Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 11 marzo 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    nella mattinata di domenica 19 gennaio 2014 l'argine del fiume Secchia, in località San Matteo, ha ceduto aprendo una falla a circa 3 chilometri a valle della città di Modena; l'argine ha ceduto per problemi strutturali e l'acqua fuoriuscita ha invaso il territorio circostante interessando 8 comuni, per un'area che si estende per circa 75 chilometri quadrati; i comuni più colpiti sono stati quelli di Bomporto e di Bastiglia;
    si sono verificati i seguenti fatti: migliaia di sfollati, un morto tra i volontari immediatamente intervenuti, 1.800 aziende che hanno interrotto la produzione, oltre 5.000 addetti rimasti senza lavoro e 2.500 ettari di produzioni agricole invasi dall'acqua; la prima stima dei danni fatta dalla struttura regionale parla di 400 milioni di euro, ma al momento sono ancora in corso le opportune verifiche;
    il territorio interessato dall'evento è lo stesso già interessato dai terremoti del maggio 2012;
    il susseguirsi di eventi calamitosi sta mettendo in ginocchio l'economia di una parte rilevante della provincia di Modena e cresce l'esasperazione degli imprenditori e dei cittadini, molti dei quali già vittime dirette del sisma ed ora dell'alluvione;
    dai dati elaborati dall'Istituto di ricerche economiche e sociali (Ires), il sisma del 2012 ha comportato un danno diretto di circa 6 miliardi di euro, a cui si aggiunge il danno indotto sull'intera economia regionale stimato in 8,25 miliardi di euro di fatturato: la prima stima fatta dalla struttura regionale dei danni diretti causati dall'alluvione parla di 400 milioni di euro, ma al momento sono ancora in corso le opportune verifiche;
    il ritardo nella ricostruzione e nell'erogazione delle risorse già stanziate a seguito del terremoto, sommato ai danni causati dall'alluvione che ha investito l'area a nord-est della provincia di Modena, sta seriamente compromettendo un tessuto produttivo tra i più avanzati a livello nazionale e tante piccole e medie imprese sono in ginocchio, senza la possibilità di ripartire; quello che si profila è l'affossamento di una parte importante dell'economia di questa provincia, con una riduzione conseguente del prodotto interno lordo nazionale;
    come affermato congiuntamente dal mondo imprenditoriale locale, in particolare da «Rete imprese Italia Modena», che raggruppa Ascom Confcommercio Fam, Confesercenti, Cna e Lapam Confartigianato, si ritiene assolutamente urgente e necessario prevedere da subito misure per il credito agevolato: c’è necessità di risorse immediate per far ripartire le aziende, gli impianti e i macchinari di produzione; si debbono ricostituire le scorte e per questo occorre uno sforzo finanziario che deve essere assolutamente sostenuto dal sistema creditizio, con costi azzerati, come in occasione dei sisma; occorre, inoltre, sospendere immediatamente le rate in scadenza di tutti i mutui in corso;
    è necessaria un'immediata proroga delle scadenze fiscali, così come devono essere rese disponibili le adeguate risorse per l'indennizzo dei danni, diretti ed indiretti, per le imprese e i cittadini; tutte le risorse necessarie devono essere rese disponibili attraverso sistemi semplificati e non gravati da quell'enorme carico burocratico che sta ora ostacolando la ricostruzione post sisma;
    eccezionali eventi atmosferici hanno colpito anche l'intero territorio del Veneto nel periodo dal 30 gennaio al 18 febbraio 2014: il maltempo e l'intensità della caduta di pioggia e neve hanno determinato varie situazioni di criticità, gravi disagi alla popolazione, danni consistenti ai beni pubblici e privati e alle attività economico-produttive (tetti delle abitazioni crollati, impianti di risalita inutilizzabili in montagna, capannoni allagati e spiagge invase dai detriti). Si sono verificati esondazioni di fiumi, fenomeni di dissesto idrogeologico, strutture arginali fortemente indebolite, innesco di valanghe e di movimenti franosi, interruzione di collegamenti viari e servizi essenziali, innalzamento delle falde freatiche e mareggiate sulla costa con erosione degli arenili, accompagnate da forti venti di scirocco;
    i comuni veneti coinvolti nell'alluvione sono almeno 130, in tutta la regione: le aree montane della provincia di Belluno e di parte delle province di Vicenza, Treviso e Verona, dove sono arrivate nevicate abbondanti sopra i 1200 metri, con accumuli di neve fino a oltre 4 metri; la pianura veneta, con allagamenti di più giorni sia in aree agricole che abitative, come nella zona di Legnago nella bassa veronese; i litorali dove sono state distrutte le infrastrutture e vengono raccolte tonnellate di materiali della più svariata natura portate a valle dai fiumi; ovunque con danni a argini, sistema idraulico, fiumi e affluenti. A ciò si aggiunga anche il blackout elettrico del bellunese con 35.000 utenze al buio, ripristinate in tre giorni di lavoro;
    a titolo esemplificativo, nel padovano si sono verificati i seguenti fatti: un'anziana è morta dopo una caduta a Montegrotto; 400 persone sono state sfollate dal centro di Bovolenta e altre 200 dalla zona di Ortazzo a Battaglia; ci sono state evacuazioni anche a Vighizzolo; è stata chiusa una scuola a Montegrotto; ci sono stati allagamenti a Selvazzano, Sarmeola e Merlara; le scuole sono state chiuse a Selvazzano, Piove di Sacco, Bovolenta, Brugine, Pontelongo Correzzola, Arzergrande e Codevigo;
    il presidente della regione Veneto, Luca Zaia, ha dichiarato lo stato di crisi regionale con decreto 3 febbraio 2014, n. 15, stanziando due milioni di euro per le prime emergenze; poi è stato adottato il decreto dell'8 febbraio 2014 per integrarne l'ambito temporale e definire quello territoriale, che interessa la regione in quasi tutta la sua totalità;
    ad una prima stima del presidente della regione Veneto, i danni risultano essere superiori ai 550 milioni di euro. I danni sono stimabili: almeno in 75 milioni di euro per le famiglie e le attività produttive colpite dalle esondazioni, dalle nevicate e dalle valanghe; 145 milioni di euro per le infrastrutture pubbliche della viabilità e quelle destinate a servizio pubblico; 213 milioni di euro per la rete idraulica principale e secondaria (con riferimento all'area del padovano, del veneziano e delle coste); 37 milioni di euro per i territori a causa di dissesti idrogeologici; 10 milioni di euro per le aziende agricole. Vanno considerati, inoltre, 15 milioni di euro spesi dagli enti locali per attivare i servizi straordinari di smaltimento dei rifiuti e rimozione della neve e 5 milioni di euro per le spese delle operazioni di soccorso straordinarie. A ciò si aggiungono anche i danni indiretti, per gli impatti imprevisti sull'attività turistica della stagione invernale;
    con la decisione 2013/678/UE del Consiglio dell'Unione europea, l'Italia è stata autorizzata a esentare dall'iva i soggetti passivi il cui volume d'affari non superi i 65.000 euro annui, in quanto l'importo è compatibile con la proposta di modifica della direttiva presentata dalla Commissione europea il 29 ottobre 2004, che, allo scopo di semplificare gli obblighi dell'iva, intende permettere agli Stati membri di fissare fino a 100.000 euro la soglia di volume d'affari annuo per l'accesso al regime speciale di esenzione dall'iva per le piccole imprese;
    vi è l'urgenza, ormai improrogabile, di individuare per questo territorio un sistema di fiscalità di vantaggio, così come autorizzato dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue), articolo 107, paragrafo 2, lettera b), e coerentemente al regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione europea del 5 dicembre 2002, relativo all'applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato agli aiuti di Stato a favore dell'occupazione, che possa incoraggiare gli imprenditori ad affrontare anche questa ennesima sfida, oltre che a dare un impulso ad una economia stremata da anni di crisi e da catastrofi di portata storica;
    i fenomeni di dissesto idrogeologico sono molto frequenti in Italia e gli eventi meteorologici così detti «straordinari» sono diventati ordinari con drammatiche conseguenze sul territorio italiano; negli ultimi 80 anni la superficie nazionale è stata interessata da 5.400 alluvioni e 11.000 frane, mentre negli ultimi 20 anni sono state coinvolte 70.000 persone e sono stati stimati 30.000 miliardi di euro di danni;
    in base al report del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2008 in ben 6.633 comuni italiani sono presenti aree a rischio idrogeologico, l'82 per cento del totale. La superficie delle aree ad alta criticità idrogeologica si estende per 29.517 chilometri quadrati, il 9,8 per cento dell'intero territorio nazionale, di cui 12.263 chilometri quadrati (4,1 per cento del territorio) a rischio alluvioni e 15.738 chilometri quadrati (5,2 per cento del territorio) a rischio di frana;
    anche i dati dell'indagine Ecosistema Rischio 2011 confermano l'elevata tendenza del territorio italiano al dissesto idrogeologico. Oltre 5 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni. In 1.121 comuni, corrispondenti all'85 per cento di quelli analizzati nell'indagine, sono presenti abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana, e nel 31 per cento dei casi in tali zone sono presenti addirittura interi quartieri. Nel 56 per cento dei comuni campione dell'indagine, in aree a rischio, sono presenti fabbricati industriali che, in caso di calamità, comportano un grave pericolo, oltre che per le vite dei dipendenti, per l'eventualità di sversamento di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni;
    il modo di procedere del Governo in occasione di interventi di emergenza dovuti a calamità naturali avanza, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, per approssimazioni ed è spesso troppo lento e farraginoso e, soprattutto, si rilevano estreme difformità di trattamento negli anni tra i vari territori; sarebbe importante ai fini della sicurezza, della trasparenza e della tempestività di azione e della semplificazione delle procedure individuare linee di indirizzo unitarie ed emanare un provvedimento organico che, da una parte, disciplini la gestione delle grandi emergenze, garantendo i diritti dei cittadini, definisca con chiarezza procedure e risorse in caso di eventi calamitosi uguali per tutti e, dall'altra parte, dia il via ad un serio ed organico piano per la riduzione del rischio idrogeologico in tutto il territorio nazionale, con tempi e fondi certi, per spostare gradualmente gli sforzi e le risorse dall'eterna emergenza alla prevenzione,

impegna il Governo:

   a garantire che le priorità indicate in premessa si traducano in iniziative concrete, anche normative, al fine di:
    a) disporre, in tempi rapidi, la concessione di contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo danneggiati dall'evento alluvionale, in relazione al danno effettivamente subito, in misura adeguata e sufficiente a coprire integralmente le spese sostenute;
    b) riconoscere alle persone fisiche proprietarie di beni mobili registrati, danneggiati in conseguenza dell'evento alluvionale, un indennizzo pari al valore dei beni;
    c) riconoscere alle persone fisiche proprietarie di beni mobili non registrati ubicati nell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale, danneggiati in conseguenza dell'evento alluvionale, un indennizzo pari al valore dei beni;
    d) concedere indennizzi alle attività produttive danneggiate dagli eventi calamitosi per il ripristino delle riserve di magazzino e per il risarcimento dei danni derivanti dalla perdita di beni mobili legati alla produzione;
    e) sostenere le popolazioni e le imprese colpite dall'alluvione di gennaio 2014 tramite la defiscalizzazione e la decontribuzione per il triennio 2014-2016, sospendendo immediatamente ogni adempimento fiscale, contributivo e assicurativo relativo a persone fisiche e giuridiche, nonché i mutui, per i contribuenti e le imprese;
    f) garantire gli ammortizzatori sociali ai lavoratori costretti all'inattività a causa degli eventi alluvionali e disporre una moratoria sul pagamento dei contributi a favore dei datori di lavoro;
    g) predisporre, per i territori dei comuni interessati al tempo stesso dalla recente alluvione di gennaio 2014 e dal sisma del maggio 2012, misure di agevolazione fiscale, incaricando il Cipe ed il Ministro dello sviluppo economico affinché assumano le iniziative necessarie all'individuazione ed alla perimetrazione di zone franche urbane, ai sensi dell'articolo 1, commi da 340 a 343, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, sulla base di parametri fisici e socioeconomici rappresentativi degli effetti provocati dagli eventi calamitosi sul tessuto economico e produttivo;
    h) istituire, coerentemente con le indicazioni fornite dalla Commissione europea nel «Libro verde sul futuro dell'IVA Verso un sistema dell'IVA più semplice, solido ed efficiente» e nella comunicazione della Commissione europea sul futuro dell'IVA, un regime speciale a favore delle piccole imprese, finalizzato principalmente a ridurre gli oneri amministrativi risultanti dall'applicazione delle normali disposizioni in materia di iva, prevedendo per i soggetti aventi un fatturato annuo inferiore a una determinata soglia il beneficio dell'esenzione dal tributo;
    i) sospendere le azioni esecutive di Equitalia fino al 31 dicembre 2016, con la successiva possibilità di rateizzazione delle somme dovute senza applicazione di interessi e sanzioni, ricorrendo anche alla compensazione tra Stato e persone fisiche e giuridiche;
    l) sospendere gli studi di settore per i periodi di imposta dal 2013 al 2016;
    m) introdurre adeguate misure di finanziamento alle piccole e medie imprese, svincolate dal merito creditizio, anche tramite la concessione a titolo gratuito delle garanzie pubbliche attraverso l'intervento del fondo centrale di garanzia di cui alla legge n. 662 del 1996 (articolo 2, comma 100, lettera a));
    n) assumere iniziative finalizzate ad escludere dal Patto di stabilità interno relativo agli anni 2014 e 2015 le risorse provenienti dallo Stato e le relative spese di parte corrente e in conto capitale sostenute dalla regione, dalla provincia e dai comuni, nonché le risorse proprie di tali enti impiegate per far fronte all'emergenza alluvionale, alle conseguenti opere di ripristino e ad opere di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico;
    o) assumere iniziative per esentare per gli anni 2014 e 2015 i comuni al tempo stesso alluvionati e terremotati dai tagli previsti dalla cosiddetta spending review;
    p) esentare dall'Imu e dalla concorrenza alla formazione del reddito delle persone fisiche, delle imprese ed enti pubblici, quegli immobili che siano risultati parzialmente o totalmente allagati, o oggetto a vario titolo di ordinanza di sgombero, per l'anno 2014;
    q) istituire un fondo di compensazione per i mancati introiti da imposizione fiscale (imu e Tares) per tutti i comuni colpiti dagli eventi calamitosi menzionati;
    r) rendere disponibili le risorse necessarie per far fronte ai danni dell'alluvione nel più breve tempo possibile, considerando anche l'ipotesi, nelle more delle specifiche coperture, di applicare i provvedimenti e le risorse già in essere e riferibili al terremoto del maggio 2012, armonizzando gli interventi di aiuto, dando mandato al commissario delegato, di cui all'articolo 1 del decreto-legge n. 74 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 1o agosto 2012, n. 122, di utilizzare nell'immediatezza dell'urgenza ogni provvedimento e risorsa già nelle sue disponibilità;
    s) predisporre un programma di prevenzione ambientale di medio e lungo termine, attraverso una normativa specifica nazionale di messa in sicurezza del territorio, e delineare una disciplina della gestione delle grandi emergenze che, garantendo i diritti dei cittadini, definisca con chiarezza procedure, tempistiche e risorse in caso di eventi calamitosi;
    t) migliorare il coordinamento dei vari enti ed organismi che hanno competenza in materia di rischio idrogeologico, anche mediante una coerente, razionale ed efficiente redistribuzione delle competenze e attraverso semplificazioni delle procedure burocratiche ed amministrative che riguardano la gestione delle emergenze e la pianificazione e realizzazione delle opere di prevenzione;
    u) far rientrare le misure e gli interventi da mettere in atto nella logica multidisciplinare e sistemica della pianificazione di bacino, coerentemente con quanto previsto dalla direttiva quadro sulle acque (direttiva 2000/60/CE) e dalla direttiva relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni (direttiva 2007/60/CE);
    v) valutare la possibilità di istituire dei bonus fiscali per i privati e le attività produttive che investono in opere di mitigazione del rischio, in modo da coinvolgere attivamente e diffusamente il tessuto produttivo italiano nella tutela e corretta gestione del territorio;
    z) promuovere una revisione dei piani di emergenza comunali da parte delle protezioni civili regionali, della protezione civile nazionale e dei relativi centri di competenza;
    aa) prevedere degli automatismi contabili secondo cui le risorse annualmente preposte dal Governo alla prevenzione del rischio idrogeologico siano proporzionali alle spese sostenute per le emergenze nel corso dell'anno precedente, in modo da poter quantificare i finanziamenti in maniera certa e da favorire un graduale passaggio dall'emergenza alla prevenzione;
    bb) gestire la riduzione del rischio idraulico concedendo finanziamenti in via prioritaria ad opere di rinaturalizzazione fluviale che consentano di restituire adeguati spazi alle naturali dinamiche dei corsi d'acqua tutelando i contigui insediamenti abitativi e produttivi.
(1-00367) «Ferraresi, Dell'Orco, Businarolo, Brugnerotto, Segoni, Mucci, Spadoni, Sarti, Massimiliano Bernini, Dall'Osso, Spessotto, D'Incà, Da Villa, Benedetti, Rostellato, Turco, Fantinati, Cozzolino, Terzoni, De Rosa, Busto, Zolezzi, Daga, Mannino, Micillo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il quotidiano La Repubblica dell'11 marzo 2014, riporta una drammatica intervista a una donna affetta da una malattia genetica costretta ad abortire al quinto mese e «sola come un cane». Peraltro in conseguenza e per responsabilità della legge n. 40 del 2004 sulla procreazione assistita, la donna ricorda come, pur avendo una «malattia genetica-trasmissibile rara e terribile, in teoria posso avere figli, quindi per me non è previsto l'accesso alla fecondazione assistita, alla diagnosi pre-impianto. A me questa legge ingiusta concede solo di rimanere incinta e scoprire, come poi è avvenuto, che la bambina che aspettavo era malata, condannata. Lasciandomi libera di scegliere di abortire, al quinto mese: praticamente un parto»;
   la donna racconta di essersi ritrovata, complice il cambio turno, abbandonata in un bagno a partorire il feto morto, con il solo aiuto del marito, «In ospedale erano tutti obiettori» ha dichiarato;
   si riportano, in quanto illuminanti, alcuni stralci dell'intervista rilasciata dalla donna: «la mia ginecologa è obiettore e si rifiuta di farmi ricoverare. Riesco dopo vari tentativi ad avere da una ginecologa del Sandro Pertini il foglio del ricovero, dopo due giorni, però, perché soltanto lei non è obiettore. Dopo 15 ore di dolori lancinanti, tra conati di vomito e momenti in cui svengo, con mio marito sempre accanto che non sa che fare, che chiama aiuto, che va da medici e infermieri dicendogli di assistermi, senza risultato, partorisco dentro il bagno dell'ospedale. Accanto a me c’è solo Fabrizio. (....) I medici venivano per le flebo, ma nessuno li ha visti arrivare quando chiamavo aiuto. Nessuno ci ha assistito nel momento peggiore. Forse perché da quando sono entrata a quando ho partorito era cambiato il turno, c'erano solo medici obiettori. In più, mentre ero lì stravolta dal dolore entravano degli attivisti anti aborto con Vangeli in mano e voci minacciose»;
   al di là di eventuali responsabilità penali che la magistratura dovrà accertare in capo ai singoli sanitari e alla struttura sanitaria, ci si trova ancora una volta in presenza di uno Stato, il nostro, che non garantisce un servizio sanitario adeguato, e di una legge, la n. 194 del 1978 sull'interruzione di gravidanza che continua di fatto a non essere pienamente applicata, e ciò impone una seria riflessione sulla garanzia e la qualità del servizio per l'interruzione della gravidanza disciplinata dalla medesima legge;
   l'8 marzo 2014 il documento del Comitato europeo dei diritti sociali, organismo del Consiglio d'Europa, ha condannato il nostro Paese per la violazione della legge n. 194 del 1978, e in particolare per l'elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza. Insomma, l'interruzione volontaria di gravidanza in Italia è solo sulla carta. In realtà è di quasi impossibile applicazione in molte regioni;
   la relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza, trasmessa al Parlamento il 13 settembre 2014 dal Ministro Lorenzin, ci dice che in Italia ben il 69,3 per cento dei ginecologi, del servizio pubblico è obiettore di coscienza. In pratica quasi sette medici ginecologi su dieci è obiettore;
   le percentuali regionali dei ginecologi obiettori non scendono mai al di sotto al 51,9 per cento; i dati medi aggregati per Nord, Centro, Sud e Isole indicano percentuali di ginecologi obiettori di coscienza pari rispettivamente al 63,9 per cento; 72 per cento; 77,1 per cento; 74,7 per cento. In Molise la percentuale di obiettori è dell'87,9 per cento; la Campania si attesta all'88,4 per cento;
   peraltro è noto che i dati della relazione al Parlamento in realtà non riescono a fotografare lo stato reale della sua applicazione sul territorio nazionale, che risulta ben più grave di quello riportato nei dati ufficiali;
   i dati suindicati sulle percentuali molto elevate di obiettori, comportano oltre che evidenti ricadute negative sulla stessa effettiva attuazione della legge sull'interruzione volontaria di gravidanza e quindi sulle donne che rivendicano l'inviolabile libera scelta a farne ricorso, anche conseguenze oggettivamente pesanti sui sempre più pochi medici non obiettori, che spesso si ritrovano relegati a occuparsi quasi esclusivamente di interruzioni di gravidanza con il rischio più che concreto di una dequalificazione professionale, e conseguenti effetti penalizzanti sulle loro stesse possibilità di carriera;
   al personale sanitario viene garantito di poter sollevare l'obiezione di coscienza. Ma quel che è un diritto del singolo non è diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, che ha anzi l'obbligo di garantire l'erogazione delle prestazioni sanitarie;
   a fronte di questo «stato di emergenza» le donne devono spesso migrare da una regione all'altra o addirittura all'estero, e, soprattutto tra le immigrate, risulta ancora «necessario» il ricorso all'aborto clandestino;
   l'11 giugno 2013, la Camera ha discusso le mozioni riguardanti l'applicazione della legge 194, e in quell'occasione il Ministro della salute ha assunto specifici impegni per garantire la piena attuazione. Nella suddetta relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, si sottolinea che il Ministero della salute, proprio per dare a seguito ad alcuni impegni previsti dalle suddette mozioni, ha attivato un «tavolo tecnico» con gli assessori regionali per monitorare le strutture sanitarie e i consultori relativamente all'attuazione della 194. I risultati saranno riportati nella Relazione al Parlamento del prossimo anno –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per acquisire elementi su quanto denunciato nell'intervista su riportata, anche al fine di verificare le ragioni delle inaccettabili disfunzioni o omissioni di cui in premessa;
   come intenda attivarsi, per quanto di competenza, al più presto, al fine di garantire il pieno rispetto della legge da parte di ogni struttura pubblica o del privato accreditato, posto che secondo gli interpellanti solo a fronte di questo impegno può essere concesso o confermato l'accreditamento;
   se non si reputi necessario garantire fin da subito il pieno rispetto del comma 4, articolo 9, della legge n. 194 del 1978, laddove dispone che «gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale», anche assumendo iniziative normative per prevedere in caso di omissione da parte della regione inadempiente, il potere sostitutivo dello Stato sancito dall'articolo 120 della Costituzione.
(2-00449) «Nicchi, Piazzoni, Migliore».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CATALANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenda digitale rappresenta una delle sette iniziative principali individuate nella più ampia Strategia EU2020, finalizzata a una crescita inclusiva, intelligente e sostenibile dell'Unione;
   l'Agenda digitale è stata presentata dalla Commissione europea nel maggio 2010, quindi sottoscritta da tutti gli Stati membri che si sono impegnati al suo recepimento. Lo scopo dell'Agenda digitale è di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione per favorire l'innovazione, la crescita economica e la competitività, ottenendo vantaggi socio-economici sostenibili grazie a un mercato digitale unico basato su internet veloce e superveloce e su applicazioni interoperabili;
   non si dispone di elementi sulla effettiva adozione delle diverse tipologie di provvedimenti attuativi (regolamenti, decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, decreti ministeriali, linee guida, regole tecniche, e altro) previsti dai decreti-legge n. 83 del 2012 (cosiddetto «Crescita») e n. 179 del 2012 (cosiddetto «Crescita 2.0») e n. 69 del 2013 (cosiddetto «del Fare»), in materia di Agenda digitale, nel dettaglio:
    decreto-legge n. 83 del 2012 (cosiddetto «Crescita») entrato in vigore il 27 giugno 2012 (la legge di conversione del decreto è entrata in vigore il 12 agosto 2012): articolo 22, commi 6 e 7;
    decreto-legge n. 179 del 2012 (cosiddetto «Crescita 2.0») entrato in vigore il 20 ottobre 2012 (la legge di conversione del decreto è entrata in vigore il 19 dicembre 2012): articolo 1, commi 1 e 2, articolo 2, commi 3 e 5, articolo 3, commi 1 e 4, articolo 4, comma 1, articolo 6, comma 5, articolo 7, comma 3 lettera a), articolo 8, commi 2 e 13, articolo 9, comma 1, lettera a), articolo 10, comma 10, articolo 11, comma 4-bis, articolo 12, commi 11 e 12, articolo 13, commi 2 e 4, articolo 14, comma 8 lettera d) e 10-bis, articolo 14-bis, comma 2, articolo 15, commi 1, 2 e 5-ter, articolo 16, comma 10, articolo 16-bis, comma 15, articolo 16-quater, articolo 19, commi 8 e 9, articolo 20, commi 4, 9 e 16, articolo 20-bis;
   l'Agenzia per l'Italia digitale (AglD) e l'Associazione nazionale Trasporti (ASSTRA) hanno avviato il 28 dicembre 2012 i lavori del tavolo tecnico sulla bigliettazione elettronica;
   l'articolo 13, 2-quater del decreto-legge n. 69 del 2013 (convertito dalla legge n. 98 del 2013) ha previsto che il decreto ministeriale in questione, così come quelli previsti dagli articoli 4, comma 1, 8, comma 13, 10, comma 10, 12, comma 7, 13, comma 2, e 15, comma 2, del decreto-legge n. 179 del 2012, qualora non ancora adottati e decorsi ulteriori trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (termine scaduto il 20 settembre 2013), sono adottati dal Presidente del Consiglio dei ministri anche ove non sia pervenuto il concerto dei Ministri interessati –:
   come il Governo intenda far fronte agli inadempimenti di cui in premessa, in tempi brevi;
   a che punto siano i lavori del tavolo tecnico sulla bigliettazione elettronica;
   come intendano il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, disciplinare l'accesso ai fondi per la realizzazione dei servizi di ricerca e sviluppo di nuove soluzioni non presenti sul mercato volte a rispondere a una domanda pubblica e delle attività di ricerca finalizzate allo sviluppo di servizi e prodotti innovativi in grado di rafforzare l'utilizzazione della piattaforma per la gestione della rete logistica nazionale;
   come intendano il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'interno e il Ministro dell'economia e delle finanze, definire le modalità per la trasmissione elettronica dei dati di cui ai formulari FAL con l'implementazione dell'interfaccia unica costituita dal sistema PMIS assicurando l'interoperabilità dei dati immessi nel sistema PMIS con il Safe Sea Net e con il sistema informativo delle dogane (semplificazione delle procedure amministrative per le navi in arrivo e in partenza). (5-02328)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COPPOLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   RetItalia Internazionale spa una società in house, posseduta al 100 per cento dall'Istituto nazionale per il commercio estero (ICE), ora «ICE-Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane», che fornisce servizi web e ICT e strumenti per lo sviluppo di business alle imprese che si avvalgono dei servizi dell'ICE, e servizi online alle regioni, agli enti locali e a organismi di diritto pubblico secondo criteri di economicità e nel rispetto delle regole del mercato;
   ICE-Agenzia è un ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, sottoposto ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministero dello sviluppo economico che — si legge dal sito web istituzionale — «ha il compito di agevolare, sviluppare e promuovere i rapporti economici e commerciali italiani con l'estero — con particolare attenzione alle esigenze delle piccole e medie imprese, dei loro consorzi e raggruppamenti — e opera al fine di sviluppare l'internazionalizzazione delle imprese italiane nonché la commercializzazione dei beni e servizi italiani nei mercati internazionali»;
   i vertici di ICE-Agenzia hanno manifestato la volontà di vendere e attivato le procedure per l'alienazione della società RetItalia Internazionale spa con delibera del 22 gennaio 2013, n. 36, facendo seguito all'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 che prevedeva l'obbligo di procedere allo scioglimento o, in alternativa, alla privatizzazione delle società controllate dalla pubblica amministrazione direttamente o indirettamente, le quali abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi in favore della pubblica amministrazione superiore al 90 per cento dell'intero fatturato;
   i commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies ed 8 dell'articolo 4 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 sono stati dichiarati illegittimi dalla sentenza 16-23 luglio 2013 n. 229 della Corte costituzionale e abrogati dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147, venendo così a mancare le motivazioni di vendita di RetItalia da parte di ICE-Agenzia; a partire dal maggio 2012 è stato dimezzato il contratto in essere tra ICE-Agenzia e RetItalia Internazionale spa che ha portato ad una cassa integrazione per 65 lavoratori, ora straordinaria, che va avanti da circa due anni;
   RetItalia Internazionale spa rappresenta un asset importante della pubblica amministrazione ed ha in questi anni sviluppato un know-how ed una professionalità dei lavoratori che non ci si può permettere vada disperso;
   il Governo si è assunto l'impegno di valutare l'opportunità di sospendere definitivamente la procedura di alienazione della Società RetItalia Internazionale spa con l'ordine del giorno 9/01865-A/060 presentato dall'onorevole Martina Nardi il 20 dicembre 2013;
   sono già state presentate alcune interrogazioni ai Ministri competenti in merito a questo tema dal senatore Di Biagio (4-00158, il 14 maggio 2013) e dall'onorevole Nardi (4-03387, il 30 gennaio 2014) alle quali non è pervenuta allo stato risposta –:
   quali iniziative ha intenzione di assumere il Governo per la salvaguardia delle competenze tecniche e professionali rappresentate dai lavoratori di RetItalia Internazionale spa;
   se il Governo sia intenzionato a proseguire nel percorso di alienazione della Società o se ritenga di dare una risposta concreta e definitiva ad una situazione di cassa integrazione straordinaria riguardante, da maggio 2012, una società interamente a controllo pubblico, situazione lesiva della dignità personale e professionale dei dipendenti. (4-03946)


   BALDASSARRE, CHIMIENTI, BECHIS, CIPRINI, RIZZETTO, ROSTELLATO, COMINARDI e TRIPIEDI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è stata sancita un'intesa, stipulata in data 20 febbraio 2014, nella Conferenza unificata sul documento recante «Indicazioni ai Comitati regionali di Coordinamento per la definizione della programmazione per l'anno 2014», sottoscritta dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Graziano Delrio;
   nell'intesa suddetta vengono considerati nella premessa gli articoli 5, 6, 7, 9, 13, 71, 99 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni recante: «Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro»;
   l'articolo 8 – non inserito nella premessa dell'intesa suddetta – del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni, istituisce il sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP) nei luoghi di lavoro al fine di fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l'efficacia dell'attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, relativamente ai lavoratori iscritti e non iscritti agli enti assicurativi pubblici, e per indirizzare le attività di vigilanza, attraverso l'utilizzo integrato delle informazioni disponibili negli attuali sistemi informativi, anche tramite l'integrazione di specifici archivi e la creazione di banche dati unificate;
   il Governo pro tempore ha accolto in data 25 luglio 2013 un ordine del giorno – 9/01248-AR/013 – in cui si impegnava a porre in essere nell'immediato e comunque entro e non oltre il 31 dicembre 2013 e ogni atto necessario a rendere effettiva l'operatività del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP);
   il Governo pro tempore ha accolto, come raccomandazione, in data 10 ottobre 2013 un ordine del giorno – 9/01920-A/006 – in cui si impegnava a porre in essere nell'immediato e comunque entro e non oltre il 31 marzo 2014 e ogni atto necessario a rendere effettiva l'operatività del Sistema informativo nazionale per prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP);
   sono passati sei anni dall'istituzione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP) di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni, senza che se ne possa beneficiare al fine di fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l'efficacia dell'attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro interrogato siano a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro interrogato non ritengano opportuno, per quanto di propria competenza, motivare tale lapalissiana criticità in merito alla mancanza, nell'Intesa suddetta, della considerazione dell'articolo 8 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni, con il quale si istituisce il sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP);
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro interrogato non ritengano opportuno, per quanto di propria competenza, motivare   tali scelte, esplicitate nell'intesa suddetta, che si pongono in netto contrasto con gli ordini del giorno – 9/01248-AR/013 e 9/01920-A/006 – accolti dal Governo pro tempore. (4-03951)


   MOLTENI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la giunta della ragione Lombardia, con deliberazione n. X/801 dell'11 ottobre 2013, ha stanziato 2.531.100 euro per finanziare 82 progetti di servizio civile nazionale che prevedono l'impiego di 429 volontari;
   i progetti di servizio civile nazionale sopra menzionati, presentati da enti iscritti all'Albo regionale degli enti di servizio civile della Lombardia, erano stati ritenuti idonei in sede di valutazione, ma non finanziati per insufficienza delle risorse attribuite dal bilancio dello Stato al Fondo nazionale per il servizio civile in sede;
   il dipartimento della gioventù e del Servizio civile nazionale, per utilizzare i fondi messi a disposizione da regione Lombardia e già trasmessi, deve emettere apposito bando per la selezione di volontari, da pubblicare in Gazzetta Ufficiale;
   si tratta di un semplice e banale atto amministrativo, che tuttavia il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale non è riuscito a compiere da cinque mesi a questa parte;
   risulta all'interrogante che la ragione di tali lungaggini sia da attribuire ad una richiesta di parere avanzata dal dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale al Consiglio di Stato, al fine di sapere se nel futuribile bando sia permessa o meno la partecipazione ai soggetti privi di cittadinanza italiana;
   nel frattempo decine di enti di servizio civile, il maggiore dei quali è ANCI Lombardia, e migliaia di giovani lombardi attendono che i dirigenti di un dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri prendano una decisione –:
   quali iniziative intenda assumere per risolvere questa situazione che l'interrogante giudica al limite del kafkiano e chiaro sintomo di quella che l'interrogante valuta essere sintomo di una limitata capacità gestionale del dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale. (4-03955)


   GRIMOLDI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi, straordinarie precipitazioni hanno creato frane, allagamenti e straripamenti dei fiumi, da Nord a Sud del Paese, creando danni ingenti alle regioni Liguria, Veneto e Emilia Romagna;
   gli eventi calamitosi hanno colpito in particolare la regione Liguria: sia il Levante del Genovesato (Tigullio, Valle Sturla e Val Fontanabuona), sia la provincia della Spezia (attraverso riattivazioni e nuovi cedimenti nei comuni già colpiti dall'evento alluvionale del 2011), sia il ponente ligure con ingenti danni nelle province di Savona e Imperia. Discorso analogo si potrebbe fare per Veneto ed Emilia-Romagna;
   gli enti locali coinvolti si sono immediatamente mobilitati e il Governo ha riconosciuto alla Liguria lo stato di calamità, predisponendo una quota di aiuti per una cifra di 13 milioni di euro. Tuttavia, tale importo è erogato solo per le spese di prima emergenza, non risultando assolutamente sufficiente alla predisposizione degli interventi necessari al ripristino delle condizioni di sicurezza. Sul territorio Ligure, infatti, gravano ancora situazioni di grave dissesto come in località San Bernardo a Sestri Levante e nel territorio del comune di Castiglione Chiavarese, ma non solo;
   la cosa più inaccettabile è che, talvolta, gli enti locali coinvolti avrebbero risorse proprie per poter disporre interventi di messa in sicurezza e di prevenzione, ma questa loro volontà si scontra con le regole imposte a livello nazionale in applicazione del cosiddetto «patto di stabilità», secondo il quale in Italia neppure le risorse per interventi contro il dissesto idrogeologico possono derogare alla rigida disciplina imposta da Bruxelles per il rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita. Anzi, sono proprio i sindaci più lungimiranti a subire le conseguenze peggiori: le risorse da loro risparmiate non possono essere spese a causa di limitazioni alla spesa assurde e dannose;
   appare necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, non solo verso la semplificazione delle procedure per l'esecuzione degli interventi e l'assegnazione delle risorse ma anche verso l'eliminazione delle disposizioni che, di fatto, rendono impossibile la spesa, come quelle relative all'inclusione degli interventi, indispensabili per la stessa sopravvivenza dei territori e della popolazione, alla contabilizzazione della spesa per il rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita imposti dalla Unione europea;
   questi vincoli, sempre più spesso, creano conseguenze negative al nostro Paese in quanto incidono non solo sulla sicurezza dei cittadini ma anche sulla competitività economica dei territori, con effetti sociali e lavorativi negativi per la competitività delle aziende situate nei territori colpiti da eventi alluvionali che devono investire somme enormi per riprendere la loro attività;
   tali conseguenze sono maggiormente penalizzanti per un Paese dall'equilibrio idrogeologico assai precario come l'Italia –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri, anche in considerazione del prossimo semestre italiano di presidenza europea, non intenda adottare tutte le iniziative possibili di propria competenza verso la modifica delle norme introdotte dalla Commissione europea per disciplinare la spesa pubblica, prevedendo l'esclusione, dalla contabilizzazione delle spese ai fini del rispetto dei parametri del patto di stabilità e crescita, delle risorse stanziate dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali per finanziare gli interventi necessari per la prevenzione e il contrasto del dissesto idrogeologico. (4-03958)


