Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 13 marzo 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato sull'Unione europea firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, e da allora noto semplicemente come «Trattato di Maastricht», costituiva il fondamento per l'unione monetaria da realizzarsi nel 1999 e conteneva cosiddetti parametri economici di convergenza, che ciascun Paese avrebbe dovuto rispettare per passare alla fase finale della stessa unione;
    i parametri da rispettare per l'accesso all'euro erano un tasso di inflazione non più alto di 1,5 punti rispetto ai 3 paesi con il tasso d'inflazione più basso, un deficit statale non superiore al 3 per cento del prodotto interno lordo, un debito pubblico non superiore al 60 per cento del Pil, la stabilità del tasso di cambio nei due anni precedenti l'ingresso nell'Unione monetaria, l'applicazione di tassi d'interesse di lungo termine non superiori di oltre due punti rispetto a quello dei tre paesi dai tassi più bassi;
    nella realtà alcuni di questi criteri non sono mai stati applicati, come quello sul debito, mentre altri hanno perso rilevanza con la creazione dell'euro, come, ad esempio, le decisioni su tassi d'interesse, ormai sottratte alle singole politiche nazionali e affidate alla Banca centrale europea a Francoforte;
    nel 1997 i Paesi membri dell'Unione Europea hanno stipulato e sottoscritto il Patto di stabilità e crescita (PSC) inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all'Unione economica e monetaria dell'Unione Europea (eurozona) e quindi rafforzare il percorso d'integrazione monetaria intrapreso nel 1992 con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht;
    in base al PSC, gli Stati membri che, soddisfacendo tutti i cosiddetti parametri di Maastricht, hanno deciso di adottare l'euro, devono continuare a rispettare nel tempo quelli relativi al bilancio dello stato, ossia un deficit pubblico non superiore al 3 per cento del PIL (rapporto deficit/PIL <3 per cento) e un debito pubblico al di sotto del 60 per cento del PIL, o, comunque, un debito pubblico tendente al rientro (rapporto debito/Pil <60 per cento);
    a tale scopo, il PSC ha implementato la procedura di deficit eccessivo di cui all'articolo 104 del Trattato di Maastricht, la quale nello specifico consta di tre fasi: avvertimento, raccomandazione e sanzione;
    in particolare, se il deficit di un Paese membro si avvicina al tetto del 3 per cento del PIL, la Commissione europea propone, ed il Consiglio dei ministri europei, in sede di Ecofin, approva, un avvertimento preventivo (early warning) al quale segue una raccomandazione vera e propria in caso di superamento del tetto; se a seguito della raccomandazione lo Stato interessato non adotta sufficienti misure correttive della propria politica di bilancio, esso viene sottoposto ad una sanzione che assume la forma di un deposito infruttifero, da convertire in ammenda dopo due anni di persistenza del deficit eccessivo; l'ammontare della sanzione presenta una componente fissa pari allo 0,2 per cento del PIL ed una variabile pari ad un decimo dello scostamento del disavanzo pubblico dalla soglia del 3 per cento ed è comunque previsto un tetto massimo all'entità complessiva della sanzione pari allo 0,5 per cento del PIL; se invece lo Stato adotta tempestivamente misure correttive, la procedura viene sospesa fino a quando il deficit non ritorna sotto il limite del 3 per cento, ma se le misure si rivelano inadeguate la procedura viene ripresa e la sanzione irrogata;
    in alternativa, il superamento del valore del 3 per cento per il disavanzo pubblico può essere considerato un fatto eccezionale, e quindi esulare dalla procedura sanzionatoria, laddove sia determinato da un evento inconsueto non soggetto al controllo dello Stato membro interessato che abbia rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppure sia determinato da una grave recessione economica;
    il superamento del valore di riferimento è considerato temporaneo se le previsioni di bilancio elaborate dalla Commissione europea indicano che il disavanzo diminuirà al di sotto del valore di riferimento dopo che siano cessati l'evento inconsueto o la grave recessione economica;
    la procedura per i disavanzi eccessivi è solo uno dei due elementi di cui si compone il PSC, mentre l'altro è a carattere preventivo ed impone agli Stati membri di presentare ogni anno, insieme al programma nazionale di riforma, un programma di stabilità (per i Paesi dell'area dell'euro) o convergenza (per gli altri Paesi dell'Unione europea), nell'ambito del quale ciascuno Stato membro illustra come intenda mantenere o ristabilire una sana situazione delle proprie finanze pubbliche nel medio termine, e in relazione al quale la Commissione può formulare raccomandazioni (a giugno, nell'ambito del semestre europeo) ed eventualmente invitare il Consiglio a emettere un avvertimento per deficit eccessivo;
    al fine di consentire il raggiungimento dei più generali obiettivi di finanza pubblica assunti dal nostro Paese in sede europea con l'adesione al Patto europeo di stabilità e crescita, ogni anno vengono adottate le regole del patto di stabilità interno, funzionali al conseguimento degli obiettivi finanziari fissati per le regioni e gli enti locali;
    la definizione delle regole del patto di stabilità interno avviene durante la predisposizione ed approvazione della manovra di finanza pubblica, momento in cui si analizzano le previsioni sull'andamento della finanza pubblica e si decide l'entità delle misure correttive da porre in atto per l'anno successivo e la tipologia delle stesse;
    dal 1999 ad oggi il Patto di stabilità interno è stato formulato esprimendo gli obiettivi programmatici per gli enti territoriali ed i corrispondenti risultati ogni anno in modi differenti, alternando principalmente diverse configurazioni di saldi finanziari a misure sulla spesa per poi tornare agli stessi saldi;
    come sin qui esaminato, il mancato rispetto del limite del 3 per cento nel rapporto tra indebitamento netto della pubblica amministrazione e prodotto interno lordo, può far scattare una procedura d'infrazione, trasformando un Paese in vigilato speciale, e così lanciando segnali d'allarme e di instabilità ai mercati, fino a quando, in esito a severe terapie di austerity, il Paese oggetto della procedura non rientri nell'ambito dei parametri previsti dalla legislazione europea;
    nel corso degli anni sono state proposte delle modifiche per rafforzare il patto di stabilità e crescita, volte a consentire all'elemento correttivo di tenere più conto del legame tra debito e deficit, specie nei Paesi che presentano un debito pubblico elevato (superiore al 60 per cento del PIL), accelerare la procedura per i disavanzi eccessivi e rendere l'imposizione delle sanzioni agli Stati membri semiautomatica, definire meglio il quadro di riferimento per i bilanci nazionali, affrontando questioni contabili e statistiche, nonché di tecnica di previsione;
    al contrario, soprattutto nell'ultimo decennio, da più parti si è sottolineata l'eccessiva rigidità delle regole di politica fiscale derivanti dal Patto, e la necessità di applicarlo considerando l'intero ciclo economico e non un singolo bilancio di esercizio, anche in considerazione dei rischi involutivi derivanti dalla politica degli investimenti troppo limitata che esso comporta;
    inoltre, molte critiche mosse al vincolo del 3 per cento affermano che la sua rigorosa applicazione non promuoverebbe né la crescita né la stabilità, e che, anzi, le procedure promosse dall'Unione nei confronti dei Paesi inadempienti danneggerebbe ulteriormente sistemi economici che già versano in stato di sofferenza;
    peraltro, considerato che la procedura per disavanzo eccessiva richiamata dal Patto non è obbligatoria, appare evidente come sia difficile far valere i suoi vincoli nei confronti dei «grandi» dell'Unione, come dimostrato anche dal fatto che il Consiglio non è riuscito ad applicare le sanzioni in esso previste contro la Francia e la Germania malgrado ne sussistessero i presupposti;
    in Italia, già nel 1998 l'economista Luigi Pasinetti, in un saggio pubblicato sul Cambridge Journal of Economics nel 1998 (un anno prima della nascita dell'euro) attaccò duramente «mito e follia del 3 per cento», contestando una soglia deficit/Pil «la cui validità non è mai stata dimostrata», e stigmatizzando il fatto che «nessuno è mai riuscito a dare una spiegazione plausibile sul perché quelle cifre furono scelte»;
    nel primo quindicennio di vigenza del PSC, i Paesi dell'area euro hanno registrato il tasso di crescita medio più basso tra le principali aree economiche mondiali dopo quella dell'America latina, e nello stesso periodo il deficit del bilancio pubblico è più che raddoppiato, passando dall'1,3 per cento del 1998 al 2,7 per cento del 2003;
    nel 2012, dei diciassette Paesi appartenenti all'eurozona solo cinque avevano un indice deficit/Pil inferiore al 3 per cento, ai quali va aggiunta l'Italia, assestata su esattamente quel valore;
    nell'ultimo quinquennio, da quando l'economia europea è entrata in una fase di perdurante stagnazione e recessione, i dubbi e le perplessità nei confronti delle regole del patto si sono rafforzati ed estesi;
    sulla capacità delle politiche di austerity di rimettere in equilibrio la zona euro, lo scetticismo sembra ormai prevalente, come segnalato anche dal «monito degli economisti», pubblicato sul Financial Times nel settembre scorso, nel quale esponenti delle più diverse scuole di pensiero economiche concordano nel ritenere che le attuali politiche di rigore stiano in realtà pregiudicando la sopravvivenza dell'Unione;
    persino il Fondo monetario internazionale ha espresso perplessità in merito alla pretesa di riequilibrare l'eurozona puntando tutto su pesanti dosi di austerity a carico dei paesi debitori;
    sia nel caso della Grecia sia in quello del Portogallo, infatti, il Fondo monetario internazionale ha ammesso i limiti delle politiche dell’austerity confessando – nel caso greco – di aver sottostimato i danni all'economia greca causati dalle rigidità imposte nel piano di aiuti, mentre, con riferimento al caso portoghese, nel settembre del 2013 è stato pubblicato un rapporto interno del Fondo monetario internazionale nel quale si legge non solo che l’austerity deve avere un «limite di velocità», ma anche che alcune delle politiche imposte hanno presentato rischi di «autodistruzione» per l'economia locale;
    volendosi allontanare dalla dimensione solo teorica del dibattito, non va dimenticato che negli Stati Uniti, nel pieno della recessione del 2009, il neopresidente Barack Obama ha intrapreso una politica di investimenti pubblici che dopo aver inizialmente portato il rapporto deficit/Pil a sfiorare il 12 per cento, ha determinato una spettacolare ripresa del Pil di oltre il tre per cento;
    nel nostro Paese, pur avendo il dogma del 3 per cento avuto tanti sostenitori in buona fede perché applicare la disciplina dell’austerity sembra un vincolo esterno salvifico per impedirci di praticare vizi nazionali distruttivi quali spese pubbliche parassitarie, clientelari, fonti di sprechi e corruzione, appare sempre più evidente il fatto che esso impedisce un risanamento che passi attraverso una politica di investimenti e possa quindi determinare una ripresa dell'economia,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di un temporaneo scostamento dalla soglia massima nel rapporto deficit/Pil prevista dal patto di stabilità e crescita, al fine di realizzare una consistente riduzione della pressione fiscale sul lavoro che possa restituire potere d'acquisto alle famiglie e rilanciare la crescita, nonché con riferimento alla realizzazione di infrastrutture strategiche, a misure per l'innovazione tecnologica e all'azzeramento del digital divide, alle politiche di sostegno al reddito, alle politiche di sostegno alla famiglia, alle misure volte a ridurre la pressione fiscale a carico delle imprese e di tutte le realtà produttive, alle misure in materia di protezione civile, per la messa in sicurezza dei territori e la prevenzione dei rischi idrogeologici, alla gestione dei flussi migratori, all'edilizia scolastica ed all'edilizia carceraria, al rilancio della competitività del tessuto produttivo nazionale, attraverso politiche di sostegno alle industrie e alle imprese e alle misure in favore della ricerca e dello sviluppo tecnologico;
   ad adottare le iniziative necessarie affinché il patto di stabilità interno preveda adeguati meccanismi premiali in favore degli enti locali e delle regioni che si siano dimostrate virtuose;
   a promuovere nelle competenti sedi a livello europeo un confronto sulle regole del Patto di stabilità e crescita, che ne permetta una eventuale revisione nell'ottica di fornire risposte più efficaci, sotto il profilo delle politiche economiche e fiscali, alla perdurante situazione di crisi e stagnazione che affligge parte delle economie dell'eurozona, al fine di consentire l'applicazione di misure che favoriscano un reale rilancio di tali economie.
(1-00372) «Giorgia Meloni, Maietta, Taglialatela, Totaro».

Risoluzione in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 13, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (nuovo codice della strada) e successive modificazioni, prevede l'obbligo per gli enti proprietari delle strade, di istituire e tenere aggiornati la cartografia, il catasto delle strade e delle relative pertinenze, secondo le modalità stabilite con apposito decreto emanato dal Ministero dei lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici ed il Consiglio nazionale delle ricerche;
    con il decreto ministeriale 1o giugno 2001 il Ministero dei lavori pubblici, ha introdotto l'obbligatorietà per gli enti gestori di strade di redigere il catasto informatizzato delle strade, ossia raccogliere informazioni relative alla rete stradale di competenza ed alle relative pertinenze;
    la Rete ferroviaria italiana, ai primi posti nel mondo per sicurezza ed affidabilità, si sviluppa capillarmente in tutto il Paese e costituisce un fitto tessuto di collegamento tra piccoli e grandi centri;
    da nord a sud, lungo le grandi direttrici internazionali così come verso le località più periferiche e nelle isole la ferrovia fa circolare ogni anno milioni di viaggiatori e milioni di tonnellate di merci in modo sicuro per i treni e sostenibile per l'ambiente;
    le uniche informazioni disponibili riguardanti la rete ferroviaria sono disponibili sotto forma di elenchi e grafiche presso il sito istituzionale di RFI spa,

impegna il Governo:

   a provvedere, con un'iniziativa normativa, a rendere i dati cartografici aggiornati, di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 285 del 1992, fruibili tramite l'utilizzo di un formato dati di tipo aperto, ai sensi dell'articolo 68, comma 3), del decreto legislativo n. 235 del 2010 (cosiddetto codice dell'amministrazione digitale);
   a provvedere, tramite iniziative normative, o tramite atti di indirizzo nella gestione di RFI, affinché i dati cartografici aggiornati relativi all'infrastruttura ferroviaria siano disponibili e fruibili tramite l'utilizzo di un formato dati di tipo aperto, ai sensi dell'articolo 68, comma 3), del decreto legislativo n. 235 del 2010 (codice dell'amministrazione digitale);
   a provvedere altresì a rendere, tramite iniziative normative, i dati relativi alle infrastrutture portuali, aeroportuali, nonché scali intermodali e interportuali e quant'altro, disponibili e fruibili tramite l'utilizzo di un formato dati di tipo aperto, ai sensi dell'articolo 68, comma 3, del decreto legislativo n. 235 del 2010 (cosiddetto codice dell'amministrazione digitale);
   a raccogliere i dati resi aperti di cui ai precedenti impegni, tramite una piattaforma gestita dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in grado di dare la possibilità agli utenti il download del «dataset» grezzo e la navigazione tramite una mappa interattiva.
(7-00304) «Catalano».

ATTI DI CONTROLLO

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIORIO, BRAGA, GIACOBBE, BORGHI, MARIANI e BRATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Tirreno Power è oggi uno dei principali produttori di energia elettrica in Italia (la sesta azienda) presente su tutto il territorio nazionale;
   la centrale di Vado Ligure – Quiliano (provincia di Savona) è costituita da un'unità a ciclo combinato di taglia pari a 800 megawatt (VL5), che utilizza due turbogas alimentati esclusivamente a gas naturale, in esercizio dal 2007 e realizzata sostituendo una vecchia unità alimentata a carbone ed olio combustibile, e da due unità da 330 megawatt cadauna (VL3 e VL4), alimentate a carbone (e a gasolio nelle fasi di accensione) entrate in esercizio nel 1971;
   con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 14 dicembre 2012, n. 227 è stata rilasciata l'autorizzazione integrata ambientale per l'esercizio della centrale;
   tale autorizzazione integrata ambientale ha fatto seguito all'intesa tra la regione Liguria e azienda; quest'ultima aveva presentato un progetto di potenziamento dell'impianto, giudicato non accettabile, per la sua dimensione, da una parte delle forze del territorio, ed in assoluto da alcuni. L'intesa aveva previsto il ridimensionamento del progetto aziendale, con l'autorizzazione ad un nuovo gruppo da 460 megawatt, previo rilascio dell'Autorizzazione integrata ambientale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per i due gruppi esistenti da 330 megawatt, quindi con interventi immediati sui due gruppi; all'entrata in esercizio della nuova unità, uno dei due vecchi gruppi sarebbe stato spento e ricostruito totalmente. La possibilità di realizzare un ulteriore gruppo (VL6), richiesta dall'azienda, sarebbe stata sottoposta ad una nuova valutazione, in un nuovo procedimento;
   obiettivo dell'intesa, da parte pubblica, è stato quello di realizzare il massimo di riduzione dell'impatto ambientale dei gruppi, attraverso interventi che avrebbero anche prodotto un aumento l'efficienza degli impianti. La vetustà degli impianti stessi, insieme alle condizioni di esercizio, costituiscono ormai da tempo un fattore riconosciuto di grande criticità;
   il possibile conflitto tra tutela della salute e difesa del lavoro ha caratterizzato non solo il dibattito pubblico, ma la storia stessa della presenza della centrale nel territorio di Vado e Quiliano;
   proprio l'ambientalizzazione della centrale era intesa come occasione per creare occasioni di lavoro nella zona e opportunità di sviluppo del tessuto produttivo locale;
   i comuni di Vado e Quiliano avevano, in ogni caso, espresso parere contrario perché non risultava sufficientemente chiarito che allo scadere del periodo di otto anni per la cosiddetta fase 3, ovvero per la messa in esercizio del gruppo VL6, uno dei due gruppi esistenti a carbone sarebbe stato dismesso;
   i comuni di Vado e Quiliano hanno presento ricorso amministrativo nei confronti della autorizzazione integrata ambientale;
   la centrale dà lavoro a circa 700 persone, tra diretti ed indotto; i dipendenti dell'indotto lavorano in imprese di diverse classi dimensionali;
   nei mesi scorsi, secondo quanto è emerso anche da esposti presentati da associazioni ambientaliste e comitati di residenti, in particolare nelle province di Asti e Cuneo, sarebbero state smaltite illegalmente ingenti quantità di «rifiuti speciali» prodotti dalla centrale elettrica a carbone «Tirreno Power» di Vado Ligure. Negli esposti veniva denunciato un elevato indice di tumori e di mortalità nelle zone interessate dallo smaltimento dei rifiuti, che sarebbero stati sotterrati nelle campagne. Nello specifico enormi quantitativi di ceneri «bianche» e «nere» sarebbero state quindi «distrutte» illegalmente. Le ceneri «nere» provengono dalla combustione diretta del carbone, mentre quelle «bianche» sono il risultato dell'abbattimento dell'anidride solforosa e solforica mediante calce: si ottiene solfato di calcio (gesso comune). Entrambe le sostanze non sono pericolose per la salute umana e per l'ambiente solo se smaltite legalmente ed in impianti autorizzati;
   il GIP di Savona ha disposto il sequestro cautelativo dei gruppi VL3 e VL4 della centrale termoelettrica Tirreno Power di Vado – Quiliano, disponendone l'interruzione dell'esercizio; la centrale di Vado Ligure è oggetto da tempo di indagini da parte della Magistratura: sull'attività di Tirreno Power sono aperte da tempo due filoni d'inchiesta: una per disastro ambientale e una per omicidio colposo;
   il provvedimento del GIP, si fonda su una perizia sugli effetti dell'attività della centrale Tp sulla popolazione locale; gli organi di stampa riportano che secondo tale perizia le emissioni della centrale a carbone di Vado avrebbero causato oltre 400 morti tra il 2000 e il 2007. Ci sarebbero stati anche «tra i 1700 e i 2000 ricoveri di adulti per malattie respiratorie e cardiovascolari e 450 bambini ricoverati per patologie respiratorie e attacchi d'asma tra il 2005 e il 2012». I consulenti della procura hanno mappato una «zona di ricaduta delle emissioni» della centrale ed hanno escluso come causa delle patologie il traffico automobilistico, altre aziende della zona e i fumi delle navi in porto. Il perimetro della mappa riguarda 23 comuni per un totale di circa 150.000 abitanti;
   Tirreno Power ha contestato i dati resi noti dalla procura di Savona precisando, in una nota stampa, che le «consulenze a cui si fa riferimento sono consulenze di parte che non sono mai state sottoposte a un contraddittorio». L'azienda ha annunciato inoltre una controperizia sottolineando che «l'unico studio attendibile in materia» è quello relativo all'indagine dell'Ist di Genova e di Arpal del 2008 sullo «Stato dell'arte della salute nella provincia di Savona» dove si dichiara testualmente che «da un raffronto con dati nazionali le zone oggetto dell'indagine presentano una situazione analoga, ed in alcuni casi migliore, rispetto a zone dell'Italia simili per concentrazione di insediamenti urbani e industriali»;
   tale situazione ha creato grave allarme nell'opinione pubblica locale e forti preoccupazioni tra i lavoratori coinvolti;
   gli enti locali hanno chiesto immediata chiarezza sugli effetti della centrale termoelettrica; le associazioni sindacali, in attesa del nuovo piano industriale della Tirreno Power, hanno rimarcato la necessità di nuovi investimenti per poter coniugare l'occupazione e la produttività con la tutela della salute e dell'ambiente»;
   a seguito delle indagini, affidate alla direzione distrettuale antimafia di Genova, il responsabile della Centrale «Tirreno Power» di Vado Ligure, Pasquale D'Elia, è stato raggiunto da un avviso di garanzia e si è successivamente dimesso; sono stati inoltre indagati altri dirigenti dell'azienda, autotrasportatori ed imprese specializzate nello smaltimento dei rifiuti;
   nelle scorse settimane rappresentanti dell'Ispra e dell'Arpal hanno realizzato un sopralluogo presso gli impianti della Centrale di Vado Ligure – Quiliano;
   le vicende della centrale termoelettrica di Vado Ligure – Quiliano si inseriscono in un quadro nel quale la vita dell'azienda presenta criticità da diversi punti di vista, rapporto tra gli azionisti, problemi occupazionali in diversi siti e il mercato dell'energia elettrica è condizionato dal ciclo economico negativo;
   la definizione dei tempi e dei modi per il superamento dell'uso dei combustibili fossili, la garanzia dell'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili negli impianti ancora alimentati con tali combustibili a tutela delle popolazioni che accolgono nei propri territori tali insediamenti, devono essere oggetto di una precisa programmazione nazionale –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative urgenti intendano assumere:
    a) per attestare con assoluta certezza e validità scientifica i reali effetti sulla salute pubblica e sull'ambiente delle attività complessive della centrale termoelettrica di Vado Ligure;
    b) predisporre strumenti per la tutela dell'occupazione e del reddito di tutti i lavoratori coinvolti;
   se i Ministri interrogati non ritengano inoltre necessario intraprendere le iniziative urgenti di competenza (in particolare, nelle province di Savona, Asti e Cuneo interessate dall'attività e dallo smaltimento della centrale elettrica a carbone Tirreno Power) per garantire l'integrale rispetto dell'autorizzazione integrata ambientale sia per quanto riguarda le emissioni che per i sistemi di monitoraggio, e per individuare e mettere in sicurezza le aree che risultassero contaminate;
   se i Ministri interrogati intendano indicare, anche alla luce delle emergenze che si sono manifestate, più precise linee di programmazione e di indirizzo circa le prospettive nazionali in materia di produzione di energia. (5-02360)


