Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 27 febbraio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    le istituzioni parlamentari sono state coinvolte, su iniziativa della Federazione nazionale della stampa, in relazione alle numerose vertenze in corso riguardanti le crisi di diverse testate giornalistiche e i rapporti sempre più tesi che si registrano tra i lavoratori dell'informazione e le proprietà aziendali;
    appaiono emblematiche, anche se differenti nel merito, la situazione che si è manifestata, nelle scorse settimane in una delle più importanti agenzie giornalistiche italiane, Adnkronos, e la vicenda che da mesi interessa l'emittente televisiva regionale «Sardegna 1»;
    le vertenze predette hanno in comune: a) l'annuncio di licenziamenti collettivi, che rappresentano un ulteriore pesante colpo per l'occupazione nel settore; b) comportamenti aziendali di dubbia legittimità perché adottati da soggetti destinatari di risorse pubbliche o che intrattengono rapporti contrattuali con enti pubblici, che richiamano il pieno rispetto dei diritti e delle prerogative dei lavoratori dipendenti;
    in entrambe le situazioni si registrano atteggiamenti ad avviso dei firmatari del precedente atto di indirizzo non accettabili di intolleranza dell'azione di difesa sindacale e del ruolo delle rappresentanze dei lavoratori, a fronte dell'annuncio di licenziamenti che appaiono oggettivamente immotivati;
    i 23 licenziamenti (20 giornalisti e 3 poligrafici), avviati ex legge n. 223 dall'Adnkronos, appaiono un atto unilaterale di gestione aziendale volto ad affermare un potere d'impresa sul lavoro professionale di informazione primaria, facendo cadere bruscamente i presupposti di mantenimento degli standard di qualità e dell'informazione oggetto di contratti di fornitura con l'amministrazione dello Stato;
    inoltre, lo Stato rischia di tutelare gli affari di un'azienda che opera in un mercato protetto e agisce invece a scapito dei lavoratori provocando ingiustificata disoccupazione e introducendo distorsioni sulle potenzialità dell'esercizio dell'indipendenza professionale;
    in modo particolare, la decisione di licenziare 13 tra giornalisti, tecnici e amministrativi di «Sardegna Uno» dimezza l'organico dell'emittente e ne mette a rischio la sopravvivenza, pregiudicando il pluralismo dell'informazione in Sardegna, realtà regionale ampiamente colpita dalla cessazione di attività di numerose testate ed emittenti locali e dal ridimensionamento di quotidiani di rilievo regionale,

impegna il Governo:

   ad adottare tutte le iniziative atte a contribuire a una soluzione delle crisi dell'occupazione giornalistica ed editoriale di Adnkronos e Sardegna 1 e a cancellare le gravi ripercussioni che le stesse possono pesantemente esercitare sul settore dell'informazione;
   ad acquisire ogni utile elemento conoscitivo sui comportamenti aziendali in questione, al fine di tutelare i diritti dei lavoratori e dei cittadini-utenti dell'informazione, avuto riguardo al fatto che si tratta di soggetti aziendali interessati da commesse e contributi pubblici e, pertanto, obbligati al rigoroso rispetto delle norme in materia di lavoro, previdenza e tutela sindacale;
   ad assumere iniziative volte a rimuovere i propositi di contrazione di organici nel settore delle agenzie e delle aziende editoriali e dell'informazione, ivi comprese le emittenti locali e regionali, al fine di assicurare stabilità occupazionale, pluralismo e vera libertà di stampa, in ogni parte del Paese;
   ad avanzare proposte per il rilancio dell'editoria, avuto riguardo all'informazione e alla comunicazione istituzionale, anche tramite soggetti no-profit.
(1-00350) «Capelli, Tabacci, Formisano, Bruno, Di Gioia, Labriola, Lo Monte, Ottobre, Piras, Vargiu».


