsteno, rame, stagno e polimeri (Capitolo 11 rapporto ISPRA n. 158 del 2012) –:
   se il Governo, per quanto esposto in premessa, allo scopo di tutelare l'ambiente e il patrimonio faunistico – patrimonio indisponibile dello Stato – posto che la caccia è attività esclusivamente ludica che non può avere maggior valore rispetto alla salute pubblica ed alla tutela dell'ambientale, non ritenga opportuno disporre una estensione del divieto di utilizzo di pallini di piombo, a tutte le aree in cui è consentita l'attività venatoria, disponendo la sua sostituzione con altro materiale non tossico, nonché proibirne il commercio e la detenzione posto che, diversamente, sarebbe estremamente difficile effettuare i controlli e garantire l'effettiva applicazione del divieto;
   se il Governo non ritenga di intervenire nelle sedi opportune affinché venga creata un'apposita agenzia a livello internazionale, incaricata di valutare il grado di tossicità dei materiali alternativi al piombo per attività venatoria, sul modello dei protocolli definiti dagli Stati Uniti d'America. (5-02386)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIARO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Sistri (sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) già a maggio 2011, in fase sperimentale (cosiddetto «click day»), evidenziò il suo livello di inadeguatezza, approssimazione e scarsa funzionalità che sostanzialmente sembra essere rimasto tale, arrecando problemi alle imprese obbligate all'utilizzazione di questo strumento informatico che, anziché risultare semplice, si è rilevato complesso e costoso;
   il sistema presenta procedure complicate e lunghe che andrebbero modificate: è infatti caratterizzato da una notevole burocrazia e impone alle aziende di dotarsi di determinati apparati e figure, accollandosi anche i relativi costi;
   il SISTRI è regolamentato da una fitta rete di norme succedutesi nel tempo e divenute sostanzialmente inestricabili;
   il decreto ministeriale n. 52 del 2011 (cosiddetto Testo unico SISTRI) è stato superato da modifiche legislative, circolari, tavole sinottiche, manuali operativi, con ricorrenti contraddizioni e scoordinamenti che disorientano le aziende;
   come richiesto da molte categorie imprenditoriali, tale sistema andrebbe rivisto, semplificato e reso meno costoso;
   per ciò che concerne il trasporto intermodale dei rifiuti speciali pericolosi, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, visto quanto stabilito dal comma 1 dell'articolo 188-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006, come novellato dal comma 1 dell'articolo 11 del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013, ed attesa la specificità ed eterogeneità del comparto, ha costituito, all'interno del proprio «comitato di monitoraggio», un gruppo di lavoro per l'esame della problematica, che sta continuando svolgendo la propria attività;
   nel comparto intermodale è compresa anche la categoria dei terminalisti e delle imprese per operazioni portuali;
   Assiterminal, associazione nazionale maggiormente rappresentativa di detta categoria, a suo tempo richiese al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di:
    a) escludere il transhipment (trasbordo) delle merci dal tracciamento SISTRI;
    b) sospendere per un adeguato periodo l'applicazione del SISTRI al traffico transnazionale marittimo (già regolato da norme internazionali, Regolamento CE 1013/2006) e, per il restante traffico, ridurre gli adempimenti in capo ai terminalisti e agli altri operatori interessati, anche attraverso una sostanziale semplificazione delle procedure informative;
    c) modificare il comma 12 dell'articolo 193 (trasporto dei rifiuti) del decreto legislativo n. 152 del 2006, poiché operativamente inapplicabile e irrazionale per buona parte del suo contenuto, e prevedere quindi che: la responsabilità del rifiuto resti in carico al notificatore, come previsto dal Regolamento europeo sopracitato; il termine massimo di giacenza del rifiuto presso il terminal venga eliminato o in subordine congruamente aumentato e portato possibilmente a 45 giorni; qualora alla scadenza del termine di giacenza il rifiuto non venga ritirato, nessun onere possa essere accollato al terminalista, il quale è semplice depositario per conto del committente –:
   se non ritenga necessario assumere iniziative per:
    a) rivedere, semplificare e rendere meno costoso il Sistri;
    b) accordare una proroga dell'operatività del Sistri almeno per i soggetti ai quali sono affidati i rifiuti speciali pericolosi in attesa della presa in carico degli stessi da parte dell'impresa navale o ferroviaria o dell'impresa che effettua il successivo trasporto;
    c) accogliere le istanze motivate degli operatori portuali, come sopra indicate, riferite alla particolare problematica del trasporto intermodale marittimo dei rifiuti in argomento. (4-04068)


   MIGLIORE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le 450 famiglie dei lavoratori, dipendenti di Astir azienda in house della regione Campania, soffrono l'incertezza della vertenza che li riguarda da due anni. La Astir è sottoposta per legge al cosiddetto «controllo analogo» da parte degli organismi regionali, cioè simile ai controlli a cui è sottoposta la pubblica amministrazione;
   le tappe che hanno portato l'azienda al fallimento sono state: il blocco delle commesse del committente unico, regione Campania; l'accumulo di debiti dovuti in primo luogo dal costo del lavoro diretto ed indiretto; richieste di improbabili «concordati preventivi» al tribunale fallimentare facendo conto sul dato di una regione nel contempo, socio unico, proprietario e controllore della azienda e, allo stesso tempo, suo maggior creditore, sino alle lunghe dispute giudiziarie che, nel giudizio di appello sulla fallibilità della società, hanno visto la singolare situazione di una controllata sostenere una tesi diversa da quella presentata dalla avvocatura regionale. Il fallimento dell'Astir per «vizio di forma» ha causato disagi ai dipendenti della Astir stessa, ma anche ai cittadini della Campania in termini di mancati servizi resi;
   a due mesi dall'interruzione dell'erogazione della cassa integrazione guadagni, a quasi un mese dal provvedimento di sospensione delle procedure di licenziamento e di autorizzazione alla richiesta di una breve proroga della cassa integrazione guadagni, condizionata all'adempimento da parte della regione di alcune indicazioni disposte dal magistrato, non si è ancora nella condizione di disporre di alcuna concreta certezza per il futuro. Eppure (Lettera del Presidente Caldoro al magistrato del 13 febbraio 2014), è stato chiarito che l'ipotesi concreta di reimpiego nella nuova società regionale del settore ambientale, Campania Ambiente e Servizi, con cui il 6 febbraio 2014, la regione ha sottoscritto una convenzione per la realizzazione di progetti nel settore ambientale, finanziati con 42 milioni di euro, è «facilitata» dalla introduzione di norme sulla mobilità del personale delle partecipare approvate dalla legge di stabilità per il 2014. Norme per le quali risulta essenziale la permanenza della «titolarità giuridica» del lavoro assicurata dallo status di cassintegrato;
   la costituzione di Campania Ambiente va nella direzione sostenuta anche dai sindacati. Il processo di bonifica e di riqualificazione ambientale del territorio dovrà essere gestito dal sistema pubblico regionale, attraverso le società partecipate, anche al fine di evitare che chi ha inquinato possa candidarsi ad effettuare la bonifica del territorio;
   con Campania Ambiente e Servizi saranno riqualificate le aree sequestrate alla camorra in Campania. La regione ha dato il via libera allo schema generale di protocollo di intesa con le amministrazioni competenti sul territorio per la definizione delle modalità attuative degli interventi di cui all'accordo di programma quadro «Opere per il risanamento ambientale». L'APQ prevede la riqualificazione delle fasce litorali del patrimonio della regione Campania e delle aree sequestrate alla camorra, la messa in sicurezza del territorio con la mitigazione dei rischi ambientali ed igienico-sanitari e il censimento e la localizzazione di siti oggetto di abbandono incontrollato di rifiuti;
   l'accordo sottoscritto in regione per lo start up della società partecipata «Campania Ambiente e Servizi» (CAS), dovrà accorpare le società Astir, Jacorossi e Arpac Multiservizi, per un organico complessivo di circa 1.000 addetti –:
   quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza, affinché si concluda positivamente il passaggio del personale da Astir, Jacorossi e Arpac Multiservizi a Campania Ambiente e Servizi nel rispetto dei diritti dei lavoratori, evitando una compromissione dei livelli occupazionali;
   se non ritengano utile elevare il livello di monitoraggio per i passaggi di fondi pubblici ai subappalti per evitare infiltrazioni come accaduto in alcune gestioni finite sotto inchiesta. (4-04071)