   GRIMOLDI e FEDRIGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le precipitazioni straordinarie dei primi giorni di febbraio e lo scioglimento delle abbondanti nevi in montagna hanno provocato lo straripamento del fiume Livenza che ha inondato strade e campi nel comune di Sacile già duramente colpito dalle piogge dei giorni precedenti;
   strade allagate, sottopassi bloccati, il centro storico sott'acqua, famiglie isolate, sveglia notturna e fuga dei cittadini con i bambini di notte per non restare bloccati a casa, sacchi di sabbia e idrovore in funzione: le immagini della cittadina in emergenza apparse sui giornali sono desolanti;
   in tre anni i cittadini di via Carducci lamentano ben tre inondazioni a causa della piena di Livenza; occorre effettuare urgenti lavori di prevenzione per evitare alluvioni future;
   ultimamente è stato approvato dal comune di Sacile e dal commissario straordinario per il rischio idrogeologico il progetto dell'intervento urgente per il rinforzo degli argini del Livenza a monte e a valle di via Timavo a salvaguardia della pubblica incolumità e dei centri abitati per un importo di 1,25 milioni, di cui all'accordo di programma tra la regione Friuli-Venezia Giulia e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare firmato già il 31 gennaio 2011;
   i ritardi riscontrati nella esecuzione dei programmi di prevenzione del rischio idrogeologico, purtroppo, mettono a rischio la stessa vita dei cittadini e provocano ingenti danni alle proprietà, richiedendo ingenti spese da parte dello Stato, dalle regioni e dagli enti locali per il risarcimento dei danni e il ripristino delle opere pubbliche;
   tra le opere urgenti da attuare per il ripristino dell'officiosità idraulica del Livenza c’è lo sghiaiamento del letto del fiume dalla confluenza del Fiume Meschio fino al comune di Brugnera –:
   se il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze in materia di difesa del suolo, intenda intervenire per individuare le azioni preventive urgenti da attuare per il ripristino dell'officiosità idraulica del fiume Livenza, in particolare dalla confluenza del fiume Meschio fino al comune di Brugnera, e affrontare con interventi risolutivi le problematiche idrogeologiche del comune di Sacile. (5-02366)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Friuli Venezia Giulia si registra secondo l'interrogante una mala gestione del patrimonio forestale, che incide negativamente anche sulla filiera del legno e impone l'adozione di misure necessarie per risollevare il settore prevedendo, altresì, un miglioramento della viabilità forestale, incentivi alle imprese che intendono rinnovare e innovare i macchinari, appalti che aggiudichino l'esbosco delle pubbliche proprietà, per superfici estese e nel lungo periodo, al fine di consentire di pianificare interventi e investimenti;
   le criticità del settore boschivo friulano vengono messe in rilievo in un articolo del Messaggero Veneto, pubblicato il 12 marzo 2014, intitolato «Boschi friulani abbandonati, filiera del legno colonizzata dall'Austria»;
   a riguardo, si apprende che in Friuli decresce in maniera vertiginosa il prelievo medio annuo dell'accrescimento legnoso, si è passati da 200 mila metri cubi di materiale che veniva prelevato negli anni passati, a circa 160 mila cubi, rispetto ad un potenziale da un milione di metri cubi;
   i predetti dati fanno intendere che tra Carnia, Val Canale, Canal del Ferro, Gemonese, Pordenonese e Valli del Natisone si preleva attualmente circa un sesto di quanto realmente possibile, a discapito anche della manutenzione del patrimonio ambientale;
   di fatto, dunque, non vengono sfruttate adeguatamente le risorse boschive, patrimonio fondamentale di un territorio per estesa parte di montagna, il cui abbandono determina gravi conseguenze quali lo spopolamento, la disoccupazione, nonché il rischio idrogeologico;
   inoltre, vi è un evidente contraddizione poiché la diminuzione sempre più incisiva della quota di prelievo di legno si è verificata a fronte di un aumento costante delle superfici boschive, difatti, rispetto ai 165 mila ettari presenti negli anni Sessanta, la superficie boschiva, attualmente, è di circa 300 mila ettari, pertanto, negli ultimi cinquant'anni è praticamente raddoppiata, mentre, si è verificata una contrazione del prelievo di legno;
   sicché, rispetto ad un fabbisogno di circa 3 milioni di cubi richiesti dai vari settori della filiera, in Friuli Venezia Giulia ne vengono prelevati appena 150/160 mila;
   inoltre, Confindustria, attraverso il capodelegazione di Tolmezzo, denuncia la sempre maggiore concorrenza nel settore dell'Austria, che oltre a prelevare legno dai boschi del Friuli Venezia Giulia, tenta di acquisire grandi superfici private;
   pertanto, in Friuli si registra oltre ad un danno economico costituito dalla sottrazione di risorse, altresì, un danno ambientale, posto che, a quanto è dato sapere, i metodi di esbosco austriaci sono meno rispettosi di quelli locali, poiché non caratterizzati da una ricerca scrupolosa delle piante da tagliare ma da operazioni a raso –:
   se e quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, per quanto di loro competenza, affinché il patrimonio boschivo del Friuli sia sfruttato adeguatamente procedendo ad un prelievo di legno che sia proporzionato all'esigenza ed allo sviluppo dei vari settori della filiera, anche con l'obiettivo di creare nuovi sbocchi occupazionali sul territorio;
   se e quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, per quanto di loro competenza, affinché il prelievo di legno dal patrimonio boschivo, avvenga con metodi rispettosi dell'ambiente, e sia funzionale alla manutenzione del territorio nonché a prevenire il rischio idrogeologico. (4-04001)


   QUARANTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la centrale ENEL Eugenio Montale della Spezia è stata costruita nel 1962;
   a fine anni ’90 sono stati effettuati lavori di adeguamento ambientale e due unità a carbone della centrale sono state sostituite con gruppi di generazione in ciclo combinato ad alto rendimento;
   oggi la centrale è alimentata da tre gruppi: due gruppi a metano per circa 700 megawatt di potenza installata e un terzo da 600 megawatt a carbone e olio combustibile denso;
   il gruppo a carbone è però il maggiormente utilizzato con un consumo stimato di 1.200.000 tonnellate di carbone/anno;
   il referendum consultivo popolare del 1988 che ha sancito la richiesta di dismissione della centrale ENEL entro il 2005, attraverso un periodo transitorio in cui la centrale dovesse essere depotenziata e funzionare a metano, è stato totalmente disatteso;
   alcuni giorni fa il procuratore capo di Savona Francantonio Granero ha presentato i dati sconvolgenti della perizia di parte da lui ordinata: circa 400 decessi da imputare agli effetti dell'inquinamento della centrale Tirreno Power di Vado Ligure;
   per effettuare la perizia sono state utilizzate delle tecniche di indagine innovative che dovrebbero riuscire a testimoniare una chiara relazione tra l'inquinamento prodotto dalla centrale e la salute della popolazione;
   la perizia è riservata ma è stata inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e alla regione Liguria;
   alla Spezia, nonostante le richieste insistenti di comitati cittadini e associazioni ambientaliste, non si effettuano questo tipo di indagini;  
   nel settembre del 2013 è stata concessa l'autorizzazione integrata ambientale per la centrale Enel della Spezia, con l'impegno di tenere monitorata la centrale e mettere in campo una verifica di applicazione dell'autorizzazione integrata ambientale stessa a decorrere da un anno dal suo rilascio –:
   se il Ministro sia a conoscenza della perizia della procura di Savona;
   se e quali iniziative intenda assumere per garantire un monitoraggio efficace e preventivo dell'impatto sulla salute delle emissioni della centrale ENEL della Spezia;
   se e come proceda la verifica di applicazione dell'autorizzazione integrata ambientale in considerazione che sono passati 6 mesi dal suo rilascio e in previsione della verifica definitiva prevista per il settembre 2014. (4-04012)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MONGIELLO e DI GIOIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   già nel luglio del 2009, la prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo, aveva trasmesso una propria lettera al Ministro per i beni e le attività culturali pro tempore, con cui si chiedeva un intervento del Ministero stesso per fare fronte allo stato di totale abbandono in cui versava il Ponte Romano oraziano sito nell'agro di Sant'Agata di Puglia il cui estremo grado di disfacimento e di precarietà aveva fatto nascere una campagna di sensibilizzazione da parte dell'associazione Santagatesi nel Mondo (che cura i rapporti tra i cittadini pugliesi emigrati e la loro terra di origine), affinché l'opera fosse recuperata, ristrutturata e conservata;
   l'iniziativa dell'Associazione Santagatesi nel Mondo a favore della messa in sicurezza e del recupero dell'antico ponte oraziano è continuata negli anni ed oggi si mostra con maggiore evidenza con una specifica lettera aperta che cerca di richiamare l'attenzione delle istituzioni competenti sulla incresciosa vicenda dell'abbandono dell'importante opera storico-monumentale;
   nella lettera in oggetto si illustrano i maggiori contesti storici, la grandiosità architettonica ed i fasti epico-culturali del ponte romano e del territorio in cui è stato realizzato;
   il ponte in oggetto risale al I secolo avanti Cristo, in età repubblicana, e per secoli ha rappresentato un'importante opera viaria, di analoga strategicità delle autostrade di oggi;
   il ponte Romano di Palino insiste in un ambito territoriale posto ai confini tra Puglia, Campania e Basilicata tra Sant'Agata di Puglia, Candela e Rocchetta Sant'Antonio ed è noto anche come «Ponte Oraziano» perché Quinto Orazio Fiacco lo percorreva regolarmente per tornare alla natia Venosa e lo citava persino nella quinta Satira;
   oggi il ponte si mostra quasi come un rudere in balia dell'abbandono mentre potrebbe rappresentare non solo un bene architettonico utile ad arricchire il patrimonio culturale di questa zona, ma anche un richiamo formidabile per avvicinare visitatori e turisti e così accrescere l'economia locale;
   due millenni fa, quando Sant'Agata di Puglia era ancora chiamata Castrum Artemisium, in cui l'intera zona era centro nevralgico di una vasta viabilità romana che ruotava proprio intorno al ponte, l'infrastruttura serviva per attraversare il fiume Calaggio, oggi privo di risorsa idrica;
   il ponte è stato costruito in mattoni e pietra con tre archi e fu edificato per collegare Aeclanum (l'attuale Mirabella Eclano) con Herdonia (ora Ordona) quando si costruì la strada Aurelia Aeclanensis, che congiungeva la via Appia con la via Traiana, il Tirreno e l'Adriatico;
   il luogo in cui sorge, in agro di Sant'Agata, costituisce da millenni un itinerario strategico che mette in comunicazione l'Irpinia, la Lucania e la Daunia. La rilevanza delle infrastrutture di epoca romana testimonia l'importanza innegabile della zona dal punto di vista architettonico, storico e culturale;
   l'importanza culturale del territorio in questione è altresì testimoniata dall'essere un elemento della terra della Via Francigena del Sud, che collega i santuari dedicati al culto di San Michele dalla Francia fino a Monte Sant'Angelo. Trattasi di strade materiali e immateriali che per lungo tempo hanno reso ricca la terra della Capitanata, costituendo un passaggio obbligato e un ponte culturale tra l'Europa e il Mediterraneo;
   la linea architettonica del ponte, semplice e robusta, è stata teatro di viaggi storicamente significativi come quello di Pirro, che proprio ad Ausculum vinse la famosa battaglia contro i Romani;
   da circa dieci anni, da quando anche il fiume Calaggio ha deviato il suo letto, a causa dei danni del tempo, come una frana del 2005, e soprattutto della memoria, il ponte si è ridotto in labili macerie, con rischio di crollo tra l'indifferenza generale –:
   se sia a conoscenza dello stato di abbandono e di degrado in cui versa il ponte romano di Palino di cui in premessa;
   quali interventi urgenti intenda adottare per mettere in sicurezza e ridare splendore al ponte romano di Palino di Sant'Agata di Puglia e renderlo così un'opportunità di sviluppo culturale del territorio nonché un vero collegamento tra il passato e il presente del Subappennino dauno. (5-02367)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VIGNALI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il rilancio delle PMI attraverso la facilitazione dell'accesso al credito è un tema importante per l'economia italiana, a cui il Governo dovrebbe prestare crescente attenzione;
   il leasing è uno degli strumenti di finanziamento che meglio si presta a sbloccare l'erogazione di credito per i settori produttivi, in quanto la società di leasing resta proprietaria del bene (gode quindi di una garanzia aggiuntiva), e ancor di più ora che è tornato a essere uno strumento conveniente per gli investimenti produttivi delle PMI alla luce di alcune modifiche alla disciplina fiscale introdotte nella legge di stabilità 2014;
   sulla scorta di queste valutazioni, la «nuova legge Sabatini», varata con il cosiddetto decreto del Fare 69/2013, intende porsi come misura in grado di rilanciare il settore produttivo italiano. In tale ambito la Cassa depositi e prestiti è chiamata ad avere un ruolo determinante: il sistema è studiato in maniera tale che l'investimento in beni strumentali da parte della PMI abbia un contributo interessi dallo Stato e sia realizzato mediante un finanziamento bancario e in con provvista di scopo a tassi di mercato erogata a banche e finanziarie da Cassa depositi e prestiti;
   tuttavia, una PMI non beneficerebbe di alcun contributo per un investimento se ad erogare il finanziamento fosse una banca o una finanziaria non aderente alla convenzione siglata da ABI, Cassa depositi e prestiti, sentito il Ministero dello sviluppo economico;
   in sede di conversione in legge è stata inopportunamente prevista per le finanziarie l'esibizione di una garanzia bancaria che, se non declinata adeguatamente nella citata convezioni, non ancora firmata, limiterebbe l'accesso ai leasing escludendo alcuni importanti operatori (di emanazione di banche estere, non bancari ma partecipati da banche, di emanazione di costruttori industriali), con il rischio di vedere penalizzate proprio le PMI che si vedrebbero private di quegli operatori leasing che, in questo perdurante periodo di congiuntura economica, stanno puntando su di loro per rilanciare l'economia reale;
   l'obbligo della garanzia di una banca a favore di un intermediario finanziario è in aperto contrasto con il combinato disposto degli articoli 47 e 110 del TULB in materia di finanziamenti agevolati e gestione di fondi pubblici che pongono sullo stesso piano le banche e gli intermediari finanziari vigilati da Banca d'Italia. In ambito di disciplina prudenziale per gli intermediari finanziari ex articolo 107 TUB è già in atto da parte della Banca d'Italia una vigilanza equivalente a quella delle banche;
   infatti la vigilanza della Banca d'Italia sugli intermediari finanziari li pone sullo stesso piano delle banche per il rischio di «default», con l'effetto che la previsione di una garanzia non può che tradursi in una loro penalizzazione che viola la libera concorrenza –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza degli ostacoli che impedirebbero alle PMI di accedere, in questo perdurante periodo di congiuntura economica, allo strumento del leasing che potrebbe rilanciare l'economia reale;
   quali iniziative di competenza intendano adottare per evitare che importanti operatori leasing, ad oggi rappresentativi di oltre il 40 per cento delle società di leasing, di emanazione di banche estere, non bancari, ma partecipati da banche, di emanazione di costruttori industriali, nonché quelli la cui capogruppo non abbia stipulato una convenzione con Cassa depositi e prestiti, siano esclusi dal perimetro di applicazione della cosiddetta «Nuova Sabatini». (5-02361)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi i mass media hanno portato alla ribalta le anomalie registrate nell'affidamento del nuovo contratto di conduzione del luna park di Roma;
   il luna park di Roma, funzionante dal 1960 sotto la gestione della società Lupro spa, risulta chiuso da più di cinque anni e l'area è divenuta sempre più fatiscente, le attrazioni obsolete e il servizio ricreativo sospeso con frustrazione dell'interesse pubblico;
   come rilevato dall'interrogazione n. 4-00631 presentata dal sottoscritto e in attesa di risposta, la gara ad evidenza pubblica europea per la selezione di un gestore a cui affidare la conduzione del complesso è stata avviata nel luglio 2007 e il contratto è stato stipulato l'11 febbraio 2008;
   da qualche mese sono iniziate le operazioni di riqualificazione dell'area, ai fini della trasformazione in una futura sede di un family park destinato ai bambini da 0 a 12 anni, quindi ad attività diversa da quella precedente;
   come riportato anche nelle notizie in internet, il 14 gennaio l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, interpellata nel 2012 da Saverio Pedrazzini, portavoce degli ex operatori del Luneur, si è espressa in merito all'esposto da lui presentato dove veniva contestato il mancato rispetto dell'attuazione del bando di gara indetto da Eur spa per la riqualificazione e riorganizzazione del parco;
   l'autorità esclude la configurazione del contratto come un contratto di locazione; la gestione del parco ha carattere preminente dal punto di vista economico e prestazionale e la fattispecie va propriamente ricondotta alla disciplina della concessione di servizi con esecuzione di lavori di carattere accessorio;
   secondo l'Autorità il contratto deve essere considerato una concessione di servizi in cui le attività lavorative non assumano carattere prevalente rispetto all'attività gestoria; infatti, il nuovo gestore è chiamato a riorganizzare e a gestire le attrazioni del parco per circa 27 anni (18+9 di rinnovo tacito), nonché a manutenerlo, a eseguire i lavori di ripristino (800.000.00 euro), a riprogettare/ristrutturare il parco, con investimenti consistenti (12,000.000.00 euro di cui 5.000.000.00 euro circa nei primi due anni del contratto);
   inoltre, la previsione del rinnovo tacito non è conforme al divieto di rinnovo tacito dei contratti della pubblica amministrazione; tale divieto esprime infatti un principio generale, attuativo di un vincolo comunitario discendente dal Trattato CE che, in quanto tale, opera per la generalità dei contratti pubblici;
   il calcolo del valore stimato del contratto, ai sensi dell'articolo 29, comma 1, del codice dei contratti pubblici avrebbe dovuto includere gli introiti derivanti dall'utenza del parco, stimati da Eur spa in 171.500.000.00 euro;
   la presenza della società Luneur spa che ha stipulato il contratto di concessione come società veicolo costituita dall'aggiudicatario Cinecittà Entertainment spa, sembra in contrasto con l'esigenza di assicurare una conoscenza piena da parte della stazione appaltante dei soggetti che contraggono con essa, consentendole una verifica preliminare e compiuta dei loro requisiti, nel rispetto della trasparenza delle procedure di scelta del contraente, ex articolo 2, comma 1, del codice dei contratti pubblici. Al riguardo, non pare neanche possa essere accolta la precisazione che trattasi di «facoltà contemplata dagli atti di gara», atteso che la previsione del «Veicolo», di cui all'articolo 4 della lettera di invito, appare espressamente riferita alla peculiare evenienza della presentazione dell'offerta vincolante da parte di più soggetti riuniti: Cinecittà, invero, ha presentato da sola l'offerta vincolante, non quale componente di una «cordata» come previsto, appunto dal richiamato articolo 4;
   l'Autorità osserva ancora come l'oggetto sociale di Luneur non sembra prevedere quelle attività necessarie alla realizzazione degli interventi previsti; del resto è stato riferito che i suddetti interventi «a quanto consta, verranno eseguiti mediante affidamenti a terzi»;
   inoltre, secondo l'Autorità, il pagamento della metà dal canone non sembra sostenuto da idonea motivazione, anche alla luce delle statuizioni del giudice ordinario, che nel documento dell'Autorità vengono omesse in quanto già note alle parti in indirizzo. Sul punto, si rileva, inoltre, una discrasia tra il periodo in cui sarebbe stato pagato alla stazione appaltante un canone dimezzato: EUR spa indica dal 1o gennaio 2011 al 31 dicembre 2012, invece, le due società riferiscono dal 1o febbraio 2009 al 3 dicembre 2012 (500.000,00 euro a partire dal 1o gennaio 2013);
   l'Autorità chiede riscontri, in 30 giorni, alle risultanze istruttorie sopra evidenziate in vista della definizione del procedimento;
   risulta inoltre, dagli articoli in internet, che è stato cambiato l'importo della penale per i ritardi nei lavori da 10.000,00 a 2.000,00 euro e che se si fossero applicati dal 120 giorno dalla consegna del parco alla società Cinecittà Entertainment e per essa alla società veicolo Luneur Park, oggi la società Eur spa avrebbe in cassa circa 15.000.000,00 di penalità e di canoni ridotti oltre la risoluzione del contratto di locazione;
   in tutta questa situazione anomala gli operatori coinvolti nella vicenda e le loro famiglie sono preoccupati per le garanzie del loro destino, anche perché il bando conteneva, tra l'altro, condizioni di tutela dei cosiddetti sub-conduttori e dei lavoratori stessi, meglio descritto nell'articolo 3 del citato bando di gara;
   i soci di «Eur spa» sono il Ministero dell'economia e delle finanze per il 90 per cento ed il comune di Roma per il restante 10 per cento –:
   se il Ministro intenda interessarsi e fornire chiarimenti sulla situazione, anche per scongiurare i pericoli di mancata tutela di circa 150 nuclei familiari degli ex operatori del Luneur, appurando, in particolare, perché, dopo 120 giorni dalla consegna della concessione a Cinecittà Entertainment spa e per essa alla società veicolo Luneur Park spa, la Società Eur spa non abbia proceduto alla applicazione delle penali, visto e considerato che la società vincitrice della gara d'appalto non aveva rispettato il termine per la riapertura del parco;
   per quali ragioni l'importo della penale sia stato modificato da 10.000,00 a 2.000,00 euro, creando un notevole danno economico;
   perché l'Eur spa non abbia proceduto alla risoluzione del contratto chiedendo il canone pattuito, al contrario, abbia ridotto il canone di locazione dalle 700.000,00 alle 350.0,00,00 euro, e se le anomalie sopra evidenziate siano meritevoli di una segnalazione alla Corte dei conti per il seguito di competenza. (4-04007)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il collegamento stradale Salerno-Avellino, nel tratto fra Mercato San Severino e Salerno, svolge una funzione di indubbia valenza nazionale; infatti, tale arteria collega le autostrade A30 Caserta ed A3 Salerno-Reggio Calabria, fungendo, quindi, da raccordo autostradale;
   di conseguenza, questa rete stradale è interessata da un enorme volume di traffico che, spesso, determina veri e propri ingorghi con code chilometriche di veicoli che paralizzano per ore la circolazione e che rappresentano un pericolo per gli utenti; il potenziamento e l'adeguamento di tale strada sono necessari per alleggerire e per rendere scorrevoli il traffico e le comunicazioni verso il Sud e dal Sud, attraverso il collegamento fra le autostrade A30 e A3;
   il raccordo Salerno-Avellino, allo stato, presenta condizioni di sicurezza assolutamente inadeguate, proprio per la ristrettezza e l'insufficienza della sede stradale — due sole corsie per ogni senso di marcia — e per l'elevato livello del traffico;
   il potenziamento del raccordo è una priorità assoluta nella politica infrastrutturale del Paese, essendo parte integrante dell'asse autostradale Roma-Caserta-Salerno-Reggio Calabria;
   dopo anni di discussioni in merito alla soluzione progettuale più idonea, l'Anas, ha indetto nel 2002 una gara pubblica per la progettazione dell'adeguamento dell'attuale tracciato stradale, ampliando da due a tre corsie per ogni direzione di marcia, oltre alla striscia dell'emergenza ed alla messa in sicurezza dell'intero raccordo;
   l'incarico di progettazione è stato aggiudicato alla società Bonifici Core di Roma, per il tratto da Salerno fino alla galleria di Solfora, e ad un libero professionista per il tratto ulteriore fino ad Avellino;
   da tempo la società Bonifica ha consegnato gli elaborati del progetto preliminare, unitamente alla valutazione di impatto ambientale;
   l'accelerazione dell’iter progettuale è indispensabile, attesa la rilevanza straordinaria dell'opera;
   il finanziamento del primo lotto del raccordo «Mercato San Severino-Fratte», il cui costo complessivo è stato stimato in 246 milioni di euro, venne inserito dal Governo Prodi nel piano regionale della mobilità 2007-2013 per l'importo di 190 milioni di euro; la quota residua di 56 milioni di euro avrebbe dovuto ricadere sulle risorse della legge obiettivo;
   tale finanziamento è stato tuttavia revocato e cancellato dal Governo Berlusconi con il decreto-legge n. 112 del 2008 promosso dal Ministro pro tempore Tremonti. Il Cipe, solamente nella seduta del 3 agosto 2011, ha riassegnato parzialmente il finanziamento del 1o lotto, destinando all'ammodernamento del tratto Salerno-Fratte-Mercato San Severino 123 milioni di euro; in seguito nessuna ulteriore risorsa è stata assegnata a questa opera di tanta rilevanza strategica per l'intero sistema autostradale italiano; né il Governo ha provveduto a completare il finanziamento del 1o lotto di questa infrastruttura;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, in risposta ad un precedente atto ispettivo dell'interrogante n. 5-00059, nella seduta della VIII Commissione del 30 luglio 2013, ha sollecitato la regione Campania ad attivarsi per la sottoscrizione dell'Accordo di programma quadro (APQ), necessario per la utilizzazione in concreto del predetto finanziamento di 123 milioni di euro che, in caso contrario, potrebbe essere revocato;
   è necessario garantire la conservazione e la utilizzazione di questi fondi, considerando la valenza strategica di assoluto respiro nazionale del raccordo nel tratto Salerno-Fratte-Mercato San Severino;
   è indispensabile una immediata attivazione della regione Campania, senza altri negativi e dannosi ritardi e rinvii;
   occorre, quindi, una intesa urgente fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Campania, per sbloccare questa assurda ed ingiustificata situazione che rischia di produrre, con la revoca del finanziamento, un pregiudizio pesantissimo alle comunità interessate, come più volte evidenziato dall'interrogante in questi mesi;
   è indispensabile, anzi, completare tale finanziamento, tenuto conto che il progetto può e deve essere realizzato in fasi e stadi diversi e graduali, iniziando proprio dal tratto di massima rilevanza nazionale Mercato San Severino-Fratte, la cosiddetta «barriera»;
   è prioritario adeguare il raccordo per garantire che il traffico veicolare dalle tre corsie della A30 raggiunga la A3 con tre corsie nel tratto salernitano, attraverso un collegamento Mercato San Severino-Salerno anche esso dotato delle necessarie tre corsie ed in regola con una moderna e funzionale messa in sicurezza –:
   quali iniziative il Ministero, nel rapporto istituzionale con la regione Campania, intenda assumere con urgenza per la concreta utilizzazione del finanziamento già erogato di 123 milioni di euro per l'ammodernamento e la messa in sicurezza del 1o lotto Salerno-Fratte-Mercato San Severino del Raccordo Salerno-Avellino, che costituisce una sorta di «lotto zero», di «porta di accesso» all'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, assolvendo alla funzione, così essenziale, di raccordare le autostrade A30 ed A3; in quanto tale, il raccordo è parte integrante del sistema autostradale italiano e provvede a collegare il Nord ed il Centro con il Sud del Paese;
   se il Ministero e l'ANAS intendano autorizzare, come è assolutamente necessario ed urgente, la immediata utilizzazione dei 123 milioni di euro, già assegnati, per appaltare, senza ulteriori e dannosi rinvii e ritardi, i lavori relativi ad una parte, ad un primo stralcio del 1o lotto del raccordo «Mercato San Severino-Fratte». (5-02352)