   La Camera,
   premesso che:
    le persone con disabilità e/o i loro familiari, qualora intendano conseguire un obiettivo previsto per legge quale beneficio, agevolazione, certificazione, e altro, devono sottoporsi a procedimenti amministrativi che – soprattutto nel caso di richieste plurime come: riconoscimento invalidità civile e riconoscimento benefici ai sensi della legge 104 del 1992 – appaiono ridondanti e farraginosi, complicando ulteriormente l'iter per l'ottenimento degli stessi;
    a titolo esemplificativo, si può rappresentare il caso di un soggetto al quale sia stato riconosciuta un'invalidità civile al 100 per cento ed, in relazione a questo un suo congiunto intende ottenere i benefici previsti dalla legge n. 104 del 1992: in questo caso la persona invalida deve sottoporsi a due visite mediche collegiali, con un collegio medico composto dalle stesse persone;
    la sovrapposizione e la moltiplicazione di questi momenti accertativi comporta l'impiego, per le medesime attività, di un elevato numero di operatori, in particolare medici, nonché un allungamento dei tempi d'attesa, proprio a causa dell'espansione dei momenti di controllo;
    proprio per fronteggiare la sopra delineata situazione il Parlamento, rilevato che i verbali che a vario titolo stabiliscono l'invalidità o altro sono troppo spesso parziali e costringono il cittadino ad ulteriori nuovi adempimenti, è intervenuto con il decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35;
    l'articolo 4, comma 1, del richiamato decreto-legge n. 5 del 2012 ha previsto che i verbali delle commissioni mediche integrate deputate al primo accertamento per il riconoscimento dell'invalidità civile riportino anche l'esistenza dei requisiti sanitari necessari per la richiesta di rilascio del contrassegno invalidi, nonché per le agevolazioni fiscali relative ai veicoli previsti per le persone con disabilità;
    l'articolo 4, comma 3, del richiamato decreto-legge n. 5 del 2012 ha autorizzato il Governo ad emanare uno o più regolamenti volti ad individuare gli ulteriori benefici per l'accesso ai quali i verbali delle commissioni mediche integrate attestano l'esistenza dei requisiti sanitari, nonché le modalità per l'aggiornamento delle procedure informatiche e per lo scambio dei dati per via telematica;
    l'articolo 4, comma 4, del richiamato decreto-legge n. 5 del 2012 ha previsto che l'emanazione dei regolamenti di cui al comma 3 avvenga su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e dei Ministri interessati, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della salute, previa intesa con la Conferenza unificata, sentito l'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità;
    la disposizione rappresenta una prima dimostrazione di interesse nei confronti dei sovraccarichi amministrativi cui sono indubbiamente sottoposte le persone con disabilità nel richiedere il riconoscimento del proprio status o per accedere a diritti, benefici o agevolazioni che il legislatore ha previsto negli anni;
    in realtà, il decreto-legge influisce in modo ancora molto marginale in un ambito in cui le sovrapposizioni, le disomogeneità definitorie, le ridondanze sono immense e verosimilmente non risolvibili solo con interventi di semplificazione, ma con una profonda riforma dell'intero comparto. I sovraccarichi, inoltre, non sono solo per il cittadino. Se, a ben vedere, si rilevassero i costi sostenuti dalla pubblica amministrazione per controlli, valutazioni e verifiche, sarebbero evidenti gli enormi sprechi e la sottrazione di risorse alla ordinaria gestione delle attività sanitarie e sociali;
    inoltre, l'allegato al decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 2013 «Adozione del programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità» prevede al capitolo 3 («linea di intervento 1») l'obiettivo di «riformare il sistema di valutazione-accertamento della condizione di disabilità e il sistema di accesso alle politiche, interventi, servizi e prestazioni...»;
    infine, che i regolamenti previsti dall'articolo 4, comma 3, del decreto-legge n. 5 del 2012, a tutt'oggi non sono stati emanati,

impegna il Governo:

   ad adottare con urgenza i regolamenti previsti dall'articolo 4, comma 3, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, al fine di operare una vera semplificazione dei sovraccarichi amministrativi cui sono indubbiamente sottoposte le persone con disabilità nel richiedere il riconoscimento del proprio status o per accedere a diritti, benefici o agevolazioni che il Legislatore ha previsto negli anni;
   a dare piena e concreta attuazione al capitolo 3, linea di intervento 1, «Revisione del sistema di accesso, riconoscimento-certificazione della condizione di disabilità e modello di intervento del sistema socio-sanitario» dell'allegato al decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 2013 recante adozione del programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità, semplificando il processo di accertamento del riconoscimento della disabilità con i relativi diritti benefici e agevolazioni previsti dalla normativa nazionale.
(1-00351) «Biondelli, Albanella, Amoddio, Argentin, Arlotti, Bargero, Baruffi, Basso, Braga, Capone, Carnevali, Carra, Coccia, D'Incecco, Marco Di Maio, Fanucci, Fossati, Ginato, Gozi, Grassi, Iori, Lenzi, Manzi, Mattiello, Miotto, Mongiello, Patriarca, Rubinato, Sbrollini, Terrosi, Zampa, Zanin».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VII e XII,
   premesso che:
    è stato denunciato dal segretario nazionale Codacons che l'11 per cento degli italiani rinuncia alle cure mediche perché non ha le possibilità economiche, e nel caso delle visite odontoiatriche la percentuale sale al 23 per cento;
    in Sicilia la situazione è peggiore. Chi non può permettersi un medico privato, si rivolge alla sanità pubblica, settore dove però le liste d'attesa sono spesso lunghissime, al punto da spingere un numero crescente di utenti a rinunciare alle cure;
    emblematico è quanto accaduto a Gaetana Priolo, una ragazza di 18 anni che viveva nel quartiere Brancaccio, zona molto difficile di Palermo, morta perché troppo povera per curarsi un'infezione grave generata da un ascesso;
    nel nostro Paese è molto diffusa la vulnerabilità sociale, ovverosia quella condizione di svantaggio sociale ed economico, correlata di norma a condizioni di marginalità ed esclusione sociale, che impedisce di fatto l'accesso alle cure odontoiatriche oltre che per una scarsa sensibilità ai problemi di prevenzione e cura dei propri denti, anche e soprattutto per gli elevati costi da sostenere presso le strutture odontoiatriche private;
    l'elevato costo delle cure presso i privati, unica alternativa oggi per la grande maggioranza della popolazione, è motivo di ridotto accesso alle cure stesse anche per le famiglie a reddito medio – basso ovvero quelle che sono nella soglia della povertà assoluta o relativa come registrata annualmente dall'Istat; ciò, di fatto, limita l'accesso alle cure odontoiatriche di ampie fasce di popolazione o impone elevati sacrifici economici qualora siano indispensabili determinati interventi;
    la Calabria ed il Sud Italia restano le regioni più povere, dove il 57 per cento delle famiglie con figli sono costrette a rinunciare ad esami clinici ed altre visite mediche;
    secondo un rapporto INPS, ISTAT e Ministero del lavoro e delle politiche sociali, i poveri in senso assoluto sono raddoppiati dal 2005, e molte più donne meridionali costrette a rinunciare a varie cure come quella molto importante dei denti;
    la cura dei denti è indispensabile per la digestione, l'aspetto psicologico, l'aspetto fisico, la sfera sentimentale e sessuale ed ad oggi in Italia viene considerato un lusso che purtroppo i meno abbienti non possono permettersi;
    la legislazione in tema di ticket sanitari è in aperto contrasto con l'articolo 53 della Costituzione secondo cui ogni tipo di imposizione tributaria deve essere informata a criteri di progressività;
    è in crescita la discesa delle famiglie verso la povertà, con la crisi economica è peggiorato sia il reddito che la ricchezza, registrando un calo molto forte, pari rispettivamente al 7,3 per cento e al 6,9 per cento;
    i poveri sono ormai sempre di più, ed in questo vivono un disagio maggiore le famiglie numerose con figli, soprattutto se minori, e residenti nel Mezzogiorno. Una famiglia su tre è relativamente povera e una su cinque lo è in senso assoluto;
    il contrasto alla povertà si attua anche con le buone pratiche e con proposte innovative tra le quali si può annoverare il progetto dell'indirizzo socio sanitario per odontotecnici dell'istituto di istruzione secondaria superiore «Gaetano Curcio» di Ispica, in provincia di Ragusa, che, avendo rinnovato la dotazione laboratoriale utilizzando i finanziamenti, nell'ambito del Programma Operativo Regionale FSE Sicilia, sta avviando un progetto denominato «Diamo un sorriso» che propone, con la necessaria collaborazione con l'A.S.P. territoriale, la realizzazione da parte degli studenti di protesi dentali destinate a pazienti indigenti residenti nel territorio;
    questo nuovo percorso formativo all'interno del corso per odontotecnici permetterebbe agli studenti del V anno un'esperienza diretta nella costruzione di un manufatto protesico finalizzato per pazienti indigenti residenti nel territorio, quindi un manufatto non incentrato solo su modelli di studio senza un reale confronto con quanto esiste nella realtà odontoiatrica. L'istituto G. Curcio in tal caso si farebbe carico dei costi di produzione e delle componenti tecnico-pratiche necessarie, proponendo in tal senso un servizio socialmente utile;
    progetti come quelli predisposti dall'istituto G. Curcio rappresentano un'azione positiva che andrebbe sostenuta e generalizzata in quanto servizio socialmente utile sia alla formazione specialistica degli studenti del V anno, che per i soggetti sociali che coinvolgerebbe dando loro un servizio dal quale per motivi meramente economici restano esclusi con pesanti ricadute sociali, personali ed economiche,