   FRANCO BORDO. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 gennaio 2014 la Camera dei deputati ha approvato all'unanimità (487 voti favorevoli su 487 votanti) la mozione 1-00311 sull'etichettatura dei prodotti agroalimentari;
   la mozione ha come scopo, l'attuazione di un maggior rigore nel campo delle etichette dei prodotti alimentari in termini di chiarezza e trasparenza nella tracciabilità da parte dei consumatori dell'origine dei prodotti e per un più efficace contrasto delle frodi e delle contraffazioni;
   l'Italia è impegnata a mantenere elevata la tutela della qualità delle proprie produzioni agroalimentari. Si pensi che il Paese ha il maggior numero di prodotti a marchio registrato come la denominazione d'origine protetta, l'indicazione geografica e protetta e la specialità tradizionale garantita che sono oggetto di numerosi e sofisticati tentativi di contraffazione;
   l'Ufficio legislativo del Ministero dello sviluppo economico il 19 febbraio 2014 ha trasmesso alla presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento per le politiche europee, struttura di missione per le procedure di infrazione e al dipartimento per gli affari giuridici e legislativi), al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (ufficio legislativo), al Ministero della salute (ufficio legislativo), al Ministero degli affari esteri (DGUE – ufficio IV), alla Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea, la nota 0004028, il cui oggetto è «Progetto pilota sulla corretta applicazione del diritto comunitario (caso EU Pilot 5938/13/SNCO. Indicazione del paese di origine sull'etichettatura degli alimenti. Ulteriore richiesta di elementi informativi»;
   in questo documento dell'ufficio legislativo del Ministero dello sviluppo economico si fa presente che la Commissione europea con nota del 7 febbraio 2014 rappresenta la necessità di ricevere informazioni in conseguenza dell'approvazione della mozione sopra richiamata;
   le autorità comunitarie manifesterebbero la preoccupazione per il parere favorevole espresso in aula dal rappresentante del Governo in merito all'intenzione del Governo Italiano di voler applicare ulteriori norme in merito all'origine dei prodotti alimentari;
   la Commissione chiederebbe di essere informata circa le intenzioni delle Autorità italiane di attivare la procedura di notifica prevista dalla direttiva 98/34/CE in relazione agli atti di attuazione della normativa d'origine, che il Governo si è impegnato ad emanare conformemente a quanto richiesto dai sottoscrittori della mozione n. 1-00311, adottata all'unanimità dalla Camera dei deputati;
   nella nota dell'ufficio legislativo del Ministero dello sviluppo economico si sottolinea che in merito all'accoglimento degli impegni di cui alla mozione sopra citata, l'ufficio medesimo condivide le preoccupazioni espresse dalla Commissione e nonostante indichi la necessità di un approfondimento fra tutti Ministeri competenti in materia, conclude asserendo che qualora il Governo intendesse dare seguito agli impegni assunti con la mozione approvata all'unanimità dal Parlamento, nessun buon esito potrà fondatamente prevedersi dalla procedura di notifica alla quale detti atti saranno sottoposti;
   recentemente l'Unione europea ha apportato, in tema di indicazioni, delle modifiche al regime di etichettatura dei prodotti agroalimentari. In particolare, il Regolamento n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo alla fornitura d'informazioni sugli alimenti ai consumatori ha modificato la precedente normativa, al fine di semplificarla e migliorare il livello d'informazione e di protezione dei consumatori europei;
   le nuove disposizioni, che entreranno in vigore dal 13 dicembre 2014 – ad eccezione delle disposizioni relative all'etichettatura nutrizionale che entreranno in vigore a partire dal 13 dicembre 2016 – rispondono alla necessità di aumentare la chiarezza e la leggibilità delle etichette;
   tale Regolamento si applica agli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della catena e a tutti gli alimenti destinati al consumo finale, compresi quelli forniti dalle collettività (ristoranti, mense, catering) e quelli destinati alla fornitura delle collettività;
   esso introduce alcune novità di rilievo, quali l'obbligo di indicare la provenienza e l'origine dei prodotti, la leggibilità dell'etichetta, e consente agli Stati membri di adottare «disposizioni ulteriori» (articolo 39 del regolamento) per specifici motivi: protezione della salute pubblica e dei consumatori, prevenzione delle frodi, repressione della concorrenza sleale, protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale e tutela delle indicazioni di provenienza e denominazioni di origine controllata;
   lo Stato membro che voglia introdurre un provvedimento nazionale dovrà notificare il progetto alla Commissione europea e attendere tre mesi per approvarlo, salvo parere negativo della stessa;
   il mandato unanime che il Governo ha ricevuto dal Parlamento con la mozione citata che non può essere scavalcato dall'interpretazione data da un singolo ufficio, seppur competente, senza i necessari approfondimenti;
   sconcerta apprendere che il suddetto ufficio definisca le posizioni del Governo italiano, espresse dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, come non conforme al diritto comunitari»;
   desta preoccupazione che delle strutture ministeriali non siano parimenti impegnate tra loro a difendere gli interessi di un comparto produttivo strategico per il nostro Paese, come quello agroalimentare –:
   quali misure il Governo intenda mettere in atto per dare attuazione agli impegni indicati nella mozione 1-00311 relativa all'etichettatura dei prodotti agro-alimentari;
   come il Governo ritenga di far valere la posizione italiana presso le autorità europee;
   nell'ambito dell'oramai prossima Presidenza italiana del cosiddetto «Semestre Europeo», quali strategie il Governo preveda di adottare in materia e per la salvaguardia dei diritti dei consumatori dell'Unione. (4-03960)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

III Commissione:


   GRANDE. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   Roberto Berardi è un imprenditore italiano che da venti anni lavora in Africa. Nel 2008, dopo aver lasciato la propria attività in Costa d'Avorio a causa della guerra civile si trasferisce in Guinea equatoriale costituendo una società chiamata Eloba Costruzioni s.a. di cui deteneva il 40 per cento delle quote sociali. Nella stessa società era presente il figlio dell'attuale presidente della Guinea, Teodoro Nguema Obiang Mangue, detentore del 60 per cento delle quote;
   nel 2012 Berardi viene a conoscenza del fatto che Teodoro Nguema Obiang Mangue era stato indagato negli Stati Uniti per riciclaggio di denaro attraverso l'apertura di svariati conti correnti intestati alla stessa società utilizzando anche soldi la cui origine sembra possa essere ricondotta ad azioni di corruzione, appropriazione indebita, estorsione;
   pertanto Berardi prende atto che la società di cui è socio viene di fatto utilizzata per svolgere operazioni illegali e il 19 gennaio 2013 viene arrestato e trattenuto per ben 21 giorni e successivamente tradotto in carcere a Bata dove ancora oggi è detenuto;
   durante la detenzione lo stesso ha denunciato vari episodi di violenza perpetrati sulla sua persona dopo che il 26 agosto viene condannato a due anni e quattro mesi di reclusione. Dalla data dell'arresto è stato visitato da una delegazione consolare soltanto in un'occasione, il 14 dicembre 2013, da parte del segretario di ambasciata d'Italia in Camerun competente territorialmente anche per la Guinea;
   Berardi lamenta in una sua missiva indirizzata ai familiari di essere stato «privato di ogni sostegno economico, di essere isolato dal mondo» e di «non ricevere cure mediche e alimentazione sufficiente». Lo stato in cui vive viene descritto come disumano, in contrasto con il rispetto dei diritti sanciti dai princìpi e dalle leggi internazionali;
   in data 31 gennaio 2014 la moglie di Berardi ha sporto denuncia alla procura della Repubblica di Roma poiché dopo più di un anno di detenzione e di segnalazioni al Ministero degli affari esteri non si è verificato nessun miglioramento della condizione e del trattamento in carcere del nostro concittadino. Si aggiunge che lo stesso Berardi è riuscito a documentare attraverso l'uso di un telefono cellulare le conseguenze delle violenze subite durante la detenzione;
   Amnesty International riporta nei suoi documenti che in Guinea la tortura è una pratica diffusa nel Paese;
   il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale hanno deciso di ridurre i finanziamenti al Paese proprio per motivazioni carattere «etico» quali la ingente corruzione e la poca trasparenza nella gestione dei fondi –:
   se siano state poste in essere azioni mirate alla risoluzione del caso di cui trattasi, se il Governo abbia verificato se il nostro connazionale sia stato oggetto di violenze o torture e se, in tal caso, non pensi di portare la vicenda all'attenzione della comunità internazionale. (5-02333)


   SCOTTO e FAVA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la «scuola di gomme» del campo beduino di Khan Al Ahmar, nell'area C dei territori occupati palestinesi, è una scuola costruita con oltre duemila pneumatici grazie ad un progetto di «Arcò — Architettura e Cooperazione», in collaborazione con la ong «Vento di Terra»;
   si tratta di una scuola progettata in architettura bioclimatica;
   l'edificio, «non permanente» dal punto di vista strutturale, è stato realizzato con pneumatici, argilla e legno per non contravvenire ai regolamenti militari israeliani che vietano la costruzione non autorizzata di edifici in area C;
   i muri sono fatti di pneumatici riempiti di terra e la copertura in lamiera sandwich sorretta da travi in lamellare, il tutto è stato realizzato in sole 2 settimane con un primo ridottissimo budget;
   grazie ai fondi successivi la scuola è stata completata con tutte le finiture e dotata di un impianto fotovoltaico;
   i lavori sono stati realizzati in autocostruzione dagli abitanti del villaggio, coordinati da «Arcò — Architettura e Cooperazione»;
   costruita nel 2009, questa scuola mantiene una temperatura stabile nelle aule sia in inverno che in estate;
   la scuola, che è stata dotata di un impianto fotovoltaico grazie al contributo della cooperazione italiana, ora ospita cinque classi elementari;
   il progetto è stato realizzato con finanziamenti europei, e fondamentale è stato il ruolo della cooperazione italiana;
   il campo beduino di Khan al Ahmar tra Gerusalemme e Gerico, ospita oggi cento bambini della comunità Jahalin, espulsa dal Negev nel 1950;
   circa 250 persone hanno vissuto per decenni nel campo su un terreno appartenente al villaggio di Anata;
   l'insediamento di Kfar Adumim si trova a soli due chilometri dal sito;
   l'area in questione è parte dei territori palestinesi occupati dal 1967, dunque gli insediamenti sarebbero illegittimi;
   circondati da insediamenti israeliani ed esclusi da ogni servizio di base, i beduini vivono in condizioni di estrema marginalità, tanto che molti bambini, prima della costruzione della «scuola di gomme», avevano abbandonato gli studi;
   il progetto ha beneficiato di un'ampia copertura mediatica ed è apparso sui maggiori network internazionali, ma ciononostante la «scuola di gomme» è al centro di una complessa vicenda legale;
   come per tutte le altre comunità beduine tra Gerusalemme Est e Gerico, infatti, l'amministrazione civile si rifiuta di permettere ai residenti di Khan Al Ahmar di costruire e connettere le infrastrutture in quanto l'area non ha un piano approvato;
   il mancato rilascio di permessi di costruzione alla appare collegato alla volontà da parte della politica israeliana di evacuare la popolazione palestinese della zona per far spazio a nuovi insediamenti;
   perciò la scuola, che attualmente ospita circa 128 alunni, di cui la maggioranza sono bambine tra i 6 ed i 13 anni, è stata costruita senza permesso;
   l'amministrazione civile israeliana ha emesso ordini di demolizione contro di essa e contro decine di altre strutture;
   i residenti di Kfar Adumim hanno presentato per tre volte petizioni all'Alta Corte di Giustizia, chiedendo che gli ordini di demolizione non fossero effettuati: le prime due petizioni hanno ricevuto risposta negativa, e nel mese di novembre 2013 è stato presentato un altro ricorso;
   il 27 febbraio 2014 è avvenuto un fatto di estrema gravità;
   l'amministrazione civile israeliana ha infatti confiscato attrezzature di gioco donate quello stesso giorno dal Governo italiano alla scuola in questione;
   un rappresentante del consolato italiano aveva accompagnato due camion, uno dei quali trasportante il cemento e l'altro un'altalena a tre posti ed uno scivolo con un tunnel e due scale;
   gli ispettori dell'amministrazione civile, affermando che l'installazione era illegale, hanno sequestrato tutto il materiale;
   il rappresentante del consolato italiano ha cercato inutilmente di ribaltare la decisione;
   il tutto è avvenuto sotto lo sguardo disperato dei bambini e delle bambine della scuola, che avevano accolto il dono del Governo italiano con infinito entusiasmo;
   un rapporto del «BIMKOM — Planners for Planning Rights» afferma che circa 300 strutture in liquidazione sono state costruite illegalmente;
   l'amministrazione civile non ha voluto rispondere ad una richiesta di commento –:
   quali iniziative si intendano intraprendere al riguardo e, in particolare, se non ritenga doveroso intervenire presso le autorità israeliane per garantire la sopravvivenza della «scuola di gomme» e la possibilità di reinstallare le attrezzature ricreative donate dal Governo italiano.
(5-02334)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 16 marzo 2014 avrà luogo nel territorio della Repubblica autonoma di Crimea un referendum di autodeterminazione che potrà determinarne la secessione dall'Ucraina ed il successivo ingresso nella Federazione Russa, se e quando la Duma di Stato approverà la revisione della legge costituzionale federale n. 6 del 2001, in base alla quale lo Stato russo non può incorporare nuovi territori senza che vi sia un trattato internazionale con lo Stato cedente;
   il Governo italiano informa la propria posizione sulla crisi in atto al principio di garantire unità, sovranità, inclusività e integrità territoriale dell'Ucraina, definendo «del tutto inaccettabile» ogni violazione di questi principi a prescindere dalla modalità in cui potrebbe verificarsi, come se fosse soltanto un dettaglio e non questione di sostanza;
   avrà luogo in Scozia il 18 settembre 2014 un referendum di autodeterminazione che potrebbe sancire la dissoluzione dell’Act of Union –:
   se la posizione italiana sui casi crimeano e scozzese sarà o meno la stessa e per quali motivi. (5-02335)


   PORTA, AMENDOLA, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA, NICOLETTI e TIDEI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   per tutelare i diritti previdenziali dei lavoratori emigrati l'Italia ha stipulato nel corso degli anni numerose convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con i Paesi di maggiore emigrazione; tali convenzioni hanno garantito in materia di sicurezza sociale la parità di trattamento dei lavoratori che si spostavano da un Paese all'altro, l'esportabilità delle prestazioni previdenziali e soprattutto la totalizzazione dei contributi ai fini del perfezionamento dei requisiti contributivi minimi previsti dalle varie legislazioni per la maturazione di un diritto a prestazione;
   in America Latina l'Italia ha stipulato convenzioni bilaterali di sicurezza sociale con Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela, mentre invece non è stata ancora ratificata la convenzione con il Cile già firmata dai due Paesi contraenti nel lontano 1998 e approvata in quello stesso anno dal Parlamento cileno;
   a 15 anni di distanza dalla firma della convenzione e dall'approvazione del Parlamento cileno, il Governo e il Parlamento italiani non hanno ancora onorato gli impegni internazionali assunti con il Cile, con il popolo di quel Paese e soprattutto con le migliaia di cittadini italiani ivi residenti;
   attualmente quindi tra Italia e Cile non esistono accordi che regolano i rapporti in materia sicurezza sociale — si tratta di una lacuna che finora non ha consentito a migliaia di cittadini italiani residenti in Cile e di cittadini cileni residenti in Italia (o rientrati in Cile dopo la fine della dittatura) di maturare un diritto a prestazione pensionistica sebbene essi abbiano versato i contributi assicurativi sia in Italia che in Cile;
   nel marzo del 2011 durante la visita di Stato in Cile del Presidente del consiglio pro tempore Berlusconi, il Presidente della Repubblica del Cile ha evidenziato l'interesse a una rapida conclusione del processo di ratifica da parte italiana dell'accordo in materia di sicurezza sociale, sottoscritto a Santiago il 5 marzo 1998, nella consapevolezza che la sua entrata in vigore sarà di utilità per numerosi cittadini di entrambi i Paesi;
   in occasione della recente rielezione di Michelle Bachelet, il Ministro degli affari esteri pro tempore Emma Bonino ha sostenuto che sarebbe andata alla cerimonia di insediamento a marzo 2014 per farle le sue felicitazioni e per rafforzare il rapporto bilaterale tra Italia e Cile già saldo e vitale;
   tuttavia, nella seppur apprezzabile strategia di internazionalizzazione del Paese che ha perseguito il Governo precedente ed in particolare il Ministro pro tempore Bonino, a causa del drastico ridimensionamento delle cosiddette politiche emigratorie che da alcuni anni si sta determinando, rischiano di offuscarsi le potenzialità legate alla presenza degli italiani nel mondo e tende a restringersi la rete di relazioni che essa ha assicurato nel tempo, con grave danno del Paese soprattutto in questo passaggio di gravi difficoltà economiche e sociali;
   l'abbandono della gestione delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale non consente di esercitare una doverosa tutela dei diritti e un rigoroso controllo dei doveri socio-previdenziali di una parte non marginale delle comunità italiane, costituita da anziani che spesso vivono in realtà dove i sistemi di protezione sociale non assicurano livelli di tutela adeguati e dai nuovi soggetti migranti i quali sono protagonisti di una mobilità internazionale fonte di carriere lavorative ed assicurative frammentate che necessitano di nuovi e più adeguati strumenti di tutela previdenziale, fiscale e sanitaria;
   è quindi di primario interesse nazionale fare in modo che non si indeboliscano i rapporti con la diffusa è articolata presenza degli italiani nel mondo e che non vengano a mancare in un momento di seria difficoltà gli apporti derivanti dalla nostra diffusa diaspora; nello stesso tempo, è ineludibile dovere etico riconoscere alla emigrazione italiana il contributo storico dato in momenti difficili al Paese e non ignorare i compiti di tutela e di solidarietà verso coloro che sono in seria difficoltà, a partire dalla tutela previdenziale e sanitaria;
   nei giorni scorsi, dopo ben oltre dieci anni di inattività in materia di stipula di convenzioni bilaterali di sicurezza sociale il Consiglio dei ministri pro tempore su proposta del Ministro degli affari esteri pro tempore Emma Bonino, ha finalmente approvato i disegni di legge per il rinnovo della convenzione di sicurezza sociale con il Canada e la stipula delle convenzioni con Giappone, Israele e Nuova Zelanda, mentre purtroppo, ancora una volta, è rimasto escluso il Cile;
   la convenzione quando entrerà in vigore si applicherà, per quanto riguarda l'Italia, alla legislazione concernente: l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, comprese le gestioni speciali per i lavoratori autonomi; ai regimi sostitutivi dell'assicurazione generale obbligatoria e alle forme obbligatorie di previdenza gestite da persone giuridiche private concernenti i lavoratori dipendenti ed autonomi; all'assicurazione per malattia; mentre, per quanto riguarda il Cile, si applicherà al nuovo sistema di pensioni di vecchiaia, invalidità e superstiti, basato sulla capitalizzazione individuale; ai regimi di pensione di vecchiaia, invalidità e superstiti gestiti dall'Istituto de Normalizacion Previsional, e, in maniera limitata, ai regimi di assistenza sanitaria –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere per onorare gli impegni presi con il Cile ed approvare e presentare al più presto il disegno di legge di ratifica e di esecuzione della convenzione bilaterale di sicurezza sociale tra Italia e Cile, firmata nel 1998 e approvata nello stesso anno dal Parlamento cileno, al fine di completare il quadro degli accordi bilaterali di sicurezza sociale stipulati dall'Italia con i maggiori Paesi di emigrazione ed in particolare di tutelare finalmente i lavoratori italiani emigrati in Cile ed i lavoratori cileni emigrati in Italia, consentendo così a coloro i quali hanno versato contributi nell'assicurazione generale obbligatoria italiana e nell'assicurazione cilena, anche in anni remoti, di non perdere la contribuzione versata e di maturare un diritto ad una prestazione socio-previdenziale italiana e/o cilena. (5-02336)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANNI FARINA, FEDI, LA MARCA, PORTA e GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   presso la rete diplomatico-consolare italiana nel mondo, la prenotazione dell'appuntamento per il disbrigo di pratiche amministrative è una prassi consolidata. Tale procedura, da diversi anni, si può ordinariamente realizzare solo on line, salvo sporadici casi;
   per fissare un appuntamento con il consolato generale d'Italia di Londra, ad esempio, un utente deve esclusivamente procedere con la prenotazione on line;
   per poterlo fare l'utente deve seguire le indicazioni riportate sul sito del consolato generale d'Italia di Londra, che qui si trascrivono in dettaglio:
    «Per accedere al servizio la prima volta l'utente dovrà registrarsi fornendo i dati personali ed una casella di posta elettronica (quest'ultima è imprescindibile).
    Alla casella indicata l'utente riceverà una e-mail di conferma della registrazione, in modo da poter attivare la propria utenza ed accedere al sistema di prenotazione on-line (avvertenza: se la casella è del tipo gratuito – per es. Yahoo, Hotmail, Terra, Gmail, ecc. – è possibile che la e-mail di conferma pervenga dopo varie ore, oppure che venga spostata nelle cartelle “posta non desiderata” o “spam”, pertanto si consiglia di controllare queste cartelle)»; «una volta ricevute le credenziali l'utente potrà accedere al sistema mediante il suo utente/password, cliccando successivamente su “Login”, «l'utente dovrà poi selezionare “l'Ufficio di competenza”»;
    «Attenzione: per prenotare l'appuntamento, cliccare sul nome dell'Ufficio prescelto e NON sulla busta bianca in corrispondenza, che consentirà unicamente di inviare una email alla Sede»; «dato che il sistema è automatico – ovvero non esiste un operatore – è necessario che l'utente gestisca direttamente il suo account personale. L'operatore consolare non può forzare il sistema. È da tenere presente che per motivi operativi e di gestione interna, la possibilità di inserimento delle richieste di appuntamento nel calendario viene mantenuta disponibile in un intervallo determinato per tipologia di servizio (da 30 giorni a 90 giorni, con estensione quotidiana di tale intervallo)»;
    «Qualora non vi siano date disponibili («verdi»), ma solo rosse o nere, ciò non significa un malfunzionamento del sistema»;
    «Il sistema “Prenota Online” sblocca alle ore 23 (ORE UK) la prima data successiva all'intervallo. Stante l'elevata richiesta, i posti disponibili possono esaurirsi in un breve intervallo di tempo a partire dalle 23. Qualora pertanto non si trovino date disponibili nel calendario, è necessario attendere il giorno successivo e riprovare»;
    «Si consiglia inoltre di ricontrollare frequentemente in caso vengano aggiunti ulteriori appuntamenti o in caso di cancellazioni di appuntamenti»;
    «NB: il buon funzionamento del sistema di appuntamenti online dipende molto sia dal corretto inserimento delle richieste da parte degli interessati, sia dal fondamentale rispetto per le esigenze di altre persone che si trovano in situazione analoga. Al fine di fornire un servizio sempre più vicino alle giuste aspettative degli utenti si pregano pertanto i connazionali di cancellare in ogni circostanza tutti gli appuntamenti considerati non più necessari»;
   tale dettagliata e precisa serie di istruzioni, incluse le ipotesi sulle colorazioni delle caselle, se da un lato lascia presumere una notevole esperienza sui problemi di gestione del sistema, dall'altro indica, ad avviso degli interroganti, una consapevolezza della incapacità del sistema di gestire sia il volume delle richieste che la loro analisi qualitativa –:
   quale immediata azione si intenda intraprendere per rafforzare il sistema degli appuntamenti online, anche con soluzioni alternative, comunque tali da soddisfare le esigenze degli utenti dei servizi consolari, particolarmente nel Regno Unito e nelle realtà territoriali dove sono presenti molti nostri connazionali, quale Bedford;
   se non s'intendano rafforzare competenze e capacità di intervento dei consoli onorari dislocati sul territorio consentendo, ad esempio, il prelievo delle minuzie ai fini del rilascio del passaporto biometrico, soluzione questa praticata da altre diplomazie, che renderebbe il sistema sicuramente più efficiente. (4-03949)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   in occasione dello svolgimento di interpellanze urgenti recentemente il Sottosegretario per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare Silvia Velo ha affermato «Per quanto riguarda le iniziative assunte dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, volte al dialogo con i diversi segmenti del settore idrico, si porta a conoscenza che, con decreto ministeriale n. 358 del 13 dicembre 2013, è stata istituita una task force per individuare le strategie e le priorità politiche al fine di valutare, tra l'altro, le migliori pratiche in materia di sostenibilità nell'uso delle risorse idriche (il predetto provvedimento è visionabile presso il sito del Ministero). In merito alla contaminazione delle acque potabili, nel rammentare che la materia è regolata dal decreto legislativo n. 31 del 2001 e che le deroghe ai parametri di potabilità in esso previste sono scadute e non più rinnovabili, si rappresenta che la maggior parte delle contaminazioni presenti nelle acque sono di origine naturale e i sindaci di molti comuni italiani hanno provveduto ad imporre divieti, limiti e prescrizioni nell'uso delle acque. Visto che sovente la contaminazione interessa l'intera falda e non vi è la disponibilità di altre risorse idriche a cui attingere per il soddisfacimento della domanda ad uso potabile, quindi si ricorre a forniture sostitutive, atteso anche che le opere di risanamento di tal genere richiedono ingenti investimenti e che, allo stato, non trovano un'adeguata copertura finanziaria e richiedono anche tempi di attuazione di medio e lungo periodo»;
   l'acqua è un bene essenziale ed insostituibile per la vita e, pertanto, la disponibilità e l'accesso all'acqua potabile e all'acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi costituiscono un diritto inviolabile dell'uomo, un diritto universale, indivisibile, che si può annoverare fra quelli di cui all'articolo 2 della Costituzione;
   l'ONU, con la risoluzione dell'Assemblea generale del 28 luglio 2010 (GA/10967), ha dichiarato il diritto all'acqua un diritto umano universale e fondamentale;
   la risoluzione sottolinea ripetutamente che l'acqua potabile e per uso igienico, oltre ad essere un diritto di ogni uomo, concerne la dignità della persona, è essenziale al pieno godimento della vita, ed è fondamentale per tutti gli altri diritti umani; la medesima risoluzione raccomanda gli Stati ad attuare iniziative per garantire a tutti un'acqua potabile di qualità, accessibile, a prezzi economici;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del luglio 2012, all'articolo 1, ha esattamente definito le funzioni del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in materia di servizio idrico integrato, individuandole principalmente nell'ambito del coordinamento dei vari livelli di pianificazione, della definizione degli standard di qualità della risorsa, del risparmio idrico e, per quanto riguarda i temi tariffari, della definizione dei criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori di impiego dell'acqua, anche in proporzione al grado di inquinamento ambientale derivante dai diversi tipi e settori di impiego e ai costi conseguenti a carico della collettività, in attuazione del principio del recupero integrale del costo del servizio e del principio «chi inquina paga»;
   l'articolo 155 (Tariffa del servizio di fognatura e depurazione) del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede che «Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell'articolo 154, a un fondo vincolato intestato all'autorità d'ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito. La tariffa non è dovuta se l'utente è dotato di sistemi di collettamento e di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell'autorità d'ambito.
   2. In pendenza dell'affidamento della gestione dei servizi idrici locali al gestore del servizio idrico integrato, i comuni già provvisti di impianti di depurazione funzionanti, che non si trovino in condizione di dissesto, destinano i proventi derivanti dal canone di depurazione e fognatura prioritariamente alla manutenzione degli impianti medesimi.
   3.  Gli utenti tenuti al versamento della tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura, di cui al comma 1, sono esentati dal pagamento di qualsivoglia altra tariffa eventualmente dovuta al medesimo titolo ad altri enti pubblici.
   4. Al fine della determinazione della quota tariffaria di cui al presente articolo, il volume dell'acqua scaricata è determinato in misura pari al cento per cento del volume di acqua fornita.
   5. Per le utenze industriali la quota tariffaria di cui al presente articolo è determinata sulla base della qualità e della quantità delle acque reflue scaricate e sulla base del principio «chi inquina paga». È fatta salva la possibilità di determinare una quota tariffaria ridotta per le utenze che provvedono direttamente alla depurazione e che utilizzano la pubblica fognatura, sempre che i relativi sistemi di depurazione abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell'Autorità d'ambito.
   6. Allo scopo di incentivare il riutilizzo di acqua reflua o già usata nel ciclo produttivo, la tariffa per le utenze industriali è ridotta in funzione dell'utilizzo nel processo produttivo di acqua reflua o già usata. La riduzione si determina applicando alla tariffa un correttivo, che tiene conto della quantità di acqua riutilizzata e della quantità delle acque primarie impiegate»;
   in attuazione della legge n. 526 del 1999 (legge comunitaria 1999), il decreto legislativo del 2001 ha recepito la direttiva 98/83/CE del Consiglio, del 3 novembre 1998, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, in modo da adempiere agli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee;
   l'articolo 4 – (Obblighi generali) di tale decreto prevede che: «1. Le acque destinate al consumo umano devono essere salubri e pulite.
   2. Al fine di cui al comma 1, le acque destinate al consumo umano:
    a) non devono contenere microrganismi e parassiti, né altre sostanze, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana»;
   l'articolo 5 – (Punti di rispetto delle conformità) al comma 3 prevede: «fermo restando quanto stabilito al comma 2, qualora sussista il rischio che le acque di cui al comma 1, lettera a), pur essendo nel punto di consegna rispondenti ai valori di parametro fissati nell'allegato I, non siano conformi a tali valori al rubinetto, l'azienda sanitaria locale dispone che il gestore adotti misure appropriate per eliminare il rischio che le acque non rispettino i valori di parametro dopo la fornitura. L'autorità sanitaria competente ed il gestore, ciascuno per quanto di competenza, provvedono affinché i consumatori interessati siano debitamente informati e consigliati sugli eventuali provvedimenti e sui comportamenti da adottare»;
   la direttiva 98/83/CE del Consiglio, del 3 novembre 1998 prevede che in caso di inosservanza dei valori di parametro, lo Stato membro interessato provvede affinché vengano tempestivamente adottati i provvedimenti correttivi necessari per ripristinare la qualità delle acque. Indipendentemente dal rispetto o meno dei valori di parametro, gli Stati membri provvedono affinché la fornitura di acque destinate al consumo umano, che rappresentano un potenziale pericolo per la salute umana, sia vietata o ne sia limitato l'uso e prendono qualsiasi altro provvedimento necessario. I consumatori vengono informati di tali misure;
   la direttiva, inoltre, prevede che gli Stati membri possano stabilire deroghe ai valori di parametro fino al raggiungimento di un valore massimo, purché:
    la deroga non presenti un rischio per la salute umana;
    l'approvvigionamento delle acque potabili nella zona interessata non possa essere mantenuto con nessun altro mezzo congruo;
    la deroga abbia durata più breve possibile, non superiore a un periodo di tre anni (è prevista la possibilità di rinnovare la deroga per due periodi addizionali di tre anni);
    le deroghe devono indicare particolareggiatamente i motivi che hanno indotto a concederle, salvo qualora lo Stato membro interessato ritenga che l'inosservanza del valore di parametro sia trascurabile e che un'azione correttiva possa risolverla tempestivamente;
    lo Stato membro che si avvale di una deroga provvede affinché ne sia informata:
    la popolazione interessata;
    la Commissione, entro un termine di due mesi, se la deroga riguardi una singola fornitura d'acqua superiore a 1000 m3 al giorno in media o l'approvvigionamento di 5000 o più persone;
   il 31 dicembre 2012 sono scadute le ultime deroghe possibili alla direttiva 98/83 (recepita con il decreto legislativo n. 31 del 2001) concesse dall'Unione europea, rispetto ai valori massimi di arsenico presenti nell'acque alimentari attestanti a 10 μg/l; dunque ai sindaci non è rimasta altra scelta che dichiarare la non potabilità dell'acqua, facendo fioccare ordinanze di divieto di utilizzo dell'acqua. Ma dopo anni di noncuranza di amministratori e gestori non si può certo dire che sia una sciagura inaspettata;
   infatti, quando nel 2010 l'Unione europea aveva «rispedito al mittente» la terza richiesta consecutiva di concessione di deroga per presenza di arsenico per valori superiori a 20 μg/l e si sarebbe dovuto intervenire in modo drastico, invece le deroghe, previste solo come misura transitoria, sono diventate un espediente per non fare i necessari interventi di potabilizzazione;
   si legge nella nota informativa dell'Istituto superiore sanità: «In Italia particolare rilevanza nel contesto dei regimi di deroga ha riguardato, a tutt'oggi, il parametro “arsenico”, presente in acque di origine sotterranea in molte aree del Paese e generalmente ricondotto a contaminazione di natura geogenica. In passato, numerose Regioni e molteplici Comuni, che si sono avvalsi dell'istituto delle deroghe nell'ambito dei due successivi trienni 2003-2006-2009 sono rientrati nel valore limite di 10 microgrammi/litro previsto dal decreto legislativo n. 31 del 2001, mentre per alcune aree più o meno vaste di quattro Regioni (Lombardia, Toscana, Lazio e Umbria) e delle Province Autonome di Trento e Bolzano è stato necessario ricorrere ad una terza deroga, concessa dalla CE con le due Decisioni C(2010)7605 e C(2011)2014, fino ad un valore massimo di 20 microgrammi/litro. Tali decisioni, trasposte con i decreti interministeriali del 24 novembre 2010 e 11 maggio del 2011 e quindi implementate mediante normativa regionali, hanno inizialmente interessato una popolazione totale di 1.030.477 abitanti. È da sottolineare che un fondamentale vincolo che presiede la concessione di ogni provvedimento di deroga da parte della CE è l'implementazione delle azioni correttive, elaborate da parte di soggetti competenti sul territorio (gestori idrici, Autorità d'Ambito Ottimale) sotto l'egida della Regione per il rientro in conformità delle acque secondo un rigoroso crono programma, parte integrante della richiesta di deroga»;
   secondo Janez Potocnik, il commissario europeo all'ambiente che l'ha firmata, la deroga «è stata valutata sulla base di dati scientifici dell'Organizzazione Mondiale della Sanità». Fino al 31 dicembre 2012, il limite massimo ammesso passa da 10 milligrammi/litro a 20 milligrammi/litro ma non sono concessi limiti superiori ai 20 milligrammi, «perché – ha aggiunto la Potocnik – potrebbero causare danni alla salute». Il commissario ha poi sottolineato che ogni Stato membro deve fornire un rendiconto triennale relativo alla presenza di sostanze nell'acqua e per quanto riguarda l'esercizio 2005-2006, «l'Italia non ha ancora fornito la sua documentazione»;
   studi scientifici rivelano che l'assunzione, anche in minime quantità (2/3 μg/l), di arsenico distribuita nel tempo è dannosa per la salute umana e può portare a patologie croniche e, in casi estremi, anche alla morte;
   Roger Aertgeerts, responsabile acqua e igiene dell'organizzazione mondiale della sanità afferma che «Il valore di arsenico massimo consentito è di 10 microgrammi per litro. La Direttiva 98/83/Ce del Consiglio del 3 novembre 1998 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano si basa sulle Linee guida Oms per l'acqua potabile. Il valore massimo per la concentrazione di arsenico nell'acqua specificato nella Direttiva, è di 10 microgrammi per litro, ed è lo stesso fissato nelle Linee Guida Oms.
   Evidenze che provengono d studi epidemiologici, infatti, indicano che il consumo di livelli elevati di arsenico attraverso l'acqua potabile è casualmente associato allo sviluppo di tumori in vari siti, in particolare pelle, vescica e polmone. Tuttavia, resta una considerevole incertezza rispetto alla curva dose-risposta per esposizioni a bassi quantitativi. I composti di arsenico inorganico sono classificati nel Gruppo 1 (cancerogeni per l'uomo) dall'Agenzia internazionale della ricerca sul cancro (Iarc);
   secondo L'Oms quindi, le tecniche di trattamento delle acque, correttamente implementate, dovrebbero essere in grado di raggiungere livelli di arsenico di 5 microgrammi per litro, equivalenti alla metà del valore delle Linee guida»;
   è nota a tutti la vicenda dei giorni scorsi relativa all'ordinanza del sindaco di Roma, Marino, che proibisce in modo categorico, con decorrenza immediata e fino a 31 dicembre 2014, di usare l'acqua per uso alimentare e igiene personale in numerose zone dei municipi XIV e XV servite dagli acquedotti gestiti da Arsial. Secondo l'ordinanza, gli acquedotti in questione «presentano acqua con caratteristiche chimiche e batteriologiche ovvero solo batteriologiche non adatte al consumo umano a causa del superamento dei valori prescritti». In realtà sono stati i livelli elevati di arsenico ad avere messo in allarme gli operatori dell'ASL. Solo per citare il caso che ha assunto maggior clamore;
   per non parlare del caso del cromo esavalente nelle acque di Brescia;
   infatti il decreto legislativo n. 152 del 2006 impone nelle acque sotterranee una concentrazione massima di cromo esavalente pari a 5 μg/l ed il limite di 50 μg/l per quanto riguarda il cromo totale (ossia la somma di tutte le diverse valenze chimiche dell'elemento);
   il decreto legislativo n. 31 del 2001 statuisce altresì che il limite previsto per il cromo totale non debba superare i 50 μg/l per l'acqua destinata al consumo umano;
   non è previsto un ulteriore limite esplicito per la concentrazione di cromo VI nelle acque destinate al consumo umano;
   è evidente che il decreto legislativo n. 31 del 2001 non abbia previsto un limite specifico per il cromo VI, per il semplice fatto che il suo livello nell'acqua potabile dovrebbe essere minimo, in conformità con quanto stabilito dal testo unico in materia ambientale (il decreto legislativo n. 152 del 2006) che considera contaminate quelle acque sotterranee in cui a concentrazione di cromo VI sia superiore a 5 μg/l;
   questa considerazione implicita contenuta nel decreto legislativo n. 31 del 2001 ha creato però una distorsione interpretativa della legge, inducendo alcuni organi preposti al controllo, a verificare sì, il limite di 5 μg/l di cromo VI per le acque di falda, ma non a verificare lo stesso limite per l'acquedotto, permettendo il consumo di acqua con concentrazioni di cromo VI che possono arrivare fino a 50 μg/l (quantità dieci volte maggiore a quella prescritta dal decreto legislativo n. 152 del 2006;
   appare quindi esservi una chiara contraddizione tra le forme di tutela introdotte per le acque sotterranee e quelle erogate all'utenza;
   è risaputo inoltre quanto il cromo esavalente sia carcinogenico e mutagenico;
   permettere una concentrazione di cromo esavalente pari a 50 μg/l nelle acque destinate al consumo umano significa innalzare la concentrazione di una sostanza cancerogena che non dovrebbe essere somministrata al corpo umano in quanto si lega alle proteine e al dna causando mutazioni genetiche e aberrazioni cromosomiche;
   inoltre dal 26 dicembre 2014 l'acqua potabile italiana dovrà contenere meno piombo. Entrano infatti in vigore i nuovi limiti previsti dal decreto legislativo 31 del 2001, che riduce di oltre la metà la quantità ammessa, da 25 a 10 microgrammi per litro. Un limite che in realtà era già stato previsto da una direttiva europea del 1998, ma che, in Italia non è stato possibile rendere efficace da subito. Si è così disposta una fase di transizione, per consentire un adeguamento graduale per tutti gli edifici, pubblici e privati, da parte di regioni, asl e gestori degli acquedotti;
   il piombo infatti è un metallo tossico. Può causare disturbi neurologici e del comportamento, malattie cardiovascolari e, secondo il recente allarme dell'Organizzazione mondiale della sanità, anche ritardi nello sviluppo neurologico dei bambini. Senza dimenticare problemi ai reni, ipertensione, ridotta fertilità, aborti, ritardo nella maturazione sessuale e alterato sviluppo dentale. Tuttavia, al momento, non è possibile conoscere la situazione degli edifici italiani, perché non esistono dei dati aggiornati e precisi sugli edifici. La presenza di piombo è legata alle tubature vecchie, fatte in piombo. Non è stato possibile adeguarsi da subito ai limiti imposti dall'Europa perché sarebbero state troppe le risorse da spendere per mettersi in regola, così si è deciso per una fase di transizione, in modo da consentire un passaggio graduale;
   anche l'istituto superiore di sanità ha da poco pubblicato sul sito una «Nota informativa in merito alla potenziale contaminazione da piombo in acque destinate a consumo umano», ma neanche questa presenta dati aggiornati. Sugli edifici ad uso privato, spiega l'Iss, «i dati di alcune Regioni evidenziano sporadiche criticità in vecchie costruzioni», e si cita il caso della Toscana, e in particolare di Firenze, dove si stima che circa il 30 per cento degli edifici sia a rischio, e dove è stato rilevato un superamento del valore di 10 microgrammi su circa il 5 per cento di campioni analizzati. Generalmente, rassicura l'Istituto superiore di sanità le acque fornite dal gestore del servizio idrico contengono livelli di piombo significativamente inferiori ai 10 microgrammi, anche se concentrazioni superiori possono essere riscontrate al punto d'utenza in edifici con tubature, rubinetteria o altre componenti o saldature in piombo o stagno, per via della corrosione dei materiali con conseguente rilascio del metallo nell'acqua. I centri o i quartieri storici sono le aree più a rischio. Quindi, ancora una volta, dovranno essere i singoli cittadini a preoccuparsi e pagare per l'eventuale messa a norma delle tubature delle abitazioni;
   inoltre il rapporto di Legambiente Ecosistema Urbano (in allegato) sempre per quanto riguarda gli investimenti relativi alle acque ha segnalato nell'ottobre 2013 come il 30 per cento dell'acqua non venga consumata e vada perduta;
   dalla ricerca emerge che la dispersione della rete (ossia la differenza percentuale tra l'acqua immessa e quella consumata) offra un panorama variegato per cui si passa dal 10 per cento di Pordenone e Reggio Emilia al 68 per cento dell'Aquila e di Cosenza, ma in linea generale in oltre la metà delle città italiane si perde quasi un terzo dell'acqua immessa;
   infine, il 23 gennaio 2014 è stata data notizia che l'Italia risulta inadempiente sul trattamento delle acque reflue. La Commissione europea ha infatti presentato ricorso alla Corte europea lamentando la non corretta attuazione in varie parti del territorio nazionale di una direttiva del maggio 1991. Secondo Bruxelles, l'Italia avrebbe omesso di prendere le disposizioni necessarie per garantire che gli agglomerati aventi un numero di abitanti superiore a 10.000 e scaricanti in acque recipienti considerate «aree sensibili» siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane (comuni lombardi di Bareggio, Cassano d'Adda, Melegnano, Mortara, Olona Nord, Olona Sud, Robecco sul Naviglio, San Giuliano Milanese Est, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Trezzano sul Naviglio, Turbigo e Vigevano). Inoltre, non sarebbero state prese le disposizioni necessarie a garantire che le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente o in altri casi ad un trattamento «più spinto». Infine, per non aver preso le disposizioni necessarie per la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane realizzati per garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e affinché la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico;
   non sono state inoltre prese le disposizioni necessarie per garantire che negli agglomerati aventi un numero di abitanti equivalenti o superiore a 10.000, le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente (comuni di Pescasseroli (Abruzzo), Aviano Capoluogo, Cormons, Gradisca d'Isonzo, Grado, Pordenone/Porcia/Roveredo/Cordenons, Sacile (Friuli Venezia Giulia), Bareggio, Broni, Calco, Cassano d'Adda, Casteggio, Melegnano, Mortara, Orzinuovi, Rozzano, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Somma Lombardo, Trezzano sul Naviglio, Turbigo, Valle San Martino, Vigevano, Vimercate (Lombardia), Pesaro, Urbino (Marche), Alta Val Susa (Piemonte), Nuoro (Sardegna), Castellammare del Golfo I, Cinisi, Terrasini (Sicilia), Courmayeur (Valle d'Aosta) e Thiene (Veneto));
   così come non sono state assunte le disposizioni necessarie affinché la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane realizzati per ottemperare ai requisiti fissati agli articoli da 4 a 7 della direttiva 91/271/CEE siano condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e affinché la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico (comuni di Pescasseroli (Abruzzo), Aviano Capoluogo, Cividale del Friuli, Codroipo/Sedegliano/Flaibano, Cormons, Gradisca d'Isonzo, Grado, Latisana Capoluogo, Pordenone/Porcia/Roveredo/Cordenons, Sacile, San Vito al Tagliamento, Udine (Friuli Venezia Giulia), Frosinone (Lazio), Bareggio, Broni, Calco, Cassano d'Adda, Casteggio, Melegnano, Mortara, Orzinuovi, Rozzano, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Somma Lombardo, Trezzano sul Naviglio, Turbigo, Valle San Martino, Vigevano, Vimercate (Lombardia), Pesaro, Urbino (Marche), Alta Val Susa (Piemonte), Francavilla Fontana, Montelasi, Trinitapoli (Puglia), Dorgali, Nuoro, ZIR Villacidro (Sardegna), Castellammare del Golfo I, Cinisi, Partinico, Terrasini, Trappeto (Sicilia), Courmayeur (Valle d'Aosta) e Thiene (Veneto));
   la Commissione europea afferma, in sostanza, che «la mancanza di idonei sistemi di raccolta e trattamento, previsti dall'Ue già dal 1998, comporta rischi per la salute umana, le acque interne e l'ambiente marino». Nonostante «i buoni progressi – spiega la commissione – la gravità delle persistenti lacune ha indotto ad adire nuovamente alla Corte di giustizia»;
   già con la sentenza della Corte (settima Sezione) del 19 luglio 2012 «Commissione Europea contro Repubblica Italiana, Inadempimento di uno Stato alla Direttiva 91/271/CEE, sul Trattamento delle acque reflue urbane (Causa C-565/10), la Corte di giustizia ha condannato l'Italia per non aver predisposto adeguati sistemi per il convogliamento e il trattamento delle acque reflue in numerosi centri urbani con oltre 15.000 abitanti, ai sensi degli articoli 3, 4, paragrafi 1 e 3, e 10 della direttiva 91/271/CEE, come modificata dal regolamento n. 1137/2008;
   secondo l'articolo 3, paragrafo 1, primo comma, primo trattino, della direttiva 91/271, gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti superiore a 15.000 avrebbero dovuto essere provvisti di reti fognarie per le loro acque reflue urbane entro il 31 dicembre 2000. L'articolo 4, paragrafo 1, prevede che, negli agglomerati con oltre 15.000 abitanti, la totalità delle acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie devono, prima dello scarico, essere sottoposte ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, al più tardi entro il 31 dicembre 2000. L'articolo 10 prevede che la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane realizzati per ottemperare ai requisiti fissati dalla direttiva debbano essere condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche e tenendo conto delle variazioni stagionali di carico;
   la Corte ha preso atto della rinuncia della Commissione a procedere riguardo ad alcuni agglomerati urbani avendo l'Italia posto rimedio a numerose situazioni non conformi. Per gli altri agglomerati l'Italia è stata considerata inadempiente. Si tratta di 116 centri urbani non in regola con le disposizioni della direttiva;
   di questi, 51 erano sprovvisti delle reti fognarie per le acque reflue urbane ai sensi dell'articolo 3 della direttiva (18 in Calabria, 1 in Friuli, 1 nel Lazio, 3 in Puglia e 28 in Sicilia), mentre 92 risultano sprovvisti di adeguati impianti di trattamento secondario delle acque reflue ai sensi dell'articolo 4, paragrafi 1 e 3, e dell'articolo 10 della direttiva (1 in Abruzzo, 9 in Calabria, 10 in Campania, 1 in Friuli, 9 in Liguria, 5 in Puglia e 57 in Sicilia);
   considerato che l'articolo 155 del decreto legislativo n. 152 del 2006 afferma chiaramente che «Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell'articolo 154, a un fondo vincolato intestato all'Autorità d'ambito, che lo mette disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito» appare grave agli interpellanti che tali interventi di fognatura e depurazione in molti comuni tuttora non siano stati effettuati –:
   se sia effettuato un monitoraggio periodico della risorsa idrica, costante ed esteso a tutto il territorio nazionale degli inquinanti comuni quali arsenico, vanadio, fluoruri come dichiarato dal decreto legislativo n. 31 del 2001;
   se le analisi siano state pubblicate secondo quanto previsto dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della direttiva 2003/4/CE, per l'accesso alle informazioni ambientali che non richiede l'obbligo della motivazione, come confermato dall'articolo 3-sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», che ha introdotto l'istituto dell'accesso civico che consente a tutti i cittadini senza limiti di legittimazione e senza obbligo di motivazione di accedere a documenti, informazioni e dati per i quali sia previsto l'obbligo di pubblicazione;
   quali siano i dati attuali relativi ai 128 comuni a cui nel 2010 la Commissione europea voleva negare la deroga ai limiti di potabilità;
   se il Ministro ritenga che sia stata data corretta informazione ai cittadini rispetto a questi dati e se non intenda rendere noti tali dati, anche fornendo la relativa documentazione fondamentale per la tutela della salute e dell'ambiente;
   se il Governo abbia fornito il rendiconto triennale relativo alla presenza di sostanze nell'acqua che gli Stati membri sono tenuti a fornire alla Commissione europea e quale sia il periodo di riferimento dell'ultimo rendiconto;
   se la task force istituita con il decreto ministeriale n. 358 del 13 dicembre 2013 si occuperà del monitoraggio dell'effettiva realizzazione degli investimenti necessari sia sul fronte della depurazione sia sul fronte delle infrastrutture per la distribuzione della risorsa;
   di quali elementi disponga circa le azioni poste in essere da gestori idrici, autorità d'ambito e regioni per il rientro in conformità delle acque secondo il rigoroso crono programma parte integrante della deroga;
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda porre in essere, per la tutela della salute e dell'ambiente per affrontare il grave problema messo in evidenza dal ricorso presentato dalla Commissione europea contro l'Italia relativamente al trattamento delle acque reflue urbane.
(2-00452) «Daga, Busto, De Rosa, Terzoni, Mannino, Segoni, Zolezzi, Micillo, Colonnese, Nesci, Carinelli, Luigi Di Maio, Vignaroli, Fico, Cecconi, Baroni, Silvia Giordano, Dall'Osso, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero, Luigi Gallo, Brescia, Marzana, D'Uva, Di Benedetto, Vacca, Simone Valente, Battelli».