   MATARRESE, VECCHIO, D'AGOSTINO e OLIARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince dall'articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno in data 8 marzo 2014, pare che l'assessore ai trasporti della regione Puglia abbia scritto al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e al Ministro dell'economia e delle finanze evidenziando ritardi nell'adozione del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri di trasporto pubblico locale;
   secondo quanto affermato dall'assessore ai trasporti, «... il blocco dell'anticipo non consente alla regione di erogare alle imprese di trasporti i contributi per l'esercizio, esponendola al rischio della richiesta di interessi di mora per il ritardo. Il ritardo, peraltro, potrebbe pregiudicare il pagamento degli stipendi ai dipendenti con il blocco del servizio... »;
   l'articolo 16-bis, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazione dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, dispone che «(...) A decorrere dal 2013 è istituito il Fondo Nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri di trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario (...)»;
   secondo quanto si evince dall'articolo e secondo quanto disposto dal comma 6 dell'articolo 16-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, «(...) nelle more dell'emanazione del decreto di cui al comma 5, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata, è ripartito, a titolo di anticipazione tra le Regioni a statuto ordinario, il 60 per cento dello stanziamento del Fondo di cui al comma 1. Le risorse ripartite sono oggetto di 3 integrazione, di saldo o di compensazione con gli anni successivi a seguito dei risultati delle verifiche di cui al comma 3, lettera e), effettuate attraverso gli strumenti di monitoraggio. La relativa erogazione a favore delle Regioni a statuto ordinario è disposta con cadenza mensile (...)»;
   secondo quanto si afferma nell'articolo, l'ultima Conferenza Stato-regioni del 20 febbraio 2014 ha deciso il rinvio in quanto, già in fase di trasferimento delle risorse a titolo di anticipazione, alcune regioni avrebbero chiesto la modifica delle percentuali di ripartizioni concordate per l'anno 2013;
   secondo quanto affermato nel testo del predetto articolo, la predetta richiesta di modifica delle percentuali di ripartizioni inoltrata da alcune regioni non sarebbe prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 marzo 2013 che disponeva, invece, per gli anni 2014 e 2015, le percentuali di riparto tra le regioni adeguate annualmente al 31 dicembre dell'anno precedente;
   il rinvio stabilito in sede di Conferenza Stato-regioni, sarebbe, secondo quanto affermato dall'assessore ai trasporti della regione Puglia, la causa del ritardo nell'adozione del decreto e non consentirebbe alle regioni, ed in particolare alla regione Puglia, di erogare alle imprese di trasporti i corrispettivi di esercizio nel rispetto degli obblighi contrattuali assunti esponendola a richieste di interessi legali e di mora per ritardato pagamento e quindi al danno erariale a carico del bilancio regionale;
   il mancato pagamento dell'anticipo dei corrispettivi previsto non consentirebbe alle regioni di pagare alle aziende che esercitano il servizio di trasporto locale il contributo previsto nei contratti di affidamento sottoscritti. Pertanto, tale circostanza potrebbe determinare il blocco dei pagamenti degli stipendi dei dipendenti delle imprese di trasporto con possibili e conseguenti azioni di protesta e quindi potrebbe verificarsi l'interruzione del servizio con gravi conseguenze anche di carattere sociale, soprattutto in questo momento di particolare crisi economica –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, se gli stessi corrispondono al vero; quali iniziative normative intenda adottare in merito alla possibilità di consentire il pagamento, in tempi brevi, dell'anticipo del 60 per cento dei corrispettivi previsti per le regioni in base al riparto già previsto dal precedente decreto, così che queste ultime, ed in particolare la regione Puglia, possano avere l'immediata disponibilità economica per far fronte agli impegni contrattuali assunti con le società che stanno erogando il servizio di trasporto pubblico locale al fine di evitarne l'interruzione. (5-02353)


   MOGNATO, TULLO, CRIVELLARI, BERRETTA, COPPOLA e CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno, con proprio parere del 26 agosto 2003, ha previsto che in caso di sosta di un autoveicolo su stallo a pagamento oltre l'orario autorizzato dal contrassegno esposto si dà luogo alla procedura di infrazione prevista dal codice della strada;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti invece, con proprio parere prot. n. 25783 del 22 marzo 2010 ha chiarito che la fattispecie di cui sopra non si configura come violazione del codice della strada, bensì come inadempimento contrattuale, e che quindi è dovuto dal cittadino in questo caso solo il pagamento della differenza eccedente quanto già attestante dal contrassegno di sosta integrata da eventuale penalità da stabilire con regolamenti comunali;
   lo stesso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con successivo parere prot. n. 3615 del 5 luglio 2011, ha confermato questa interpretazione;
   ne deriva una situazione di conflitto interpretativo, dovuto alla mancanza della necessaria chiarezza normativa generale, tanto più che i pareri citati fanno riferimento a singoli casi segnalati dalle amministrazioni locali;
   le amministrazioni locali sono potenzialmente esposte, stante questa situazione, a comminare provvedimenti sanzionatori potenzialmente illegittimi come tali impugnabili;
   ne deriva in tutta evidenza una situazione di caos amministrativo e di indeterminatezza nei confronti dei cittadini, privi di indicazioni chiare e univoche –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per uniformare le diverse interpretazione e dare chiarezza di indicazione sia alle amministrazioni locali sia ai cittadini. (5-02362)


   SPESSOTTO, D'INCÀ, NICOLA BIANCHI, COZZOLINO, CRISTIAN IANNUZZI, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO e TERZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2014 sono scattati gli incrementi dei pedaggi delle tratte autostradali nazionali, con un rincaro stimabile intorno ad una percentuale media pari al 3,9 per cento;
   a fronte dei suddetti aumenti delle tariffe autostradali, che per alcune società hanno superato anche l'8 per cento, lo scorso 26 febbraio, su proposta del Ministero alle infrastrutture, le concessionarie autostradali d'Italia hanno sottoscritto una convenzione con il Governo, con vigenza retroattiva al primo febbraio, per praticare, via Telepass, riduzioni dal 10 al 20 per cento per i pendolari;
   a tal fine, dal 1o febbraio 2014, e sino al 31 dicembre 2015, è operativo uno sconto sui pedaggi autostradali per i possessori di Telepass che abbiano effettuato la registrazione e che utilizzino l'autostrada come pendolari tra due stazioni predefinite, con un percorso massimo di 50 chilometri;
   è di questi giorni la notizia, apparsa sui quotidiani locali del Veneto, della beffa ai danni di alcuni pendolari autostradali, esclusi dalla fruizione degli sconti sulle tratte periodicamente percorse, a causa di un divergente sistema di computo dei chilometri;
   secondo quanto riportato dalla stampa, per avere diritto alle riduzioni di tariffa sui pedaggi autostradali, devono essere infatti conteggiati anche i chilometri utili ai fini del pedaggio, e non quelli materialmente effettuati, includendo cioè nel computo dei chilometri anche quelli soggetti a «pedaggi virtuali», per quei tratti gestiti dalla stessa società oltre il casello di esazione;
   ecco quindi che con questo sistema resta fuori dalla riduzione del 20 per cento anche la trafficata tratta Venezia Est-Portogruaro: anche se la distanza effettiva tra casello e casello è di circa 44 chilometri, nel calcolo chilometrico rientra anche il cosiddetto «pedaggio virtuale» che porta la distanza a 70 chilometri con un prezzo del biglietto di 6,30 euro;
   oltre al caso sopra menzionato rimangano escluse dalla riduzione anche le seguenti tratte, qui citate a titolo di esempio: Vicenza Est-Venezia Mestre, con una tratta reale di 49 chilometri e 150 metri ma di una lunghezza pari a 60 chilometri utili ai fini del calcolo del pedaggio; Trieste-Udine, con una distanza fra un casello e l'altro di 44 chilometri ma in cui vengono contabilizzati anche i 7 chilometri sottoposti a pedaggio virtuale, pagato da chi entra o esce alla barriera del Lisert fino a Sistiana; la tratta Venezia-Vittorio Veneto che dista 47,3 chilometri reali, ma 59 «virtuali» a causa dei tratti liberi;
   lo stesso discorso vale anche per la tratta che va da Verona Est a Vicenza Est, tratta di 44,5 chilometri reali ma che fa registrare 52 chilometri utili, come per quella da Verona Sud a Vicenza Ovest, dove i chilometri reali sono 46,8 e quelli virtuali 51;
   a fronte dei disagi descritti, numerosi cittadini che nei giorni scorsi avevano calcolato la distanza della loro tratta di percorrenza, da un casello all'altro, senza trovare una corrispondenza tra questa distanza e quella contenuta nella scheda pubblicata sul sito di Telepass, hanno protestato con Autovie Venete che, a sua volta, si è rivolta al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per chiedere ulteriori chiarimenti su questo aspetto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere affinché siano rivisti, ai fini della fruizione delle riduzioni da parte dei pendolari, i costi di percorrenza delle tratte autostradali sottoposti a pedaggio virtuale. (5-02363)


   DALLAI, SANI, CENNI e PARRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con l'accordo europeo sulle grandi strade a traffico internazionale, concluso a Ginevra il 15 novembre 1975 e recepito dall'Italia con la legge 29 novembre 1980, la strada di grande comunicazione Grosseto-Fano è stata inserita tra gli itinerari internazionali con la sigla E78. La rilevanza nazionale della strada di grande comunicazione Grosseto-Fano (E78) e la sua validità sono state ripetutamente ribadite dai Governi italiani che l'hanno inserita tra le priorità della intera rete italiana. La E78 è presente fra le infrastrutture strategiche individuate dalla delibera Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) n. 121 del 21 dicembre 2001 riferita alla «legge obiettivo» (legge 21 dicembre 2001, n. 443);
   la Siena-Grosseto, parte integrante della E78, è inserita nel contratto di programma Anas fin dal triennio «2003-2005»;
   l'E78 è stata successivamente inserita nel documento «priorità infrastrutturali» redatto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a conclusione della consultazione con le regioni. L'E78 è stata poi inserita nell'allegato infrastrutture del documento di programmazione economica e finanziaria 2008-2012; in particolare, è presente nella tabella B3 «legge obiettivo opere in corso con copertura parziale»;
   nel mese di gennaio 2010 è stato inoltre firmato a Palazzo Chigi l'atto aggiuntivo all'intesa generale quadro (strumento della «legge obiettivo») tra il Governo pro tempore e la regione Toscana. A siglare l'intesa furono il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Silvio Berlusconi, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore Altero Matteoli, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Stefania Prestigiacomo, il Ministro per gli affari regionali pro tempore, Raffaele Fitto e il presidente della regione Toscana, Claudio Martini. Tra le opere previste nell'intesa era presente anche il completamento della Grosseto-Fano;
   all'interno del tracciato complessivo della E78 riveste particolare interesse il completamento del tratto che collega Siena a Grosseto. Tale infrastruttura riveste una fondamentale rilevanza per la mobilità e lo sviluppo economico, produttivo e sociale dell'intero centro Italia, oltre a presentare un consistente stato di avanzamento dei lavori;
   9 degli 11 lotti in cui è suddivisa la Siena-Grosseto sono stati, nel corso degli anni, finanziati: sono infatti aperti al traffico (interamente o parzialmente) o interessati dai lavori di edificazione;
   sono comunque 2 i tratti della Siena-Grosseto non ancora finanziati. In particolare, secondo quanto reso noto da Anas:
    il 4o lotto (tratto Civitella Marittima-Lanzo - da prog. 27+200 a prog. 30+040 provincia di Grosseto. Comune Civitella Paganico). Il costo complessivo dell'intervento, di lunghezza pari a 2,84 chilometri, è di 103 milioni di euro. È stata completata la progettazione definitiva. Il progetto definitivo è stato trasmesso per l'approvazione ed il finanziamento al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a luglio 2011, ai sensi della «legge obiettivo»;
    il 9o lotto (tratto Ornate-Svincolo di Orgia - da prog. 41+600 a prog. 53+400 - Provincia di Siena. Comuni Monticiano, Murlo e Sovicille). Il costo complessivo dell'intervento, di lunghezza pari a 11,8 chilometri, è di 144 milioni di euro. Il progetto definitivo è stato trasmesso per l'approvazione ed il finanziamento al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a marzo 2008, ai sensi della «legge obiettivo». La procedura di acquisizione dei pareri si è conclusa positivamente e, pertanto, è stata chiusa la conferenza servizi presso la struttura tecnica del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   va ricordato che l'intero tratto della Siena-Grosseto era già finanziato per 530 milioni nel Dpef 2006-2011;
   risulta evidente che i ritardi nella realizzazione dei lotti n. 4 e n. 9, in concomitanza con la progressiva apertura al traffico degli altri tratti, potrebbero causare profondi disagi e pericoli alla mobilità sull'intera infrastruttura, oltre a non valorizzare con efficacia gli investimenti fatti sino ad oggi;
   in questi anni, in molteplici occasioni, la regione Toscana, le province di Siena e Grosseto, le istituzioni, gli enti ed i parlamentari del territorio, le forze politiche, sociali e sindacali, oltre al diversificato tessuto associazionistico, economico locale, hanno sollecitato il Governo, i Ministeri competenti ed Anas al fine di intervenire tempestivamente per risolvere le problematiche ed i disagi connessi ai deficit infrastrutturali causati dai ritardi sul completamento della Siena-Grosseto;
   lo stesso Governo ha in numerose occasioni ribadito l'importanza strategica della Siena-Grosseto. Nel mese di settembre 2013 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi, intervenendo a Firenze in un incontro con il presidente della Toscana Enrico Rossi, ha ricordato che il completamento della Siena-Grosseto era una priorità del Governo pro tempore;
   nonostante questi impegni, nell'allegato III programma di infrastrutture strategiche alla nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (aggiornato al mese di settembre 2013), i lotti 4 e 9 della Siena-Grosseto, pur essendo stati inseriti nella tabella del programma delle infrastrutture strategiche (Pis), non sono stati finanziati;
   nella legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013), nonostante la presenza di un apposito articolato dedicato ai finanziamenti per le infrastrutture e trasporti, non sono presenti stanziamenti per il completamento della Siena-Grosseto;
   appare agli interroganti maggiormente sconcertante la questione legata all'approvazione della legge denominata «Destinazione Italia» (legge n. 9 del 2014) di conversione del decreto-legge n. 145 del 2013, dove sono presenti finanziamenti per il completamento di alcune infrastrutture. Il Governo pro tempore secondo quanto riportato dagli organi di informazione si era infatti impegnato (in data 14 novembre 2013) a reperire proprio in quel provvedimento «la cifra di 115 milioni per un ulteriore lotto del tratto Grosseto – Siena della E78)». Nonostante nel testo uscito dal Consiglio dei ministri non vi fosse alcuna traccia di finanziamenti per questa specifica infrastruttura, il Governo pro tempore, in sede di discussione del testo alla Camera dei deputati, ha addirittura espresso parere negativo ad un emendamento che proponeva di utilizzare risorse disponibili e non ancora utilizzate anche per il completamento di quelle tratte strategiche di valenza internazionale, individuate dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443, già interamente progettate (come appunto la Siena-Grosseto);
   per completezza di informazione va segnalato inoltre che l'ultimo aggiornamento del programma delle infrastrutture strategiche è stato trasmesso dal Governo al Parlamento in occasione dell'esame della nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2013. Nella seduta del 4 febbraio 2014, è stata infatti presentata alla Commissione ambiente della Camera l'ottava edizione del monitoraggio sull'attuazione della «legge obiettivo»;
   nel documento citato «Attuazione della legge obiettivo - Lo stato di attuazione del Programma», una delle principali novità rispetto al Rapporto 2012 è l'inserimento del nuovo intervento «asse viario Fano-Grosseto, proposta per il completamento S.G.C. E78 Grosseto-Fano» (tabella 0 11o allegato al DEF 2013, nota di aggiornamento di settembre). Viene inoltre specificato che l'asse viario Fano-Grosseto «passa da più di 3 miliardi a 6,2 miliardi»;
   è stata costituita il 7 febbraio 2014, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la nuova società di progetto per la realizzazione della Fano-Grosseto che vede la partecipazione al 50 per cento delle tre regioni coinvolte e al 50 per cento dell'Anas. Lo riferisce una nota dopo che il presidente della regione Marche, Gian Mario Spacca e quelli della Toscana, Enrico Rossi, e dell'Umbria, Catiuscia Marini, hanno incontrato a Roma il Sottosegretario pro tempore, Rocco Girlanda, assistito dal capo della struttura tecnica di missione del Ministero della infrastrutture e dei trasporti pro tempore, Ercole Incalza. La società – riporta ancora la nota – sarà operativa entro l'estate;
   il 12 febbraio 2014 è stato approvato dalla regione Toscana il «Piano regionale integrato per la mobilità (Priim). Uno strumento di programmazione che razionalizza ed integra le politiche regionali per gli anni 2014 - 2020 nelle materie come ferrovie, autostrade, porti, aeroporti, trasporto pubblico locale, viabilità regionale e mobilità ciclabile. Tra le opere chiave contenute nel Piano regionale integrato per la mobilità vi è anche il completamento del corridoio tirrenico della E78 Grosseto-Fano;
   risulta evidente che negli ultimi documenti ufficiali e negli incontri istituzionali è stata affrontata la situazione complessiva della Grosseto-Fano che presenta interi tratti non ancora né progettati, né finanziati, senza tenere conto dello stato di avanzamento del tratto Siena-Grosseto e della immediata cantierabilità dei lotti non completati –:
   per quali reali e giustificati motivi, alla luce di quanto espresso in premessa, non siano state ancora stanziate le risorse per edificare i lotti 4 e 9 della Siena-Grosseto, nonostante la presenza dei progetti definitivi, l'importanza strategica di tale asse viario, le numerose rassicurazioni dei vari Governi che si sono succeduti, la realizzazione di gran parte dell'opera e la presenza del totale finanziamento dell'infrastruttura nel Dpef 2006-2011, e se il Governo non ritenga conseguentemente necessario assumere iniziative urgenti al fine di velocizzare l'iter per il completo finanziamento e la realizzazione dei lotti 4 e 9 della Siena-Grosseto;
   se il Ministro interrogato ritenga necessario chiarire inequivocabilmente che una volta completati tutti i lotti della tratta Siena-Grosseto, soprattutto alla luce dei contenuti del documento sull'attuazione della «legge obiettivo» e della costituzione della società pubblica di progetto per la realizzazione della Fano-Grosseto, non verrà introdotto alcun pedaggio per la fruizione di tale asse viario. (5-02364)