impegnano il Governo:

ad avviare, sull'esempio del progetto predisposto dall'istituto G. Curcio di Ispica, uno specifico programma sperimentale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di intesa con il Ministero della salute e le amministrazioni regionali, finalizzato a favorire la riabilitazione protesica dentale gratuita a favore di fasce più deboli della popolazione ottimizzando le risorse tecnico-pratiche già presenti ed elaborando un iter formativo professionale sperimentale per gli studenti evitando di sprecare i lavori svolti negli istituti scolastici, attraverso la produzione da parte dei ragazzi del V anno dell'indirizzo socio sanitario per odontotecnici, durante le ore curriculari, di protesi e manufatti di prova, con la garanzia dell'ottima qualità dei materiali utilizzati per le protesi, previa l'individuazione da parte delle asp territoriali di soggetti bisognosi di protesi e indigenti e l'effettuazione di anamnesi e rilevamento delle impronte la successiva applicazione da parte delle stesse asp delle protesi ultimate.
(7-00278) «Lorefice, D'Uva, Silvia Giordano, Luigi Gallo, Brescia, Simone Valente, Vacca, Mantero, Dall'Osso, Baroni, Cecconi, Marzana, Battelli, Chimienti, Grillo».


   La III Commissione,
   premesso che:
    il 24 febbraio 2014, il Presidente ugandese Yoweri Museveni ha firmato una legge approvata dal Parlamento ugandese il 20 dicembre 2013, che criminalizza drasticamente l'omosessualità;
    tra le varie innovazioni previste da questa legge vi è la previsione dell'ergastolo per gli omosessuali recidivi e della detenzione per chi non denuncia i gay alle autorità, ed inoltre tramite questa normativa diventa reato il solo discutere in pubblico di omosessualità, anche tra i gruppi di attivisti per i diritti civili;
    solo in extremis dal testo è stata esclusa la pena di morte, che invece figurava nelle intenzioni del legislatore quando il progetto di legge fu presentato in Parlamento nel 2010;
    l'omosessualità era già al bando in Uganda per una legge risalente al periodo coloniale che la condannava in quanto «contraria all'ordine naturale»;
    Museveni non aveva sinora promulgato questa legge motivando la scelta con l'affermazione secondo cui, essendo gli omosessuali malati, disapprovava fortemente il loro stile di vita ma non riteneva fosse possibile e giusto criminalizzarlo;
    questa posizione, più che delle motivazioni personali espresse, è stata probabilmente figlia delle pesanti reazioni alla normativa contro omosessuali e lesbiche scatenatesi in tutto il mondo, a partire dal Presidente degli Stati Uniti d'America Barack Obama, che non aveva esitato a definire la legge in questione «odiosa»;
    la settimana scorsa Museveni, tornando sui suoi passi, ha affermato che gli studi di un team di scienziati ugandesi non hanno provato che l'omosessualità sia una condizione genetica, e dopo aver invitato il Governo statunitense ad aiutare i ricercatori locali a stabilire «se veramente ci siano persone che nascono omosessuali» ha annunciato, tramite la sua portavoce Sarah Kagingo, di aver deciso di procedere alla promulgazione della legge;
    i gay in Uganda sono spesso vittime di molestie e minacce di violenza, con le organizzazioni dei diritti umani che hanno denunciato anche stupri «correttivi» ai danni delle lesbiche;
    nel 2011 l'attivista per i diritti degli omosessuali David Kato era stato ucciso nella propria abitazione dopo che un quotidiano aveva pubblicato una lista in cui, tra le altre, comparivano la sua foto e il suo indirizzo di casa sotto l'agghiacciante titolo «Impiccateli»;
    poche ore dopo la firma del presidente Museveni un giornale ugandese, il Red Pepper, ha pubblicato una lista di quelli che ha definito i «200 principali» omosessuali del Paese;
    l'amministrazione statunitense ha reagito annunciando che Washington rivedrà le relazioni con l'Uganda, compresi i programmi di assistenza per il contrasto alla diffusione dell'Aids, avviando una revisione interna delle relazioni con il Governo ugandese in linea con le sue politiche anti-discriminatorie;
    anche molti Paesi europei hanno rapporti di cooperazione con l'Uganda, compresa l'Italia, che è presente in Uganda con azioni di cooperazione internazionale da oltre 40 anni e che ha stipulato con l'Uganda un trattato bilaterale per la protezione degli investimenti;
    i Governi di Norvegia, Svezia e Danimarca hanno deciso di sospendere gli aiuti allo sviluppo destinati all'Uganda, mentre il Governo inglese ha deciso di non farlo motivando la sua scelta con il fatto di non avere più cooperazione diretta con il Governo ugandese;
    in passato vi furono accese polemiche per l'incontro tra il Papa ed una delegazione ugandese in cui era presente la speaker del Parlamento, forte sostenitrice della legge in questione;
    la normativa italiana in tema di protezione umanitaria afferma che va difeso il cittadino straniero che, pur provenendo da un Paese sicuro, possa essere perseguito, non necessariamente in base ad una norma penale, ma comunque in base a disposizioni o atti concreti, oggettivamente individuabili, a causa di mi fatto o comportamento che nel nostro ordinamento non è perseguibile, in quanto non costituisce reato,

