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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 17 marzo 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    gli studi cinematografici di Cinecittà, siti a Roma in via Tuscolana, 1055, a seguito della privatizzazione intervenuta nell'anno 1997, con atto di affitto di azienda, sono stati ceduti ad un gruppo di soci privati, con a capo Luigi Abete, cessione che ha comportato la nascita di Cinecittà Servizi, poi divenuta Cinecittà Studio spa;
    la società privata è stata partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze per il tramite della società ad intera partecipazione statale, Cinecittà Holding, poi divenuta Cinecittà Luce, proprietaria della superficie, degli edifici e delle attività produttive ivi svolte;
    negli anni 2007-2008, a seguito di un'operazione finanziaria, Cinecittà Studios è divenuta proprietaria delle attività produttive, costituite dalla produzione e post produzione Cinematografica, mentre Cinecittà Holding è rimasta proprietaria della superficie e delle costruzioni;
    con la suddetta vendita di azienda, con passaggio dei circa 250 lavoratori interessati, è stato stipulato un contratto di affitto relativo ai locali e alla superficie degli Studios;
    in tale contratto, a quanto è dato sapere, sono rassegnati reciproci impegni di natura economica tra Cinecittà Holding e Cinecittà Studios per milioni di euro, al fine di procedere al rinnovo e messa in sicurezza degli edifici e, conseguentemente, delle attività produttive (22 teatri di posa e relative competenze), con l'obiettivo di rilanciare gli Studios in termini di competitività internazionale; inoltre, nel medesimo contratto, si prevedono i termini della concessione del marchio «Cinecittà»;
    i predetti impegni si evincono dalla relazione della Corte dei conti al Parlamento dell'anno 2010 (allegato 1, pagina 113 e seguenti) «sulla gestione finanziaria degli Enti sottoposti a controllo in applicazione della legge 21 marzo 1958, n. 259» tra i quali Cinecittà Luce spa;
    si mette in rilievo che la visione del predetto contratto di affitto è stata più volte negata dal Ministero dei beni e delle attività culturali, nonché dal Ministero dell'economia e delle finanze, sebbene la UGL Comunicazioni ne abbia più volte fatto richiesta, anche con istanza di accesso del settembre 2012, ai sensi della legge n. 241 del 1990, respinta adducendo che trattasi di «atto intervenuto tra soggetti privati, nel quale non è rintracciabile l'interesse alla conoscenza e del quale deve essere tutelata la riservatezza dei contenuti»;
    alla fine dell'anno 2008, il soggetto privato Cinecittà Studios ha posto in essere una procedura di cessione di ramo di azienda, costituito dalla Post produzione cinematografica e, da tale scorporamento, è nata Cinecittà Digital Factory, che interamente partecipata da Cinecittà Studios, ha successivamente visto l'entrata del socio «Medusa», per una quota pari al 15 per cento;
    parallelamente, i soci Luigi Abete, Diego ed Andrea Della Valle, nonché Aurelio De Laurentis hanno costituito la società Cinecittà Entertainment, successivamente divenuta Italian Entertainment Group (DBG) e capogruppo di una holding, nella quale è confluita Cinecittà Studios, nonché la partecipata Cinecittà Digital Factory;
    nell'ambito della holding, con a capo Italian Entertainment Group, nel tempo sono state costituite una serie di società – tra le quali, Cinecittà Parchi, Cinecittà World, Cinecittà Natura, Cinecittà Papigno, Cinecittà District Entertainment, Cinecittà Allestimenti e Tematizzazioni – le cui attività non risultano attinenti al settore cinematografico cui, invece, la denominazione rimanda;
    inoltre, si è appreso recentemente, a seguito di una conferenza stampa tenuta da Luigi Abete, che nel mese di giugno 2014 vi sarà l'inaugurazione del parco di divertimento «Cinecittà World», situato sulla via Pontina;
    nel corso dell'anno 2012, a causa dell'annuncio di ristrutturazione per stato di crisi delle aziende Cinecittà Studios e Cinecittà Digital Factory, si è aperta una lunga vertenza sindacale, che ha determinato uno sciopero continuativo di novanta giorni dei lavoratori;
    al riguardo, è stato presentato un piano industriale che ha previsto molteplici cambiamenti rispetto alle posizioni lavorative dei dipendenti;
    nello specifico, per Cinecittà Studios (circa 120 dipendenti) è stato previsto: il trasferimento dei dipendenti amministrativi a Italian Entertainment Group, con mutamento del CCNL di riferimento da cineaudiovisivo a turismo; l'eventuale mutamento del CCNL di riferimento del personale di servizio e vigilanza; il licenziamento del personale delle costruzioni scene al fine di riassumerlo in Cinecittà Allestimenti e Tematizzazioni, con il CCNL edili; la cessione del personale del solo reparto mezzi tecnici (6 persone), alla società Panalight, con conseguente nascita di un nuova società denominata Cinecittà Panalight;
    per il personale di Cinecittà Digital Factory (circa 90 dipendenti) sono state invece, previste la cessione degli addetti ai reparti audio e digitale per mezzo di contratto di affitto di ramo di azienda della durata di cinque anni alla società Deluxe Digital Rome, interamente partecipata da Deluxe Italia Holding, a sua volta facente parte del gruppo internazionale Deluxe Ltd; la cessione del personale del laboratorio sviluppo e stampa con contratto di affitto di tre anni, con verifica al diciottesimo mese e possibilità di recesso immediato;
    contemporaneamente all'elaborazione del piano industriale, è stato stipulato un contratto tra Cinecittà e Deluxe, a soli fini commerciali, per l'uso congiunto del marchio «Cinecittà Deluxe»;
    nonostante i lavoratori si siano duramente opposti, nel mese di settembre 2012, la società ha provveduto a formalizzare i contratti di affitto e vendita dei reparti interessati e, nel mese di dicembre 2012 è stato firmato un accordo suddiviso in due parti tra il Ministero dei beni e delle attività culturali – direzione generale del cinema, rappresentanti aziendali, nonché parti sociali, con esclusione dell'UGL;
    la prima parte del menzionato accordo prevede la conferma della destinazione del sito ad attività cinematografica, stabilendo i termini di pagamento dell'affitto, reciproci impegni per il rilancio dell'area, cui devono sottendere la soluzione di situazioni pendenti quali, ad esempio, la sanatoria della situazione di morosità della Cinecittà Studios nei confronti del Ministero e si prevede, altresì, l'impiego di nuove risorse economiche rispetto «all'area di sviluppo di Cinecittà Studios» anziché provvedere all'ammodernamento e messa in sicurezza degli edifici e delle attività produttive ad essi collegati come precedentemente disposto nel contratto di affitto;
    nella seconda parte dell'accordo, invece di procedere alla collocazione del personale delle costruzioni scene in Cinecittà allestimenti e tematizzazioni, è stata disposta l'applicazione dei contratti di solidarietà, facendo salvi tutti i vertici aziendali e, in generale, quelle risorse che, a mera discrezione dell'azienda, sono considerate indispensabili all'attività; di fatto, le retribuzioni a maggior impatto sul bilancio sono rimaste integre, perfino nella parte accessoria e premiale, mentre gli stipendi degli operai sono stati decurtati del 25 per cento;
    nel mese di gennaio 2013 il Ministero dei beni e delle attività culturali ha reso noto che aveva in parte provveduto al proprio impegno economico per gli studi accatastando l'area interessata alle nuove costruzioni, già inserita nel nuovo piano regolatore e con i progetti autorizzati dal X municipio di Roma;
    in data 27 agosto 2013, è entrato in vigore il decreto emanato dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 14, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), pertanto, Cinecittà Luce spa è stata posta in liquidazione, con operazione non ancora terminata, sotto la direzione del direttore generale per il cinema presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dottor Nicola Borrelli, e trasferita alla Ligestra Quattro srl, società interamente controllata da Finteca-Cassa depositi e prestiti e da quest'ultima designata per procedere all'operazione di liquidazione;
    intanto, a distanza di un anno dalla firma degli accordi per l'applicazione dei contratti di solidarietà risulterebbe che l'azienda Cinecittà Studios denunci in bilancio una maggiorazione del proprio deficit economico, adducendo quale maggiore causa il costo del personale;
    per quanto concerne il personale della Post Produzione-settore laboratorio, la Deluxe sta provvedendo al recesso anticipato del contratto di affitto di ramo di azienda, con il conseguente avvio delle procedure di restituzione di ramo di azienda e l'annuncio dell'entrata in cassa integrazione guadagni straordinaria del suddetto personale da parte di Cinecittà Digital Factory;
    attualmente, dunque, si pone, in primo luogo, la necessità di attuare idonee politiche di lavoro per le risorse lavorative che operano all'interno di Cinecittà, con professionalità specifiche, nonché rispetto all'indotto complessivo degli addetti, delle professioni e delle aziende che operano in Italia nel settore della produzione cinematografica, che si stima essere di circa 8000 risorse direttamente impegnate nel settore dello spettacolo e del cinema, 12.000 aziende che lavorano nel settore della produzione di contenuti, 250.000 persone impegnate nella filiera produttiva e nelle tecnologie comunque collegate;
    inoltre, si pone il quesito di quale possa essere la destinazione del rilevante patrimonio immobiliare pubblico della disciolta Cinecittà Luce spa costituito da edifici di grande valore storico e monumentale, destinati all'intero ciclo della produzione cinematografica e televisiva, e da edifici più recenti e terreni di completamento del compendio storico degli stabilimenti;
    gli Studios di Cinecittà ed il relativo patrimonio, noti per eccellenza e rilievo internazionale nel settore cinematografico, sono stati oggetto di attività che appaiono speculative e che ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo hanno giovato, unicamente, ai privati investitori coinvolti, i quali hanno promosso un business attraverso l'utilizzo del marchio «Cinecittà» per dare vita ad attività commerciali che hanno nel tempo snaturato e mortificato la reale destinazione degli Studios, danneggiando gravemente il polo cinematografico in questione;
    al riguardo, difatti, si apprende dal sito www.dagospia.com l'articolo, del 17 dicembre 2013, intitolato: «Il falò delle vanità – Il rogo della casa del “Grande Fratello” ha scoperchiato le magagne di Cinecittà: i suoi bandi azionisti (Abete, Della Valle e De Laurentis) non investono e gli Studios cadono a pezzi»;
    ed ancora, il 15 febbraio 2014, in un articolo del Il Fatto quotidiano intitolato «Cinecittà tenta la rinascita. L'appello del direttore generale: “Incentivare le grandi produzioni”», lo stesso direttore generale di Cinecittà Studios, Giuseppe Basso, dichiara la necessità di un intervento da parte delle istituzioni affinché siano incentivate le grandi produzioni, anche con un aggiornamento della legislazione fiscale;
    è necessario recuperare, attraverso azioni immediate ed urgenti gli studi di Cinecittà mediante politiche che consentano di rilanciare il settore cinematografico, incrementandone la competitività sul mercato nazionale ed internazionale;
    altresì, deve essere attuato un piano che regoli la tutela dei rapporti di lavoro esistenti e che, nel lungo periodo, preveda la creazione di nuovi posti di lavoro,

impegna il Governo:

   ad adottare, urgentemente, idonee iniziative e a mettere in atto un piano di recupero degli studi di Cinecittà che preveda il rilancio delle attività produttive e la valorizzazione delle strutture per ridare prestigio all'attività cinematografica, adottando contestualmente le necessarie misure per la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali, nonché la creazione di nuovi posti di lavoro;
   a mettere in atto iniziative, affinché sia escluso il rischio di impropri utilizzi del polo cinematografico in questione a fini commerciali non connessi al rilancio dell'attività cinematografica, vincolando l'utilizzo del marchio «Cinecittà» alle sole iniziative e attività che concernono il settore cinematografico.