Interrogazioni a risposta immediata:


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Sassari, Carla Altieri, ha dichiarato prosciolti per intervenuta prescrizione gli imputati Gianfranco Righi, rappresentante legale di Syndial, Guido Safran, rappresentante legale di Sasol, Diego Carmello e Francesco Maria Apeddu, rispettivamente rappresentante legale e direttore stabilimento di Ineos;
   in caso di condanna gli imputati rischiavano pene superiori ai 15 anni di reclusione, perché, per la prima volta in Italia in questo tipo di processo, l'accusa sosteneva che ci fosse stato il dolo;
   a nessuno è stata imputata la responsabilità per le sostanze inquinanti scaricate in mare da alcuni impianti dell'ex petrolchimico della cittadina portuale del nord della Sardegna, attraverso le fogne dello stabilimento;
   gli ex dirigenti del petrolchimico erano accusati di avvelenamento colposo del mare di La Marinella (lo specchio davanti allo stabilimento di Porto Torres), disastro ambientale colposo e violazione delle norme che fissano quali sostanze possano essere smaltite attraverso gli scarichi industriali;
   in mare – fu accertato – erano finiti per anni flussi di cadmio, mercurio, pcb (il letale policlorobifenile) e, ancora, benzene, rame, zinco e cianuri. Sostanze che avrebbero avvelenato i pesci e la flora della darsena;
   sotto indagine erano finiti gli scarichi industriali immessi dalle fabbriche nella rete fognaria, ma soprattutto il sistema di depurazione. Un sistema che, secondo le accuse, sarebbe stato costruito in modo da realizzare «la mutua diluizione dei reflui immessi nell'impianto». Una sorta di miscelazione preventiva per confondere la provenienza e le responsabilità;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha competenza diretta e primaria in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente;
   è danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima;
   risulta, infatti, che nessun tipo di intervento di bonifica sostanziale sia stato messo in atto da parte dei soggetti titolari dell'onere e dell'obbligo alla bonifica;
   risulta, quindi, evidente che esistano tutti i presupposti non solo per la riapertura del procedimento giudiziario, proponendo eventualmente una nuova e reiterata denuncia sul grave danno compiuto e che reiteratamente viene messo in atto verso l'area industriale di Porto Torres e i compendi naturalistico-ambientali dell'area circostante;
   tale conferma si evince dalla situazione di stallo che esiste ormai da oltre dieci anni sulla questione relativa alle bonifiche di quell'area, considerato l'atteggiamento ostruzionista e dilatorio messo in atto proprio dal soggetto responsabile delle bonifiche stesse e dell'inquinamento che ancora oggi persiste in quell'area;
   in tal senso è in capo al Ministero competente la reiterazione della denuncia per colpa nei confronti delle società resesi responsabili del danno e del reato stesso di inquinamento;
   in tal senso, si ricorda che il primo atto disposto al fine dell'attivazione delle bonifiche fu siglato il 14 luglio 2003 nella sede della Presidenza del Consiglio dei ministri, a Palazzo Chigi, attraverso l'accordo di programma tra la regione Sardegna, il Governo e numerosi altri soggetti istituzionali, datoriali, sociali e privati per la qualificazione dei poli chimici della Sardegna e le relative bonifiche;
   nell'ambito di tali accordi e protocolli si prevedeva di risanare e tutelare l'ambiente attraverso azioni di disinquinamento, bonifica e messa in sicurezza dei siti, di riduzione delle emissioni in atmosfera e di prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti, non solo con riferimento a quelli previsti dai piani di caratterizzazione ai sensi del decreto legislativo n. 22 del 1997 di competenza delle imprese, ma anche a quelli esterni interessati da fenomeni di inquinamento specifico;
   nell'ambito della complessa situazione ambientale dell'area di Porto Torres, risultano emblematici i dati relativi all'inquinamento riscontrato nella darsena del porto industriale di Porto Torres: il rapporto predisposto dalla Direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche e dall'Ispra, allegato al verbale della conferenza dei servizi, rileva livelli di benzene 417 mila volte oltre i parametri consentiti dalla normativa, di toluene 3300 volte, di etilbenzene 226 volte e di altre decine di sostanze cancerogene – tutte riconducibili comunque alle lavorazioni dello stabilimento chimico e dell'area industriale – ben al di sopra dei limiti consentiti;
   lo stato di contaminazione delle acque di falda sottostanti le aree del settore A dello stabilimento risulta essere ancor oggi particolarmente grave in quanto si tratta di contaminazione di tipo diffuso, con la presenza di metalli, solventi organici aromatici (btexs), solventi clorurati, idrocarburi policiclici aromatici (ipa), altri idrocarburi e clorobenzeni, nonché di notevoli spessori di prodotto surnatante e, talvolta, anche di sottonatante (concentrazioni di sostanze non mescibili con acqua in cui la fase liquida – surnatante – si sia separata da quella solida);
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha l'obbligo di intervenire al fine di sanare, sotto ogni punto di vista, una situazione che rende, di fatto, impuniti i responsabili dell'inquinamento, lasciando passare nell'opinione pubblica la convinzione che il reato ambientale sia aggirabile e che non sia perseguito con la necessaria e dovuta severità –:
   se non intenda il Ministro interrogato denunciare alla magistratura ordinaria il reiterato e persistente inquinamento dell'area industriale di Porto Torres da parte dei soggetti che di tale danno si fossero resi artefici e responsabili, a partire dalle analisi sull'inquinamento in essere, riportate nella risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-05905 del 28 giugno 2012, attivando conseguentemente tutte le procedure di competenza relative al danno ambientale e al suo risarcimento, così come previsto dal codice ambientale, con particolare riferimento agli articoli 299-300 e seguenti. (3-00681)


   CAPARINI, BORGHESI, GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Berzo Demo (Brescia), in Valle Camonica, in località Forno Allione dove sorgono gli stabilimenti ex Selca, come segnalato dall'atto di sindacato ispettivo n. 4-03477 di giovedì 6 febbraio 2014, seduta n. 168, si è in presenza di un'emergenza ambientale a causa dell'inquinamento del terreno che minaccia la salute pubblica;
   il comune di Berzo Demo, che conta meno di 2 mila abitanti, non dispone delle risorse economiche necessarie per la bonifica dell'area ex Selca, né di una struttura tecnico-amministrativa adeguata per affrontare nel migliore dei modi una questione di tale rilevanza; pertanto, il sindaco ha chiesto l'intervento della regione e dello Stato;
   dell'attività della Selca nel comune di Berzo Demo si è interessata anche la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, nella XVI legislatura; nell'ambito delle indagini svolte da parte della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti relativamente al ciclo dei rifiuti della Lombardia (Doc. XXIII, n. 13), ed in particolare della provincia di Brescia, emerge quanto riferito da Marco Turchi, comandante provinciale dei carabinieri di Brescia, nell'audizione del 4 maggio 2011: «Vi era, inoltre, la società «Selca» di Berzo Demo, comune della Valle Camonica, che aveva difficoltà economico-finanziarie e che era stata acquistata dal gruppo Catapano di Napoli, il cui leader è Guido Catapano, arrestato il 29 marzo 2011, insieme ad altri tredici indagati, dai Carabinieri di Padova per associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta»;
   la relazione continua evidenziando che «sulla bonifica del sito in cui operava la “Selca” è intervenuto il comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Brescia, Gualtiero Stolfini, il quale, nell'audizione del 4 maggio 2011, ha riferito che nel comune di Berzo Demo in Val Camonica svolgeva l'attività industriale l'Union Carbide, alla quale erano subentrate la Graphtec e la Selca. All'interno dell'azienda vi era un sito, già adibito a discarica abusiva, pieno di rifiuti speciali pericolosi, di profondità ignota, dove 30/40 anni fa e, cioè, negli anni ’70 vi erano state depositate “peci di lavorazione”. La Graphtec, da ultimo, si era impegnata a bonificare il sito anzidetto mediante la costruzione tutt'intorno allo stesso di un sarcofago con la profondità necessaria al suo completo isolamento»;
   lunedì 10 febbraio 2014, come documentato dalle telecamere di «Presa Diretta» di Raitre e ripreso da Il Corriere della Sera, edizione di Brescia, del 12 febbraio 2014, i residui della demolizione di celle elettrolitiche per l'alluminio primario estratto dalle miniere di bauxite australiane, con elevate concentrazioni di cianuri e fluoruri arrivati alla Selca nel 2009, sono stoccati in un capannone (si stima siano stivate ottantamila tonnellate di materiale sotto sequestro) abbandonato dopo il fallimento della ditta ed una parte delle scorie sono esposte alle intemperie e alimentano rivoli neri di acqua mista a polveri tossiche che, ad ogni pioggia, ruscellano a valle, forse confluendo nel fiume Oglio. «Un disastro» secondo William Stival, l'investigatore del nucleo forestale di Brescia che ha dato avvio all'indagine sulla Selca. L'inchiesta era nata da un dettaglio curioso: un camion fermo per la notte il cui carico si incendia sotto un temporale. Veniva dalla Selca e ufficialmente trasportava carbone, ma a contatto con l'acqua il carbone non prende fuoco: una reazione propria invece di alcune polveri d'alluminio. «Presa Diretta» ha intrapreso una complessa indagine sul flusso dei rifiuti trattati da Selca che porta fino alla dogana di Porto Marghera a Venezia, dove gli investigatori scoprono la spedizione di due navi dall'Australia con un contratto tra la Selca e una multinazionale australiana, uno dei leader mondiali della produzione dell'alluminio. Le cifre dell'operazione sono da capogiro: solo il carico di rifiuti ha un valore di tre milioni di euro, mentre ci sono altri due milioni di euro di spese logistiche per la spedizione via nave e i viaggi da Porto Marghera a Berzo Demo. Sul contratto un'ammissione incredibile: «Nel continente australiano non esistono impianti in grado di gestire i rifiuti in oggetto del presente accordo secondo le soluzioni tecnologiche adottate da Selca». Ma alla Selca, secondo gli investigatori, i rifiuti non venivano trattati. Sono ancora quasi tutti a Forno Allione, la zona industriale di Berzo Demo, tranne una piccola frazione venduta ad alcuni cementifici. Dopo il sequestro giudiziario i lavoratori sono stati lasciati a casa. Si era parlato di una trattativa tra la proprietà della Selca e il gruppo Catapano di Napoli, ma alla fine l'azienda non ha concluso il passaggio societario e ha dichiarato il fallimento;
   il 12 febbraio 2014, come riportato dal quotidiano BresciaOggi il giorno successivo, i tecnici dell'agenzia regionale e quelli della medicina di prevenzione dell'asl, accompagnati dal responsabile dell'ufficio tecnico di Berzo Demo e da un agente della polizia locale dell'unione dei comuni della Valsaviore, hanno varcato i cancelli dell'ex Selca (società che fino al fallimento avvenuto nel 2010 si occupava di riciclare le scorie degli altiforni di mezzo mondo) per effettuare un accurato sopralluogo nei vasti piazzali, sulle sponde del ruscello che sbuca sotto la pavimentazione e in un'area vicina al bosco, dove una volta venivano caricati sui pianali dei vagoni merci gli elettrodi finiti;
   secondo quanto riportato dal cronista Lino Febbrari: «È bastato il maltempo degli scorsi giorni per portare allo scoperto una realtà che molti da queste parti sospettavano: ossia che probabilmente la bonifica in questi luoghi è stata fatta solo sulla carta e che gli scarti delle lavorazioni della grafite, e perfino pezzi delle pericolose lastre di fibrocemento contenenti amianto, invece di essere smaltiti correttamente, sarebbero stati interrati e poi a nascondere il tutto ci avrebbe pensato una bella colata d'asfalto»;
   in data 31 gennaio 2014, nella seduta n. 164 della Camera dei deputati, il Governo pro tempore ha accolto l'ordine del giorno n. 9/1885-A/17, presentato dal primo firmatario del presente atto, che impegna il Governo «a valutare un intervento, in collaborazione con le strutture regionali, per la messa in sicurezza del sito ex Selca spa di Berzo Demo e la necessaria bonifica» –:
   se il Ministro interrogato, attraverso il nucleo operativo ecologico, intenda approfondire, per quanto di propria competenza, i danni ambientali provocati dalle attività industriali svolte in passato sul territorio del comune di Berzo Demo, oltre a dare puntuale seguito all'ordine del giorno citato in premessa. (3-00682)


   DE MITA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto dirigenziale n. 440 del 2011, poi rettificato dal decreto n. 379 del 2011 e modificato dal decreto n. 440 del 2012, la regione Campania ha autorizzato la costruzione di una linea elettrica a 150 chilovolt della rete elettrica di trasmissione nazionale di raccordo tra la linea a 150 chilovolt «CP Goleto S. Angelo – CP Sturno», con la costruenda stazione elettrica a 150 chilovolt della rete elettrica di trasmissione nazionale di Castelnuovo di Conza;
   i comuni interessati dal sopra citato provvedimento sono Sant'Angelo dei Lombardi, Lioni, Teora, Conza della Campania, in provincia di Avellino, e Castelnuovo di Conza, in provincia di Salerno;
   il commento alla relazione geologico-tecnica e sismica, redatto dal professore Ciocchini, commissionata dal comune di Lioni, protocollo 23 novembre 2012, n. 11511, ha evidenziato come la relazione sia insufficiente e lacunosa in molte parti e, in particolare, si rileva l'assenza dell'inquadramento geologico di dettaglio, essendo presente esclusivamente un inquadramento geologico derivato da una carta in scala 1:100.000, essendo invece totalmente assente un inquadramento geologico su carta in scala 1:10.000;
   i territori comunali indicati in precedenza sono spesso attraversati da scosse sismiche, anche di grave entità, come hanno dimostrato gli eventi del 23 novembre 1980, e pertanto classificati in zona 1 (zona con pericolosità sismica alta), come indicato nella tabella allegata all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 2003, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'8 maggio 2003;
   le comunità e le istituzioni dei territori interessati hanno proposto l'interramento dell'opera in oggetto, al fine di conseguire comunque il miglioramento delle infrastrutture energetiche sul territorio e, al contempo, garantire la tutela dell'ambiente e del territorio, beni tutelati a livello costituzionale, vista l'interpretazione della migliore dottrina in merito all'articolo 9, comma 2, della Costituzione –:
   quali iniziative intenda porre in essere, d'intesa con la regione Campania, al fine di garantire la prosecuzione dell'intervento in questione, compatibilmente con le esigenze di tutela ambientale e del territorio citate in premessa e sostenute dalle comunità dei territori interessati. (3-00683)


   AIELLO, ZAN, ZARATTI, PELLEGRINO, DI SALVO, PIAZZONI, COSTANTINO, LACQUANITI e MIGLIORE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Calabria per oltre un quindicennio il ciclo integrato dei rifiuti è stato gestito da una struttura commissariale;
   il 16 aprile 2013 è stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Calabria la legge regionale 12 aprile 2013, n. 18, recante «Cessazione dello stato di emergenza nel settore rifiuti. Disciplina transitoria delle competenze regionali e strumenti operativi». In particolare, l'articolo 1 della legge regionale n. 18 del 2013 definisce le modalità di gestione della fase di transizione dal regime emergenziale al regime ordinario, nelle more dell'applicazione della disciplina in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica di cui al decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011;
   nonostante la «cessazione dello stato di emergenza» sancita per legge dalla regione Calabria, la situazione dei rifiuti in Calabria è tale da determinare il continuo rinnovo della dichiarazione dello stato di emergenza, che ha finora prodotto scarsissimi risultati, a fronte di un autentico disastro economico ed ambientale;
   in questi giorni l'emergenza rifiuti ha prodotto una quasi totale paralisi dell'attività di raccolta, tale da comportare la presenza di tonnellate di rifiuti in strade e piazze di molte città calabresi; gravissima è l'emergenza che riguarda, in particolare, la provincia e la città di Cosenza, dove il problema dei rifiuti si sta trasformando in una vera e propria emergenza igienico-sanitaria, al punto da spingere due consiglieri comunali della città, Roberto Sacco e Giovanni Cipparrone, a intraprende una forma di protesta estrema come lo sciopero della fame;
   proprio per scongiurare il rischio di un'emergenza ambientale e sanitaria, il prefetto ha provveduto a convocare i sindaci per individuare le soluzioni più adeguate a superare dette criticità;
   tra i poteri esercitati dal dipartimento politiche dell'ambiente della regione Calabria, vi è anche quello di autorizzare, senza alcun pretrattamento, anche discariche private nate e autorizzate per svolgere altro tipo di attività e di accogliere altri tipi di rifiuti, creando notevolissimi disagi tra le popolazioni interessate, le quali hanno già minacciato proteste popolari per evitare che i loro territori siano ancora una volta quelli maggiormente penalizzati dalle scelte delle amministrazioni pubbliche;
   con ordinanza regionale si è consentito, in deroga alla normativa nazionale e comunitaria in materia, di poter conferire in discarica l'indifferenziato, ossia i rifiuti «tal quale»;
   si è, inoltre, autorizzato lo stoccaggio di rifiuti solidi urbani presso aree non autorizzate, per le quali mancano i permessi sanitari e per le quali è evidente un pericolo per la salute pubblica; tali aree sono state segnalate nei comuni di Scala Coeli e Celico (provincia di Cosenza), in prossimità del Parco nazionale della Sila;
   a Celico, da giorni i comitati locali cittadini stanno presidiando un'area che gli enti hanno identificato come discarica e i mezzi carichi di rifiuti provenienti da Cosenza sono tornati indietro senza poter scaricare. Come dichiarato dai manifestanti a il Quotidiano della Calabria on-line del 10 marzo 2014, l'utilizzo di questo sito come discarica, è «un delitto perpetrato solo in nome della risoluzione di un'emergenza voluta ad arte per favorire gli interessi che non sono quelli né dei cittadini della Presila, né di quelli di Cosenza» –:
   se non ritenga di dovere attivare urgentemente un tavolo tecnico con la regione, la provincia, i comitati cittadini interessati e le principali associazioni ambientaliste, al fine di individuare un percorso condiviso volto ad affrontare efficacemente l'attuale fase emergenziale nel ciclo dei rifiuti calabresi e scongiurare i conseguenti seri rischi per l'ambiente e la salute pubblica. (3-00684)


   D'AGOSTINO, MATARRESE e ANTIMO CESARO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   già il 6 giugno 2013, in Commissione VIII (Ambiente, territorio e lavori pubblici), è stata portata all'attenzione del Ministro interrogato la gravissima situazione in cui versa l'area dell'ex-Isochimica in Pianodardine di Avellino;
   in particolare, il 3 giugno 2013, gli agenti del Corpo forestale dello Stato di Avellino hanno dato esecuzione al decreto di sequestro preventivo dello stabilimento e dell'area dove era allocata l'azienda «Isochimica spa», sita in Pianodardine – Zona A.S.I. di Avellino, disposto in via d'urgenza dalla procura della Repubblica ai sensi dell'articolo 321, comma 3-bis, del codice di procedura penale;
   la sopra indicata azienda era addetta alla scoibentazione di carrozze e vagoni ferroviari;
   secondo quanto reso noto dalla procura della Repubblica, il provvedimento di sequestro è stato adottato d'urgenza, in quanto dalle ultime verifiche disposte gli inquirenti «hanno accertato che lo stato attuale di “ammaloramento” degli oltre 500 cubi di cemento-amianto friabile (su un totale di circa 2.767 tonnellate – 2.276.000 chilogrammi – di tale materiale lavorato) ivi illecitamente smaltiti, dal 1983 al 1988, nel corso dell'attività industriale dell'Isochimica spa è tale da imporre per essi una valutazione di generalizzata inidoneità a trattenere le fibre di amianto, la cui dispersione nell'area aziendale va ad integrare quell'evento grave e complesso che, provocando effetti nocivi di natura diffusiva, espone a concreto pericolo, collettivamente, l'incolumità di un numero indeterminato di persone»;
   secondo quanto comunicato dalla procura della Repubblica, sono in corso ulteriori indagini nei confronti di persone allo stato non identificate, ai fini dell'accertamento di eventuali ed ulteriori coinvolgimenti e responsabilità nella mancata attività di bonifica e messa in sicurezza dello smaltimento e dell'area;
   l'attività di indagine prosegue anche in ordine ai reati di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale, relativi ai decessi di vari dipendenti della Isochimica spa ed alle lesioni in danno di altri lavoratori, nonché in ordine alla fattispecie di reato ex articolo 347 del codice penale (rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro);
   i primi risvolti dell'inchiesta giudiziaria sulla vicenda della Isochimica – in particolare l'affermazione della procura della Repubblica secondo cui la mancata bonifica dell'area dello stabilimento espone a concreto pericolo un numero indeterminato di cittadini – impone a tutti, ciascuno per il proprio ruolo istituzionale e politico, di mettere in essere con la massima urgenza tutte le iniziative necessarie per tutelare la popolazione di Avellino residente nella zona di Pianodardine;
   mentre la giustizia fa il proprio corso per l'accertamento della verità, naturalmente nella doverosa cornice di garantismo verso le persone a vario titolo indagate, le istituzioni devono collaborare affinché siano immediatamente rimossi gli ostacoli di ogni ordine e grado che hanno sin qui impedito o rallentato l’iter di bonifica dell'area Isochimica;
   a distanza di oltre sette mesi non è stata assunta alcuna concreta iniziativa per garantire la bonifica dell'area in questione in tempi rapidissimi, così come raccomandato dalla stessa procura di Avellino –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative si intendano adottare per contribuire a risolvere la gravissima situazione del territorio che, peraltro, minaccia la salute dei cittadini. (3-00685)


   LATRONICO e PALESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'area industriale ex Liquichimica di Tito, in provincia di Potenza, e l'area industriale della Val Basento, in provincia di Matera, sono stati dichiarati siti di interesse nazionale dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per effetto della forte presenza di inquinanti nel suolo e nelle falde acquifere;
   con decreto dell'8 luglio 2002, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha proceduto, altresì, alla perimetrazione del sito di Tito, includendovi tutta l'area industriale per un'estensione di 480 ettari, e con decreto del 26 febbraio 2003 ha individuato le aree da inserire nel perimetro del sito di interesse nazionale della Val Basento, ricadenti nei comuni di Ferrandina, Pisticci, Grottole, Miglionico, Pomarico e Salandra;
   per effetto dell'intervenuta perimetrazione, le aree interessate, diversamente non utilizzabili, sarebbero dovute essere sottoposte ad interventi di caratterizzazione e messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica e ripristino ambientale e ad attività di monitoraggio da parte della regione Basilicata;
   la sopra citata regione ha redatto, tra il 2004 e 2005, i piani di caratterizzazione delle aree inquinate della Val Basento e di Tito, con i quali sono state definite le misure di messa in sicurezza;
   tuttavia, ad oggi, lo stato di attuazione degli interventi registra gravi ritardi che comportano il rischio di un'ingente perdita economica pari a 46 milioni di euro stanziati dal Cipe per la bonifica delle aree interessate;
   nonostante le azioni avviate, permane il grave stato di inquinamento dei siti e tale situazione desta allarme e preoccupazione sul futuro delle aziende e sulle attività produttive delle aree e ne condiziona qualsiasi progetto di rilancio produttivo;
   la situazione di inquinamento diffuso mette a repentaglio non solo lo sviluppo futuro delle aree industriali del comune di Tito e della Val Basento, ma grava quotidianamente da anni sulla salute di centinaia di lavoratori che operano in quei luoghi e sulla salubrità degli insediamenti urbani limitrofi ai siti;
   è doveroso, quindi, che gli enti e i soggetti interessati attivino tutti gli interventi necessari per completare l'opera di risanamento avviata, anche al fine di salvaguardare l'ambiente e la salute pubblica, e mettano a disposizione le risorse necessarie per la definitiva bonifica delle aree e per il recupero produttivo dei siti di interesse nazionale del comune di Tito e della Val Basento, evitando così di perdere i finanziamenti pubblici destinati alla bonifica ed al rilancio delle aree industriali lucane –:
   quale sia lo stato di avanzamento dei progetti di bonifica delle aree della Val Basento e dell'ex Liquichimica di Tito, per avere contezza degli atti posti in essere, fino ad oggi, dagli enti e dai soggetti interessati e, in senso più ampio, quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, per garantire il completamento degli interventi di bonifica e delle azioni di messa in sicurezza e di recupero produttivo dei siti. (3-00686)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in diversi siti di stoccaggio in Campania sono collocate – a tutt'oggi e da oltre un decennio – circa otto milioni di ecoballe in attesa di smaltimento, che rappresentano l'ennesima emergenza ambientale per la regione;
   per tali ecoballe si attende da tempo che esse siano destinate, dopo le necessarie e attente verifiche sullo stato di assemblaggio e sul contenuto delle stesse, all'incenerimento presso gli impianti di termovalorizzazione presenti sul territorio, risolvendo una gravissima questione ambientale;
   le ecoballe, infatti, sono in alcuni casi scoperte ed esposte alle intemperie ed alle più disparate condizioni atmosferiche, il che rischia di renderle umide a tal punto da produrre percolato e danneggiare i terreni sui quali sono collocate;
   inoltre, la presenza delle ecoballe nei territori desta grande allarme presso le popolazioni residenti, non solo a causa dei rischi per la salute che possono comportare, ma anche perché le balle di rifiuti possono arrecare danno ai terreni agricoli ed alle colture;
   durante il 2013 si sono verificati numerosi incendi presso i siti di stoccaggio durati anche più di due intere giornate, con gravi conseguenze sul piano ambientale, mentre ancora non è stata trovata alcuna soluzione per lo smaltimento definitivo delle stesse ecoballe;
   in anni passati le ecoballe sono state oggetto di inchieste giudiziarie che hanno anche portato al sequestro preventivo di parte di esse, al fine di verificarne il contenuto;
   le aree sulle quali si trovano le ecoballe non sembrano essere sottoposte alle prescritte misure di sicurezza –:
   quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, intenda assumere, al fine sia di garantire lo stoccaggio delle ecoballe in condizioni di piena sicurezza, sia gli adempimenti finalizzati allo smaltimento delle stesse. (3-00687)


   DORINA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come evidenziato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti della XVI legislatura, nel documento «Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell'attuazione degli interventi e i profili di illegalità» e dal dossier di Legambiente «Bonifiche dei siti inquinati: chimera o realtà ?», presentato a Roma il 28 gennaio 2014, gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dei siti di interesse nazionale in Italia stentano a procedere per mancanza di risorse e di coordinamento tra enti di controllo locali e nazionali, in particolar modo per quanto concerne lo stato del processo di bonifica del sito di interesse nazionale di Crotone;
   allo stesso tempo, come mostrano le recenti inchieste giudiziarie che hanno visto il coinvolgimento di soggetti privati, ma anche di funzionari pubblici in ruoli apicali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, aumentano gli episodi di corruzione e l'interesse delle associazioni criminali nella gestione delle attività di bonifica;
   alla mancata bonifica dei siti di interesse nazionale sono connesse anche gravi problematiche sanitarie come ha mostrato lo studio Sentieri, effettuato dall'Istituto superiore di sanità –:
   in che modo il Ministro interrogato intenda dare impulso, in particolar modo sotto il profilo finanziario e organizzativo, al programma di bonifica dei siti di interesse nazionale, con particolare riferimento al sito di interesse nazionale ex Pertusola di Crotone, specificando quale sia la strategia del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per riorganizzare e potenziare il sistema dei controlli pubblici nel campo delle bonifiche ed evitare sovrapposizioni di competenze tra enti di controllo che, di fatto, a parere dell'interrogante finiscono per paralizzare le attività. (3-00688)