impegna il Governo:

   ad avviare un'iniziativa politica e diplomatica con le altre cancellerie dei Paesi membri dell'Unione europea per una possibile revisione delle politiche di cooperazione politica ed economica tra Unione europea, Paesi membri ed Uganda e l'eventuale studio di sanzioni mirate, evitando che le ricadute delle stesse siano sofferte dalla popolazione ugandese e valutandone le possibili conseguenze politiche;
   a garantire, così come da altri Paesi in cui siano previste sanzioni penali concernenti l'orientamento sessuale, immediatamente accoglienza e riconoscimento del diritto d'asilo per i richiedenti Lgbt provenienti dall'Uganda.
(7-00277) «Scotto, Quartapelle Procopio, Locatelli, Scalfarotto, Zan, Fava, Chaouki, Amendola».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    il settore ittico nazionale versa ormai da tempo in grosse difficoltà determinate da una molteplicità di fattori quali la crescente concorrenza internazionale, il continuo depauperamento delle risorse a cui consegue una consistente diminuzione dello sforzo di pesca e una politica comune della pesca che non tiene in giusto conto le peculiarità di ciascuno Stato membro;
    il comparto della pesca rappresenta una componente considerevole del sistema economico italiano in virtù di una estensione costiera di oltre 8.000 chilometri e, nonostante l'incidenza del valore aggiunto prodotto dalle attività della pesca sul valore aggiunto totale abbia un peso variabile a livello regionale, le sue problematiche gravano su molte realtà che fanno della pesca e delle attività ad essa legate il motore del loro sviluppo economico-sociale;
    il decreto-legge 2 marzo 2012 n. 16, convertito con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, all'articolo 3-ter reca una norma di interpretazione autentica del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, in virtù della quale è ricompresa tra i carburanti in regime di esenzione dall'accisa la benzina impiegata per la navigazione nelle acque marine comunitarie, compresa la pesca, ad esclusione delle imbarcazioni private da diporto, e quella utilizzata per la navigazione nelle acque interne, limitatamente al trasporto delle merci, e per il dragaggio di vie navigabili e porti;
    l'esenzione dall'accisa è disposta anche dalla direttiva 2003/96/CE relativa all'armonizzazione delle strutture delle accise sui prodotti energetici che all'articolo 14, paragrafo 1, lettera c), dispone che gli Stati membri esentino dalla tassazione, tra gli altri, «anche i prodotti energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la navigazione nelle acque comunitarie, compresa la pesca, diversa dalla navigazione delle imbarcazioni private da diporto, e l'elettricità prodotta a bordo delle imbarcazioni»;
    ad oggi non è ancora stato disposto alcun provvedimento in materia nonostante l'agevolazione fiscale in parola rappresenti un atto dovuto in mancanza del quale si configura, secondo i firmatari del presente atto, una distorsione della concorrenza, posto che imprese dedite allo stesso tipo di attività si trovano a sostenere costi diversi a seconda del tipo di carburante che utilizzano,

impegna il Governo

ad attuare urgentemente il decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 convertito con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, e disporre l'esenzione dall'accisa per la benzina impiegata per la navigazione nelle acque marine comunitarie, compresa la pesca, ad esclusione delle imbarcazioni private da diporto, e quella utilizzata per la navigazione nelle acque interne, limitatamente al trasporto delle merci, e per il dragaggio di vie navigabili e porti.
(7-00279) «Villarosa, Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, Alberti, Barbanti, Pesco».