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da un articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, da un comunicato dell'autorità portuale di Venezia e secondo quanto pubblicato anche dal quotidiano La Nuova Venezia, il 17 marzo 2014, il tribunale amministrativo regionale del Veneto ha accolto la richiesta di sospensiva alle limitazioni, stabilite dall'autorità portuale di Venezia, al passaggio delle grandi navi da crociera in Bacino San Marco presentata con due ricorsi da Venezia Terminal Passeggeri, gestore del terminal della stazione marittima, da una decina di imprese portuali e dal «Comitato Cruise Venice»;
   il provvedimento dei giudici amministrativi del Veneto sospende fino all'udienza di merito prevista per il 12 giugno 2014 i limiti fissati dalla capitaneria di porto che imponevano una riduzione del 12,5 per cento del traffico delle navi da crociera. Vengono inoltre sospesi i limiti per l'anno 2015, contenuti nello stesso provvedimento dell'autorità marittima, che vietavano l'ingresso dalla bocca di porto del Lido alle navi di stazza superiore alle 96 mila tonnellate;
   si arriva così al paradosso che il concessionario impugna una decisione della superiore autorità portuale, che a sua volta applica un provvedimento del Governo;
   secondo il Tar le limitazioni previste dall'ordinanza della capitaneria di porto (708 transiti nel 2014 nel Canale di San Marco e della Giudecca per le navi passeggeri di stazza superiore a 40.000 tonnellate e divieto di passaggio nel 2015 per quelle di stazza lorda superiore a 96.000 tonnellate) devono essere subordinate «alla disponibilità di praticabili vie di navigazione alternative a quelle vietate, come individuate dall'Autorità marittima con proprio provvedimento». Dunque le misure «si pongono in contrasto con lo specifico principio di gradualità» in base al quale «l'interdizione del transito può essere consentita solo a partire dal momento dell'effettiva disponibilità di una via alternativa». L'ordinanza, peraltro, secondo i giudici, «non appare sostenuta da una adeguata attività istruttoria preliminare, volta all'identificazione dei rischi connessi ai traffici nei canali in questione e ai transiti delle navi con stazza superiore a 40.000 tonnellate»;
   dal punto di vista tribunale amministrativo del capoluogo lagunare dal provvedimento non si può dedurre «un'esauriente ponderazione né dei presupposti di fatto, né delle specifiche valutazioni dei rischi, assunti a fondamento delle misure “mitigatorie” in esame». Oltre ad esserci «un difetto di motivazione», risulta per il Tar impossibile «valutare appieno l'idoneità, la razionalità e la congruenza delle misure limitative in concreto adottate». Le stesse direttive del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del novembre 2013 alla capitaneria sulle misure per il periodo transitorio 2014 e 2015, a giudizio del tribunale amministrativo regionale «appaiono viziate dai medesimi difetti di genericità e indeterminatezza dell'ordinanza»;
   il 2 marzo 2012, sulla scia delle polemiche per la tragedia della Costa Concordia al Giglio e del progressivo aumento delle stazze delle navi in transito nel bacino di San Marco, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore Corrado Passera di concerto con quello dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Corrado Clini emanarono il decreto interministeriale n. 79 del 2012 – cosiddetto «decreto Clini-Passera» – che, oltre al citato blocco per natanti con stazza lorda superiore a 96.000 tonnellate, prevede: «di individuare vie alternative e praticabili di accesso all'attuale marittima, senza ulteriori stazioni marittime alternative». Detto divieto andava applicato «a partire dalla disponibilità di vie di navigazione praticabili alternative a quelle vietate, come individuate dall'Autorità marittima con proprio provvedimento. Nelle more di tale disponibilità, l'Autorità marittima, d'intesa con il magistrato alle acque di Venezia e l'Autorità portuale, adotta misure finalizzate a mitigare i rischi connessi al regime transitorio...». Il Governo Letta ha fissato al 1o novembre 2014 la data ultima per la decisione sul passaggio delle «grandi navi» nel bacino di San Marco e la fine del regime transitorio;
   il sopraddetto regime transitorio de facto non ha prodotto alcun giovamento alla salvaguardia della ecosistema lagunare e paesaggistico della città di Venezia: nel 2013, approfittando della moratoria «provvisoria, sono transitati nel canale della Giudecca ottocentonovantuno tra navi da crociera, traghetti e grandi navi fluviali, per un totale, fra andata e ritorno, di 3.764 passaggi nel bacino di San Marco. Oltre una decina al giorno, di media. Ma con punte, come sabato 21 settembre 2013, di 13 navi per un totale di 26 passaggi. Più quelli di 334 aliscafi;
   nei criteri di iscrizione di Venezia e della Laguna Veneta (Id n. 394 1987) nei siti del patrimonio mondiale UNESCO del 1987 si legge: «Venezia e la sua laguna rappresentano un capolavoro del genio creativo umano. La città è un eccezionale esempio di un tipo di costruzione e di complesso architettonico, tecnologico e paesaggistico a testimonianza di importanti tappe della storia umana. È un eccezionale esempio di un tradizionale insediamento umano e di occupazione del territorio e direttamente e materialmente legato ad eventi, tradizioni, lavori artistici e letterari d'eccezionale valore universale. Venezia è un'opera d'arte senza eguali. La città è costruita su 118 isolette e sembra galleggiare sulle acque della laguna dando forma ad un paesaggio indimenticabile la cui bellezza imponderabile ha ispirato Cataletto, Guardi, Turner e tanti altri pittori. Inoltre, la laguna di Venezia comprende una delle maggiori concentrazioni di capolavori al mondo: dalla cattedrale di Torcello alla Chiesa di Santa Maria della Salute, tutti i secoli di una straordinaria Età dell'Oro sono rappresentati da monumenti di eccezionale bellezza: San Marco, Palazzo Ducale, San Zanipolo e la Scuola di San Marco, i Frari e la Scuola di San Rocco, San Giorgio Maggiore e così via (capo I)». E si aggiunge: «Nel mar Mediterraneo, la laguna di Venezia rappresenta un esempio eccezionale di habitat semi-lacustre, reso fragile in conseguenza di cambiamenti irreversibili. In questo ecosistema coerente in cui le barene – dossi di terreno argilloso che sono periodicamente sommersi dalle acque per poi riaffiorare – hanno la stessa importanza delle isole, le case fondate sui pali, i villaggi di pescatori e le risaie richiedono di essere protetti allo stesso modo dei palazzi e delle chiese» (capo V);
   è importante poi ricordare che già in passato, anche recente, il passaggio di navi di grossa stazza non è stato indenne e senza incidenti per le rive del bacino di San Marco, dove affaccia anche l'inestimabile e bellissimo Palazzo Ducale. Si ricordano infatti: nel 1973 l'incidente al mercantile Bulk Mariner, nel 1976 l'incidente alla nave «Monte Berico», nel 1980 l'incidente alla portacontainer Afros e nel più recente anno 2004 l'incidente alla nave passeggeri «Mona Lisa» proprio davanti a piazza San Marco, con un incontestabile rischio gravissimo –:
   quali iniziative urgentissime intendano assumere i Ministri interrogati per la salvaguardia di Venezia e del suo fragile e prezioso ecosistema lagunare; quali strumenti normativi puntuali e risolutivi intenda assumere il Governo, affinché vi sia un'effettiva regolamentazione e limitazione cautelativa dei passaggi di naviglio di grande tonnellaggio nel bacino di San Marco e nel canale della Giudecca; infine, se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, intenda, anche per tramite della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Venezia e laguna, elaborare una valutazione di compatibilità paesaggistica sui passaggi giornalieri delle grandi navi nel bacino di San Marco e da ultimo se intenda fornire dati certi sul reale impatto turistico ed economico di tali rischiosi passaggi. (4-04072)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   con le assemblee fissate nel mese di maggio 2014 dovranno essere rinnovati gli organi sociali di molte aziende direttamente e indirettamente partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze. Per effetto di ciò tale Ministero dovrà presentare le liste degli amministratori di propria competenza entro il 13 aprile 2014;
   fra le società i cui organi amministrativi e di controllo sono in scadenza alcune (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa; ARCUS; Istituto Luce-Cinecittà; Italia Lavoro; SOGIN; SOSE e Studiare Sviluppo) che appaiono agli interpellanti perfettamente inutili e improduttive; le loro funzioni, in un processo di logica razionalizzazione delle competenze, ottimizzazione dei processi decisionali e contenimento delle spese, potrebbero essere attribuite a esistenti strutture ministeriali;
   le attenzioni e l'interesse della politica si appuntano maggiormente su quelle aziende, i cui business e bilanci si fondano spesso su tariffe interamente a carico dei cittadini utenti e consumatori, che rappresentano un pezzo importante dell'economia nazionale quali Eni, Enel, Terna, Poste Italiane e Gestore dei servizi energetici (GSE) (quest'ultimo, in realtà, rinnova solo il collegio sindacale dopo che con un «blitz» di metà luglio 2012 il consiglio di amministrazione è stato ridotto a tre membri per consentire il raddoppio della carica al presidente-amministratore delegato, Nando Pasquali, già membro della segreteria del Ministro forzista dell'industria Antonio Marzano);
   debbono rinnovare il proprio consiglio di amministrazione anche aziende considerate «strategiche» come Finmeccanica e STMicroelettronics nonché realtà come il Coni, la CONSAP, l'ENAV e l'Istituto Poligrafico dello Stato, meno visibili ma a giudizio degli interpellanti veri e propri centri di potere e di interesse;
   sui media è quotidianamente e diffusamente descritto l'avvincente gioco di società denominato «carica alle poltrone», poltrone il cui numero è imprecisato – si sfida il Ministro interrogato a conoscerlo precisamente – a causa del proliferare perverso di controllate da parte delle società di Stato. A tal proposito, solo a titolo esemplificativo, si ricorda che Eni nomina a sua volta i vertici di Saipem, Versalis e Syndial; Enel quelli di Enel Green Power, Enel Distribuzione, Enel Produzione e un'altra mezza dozzina di partecipate; Terna quelli di Terna Rete Italia e Terna Plus; Finmeccanica quelli di Alenia Aeronautica, Thales Alenia Space, Telespazio, Selex Sistemi Integrati, AnsaldoBreda e Oto Melara; Poste Italiane quelli di Poste Energia, Poste Vita, Poste Assicurazione, Mistral Air e altri;
   si evidenzia che nel 2011 i due super manager che guidano Eni ed Enel hanno visto aumentare notevolmente i loro già elevatissimi stipendi. Paolo Scaroni, l'anno scorso ha ricevuto compensi per un totale di oltre 5,8 milioni, il 30 per cento in più del 2010. Il suo collega Fulvio Conti, amministratore delegato dell'azienda elettrica, ha invece percepito 4,37 milioni, con un balzo del 40 per cento circa rispetto a quanto, dedotte alcune voci di competenza dell'anno precedente, gli era stato accordato nel 2010;
   ciò conferma che nulla cambia visti i risultati aziendali e i numeri di bilancio a cui, almeno in teoria, dovrebbe essere legati i compensi di dirigenti e amministratori. L'Eni, nel 2011 ha chiuso un bilancio con utili in aumento. La crescita dei profitti però si è fermata al 9 per cento, quindi di gran lunga inferiore all'incremento in busta paga del numero uno Scaroni. All'Enel è andata ancora peggio. Il gruppo guidato da Conti si è messo alle spalle un esercizio non esattamente brillante, con profitti in calo del 5 per cento. Utili in calo quindi, al contrario dei compensi dell'amministratore delegato Conti saliti del 40 per cento e di quelli del gruppo di dirigenti di vertice, pure questi in netto aumento;
   inoltre Finmeccanica è sotto gli occhi di tutti che stia disperatamente cercando di vendere i propri gioielli per far quadrare i conti; Terna ha un cash flow elevato (derivante dalle tariffe di trasporto dell'energia elettrica probabilmente troppo alte) che non investe come dovrebbe in nuove infrastrutture e, per finire, Poste Italiane mette i propri fondi in Alitalia di fatto assecondando alcune spinte politiche;
   nonostante queste performance non proprio esaltanti nelle aziende pubbliche stazionano più o meno da un decennio gli stessi top manager (Scaroni all'Eni da nove anni più tre passati all'Enel; Conti nove anni all'Enel; Sarmi dodici anni alle Poste; Cattaneo nove anni a Terna più tre passati alla Rai). L'unica eccezione è rappresentata da Finmeccanica dove gli attuali vertici, l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro e Alessandro Pansa, sono stati nominati lo scorso anno ma solo perché hanno preso il posto di Guarguaglini e Orsi entrambi finiti, insieme ad altri dirigenti del gruppo di Piazza Monte Grappa, nel mirino della magistratura;
   alcuni degli attuali manager pubblici sono stati o sono oggetto di procedimenti penali. È il caso dell'amministratore delegato del «cane a sei zampe», Scaroni, che ha alle spalle un patteggiamento per tangenti versate al partito socialista italiano all'epoca di Tangentopoli. Scaroni attualmente è indagato per corruzione internazionale in relazione a presunte tangenti pagate a esponenti governativi algerini ed è imputato per disastro ambientale, insieme a Fulvio Conti, amministratore delegato dell'Enel, per l'inquinamento incontrollato prodotto dalla centrale elettrica di Porto Tolle. È il caso dell'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato imputato per il disastro ferroviario accaduto a Viareggio;
   nell'ambito dell'inchiesta così detta P4 condotta dalla procura della Repubblica di Napoli che ha visto coinvolto il faccendiere Luigi Bisignani, sono emerse inquietanti relazioni fra lo stesso Bisignani e gli attuali vertici di molte aziende pubbliche (Masi di CONSIP, Mazzei del Poligrafico dello Stato, Moretti delle Ferrovie dello Stato e l'onnipresente Scaroni che, dalle numerosissime intercettazioni pubblicate dai media, sembra si consigliasse spessissimo al telefono con «l'uomo che sussurra – e non solo – ai potenti»). In realtà la rete di relazioni all'interno delle aziende pubbliche del Bisignani, sempre da quanto emerso dalle indiscrezioni giornalistiche all'epoca della citata inchiesta, appare avviluppare anche molti altri dirigenti pubblici;
   il 24 giugno 2013 è stata emanata la direttiva n. 14656 del Ministro dell'economia e delle finanze che, nella versione finale, in ordine all'adozione di criteri e modalità per la nomina degli organi di amministrazione delle società controllate dal Ministero, rafforza i requisiti di onorabilità e di professionalità richiesti agli amministratori e individua le tappe di un processo trasparente e oggettivo di valutazione di tali requisiti, preliminare alla designazione dei candidati da parte del Ministro, nell'ambito delle sue funzioni di indirizzo politico-amministrativo;
   tale direttiva non contempla un limite ai mandati e all'età degli amministratori e non impedisce ad avviso degli interpellanti alla folta schiera dei politici non rieletti di aspirare a un posto di primo piano. Inoltre, la parte della direttiva dove si parla della ineleggibilità legata a fatti giudiziari appare agli interpellanti così elastica da non poter creare preoccupazioni in quei manager come ad esempio Scaroni e tanti altri;
   sempre il 24 giugno 2013 il Ministro pro tempore Saccomanni con decreto ha istituito il comitato di garanzia per le nomine (presidente Cesare Mirabelli e membri Vincenzo Desario e Maria Teresa Salvemini);
   a tale comitato risultano pervenuti nei mesi scorsi, da parte delle incaricate società di head hunters Spencer Stuart e Korn Ferry i curriculum vitae dei potenziali candidati all'assunzione dei ruoli di presidente, amministratore delegato e consigliere di amministrazione delle società controllate dallo Stato;
   la ventata «innovatrice» che attraversa la politica italiana lascia sperare che qualche boiardo possa finalmente essere lasciato a godere della meritata pensione;
   è opportuno che il Parlamento venga informato delle decisioni assunte dal Governo in materia di nomine pubbliche prima che le stesse vengano rese note attraverso la pubblicazione delle liste sui giornali –:
   se sia intenzione del Governo assumere ogni utile iniziativa, anche normativa, al fine di:
    a) sospendere le nomine in quelle società definite in premessa inutili e improduttive e le cui funzioni, in un processo di logica razionalizzazione delle competenze, ottimizzazione dei processi decisionali e contenimento delle spese, potrebbero essere attribuite a esistenti strutture ministeriali;
    b) fornire chiarimenti sullo stato di avanzamento della selezione dei manager pubblici e anticipare al Parlamento le decisioni assunte dal Governo in materia di nomine pubbliche;
    c) applicare strettamente i criteri, soprattutto quelli di onorabilità, di competenza e di professionalità, previsti dalla direttiva 24 giugno 2013 per la scelta dei manager pubblici, prevederne ulteriori, come il limite ai mandati e l'età degli amministratori, e impedire alla folta schiera di politici non rieletti di essere nominati nelle società pubbliche.
(2-00458) «Vallascas, Da Villa, Crippa, Prodani, Della Valle, Fantinati, Mucci, Petraroli, Agostinelli, Artini, Baldassarre, Basilio, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Businarolo, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Corda, De Lorenzis, Del Grosso, Dell'Orco, Di Battista, Manlio Di Stefano, Ferraresi, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Grande, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lupo».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il dottor Carlo Cottarelli, Commissario del Governo per la spending review, svolgendo un'audizione presso la commissione bilancio del Senato della Repubblica, in data 12 marzo 2014 ipotizzava che i risparmi attesi per l'anno in corso dall'opera di revisione e razionalizzazione della spesa pubblica possano quantificarsi presuntivamente in circa 3 miliardi di euro;
   il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi nella stessa data, illustrando nel corso di una conferenza stampa le misure adottate dal Consiglio dei ministri, quantificava in 7 miliardi i risparmi attesi per l'anno 2014 dall'opera di razionalizzazione e revisione della spesa pubblica;
   nei giorni seguenti nelle dichiarazioni pubbliche rilasciate da diversi esponenti di Governo sono stati forniti dati ulteriormente difformi da quelli forniti dal dottor Cottarelli e dal Presidente Renzi. A titolo di esempio si citano le parole del Sottosegretario all'economia, onorevole Pier Paolo Baretta, che in un'intervista al Gazzettino del 14 marzo 2014 dichiara «Dalla spending review Cottarelli prevede di recuperare 34 miliardi in tre anni. Quest'anno saranno dai 5 ai 7». Alla replica del giornalista che contesta una difformità con i dati attesi per il 2014 sulla base di quanto dichiarato dal commissario Cottarelli in Senato, il sottosegretario Baretta aggiunge «anche noi facciamo i conti su 3, per quest'anno ovviamente speriamo che siano di più»;
   nella giornata del 18 marzo quasi tutti i principali quotidiani italiani pubblicano il così detto piano Cottarelli, ovvero il documento intitolato «Proposte per una revisione della spesa pubblica (2014-2016). I saldi di questo piano elaborato dal commissario Cottarelli, almeno per il 2014, prevedono una cifra diversa da quella dichiarata dallo stesso Cottarelli in Senato, fissando l'obiettivo di risparmio per il 2014 nella cifra di 7 miliardi, mentre per il 2015 e 2016 e risparmi attesi sarebbero rispettivamente pari a 18 miliardi e 34 miliardi. Anche di questo documento, che seppure reso pubblico dagli organi di stampa, non è da considerarsi ancora ufficializzato dal Governo, è difficile comprendere il grado di attendibilità. In esso ad esempio figura alla voce «contributo temporaneo pensioni» un risparmio atteso pari a 1,4 miliardi per il 2014, 1 miliardo per il 2015 e 500 milioni per il 2016, ma gli stessi quotidiani che pubblicano il documento specificano che questa voce specifica sarebbe stata cassata dal Presidente del Consiglio Renzi, il che se confermato, comporta una modifica dei saldi dello stesso piano;
   sempre nel piano Cottarelli si prevedono interventi di riduzione e razionalizzazione della spesa in settori strategici quale quello della sicurezza e dell'ordine pubblico;
   il decreto-legge n. 4 del 2014, attualmente in corso di esame presso la Camera dei deputati, all'articolo 2 quantifica in 488,4 milioni i risparmi attesi dall'opera di revisione della spesa pubblica per l'anno 2014 in 1.372,8 milioni per il 2015 e in 1.874,7 milioni per gli anni 2016 e 2017, e destina tale cifra alla copertura del minor gettito atteso sempre per gli stessi anni a seguito dell'abrogazione disposta dai commi 575 e 576, articolo 1, della legge 147 del 2013. Essendo il decreto-legge già in vigore tali somme debbono considerarsi a tutti gli effetti accantonate per la finalità di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 4 del 2014;
   come, tra l'altro riportato da alcuni organi di stampa, in totale nel triennio 2014-2016 i risparmi attesi e già accantonati a seguito di provvedimenti normativi in vigore, ammontano a 14,8 miliardi, il che significa che tale somma non potrà essere comunque destinata a coprire provvedimenti di spesa ancora da varare;
   essendo evidente una netta disparità di previsioni effettuate in merito ai risparmi attesi dall'opera di revisione e razionalizzazione della spesa pubblica da parte del Presidente del Consiglio, da parte del commissario Cottarelli e da parte di altri esponenti del Governo, e non essendo affatto chiaro se le molteplici previsioni effettuate dal Governo in merito ai risparmi attesi tengano già in conto i proventi attesi e già accantonati dalla spending review a seguito di norme già in vigore, o se invece le cifre fornite dal Governo siano da considerarsi aggiuntive;
   ciò è estremamente preoccupante poiché, almeno per quanto attiene le dichiarazioni pubbliche del presidente del Consiglio e di altri esponenti di Governo i risparmi ottenuti dal processo di revisione della spesa per l'anno 2014 e seguenti dovrebbero essere utilizzati come copertura finanziaria di rilevanti provvedimenti di politica economica che il Governo ha annunciato di voler varare ma che ad oggi non sono ancora stati varati –:
   quale sia il dato, tra i tanti forniti in questi giorni, ufficiale e certo che il Governo conta di ottenere in merito ai risparmi attesi per l'anno 2014 dal processo di revisione della spesa utilizzabili come copertura finanziaria di provvedimenti di spesa annunciati dal Presidente del Consiglio dei ministri nella conferenza stampa del 12 marzo 2014;
   se i risparmi attesi dal processo di revisione della spesa, nei saldi per il triennio 2014-2016 dal piano elaborato dal commissario Cottarelli siano da considerarsi aggiuntivi ai 14,8 miliardi già accantonati a seguito di norme di legge in vigore.
(2-00461) «Cozzolino, Lombardi, Dadone, Toninelli, Nuti, Dieni, Fraccaro, D'Ambrosio, Barbanti, Ruocco, Cancelleri, Alberti, Pesco, Pisano, Villarosa».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della salute, il Ministro per gli affari regionali, per sapere – premesso che:
   in Piemonte, pur non essendo ancora la regione ufficialmente commissariata, dopo anni di «piani di rientro» non particolarmente risolutivi, l'amministrazione regionale anche sulla base di precise indicazioni del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministro della salute si è avvalsa dei tecnici di Agenas – l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari – con il compito di elaborare strategie più efficaci per ottemperare alle direttive del piano di rientro;
   l'agenzia di rating Moody's ha comunicato, nell'ambito delle proprie valutazioni su 19 enti pubblici italiani, di aver portato da negativo a stabile l’outlook della regione Piemonte, ovvero la prospettiva di lungo termine sull'affidabilità dell'ente come debitore. «Il giudizio di Moody's tiene oggettivamente conto degli sforzi compiuti in questo ultimo anno dalla regione – commenta il vicepresidente e assessore regionale al bilancio, Gilberto Pichetto Fratto». Nello specifico, il giudizio Moody's fa riferimento alla copertura del disavanzo accumulato negli esercizi del passato e lo riconosce, alla regione Piemonte con riferimento soprattutto ai settori della sanità e dei trasporti;
   la sanità piemontese vive, tuttavia, da un paio d'anni in una condizione di commissariamento de facto, con politiche di austerità, nonostante i piani di rientro certifichino il rispetto di «quasi tutti» i parametri richiesti, ed è oggi impegnata nella revisione degli atti aziendale di ASL e AO (aziende ospedaliere), secondo le indicazioni dei tecnici romani;
   le proposte dei tecnici, anche se non tradotte in deliberazioni di giunta, rappresentano un'ipoteca per il futuro. E, dunque, opportuno esporre sin d'ora le perplessità che suscita la metodologia del «tavolo Massicci», così comunemente chiamato dal nome del dirigente del Ministero dell'economia e delle finanze che si occupa di sanità;
   in questi anni, sono stati attuati esclusivamente tagli lineari che le regioni hanno più o meno pedissequamente subito a seconda della efficienza dell'apparato e della saldezza politica delle giunte. Tuttavia, la politica di «spending review», in sanità non ha dato gli esiti promessi perché la base di conoscenze tecniche su cui poggiava si è rilevata inadeguata;
   all'interno della pubblica amministrazione, la sanità rappresenta il settore più moderno e meglio gestito, l'unico nel quale il nostro Paese si collochi ai primi posti nelle valutazioni internazionali. Applicare alla sanità gli schemi culturali della burocrazia ministeriale si è rivelato devastante. Tagli di finanziamento accompagnati da blocchi reiterati dei contratti e delle assunzioni, il tutto applicato con la perversa logica «lineare» – l'unica che evidentemente secondo gli interpellanti, la burocrazia sembra concepire – ha aggravato la crisi del Servizio sanitario nazionale che è giunto al limite del collasso;
   al fine di migliorare l'efficienza senza ridurre l'efficacia dei servizi resi ai cittadini sarebbe, a parere degli interpellanti, necessario rinnovare il patto con gli operatori del settore, chiamando tutti (medici, infermieri, tecnici, amministrativi) a condividere responsabilità gestionali nel momento in cui si adottano strumenti per riconoscere il contributo di competenze e di fatica da essi profuso –:
   se intendano fornire i chiarimenti necessari;
   entro quali limiti debbano operare gli interventi di funzionari dello Stato nella sanità piemontese considerato che la regione Piemonte non è propriamente sottoposta a commissariamento in materia sanitaria e se tutto ciò possa costituire strumento positivo per il miglioramento delle condizioni in cui opera la sanità in Piemonte.
(2-00463) «Monchiero, Rabino».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è il fornitore del servizio postale universale in Italia, il cui capitale è posseduto al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   il Gruppo Poste italiane ha cambiato anima nell'ultimo decennio e si presenta, oggi, come un conglomerato di numerose attività diversificate, con oltre 24 miliardi di fatturato; tuttavia, soltanto 4,6 miliardi provengono dal settore storico dei servizi postali e commerciali; 13,8 miliardi vengono infatti dai servizi assicurativi – con il gigante PosteVita – e altri 5,3 miliardi dai servizi finanziari, attraverso BancoPosta Fondi; il Gruppo controlla, inoltre, una corposa lista di società attive nella telefonia, nei fondi immobiliari, nella digitalizzazione della pubblica amministrazione e adesso si è «lanciato» nel business del trasporto aereo, ovvero nell'ennesima operazione di salvataggio della compagnia di bandiera;
   come noto e certificato da istituti di ricerca e dalla stessa Corte dei conti, Poste ha potuto usufruire negli anni di una peculiare posizione di privilegio e vantaggio competitivo nei diversi segmenti di mercato; in particolare nel segmento tradizionale, quello postale, l'ex monopolista gode di un beneficio fiscale senza precedenti in Europa, vale a dire l'esenzione del pagamento dell'IVA per i prodotti di posta massiva (la fetta più importante di mercato), nonostante sia la Corte di giustizia dell'Unione europea, con sentenza del 23 aprile 2009 (C-357/07), sia l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato italiana abbiano sostanzialmente rilevato l'illegittimità di tale asimmetria legislativa;
   inoltre, lo Stato paga a Poste gli oneri per la gestione del servizio universale e una serie di rimborsi per le tariffe agevolate su alcuni prodotti postali speciali (spedizioni elettorali, invii in capo alle Onlus, servizi editoriali, e altro) per un totale di circa 320 milioni di euro all'anno;
   purtroppo non si tratta degli unici fondi pubblici che i cittadini italiani pagano al Gruppo: ad una lettura più attenta dei dati macroaggregati del bilancio dello Stato, pubblicati annualmente nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale, risulta che lo Stato effettua una pluralità di trasferimenti movimentando diverse voci del bilancio pubblico. Di questi trasferimenti, alcuni sono effettuati direttamente verso Poste – il cui bilancio riflette tali compensi per simmetria, dandone evidenza, come nel caso degli oneri per il servizio universale. Altri trasferimenti, invece, non transitano per la contabilità di Poste e costituiscono partite interne di contabilità pubblica di cui tuttavia Poste è beneficiario indiretto;
   risulta all'interpellante che nel periodo finanziario 2008-2013 siano stati effettuati i seguenti trasferimenti pubblici per il trattamento di quiescenza del personale dipendente di Poste Italiane (Capitolo 1620 – «Spese Obbligatorie»): negli anni 2008, 2009 e 2010 sono stati assegnati all'Istituto Postelegrafonici (IPOST) 810 milioni di euro all'anno, mentre nel periodo compreso tra il 2011 e il 2013 sono stati erogati 990 milioni di euro all'INPS, per un totale, ad oggi, di circa 5 miliardi di euro;
   a occuparsi del trattamento previdenziale del personale postale è stato, fino a maggio 2010, l'Istituto Postelegrafonici (Ipost), costituito con decreto del Presidente della Repubblica n. 542 del 1953, che ha visto confermato il proprio ruolo anche in seguito alla trasformazione delle Poste italiane in ente pubblico economico nel 1994 e in società per azioni (Poste italiane spa) nel 1997. Il legislatore italiano, con decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010, ha successivamente disposto la soppressione dell'Ipost, trasferendo tutte le sue funzioni all'INPS, che ne ha ereditato i rapporti attivi e passivi, compresi i trasferimenti statali per il trattamento previdenziale del personale;
   è di immediata evidenza come i trasferimenti in questione siano costanti negli anni, il che induce a escludere una correlazione tra le dinamiche previdenziali, per loro natura cangianti nel tempo in funzione di diversi fattori, e gli importi corrisposti a Poste italiane. Al contrario, i trasferimenti appaiono come importi forfettari, tali da configurare un passivo di bilancio relativo all'ex gestione previdenziali dei postelegrafonici;
   parte dell'onore relativo al trattamento pensionistico del personale del Gruppo pare gravare sui cittadini italiani, e il Ministero dell'economia e delle finanze ripiana questo «buco» in assenza di qualsivoglia politica di trasparenza e pubblicità degli atti, che sono stati resi noti soltanto da alcuni articoli di stampa;
   a livello europeo, la Commissione dell'Unione europea, nell'ambito della valutazione degli aiuti di Stato compatibili con il mercato interno, ha avviato il 29 gennaio 2011, ai sensi dell'articolo 108 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, un procedimento contro il Regno Unito (C-07/07), contestando un pacchetto di aiuti alla Royal Mail (Poste inglesi), che avrebbe portato lo Stato britannico a farsi carico di ben 9 miliardi di sterline di deficit accumulato dal colosso postale inglese, in quanto l’«abbuono» di debiti pensionistici mediante accollo degli stessi da parte dello Stato è chiaramente incompatibile con le norme comunitarie;
   il commissario alla concorrenza Joacquin Almunia ha dichiarato che è necessaria un'indagine approfondita sulla vicenda, lamentandosi del fatto che i servizi della Commissione non siano mai stati informati su tali tipologia di trasferimenti –:
   se il Governo intenda chiarire i profili che appaiono all'interpellante di illegittimità anticoncorrenziale dei trasferimenti pubblici in capo a Poste italiane spa per i trattamenti di quiescenza e, al di là del piano di privatizzazione avviato dal precedente esecutivo, se intenda promuovere un piano di riforme in un'ottica di piena liberalizzazione del settore postale, in linea con le pronunce adottate dall'Autorità garante per la concorrenza e il mercato.
(2-00464) «Galan, Brunetta, Bergamini».