   BRAGA, BORGHI, ARLOTTI, MARIASTELLA BIANCHI, BRATTI, CARRESCIA, COMINELLI, DALLAI, DECARO, GADDA, GINOBLE, TINO IANNUZZI, MANFREDI, MARIANI, MARRONI, MAZZOLI, MORASSUT, MORETTO, GIOVANNA SANNA, ZARDINI, FREGOLENT, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i violenti eventi meteorologici che nelle ultime settimane hanno investito buona parte delle regioni italiane, causando frane, smottamenti e allagamenti, con conseguenti gravi danni alle aree residenziali, alle infrastrutture e agli insediamenti produttivi, forti disagi per migliaia di cittadini e purtroppo anche alcune vittime, hanno ancora una volta confermato l'estrema fragilità e il pessimo stato di manutenzione del territorio nazionale;
   i dati del dissesto idrogeologico del territorio italiano sono noti da tempo: l'82 per cento dei comuni è esposto a rischio idrogeologico: sono oltre 5 milioni e 700 mila i cittadini che vivono in aree di potenziale pericolo e 1,2 milioni gli edifici che insistono su queste aree. Secondo dati ufficiali, in poco più di cento anni ci sono stati 12.600 tra morti, dispersi o feriti e più di 700 mila sfollati. Tra il 2002 e il 2014 si contano 293 morti, 24 nell'ultimo anno; dal 2002 ad oggi si sono verificati quasi 2.000 episodi di dissesto e ancora più sconcertante è che dal gennaio 2014, in soli 23 giorni (data dell'ultima rilevazione), si sono registrati 110 episodi in tutto il territorio italiano;
   inoltre, circa una scuola su dieci, 6.400 edifici scolastici sui 64.800 totali presenti in Italia, è localizzata in area di potenziale pericolo perché soggetta a rischio frana o alluvione; medesima situazione vale per le strutture ospedaliere, con 550 edifici che si trovano in zone a rischio, mentre per gli stabilimenti industriali sono 46 mila nei territori colpiti dal dissesto, che salgono a 460 mila considerando anche gli uffici e i negozi;
   secondo dati ufficiali i decreti ministeriali di riconoscimento dei danni derivanti da piogge alluvionali persistenti a strutture ed infrastrutture, nel periodo dal 2002 al 2012, hanno erogato risorse pari a 2.298,28 milioni di euro, di cui 1.233,37 milioni di euro per danni causati alle strutture e 1.064,91 milioni di euro per danni causati alle infrastrutture;
   gli stanziamenti statali ordinari di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono fortemente diminuiti negli ultimi anni, passando da 551 milioni di euro nel 2008 a 159 milioni di euro nel 2014;
   inoltre, l'intervento straordinario per la prevenzione del dissesto idrogeologico, da attuare mediante accordi di programma sottoscritti tra le regioni e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per un importo pari a 2,1 miliardi di euro, non ha prodotto risultati apprezzabili poiché il 78 per cento degli interventi non ha ancora visto l'apertura dei cantieri; si tratta di oltre 1.100 cantieri da avviare per oltre 1,6 miliardi di euro;
   i ritardi nell'utilizzo dei fondi sarebbero imputabili all'incertezza della disponibilità delle risorse e ad un'inefficacia delle gestioni commissariali;
   con l'obiettivo di garantire un flusso di risorse costanti e certe per gli interventi di prevenzione del rischio idrogeologico e di messa in sicurezza del territorio, la legge di stabilità per il 2014 (articolo 1, comma 7, della legge 27 dicembre 2013, n. 147) prevede che il Ministro delegato alle politiche per la coesione territoriale, d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, destini quota parte delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, ai sensi del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, al finanziamento degli interventi di messa in sicurezza del territorio, di bonifica di siti di interesse nazionale e di altri interventi in materia di politiche ambientali;
   entro il 1o marzo 2014, il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) avrebbe dovuto effettuare la ripartizione programmatica tra le amministrazioni interessate dell'80 per cento della dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione, come definita dalla legge di stabilità per il 2014 –:
   quali iniziative intenda porre in essere il Ministro interrogato – anche in considerazione dei relativi impegni da assumere nel Documento di economia e finanza – per ottenere la destinazione di una quota significativa delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, come previsto dall'articolo 1, comma 7, della legge di stabilità per il 2014, ad interventi di messa in sicurezza del territorio, di ripristino delle condizioni di sicurezza e di salvaguardia dei siti interessati da gravi fenomeni di inquinamento ambientale, in particolare per quanto riguarda le risorse idriche superficiali e profonde, nonché ad interventi di prevenzione del rischio idrogeologico finalizzati alla manutenzione ordinaria ed equilibrata del territorio. (3-00689)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI, CENSORE e BRAY. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da un articolo pubblicato il 10 marzo 2014 da «Il Corriere della Calabria», da il giornale online «Il Vizzaccaro», da alcuni contributi blog in internet che il comune di Serra San Bruno, in provincia di Vibo Valentia, avrebbe messo in vendita 2.603 alberi da tagliare dal bosco «Archifòro» per sanare il bilancio del comune;
   il bosco Archifòro è un bosco calabrese di 4.913,61 ettari, con codice IT9340121, sito quasi interamente nel comune di Serra San Bruno, all'interno del parco naturale regionale delle Serre, di cui occupa il 26,5 per cento di esso. Il bosco si trova sul versante occidentale della Pietra del Caricatore. Caratteristica la monolitica «pietra dell'Ammienzu». È caratterizzato da un habitat 7110 Active raised bogs, gli alberi sono in prevalenza abete bianco. Dal punto di vista faunistico sono presenti l'astore, l'assiolo e il gatto selvatico;
   si apprende poi sempre nell'articolo del Corriere della Calabria che all'interno delle specie arboree presenti esiste l'esemplare di abete bianco (Abies pectinata) più grande d'Europa. L'albero in questione, già segnato e martellato pronto per il taglio, ha una base di 5,5 metri di circonferenza e un'altezza di poco superiore ai 55 metri, dimensioni che lo configurano come pianta monumentale rarissima. Basti pensare che il Corpo forestale dello Stato, in una ricerca effettuata alcuni anni fa in Trentino, ha classificato l'Avez del Prinzipe di Lavarone — un abete Bianco di 50 metri di altezza e con una circonferenza di 4,8 metri;
   nel 2013, grazie al progetto 2bparks finanziato da MEDIPROGRAMME dell'Unione Europea, è stato inaugurato dal Parco naturale regionale delle Serre il suggestivo sentiero Archifòro, lungo 1,3 km e da percorrere in un'ora –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione e quali iniziative urgenti intendano intraprendere al fine di scongiurare il taglio dei citati 2.603 alberi e, tra tutti, del sopraddetto importantissimo esemplare di specie arborea di Abete bianco di alto interesse ambientale e paesaggistico;
   se essi vogliano chiarire se il taglio indiscriminato del bosco dell'Achifòro sia compatibile con la detta fauna tutelata ivi presente e con il contributo economico comunitario ricevuto dal Parco delle Serre per la valorizzazione del bosco;
   se i Ministri non ritengano infine utile verificare se l'esemplare di abete bianco più grande d'Europa sia già stato inserito nell'elenco per la tutela degli «Alberi Monumentali» censiti dal Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali, per tramite del Corpo forestale dello Stato e, qualora non vi fosse, se intendano inserirlo. (4-03941)


   BRAMBILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in un'intervista rilasciata a inizio del mese di marzo 2014 all'inglese «BBC Radio 4» ripresa anche dai media italiani il direttore esecutivo dell'Associazione europea degli zoo e acquari (Eaza) Lesley Dickier ha diffuso i loro dati ufficiali secondo i quali ogni anno negli zoo europei vengono uccisi fra i tremila e i cinquemila animali;
   il numero preciso non è certo, «perché in molti casi nei registri delle morti non viene indicata la motivazione della soppressione» ed è ragionevole pensare che non tutte queste uccisioni vengano effettuate poiché l'animale è gravemente malato e non recuperabile;
   in Italia sono membri dell'Associazione europea degli zoo e acquari (Eaza) Zoomarine (Torvajanica-Roma), Bioparco Zoom Torino, Bioparco Roma, Zoo di Pistoia, Acquario di Napoli, Zoo Punta Verde (Lignano Sabbiadoro-Udine), Acquario di Genova, Zoo di Falconara (Ancona), Zoo Natura Viva di Bussolengo (Verona), parco faunistico La Torbiera (Agrate Conturbia-Novara);
   in Italia la soppressione di un animale in uno zoo, non certificata per gravi e irrimediabili dati medico-veterinari, è sanzionata dall'articolo 544-bis del codice penale con le caratteristiche indicate anche da sentenze della Corte di cassazione che hanno ben definito la definizione di «non necessità», quali la recente pronuncia n. 39053/2013 e la precedente n. 15061/2007 –:
   quale sia il numero degli animali soppressi negli zoo italiani negli ultimi cinque anni;
   quali siano l'età, la specie di appartenenza dei suddetti animali, le condizioni cliniche e le motivazioni alla base della soppressione dei suddetti animali;
   quali altre urgenti iniziative intenda intraprendere per poter esercitare le funzioni di controllo di cui al decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 73. (4-03945)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il SIN sito di interesse nazionale «Terni-Papigno», nel cuore della regione Umbria, è una delle 57 aree più contaminate d'Italia e per le quali lo Stato ha imposto un'urgente attività di bonifica;
   esso comprende due discariche di scorie di acciaieria, nei pressi delle quali, secondo quanto si apprende da dati diffusi dalle associazioni WWF e Italia Nostra Umbria, ci sarebbe una concentrazione molto elevata di nichel, addirittura di 10 volte superiore al limite annuale imposto dalla normativa benchmark con picchi mensili anche oltre le 23 volte;
   in Italia, l'ISPRA evidenzia che i siti potenzialmente contaminati sono oltre 15.000; tra questi, 57 sono stati definiti di «interesse nazionale per le bonifiche» (SIN) sulla base dell'entità della contaminazione ambientale, del rischio sanitario e dell'allarme sociale (DM 471/1999). Il decreto ministeriale 11 gennaio 2013 ha portato 18 siti di interesse nazionale nelle competenze regionali, poiché non più rispondenti ai requisiti previsti dai commi 2 e 2-bis dell'articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, a seguito delle modifiche apportate dall'articolo 36-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (c.d. decreto «crescita»). In virtù del citato decreto ministeriale ad oggi i SIN sono 39. Il sito «Terni-Papigno» rientra tra questi;
   la regione Umbria, da oltre due anni, ha avviato un monitoraggio dell'area, al fine di acquisire dati circa la presenza di diossina, PCB e metalli pesanti negli alimenti di origine animale, e in particolare nel latte (ovino e caprino), provenienti dagli allevamenti della zona;
   nel primo semestre del 2013, sempre secondo quanto si apprende da comunicati stampa lanciati dalle due associazioni sopracitate, la regione avrebbe avviato ulteriori controlli, estendendo il raggio dei prelievi (circa 5 chilometri, analizzando 30 campioni di latte prelevati da 30 diversi allevamenti, dei circa 88 presenti nella zona) e allargando i controlli anche alle uova;
   le associazioni WWF e Italia Nostra Umbra in queste settimane hanno lanciato una petizione per chiedere alla regione Umbria di rendere noti i dati delle due analisi effettuate, finora rimasti sconosciuti, al fine di informare i cittadini circa lo «stato di salute» della terra nella quale vivono;
   il 25 settembre 2013 si è costituita la rete dei comuni per la bonifica dei SIN (quelli che ricadono in tali aree sono 187 per una popolazione di circa 4,5 milioni di abitanti) che ha elaborato la cosiddetta «Carta di Mantova» nella quale si chiede al Governo, e in particolare al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di avviare con urgenza i processi di bonifica nonché il conseguente riconoscimento dello stato di crisi ambientale e sanitaria –:
   se non ritenga opportuno, considerato il rilievo nazionale dell'emergenza dell'area «Terni-Papigno», contribuire alla diffusione di tali fondamentali informazioni, affinché la popolazione sia messa a conoscenza dello stato di inquinamento del territorio in cui vive ma soprattutto dei possibili rischi per la salute umana;
   a che punto siano la bonifica e il ripristino ambientale dell'area industriale siderurgica di «Terni-Papigno»;
   se abbia avviato o intenda avviare una campagna di informazione mirata per le popolazioni ricadenti nelle aree contaminate — indipendentemente dalla loro classificazione in siti di interesse nazionale o di interesse regionale —, affinché siano consapevoli del significato di vivere all'interno o nei pressi di un sito inquinato e delle motivazioni che hanno portato ad una tale grave definizione di emergenza.
(4-03957)


   D'AMBROSIO. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sul tratto della strada provinciale Modugno-Bitetto fu realizzato, negli anni 93/97 il parco «MATER DOMINI», ad oggi, mai inaugurato, ed in totale stato di abbandono, tanto da diventare una discarica a cielo aperto;
   la struttura, un megaparco di 340.000 metri quadrati, avrebbe dovuto essere inaugurata sin dal lontano 1996;
   per la realizzazione del parco furono inizialmente utilizzati fondi della legge n. 64 del 1986, ammontanti a circa 22 miliardi di vecchie lire, rientranti nel fondo europeo per lo sviluppo Regionale. L'inizio della cantierizzazione delle opere risale al 30 settembre 1993, mentre la consegna era stata stabilita in 300 giorni dall'avvio dei lavori, e, precisamente, per il 26 luglio del 1994. Sta di fatto che ancor oggi, dalla data contrattuale di consegna dei lavori (luglio 1994) a quasi quindici anni dalla loro effettiva ultimazione (dicembre 1996), del parco mater domini sono rimasti solo detriti tanto da paragonarsi ad una discarica di materiale di risulta;
   per terminare tale intricato appalto pare siano stati spesi circa 50 Miliardi di vecchie lire –:
   se alla luce della situazione in cui si trova l'area non ritenga opportuno disporre un'ispezione del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente.
(4-03964)


   D'AMBROSIO. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   tra Brindisi e San Vito dei Normanni, nelle campagne di Contrada Autigno, sorge la discarica comunale gestita dalla Formica Ambiente s.r.l., la quale risulta avere nei pressi sia abitazioni civili che falde acquifere;
   nel 2003 i carabinieri del comando provinciale di Brindisi hanno posto sotto sequestro il primo e il secondo lotto della discarica comunale di Contrada Autigno, allo scopo di potere effettuare le verifiche necessarie a stabilire se vi è stata dispersione di percolato durante le fasi di conferimento dei rifiuti;
   nel giugno del 2007, partiva l'indagine che ha interessato l'intero territorio nazionale ed ha coinvolto la provincia di Brindisi quale terminale di un vasto traffico di rifiuti pericolosi, non pericolosi e tossico nocivi, sfociata nel 2009 in un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di numerosi soggetti indagati a vario titolo per «traffico illecito di rifiuti, gestione non autorizzata di rifiuti, falso, rivelazione di segreti d'ufficio», coinvolgendo anche i gestori della discarica Formica;
   recentemente la regione Puglia ha concesso il rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale alla Formica Ambiente s.r.l., ed ha autorizzato l'ampliamento della discarica di rifiuti speciali, gestita dalla stessa Società in contrada Autigno, tra Brindisi e San Vito dei Normanni, per un ampliamento di volumetria fino a 1,5 milioni di metri cubi, destinati a ospitare rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi trattati –:
   se si ritenga opportuno promuovere una verifica da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente sullo stato dei luoghi e sul livello di inquinamento dell'area, già pesantemente interessata da insediamenti impattanti. (4-03965)

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   Marola è una frazione del comune della Spezia, una delle tredici borgate marinare;
   la vita del borgo è segnata dalla costruzione dell'arsenale militare (anni ’60 del 1800) che ha modificato pesantemente la linea di costa privando Marola dell'accesso al mare;
   da anni gli abitanti chiedono alla Marina militare di rivedere l'utilizzo del molo antistante al borgo;
   mercoledì 5 marzo 2014 Il Secolo XIX ha riportato la notizia dell'arrivo di un carico probabilmente radioattivo dentro l'arsenale di Spezia, affermando in particolare che la banchina di fronte al borgo di Marola è stata utilizzata per scaricare materiali pericolosi, in presenza di uomini al lavoro con tute e maschere, mezzi militari a presidio e vigili del fuoco allertati;
   giovedì 6 marzo 2014 da un ulteriore approfondimento de Il Secolo XIX si apprende che l'arrivo e la partenza della nave non sono state annotate nei registri del porto, che il prefetto della Spezia, pur a conoscenza dell'operazione, «non ha intenzione di comunicare nulla su questa questione» e che la marina militare ha dichiarato che «non è una nostra operazione [...] Non sappiamo nulla di più e questo è tutto ciò che possiamo comunicare» –:
   quale operazione si sia svolta nella notte alla Spezia, se si tratti di un caso isolato o se la base navale della Spezia sia stata o sarà utilizzata per operazioni analoghe, quali rischi tali operazioni comportino per la salute e la sicurezza dei cittadini e quali iniziative, per quanto di competenza dei Ministeri coinvolti, siano state o saranno assunte a tutela degli abitanti del borgo di Marola.
(2-00448) «Migliore, Quaranta, Piras».

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   la bonifica e messa in sicurezza delle aree di competenza della marina militare (ex area IP, area Gittata, zona 17 ettari) e, della cava in località San Marco (Statte) sono divenute oramai urgenti;
   la grave situazione di contaminazione ambientale di queste aree è ben nota da molto tempo, ma ancora non si è giunti ad una conclusione su come bonificare questi siti che continuano a contaminare l'acqua di falda e il Mar Piccolo. Non si è giunti neanche alla messa in sicurezza dei siti, nonostante la caratterizzazione ambientale sia stata già effettuata;
   in tal senso il genio militare ha presentato già nel 2012 alla regione Puglia un progetto preliminare «per la messa in sicurezza di emergenza dell'area ex IP» presso la Marinansen, denominato «Progetto preliminare di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda». L'intervento prevedeva «una completa cinturazione dell'area con barriera fisica permeabile reattiva (PRB) usando ferro zero-valente, con jet-grouting di diametro 500 millimetri, ed emungimento, tramite pozzi attrezzati con pompe idrauliche, di acque di falda da trattare con carboni attivi e poi smaltire»;
   tale progetto ricalcava la richiesta formulata dalla conferenza dei servizi del 14 ottobre 2010 nella quale si chiedeva di «effettuare un accoppiamento tra barriera fisica e idraulica e di effettuare in questa ipotesi una stima delle portate da emungere». Obiettivo quello di «impedire la diffusione della contaminazione e l'abbattimento, con il processo di dealogenazione riduttiva abiotica (ZVI), delle concentrazioni degli inquinanti presenti nelle acque di falda: sostanze inorganiche, composti alifatici clorurati cancerogeni, PCB, e metalli pesanti». L'area situata nel I seno di mar Piccolo, dove sorgeva il sito «Ex area Ip» dell'arsenale militare, è infatti interessata da una pesante contaminazione (metalli, PCB, inquinanti inorganici) dovuta proprio alle attività passate della marina;
   nel marzo del 2012 l'assessorato regionale annunciò che il progetto di Marigenimil aveva ricevuto l'ok dei tecnici regionali e che l'iniziativa del genio militare «consentirà di contenere definitivamente la contaminazione accertata nella falda acquifera». Poco meno di un anno dopo, nel febbraio del 2013, il capitano di vascello Fabrizio Gaeta, direttore del genio militare della marina di Taranto, affermò su un quotidiano locale che «ciò che abbiamo garantito in conferenza di servizi procede a passo spedito. E non potrebbe essere diversamente», garantendo anche l'avvio delle procedure per l'esecuzione delle opere della messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda entro il 2013. La consegna del progetto definitivo era stata assicurata entro luglio 2013;
   nel luglio scorso (termine entro il quale avrebbero dovuto presentare il progetto definitivo per la messa in sicurezza delle acque di falda) l'ente regionale aveva chiesto informazioni alla marina militare sul complesso delle attività in corso. La risposta fu un semplice «attività in corso»;
   da allora nonostante sollecitazioni da parte della regione non è arrivato alcun chiarimento;
   inoltre, durante l'articolato iter di condivisione delle attività necessarie alla messa in sicurezza delle acque di falda, era stato ritenuto necessario attuare un sistema di mitigazione (pompaggio e trattamento acque in impianto depurazione esistente): a tutt'oggi non risulta pervenuta nessuna notizia circa il funzionamento del sistema di mitigazione;
   a causa dell'inquinamento del I seno di Mar Piccolo, da ben due anni viene distrutta la produzione dei mitili, arrecando un danno enorme ai mitilicoltori tarantini, non soltanto da un punto di vista economico. Sempre a causa dell'inquinamento è stata decisa la rimozione totale degli allevamenti del I seno al fine di consentire le attività di risanamento ambientale dell'area con spostamento degli allevamenti in un'area situata nella rada di Mar Grande, di appena 389 mila metri quadrati rispetto all'area individuata dal centro ittico tarantino che in origine era di 700/800.000 metri quadrati –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di avere certezza dei tempi di avvio delle procedure per l'esecuzione delle opere della messa in sicurezza delle acque di falda del Mar Piccolo;
   quali iniziative urgenti abbia intenzione di porre in essere al fine di garantire la messa in sicurezza dal punto di vista ambientale di tutte le zone di competenza della marina militare al fine di tutelare la salute e l'integrità dei cittadini e non compromettere ulteriormente il fragile e delicato sistema eco-ambientale.
(2-00446) «Labriola».

Interrogazione a risposta scritta:


   CHIARELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 28 gennaio 2014, n. 7, pubblicato in Gazzetta Ufficiale l'11 febbraio 2014 reca «Disposizioni in materia di revisione in senso riduttivo dell'assetto strutturale ed organizzativo delle Forze armate ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettere a), b) e d) della legge 31 dicembre 2012, n. 244;
   il provvedimento prevede, tra l'altro, che il comando servizi base di Taranto, entro il 31 marzo 2014, sia riconfigurato in comando stazione navale Taranto (MARISTANAV), in ragione della rideterminazione e razionalizzazione delle relative attribuzioni conseguenti all'accorpamento e all'assorbimento delle funzioni della direzione del supporto diretto (DSD) dell'Arsenale militare marittimo di Taranto;
   la citata direzione del supporto diretto interviene per la manutenzione/riparazione delle unità navali pronte, attività svolte con l'ausilio di altri reparti di lavorazione dell'Arsenale (DSC e DSN) che concorrono per migliaia di ore di lavoro l'anno;
   l'Arsenale militare marittimo di Taranto, entro il 31 dicembre 2015, è riconfigurato in ragione del nuovo assetto ordinamentale e quindi opererà esclusivamente su unità navali a programma;
   la tabella organica dell'Arsenale provvisoria risale a maggio 2013 e non tiene conto del successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che recupera nella dotazione organica complessiva del personale civile del Ministero della difesa i dipendenti della prima area (circa 70 dipendenti da inserire nell'organico dell'Arsenale M.M. di Taranto attualmente ancora esclusi); non sono noti inoltre gli effetti sulla dotazione organica in riduzione a causa del prospettato transito della direzione del supporto diretto al MARISTANAV;
   l'organizzazione sindacale UGL-INTESA in sede di consultazione locale con il dipartimento militare marittimo ha rappresentato all'amministrazione che a seguito di tale riconfigurazione l'Arsenale di Taranto, perdendo una sua peculiare funzione, sarebbe inevitabilmente declassato e che con simile disposizione non si persegue la maggiore produttività; la stessa organizzazione sindacale ha paventato il rischio che in siffatto contesto le attività della direzione del supporto diretto possano essere esternalizzate con maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che la probabile ennesima contrazione dell'organico dell'Arsenale non consentirà l'oramai improcrastinabile turn-over con conseguenti ricadute negative sul territorio anche in riferimento ai riordini in chiave restrittiva che riguardano altri enti della difesa –:
   se intenda assumere iniziative normative per sospendere l'adozione del provvedimento da adottare entro il 31 marzo 2014, al fine di rivedere e non mutare le attribuzioni funzionali e l'assetto dell'Arsenale M.M. di Taranto nonché di definire la tabella organica in ragione della «missione» e del ruolo che storicamente caratterizza e assicura lo stabilimento, grazie alle proprie maestranze, a garanzia della difesa e della sicurezza nazionale nonché delle missioni internazionali. (4-03952)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   FAUTTILLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo della guardia di finanza, così come quello dell'Arma dei carabinieri, si è dotato dello strumento militare degli ufficiali in ferma prefissata ausiliari del ruolo speciale e del ruolo tecnico logistico, ai sensi del combinato disposto degli articoli 21 e 23 del decreto legislativo 8 maggio 2001, n. 215, «al fine di soddisfare specifiche e mirate esigenze delle singole Forze armate connesse alla carenza di professionalità tecniche nei rispettivi ruoli ovvero alla necessita di fronteggiare particolari esigenze operative»;
   il reclutamento del personale è avvenuto mediante due soli concorsi pubblici, molto selettivi, banditi rispettivamente nel 2008 (Gazzetta Ufficiale n. 59 del 29 luglio 2008), per un totale di 50 posti di cui 30 per allievi ufficiali in ferma prefissata ausiliari del ruolo speciale, e 20 posti per allievi ufficiali ausiliari del ruolo tecnico logistico, e nel 2010 (Gazzetta Ufficiale n. 61 del 3 agosto 2010) per un totale di 27 posti di cui 14 per allievi ufficiali in ferma prefissata ausiliari del ruolo speciale e 13 posti per allievi ufficiali ausiliari del ruolo tecnico logistico;
   all'esito dell’iter selettivo dei due concorsi risulta un esiguo numero di ufficiali in ferma prefissata in servizio ed in congedo, idonei non vincitori per il transito nel servizio permanente effettivo;
   nell'anno 2013 sono stati arruolati nel Corpo della guardia di finanza 297 allievi marescialli, successivamente elevati a 420 e 750 allievi finanzieri, di cui una prima aliquota già avviata al relativo corso di formazione, per cui è presumibile che vi sia la concreta esigenza da parte del Corpo di avere a disposizione, in proporzione, altrettante unità di ufficiali – già formati e valutati nel corso del servizio prestato – per agevolare una migliore gestione delle risorse umane finalizzata alla costante lotta all'evasione fiscale oltre che garantire le altre attività istituzionali cui adempie il Corpo ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 68;
   è opportuno ricordare, infatti, che il Corpo della guardia di finanza, in relazione a quanto previsto dalla legge 1o aprile 1981, n. 121, concorre unitamente alla polizia di Stato e all'Arma dei carabinieri al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica;
   il predetto personale di ufficiali in ferma prefissata rappresenta una risorsa disponibile ed affidabile, data la notevole esperienza maturata in 42 mesi di servizio, per far fronte alle esigenze menzionate;
   è necessario, altresì, contemperare l'esigenza, irrinunciabile ed inderogabile, di tutela della sicurezza e della incolumità dei cittadini, con quella, altrettanto necessaria, di economia, di risparmio e di razionalizzazione della efficienza della pubblica amministrazione, tenuto conto del particolare periodo di ristrettezza economica in cui versa il Paese;
   con riferimento a tale problematica è stato accolto dal Governo pro tempore l'ordine del giorno (9-01682-A/082) sottoscritto dall'interrogante –:
   se non ritengano, così come avvenuto per altre forze di polizia, di assumere iniziative per prevedere l'assunzione e stabilizzazione dei predetti ufficiali in ferma prefissata, tramite scorrimento di graduatoria, di coloro che abbiano almeno tre anni di servizio negli ultimi cinque anni e che, pur se in congedo, siano utilmente collocati quali «idonei non vincitori» nelle graduatorie tuttora valide, senza dover ricorrere ad ulteriori e dispendiose procedure concorsuali per individuare quegli stessi profili che l'amministrazione ha già selezionato e formato nel tempo e di cui può disporre nell'immediato, dando così anche seguito a quanto indicato nel citato ordine del giorno. (3-00679)

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   SOTTANELLI e MONCHIERO. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 380, della legge 24 dicembre 2014, n. 228, ha innovato l'assetto della destinazione del gettito rinveniente dall'IMU e, conseguentemente, ha ridefinito i rapporti finanziari tra Stato e comuni già delineato dal decreto legislativo n. 23 del 2011 sul federalismo municipale, del quale è stata disposta l'abrogazione di numerose disposizioni;
   a tal fine le norme contenute nella legge di stabilità 2013, come modificate dall'articolo 1, commi 729-730, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, attribuiscono interamente ai comuni l'intero gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, che rimane destinato allo Stato ed è calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per cento, fermo restando per i comuni la possibilità di innalzare sino a 0,3 punti percentuali tale aliquota;
   il citato comma 380, inoltre, sopprime il Fondo sperimentale di riequilibrio previsto dal decreto legislativo n. 23 del 2011, nonché il meccanismo dei trasferimenti erariali «fiscalizzati» per i comuni della regione Siciliana e della regione Sardegna e la devoluzione ai comuni del gettito della fiscalità immobiliare prevista nel medesimo decreto 23/2011 (imposte di registro, ipotecarie, catastali, cedolare secca sugli affitti ed altre), nonché della partecipazione comunale al gettito IVA;
   viene contestualmente istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, il Fondo di solidarietà comunale che è alimentato con quota parte dell'imposta municipale propria di spettanza dei comuni, con finalità perequative, da definirsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo accordo da sancire presso la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, da emanare entro il 30 aprile per l'anno 2013 e 2014 ed entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento per gli anni 2015 e successivi;
   corrispondentemente, nei singoli esercizi è versata all'entrata del bilancio statale una quota di pari importo dell'imposta municipale propria di spettanza dei comuni; questo importo può essere rideterminato a seguito dall'emanazione dei suddetti decreti del Presidente del Consiglio dei ministri; ove vi sia una differenza positiva tra il nuovo importo e lo stanziamento iniziale, tale quota è comunque versata al bilancio statale, per essere riassegnata al fondo medesimo;
   con lo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che determina la quota dell'Imu che deve affluire al Fondo sono definiti anche criteri di formazione e di riparto del Fondo stesso, tenendo conto dei seguenti fattori per i singoli comuni:
    a) degli effetti finanziari derivanti dall'abolizione della riserva di gettito IMU stabilita dall'articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011 e dalla contestuale attribuzione allo Stato del gettito derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per cento;
    b) della definizione dei costi e dei fabbisogni standard;
    c) della dimensione demografica e territoriale;
    d) della dimensione del gettito dell'imposta municipale propria ad aliquota base di spettanza comunale;
    e) della diversa incidenza sulle risorse complessive per l'anno 2012 del Fondo sperimentale di riequilibrio e dei trasferimenti erariali a favore dei comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna;
    f) delle riduzioni di cui al comma 6 dell'articolo 16 del decreto-legge 26 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;
    g) dell'esigenza di limitare le variazioni, in aumento ed in diminuzione, delle risorse disponibili ad aliquota base, attraverso l'introduzione di un'appropriata clausola di salvaguardia;
   pertanto, in merito a tali disposizioni, il gettito IMU affluisce ai comuni in parte direttamente, sulla base degli esiti della riscossione, ed in parte mediante trasferimento dal Fondo, per la quota di spettanza per ciascun ente locale;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 novembre 2013 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, n. 16 del 21 gennaio 2014) è stata definita, ai sensi dell'articolo 1, comma 380, lettera b), della legge 24 dicembre 2012, n. 228, per l'anno 2013 la quota dell'imposta municipale propria, di spettanza dei comuni, per alimentare il Fondo di solidarietà comunale, nonché le modalità di versamento al bilancio dello Stato e i criteri di formazione e di riparto del Fondo di solidarietà comunale;
   nelle more della sua definizione, si è provveduto all'erogazione delle risorse del Fondo di solidarietà comunale nella forma di anticipi: un primo acconto di 1.566 milioni di euro (pari, per ciascun comune delle regioni a statuto ordinario, al 20 per cento di quanto spettante per l'anno 2012 a titolo di Fondo sperimentale di riequilibrio) è stato erogato alla fine del mese di febbraio 2013, secondo quanto espressamente prescritto dall'articolo 1, comma 382, della stessa legge n. 228 del 2012, un secondo acconto è stato previsto dall'articolo 7 del decreto-legge n. 102 del 2013, il quale ha autorizzato il Ministero dell'interno ad erogare, entro il 5 settembre 2013, ai comuni delle regioni a statuto ordinario ed ai comuni della regione siciliana e della regione Sardegna un importo di 2.500 milioni di euro, quale anticipo su quanto spettante per l'anno 2013 a titolo di Fondo di solidarietà comunale;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 novembre 2013 ha disposto il pagamento a saldo sul fondo di solidarietà comunale anno 2013: secondo quanto comunicato dal Ministero dell'interno il 18 dicembre 2013, il saldo è stato erogato fino ad un importo pari al 94,81 per cento dell'importo complessivo riportato in spettanza a favore dei comuni appartenenti alle regioni a statuto ordinario e alle regioni Sicilia e Sardegna; il restante saldo, pari al 5,19 per cento dell'importo attribuito a titolo di fondo di solidarietà comunale 2013, sarà pagato nel prossimo esercizio finanziario appena le relative risorse finanziarie saranno disponibili sui capitoli di spesa gestiti da questa direzione centrale;
   il comma 730 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013, introducendo i commi 381-ter e 380-quater all'articolo 1 della legge n. 228 del 2012, reca le disposizioni che disciplinano la composizione del Fondo di solidarietà, la sua quantificazione annuale a decorrere dall'anno 2014 (comprensiva della quota, pari a 943 milioni di euro annui, quale compensazione, in forma di trasferimenti erariali, della perdita da parte dei comuni del gettito IMU relativo agli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, che ai sensi del comma 380, lettera f), viene, a partire dal 2013, interamente riservata allo Stato) e i criteri di alimentazione e di riparto;
   il nuovo comma 380-ter prevede che, rispetto all'anno 2013, tra i fattori da tenere in conto per il riparto del Fondo, non sono più considerati la dimensione demografica e territoriale degli enti e la definizione dei costi e dei fabbisogni standard, mentre vanno considerate la soppressione dell'IMU sulle abitazioni principali e l'istituzione della TASI; viene inoltre introdotta la possibilità di incrementare, con lo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di riparto del Fondo, la quota di gettito dell'IMU di spettanza comunale che affluisce al fondo stesso;
   il comma 380-quater all'articolo 1 della legge n. 228 del 2012 dispone che il 10 per cento dell'importo attribuito ai comuni delle regioni a statuto ordinario a titolo di Fondo di solidarietà sia accantonato per essere redistribuito, con il medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di riparto, tra i comuni medesimi sulla base dei fabbisogni standard, approvati dalla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale di cui all'articolo 4 della legge 5 maggio 2009, n. 42, entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento;
   con riferimento alla normativa sopra riportata, sono sorti dubbi da parte di molti comuni sulle modalità di calcolo per il 2013 della quota IMU di spettanza dei comuni e del gettito IMU derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D spettante allo Stato, nonché sulle modalità di rettifica del Fondo di solidarietà;
   l'interpretazione letterale del comma 380 dell'articolo 1 della legge n. 228 del 2012 porta a concludere che:
    a) non spetta più allo Stato la quota di IMU pari alla metà dell'importo calcolato applicando, alla base imponibile di tutti gli immobili (eccetto l'abitazione principale e le relative pertinenze, nonché i fabbricati rurali ad uso strumentale), l'aliquota di base dello 0,76 per cento;
    b) è riservato invece allo Stato il gettito IMU derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per cento;
    c) per tale tipologia di immobili, i comuni possono aumentare sino a 0,3 punti percentuali l'aliquota ordinaria dello 0,76 per cento e il gettito conseguente ad eventuali maggiorazioni sarà di competenza dell'ente locale;
    d) è istituito il Fondo di solidarietà comunale che è alimentato con quota parte dell'imposta municipale propria di spettanza dei comuni, con finalità perequative –:
   se, per agevolare gli enti locali nel contabilizzare correttamente l'IMU di competenza ai fini del bilancio di previsione 2014, non ritenga opportuno emanare una circolare esplicativa sulle modalità di calcolo dell'imposta, in particolare per quanto concerne la quota spettante allo Stato, derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D. (5-02332)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MAGORNO, COVELLO e BRUNO BOSSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si palesa la possibile soppressione/trasferimento della brigata della guardia di finanza di Cetraro (CS);
   la suddetta brigata è situata in un comprensorio molto importante del Tirreno Cosentino, crocevia di dinamiche mafiose tra Calabria e Campania, dove si segnalano fenomeni criminali e delinquenziali che turbano il territorio e le attività economiche, oltre al traffico di stupefacenti;
   in tale zona operano noti e pericolosi clan della ‘ndrangheta, come più volte confermato nelle innumerevoli inchieste della Direzione investigativa antimafia di Catanzaro;
   il consiglio comunale di Cetraro (CS), già dal 2005, si è espresso più volte, anche con l'approvazione di specifiche delibere, contro la eventuale soppressione del presidio militare;
   la prospettiva di un'eventuale chiusura della brigata della guardia di finanza di Cetraro (CS) sta suscitando allarme e viva preoccupazione nella cittadina tirrenica soprattutto per la particolare situazione ambientale e territoriale dovuta alla presenza di un porto con attività turistiche e ittiche che necessitano di adeguati controlli e di una attenta attività di sorveglianza contro possibili infiltrazioni di attività illegali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto su esposto e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda attivare il Governo per evitare la soppressione della brigata della guardia di finanza di Cetraro (CS), in un'area ad alta densità criminale e in cui presidi dello Stato andrebbero piuttosto rafforzati per garantire la sicurezza dei cittadini e l'affermazione della legalità. (5-02326)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la scorsa settimana, la Commissione europea, nell'ambito di una approfondita valutazione degli squilibri macroeconomici effettuata su 17 Paesi, ha indicato sullo stesso piano l'Italia insieme alla Croazia e alla Slovenia, nel gruppo dei Paesi dove gli squilibri economici sono considerati eccessivi;
   il rapporto dell'Organo istituzionale comunitario, rileva come il nostro Paese deve affrontare il livello molto alto del debito e la debole competitività esterna, entrambi radicati nella protratta lenta crescita della produttività e che pertanto necessitano politiche d'intervento urgenti;
   la necessità di un'azione decisiva per ridurre il rischio di effetti avversi sul funzionamento dell'economia italiana e della zona euro, sostiene l'analisi europea, risulta particolarmente importante data la dimensione dell'economia italiana, aggiungendo inoltre che il debito elevato determina un grande peso sull'economia, soprattutto nel contesto di una cronica crescita debole e un'inflazione sommessa;
   nel corso del 2013, conclude la Commissione, l'Italia ha fatto progressi verso il raggiungimento dell'obiettivo di medio termine (MTO), ma ciononostante l'aggiustamento strutturale per il 2014, appare insufficiente vista la necessità di ridurre il debito ad un passo adeguato;
   a tal proposito dati tali squilibri, la Commissione evidenzia che compirà un monitoraggio specifico delle politiche raccomandate all'Italia dal Consiglio nell'ambito del Semestre europeo, facendo regolari rapporti all'Eurogruppo e al Consiglio;
   l'analisi del rapporto predisposto dal Commissario europeo Olli Rehn, a giudizio dell'interrogante, se da un lato conferma un impianto di politica economica e fiscale adottato da parte del Governo Letta, rivelatosi strutturalmente debole e deludente, che ha raggiunto l'apice della sua dimostrazione nel corso della manovra di finanza pubblica approvata lo scorso dicembre, attraverso la legge di stabilità per il 2014 e che sarà ricordata più per i micro finanziamenti «a pioggia» che per un serio rilancio dell'economia nazionale, ribadisce tuttavia come continui ad essere profondamente errata l'impostazione della politica economica e finanziaria europea e dei vincoli previsti dai regolamenti comunitari;
   la politica di austerità così evidente nell'eurozona che penalizza i Paesi ad elevato debito pubblico, come l'Italia, a parere dell'interrogante, non favorisce alcun tentativo di agganciare una ripresa economica reale per il nostro Paese, ma al contrario rischia di proseguire verso un inesorabile declino, alimentando il disagio sociale ed economico a livello nazionale;
   l'interrogante ricorda come da importanti economisti di fama mondiale quali Paul Krugman e Joseph Stiglitz sia giunta la prova che la politica del rigore e dei tagli deprima sempre di più i diritti fondamentali dei cittadini più poveri, quali quelli al lavoro, all'istruzione e alla sanità e rende impossibile la ripresa delle economie, condannandole a depressioni senza termini;
   le linee di indirizzo programmatiche del nuovo Governo Renzi, in tema di politica economica e fiscale, appaiono a giudizio dell'interrogante, tuttora ondivaghe ed incerte, ed evidenziano una spiccata confusione su quali direzioni intraprendere in tema di politiche da adottare in tema di alleggerimento tributario e soprattutto quali risorse utilizzare per le necessarie coperture finanziarie;
   l'analisi suindicata da parte dell'organismo comunitario, smentisce in modo evidente, a giudizio dell'interrogante, le dichiarazioni dell'ex Presidente dei Consiglio dei ministri Letta e del precedente Ministro Saccomanni, i quali qualche settimana fa, avevano sostenuto tesi diametralmente opposte rispetto a quanto il documento comunitario ha riportato, affermando che la ripresa economica in Italia era oramai un dato certo –:
   quali misure di indirizzo economico e finanziario intenda intraprendere nell'ambito delle proprie competenze, al fine di rilanciare la domanda interna, il cui rischio di deflazione è oramai reale;
   quali valutazioni intenda esprimere con riferimento a quanto recentemente sostenuto dalla Commissione europea con riferimento al quadro macroeconomico italiano che a giudizio del medesimo organo europeo, permane debole e preoccupante ed infine se intenda conseguentemente prevedere interventi correttivi finalizzati ad un aggiustamento degli equilibri di bilancio, nel corso dei prossimi mesi.
(4-03943)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 luglio 2013 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale un bando di concorso del comando generale della Guardia di finanza, per titoli ed esami, per il reclutamento di 14 tenenti in servizio permanente effettivo del ruolo tecnico-logistico-amministrativo del Corpo della Guardia di finanza;
   espletate le procedure di selezione, in data 10 gennaio 2014 è stata pubblicata la graduatoria unica di merito;
   l'attività di lotta all'evasione fiscale – portata avanti dalla Guardia di finanza – è particolarmente importante e dirimente alla luce degli allarmi lanciati anche dalle istituzioni europee sul peso economico degli evasori;
   le Fiamme gialle, però, si trovano in una situazione di carenza d'organico così come recentemente comunicato dal comando generale. La forza effettiva, attualmente in servizio nella Guardia di finanza, di 60 mila 527 unità confligge con una dotazione organica ufficiale di 68 mila 130 militari;
   il «decreto D'Alia» (decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013) ai sensi dell'articolo 4, comma 3, dispone che per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali, ai sensi dell'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, è subordinata alla verifica: dell'avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di tutti in vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salve comprovate non temporanee necessità organizzative adeguatamente motivate; dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1o gennaio 2007, relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza;
   l'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, al comma 5-ter, stabilisce che «le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione» e il «decreto D'Alia» al comma 4 dell'articolo 4, stabilisce che «l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, vigenti dalla entrata in vigore del presente decreto, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, è prorogata fino al 31 dicembre 2016»;
   sempre il «decreto D'Alia» conferisce, inoltre, valore normativo ad un principio giurisprudenziale ormai consolidato e fatto proprio dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 28 luglio 2011, n. 14, secondo cui, «in presenza di graduatorie concorsuali valide ed efficaci, l'amministrazione, se stabilisce di provvedere alla copertura dei posti vacanti, deve motivare la determinazione riguardante le modalità di reclutamento del personale, anche qualora scelga l'indizione di un nuovo concorso, in luogo dello scorrimento delle graduatorie vigenti»;
   il Consiglio di Stato, quindi, aveva già chiarito prima ancora del «decreto D'Alia» che lo scorrimento della graduatoria preesistente ed efficace rappresenta la regola generale, mentre l'indizione del nuovo concorso costituisce l'eccezione e richiede un'apposita ed approfondita motivazione, che dia conto del sacrificio imposto ai concorrenti idonei e delle preminenti esigenze di interesse pubblico;
   in data 15 ottobre 2013, come risulta dai resoconti parlamentari dei lavori delle Commissioni riunite I (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni) e XI (Lavoro pubblico e privato), alla domanda posta da un parlamentare per chiedere se l'efficacia delle graduatorie vigenti si intende applicata anche ai lavoratori del comparto difesa, il Ministro pro tempore D'Alia rispose affermativamente, sottolineando come in questo modo si vogliano evitare ulteriori contenziosi –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per permettere lo scorrimento e l'esaurimento dell'ultima graduatoria vigente, pubblicata in data 10 gennaio 2014, per il reclutamento di tenenti in servizio permanente effettivo del ruolo amministrativo del Corpo della guardia di finanza. (4-03948)