 * * *

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AMODDIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 433 del 31 dicembre 1991 e le successive OO. della Presidenza del Consiglio dei ministri, a seguito degli eventi sismici del dicembre del 1990 avvenuti nelle province di Siracusa, Ragusa e Catania, hanno assegnate alle predette province un contributo straordinario di 3870 miliardi di lire;
   la legge n. 228 del 16 luglio 1998 ha disposto interventi di potenziamento operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nelle zone colpite dagli eventi sismici del dicembre 1990;
   per effetto della legge n. 433 del 1991 è stata finanziata, per un importo di euro 4.270.000, la costruzione del nuovo distaccamento dei vigili del fuoco in Augusta;
   l’iter autorizzativo per la costruzione della nuova sede dei vigili del fuoco di Augusta è iniziato nel 2001 e per ultimo si è svolta in data 21 ottobre 2013, per l'approvazione del progetto esecutivo, la conferenza dei servizi tenutasi presso l'ufficio tecnico lavori pubblici del comune di Augusta;
   nel territorio di Augusta, caratterizzato per essere ad elevata sismicità, sorgono insediamenti industriali di tipo complesso, cosiddetti a «Rischio di Incidente Rilevante», di notevole estensione e tali da essere considerati tra i più importanti in Europa;
   è di tutta evidenza l'importanza di un presidio dei vigili del fuoco in Augusta, tanto più, e non solo, a seguito di numerosi incidenti e per ultimo di quello gravissimo verificatosi in data 26 febbraio 2014, per l'incendio divampato intorno alle ore 18:00 a causa dello scoppio di un compressore nell'impianto 500 (idrogeno) di Isab Sud facente parte del polo petrolchimico di Augusta, Priolo e Melilli; fortunatamente l'incidente si è verificato durante un cambio turno, e non ha provocato nessuna vittima ma l'esplosione è stata percepita in tutta la zona limitrofa all'impianto e dai territori di Siracusa, Augusta e Melilli –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell'interno sono a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell'interno intendano assumere iniziative per dare urgente mandato alla prefettura di Siracusa per accelerare l’iter di realizzazione della nuova sede del distaccamento dei vigili del fuoco di Augusta, al fine così di migliorare in maniera significativa, a sicuro vantaggio dei cittadini, la risposta operativa della macchina dei soccorsi in caso di calamità e/o di incidenti industriali rilevanti.
(5-02243)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


   ALLASIA, MATTEO BRAGANTINI e ATTAGUILE. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nella Repubblica Centrafricana è in atto una complessa crisi politico-militare che ha già determinato la scelta del Governo francese di intervenire con un contingente delle proprie Forze Armate allo scopo di ristabilirvi l'ordine e la convivenza civile;
   la grave instabilità e gli scontri armati che hanno contrassegnato la storia recente della Repubblica Centrafricana, in particolare dopo il colpo di Stato realizzato dai ribelli musulmani del Seleka, hanno altresì provocato una grave emergenza umanitaria, le cui dimensioni sono attestate dal fatto che circa un milione di persone — un quarto della popolazione del Paese — ha dovuto abbandonare la propria abitazione;
   in questo contesto difficile, operano dal lontano 1971 i religiosi dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi, che hanno accolto rifugiati, sfollati e perseguitati politici presso le proprie sei missioni — situate a Baoro, Bouar Sant'Elia, Bossentelé, Bouar Yolé e Bozoumnel nel nord-ovest del Paese, oltre che nella capitale Bangui — spesso con al seguito numerosi bambini, salvati in questo modo dai sequestri e, talvolta, da una fine certa;
   il degrado delle condizioni di sicurezza nella Repubblica Centrafricana, dove agiscono ormai milizie di varia estrazione che combattono tra di loro e si accaniscono indistintamente contro la popolazione civile, pone tuttavia il problema di assicurare un'adeguata protezione alle missioni cattoliche dei Carmelitani Scalzi –:
   come il Governo intenda attivarsi presso le autorità della Repubblica Francese, al fine di ottenere un impegno del suo esecutivo nella difesa delle missioni cattoliche centrafricane ed in particolare di quelle gestite dai Carmelitani Scalzi, utilizzando allo scopo anche parte delle unità militari rischierate dalla Francia nel Paese centroafricano. (4-03760)