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATALANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante con più atti di sindacato ispettivo ha evidenziato aspetti irregolari nella gestione del personale da parte della funzione di tutela aziendale della società Poste italiane spa di cui lo Stato è socio unico;
   un ulteriore esempio di gestione discutibile da parte del management di Poste Italiane è quello concernente la responsabile comunicazione territoriale Sicilia, Lala Maria Grazia;
   nell'ambito del procedimento giudiziario R.G.T. n. 07/00474 - R.N.R. n. 05/11651 del 5 febbraio 2007, presso il tribunale di Torino sez. V penale, Lala Maria Grazia figurava come imputata del reato di cui all'articolo 495, comma 2) del CP, perché nel compilare la richiesta di iscrizione all'ordine dei giornalisti del Piemonte, attestava falsamente di essere domiciliata in Torino, presso l'ufficio comunicazione territoriale in Piemonte, condizione necessaria per l'iscrizione all'ordine come pubblicista come tale destinata ad essere riprodotta in atto pubblico;
   Lala Maria Grazia all'esito delle indagini è stata citata in giudizio il 9 febbraio 2006;
   la sentenza ha dichiarato di non doversi procedere per prescrizione del reato;
   nelle motivazioni il giudice afferma che non vi sono gli estremi per un'applicazione dell'articolo 129, comma 2, cpp, non emergendo dagli atti prove evidenti di non colpevolezza;
   ad oggi Maria Grazia Lala risulta essere la Responsabile comunicazione territoriale Sicilia, come indicato sul sito istituzionale della società; la stessa, a quanto consta all'interrogante, sarebbe entrata in servizio l'8 maggio 2006 con ordine n. 14/06 a firma dell'amministratore delegato ingegner Massimo Sarmi, prima dunque della pronuncia del tribunale di Torino;
   nel comunicato stampa del 7 marzo 2014 la Corte dei conti – sezione controllo enti – pres. E. Basile, rel. pres. A.T. De Girolamo – determinazione n. 13 del 6 marzo 2014 – Relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di Poste italiane S.p.A. per l'esercizio 2012, afferma che: «[...] È, però, necessario che il management della Società mantenga costantemente elevato il livello di impegno e di attenzione su quei profili di gestione che necessitano ancora di interventi migliorativi in tema di qualità dei servizi, di conformità normativa, di sicurezza e di contenimento dei rischi. [...] Dall'accertamento ispettivo di vigilanza, condotto dalla Banca d'Italia nel periodo 20 febbraio-24 agosto 2012, risulta confermata la persistenza di criticità nel comparto antiriciclaggio, in gran parte determinate dalla sottovalutazione dell'impatto della normativa di settore in relazione alla complessità della realtà operativa ed al numero dei rapporti intrattenuti con la clientela, nonché nelle diverse aree di presidio (adeguata verifica della clientela, tenuta dell'archivio unico informatico, segnalazione delle operazioni sospette). Si tratta di problematiche di rilevante impatto sotto diversi profili, in ordine alle quali la Corte raccomanda il massimo impegno della Società, per l'adozione di ulteriori urgenti interventi, finalizzati a porre rimedio definitivo alle carenze emerse» –:
   di quali informazioni disponga il Governo in relazione alla narrata vicenda;
   se e come il Ministero dell'economia e delle finanze monitori l'attività di gestione del personale all'interno di Poste Italiane spa;
   se disponga di informazioni in ordine a eventuali altri casi analoghi di discutibile gestione del personale;
   se il Governo sia a conoscenza, per il caso in questione, se Poste italiane a suo tempo abbia ricevuto informazione o comunicazione del procedimento penale pendente e se disponga di elementi in ordine alle ragioni che hanno portato alla decisione di attribuire a Maria Grazia Lala l'incarico di responsabile della comunicazione territoriale Sicilia, decisione che all'interrogante appare fortemente inopportuna. (4-04064)


   ALLASIA e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle entrate, con la circolare n. 36/E/2013, ha ridefinito il trattamento riservato agli impianti solari fotovoltaici, in termini fiscali e catastali, a seconda della qualificazione degli stessi come beni mobili o immobili;
   tale circolare è contraria alla posizione adottata dalla stessa Agenzia delle entrate in precedenti documenti, CC.MM. n. 46/E/2007, n. 38/E/2008 e n. 38/E/2010, nei quali ha sempre sostenuto la qualificazione mobiliare degli impianti fotovoltaici;
   la mutata posizione, a detta dell'Agenzia, è dovuta alla necessità di uniformarsi ai concetti espressi dall'Agenzia del territorio dapprima con la risoluzione 3/T/2008 e da ultimo con la nota 22 giugno 2012, n. 31892, che sostengono l'accatastamento degli impianti fotovoltaici;
   l'Agenzia delle entrate è ritornata sulla propria posizione affermando che le indicazioni contenute nei precedenti documenti, in base ai quali gli impianti fotovoltaici sono qualificabili come beni mobili, sono state manifestate esaminando i casi di impianti dotati di facile amovibilità e senza che l'eventuale spostamento comportasse il sostenimento di costi rilevanti;
   l'interpretazione dell'Agenzia delle entrate, voluta per porre fine alle divergenze con l'Agenzia del territorio, in realtà penalizza lo sviluppo di un settore strategico per la ripresa della economia italiana;
   un'impresa proprietaria di un impianto fotovoltaico, fino ad oggi poteva infatti dedurre dal suo reddito di impresa una quota pari al 9 per cento dei costi dell'impianto; adesso, con i nuovi indirizzi dell'Agenzia delle entrate, lo stesso impianto viene ammortizzato con un'aliquota del 4 per cento per i beni immobili;
   anche gli impianti, superiori a 3 chilowatt, al servizio di edifici posti sul tetto o su aree di pertinenza degli edifici stessi, se modificano la rendita catastale degli edifici presso cui sono installati, sono soggetti ad accatastamento;
   dagli ultimi dati del GSE, i contribuenti penalizzati dalla circolare n. 36/E/2013 sarebbero circa 312 mila, i quali hanno installato impianti con potenza compresa tra 3 chilowatt e 20 chilowatt;
   l'attuale situazione del mercato fotovoltaico in Italia è caratterizzata dalla presenza di più di 520.000 impianti. Nel 2013 sono stati installati 116.269 impianti, per una potenza totale di 1,475 GWp, in mercato che si risulta ancora in espansione;
   la fonte solare fotovoltaica rappresenta una reale opportunità di sviluppo per le imprese nazionali, offrendo loro uno strumento efficace per affrontare la crisi e per aumentare i livelli di crescita e di occupazione in un settore strategico e ad alta tecnologia –:
   se il Ministro non ritenga necessario assumere iniziative affinché l'Agenzia delle entrate riveda la propria posizione, confermando la qualificazione mobiliare degli impianti fotovoltaici, a garanzia degli investimenti effettuati dai contribuenti, e più in generale, dello sviluppo di un settore strategico per la ripresa economica del Paese. (4-04067)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI e BUSINAROLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale di Chiavari è stato oggetto di soppressione in virtù della riforma della geografia giudiziaria posta in essere con il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, in vigore dal 13 settembre 2013;
   in forza di tale razionalizzazione la competenza sull'ex circondario del tribunale di Chiavari è stata trasferita al tribunale di Genova;
   i relativi giudici già in servizio presso il tribunale di Chiavari sono quindi transitati, per la maggior parte, presso il tribunale di Genova;
   fra i giudici del settore penale già chiavarese emerge il caso della dottoressa Antonella Bernocco, la quale a far data dal 1o gennaio 2014 è stata assegnata alla sezione IV civile-famiglia del tribunale di Genova, per cui i relativi procedimenti non conclusi prima della soppressione del tribunale di Chiavari devono necessariamente essere oggetto di riassegnazione ad altro giudicante;
   risulta all'interrogante, come anche da notizie di stampa, che il ridetto giudice ha tuttavia chiesto l'assegnazione al tribunale di sorveglianza di Genova e in attesa della definizione completa della sua posizione, la medesima provvede al continuo rinvio delle relative cause penali stante l'impossibilità di svolgere i relativi dibattimenti per l'evidente rischio che non possano concludersi prima che il ridetto giudice transiti ad altro ufficio; negli articoli di stampa apparsi su Il Secolo XIX-Levante del 17 ottobre 2013 e del 22 gennaio 2014 si richiama il rischio della prescrizione per circa quattrocentocinquanta procedimenti penali, anche citando esempi concreti, già assegnati al giudice Antonella Bernocco e per i quali ad oggi non risulta essere intervenuta la riassegnazione ad altro giudicante con provvedimento del Presidente del Tribunale di Genova –:
   se il Ministro interessato sia a conoscenza dei fatti sopra richiamati;
   se, nell'ambito della propria competenza intenda acquisire elementi in merito al funzionamento del tribunale di Genova alla luce della situazione descritta in premessa anche ai fini dell'eventuale esercizio dei poteri di competenza. (5-02385)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'INCÀ, DA VILLA, BRUGNEROTTO, COZZOLINO, ROSTELLATO e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i trasporti pubblici sia locali che nazionali sono fondamentali per lo sviluppo economico dei territori e necessitano di essere potenziati e migliorati, soprattutto nei territori a forte richiamo turistico ed economico;
   nella tratta ferroviaria «Calalzo-Ponte nelle Alpi-Padova» il numero dei disagi e dei disservizi ha registrato un continuo aumento nel corso degli ultimi anni dovuti a soppressioni di treni, sistematici ritardi, sovraffollamento dei passeggeri e presenza di molteplici episodi di mancato funzionamento dei passaggi a livello, rendendo così gravosi gli spostamenti per numerosissimi studenti e pendolari e ricucendo le potenzialità di sviluppo turistico dell'intera area bellunese delle Dolomiti;
   la suddetta tratta ferroviaria è gestita da Trenitalia s.p.a. e da R.F.I (Rete ferroviaria italiana), in base ad un contratto di servizio;
   il presidente della regione Veneto Zaia ha già espresso la volontà di mettere a gara il servizio affidato a Trenitalia e lo stesso assessore regionale ai trasporti Renato Chisso chiede l'assunzione di responsabilità da parte della società erogatrice del servizio;
   l'Unione europea, nel suo Libro bianco, indica come uno degli obiettivi fondamentali da conseguire entro il 2050 il trasferimento dalla gomma alla rotaia della maggior parte del trasporto di medie distanze e dei passeggeri, riservando il trasporto individuale agli ultimi chilometri di una tratta da effettuare con veicoli puliti;
   il decreto-legge «Salva Italia» del Governo Monti (decreto-legge 201 del 2011) prevede di destinare, già a decorrere dall'anno 2013, risorse statali al trasporto pubblico locale;
   a linea Belluno-Calalzo, che serve sia la tratta Venezia-Calalzo che la tratta Padova-Calalzo, è da tempo interrotta per lavori all'altezza del comune di Perarolo, a circa 15 chilometri nord di Calalzo, impedendo un agevole collegamento con il Cadore e le Dolomiti;
   il 7 marzo 2014 si è tenuto presso la sala consiliare di Ponte nelle Alpi (Belluno) un incontro del «tavolo provinciale della mobilità» a cui hanno partecipato amministratori, rappresentanti di categorie e cittadini che hanno concordato di inoltrare le seguenti richieste alla regione e alle autorità competenti:
    a) linea Conegliano-Belluno-Calalzo: coincidenze garantite:
     è necessaria la garanzia delle coincidenze di ritorno, da Conegliano a Belluno e da Belluno a Calalzo, da rispettare anche in caso di ritardi superiori ai 5 minuti;
     è assolutamente imprescindibile la coincidenza degli ultimi treni con destinazione Belluno e Calalzo;
     è indispensabile che ci siano treni attrezzati al trasporto di biciclette;
     viene richiesta una coppia di treni diretti quotidiana, integrata la sera del venerdì, il sabato e la domenica da ulteriori coppie di diretti ai fini turistici;
    b) coordinamento orari Trenitalia+Dolomitibus:
     richiesta di intervento a regione, provincia prefettura di Belluno, affinché si metta in atto al più presto la revisione degli orari di «Dolomitibus» per coordinare le corse con gli orari dei treni;
     è richiesta l'istituzione del biglietto unico gomma-rotaia;
     è necessario, in seconda battuta, creare una progettazione delle stesse corse in modo da rendere complessivamente più efficace il trasporto pubblico. Devono essere chiaramente individuati i soggetti responsabili e competenti per tale progettazione dal momento che Trenitalia s.p.a. e Dolomitibus non possono certo agire senza avere un indirizzo politico e le necessarie risorse;
    c) bilancio regionale: potenziamento delle linee da Monte belluna a Calalzo e da Conegliano a Calalzo:
     richiesta alla regione di mettere a bilancio fondi aggiuntivi per nuovo materiale rotabile diesel e per la manutenzione e potenziamento delle infrastrutture di linea e delle stazioni;
    d) linea Belluno – Calalzo: interruzione linea per lavori a Perarolo, a 15 chilometri da Calalzo:
     si chiede il proseguimento delle corse da Belluno fino a Longarone, considerato che la linea Belluno-Calalzo, che serve sia la tratta Venezia-Calalzo che la tratta Padova-Calalzo, è interrotta per lavori all'altezza del comune di Perarolo, a circa 15 chilometri nord di Calalzo. Si fa presente che tali percorsi prevedono già una rottura di carico a Belluno;
     è richiesta l'attivazione di coppie di treni regolari Belluno-Longarofie durante il periodo di chiusura della tratta, anche con il temporaneo prolungamento della linea Padova-Belluno (riducendo così il disagio del cambio) o con convogli ad hoc. In base alle informazioni emerse dagli intervenuti, tale soluzione si deve considerare tecnicamente fattibile oltre che assolutamente necessaria per evitare problemi di congestione del traffico gomma nonché di sicurezza dei diversi utenti della strada;
     si chiede, tramite la prefettura, un report quindicinale di RFI sullo stato di avanzamento dei lavori;
     si chiede alla regione di sostenere, anche mediaticamente, l'uso del treno sulla linea Venezia-Calalzo e Padova-Calalzo perché la temporanea chiusura non si trasformi in una ulteriore perdita di utenti. Rispetto a tali ipotesi, è inaccettabile il disimpegno della regione a risolvere i problemi della linea ferroviaria Belluno-Calalzo –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se il Ministro intenda assumere, per quanto di competenza, iniziative per reperire maggiori risorse e per concordare, in sede di Conferenza Stato-regioni, un piano di sviluppo del trasporto ferroviario per l'efficientamento, la sicurezza ed il miglioramento della gestione del suddetto servizio, di cui Trenitalia s.p.a. è responsabile;
   se e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per potenziare, di concerto con le regioni interessate, le suddette reti ferroviarie, che necessitano interventi urgenti di adeguamento dell'infrastruttura esistente, ed in particolare per la rete ferroviaria «Calalzo-Ponte nelle Alpi- Padova e Calalzo-Ponte nelle Alpi-Treviso», vista l'attuale ridotta funzionalità in un territorio che ospita le Dolomiti, patrimonio dell'UNESCO, valutando anche possibili collegamenti futuri con la Valsugana, la Pusteria e con la costituenda rete delle piccole ferrovie delle Alpi. (4-04055)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   risulta da recenti notizie riportate sulla stampa locale che nel tratto di strada che da Vibo Marina conduce a Pizzo si continuano a registrare gravi problemi infrastrutturali che hanno portato alla interdizione al traffico della provinciale 522;
   la chiusura di questa importante strada pregiudica la viabilità e la sicurezza di chi abita in prossimità della stessa vedendosi costretto, per raggiungere la città di Pizzo, a seguire inadeguati percorsi alternativi che portano inevitabilmente ad allungare i tempi di spostamento;
   per cercare di risolvere la problematica esposta, la popolazione, ormai esasperata, ha inoltrato una serie di richieste al sindaco, il quale ha sollecitato in più occasioni la riapertura dell'arteria la cui competenza è della provincia;
   gli abitanti della zona circostante la provinciale sono costretti a vivere in un forte isolamento anche sociale che condiziona la vita dei Paesi interessati sia per la carenza infrastrutturale, sia per le condizioni di grave precarietà delle altre strade che conducono a Pizzo;
   nonostante i tanti solleciti di cittadini ed amministratori non si riesce ad avere notizia circa gli interventi che dovrebbero essere eseguiti per consentire nuovamente la circolazione su una strada la cui interruzione pregiudica l'ordinaria attività dell'intero territorio provinciale, considerando anche che si sta avvicinando alla prossima stagione turistica;
   risulta assolutamente necessario e urgente ripristinare l'apertura della strada provinciale valutando, anche provvisoriamente, la possibilità di aprire una sola corsia, il cui manto stradale aveva subito delle profonde alterazioni rendendo difficoltosa la viabilità;
   i fatti esposti sono ad avviso dell'interrogante preoccupanti e richiedono una immediata verifica e un urgente intervento al fine di creare le condizioni per una reale mobilità dei cittadini e per consentire la ripresa ordinaria delle attività, specialmente in prossimità della stagione turistica estiva –:
   se il ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e di quali elementi disponga in merito alle iniziative intraprese per una tempestiva soluzione delle suddette criticità infrastrutturali stante anche il commissariamento della provincia di Vibo Valentia. (4-04065)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale n. 195 Sulcitana (Strada Statale n. 195) dal chilometro 0,637 – al chilometro 98,590 collega Cagliari, passando per la costa sud-occidentale dell'isola, al Sulcis e alla provincia di Carbonia-Iglesias;
   si tratta di un'arteria strategica sia sul piano infrastrutturale che economico considerato che si tratta di un'area ad elevatissimo valore ambientale e turistico che necessita interventi di ammodernamento e razionalizzazione;
   è stato predisposto per quell'arteria la progettazione del lotto 1, del lotto 3 e dell'Opera Connessa Sud;
   il lotto 1 comprende l'asse principale di progetto della strada statale n. 195 dal chilometro 10+200,00 al chilometro 18+350,00, per una lunghezza di 8,150 chilometri, all'interno dei comuni di Capoterra e Sarroch: l'intera tratta dell'asse principale si sviluppa essenzialmente su nuovo tracciato;
   tale lotto comprende 3 svincoli (svincolo Inceneritore – Dorsale Casic, svincolo S.P. 91 Capoterra e svincolo Su Loi – Villa d'Orri, di cui vengono progettati soli due rami in quanto gli altri ricadono nel lotto 2 non compreso nell'appalto), che realizzano il collegamento dell'asse principale di progetto con la viabilità esistente, e le viabilità secondarie di progetto che ripristinano la continuità della viabilità esistente interferita;
   il lotto 3 comprende l'asse principale di progetto della strada statale n. 195 dal chilometro 23+900,00 chilometro 30+011,74 per una lunghezza di circa 6,112 chilometro, all'interno dei comuni di Sarroch, Villa San Pietro e Pula;
   per tale lotto si prevede l'adeguamento della sede esistente (strada denominata «Perimetrale consortile»), dal chilometro 23+900,00 al chilometro 25+400,00, un tratto in nuova sede dal chilometro 25+400,00 al chilometro 29+060,40 ed infine la riqualificazione della viabilità esistente chilometro 29+060,40 al chilometro 30+011,71;
   sono previsti in tale lotto 2 svincoli (svincolo Sarroch e svincolo Villa San Pietro), che realizzano il collegamento dell'asse principale di progetto con la viabilità esistente, e le viabilità secondarie di progetto che ripristinano la continuità della viabilità esistente interferita;
   l'opera connessa sud collega la nuova viabilità con la ex strada statale n. 195, comprende due tratti: il Tratto 1 che realizza, con una viabilità su nuova sede, il collegamento dallo svincolo Inceneritore – Dorsale Casic di progetto all'esistente Strada Dorsale Consortile e il Tratto 2 che prevede la riqualificazione dell'esistente Strada Dorsale Consortile dalla fine del Tratto 1 fino all'esistente rotatoria sulla ex strada statale n. 195;
   la strada Sulcitana rappresenta attualmente una viabilità a valenza sovralocale a medio-alto traffico, soprattutto nel periodo estivo, che condiziona fortemente la fruibilità trasversale dell'impianto urbano, sia dal punto di vista veicolare che pedonale;
   tale infrastruttura dovrebbe consentire una maggiore visibilità turistica e incrementare la prospettiva di crescita;
   l'obbiettivo del progetto è riqualificare il sistema viario ed insediativo allo scopo di migliorare la fruibilità da parte di tutti i soggetti, ristabilendo le gerarchie dei flussi, creando nuovi spazi urbani multifunzionali per il rilancio economico e culturale dell'insediamento;
   nel luglio 2007 è stato approvato il progetto di adeguamento della nuova strada statale n. 195;
   ai dati aggiornati al 14 marzo 2014 risulta la seguente situazione dei cantieri dell'appalto messo in essere dalla stazione appaltante dell'Anas;
   le date che vengono riportate per indicare la conclusione dei lavori riguardano gli impegni contrattuali stipulati dalle imprese esecutrici con l'Anas e sono quelle ufficiali e riportate nel sito ufficiale dell'Anas stessa;
   per quanto riguarda la strada statale n. 195 – Sulcitana: dal chilometro 0,637 al chilometro 98,590 risultano 2 lavori in corso;
   il primo intervento contempla un appalto unitario per lavori di costruzione della nuova strada statale n. 195 sulcitana, tratto Cagliari – Pula – lotti 1o e 3o e opera connessa sud;
   l'importo dei lavori principali è di 112.208.149, l'importo totale: 139.864.520;
   lo stato dei lavori fa registrare la consegna dei lavori all'impresa in data 22 dicembre 2011;
   per questo cantiere a distanza di 850 giorni l'avanzamento dei lavori risulta essere del 2,05 per cento;
   l'ultimazione prevista per l'opera è per il 22 agosto 2017;
   l'impresa esecutrice è l'Ati Grandi Lavori Fincosit – Eds Infrastrutture;
   sempre nella strada statale n. 195 risulta appaltato un lavoro dal chilometro 0,600 al chilometro 1,600 relativo a lavori di manutenzione straordinaria per l'adeguamento delle barriere alla normativa vigente nel tratto tra i chilometri 0+600 e 1+600 comprese le rampe del ponte «la scafa»;
   l'importo lavori principali: 1.101.577, importo totale: 1.217.548,49;
   lo stato dei lavori registra la consegna all'impresa il 2 luglio 2013, con un avanzamento lavori dello 0,00 per cento;
   l'ultimazione dell'intervento è prevista per il 31 luglio 2014;
   l'impresa esecutrice è la Traffitek Srl;
   lo stato dei lavori è di una gravità inaudita considerati i tempi di realizzazione e lo stato d'avanzamento;
   lo stato d'avanzamento dell'opera lascia presumere l'impossibilità di rispettare i tempi di realizzazione indicati nella gara d'appalto o peggio ancora la conferma dell'incapacità della stazione appaltante di portare a termine qualsiasi tipo di opera in Sardegna;
   850 giorni per realizzare il 2,05 per cento è uno scandalo senza precedenti e costituisce la dimostrazione più evidente di un fallimento gestionale delle opere pubbliche in Sardegna;
   si tratta di un'opera strategica per un'area decisiva per lo sviluppo dei Sud Sardegna –:
   se non ritenga di dover immediatamente assumere iniziative dirette a sottrarre all'Anas la competenza per la realizzazione;
   se non ritenga di dover intervenire immediatamente per l'avvio di fatto dei lavori e consentire con procedure di accelerazione di recuperare il gravissimo tempo perso;
   se non ritenga di dover immediatamente avviare un'inchiesta interna per capire come sia possibile che un'opera di tale entità possa far registrare dopo 850 giorni uno stato d'avanzamento del 2,05 per cento dei lavori. (4-04073)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   LOSACCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella serata del giorno 17 marzo 2014 nei pressi di Palagiano in provincia di Taranto si è consumato un efferato triplice omicidio tra le cui vittime anche un bambino di 4 anni;
   dalle prime ricostruzioni la vettura sulla quale viaggiavano le vittime, sarebbe stata affiancata lungo la strada, costretta al margine del guard rail e crivellata di colpi;
   alla guida vi era Carla Maria Fornari di anni 30, vedova di un pregiudicato morto quattro anni fa, al suo fianco Cosimo Orlando di 44 anni, pregiudicato in stato di semilibertà e che portava in braccio il figlio della donna, avuto dal defunto marito, di quattro anni;
   illesi sono rimasti gli altri due figli di 6 e 7 anni che viaggiavano sui sedili posteriori;
   l'omicidio è avvenuto lungo la strada statale 106 jonica e le forze dell'ordine per tutta la notte hanno cercato di rintracciare gli autori dell'agguato anche attraverso le immagini delle telecamere delle stazioni di servizio;
   l'episodio desta sconcerto per le modalità e la brutalità che ha visto tra le vittime finanche un bambino e che comunque è avvenuto su una strada statale di grande traffico e avrebbe potuto vedere il coinvolgimento anche di altre persone;
   da tempo, anche con altri atti di sindacato ispettivo presentati in precedenza, ho evidenziato il livello di allarme che desta la questione sicurezza in Puglia, soprattutto in determinate aree, che non può essere ignorato –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere con la massima urgenza per affrontare le criticità, in termini di sicurezza, presenti sul territorio pugliese, potenziando gli organici e la dotazione di mezzi di stanza in regione, al fine di presidiare in maniera più efficace il territorio e contrastare una evidente recrudescenza delle azioni criminali che si registrano con modalità efferate e inaudite.
(3-00698)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in base a quanto riportato dagli organi di informazione locale la procura della Repubblica di Catanzaro ha avviato una importante indagine penale a carico di diversi esponenti della giunta comunale di Catanzaro, che è stata azzerata in poche ore;
   l'indagine coinvolgerebbe oltre ad esponenti politici del comune anche diversi dipendenti comunali tra amministrativi e membri della polizia municipale;
   vi sarebbero diverse intercettazioni, alcune delle quali già riportante dagli organi di stampa dalle quali emergerebbe un quadro assolutamente desolante a riprova di un tasso di illegalità e di malcostume radicato;
   fatto salvo il principio dell'autonomia dei poteri dello Stato e fermo restando che sarà quindi la magistratura ad accertare eventuali presenze di atti illeciti da perseguire è del tutto evidente che si è in presenza di una vicenda grave dal punto di vista politico ed amministrativo;
   i cittadini di Catanzaro hanno la necessità di sapere tutto quello è avvenuto nella propria città –:
   se il Ministro intenda valutare l'assunzione di iniziative ai sensi degli articoli 141 e 142 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (3-00699)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da qualche tempo si sta diffondendo tra i giovani anche del nostro Paese una sorta di «gioco» nato in Australia e denominato «NekNomination» (il nome fa evidente riferimento al collo della bottiglia di birra o superalcolici), che utilizza la rete web e i social media ed ha un grandissimo livello di pericolosità per la salute e la vita stessa di chi vi si trova coinvolto, tanto che ha già mietuto diverse vittime in giro per il mondo, tutte sotto i trent'anni di età;
   il gioco consiste in una specie di sfida: si gira un video di sé stessi mentre si bevono quantità spropositate di alcoolici a mo’ di bravata e poi si condivide il filmato su Facebook o YouTube; nel video si fanno i nomi di alcuni amici per sfidarli a ripetere l'impresa entro 24 ore o saranno considerati da tutti dei vigliacchi e presi in giro nella gogna mediatica dei social network;
   le morti accertate per questo assurdo passatempo sono già almeno 10: cinque in Australia, due in Irlanda e tre in Inghilterra solo nell'ultimo mese: come Bradley Eames, inglese di 20 anni, morto dopo aver bevuto ben due bottiglie di gin come se fossero acqua fresca per girare il suo assurdo video o un ragazzo di diciannove anni morto a Dublino mentre cercava di attraversare a nuoto, ubriaco, un torrente gelato;
   la NekNomination, già molto popolare in Gran Bretagna e in Irlanda, si sta diffondendo rapidamente in Usa, e pare sia ormai giunta anche in Italia: ancora da accertare, ma molto probabile, lo sbarco di questa moda a Trieste e nella provincia di Pordenone, infatti nelle scorse serate del Carnevale, tra i 47 soccorsi dal 118 sembra ci fosse più di un concorrente del pericolosissimo «gioco» e i primi video di «sfida» girano su youtube e i vari social media;
   mentre si diffonde, inoltre, «il gioco» si modifica via via in qualcosa di ancora più raccapricciante e pericoloso: le bravate diventano sempre più assurde e rischiose per alzare la posta e per attirare di più l'attenzione. Un esempio su tutti: un ragazzo che si è fatto riprendere mentre frullava un topo morto che ha poi aggiunto alla sua dose di alcolici –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti enunciati in premessa e se non intendano intervenire al più presto, nei modi che gli sono propri, affinché tale minaccia sia in qualche modo arginata, attuando politiche di prevenzione anche attraverso campagne mirate di informazione e comunicazione sugli effetti dell'assunzione di tali quantità di alcool, contro gli esiti infausti che potrebbe avere se si diffondesse senza nessun tipo di controllo anche tra i giovani del nostro Paese.
(4-04057)