(1-00380) «Rizzetto, Rostellato, Baldassarre, Bechis, Ciprini, Chimienti, Tripiedi, Cominardi, Prodani, Currò, Turco, Cariello, Mucci».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DA VILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   le spese per la gestione e l'utilizzo delle autovetture in dotazione delle pubbliche amministrazioni sono state oggetto, recentemente, di numerosi interventi legislativi, soprattutto con l'intento di ridurre la spesa a ciò dedicata. Basti qui ricordare: l'articolo 1, comma 11, della legge n. 266 del 2005 (finanziaria 2006) che ha limitato al 50 per cento di quanto speso nel 2004 i costi «per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture...» a decorrere dall'anno 2006; l'articolo 1, comma 505, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) il quale ha esteso le limitazioni di cui sopra alle «amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, di cui all'elenco ISTAT pubblicato in attuazione del comma 5 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311»; l'articolo 6, comma 14, del (decreto-legge n. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, il quale dispone che «...a decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione... non possono effettuare spese di ammontare superiore all'80 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2009 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi...»;
   la Presidenza del Consiglio dei ministri ha formulato poi due direttive, la n. 6/2010 dell'11 maggio 2010 e la n. 06/2011 del 28 marzo 2011, inviandole a tutte le amministrazioni pubbliche ai sensi dell'articolo 1 comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Tali direttive, oltre a riepilogare la situazione normativa vigente in materia, hanno stabilito la necessità di compiere un monitoraggio dell'intero parco auto in uso alle pubbliche amministrazioni nonché l'opportunità di adottare «modalità trasparenti e razionali di gestione e utilizzo delle autovetture...»;
   l'articolo 2 del decreto-legge n. 98 del 2011 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha stabilito un limite di cilindrata pari a 1600 cc. per le auto di servizio, che quelle esistenti possano essere utilizzate solo fino a dismissione/rottamazione e infine che con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri siano «disposti modalità e limiti di utilizzo delle autovetture di servizio al fine di ridurne numero e costo»;
   la Presidenza del Consiglio dei ministri ha formulato così due specifici decreti in materia: il primo datato 3 agosto 2011 e il secondo 12 gennaio 2012, a modifica parziale del primo in ottemperanza a ordinanza del TAR Lazio del 10 novembre 2011 la quale ha ordinato, appunto, di provvedere ad un riesame del primo decreto;
   per l'attuazione pratica del «Censimento Permanente del parco autovetture della P.A. e monitoraggio annuale» la Presidenza del Consiglio dei ministri ha stipulato una convenzione con Formez PA che è stata nel tempo rinnovata sino ad oggi;
   l'articolo 2 dell'accennato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 agosto 2011 elenca una serie di soggetti, appartenenti alle amministrazioni dello Stato, legittimati all'uso delle auto di rappresentanza. Regioni ed enti locali avrebbero dovuto dunque, sulla base di criteri di equiparazione, individuare i propri aventi diritto all'uso. Il comma 5 dello stesso articolo chiude l'argomento affermando, perentoriamente, che «è fatto divieto alle PA di assegnare autovetture di servizio a soggetti diversi da quelli individuati ai sensi del presente articolo. La violazione del predetto divieto è valutabile ai fini della responsabilità disciplinare del dirigente responsabile». Non è ammesso quindi allargare, discrezionalmente, il perimetro di coloro che possono usare i veicoli di rappresentanza;
   l'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sopra accennato, ha stabilito inoltre quali siano i «limiti di utilizzo delle autovetture di servizio». Al comma 1 recita così: «l'uso... è concesso limitatamente al periodo di durata dell'incarico e per le sole esigenze di servizio del titolare, ivi compresi gli spostamenti verso e da il luogo di lavoro» e al comma successivo aggiunge che: «fermi restando i limiti di cui al comma 1, l'utilizzo delle autovetture... è consentito per i casi di effettiva necessità legata ad inderogabili ragioni di servizio; sono utilizzati, in alternativa, i mezzi di trasporto pubblico quando in relazione al percorso ed alle esigenze di servizio, gli stessi garantiscano risparmi per la pubblica amministrazione»;
   un consigliere del comune di Venezia ha presentato un'interrogazione al sindaco, previo accesso agli atti ai sensi dell'articolo 43 comma 2 TUEL, poiché ha scoperto che, difformemente dalla scheda di quell'ente presente nel Censimento AUTO PA, non vi sarebbero soltanto le cinque autovetture in «Uso non esclusivo con autista» denunziate ma pure quattro natanti adibiti parimenti al servizio di rappresentanza nell'area lagunare;
   la particolare conformazione urbanistica di Venezia non è considerabile, ad avviso dell'interrogante scrivente, motivo sufficiente per eludere la normativa di cui sopra e, quindi, per non segnalare la presenza delle citate barche. Queste ultime peraltro, a confronto con automobili di cilindrata massima di 1.600 cc (le uniche ormai acquistabili), sono un vero e proprio lusso: basti pensare che quasi tutti gli hotel della città hanno dismesso i loro motoscafi privati, dapprima dedicati ai viaggi in laguna della clientela più facoltosa. Si è preferito passare ad un noleggio saltuario e ciò è dovuto, sostanzialmente, agli elevati costi di manutenzione dei natanti: circa 15.000 euro l'anno, in media, per barca a cui vanno sommati i costi del gasolio (4.500 euro circa l'una) e quelli per il personale impiegato in tale servizio (7 piloti con turni dalle 6:00 alle 21). Complessivamente l'uso di mezzi di rappresentanza a Venezia, auto e barche, potrebbe aggirarsi intorno ai 500.000 euro di spesa annuale (rifornimenti, manutenzione, spese accessorie, personale impiegato, quote ammortamento veicoli);
   tra i vari benefit, la classe politica veneziana gode di una tessera IMOB con abbonamento per tutte le linee urbane di trasporto pubblico (automobilistiche e di navigazione) oltre al diritto (privilegio) di parcheggiare gratuitamente presso l'autorimessa comunale di Piazzale Roma a Venezia (59 posti-auto riservati);
   dai fogli di viaggio, esaminati dal consigliere comunale, relativi a un periodo di circa 7 mesi, è emerso un utilizzo dei veicoli di rappresentanza piuttosto intensivo, ingiustificato e talvolta addirittura esorbitante rispetto a quanto ammesso. Un caso, in particolare, è balzato subito agli occhi: quello del direttore generale che, quasi quotidianamente, si fa venire a prendere a casa, con la barca di rappresentanza, per raggiungere la sede del comune (una distanza di circa 1,3 chilometri che, per i canoni veneziani sono poca cosa). Trattandosi poi di aree urbane centrali, il trasporto pubblico è particolarmente capillare e frequente: ne consegue che buona parte dei viaggi effettuati avrebbero potuto essere sostituiti, comodamente, da bus e vaporetti con notevole risparmio economico;
   il regolamento, elaborato sul tema dal comune, è particolarmente impreciso nel delimitare l'utilizzo dei mezzi di rappresentanza posto che si parla genericamente di un uso secondo «la diligenza del buon padre di famiglia», concetto che ha un suo significato nel diritto civile ma in tale ambito è piuttosto futile. L'amministrazione, d'altro canto, non ha aggiornato, com'era forse doveroso, la propria normativa ai due decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nazionali;
   le norme del Regolamento sono poi piuttosto generose nell'elencare le «personalità» autorizzate a servirsi di tali mezzi, ovvero: sindaco, vice sindaco, segretario generale e direttore generale, assessori comunali, presidente del consiglio comunale, consiglieri comunali, in occasione delle sedute del consiglio comunale e delle commissioni consiliari; vice segretari generali e vice direttore generale e infine il capo di gabinetto;
   inoltre si stabilisce, in contrasto con quanto stabilito dall'articolo 2, comma 5, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 agosto 2011, che «...è facoltà del Direttore responsabile, su proposta del Responsabile dell'Ufficio Cerimoniale, autorizzare l'uso dei mezzi di rappresentanza a personalità nazionali e straniere, e loro accompagnatori, ospiti dell'amministrazione comunale» e, dai fogli di viaggio esaminati, pare proprio che l'amministrazione locale metta, abbondantemente, in pratica questa norma, permettendo il trasporto di consulenti esterni, ministri del culto, parlamentari nazionali, e altro;
   il comune di Venezia ha sforato il patto di stabilità per l'anno 2014 ed ha accumulato un debito finanziario, insieme alle sue società partecipate, di 881,5 milioni di euro (relazione al rendiconto di bilancio 2012) seppure abbia proceduto ad alienare un importante patrimonio immobiliare (dal 2007 ad oggi, un controvalore pari a 326,7 milioni di euro) e mobiliare (azioni della società aeuroportuale SAVE S.p.A, della società Autostrade Serenissima s.p.a e della A4 Holding S.p.A. per un totale di 52,3 milioni di euro). Si tratta quindi di un'amministrazione che dovrebbe porre particolare attenzione nello spendere risorse pubbliche in modo così spensierato –:
   se, e con quali modalità, intenda intervenire il Ministro al fine di ricomprendere nel censimento, come pare doveroso all'interrogante, anche i natanti di rappresentanza utilizzati dal comune di Venezia, posto che sono in tutto e per tutto assimilabili agli autoveicoli ai fini della normativa nazionale qui considerata;
   se non si ritenga opportuno fornire a tutte le amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato, come individuate dall'ISTAT nell'elenco pubblicato ai sensi dell'articolo 1, comma 5, della legge 311 del 2004, una più precisa linea interpretativa della norma di cui all'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nel senso di indifferenza nell'utilizzo del veicolo di rappresentanza e del trasporto pubblico o se invece, come reputa l'interrogante debba preferirsi quest'ultimo, in accordo del resto con le ratio di sostenibilità ambientale e spending review sottese alla normativa in materia;
   se e con quali mezzi il Governo intenda intervenire qualora il monitoraggio sull'applicazione delle disposizioni di cui in premessa lasci rilevare un utilizzo eccessivo dei mezzi di rappresentanza nonché la mancata pubblicazione, nella sezione web «Trasparenza, valutazione e merito» prevista dall'articolo 11, comma 8, del decreto legislativo n. 150 del 2009, delle schede di monitoraggio e dei dati relativi alla certificazione della spesa per le auto blu, come previsto dalle due direttive della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 6/2010 e 6/2011. (5-02380)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAROFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'assemblea regionale siciliana, ha approvato il 12 febbraio 2014, il disegno di legge da sottoporre ai sensi dell'articolo 18 dello statuto, al Parlamento della Repubblica, recante «Norme per l'apertura di una casa da gioco dei comuni di Taormina e di Palermo»;
   il provvedimento di competenza statale dovrebbe essere definito attraverso l'emanazione di un decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, che consentirà di varare la riapertura dei casinò, a quasi 50 anni di distanza dalla chiusura; il procedimento si concluderà attraverso un terzo passaggio legislativo, da parte dell'Assemblea regionale siciliana, per l'individuazione delle sedi nei territori in precedenza indicati;
   la decisione da parte del Parlamento siciliano, costituisce una scelta importante e condivisibile, in particolare per gli effetti positivi che possono derivare per l'economia turistica territoriale dell'Isola, in quanto l'apertura di due case da gioco, in località così attrattive può contribuire in modo rilevante a rilanciare il comparto delle strutture alberghiere e favorire l'ingresso di nuovi capitali, oltre che migliorare la situazione finanziaria dei comuni interessati, attraverso gli introiti derivanti dalle attività dei giochi svolti all'interno delle case da gioco;
   l'interrogante evidenzia inoltre come l'iniziativa della riapertura dei casinò in Sicilia, si inserisce all'interno di un più ampio quadro, oltre che (come già riportato) finalizzato allo sviluppo del turismo, volto alla valorizzazione del patrimonio artistico, che dovrebbe rappresentare un obiettivo strategico per qualsiasi Governo, per rendere il nostro Paese più competitivo in ambito internazionale;
   l'autorizzazione dell'apertura della casa da gioco nella città di Taormina, considerata l'alta vocazione turistica del medesimo comune, e nella città di Palermo riconosciuta unanimemente come città d'arte, interviene per garantire al settore turistico, condizioni analoghe a quelle di altre regioni e di altri Stati membri dell'Unione europea, in deroga agli articoli 718, 719, 720, 721 e 722 del codice penale;