   DI BATTISTA e SIBILIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'ultima relazione sul bilancio di Banca d'Italia le riserve d'oro dello Stato italiano ammontano a 2.452 tonnellate e hanno un valore di oltre 100 miliardi di euro;
   le riserve auree italiane rappresentano la terza riserva al mondo dopo Stati Uniti e Germania;
   l'oro dello Stato italiano appartiene al popolo italiano;
   agli interroganti risulta che una quantità di questo oro si trovi segretata presso diverse banche centrali internazionali come quantitativo collaterale di operazioni di politica monetaria passate;
   molti cittadini e blogger in rete diffondono informazioni su una presunta collocazione di parte dei lingotti d'oro italiani a Bruxelles e Francoforte;
   molti cittadini italiani sono preoccupati riguardo la collocazione degli stessi in quanto ritengono pericoloso il fatto che l'oro italiano sia custodito in altri Paesi –:
   se intenda fornire informazioni attuali, chiare e dettagliate sulla collocazione materiale della riserva aurea dello Stato italiano. (4-03959)


   VILLAROSA, D'UVA, BARBANTI, PESCO, ALBERTI, PISANO, CANCELLERI, CURRÒ, MARZANA, RIZZO, LOREFICE e GRILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo i resoconti delle indagini svolte dalla procura della Repubblica di Patti (Messina) sarebbe emerso che il comune di Brolo, in provincia di Messina, dal 1997 al 2011, ha contratto circa 28 mutui con la Cassa depositi e prestiti per una cifra complessiva di oltre 11.000.000 di euro;
   dalle indagini attualmente in corso risulterebbe, infatti, l'avvenuta erogazione di alcuni mutui concessi sulla base della presentazione, presso la Cassa depositi e prestiti, di materiale documentale di dubbia veridicità;
   dalle informazioni apparse in diverse testate giornalistiche si è appreso come, nel corso di questi anni, e sotto la gestione di diverse amministrazioni comunali, siano stati erogati dalla Cassa depositi e prestiti, in favore del comune di Brolo (Messina), alcuni mutui per la realizzazione di opere a oggi mai completate o, addirittura, mai iniziate;
   in particolare, uno dei mutui sembrerebbe riguardare la realizzazione di un palazzetto dello sport, della cui opera, tuttavia, non vi è alcuna traccia;
   in seguito allo scandalo dei cosiddetti «mutui-fantasma», il sindaco, il dirigente degli uffici economico-finanziari e altri dipendenti del comune, sono stati raggiunti da avvisi di garanzia;
   il sindaco, la giunta, nonché l'intero consiglio comunale, hanno presentato le loro dimissioni, e per l'ordinaria gestione dei due organi del comune di Brolo (Messina), in assenza delle autorità dimissionarie, è stato nominato un commissario, il viceprefetto della provincia di Messina, dottor Carmelo Marcello Musolino –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sin qui riportati;
   se non ritenga opportuno fare chiarezza sull'operato della Cassa depositi e prestiti e sulla procedura di verifica della documentazione presentata dal comune di Brolo per la concessione dei mutui;
   se esista, da parte di Cassa depositi e prestiti, un sistema di controllo, effettivo ed efficace, che possa impedire, o almeno contrastare, l'erogazione di mutui basati su documenti di dubbia veridicità o dei quali, successivamente, se ne accerti la falsità;
   se, nel caso in cui la Cassa depositi e prestiti non sia tenuta a tali controlli, non si ritenga opportuno attuare dei meccanismi che possano arginare richieste di mutui non concretamente rivolte a finalità di pubblico interesse e dai quali possano derivare danni sia economici sia d'immagine per l'intera comunità. (4-03961)


   FICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Santa Maria la Carità è un comune di circa 11.500 abitanti con una dotazione di bilancio, negli ultimi tre esercizi, compresa tra i 7 e i 9 milioni di euro;
   la situazione finanziaria del comune di Santa Maria la Carità desta, da alcuni anni, preoccupazioni a causa dei disavanzi registrati in alcuni esercizi finanziari;
   lo stesso sindaco, in una lettera indirizzata al responsabile della II Area di P.O. (Prot. n. 17498 del 3 dicembre 2012), in relazione all'affidamento degli addobbi natalizi, premetteva che «solo recentemente questa amministrazione ha risolto i dubbi legati al rispetto del patto di stabilità interno, che minava in maniera preoccupante l'agire amministrativo»;
   ad aggravare potenzialmente la situazione del bilancio del comune di Santa Maria la Carità l'articolata vicenda relativa al progetto per la realizzazione del cimitero comunale; il progetto definitivo dell'opera era stato deliberato nel 2005 e per la sua realizzazione si era previsto il ricorso al project financing;
   ai sensi dell'articolo 11 della convenzione del 7 maggio 2008 tra il Comune e la società aggiudicataria (Associazione Temporanea di Imprese GI.VI. Costruzioni Srl, Vincenzo Zenga Spa e Votiva fiamma Srl, le quali successivamente costituivano la società di progetto denominata «Cimitero di Santa Maria la Carità s. consortile a.r.l.»), l'importo per la concessione della costruzione del cimitero comunale veniva individuato in una cifra superiore ai 9 milioni di euro;
   l'articolo 11 della Convenzione, inoltre, impegnava la concessionaria a prestare, prima dell'inizio dei lavori, una garanzia fideiussoria, pari al dieci per cento dell'importo della concessione, finalizzata a garantire la buona esecuzione dei lavori ma la società consortile risultava, tuttavia, inadempiente, sia a causa del mancato versamento del deposito cauzionale pari al dieci per cento dell'importo totale dell'appalto (circa 900 mila euro), sia del mancato esborso delle somme relative agli espropri nei terreni nei termini previsti dalla stessa convenzione (Metropolis, 9 dicembre 2011);
   risulta che il comune abbia avviato pertanto a mezzo posta una «campagna di prenotazione dei cespiti cimiteriali» nella quale invitava i cittadini a prenotare cappelle, monumentini, loculi, mediante versamento del dieci per cento del costo finale del cespite su apposito conto corrente postale intestato al comune. La campagna ebbe un buon successo posto che giungevano al Comune più di 750 richieste di prenotazione di cespiti;
   precedentemente alla campagna di prenotazione era stato comunicato ai cittadini che le somme raccolte avrebbero finanziato il completamento dell'opera e il pagamento del corrispettivo degli espropri necessari; tale comunicazione era poi smentita dal sindaco del comune, Cascone, che affermava che «quanto è stato comunicato ai cittadini prima della campagna di prenotazione, secondo cui le somme versate sarebbero state utilizzate per completare le procedure di esproprio, è stato dovuto ad un mero errore»;
   con delibera n. 48 del 30 settembre 2011, il consiglio comunale modificava radicalmente il contenuto della Convenzione per la concessione della costruzione e la gestione del cimitero comunale, prevedendo un aumento del costo dell'opera di circa 1 milione di euro, per un totale quindi di oltre dieci milioni di euro;
   ad oggi i cittadini di Santa Maria la Carità non sono ancora a conoscenza delle cause degli enormi ritardi accumulati per la realizzazione di un'opera il cui importo è superiore all'intero bilancio comunale e soprattutto non sono note né l'affidabilità finanziaria dell'esecutore (alla luce dell'inadempienza sopra citata), né gli effetti sul bilancio comunale di un eventuale impossibilità oggettiva di garantire tramite il citato project financing, la realizzazione dell'opera;
   ciò è confermato anche dalle dichiarazioni di un consigliere della maggioranza, Fortunato, come riportato in un articolo del 22 gennaio 2014, apparso su stabiachannel.it, che, in sede di discussione del riconoscimento dei debiti fuori bilancio, con riferimento alla vicenda descritta ha parlato di garanzie fideiussorie «limitate e poco robuste»;
   è evidente che la situazione amministrativo contabile del comune, già precaria, potrebbe essere, alla luce dei fatti descritti in premessa, ulteriormente compromessa –:
   se non ritenga necessario acquisire ogni utile elemento al fine di fare immediata chiarezza sulla situazione finanziaria del comune di Santa Maria la Carità avvalendosi dei Servizi ispettivi di finanza pubblica anche alla luce dell'impatto che potrebbe avere sull'equilibrio finanziario del comune la realizzazione di un'opera di così straordinario importo, da anni in attesa di realizzazione. (4-03962)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TURCO, RIZZETTO, COMINARDI, BECHIS, BONAFEDE, FERRARESI, MICILLO e PISANO. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con la legge delega n. 148 del 2011, il Governo, anche ai fini del perseguimento delle finalità di cui all'articolo 9 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è stato delegato a riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento d'efficienza;
   tale legge n. 148 del 2011 prevede appunto la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, in forza della stessa legge sono stati emanati due decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 7 settembre 2012 rispettivamente titolati «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», e «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie - Uffici dei giudici di pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148»;
   i citati decreti legislativi non seguono, a sommesso parere degli interroganti, le indicazioni contenute nei pareri contrari delle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato, che rilevavano come i criteri contenuti nell'articolo 1, comma 2, della delega prevista dalla legge n. 148 del 2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 138 del 2011, siano stati recepiti solo in parte, non tenendo conto dell'estensione del territorio nonché della sua specificità, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro, della situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata;
   durante il consiglio dei Ministri del 24 gennaio 2014 è stato approvato in esame definitivo, a seguito del parere espresso dalle Commissioni parlamentari di merito e dal Consiglio superiore della magistratura, il decreto legislativo predisposto dal ministro della giustizia pro tempore, Anna Maria Cancellieri, che integra, corregge e coordina il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, concernente la nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero e il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, in merito alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie dei giudici di pace, secondo quanto previsto dalla legge 14 settembre 2011, n. 148;
   a seguito di tale sessione del consiglio dei Ministri è stato rilasciato un comunicato nel quale si rappresenta che con questo intervento il Governo intende superare alcuni dubbi interpretativi posti dalla disciplina vigente, al fine di conferire maggiore efficacia alla riforma coinvolgente l'assetto complessivo delle circoscrizioni giudiziarie;
   nello stesso comunicato si riporta che sono state inoltre ripristinate le sezioni distaccate sulle isole di Ischia, Lipari e dell'isola d'Elba con sede a Porto Ferraio, e riattribuite al circondario del tribunale di Milano, Rho e Cassano D'Adda;
   il resto dell'impianto complessivo del decreto legislativo n. 155 del 2012 è stato confermato;
   purtuttavia si riscontrano, in alcuni tribunali accorpanti, notevoli disagi causati dall'applicazione di tale nova normativa;
   prendendo ad esempio il tribunale ordinario di Torino, che il Ministro della giustizia, pro tempore, Cancellieri, aveva additato quale esempio di efficienza anche in occasione della discussione sull'opportunità degli accorpamenti, verte ora in una situazione prossima alla paralisi, dopo la soppressione del tribunale di Pinerolo, e delle sedi distaccate di Moncalieri, Susa, Chivasso e Ciriè, tutte confluite nel tribunale di Torino, ove si sono evidenziate carenze di personale amministrativo tali da costringere molte cancellerie alla riduzione degli orari di apertura al pubblico con chiusura alle 11,30;
   in una lettera del presidente del tribunale ordinario di Torino, pubblicata sul sito dello stesso tribunale – http://www.tribunale.torino.giustizia.it/it/Content/Index/27913 – lo stesso evidenzia che «La pianta organica del personale amministrativo, approvata dal Ministero a settembre 2013, è di 484 persone; attualmente in servizio sono presenti 361 unità, con un tasso di scopertura complessivo pari al 25,41 per cento»;
   e ancora «i direttori amministrativi sono 14 su 27 previsti (-48,15 per cento), i funzionari giudiziari 78 su 115 (-32,17 per cento, i cancellieri 65 su 87 (-25,29 per cento), gli assistenti giudiziari 104 su 138 (-24,64 per cento); la media delle scoperture delle figure sopraelencate è del 32,56»;
   «Tutto ciò ha pesanti ripercussioni sul settore penale, dove i magistrati non sono in grado di tenere un numero adeguato di udienze per mancanza di cancellieri»;
   «Le udienze penali dibattimentali sono state di necessità contingentate, con il risultato che i processi monocratici c.d. prioritari sono fissati a tredici mesi (marzo 2015); gli altri processi monocratici sono fissati a 16-18 mesi (giugno-ottobre 2016)»;
   «La situazione del settore civile è ugualmente preoccupante. Per la carenza di personale le lunghissime attese allo sportello per la consultazione dei fascicoli sono divenute quotidiane, tanto da spingere il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati a formulare reiterate e formali proteste. L'informatizzazione, ancora incompleta, non è sufficiente per ora ad ovviare a questo stato di cose. La collaborazione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e di alcune Associazioni forensi nel fornire mezzi materiali e nello studio di accorgimenti per ovviare nei limiti del possibile alla situazione di crisi, pur apprezzabile, non ha purtroppo consentito un'inversione di tendenza. Anzi in prospettiva, con il perdurante blocco delle assunzioni e la certa diminuzione del personale conseguente ai prossimi pensionamenti di taluni, essa è destinata a peggiorare» –:
   se sia al corrente della situazione prospettata;
   se e quali elementi abbia attualmente a disposizione per poter quantificare e fornire dati aggiornati sull'effettivo risparmio di spesa pubblica derivante dall'accorpamento delle sedi interessate dal provvedimento di revisione delle circoscrizioni giudiziarie e nuova organizzazione dei tribunali;
   se abbia valutato l'impatto dell'eccessiva concentrazione di procedimenti sopravvenuti in relazione al rispetto della normativa sulla ragionevole durata dei processi, ex articolo 111 costituzione e articolo 6 CEDU, ed in relazione alle conseguenti possibili ricadute risarcitorie per eventuale violazione delle stesse normative;
   se e quali misure intenda adottare per ovviare alle condizioni in cui versano le cancellerie ed il trattamento che viene riservato ad avvocati e pubblico nel tribunale di Torino;
   se e quali provvedimenti intenda promuovere in merito alla necessità di garantire una effettiva efficiente gestione delle risorse pubbliche atte ad assicurare il regolare svolgimento delle attività nel tribunale di Torino;
   se sia a conoscenza dell'incremento delle spese di notifica e di pignoramento da effettuarsi nei comuni presenti nelle circoscrizioni dei tribunali accorpati e se e quali correttivi possano essere applicati in relazione a tali aumenti di costi;
   se, anche in considerazione della situazione testé descritta, non ritenga di poter riconsiderare, in sede d'individuazione di necessari nuovi correttivi nell'applicazione della normativa in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, un aumento delle unità di personale amministrativo e giudicante di modo da poter incrementare la pianta organica tale da consentire un'adeguata celere trattazione dei procedimenti soppravvenuti nei tribunali accorpanti. (5-02324)


   TURCO, RIZZETTO, COMINARDI, BONAFEDE, FERRARESI, MICILLO, COLLETTI, BECHIS e PISANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con la legge delega n. 148 del 2011, il Governo, anche ai fini del perseguimento delle finalità di cui all'articolo 9 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è stato delegato a riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento d'efficienza;
   tale legge n. 148 del 2011 prevede appunto la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, in forza della stessa legge sono stati emanati due decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 7 settembre 2012 rispettivamente titolati «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», e «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei giudici di pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148»;
   i citati decreti legislativi non seguono, a sommesso parere degli interroganti, le indicazioni contenute nei pareri contrari delle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato, che rilevavano come i criteri contenuti nell'articolo 1, comma 2, della delega prevista dalla legge n. 148 del 2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 138 del 2011, siano stati recepiti solo in parte, non tenendo conto dell'estensione del territorio nonché della sua specificità, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro, della situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata;
   durante il consiglio dei Ministri del 24 gennaio 2014 è stato approvato in esame definitivo, a seguito del parere espresso dalle Commissioni parlamentari di merito e dal Consiglio superiore della magistratura, il decreto legislativo predisposto dal Ministro della giustizia, Anna Maria Cancellieri, che integra, corregge e coordina il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, concernente la nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero e il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156, in merito alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie dei giudici di pace, secondo quanto previsto dalla legge 14 settembre 2011, n. 148;
   a seguito di tale sessione del consiglio dei Ministri è stato rilasciato un comunicato nel quale si rappresenta che con questo intervento il Governo intende superare alcuni dubbi interpretativi posti dalla disciplina vigente, al fine di conferire maggiore efficacia alla riforma coinvolgente l'assetto complessivo delle circoscrizioni giudiziarie;
   nello stesso comunicato si riporta che sono state inoltre ripristinate le sezioni distaccate sulle isole di Ischia, Lipari e dell'isola d'Elba con sede a Porto Ferraio, e riattribuite al circondario del tribunale di Milano, Rho e Cassano D'Adda;
   il resto dell'impianto complessivo del decreto legislativo n. 155 del 2012 è stato confermato;
   purtuttavia si riscontrano, in alcuni tribunali accorpanti, notevoli disagi causati dall'applicazione di tale nova normativa;
   prendendo ad esempio il tribunale ordinario di Castrovillari, oggetto di intervento da parte della citata normativa e tribunale accorpante del tribunale di Rossano (e Corigliano Calabro), si nota che tale tribunale risulta logisticamente periferico e situato in zona montana;
   sulla stampa locale per di più sono stati evidenziati dei notevoli disagi per quanto riguarda il trasferimento delle competenze verso il tribunale accorpante, con conseguente smantellamento del tribunale di Rossano che risultava essere più grande di quello accorpante;
   di recente, il presidente del Comitato per la difesa del tribunale di Castrovillari, avvocato A. Ceccherini, ha rilasciato un'intervista nella quale pone l'attenzione sulla realtà venutasi a creare nel tribunale di Castrovillari ove, anche il nuovo edificio, adibito a nuova sede del tribunale di Castrovillari, risulterebbe inadeguato ad accogliere il pubblico e gli operatori per una proficua gestione dei procedimenti sopravvenuti, prima di competenza del tribunale di Rossano;
   nello stesso articolo pubblicato sul sito Abmreport.it si denunciano situazioni di forte disagio per gli operatori del diritto venutesi a creare nel tribunale citato: «Nella cancelleria è difficile trovare i fascicoli, finiti chissà dove nel trasloco da Rossano a Castrovillari e dal vecchio al nuovo palazzo di giustizia cittadino. Manca il servizio fotocopie, manca un parcheggio (che ora nascerà anche a pagamento),». Tutte cose che fanno dire ad Alfredo Ceccherini, anima battagliera del comitato per la salvezza del Tribunale di Castrovillari, che sono mille le «difficoltà che incontriamo con le file alla cancelleria o presso gli ufficiali giudiziari» ed oggi, «fare l'avvocato a Castrovillari è diventato impossibile»;
   l'avvocato castrovillarese parlando della «qualità dei servizi» ritiene che nella nuova struttura sia «crollata verticalmente»;
   le ragioni sono da ricercare nella mole di lavoro che «si è raddoppiato» mentre «gli impiegati non sono il doppio», e sostiene l'incapacità di «gestire il lavoro» da parte di chi questa macchina pubblica dovrebbe gestirla;
   da parte, di altri avvocati viene segnalato un ulteriore problema relativo all'ufficio degli ufficiali giudiziari UNEP per la problematica delle spese di notifica dei pignoramenti presso terzi, i quali vengono notificati «a mani» dall'ufficiale giudiziario stesso anziché a mezzo posta con conseguente notevole aggravio di costi per l'istante-cittadino che viene ad essere vessato nelle spese giudiziarie in questo comprensorio, a causa dell'innalzamento esponenziale delle spese di trasferta per effettuare le notifiche e della dilatazione territoriale del distretto giudiziario venutosi a creare, causata dall'accorpamento dei tribunali della zona, con grave rischio di impedimento di accesso alla giustizia e conseguente impossibilità di tutela dei diritti dei cittadini –:
   se sia al corrente della situazione prospettata;
   se e quali elementi abbia attualmente a disposizione per poter quantificare e fornire dati aggiornati sull'effettivo risparmio di spesa pubblica derivante dall'accorpamento delle sedi interessate dal provvedimento di revisione delle circoscrizioni giudiziarie e nuova organizzazione dei tribunali;
   se abbia valutato l'impatto dell'eccessiva concentrazione di procedimenti sopravvenuti in relazione al rispetto della normativa sulla ragionevole durata dei processi, ex articolo 111 cost. e articolo 6 CEDU, ed in relazione alle conseguenti possibili ricadute risarcitorie per eventuale violazione delle stesse normative;
   se e quali misure intenda adottare per ovviare alle condizioni in cui versano le cancellerie ed il trattamento che viene riservato ad avvocati e pubblico nel Tribunale di Castrovillari;
   se e quali provvedimenti intenda promuovere in merito alla necessità di garantire una effettiva efficiente gestione delle risorse pubbliche atte ad assicurare il regolare svolgimento delle attività nel tribunale di Castrovillari;
   se sia a conoscenza dell'incremento delle spese di notifica e di pignoramento da effettuarsi nei comuni presenti nelle circoscrizioni dei tribunali accorpati e se e quali correttivi possano essere applicati in relazione a tali aumenti di costi;
   se, anche in considerazione della situazione testé descritta, non ritenga di poter riconsiderare, in sede d'individuazione di necessari nuovi correttivi nell'applicazione della normativa in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, un aumento delle unità di personale amministrativo e giudicante di modo da poter incrementare la pianta organica tale da consentire un'adeguata celere trattazione dei procedimenti soppravvenuti nei tribunali accorpanti. (5-02325)


   VALIANTE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il provvedimento di revisione della geografia giudiziaria, di cui al decreto legislativo n. 155 del 2012, emanato a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, legge di conversione del decreto-legge n. 138 del 2011, ha previsto, tra le altre, la soppressione del tribunale di Sala Consilina, in provincia di Salerno, accorpandolo a quello di Lagonegro, in provincia di Potenza;
   in un primo momento si è ritenuto che la struttura, già adibite a municipio di Lagonegro, e posta a disposizione dal comune per ospitare gli uffici soppressi del tribunale di Sala Consilina, sarebbe stata pronta e adeguata per consentire il funzionamento degli uffici accorpati alla data di entrata in vigore del citato provvedimento, prevista per il 13 settembre 2013. Tale decisione sarebbe stata assunta sulla base delle assicurazioni fornite da parte del comune di Lagonegro e dai suoi uffici tecnici;
   vi sono tuttavia alcuni aspetti che sarebbe un errore sottovalutare e non approfondire. La struttura è stata realizzata in epoca precedente al sisma del 1980 e non risulterebbe adeguata sismicamente, in osservanza alle previsioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 ottobre 2003, così come recepito dalla regione Basilicata con deliberazioni di giunta regionale n. 622 del 14 marzo 2003 e n. 2000 del 4 novembre 2003;
   il progetto approvato e appaltato, peraltro, risulterebbe privo degli adeguamenti sismici, della verifica preventiva da parte del genio civile, così come previsto dall'articolo 28 della legge n. 64 del 1974, nonché del previsto parere dell'asl ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e del parere preventivo antincendio ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2010;
   non risulterebbero al momento disponibili i certificati di regolare esecuzione, di collaudo statico, di sicurezza degli impianti, nonché di abilitazione all'utilizzazione dell'immobile ai fini sismici, tenuto conto che la struttura si trova in una zona altamente interessata a questo tipo di fenomeno. Sull'immobile risulterebbe installata un'imponente antenna ripetitore privata, non compatibile con la destinazione pubblica della struttura, che pregiudica, per via del peso sulla struttura, dell'elettromagnetismo e dell'assenza di gabbia parafulmini, sia la stabilità sia la sicurezza dell'immobile;
   la sussistenza delle richiamate irregolarità riguardanti l'agibilità della struttura giudiziaria destinata al tribunale di Lagonegro nella sua interezza e le problematiche connesse, riferibili alla sicurezza per i cittadini e i professionisti interessati, si aggiungerebbero alla violazione dell'indice minimo metri quadrati/dipendente stabilito per legge in 20-25 metri quadrati per addetto. Nel caso di Lagonegro, che conta di una superficie di 2.500 metri quadrati l'indice sarebbe di 12,95 metri quadrati per dipendente, con evidenti problemi di densità e di carico della struttura e quindi ancora di sicurezza per cittadini e operatori;
   in considerazione del notevole interesse pubblico che la vicenda riveste, l'unione giuristi cattolici italiani — sezione di Sala Consilina ha presentato un esposto-denuncia al Ministero della giustizia per segnalare le inagibilità e le inadeguatezze strutturali dei locali del tribunale e della procura della Repubblica di Lagonegro, che ad oggi permangono. Le critiche riferite alla ubicazione del tribunale e alle caratteristiche della struttura prescelta sono state anche segnalate da interrogazioni parlamentari, da lettere, anche dell'interrogante e da documentazione tutte indirizzate al Ministero della giustizia e agli uffici competenti dello stesso dicastero;
   i contributi che l'interrogante, rappresentanti del comune di Sala Consilina e operatori interessati hanno personalmente portato all'attenzione del Ministero, anche nel corso di audizioni sull'attuazione dei decreti legislativi nn. 155 e 156 del 2012, non sembrano aver prodotto ancora riscontro sui seri pericoli di sicurezza e incolumità pubbliche e alcuna indifferibile verifica in loco da parte degli organi di vigilanza del Ministero –:
   se non intenda verificare l'adeguatezza delle strutture giudiziarie del tribunale di Lagonegro, al fine di garantire la sicurezza dei cittadini e degli operatori interessati. (5-02338)

Interrogazione a risposta scritta:


   TAGLIALATELA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Il Giornale del 20 febbraio 2014 ha riportato un articolo dal titolo «Osa criticare Boccassini: pm cacciato», avente ad oggetto una notizia ripresa anche da altri giornali;
   nel testo dell'articolo si riporta la notizia che la relazione annuale della Procura nazionale antimafia, nella parte in cui tratta l'attività della direzione distrettuale antimafia di Milano, muove numerose contestazioni all'attuale capo di quella direzione distrettuale antimafia, dottoressa Ilda Boccassini, per la violazione degli obblighi di collaborazione da lei realizzate, sia nei confronti dei propri colleghi, sia nei confronti delle altre direzioni distrettuali e della direzione nazionale;
   nella relazione annuale, infatti, la direzione nazionale avrebbe stigmatizzato le difficoltà nei rapporti con la direzione distrettuale antimafia di Milano guidata dalla Boccassini, evidenziando le «perduranti criticità nelle relazioni con la Dda di Milano, che incidono sull'esercizio delle funzioni di questa Dna», dovute allo scarso «flusso informativo» che non permette di «cogliere tempestivamente e in modo sostanziale i nessi e i collegamenti investigativi tra le altre indagini in corso sul territorio nazionale» che presentano «profili di collegamento» con quelle in corso nel capoluogo lombardo, considerata la «preclusione posta a conoscere specificatamente gli atti relativi ad indagini in corso e, tanto meno, le richieste cautelari avanzate»;
   la citata parte della relazione sarebbe stata messa nero su bianco dal magistrato Filippo Spiezia, che presso la direzione nazionale è il sostituto che ha la competenza sull'area del capoluogo lombardo, ed è quindi deputato a mantenere i contatti con i pool antimafia di quel territorio, ricevendo le notizie e coordinando le indagini;
   secondo la ricostruzione giornalistica, a seguito della pubblicazione della relazione, il magistrato in questione sarebbe stato allontanato dal suo incarico e sostituito con altra collega, proprio a causa delle «difficoltà di dialogo» tra Spiezia e il pool milanese, come affermato dallo stesso capo della direzione nazionale, Franco Roberti –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative ispettive ai fini dell'eventuale esercizio di tutti i poteri di competenza. (4-03967)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Trenord s.r.l. è partecipata al 50 per cento da Trenitalia (divisione regionale Lombardia) e per il restante 50 per cento dal gruppo FNM (LeNORD);
   il 4 febbraio 2014 l'Amministratore delegato della società Trenord s.r.l. (società partecipata da Trenitalia e Fnm), ingegner Luigi Legnani, ha convocato le organizzazioni sindacali regionali dei trasporti e comunicato il provvedimento di sospensione cautelare dal servizio di cinque funzionari di Trenord di Milano Porta Garibaldi, e precisamente: i capi impianto del personale di bordo e personale di macchina, i due capi ufficio e un quadro;
   i provvedimenti disciplinari sono stati adottati a seguito delle risultanze di un'inchiesta svolta dall’audit aziendale, che avrebbe riscontrato l'assegnazione ed erogazioni di ore di straordinario mai lavorate a macchinisti e capitreno;
   all'interrogante risulterebbe che consistenti somme di denaro sarebbero state utilizzate per rimborsare spostamenti in taxi del personale anche in ore diurne;
   il danno subito dalla società Trenord ammonterebbe ad oltre 10 milioni di euro;
   nei giorni seguenti, la notizia, trasmessa dal TG3 – edizione Lombardia – e pubblicata dagli organi di stampa, con conseguente ulteriore danno di immagine per la società Trenord Srl, pendolari e viaggiatori hanno continuato a denunciare gravi carenze del servizio ferroviario dovute a frequenti soppressioni e ritardi dei treni, sovraffollamenti delle carrozze, sempre più sporche, continui guasti alle porte e all'impianto di riscaldamento e di aria condizionata, con inevitabili e pesanti disagi per l'utenza ferroviaria lombarda;
   emergono sulla stampa dubbi sulla efficacia della governance di Trenord;
   i dati sul servizio descrivono un progressivo peggioramento delle performance di Trenord con una significativa riduzione della qualità rispetto alla prima fase di vita della società;
   la Commissione trasporti il 3 dicembre 2013 ha svolto l'audizione di rappresentanti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul trasporto pubblico locale. Tra gli argomenti trattati dal presidente dell'autorità vi è stato anche il caso Trenord in Lombardia e il possibile impatto negativo sulla concorrenza –:
   se i ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti accaduti e, in particolare, di quali elementi dispongano circa l'inchiesta svolta dall’Audit aziendale;
   se siano a conoscenza di un'eventuale carenza di personale nell'azienda tale da comportare un ricorso così esteso al lavoro straordinario;
   se non ritengano di dover intervenire, per quanto di loro competenza, sui disservizi denunciati per garantire all'utenza ferroviaria lombarda un servizio adeguato;
   di quali informazioni disponga su quanto emerso sugli organi di informazione in merito ad una richiesta da parte di Trenitalia, in qualità di socio paritario di FNM nella costituzione di Trenord s.r.l., dell'inversione degli attuali patti parasociali, che attribuiscono alla Holding lombarda FNM la designazione dell'amministratore delegato e a Trenitalia quella del presidente dell'azienda Trenord;
   se non reputi che alla luce delle competenze e deleghe dell'amministratore delegato la perdita della designazione dello stesso apparirebbe come una sostanziale consegna di Trenord al gruppo FS, disperdendo un patrimonio lombardo di competenze ed esperienze accumulato nel tempo dal gruppo FNM, che non si ritiene opportuno venga annacquato dentro le Ferrovie dello Stato. (5-02337)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della società pubblica Poste Italiane la funzione tutela aziendale ha, fra l'altro, il compito di garantire la sicurezza degli uffici postali; è articolata in aree territoriali; l'Atta Sud 1, dall'anno 2006 è gestita da Malerba Salvatore;
   in relazione al discutibile operato di tale dirigente e, più in generale, alla gestione, ad avviso dell'interrogante poco efficiente, funzionale e trasparente della sopra indicata struttura di Poste italiane, l'interrogante ha già presentato altri atti di sindacato ispettivo;
   ancora nell'anno 2013, come le cronache di stampa informano, la Sicilia è stata falcidiata da gravi episodi criminali consumati in danno di decine di uffici postali;
   sono numerosi gli eventi criminosi che hanno coinvolto la città di Palermo (si pensi alla rapina ufficio Postale di Palermo succ. 35, con bottino di circa 160.000,00 euro) ove il 25 luglio 2013 un malfattore, armato di un punteruolo, assaltò nell'arco di appena 10 minuti i due uffici postali di via Brunetto Latini e via Eugenio l'Emiro;
   numerosi eventi hanno coinvolto le altre città dell'isola: sono eclatanti quelli di Ganzirri (Messina), Pozzallo succ. 1 (Ragusa), Nissoria (Enna), Moio Alcantara (Messina), Fondachello di Valdina (Catania), Nunziata (Catania), Messina succursale 16, Vulcano (Messina), Borrello (Catania); Tortorici (Messina) – ufficio sprovvisto di impianto TVCC –, Fiumefreddo di Sicilia (Catania), Sambuca di Sicilia (Agrigento);
   nello stesso 2013 si sono registrati numerosi furti in danno di strutture postali; solo a titolo conoscitivo, si citano alcuni presso gli uffici di Carlentini (Siracusa), Catania succursale 22 e Valverde;
   il danno complessivo ammonterebbe a circa 1 milione di euro;
   la problematica della sicurezza degli uffici postali era stata oggetto di specifica trattazione in seno alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro, di cui al resoconto stenografico n. 19 del 24 marzo 2009, in seno alla quale furono sentiti sia l'amministratore delegato Sarmi che il presidente di Poste Italiane Ialongo che fornirono ampie rassicurazioni in merito alla problematica delle rapine negli uffici postali;
   con nota del 7 gennaio 2014 la Cisl ha denunciato lo stato di abbandono degli uffici del territorio catanese: «...abbandona i lavoratori di quegli Uffici alla mercé degli assalti criminali, costringendoli ad operare in un clima di continuo panico e di potenziale estrema pericolosità. Gli Uffici nominati sono tutti ubicati in zone altamente a rischio di criminalità della città e, nel recente passato, sono stati già teatro di violente aggressioni contro il personale applicato... La recrudescenza di atti criminosi nei confronti degli Uffici Postali ha raggiunto i limiti di guardia ed i lavoratori ne risultano gravemente esposti»;
   tale disastrosa situazione era stata denunciata al prefetto di Catania già nel 2012;
   in Sicilia, anche per l'anno corrente, le rapine e gli attacchi agli uffici postali sono pressocché quotidiani;
   i sindacati di categoria conducono, da anni, una battaglia con denunce inviate anche agli organi di stampa;
   risulta, all'interrogante che addirittura un ufficio postale di Palermo sia stato chiuso perché all'interno sono state rinvenute carcasse e defecazioni di topi;
   si sospetta che nell'ufficio ci sia la presenza di amianto, il soffitto sarebbe stato ricoperto con una guaina nera ed il controsoffitto con pannelli di lamierino che comporterebbero uno squilibrio tecnico a danno della salute dei lavoratori –:
   se non intenda adottare iniziative urgenti per porre fine alla disastrosa situazione di territorio particolarmente sensibile come quello siciliano;
   se non intenda intervenire presso Poste Italiane per dotare la Sicilia di un'autonoma struttura territoriale di sicurezza efficiente ed efficace, come le altre funzioni societarie di mercato, privati, servizi postali, affari legali, immobiliare quivi esistenti, con ciò debellando la fallimentare gestione della struttura di Atta sud 1, con riflessi negativi all'immagine della società. (4-03950)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TURCO, RIZZETTO, COMINARDI, BONAFEDE, FERRARESI, CRISTIAN IANNUZZI, MANNINO e BECHIS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 18 febbraio 2014, riportano vari organi di stampa nazionali, è stato soccorso un gommone con a bordo 123 migranti tra i quali 16 donne;
   secondo quanto riportato dalla stampa, l'imbarcazione che si trovava a circa 145 miglia a sud-ovest di Lampedusa aveva fatto partire una chiamata di SOS per un motore in avaria, giunta ieri mattina tramite un telefono satellitare alla capitaneria di porto del capoluogo siciliano;
   la centrale operativa di Roma, ha, quindi provveduto a dirottare sul posto i mercantili che si trovavano in zona, tra questi, il primo a raggiungere l'imbarcazione è stato un mercantile greco, il «Rizopon» giunto poi nella rada del porto commerciale di Augusta nel siracusano, nelle prime ore del pomeriggio, dopo aver effettuato il trasbordo dei migranti;
   al momento del trasbordo dei migranti, che hanno riferito di essere somali, ci si è resi conto che sul gommone vi erano anche due cadaveri;
   i recenti luttuosi avvenimenti, a parere degli interroganti, dimostrano che l'emergenza dei flussi migratori provenienti dal nord Africa non solo non si arresta ma, di fatto, prosegue con sempre maggiore drammaticità;
   questo episodio infatti non è isolato, poiché, gli avvistamenti di migranti in alto mare e i loro sbarchi sull'isola siciliana si ripetono continuamente, ed in quella stessa notte, le navi della Marina militare italiana, nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum, hanno soccorso altri due barconi nel canale di Sicilia e complessivamente, quindi, solo in quella stessa giornata, sono state 1079 le persone condotte in salvo sulle coste italiane;
   sembra doveroso ricordare che nell'anno 2011 in appena sei mesi sono giunti a Lampedusa cinquantamila migranti provenienti dal Nord Africa, e che come troppo spesso accade, questi migranti, spinti dalla ricerca di una vita migliore, vengono in realtà a trovare la morte nel tentativo di raggiungere le coste italiane come ci ricorda il tragico naufragio ed il successivo inabissamento di una di queste fatiscenti imbarcazioni, lo scorso 3 ottobre 2013, a Lampedusa, che ha causato la morte di oltre 360 migranti –:
   se e quali misure intenda promuovere in merito alla necessità di scongiurare il persistente stato di crisi umanitaria migratoria diretta dal nord Africa verso l'isola di Lampedusa e conseguentemente verso l'Italia e l'Europa;
   se e quali provvedimenti intenda adottare per il miglioramento delle condizioni di sicurezza che si verificano ai confini del sud dell'Italia;
   se e quali azioni intenda porre in essere per monitorare il fenomeno dell'emigrazione di massa al fine di prevenire una nuova emergenza connessa all'arrivo in Italia di migranti;
   se e quali misure intenda adottare con riferimento al soccorso in mare e all'accoglienza, e se ritenga che le condizioni d'accoglienza approntate a terra, igieniche e ambientali, possano essere considerate adeguate;
   se e quali azioni concrete intenda realizzare per evitare tragedie simili in futuro e le frequentissime morti che, troppo spesso, si verificano in relazione ai descritti fenomeni migratori verso l'Italia.
(5-02321)