   LOREFICE, NICOLA BIANCHI, CRISTIAN IANNUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il territorio della provincia di Ragusa è il più carente di infrastrutture viarie in tutta la Sicilia. Non presenta difatti alcuna rete autostradale che lo colleghi ad altri centri, quali Catania o Palermo;
   la recente apertura dell'aeroporto di Comiso ha rimarcato la necessità di vie di comunicazioni adeguate al flusso di persone e merci in continua crescita;
   nel 1998 il compartimento per la viabilità della Sicilia dell'ANAS, sezione di Catania, ha elaborato un progetto preliminare per l'ampliamento del collegamento stradale tra Ragusa e Catania;
   l'opera è stata inserita sia nel programma delle infrastrutture strategiche adottato dal CIPE con la delibera n. 121/2001, emanata a sua volta in attuazione della legge n. 443 del 2001, sia nel documento «infrastrutture prioritarie» redatto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e pubblicato nel novembre 2006;
   con delibera n. 79 del 29 marzo 2006, il CIPE ha approvato il progetto preliminare e lo studio di impatto ambientale dell'Anas, con le relative prescrizioni e raccomandazioni, per un costo complessivo di 1.268.600.000 euro e copertura parziale di 149.200.000 euro, di cui un terzo circa a carico dell'Anas e due terzi a carico della regione siciliana;
   in data 2 febbraio 2007, la regione siciliana ha ritenuto «più utile destinare i finanziamenti disponibili all'iniziativa globale in project financing anziché alla esecuzione di un primo stralcio funzionale», possibilità prevista dall'accordo di programma quadro siglato il 28 dicembre 2006 tra la regione, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Anas, ma che comporta una tariffazione dell'intervento;
   nello stesso anno l'Anas ha pubblicato l'avviso per la selezione del promotore per la progettazione, realizzazione e gestione del collegamento stradale Ragusa-Catania e, scaduti i termini per la presentazione delle domande, su tre proposte ricevute ha dichiarato il pubblico interesse per quella presentata da Ati Silec – Egis Projects – Maltauro Consorzio Stabile – Tecnis;
   il 25 giugno 2009 il progetto preliminare presentato dal promotore ha ottenuto parere favorevole dalla Commissione speciale VIA-VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in ordine alla richiesta di compatibilità ambientale. Anche il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha trasmesso il proprio parere favorevole;
   il 22 gennaio 2010 il CIPE ha approvato il progetto preliminare e la proposta del promotore, per un costo complessivo di circa 815 milioni di euro, di cui circa 448 milioni a carico dei privati. Il 22 luglio ha approvato lo schema di convenzione, con prescrizione, confermando i finanziamenti della regione e dello Stato;
   nonostante siano trascorsi otto anni dal primo stanziamento per la costruzione di quest'importante arteria extraurbana che dovrà collegare Catania e Ragusa, la convenzione con il concessionario non è stata ancora firmata;
   con decisione del 17 dicembre 2013, il CIPE ha approvato la proroga del finanziamento al 30 giugno 2014;
   il Ministro Lupi, intervistato il 31 gennaio 2014 dal quotidiano La Sicilia in occasione della sua visita nel sud-est dell'isola, per partecipare tra l'altro al convegno di Confindustria nel capoluogo ibleo intitolato «L'Italia riparte dal Sud», annunciava che il 7 febbraio 2014 sarebbe stata firmata la suddetta convenzione, e che nella prima seduta utile del Consiglio dei ministri si sarebbe chiuso l’iter della Ragusa-Catania;
   il contitolare della Tecnis, l'ingegnere Concetto Bosco, in un'intervista pubblicata sul quotidiano La Sicilia l'11 febbraio 2014, ha di fatto smentito il Ministro Lupi dichiarando che la convenzione non sarebbe stata firmata a breve, e quindi i lavori non sarebbero iniziati altrettanto celermente, a causa di svariati intoppi burocratici –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire celermente per sbloccare l’iter burocratico relativo alla mancata firma della convenzione con il concessionario, qualora fosse una questione di mera burocrazia. (5-02365)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   GRECO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con una nota firmata dal direttore centrale delle risorse umane del Dipartimento della pubblica sicurezza è stato chiesto un parere alle autorità provinciali di P.S. sulla chiusura di vari uffici della polizia di Stato fra cui ben 73 sezioni polizia postale e delle telecomunicazioni;
   la specialità della polizia di Stato si ridurrebbe ai soli presidi, oggi perlopiù costituenti i compartimenti cui fanno riferimento le varie sezioni, e quindi con una presenza sul territorio di gran lunga inferiore a quella attuale ed un'altrettanto sensibile contrazione del personale impiegato nello specifico settore;
   le sezioni svolgono una corposa attività che spazia dai reati informatici, di competenza esclusiva, ai reati generici ancorché commessi con mezzi informatici e/o con apparecchiature telefoniche, sia per delega delle procure della Repubblica presso i tribunali, sia d'iniziativa, soprattutto in seguito alle numerosissime denunce ricevute dai cittadini;
   le sezioni, attraverso il personale che vi opera, svolgono un'utilissima opera di prevenzione sul territorio partecipando a vari incontri informativi ed educativi, spesso nelle scuole di ogni ordine e grado, per spiegare i pericoli insiti nell'uso della rete, illustrare la natura e le conseguenze degli atti commessi con computer, telefoni o smartphone che sostanziano fattispecie delittuose;
   il giro d'affari mosso dai reati commessi in ambito informatico è in costante aumento e comunque ha già raggiunto dimensioni di grande rilevanza, al pari delle più remunerative fonti di guadagno della criminalità;
   uno dei reati più spregevoli che esistono, la pedofilia, ha trovato proprio nella «rete» il miglior alleato per la sua diffusione e la polizia postale e delle telecomunicazioni si è affermata come il miglior strumento per scoprire e perseguire chi sfrutta e chi abusa dei minori: varie sezioni hanno messo a segno importanti operazioni a danno di organizzazioni dedite a questa attività illegale;
   la soppressione delle 73 sezioni coincide con la dismissione di altri 188 uffici di polizia all'interno di un piano nazionale di contrazione organizzativa del principale soggetto garante della sicurezza interna del Paese la cui giustificazione non può risiedere in mere ragioni di risparmio economico –:
   se il Ministro interrogato ritenga di assecondare questo piano e disarticolare una specialità la cui efficienza è ampiamente comprovata e che ha il gradimento dei cittadini e delle varie organizzazioni impegnate nell'ambito del contrasto a pedofilia, pedopornografia, prostituzione ed altre piaghe sociali;
   se non si ritenga di rivedere questo progetto e dare maggiore impulso al citato settore della polizia di Stato promuovendo un adeguata dotazione di mezzi, ma anche conservando l'attuale diffusione dei presidi sul territorio della Repubblica. (3-00691)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIANO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 178, del 28 settembre 2012, ha previsto la riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce rossa (CRI) e la sua completa privatizzazione;
   il Corpo militare della Croce rossa italiana, sin dalla sua nascita, ha operato in soccorso delle popolazioni colpite da pubbliche calamità o eventi bellici, sia in tempo di guerra che di pace, collaborando attivamente con le Forze armate italiane e gli organi di protezione civile;
   attualmente fanno parte del Corpo militare della CRI circa 1.200 unità in servizio attivo, che coordinano e supportano le attività dei volontari in congedo e la loro continua formazione, svolgendo attività di carattere sanitario in ausilio delle forze armate, e provvedendo alla manutenzione di macchinari e mezzi in dotazione al Corpo;
   tuttavia, il decreto legislativo n. 178 del 28 settembre 2012 ha determinato, di fatto, una sorta di smobilitazione del Corpo militare CRI, che comporterebbe il trasferimento del suo personale in servizio attivo, a partire dalla data di emanazione del decreto di cui all'articolo 6, comma 1, del citato decreto di riorganizzazione della CRI — così come modificato dal decreto-legge del 31 agosto 2013, n. 101, convertito dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 — in un ruolo ad esaurimento nell'ambito del personale civile della CRI;
   per la prosecuzione dei servizi ausiliari delle Forze armate è stata prevista, con decreto del Ministero della difesa di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, l'istituzione di un contingente di 300 uomini in servizio attivo che confluirà nel ruolo civile della CRI entro e non oltre il 31 dicembre 2016;
   entro tale termine il personale attualmente in servizio presso la Croce rossa potrà dunque optare per la risoluzione del contratto con l'ente pubblico CRI e la successiva assunzione dall'associazione Croce rossa italiana, di carattere privato, se in possesso dei requisiti e nei limiti dell'organico di personale che la medesima Associazione definirà;
   al personale che non dovesse essere assunto dall'Associazione si applicherebbero gli strumenti per le eccedenze nelle pubbliche amministrazioni e la mobilità potrebbe aver luogo anche presso enti fuori provincia o regione di residenza;
   tuttavia, la difficile situazione economica degli enti pubblici italiani, l'età media del personale militare in servizio attivo e le attuali disponibilità economiche della CRI, sono tali da far ritenere di difficile compimento l'assunzione presso l'associazione o la mobilità del personale presso altri enti pubblici;
   vi è pertanto una forte preoccupazione per il personale militare della CRI che, seppur operando nel soccorso pubblico non rientra nel comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico, e risulta essere troppo giovane per accedere al pensionamento, ma la cui età, in media sopra i 50 anni, non consente un facile reinserimento nel mondo lavorativo –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di adottare iniziative atte a far rientrare il personale del Corpo militare della Croce rossa italiana nel comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico in modo da estendervi il trattamento previdenziale riservato al comparto e garantire una graduale messa a riposo del personale;
   in alternativa, se i Ministri interrogati non ritengano di assumere iniziative per istituire un ruolo speciale unico ad esaurimento del personale del Corpo militare della Croce rossa italiana, in deroga a quanto previsto dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 178 del 28 settembre 2012, provvedimento che consentirebbe al personale di mantenere lo status di militare, senza apportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, atteso che si tratta di personale in servizio attivo a tempo indeterminato già retribuito con i fondi erogati dallo Stato. (5-02355)


   MARTELLA e MORETTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il presente atto di sindacato ispettivo fa seguito alla interrogazione n. 3-00671 in data 6 marzo 2014 e si è reso necessario sulla base di una serie di nuovi elementi emersi per quanto riguarda la delicata vicenda legata alla possibile soppressione di alcuni presidi di polizia in territorio di Portogruaro (Venezia);
   in data 7 marzo 2014 il prefetto di Venezia ha, infatti, inviato una lettera di risposta al sindaco di Portogruaro in merito alla possibile soppressione del posto di polizia ferroviaria e del distaccamento di polizia stradale dislocati presso la città veneziana in relazione ad un più ampio progetto di riorganizzazione predisposto dal dipartimento di pubblica sicurezza;
   il prefetto ha innanzitutto precisato che il disegno di riorganizzazione degli uffici di polizia sul territorio nazionale è ancora in fase istruttoria;
   nella lettera ha testualmente risposto: «non sono previsti per Portogruaro interventi di riduzione dei presidi di polizia del territorio ma solo la riorganizzazione delle specialità della PS la cui attività ordinaria — a detta del Prefetto — dovrebbe beneficiare dell'accorpamento di risorse in articolazioni intermedie in grado di garantire maggiore sensibilità e fungibilità di impiego del personale»;
   sempre in base a quanto affermato dall'autorità di governo, nella citata lettera, sarebbe confermata la soppressione del posto di Polfer «ferma restando l'attività presidiaria della stazione e la scorta ai convogli»;
   i chiarimenti offerti dal Prefetto tuttavia non sono affatto rassicuranti proprio sulla scorta delle premesse che avevano determinato anche la presentazione della precedente interrogazione;
   permangono, infatti, immutate, tutte le preoccupazioni concernenti, di fatto, un ridimensionamento dei presidi delle specialità della Polizia di Stato presenti in Portogruaro, anche in relazione alle specificità territoriali di un comprensorio vasto, a vocazione turistica e con una particolare complessità infrastrutturale, sia per quanto riguarda la viabilità sia per quanto riguarda lo snodo ferroviario;
   l'amministrazione comunale ha già manifestato le proprie preoccupazioni interessando nuovamente tutte le istituzioni competenti al fine di scongiurare le previste soppressioni;
   l'ammissione da parte del Prefetto che il progetto complessivo di riorganizzazione degli uffici predisposta dal Dipartimento di pubblica sicurezza è ancora in fase istruttoria lascia però aperto uno spiraglio per verificare ogni possibilità utile di ravvedimento circa tale ipotesi;
    se e quali iniziative, considerata la fase istruttoria del suddetto progetto di razionalizzazione, intenda attivare per promuovere un tavolo istituzionale di confronto e riconsiderare le soppressioni che riguardano il posto di Polfer e il distaccamento di polizia stradale di Portogruaro al fine di salvaguardare la presenza di due presidi importanti per la sicurezza dei cittadini e il controllo del territorio, elementi scevri da ogni questione di campanile e oggettivamente riscontrabili nelle peculiarità di questo comprensorio.
(5-02357)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MURER. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano la Repubblica, in data 3 marzo 2014, il Ministero dell'interno starebbe preparando una serie di tagli a vari presidi di polizia sul territorio nazionale;
   in particolare si andrebbe verso la chiusura di 11 commissariati territoriali; verso la soppressione di due compartimenti e di 27 presidi della polizia stradale e verso la cancellazione di 73 sezioni di polizia ferroviaria;
   andrebbero, inoltre, verso la chiusura anche due zone e 10 presidi di polizia di frontiera, con la contestuale soppressione di 50 squadre nautiche e 4 sezioni di sommozzatori, proprio in un momento in cui tanto la polizia di frontiera quanto le unità nautiche si rendono indispensabili in ragione dei forti flussi migratori, soprattutto nell'area del Mediterraneo;
   infine verrebbero chiuse ben 73 sezioni provinciali della polizia postale; quest'ultimo taglio, ancor più degli altri, non può non destare forte preoccupazione; sono, infatti, in aumento i reati telematici ed elettronici, il cosiddetto cybercrime, con tutti i suoi elementi correlati, come il bullismo on line, oltre alla piaga della pedopornografia, del traffico telematico di materiali pedofili;
   attraverso la rete, poi, si strutturano numerosi episodi di stalking che, anche on line, esercitano violenze e molestie che sono considerate tra le più insidiose;
   la legge n. 38 del 2009, nella fattispecie, ha introdotto in Italia il reato di «stalking» definendo in maniera chiara quali comportamenti persecutori siano da considerarsi reato e possano essere quindi oggetto di denuncia; la progressiva diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione ha contribuito negli ultimi anni a modificare i luoghi e le modalità attraverso le quali un persecutore riesce ad ingenerare uno stato permanente di terrore nella vittima; i social network per esempio, le caselle di posta elettronica sono i luoghi virtuali dove più spesso si cerca visibilità per danneggiare qualcuno, oppure il telefono cellulare, che è il mezzo di comunicazione attraverso il quale spesso si struttura la persecuzione;
   indebolire tali strategici presidi di polizia rappresenta, a parere dell'interrogante, un errore dal momento che, invece, per altro verso si assume la legalità, e in modo particolare la lotta alla criminalità telematica, nelle sue varie articolazioni, a partire dalla pedopornografia e dallo stalking, come priorità –:
   se corrisponda al vero quanto riportato in premessa e quali iniziative il Governo intenda assumere per evitare che si abbassi la guardia nella battaglia contro il crimine, che si diffonda nel cittadino un senso di minore protezione, che si indebolisca, con questi tagli, la lotta, in particolare, ad alcuni reati come la pedopornografia e lo stalking. (4-04002)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un ordigno è stato fatto esplodere nei giorni scorsi in una sala ricevimenti in territorio di Matera, in Basilicata;
   lo scoppio della bomba rudimentale ha provocato un incendio domato, fortunatamente, dai vigili del fuoco del comando provinciale di Matera;
   tale episodio mette in risalto la difficoltà che gli imprenditori della regione sono costretti ad affrontare e che soffocano le energie e il loro spirito imprenditoriale e sollecita una sempre maggiore attenzione sulle condizioni di sicurezza che devono essere garantite agli operatori economici e a tutta la collettività;
   è opportuno, pertanto, porre in essere tutte le azioni utili affinché la lotta al crimine possa conseguire al più presto risultati positivi contro la malavita organizzata;
   sarebbe, quindi, necessario intensificare l'azione di vigilanza e di controllo nel territorio lucano affinché possano essere evitate infiltrazioni malavitose nel tessuto socio-economico –:
   quali azioni intenda porre in essere per accertare la natura dei fatti descritti in premessa;
   se ritenga necessario intensificare l'azione di vigilanza e controllo delle forze dell'ordine al fine di garantire condizioni di sicurezza agli operatori economici e a tutta la collettività. (4-04003)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il piano di governo del territorio concernente il comune lombardo di Cantù è stato recentemente integrato dall'accoglimento di un'osservazione fatta da un privato, che chiedeva di aggiungere la dicitura «luogo di culto» tra le destinazioni d'uso del proprio capannone industriale, situato in via Milano, nei pressi della frazione canturina di Mirabello;
   esiste il più che fondato motivo di ritenere che dietro la dicitura «luogo di culto» si celi il proposito di adibire al culto islamico lo stabile sito a via Milano, nei pressi della frazione di Mirabello;
   l'amministrazione comunale canturina, pur avendo consentito alla modifica della destinazione d'uso del sito di via Milano, nega in effetti di disporre di informazioni al riguardo, ma stando alla stampa locale che ha raccolto la testimonianza degli interessati, cinque associazioni islamiche si sarebbero federate in vista dell'imminente apertura di un centro culturale proprio a via Milano, circostanza che ad avviso dell'interrogante non costituisce una coincidenza casuale;
   delle cinque associazioni federate, una è la pachistana Noor-e-Madina, che sarebbe implicata anche nella gestione del sito canturino abusivamente adibito un anno fa a moschea in via XI febbraio, posto nel frattempo sotto sequestro dall'autorità giudiziaria: delle altre quattro, una è marocchina, un'altra è senegalese, mentre delle restanti due non si sa nulla;
   l'associazione Noor-e-Madina potrebbe essere collegata ad una potente fondazione omonima, con vaste diramazioni internazionali, fra le quali si segnala una sezione distintasi in Quebec per aver promosso manifestazioni di protesta contro la locale Carta dei Valori, un'iniziativa quindi di natura politica e non meramente culturale;
   un sito bilingue, arabo ed inglese, collegato al network della Noor-e-Madina contiene ampi riferimenti al pensiero wahabita e deobandi, notoriamente radicale, per quanto figurino al suo interno anche appelli a non «pervertirne» il messaggio;
   la trasformazione del capannone industriale di via Milano in moschea farebbe certamente di Cantù un punto di riferimento per i musulmani residenti in Brianza, nel Milanese e nel Comasco;
   sul sito canturino potrebbe altresì convergere l'associazionismo a matrice islamica estremista presente in Lombardia e più in generale nel Nord Italia, e cioè creerebbe evidenti ricadute di pericolosità sul piano della sicurezza per il territorio canturino e per i territori limitrofi;
   non di rado, l'associazionismo islamico ha sfruttato in passato le moschee e le loro pertinenze per svolgervi attività poco chiare, alcune delle quali assimilabili alla propaganda jihadista;
   alcuni anni fa, ad esempio, ben tre imam vennero allontanati — con provvedimento adottato dal Ministro dell'interno pro-tempore, Giuseppe Pisanu — dalla vicina moschea di via Domenico Pino a Como, in quanto ritenuti pericolosi –:
   se il Governo sia a conoscenza delle circostanze generalizzate nella premessa, se sia possibile acquisire informazioni in merito alla natura delle associazioni che potrebbero svolgere delle attività nella costruenda moschea di via Milano nei pressi della frazione canturina di Mirabello, anche con riferimento alla provenienza e alla tracciabilità dei finanziamenti e di eventuali capitali per la realizzazione e la gestione del centro islamico generalizzato nella premessa, e quali iniziative si conti di assumere per evitare che il futuro sito di culto islamico possa divenire un centro di irradiazione della propaganda jihadista con possibili ripercussioni sulla sicurezza e sull'ordine pubblico del territorio canturino e della sua popolazione. (4-04006)


   NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, in breve ANBSC, è stata istituita con il decreto legge 4 febbraio 2010, n. 4, convertito dalla legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, legge 31 marzo 2010, n. 50;
   l'articolo 1, comma 2, di tale normativa stabilisce che l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata è posta sotto la vigilanza del Ministero dell'interno;
   il 23 dicembre 2011 il direttore dell'ANBSC, prefetto Giuseppe Caruso, il presidente di Assolombarda, Alberto Meomartini, il presidente di ADAI, Renato Garbarini, e il presidente di Fondirigenti, Renato Cuselli, assieme a rappresentanti dei tre partner scientifici che si sarebbero occupati materialmente del percorso di formazione (Fondazione ISTUD, SDA Bocconi e LUISS), hanno sottoscritto la convenzione con la quale sono state definite le modalità di raccordo istituzionale tra gli enti coinvolti è stato reso operativo il progetto per la valorizzazione delle competenze dei manager nella gestione delle imprese sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata;
   la convenzione aveva l'obiettivo di formare un gruppo di manager, inizialmente previsto in un numero di 60, senza oneri a carico dello Stato, in via sperimentale da impiegare a Milano e in Lombardia, e successivamente da ampliare al resto del territorio nazionale;
   obiettivo della Convenzione è la creazione di competenze strategiche e manageriali necessarie per la valutazione e la gestione delle imprese sequestrate e confiscate da mettere a disposizione del Ministero dell'interno e dell'ANBSC;
   ad oggi risulta che tutti i 63 manager che sono stati appositamente formati per poter gestire le imprese sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata, risultano non impiegati, come riportato, tra l'altro, in un articolo de Il Corriere della Sera del 7 marzo 2014;
   nell'articolo si riporta anche il lavoro svolto da questo gruppo di manager relativo a 14 progetti da attuare su altrettante aziende confiscate alla mafia, ma che non risultano essere mai stati impiegati;
   secondo i dati forniti dall'ANBSC, sino ad oggi sono state confiscate più di 1.700 aziende e, secondo gli ultimi dati disponibili, l'Agenzia sta gestendo più di 1.200 imprese, di cui quasi 540, pari a circa il 44 per cento del totale, risultano essere ubicate in Sicilia, mentre le restanti aziende risultano essere tutte ubicate in Campania, Calabria, Lombardia, Lazio e Puglia;
   secondo quanto scritto in un articolo pubblicato sul sito web «LINKIESTA», tra tutte le aziende confiscate alle mafie solo il 4 per cento sopravvive;
   come riportato da numerose associazioni e reso noto anche attraverso la stampa, sono ancora oggi troppe le aziende che, una volta confiscate alla mafia, falliscono dopo pochi mesi, anche a causa della gestione da parte degli amministratori giudiziari, con gravi ricadute negative per il sistema economico, con particolare riguardo ai lavoratori dipendenti di queste aziende, che in alcuni casi non hanno alcun rapporto con la criminalità organizzata –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non intenda attivarsi, anche in base ai poteri di vigilanza sull'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, per promuovere l'impiego concreto dei manager precedentemente formati in convenzione con Assolombarda;
   se non intenda attivarsi per promuovere ulteriori convenzioni con associazioni qualificate su tutto il territorio nazionale, al fine di formare nuovi soggetti con sufficienti capacità manageriali in grado di assistere l'attività degli amministratori giudiziari, ovvero sostituirsi ad essi ove possibile, con particolare riguardo verso quelle regioni, come la Sicilia dove il numero delle aziende confiscate è molto consistente. (4-04009)


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2014, la bozza del decreto ministeriale prevede che le quote a carico del personale ammesso alle mense non obbligatorie della polizia di Stato, ai sensi del decreto interministeriale del 1o aprile 1999, registrato alla Corte dei conti, il 2 giugno 1999, reg. 4, Interno, foglio 75, siano pari a 4,50 euro per il personale della polizia di Stato e delle altre Forze di polizia; 7,00 euro per il personale dell'amministrazione civile dell'interno e per quello occasionalmente interessato allo svolgimento di attività istituzionali e 5,16 euro per il personale in quiescenza della polizia di Stato;
   l'intenzione di aumentare il costo della contribuzione dei pasti a carico del personale della polizia di Stato, da parte dell'amministrazione del Ministro interrogato, ha suscitato un'evidente contrarietà da parte del Sindacato autonomo di polizia – SAP, in considerazione che l'aumento mediamente pari al 45 per cento rappresenta una decisione improvvida nell'attuale contesto di crisi economica, soprattutto con riferimento alla natura essenziale della materia alimentare, evocativa di bisogni fisiologici primari;
   il medesimo sindacato, ha indicato inoltre come la determinazione della cifra, è sovente demandata alla contrattazione aziendale, la quale ha la competenza nel gestire e indirizzare le disponibilità finanziarie, aggiungendo fra l'altro, che la stessa amministrazione, anziché retribuire maggiormente alcune prestazioni ad esempio la produttività, ha deciso di sostenere in modo imparziale una determinata fascia di dipendenti, ovvero i pendolari, peraltro accasermati, i quali sebbene siano penalizzati dalla collocazione geografica, del luogo di residenza, mediante sconti sui prezzi o garantendo addirittura la gratuità del pasto, vengono beneficiati da una serie di indennità;
   la decisione di incrementare il costo della mensa, è stata tuttavia sospesa, secondo quanto risulta da un documento inviato dalla rappresentanza sindacale del SAP al Ministero interrogato lo scorso 27 febbraio, all'interno del quale si evidenzia fra l'altro, come la regolamentazione delle mense nel complesso, sia di diretta competenza di contrattazione sindacale, anche e soprattutto allo scopo della determinazione di una giusta congruità dei costi del servizio e che pertanto l'intenzione di emanare il decreto volto ad indicare l'aumento del costo della mensa per il personale delle forze di Polizia, senza averlo concordato con le rappresentanze sindacali più rappresentative, risulta essere una violazione delle prerogative sindacali;
   la nota del SAP riporta, inoltre, come nel complesso la situazione contrattuale delle forze di polizia, sia precaria e incerta, essendo congelato qualsiasi adeguamento retributivo da diversi anni e conseguentemente l'eventuale aggiornamento del contributo, che determinerebbe un aumento dei proventi derivanti dal costo della mensa, aggraverebbe ulteriormente le condizioni nell'insieme insoddisfacenti e inadeguate nei riguardi del personale;
   la decisione di aumentare il costo della mensa a carico del personale della polizia di Stato, delle altre Forze di polizia e del personale dell'amministrazione civile del Ministero interrogato, appare negativa e penalizzante, in considerazione delle notevoli difficoltà economiche che l'intero comparto del Corpo di polizia, da diversi anni è costretto a fronteggiare e che invece a giudizio dell'interrogante andrebbe maggiormente sostenuto da un punto di vista retributivo –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intenda confermare l'emanazione del decreto ministeriale che prevede l'aumento dal 1o gennaio 2014, delle quote a carico del personale ammesso alle mense non obbligatorie della polizia di Stato, come esposto in premessa, la cui efficacia è stata attualmente sospesa a seguito dell'intervento del sindacato autonomo di polizia – SAP che ha rilevato una serie di criticità derivanti dall'eventuale introduzione della maggiorazione del contributo.
(4-04010)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI, COSCIA, CAROCCI, COCCIA, BOSSA, MANZI, MALISANI, RAMPI, ROCCHI e PES. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 21 dicembre 1999, n. 508, ha istituito il sistema nazionale dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale (AFAM), di cui fanno parte le accademie di belle arti, i conservatori di musica, gli istituti superiori per le industrie artistiche, gli istituti musicali pareggiati, l'accademia nazionale di danza e l'accademia nazionale di arte drammatica;
   l'articolo 2, comma 7, lettera e), della predetta legge n. 508 del 1999 prevedeva che, con apposito regolamento ministeriale, sarebbero state disciplinate le procedure di reclutamento del personale del sistema AFAM, ma tale regolamento, dopo quasi quindici anni dall'approvazione della legge, non risulta essere stato ancora emanato;
   a causa di tale mancata emanazione sono rimaste da tempo bloccate le carriere dei professori di ruolo del sistema AFAM, in particolare con l'impossibilità delle promozioni dalla seconda fascia alla prima fascia dei docenti più meritevoli;
   l'articolo 19, comma 01, del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, ha fissato un nuovo termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione per l'emanazione del regolamento sulle procedure di reclutamento del personale AFAM;
   il comma 1 del medesimo articolo 19 ha trasformato in graduatorie nazionali ad esaurimento, utili per l'attribuzione degli incarichi di insegnamento sia a tempo indeterminato che determinato, le graduatorie nazionali di cui all'articolo 2-bis del decreto-legge 7 aprile 2004, n. 97, convertito con modificazioni, dalla legge 4 giugno 2004, n. 143;
   il comma 2 del medesimo articolo 19 ha altresì disposto che il personale docente che non sia già titolare di contratto a tempo indeterminato, che abbia superato un concorso selettivo ai fini dell'inclusione nelle graduatorie di istituto e che abbia maturato almeno tre anni accademici di insegnamento presso le istituzioni del sistema AFAM sia inserito, fino all'emanazione del regolamento sulle procedure di reclutamento, in apposite graduatorie nazionali utili per l'attribuzione degli incarichi di insegnamento a tempo determinato;
   lo stesso comma dispone che tale inserimento sia disposto con modalità definite con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ma non risulta finora che tale decreto sia stato emanato;
   il comma 3-bis del medesimo articolo 19 dispone che il personale tecnico-amministrativo che abbia superato un concorso pubblico per l'accesso all'area «Elevata professionalità» (EP) o alla cosiddetta «Area terza» del contratto nazionale di lavoro del personale AFAM può essere assunto con contratto a tempo indeterminato al maturare di tre anni di servizio a tempo determinato;
   decine di docenti precari AFAM, inseriti nelle graduatorie nazionali di cui alla legge n. 143 del 2004 e con anzianità di servizio di almeno da dieci anni se non molto maggiore, attendono l'applicazione del comma 1 sopra citato che ne permetterebbe l'assunzione a tempo indeterminato sui posti vacanti che spesso già ricoprono da molti anni;
   altre centinaia di docenti precari AFAM, non inseriti nelle graduatorie nazionali di cui alla legge n. 143 del 2004 ma attualmente in servizio in base a contratti annuali di insegnamento presso le singole istituzioni, attendono l'emanazione del decreto ministeriale che dovrebbe stabilire le modalità del loro inserimento nelle graduatorie nazionali di cui al sopra citato comma 2;
   non risulta ancora applicato il sopra citato comma 3-bis e inoltre rimangono dubbie le modalità di applicazione, in particolare quando la persona in servizio a tempo determinato da più di tre anni non copra un posto vacante ma bensì un posto temporaneamente libero per comando del titolare presso altra istituzione o per ragioni simili;
   tutta la situazione del personale docente e tecnico-amministrativo del sistema AFAM — dall'alta professionalità e dalle forti competenze — risulta terribilmente intricata e confusa, tanto da generare legittime ansie e proteste da parte degli interessati, con conseguente nocumento al buon funzionamento di un sistema di alta formazione post-secondaria di estrema importanza culturale, soprattutto in Italia, e di forte rilevanza per il futuro di decine di migliaia di studenti –:
   quale sia lo stato della procedura di emanazione del regolamento per le procedure di reclutamento del personale AFAM di cui all'articolo 2, comma 7, lettera e) della legge 21 dicembre 1999, n. 508; in particolare, in relazione ai termini temporali disposti dell'articolo 19, comma 01, del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, quando ne sia prevista l'emanazione;
   quale sia lo stato di attuazione della norma contenuta nell'articolo 19, comma 1, del decreto-legge n. 104 del 2013; in particolare, quale sia la situazione attuale e quella prevedibile delle assunzioni a tempo indeterminato fino all'esaurimento delle graduatorie nazionali introdotte da tale norma;
   quando sia prevista l'emanazione del decreto ministeriale che stabilirà le modalità di inserimento dei docenti precari AFAM interessati nelle graduatorie nazionali introdotte dall'articolo 19, comma 2, del decreto-legge n. 104 del 2013 e quali tempi si prevedano per la trasformazione dei relativi contratti di insegnamento in assunzioni a tempo determinato;
   quale sia lo stato di attuazione della norma contenuta nell'articolo 19, comma 3-bis, del citato decreto-legge n. 104 del 2013 in particolare come il Ministero intenda affrontare il problema della trasformazione a tempo indeterminato dei contratti di lavoro del personale EP o III area in servizio a tempo determinato da più di tre anni su posti in organico scoperti ma non definitivamente vacanti;
   quali siano gli intendimenti del Ministro riguardo all'intera problematica del personale docente e tecnico-amministrativo del sistema AFAM, con particolare attenzione ad un regolare reclutamento del personale in base a criteri di capacità e merito, nonché ad un sistema di avanzamenti di carriera che premi i docenti più meritevoli e impegnati. (5-02356)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALMIERI, SQUERI e LAINATI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con D.D.G. 13 luglio 2011 è stato bandito il concorso ordinario per esami e titoli a dirigente scolastico, concluso in Lombardia il 29 giugno 2012 e annullato dal TAR Lombardia il 18 luglio 2012: la graduatoria di merito dello stesso concorso è stata successivamente pubblicata in via definitiva il 27 agosto 2012 dall'Ufficio scolastico regionale della Lombardia e il 29 agosto 2012 il Consiglio di Stato non ha concesso la sospensiva per l'inserimento in servizio sotto condizione dei dirigenti scolastici lombardi;
   l'11 luglio 2013 il Consiglio di Stato ordinava la ricorrezione degli elaborati dei candidati al concorso per dirigenti scolastici previa ricostruzione dei plichi concorsuali indicando come responsabile del rispetto della procedura il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca;
   a fine luglio 2013 si svolgevano le operazioni di ripristino dei plichi, operazioni rinnovate i primi di ottobre 2013 per rendere le stesse inoppugnabili. Sempre nel mese di ottobre 2013 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca provvedeva alla nomina della nuova commissione esaminatrice e veniva dato il via alle operazioni di ricorrezione degli scritti, operazioni concluse nel dicembre 2013;
   nel frattempo veniva emanato il decreto-legge n. 104 del 2013 convertito poi dalla legge n. 128 del 2013 che conteneva all'articolo 17 uno specifico comma, il 6, sulla situazione del concorso a dirigenti scolastici;
   a dicembre 2013 veniva pubblicato all'albo dell'Ufficio scolastico regionale della Lombardia l'elenco degli ammessi agli orali e nello stesso dicembre 2013, a seguito di nota dell'Avvocatura di stato che permetteva di «conservare» gli orali per coloro che, avendo superato nuovamente gli scritti e avendo già sostenuto gli orali erano inseriti nell'elenco degli ammessi agli orali, veniva pubblicato il calendario degli orali;
   a febbraio 2014 sul sito dell'ufficio scolastico regionale Lombardia veniva pubblicata la graduatoria generale di merito e il giorno seguente l'ufficio scolastico regionale della Lombardia pubblicava il decreto per le operazioni propedeutiche alla firma del contatto per dirigente scolastico con presa di servizio immediata;
   sempre a fine febbraio 2014 con decreto pubblicato sul sito dell'ufficio scolastico regionale Lombardia venivano convocati i vincitori di concorso il giorno 7 marzo 2014 per la stipula dei contratti a tempo indeterminato con presa di servizio il 10 marzo 2014 nelle sedi assegnante;
   a marzo 2014 venivano ribadite le modalità di presa di servizio e veniva pubblicato il decreto con l'elenco delle sedi e le rispettive assegnazioni ai candidati vincitori di concorso;
   dunque, 346 vincitori di concorso provenienti da tutta Italia come consentito dalla legge n. 128 del 2014, articolo 17 comma 6, essendo stato autorizzato il contingente ed essendo stati gli interessati ufficialmente convocati dall'ufficio scolastico regionale, sono stati espressamente individuati come destinatari di una proposta di contratto a tempo indeterminato a far data dal 7 marzo 2014 con presa di servizio il 10 marzo 2014 come dirigenti scolastici;
   alle ore 20,06 del giorno 6 marzo 2014 arrivava una nota, non pubblica, al direttore generale dell'ufficio scolastico regionale Lombardia dottor Francesco de Sanctis a firma del capo dipartimento dottor Luciano Chiappetta in cui si chiedeva di procedere ad una nomina giuridica con decorrenza economica dal 1o settembre 2014 adducendo come motivazioni forti pressioni sindacali per preservare la continuità didattica;
   i destinatari di contratto erano all'oscuro della nota arrivata fuori tempo massimo per qualsivoglia comunicazione efficace e tempestiva;
   la legge n. 128 del 2013, all'articolo 17, comma 6, statuisce il diritto all'assunzione ove possibile in corso d'anno e cioè ove un contingente autorizzato è realmente disponibile: è a tal fine servita al Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca per mettere in servizio nel mese di ottobre 2013 i vincitori del concorso in Abruzzo;
   è dunque accaduto che gli interessati alla proposta di contratto a tempo indeterminato della regione Lombardia, pur avendo provveduto, specialmente se provenienti da fuori regione, a organizzare lo spostamento in Lombardia e comunque presso la sede destinata, sostenendo spese anche di alloggio e di trasferimento, si sono poi sentiti dire che le condizioni erano cambiate;
   la disparità di trattamento rispetto all'applicazione della legge pone i lombardi in una condizione differente, ad esempio, degli abruzzesi –:
   poiché non sono stati attuati gli accordi con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di immediata assunzione dei vincitori del concorso per dirigente scolastico al termine delle operazioni concorsuali come previsto da norma di legge, se non si reputi opportuno il ritiro della nota del capo dipartimento del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e l'inserimento in servizio al più presto possibile dei vincitori di concorso e comunque non oltre il termine del 30 giugno, termine che contempera il termine delle attività didattiche e dei contratti a tempo determinato stipulati per i supplenti dei vicari.
(4-04011)


   CIMBRO, CARNEVALI, CIVATI, COMINELLI, COVA, CINZIA MARIA FONTANA, GALPERTI, GUERRA, LAFORGIA, CASATI, MARANTELLI, MARZANO, MAURI, RAMPI, SANTERINI, SBERNA, SCUVERA e SENALDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con D.D.G. 13 luglio 2011 è stato bandito il concorso ordinario per esami e titoli a dirigente scolastici;
   lo stesso si è concluso in Lombardia il 29 giugno 2012;
   lo stesso è stato annullato dal TAR Lombardia il 18 luglio 2012;
   la graduatoria di merito dello stesso concorso è stata pubblicata in via definitiva il 27 agosto 2012 dall'ufficio scolastico regionale Lombardia;
   il 29 agosto 2012 il Consiglio di Stato non concedeva la sospensiva per l'inserimento in servizio sotto condizione dei dirigenti scolastici lombardi;
   l'11 luglio 2013 il Consiglio di Stato ordinava la ricorrezione degli elaborati dei candidati al concorso per dirigenti scolastici previa ricostruzione dei plichi concorsuali indicando come responsabile del rispetto della procedura il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   le operazioni di ripristino dei plichi sono avvenute una prima volta in data 19, 24 e 25 luglio 2013;
   nel frattempo veniva emanato il decreto-legge n. 104 del 2013 convertito poi con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013 che conteneva all'articolo 17 uno specifico comma, il numero 6, sulla situazione del concorso a dirigenti scolastici;
   le operazioni di ripristino dei plichi sono state rinnovate nei giorni 1, 2 e 3 ottobre 2013 per rendere le stesse inoppugnabili;
   nel mese di ottobre 2013 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca provvedeva alla nomina della nuova commissione esaminatrice e veniva dato il via alle operazioni di ricorrezione degli scritti, operazioni concluse nel dicembre 2013;
   il 13 dicembre 2013 veniva pubblicato all'albo dell'ufficio scolastico regionale Lombardia l'elenco degli ammessi agli orali;
   il 27 dicembre 2013 a seguito di nota dell'avvocatura di stato che conservava gli orali per coloro che, avendo superato nuovamente gli scritti e avendo già sostenuto gli orali erano inseriti nell'elenco degli ammessi agli orali, veniva pubblicato il calendario degli orali;
   il 25 febbraio 2014 sul sito dell'ufficio scolastico regionale Lombardia veniva pubblicata la graduatoria generale di merito;
   il 26 febbraio 2014 l'ufficio scolastico regionale della Lombardia pubblicava il decreto per le operazioni propedeutiche alla firma del contratto per dirigente scolastico con presa di servizio immediata;
   il 28 febbraio 2014 con decreto pubblicato sul sito dell'ufficio scolastico regionale Lombardia venivano convocati i vincitori di concorso il giorno 7 marzo 2014 per la stipula dei contratti a tempo indeterminato con presa di servizio il 10 marzo 2014 nelle sedi assegnante;
   il 5 marzo 2014 veniva ribadita la comunicazione e pubblicata ufficialmente conferenza del servizio per il giorno 7 marzo 2014 per la stipula dei contratti a tempo indeterminato contestualmente indicando le modalità di presa di servizio il 10 marzo 2014;
   il 6 marzo 2014 veniva pubblicato il decreto con l'elenco delle sedi e le rispettive assegnazioni ai candidati vincitori di concorso;
   dunque, 346 vincitori di concorso provenienti da tutta Italia come consentito dalla legge n. 128 del 2014 articolo 17, comma 6, essendo autorizzato il contingente ed essendo ufficialmente stati convocati dall'ufficio scolastico regionale, sono stati espressamente individuati come destinatari di una proposta di contratto a tempo indeterminato a far data dal 7 marzo 2014 con presa di servizio il 10 marzo 2014 come dirigenti scolastici;
   alle ore 20,06 del giorno 6 marzo 2014 arrivava una nota, non pubblica, al direttore generale dell'ufficio scolastico regionale Lombardia, dottore Francesco de Sanctis, a firma del capo dipartimento, dottore Luciano Chiappetta, in cui si chiedeva di procedere ad una nomina giuridica con decorrenza economica dal 1o settembre 2014 adducendo come motivazioni forti pressioni sindacali per preservare la continuità didattica;
   i destinatari di contratto erano all'oscuro della nota arrivata fuori tempo massimo per qualsivoglia comunicazione efficace e tempestiva;
   l'ufficio scolastico regionale Lombardia ha pubblicato costantemente all'albo tutti i comunicati relativi all'assunzione dei vincitori di concorso come espressamente previsto dalla legge n. 128 del 2013, articolo 17, comma 6;
   la detta legge è servita al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per mettere in servizio nel mese di ottobre i vincitori del concorso in Abruzzo la scorsa settimana i vincitori del concorso per dirigenti tecnici;
   la legge ha valore maggiore di una nota dipartimentale;
   la nota adduce la motivazione della continuità didattica che non ha forza di legge, in quanto la stessa nota cita un comma, che si riferisce espressamente alla mobilità docenti e non alla continuità;
   il decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013, all'articolo 17, comma 6, statuisce il diritto all'assunzione ove possibile in corso d'anno e cioè ove un contingente autorizzato è realmente disponibile;
   gli interessati alla proposta di contratto a tempo indeterminato hanno dovuto provvedere, specialmente se provenienti da fuori regione, a organizzare lo spostamento in Lombardia e comunque presso la sede destinata sostenendo spese anche di alloggio e di trasferimento;
   il giorno 7 marzo 2014 gli stessi si sono sentiti dire che, a seguito di una nota, durante la stessa mattina, le condizioni erano cambiate;
   la disparità di trattamento rispetto all'applicazione della legge pone i lombardi in una condizione differente, ad esempio, degli abruzzesi;
   gli accordi con il Ministero erano quelli dell'assunzione immediata al termine delle operazioni concorsuali di tutti i vincitori di concorso;
   il contratto firmato prevede decorrenza giuridica dal 10 marzo 2014 ed economica dall'effettiva presa di servizio –:
   quali iniziative intenda mettere in atto il Governo per garantire la continuità scolastica e allo stesso tempo permettere ai dirigenti idonei di effettuare la presa di servizio al 30 giugno 2014. (4-04014)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 10 marzo 2014 il coordinamento lombardo lavoratori esodati, insieme al consigliere regionale della Lega Nord, Pietro Foroni, ed al segretario nazionale del partito, Matteo Salvini, hanno organizzato un presidio davanti alla sede Inps di via Pola a Milano, per protestare contro le lungaggini burocratici dell'Inps e chiedere che venga finalmente applicato ed in tempi celeri il provvedimento regionale già riconosciuto dal Ministero in favore dei circa 800 lombardi esodati;
   la regione Lombardia ha individuato la possibilità di salvaguardare una fascia di esodati che avrebbero finito la mobilità senza raggiungere i requisiti pensionistici per mancanza di qualche giorno o qualche settimana, estendendo loro la mobilità in deroga fino al raggiungimento dei requisiti necessari;
   ciò è stato possibile in quanto la vigente normativa, nel prevedere la salvaguardia dei lavoratori collocati in mobilità a seguito di accordi governativi o non governativi, stipulati entro il 31 dicembre 2011, purché maturino i requisiti alla pensione ante decreto-legge n. 201 del 2011 durante il periodo di godimento dell'indennità di mobilità, non specifica se ordinaria o in deroga;
   nel mese di gennaio 2014 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha convalidato l'interpretazione regionale, mentre l'Inps ad oggi non ha ancora dato seguito all'accordo fatto dalla regione Lombardia con le parti sociali per poter salvaguardare una platea di esodati adducendo una serie di motivazioni che all'interrogante appaiono pretestuose –:
   se il Ministro non ritenga doveroso accertare celermente presso l'ente previdenziale vigilato le ragioni del mancato seguito da parte dell'ente medesimo dell'accordo regionale di cui in premessa. (5-02359)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANCARLO GIORGETTI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l’«opzione donna» è un regime sperimentale che prevede – secondo l'articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2003 cosiddetta Riforma Maroni – fino al 31 dicembre 2015 il pensionamento anticipato per le lavoratrici dipendenti che abbiano raggiunto 57 anni d'età, o per le autonome che ne abbiano raggiunti 58 anni (ai quali vanno aggiunti 3 mesi per effetto dell'adeguamento alla speranza di vita), con almeno 35 anni di contributi; in tal caso, chi usufruirà di tale opzione avrà la pensione calcolata interamente con il metodo contributivo;
   articolo 24, comma 14, del decreto-legge n. 201 del 2001, cosiddetta «Salva-Italia», ha previsto che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge medesimo continuino ad applicarsi, tra l'altro, alle lavoratrici contemplate per l'appunto dall'articolo 1 della riforma Maroni;
   sull'argomento la circolare Inps n. 35 del 14 marzo 2012 ha interpretato la norma di cui al predetto articolo 24 in maniera restrittiva, affermando che per esercitare l'opzione fosse necessario non solo maturare i requisiti entro il 31 dicembre 2015, ma anche percepire effettivamente il trattamento previdenziale, anticipando così il termine ultimo della domanda di oltre un anno;
   nello scorso novembre 2013, si ricorda, le Commissioni lavoro di Camera e Senato hanno approvato, ciascuna, una risoluzione con la quale si è impegnato il Governo «a sollecitare l'Inps (...) a rivedere il punto 7.2 della circolare n. 35 concernente la liquidazione del trattamento pensionistico per le lavoratrici in regime sperimentale, nel senso che per tali lavoratrici non deve essere applicata la finestra mobile per la decorrenza del trattamento pensionistico né le aspettative di vita, ma resta valida la semplice maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi entro il 31 dicembre 2015 (...);
   peraltro, dalla discussione in Commissione Lavoro della Camera è emerso un orientamento del Ministro interpellato favorevole ad un riesame della circolare in questione, contrariamente alla posizione del co-vigilante Ministero dell'economia che ritiene il punto 7.2 della circolare pienamente coerente con la norma primaria oggetto di interpretazione (articolo 24, decreto-legge n. 201 del 2011 –:
   se e quali azioni abbia intrapreso da novembre ad oggi per dare seguito al dispositivo della risoluzione citata in premessa e se non convenga sull'opportunità di intervenire con provvedimenti di propria competenza per prolungare anche oltre il 2015 il regime sperimentale cosiddetta «opzione Donna», posto che sebbene tale prosecuzione possa – ad avviso della ragioneria generale dello Stato – compromettere gli effetti complessivi della riforma pensionistica operata con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, giacché consentirebbe l'accesso a pensione ad un età ampiamente inferiore a quelle previste dalla medesima legge, è altrettanto vero che gli stessi sarebbero mitigati, se non addirittura compensati, dalle penalizzazioni derivanti dal conteggio della pensione interamente con il calcolo contributivo, anche per chi avrebbe normalmente usufruito del calcolo misto o puramente retributivo sino al 31 dicembre 2011. (4-04008)


   QUARANTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la procura di Savona, che sta indagando sulle emissioni della centrale Tirreno Power di Vado, ha chiesto e ottenuto il sequestro degli impianti perché dannosi per la salute;
   in particolare, si contesta la violazione di alcuni limiti di emissioni imposti dall'autorizzazione integrata ambientale e la mancanza del «sistema di monitoraggio a camino» che avrebbe dovuto essere installato entro il 14 settembre dell'anno 2013;
   nell'ordinanza firmata dal gip Fiorenza Giorgi si precisa che gli impianti potranno essere rimessi in funzione quando la centrale si sarà messa in regola con le tecnologie più adeguate;
   Tirreno Power ha circa 250 dipendenti impegnati nell'impianto di Vado Ligure –:
   quali iniziative intenda assumere a tutela dei lavoratori;
   se siano stati avviati o se si intendano avviare con urgenza degli studi epidemiologici e sulle emissioni al fine di avere un ulteriore quadro della situazione e al fine di tutelare l'ambiente e la salute dei cittadini. (4-04013)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FIORIO. —Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Sian (sistema informativo agricolo nazionale) è un servizio di interesse pubblico istituito con la legge n. 194 del 1984, che riunisce in un sistema informativo unitario tutti gli strumenti necessari all'esercizio delle funzioni dell'amministrazione centrale e delle regioni in materie agricole, forestali e agroalimentari;
   successivamente con il decreto legislativo numero 99 del 29 marzo 2004 i compiti di coordinamento e gestione del Sian sono stati trasferiti dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali all'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea);
   in seguito (secondo quanto disposto dalla legge n. 231 del 2005) è stata costituita Sin srl, una società a capitale misto pubblico – privato, con partecipazione pubblica maggioritaria, alla quale affidare la gestione e lo sviluppo del Sian, con lo scopo di migliorare la qualità e quantità dei servizi offerti;
   Sin oggi è partecipata al 51 per cento da Agea e al 49 per cento da un raggruppamento temporaneo di imprese (Rti), ovvero soci privati che sono stati scelti a seguito di una apposita procedura di gara;
   risulta all'interrogante che le Rti, nel 2007, si siano aggiudicate l'appalto per la ragguardevole cifra di 1,1 miliardi di euro per gestire il Sian fino al 2016;
   a seguito della trasformazione della Sin da Srl a Spa, deliberata nel 2011 dall'assemblea dei soci, il controllo non è più possibile in quanto la conduzione, con questa nuova forma, spetta «esclusivamente» agli amministratori della Sin e non quindi più ad Agea (direttamente sottoposta al controllo del Ministero politiche agricole, alimentari e forestali);
   secondo quanto riportato recentemente dagli organi di informazione Sian avrebbe drenato dal 2010 ad oggi circa 780 milioni di euro. È emerso inoltre che è stato rinnovato il contratto con i gestori privati aumentandone la provvigione di 90 milioni di euro;
   sull'attività di Sin la procura di Roma ha recentemente aperto una inchiesta riscontrando numerose irregolarità nella gestione delle erogazioni. Secondo indiscrezioni riportate dalla stampa «ci sarebbero milioni di euro pagati a chi non ha nemmeno un fazzoletto di terra coltivato, a prestanomi di clan mafiosi, a chi ha un garage e lo spaccia per fattoria. E spunta un finanziamento da 50 milioni finito nel nulla»;
   il consorzio di Imprese Rti ha subito ribattuto che non vi è stato «nessuno spreco di denaro pubblico nella gestione del Sian». «La Rti – riporta la nota – ha ricevuto per le attività svolte dal primo febbraio 2008 ad oggi, la diversa e ben inferiore somma di 490 milioni di euro. Il contratto è aumentato di 90 milioni perché Agea ha necessariamente dovuto prevedere una consistente quota di attività ulteriori rispetto al periodo precedente. Non è vero poi che i servizi siano stati collaudati negativamente: hanno avuto esiti positivo seppur con poche eccezioni. Il Sian non è un colabrodo, anche perché l'Italia si colloca ai primi posti in Europa quanto a sistemi di controllo»;
   tali affermazioni sarebbero state nettamente contestate dalle incongruità emerse palesemente dalla «Relazione tecnica» della commissione per collaudo finale del progetto per l'evoluzione dei servizi del Sian, del 25 settembre 2013;
   nel documento sopracitato le inesattezze sarebbero ripetute e vistose: ad esempio, le superfici dei terreni, inserite via internet nel sistema dagli agricoltori in molti casi sarebbero diverse da quelle reali; pratiche per le quali i finanziamenti vengono puntualmente erogati in «automatico», nonostante il software si accorga di scostamenti tra le superfici richieste e quelle effettive del 100 per cento. Sono presenti inoltre società agricole che accumulano penalità di 200 mila euro ed ottengono comunque gli stanziamenti e vi sono finestre del software in cui un soggetto, alla stessa data, appare prima come intestatario di 2 fabbricati agricoli e poi all'improvviso di 23;
   il Ministro interrogato ha chiesto una relazione urgente al commissario di Agea con particolare riferimento alle modalità e al grado di efficacia della gestione del Sian –:
   quando sarà resa nota la relazione del commissario di Agea, riportata in premessa, e quali siano le valutazioni emerse rispetto alla gestione del Sian;
   se non ritenga necessario promuovere l'istituzione di una commissione di inchiesta ministeriale sulla gestione del Sian anche al fine verificare l'opportunità di modificare gli accordi contrattuali con il consorzio di imprese Rti. (5-02358)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscrittori chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere — premesso che:
   i principali organi di stampa riportano la gravissima vicenda di Valentina Magnanti, lasciata da sola ad abortire in un bagno dell'ospedale Pertini di Roma. La donna, scoperto che la bimba che attendeva era affetta da una grave malattia genetica, di cui la madre era portatrice, per cui non c’è una prognosi di sopravvivenza, ha deciso di interrompere la gravidanza. Ricoverata dopo vari tentativi al Pertini, grazie all'unica ginecologa non obiettrice in servizio, la donna ha iniziato la terapia per indurre il parto, ma sfortuna ha voluto che dopo 15 ore di dolori e sofferenze, quando ha espulso il feto la ginecologa non era in servizio e tutti gli altri si sono dichiarati obiettori e hanno rifiutato di prestare soccorso alla donna, che ha abortito in un bagno aiutata solo dal marito;
   gli stessi organi di stampa ai primi di marzo avevano riportato la notizia della condanna del Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d'Europa allo Stato italiano per la violazione del principio di non discriminazione e del diritto delle donne alla salute poiché l'elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza impedisce la corretta applicazione della legge n. 194 del 1978 sul diritto all'interruzione volontaria di gravidanza;
   per la prima volta nella storia, il Consiglio d'Europa si esprime nettamente sulla situazione della applicazione della legge sull'aborto in Italia;
   il documento di condanna dell'Unione europea avrà però adesso un effetto importante: consentirà alle donne di denunciare i casi in cui in Italia non sarà possibile effettuare l'aborto in strutture pubbliche in ottemperanza della legge n. 194 e avviare così in Italia azioni legali contro medici obiettori e strutture ospedaliere;
   dalla stessa ultima relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 presentata al Parlamento dal Ministro della salute Lorenzin si evince che la percentuale degli obiettori di coscienza specie fra i ginecologi, mantiene livelli elevati (più di due su tre). Infatti, a livello nazionale, si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008, al 70,7 per cento nel 2009 e al 69,3 per cento nel 2010 e nel 2011;
   percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi sono presenti principalmente al sud): 88,4 per cento in Campania in Molise, 85,2 per cento in Basilicata, 84,6 per cento in Sicilia, 83,8 per cento in Abruzzo, 81,8 per cento nella provincia autonoma di Bolzano e 80,7 per cento nel Lazio;
   con l'approvazione della mozione 1-00074, in data martedì 11 giugno 2013, seduta n. 31, il Ministro Lorenzin si è impegnato a dare piena attuazione alla legge n. 194 del 1978 nel rispetto del diritto del singolo all'obiezione di coscienza –:
   se il Ministro sia a conoscenza dell'episodio accaduto alla signora Valentina Magnanti all'ospedale Pertini di Roma nel 2010 e quali misure abbia adottato o intenda adottare, per quanto di competenza, per far luce sulla vicenda, per individuare le cause di tali gravissimi fatti e per evitare che casi come quello di Valentina Magnanti si ripetano;
   quali iniziative il Governo intenda predisporre o abbia già predisposto, nei limiti delle proprie competenze, affinché nell'organizzazione dei sistemi sanitari regionali si attui il quarto comma dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, nella parte in cui si prevede l'obbligo di controllare e garantire l'attuazione del diritto della donna alla scelta libera e consapevole, anche attraverso una diversa gestione e mobilità del personale, garantendo la presenza di un'adeguata rete di servizi sul territorio in ogni regione;
   quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere o abbia assunto per valutare cosa, da giugno 2013 ad oggi, si sia fatto per attuare le disposizioni della mozione di cui sopra.
(2-00453) «Carnevali, Lenzi, Scuvera, Luciano Agostini, Gribaudo, Gregori, Villecco Calipari, Cenni, Capone, D'Incecco, Murer, Amato, Grassi, Miotto, Zoggia, Giorgis, Rosato, Rossomando, De Maria, Tullo, Cinzia Maria Fontana, Faraone, Cominelli, Mariani, Braga, Fabbri, Gadda».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Italia, in base ai dati Istat, la prevalenza del diabete riferita all'anno 2012, stimata su tutta la popolazione è pari al 5,5 per cento pari a circa 3,3 milioni di persone di cui oltre il 90 per cento affette da diabete di tipo 2), alle quali va aggiunta una quota stimabile di circa un milione di persone che, pur avendo la malattia, non ne sono a conoscenza;
   la prevalenza del diabete è cresciuta dal 3,7 al 5,5 per cento, negli ultimi 12 anni, per cui, è ragionevole ritenere che rispetto al 2002 ci siano oggi oltre un milione di persone in più affette da diabete;
   il diabete giovanile (diabete di tipo 1) può essere considerato la più frequente della patologie rare e da quanto si apprende dal sito internet di Diabete Italia (www.diabeteitalia.it) ogni anno nel nostro Paese si rilevano 84 casi ogni milione di persone (poco meno di 5 mila casi);
   alcune regioni italiane, in primo luogo la Sardegna, hanno tassi di incidenza superiori alla media europea e si stima che in Italia circa 250 mila persone abbiano il diabete di tipo 1;
   la letteratura scientifica dimostra che l'attività sportiva è fondamentale nella prevenzione, ma anche per una corretta gestione e quindi per il buon compenso del diabete;
   attraverso lo sport, gli atleti diabetici — oltre 2.000 in Italia impegnati in tutte le principali discipline sportive — possono ricavare importanti benefici per la propria salute e per la gestione della loro condizione;
   il Ministero della sanità statunitense ha pubblicato un documento onnicomprensivo sull'attività fisica con l'obiettivo di promuoverne la pratica nella popolazione generale, «U.S. Department of Health and Human Services. Physical activity and Health: a report of the surgeon General. Atlanta GA: U.S. Department of Health and Human Services, Center for desease control and prevention, nationale center for Chronic desease prevention and health promotion, 1996»;
   secondo una recente metanalisi, pubblicata sulla rivista scientifica Archives of Internal Medicine (Arch Intern Med. 2012 Sep 24;172(17):1306-12.: «A prospective study of weight training and risk of type 2 diabetes mellitus in men»), che ha analizzato 12 studi clinici e circa 6.000 persone con diabete di tipo 2, non insulino dipendente, l'esercizio costante e moderato ridurrebbe il rischio di andare incontro a malattie cardiovascolari, allungando anche l'aspettativa di vita;
   la percezione dello sport connesso alla malattia di cui in premessa è sensibilmente cambiata se di considera che la comunità scientifica considera l'attività fisica, praticata per almeno 30 minuti al giorno, per 5 giorni alla settimana, uno dei punti fermi della terapia;
   risulta indispensabile una stretta collaborazione tra il diabetologo e il medico dello sport, al fine di scegliere lo sport giusto e associare i farmaci necessari, in quanto se l'esercizio fisico non è adeguato e lo sport non è praticato con regolarità, l'equilibrio glicemico può essere compromesso, con variazioni anche importanti dei valori abituali;
   le linee guida del 2008 per la diagnosi e la cura del diabete insistono sull'attività fisica, che deve essere almeno di 150 minuti settimanali, di tipo aerobico, con un'intensità pari al 50-70 per cento della frequenza cardiaca massima;
   in data 31 gennaio 2014 si è svolto il primo Hangout sul diabete «#5 azioni» durante il quale si è affrontata la tematica «diabete e sport» con la partecipazione di rappresentanti istituzionali e sportivi diabetici e con il contributo video di Mauro Berruto, presidente di Destinazione Sport e di diversi pazienti;
   durante «#5 azioni» è emersa la necessità di garantire il diritto alla salute di cui all'articolo 32 della Costituzione anche attraverso la pratica sportiva, soprattutto per i giovani diabetici e la mancanza ad oggi di una sensibilizzazione all'esercizio sportivo, così come l'insufficienza dell'orario scolastico di educazione fisica a garantire ai minori diabetici una corretta e specifica attività fisica rispetto alla patologia diabetica –:
   se non si ritenga urgente e doveroso porre in essere, per quanto di competenza, le iniziative normative volte a garantire l'accesso gratuito o eventuali sgravi fiscali alla pratica sportiva extrascolastica per le famiglie che hanno all'interno del proprio nucleo familiare minori affetti da diabete. (5-02354)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'epatite C è una infiammazione del fegato dovuta a una infezione causata dall'Hepatitis C Virus (HCV). L'HCV è trasmesso principalmente dal contatto diretto con il sangue infetto attraverso trasfusioni di sangue e con presidi medici non sterilizzati, incluso lo scambio di siringhe legato all'uso di droghe per via endovenosa;
   l'infezione da virus C spesso può determinare una infiammazione persistente del fegato che può evolvere in forma cronica, stimolando la fibrosi e la possibile evoluzione in cirrosi;
   l'ulteriore evoluzione in cirrosi comporta la progressiva compromissione della funzionalità epatica sino alla insufficienza epatica;
   la cirrosi può essere complicata dalla ipertensione portale con la comparsa di varici esofagee e gastriche ad alto rischio emorragico e dal cancro del fegato. Il trapianto rappresenta per alcuni pazienti (e non per tutti) l'unica soluzione (spesso non risolutiva) per la gestione di questa malattia;
   dai dati pubblicati nel libro bianco AISF 2011 e dal Technical Report sulle epatiti B e C del centro Europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (ECDC) emerge che in Italia le epatiti virali costituiscono una vera e propria emergenza sanitaria, in particolare l'epatite C;
   tali pubblicazioni che contengono una dettagliata analisi epidemiologica, sociale ed economica delle epatopatie in Europa, evidenziano il triste primato del nostro Paese in termini di numero di soggetti HCV positivi e di mortalità per tumore primitivo del fegato (HCC);
   dati ISTAT 2008 riferiti al contesto nazionale confermano più di ventimila decessi/anno a causa di epatite cronica, cirrosi e tumore del fegato evidenziando l'impatto che ha l'epatite sul Sistema sanitario nazionale, sulla società e sulle famiglie italiane, oltre che sui singoli individui affetti da epatite e relative complicanze;
   sebbene una stima precisa della prevalenza di anti-HCV non esista, è verosimile che circa il tre percento della popolazione italiana sia venuta a contatto con il virus e circa un milione siano i pazienti portatori cronici del virus;
   il Technical Report dell'ECDC conferma la maggiore prevalenza nelle aree meridionali ed insulari e la forte variabilità nelle diverse aree della penisola con un gradiente Sud – Nord dall'otto per cento al due per cento;
   per la terza volta in Italia, il 22 novembre 2013, si è celebrata la Giornata mondiale delle epatiti che rappresenta una delle quattro celebrazioni ufficiali di malattie-specifiche (diabete, malattie cardiovascolari e tumori) previste dall'organizzazione Mondiale della sanità;
   dopo un lungo periodo di gestazione, è stato recentemente ultimato anche in Italia il Piano nazionale per lotta alle epatiti virali (PNLEV), previsto per ogni Paese dalla risoluzione n. 63.18 del maggio 2010 dall'organizzazione mondiale della sanità, al fine di sollecitare gli Stati membri ad attuare politiche concrete di informazione, prevenzione e accesso al farmaco;
   lo sviluppo degli aspetti di prevenzione e corretta informazione, congiuntamente ad una garanzia di accesso equo alle nuove cure, appare possibile solamente con lo stanziamento di fondi dedicati al problema –:
   quali misure intenda adottare per rendere concretamente operativo il Piano nazionale per la lotta alle epatiti virali e per garantire allo stesso Piano un fondo vincolato (alla stregua dell'HIV) che possa ricomprendere tutte le iniziative necessarie per ridurre il peso sociale ed economico delle epatiti virali nel nostro Paese;
   quali iniziative intenda mettere in campo in termini di prevenzione, informazione, screening e equo e tempestivo accesso a cure appropriate. (4-03999)