   l'urgenza nell'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, indispensabile per completare il procedimento necessario per l'avvio dell'apertura delle case da gioco in Sicilia, è dettata anche dalla pressante concorrenza dei Paesi limitrofi, sia quelli che si affacciano sul Mediterraneo sia quelli che si affacciano sul versante adriatico, la cui attività di promozione delle case da gioco favorisce nuova occupazione e incrementa i livelli di crescita delle strutture ricettive e alberghiere, sottraendo flussi turistici e visitatori internazionali al nostro Paese –:
   se condivida le considerazioni riportate in premessa e conseguentemente se non ritenga opportuno emanare in tempi rapidi, il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, necessario per completare il procedimento legislativo, per l'istituzione della casa da gioco nei comuni di Taormina e di Palermo, come previsto dal disegno di legge n. 180/A approvato dall'Assemblea regionale siciliana il 12 febbraio 2014, ed esposto in premessa. (4-04044)


   SPADONI, COZZOLINO, DA VILLA e TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   tra i punti del piano d'azione straordinario contro la violenza sulle donne, ai sensi dell'articolo 5 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 (legge n. 119 del 2013 del 15 ottobre 2013, Gazzetta Ufficiale n. 242 del 15 ottobre 2013), si prevede una raccolta strutturata e periodicamente aggiornata, con cadenza almeno annuale, dei dati del fenomeno, ivi compreso il censimento dei centri antiviolenza, anche attraverso il coordinamento delle banche di dati già esistenti;
   per eliminare concretamente ogni forma di violenza nei confronti delle donne bisogna iniziare dal monitoraggio del fenomeno;
   così come dichiarato dal Sottosegretario pro tempore con delega alle pari opportunità Cecilia Guerra, il piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking non è stato oggetto di monitoraggio negli anni della sua vigenza;
   da quanto risulta agli interroganti, l'ultima indagine Istat sulla violenza risale al 2007, né gli uffici del dipartimento per le pari opportunità sono stati in grado di comunicare aggiornamenti sui bandi 2014, sull’iter di accesso per i centri anti-violenza e sull'ammontare totale delle risorse del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità;
   dal sito www.pariopportunita.gov.it/ non risultano bandi nell'anno corrente;
   oltre quello sopracitato, gli altri obiettivi del piano d'azione straordinario contro la violenza sulle donne, sono:
    a) prevenire il fenomeno della violenza contro le donne attraverso l'informazione e la sensibilizzazione della collettività, rafforzando la consapevolezza degli uomini e dei ragazzi nel processo di eliminazione della violenza contro le donne e nella soluzione dei conflitti nei rapporti interpersonali;
    b) sensibilizzare gli operatori dei settori dei media per la realizzazione di una comunicazione e informazione, anche commerciale, rispettosa della rappresentazione di genere e, in particolare, della figura femminile anche attraverso l'adozione di codici di autoregolamentazione da parte degli operatori medesimi;
    c) promuovere un'adeguata formazione del personale della scuola alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere e promuovere, nell'ambito delle indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, delle indicazioni nazionali per i licei e delle linee guida per gli istituti tecnici e professionali, nella programmazione didattica curriculare ed extracurricolare delle scuole di ogni ordine e grado, la sensibilizzazione, l'informazione e la formazione degli studenti al fine di prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un'adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo;
    d) potenziare le forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso modalità omogenee di rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza;
    e) garantire la formazione di tutte le professionalità che entrano in contatto con fatti di violenza di genere o di stalking;
    f) accrescere la protezione delle vittime attraverso il rafforzamento della collaborazione tra tutte le istituzioni coinvolte;
    g) promuovere lo sviluppo e l'attivazione, in tutto il territorio nazionale, di azioni, basate su metodologie consolidate e coerenti con linee guida appositamente predisposte, di recupero e di accompagnamento dei soggetti responsabili di atti di violenza nelle relazioni affettive, al fine di favorirne il recupero e di limitare i casi di recidiva;
    h) prevedere specifiche azioni positive che tengano anche conto delle competenze delle amministrazioni impegnate nella prevenzione, nel contrasto e nel sostegno delle vittime di violenza di genere e di stalking e delle esperienze delle associazioni che svolgono assistenza nel settore;
    i) definire un sistema strutturato di governance tra tutti i livelli di governo, che si basi anche sulle diverse esperienze e sulle buone pratiche già realizzate nelle reti locali e sul territorio –:
   quali siano i fondi attualmente esistenti per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità e contro la violenza nei confronti delle donne e come ritenga di intervenire impiegando le risorse stanziate;
   quali siano le misure messe in atto e quali quelle in programma al fine di realizzare i punti enunciati nel piano d'azione straordinario contro la violenza sulle donne, e, in modo particolare, se sia stato avviato il processo di realizzazione della banca dati. (4-04050)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   DAGA, SEGONI, BUSTO, ZOLEZZI, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la delibera del CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001, riguardante il primo programma delle opere strategiche da realizzarsi ai sensi della legge n. 443 del 2001 (legge Obiettivo), prevede la costruzione del collegamento A12 – Pontina-Appia e della Bretella Cisterna-Valmontone, con una previsione di costo di 1.136,205 milioni di euro, per il primo tratto e di 309,874 milioni di euro per il secondo;
   il 21 maggio del 2003 viene costituita la società ARCEA Spa, con socio di maggioranza la regione Lazio e socio di minoranza l'ATI Autostrade Spa (mandataria), Consorzio 2050 e MPS Merchant;
   a novembre 2003 viene presentata da ARCEA, una prima versione del progetto, che dopo una prima fase istruttoria che coinvolge i comuni limitrofi, viene ritirato a causa degli elevati rischi ambientali rilevati. Successivamente i progetti A12-Appia e Bretella Cisterna-Valmontone (come riportato dal resoconto del Centro studi della Camera), vengono riformulati da progettisti esterni ad Arcea e ripresentati per le consultazioni ai fini della VIA nell'aprile del 2004. Ma i dubbi rimangono anche su questi nuovi progetti, in quanto, come denunciato da molte associazioni ambientaliste, tra cui wwf, il «tracciato autostradale interferisce con la zona del Parco naturale dei Monti Aurunci e con l'IBA (Important Bird Area, ai sensi della normativa europea) che ricomprende gli stessi Monti Aurunci e i Monti Ausoni»;
   con la delibera n. 50 del 2004 il CIPE approva i due progetti preliminari «completamento del Corridoio Tirrenico Meridionale, tratta A12-Formia (Appia)» e della «bretella trasversale Cisterna-Valmontone» per un costo complessivo stimato di 3.218 milioni di euro al netto dell'IVA. Inoltre la delibera impone che il soggetto aggiudicatore sia la regione Lazio, che «provvederà a redigere la stesura definitiva del piano economico-finanziario del progetto integrato, fermo restando che il contributo statale non potrà superare la percentuale del 40 per cento del costo di costruzione dell'intera opera»;
   in relazione alla costituzione della società ARCEA Lazio Spa, la Commissione dell'Unione europea, comunica l'avvio di una procedura d'infrazione, ritenendo la legge regionale n. 37 del 2002 contrastante con le direttive europee;
   la regione Lazio, con legge regionale n. 11 del 20 ottobre 2006, modifica la disciplina di cui alla legge regionale n. 37 del 2002 e, per l'effetto, revoca alla società ARCEA Lazio Spa la concessione alla progettazione, costruzione, manutenzione e gestione. Ciononostante il 28 settembre del 2007, viene avviata la procedura di approvazione presso il CIPE del progetto definitivo dell'intervento, redatto dalla stessa ARCEA Lazio Spa. Il progetto che comprende i tratti tra Roma (Tor de’ Cenci) e Latina (Borgo Piave) e l'intera bretella autostradale Cisterna-Valmontone (mentre demanda ad una fase successiva il completamento del primo stralcio della A12-Pontina-Appia) prevede una nuova localizzazione dell'opera rispetto a quanto approvato nel progetto preliminare dalla delibera CIPE n. 50/2004 e quindi si rende necessaria una reiterazione della VIA;
   il CIPE, con delibera n. 55 del 2 aprile del 2008, stabilisce che il nuovo soggetto aggiudicatore del «progetto integrato», sia «Autostrade del Lazio Spa», società partecipata pariteticamente da ANAS spa e dalla regione Lazio costituita il 4 marzo 2008 con Protocollo d'intesa con il presidente della regione Lazio ed il Presidente dell'ANAS. Come si legge dal sito «Autostrade del Lazio dovrà garantire, tramite ricorso alla finanza privata, il reperimento di una quota pari almeno al 60 per cento delle risorse finanziarie necessarie alla copertura del costo del progetto integrato»;
   il Consorzio 2050 presenta ricorso al Tar del Lazio al fine di ottenere l'annullamento della delibera CIPE n. 55/2008 che ha riconosciuto ad Autostrade del Lazio Spa il ruolo di soggetto aggiudicatore. Il 19 novembre 2009 viene rilasciato dall'area VIA regione Lazio parere positivo al progetto «Corridoio Intermodale Roma Latina», che modificava sostanzialmente il precedente trasformandolo in adeguamento autostradale della strada statale Pontina tra Tor de’ Cenci e Latina, non prevedendo alcun raccordo di collegamento con la A12. La nuova giunta regionale insediatasi nel giugno 2010, modifica ulteriormente il progetto, escludendo l'intermodalità, che nella Via ne costituiva il parere fondante e vincolante, ritenendo le opere connesse ineludibili;
   solo con la delibera 88/2010 il Cipe approva il progetto definitivo del progetto, ma senza la tratta A12 (Roma-Fiumicino)-Tor de’ Cenci (Roma), e subordina la pubblicazione del bando di concessione all'approvazione del progetto definitivo anche sulla tratto mancante, ma soprattutto alla «...completa definizione di ogni forma di contenzioso»;
   la delibera Cipe 3 agosto 2012, n. 86, approva il progetto definitivo della A12-Tor de’ Cenci, quantifica a 2.728,7 milioni di euro il limite di spesa dell'intero intervento ed esprime parere favorevole allo schema di convenzione, concentrando il finanziamento pubblico di 468 milioni sulle sole tratte principali, A12 – Roma-Latina e opere connesse, accantonando per il momento la Cisterna-Valmontone;
   il municipio XII di Roma Capitale, direttamente interessato dalla nuova infrastruttura, esprime parere contrario all'opera con ordine del giorno n. 3 del 12 luglio 2012, facendosi portavoce delle istanze di protesta espresse da associazioni locali e comitati rappresentativi dei quartieri interessati; il consiglio comunale di Roma, con ordine del giorno n. 227 del 30 novembre 2012, impegna il sindaco e la giunta «a farsi promotori di ogni utile iniziativa per manifestare la contrarietà di Roma Capitale all'avvio di qualsiasi progetto di realizzazione della bretella Tor de Cenci-A12 Roma Civitavecchia e di costruzione dell'autostrada Roma-Latina»;
   i contenziosi principali, sollevati da Arcea contro Autostrade del Lazio e Cipe, si chiudono con la sentenza del Consiglio di Stato 1225 del 28 febbraio 2013, ma restano ancora in piedi le richieste di arbitrato sollevate dai vecchi soci di Arcea contro la regione Lazio, in qualità di suo ex socio da cui sostengono di essere stati danneggiati;
   il 24 aprile 2013, la sezione centrale della Corte dei Conti ricusa il visto sulla precedente delibera del CIPE n. 86 del 2012 concernente il piano economico-finanziario dell'opera, considerandola illegittima. Nello specifico, il collegio osserva, tra le molte altre cose: che nonostante il lungo arco di tempo trascorso tra l'adozione della delibera (3 agosto 2012) ed il suo arrivo al competente ufficio di controllo (23 gennaio 2013), essa è giunta priva di importante documentazione a corredo, essenziale ai fini del corretto esercizio dell'attività istruttoria; che con riferimento al contratto con la Cassa depositi e prestiti, non si comprendono i criteri di erogazione del mutuo; che non possono ritenersi puntualmente e correttamente individuate le risorse finanziarie idonee ad assicurare la copertura finanziaria delle tratte cui si riferisce lo schema di convenzione; che riguardo alla materia dei requisiti di solidità patrimoniale, da parte degli uffici ministeriali competenti non si è avuta alcuna definizione; che il CIPE pur ammettendo riformulazione del p.e.f. in sede di gara, non ha motivato adeguatamente l'omessa previsione, tra le numerose prescrizioni, di una disposizione inerente l'aggiornamento dello stesso in relazione all'adozione della formula tariffaria del price cup;