   CHAOUKI e RACITI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da un articolo di Alessandra Turrisi, uscito sul quotidiano Avvenire, in data 27 gennaio 2014 che nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa, dal mese di ottobre, sono approdati oltre cinquemila migranti recuperati sulle carrette del mare dalle navi della marina militare e condotti sulla terraferma;
   secondo l'articolo il dieci per cento circa sarebbero minori stranieri non accompagnati. Si tratterebbe di cinquecento ragazzi e ragazze tra i 16 e i 18 anni che sarebbero stati accolti in un palazzetto dello sport, il Palajonio in attesa di essere destinati in comunità alloggio per minori;
   un centinaio di essi si trovano ancora in quella tensostruttura del comune di Augusta, attualmente amministrato da tre commissari straordinari. Gli uffici comunali, le forze dell'ordine, le parrocchie — stando a quanto riporta l'articolo — si stanno impegnando per garantire una vita dignitosa a questi giovani fornendo loro coperte, vestiti e scarpe;
   la questione che emerge dall'articolo è che i minori stranieri non accompagnati, dal loro arrivo a carico dei servizi sociali del comune, dovrebbero rimanere al Palajonio appena un paio di giorni, per poi essere trasferiti alla comunità di seconda accoglienza Papa Francesco a Priolo e successivamente nelle comunità alloggio sul territorio siciliano e nazionale. Ma i tempi sarebbero invece lunghissimi e le comunità sul territorio già al completo. Inoltre, «poiché questi ragazzi risulterebbero a carico dei Comuni in cui risiedono le comunità alloggio, i sindaci, in difficoltà coi bilanci, si rifiuterebbero di accoglierli» così spiega il commissario del comune di Augusta, il prefetto Maria Carmela Librizzi intervistata dalla giornalista;
   secondo il prefetto questa è una emergenza che non si fermerà, le navi della marina continueranno a portare migliaia di profughi e centinaia di minori, che resteranno a carico del comune che ha scarse risorse per entrare in contatto con altri comuni per pianificare l'accoglienza di questi ragazzi –:
   se sia a conoscenza dei fatti riportati e se non ritenga urgente procedere ad una approfondita verifica della vicenda, al fine di intervenire rapidamente per garantire un'accoglienza dignitosa ai minori stranieri non accompagnati attraverso un piano di accoglienza a lungo termine che consenta di uscire da questa situazione di emergenza. (5-02323)


   FAENZI e PARISI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto sostenuto del coordinamento regionale del Nucleo soccorso subacqueo acquatico di Grosseto – NSSA, il Ministro interrogato sarebbe intenzionato a sopprimere la struttura di vigilanza e di soccorso, che opera nell'intera area dell'arcipelago toscano, che rappresenta una delle zone marine e costiere di maggiore attenzione d'Italia, sia per l'intensa attività di transito delle imbarcazioni, che per la caratteristica geomorfologica del territorio fortemente a rischio idrogeologico;
   il nucleo di Grosseto, costituisce da oltre 25 anni, un caposaldo preposto al controllo di oltre 225 chilometri di costa, oltre ad alcune isole fra le quali il Giglio, tristemente nota alle cronache per il naufragio della nave da crociera Costa Concordia, il cui tempestivo intervento, da parte degli stessi sommozzatori dei vigili del fuoco grossetani, la notte del 13 gennaio 2012, è risultato determinante per la salvezza di numerose vite umane;
   il suindicato coordinamento rileva, inoltre, che negli ultimi anni, l'amministrazione del Ministero interrogato, seguendo un'impostazione numerica di rafforzamento dei nuclei cosiddetti capoluogo di regione: due per ogni regione, che non sempre coincide con la verifica dell'elevato rischio acquatico, idraulico e subacqueo, ha provocato gravi difficoltà nelle attività di pronto intervento, riconducibili alle varie situazioni di pericolo legate all'elemento acqua, soprattutto in alcuni centri operativi sommozzatori dei vigili del fuoco, posti in aree nevralgiche del territorio nazionale;
   gli interroganti evidenziano a tal fine, come l'importanza strategica che riveste il nucleo di Grosseto, proprio per la sua collocazione geografica, ad alta attrattività turistica e dalla dinamicità che in particolare nei mesi estivi si rileva, dall'elevato transito delle imbarcazioni da diporto, della pratica subacquea sportiva, nonché dalle caratteristiche del tratto di costa così frastagliato, imponga interventi che siano in netta controtendenza con le politiche di dismissione che il Ministero sembra intenzionato a prevedere, proprio per l'importanza richiesta nel monitorare l'intera aerea costiera dell'Argentario;
   l'eventuale decisione del mantenimento nella regione Toscana soltanto di due nuclei a Livorno e Firenze, sopprimendo pertanto la sede di Grosseto, a giudizio degli interroganti, rischierebbe di determinare una serie di gravi e penalizzanti effetti in ordine al prevedibile aumento dei costi per le trasferte di addestramento nei luoghi di immersione, ed in particolare, nel privare un rilevante tratto di costa ad elevato rischio per la sicurezza, con un vuoto d'intervento operativo che si verrebbe a determinare tra i nuclei di Livorno e Roma, la cui distanza risulterebbe di 350 chilometri;
   la dilatazione dei tempi per il pronto soccorso, nel caso di interventi d'emergenza in considerazione di quanto predetto, a parere degli interroganti, accrescerebbe, fra l'altro, i livelli d'incertezza e di assistenza, essendo incompatibile con i necessari tempi di soccorso per la vita umana;
   l'ipotesi della dislocazione del nucleo di Grosseto, manifestamente errata anche e soprattutto con riferimento al quadro degli interventi delle operazioni di soccorso relativi alla gravissima tragedia del naufragio della nave da crociera Costa Concordia, a cui i sommozzatori di Grosseto hanno partecipato attivamente e con encomiabile tempestività, conferma a parere degli interroganti, la necessità di preservare il mantenimento della struttura operativa, indispensabile per assicurare l'efficacia di un'azione di immediato soccorso;
   tale decisione appare ingiusta e penalizzante in considerazione delle valutazioni sopra esposte, con particolare riferimento ai livelli di tempestività in ordine agli interventi d'urgenza e di pronto soccorso, che con la chiusura del nucleo di Grosseto, risulterebbero evidentemente insufficienti nel garantire un'adeguata assistenza per oltre 225 chilometri di costa, oltre che alcune isole e in generale per la vasta area dell'Argentario e dell'arcipelago Toscano –:
   se, nel quadro della riorganizzazione e razionalizzazione dei servizi preposti al soccorso subacqueo acquatico nazionale, intenda confermare la soppressione della struttura operativa dei vigili del fuoco di Grosseto;
   come intenda garantire il mantenimento degli standard di sicurezza necessaria, per un territorio costiero vasto e articolato, ad alta densità turistica, ricreativa e commerciale, nell'ipotesi del ridimensionamento delle unità del reparto sommozzatori di Grosseto. (5-02327)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni si sta registrando a Crotone una recrudescenza di episodi intimidatori che solo nella notte tra domenica 9 e lunedì 10 marzo 2014 ha coinvolto in due distinti incendi tre automobili e un autocarro;
   l'incendio delle vetture è avvenuto nel quartiere Vescovatello, mentre l'autocarro, di proprietà del figlio di un testimone di giustizia, è stato dato alle fiamme all'interno di un cantiere in via Botteghelle;
   sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco che hanno domato le fiamme;
   sono state immediatamente avviate le indagini da parte degli inquirenti;
   questi episodi, gli ultimi di una lunga serie che hanno visto coinvolte sedi di associazioni, strutture turistiche, professionisti ed operatori commerciali, non possono che generare nella popolazione preoccupazione circa il clima che si sta creando nella città –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda attivare da subito per rafforzare i presidi di sicurezza presenti in città nonché se non sia sua intenzione prendere parte, anche delegando un Sottosegretario, ad una prossima riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Crotone. (5-02330)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Tav Torino-Lione torna ad occupare le pagine di cronaca di diversi quotidiani locali per essere stata all'origine, almeno secondo quanto ritengono gli inquirenti, di un fallito attentato compiuto ai danni di una azienda di Torre del Mosto, nel Veneto orientale;
   la Ncb, specializzata nella produzione di macchine perforatrici per cave e miniere, sembrerebbe infatti sia entrata nel mirino degli attentatori per aver portato i suoi macchinari a Bardonecchia, cuore della Val di Susa, centro dell'aspra contesa per la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione;
   l'ordigno, collocato proprio sopra i macchinari che da poco erano rientrati in sede dalla Val di Susa, se fosse esploso, avrebbe potuto provocare danni rilevanti, sconvolgendo la quotidianità di una azienda che da anni opera in un paesino, noto per le sue attrattive turistiche e non certo per essere luogo di attentati;
   i muri di cinta dell'azienda e gli stessi macchinari sono stati imbrattati di scritte contro la Tav e in più parti è apparsa la firma del braccio armato. È ora compito degli inquirenti rilevare la verità dei fatti ed indicare se si è trattato di un episodio isolato o se il movimento dei «No Tav» abbia ramificazioni anche in Veneto orientale;
   tale tragico accadimento ha messo seriamente a rischio l'incolumità dei dipendenti dell'azienda, togliendo a quest'ultima il diritto di poter esercitare liberamente la propria attività –:
   se il Ministro sia a conoscenza di fatti analoghi a quelli descritti in premessa che sono stati compiuti ai danni di aziende coinvolte nella realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione;
   quali iniziative intenda attuare per tutelare, da un lato l'incolumità dei dipendenti dell'azienda in questione e di quelle che si trovano, o possono trovarsi, in situazioni analoghe a quella descritta in premessa e, dall'altro, il diritto ad esercitare liberamente l'attività di impresa.
(4-03953)


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le cronache locali riportano che la situazione nella zona di Rozzano, più precisamente a Ponte Sesto nei pressi di via Mazzocchi non è migliorata col tempo, anzi, si può tranquillamente dire che se non è stabile è forse addirittura peggiorata;
   il problema che imperversa nell'area è il medesimo da oramai troppo tempo: la presenza di baracche occupate da individui senza dimora di etnia rom;
   ogni giorno inermi cittadini sono costretti a subire la presenza, essi vivono di espedienti e null'altro, bivaccano tutto il giorno, appiccano fuochi vivi utilizzando come combustibili oli esausti e pezzi di elettrodomestici sottratti alla vicina area ecologica, rovistano nei locali immondizia dei condomini, irrompono nelle proprietà private, rompono vetri delle auto in sosta alla ricerca d'oggetti di valore, importunano i passanti oltre ed inoltre i casi di furti d'appartamento sono sensibilmente aumentati;
   i cittadini sono esasperati da questa situazione, continue sono le chiamate d'intervento alle forze dell'ordine di zona e all'amministrazione comunale –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e non intenda intervenire incrementando la presenza di agenti della polizia sul territorio supportando adeguatamente le operazioni di sgombero disposte dall'amministrazione. (4-03954)


   NESCI, DIENI e PARENTELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8 del decreto-legge n. 102 del 31 agosto 2013 – convertito con modificazioni dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124 – ha differito al 30 novembre 2013 il termine per la deliberazione del bilancio annuale di previsione 2013 degli enti locali;
   il comma 6 dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201 ha previsto per i comuni la possibilità di modificare l'aliquota base – con deliberazione del consiglio comunale adottata ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446 – entro il riferito termine;
   il comma 5 dell'articolo 1 del decreto-legge 30 novembre 2013 n. 133 – convertito con modificazioni dalla Legge 29 gennaio 2014, n. 5 – ha introdotto la cosiddetta «mini-Imu» per l'anno 2013, il cui termine di deliberazione o confermazione coincide, per le norme in vigore, con il 30 novembre 2013;
   il termine in argomento è applicato anche agli enti in dissesto, secondo la norma dell'articolo 8 del citato decreto-legge n. 102 del 2013, la quale rinvia ai princìpi in materia di contabilità di cui all'articolo 151 del decreto-legislativo n. 267 del 2000 (Tuel);
   ex articolo 8 comma secondo del predetto decreto-legge n. 102 del 2013, per il 2013 le deliberazioni – con termine al 30 novembre 2013 – delle aliquote o delle detrazioni, nonché i regolamenti dell'imposta municipale propria, acquistavano efficacia a decorrere dalla data di pubblicazione nel sito istituzionale di ciascun comune;
   l'inosservanza delle norme succitate comporta il vigore degli atti già adottati per l'anno precedente;
   il termine per l'applicazione della cosiddetta «mini-Imu» non risulta essere stato rispettato dal comune di Siderno (Reggio Calabria) è stato sciolto con decreto del Presidente della Repubblica del 20 agosto 2012 per configurazione dell'ipotesi dissolutoria disciplinata dall'articolo 53, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con il decreto del Presidente della Repubblica 9 aprile 2013, dando conto di comprovate forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata, le quali hanno compromesso la libera determinazione e l'imparzialità degli organi eletti nelle consultazioni amministrative del 15 e 16 maggio 2011, si dà luogo alla nomina di una terna commissariale per la gestione provvisoria dell'ente richiamando espressamente l'articolo 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
   a conferma del mancato rispetto del termine di deliberazione in rilievo, si ricorda che è del 27 dicembre 2013 l'atto di approvazione dell'aliquota dell'imposta di cui al comma 5 dell'articolo 1 del decreto-legge 30 novembre 2013 n. 133;
   la succitata delibera del comune di Siderno del 27 dicembre 2013 è stata pubblicata sul sito del competente dipartimento del Ministero dell'economia e delle finanze in data 23 gennaio 2014, per l'esattezza il giorno prima della scadenza del termine di pagamento dell'imposta sopra indicata;
   con deliberazione n. 234 del Regolamento Generale, adottata dalla suddetta commissione straordinaria con i poteri del consiglio comunale, è stato dichiarato il dissesto finanziario del comune di Siderno conseguente all'accertamento della sussistenza delle condizioni previste dall'articolo 244 del decreto legislativo n. 267 del 2000 –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non intenda proporre la sostituzione dei commissari nominati, il cui comportamento circa l'imposta menzionata ha generato confusione, con possibilità di ulteriore sfiducia verso lo Stato da parte dei cittadini di Siderno, rimasti senza organi elettivi e costretti a subire gli effetti di quello che gli interroganti ritengono un errore amministrativo cui sono estranei. (4-03966)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il professor Carlo Carraro – rettore dell'università Ca’ Foscari di Venezia, uno degli atenei più prestigiosi d'Italia, con sedi sparse per il centro di Venezia – sta completando la cessione di tre palazzi storici, sedi della facoltà di lingue. La nuova sede prevista sarà Ca’ Sagredo, un edificio del 1957, meglio conosciuta come l'ex palazzina dell'Enel;
   troppo dispersivi, secondo il rettore, Ca’ Bembo nel sestiere di Dorsoduro, Ca’ Cappello sul Canal Grande e palazzo Cosulich alle Zattere, affacciati sul canale della Giudecca, che però impongono agli studenti continui spostamenti da una sede all'altra per poter assistere alle lezioni della facoltà;
   all'inizio doveva essere una permuta, tre palazzi contro uno della stessa metratura complessiva, ma la Soprintendenza ha osservato che un bene di valore storico-artistico può essere permutato solo con un bene di pregio maggiore, e non è questo il caso, altrimenti, può essere venduto;
   infatti, i manager dell'università hanno optato per la vendita, modificando il primo accordo; la parola «permuta» è diventata «cessione», ma la sostanza resta immutata: tre palazzi di grande pregio in cambio di uno modesto, più un'integrazione in denaro;
   la decisione ha scatenato non solo vibranti proteste, ma addirittura tafferugli, oggetto di probabili denunce, ma malgrado una lettera di contestazione di 116 docenti e la reprimenda della Soprintendenza, Carraro ha dichiarato di non recedere dalla sua decisione, senza fornire ulteriori particolari sulla trattativa. A nulla sono valse le contestazioni di uno schieramento politico molto ampio, che va da Italia Nostra al Pdl, soprattutto perché l'ex palazzina Enel ha un valore massimo di 15 milioni di euro, meno della metà del prezzo ufficializzato;
   il rettore ha invocato la legge sulla privacy per una transazione da 35 milioni di euro che dovrebbe comportare ad avviso dell'interrogante una procedura di evidenza pubblica, magari un'asta al miglior prezzo; ma probabilmente non sarà così;
   il partner dello scambio – permuta o vendita che sia – rimane quello individuato fin dall'inizio, a luglio del 2012; l'affare dovrà essere concluso entro marzo di quest'anno, come impone il verbale del luglio 2013. Ad approvare l'accordo è stato il consiglio di amministrazione di Ca’ Foscari, un organo nominato dal rettore che annovera tra i componenti Domenico Siniscalco (Morgan Stanley e Assogestioni) Andrea Valmarana, rampollo di un'antica famiglia vicentina, con incarichi nella 21 Investimenti di Alessandro Benetton, nella Save di Enrico Marchi e nella finanziaria Est Capital di Gianfranco Mossetto;
   non è del tutto chiaro chi però sia la controparte; formalmente, la futura sede cafoscarina è di proprietà di Risparmio Immobiliare Uno Energia, un fondo chiuso quotato in borsa, con quote da 80 milioni di euro e un portafoglio di dieci immobili comprati in parte dalle dismissioni dell'Enel in tutta Italia. I sottoscrittori del fondo sono ignoti. La gestione del portafoglio, sotto la vigilanza di Bankitalia, è affidata a PensPlan Invest, controllata in maggioranza dalla regione Trentino Alto Adige e per il resto da banche locali; inoltre, il patrimonio del fondo si è formato ai prezzi massimi della bolla immobiliare, tra il 2004 e il 2007, con un ampio ricorso ai finanziamenti bancari; Risparmio Uno Energia è gravato da quasi 100 milioni di euro di ipoteche con Unicredit e la Sparkasse di Bolzano, tanto che, per vendere Ca’ Sagredo, il fondo si è dovuto impegnare a trasferire l'ipoteca sulla palazzina ad altri beni di sua proprietà. Il sospetto infatti è che i tre palazzi dell'università vengano rapidamente rivenduti dal fondo, per uscire dall’impasse con le banche creditrici, e messi a disposizione di iniziative turistiche. Per evitare questa possibilità, è stato chiesto al sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e alla sua giunta, di bloccare eventuali cambi di destinazione di uso. Ma il rischio c’è, oramai russi ed emiri sono il «miraggio» che tiene in piedi una città che cerca disperatamente un'alternativa al turismo low cost. Per non parlare di Yuri Korablin, che ha comprato il Venezia calcio e vorrebbe costruire uno stadio e un casinò nuovo, accanto all'aeroporto di Tessera;
   l'amministrazione di Ca’ Foscari dovrà gravarsi di altri 7,6 milioni di euro fra spese di ristrutturazione (4,7 milioni), trasloco (1,2 milioni) e tasse relative;
   la valutazione di Ca’ Sagredo (33,7 milioni) è stata firmata dall'Agenzia delle entrate che ha anche convalidato la perizia sui tre palazzi di Ca’ Foscari (35,2 milioni). Il risultato indica che un metro quadrato in centro a Venezia vale poco più di 5 mila euro e non importa se l'edificio è del 1957 o di quattro secoli prima con affaccio sul Canal Grande;
   per sostenere la cessione, Carraro ha invocato la riduzione di costi che garantirebbe la sede unica all'ex Enel e le plusvalenze patrimoniali emergenti per 25 milioni di euro. L'effetto combinato dei due fattori salverebbe i conti dell'università lagunare per almeno un triennio. Ma, a guardare i bilanci depositati, sul sito cafoscarino, non sembra tirare aria di crisi sull'ateneo veneziano. Nell'ultimo esercizio disponibile, l'università vanta un patrimonio netto di 112 milioni di euro, proventi operativi in crescita a quota 142 milioni di euro ed un utile di esercizio di 19 milioni, contro i 14 milioni del 2011;
   gli studenti e i professori, sostenuti da una raccolta di migliaia di firme internazionali prese on-line, hanno argomentato che l'ex sede dell'Enel è insufficiente ad ospitare l'accentramento dalle tre sedi in via di cessione –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza della situazione descritta in premessa e delle numerose perplessità legate alla stessa;
   se intendano approfondire, per quanto di competenza, le decisioni che hanno generato la stima finanziaria delle tre sedi universitarie di grande pregio storico-architettonico, che appare, eufemisticamente, fortemente inadeguata.
(2-00447) «Giancarlo Giorgetti, Prataviera, Allasia, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   l'istituto nazionale di geofisica e vulcanologia-INGV è un ente che, ai sensi del decreto legislativo n. 381 del 1999 e dello statuto approvato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e pubblicato su GURI – Serie Generale n. 90 del 19.4.2011, è sottoposto a vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   il 14 maggio 2009, nel rispetto della normativa in materia di compravendita immobiliare da parte di e tra soggetti pubblici, l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha stipulato con Sviluppo Pisa srl (Società partecipata al 100 per cento da PISAMO spa, a sua volta società in house del comune di Pisa, e appositamente istituita per la «realizzazione completa dell'intervento relativo al piano attuativo per la riorganizzazione funzionale dell'area compresa tra via Quarantola, via Cesare Battisti, via Pietro Mascagni e la sede ferroviaria a Pisa» – cosiddetto «progetto Sesta Porta») un contratto preliminare per la vendita, dalla seconda al primo, di un realizzando edificio polifunzionale sito all'interno dell'area rientrante nel più ampio progetto della «Sesta Porta»;
   il preliminare del 14 maggio 2009 reca clausole estremamente chiare, il cui significato non risulta essere messo in discussione da alcuna delle parti; in particolare, Sviluppo Pisa si è impegnata alla realizzazione dell'immobile, previo espletamento di gara pubblica europea per l'esecuzione dei lavori, ed Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ad acquistarlo allo scopo di destinarlo a propria sede nella città di Pisa, per un corrispettivo di euro 9.000.000 oltre IVA; inoltre, le parti hanno convenuto modalità di pagamento del corrispettivo al raggiungimento dei vari stati di avanzamento dei lavori di esecuzione dell'immobile (articolo 11);
   l'edificio, pertanto, è stato realizzato seguendo pedissequamente i criteri tecnici, progettuali e costruttivi, estremamente onerosi, richiesti dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, al punto che quest'ultimo ha manifestato il suo gradimento per le soluzioni progettuali predisposte e portate ad esecuzione;
   i criteri seguiti, tuttavia, hanno fatto inevitabilmente lievitare i costi per la realizzazione dell'edificio, rendendolo inoltre infungibile in quanto utilizzabile solo per le attività svolte dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, in special modo quelle peculiari di ricerca;
   sino ad oggi Sviluppo Pisa, a fronte dell'ultimazione, da parte dell'impresa appaltatrice che si è aggiudicata la gara, dei solai del piano terra, del piano secondo, del piano quarto, delle facciate esterne e degli impianti, così come certificati dagli organi di collaudo, ha maturato il diritto ad ottenere (ed INGV l'obbligo a versare) le somme complessive di euro 7.650.000/00, oltre IVA, richieste formalmente in pagamento ad Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia;
   i lavori ad oggi sono terminati, ed il contratto preliminare firmato prevede, secondo quanto previsto dall'articolo 11, che l'ultima tranche del pagamento, pari a euro 990.000,00 oltre IVA, sia saldata al momento della firma del contratto di vendita;
   l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia si è rifiutato di corrispondere le somme dovute, sostenendo, con alcune missive inviate alla Sviluppo Pisa, che «l'opera non [sarebbe] più collimante con i programmi strutturali ed organizzativi dell'Ente e con le risorse attualmente disponibili» ovvero che «la crisi immobiliare enfatizz[erebbe] anche il peso di un costo che già in partenza appariva di elevato livello», giungendo a richiamare anche le norme di spending review che, a suo parere, le impedirebbero di ottemperare alle obbligazioni contrattualmente assunte;
   il rifiuto opposto da INGV sembra porsi in aperta violazione della regolamentazione contrattuale e non appare, altresì, giustificato da alcuna norma dei decreti in materia di spending review, i quali disciplinano fattispecie differenti da quelle oggetto del contratto preliminare del 14 maggio 2009 e sono comunque successivi alla stipula di tale contratto;
   al contrario, il rifiuto di pagamento opposto dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia costituisce per la Sviluppo Pisa, e quindi per il comune di Pisa, un insanabile elemento di disequilibrio finanziario del piano economico sotteso all'operazione ad iniziativa pubblica della «Sesta Porta», dato che un'eventuale rinuncia, da parte di tali enti, alla vendita dell'immobile e alla riscossione puntuale delle fatture emesse per gli stati di avanzamento lavori pregiudicherebbe gravemente (per quanto non abbia già pregiudicato, visto l'inadempimento di Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) l'interesse pubblico da essi rappresentato alla realizzazione del piano della «Sesta Porta»;
   aggiungasi, che, essendo stato l'edificio realizzato esclusivamente per soddisfare le specifiche e peculiari esigenze di Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, è estremamente difficoltoso, se non impossibile, reperire in tempi rapidi sul mercato un soggetto alternativo ad Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia medesimo che sia interessato ad acquistare l'edificio al prezzo previsto nel preliminare, dovuto alle caratteristiche tecniche e funzionali che presenta l'immobile e che sono studiate ad hoc per l'istituto;
   sono, ad oggi, pendenti innanzi al foro di Roma due azioni giudiziali promosse da Sviluppo Pisa contro Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia per vedere riconosciute le sue pretese;
   ferme restando le valutazioni che verranno compiute dai competenti organi giurisdizionali investiti del relativo contenzioso, tali pretese appaiono non prive di fondamento, anche in considerazione del fatto lo stesso Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia non mette in discussione il significato o l'interpretazione delle clausole del preliminare che lo lega a Sviluppo Pisa, né il modo in cui i lavori sono stati realizzati, ma adduce motivazioni che appaiono, almeno prima facie, irrilevanti e che senz'altro inducono a serie riflessioni sulle conseguenze che potrebbero prodursi, anzitutto sull'interesse pubblico, dalla decisione unilaterale di un istituto vigilato da codesto Ministero di non rispettare vincoli contrattuali liberamente e formalmente assunti;
   l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, quale esito della vicenda accesa in sede giurisdizionale, che si avrebbe presumibilmente in tempi non brevi, rischi di dover sostenere notevolissimi costi, con connesse responsabilità in capo ai vertici dell'ente. Tali costi per l'inadempimento contrattuale, che verrebbero scaricati sulle future gestioni, riguarderebbero: l'assolvimento del contratto, i costi di costruzione dell'intero immobile accresciuti per le richieste documentabili provenienti dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, oltre a quelli del contenzioso, i risarcimenti dei danni provocati al comune e i fitti passivi mantenuti per l'inadempimento immotivato di un contratto;
   tutto quanto sopra espone ad avviso degli interpellanti anche il Ministero vigilante, il quale nel caso di specie non può esimersi dall'impartire indirizzi generali improntati alla collaborazione fra istituzioni pubbliche e al rispetto degli obblighi assunti nei confronti di un comune, secondo i disposti dell'articolo 1 dello statuto dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, a condividere evidenti profili di responsabilità in caso di mancato intervento –:
   quali azioni abbia intrapreso, ovvero intenda intraprendere, nell'ambito dei suoi poteri di vigilanza sull'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, per cercare di ricomporre l'incresciosa vicenda che coinvolge due soggetti entrambi totalmente pubblici e rappresentativi di interessi altrettanto pubblici, nonché per richiamare l'Istituto vigilato dal Ministero all'osservanza delle norme sui contratti e all'adempimento di obbligazioni assunte con un contratto formalmente e liberamente sottoscritto.
(2-00450) «Fontanelli, Gelli, De Maria».

Interrogazioni a risposta scritta:


   BASSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9, comma 6 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, ha previsto la possibilità di svolgere i primi sei mesi di tirocinio per l'accesso alle professioni in concomitanza con il corso di studio universitario, previa apposita convenzione quadro stipulata tra i consigli nazionali degli ordini e il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   trascorsi due anni dall'approvazione della norma, i tirocini universitari non risultano ancora attivati a causa della mancata stipula della succitata convenzioni quadro;
   per uno studente avere la possibilità di anticipare sei mesi, dei diciotto previsti, del tirocinio nell'ultimo anno di studio è una valida alternativa al tradizionale praticantato lungo e, ormai troppo di frequente, anche non retribuito –:
   quali siano le ragioni per cui non è stata ancora realizzata la convenzione quadro prevista dall'articolo 9, comma 6 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, norma che semplificherebbe l'ingresso dei laureati nel mercato del lavoro;
   quali siano le tempistiche previste per realizzare la convenzione di cui sopra.
(4-03934)


   SANTERINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 7 marzo 2014, 355 vincitori di concorso (di cui al D.D.G. della Lombardia 13 luglio 2011) sono convocati ufficialmente per la stipula del contratto a tempo indeterminato con assegnazione di sede e presa di servizio il 10 marzo, come da decreto USR per la Lombardia n. 86/2014;
   successivamente hanno appreso la decisione del Ministero di rinviare la presa di servizio al primo settembre 2014;
   il giorno 6 marzo 2014, difatti, arrivava una nota non pubblica al direttore generale dell'ufficio scolastico regionale della Lombardia, dottor Francesco De Sanctis, a firma del capo dipartimento del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in cui si chiedeva la sospensione delle nomine, adducendo come motivazioni la continuità didattica;
   a detta dei suddetti dirigenti scolastici questa nota contravviene a quanto disposto dalla legge n. 128 del 2013, articolo 17, comma 6, che statuisce il diritto all'assunzione ove possibile in corso d'anno;
   il diritto al passaggio di ruolo dei vincitori regolari del concorso, in seguito ad una regolare convocazione ex lege, è stato invece postposto, senza preavviso, con un atto di natura secondaria;
   si tenga inoltre conto che tale concorso è stato oggetto di una sentenza del Consiglio di Stato e del rinnovo delle relative procedure concorsuali;
   contestualmente, si è proceduto alla regolare assunzione nel mese di ottobre dei vincitori del concorso per dirigenti tecnici nella regione Abruzzo, ai sensi della stessa legge n. 128 del 2013 –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere al fine di garantire l'inserimento in servizio del personale vincitore del concorso di cui alla presente interrogazione. (4-03936)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   GULLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Inps svolge un importante funzione sociale nel garantire prestazioni ai lavoratori e ai pensionati;
   l'Istituto svolge la propria attività nella città di Patti (ME) da oltre trent'anni;
   la sede INPS di Patti ha competenza su 14 comuni (Brolo, Ficarra, Floresta Gioiosa Marea, Librizzi, Montagnareale, Oliveri, Piraino, Raccuja, San Piero Patti, Sant'Angelo di Brolo, Sinagra e Ucria);
   i locali di tale sede sono stati dichiarati inagibili dall'INPS regionale;
   è stata disposta la chiusura di tale sede;
   la chiusura determina un grave disagio per i dipendenti e per l'utenza che dovrà recarsi a 30 chilometri dall'attuale ubicazione della sede;
   il problema degli immobili delle sedi locali dell'istituto non riguarda solo la città di Patti, ma molte altre in tutto il territorio nazionale –:
   quali misure urgenti il Ministro interrogato intenda intraprendere per:
    a) trovare soluzioni adeguate affinché le diverse sedi locali dell'Istituto nazionale della previdenza sociale abbiano sedi idonee;
    b) scongiurare un'eventuale chiusura, anche, temporanea, della sede INPS di Patti (ME);
    c) evitare che, comunque, si determinino costi e disagi a carico di cittadini, utenti, dipendenti e professionisti.
(4-03937)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO e CECCONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da molti anni molti impiegati Conad Cedi-Puglia, facente parte della ex Standa Sicilia e Calabria, chiedono di poter tornare a lavorare dopo essere stati messi in cassa integrazione e in mobilità, tenuto conto anche della loro ventennale esperienza lavorativa nel settore;
   nell'agosto 2000 il gruppo Conad Cedi-Puglia ha acquistato il gruppo Cedis da Standa Commerciale assumendo l'impegno, sottoscritto in apposito protocollo siglato in sede ministeriale, a mantenere l'unitarietà del gruppo e a garantire i livelli occupazionali esistenti;
   nel novembre 2000, contravvenendo agli accordi sopra richiamati, gli acquirenti decidono di dividere il gruppo in tre società: Cedis srl, Comart srl e Marketing sud;
   dopo il triste capitolo del crack che ha visto coinvolti i supermercati ex Standa, società rilevata e in seguito controllata da Cedi-Puglia, le aziende hanno chiesto l'apertura delle liste di mobilità per tutto il personale optando per la chiusura dei punti vendita;
   tutti i lavoratori sono stati messi dal dicembre 2002 in cassa integrazione, e dal 2006 in mobilità;
   molti centri commerciali e ipermercati sono stati aperti negli ultimi anni in provincia di Messina e Catania, ma gli ex lavoratori Conad della provincia di Messina in mobilità non sono stati reintegrati, come è invece accaduto in altre province della regione Sicilia. Circa un anno fa l'ateneo di Catania ha assunto 14 lavoratori ex Coem ed ex Marketing Sud con un contratto della durata di cinque anni;
   le condizioni economiche delle famiglie dei lavoratori ex Conad della provincia di Messina si fanno sempre più drammatiche, anche in considerazione del fatto che dal 2014 non usufruiscono di alcun ammortizzatore sociale –:
   se il Ministro interrogato, a seguito dei fatti suesposti e delle vicende giudiziarie che hanno visto coinvolti i vertici di Conad-Cedi Puglia, non reputi opportuno verificare se la società abbia da un lato utilizzato gli ammortizzatori sociali e dall'altro assunto nuovo personale all'apertura dei nuovi centri commerciali, arrecando un danno economico allo Stato e al contempo creando enormi disagi economici e sociali a tanti lavoratori;
   se intenda in ogni caso intervenire per dare soluzione all'incresciosa vicenda che da troppi anni coinvolge tante famiglie siciliane. (4-03947)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO, PAOLUCCI e PALMA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Aromia Bungij è un piccolo e silenzioso killer conosciuto come «cerambicide dal collo rosso» che attacca i frutteti;
   dopo il punteruolo rosso che ha devastato le palme del nostro Paese è giunto dall'estremo Oriente (Cina e Corea prima di tutto) un nuovo pericoloso insetto che è stato riscontrato sia in aziende agricole che in giardini privati della Campania;
   la presenza dell'insetto, a seguito di accurati accertamenti, è stato riscontrato nei quartieri napoletani di Fuorigrotta, Pianura, Soccavo e Chiaiano e nei comuni di Pozzuoli, Quarto, Marano e Monte di Procida ed ha aggredito esclusivamente piante di susine, albicocche, ciliegie e pesche;
   potrebbe verificarsi un possibile pericolo per tutta la filiera della frutticoltura campana, tanto è vero che, secondo quanto riportato dagli organi di stampa, sono stati monitorati 331 siti di cui 66 positivi;
   si è proceduto all'abbattimento di 563 piante risultate infettate;
   occorre celermente comprendere l'entità del fenomeno al fine di isolarne i focolai ed evitarne la diffusione anche in considerazione del particolare periodo dell'anno in cui ci troviamo;
   soprattutto nel mezzogiorno le piante di susine, albicocche, ciliegie e pesche sono colture pregiate e di qualità che, ove fossero aggredite dal parassita, comporterebbero un danno economico enorme per tutto il comparto –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda attivare sia d'intesa con la regione Campania sia in sede di Unione europea al fine di contrastare il proliferare della cerambicide dal collo rosso e porre in sicurezza le coltivazioni delle piante interessate che rappresentano produzioni di qualità della nostra frutticoltura. (5-02320)


   OLIVERIO, ANZALDI e CARRA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Coldiretti ha denunciato la decisione da parte della Russia di porre l'embargo all'importazione di maiali, carne di maiale, salumi e prosciutti proveniente da tutti i Paesi dell'Unione europea;
   la decisione sarebbe dovuta ad una strategia di ritorsione sul piano internazionale alla crisi Ucraina e alle critiche giunte alla Russia dalla Unione europea;
   la Russia ha quindi deciso di chiudere le frontiere a tutto l’export europeo di maiali, carni di maiale e trasformati in contrasto con le regole sugli scambi della Wto di cui è membro dal 2012 prendendo a pretesto la scoperta, avvenuta a fine gennaio, di casi di peste suina africana in alcuni cinghiali in Lituania e Polonia, in zone di frontiera con la Bielorussia;
   l'Italia è il Paese che rischia di subire i danni maggiori da questa decisione in quanto oltre al danno diretto dovuto alle mancate esportazioni si è in presenza anche di problematici effetti collaterali dal punto di vista economico e di immagine;
   i maiali tedeschi che normalmente venivano indirizzati in Russia ora arrivano in Italia con danni per gli allevatori ma anche per i consumatori perché carne e derivati del maiale vengono spesso spacciati come made in Italy e questo perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta;
   da mesi del resto le organizzazioni di categoria hanno denunciato i rischi legati ad una mancata tutela del made in Italy e all'invasione di suini provenienti da fuori con un deprezzamento di carni e derivati che stanno facendo collassare le nostre imprese;
   quest'azione della Russia necessita di una risposta adeguata anche in considerazione dei consolidati rapporti economici intercorrente tra i due Paesi tant’è che l'Italia è il secondo partner commerciale europeo –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere, innanzitutto, in sede comunitaria per chiedere la revoca dell'embargo da parte della Russia nei confronti dei maiali provenienti dal nostro Paese e contemporaneamente quali misure intenda adottare per tutelare la qualità della filiera suinicola italiana al fine di evitare l'immissione sul mercato, anche interno, di carni e derivati di dubbia qualità e provenienza. (5-02331)