   LUPO, MANNINO, DI BENEDETTO, DI VITA e NUTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   come appreso da diversi quotidiani ed agenzie di stampa, gli edifici del centro storico palermitano e la sicurezza della popolazione sono in grande pericolo: dai dati forniti dal comune, si evince che 248 edifici necessitano di interventi urgenti, 368 sono pericolanti, e 1004 degradati. Tra questi figurano 1466 edifici privati, 102 di proprietà comunale e 52 chiese;
   un raffronto fra i dati del 2010 con quelli attuali mostra la situazione degli edifici in preoccupante, veloce peggioramento; quelli pericolanti, ossia a rischio crollo, sono passati da 304 a 368 e quelli degradati da 799 a 1004;
   il centro storico palermitano è esposto quotidianamente al pericolo crolli che, oltre ad un incalcolabile danno storico- culturale, vista la presenza di numerosi edifici d'interesse storico, sancirebbe l'ultima sconfitta dello Stato nei confronti del degrado urbano che ormai da diversi anni sta caratterizzando la nostra penisola;
   la superficie interessata dell'emergenza è racchiusa in un'area di 249 ettari che – come tutti i centri storici italiani – è caratterizzato da un'altissima densità abitativa; il crollo di uno o più edifici potrebbe trasformarsi in una tragedia;
   proprio qualche giorno fa si è verificato il crollo di una palazzina bombardata durante la seconda guerra mondiale e mai messa in sicurezza ed è un miracolo che non ci siano state vittime, dato che il crollo è avvenuto in una delle piazze che racchiudono la movida palermitana dove ogni sera gravitano centinaia di giovani –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti citati in premessa;
   quali misure intendano adottare nell'immediato al fine di scongiurare la possibilità che nuovi crolli provochino vittime tra la popolazione e gli abitanti del centro storico di Palermo;
   in che modo intendano promuovere l'intervento degli organi periferici preposti alla tutela della pubblica incolumità, secondo le rispettive competenze. (4-04062)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Catanzaro è stato investito da una nuova inchiesta giudiziaria che vede coinvolti diversi esponenti del governo cittadino;
   il pubblico ministero Gerardo Dominiajnni ipotizza i reati di concussione, corruzione, peculato, distruzione di un atto pubblico e indebita induzione a dare o promettere utilità;
   nel registro degli indagati sono finiti il sindaco Sergio Abramo, l'assessore regionale Domenico Tallini, gli assessori Massimo Lomonaco e Stefania Lo Giudice, il consigliere comunale delegato all'urbanistica, Carlo Nisticò, il dirigente Giuseppe Cardamone, il vigile urbano Rocco Cristallo e l'architetto Paola Barbuto;
   tra gli atti già pubblicati da diverse testate giornalistiche si evidenziano promesse di incarico, lavori di ammodernamento di un sottopassaggio affidati ad un ingegnere amico che avrebbe dovuto dare il 20 per cento al consigliere Leone, lottizzazioni per cementificare un'area naturale nel quartiere Giovino e richieste di tangenti;
   sono decine le telefonate raccolte dagli inquirenti che hanno come oggetto le sanzioni al codice della strada. Professionisti, avvocati, tutti si rivolgono all'amico politico per farsi togliere la multa;
   nell'illegalità perpetrata da pezzi importanti della pubblica amministrazione catanzarese c’è di più e c’è di peggio ed il tutto è raccontato dalla viva voce di protagonisti di primo piano come gli assessori comunali Lomonaco e Lo Giudice, il capo dell’«area tecnica» Pino Cardamone, il maggiore dei vigili urbani Tarantino e via dicendo con un lunghissimo elenco che raccoglie di tutto: architetti, capielettori, uomini designati dal comune nella Sacal, consiglieri regionali che si occupano di mense scolastiche e giornalisti disponibili;
   secondo quanto si legge nel decreto di intercettazione, Lomonaco, in qualità di assessore presso il comune di Catanzaro, in cambio del rinnovo della carta di identità a ZPYM, accettava dalla stessa la promessa di una prestazione sessuale. Per gli inquirenti l'esponente della giunta, approfittando del suo ruolo istituzionale, interviene presso l'ufficio anagrafe e il comando dei vigili di Catanzaro al fine di favorire o comunque agevolare la signora ZPYM, prostituta, nell'ottenimento della carta di identità (rinnovo). Per tale appoggio, l'assessore Lomonaco ottiene una prestazione sessuale;
   gli elementi fin qui raccolti dagli investigatori della Digos, ipotizzano a carico di Lomonaco anche il reato di peculato, poiché utilizzava il cellulare di servizio procedendo a telefonate a fini esclusivamente personali;
   a seguito dello scandalo scoppiato a Palazzo De Nobili, il sindaco Sergio Abramo ha azzerato la giunta e le deleghe assegnate ai consiglieri. L'azzeramento deciso da Abramo sembra piuttosto una mossa politica dettata dagli effetti causati dall'inchiesta giudiziaria che si è abbattuta sul Palazzo, che tanta indignazione sta suscitando nell'opinione pubblica –:
   fermo restando il corso delle indagini di ambito giudiziario, se non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, ai sensi degli articoli 141 e 142 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (4-04074)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 marzo 2014 è stato pubblicato il decreto ministeriale n. 220 «Definizione dei posti disponibili per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a ciclo unico in medicina e chirurgia anno accademico 2014/2015», con il quale si ridefinisce la disponibilità dei posti indicati dal precedente decreto ministeriale n. 85 del 5 febbraio 2014. Il decreto ministeriale n. 85, infatti, aveva previsto un taglio dei posti disponibili nel 2014 per compensare la maggiore affluenza ai corsi a numero chiuso, determinata dalla vicenda del bonus maturità. Una scelta comunque sbagliata, dal momento che con il decreto n. 85 si era deciso di far ricadere, di fatto, sugli aspiranti studenti delle facoltà a numero programmato, le scelte errate compiute dal Ministero;
   nel nuovo decreto ministeriale si osserva che quasi tutte le università italiane hanno ottenuto un reintegro delle disponibilità di posti, tranne che l'università di Bari per la facoltà di medicina e chirurgia, per la quale rimane invariato il pesante taglio ingiustificato –:
   quali siano le ragioni alla base della scelta del Ministro di non concedere il reintegro all'università di Bari e agli studenti pugliesi;
   quali siano i calcoli che hanno determinato la riduzione dei posti disponibili, e se siano stati presi in considerazione i dati sui pensionamenti dei medici pugliesi;
   se il Ministro non ritenga doveroso mettere in discussione, attraverso il confronto con le organizzazioni di categoria, il sistema degli accessi programmati alle università e se non ritenga utile programmare un nuovo sistema d'accesso, più rispettoso del diritto allo studio e più efficace dal punto di vista della formazione delle competenze. (4-04054)


   LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le quote utili all'assunzione di personale scolastico con diritto di riserva sono stabilite dal comma 1 dell'articolo 3 della legge 22 marzo 1999, n. 68;
   l'iscrizione alle liste di collocamento obbligato, per i portatori di handicap con diritto di riserva «N», è consentita solo nel caso sussista la condizione di disoccupazione del richiedente;
   lo status di disoccupato deve essere dichiarato, al proprio centro per l'impiego provinciale, entro trenta giorni dall'ultima prestazione di lavoro effettuata;
   i portatori di handicap, con diritto di riserva «N», dovranno allegare alla domanda di aggiornamento della posizione in graduatoria, l'iscrizione al «collocamento obbligatorio» del proprio centro per l'impiego provinciale;
   il diritto alla riserva dei posti prescinde dalla sussistenza dello stato di disoccupazione all'atto dell'assunzione, come evidenziano l'articolo 16, comma 2, legge 22 marzo 1999, n. 68, e l'articolo 1, comma 2, del regolamento esecutivo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 ottobre 2000, n. 333;
   capita frequentemente che, nel periodo in cui vige la presentazione della domanda di iscrizione in graduatoria, l'interessato sia occupato su una supplenza e, per tanto, non possa essere considerato in stato di disoccupazione, se non a seguito di autolicenziamento con rinuncia dell'ultimo mese di retribuzione;
   il docente che riterrà opportuno presentare l'autolicenziamento, al fine di preservare il diritto di riserva, provocherà una interruzione della continuità didattica –:
   come intenda affrontare tali problematiche;
   se sia possibile prevedere, in via straordinaria per l'aggiornamento delle graduatorie previste nel 2014, che il titolare di riserva possa indicare di possedere il diritto alla riserva entro i tempi stabiliti e perfezionare la propria posizione al termine delle attività didattiche. (4-04069)


   LUIGI GALLO, TOFALO e MANNINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'entrata in vigore del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e del piano programmatico di attuazione dei tagli della scuola, ha apportato le seguenti modifiche al sistema scuola: riduzione del numero di sedi scolastiche, aumento dei numeri massimi di alunni per costituire una classe, chiusura di classi nei piccoli centri, aumento delle classi che raggruppano alunni di corsi diversi, riduzione oraria del funzionamento delle scuole, eliminazione del modello didattico «tempo pieno», saturazione delle cattedre a 18 ore settimanali;
   tali provvedimenti hanno oggettivamente provocato: lo spezzettamento delle unità scolastiche, l'impossibilità di servirsi di docenti le cui cattedre erano composte dai residui dei colleghi, la creazione dell'organico soprannumerario;
   da una elaborazione eseguita da FLC CGIL, risulta che, al 23 luglio 2013, i posti in esubero sono 7901, per quanto riguarda i posti comuni, e 98 per ciò che concerne i docenti di sostegno;
   con decreto direttoriale del MIUR n. 7 del 16 aprile 2012 viene concessa ad una quota di docenti soprannumerari la riconversione in insegnanti di sostegno;
   le modalità di riconversione sono previste dagli articoli 4, 5, 6, 8 e 9 del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 30 settembre 2011;
   il decreto citato prevede che la preselezione avvenga tramite la formazione di una graduatoria di merito e che, in caso di parità di punteggio, l'ammissione al corso di specializzazione sia concessa al candidato con maggiore anzianità di servizio di insegnamento sul sostegno nelle scuole, e, nel caso di ulteriore parità o nel caso in cui i docenti non abbiano svolto il servizio di sostegno, l'ammissione al corso sia concessa al candidato anagraficamente più giovane;
   la nota del MIUR protocollo n. 7591 del 10 ottobre 2012 ribadisce quanto espresso dal decreto ministeriale 30 settembre 2011 circa la necessità di utilizzare il criterio di merito per selezionare i candidati specializzandi, ma vi è contraddizione con il decreto direttoriale in merito alla parità di punteggio in graduatoria, per la quale la nota prevede la precedenza per i docenti con almeno un anno con servizio sul sostegno, fattispecie non prevista nel decreto direttoriale, il quale prevede meramente la maggiore anzianità di servizio di insegnamento sul sostegno, senza specificarne la durata;
   se le segnalazioni di cui sopra parlano di graduatorie stilate secondo il criterio anagrafico, assumendo come prioritaria, in caso di parità, l'età anagrafica più giovane –:
   se si intenda prendere in considerazione l'ipotesi di ripristinare quei posti necessari curriculari e di disciplina utili a riassorbire il personale suddetto;
   se le procedure di preselezione dei docenti candidati alla iscrizione ai corsi di specializzazione per le attività di sostegno siano state effettivamente svolte secondo quanto prescritto dalla nota direttoriale del MIUR n. 7 del 16 aprile 2012;
   nel caso di procedure svolte in contrasto con la normativa vigente, quali siano le misure risolutive individuate. (4-04070)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   l’«opzione donna» è un regime sperimentale che prevede – secondo l'articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2003 cosiddetta Riforma Maroni – fino al 31 dicembre 2015 il pensionamento anticipato per le lavoratrici dipendenti che abbiano raggiunto 57 anni d'età, o per le autonome che ne abbiano raggiunti 58 anni (ai quali vanno aggiunti 3 mesi per effetto dell'adeguamento alla speranza di vita), con almeno 35 anni di contributi; in tal caso, chi usufruirà di tale opzione avrà la pensione calcolata interamente con il metodo contributivo;
   l'articolo 24, comma 14, del decreto-legge n. 201 del 2001, cosiddetto «Salva-Italia», ha previsto che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge medesimo continuino ad applicarsi, tra l'altro, alle lavoratrici contemplate per l'appunto dall'articolo 1 della riforma Maroni;
   sull'argomento la circolare Inps n. 35 del 14 marzo 2012 ha interpretato la norma di cui al predetto articolo 24 in maniera restrittiva, affermando che per esercitare l'opzione fosse necessario non solo maturare i requisiti entro il 31 dicembre 2015, ma anche percepire effettivamente il trattamento previdenziale, anticipando così il termine ultimo della domanda di oltre un anno;
   nello scorso novembre 2013, si ricorda, le Commissioni lavoro di Camera e Senato hanno approvato, ciascuna, una risoluzione con la quale si è impegnato il Governo «a sollecitare l'Inps (...) a rivedere il punto 7.2 della circolare n. 35 concernente la liquidazione del trattamento pensionistico per le lavoratrici in regime sperimentale, nel senso che per tali lavoratrici non deve essere applicata la finestra mobile per la decorrenza del trattamento pensionistico né le aspettative di vita, ma resta valida la semplice maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2015 (...)»;
   peraltro, dalla discussione in Commissione Lavoro della Camera è emerso un orientamento del Ministro interpellato favorevole ad un riesame della circolare in questione, contrariamente alla posizione del co-vigilante Ministero dell'economia che ritiene il punto 7.2 della circolare pienamente coerente con la norma primaria oggetto di interpretazione (articolo 24, decreto-legge n. 201 del 2011) –:
   se e quali azioni abbia intrapreso da novembre ad oggi per dare seguito al dispositivo della risoluzione citata in premessa e se non convenga sull'opportunità di intervenire con provvedimenti di propria competenza per prolungare anche oltre il 2015 il regime sperimentale cosiddetto «opzione Donna», posto che sebbene tale prosecuzione possa – ad avviso della ragioneria generale dello Stato – compromettere gli effetti complessivi della riforma pensionistica operata con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, giacché consentirebbe l'accesso a pensione ad un età ampiamente inferiore a quella prevista dalla medesima legge, è altrettanto vero che gli stessi sarebbero mitigati, se non addirittura compensati, dalle penalizzazioni derivanti dal conteggio della pensione interamente con il calcolo contributivo, anche per chi avrebbe normalmente usufruito del calcolo misto o puramente retributivo sino al 31 dicembre 2011.
(2-00462) «Giancarlo Giorgetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSTELLATO, RIZZETTO, CHIMIENTI, BECHIS e CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è giunta la segnalazione dai lavoratori di MPSS (Manutencoop private sector solutions), assegnati alla lavorazione dell'appalto dei servizi di facility di Telecom, che lamentano la politica lavorativa praticata dalla società MPSS, sotto la regia ed il coordinamento della loro capogruppo Manutencoop facility management SpA (MFM), il gigante italiano della cooperazione nel facility, ai loro danni, allo scopo di espellere centinaia di lavoratori e così migliorare la sua efficienza, i suoi risultati ed i suoi bilanci aziendali;
   in origine tutti i lavoratori MPSS oggetto delle future espulsioni dalla società, erano ex dipendenti del gruppo Telecom. Dopo la scalata a debito della Telecom effettuata dalla Pirelli al prezzo di decine di miliardi di euro, per il nuovo azionista Pirelli è sopravvenuta la necessità di rimborsare il debito e pagare gli interessi. La soluzione più elementare ed immediata è stata quella di aumentare i dividendi agli azionisti. Occorreva ridurre i costi o incrementare i ricavi così da aumentare gli utili da distribuire in dividendi a Pirelli. L'azienda decise di tagliare gli investimenti e ridurre il costo del lavoro anche mandando via migliaia di lavoratori attraverso studiate cessioni di ramo d'azienda: il gruppo Telecom, in data 1o novembre 2004, facilitato dalla modifica dell'articolo 2112 del codice civile, procedeva così alla riduzione del costo del lavoro riducendo gli organici, grazie alle opache cessioni di ramo d'azienda e di lavoratori alla ex MP Facility, attuale MPSS, all'epoca newcom paritetica fra la Pirelli stessa e Manutencoop;
   in pari data, veniva assegnata alla MP facility un contratto di appalto per la fornitura e la gestione di servizi integrati immobiliari e di funzionamento del valore annuo di 38,5 euro aggiornabili;
   MP Facility, quindi, ha costituito, a parere degli interroganti, il contenitore entro il quale racchiudere rami di azienda e lavoratori ritenuti in sovrannumero dal gruppo Telecom (si veda la recente e velata ammissione di Tronchetti Provera a Presa Diretta del 27 gennaio 2014, dove ammette, ad avviso degli interroganti, che le esternalizzazioni sono servite a ridurre il troppo personale), sempre dietro importanti contropartite in appalti per determinati anni, che alla scadenza giustificheranno MPSS a cassa integrare e licenziare gli ex lavoratori Telecom ancora rimasti;
   nel dicembre 2008, MFM acquisisce da Pirelli Real Estate e Intesa Sanpaolo la Pirelli RE Integrated facility management Spa capogruppo di società specializzate nel settore dei servizi di facility e project management. Con l'acquisto diventa proprietaria anche dell'altro 50 per cento di MP Facility, meritandosi così il premio quale miglior acquisizione dell'anno;
   in data 1o gennaio 2010 MCB (controllata al 100 per cento da MFM) viene fusa per incorporazione in MP Facility, Spa in quanto il core business delle 2 società erano affini: gli ex Telecom per le commesse pubbliche (Telecom) e gli ex MCB per quelle private (banche, negozi, eccetera);
   l'attuale organizzazione prevede nei ruoli di responsabili personale già con la medesima qualifica in MFM, quindi con lo stesso ruolo in ambedue le società, svuotando così i lavoratori MPSS della sola commessa Telecom, dei ruoli più qualificanti; in data 29 ottobre 2012 MP Facility ha modificato la denominazione sociale in MPSS;
   nelle more di questa come di altre cessioni di ramo di azienda effettuate da Telecom, molti lavoratori si sono rivolti alla magistratura sostenendo l'inefficacia e/o l'illegittimità della cessione del proprio rapporto di lavoro a MP Facility per inapplicabilità alla fattispecie della disciplina recata dall'articolo 2112 del codice civile;
   nella maggior parte dei casi, i tribunali hanno riconosciuto la fondatezza delle denunce, dichiarata la nullità della cessione del contratto di lavoro a Emsa e/o MP Facility, confermando la prosecuzione del rapporto di lavoro nella Telecom, e condannando la stessa a reintegrare i lavoratori ceduti illegittimamente;
   nonostante ciò, Telecom procede al reintegro di essi nei propri ranghi, solo e soltanto dopo il passaggio in giudicato delle sentenze, cioè dopo il pronunciamento della Cassazione;
   contemporaneamente alle ultime fusioni ed incorporazioni sono state avviate dall'azienda alcune attività e procedure sindacali;
   durante l'incontro sindacale presso l'Unione industriali di Roma del 15 dicembre 2010, MP Facility Spa ha illustrato le linee guida del nuovo piano industriale;
   tali obiettivi prevedevano il licenziamento dei lavoratori ex Telecom (lavoratori monocommessa) che svolgevano la stessa attività di gestione immobili dei lavoratori di MCB, assegnando a questi ultimi le attività e la parte più qualificata di coordinamento;
   le organizzazioni sindacali richiedevano all'azienda di ricorrere agli ammortizzatori sociali, proposta immediatamente accolta in quanto perno e snodo del suo piano industriale e di riorganizzazione strutturale;
   veniva concordata la cassa integrazione guadagni straordinaria per un massimo di 130 lavoratori a zero ore per 24 mesi a rotazione a partire dal 1° febbraio 2011, un programma di formazione, solo accennato, e riqualificazione professionale da svolgere nel biennio di cassa integrazione guadagni straordinaria con il fine di preparare il cambiamento dei ruoli e dell'approccio lavorativo e una procedura di mobilità per un massimo di 85 dipendenti ma senza comunicare e/o applicare alcun criterio di scelta;
   l'abbandono della mono commessa Telecom e l'obiettivo di utilizzare il personale su più commesse o clienti ha consentito artificiosamente all'azienda di trasferire a lavoratori del gruppo storico di Manutencoop (gli ex MCB) le attività delle commesse Telecom, l'accentramento delle attività in un'unica struttura operativa Manutencoop e la conseguente sottrazione di attività delle commesse a chi le aveva sempre svolte;
   dal 2010 ci sono state più riorganizzazioni o ristrutturazioni che hanno sempre perseguito l'obiettivo di trasferire attività, specialmente le più qualificanti, da MPSS a MCB o Manutencoop, anche quelle del personale building;
   dopo due anni di cassa integrazione l'azienda tenta di collocare in mobilità i lavoratori cassintegrati giustificandola con il persistere della riduzione delle commesse;
   il 26 settembre 2013 MPSS ha avviato la procedura di licenziamento collettivo per riduzione di personale (ex legge n. 223 del 1991) per 133 lavoratori operanti sul territorio nazionale nella commessa Telecom in scadenza il 31 ottobre 2013, alla quale procedura i lavoratori e le organizzazioni sindacali si sono fermamente opposti;
   nelle more della discussione sulla cassa integrazione guadagni straordinaria, Telecom ha assegnato a MPSS una nuova commessa del valore di 28 milioni di euro, per consentire ai suoi ex lavoratori Telecom ceduti ed ancora impegnati sulla commessa Telecom a stralcio e sulla nuova commessa di poter continuare a svolgere il proprio lavoro eliminando o riducendo i motivi che potevano sollecitare la mobilità;
   di conseguenza MPSS ha invitato i propri lavoratori ex Telecom, quei pochi ancora impegnati sulla commessa Telecom, a trasferire ai lavoratori di MFM le attività fino a quel momento da loro svolte; si sono susseguiti in sede ministeriale gli incontri congiunti tra azienda e sindacati previsti dalle procedure ex legge n. 223 del 1991 e MPSS ha proposto di richiedere l'impegno di Telecom a ricollocare 43 lavoratori MPSS presso i nuovi aggiudicatari di commesse Telecom nelle regioni in cui MPSS aveva perso totalmente l'appalto. All'incontro dell'8 gennaio 2014, presso il Ministero del lavoro, è intervenuta Telecom che si è dichiarata disponibile ad impegnarsi per fare assorbire dai nuovi assegnatari delle commesse i 43 lavoratori in discussione, ma si è detta altresì indisponibile per riassegnare a MPSS altre attività, vista la politica di reinternalizzazione in atto alla Telecom;
   in quell'incontro ministeriale tra MPSS e Telecom e organizzazioni sindacali, dove veniva concessa la cassa integrazioni guadagni straordinaria residuale per 122 lavoratori fino al 7 febbraio 2014 e una mobilità volontaria per 65 lavoratori, da espletarsi entro il 30 aprile 2014;
   il tribunale di Roma, nella sentenza n. 11051/2013, esaminando il ricorso di un lavoratore di MP Facility Spaa, ha accolto il motivo addotto dal ricorrente secondo cui «i criteri di individuazione dei lavoratori da cassa integrare e le modalità di rotazione avrebbero dovuto essere oggetto di confronto con il sindacato» e che «la società non ha chiarito perché mai siano stato sospesi solo i dipendenti transitati in MPF da Telecom Italia e addetti alla relativa commessa»;
   nella seduta n. 522 del 6 ottobre 2004 (Iniziative per la salvaguardia dei livelli occupazionali della Telecom – n. 3-03789) il Ministro del lavoro e delle politiche sociali pro tempore affermò che «Intendiamo verificare che ciò non accada e che questi accordi per l'esternalizzazione siano tali e non consistano in una operazione mascherata per eludere la legge e giungere poi a riduzioni del personale non previste dagli accordi –:
   se intenda al più presto convocare un tavolo al fine di affrontare le criticità e quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di preservare i posti di lavoro e contestualmente garantire la legalità delle operazioni in atto;
   se non ritenga opportuno convocare nel più breve tempo possibile le parti in causa al fine di pervenire ad una soluzione che garantisca la salvaguardia occupazionale e la piena tutela di tutti i diritti dei lavoratori della società MPSS e se non voglia rendere ufficiali i dati relativi al numero complessivo dei lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria e in mobilità, e se siano noti i criteri di svolta circa l'ammissione alle procedure –:
   quali iniziative, infine, intenda adottare affinché i principali attori del sistema produttivo e industriale italiano si facciano coraggiosamente e solidaristicamente carico delle situazioni, sostenendo gli impegni e i sacrifici necessari nonché partecipando in prima persona al rilancio della crescita, dell'economia e dell'occupazione considerato che soltanto con questo operare si adempie un preciso dovere etico e sociale e si contribuisce realmente al superamento delle attuali difficoltà di tutto il Paese, non certo con azioni mirate unicamente agli interessi dei vertici aziendali.  (4-04063)