   le molte delibere CIPE che si sono susseguite non hanno garantito una previsione di criteri oggettivi in tema di sospensione dell'applicazione dell'indice di solidità patrimoniale delle concessionarie. Ad oggi il costo presunto dell'intera opera risulta essere di 2.728,655 milioni di euro (fonte: bando di gara Autostrade per il Lazio spa e delibera CIPE n. 88/2010). Le risorse disponibili al 31 ottobre 2013 sono di 2.014,570 milioni di euro, di cui 468,080 milioni di euro da fondi pubblici (si tratta dei fondi previsti dalla Legge Obiettivo) e 1.546,490 milioni di euro da fondi privati (Bando di gara Autostrade per il Lazio Spa e delibera CIPE 88/2010) e che il fabbisogno residuo ammonterebbe a 714,085 milioni di euro. Infatti la Corte dei conti con la sua «MASSIMA» SCCLEG/7/2013/PREV si è espressa in questi termini: «l'omessa puntuale e corretta individuazione delle risorse finanziare idonee ad assicurare la copertura finanziaria delle tratte cui si riferisce lo schema di convenzione oggetto della deliberazione del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica costituisce violazione dei principi dettati dalla normativa in materia contabile»;
   nonostante la pronuncia della Corte dei conti, il Governo con l'articolo 18, comma 4, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (del Fare) ha autorizzato per legge la concentrazione dei fondi sulla tratta principale, spianando la strada alla delibera Cipe 51/2013, pubblicata il 3 gennaio scorso;
   va considerato il pregiato patrimonio paesaggistico e ambientale, sottoposto a specifici vincoli di tutela che verrebbero drasticamente distrutto da un intervento come questo, infatti:
    il tratto autostradale a sei corsie di circa 16 chilometri, compreso fra lo svincolo con la A12 e Tor de’ Cenci, attraversa un comprensorio dell'Agro romano di eccezionale rilievo paesaggistico e ambientale;
   il tracciato dell'opera autostradale interessa inoltre il Parco regionale di Decima-Malafede e incide direttamente sul Sito d'importanza comunitaria (SIC) «Sughereta di Castel di Decima», inserito nella rete Natura 2000 e protetto ai sensi della direttiva comunitaria 92/43/CEE;
   il progetto in questione si sviluppa inoltre, per alcuni tratti, a ridosso di quartieri urbani densamente popolati, con particolare riferimento ai comprensori di Vitinia, Mezzocammino, Villaggio Azzurro e Tor de’ Cenci, con prevedibile e pesante impatto sull'inquinamento acustico e atmosferico e sulla vivibilità di aree abitative consolidate, anche in considerazioni delle previsioni di traffico pesante;
   il tracciato autostradale attraversa la Riserva naturale statale del Litorale Romano, con riferimento specifico all'area di riserva integrale del Drizzagno di Spinaceto;
   non risulta che l'Ente gestore della suddetta Riserva naturale statale abbia mai espresso il parere di propria competenza sul progetto dell'opera autostradale;
   inoltre non risulta essere stato adeguatamente valutato l'impatto trasportistico della nuova struttura sul quadrante sud-ovest della città di Roma, tenendo presente che si tratterà di una struttura soggetta a pedaggio e quindi scarsamente utilizzabile dal traffico di rilievo urbano e che non è stata presa in considerazione alcuna forma di intermodalità con il trasporto su ferro;
   a ciò si aggiunga che in continuità con il tratto autostradale in questione è in fase di avanzata progettazione un'ulteriore tratta autostradale rivolta a collegare il corridoio tirrenico con l'A1 Milano-Napoli, con svincolo previsto sulla Fiano-San Cesareo. L'ulteriore opera stradale in questione, per oltre 34 chilometri di lunghezza, correrebbe parallela al grande raccordo anulare, interessando, oltre a Roma Capitale, altri 12 comuni della provincia di Roma, con un costo ulteriore previsto di 1 miliardo e 660 milioni. L'impatto provocato da entrambe le opere autostradali sulle aree agricole e sulle pregiate produzioni agroalimentari di Roma e della sua provincia appare devastante, con particolare riferimento al comprensorio di Decima-Malafede, di Fioranello, del Divino Amore e dei Castelli romani e alla zona di produzione del pecorino romano DOP e dei pregiati vini DOC e DOCG dell'area di Frascati –:
   se i Ministri interrogati, per le proprie competenze, alla luce delle osservazioni che hanno condotto la Corte dei conti a giudicare il provvedimento CIPE non conforme alla legge e soprattutto in considerazione dell'assenza di una puntuale e corretta individuazione delle risorse finanziare idonee ad assicurare la copertura finanziaria delle tratte indicate, non ritengano opportuno attivarsi per garantire la coerenza e sostenibilità economica ed ambientale dei complessivi interventi infrastrutturali programmati sul territorio, considerando la possibilità di tornare ad una formulazione dell'opera fondata su un iter autorizzativo verificato che disponga della necessaria copertura finanziaria, che tenga conto della progettazione dell'ulteriore tratta autostradale di collegamento del corridoio tirrenico con l'A1 Milano-Napoli, e nel quale si considerino prioritarie e inderogabili le opere relative alla messa in sicurezza dell'attuale viabilità di collegamento tra Roma e Latina, l'intermodalità ed ogni altra forma di riduzione del traffico su gomma, nonché la tutela delle aree protette;
   pur non volendo considerare le numerose e sostanziali possibili lacune nell’iter autorizzativo, se non ritenga necessario intervenire per evitare il grave ed irreparabile impatto paesaggistico e ambientale che deriverebbe dalla realizzazione delle suddette opere autostradali, con particolare riferimento all'Agro Romano, ai siti di importanza comunitaria, alle aree naturali protette di rilievo nazionale e regionale direttamente coinvolte, anche tenuto conto del rischio che venga avviata una procedura comunitaria di infrazione ai sensi della direttiva habitat 92/43/CEE, in relazione al pesante impatto previsto dal progetto dell'autostrada A12-Tor de’ Cenci sul sito di importanza comunitaria (SIC) «Sughereta di Castel di Decima»;
   se non ritengano opportuno, considerate le gravi carenze e incongruenze rilevate dalla Corte dei conti, sospendere e revocare le procedure di approvazione e finanziamento delle tratte autostradali in questione anche in relazione agli impegni assunti dal Governo in materia di riduzione del consumo di suolo, trattandosi in questo caso della distruzione di alcune migliaia di ettari di grande valore agricolo, paesaggistico e ambientale. (3-00695)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da articoli de La Repubblica e il Centro, da agenzia stampa e social media, da una comunicazione ufficiale del Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise che, il 14 marzo 2014, un'orsa dall'età stimata di 5-6 anni è morta nel centro di sorveglianza del sopraccitato parco, a Pescasseroli. Qualche ora prima era stata trovata in gravi condizioni dai guardiaparco del servizio di sorveglianza nei dintorni di Sperone, frazione alle porte di Gioia dei Marsi;
   secondo il rapporto delle guardie, l'animale tremava convulsamente ed aveva problemi di coordinamento motorio. Sedata immediatamente dai veterinari, è stata portata nel centro di sorveglianza dove però è morta nonostante le cure, alcune ore dopo;
   il personale di guardia al Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise ha perlustrato la zona di Sperone ed eseguito prelievi nell'ambiente circostante per accertare che non vi fossero esche avvelenate. Alcuni prelievi sul plantigrado sono stati eseguiti ed inviati all'istituto zooprofilattico di Teramo ed alla facoltà di veterinaria e sono in attesa di esito;
   preoccupazione è stata espressa dalle maggiori associazioni ambientaliste che si occupano della tutela dell'orso, visto che la popolazione degli orsi marsicani è già fortemente ridotta e soprattutto questo è il quarto esemplare morto in meno di un anno: ad aprile, un giovane maschio era morto investito sull'autostrada A24, nei pressi di Tornimparte dopo aver superato le barriere di protezione. A luglio, un altro esemplare maschio era stato trovato senza vita, con segni di proiettili nel corpo, nella zona delle Mainarde, sul versante molisano del parco. Caso oggetto di due atti di sindacato ispettivo presentati dall'interrogante, interrogazioni n. 4-01346 e 4-02139, quest'ultima senza risposta. Infine, ad ottobre, un altro esemplare femmina era stata travolta e uccisa da un'auto sulla strada tra Anversa degli Abruzzi e Villalago –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sia a conoscenza della grave vicenda;
   se e quali iniziative siano state messe in campo, di concerto con le autorità del Parco nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise, le regioni Abruzzo, Lazio e Molise, il Corpo forestale dello Stato e il Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, a tutela della preziosa comunità di orsi, già fortemente minacciata di estinzione e, da ultimo, se non si intenda verificare l'eventuale diffusione di patologie che mettono a rischio gli orsi. (4-04046)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 10 marzo 2014 è scaduto il termine per depositare le offerte per aggiudicare la gestione della discarica di Molinetto a Cogoleto, in provincia di Genova, che per anni ha accolto parte dei rifiuti tossici prodotti nell'ex stabilimento chimico Stoppani, che ha operato nei comuni di Arenzano e Cogoleto per quasi cento anni fino alla sua definitiva chiusura nel 2003 e all'interno del quale si produceva cromo esavalente, sostanza altamente nociva e inquinante;
   la discarica di Molinetto è stata commissariata nel 2007 dopo il fallimento dell'immobiliare Val Lerone, riconducibile alla ex Stoppani, e ad oggi, costituisce un'area ancora contaminata, senza alcun presidio e in un completo stato di abbandono, in relazione alla quale la Commissione europea avrebbe avviato una procedura d'infrazione;
   l'ente commissariale che attualmente gestisce per conto del Governo l'area interessata avrebbe indetto, a quanto consta all'interrogante, una gara d'appalto in base alla quale l'aggiudicatario potrà «fare cassa» accogliendo ulteriori 50mila metri cubi di «terra e rocce contenenti sostanze pericolose» e «pietrisco per massicciate ferroviarie contenente sostanze pericolose» provenienti da altri siti produttivi da seppellire in 30 mesi;
   questo perché, secondo notizie di stampa, l'investimento necessario per la messa in sicurezza dell'area ammonterebbe a 8,5 milioni di euro, dei quali solo 2,7 milioni sarebbero finanziamenti pubblici disponibili;
   il sito è non lontano da alcuni centri abitati;
   già in passato vi sono stati dei tentativi di infiltrazione da parte della criminalità organizzata –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero, e, se del caso, quali siano i rischi per l'ambiente e per la salute dei cittadini e quali iniziative si intendano assumere per contrastarli;
   in che modo si intenda garantire la sicurezza del sito, in particolar modo al fine di impedire infiltrazioni da parte della criminalità organizzata nella sua gestione;
   quali urgenti interventi il Governo intenda assumere al fine di permettere il tempestivo completamento della messa in sicurezza dell'intera area coinvolta e la successiva bonifica del sito. (4-04049)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   DI BATTISTA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 19 giugno 2008, a Cattolica, viene tratto in arresto Niki Aprile Gatti, informatico di 26 anni, con l'accusa di associazione per delinquere e frode informatica in merito all'inchiesta denominata Premium;
   Gatti viene arrestato insieme ad altre 17 persone, alcune delle quali facenti parte dell'azienda di cui risulta essere socio, la Oscorp Spa, con sede a San Marino, dove lavorava come informatico;
   al momento dell'arresto, Gatti non viene però trasferito al carcere di Rimini, come invece avviene per gli altri 17 arrestati, ma presso quello di massima sicurezza di Sollicciano (Firenze);
   inoltre i familiari sono stati informati che Niki è stato inizialmente portato al carcere di Rimini e poi trasferito a Firenze;
   Niki Gatti, di poi, è l'unico che intende parlare e collaborare con la magistratura al fine di spiegare e chiarire la propria posizione, a differenza degli altri indagati che si sono, invece, avvalsi della facoltà di non rispondere;
   al termine dell'interrogatorio di garanzia, però, mentre a tutti gli altri indagati vengono concessi gli arresti domiciliari, Niki Gatti è l'unico al quale viene confermata la custodia cautelare in carcere;
   4 giorni dopo, il 24 giugno 2008, Niki Aprile Gatti, viene trovato impiccato nel bagno della sua cella con una corda formata da lacci di scarpe e jeans;