   DELLA VALLE e CASTELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità in Europa vi sono circa 2 milioni di persone affette dal virus HIV e circa metà di esse ignora questo fatto;
   in Italia le statistiche dell'Istituto superiore della sanità testimoniano che nel 2012 la proporzione dei contagi di malattie sessualmente trasmissibili nella popolazione femminile è tornata a crescere;
   in Italia nel periodo tra 1985 e il 2011, sono state segnalate 52.629 nuove diagnosi di infezione da Hiv;
   la modalità di infezione più frequente risulta essere il rapporto sessuale non protetto;
   in molti Paesi del mondo, come USA e Brasile, è distribuito gratuitamente quello che è comunemente conosciuto come preservativo femminile (FEMIDOM), considerato da organizzazioni sanitarie e associazioni ONLUS che combattono la diffusione del virus dell'HIV, come un ottimo ritrovato per la lotta alle infezioni sessualmente trasmettibili;
   in Francia, dopo molte sollecitazioni da parte di associazioni, il Governo ha lanciato una campagna specifica per rendere il FEMIDOM vendibile a prezzi accessibili a tutti;
   il preservativo femminile (FEMIDOM), come riscontrabile in molti articoli di giornali anche recenti, è di difficile reperimento in Italia, fino al punto di essere del tutto assente nei consultori e nei programmi sanitari;
   essendo l'acquisto possibile solo tramite prenotazione, il prezzo del FEMIDOM risulta più alto in confronto a quanto potrebbe esserlo se di comune reperimento;
   una giusta sensibilizzazione sull'argomento e una distribuzione più ampia del FEMIDOM consentirebbero una lotta più efficace alla diffusione delle malattie sessualmente trasmettibili, e si eliminerebbero discriminazioni tra l'uomo e la donna nell'utilizzo dei contraccettivi –:
   quali misure intenda assumere, nel limite delle sue competenze, affinché sia intrapresa in Italia una campagna di sensibilizzazione sull'utilizzo del FEMIDOM atta a combattere il diffondersi di malattie sessualmente trasmissibili;
   se intenda intraprendere azioni affinché la diffusione del FEMIDOM sia incentivata nel circuito sanitario italiano;
   se siano previsti programmi di sensibilizzazione e distribuzione gratuita di contraccettivi sia maschili che femminili agli studenti, sul modello di quelli istituiti negli USA, in Francia e in Brasile.
(4-04000)


    D'AMBROSIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del programma regionale degli interventi di edilizia sanitaria di cui all'ex articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67 – 1a Fase – veniva prevista l'esecuzione dei lavori di «costruzione nuovo ospedale della Murgia» per un importo di lire 30.000.000.000 in euro 15.493.706,97;
   nelle intenzioni iniziali, il «nuovo ospedale della Murgia» era deputato ad essere polo di eccellenza e sarebbe dovuto entrare in funzione negli anni ’90 con una disponibilità di 300 posti letto e le specialistiche: neurologia, urologia, riabilitazione funzionale, neonatologia, oncologia, otorinolaringoiatria, medicina trasfusionale, unità per il trattamento dei farmaci antiblastici;
   nel corso degli anni, ci sono state varianti, interruzioni dei lavori, contenziosi, che hanno avuto come conseguenza, il ritardo della messa in funzione della struttura e il consistente lievitare dei costi per dieci volte circa il preventivo iniziale;
   nuovi esborsi di denaro sono previsti per il progetto di tre rotatorie in prossimità del nosocomio: una prima rotatoria come risoluzione dell'intersezione tra la provinciale 27 e la comunale per la strada provinciale 201, una seconda rotatoria come risoluzione dell'intersezione tra la nuova strada e la strada statale 96 nei pressi dell'ospedale, una terza rotatoria in prossimità dell'ingresso della struttura; per il costo complessivo di tre milioni e ottocento mila euro da suddividersi a carico del comune di Gravina, della ASL di Bari e della provincia di Bari;
   più volte è stata annunciata, senza poi effettiva esecuzione, l'inaugurazione del nosocomio; da ultime notizie, pare prevista entro il prossimo mese di aprile 2014; ma con posti letto ridotti a meno di 200 e senza specialistiche che renderebbero il «nuovo ospedale» davvero d'eccellenza;
   allo stato dei fatti, anni di attesa e ingenti somme di denaro pubblico investito, non porteranno effettivo giovamento al territorio, il quale si troverà ancora a dipendere dai presidi ospedalieri di altre città per urgenze e specialistiche –:
   quale sia la convenienza di ulteriori investimenti per il mantenimento e la gestione di tale struttura sanitaria, senza che vi sia una completa attivazione di tutti i Reparti necessari così come previsti all'origine. (4-04004)


   SILVIA GIORDANO, GRILLO, MANTERO, DALL'OSSO, CECCONI, BARONI, LOREFICE, SPADONI, DI BENEDETTO, DI VITA e CASTELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il caso di Valentina M. 28 anni, costretta ad abortire in un bagno dell'ospedale «Sandro Pertini» di Roma, dopo 15 ore di dolori lancinanti, assistita solo dal marito perché tutto il personale sanitario in servizio si sarebbe dichiarato obiettore di coscienza, dimostra, ancora una volta, quanto sia necessario un intervento integrativo e migliorativo della legge n. 194 del 22 maggio 1978;
   il caso è accaduto a poche ore dalla condanna che l'Unione europea aveva inflitto all'Italia proprio per la difficoltà di esecuzione della pratica dell'aborto;
   il Consiglio d'Europa condanna l'Italia con un documento nel quale si legge: «a causa dell'elevato e crescente numero dei medici obiettori di coscienza, l'Italia viola i diritti delle donne che, alle condizioni prescritte dalla legge 194 del 1978, intendono interrompere la gravidanza». Un'accusa molto grave che verte su due punti: la violazione dei diritti delle donne e l'influente numero dei medici obiettori;
   i dati pubblicati dal Ministero, sul numero di personale sanitario che si dichiara obiettore di coscienza, servono a far riflettere sulle difficoltà per le madri di poter ottenere la giusta assistenza per la pratica dell'aborto in strutture sanitarie pubbliche. La media italiana del personale obiettore di coscienza è del 71 per cento con punte di gran lunga superiori in regioni come la Campania che conta l'84 per cento di ginecologi obiettori e il 77 per cento di anestesisti obiettori, come la Basilicata che ha l'85,2 per cento di ginecologi obiettori e il 63,4 per cento di anestesisti obiettori, oppure come la Sicilia che ha l'80,6 per cento di ginecologi obiettori e il 78,1 per cento di anestesisti obiettori;
   questi dati purtroppo rendono ancor più difficile debellare il fenomeno dell'aborto clandestino, intensificando, di contro, l'induzione al ricorso di questa pratica clandestina in violazione dei principi della legge n. 194 del 1978 nata, appunto, con lo scopo di evitarli anche per tutelare dai pericoli che ne conseguono;
   non si capisce per quale motivo il personale sanitario, tornando al succitato caso romano, abbia continua ad operare senza rispettare il comma 3 dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978 che lo esonera dall'esercizio di attività e procedure direttamente e specificatamente necessarie all'interruzione di gravidanza e alle attività ausiliare, ma non lo esonera dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento;
   inoltre, il medesimo articolo prosegue con un principio fondamentale nell'interpretazione dell'obiezione di coscienza che deve guardare anche al pericolo di vita della madre nell'esercizio della pratica di aborto: «l'obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo»;
   l'intervento, auspicato dal legislatore, per salvaguardare la vita umana indipendentemente dall'età anagrafica, è rafforzato anche dalla precisazione successiva che esonera questi casi dalla revoca di obiezione di coscienza nei confronti degli operatori sanitari che si rendono partecipi della salvaguardia dei diritti delle donne;
   la legge, quindi, non è stata rispettata nel caso avvenuto nell'ospedale «Sandro Pertini» di Roma e non viene rispettata altre ventimila volte, ovvero il numero di aborti illegali calcolati dal Ministero della sanità con stime mai più aggiornate dal 2008, quarantamila, forse cinquantamila, presumendo quelli reali che restano nel buio delle stanze della morte;
   le donne respinte dalle istituzioni tornano al silenzio e al segreto, come quarant'anni fa. Alcune muoiono, altre diventano sterili, ma nessuno ne parla;
   il caso di Valentina pone anche la questione di una riflessione sulla legge n. 40 del 19 febbraio 2004, che le vieta l'accesso alla fecondazione assistita e alla diagnosi pre-impianto; di fatto, essendo affetta da una malattia rara, ella è costretta a dover decidere per una interruzione di gravidanza quando scopre della malattia della figlia che portava in grembo –:
   quali iniziative intenda adottare o siano state già avviate al fine di garantire, presso tutte le strutture pubbliche sanitarie del territorio italiano, nel rispetto delle competenze istituzionali territoriali, che vengano rispettati i diritti delle donne affinché casi come quelli di Valentina non abbiano più a ripetersi, nel rispetto delle normative nazionali europee sulla base delle quali l'Italia è già stata condannata;
   se intenda promuovere iniziative per l'integrazione della legge n. 194 del 1978 attraverso l'introduzione di norme che regolino la presenza di personale sanitario obiettore di coscienza senza creare per questo ingenti pericoli alle donne che si trovano nelle condizioni, previste dalla legge, di estrema necessità all'interruzione della gravidanza. (4-04005)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLEA e ANDREA ROMANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la vertenza Ferretti spa, leader mondiale nella produzione di imbarcazioni di lusso, si è aperta ufficialmente il 23 gennaio 2014 con la presentazione al coordinamento sindacale nazionale di Gruppo (Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil) di un programma di cessazione dell'attività produttiva nel cantiere di Forlì che attualmente occupa circa 200 dipendenti fra diretti e indiretti di produzione;
   il programma è motivato dalla necessità di effettuare riduzioni di costo di carattere strutturale rispetto ad un andamento fortemente negativo del mercato di riferimento (nautica da diporto di lusso) ed un risultato di bilancio 2013 in pesante perdita;
   nel gennaio 2012 Shandong Heavy Industry Group-Weichai Group, società cinese produttrice di scavatrici e trattori, ha rilevato il 58 per cento di Ferretti Group per 374 milioni di euro. Al momento dell'operazione la Ferretti aveva un debito di 600 milioni di euro e la dirigenza è stata riconfermata dai nuovi azionisti;
   nel giugno 2012 il tribunale di Forlì ha omologato per Ferretti spa l'accordo di ristrutturazione del debito, ai sensi dell'articolo 182-bis della legge fallimentare, in base ad un piano di continuazione dell'attività produttiva e di rilancio aziendale;
   nel dicembre 2012 il Gruppo ha presentato al coordinamento sindacale nazionale un piano industriale quinquennale che prevedeva il mantenimento di tutti i siti produttivi (5 per la produzione di imbarcazioni in vetroresina: Forlì, Cattolica (Rimini), Mondolfo (Pesaro), Sarnico (Bergamo) e La Spezia, 1 per l'acciaio: CRN Spa di Ancona) e il progressivo recupero di riequilibrio economico e di fatturato, nonché importanti investimenti sul piano commerciale e produttivo. In particolare, per Forlì veniva confermato anche il progetto di un nuovo stabilimento, previsto da apposito accordo di programma, in zona Ronco;
   il 23 gennaio 2014 e nei due successivi incontri (28 gennaio e 5 febbraio, quest'ultimo alla presenza dei delegati di tutti gli stabilimenti) la direzione Ferretti spa ha manifestato l'intenzione di chiudere progressivamente, dopo venticinque anni di attività produttiva, il sito di Forlì, trasferendo in altri stabilimenti le lavorazioni ivi presenti e circa 150 dipendenti, attualmente in carico a Forlì;
   in particolare, i vertici aziendali hanno proposto il trasferimento incentivato di circa 80 lavoratori a Cattolica (che ha già accorpato San Giovanni in Marignano) e a Mondolfo nelle Marche (che ha sottratto la direzione aziendale proprio a Forlì dove è rimasta la sede del gruppo) e di circa 70 lavoratori a La Spezia, mentre altri 50 dipendenti sarebbero assorbiti tramite una procedura di mobilità incentivata riguardante lavoratori individuati col requisito della «volontarietà» fra tutti i siti del gruppo;
   alla base della cessazione dell'attività nello stabilimento di Forlì vi sarebbe un forte calo delle vendite che non solo sarebbe dovuto al fatto che il settore della nautica continua a risentire in maniera pesante della crisi mondiale, ma sarebbe anche conseguenza delle criticità logistiche: distanza dal mare e da strutture portuali e obsolescenza infrastrutturale (non a caso era stato pianificato il nuovo stabilimento), nonché delle tipologie di prodotto: le imbarcazioni più grandi vengono realizzate altrove e nel sito di Forlì sono prodotte solo quelle di dimensioni ridotte (fino a 74 piedi) che appaiono attualmente le più penalizzate dal mercato;
   la società ha precisato che «gli altri siti sono più flessibili e in grado di recepire il carico di lavoro oggi assegnato a Forlì, incrementando il livello globale di efficienza. Proprio a Forlì è concentrata l'attività produttiva delle imbarcazioni di piccola taglia, inferiore ai 74 piedi, segmento di mercato che ha maggiormente risentito della crisi mondiale. Lo stabilimento non è adatto alla produzione di imbarcazioni di dimensione maggiore». Per questo motivo l'azienda ha deciso di sacrificare il sito forlivese in un «percorso di contenimento dei costi fissi e di struttura finalizzato a salvaguardare il futuro del gruppo»;
   in un comunicato dello scorso mese i vertici dell'azienda hanno confermato che «sono in programma incontri con le organizzazioni sindacali volti a individuare soluzioni idonee a fronteggiare efficacemente il perdurare dell'attuale scenario macroeconomico negativo, con particolare riferimento al settore nautico, che determina il permanere di un eccesso di capacità produttiva rispetto alla domanda e un insostenibile squilibrio nei costi industriali della Ferretti group con pesanti ricadute sulla competitività aziendale. Alla luce dell'attuale contesto di mercato, quindi, il futuro stesso di Ferretti group nel nostro Paese dipende dalla capacità di efficientare il proprio assetto produttivo»;
   nei piani della società vi è quindi la volontà di mettere in atto interventi strutturali miranti ad ottimizzare le produzioni e a rivedere i costi, e pertanto la chiusura del sito produttivo forlivese, il cui assetto è ritenuto non efficiente e la capacità doppia rispetto alle quantità effettivamente prodotte (in particolare per la produzione in vetroresina), è funzionale a questo progetto;
   il risparmio valutato dall'azienda sull'operazione è di circa 4,5 milioni di euro a regime, di cui 3 sul personale e 1,5 sui costi fissi di struttura;
   le organizzazioni sindacali ritengono poco convincenti i dati presentati dall'azienda, in quanto i risparmi si otterrebbero solo a regime e tra qualche anno, mentre l'ultimo esercizio si è chiuso con un passivo di 35 milioni. I sindacati sostengono che «c’è un'evidente sproporzione tra gli obiettivi economici in termini di riduzione dei costi e risparmi effettivi (nel 2014 non oltre i 2 milioni di euro) e le conseguenze sociali e occupazionali. Sono ancora numerose le attività effettuate all'esterno o affidate in appalto: avrebbe senso concentrare alcune di queste lavorazioni a Forlì»; inoltre, in una nota Fillea Cgil–Filca Cisl–Fenal Uil del Coordinamento nazionale Gruppo Ferretti sottolineano che «le ragioni portate dall'azienda a supporto del proprio piano di ristrutturazione sono da subito apparse deboli ed inadeguate ad affrontare le conseguenze della crisi del settore – ricordano considerando che si metteva in discussione uno dei poli produttivi e professionali di qualità senza, peraltro, garantire investimenti sugli altri cantieri»;
   a tal fine le organizzazioni sindacali hanno proposto il ricorso agli ammortizzatori sociali e l'utilizzo di strumenti «che consentono di gestire senza soluzioni traumatiche l'attuale difficoltà; la Cigs a disposizione per tutti i lavoratori diretti e indiretti del gruppo, la procedura di mobilità volontaria non ancora esaurita, disponibilità all'esodo volontario, altri ammortizzatori sociali»;
   la volontà manifestata dalla direzione del Gruppo Ferretti di procedere alla chiusura dello stabilimento produttivo forlivese e l'annuncio di un cambio di strategia motivato da difficoltà di mercato e dalla necessità di ridurre i costi a fronte di un calo degli ordinativi e quindi della produzione «è inaccettabile anche per l'amministrazione comunale di Forlì, dal momento che in questo modo si vanificherebbero tutti gli sforzi che la comunità ha messo in campo per dare risposte alle esigenze del gruppo Ferretti, a partire dall'Accordo di programma approvato nella precedente legislatura e alle modifiche introdotte nei percorsi formativi per consentire il reperimento delle professionalità richieste dalla filiera produttiva nautica che reclamava una massima attenzione includendo investitori cinesi»;
   l'accordo di programma, firmato nel maggio 2005 tra il comune di Forlì, la provincia e il gruppo Ferretti, che avrebbe dovuto trasferire l'attività produttiva dello stabilimento forlivese nella nuova area del Ronco, non è mai stato attuato e il comune di Forlì starebbe valutando se ricorrono gli estremi di interesse pubblico per far valere il diritto di revoca dell'Accordo, con il ritorno dell'area alla destinazione d'uso originaria, cioè agricola se per la parte riguardante la realizzazione dello stabilimento e le relative ricadute occupazionali non venisse attuato;
   eppure, come sostiene il comune, «poco più di un anno fa la direzione Ferretti confermava la volontà di mantenere il sito produttivo per l'alto livello sul territorio, anche nell'indotto delle Pmi contoterziste, evidenziando la volontà di potenziare anche la funzione direzionale e strategica di quella realtà»;
   la proprietà straniera, a fronte di rilievi relativi alla obsolescenza degli impianti e difficoltà di bilancio del settore in crisi, avrebbe deciso di chiudere lo stabilimento forlivese, sebbene solo quattro anni fa Forlì fosse un punto di riferimento mondiale del settore e lo stabilimento forlivese fosse quello con i migliori risultati di efficienza e marginalità del Gruppo;
   dopo varie settimane di scioperi, proteste, mobilitazioni e incontri tra istituzioni, vertici dell'azienda, sindacati e lavoratori, nelle scorse settimane è stato concordato di salvare lo stabilimento forlivese del gruppo Ferretti;
   l'accordo sottoscritto il 18 febbraio 2014 nella sede del Ministero per lo sviluppo economico a Roma fra dirigenti del gruppo Ferretti, rappresentanti dei sindacati e istituzioni, e ratificato il giorno seguente dall'assemblea sindacale dei lavoratori, impegna l'azienda a mantenere tutti i siti produttivi italiani (Forlì, Cattolica, Mondolfo, Sarnico, La Spezia) e a garantire la loro funzionalità e produzione per quattro anni;
   l'intesa, che ha durata fino al 31 dicembre 2017, prevede inoltre l'attivazione degli ammortizzatori sociali alla scadenza della cassa integrazione guadagni straordinari in atto per fronteggiare l'attuale calo di ordinativi; gli esuberi saranno gestiti attivando una procedura di mobilità volontaria («non oppositiva») e incentivata per 50 lavoratori nel gruppo: 20 unità di personale in produzione a Forlì (diretti) e 30 unità di personale di staff in tutto il gruppo (indiretti);
   l'accordo prevede altresì l'introduzione, in via sperimentale, per i soli lavoratori del sito forlivese, di un orario di lavoro multiperiodale secondo la disciplina specifica prevista dal contratto nazionale: si tratta di una programmazione annuale che permette di lavorare più ore settimanali nei periodi di maggiore esigenza, recuperando successivamente, a seconda della necessità della produzione;
   nell'ambito dell'intesa raggiunta, sarà rinnovato entro il 30 aprile 2014, per una durata di quattro anni, il contratto integrativo aziendale e sarà modificato, fermo restando l'importo massimo annuale raggiungibile, il parametro del premio di risultato legato alla redditività che passerà dal 20 per cento al 47 per cento del totale. Azienda e sindacati attiveranno altri confronti tecnici per stabilire le modalità attraverso le quali consentire al gruppo Ferretti di ottenere una riduzione strutturale dei costi di 4,6 milioni. Al Ministero dello sviluppo economico spetta la supervisione dell'intesa per monitorare che tutti i punti sottoscritti vengano rispettati, con una verifica trimestrale delle prospettive industriali ed economiche di Ferretti spa;
   parte integrante dell'accordo è anche la valorizzazione del prodotto, attraverso scuole di formazione e ricerca, e a tal fine Ministero e regione si attiveranno per agevolare processi di innovazione di processo e di prodotto; in particolare, la regione si è impegnata ad emanare a breve bandi su progetti di ricerca industriale strategica;
   il comune di Forlì si è invece impegnato a verificare la possibilità di un allungamento dei termini dell'accordo di programma per la costruzione di un nuovo stabilimento in area Ronco;
   l'accordo sottoscritto nelle scorse settimane è importante non solo per la salvaguardia dei posti di lavoro per i dipendenti direttamente occupati dalla multinazionale, e in particolare dallo stabilimento forlivese, ma anche per quelli dell'indotto nel territorio, pari ad almeno 2.000 unità produttive, che, a vario titolo, collaborano con il colosso della nautica e sono in grado di garantire una produzione eccellente anche a livello internazionale, mostrando sempre competenza e professionalità nei confronti della committenza;
   oltre all'alta qualità dell'intero comparto nautico forlivese, non va altresì dimenticato il fatto, non usuale, di poter contare sulla presenza a Forlì dell'università e di centri per l'innovazione in grado di garantire il supporto tecnologico per i progetti di sviluppo del settore –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, in stretta connessione con la regione e il comune, per monitorare la puntuale applicazione degli impegni assunti, affinché siano rispettati i termini dell'accordo di programma raggiunto, necessario per salvaguardare l'occupazione e le prospettive industriali non solo dello stabilimento di Forlì, ma anche di tutto il gruppo Ferretti, nonché per tutelare una realtà produttiva così rilevante nel panorama economico italiano e mondiale;
   quali ulteriori azioni abbia intenzione di attuare per garantire il mantenimento di una storia e di una competenza e professionalità in campo nautico che da almeno quarant'anni caratterizzano il gruppo Ferretti anche all'estero e, in particolare, per scongiurare lo smantellamento della produzione nel sito forlivese, dal momento che la deindustrializzazione di un territorio trascina con sé gravi conseguenze sul piano economico, produttivo, sociale e culturale dell'intera provincia;
   se sia possibile prolungare i termini dell'accordo di programma al fine di consentire anche l'attuazione di importanti investimenti sul piano commerciale e produttivo, tenuto conto pure del fatto che la stessa regione si è impegnata ad emanare a breve bandi sulla progettazione, e in particolare per permettere la costruzione del nuovo stabilimento di Forlì in zona Ronco, necessario a fronteggiare le criticità di obsolescenza infrastrutturale dell'attuale sito forlivese;
   quali siano le soluzioni idonee per fronteggiare efficacemente il perdurare della crisi del settore nautico, che determina il permanere di un eccesso di capacità produttiva rispetto alla domanda e, un insostenibile squilibrio nei costi industriali delle imprese del settore, con pesanti ricadute sulla competitività aziendale.
(4-04015)

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Silvia Giordano e altri n. 7-00297, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Liuzzi.