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, BENEDETTI, NESCI e DIENI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo alcune fonti giornalistiche, il prossimo 25 marzo 2014 nei locali del comune di Serra San Bruno, avrà luogo l'asta pubblica, con il sistema delle offerte segrete, per la vendita di materiale legnoso ritraibile dal taglio di tre lotti boschivi appartenenti al demanio comunale «Archiforo», situato nel cuore del Parco naturale regionale delle Serre, in quello che viene indicato come sito di importanza comunitaria e zona di riserva generale orientata;
   i tagli in oggetto dei tre bandi comporteranno quindi l'abbattimento di un totale di 2.603 piante (più ulteriori 197 alberi definiti «zero») di cui ben 1.090 esemplari di rarissimo abete bianco, conosciuto il «principe dei boschi»;
   fra gli alberi indicati tra le piante da abbattere, vi sono anche alcuni tra quelli che possono essere considerati gli abeti bianchi più grandi ed antichi d'Europa. In particolare tra gli esemplari che risultano contrassegnati per il taglio, ne esiste uno che presenta delle vere e proprie misure da record: una base di 5,5 metri di circonferenza e un'altezza di poco superiore ai 55 metri. Dimensioni che identificano lo stesso albero come pianta monumentale rarissima, il più grande tra quelli presenti in tutta Europa. Basti pensare che il Corpo forestale dello Stato, in una ricerca effettuata alcuni anni fa in Trentino, ha classificato l'Avez del Prinzipe di Lavarone (in provincia di Trento) – un Abete bianco di 50 metri di altezza e con una circonferenza di 4,8 metri – come albero monumentale più grande d'Europa. Dato in realtà, metro alla mano, di gran lunga surclassato dalle dimensioni dell'abete nelle montagne serresi, destinato però adesso all'abbattimento;
   i numeri seriali posti sotto la corteccia, alla base degli alberi, testimoniano quindi come questi rari esemplari siano stati contrassegnati, dai tecnici inviati di recente dall'amministrazione comunale, come piante da abbattere. A parere degli interroganti si tratta di un vero e proprio sfregio a danno dei boschi secolari delle Serre, che solo negli ultimi 13 mesi, per mano della stessa amministrazione del sindaco Bruno Rosi, hanno subito il taglio di ben 9.291 alberi. Una media, insomma, di 25 alberi abbattuti al giorno per sanare i conti dell'ente;
   a parere degli interroganti questa procedura andrebbe in contrasto con l'articolo 7 della legge n. 10 del 2013 che definisce anche i criteri per identificare un albero monumentale, rendendoli univoci ed omogenei su tutto il territorio nazionale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti e di quali ulteriori elementi dispongano;
   come intendano, nell'ambito delle loro competenze, intervenire per tutelare e salvaguardare gli alberi monumentali esposti in premessa, soprattutto quelli di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale. (4-03942)

RIFORME COSTITUZIONALI E RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


   GALLINELLA, LUPO, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GAGNARLI, L'ABBATE, PARENTELA, CASTELLI, SORIAL, CASO, BRUGNEROTTO, CARIELLO, CURRÒ, D'INCÀ, NESCI, CARINELLI e COLONNESE. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
    il 10 dicembre 2013, il Ministro per la coesione territoriale pro tempore ha presentato alla Commissione europea la bozza di Accordo di partenariato per la nuova programmazione dei Fondi strutturali 2014-2020, che vale 60 miliardi di euro, risorse finanziarie che spettano all'Italia, ma che solitamente non riesce a spendere;
   questo documento, elaborato dal Ministro per la coesione territoriale pro tempore, d'intesa con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali e delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore, contiene «Metodi e obiettivi per un uso efficace di tali fondi»;
   il giorno 7 marzo 2014 dai giornali si apprende che è arrivato un documento di critica sulla bozza di accordo dal Commissario europeo Johannes Hahn (austriaco), che ha bocciato tale documento, evidenziando una serie di rilievi critici;
   di fatto, il Commissario europeo Hahn contesterebbe la presenza di forti lacune nel programma, che contiene obiettivi tematici ed investimenti da realizzare esposti in maniera generale e superficiale. Si parla, infatti, di «deboli riferimenti», di eccessiva genericità degli obiettivi tematici e di «mancanza di una chiara strategia di sviluppo»;
   inoltre, si legge che è considerata debole la logica degli interventi, che, a parere del Commissario europeo, non consentiranno di raggiungere obiettivi elevati di valore aggiunto. La Commissione europea criticherebbe anche la scelta degli interventi, che, a suo giudizio, avranno un impatto debole sui risultati attesi;
   i rilievi pervenuti dimostrano sostanzialmente «l'immaturità», come si evince dalle dichiarazioni del Commissario europeo Hahn, della programmazione dell'Italia in riferimento ai risultati attesi;
   la bozza inviata alla Commissione europea, in seguito ad una prima valutazione, deve essere nel caso rivista dal Governo per essere ripresentata entro la fine di aprile 2014 alla medesima Commissione europea –:
   in quali tempi e con quali modalità il Governo intenda rivedere ed integrare la bozza di Accordo di partenariato per la nuova programmazione dei Fondi strutturali 2014-2020 da rinviare alla Commissione europea, affinché nei tempi previsti per l'approvazione si possa addivenire a superare i rilievi critici comunicati, in considerazione dell'importanza di usufruire dei contributi europei per la crescita dell'economia italiana. (3-00690)

Interrogazione a risposta scritta:


   COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI e FONTANELLI. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di dicembre 2013 il dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri pubblicava per i tipi della casa editrice Gangemi Editore un volume di 832 pagine dal titolo «Per una democrazia migliore»;
   il volume, curato dall'allora Ministro per le riforme, senatore Gaetano Quagliariello, e dal dipartimento per le riforme istituzionali della Presidenza del Consiglio dei ministri, raccoglie la documentazione e la relazione finale della commissione per le riforme costituzionali nominata dal Governo;
   il volume è stato inviato dall'allora Ministro Quagliariello, sempre nel mese di dicembre 2013 a tutti i deputati e tutti i senatori;
   nel momento in cui il volume «Per una democrazia migliore» è stato realizzato era già da tempo assodato in sede politica che il processo di riforme costituzionali, nell'impianto e nel metodo individuati dal Governo Letta all'atto del suo insediamento, e che avrebbe dovuto avere come suo primo fondamentale passo la costituzione di una commissione bicamerale per le riforme a seguito dell'approvazione di una legge costituzionale che derogasse all'articolo 138 della Costituzione, fosse da considerarsi definitivamente archiviato;
   la scelta della pubblicazione di un corposo volume sull'attività svolta dalla Commissione per le riforme costituzionali, come si evince dalla lettera di accompagnamento del Ministro e della stessa premessa sempre a firma del Ministro, ha come finalità unica quella di consentire la documentazione in merito al lavoro svolto in sede governativa. Iniziativa apprezzabile in linea di principio, ma che poteva essere realizzata esclusivamente attraverso la compilazione di uno o più file in formato elettronico, invece di dare alle stampe un ponderoso ed elegante volume, pagato con soldi pubblici, dal momento che dal 7 febbraio 2014 sul sito istituzionale del Ministero per le riforme costituzionali è stata resa disponibile in diversi formati la versione digitale del libro –:
   se risulti quale sia stato il costo totale della pubblicazione del volume «Per una democrazia migliore», in quante copie sia stato tirato e quale uso sia stato effettuato, o quale uso si intenda fare, delle eventuali copie non inviate ai deputati e senatori;
   se risulti quali siano i criteri e le modalità con cui sia stato affidato alla casa editrice Gangemi Editore Spa l'incarico di procedere alla stampa del volume riportato in premessa. (4-03940)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in merito alla recente vicenda che ha coinvolto due multinazionali quali la Roche e la Novartis, il presidente della società italiana di oftalmologia si è chiesto perché l'AIFA avesse contrastato il diffusissimo utilizzo di Avastin da parte degli oculisti, escludendolo dall'elenco dei farmaci rimborsabili da parte del Servizio sanitario nazionale (legge n. 648 del 1996);
   un'autorità come l'AIFA, le cui funzioni di regolamentazione e di controllo hanno un impatto determinante e fondamentale sulla salute dei cittadini, avrebbe dovuto individuare soluzioni dirette esclusivamente alla tutela della salute pubblica e del diritto all'accesso alle cure da parte dei cittadini italiani, analizzando tempestivamente somiglianze e differenze dei due farmaci in questione: l'Avastin e il Lucentis;
   la stessa AIFA nel 2007 aveva introdotto l'Avastin fra i farmaci rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale inserendolo nell'apposito elenco di cui alla legge n. 648 del 1996; decisione assunta sulla base di dati oggettivi in cui venivano ampiamente illustrati alla Agenzia sia l'evidente efficacia di Avastin che la sicurezza del suo utilizzo; su questa base è stata decisa la rimborsabilità del farmaco e l'accesso alle cure da parte di tutti i cittadini sino a dicembre 2012;
   nel dicembre 2012 l'AIFA, dopo un intervento dell'EMA (European medicinal agency) sulle note informative che accompagnavano l'Avastin, ha deciso non consentire più la sua rimborsabilità, riducendone sostanzialmente l'utilizzo; negli altri Paesi europei però non è stato dato alcun rilievo pratico alla segnalazione fatta dalla EMA, per cui non c’è stata nessuna limitazione nell'uso del farmaco in questione;
   l'AIFA sostiene che la limitazione all'uso di Avastin dipende da ragioni meramente normative, perché si tratta di un farmaco off-label, ossia non registrato per usi oftalmologici;
   l'AIFA sostiene di aver fatto quanto previsto dall'articolo 1, quarto comma, della legge n. 648 del 1996 secondo cui i farmaci off-label possono essere utilizzati solo «qualora non esista valida alternativa terapeutica»; nel caso concreto l'alternativa terapeutica è rappresentata dal farmaco Lucentis, la cui autorizzazione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 130 del 7 giugno 2007;
   non risulta facile comprendere però perché l'AIFA abbia fatto trascorrere tanto tempo: dal 2007 al 2012 prima di sollevare il problema; AIFA insiste sul fatto che l'Avastin non era stato pensato per un uso intravitreale, cosa abbastanza ovvia trattandosi di un farmaco off-label, altrimenti si tratterebbe di un comune farmaco in-label;
   AIFA inoltre sostiene che pur non essendo stati segnalati eventi avversi da parte degli oculisti, c'erano comunque segnalazioni di «eventi avversi non oculari»; oculisti italiani più volte sollecitati a segnalare effetti collaterali negativi legati al farmaco avrebbero sempre risposto negativamente;
   alcuni studi scientifici importanti e soprattutto indipendenti (cioè non sponsorizzati da aziende farmaceutiche: il CATT 1 dell'aprile 2011 e il CATT 2 e IVAN 1 del luglio 2012) mostrano con chiarezza come Avastin e Lucentis siano farmaci equivalenti per efficacia e sicurezza, anche in quanto ad effetti avversi non oculari; ma l'AIFA sostiene che Avastin e Lucentis «non sono identici tra loro né da un punto di vista farmacologico, né strutturale perché Avastin è un anticorpo intero, mentre Lucentis ne è un frammento anticorpale, che ha emivita più breve e rimane in circolo meno tempo (2 ore contro circa 20 giorni)»;
   la società oftalmologica italiana (SOI), analizzando le differenze tra i due farmaci, sostiene che Lucentis, il «frammento anticorpale» di Avastin, sia molto più aggressivo e resta in circolo solo 2 ore, mentre l'Avastin, 10 volte meno violento, resta in circolazione circa 20 giorni; secondo la Roche però «Avastin (bevacizumab) e Lucentis (ranibizumab) sono farmaci diversi, per composizione, struttura e modalità di somministrazione; studiati e sviluppati per scopi terapeutici differenti: Avastin (bevacizumab) è un farmaco oncologico, mentre Lucentis (ranibizumab) è un farmaco ad uso oftalmico»;
   nonostante le forti affinità sul piano clinico tra i due farmaci la differenza maggiore resta di tipo economico; in relazione al prezzo di Lucentis, ritenuto troppo alto, l'AIFA sottolinea come «al fine di vigilare sui costi per il Servizio sanitario nazionale e riconoscendo una possibile sovrastima del valore proposto dall'azienda Novartis per il proprio farmaco Lucentis, l'Agenzia abbia condotto un'intensa attività negoziale per abbattere il prezzo dello stesso dagli originali 1800 euro (negoziati nel 2007) al prezzo attuale che, al netto degli sconti per il SSN, arriva al di sotto dei 700 euro; secondo l'Aifa si tratta del prezzo «più basso di tutta Europa», dove i prezzi superano in molti i casi i 900 euro;
   molti professionisti oculisti hanno raccontato di aver usato questo medicinale l'Avastin, per anni senza problemi e il Consiglio superiore di sanità sta facendo un approfondimento sugli effetti collaterali del farmaco e su come viene utilizzato in altri Paesi;
   secondo notizie diffuse nei giorni scorsi la procura di Torino avrebbe aperto un'indagine per disastro colposo e associazione a delinquere nei confronti dei vertici di Roche e Novartis; al centro della vicenda la presunta collusione tra le due multinazionali per boicottare l'uso off label di Avastin in campo oftalmico che aveva già portato alla maxi sanzione dell'Antitrust –:
   quali iniziative, insieme all'Aifa quale autorità regolatoria del farmaco, intenda adottare per rivedere la gestione dei farmaci off-label, perché, senza compromettere la tutela della salute dei pazienti, si tenga conto anche delle ragioni di tipo economico. (3-00680)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LENZI, MIOTTO, GRASSI, GELLI, AMATO, BURTONE, MURER, CASATI, CARNEVALI, CAPONE, D'INCECCO e PAOLA BRAGANTINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 28 febbraio 2014 si è svolta la VII «Giornata mondiale delle malattie rare» per portare l'attenzione su tutti coloro che soffrono di una malattia rara: 60 milioni di malati in Europa e Nord America, e circa 1,5 milioni in Italia di cui il 70 per cento sono bambini in età pediatrica;
   una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza, ovvero il numero di caso presenti in un dato momento in una data popolazione, non supera una determinata soglia. Nell'Unione europea (Programma d'azione Comunitario sulle malattie rare 1999-2003) questa soglia è fissata allo 0,05 per cento della popolazione, ossia 1 caso su 2.000 abitanti: l'Italia si attiene a tale definizione;
   altri Paesi adottano parametri leggermente diversi, negli Usa ad esempio una malattia è considerata rara quando non supera la soglia dello 0,08 per cento. La legge giapponese, invece, definisce rara una patologia che comprende meno di 50.000 casi (4/10.000) in Giappone;
   molte patologie sono però molto più rare, arrivando appena a una frequenza dello 0,001 per cento, cioè un caso ogni 100.000 persone;
   il numero di malattie rare conosciute e diagnosticate oscilla tra le 7.000 e le 8.000, ma è una cifra che cresce con l'avanzare della scienza e in particolare con i progressi della ricerca genetica. Infatti la maggioranza di queste malattie hanno origine genetica e sono identificabili per un difetto dell'acido nucleico;
   attualmente esistono diverse liste di malattie rare, che si discostano a causa della mancanza di un'univoca definizione esauriente a livello internazionale;
   in Italia l'Istituto superiore della sanità su indicazione del Ministero della sanità ha individuato, con il decreto ministeriale n. 279 del 2001 (Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie) un elenco di malattie rare esenti-ticket;
   ciò comporta che non tutte le patologie a bassa prevalenza presuppongono l'esonero dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie, ma solamente quelle presenti nell'elenco allegato al decreti ministeriale n. 279 del 2001. Il decreto prevede che siano erogate in esenzione tutte le prestazioni appropriate ed efficaci per il trattamento e il monitoraggio della malattia rara accertata e per la prevenzione degli ulteriori aggravamenti. In considerazione dell'onerosità e della complessità dell’iter diagnostico per le malattie rare, l'esenzione è estesa anche ad indagini volte all'accertamento delle malattie rare ed alle indagini genetiche sui familiari dell'assistito eventualmente necessarie per la diagnosi di malattia rara di origine genetica;
   l'elenco comprende attualmente 583 patologie. Alcune regioni italiane hanno deliberato esenzioni per patologie ulteriori da quelle previste dal decreto n.  279 del 2001 –:
   quali misure urgenti e tempestive oltre all'immediata revisione dell'elenco delle malattie rare il Ministro intenda adottare per costruire concretamente il piano nazionale per le malattie rare.
(5-02322)


   VALIANTE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del commissario ad acta per la prosecuzione del piano di rientro del settore sanitario n. 49 del 2010 ha previsto la creazione di un presidio unico, l'ospedale della Valle del Sele, in cui sarebbero confluite le utenze afferenti ai plessi ospedalieri di Eboli, Battipaglia, Oliveto Citra, Roccadaspide, Agropoli, con una vincolante dotazione di 328 posti letto, dei quali 252 ordinari e 76 a ciclo diurno – day hospital e day service chirurgico;
   nel successivo decreto commissariale n. 82 del 2013, nella parte relativa alle azioni di dismissione e riconversione delle strutture ospedaliere di piccole dimensioni o con ridotta attività, si ricorda come la regione con il menzionato decreto n. 49 del 2010 ha ridisegnato l'assetto della rete ospedaliera e territoriale utilizzando, per quanto riguarda questo aspetto, una metodologia di prestazioni erogate in regime di ricovero al fine di ridefinire il fabbisogno di prestazioni ospedaliere appropriate e quindi l'indice programmatico di posti letto per 1.000 abitanti sulla base del quale procedere al riassetto della rete. Tale indice è stato fissato a 3,4 posti letto per mille abitanti (di cui 0,5 per riabilitazione e/o lungodegenza). Il valore di tale indice programmatico rifletterebbe il fabbisogno di posti letto, pubblici e privati, idoneo a soddisfare la domanda appropriata di ricovero della regione;
   nel medesimo atto si rimarca che con il decreto del 2010, si è proceduto ad una complessiva riorganizzazione di tutti i presidi e aziende ospedaliere del territorio. Per ciascuna delle strutture di ricovero pubbliche sono stati definiti, per singola disciplina, i posti letto distinti in posti letto ordinari e a ciclo diurno. Sono stati inoltre individuati i presidi ospedalieri destinati alla dismissione stante la loro non rispondenza ai principi e ai criteri fissati dal decreto stesso tra cui, principalmente, l'inadeguatezza della soglia minima di operatività delle strutture pubbliche, definita pari a 100 posti letto per le strutture per acuti e pari a 80 posti letto per le strutture di riabilitazione e lungodegenza (criterio della «congruità dimensionale»), necessaria per garantire qualità e sicurezza;
   per quanto riguarda gli ospedali di Oliveto Citra, Roccadaspide, Eboli e Battipaglia, in base a quanto disposto dal decreto del 2010, questi – come si legge nel decreto del 2013 – «confluiranno in una unica struttura ospedaliera la cui realizzazione è da prevedersi nel programma di interventi per l'edilizia sanitaria (ex articolo 20 legge 67/88)». Con decreto commissariale n. 138 del 26 ottobre 2012 è stata definita la programmazione degli investimenti in edilizia ed in tecnologie con le risorse dell'articolo 20 della legge n. 67 del 1988, necessari anche per realizzare alcune scelte strategiche insite nel nuovo piano di riassetto della rete ospedaliera. Attraverso un percorso condiviso con le aziende sanitarie, si sarebbe effettuato il processo di identificazione degli obiettivi del programma;
   prendendo atto della difficoltà di reperire adeguati finanziamenti per la costruzione dell'ospedale, considerando che la realizzazione dell'ospedale della Valle del Sele è programmata tra gli obiettivi non prioritari e che solo per l'effettuazione dell'opera sono previsti cinque anni di lavori, il commissario con il menzionato decreto del 2013 ha rinviato sine die la realizzazione del presidio unico e ha ritenuto di richiedere, nelle more, all'azienda sanitaria locale di Salerno di riprogrammare l'organizzazione degli ospedali di Oliveto Citra, Roccadaspide, Eboli e Battipaglia e di definire in primis le azioni e i tempi per realizzare l'accorpamento delle funzioni dei presidi di Eboli e Battipaglia entro novembre 2013;
   il medesimo decreto commissariale del 2013 ha fissato la scadenza di ottobre 2013 per la redazione di un cronoprogramma per la dismissione degli ospedali da destinare a funzione di lungodegenza e/o riabilitazione – ospedali di Oliveto Citra e Roccadaspide. Al momento, non risulta all'interrogante che l'azienda sanitaria locale di Salerno abbia ottemperato all'obbligo, pertanto l'applicazione del decreto commissariale del 2013 rende improponibile, se non velleitaria, un'ipotesi tecnica di accorpamento per la inconsistenza del numero di posti letto da ripartire e rende drammatica la carenza degli stessi sul territorio, rappresentando questo un problema di valenza tecnica e sociale rilevante;
   l'area geografica a sud di Salerno è storicamente penalizzata da una poco attenta considerazione delle sue caratteristiche demografiche e geografiche –:
   se, alla luce di quanto premesso, non si ritenga opportuno ma anche urgente assumere iniziative per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, per pervenire in vista della redazione del piano di accorpamento dei presidi di Eboli e Battipaglia, a un intervento di riequilibrio territoriale nella distribuzione dei posti letto a sud di Salerno, mediante una nuova riparametrazione dei posti letto su base provinciale, in relazione al numero di abitanti del bacino di utenza, e con l'applicazione di criteri di proporzionalità e di equità, anche rispetto alle altre aree della provincia, riducendo le disparità, talvolta stridenti e ingiustificate, tra le stesse;
   se non si ritenga altresì opportuno e necessario attribuire, già in questa fase preliminare, il numero di posti letto previsti e menzionati per l'ospedale della Valle del Sele, in modo da ridurre lo squilibrio nella distribuzione dei posti letto e da non penalizzare la popolazione che necessita di avere prestazioni sanitarie sia di urgenza che di elezione e da garantire il rispetto dei livelli essenziali di assistenza. (5-02329)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO e MAGORNO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel settembre 2014 al largo di Fiumefreddo Bruzio, lungo il Mar tirreno cosentino, due pescatori amatoriali durante una battuta di pesca hanno catturato alcuni esemplari di tonnetti alletterati, una specie di tonno molto diffuso nel Mediterraneo e caratterizzata dalla colorazione azzurro-bluastra del dorso screziato. È il primo caso che si registra in Calabria, dopo i tanti rinvenimenti avvenuti nel resto del Paese;
   questi esemplari, dopo un'attenta analisi condotta in un laboratorio privato, sono risultati essere contaminati da idrocarburi policiclici aromatici e policlorobifenili, componenti chimici pericolosi per la salute dell'uomo;
   tale evento ha suscitato un vivo allarme nella popolazione, soprattutto per il fatto che su dieci esemplari catturati, quattro presentavano una vera malformazione, la spina dorsale bifida;
   l'analisi dei resti degli esemplari pescati hanno evidenziato che nella lisca erano presenti dei contaminanti, ritenuti da molti ricercatori tra i responsabili di mutamenti genetici negli animali, ma anche pericolosi per la salute dell'uomo, visto che è stato accertato il suo effetto altamente cancerogeno;
   il caso in Calabria sembrerebbe isolato, ma solleva non pochi timori sulla qualità della salute dei mari italiani che ricorda quanto già verificatosi in altre parti del Mar Mediterraneo: nel corso degli anni passati in altre parti del Paese, in particolare ad Augusta e al largo della costa siracusana, sono stati catturati esemplari malformati simili a quelli catturati a Fiumefreddo;
   lungo la costa siracusana nel 1989, dopo le operazioni di pulizie del porto sono state sversate a mare sostanze, molte delle quali tossiche, presenti nell'infrastruttura, sono state segnalate molti casi di pesci con anomalie scheletriche;
   questa circostanza farebbe ritenere che i tonnetti pescati a Fiumefreddo potrebbero venire dalla costa siracusana. Infatti i tonnetti, della specie pelagica e cioè capace di percorrere centinaia di chilometri dal luogo di nascita, cibandosi di altri pesci più piccoli fungono da bioaccumalatori delle sostanze contenute degli animali di cui si ciba;
   solo con una indagine a tappeto è possibile capire se c’è una area contaminata in zona oppure se questi esemplari provengono da altri luoghi. Tanto più che potrebbe essere plausibile che questi pesci vengano da un'area portuale che è stata oggetto di lavori infrastrutturali;
   secondo la ricercatrice Mara Nicotra dell'università di Catania il fenomeno dei pesci malformati è molto diffuso e il fenomeno mette in correlazione l'inquinamento del mare e la mutazione dei pesci –:
   se il Governo sia innanzitutto a conoscenza di quanto riportato in premessa e che riguarda la Calabria e se non ritenga necessario monitorare attentamente tutto il bacino del Mar Tirreno, attraverso una campagna di pesca mirata, che potrebbe consentire di comprendere meglio quanto questo fenomeno sia esteso;
   se il Governo non ritenga urgente promuovere opportune e adeguate indagini al fine di salvaguardare la salute dell'uomo, ove fossimo in presenza di una contaminazione;
   se altresì non ritenga quanto mai indispensabile attivare un'azione di costante monitoraggio almeno del tratto di mare in questione per un controllo sistematico della condizione dell'ecosistema marino anche in relazione alla salute dell'uomo. (4-03935)


   RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da più parti vengono segnalate le problematiche tuttora aperte in merito all'articolo 41 del decreto legislativo n. 81 del 2008 come modificato e integrato dal decreto legislativo n. 106 del 2009, comma 4-bis, che testualmente riporta quanto segue: «entro il 31 dicembre 2009, con accordo in Conferenza Stato-regioni, adottato previa consultazione delle parti sociali, vengono rivisitate le condizioni e le modalità per l'accertamento della tossicodipendenza e della alcol dipendenza»;
   stante l'estrema delicatezza della questione e la necessità di un'uniforme metodologia applicativa su tutto il territorio nazionale, considerato anche il fatto che le tematiche oggetto della norma sono, tra le principali cause di infortuni sul lavoro;
   altro importante problema, probabilmente di primaria importanza, tutt'ora aperto e riguardante la medesima questione riguarda le differenze attualmente presenti nei mansionari per cui sono previste le due tipologie di accertamenti, sarebbe auspicabile infatti propendere verso una unificazione del mansionario in questione al fine di cercare di garantire la massima tutela dei lavoratori;
   ad oggi, infatti, vi sono alcune considerazioni che lasciano alquanto perplessi, basti pensare ad esempio che, ai sensi della normativa vigente, una guardia particolare giurata vada sottoposta ad accertamento della alcol dipendenza ma non a quello della tossicodipendenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e non ritenga di sollecitare l'emanazione di indicazioni circa le condizioni e le modalità di accertamento della tossicodipendenza e della alcol dipendenza al fine di poter fornire finalmente i dovuti chiarimenti per poter tutelare al meglio la salute e sicurezza dei lavoratori tutti e rivalutare la figura del medico competente mettendolo nelle condizioni di svolgere al meglio la propria attività professionale. (4-03956)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta scritta:


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 13 aprile 2013 n. 39, recante «Norme in tema di inconferibilità e di incompatibilità di incarichi presso pubbliche amministrazioni ed enti privati in controllo pubblico», ha giustamente introdotto un regime normativo più rigoroso e severo per eliminare ogni conflitto di interessi ed ogni sovrapposizione di ruoli e di poteri nell'assunzione e nell'esercizio di funzioni pubbliche e di responsabilità elettive;
   tale decreto legislativo è stato finalmente varato, dopo tanti rinvii e dopo tanti ritardi, per evitare negative confusioni di ruoli, pregiudizievoli per la imparzialità ed il prestigio delle istituzioni pubbliche e per la attuazione dei principi prioritari di trasparenza e di libertà di scelta dei cittadini;
   in questo spirito, assolutamente condivisibile, il decreto legislativo n. 39 del 2013, all'articolo 14, ha fissato giustamente la incompatibilità fra gli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e sanitario delle aziende sanitarie locali, da un lato, e le cariche di componente delle giunte e dei consigli di comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, al fine di eliminare commistioni gravi e pregiudizievoli di poteri e di ruoli pubblici;
   tuttavia sono sorte incertezze e perplessità sull'ambito ed i limiti di applicazione della nuova normativa;
   è necessario che le cause di incompatibilità si riferiscano a situazioni di obiettiva commistione e confusione di ruoli, riguardando fattispecie nelle quali effettivamente vengano esercitati poteri di gestione e di amministrazione nelle organizzazione delle attività sanitarie, in quanto tali non compatibili con cariche elettive nelle amministrazioni locali;
   le disposizioni di cui all'articolo 14 del decreto legislativo n. 39 del 2013 sono insuscettibili di applicazione analogica o estensiva che vulnererebbero il diritto di elettorato passivo, oggetto di pregnante tutela costituzionale;
   esse, invece, vanno interpretate rigorosamente nei limiti della loro formulazione letterale, senza inammissibili estensioni;
   occorre chiarire e fugare ogni dubbio circa la portata applicativa di questa normativa;
   in particolare, è opportuno, pertanto, chiarire, con atti ministeriali ufficiali, che le cause di incompatibilità di cui al citato articolo 14 non si riferiscono ai dirigenti medici di unità operativa di strutture complesse delle aziende sanitarie locali (i primari ospedalieri di un tempo), che non sono titolari di alcun potere di amministrazione attiva e di gestione, ne hanno alcun ruolo in ordine alla conduzione ed alla selezione del personale sanitario, né tantomeno, in ordine alla destinazione ed all'utilizzo delle risorse finanziarie disponibili nelle aziende medesime;
   questo chiarimento si impone per evitare l'ingiusto depauperamento del futuro quadro degli amministratori locali, e per scongiurare inevitabili contenziosi –:
   se il Ministro intenda adottare – una iniziativa diretta a precisare l'ambito di applicazione dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 39 del 2013 di recentissima entrata in vigore – per chiarire che non sussistano cause di incompatibilità fra gli incarichi di Dirigente medico di unità operativa delle strutture complesse delle aziende sanitarie locali e le cariche di componente delle giunte e del consiglio, e, quindi, di sindaco di comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, per tutte le obiettive e fondate motivazioni e considerazioni sopraevidenziate. (4-03938)


   BASSO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 214 del 22 dicembre 2011 ha introdotto un limite massimo per gli emolumenti a carico delle pubbliche amministrazioni statali individuato dal legislatore nel trattamento economico percepito dal primo presidente della Corte di cassazione;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 marzo 2012 è stata data attuazione all'articolo 23-ter del predetto decreto-legge n. 201 del 2011 individuando in euro 293.658,95 l'esatto ammontare del limite e demandando al Ministro della giustizia di comunicare annualmente la sua eventuale rivalutazione;
   il predetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ha previsto che i soggetti destinatari di tali norme siano tenuti, entro il 30 novembre di ogni anno, a presentare una dichiarazione ricognitiva di tutti gli incarichi a carico della finanza pubblica, dalla quale risulti il rispetto del predetto limite;
   il decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95 convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 ha esteso tale limite anche alle società pubbliche, inserendo i commi 5-bis e seguenti all'articolo 23-bis del decreto-legge n. 201 del 2011;
   la legge n. 135 del 2012 ha escluso dal predetto limite le società non quotate che emettono obbligazioni o azioni, e ha ridotto il campo di applicazione ai nuovi consigli di amministrazione e ai contratti stipulati dopo la sua entrata in vigore;
   la legge 27 dicembre 2013, n. 147, all'articolo 2, commi 471 e seguenti, ha previsto l'estensione dal 1o gennaio 2014 delle disposizioni di cui agli articoli 23-bis e 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 a tutte le amministrazioni pubbliche e ai loro organi di amministrazione, direzione e controllo, prevedendo altresì, al comma 475, la loro estensione alle regioni che debbono adeguare entro 6 mesi i loro rispettivi ordinamenti –:
   quale attuazione sia stata data alle disposizioni di cui agli articoli 23-bis e 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 all'interno dell'amministrazione centrale e delle sue società controllate, ed in particolare:
    quale sia l'elenco degli amministratori e dei dipendenti delle società controllate cui è stata applicata la norma, e quali fossero gli emolumenti, onnicomprensivi, da essi percepiti prima della sua applicazione;
    quale sia l'elenco degli amministratori e dei dipendenti esclusi dall'applicazione della norma, con l'indicazione della motivazione e dell'ammontare dell'emolumento percepito a carico delle finanze pubbliche;
    quale sia l'elenco dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, ivi compresi quelli in regime di diritto pubblico di cui al comma 3, cui è stata applicata la norma e quali siano gli emolumenti, onnicomprensivi, da essi percepiti prima della sua applicazione;
    quale sia l'elenco dei dipendenti esclusi dall'applicazione della norma, con l'indicazioni della motivazione e dell'ammontare dell'emolumento percepito a carico delle finanze pubbliche;
    quale sia l'ammontare dei fondi versati, fino ad oggi, al fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato a seguito dell'applicazione di queste disposizioni;
    quale attuazione sia stata data alle disposizioni di cui agli articoli 23-bis e 23-ter del decreto-legge n. 201 del 2011 e di cui all'articolo 1, commi 471 e seguenti, della legge n. 147 del 2013 dalle pubbliche amministrazioni territoriali e locali, ed in particolare se risulti:
    quale sia l'elenco degli amministratori e dei dipendenti delle società controllate cui è stata applicata la norma, e quali siano gli emolumenti, onnicomprensivi, da essi percepiti prima della sua applicazione;
    quale sia l'elenco degli amministratori e dei dipendenti esclusi dall'applicazione della norma, con l'indicazione della motivazione e dell'ammontare dell'emolumento percepito a carico delle finanze pubbliche;
    quale sia l'elenco dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni territoriali e locali cui è stata applicata la norma e quali siano gli emolumenti, onnicomprensivi, da essi percepiti prima della sua applicazione;
    quale sia l'elenco dei dipendenti esclusi dall'applicazione della norma, con l'indicazione della motivazione e dell'ammontare dell'emolumento percepito a carico delle finanze pubbliche;
    quale sia l'elenco l'ammontare dei fondi versati, fino ad oggi, al bilancio dei predetti enti a seguito dell'applicazione di queste disposizioni. (4-03944)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la vertenza Ferretti spa, leader mondiale nella produzione di imbarcazioni di lusso, si è aperta ufficialmente il 23 gennaio 2014 con la presentazione al coordinamento sindacale nazionale di Gruppo (Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-Uil) di un programma di cessazione dell'attività produttiva nel cantiere di Forlì che attualmente occupa circa 200 dipendenti fra diretti e indiretti di produzione;
   il programma è motivato dalla necessità di effettuare riduzioni di costo di carattere strutturale rispetto ad un andamento fortemente negativo del mercato di riferimento (nautica da diporto di lusso) ed un risultato di bilancio 2013 in pesante perdita;
   nel gennaio 2012 Shandong Heavy Industry Group-Weichai Group, società cinese produttrice di scavatrici e trattori, ha rilevato il 58 per cento di Ferretti Group per 374 milioni di euro. Al momento dell'operazione la Ferretti aveva un debito di 600 milioni di euro e la dirigenza è stata riconfermata dai nuovi azionisti;
   nel giugno 2012 il tribunale di Forlì ha omologato per Ferretti spa l'accordo di ristrutturazione del debito, ai sensi dell'articolo 182-bis della legge fallimentare, in base ad un piano di continuazione dell'attività produttiva e di rilancio aziendale;
   nel dicembre 2012 il Gruppo ha presentato al coordinamento sindacale nazionale un piano industriale quinquennale che prevedeva il mantenimento di tutti i siti produttivi (5 per la produzione di imbarcazioni in vetroresina: Forlì, Cattolica (Rimini), Mondolfo (Pesaro), Sarnico (Bergamo) e La Spezia, 1 per l'acciaio: CRN Spa di Ancona) e il progressivo recupero di riequilibrio economico e di fatturato, nonché importanti investimenti sul piano commerciale e produttivo. In particolare, per Forlì veniva confermato anche il progetto di un nuovo stabilimento, previsto da apposito accordo di programma, in zona Ronco;
   il 23 gennaio 2014 e nei due successivi incontri (28 gennaio e 5 febbraio, quest'ultimo alla presenza dei delegati di tutti gli stabilimenti) la direzione Ferretti spa ha manifestato l'intenzione di chiudere progressivamente, dopo venticinque anni di attività produttiva, il sito di Forlì, trasferendo in altri stabilimenti le lavorazioni ivi presenti e circa 150 dipendenti, attualmente in carico a Forlì;
   in particolare, i vertici aziendali hanno proposto il trasferimento incentivato di circa 80 lavoratori a Cattolica (che ha già accorpato San Giovanni in Marignano) e a Mondolfo nelle Marche (che ha sottratto la direzione aziendale proprio a Forlì dove è rimasta la sede del gruppo) e di circa 70 lavoratori a La Spezia, mentre altri 50 dipendenti sarebbero assorbiti tramite una procedura di mobilità incentivata riguardante lavoratori individuati col requisito della «volontarietà» fra tutti i siti del gruppo;
   alla base della cessazione dell'attività nello stabilimento di Forlì vi sarebbe un forte calo delle vendite che non solo sarebbe dovuto al fatto che il settore della nautica continua a risentire in maniera pesante della crisi mondiale, ma sarebbe anche conseguenza delle criticità logistiche: distanza dal mare e da strutture portuali e obsolescenza infrastrutturale (non a caso era stato pianificato il nuovo stabilimento), nonché delle tipologie di prodotto: le imbarcazioni più grandi vengono realizzate altrove e nel sito di Forlì sono prodotte solo quelle di dimensioni ridotte (fino a 74 piedi) che appaiono attualmente le più penalizzate dal mercato;
   la società ha precisato che «gli altri siti sono più flessibili e in grado di recepire il carico di lavoro oggi assegnato a Forlì, incrementando il livello globale di efficienza. Proprio a Forlì è concentrata l'attività produttiva delle imbarcazioni di piccola taglia, inferiore ai 74 piedi, segmento di mercato che ha maggiormente risentito della crisi mondiale. Lo stabilimento non è adatto alla produzione di imbarcazioni di dimensione maggiore». Per questo motivo l'azienda ha deciso di sacrificare il sito forlivese in un «percorso di contenimento dei costi fissi e di struttura finalizzato a salvaguardare il futuro del gruppo»;
   in un comunicato dello scorso mese i vertici dell'azienda hanno confermato che «sono in programma incontri con le organizzazioni sindacali volti a individuare soluzioni idonee a fronteggiare efficacemente il perdurare dell'attuale scenario macroeconomico negativo, con particolare riferimento al settore nautico, che determina il permanere di un eccesso di capacità produttiva rispetto alla domanda e un insostenibile squilibrio nei costi industriali della Ferretti group con pesanti ricadute sulla competitività aziendale. Alla luce dell'attuale contesto di mercato, quindi, il futuro stesso di Ferretti group nel nostro Paese dipende dalla capacità di efficientare il proprio assetto produttivo»;
   nei piani della società vi è quindi la volontà di mettere in atto interventi strutturali miranti ad ottimizzare le produzioni e a rivedere i costi, e pertanto la chiusura del sito produttivo forlivese, il cui assetto è ritenuto non efficiente e la capacità doppia rispetto alle quantità effettivamente prodotte (in particolare per la produzione in vetroresina), è funzionale a questo progetto;
   il risparmio valutato dall'azienda sull'operazione è di circa 4,5 milioni di euro a regime, di cui 3 sul personale e 1,5 sui costi fissi di struttura;
   le organizzazioni sindacali ritengono poco convincenti i dati presentati dall'azienda, in quanto i risparmi si otterrebbero solo a regime e tra qualche anno, mentre l'ultimo esercizio si è chiuso con un passivo di 35 milioni. I sindacati sostengono che «c’è un'evidente sproporzione tra gli obiettivi economici in termini di riduzione dei costi e risparmi effettivi (nel 2014 non oltre i 2 milioni di euro) e le conseguenze sociali e occupazionali. Sono ancora numerose le attività effettuate all'esterno o affidate in appalto: avrebbe senso concentrare alcune di queste lavorazioni a Forlì»; inoltre, in una nota Fillea Cgil–Filca Cisl–Fenal Uil del Coordinamento nazionale Gruppo Ferretti sottolineano che «le ragioni portate dall'azienda a supporto del proprio piano di ristrutturazione sono da subito apparse deboli ed inadeguate ad affrontare le conseguenze della crisi del settore – ricordano considerando che si metteva in discussione uno dei poli produttivi e professionali di qualità senza, peraltro, garantire investimenti sugli altri cantieri»;
   a tal fine le organizzazioni sindacali hanno proposto il ricorso agli ammortizzatori sociali e l'utilizzo di strumenti «che consentono di gestire senza soluzioni traumatiche l'attuale difficoltà; la Cigs a disposizione per tutti i lavoratori diretti e indiretti del gruppo, la procedura di mobilità volontaria non ancora esaurita, disponibilità all'esodo volontario, altri ammortizzatori sociali»;
   la volontà manifestata dalla direzione del Gruppo Ferretti di procedere alla chiusura dello stabilimento produttivo forlivese e l'annuncio di un cambio di strategia motivato da difficoltà di mercato e dalla necessità di ridurre i costi a fronte di un calo degli ordinativi e quindi della produzione «è inaccettabile anche per l'amministrazione comunale di Forlì, dal momento che in questo modo si vanificherebbero tutti gli sforzi che la comunità ha messo in campo per dare risposte alle esigenze del gruppo Ferretti, a partire dall'Accordo di programma approvato nella precedente legislatura e alle modifiche introdotte nei percorsi formativi per consentire il reperimento delle professionalità richieste dalla filiera produttiva nautica che reclamava una massima attenzione includendo investitori cinesi»;
   l'accordo di programma, firmato nel maggio 2005 tra il comune di Forlì, la provincia e il gruppo Ferretti, che avrebbe dovuto trasferire l'attività produttiva dello stabilimento forlivese nella nuova area del Ronco, non è mai stato attuato e il comune di Forlì starebbe valutando se ricorrono gli estremi di interesse pubblico per far valere il diritto di revoca dell'Accordo, con il ritorno dell'area alla destinazione d'uso originaria, cioè agricola se per la parte riguardante la realizzazione dello stabilimento e le relative ricadute occupazionali non venisse attuato;
   eppure, come sostiene il comune, «poco più di un anno fa la direzione Ferretti confermava la volontà di mantenere il sito produttivo per l'alto livello sul territorio, anche nell'indotto delle Pmi contoterziste, evidenziando la volontà di potenziare anche la funzione direzionale e strategica di quella realtà»;
   la proprietà straniera, a fronte di rilievi relativi alla obsolescenza degli impianti e difficoltà di bilancio del settore in crisi, avrebbe deciso di chiudere lo stabilimento forlivese, sebbene solo quattro anni fa Forlì fosse un punto di riferimento mondiale del settore e lo stabilimento forlivese fosse quello con i migliori risultati di efficienza e marginalità del Gruppo;
   dopo varie settimane di scioperi, proteste, mobilitazioni e incontri tra istituzioni, vertici dell'azienda, sindacati e lavoratori, nelle scorse settimane è stato concordato di salvare lo stabilimento forlivese del gruppo Ferretti;
   l'accordo sottoscritto il 18 febbraio 2014 nella sede del Ministero per lo sviluppo economico a Roma fra dirigenti del gruppo Ferretti, rappresentanti dei sindacati e istituzioni, e ratificato il giorno seguente dall'assemblea sindacale dei lavoratori, impegna l'azienda a mantenere tutti i siti produttivi italiani (Forlì, Cattolica, Mondolfo, Sarnico, La Spezia) e a garantire la loro funzionalità e produzione per quattro anni;
   l'intesa, che ha durata fino al 31 dicembre 2017, prevede inoltre l'attivazione degli ammortizzatori sociali alla scadenza della cassa integrazione guadagni straordinari in atto per fronteggiare l'attuale calo di ordinativi; gli esuberi saranno gestiti attivando una procedura di mobilità volontaria («non oppositiva») e incentivata per 50 lavoratori nel gruppo: 20 unità di personale in produzione a Forlì (diretti) e 30 unità di personale di staff in tutto il gruppo (indiretti);
   l'accordo prevede altresì l'introduzione, in via sperimentale, per i soli lavoratori del sito forlivese, di un orario di lavoro multiperiodale secondo la disciplina specifica prevista dal contratto nazionale: si tratta di una programmazione annuale che permette di lavorare più ore settimanali nei periodi di maggiore esigenza, recuperando successivamente, a seconda della necessità della produzione;
   nell'ambito dell'intesa raggiunta, sarà rinnovato entro il 30 aprile 2014, per una durata di quattro anni, il contratto integrativo aziendale e sarà modificato, fermo restando l'importo massimo annuale raggiungibile, il parametro del premio di risultato legato alla redditività che passerà dal 20 per cento al 47 per cento del totale. Azienda e sindacati attiveranno altri confronti tecnici per stabilire le modalità attraverso le quali consentire al gruppo Ferretti di ottenere una riduzione strutturale dei costi di 4,6 milioni. Al Ministero dello sviluppo economico spetta la supervisione dell'intesa per monitorare che tutti i punti sottoscritti vengano rispettati, con una verifica trimestrale delle prospettive industriali ed economiche di Ferretti spa;
   parte integrante dell'accordo è anche la valorizzazione del prodotto, attraverso scuole di formazione e ricerca, e a tal fine Ministero e regione si attiveranno per agevolare processi di innovazione di processo e di prodotto; in particolare, la regione si è impegnata ad emanare a breve bandi su progetti di ricerca industriale strategica;
   il comune di Forlì si è invece impegnato a verificare la possibilità di un allungamento dei termini dell'accordo di programma per la costruzione di un nuovo stabilimento in area Ronco;
   l'accordo sottoscritto nelle scorse settimane è importante non solo per la salvaguardia dei posti di lavoro per i dipendenti direttamente occupati dalla multinazionale, e in particolare dallo stabilimento forlivese, ma anche per quelli dell'indotto nel territorio, pari ad almeno 2.000 unità produttive, che, a vario titolo, collaborano con il colosso della nautica e sono in grado di garantire una produzione eccellente anche a livello internazionale, mostrando sempre competenza e professionalità nei confronti della committenza;
   oltre all'alta qualità dell'intero comparto nautico forlivese, non va altresì dimenticato il fatto, non usuale, di poter contare sulla presenza a Forlì dell'università e di centri per l'innovazione in grado di garantire il supporto tecnologico per i progetti di sviluppo del settore –:
   quali iniziative intenda il Ministro adottare, in stretta connessione con la regione e il comune, per monitorare la puntuale applicazione degli impegni assunti, affinché siano rispettati i termini dell'accordo di programma raggiunto, necessario per salvaguardare l'occupazione e le prospettive industriali non solo dello stabilimento di Forlì, ma anche di tutto il gruppo Ferretti, nonché per tutelare una realtà produttiva così rilevante nel panorama economico italiano e mondiale;
   quali ulteriori azioni abbia intenzione di attuare per garantire il mantenimento di una storia e di una competenza e professionalità in campo nautico che da almeno quarant'anni caratterizzano il gruppo Ferretti anche all'estero e, in particolare, per scongiurare lo smantellamento della produzione nel sito forlivese, dal momento che la deindustrializzazione di un territorio trascina con sé gravi conseguenze sul piano economico, produttivo, sociale e culturale dell'intera provincia;
   se sia possibile prolungare i termini dell'accordo di programma al fine di consentire anche l'attuazione di importanti investimenti sul piano commerciale e produttivo, tenuto conto pure del fatto che la stessa regione si è impegnata ad emanare a breve bandi sulla progettazione, e in particolare per permettere la costruzione del nuovo stabilimento di Forlì in zona Ronco, necessario a fronteggiare le criticità di obsolescenza infrastrutturale dell'attuale sito forlivese;
   quali siano le soluzioni idonee per fronteggiare efficacemente il perdurare della crisi del settore nautico, che determina il permanere di un eccesso di capacità produttiva rispetto alla domanda e, un insostenibile squilibrio nei costi industriali delle imprese del settore, con pesanti ricadute sulla competitività aziendale.
(2-00451) «Molea, Andrea Romano».