   il pubblico ministero della Procura della Repubblica presso il tribunale di Firenze chiede l'archiviazione, avverso la quale i familiari del giovane informatico hanno proposto opposizione ex articolo 410 c.p.p.;
   in seguito, con ordinanza del 27 aprile 2010, il G.i.p., nella persona del dottor Rosario Lupo, dispone l'archiviazione e la restituzione degli atti al pubblico ministero ritenendo che il decesso sia avvenuto a seguito di suicidio per impiccagione, non essendo emersi elementi che facciano presumere possibili profili di responsabilità in capo a terzi;
   la questione, tuttavia, è tutt'altro che chiara, come anche evidenziato in altri atti di sindacato ispettivo, che non hanno mai ricevuto risposta (XVI legislatura interrogazioni n. 4-03187 e n. 4-04216);
   innanzitutto i familiari di Niki Aprile Gatti avevano cercato di rientrare in possesso dei suoi beni, ma alcuni giorni dopo la sua morte l'appartamento dove risiedeva, a San Marino, veniva trovato completamente svuotato degli effetti personali ed in particolare del personal computer, sottrazione, quest'ultima, che non si comprende come sia potuta avvenire alla luce del capo di imputazione per frode informatica e che di certo avrebbe consentito di far luce sull'inchiesta;
   tutte le persone che sono state interrogate e che hanno avuto contatti con Niki Gatti hanno riferito di un soggetto psicologicamente sano ed equilibrato del tutto lontano da qualsiasi istinto suicidario;
   in primo luogo la psicologa dell'istituto di detenzione riferisce sul Gatti: «Questi era sicuro che la sua permanenza nell'istituto fosse di breve durata e che sarebbe stato scarcerato una volta avuta la possibilità di andare in udienza e spiegare le sue ragioni davanti al giudice; il soggetto aveva dimostrato una capacità di gestire cognitivamente ed emotivamente la situazione in cui si era venuto a trovare dopo l'arresto; il tono dell'umore era normale, aveva uno stato ansioso reattivo lieve, congruo alla situazione che stava vivendo; era assente l'ideazione suicidaria, non aveva avuto precedenti psichiatrici, né mai manifestato problematiche psicologiche, riferiva di non far uso di sostanze stupefacenti»;
   in secondo luogo l'agente di custodia che ha parlato con Niki Gatti per ultimo, alle ore 10, riferisce: «Niki mi chiama chiedendomi informazioni in merito all'esito dell'interrogatorio di garanzia avvenuto il giorno prima; io lo rassicuro dicendogli che non avendo ancora ricevuto nulla di scritto non era per niente scontata la sua permanenza in carcere in quanto una eventuale scarcerazione poteva sopraggiungere in qualsiasi momento; tuttavia entro l'indomani mattina (25 giugno) attraverso la matricola gli si sarebbero date ulteriori informazioni e tutti gli aggiornamenti in merito alla sua posizione giuridica; il detenuto appariva soddisfatto e sereno ringraziandomi della risposta ricevuta, mentre io proseguivo nell'attività di accertamento numerico»;
   pertanto non è plausibile che Niki Gatti si possa essere suicidato nella sua cella nella stessa identica ora, alle ore 10, in cui avveniva questo colloquio con l'agente addetto alla sua custodia, senza attendere neppure le notizie, che il giorno successivo sarebbero arrivate, in merito ad una possibile scarcerazione;
   in terzo luogo anche le dichiarazioni dei suoi due compagni di cella, fondamentali nel confermare il suicidio, anche se non completamente coincidenti, nonché dei detenuti delle celle limitrofe, riferiscono tutte di una persona serena ed equilibrata;
   a ciò si aggiunga che destano più di una perplessità anche altre circostanze;
   si deve sottolineare il fatto che la morte sia avvenuta durante o subito dopo l'ora d'aria in cui c’è piena libertà di movimento nel carcere;
   allo stesso tempo non si comprende come sia possibile che dei semplici lacci di scarpe e strisce di tessuto jeans possano sorreggere il peso di un uomo di 92 chilogrammi senza spezzarsi;
   inoltre la consulenza tecnica, che ha accertato la morte per impiccagione, ha omesso di accertare la presenza, nel corpo del giovane informatico, di sostanze tossiche, anche, e soprattutto in considerazione del fatto che a Niki Gatti potrebbero essergli stati somministrati farmaci tali da poter eventualmente rendere possibile l'impiccamento contro la sua volontà;
   sempre in sede di indagini peritali, il consulente ha dichiarato di non aver potuto chiarire se al momento dell'impiccamento il corpo sia stato sospeso nel vuoto o meno, in quanto il perito incaricato non era a conoscenza di dati sull'effettivo posizionamento del corpo al momento del rinvenimento;
   non si comprende, poi la scelta di condurre un incensurato di 26 anni, unico tra tutti gli indagati, in un carcere di massima sicurezza, nel quale non è ragionevole che siano presenti dei lacci di scarpe, ma al contempo appare all'interrogante incomprensibile la mancata concessione allo stesso degli arresti domiciliari;
   senza contare che l'inchiesta Premium, nella quale Niki Aprile Gatti voleva collaborare con la magistratura, avviata a seguito delle denunce di migliaia di utenti toscani truffati a causa di una tariffazione maggiorata dei numeri 899 nonché attraverso connessioni illegali ad internet, ha fatto emergere ulteriori attività criminose, come, ad esempio, il riciclaggio di denaro;
   tutte queste attività illecite ruotano attorno ad una serie innumerevole di flussi di denaro tra San Marino e Londra che ben potrebbero risultare legate anche allo scandalo Telecom Sparkle-Fastweb, considerato che lo stesso asse San Marino-Londra emerge in occasione di altre truffe telefoniche italo-europee, quali Phuncards-Broker e Eutelia –:
   in considerazione dei numerosi dubbi sulla morte di Niki Aprile Gatti, che non hanno ancora trovato risposte chiare, quali iniziative il Ministro interrogato abbia assunto o intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di fare piena luce sulla morte di un giovane incensurato, arrestato dopo essersi costituito e dopo aver chiesto di collaborare con i magistrati nell'inchiesta Premium;
   quali siano le ragioni per cui Niki Aprile Gatti sia stato trasferito in un carcere di massima sicurezza e perché ai suoi familiari sia stata comunicata la sua iniziale detenzione presso il carcere di Rimini;
   se il Ministro interrogato, alla luce delle vicende descritte e della loro gravità, abbia proceduto o intenda procedere, anche ai sensi l'articolo 12 della legge n. 1311 del 1962, ad una inchiesta amministrativa sui fatti di cui in premessa, per verificare eventuali responsabilità e negligenze professionali nei confronti del personale deputato a vigilare ed a garantire l'incolumità delle persone detenute, fornendo le risultanze della medesima. (3-00697)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSSOMANDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dalle più recenti notizie, anche a mezzo stampa, si apprende dei problemi che da alcuni mesi si stanno verificando presso il tribunale di Torino relativamente al funzionamento delle cancellerie di tribunale;
   l'orario ridotto di apertura delle cancellerie comporta, secondo quanto denunciano gli avvocati torinesi, un significativo allungamento dei tempi di svolgimento delle pratiche, con conseguente aggravio di costi per i professionisti e conseguentemente per i cittadini utenti del servizio giustizia;
   dall'incontro svoltosi recentemente su tale problematica tra il presidente del tribunale di Torino Luciano Panzani, i dirigenti del personale amministrativo e il Presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati Mario Napoli, insieme ad una delegazione del consiglio forense, sono emersi i seguenti elementi: da un lato la cronica carenza di personale che non consentirebbe il prolungamento dell'orario di apertura degli uffici, dall'altro, come esposto dall'avvocatura, l'obbligo di legge sui tempi minimi di apertura, ribadito da una recente sentenza del Consiglio di Stato. Tali tempi minimi sono necessari per l'effettivo accesso a tutte le funzioni relative all'esercizio dei diritti di difesa delle parti processuali;
   al riguardo, si ricorda che con la sentenza n. 798 del 20 febbraio 2014, infatti, il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso dell'Ordine degli avvocati di Roma, ha ribadito l'obbligo di apertura delle cancellerie per un minimo di 5 ore nei giorni feriali, così come stabilito dall'articolo 162 della legge 23 ottobre 1960, n. 1196;
   il problema da molto tempo denunciato della carenza di personale nelle sedi giudiziarie, che compromette in modo sostanziale il funzionamento e l'efficienza degli uffici, risulta ulteriormente aggravato dalle conseguenze derivanti dalla recente riforma della geografia giudiziaria (decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155): nello specifico, per quanto riguarda il tribunale di Torino, l'accorpamento con il tribunale di Pinerolo e l'assorbimento delle sedi distaccate hanno comportato un considerevole aumento di lavoro senza che ad esso seguisse un sufficiente adeguamento del personale, con le prevedibili conseguenze di rallentamento nello svolgimento dei processi e di intasamento di pratiche provenienti dalle sedi accorpate che hanno gravato principalmente su uffici e cancellerie –:
   se non sia opportuno prevedere, al fine di sopperire alla carenza di organici degli uffici giudiziari torinesi, la possibilità di mobilità di personale da altri settori della pubblica amministrazione, così come da più parti auspicato, quale via breve per fornire risorse per l'attività della sede giudiziaria e garantire l'apertura delle cancellerie e degli uffici giudiziari nell'arco orario stabilito dalla legge n. 1196 del 1960, recentemente confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 798 del 2014, e comunque necessario per garantire gli accessi funzionali all'esercizio del diritto di difesa di tutte le parti processuali. (5-02379)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la nuova stazione tiburtina inaugurata il 28 novembre 2011, dopo dieci anni di attese e 36 mesi di cantiere per un costo pari a circa 330 milioni di euro, gestisce circa 150 mila passeggeri al giorno, ha 20 binari, 52 scale mobili e 29 ascensori, dislocati su quasi 50 mila metri quadrati di superficie;
   il concorso di progettazione «il nodo Stazione Tiburtina. Una nuova centralità urbana» aveva caratterizzato la stazione come luogo di scambio urbano, vera e propria infrastruttura «sociale» in grado di concorrere alla vivibilità complessiva di un territorio tagliato in due dalla tangenziale;
   secondo quanto risultante da un dettagliato studio presentato al X congresso della Società italiana di ergonomia, svoltosi a Torino nel novembre 2013, la stazione tiburtina, ad ormai oltre 2 anni dalla sua inaugurazione, continuerebbe ad essere un'opera incompiuta, con «serrande abbassate, corridoi vuoti, illuminazione scadente, scale mobili immobili, transenne qua e là». «Quando piove, l'acqua gocciola dai soffitti e crea poi muffa. Il pavimento dell'atrio principale è traballante e scivoloso. Porte chiuse, spazi inagibili, tubi a vista, lampadine penzolanti, wc rotti e i binari 9, 10 e 13 off-limits. Per non parlare dei binari 1 e 2 est, dove transitano i treni utilizzati dai pendolari, diretti a Lunghezza, Tivoli, Avezzano e Pescara. L'unica via d'accesso alla banchina è una scala di 28 gradini, stretta e buia, dove nell'ora di punta i pendolari procedono ammassati e a rilento, senza alcuna sicurezza»;
   la stazione tiburtina di Roma si presenta dunque agli occhi dei cittadini come «un hub fantasma. Forse perché il progetto non è del tutto completo oppure perché vi sono difficoltà oggettive nel portare a regime quanto sino ad ora realizzato. La situazione di degrado esterno è tale da rendere difficile probabilmente anche promuoverla come centro commerciale»;
   il 17 maggio 2013, secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa, tale deplorevole situazione è stata evidenziata dallo stesso Ministro interrogato, il quale avrebbe definito «una vergogna che all'interno della stazione Tiburtina non ci fossero ancora servizi, bar o negozi»;
   sempre secondo tali organi di stampa, l'amministratore delegato di RFI, Mauro Moretti, avrebbe attribuito i ritardi al comune, che «non ha fatto niente sul piano delle infrastrutture, come parcheggi e svincoli», accusa ribaltata da Roma Capitale nei confronti della stessa RFI, in quanto competerebbe a quest'ultima intervenire rispetto al superamento delle carenze summenzionate;
   è prioritario interesse dei cittadini romani e dell'opinione pubblica nel suo complesso che sia fatta chiarezza su tali vicende e che siano evidenziate le responsabilità nei ritardi che ad oggi rendono la stazione tiburtina ancora priva di negozi e servizi, arrecando danni in termini sociali ed economici alla città –:
   quali siano, per quanto di competenza, le iniziative assunte affinché la stazione tiburtina sia dotata in tempi celeri dei necessari servizi rivolti all'utenza.