  La risoluzione in Commissione Currò n. 7-00302, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cariello.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fiano n. 5-01848, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 gennaio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rosato.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Marcon n. 1-00362, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 185 del 7 marzo 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    la politica economica europea in generale, e fiscale in particolare, non è stata capace di risolvere gli enormi problemi sociali sopraggiunti dopo la crisi del 2007. Una crisi che per profondità e lunghezza è più lunga della grande crisi del ’29;
    le politiche e le misure adottate dall'Unione europea per contrastare la crisi intervenuta nel 2007, hanno disegnato un quadro abbastanza stringente di obiettivi finanziari, in particolare la solidità dei bilanci pubblici, a discapito di misure (economiche e finanziarie) che potessero realmente implementare «Europa 2020». Mentre i vincoli di finanza pubblica, indebitamento e debito pubblico, sono stringenti, gli impegni per la crescita e lo sviluppo sono per lo più delle (buone) raccomandazioni, e non prevedono sanzioni in caso di mancante raggiungimento. Il quadro che emerge è una serie di strumenti potenzialmente coerenti per coordinare le politiche fiscali europee tese a costruire un'agenda economica rafforzata, la stabilità dell'euro e la «regolamentazione» del settore finanziario, ma gerarchicamente slegata dalle policy per la crescita. Non a caso i vincoli-squilibri macroeconomici e di competitività sono emersi con tutta la loro violenza. Se anche la Germania ha ricevuto un richiamo dalla Commissione europea per il suo eccessivo surplus commerciale, c’è veramente qualcosa che non funziona nella politica economica europea;
    il patto di stabilità è stato peraltro definito «Patto di stabilità e crescita», dunque non solo di stabilità; va sottolineato come, da solo, il crollo del PIL nel 2009 di 5,5 punti, è responsabile matematicamente dell'aumento del rapporto debito/pil di 7 punti e del rapporto della spesa pensionistica sul Pil di un punto;
    il vincolo del 3 per cento sul disavanzo deriva dal Patto di stabilità e crescita (Psc), che introduceva regole di disciplina fiscale poi rafforzatesi nel tempo attraverso i cosiddetti «Six-pack», «Fiscal Compact» e «Two-pack»: fino a creare un sistema assai complesso di procedure, vincoli e sanzioni. Il mancato rispetto del limite fa scattare la «procedura per disavanzo eccessivo» (Pde);
    peraltro il cosiddetto «Fiscal compact», rappresenta solo un accordo fra Paesi, e di rango inferiore nella gerarchia delle fonti rispetto al Six-pack e al Two-pack, che sono parte dei Trattati che regolano l'Unione; il Fiscal compact, anche se di fatto applicato da quasi tutti i Paesi (ma no nell'UK e nella Repubblica ceca) potrebbe dunque più facilmente essere abbandonato;
    in realtà, non esiste una valida teoria economica che giustifichi il rigido vincolo del 3 per cento, soglia massima nel rapporto deficit/Pil;
    la storia di quella percentuale «scolpita nella pietra» è complicata, opaca e misteriosa. Risale al 1991, quando viene firmato nella città olandese di Maastricht l'omonimo Trattato, fondamento per l'Unione monetaria da realizzarsi nel 1999. Economisti e giuristi che lavorano a quei testi, sotto l'autorevole influenza di Tommaso Padoa Schioppa, esplorano le condizioni per «un'area monetaria ottimale». In cerca di criteri di stabilità, finiscono per accordarsi sui seguenti parametri per l'accesso all'euro:
     a) inflazione non più alta di 1,5 punti rispetto ai tre Paesi con il tasso d'inflazione più basso;
     b) deficit statale non superiore al 3 per cento del Pil;
     c) debito pubblico non superiore al 60 per cento del Pil;
     d) stabilità del tasso di cambio nei due anni precedenti l'ingresso nell'unione monetaria;
     e) tassi d'interesse di lungo termine non superiori di oltre due punti rispetto ai tre Paesi dai tassi più bassi;
    siamo in pieno «regno del simbolismo», a proposito della soglia deficit/Pil la cui validità non è mai stata dimostrata. Nessuno infatti, è mai riuscito a dare una spiegazione plausibile, sul perché quelle cifre furono scelte;
    di tutti questi criteri, alcuni non sono mai stati veramente applicati, come quello sul debito. Altri hanno perso rilevanza con la creazione dell'euro: i tassi d'interesse e la parità di cambio li decide la Bce a Francoforte, non sono più oggetto di politiche nazionali. È rimasto in piedi il tetto del 3 per cento per il fabbisogno del consolidato delle pubbliche amministrazioni; il rapporto deficit/Pil è il criterio che può far scattare (se non rispettato) una procedura d'infrazione, trasformare il Paese in vigilato speciale, e così lanciare segnali d'allarme ai mercati. Fino a quando, con severe politiche di austerità, il Paese sotto procedura per disavanzo eccessivo non rientra nei parametri;
    queste misure e le politiche di austerità stanno distruggendo l'economia europea sottraendole domanda interna, stabilità dei conti, occupazione e speranza. L'austerità, lungi dall'assicurare il risanamento dei conti pubblici, rischia al contrario di peggiorarli poiché i moltiplicatori fiscali fanno sì che tagliare un miliardo di euro riduce il reddito nazionale fino a 1,7 miliardi, facendo così aumentare il rapporto debito/Pil. La stabilità dei conti pubblici, in questa crisi che tanto assomiglia a quella degli anni Trenta, si nutre di crescita e l'austerità uccide sia la crescita che la stabilità;
    gli obiettivi di «Europa 2020» prevedono l'impegno per i Paesi europei dell'innalzamento al 75 per cento del tasso di occupazione e della riduzione di almeno 20 milioni del numero dei poveri. Viceversa, le politiche degli ultimi anni e la crisi si sono accompagnate ad una riduzione dell'occupazione e all'aumento del numero dei poveri che allontanano i Paesi europei e l'Italia in particolare dagli obiettivi comuni concordati, rendendo indispensabile una ridefinizione, sia pur temporanea degli obiettivi sui saldi di bilancio, obiettivamente in conflitto con altri obiettivi sui quali il Paese si è formalmente impegnato a livello europeo, ad esempio con il «Fiscal compact»;
    le conseguenze di questa politica sono sotto gli occhi di tutti:
     a) oggi, quasi 27 milioni di persone sono disoccupate nell'Unione europea, di cui più di 19 milioni nell'eurozona. La disoccupazione nell'eurozona è salita dal 7,8 per cento del 2008 al 12,1 per cento del novembre 2013. In Grecia, dal 7,7 per cento al 24,4 per cento e in Spagna dall'11,3 per cento al 26,7 per cento nello stesso periodo. In Europa, i disoccupati con meno di 25 anni sono 4,5 milioni;
    questi milioni di disoccupati nell'Unione europea al 2013 comportano una riduzione del PIL potenziale dell'intera Unione dell'ordine del 5 per cento l'anno, corrispondente a circa 800 miliardi di euro, per l'Italia, si tratta di 80 miliardi di ricchezza reale che non viene creata. Inoltre la disoccupazione di lunga durata genera ulteriori costi derivanti dalla perdita di produttività del lavoro e comporta costi sociali quali povertà, perdita della casa, criminalità, denutrizione, abbandoni scolastici, antagonismo etnico, crisi familiari, tensioni sociali potenzialmente esplosive;
    in Italia, dopo il calo del 2,4 per cento nel 2012, anche nel 2013 il Pil è diminuito dell'1,9 per cento; nel frattempo il debito pubblico ha registrato un nuovo record arrivando al 132,6 per cento del Pil;
    la disoccupazione è salita al 12,9 per cento ed i consumi sono crollati del 2,6 per cento malgrado la drastica riduzione (-4 per cento) già registrata nel 2012, raggiungendo così il loro minimo storico dal 1990;
    nel nostro Paese, tra il 2006 e il 2012, il numero dei poveri (la linea di povertà è definita come il 60 per cento del reddito mediano equivalente familiare) è aumentato di ben 3,9 milioni di persone, portando il numero complessivo dei poveri a circa 13,5 milioni (fissando la soglia di povertà nel 2006, aggiornandola, per gli anni successivi, solo in base al tasso di inflazione);
    il cosiddetto «Fiscal compact» costringerà il Governo italiano a partire dal 2016 a procedere al taglio del debito pubblico per 50 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni: un vero massacro sociale;
    viceversa, il Presidente Obama ha varato nel primo biennio una maximanovra di investimenti pubblici. Nel primo biennio della presidenza Obama il deficit/Pil arrivò a sfiorare il 12 per cento. La cura ha funzionato. Sia nel bilancio federale, sia in quelli della finanza locale, i conti pubblici americani oggi migliorano in modo spettacolare: grazie alla ripresa (+3 per cento del Pil, più 8 milioni di posti di lavoro);
    come documentato da diversi economisti e dallo stesso FMI, le politiche di austerità decrementano il Pil, provocando una crescita del rapporto col debito pubblico. Infatti, come rilevato dal FMI, per la gran parte dei Paesi i moltiplicatori fiscali hanno prodotto una caduta del Pil superiore alla riduzione del debito;
    i Paesi dell'eurozona non essendo in grado di allineare il cambio con i propri fondamentali, sono giocoforza costretti per recuperare competitività di agire attraverso la leva salariale. Questo scenario sta comportando una deflazione salariale (dovute alle politiche cosiddette di «svalutazione interna») che, conseguentemente, ha ripercussioni sui consumi e sui prezzi dei beni (i dati Ocse prevedono un peggioramento delle dinamiche salariali nel corso del 2014 rispetto al 2013 per Italia e Spagna, rispettivamente del meno 0,4 per cento e del meno 1,2 per cento annuo);
    occorre esser consapevoli: che proseguendo con le politiche di «austerità» e affidando il riequilibrio alle sole «riforme strutturali», il destino dell'euro sarà segnato e, l'esperienza della moneta unica si esaurirà, con ripercussioni sulla tenuta del mercato unico europeo;
    di fronte ad una domanda; scarsa, ad una spesa privata non sufficiente a sfruttare la capacità produttiva disponibile, il mercato è diventato un ostacolo al benessere di gran parte della popolazione. Anche molti di coloro che fino a ieri si sarebbero definiti seguaci del liberismo, davanti al dilemma tra aiutare un sistema capitalistico inefficiente o gettarlo nel disordine generale, sollecitano ora un intervento straordinario dello Stato nel sistema economico per salvare dal fallimento banche e imprese;
    nel Consiglio europeo dello scorso 24 e 25 ottobre 2013 la Commissione europea ha presentato una comunicazione su «potenziare la dimensione sociale dell'UEM», fatta propria nelle conclusioni del Consiglio, come si può leggere nei seguenti punti:
     «37. Il Consiglio europeo accoglie con favore la comunicazione della Commissione europea sulla dimensione sociale dell'unione economica e monetaria, che giudica un'iniziativa positiva, ribadisce l'importanza degli sviluppi occupazionali e sociali nel contesto del semestre europeo. Occorre perseguire l'uso di un quadro di valutazione delle tematiche occupazionali e sociali nella relazione comune sull'occupazione e di indicatori occupazionali e sociali, in linea con quanto proposto dalla Commissione e sulla scorta degli opportuni lavori dei comitati competenti, in vista della decisione da parte del Consiglio in dicembre, confermata dal Consiglio europeo con l'obiettivo di usare questi nuovi strumenti già nel semestre europeo 2014. Tale più vasta gamma di indicatori ha lo scopo di permettere una maggiore comprensione degli sviluppi sociali.
     38. Il coordinamento delle politiche economiche, occupazionali e sociali sarà ulteriormente potenziato secondo le procedure esistenti, pur nel pieno rispetto delle competenze nazionali. Ciò richiede maggiore impegno per rafforzare la cooperazione tra le diverse formazioni del Consiglio, al fine di assicurare la coerenza di tali politiche in linea con i comuni obiettivi.
     39. Il coordinamento rafforzato delle politiche economiche e le ulteriori misure per potenziare la dimensione sociale nella zona euro sono facoltative per gli Stati che non aderiscono alla moneta unica e saranno pienamente compatibili con tutti gli aspetti del mercato unico»;
    ma, nei mesi scorsi, abbiamo assistito a continue prese di posizione della Commissione europea in cui si minacciava l'applicazione all'Italia della procedura di deficit eccessivo, dalla quale eravamo appena usciti, anche per lo sforamento di un solo decimale. La Commissione, anche per ragioni di reputazione, è molto rigida verso un Paese con un rapporto debito/Pil che ha ormai superato il 130 per cento;
    il rientro nella procedura di deficit eccessivo non avrebbe, di per sé, significative conseguenze. Questo perché le normali procedure di controllo dei conti pubblici nazionali da parte della Commissione sono divenute così penetranti che, di fatto, essere o no sotto la procedura di deficit eccessivo non fa molta differenza. Il cosiddetto «semestre europeo» comporta già una serie di passaggi stringenti. La legge annuale di stabilità, il Piano pluriennale di stabilità (che delinea gli obiettivi di medio termine della finanza pubblica), il piano nazionale di riforme (che determina gli obiettivi economici di medio termine) sono sottoposti al vaglio della Commissione e del Consiglio europeo;
    la procedura per disavanzi eccessivi comporta solo la possibilità di multe, che però non sono mai state applicate e quindi non sono granché credibili. Prima di arrivarci ci sono diversi passaggi che richiedono tempo. Sulla carta, la procedura sanzionatoria è stata accelerata dai «pack», ma al momento nessuno vi è in corso, anche perché molti Paesi hanno ricevuto un'estensione del periodo di aggiustamento. Paradossalmente, Paesi che di recente hanno goduto di una certa flessibilità sono proprio quelli sotto la procedura di deficit eccessivo: ad esempio, Spagna, Portogallo e Francia, che hanno ottenuto dilazioni per rientrare nel limite del 3 per cento. Attualmente, i paesi sotto procedura di deficit eccessivo sono 17;
    certo proprio perché le sanzioni non sono mai state applicate, nessun Paese vuole essere il primo a riceverle. L'unico vero pericolo della procedura di deficit eccessivo è infatti l'effetto di reputazione sui mercati finanziari. Un paese ad alto debito come il nostro, che emette titoli ogni settimana per molti miliardi, non può permettersi che il rientro nella procedura venga letto come un segno di lassismo sul fronte dei conti pubblici;
    ma un eventuale re-ingresso nella procedura di deficit eccessivo potrebbe far parte di una strategia precisa: mettere in opera misure realmente efficaci di contrasto all'evasione, abbassando allo stesso tempo le tasse, ridurre la spesa pubblica e rilanciare gli investimenti pubblici con un vero e proprio Piano per il lavoro; l'eventuale temporaneo sfioramento del 3 per cento si deve accompagnare ad azioni capaci di aumentare l'occupazione ed il potenziale di crescita, rendendo perfino più credibile la riduzione del rapporto debito/Pil nel lungo periodo. Solo a queste condizioni, la procedura di deficit eccessivo resterebbe un mero passaggio burocratico, senza alcun contenuto informativo e senza alcun significato politico. Anche il vincolo del pareggio strutturale in Costituzione non sarebbe un ostacolo insormontabile su questo percorso, vista la fase negativa del ciclo e la discrezionalità della definizione;
    viceversa, non sembra auspicabile la strada dei cosiddetti «accordi contrattuali» (contractual arrangements), proposti dalla Commissione nel marzo scorso. Si tratta di programmi di riforma concordati tra un governo nazionale e la Commissione stessa, che dovrebbero essere approvati dal Parlamento nazionale e dal Consiglio europeo, per poi essere attuati secondo una tabella di marcia prefissata. In cambio di questi impegni, un paese potrebbe ricevere assistenza finanziaria dall'Unione europea, per coprire i costi delle riforme programmate nel breve periodo. La proposta della Commissione è stata approvata in linea di massima dal Consiglio europeo dello scorso dicembre, che però ha rinviato al prossimo ottobre la finalizzazione del nuovo strumento e la definizione dei relativi dettagli;
    un'altra strada suggerita dagli economisti Roberto Perotti e Enrico Marro è quella che prevede la possibilità di superare il limite del 3 per cento per il deficit e di scambiare il contributo che l'Italia versa al bilancio della Unione europea con le somme che la Unione europea versa all'Italia per aiutare le regioni dell'obiettivo convergenza del nostro Paese (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) prevedendo, però, di concentrare gli interventi in queste cinque regioni;
    secondo i dati più recenti l'Italia continuerà a non crescere e l'Unione europeo è sulla soglia della deflazione (mentre il debito continua a salire). In queste condizioni proseguire con gli impegni del fiscal compact evidentemente porterebbe al collasso del Paese, quindi altrettanto evidentemente, non potendo pensare a una finanziaria addizionale di 50 miliardi l'anno per i prossimi 20 anni, è assai probabile che l'Italia non potrà rispettarlo. In queste condizioni di moltiplicatori fiscali, crescita e inflazione, insistere sul vincolo del 3 per cento di fatto rende impossibile pensare in qualche modo di potere mai rispettare quello del 60 per cento di rapporto debito/PIL. Di fatto un vincolo esclude l'altro, il che rende contraddittorio da un punto di vista logico, ancora prima che economico, il proseguire su questa strada;
    servirebbe soprattutto una politica economica europea coerente con lo sviluppo dell'area euro, indicando le policy tese ad aumentare la domanda e, in particolare, gli investimenti. L'asse portante è quello di «Europa 2020», a cui dovrebbe far seguito un bilancio pubblico europeo coerente e sganciato dai trasferimenti degli Stati. Servirebbe un bilancio pubblico europeo non inferiore al 4 per cento del PIL europeo, una imposta europea capace di finanziare il bilancio pubblico senza mediazione degli stati, degli investimenti (eurobond) tesi a industrializzare la così detta green economy, il ripristino della piena e buona occupazione come orizzonte della società europea;
    in attesa di un riordino normativo europeo teso a promuovere lo sviluppo e la buona occupazione via autonomo bilancio pubblico europeo con una imposta sul valore aggiunto, il Governo italiano, in ambito di semestre europeo, potrebbe sostenere delle misure una tantum per i governi dell'area euro, con il concorso della BCE, tese a rilanciare lo sviluppo via investimenti che anticipano gli obiettivi europei di 20-20-20, in particolare, si dovrebbe operare uno scorporo di alcune tipologie di spese e di investimenti dal calcolo dei saldi validi al fine del rispetto del Patto di stabilità e crescita. Tale scorporo, più volte proposto da autorità politiche ed esperti economici in Italia e in Europa, permetterebbe una ripresa della domanda pubblica che è necessaria – in assenza di una adeguata dinamica della domanda per consumi, investimenti ed export – per condurre l'economia fuori dall'attuale depressione. Gli investimenti nei suddetti settori sono rilevanti in primo luogo per gli effetti aggregati sull'economia, che vedrebbe un aumento del Pil e quindi un miglioramento degli indicatori di sostenibilità del debito. In secondo luogo, l'investimento in tali settori condurrebbe l'Italia ad avvicinarsi in misura significativa agli obiettivi di Europa 2020 in una varietà di campi sociali ed ambientali,

impegna in Governo:

   a scorporare, nel bilancio 2014, gli investimenti pubblici relativi ai settori sottoelencati dal computo dell'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni rilevante per i vincoli dei Trattati europei:
    a) messa in sicurezza degli edifici scolastici;
    b) pubblica istruzione, università, ricerca;
    c) riqualificazione delle periferie attraverso piani di recupero;
    d)  interventi di salvaguardia dell'assetto idrogeologico dei territori;
    e)  recupero, salvaguardia e sviluppo del patrimonio artistico e ambientale;
    f) interventi di risanamento delle reti di distribuzione delle acque potabili;
    g) potenziamento del trasporto pubblico locale con particolare riguardo al pendolarismo regionale e al trasporto su ferro;
    h) interventi di risparmio energetico attraverso l'utilizzo delle energie rinnovabili;
   a verificare in parallelo la possibilità che tali investimenti – da realizzarsi anche negli altri Paesi dell'Eurozona – siano finanziati a livello europeo per consentire all'insieme dell'Unione di uscire dal ristagno economico proponendo:
    a) la concessione di crediti da parte della Bce al tasso di interesse più basso riservata a istituzioni finanziarie pubbliche – in Italia la Cassa depositi e prestiti – impegnate a realizzare il programma di investimenti pubblici necessario all'uscita dalla crisi;
    b) l'emissione di titoli garantiti dall'Eurozona finalizzati alla realizzazione di tali investimenti;
    c) l'emissione di liquidità in modalità non convenzionali da parte della Bce a copertura di tale programma di investimenti;
   a superare – in assenza delle misure precedentemente elencate – il tetto del 3 per cento per l'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni nel bilancio 2014, giustificando tale azione politica con le condizioni di gravissima crisi economica e sociale del Paese;
   ad attivarsi in sede europea per il superamento di tutti i trattati e regolamenti che, imponendo rigide regole di bilancio, sono causa delle politiche di austerità ed a promuovere politiche, misure e strumenti di politica economica, fiscale e di spesa, di carattere espansivo a favore dell'occupazione, dello sviluppo sostenibile del welfare.
(1-00362)
«Marcon, Boccadutri, Melilla, Migliore, Di Salvo, Ricciatti, Pannarale, Scotto, Fava, Paglia, Lavagno, Airaudo, Placido».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Grimoldi n. 5-02160 del 13 febbraio 2014;
   interpellanza urgente Garavini n. 2-00416 del 20 febbraio 2014
   interpellanza urgente Giancarlo Giorgetti n. 2-00431 del 4 marzo 2014;
   interpellanza urgente Molea n. 2-00451 dell'11 marzo 2014.

ERRATA CORRIGE

  Mozione Cominardi  e altri n. 1-00371 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 188 del 12 marzo 2014.
  Alla pagina 10756, prima colonna, dalla riga dodicesima alla riga quindicesima deve leggersi: «Working for the Few, pubblicato recentemente dall'organizzazione umanitaria internazionale Oxfam 85 persone detengono la ricchezza equivalente a quella» e non «Working for the Few, pubblicato recentemente dall'organizzazione umanitaria internazionale OxfamA 85 persone detengono la ricchezza equivalente a quella», come stampato.
  Alla pagina 10759, prima colonna, alla riga ventunesima deve leggersi: «decreto legge n. 201 del 2011 a tutte le» e non «decreto leggero n. 201 del 2011 a tutte le», come stampato.