   BALDASSARRE, CHIMIENTI, BECHIS, CIPRINI, RIZZETTO, ROSTELLATO, COMINARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 aprile 2013 si è verificato l'ennesimo gravissimo incidente sul lavoro e a farne le spese, questa volta, un lavoratore di nazionalità bulgara impiegato per la lavorazione dei campi per il tramite dell'utilizzo di una motozappa;
   la conseguenza dell'incidente è stata la perdita degli arti inferiori che ha comportato la necessaria amputazione della gamba destra, oltre che irreversibili danni alla gamba sinistra, che risulta gravemente danneggiata a seguito dell'incidente;
   risultano agli interroganti una serie di anomalie che avrebbero fatto da contorno alla grave vicenda e che sono state peraltro descritte dal lavoratore nel modo che testualmente si riporta come da dichiarazione da quest'ultimo rilasciata: «Il 20 Ottobre 2009 io sottoscritto Ninov Nikolay Milchov e mia moglie arriviamo in Italia ed entriamo nella casa dove in avanti succedeva l'incidente. Abbiamo concordato con il proprietario della casa l'affitto dove alloggiavamo nella misura di euro 60 a persona residenti nella stessa. Le bollette venivano pagate a parte a formale richiesta del proprietario della casa (...) poco dopo la nostra entrata Pietro Fusaro in qualità di proprietario della casa da noi condotta ci ha proposto di pagare l'affitto lavorando nelle sue terre (...) Nel 2010 Pietro Fusaro ci ha permesso di avere sia io che mia moglie residenza e carta di identità grazie alla stipula del contratto di locazione. (...) Successivamente alla proposta di lavoro mi ha richiesto se potevo lavorare con la motozappa ed io gli ho risposto che avrei provato. (...) La motozappa è molto vecchia ed è priva di sicurezza. (...) Così tutta la mia famiglia quando è sprovvista di lavoro si trova a lavorare le terre dello stesso Fusaro per poter pagare l'affitto (...) 8 aprile 2013 (...) Dopo aver zappato n. 2 alberi di ulivo, al bordo del terrazzo mi ha dato la motozappa dicendomi di scendere al terrazzo inferiore, ma essendo il terreno molto ripido è possibile lavorare solo in salita, ma nonostante tutto lo stesso Fusaro mi ordinava di lavorarlo in discesa. (...) mi sono ritrovato sotto la stessa motozappa. (...) Solo dopo che il Fusaro ha sollevato la motozappa ho visto la mia gamba destra sotto il ginocchio tagliata e stava in disparte dallo stesso arto e quella sinistra tagliata in diverse parti. (...) Fusaro (...) ha chiamato gli operatori del pronto soccorso. (...) gli operatori del a mettermi la flebo, mi hanno portato vicino all'ambulanza in attesa dell'arrivo dell'elicottero con il quale sono andato all'ospedale di Cosenza»;
   orbene la dichiarazione di parte sopra riportata è confermata dal referto dell'azienda ospedaliera di Cosenza, servizio di pronto soccorso, che corrobora le dichiarazioni del signor Ninov Nikilay Milchov per quanto riguarda le gravi menomazioni intervenute, l'anamnesi clinica e l'effettiva amputazione dell'arto destro;
   ulteriori conferme sulla drammatica situazione clinica e sanitaria del signor Ninov Nikilay Milchov si evincono dalla cartella clinica dell'azienda ospedaliera di Cosenza – unità operativa complessa di ortopedia e traumatologia con direttore dottor Francesco Togo – e N° NOSOGRAFICO 8598;
   la cartella clinico-assistenziale n. 85 del 2013 dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza, distretto sanitario di Acri, la quale si è occupata delle terapie di riabilitazione e assistenziali post-operazione, reca infatti la seguente: «diagnosi: esiti amputazione gamba destra, ferita traumatica gamba sinistra»;
   da comunicazione INPS protocollo 13NEDCH002830 datata 16 dicembre 2013, si evincerebbe altresì che in data 10 giugno 2013 è stata presentata una domanda di invalidità civile da parte del signor Ninov Nikilay Milchov;
   appare evidente come la vicenda descritta, tanto per la gravità del fatto, quanto per le palesi criticità che emergono meriti una attenta analisi e più acconce verifiche;
   a parere dell'interrogante merita approfondimento il fatto che il signor Ninov Nikilay Milchov sia stato indirizzato all'avvio di una pratica di invalidità civile, così come apparirebbe, di conseguenza, anomalo, il mancato coinvolgimento di INAIL; per quanto di conoscenza dell'interrogante il signor Milchov non sarebbe stato ascoltato dalle forze di polizia il che lascerebbe presupporre l'assenza della compilazione del modulo obbligatorio INAIL prevista per i casi di incidenti sul lavoro;
   tenuto conto che le lesioni patite dall'infortunato si palesano come «gravissime», a mente dell'articolo 590 del codice penale, trattasi di uno dei casi rispetto ai quali sussiste l'obbligatorietà dell'azione penale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto e, se per quanto di competenza, intendano far luce sull'accaduto anche attraverso l'invio, qualora non già avvenuto, di ispettori del lavoro;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno intervenire, per quanto di propria competenza, al fine di far chiarezza sul tragico evento verificando il corretto svolgimento delle attività dei soggetti responsabili di ciascun procedimento amministrativo attivatosi. (4-04075)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ANTEZZA, OLIVERIO, VENITTELLI e COVELLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi l'associazione nazionale dei liberi allevatori di conigli (ANLAC) ha denunciato distorsioni nel mercato europeo delle carni di coniglio macellate. L'associazione ha reso noto il paradosso che in Francia, Ungheria e Spagna i conigli vivi valgono molto di più di quelli italiani, mentre una volta macellati il prezzo crolla;
   tale contraddizione per l'associazione rivelerebbe l'esistenza di comportamenti scorretti (dumping) nel commercio internazionale di carne macellata tendente ad abbassare artificialmente le quotazioni del vivo sulle piazze italiane, che i macellatori-grossisti italiani sinora non hanno contrastato;
   i dati statistici confermano che l'Italia importa dalla Francia la maggior quota di carni cunicole europee (55 per cento): durante il 2013 dalla Francia sono arrivati quasi 15.000 quintali di conigli macellati con un incremento del 22 per cento rispetto al 2012. La restante quota di importazioni è coperta da Ungheria (26 per cento) e Spagna (16 per cento);
   l'elevato livello di produzione cunicola del mercato italiano non giustifica l'aumento progressivo dell’import sotto il profilo dei consumi nazionali, mentre tale incremento sembrerebbe funzionale a calmierare i prezzi del mercato interno a vantaggio degli operatori finali della filiera produttiva;
   secondo l'ANLAC, il surplus di conigli macellati francesi verrebbe immesso in commercio in Italia ad un prezzo inferiore al valore normale del prodotto praticato all'interno della stessa Francia; tale fenomeno, che si ripete ciclicamente in alcuni periodi dell'anno, quest'anno è iniziato in concomitanza dei ribassi eccessivi sulla piazza di Verona e delinea una discriminazione internazionale dei prezzi che non tiene conto delle perdite dei produttori italiani, e tende a favorire pratiche di monopolio alterando la struttura del commercio tra Stati europei;
   per superare le debolezze strutturali della filiera delle carni cunicole il comparto nazionale chiede da tempo l'estensione dell'etichettatura di origine obbligatoria alle carni di coniglio, sterilizzando così le manovre speculative dei grossi gruppi agroalimentari e della distribuzione organizzata, che a detta dell'ANLAC, sono tra i maggiori acquirenti delle carni di coniglio francesi, ungheresi e spagnole;
   l'estate scorsa con l'approvazione della risoluzione n. 7-00040 in Commissione agricoltura, sulle problematiche del settore cunicolo e sui fenomeni di dumping da parte di altri Stati membri, il Governo pro tempore si è impegnato ad intervenire presso la Commissione europea, per chiarire i profili di violazione delle regole in materia di etichettatura e di tracciabilità della carne di coniglio in ambito UE;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha definito un piano di intervento per il settore cunicolo adottato nella seduta del 29 aprile 2010 della Conferenza Stato-Regioni nel 2010 con l'obiettivo, tra gli altri, di superare alcune criticità tra cui una contrazione generalizzata della redditività conseguenza anche di un'accentuata stagionalità e ciclicità di mercato; il piano individua pertanto linee di intervento tese al potenziamento economico e produttivo della filiera, improntate all'efficienza e alla trasparenza dei rapporti tra i diversi attori della filiera e, in particolare, con i consumatori finali;
   tra gli strumenti individuati, molto importante è la prevista revisione del meccanismo di definizione dei prezzi, anche attraverso la costituzione di una commissione prezzi unica nazionale (CUN), neutrale e trasparente, che consenta di superare i meccanismi discrezionali delle attuali borse merci;
   tuttavia, come riconosciuto dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, in un parere fornito sulla formazione dei prezzi all'ingrosso nel settore cunicolo (parere AS850, del 29 aprile 2011), la mancata applicazione del piano di intervento per il settore cunicolo, ha privato tale comparto di un valido strumento per il superamento delle criticità e per il potenziamento economico e produttivo dell'intera filiera, mentre ha favorito ulteriormente lo squilibrio nella catena del valore, aggravando la crisi del settore –:
   quali siano i controlli effettuati sul funzionamento della filiera cunicola, ivi comprese le catene distributive italiane, i grossisti, i macellatori dotati di laboratori di sezionamento, i magazzini frigoriferi e le navi frigo che attraccano nei porti italiani, finalizzati a contrastare fenomeni di contraffazione, di pirateria e comportamenti anticoncorrenziali;
   se l'immissione nel commercio in Italia di carni cunicole, provenienti dalla Francia ad un prezzo inferiore al valore normale del prodotto praticato all'interno della stessa Francia, possa delineare un comportamento anticoncorrenziale nel commercio tra gli Stati europei;
   se non si ritenga necessario coinvolgere le autorità europee per verificare l'effettiva assenza di comportamenti anticoncorrenziali e di aiuti di Stato nel commercio di carne di coniglio tra gli Stati membri. (5-02384)

Interrogazione a risposta scritta:


   MONGIELLO e REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in materia di agroenergie e di imprese agricole agroenergetiche, l'attuale normativa nazionale prevede che l'energia prodotta e ceduta da imprese agricole a partire da fonti energetiche rinnovabili ottenute nell'ambito delle attività agricole, rientri tra le attività connesse a quelle agricole;
   in tal senso, il comma 423, articolo 1, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), come da ultimo sostituito dal comma 369, articolo 1, della legge 27 dicembre 2006 (legge finanziaria 2007), stabilisce che «Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa, la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche nonché di carburanti ottenuti da produzioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo e di prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalentemente dal fondo effettuate dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse ai sensi dell'articolo 2135, terzo comma, del codice civile e si considerano produttive di reddito agrario»;
   si nota, però, che la norma si riferisce solo ad alcune fonti agroenergetiche rinnovabili, escludendone inspiegabilmente altre che sicuramente hanno un'attinenza rurale, tra cui, in particolare, le fonti idriche e quelle eoliche. La produzione e la cessione di energia elettrica da fonti idriche ed eoliche, quindi, non costituiscono attività connesse a quelle agricole;
   per le aziende agricole produrre energia da determinate fonti rinnovabili dovrebbe rappresentare una condizione ordinaria. La scelta del tipo di tecnologia, invece, viste le specifiche tipologie di fonti rinnovabili stabilite dalla predetta legge n. 266 del 2005, dipende da valutazioni di natura tecnica, ambientale e paesaggistica, che dovrebbero portare alla individuazione della migliore soluzione progettuale in funzione dello specifico sito e della situazione aziendale, potendosi realizzare, ad esempio, anche soluzioni integrate (esempio fotovoltaico-eolico);
   purtroppo il sistema normativo, autorizzativo, di sostegno e fiscale, non appare ancora sufficientemente omogeneo rispetto alle diverse fonti energetiche, non favorendo pertanto l'utilizzo diffuso delle differenti fonti di energie rinnovabili nelle aziende agricole, nonostante gli incentivi previsti dai Programmi di sviluppo rurale sostengano anche tali investimenti;
   in tale contesto il minieolico, soprattutto a causa dell'incertezza normativa in campo agroenergetico come sopra descritta, segna ancora il passo e risulta alquanto complessa una eventuale gestione integrata delle fonti di energia rinnovabili;
   anche il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, pur avendo apportato elementi di semplificazione e di maggiore uniformità nella disciplina di gestione delle fonti energetiche rinnovabili, non è però riuscito a fornire maggiori certezze ed omogeneità nel campo della qualificazione delle fonti agroenergetiche;
   il vento e l'acqua sono elementi tutt'altro che estranei alla realtà rurale, non solo come fonte energetica, ma anche come fattori intrinseci dell'ambiente, caratterizzanti lo specifico ambito territoriale in cui l'agricoltore e l'allevatore convivono e spesso lottano;
   vento ed acqua oltre ad essere sin dall'antichità fonte energetica per l'agricoltura (si pensi ai mulini a vento ed a acqua, o alla stessa antica pratica della pulitura del grano), rappresentano sovente una grave avversità per le colture, fonte di danni e aggravio di costi. È quindi un paradosso che acqua e vento nella loro accezione negativa siano da considerarsi elementi e fattori che incidono sulla produzione, mentre nella loro forma positiva, come fonte di energia e di integrazione al reddito, risultino essere estranei alla realtà rurale;
   le conseguenze di tale discriminazione sono significative. Un ambito agricolo nel quale emerge in modo palese il diverso trattamento nei confronti delle diverse fonti di energia rinnovabile è per esempio quello del regime fiscale;
   le attività agroenergetiche di cui al comma 423, articolo 1, della legge n. 266 del 2005 nel testo in vigore, sono soggette a tassazione del reddito su base catastale in luogo di quella analitica, a condizione che risulti verificato il requisito della «prevalenza»; mentre il reddito ottenuto da un impianto eolico o idrico, in quanto derivante da attività non agricola, è soggetto a tassazione come reddito d'impresa, da determinarsi con le modalità ordinarie cioè ricavi meno costi;
   il reddito catastale deve essere comunque dichiarato, è obbligatorio per il produttore di energia da minieolico, pagare le ulteriori relative imposte dirette come reddito d'impresa;
   oltre a ciò, il fatto che la produzione e cessione di energia elettrica da fonte eolica non costituisca attività connessa a quelle agricole e produca invece reddito d'impresa, comporta, per la figura dell'imprenditore agricolo professionale (IAP), le seguenti conseguenze: nel caso di persona fisica si deve attentamente valutare la redditività dell'impianto eolico al fine di rispettare il requisito di prevalenza previsto dall'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 (i ricavi dalle attività agricole di cui all'articolo 2135 del codice civile devono essere almeno il 50 per cento del proprio reddito globale da lavoro, ridotti al 25 per cento nelle zone svantaggiate); nel caso di società agricola si pone il vincolo dell'incompatibilità con lo stesso status di IAP quando tale società abbia anche una eventuale altra fonte di reddito, stante il requisito dell'esclusività della conduzione agricola stabilita dal comma 3, dell'articolo 1, del medesimo decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 (le società di persone, cooperative e di capitali, anche a scopo consortile, sono considerate imprenditori agricoli professionali qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l'esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all'articolo 2135 del codice civile);
   una società agricola in possesso dello status di IAP, spesso stimolata e sostenuta in tal senso dai provvedimenti pubblici soprattutto regionali, che realizzi un impianto minieolico nella propria azienda e venda, tutta o in parte, l'energia elettrica prodotta, si pone paradossalmente nella condizione di perdere il proprio il requisito di IAP sulla base di quanto previsto dall'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99;
   la produzione di energia da qualsiasi fonte rinnovabile, tra cui il minieolico e l'idrico, che permetta parimenti di ridurre l'uso di combustibili fossili e limitare l'emissione di gas-serra, nell'ambito dell'azienda agricola, consentirebbe di ottenere la diversificazione integrale dell'impresa e l'integrazione del reddito oltre che il miglioramento del bilancio energetico aziendale;
   sarebbe perciò opportuno integrare le attuali fonti agroenergetiche includendovi anche l'idrico ed il minieolico, considerando attività connessa e produttiva di reddito agrario anche l'attività di produzione e cessione di energia elettrica e termica da fonti idriche ed eoliche effettuata dagli imprenditori e dalle società agricole –:
   se non intendano intraprendere, ciascuno per le proprie competenze, le opportune iniziative, se del caso di rango normativo ed urgente, volte ad integrare le attuali tipologie di fonti energetiche rinnovabili agricole con la fonte idrica ed eolica, in tali circostanze prevedendo una pertinente modifica dell'attuale articolo 1, comma 423, della legge n. 266 del 2005 affinché rientri tra le attività connesse ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile anche la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonte eolica ed idrica e conseguentemente prevedendo altresì che per l'energia elettrica e termica di cui trattasi trovi applicazione la circolare dell'agenzia delle entrate del 6 luglio 2009, n. 32/E, come allo scopo formulata tenendo conto della nota prot. n. 3896 del 27 luglio 2008 del Ministero per le politiche agricole e forestali, con cui sono stati indicati i requisiti necessari per poter qualificare la produzione energetica in oggetto, come produttiva di reddito agrario. (4-04066)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   i principali quotidiani di stampa riportano la notizia che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha condannato le aziende farmaceutiche Novartis e Roche a pagare rispettivamente una multa di 90,5 milioni di euro e 92 milioni di euro per aver alterato il mercato con l'obiettivo di favorire la vendita del farmaco più costoso «Lucentis» rispetto a quello meno costoso «Avastin» destinato alla cura di una grave malattia degli occhi, la maculopatia;
   la maculopatia è una malattia degenerativa della porzione centrale della retina (macula) che determina una perdita progressiva della visione centrale, e colpisce 1 persona su 3 dopo i 75 anni;
   le principali terapie farmacologiche per la cura delle maculopatie sono Avastin e Lucentis; mentre Lucentis, prodotto dalla Novartis, ha l'indicazione registrata per la maculopatia, ed un costo per confezione intorno ai 900 euro e ce ne vogliono almeno sei nel corso dell'anno, l'Avastin, prodotto dalla Roche, con indicazione per patologie oncologiche, ma largamente utilizzato fino al 2012, off label (fuori indicazione di registrazione, cioè prescritto dal medico sotto la sua responsabilità nonostante) in quanto incluso dall'AIFA nella lista della legge n. 648 del 1996 (soprannominata ex-legge Di Bella), ha un costo tra i 15 e gli 80 euro a confezione;
   a fine ottobre 2012 è stata diffusa una nota del direttore generale dell'AIFA in cui si ribadiva la natura off-label del trattamento con «Avastin intravitreale» e l'esclusione della lista di farmaci autorizzati dalla «lista 648» che ne preclude la rimborsabilità per il Sistema sanitario nazionale. Da quel momento la sanità pubblica rimborsa solo il più costoso Lucentis per le malattie della vista con un danno stimato dall'Antitrust per il Servizio sanitario nazionale pari a 45 milioni di euro;
   dopo circa 30 giorni da questa nota è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l'allargamento delle indicazioni per Lucentis oltre che per la maculopatia senile anche nell'edema maculare diabetico e nelle trombosi retiniche concedendo a Novartis nuove fasce di mercato a scapito del Sistema sanitario nazionale;
   l'azienda farmaceutica americana Genetech, controllata da Roche che produce il meno costoso farmaco Avastin, incassa alte royalties dalla concorrente Novartis per la commercializzazione del Lucentis che utilizza un principi attivo registrato dalla controllata americana della Roche. Inoltre la Novaris partecipa per oltre il 33 per cento al capitale della Roche condividendo quindi una quota degli utili;
   nella maggior parte dei Paesi europei e soprattutto negli Stati Uniti i medici scelgono l'Avastin. Del resto il National Eye Institute del National Institute of Health degli USA ha pubblicato uno stadio nell'aprile dopo aver provato i due farmaci su 1.200 pazienti dimostrando che Lucentis e Avastin hanno gli stessi effetti contro la degenerazione maculare;
   la Società oftalmologica italiana non solo ha dimostrato e diffuso fin dal 2007 la certificazione di equivalenza sia per la sicurezza che per l'efficacia terapeutica dei farmaci Avastin e Lucentis per la cura delle maculopatie ma ha anche stimato che colpa del cartello tra le aziende Novaris e Roche circa 100 mila pazienti non possono essere curati perché i costi non sono compatibili con i budget degli ospedali imposti dalla spending review –:
   se il Ministro in seguito al pronunciamento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato non ritenga doveroso intervenire reinserendo nella lista dei farmaci off label autorizzati dalla legge n. 648 del 1996 l'utilizzo di «Avastin uso oculistico»;
   quali ulteriori misure urgenti intenda adottare in seguito alla condanna delle due aziende farmaceutiche per aver alterato il mercato, non solo per tutelare i malati ma anche gli interessi economici del Sistema sanitario nazionale;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere una qualche forma di rimborso a tutti coloro che dall'ottobre 2012 ad oggi si sono visti negare i rimborsi a causa della decisione dell'AIFA di escludere il Novartis dalla «lista 648» per l'uso off label.
(2-00459) «Kyenge, Lenzi, Amato, Argentin, Beni, Bini, Blazina, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, Casellato, D'Incecco, Cinzia Maria Fontana, Fossati, Fragomeli, Gelli, Grassi, Iacono, Incerti, Iori, Lodolini, Maestri, Malisani, Melilli, Miotto, Montroni, Moretto, Murer, Patriarca, Petitti, Piccione, Rampi, Realacci, Rubinato, Sbrollini, Scuvera, Senaldi, Taranto, Taricco, Terrosi, Verini, Zanin, Albanella, Amoddio, Bray, De Menech, Dell'Aringa, Narduolo, Tartaglione, Zampa».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   un importante e diffuso giornale della provincia di Crotone, il crotonese, sabato 15 marzo scorso ha pubblicato una interessante e drammatica inchiesta, condotta dalla giornalista Angela De Lorenzo, sull'oncologia all'ospedale San Giovanni di Dio a Crotone dal titolo «Quei malati tra il purgatorio e l'inferno»;
   il reparto di oncologia medica dell'ospedale civile San Giovanni di Dio di Crotone è diretto dall'ottima dottoressa Tullia Prantera ed è composto da altri 6 medici, 9 infermieri ed una caposala che si occupano contemporaneamente sia del DH, dove vengono somministrate prevalentemente le chemioterapie, sia del reparto dove spesso si ricoverano i pazienti in fase di complicanze o in fase avanzata malattia. Il reparto di degenza lavora h24 per acuti, con 10 posti letto occupati sempre a pieno, anzi spesso, per venire incontro alle necessità, si arriva a 12-13 malati. Le degenze sono lunghe, perché spesso vi si ricoverano malati in fase terminale, ma è questa la necessità del territorio, dove peraltro manca un hospice. I malati sono così costretti a stare in stanze comuni dove spesso vedono morire pazienti in condizioni simili alle loro. Con malati così complessi la richiesta di assistenza è elevata. A questo si aggiunga che DH e reparto sono allocati su due piani differenti, l'uno al 6o, l'altro al 5o;
   con questo personale, sia medico che infermieristico, scarso anche in considerazione del fatto che si deve assicurare la guardia notturna e festiva, il reparto rimane aperto fino alle ore 20, cosa che non fa nessun day-hospital. Il reparto si occupa della diagnosi e cura delle malattie neoplastiche attraverso attività di tipo epidemiologico, diagnostico, terapeutico e di ricerca;
   «Entrarci per la prima volta – scrive la giornalista de il Crotonese – è una esperienza spiazzante: non c’è al mattino nessun altro atrio di reparto al San Giovanni di Dio gremito come quello di oncologia. E fa letteralmente paura guardare quell'esercito di malati in attesa della terapia. (...) I pazienti aspettano dalle 7 del mattino: prelievi, attesa dei risultati, visita e poi se tutto va bene, cioè se i risultati dei prelievi lo consentono, la chemioterapia. Una trafila che dura per ore prima di potersi sedere su quella tanto temuta poltroncina da dove viene somministrata la flebo della Chemioterapia. (...) E intanto nell'attesa le ore passano lentamente e l'aria viziata. C’è chi non resiste e aspetta nelle scale, chi si addormenta poggiando la sua testa calva ad una parete, chi guarda fisso nel vuoto, ma anche chi chiacchiera e guarda la TV, se ha la fortuna di essere seduto nella prospettiva giusta. C’è anche chi prega con il Rosario in mano. (...) E poi ci sono i parenti, quelli che li accompagnano in questo calvario. La maggior parte di loro aspetta in piedi perché i posti a sedere sono già insufficienti per gli ammalati»;
   l'utenza dei malati che frequenta il reparto di oncologia per sottoporsi alla chemioterapia oggi ammonta a 450 unità, mediamente, perché non tutti tornano con la stessa frequenza. Sono tra i 40 e i 50 utenti al giorno, dal lunedì al venerdì;
   la situazione è peggiorata da quando c’è il reparto per la degenza. Prima gli oncologi erano solo a disposizione del reparto di oncologia, ora fanno i turni e quindi sono più impegnati e possono dedicare meno tempo a fare la chemioterapia;
   la situazione è ancora più preoccupante al reparto di nefro-oncologia, dove sono ricoverati in due diverse aree nefropatici e malati oncologici gravi. Gli stessi medici e gli stessi infermieri si occupano di degenti affetti da patologie fondamentalmente diverse, ma estremamente gravi. «Se il day-hospital è un purgatorio, il reparto – scrive il crotonese – è un inferno: malati oncologi gravi sono ricoverati in stanze da 4 o da 5». Anche in questo reparto l'utenza è numerosa: dal 1o gennaio 2014 al 24 febbraio dello stesso anno sono stati registrati 52 ricoveri. Si tratta di degenze che possono durare anche mesi;
   le cure oncologiche prestate nel 2010 assommano a 730 trattamenti in day-hospital, per complessivi 12.500 accessi. I day-hospital nel 2004 erano 300. Il balzo a 730 in 6 anni è senza dubbio significativo: sia in termini di diffusione della patologia, sia anche di aumento della prevalenza della malattia, una conseguenza delle cure che allungano la sopravvivenza e migliorano la qualità della vita dei pazienti;
   ma all'evoluzione della malattia va aggiunto anche l'aumento di pazienti che dopo la diagnosi hanno scelto di curarsi a Crotone. L'ordine dei medici di Crotone ha recentemente documentato come si sia ridotta negli ultimi anni la migrazione sanitaria per effettuare la chemioterapia, col 25 per cento in meno di pazienti crotonesi curati fuori;
   tutto questo è avvenuto negli ultimi anni grazie all'impegno dell'equipe medico sanitaria guidata dal primario di oncologia Tullia Prantera che ha trasformato il reparto in un'eccellenza del panorama sanitario calabrese. Tuttavia, è molto grave che, a causa della carenza di personale e di strutture, non si sostenga adeguatamente un servizio che permette a moltissimi malati di non dovere ricorrere alle cure fuori regione –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative di propria competenza il Governo intenda assumere, in considerazione dell'elevato numero di malati oncologici di Crotone, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per sostenere adeguatamente, in termini di maggiore personale e migliori strutture, e preferibilmente con stanze con al massimo 2 letti, il reparto di oncologia medica dell'ospedale civile San Giovanni di Dio di Crotone, in modo da garantire ai cittadini calabresi il pieno godimento del diritto alla salute, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione. (5-02387)