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'ufficio studi di Confartigianato Liguria, sulla base di dati Istat e Banca Mondiale, le imprese che producono in Italia ed esportano oltre i confini nazionali pagano, in media, il 15,5 per cento in più di tasse rispetto alle aziende concorrenti degli altri Paesi;
   la fiscalità interna pesa sul totale dell’export italiano, in particolare quello artigiano, per oltre 13 miliardi sui quasi 390 ricavati dai prodotti italiani venduti nei quindici principali mercati europei;
   infatti l'Italia, sui 139 Paesi presi in considerazione dalla Banca Mondiale, è tra i primi posti nella classifica della tassazione più elevata, con un «total tax rate» di addirittura il 65,8 per cento;
   questo significa che le imprese italiane pagano un gap fiscale in quasi tutti i Paesi di destinazione del nostro manifatturiero: al primo posto la Svizzera, con cui lo svantaggio competitivo fiscale è del 27,5 per cento, seguito da quello inglese con il 25,5 per cento e quello polacco con il 21 per cento;
   inoltre l'imprenditoria italiana deve fare i conti anche con un altro tipo di gap, non meno dannoso: quello burocratico. I tempi di pagamento delle imposte, molto più lunghi di quelli europei, arrivano a 269 ore all'anno: 137 ore in più rispetto a quanto si impiega in Francia, ben 206 in più nei confronti della Svizzera. Va meglio nelle province di confine del Nord Est, dove il gap burocratico con la Slovenia è di sole 9 ore;
   tali ostacoli, di natura fiscale e burocratica, vanno a intralciare un export del manifatturiero che, nella sola piccola imprenditoria ligure, ha valso oltre 707 milioni nel 2013, con un +19,6 per cento rispetto al 2012. Si tratta non solo della crescita maggiore del Nord Italia, ma anche di un valore quasi cinque volte superiore alla media italiana del 4,1 per cento;
   i settori più trainanti sono stati quello alimentare (226 milioni, +5,5 per cento), i prodotti in metallo (286 milioni, +49,7 per cento) e la fabbricazione di mobili (21 milioni, +26 per cento), mentre i settori che hanno registrato valori negativi sono stati l'abbigliamento (36,5 milioni, –1,6 per cento) e i prodotti in pelle (22 milioni, –1,8 per cento);
   osservando la dinamica provinciale, è cresciuto soprattutto l’export del manifatturiero spezzino con +88,4 per cento per 227 milioni di merce venduta e savonese con +14,3 per cento per quasi 35 milioni di euro. Bene anche Imperia che è cresciuta in un anno dell'11 per cento con un manifatturiero che vale ben 106,4 milioni, mentre Genova, pur registrando un calo del 1,4 per cento pesa maggiormente sulla bilancia dell’export ligure della piccola impresa con quasi 340 milioni di euro;
   nell'ultimo anno il settore trainante nello spezzino è stato la fabbricazione di prodotti in metallo, con una crescita di oltre 101 per cento e un'esportazione che ha raggiunto i 193 milioni; bene anche la fabbricazione di mobili (+56 per cento, 7,4 milioni) e l'alimentare (+23 per cento, 19,6 milioni). Quest'ultimo settore ha avuto una crescita anche a Savona (+16 per cento, 15,5 milioni di euro di prodotti esportati) e a Imperia (+19 per cento, 77 milioni). Genova ha subito invece un calo in tutti i principali settori del manifatturiero, con prodotti in pelle e metallo in testa (rispettivamente –10 per cento e –6 per cento per 14 e 68 milioni di euro di merce esportata). Ha retto invece la fabbricazione di mobili: +16,3 per cento, per un valore dell'esportazione che supera i 9 milioni di euro –:
   quali urgenti iniziative intenda il Ministro adottare in merito al ridimensionamento della pressione fiscale e alla semplificazione burocratica, per porre un freno ad una situazione che incide negativamente sulla competitività delle nostre imprese manifatturiere, in particolare di quelle situate nei territori di confine in cui opera l'11 per cento dell'imprenditoria italiana e dove la vocazione artigiana conta 198 mila realtà. (4-03939)


   RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che l'Enel ha inviato ai propri clienti, che hanno fatto richiesta di connessione alla rete del proprio impianto fotovoltaico, una lettera a mezzo della quale si comunica quanto segue: «con riferimento all'articolo 10.1 lettera b, dell'allegato A della Delibera 578/2013/R/eel, la informiamo che per connettere alla rete Enel Distribuzione S.p.a. il suo impianto di produzione, è necessario installare un gruppo di misura dedicato alla misurazione dell'energia prodotta dal proprio impianto di produzione»;
   nello specifico, la precitata delibera del 12 dicembre 2013, all'articolo 10 rubricato «Disposizioni relative all'erogazione del servizio di misura dell'energia elettrica prodotta, immessa, prelevata e consumata per un ASSPC», lettera b), comma 10.1, stabilisce la necessità di disporre «dei dati relativi all'energia elettrica immessa nella rete pubblica e prelevata dalla rete pubblica, nonché dei dati dell'energia elettrica prodotta dalle singole unità di produzione, in tutti gli altri casi»;
   dunque, in applicazione della delibera 578/2013/R/EEL dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, per tutti gli impianti fotovoltaici entrati in esercizio a partire dal 1o gennaio 2014, l'Enel richiede l'installazione di un contatore per misurare l'energia prodotta;
   non sono esaustive le motivazioni per le quali venga imposto tale onere, soprattutto, allorquando si tratti di utenze domestiche; a riguardo, infatti non appare sufficiente affermare la mera necessità di raccogliere i dati relativi all'energia prodotta al fine di giustificare l'imposizione di un contatore e delle spese connesse, per il proprietario dell'impianto;
   tra l'altro, la delibera non specifica per gli altri impianti già attivati prima del 1o gennaio 2014 e, quindi, sprovvisti di tale contatore, se il Gestore di rete provvederà all'installazione;
   si ricorda che la normativa comunitaria e nazionale promuove lo sviluppo dell'energia da fonti rinnovabili prefiggendosi l'obiettivo di potenziare e razionalizzare il sistema per incrementare l'efficienza dell'energia alternativa, anche diminuendo gli oneri relativi alla realizzazione degli impianti da essa alimentati;
   a riguardo, la previsione di qualsiasi tipologia di onere nel settore deve essere conforme alla normativa in materia e specificamente giustificata;
   purtroppo, si riscontra che nell'ambito del settore delle energie rinnovabili, vengono adottati di frequente dei provvedimenti che invece di incentivare tali investimenti virtuosi, come prevede la normativa, li scoraggia o addirittura, determina un danno attraverso l'addebitando di costi/oneri retroattivi per coloro che hanno già provveduto ad investire in queste tecnologie;
   pertanto, si rileva che non solo l'installazione del contatore non sembra adeguatamente giustificata ma, altresì, appare un adempimento reso obbligatorio, al fine di disporre in futuro la tassazione dell'autoconsumo, che danneggerebbe gravemente il settore –:
   se e quali iniziative normative intenda adottare affinché sia esclusa la possibilità di futuri provvedimenti che possano imporre la tassazione dell'autoconsumo e per superare le contraddizioni, descritte in premessa, garantendo pienamente l'effettività dei benefici riconosciuti al settore. (4-03963)


   L'ABBATE, GAGNARLI, LUPO, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, PARENTELA, DE LORENZIS, SCAGLIUSI, BRESCIA, CARIELLO e D'AMBROSIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la cooperativa allevatori Putignano nasce nel 1966 per volere del cavaliere Giovanni Laera, con lo scopo di raccogliere il latte prodotto nella zona della murgia barese e tarantina. Inizialmente è divisa in due rami produttivi: il primo costituito dal conferimento dei soci del latte che viene trasformato per la vendita sottoforma di prodotti (mozzarelle e formaggi freschi e stagionati di diverso genere) ed attraverso l'imbottigliamento dello stesso che viene venduto come prodotto fresco; il secondo costituito da acquisto, lavorazione, trasformazione e distribuzione tra i soci di cereali e di mangimi da utilizzare nel settore zootecnico ed agricolo;
   negli anni ’80 e ’90, sotto la presidenza Laera (durata dal 1978 al 2007) si possono contare circa 700 soci e 130 lavoratori che, direttamente o indirettamente, erano coinvolti nel ciclo produttivo e distributivo della CAP;
   in data 1o novembre 2008, la gestione della rete vendita viene affidata, tramite contratto, al signor Lorenzo Battista. La CAP, infatti, da qualche anno aveva deciso di mutare la rete vendita passando dal canale «retail» (con numerosissimi punti vendita di prodotti di medio-alta qualità) alla «grande distribuzione», con il conseguente affidamento delle forniture ad una rete di grossisti nonché il relativo aumento dei rischi da una parte ed un prezzo di vendita ridotto dall'altra. Durante la presentazione della stesso bilancio viene portata a conoscenza dei soci la grave situazione di insolvenza di alcuni commessi che forniscono il prodotto con mezzi propri (in gergo denominati «padroncini») verso cui sono state avviate azioni legali atte al recupero dei crediti vantati. Nell'autunno dello stesso anno, alcuni assegni ricevuti da clienti a copertura di forniture di prodotti per importi consistenti, ma non meglio specificati, risultano scoperti e ciò comporta il mancato pagamento di oltre euro 500.000 ai soci quale ricavo derivato dal conferimento del latte. Le perdite di bilancio, ammontanti ad oltre euro 183.000, vengono appianate facendo accesso al Fondo di riserva straordinario;
   nel 2009 viene presentato un «Progetto Integrato di Filiera» denominato «Latte della Murgia e dei Trulli» che vede la CAP capofila, con l'obiettivo del miglioramento delle sinergie tra operatori economici della filiera per accrescere la competitività sui mercati, incidendo sulla qualità dei prodotti. La spesa prevista per il progetto ammonta a euro 1,5 milioni. Giunge all'attenzione dei soci CAP, inoltre, la ricerca di un ulteriore collaboratore a cui affidare l'incarico di responsabile della rete commerciale. Il bilancio presenta una perdita di esercizio pari a circa euro 33.600, a cui viene fatto fronte attraverso l'accesso al Fondo di riserva straordinario;
   nel 2010, la cooperativa allevatori Putignano propone ai propri soci di mettere al centro delle azioni strategiche la valorizzazione dei reflui da caseificio, con l'intento di ottenere energia da fonti rinnovabili così da abbattere i costi relativi all'energia elettrica ed al metano. A tal proposito, risulta essere in fase avanzata lo studio per la realizzazione di una centrale a biomassa ed un impianto fotovoltaico. Viene, inoltre, proposto un tavolo di concertazione tra rappresentanze sindacali dei dipendenti e direttivo CAP al fine di stilare un piano di riorganizzazione del personale, attraverso mobilità, riqualificazione e formazione. Intanto, il PIF «Latte della Murgia e dei Trulli» entra nella fase di avvio dell'investimento e viene comunicato che ci si avvarrà di una collaborazione con soggetti pubblici e privati (organismo inizialmente costituito da 66 componenti, ad oggi ridottosi a 40). I costi del progetto sono pari a circa euro 1,4 milioni: per circa euro 702.000 attraverso contributo pubblico garantito dai 40 soggetti e, per la restante parte, a carico della CAP, attraverso mezzi propri (circa euro 215.000) e attraverso finanziamento bancario non inferiore ai 10 anni (circa euro 494.000). In data 29 dicembre 2010, il 50 per cento del contributo pubblico viene anticipato da AGEA. Viene, inoltre, comunicato ai soci che è stato sottoscritto mandato ad una agenzia (il cui nome non viene menzionato nei documenti di chiusura bilancio), specificando che i compiti sono quelli di rivedere la struttura commerciale della CAP. Avendo optato per spostare la rete vendita verso la «GDO», viene fatto notare come il fatturato sia concentrato verso i grossisti, i quali propongono pagamenti dilazionati a volte superiori anche a 90 giorni: un rischio da correre per restare sul mercato secondo il parere del direttivo CAP. La perdita di bilancio corrente, di oltre euro 40.000, viene appianata dal Fondo di riserva straordinario;
   la relazione di bilancio 2011 espone i soci a difficoltà economiche crescenti, dovute anche all'aumento del costo del latte. Il progetto «energie rinnovabili» risulta, di conseguenza, congelato in attesa di congiunture più favorevoli. Il tavolo di concertazione per la riorganizzazione del personale prosegue con la mobilità di 4 unità a decorrere dal febbraio 2012 e la possibilità di contratti di solidarietà quando le nuove linee di produzione entreranno a regime. Il monitoraggio della spesa PIF riporta una percentuale raggiunta pari al 50 per cento mentre il progetto risultato ad uno stato di avanzamento dell'80 per cento. Anche in funzione di ciò, AGEA conferisce un ulteriore 34 per cento di fondi sulla quota prevista a carico regionale (circa euro 240.000) che, sommati al precedente 50 per cento, portano l'anticipo all'84 per cento sulla spesa totale prevista come partecipazione regionale. Per la prima volta viene presentata ai soci la possibilità che, nel breve periodo, possa essere riconosciuto un marchio DOP per la denominazione «Treccia della Murgia e dei Trulli». Viene, inoltre, resa pubblica l'intenzione di voler sgravare il presidente dai ruoli di responsabilità manageriali, quali rapporti con i clienti, fornitori e banche. A tal proposito, CAP è alla ricerca dell'individuazione di un profilo che possa subentrare nella gestione delle predette funzioni. Intanto, grazie al lavoro dei responsabili della rete vendita è mutata la tipologia di cliente: la «GDO» passa dal 7 per cento al 33 per cento, il «normal trade» dall'80 per cento al 60 per cento e la ristorazione e gli altri canali dal 13 per cento al 7 per cento. Per il quarto anno consecutivo, il bilancio viene chiuso con una perdita che, per questo esercizio, ammonta ad oltre euro 148.000 a cui viene fatto fronte, nuovamente, attraverso l'accesso al Fondo di riserva straordinario per il 94 per cento e dal Fondo contributivo C/C legge regionale 7/75 per il restante 6 per cento;
   dal bilancio 2012 emergono 348 soci, detentori delle 2.625 azioni che costituiscono il capitale sociale ammontante pari a euro 65.265: con un crollo del valore della CAP rispetto al potenziale di produttività e vendita. Vengono edotti i soci sulle grandi difficoltà che comportano i gravi ritardi nell'incasso delle fatture, tali da inasprire i rapporti con i soci stessi che non ricevono il pagamento del prodotto conferito in tempi ragionevoli di 60 giorni. Gli unici soci che risentono meno di questa grave situazione sono coloro che si avvalgono dei mangimi prodotti dallo specifico ramo aziendale, i quali vanno in compensazione prelevando dallo stesso il nutrimento dei bovini. Il 23 novembre 2012 il presidente Costa lascia la carica per problemi di salute, sostituito dal vicepresidente Vito Campanella. La situazione si è resa talmente grave che, nello stesso mese, viene chiuso il mangimificio e viene resa ai soci l'informazione che, dall'aprile 2013, partirà la cassa integrazione per 26 dipendenti. Nell'anno si è prima cercata una aggregazione o collaborazione con un gruppo cooperativo di primo piano a livello nazionale (tentativo non andato a buon fine) ed è poi stato dato mandato tramite il consiglio di amministrazione, sotto la guida dell'allora vicepresidente Campanella, a poter cercare forme di collaborazione con società con spiccata specializzazione in trasformazione del latte e commercializzazione/distribuzione. Nasce così la collaborazione con Carmelo Quattrone per la parte amministrativa/finanziaria e del dottor D'Oria (per alcuni mesi) relativamente ai costi di gestione e produttività. Dagli studi svolti, il consiglio di amministrazione decide di sospendere i pagamenti per il conferimento del latte del quadrimestre luglio-ottobre 2012. Nell'anno 2012, il PIF rimane bloccato ad un avanzamento al 50 per cento della spesa, stornando le voci previste a bilancio in altre per far fronte a gestione ordinaria. A fronte di continui solleciti di pagamento da parte delle ditte fornitrici, inoltre, si opta per un ridimensionamento del PIF, con eventuale riconsegna di macchinari già installati, previa autorizzazione della regione alla variante. Il bilancio viene chiuso con una perdita di esercizio pari a euro 936.142, a cui viene proposto di far fronte mediante fondi di rivalutazione, contributo conto capitale enti pubblici, contributo conto capitale legge regionale n.7 del 1975, Fondi di rivalutazione decreto-legge n. 185 del 2008, Fondi iniziative mutualistiche e Fondo di Riserva;
   in data 16 novembre 2013, viene arrestato Carmelo Quattrone, componente dell'agenzia che aveva ricevuto precedentemente mandato di vendita per conto CAP, nell'ambito dell'imponente operazione «Araba Fenice», condotta dalla guardia di finanza di Reggio Calabria su mandato della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, che avrebbe portato alla «disarticolazione di un'associazione di stampo mafioso composta da imprenditori e professionisti», ritenuti essere affiliati alle più importanti cosche della «ndrangheta». I reati contestati sono «associazione a delinquere di stampo mafioso, trasferimento fraudolento di valori, abusiva attività finanziaria, utilizzo ed emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, favoreggiamento, peculato, corruzione, illecita concorrenza ed estorsione», tutti aggravati dalle modalità «mafiose». Carmelo Quattrone, indicato dagli investigatori come «dottore e commendatore» è stato prelevato dalla propria abitazione, sottoposta anche a perquisizione, nel comune di Putignano. Per gli inquirenti, Quattrone, inserito nella «zona grigia della ndrangheta» era ritenuto una figura di rilievo dell'organizzazione tanto che, unitamente al collega Francesco Creaco, nel rapporto con il boss Giuseppe Stefano Tito Liuzzo (capo dell'organizzazione criminale) non si sarebbe limitato a svolgere solamente la sua attività di consulente, ma si poneva come un vero e proprio consigliere del pregiudicato, tanto che avrebbe indotto Liuzzo ad effettuare una rivisitazione della società Euroedil in modo da evitare eventuali provvedimenti di sequestro. In conseguenza di questi accadimenti, in data 18 gennaio 2014, si è dimesso Vito Campanella dalla carica di presidente della CAP, che intanto ha visto allargare il proprio debito di bilancio a euro 5 milioni, di cui euro 2 milioni nei confronti dei soci conferitori. A febbraio 2014, sono iniziati gli stati di agitazione indetti dai 40 dipendenti che non percepiscono stipendi da 7 mesi: dopo 48 ore di scioperi hanno ottenuto una bozza di impegno sottoscritto tra le sigle sindacali ed i rappresentanti della cooperativa, innanzi alla responsabile dell'ufficio provinciale del lavoro. L'accordo prevede un riconoscimento di 15.000 euro da dividersi tra i dipendenti (a malapena circa 400 euro a persona) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda e se, a fronte della mancanza di chiarezza nelle scritture contabili e nella gestione degli ultimi anni della CAP, al fine di tutelare l'intera economia legata al mondo agricolo murgiano minacciata dalle possibili azioni fraudolente, non ritengano opportuno, ognuno per le proprie competenze, predisporre proprie ispezioni straordinarie ai sensi degli articoli 8, 9 e 10 del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220. (4-03968)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Fratoianni e altri n. 7-00298, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Giancarlo Giordano.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Lacquaniti e Di Salvo n. 2-00438, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sberna.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Totaro n. 4-03729, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rampelli.

  L'interrogazione a risposta in commissione Rostan e altri n. 5-02295, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valiante.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Gigli n. 2-00427, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 182 del 4 marzo 2014.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   in data 13 giugno 2013 gli organi di stampa hanno dato notizia dell'avvenuta pubblicazione di tre opuscoli dal titolo «Educare alla diversità a scuola», prodotti a cura dell'istituto Beck e dell'UNAR, ufficio afferente al Dipartimento per le pari opportunità che dipende dalla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   gli opuscoli sono stati pubblicati sotto l'egida e con il logo della «Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità»;
   il contenuto di tali opuscoli si proponeva esplicitamente di «rendere le scuole più aperte e accettanti, scuole delle pari opportunità, che consentano e favoriscano lo sviluppo sano di tutti i ragazzi, indipendentemente dal loro orientamento sessuale; di fornire agli insegnanti gli strumenti per approfondire le varie tematiche legate all'omosessualità, così da diventare essi stessi educatori dell'omofobia»;
   in realtà le «pari opportunità» secondo gli autori dei tre volumetti consisterebbero nell'insegnare a tutti gli alunni, dalle elementari alle superiori, che la famiglia padre-madre-figli è solo uno «stereotipo da pubblicità», che i due generi maschio e femmina sono un'astrazione, che leggere romanzi in cui i protagonisti sono eterosessuali è una violenza, che la religiosità è un disvalore, arrivando al ridicolo di censurare le favole in quanto appiattite sulla presentazione di solo due sessi e non già di sei generi o a proporre problemi di matematica che partono da situazioni in cui operano nuovi modelli di famiglie omosessuali;
   i tre opuscoli si collocano in continuità con precedenti iniziative rieducative dello stesso UNAR, dirette ai professionisti dell'informazione, al personale della scuola e agli studenti di ogni ordine e grado;
   il significato ideologico di tali precedenti iniziative era stato già segnalato con un'interpellanza dei firmatari del presente atto rivolta al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e depositata in data 14 gennaio 2014 alla quale aveva dato risposta il Sottosegretario pro tempore Marco Rossi-Doria in data 17 gennaio 2014;
   come per le precedenti iniziative dirette agli studenti, anche quella oggetto di tale atto scavalcava ad avviso degli interpellanti deliberatamente la libertà e le scelte educative delle famiglie dei ragazzi; di fronte alle proteste e alla richieste di spiegazioni, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha sostenuto di non sapere nulla dell'iniziativa dell'UNAR e, in particolare, di non aver richiesto e in alcun modo approvato la produzione del materiale didattico predisposto dall'UNAR; la mancanza di ogni preventivo confronto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stata confermata dal vice-ministro pro tempore Guerra;
   il Sottosegretario all'istruzione, all'università e alla ricerca pro tempore Gabriele Toccafondi ha dal canto suo dichiarato in data 15 febbraio 2014 che «Il fatto che gli opuscoli sulla diversità siano stati redatti dall'UNAR e diffusi nelle scuole senza l'approvazione del Dipartimento Pari Opportunità da cui dipende, e senza che il ministero dell'istruzione ne sapesse niente, è una cosa grave, chi dirige UNAR ne tragga le conseguenze» ed ha aggiunto «L'UNAR sembra voler imporre un'impronta culturale a senso unico destando preoccupazione e confusione su tutto il sistema educativo. Una materia così delicata richiede particolare attenzione ai contenuti e al linguaggio utilizzati, a maggior ragione visto che si rivolge a ragazzi di tutte le fasce di età»;
   il Vice Ministro pro tempore Maria Cecilia Guerra, titolare della delega per le pari opportunità, ha dal canto suo smentito decisamente la paternità dell'iniziativa, rilevando anzi che essa manca del necessario rispetto dei livelli istituzionali e dichiarando di ignorarne addirittura l'esistenza, ed ha stigmatizzato il comportamento del direttore dell'UNAR, Marco De Giorgi, criticandone la decisione dallo stesso presa in totale autonomia, giudicando «Non accettabile che materiale didattico diretto agli insegnanti su argomenti così sensibili sia diffuso da un Ufficio del dipartimento per le pari opportunità senza garantirne la previa conoscenza da parte dell'organo politico e senza alcun confronto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   lo stesso Vice Ministro Guerra risulterebbe aver trasmesso alla Presidenza del Consiglio nelle persone del segretario generale e del capo dipartimento la nota contenente i suoi rilievi al dottor De Giorgi, per aver diffuso materiale mai prima approvato e addirittura sconosciuto a chi di dovere, chiedendo che la stessa fosse inserita come nota di demerito –:
   quali iniziative intenda assumere il Presidente del Consiglio dei ministri per rispondere all'allarme educativo creato in molte famiglie dalle iniziative dell'UNAR;
   in qual modo intenda muoversi per ricondurre l'UNAR ai suoi compiti istituzionali evitando per il futuro che tale ufficio possa occuparsi di rieducare gli italiani e in particolare gli studenti al politically correct di quello che agli interpellanti appare il «pensiero unico» delle associazioni LGBT;
   se non ritenga opportuno sostituire urgentemente il direttore dell'UNAR, che secondo gli interpellanti ha abusato della delega ricevuta, sostituendosi all'autorità politica in iniziative che coinvolgono aspetti molto rilevanti della vita sociale e ambiti molto delicati del processo educativo delle giovani generazioni; se risulti alla Presidenza del Consiglio che lo stesso funzionario sia stato già oggetto di censure analoghe a quelle richieste dal Vice Ministro pro tempore Guerra nel corso di precedenti incarichi presso altri uffici governativi;
   se la nota del Vice Ministro pro tempore Guerra sia stata effettivamente inserita, come da lei richiesto, nel fascicolo personale del funzionario e, in caso contrario, quali siano le ragioni del mancato inserimento;
   se sia stato avviato in Commissione disciplinare un procedimento contro il funzionario per il danno di immagine provocato alla pubblica amministrazione e quali siano le risultanze di tale procedimento;
   chi abbia autorizzato la spesa di fondi europei generata dalle iniziative del predetto direttore dell'UNAR e, nel caso essa non fosse stata autorizzata, quali iniziative si intendano assumere nei confronti dello stesso funzionario;
   se non intenda risolvere immediatamente il contratto con l'istituto Beck, in essere dal 2012 per evidente uso a fini ideologici del rapporto con la pubblica amministrazione.
(2-00427)
«Gigli, Dellai, Binetti, Sberna, Iori, Patriarca».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Rubinato n. 5-02307, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 185 del 7 marzo 2014.

   RUBINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso oggi dalle agenzie di stampa che l'ufficio delle entrate di Montebelluna avrebbe sanzionato con una multa di 62 mila euro il proprietario della «osteria senz'oste», un luogo di ritrovo esistente sulle colline trevigiane a Santo Stefano di Valdobbiadene, assimilandola ad una mera attività commerciale per la quale non avrebbe versato le dovute imposte;
   l’«osteria senz'oste», unica nel suo genere, è in realtà una stanza di 10 metri quadri ospitata in un piccolo rustico sito tra i filari delle viti, dove inoltre c’è solo una piccola stalla con una mucca ed un asino, acquistato da un imprenditore della zona, diventata nel tempo un luogo conosciuto anche fuori dei confini provinciali, dove gli avventori possono da sé consumare nel passaggio un po’ di vino e salame a fronte di un'offerta libera che viene corrisposta all'interno di una cassetta;
   il sito non ha mai avuto né parcheggi, né insegna commerciale: la dicitura «osteria senza oste» è sempre stata localmente declinata come una mera indicazione del luogo e non di un esercizio commerciale, poi precisata nell'espressione «l'oste che non c’è»;
   si tratta infatti di una vecchia «casera», ovvero di una costruzione agricola adibita a stalla, fienile e ricovero attrezzi, non abitata, ma che aveva una stanza per l'eventuale ricovero provvisorio del conduttore del fondo, oggi diventata luogo di incontro e di convivialità, punto di ritrovo di persone e visitatori, anche turisti stranieri, che sono venuti a conoscenza di questa singolare «osteria senz'oste» attraverso gli articoli pubblicati su riviste e su web fungendo in questo modo da volano di promozione del territorio;
   il luogo ha assunto negli anni una funzione di presidio della tradizione dell'ospitalità della terra trevigiana tanto da essere citato a livello internazionale per la forza del messaggio che quest'iniziativa trasmette nell'invitare i suoi avventori alla fiducia verso il prossimo;
   la contestazione della sanzione di 62.000 euro alla «osteria senz'oste» da parte dell'Agenzia delle entrate ha destato notevole scalpore e perplessità nella comunità locale, nonché critiche da parte dei rappresentanti delle istituzioni locali, in primis il presidente della regione e il presidente della provincia;
   nella vigenza delle norme attuali le autorità locali competenti non sono nella condizione amministrativa di profilare la condizione giuridica di «un oste che non c’è» per consentire a questa realtà, unica nel suo genere, di continuare questo percorso culturale, identitario, di promozione delle tradizioni e di una autentica e genuina accoglienza, che favorisce le altrui attività enoturistiche e commerciali in uno tra i più vocati e storici territori del paesaggio vitato delle colline del prosecco superiore, attività enoturistica che deve essere – in quanto unica economia locale – ad ogni livello valorizzata e promossa;
   risulta che a carico del proprietario dell’«osteria senz'oste» – vi sia stato un precedente accertamento da parte dell'Agenzia delle entrate relativo alla sua attività imprenditoriale di produzione di insaccati, relativamente al quale il predetto ha rifiutato la proposta di adesione formulata dagli uffici territoriali appena due giorni prima che – secondo le affermazioni del proprietario medesimo – fossero avviate le attività ispettive sull’«osteria senz'oste» –:
   su quali presupposti in fatto ed in diritto l'Agenzia delle entrate abbia proceduto a contestare in questo caso singolare l'evasione fiscale come se si trattasse di un'attività commerciale avente finalità lucrative, mentre appare prevalere il valore culturale e sociale di questa realtà;
   se non ritenga di impartire in merito direttive e/o indirizzi agli uffici fiscali territoriali o, ove vi fosse la necessità, di assumere iniziative per colmare l'eventuale lacuna normativa, al fine di evitare episodi come quello occorso che vengono vissuti dalle comunità locali come iniziative ingiustificate o addirittura vessatorie da parte dello Stato, perché non distinguono le attività commerciali con scopo di lucro da quelle meramente culturali e sociali che costituiscono espressione di una sussidiarietà orizzontale molto praticata in regioni come il Veneto e tanto più apprezzabile in questo momento di crisi;
   se vi siano elementi di collegamento tra i due accertamenti fiscali descritti in premessa in termini di causa ed effetto.
(5-02307)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Businarolo n. 5-01352 del 31 ottobre 2013;
   interrogazione a risposta scritta D'Agostino n. 4-03595 del 13 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Caparini n. 5-02183 del 17 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta scritta De Mita n. 4-03631 del 19 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Braga n. 5-02196 del 19 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Latronico n. 4-03672 del 20 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Cozzolino n. 4-03768 del 27 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Prataviera n. 4-03811 del 4 marzo 2014;
   interrogazione a risposta scritta Aiello n. 4-03814 del 4 marzo 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Scotto n. 5-02257 del 4 marzo 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Grande n. 5-02291 del 6 marzo 2014;
   interrogazione a risposta scritta Quaranta n. 4-03904 del 7 marzo 2014.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Tino Iannuzzi n. 5-01409 del 7 novembre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-03938.
   interrogazione a risposta scritta Catalano n. 4-03932 del 10 marzo 2014 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-02328.