(3-00696)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPARINI e BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la circolare del Ministero dell'interno del 3 marzo 2014, recante il «Progetto di rimodulazione dei presidi della Polizia di Stato» prevede la chiusura del 15,7 per cento per un totale di 266 presidi territoriali di polizia 11 commissariati di pubblica sicurezza, 4 nuclei artificieri, 74 di polizia ferroviaria, 72 di polizia postale, 27 di polizia stradale, 14 del settore frontiera, 50 della squadra nautica, 9 della squadra a cavallo e 5 della squadra sommozzatori;
   il 4 marzo 2014, il vice capo della polizia di Stato, prefetto Alessandro Marangoni, ha illustrato le linee guida del progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi dalla polizia di Stato sul territorio nazionale è stato elaborato dal dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno attraverso due direttrici fondamentali: una, a carattere interno alla polizia di Stato, diretta, sostanzialmente, ad una ottimizzazione dei presidi delle quattro specialità stradale, ferroviaria, postale e frontiera, un'altra, finalizzata ad una rivisitazione sul territorio della dislocazione dei commissariati di pubblica sicurezza, delle compagnie dei carabinieri e dei reparti speciali, a carattere sussidiario concentrate in alcune sedi;
   la razionalizzazione dei presidi stride con la necessità di aumentare e potenziare il livello di sicurezza su tutto il territorio nazionale, soprattutto in quelle province caratterizzate da una forte presenza di criminalità organizzata e con i maggiori indici di crimini consumati;
   il progetto non fa alcun riferimento a come sarà garantita la sicurezza dei cittadini laddove saranno soppressi i presidi di polizia;
   già oggi, nonostante l'encomiabile impegno delle forze dell'ordine è evidente una cronica carenza di uomini, mezzi (e non un surplus come erroneamente evidenziato dal rapporto del Ministero dell'interno) che comporta l'aumento di atti vandalici a negozi, automobili e persone proprio nella zona in cui operano i comandi oggetto della rimodulazione, da cui scaturisce, piuttosto, l'esigenza del mantenimento dei massimi livelli di sicurezza del territorio;
   gli investimenti per la sicurezza negli ultimi cinque anni sono stati ridotti di oltre 4 miliardi di euro e gli operatori della polizia di Stato sono passati dai 103 mila del 2003 ai 94 mila del 2013, con i contratti fermi al 2009, gli stipendi più bassi d'Europa e un tetto retributivo che per tutto il 2014 impedisce di guadagnare di più rispetto al 2010;
   nella sola Lombardia paiono assolutamente ingiustificate le chiusure di ben 19 presidi di cui 1 commissariato di pubblica sicurezza, 4 di polizia stradale, 4 di polizia ferroviaria, 1 del settore frontiera aerea, 2 della squadra nautica e ben 7 sezioni di polizia postale allorquando la stragrande maggioranza dei reati corrono quasi esclusivamente sulla rete;
   la provincia di Brescia è la più penalizzata in Lombardia con la chiusura di ben tre presidi di polizia: la polizia stradale di Iseo (istituita nel dicembre 1960) e Salò (istituita nel gennaio 1961) e il declassamento del settore polizia di frontiera presso l'aeroporto di Montichiari (Bs);
   i presidi di polizia di Iseo e Salò sono un punto di riferimento importante per i cittadini, per le aziende e per le scuole, oltre che per i numerosi turisti che affollano nella stagione estiva i laghi, senza dimenticare l'affluenza veicolare che interessa il Sebino bresciano anche nei periodi invernali, a causa di una notevole mole di traffico connesso alle località turistiche sciistiche;
   la situazione analitica dell'importante attività operativa svolta a favore della collettività nell'ultimo quinquennio dalla polizia stradale di Iseo e Salò negli anni 2009-13 è così riassunta:
    le persone controllate sono state 210.000 a Iseo, 110.000 a Salò; quelle indagate in stato di libertà sono state 1.300 a Iseo e 800 a Salò, quelle arrestate sono state 21 a Iseo e 17 a Salò;
    i veicoli controllati sono stati 110.000 a Iseo e 50.000 a Salò; quelli recuperati (furto ed altro) sono stati 85 a Iseo, 90 a Salò;
    i casi di soccorso stradale prestato agli utenti sono stati 13.000 a Iseo, 8.000 a Salò;
    le violazioni accertate al codice della strada sono state 12.000 a Iseo e 30.000 a Salò, quelle per stato di ebbrezza alcolica sono state 950 a Iseo e 1.000 a Salò, quelle per uso di stupefacenti sono state 100 a Iseo e 50 a Salò;
    gli incidenti stradali rilevati nell'insieme sono stati 1.145 a Iseo e 1.000 a Salò, quelli con feriti sono stati 827 a Iseo e 710 a Salò, quelli mortali rilevati sono stati 32 a Iseo e 37 a Salò, quelli con persone ferite sono stati 1.351 a Iseo e 1.210 a Salò, quelli con persone decedute sono stati 33 a Iseo e 38 a Salò;
    le patenti ritirate sono state 800 a Iseo, 900 a Salò;
    i sequestri (documenti, veicoli, stupefacenti, altro) sono stati 222 a Iseo, 190 a Salò;
    i servizi di pattuglia effettuati sono stati 8.800 a Iseo e 5.000 a Salò, le percorrenze in chilometri ammontano a 924.000 a Iseo e 525.000 a Salò.
   sono numerosi gli appelli di tutte le sigle sindacali afferenti alle forze di polizia di Stato relativamente all'inadeguatezza e all'inopportunità di tale tipo di programmazione che inciderebbe negativamente sulla sicurezza e sull'ordine pubblico, sulla garanzia di sicurezza e, più in generale, di legalità –:
   se il Ministro sia a conoscenza dell'utilità, ai fini della sicurezza e dell'ordine pubblico, dei presidi di polizia di Stato di Salò e di Iseo, nonché di tutti quelli presenti sul territorio nazionale in via di soppressione;
   quali siano i motivi economici e finanziari che giustificano chiusure, che, a giudizio degli interroganti, colpiscano l'attività prettamente operativa di presidio del territorio, d'indagine, di prevenzione e repressione dei crimini;
   quali misure urgenti il Ministro interrogato intenda adottare al fine di scongiurare la soppressione della polizia stradale di Iseo e Salò nonché il declassamento del settore polizia di frontiera presso l'aeroporto di Montichiari, anche alla luce delle forti criticità sollevate dalle parti sociali;
   se il Governo ritenga compatibile con il contrasto al degrado e con la garanzia della sicurezza e dell'ordine pubblico nella provincia bresciana un provvedimento di razionalizzazione che, ad avviso degli interroganti, ridurrebbe sensibilmente le capacità nel campo della prevenzione del crimine per via informatica, del controllo delle locali acque lacustri, della strada e del monitoraggio delle frontiere, ovvero se non ritenga di potenziare le capacità di contrasto al crimine anche in vista dell'Expo 2015;
   se il Ministro non ritenga opportuno rivedere il progetto di razionalizzazione che impone un drastico taglio ai presidi e alle sezioni della polizia di Stato in un momento in cui al contrario andrebbe rafforzata l'attività di controllo e prevenzione per fronteggiare l'emergenza immigrazione e il crescente tasso di criminalità. (4-04048)


   CAPARINI e MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la circolare del Ministero dell'interno del 3 marzo 2014, recante il «Progetto di rimodulazione dei presidi della Polizia di Stato» prevede la chiusura del 15,7 per cento per un totale di 266 presidi territoriali di polizia 11 commissariati di pubblica sicurezza, 4 nuclei artificieri, 74 di polizia ferroviaria, 72 di polizia postale, 27 di polizia stradale, 14 del settore frontiera, 50 della squadra nautica, 9 della squadra a cavallo e 5 della squadra sommozzatori. Entro l'estate, 101 province su 110 conteranno un presidio di sicurezza in meno;
   il 4 marzo 2014, il vice capo della polizia di Stato, prefetto Alessandro Marangoni, ha illustrato le linee guida del progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi dalla polizia di Stato sul territorio nazionale è stato elaborato dal dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno attraverso due direttrici fondamentali: una, a carattere interno alla polizia di Stato, diretta, sostanzialmente, ad una ottimizzazione dei presidi delle quattro specialità stradale, ferroviaria, postale e di frontiera, un'altra finalizzata ad una rivisitazione sul territorio della dislocazione dei commissariati di pubblica sicurezza, delle compagnie dei carabinieri e dei reparti speciali, a carattere sussidiario concentrati in alcune sedi;
   la razionalizzazione dei presidi stride con la necessità di aumentare e potenziare il livello di sicurezza su tutto il territorio nazionale, soprattutto in quelle province caratterizzate da una forte presenza di criminalità organizzata e con i maggiori indici di crimini consumati;
   ogni anno sono 50.000 le vittime dei pedofili; le denunce per violenze sessuali sui minori sono aumentate dal 1984 al 1998 del 98 per cento, il 73 per cento delle vittime sono bambine. Il 38 per cento di loro ha un'età compresa tra i 6 e i 10 anni;
   il legislatore italiano ha messo a disposizione delle forze dell'ordine strumenti efficaci con una legislazione rigorosa che prevede reati che altri Stati non prevedono: in Italia anche soltanto «scaricare» sul computer materiale pedo-pornografico in cui si ravvisi lo sfruttamento sessuale di minori è considerato reato. Mentre in altre legislazioni, come negli Stati Uniti, detenere o diffondere immagini di bambini nudi non lo è. E infatti il 78 per cento dei Siti accertati è negli Usa. Inoltre, è prevista la figura dell'agente «sotto copertura» che, previo consenso dell'autorità giudiziaria, può anche scambiare materiale pornografico o creare siti appositi per smascherare e quindi catturare i pedofili;
   operativa da circa 30 anni, la polizia postale è ormai un indispensabile apporto contro il crimine informatico che registra un crescente aumento di reati quali transazioni finanziarie illecite, gioco d'azzardo illegale, hacking, e-commerce, phishing, stalking, cyber-bullismo e pedopornografia;
   la polizia postale è quella sottoposta a maggior rischio in quanto il dipartimento vorrebbe mantenere gli uffici di specialità soltanto nei capoluoghi di regione, sedi delle corti d'appello;
   la chiusura di tutte le sedi distaccate della polizia postale, quella sezione formata da uomini e donne che contrastano ogni giorno, anche, la pedofilia in internet, agenti ultra specializzati nel compito di immergersi quotidianamente in un orrore di difficile comprensione, per la portata ed il dolore che reca in sé. Se si pensa alle immagini sempre più diffuse di neonati, abusati o torturati, o come una recentissima inchiesta ha mostrato, di bimbi uccisi e filmati, i cui video sono stati barattati a caro prezzo, si capisce quanto impegno e quanta forza queste persone debbano avere. Impegno e forza che stanno per essere vanificati, con il loro reinserimento in altri uffici dove questa professionalità andrà purtroppo sprecata;
   la crisi che attanaglia il Paese ed i conseguenti tagli alla polizia di Stato non devono pagati in termini di innocenza violata in quanto se più di mille persone verranno tolte dal compito che ogni giorno svolgono (e che pochi forse sceglierebbero di svolgere), appare facile immaginare come chi abusa possa sentirsi ancora più libero di farlo, essendo venuto meno un controllo importantissimo, che non potrà essere ricoperto da nessun altro;
   in questi anni la polizia postale ha arrestato, spesso addirittura in flagranza di reato, quasi 6mila predatori di bambini. Ha sequestrato e bloccato la diffusione di milioni di immagini e video a carattere pedofilo. Un sito pedopornografico può far guadagnare anche 90 mila euro al giorno, garantendo alla criminalità organizzata risorse sulla pelle dei bambini;
   il Ministro pro tempore Cancellieri nell'intervento alla Camera dei deputati del 1o febbraio 2012 ha sottolineato «la straordinaria attività di monitoraggio della rete internet» da parte della polizia postale, auspicando peraltro che «occorre implementare gli strumenti a disposizione degli operatori della polizia postale che hanno oramai acquisito un ruolo internazionalmente riconosciuto»;
   sono numerosi gli appelli di tutte le sigle sindacali afferenti alle forze di polizia di Stato relativamente all'inadeguatezza e all'inopportunità di tale tipo di programmazione che inciderebbe negativamente sulla sicurezza e sull'ordine pubblico, sulla garanzia di sicurezza e, più in generale, di legalità –:
   quali siano i motivi economici e finanziari che giustificano chiusure, che, a giudizio degli interroganti, colpiscono l'attività prettamente operativa di presidio del territorio, d'indagine, di prevenzione e repressione dei crimini;
   se il Ministro interrogato intenda riesaminare il piano di razionalizzazione per proteggere il servizio efficiente e competente offerto dalla polizia postale, la cui eliminazione a giudizio degli interroganti comprometterebbe i livelli essenziali di sicurezza e il corso della giustizia.