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da un articolo del Messaggero Veneto il 10 marzo 2014, intitolato «Anagrafe canina frenata dalla burocrazia» che il presidente dell'Ordine dei medici veterinari della provincia di Udine, Renato Del Savio, ha dichiarato in occasione dell'assemblea dell'Ordine dei veterinari del Friuli Venezia Giulia che, a causa della burocrazia regionale, non è stato completato il sistema relativo all'anagrafe canina che consentirebbe di identificare, tra l'altro, i cani smarriti;
   in pratica, i medici veterinari del Friuli, a differenza di quanto avviene in altre regioni, non hanno ancora alcun accesso alla banca dati dell'anagrafe;
   si denuncia, inoltre, il problema dell'esercizio abusivo della professione di veterinario, pertanto, sarebbe necessario educare il cliente ad acquistare cani che siano stati vaccinati da un veterinario e a controllare che i timbri apposti siano realmente riferibili a un professionista iscritto ad un ordine, tale forma di controllo arginerebbe anche il fenomeno in crescita del traffico illecito dei cuccioli;
   infine, il presidente afferma la necessità di un intervento degli organi istituzionali rispetto al pronto soccorso per animali, per collaudare una procedura unica, posto che non sono andati a buon fine i tentativi di provvedere a livello locale per potere fornire assistenza agli animali che vengono trovati feriti;
   dunque, sono emerse una serie di criticità nell'ambito del settore in questione che richiedono l'adozione di specifici provvedimenti –:
   se e quali iniziative di competenza intenda porre in essere il Ministro interrogato affinché su tutto il territorio nazionale sia completata l'istituzione del sistema di anagrafe canina garantendo l'accesso alla banca dati per i medici veterinari nonché l'interoperatività tra le banche dati regionali;
   al fine di contrastare l'esercizio abusivo della professione di veterinario e il traffico illecito di cuccioli, se il Ministro intenda adottare provvedimenti per promuovere una campagna di comunicazione per educare coloro che acquistano animali da affezione a verificare che siano stati vaccinati da un veterinario e a controllare che i timbri apposti siano realmente riferibili a un professionista iscritto a un ordine;
   se e quali iniziative intenda adottare per l'istituzione di una procedura unica che regoli un pronto soccorso nazionale destinato all'assistenza medica degli animali. (4-04056)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi in Crimea, secondo quanto rilevato dal quotidiano Il Sole 24 Ore, in un articolo pubblicato il 4 marzo 2014, conferma come l'Italia sia un Paese strutturalmente esposto ad una crisi energetica, in quanto, come evidenziato dal presidente di Nomisma energia, il nostro rappresenta il Paese europeo, più dipendente dall'importazione di gas, sia a causa della produzione nazionale in forte calo, che a causa dell'utilizzo del metano, impiegato nell'industria, per i riscaldamenti e nella produzione elettrica, rispetto alle altre Nazioni;
   un quarto del gas utilizzato proviene infatti dalla Russia, attraverso l'Ucraina, quasi un terzo giunge dall'Algeria, ed il resto dipende dalla Libia e dai due soli rigassificatori attivi: l'ormai obsoleto impianto Snam a Panigaglia e «l'Adriatic Lng» di Rovigo;
   il medesimo articolo, evidenzia altresì come per stessa ammissione dell'amministratore delegato dell'Eni Scaroni, una crisi energetica derivante dalla situazione allarmante proveniente dalla Crimea, che rischia di sfociare in una guerra dagli esiti imprevedibili, è possibile attualmente gestirla, tuttavia la concomitanza di una crisi parallela su un altro fronte e l'ipotetico avvio di un conflitto armato, potrebbe determinare seri problemi per l'approvvigionamento di gas, nei riguardi del nostro Paese;
   l'articolo del Sole 24 Ore affronta inoltre un ulteriore aspetto di non secondaria importanza e riferito alla prospettiva finanziaria, in considerazione del fatto che l'inasprimento dei rapporti tra la Russia e Ucraina ed il resto dell'Europa rischia di determinare rilevanti aumenti per l'acquisto del gas da parte del nostro Paese, a causa della speculazione sui prezzi che in caso di avvio delle ostilità fra i Paesi dell'ex Unione Sovietica, Nazioni più dipendenti come l'Italia sono quelle maggiormente esposte ad un aumento della divaricazione dei costi;
   l'interrogante rileva come lo scenario metanifero prospettato dal citato quotidiano economico desti indubbia preoccupazione con riferimento alle ipotetiche conseguenze negative che potrebbero derivare nei riguardi dell'Italia, in caso di conflitto in Crimea, in ordine alla dipendenza dell'approvvigionamento energetico proveniente dall'Ucraina;
   la crisi insorta in Russia ripropone, a giudizio dell'interrogante, l'esigenza del rilancio di una rigorosa politica energetica nel nostro Paese, il cui fabbisogno come in precedenza rilevato, di estrema dipendenza dagli altri Paesi europei, pone l'Italia in evidente precarietà nello scenario metanifero con effetti negativi e penalizzanti sull'economia nazionale, ancora in evidente stato di crisi;
   ripensare il progetto dell'hub del gas, al fine di migliorare gli attuali scarsi livelli di competitività del nostro sistema economico, rispetto agli altri Paesi europei, all'interno del quadro internazionale, appare urgente e necessario a giudizio dell'interrogante, anche in considerazione dell'esigenza di potenziare gli impianti dei rigassificatori, che funzionano a ritmo ridotto –:
   quali orientamenti intenda esprimere, nell'ambito delle proprie competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intenda confermare i rischi per il nostro Paese di riduzione dell’ approvvigionamento del gas e del metano, proveniente dall'Ucraina, in caso dell'inasprimento dei rapporti con la Russia e quali effetti possa determinare per l'Italia l'avvio di un possibile conflitto nell'area interessata, per lo scenario metanifero nazionale evidentemente precario;
   quale siano le linee di politica industriale ed energetica che intenda intraprendere, in considerazione del fatto che, come esposto in premessa, l'Italia risulta essere un Paese fortemente dipendente dagli altri nell'importazione di gas naturale;
   quali iniziative infine intenda adottare al fine di rendere operativi gli impianti progettati dei rigassificatori nel nostro Paese, attualmente in uno stato di arretratezza, la cui improduttività accresce negativamente la perdita di competitività del nostro Paese a livello internazionale. (4-04059)


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto annuale reso noto dalla Commissione europea il 5 marzo 2014 ribadisce come l'Italia sia ancora fortemente in ritardo nella competitività dell'innovazione, a causa di fattori di debolezza evidentemente noti da diverso tempo e configurabili nell'elevata pressione fiscale, nella mancanza delle risorse private e nell'eccessivo debito pubblico, che funge da blocco in termini di rilancio e sviluppo del sistema-Paese;
   il documento dell'organismo comunitario giunge in un momento delicato, nel quale a giudizio dell'interrogante nonostante le rassicurazioni sia del precedente Presidente del Consiglio dei ministri che dell'attuale, secondo le quali la ripresa economica nel nostro Paese sia ormai in corso, in realtà la recessione è tutt'altro che superata e lo spettro della deflazione risulta più che evidente nei consumi e nella produzione;
   secondo la relazione il nostro Paese risulta tra gli innovatori cosiddetti moderati, insieme alla Grecia e all'Ungheria, non riuscendo neanche a livello regionale a migliorare la classifica, ad esclusione di alcune regioni del nord Italia, come ad esempio il Piemonte;
   la ricerca comunitaria ha rilevato, inoltre, come l'Italia sia l'unico Paese del G7, ad avere risultati inferiori alla media per la maggior parte dei 25 indicatori utilizzati per stilare il documento in tema d'innovazione, che si estendono dal numero dei dottorati, ai successi brevettuali, agli investimenti in ricerca e sviluppo;
   l'Europa, secondo quanto evidenzia la Commissione europea, sta colmando complessivamente il divario con gli Stati Uniti e il Giappone nel settore dell'innovazione, ma a ritmi molto ridotti in quanto la resa innovativa risulta essere pari a 0,630;
   ulteriori fattori di debolezza attribuiti al nostro Paese, che accrescono il gap di competitività nel quadro dell'innovazione, sono determinati da fattori politici, economici e culturali che interrompono ogni tentativo delle imprese di migliorare i livelli di crescita e di sviluppo;
   l'interrogante evidenzia come occorra in tempi rapidi un'azione sinergica d'iniziative propositive che intervengano in contemporaneità su diversi fronti, fiscale, burocratico e finanziario, in grado di interrompere una spirale negativa che frena il processo d'innovazione nel nostro Paese –:
   quali iniziative urgenti e necessarie intenda intraprendere, nell'ambito delle sue competenze, al fine di migliorare il sistema dell'innovazione nel nostro Paese, in particolare nei riguardi delle piccole e medie imprese, il cui ritardo competitivo determina ulteriormente il rallentamento della ripresa economica e ogni tentativo di aggancio di un moderato progresso in corso in altri Paesi europei. (4-04060)


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane è una società dello Stato italiano;
   il 1o marzo 2003 fu assunto il signor Maurizio Filotto;
   in un articolo apparso sull'edizione milanese del Corriere della sera del 5 giugno 2004, a firma di Luigi Ferrarella, è scritto che il signor Maurizio Filotto ricorda di essere stato assunto dall'amministratore delegato Massimo Sarmi;
   l'ingegner Massimo Sarmi con ordine di servizio nr. 5/3 del 4 marzo 2003 costituiva la direzione centrale tutela aziendale in cui confluiva il controllo del trasporto dei valori di Poste, la cui responsabilità veniva affidata allo stesso Maurizio Filotto;
   non sono note le esperienze professionali acquisite dal signor Maurizio Filotto sebbene a capo di una direzione centrale con così alte responsabilità;
   lo stesso signor Maurizio Filotto fu tratto in arresto il 14 maggio 2004 con l'accusa di aver ricevuto cospicue tangenti per alcuni appalti e di aver concordato con l'IVRI una tangente di 600.000,00 euro per la prosecuzione da parte di Poste Tutela del rapporto contrattuale precedentemente sottoscritto con la Securipost, per il trasporto di valori limitatamente agli uffici postali di alcune province;
   il 24 maggio 2004, in allegato al resoconto della seduta n. 472 della Camera dei deputati è stata pubblicata l'interrogazione a risposta scritta n. 4-10118 presentata da Antonio Pezzella e il 15 luglio 2004, in allegato al resoconto della seduta n. 491 della Camera dei deputati, è stata pubblicata l'interrogazione a risposta orale n. 3-03591 presentata da Vincenzo Nespoli, entrambe senza nessuna risposta;
   in sostituzione del signor Maurizio Filotto, lo stesso anno venne chiamato a dirigere la detta struttura centrale di sicurezza il dottor Stefano Grassi;
   il dottor Stefano Grassi, all'atto della nomina in Poste Italiane, ricopriva il grado di colonnello della Guardia di finanza col prestigioso incarico di comandante del nucleo di polizia tributaria della Lombardia;
   numerosi articoli di stampa hanno riportato che il citato dottor Grassi faceva parte del gruppo del generale Michele Adinolfi, ex capo di stato maggiore della guardia di finanza, poi spostato al comando interregionale di Firenze, coinvolto nell'inchiesta giudiziaria riguardante la loggia P4 con richiesta di archiviazione della procura della Repubblica di Roma formulata nel mese di novembre 2013;
   il 14 ottobre 2013, presso la Sala Italia della prefettura di Potenza alla presenza del viceministro dell'interno pro tempore Filippo Bubbico e dei prefetti Antonio Nunziante e Luigi Pizzi è stato siglato un protocollo di intesa per la prevenzione della criminalità negli uffici postali delle province di Potenza e Matera;
   risulta all'interrogante che sull'intero territorio della Nazione siano stati siglati dei cosiddetti protocolli di intesa con le prefetture (fra i tanti, Firenze 7 luglio 2009, Matera 27 gennaio 2010, Treviso 18 novembre 2010, Pesaro 24 febbraio 2011, Brescia 4 maggio 2011, Ferrara 20 ottobre 2011, Mantova 10 luglio 2012), protocolli che ad avviso dell'interrogante altro non sono che format;
   risulta all'interrogante, da fonti giornalistiche, che in occasione dell'ultima conferenza sul «Cybercrime» organizzata dalla polizia di Stato e tenutasi presso la sala conferenze della sede romana della polizia delle comunicazioni, l'ingegner Sarmi, presente, non rispose alle domande dei giornalisti in ordine a misteriose assunzioni (Roberta Darsena, Simona Giorgetti) e soprattutto a quelle relative, proprio, alla vicenda che coinvolse Stefano Grassi –:
   di quali notizie il Governo sia a conoscenza in ordine all'abbandono, anzitempo, del Corpo della guardia di finanza da parte del nominato Stefano Grassi;
   se non intenda verificare l'effettiva utilità dei «protocolli d'intesa» di cui in premessa. (4-04077)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Binetti e altri n. 1-00094, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

  La mozione Vezzali e altri n. 1-00319, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Molea.