   PORTA, LA MARCA, GIANNI FARINA, FEDI e GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   tra l'Italia e il Brasile, nel quadro delle relazioni bilaterali di cooperazione culturale, il 23 ottobre 2008 è stato stipulato a Roma un accordo di coproduzione cinematografica volto a regolamentare e ad incentivare lo sviluppo di questa forma di collaborazione in un settore di ampia sensibilità culturale e sociale;
   tale accordo in Brasile è stato già ratificato dal Senato in data 15 dicembre 2010 e successivamente approvato anche dal Parlamento; in Italia, invece, non è stato ancora presentato alle Camere, nonostante siano passati oltre cinque anni dalla sua stipula;
   nel frattempo resta operante il precedente accordo firmato a Roma il 9 novembre 1970 ed entrato in vigore il 4 luglio 1974, vale a dire in un momento ancora lontano dalla sensibile evoluzione nei rapporti tra i due Paesi e dallo sviluppo economico-sociale e culturale intervenuto in particolare nella società brasiliana;
   l'aggiornamento dell'accordo di coproduzione cinematografica del Brasile, oltre a concorrere in generale al miglioramento dei rapporti tra l'Italia e uno dei più importanti e dinamici interlocutori in un'area cruciale come quella dell'America latina, favorirebbe il confronto interculturale e darebbe slancio ad attività destinate ad avere effetti positivi sul piano della produzione immateriale e dell'occupazione;
   esso consentirebbe agli operatori, inoltre, di beneficiare dei vantaggi previsti per i film nazionali da entrambi i Paesi, con ricadute benefiche sul rafforzamento delle attività cinematografiche e dell'indotto ad esse collegato;
   l'obbligo della traduzione in doppia lingua e della sottotitolazione previsto per i film in coproduzione rappresenta, inoltre, un incentivo alla pratica del plurilinguismo in realtà che negli ultimi anni hanno visto un incremento della presenza dei rispettivi cittadini nell'altro Paese –:
   quali siano le ragioni della mancata presentazione alle Camere del disegno di legge per la ratifica dell'accordo di coproduzione cinematografica a circa sei anni dalla stipula e quali siano i tempi prevedibili perché lo stesso accordo possa diventare operante a beneficio di entrambi i Paesi e degli operatori di un settore importante come quello cinematografico. (4-03761)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   il parco nazionale dello Stelvio è uno dei più antichi parchi naturali italiani. È nato allo scopo di tutelare la flora, la fauna e le bellezze del paesaggio del gruppo montuoso Ortles-Cevedale e di promuovere lo sviluppo di un turismo sostenibile nelle vallate alpine della Lombardia, del Trentino e dell'Alto Adige-Südtirol. Si tratta di un'area ambientalmente omogenea per la quale, al di là dei confini amministrativi, è stato ritenuto necessario appunto prevedere una tutela omogenea;
   il parco si estende sul territorio di 24 comuni e di 4 province ed è a diretto contatto a nord con il parco nazionale Svizzero, a sud con il Parco naturale provinciale Adamello-Brenta e con il Parco regionale dell'Adamello: tutti questi parchi, insieme, costituiscono una vastissima area protetta nel cuore delle Alpi, per quasi 400.000 ettari;
   oltre che essere un'area di grande importanza per il mantenimento del delicato eco-sistema alpino, il Parco rappresenta anche un'opportunità di marketing per un turismo responsabile e per la promozione di prodotti e tradizioni locali, tutta a favore delle località insediate nelle vallate del parco;
   fino a oggi, almeno sulla carta, il Parco nazionale dello Stelvio è stato amministrato da un Consorzio costituito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, provincia di Bolzano, provincia di Trento e regione Lombardia. Il consorzio, nato nel 1993 e mai veramente operativo, è costituito da tre comitati di gestione (Bolzano, Trento e Lombardia) cui sono state già delegate numerose funzioni operative. Il vecchio consorzio aveva al suo vertice un consiglio direttivo in cui oltre al presidente e ai rappresentanti dei tre comitati di gestione, delle due province autonome e della regione Lombardia, vedeva anche la qualificata presenza di tre rappresentanti delle associazioni ambientaliste, una per territorio, e di due persone esperte in campo scientifico designate d'intesa tra diverse istituzioni di ricerca botanica e zoologica, comprese le università presenti nelle province in cui ricade il parco;