(4-04051)


   DI LELLO, DI GIOIA, LOCATELLI e PASTORELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea in data 12 marzo 2013, con propria raccomandazione sul rafforzare l'efficienza e la democrazia nello svolgimento delle elezioni del Parlamento europeo, ha indicato che prima e durante le elezioni, i partiti politici nazionali dovrebbero indicare chiaramente a quale partito politico europeo sono affiliati «anche permettendo ed incoraggiando l'indicazione di tali collegamenti sulle schede elettorali»; i partiti politici dovrebbero rendere noto quale candidato sostengono alla presidenza della Commissione europea; i partiti nazionali dovrebbero informare gli elettori durante la campagna in merito al loro candidato alla presidenza della Commissione europea;
   anche in sede di Parlamento europeo, la Commissione del Parlamento europeo, affari costituzionali, si è espressa in maniera simile, in data 28 maggio 2013, in particolare esortando gli Stati membri a prevedere sulla scheda elettorale i nomi e quando appropriato i simboli dei partiti politici europei, in attesa che su questo si esprimesse anche il Parlamento europeo in seduta plenaria, che effettivamente si è pronunciato con una risoluzione approvata il 4 luglio 2013;
   l'esplicita indicazione sulla scheda elettorale e durante la campagna elettorale dell'appartenenza ai partiti europei dei partiti nazionali impegnati è un'opportuna informazione agli elettori, utile per scelte consapevoli e informate;
   in data 11 febbraio 2014 la mozione n. 1/00157, concernente l'indicazione dell'affiliazione dei partiti politici nazionali a quelli europei in vista delle elezioni europee del 2014 a firma Di Lello, Dorina Bianchi, Garavini, Scotto, Andrea Romano ed altri che aderiscono al Partito del socialismo europeo, al PPE e all'ALDE, è stata approvata dall'Assemblea con il parere favorevole del Governo;
   non si dispone di informazioni aggiornate circa l'attuazione della citata mozione nonostante l'avvicinarsi dell'appuntamento elettorale –:
   se siano state adottate le necessarie iniziative per l'attuazione dell'atto di indirizzo di cui in premessa e, in caso affermativo, quali siano i tempi previsti per la conclusione del relativo iter. (4-04052)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LENZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come noto, il succedersi e il sovrapporsi degli interventi legislativi in materia previdenziale degli ultimi 5 anni, hanno prodotto una serie di problemi, disguidi, illogicità e veri e propri drammi umani, genericamente riassunti con il termine «esodati»;
   nell'amplissima casistica dei lavoratori rientranti nella categoria degli esodati, di cui solo in parte si è riusciti a trovare soluzione, si segnala il caso della signora M. G. C., già dipendente del Banco Popolare e inserita nel fondo di solidarietà bancario in data 1o aprile 2011, in vista di poter accedere al trattamento pensionistico con la cosiddetta opzione donna, in data 1o novembre 2015, ai sensi dell'articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243;
   a seguito dell'anticipazione dei 3 mesi di aspettativa di vita al 1o gennaio 2013 dovuta all'entrata in vigore della «riforma Monti/Fornero», la nuova decorrenza per il diritto alla pensione della signora C. slitterebbe al 1o febbraio 2016, ma la fase sperimentale di applicazione della citata norma della legge n. 243 del 2004 termina con il 31 dicembre 2015;
   per una differenza di un solo mese, l'Inps non può riconoscere l'applicazione del pensionamento con il calcolo contributivo e la signora C. dovrà attendere il 2022 per la pensione di anzianità o il 2025 per quella di vecchiaia, tenendo conto che la contribuzione assicurata dall'istituto di credito di provenienza terminerà ad ottobre 2014;
   nonostante un'apposita clausola prevista dall'accordo sottoscritto dalla suddetta signora e l'istituto di credito di cui era dipendente prevedesse l'eventuale rientro in azienda, laddove non si fosse concretizzata la possibilità dell'accesso al trattamento pensionistico, e nonostante un contenzioso giudiziario in corso per vedere riconosciuto tale diritto, il Banco Popolare si è finora rifiutato di reintegrarla in servizio –:
   se non ritenga necessario assumere iniziative normative finalizzate all'individuazione di soluzioni definitive e strutturali degli errori che hanno generato il cosiddetto fenomeno degli «esodati» e se non ritenga necessario adottare apposite iniziative volte a prorogare l'efficacia della fase sperimentale di cui al citato articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243, unica misura di flessibilità in materia previdenziale rimasta nell'ordinamento. (5-02382)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la multinazionale Nexans Spa è un'azienda francese di alta specializzazione che produce cavi e sistemi di cablaggio e conta, in Italia, una sede generale situata ad Agrate-Brianza e due stabilimenti di produzione a Battipaglia (Salerno) e Offida;
   numerosi sono gli operai addetti alla produzione di cavi elettrici impiegati presso l'opificio Nexans di Battipaglia;
   nel 2009 alcuni lavoratori hanno denunciato di essere stati esposti per tutto il periodo ultradecennale di lavoro al rischio di polveri e fibre di amianto in misura superiore ai limiti di legge, chiedendo la condanna dell'INPS al pagamento dei benefici previdenziali loro spettanti ai sensi dell'articolo 13, comma 8, legge n. 257 del 1992;
   il tribunale di Salerno, con sentenza depositata nell'aprile 2011, condividendo le conclusioni del consulente tecnico, accoglieva la domanda degli operai e riconosceva loro un coefficiente di rivalutazione dei contributi pari a 1,5 per tutto il periodo lavorativo;
   in particolare, nel testo della sentenza si legge che «l'utilizzo massivo di amianto, come accertato dal consulente, è stato tale da esporre il lavoratore a una concentrazione superiore al limite imposto dall'articolo 24 del decreto legislativo n. 277 del 1991. Dalle risultanze della relazione peritale scritta si ritiene corretto argomentare che l'utilizzo massivo di amianto sia stato tale da ritenere l'effettiva esistenza di un nesso causale tra il lavoro svolto e la rilevante probabilità di esposizione del lavoratore al rischio morbigeno con superamento della soglia massima di tollerabilità, atteso il positivo giudizio di pericolosità dell'ambiente lavorativo»;
   appena due anni dopo, lo stesso tribunale di Salerno, adito nel 2008 da altri lavoratori dello stabilimento Nexans Italia di Battipaglia, rigettava le domande degli operai ricorrenti, accogliendone soltanto alcune per di più con il più basso coefficiente di rivalutazione dei contributi pari a 1,25;
   i contributi con il coefficiente 1,25 di cui alla sentenza del 2013 non possono essere utilizzati per anticipare il pensionamento e quindi gli operai dovranno proseguire a svolgere la loro attività fino all'età stabilita dalla legge cosiddetta Fornero;
   è noto che i lavoratori esposti all'amianto hanno minori aspettative di vita come chiarito dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 5 del 2000 e n. 127 del 2002 e non può essere ammessa alcuna discriminazione;
   la norma sulle rivalutazioni contributive per esposizione ad amianto con prepensionamento non è irrazionale né viola i principi di uguaglianza, in quanto lo Stato italiano, inadempiente e condannato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea proprio per il tardivo recepimento della direttiva 477/83/CEE, in relazione alle norme di cui agli articolo 32 e 38 della Costituzione, fin dal 1906 ha dichiarato l'amianto dannoso per la salute umana;
   nella stessa sentenza del 2013 si legge che «l'utilizzo dell'amianto è stato dapprima regolamentato (decreto legislativo n. 277 del 1991 abrogata dal decreto legislativo n. 81 del 2008) e, successivamente vietato per effetto della legge n. 257 del 1992 la quale era finalizzata ad agevolare nonché incentivare l'uscita dal mercato del lavoro di quei lavoratori impiegati nelle attività da dismettere prevedendo una sorta di indennizzo in favore di chi era stato esposto per un periodo ultradecennale mediante una rivalutazione contributiva rilevante ai fini sia dell'anzianità sia della misura del trattamento pensionistico»;
   sussiste dunque una singolare differenza tra le diverse pronunce dello stesso tribunale, e nel modus operandi di INPS di Salerno, che non è giustificata né giustificabile poiché tutti gli aventi diritto hanno lavorato nello stesso sito, manipolando amianto, presente nel ciclo produttivo e nelle strutture, come si evince da entrambe le sentenze –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intendano assumere iniziative normative per salvaguardare i diritti di tutti i lavoratori esposti all'amianto ed evitare situazioni di ingiustificata disparità di trattamento come quelle descritte in premessa. (4-04045)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   L'ABBATE, GAGNARLI, LUPO, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA e DAGA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con determinazione dirigenziale n. 1160 del 2004, Roma Capitale ha aggiudicato la gara pubblica per l'affidamento in concessione dell'ippodromo delle Capannelle (sito in via Appia Nuova, n. 1255 in Roma) alla società «Gestione Capannelle S.p.A.» (divenuta «Hippogroup Roma Capannelle S.p.A.») per un canone annuo di euro 2.098.126,00 da aggiornare alle variazioni degli indici Istat;
   la società «Hippogroup Roma Capannelle S.p.A.» ha gestito l'ippodromo delle Capannelle, senza alcuna soluzione di continuità dal 25 gennaio 2005 ad oggi, maturando un debito nei confronti dell'amministrazione capitolina pari a circa euro 10.621.531,79 alla data del 9 settembre 2011 e, nei confronti del commissario straordinario di Roma Capitale, pari a circa euro 3.600.000,00 per debiti maturati dal 1o novembre 2004 al 31 dicembre 2007;
   in data 5 giugno 2008, con nota del dipartimento sport di Roma Capitale n. 8920/2008, è stata costituita in mora la «Hippogroup Roma Capannelle S.p.A.» per «euro 3.206.776,02 (periodo dal 1o novembre 2004 al 31 maggio 2008) a titolo di canoni di concessione non pagati, comprensivo di interessi di mora. Con la stessa è stato comunicato, altresì, l'avvio del procedimento (articolo 7 della legge n. 241 del 1990) di riscossione coattiva a mezzo ruolo degli importi dovuti ai sensi del decreto legislativo n. 46 del 1999 e n. 112 del 1999, nonché l'avvio del procedimento di decadenza della concessione per sopravvenuta morosità»;
   con determinazione del segretario generale n. 3400 del 1o agosto 2005 è stato recepito il documento elaborato da «Deloitte Financial Advisory Services S.p.A.» per la remunerazione dei servizi resi dalle Società, stabilendo di remunerare da gennaio 2005 i servizi che le società rendono all'ASSI secondo i parametri ed i criteri indicati nel citato documento;
   dal 2007 al 2011 la società «Hippogroup Roma Capannelle S.p.A.», come da convenzione con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ha ottenuto euro 46.780.825 per «gestione impianti» e «corse e diritti di immagine tv»;
   in data 21 dicembre 2011, si è iscritto il concordato preventivo in continuità aziendale omologato, a beneficio di «Hippogroup Roma Capannelle S.p.A.», dal tribunale civile di Roma, sezione fallimentare;
   in data 30 gennaio 2013, l'ippodromo Tor di Valle sospende definitivamente le attività legate alle gare di trotto a causa della rinuncia alla concessione ministeriale da parte della società «Tor di Valle S.r.l.», scaturita dallo stato di liquidazione della stessa;
   con prot. n. 33278/2013, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha concesso «alla società Hippogroup Capannelle S.p.A. il riconoscimento ai fini dell'organizzazione, nell'ambito del circuito ippico nazionale, di riunioni di corse al trotto presso l'ippodromo delle Capannelle», garantendo una remunerazione a titolo di corrispettivo «gestione impianti» e «corse e diritti di immagine tv» ulteriori euro 1.600.000. Ciò «considerato che il corrispettivo richiesto dalla società Hippogroup Roma Capannelle nella nota prot. n. 30125/2013, benché in deroga rispetto al sistema di determinazione del corrispettivo impianti stabilito nel modello Deloitte, è comunque commisurato al corrispettivo impianti spettante all'Ippodromo di Tor di Valle per l'anno 2012» –:
   su che criteri e parametri si basi la remunerazione della convenzione con la società «Hippogroup Roma Capannelle S.p.A.» per la gestione delle corse del trotto, come riportato in premessa, che corrisponde al corrispettivo erogato per l'ippodromo Tor di Valle, a fronte della mancanza dei medesimi servizi contemplati nello studio Deloitte, relativi al centro di allenamento, obbligo di cavalli stanziali ed impianto di illuminazione;
   se risulti quali siano le motivazioni alla base della scelta di non far decadere la convenzione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali con la società «Hippogroup Roma Capannelle S.p.A.», nonostante il concordato preventivo ad essa concesso e la messa in mora da parte di Roma Capitale. (5-02381)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 14 gennaio 2014 i rappresentanti sindacali di CGIL e CISL hanno inviato una specifica nota al Ministro pro tempore Nunzia De Girolamo e al capo del Corpo forestale dello Stato chiedendo di non disporre l'emanazione del decreto per l'effettuazione di un concorso per 5 motoristi nautici, poi diventati 4, da destinare in 3 sedi nautiche (due delle quali dotate di gommoni per i quali non sarebbe neanche indispensabile la figura del motorista) per un costo, a giudizio dell'interrogante, inutilmente oneroso e non strettamente indispensabile per lo svolgimento dei servizi istituzionali del Corpo;