  La mozione Quartapelle Procopio e altri n. 1-00358, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: D'Incecco, Iori.

  La mozione Borghi e altri n. 1-00374, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Fabbri, Petitti.

  La mozione Lenzi e altri n. 1-00377, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Amoddio, Albanella, Antezza.

  La mozione Rizzetto e altri n. 1-00380, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Prodani n. 5-02142, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Busto.

  L'interrogazione a risposta scritta Cirielli n. 4-04034, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato La Russa.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Borghi n. 1-00374, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 190 del 14 marzo 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    il 21 dicembre 2013 vi è stata l'approvazione da parte della Camera dei deputati del disegno di legge «disposizioni sulle Città Metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni»;
    il predetto atto ha conosciuto, nel corso del suo esame parlamentare, l'introduzione di disposizioni particolarmente attese dai comuni di minore dimensione demografica, ovvero la reintroduzione per i comuni con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti dell'istituto della giunta comunale, la rideterminazione per i comuni al di sotto dei 3.000 abitanti del numero dei componenti il consiglio comunale nel numero di 10 e la presenza degli assessori nel numero massimo di due, nonché la rideterminazione per i comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti e fino a 10.000 abitanti dei componenti il consiglio comunale nel numero di dodici, oltre il Sindaco, e gli assessori nel numero massimo di quattro;
    in sede di esame da parte del Senato il relatore ha presentato un proprio emendamento tendente a recepire una ulteriore modifica al testo di legge, che recepisce un'istanza da anni avanzata da tutte le associazioni delle autonomie locali e finalizzata a consentire il terzo mandato per i sindaci dei comuni con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti;
    l’iter parlamentare del provvedimento potrebbe richiedere tempi che non si conciliano con l'esigenza di fornire un quadro di garanzie legislative certe ai quasi 4.000 piccoli comuni che saranno interessati dal rinnovo amministrativo del 25 maggio 2014;
    nei confronti di tali comuni devono essere fornite nel più breve tempo possibile le certezze di legge in ordine alle modalità di composizione numerica delle liste elettorali, dando seguito a quanto stabilito dalla Camera dei deputati con un consenso politico molto ampio sul punto,

impegna il Governo:

ad adottare urgenti iniziative normative al fine di assicurare a tutti i comuni chiamati al voto nella tornata amministrativa del 25 maggio 2014 di poter godere di un sistema di regole certo e definito, oltre che conforme alle più elementari regole della democrazia e dell'equilibrio istituzionale tra organi esecutivi, e organi rappresentativi.
(1-00374)
«Borghi, Mariani, Fiorio, Bargero, Carra, Gregori, Taricco, Guerra, Boccuzzi, Gribaudo, Braga, Bratti, D'Ottavio, Giuseppe Guerini, Ventricelli, Arlotti, Basso, Berlinghieri, Cuperlo, Bonavitacola, Dallai, Cominelli, De Menech, Giorgis, Pilozzi, Ginoble, Placido, Fabbri, Petitti».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Bergamini n. 5-02341, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 188 del 12 marzo 2014.

   BERGAMINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ha elaborato un progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi dalla polizia di Stato sul territorio nazionale;
   il progetto è stato sviluppato attraverso due direttrici fondamentali: una diretta alla razionalizzazione dei presidi delle quattro specialità stradale, ferroviaria, postale e di frontiera e l'altra finalizzata ad una rivisitazione sul territorio della dislocazione dei commissariati di pubblica sicurezza, delle compagnie dei carabinieri e dei reparti speciali, a carattere sussidiario, concentrate in alcune sedi e non razionalmente distribuite;
   la razionalizzazione riguarda quasi tutte le province italiane (101 su 110) con un importante taglio di almeno un presidio di sicurezza;
   il progetto di razionalizzazione dei presidi in questione non favorisce l'incremento e il potenziamento del livello di sicurezza su tutto il territorio nazionale, soprattutto in quelle province caratterizzate da una forte presenza di criminalità organizzata e diffusa dal momento che non si fa alcun riferimento a come poter garantire il territorio e la sicurezza dei cittadini in quei luoghi nei quali verranno soppressi i presidi di polizia;
   il segretario nazionale della Consap (Confederazione sindacale autonoma di polizia), Giorgio Innocenzi, ha dichiarato che «lo smantellamento della Polizia postale è un regalo ai pedofili, agli stalker e a tutti quei truffatori che con internet hanno fatto e faranno una fortuna», condannando la chiusura su tutto il territorio di 73 sedi di polizia postale, derivante dalla riorganizzazione delle sedi delle forze dell'ordine presentata dal dipartimento della funzione pubblica;
   il suddetto smantellamento comporterebbe l'interruzione di tutte le indagini in corso lasciando impuniti pedofili e stalker, determinando il trasferimento del 90 per cento del personale alle questure già ingolfate che potranno occuparsi delle indagini in corso non prima dei due anni successivi;
   la polizia postale e delle comunicazioni è una branca specializzata della polizia di Stato che tra i suoi compiti istituzionali principali ha quello di rispondere alle sempre nuove frontiere tecnologiche della delinquenza ed è attualmente costituita da 20 compartimenti dai quali dipendono 76 sezioni. Di queste, 73 verrebbero soppresse dal piano di riordino, eliminando così la quasi totalità di vere e proprie avanguardie sul territorio che contrastano sia i reati consumati mediante chat line, news group, social network, (ingiurie, diffamazioni, minacce, e altro) sia tutti i reati in materia di hacking (intrusione, illeciti postali, diritti di autore e copyright, vigilanza sulle frequenze radiotelevisive, truffe on line, frodi con carte di credito, oscuramento di siti);
   oggi più che mai profonda è l'attenzione che i cittadini e le istituzioni rivolgono al tema della sicurezza, settore su cui è necessario intervenire con rigorosa attenzione e prudenza anche nelle ipotesi di riorganizzazione, al fine di non privare i territori di servizi essenziali e per non disperdere le eccellenti professionalità che da sempre operano con perizia e dedizione nell'ambito del comparto sicurezza;
   la legge assegna alla polizia postale l'esclusività in materia di reati concernenti la prostituzione minorile, la detenzione di materiale pornografico, la pornografia virtuale, le iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile;
   la necessità di razionalizzazione che oggi interessa l'apparato pubblico e che coinvolge anche le forze dell'ordine non può andare a discapito della sicurezza dei cittadini, a maggior ragione in un ambito strategico per la sburocratizzazione e l'innovazione del Paese come il web;
   ridurre le strutture periferiche che realizzano risultati importanti e sono d'aiuto ai cittadini con maggiore efficienza rispetto alle strutture centrali, è un errore dal momento che oltretutto il personale specializzato della polizia postale dispone di strumentazioni e locali a costo zero che vengono forniti gratuitamente dalle Poste italiane: se il Ministro interrogato non ritenga opportuno rivedere il progetto di razionalizzazione che comporta un drastico taglio ai presidi e alle sezioni della polizia di Stato, in particolare per ciò che riguarda le sezioni di polizia postale stante il fatto che la rete internet si configura sempre più spesso come strumento per, e come spazio in cui, compiere reati. (5-02341)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Da Villa n. 5-02380, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 191 del 17 marzo 2014.

   DA VILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   le spese per la gestione e l'utilizzo delle autovetture in dotazione delle pubbliche amministrazioni sono state oggetto, recentemente, di numerosi interventi legislativi, soprattutto con l'intento di ridurre la spesa a ciò dedicata. Basti qui ricordare: l'articolo 1, comma 11, della legge n. 266 del 2005 (finanziaria 2006) che ha limitato al 50 per cento di quanto speso nel 2004 i costi «per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture...» a decorrere dall'anno 2006; l'articolo 1, comma 505, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) il quale ha esteso le limitazioni di cui sopra alle «amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, di cui all'elenco ISTAT pubblicato in attuazione del comma 5 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311»; l'articolo 6, comma 14, del (decreto-legge n. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, il quale dispone che «...a decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione... non possono effettuare spese di ammontare superiore all'80 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi...»;
   la Presidenza del Consiglio dei ministri ha formulato poi due direttive, la n. 6/2010 dell'11 maggio 2010 e la n. 06/2011 del 28 marzo 2011, inviandole a tutte le amministrazioni pubbliche ai sensi dell'articolo 1 comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Tali direttive, oltre a riepilogare la situazione normativa vigente in materia, hanno stabilito la necessità di compiere un monitoraggio dell'intero parco auto in uso alle pubbliche amministrazioni nonché l'opportunità di adottare «modalità trasparenti e razionali di gestione e utilizzo delle autovetture...»;
   l'articolo 2 del decreto-legge n. 98 del 2011 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha stabilito un limite di cilindrata pari a 1600 cc. per le auto di servizio, che quelle esistenti possano essere utilizzate solo fino a dismissione/rottamazione e infine che con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri siano «disposti modalità e limiti di utilizzo delle autovetture di servizio al fine di ridurne numero e costo»;
   la Presidenza del Consiglio dei ministri ha formulato così due specifici decreti in materia: il primo datato 3 agosto 2011 e il secondo 12 gennaio 2012, a modifica parziale del primo in ottemperanza a ordinanza del TAR Lazio del 10 novembre 2011 la quale ha ordinato, appunto, di provvedere ad un riesame del primo decreto;
   per l'attuazione pratica del «Censimento Permanente del parco autovetture della P.A. e monitoraggio annuale» la Presidenza del Consiglio dei ministri ha stipulato una convenzione con Formez PA che è stata nel tempo rinnovata sino ad oggi;
   l'articolo 2 dell'accennato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 agosto 2011 elenca una serie di soggetti, appartenenti alle amministrazioni dello Stato, legittimati all'uso delle auto di rappresentanza. Regioni ed enti locali avrebbero dovuto dunque, sulla base di criteri di equiparazione, individuare i propri aventi diritto all'uso. Il comma 5 dello stesso articolo chiude l'argomento affermando, perentoriamente, che «è fatto divieto alle PA di assegnare autovetture di servizio a soggetti diversi da quelli individuati ai sensi del presente articolo. La violazione del predetto divieto è valutabile ai fini della responsabilità disciplinare del dirigente responsabile». Non è ammesso quindi allargare, discrezionalmente, il perimetro di coloro che possono usare i veicoli di rappresentanza;
   l'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sopra accennato, ha stabilito inoltre quali siano i «limiti di utilizzo delle autovetture di servizio». Al comma 1 recita così: «l'uso... è concesso limitatamente al periodo di durata dell'incarico e per le sole esigenze di servizio del titolare, ivi compresi gli spostamenti verso e da il luogo di lavoro» e al comma successivo aggiunge che: «fermi restando i limiti di cui al comma 1, l'utilizzo delle autovetture... è consentito per i casi di effettiva necessità legata ad inderogabili ragioni di servizio; sono utilizzati, in alternativa, i mezzi di trasporto pubblico quando in relazione al percorso ed alle esigenze di servizio, gli stessi garantiscano risparmi per la pubblica amministrazione»;
   un consigliere del comune di Venezia ha presentato un'interrogazione al sindaco, previo accesso agli atti ai sensi dell'articolo 43 comma 2 TUEL, poiché ha scoperto che, difformemente dalla scheda di quell'ente presente nel Censimento AUTO PA, non vi sarebbero soltanto le cinque autovetture in «Uso non esclusivo con autista» denunziate ma pure quattro natanti adibiti parimenti al servizio di rappresentanza nell'area lagunare;
   la particolare conformazione urbanistica di Venezia non è considerabile, ad avviso dell'interrogante scrivente, motivo sufficiente per eludere la normativa di cui sopra e, quindi, per non segnalare la presenza delle citate barche. Queste ultime peraltro, a confronto con automobili di cilindrata massima di 1.600 cc (le uniche ormai acquistabili), sono un vero e proprio lusso: basti pensare che quasi tutti gli hotel della città hanno dismesso i loro motoscafi privati, dapprima dedicati ai viaggi in laguna della clientela più facoltosa. Si è preferito passare ad un noleggio saltuario e ciò è dovuto, sostanzialmente, agli elevati costi di manutenzione dei natanti: circa 15.000 euro l'anno, in media, per barca a cui vanno sommati i costi del gasolio (4.500 euro circa l'una) e quelli per il personale impiegato in tale servizio (7 piloti con turni dalle 6:00 alle 21). Complessivamente l'uso di mezzi di rappresentanza a Venezia, auto e barche, potrebbe aggirarsi intorno ai 500.000 euro di spesa annuale (rifornimenti, manutenzione, spese accessorie, personale impiegato, quote ammortamento veicoli);
   tra i vari benefit, la classe politica veneziana gode di una tessera IMOB con abbonamento per tutte le linee urbane di trasporto pubblico (automobilistiche e di navigazione) oltre al diritto (privilegio) di parcheggiare gratuitamente presso l'autorimessa comunale di Piazzale Roma a Venezia (59 posti-auto riservati);
   dai fogli di viaggio, esaminati dal consigliere comunale, relativi a un periodo di circa 7 mesi, è emerso un utilizzo dei veicoli di rappresentanza piuttosto intensivo, ingiustificato e talvolta addirittura esorbitante rispetto a quanto ammesso. Un caso, in particolare, è balzato subito agli occhi: quello del direttore generale che, quasi quotidianamente, si fa venire a prendere a casa, con la barca di rappresentanza, per raggiungere la sede del comune (una distanza di circa 1,3 chilometri che, per i canoni veneziani sono poca cosa). Trattandosi poi di aree urbane centrali, il trasporto pubblico è particolarmente capillare e frequente: ne consegue che buona parte dei viaggi effettuati avrebbero potuto essere sostituiti, comodamente, da bus e vaporetti con notevole risparmio economico;
   il regolamento, elaborato sul tema dal comune, è particolarmente impreciso nel delimitare l'utilizzo dei mezzi di rappresentanza posto che si parla genericamente di un uso secondo «la diligenza del buon padre di famiglia», concetto che ha un suo significato nel diritto civile ma in tale ambito è piuttosto futile. L'amministrazione, d'altro canto, non ha aggiornato, com'era forse doveroso, la propria normativa ai due decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nazionali;
   le norme del Regolamento sono poi piuttosto generose nell'elencare le «personalità» autorizzate a servirsi di tali mezzi, ovvero: sindaco, vice sindaco, segretario generale e direttore generale, assessori comunali, presidente del consiglio comunale, consiglieri comunali, in occasione delle sedute del consiglio comunale e delle commissioni consiliari; vice segretari generali e vice direttore generale e infine il capo di gabinetto;
   inoltre si stabilisce, in contrasto con quanto stabilito dall'articolo 2, comma 5, del citato decreto dei Presidente del Consiglio dei ministri del 3 agosto 2011, che «...è facoltà del Direttore responsabile, su proposta del Responsabile dell'Ufficio Cerimoniale, autorizzare l'uso dei mezzi di rappresentanza a personalità nazionali e straniere, e loro accompagnatori, ospiti dell'amministrazione comunale» e, dai fogli di viaggio esaminati, pare proprio che l'amministrazione locale metta, abbondantemente, in pratica questa norma, permettendo il trasporto di consulenti esterni, ministri del culto, parlamentari nazionali, e altro;
   il comune di Venezia ha sforato il patto di stabilità per l'anno 2014 ed ha accumulato un debito finanziario, insieme alle sue società partecipate, di 881,5 milioni di euro (relazione al rendiconto di bilancio 2012) seppure abbia proceduto ad alienare un importante patrimonio immobiliare (dal 2007 ad oggi, un controvalore pari a 326,7 milioni di euro) e mobiliare (azioni della società aeroportuale SAVE S.p.A, della società Autostrade Serenissima s.p.a e della A4 Holding S.p.A. per un totale di 52,3 milioni di euro). Si tratta quindi di un'amministrazione che dovrebbe porre particolare attenzione nello spendere risorse pubbliche in modo così spensierato –:
   se, e con quali modalità, intenda intervenire il Ministro al fine di ricomprendere nel censimento, come pare doveroso all'interrogante, anche i natanti di rappresentanza utilizzati dal comune di Venezia, posto che sono in tutto e per tutto assimilabili agli autoveicoli ai fini della normativa nazionale qui considerata;
   se non si ritenga opportuno fornire a tutte le amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato, come individuate dall'ISTAT nell'elenco pubblicato ai sensi dell'articolo 1, comma 5, della legge 311 del 2004, una più precisa linea interpretativa della norma di cui all'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nel senso di indifferenza nell'utilizzo del veicolo di rappresentanza e del trasporto pubblico o se invece, come reputa l'interrogante debba preferirsi quest'ultimo, in accordo del resto con le ratio di sostenibilità ambientale e spending review sottese alla normativa in materia;
   se, e con quali mezzi, il Governo intenda intervenire qualora il monitoraggio, sull'applicazione delle disposizioni di cui in premessa, lasci rilevare un utilizzo eccessivo ed esorbitante rispetto ai criteri fissati per l'individuazione degli aventi diritto alluso, ai sensi delle due direttive della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 6 del 2010 e n. 6 del 2011. Come pure nell'ipotesi in cui si rilevino casi di mancata pubblicazione, nella sezione web Trasparenza, valutazione e merito prevista dall'articolo 11, comma 8, del decreto legislativo n. 150 del 2009, delle schede di monitoraggio e dei dati relativi alla certificazione della spesa per le auto blu. (5-02380)

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Binetti n. 100094 del 13 giugno 2013;
   mozione Dorina Bianchi n. 1-00281 del 10 dicembre 2013;
   mozione Rondini n. 100373 del 14 marzo 2014;
   mozione Nicchi n. 1-00375 del 14 marzo 2014;
   mozione Palese n. 1-00376 del 14 marzo 2014;
   mozione Lenzi n. 100377 del 14 marzo 2014;
   mozione Silvia Giordano n. 1-00378 del 14 marzo 2014;

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza Vallascas n. 2-00425 del 27 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Giancarlo Giorgetti n. 4-04008 del 13 marzo 2014;
   interrogazione a risposta orale n. 3-00694 del 14 marzo 2014;

Ritiro di firme da una mozione.

  Mozione Roberta Agostini e altri n. 1-00273, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2013: sono state ritirate le firme dei deputati: Massimiliano Bernini, Sarti.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:
   interrogazione a risposta scritta Bergamini n. 4-02592 del 20 novembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-02383.