   per questo corso, iniziato il 10 marzo e che terminerà il 20 giugno, si spendono almeno 30 mila euro per far conseguire un brevetto a 4 forestali da destinare in 3 sedi nautiche che dispongono di imbarcazioni non iscritte al registro delle navi in servizio governativo non commerciale delle amministrazioni dello Stato (NAVARM), in quanto imbarcazioni della stessa tipologia di quelle classificate da diporto o barche da lavoro, o addirittura perché sono gommoni per i quali non è obbligatoria per legge la presenza a bordo di un motorista, per di più con tale brevetto;
   gli stessi sindacati affermano che basterebbe completare la ricognizione tra i dipendenti del Corpo parzialmente effettuata nell'aprile 2013 da parte dell'amministrazione per trovare senza spesa tali figure professionali;
   già allora fu chiaro che almeno 13 dipendenti erano in possesso di titoli rilasciati dalla Marina militare idonei alle funzioni di motorista in relazione alla potenza dei motori delle imbarcazioni in dotazione alle sedi di destinazione previste dal bando di concorso in argomento;
   a differenza di quanto avviene per il personale della Marina militare, i forestali che intendono partecipare al corso, a quanto consta all'interrogante, non saranno sottoposti a visita medica e psico-fisica, cosa che potrebbe creare una via preferenziale a persone potenzialmente non idonee, sotto quell'aspetto, ad esercitare tale funzione;
   il servizio svolto dai nautici del Corpo forestale dello Stato potrebbe essere svolto, in regime di convenzione, dalla capitaneria di porto;
   il Corpo ha deciso di bandire il concorso riducendo i destinatari del corso di un'unità reperita dal già accennato contingente proveniente dalla Marina militare, tra l'altro senza disporre la procedura dell'appello straordinario relativo alle procedure di mobilità del personale, noncurante delle pertinenti osservazioni fatte e delle conseguenze di natura contabile che l'effettuazione del corso ad avviso dell'interrogante potrebbe creare in sede di verifica presso la Corte dei Conti che, naturalmente, verrà informata del fatto –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-04047)

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Nicchi n. 1-00375, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 190 del 14 marzo 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    la decisione n. 1295/1999/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 1999, che adotta il programma d'azione comunitaria 1999-2003 della Commissione europea, definisce rare le malattie che hanno una prevalenza non superiore a 5 per 10.000 abitanti nell'insieme della popolazione comunitaria;
    si tratta di patologie potenzialmente letali o croniche, in gran parte di origine genetica, che comprendono anche rare forme tumorali, malattie autoimmuni, malformazioni congenite o derivate dall'esposizione ambientale durante la gravidanza, patologie di origine infettiva o tossica. Tali malattie, oltre ad essere numerose, sono anche molto eterogenee fra di loro e richiedono un approccio articolato e complesso, basato su interventi specifici e combinati, finalizzati a prevenire un'elevata morbilità e migliorare la qualità di vita delle persone colpite;
    è possibile contare circa 5-8 mila diverse malattie rare che, in ambito europeo, colpiscono oltre il 6 per cento della popolazione nelle varie fasi della vita. Sotto questo aspetto è possibile raggruppare le malattie rare in base alla loro prevalenza: bassa (se inferiore a 5 casi ogni 10 mila persone nell'Unione europea; in questa fascia si collocherebbero poco meno di un centinaio di patologie), bassissima (circa un caso ogni 100 mila persone); infine, vi sono migliaia di patologie molto rare che colpiscono solo poche persone in tutta Europa, e i pazienti affetti da queste ultime malattie risultano inevitabilmente particolarmente isolati e vulnerabili;
    in Italia si stimano in circa 2 milioni le persone colpite da queste patologie;
    il gruppo di patologie più segnalato sono le malattie del sistema nervoso e degli organi di senso con una percentuale del 26 per cento, a cui seguono le malformazioni congenite (19,7 per cento), le malattie delle ghiandole endocrine, della nutrizione, del metabolismo e i difetti immunitari (17,4 per cento) e le malattie del sangue e degli organi ematopoietici (16,6 per cento). La più larga fetta di queste malattie colpisce i bambini;
    la ricerca scientifica europea ha svolto un importante ruolo per migliorare la comprensione dei meccanismi alla base di tali patologie, ma la mancanza di politiche sanitarie adeguate si traduce troppo spesso in diagnosi tardive e difficoltà di accesso alle cure, costringendo i pazienti e le loro famiglie alla difficile ricerca di strutture sanitarie adeguate, mentre talune malattie, se diagnosticate e gestite in tempo, potrebbero essere compatibili con una vita normale;
    la carenza di conoscenza sulle malattie rare contribuisce ad aggravare lo stato di salute dei portatori di molte delle malattie rare e conduce a sensibili perdite: ritardi e ricoveri inutili, infinite consulenze specialistiche e prescrizione di farmaci e trattamenti inadeguati;
    l'Istituto superiore di sanità ha individuato un elenco di malattie rare esenti dal pagamento del ticket. L'elenco comprende attualmente 583 patologie. Alcune regioni italiane hanno, quindi, deliberato esenzioni per patologie ulteriori da quelle previste dal decreto ministeriale n. 279 del 2001;
    il decreto ministeriale n. 279 del 2001, «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie», individua le malattie rare, prevede il diritto all'esenzione per le prestazioni individuate tra quelle incluse nei livelli essenziali e uniformi di assistenza e ha previsto tra l'altro:
     a) l'istituzione della «Rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia delle malattie rare», quale principale strumento di tutela dei pazienti affetti da malattia rara di una rete assistenziale dedicata, mediante la quale sviluppare azioni di prevenzione, attivare la sorveglianza, migliorare gli interventi volti alla diagnosi e alla terapia, promuovere l'informazione e la formazione. La rete nazionale è costituita da presidi accreditati (preferibilmente ospedalieri), appositamente individuati dalle regioni, e da centri interregionali di riferimento, per la formulazione della diagnosi di malattia rara e per l'erogazione delle relative cure in regime di esenzione. Il coordinamento nazionale è affidato al Centro nazionale malattie rare istituito presso l'Istituto superiore di sanità;
     b) l'istituzione del registro nazionale delle malattie rare, istituito presso l'Istituto superiore di sanità, che ha obiettivi generali di effettuare la sorveglianza delle malattie rare e di supportare la programmazione nazionale e regionale degli interventi per i soggetti affetti da malattie rare. Il registro mira ad ottenere informazioni epidemiologiche (in primo luogo il numero di casi di una determinata malattia rara e relativa distribuzione sul territorio nazionale) utili a definire le dimensioni del problema, anche al fine di stimare il ritardo diagnostico e la migrazione sanitaria dei pazienti, supportare la ricerca clinica e promuovere il confronto tra operatori sanitari per la definizione di criteri diagnostici;
    l'accordo Stato-regioni del 10 maggio 2007 ha stabilito l'impegno, da parte delle regioni, di attivare registri regionali o interregionali sulle malattie rare e di garantire il collegamento con il registro nazionale delle malattie rare;
    molto resta da fare, anche se importanti passi avanti sono stati realizzati grazie ai registri nazionale e regionali. Come dichiarato dal direttore del Centro nazionale malattie rare dell'Istituto superiore di sanità, Domenica Taruscio, «si può fare di più. Attualmente il Registro sorveglia solo le malattie rare per le quali è prevista la gratuità dell'assistenza da parte del SSN. Proprio per comprendere meglio la natura di queste complesse e poco conosciute patologie sarebbe però auspicabile estendere la sorveglianza a tutto l'universo di tali malattie»;
    va, inoltre, evidenziata la differenza di trattamento fra le varie regioni, anche per la mancanza o la non omogenea disponibilità sul territorio nazionale di strutture specialistiche adeguate, nonostante che tutti i cittadini debbano godere dello stesso livello di prestazioni da parte del Servizio sanitario nazionale. Inoltre, diverse regioni fanno lo screening neonatale, hanno dei livelli essenziali di assistenza aggiuntivi per le malattie rare e hanno percorsi assistenziali istituiti ad hoc;
    l'attuale normativa non è in grado di fornire un'assistenza adeguata a molti di questi malati e alle loro famiglie, che troppo spesso si trovano senza un sostegno efficace;
    peraltro, non è stato ancora approvato il piano nazionale delle malattie rare, che il nostro Paese avrebbe già dovuto adottare entro il 2013, secondo la raccomandazione del Consiglio d'Europa dell'8 giugno 2009, centrata appunto su un'azione in questo settore;
    strettamente correlati alle malattie rare sono i cosiddetti farmaci orfani. Il farmaco orfano è quel farmaco che potenzialmente è utile per trattare una malattia rara, ma non ha un mercato sufficiente per ripagare le spese del suo sviluppo. Si definisce, quindi, farmaco orfano perché manca l'interesse da parte delle industrie farmaceutiche ad investire su un farmaco destinato a pochi pazienti nonostante il farmaco risponda ad un bisogno di salute pubblica;
    il regolamento (CE) n. 141/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1999 ha stabilito i criteri per l'assegnazione della qualifica di medicinali orfani nell'Unione europea, prevedendo opportuni incentivi. I medicinali qualificati come orfani possono, infatti, beneficiare di incentivi messi a disposizione dalla Comunità europea e dagli Stati membri allo scopo di promuovere la ricerca, lo sviluppo e l'immissione in commercio dei medesimi medicinali orfani e, in particolare, delle misure di aiuto alla ricerca a favore delle piccole e medie imprese previste dai programmi quadro di ricerca e sviluppo tecnologico;
    l'EMA (European Medicines Agency), ossia l'Agenzia europea dei medicinali, ha previsto, per il 2014, ulteriori importanti sgravi fiscali e incentivi a favore delle imprese che producono e commercializzano farmaci orfani, i farmaci per il trattamento nelle malattie rare;
    in ambito europeo, l'assegnazione dell'autorizzazione all'immissione in commercio non implica l'immediata disponibilità del farmaco in tutti i paesi dell'Unione europea. I proprietari dell'autorizzazione all'immissione in commercio devono decidere in anticipo la modalità di commercializzazione del farmaco in ciascun Paese e il farmaco, quindi, dovrà seguire un iter specifico, al fine di stabilire le modalità di rimborso e di solito anche il suo costo. Nonostante gli sforzi congiunti, l'eterogeneità di approccio nei diversi Paesi rende ancora problematico l'accesso ai farmaci orfani da parte dei pazienti,

impegna il Governo:

   ad includere nei livelli essenziali di assistenza previsti per i soggetti affetti da malattie rare, solo qualora prescritti dai presidi della rete nazionale delle malattie rare, le prestazioni per le terapie riabilitative, le prescrizioni non farmacologiche quali integratori alimentari o specifici alimenti, nonché i farmaci il cui costo è interamente a carico del cittadino, se funzionali al trattamento delle malattie rare;
   ad estendere la sorveglianza effettuata dal registro nazionale delle malattie rare a tutte le malattie rare e non solo – come ora previsto – a quelle per le quali è prevista la gratuità dell'assistenza da parte del Servizio sanitario nazionale;
   ad aggiornare l'elenco delle malattie rare esentate dalla partecipazione al costo, con cadenza almeno biennale;
   ad introdurre una valutazione qualitativa periodica dei centri/presidi accreditati, con il coinvolgimento delle associazioni dei pazienti e degli altri soggetti istituzionali interessati;
   ad istituire un comitato nazionale delle malattie rare, con la partecipazione di tutti i soggetti – istituzionali e non – coinvolti nel settore delle malattie rare, con il compito di delineare le linee di indirizzo e le proposte da attuare nei settori della diagnosi e dell'assistenza, della ricerca, della tutela e della promozione sociale, della formazione e dell'informazione e di indicare le priorità di impiego delle risorse dedicate alle malattie rare;
   ad approvare il piano nazionale delle malattie rare;
   ad individuare gli interventi idonei ad accelerare le procedure di autorizzazione per i nuovi farmaci qualificati come «farmaci orfani»;
   ad assumere iniziative dirette a stanziare adeguate risorse finanziarie volte ad incentivare e sostenere, anche attraverso la fiscalità di vantaggio, la ricerca scientifica sui farmaci orfani e per lo sviluppo di nuove terapie;
   a prevedere il coinvolgimento nei tavoli decisionali dei rappresentanti delle principali associazioni delle persone affette da malattia rara;
   a promuovere l'implementazione dei programmi di formazione e aggiornamento per i professionisti sanitari, con particolare riferimento alla diagnosi precoce e appropriata delle malattie rare;
   a verificare i presupposti per riconoscere la sensibilità chimica multipla (mcs) quale malattia rara, e per l'erogazione, in regime di esenzione dalla partecipazione al costo, delle relative prestazioni sanitarie per la diagnosi e la cura della medesima.
(1-00375)
«Nicchi, Piazzoni, Aiello, Di Salvo, Migliore».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Caon n. 5-01294 del 25 ottobre 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Caon n. 5-01381 del 6 novembre 2013.