   purtroppo da anni il parco è de-finanziato e di fatto «paralizzato», anche in seguito al mancato rinnovo degli organi collegiali scaduti da parecchio tempo: il Consiglio direttivo dal 26 dicembre 2010; il comitato di gestione della provincia di Bolzano dal 12 marzo 2011; il comitato di gestione della provincia di Trento dal 16 luglio 2011 ; il comitato di gestione della regione Lombardia dal 3 ottobre 2012;
   da anni si discute di dare una nuova organizzazione al parco, tramite una sua «provincializzazione». Nel settembre 2009 la «Commissione dei 12» (l'organismo paritetico che regolamenta i rapporti tra lo Stato e le Province di Trento e Bolzano) elaborò una prima norma di attuazione allo statuto di autonomia per la regione Trentino-Alto Adige che prevedeva il passaggio della gestione del parco agli enti interessati, cioè Lombardia, provincia autonoma di Trento e provincia autonoma di Bolzano. Tuttavia, nel marzo del 2011 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non convalidò la norma, che fu dunque di nuovo rinviata alla Commissione dei 12. Nel frattempo, per effetto degli accordi Stato-province autonome, è stato deciso (e ribadito anche nella legge di stabilità 2014) che le due province autonome si assumano l'onere di finanziare l'operatività del Parco (anche per la sua parte lombarda) come loro concorso al riequilibrio della finanza pubblica;
   la suddetta «Commissione dei 12» sta dunque lavorando a una norma di attuazione che sostituisca l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 279 del 1974 in materia di funzioni esercitate dalle province di Trento e Bolzano, sul parco dello Stelvio, Secondo la bozza attualmente in discussione, il nuovo articolo sarà composto di 8 commi: il comma 1 trasferisce la competenza sul Parco alle province autonome, pur precisando che ad esso «sarà conservata una configurazione unitaria»; il comma 2 prevede che con legge provinciale le due province possano modificare i confini del Parco, previa consultazione dell'altra provincia e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; il comma 3 prevede che siano le province a disciplinare con propria legge «le forme e i modi di specifica tutela» nel territorio di propria competenza, «in armonia con le finalità e i principi dell'ordinamento giuridico nazionale in tema di aree protette»; per favorire l'omogeneità delle discipline le province devono ricercare intese tra loro – intese comunque limitate dalle competenze garantite loro dagli articoli 4 e 8 dello statuto: il comma 4 prevede che «la configurazione unitaria del Parco è assicurata mediante la costituzione di un apposito comitato di coordinamento con funzioni di programmazione ed indirizzo», così composto: 4 persone che rappresentano la provincia di Bolzano, di Trento, la Lombardia e il Ministero, più altre tre persone che rappresentano i comuni dei tre territori (in pratica 7 persone, tutte rappresentanti le amministrazioni, e nessuno che rappresenti le ragioni dell'ambiente e della scienza, come era nel vecchio consorzio); il comma 5 prevede che le funzioni amministrative siano esercitate: dai tre enti territoriali; il comma 6 prevede la messa a carico degli oneri finanziari alle due province; il comma 7 prevede la soppressione del vecchio consorzio del parco; il comma 8 trasferisce il personale agli enti gestori di Trento, Bolzano e Lombardia, garantendo le posizioni giuridico-economiche acquisite;
   diverse associazioni ambientaliste hanno sottolineato il pericolo che il parco perda la sua connotazione unitaria, che si affermino sistemi di tutela differenziati a seconda degli orientamenti politici delle diverse amministrazioni, con gravi rischi per la conservazione dell'habitat naturale che è invece unico ed omogeneo;
   peraltro si sottolinea anche la volontà di mantenere «la configurazione unitaria del Parco», e questo è scritto anche nella norma in discussione. Tuttavia il «coordinamento» previsto appare uno strumento troppo debole per garantire a pieno tale unitarietà, in esso non è rappresentata più né la voce di chi difende la natura, né quella della comunità scientifica e infine non si dice se e come il Parco verrà dotato di un «Piano» e un «regolamento» unitari che sono gli strumenti a cui in ogni parco vengono incardinati le tutele e i programmi di sviluppo;
   altro punto critico è il fatto che nella elaborazione di tale norma, non risulta essere mai stato coinvolto il consiglio provinciale di Bolzano né il mondo ambientalista e scientifico. Trasparenza e partecipazione sono invece un presupposto indispensabile per decisioni di questa portata –:
   se non si ritenga indispensabile – anche attraverso i rappresentanti del Governo all'interno della suddetta Commissione dei dodici – attivarsi al fine:
    a) di rafforzare il carattere unitario del parco dello Stelvio, sottolineando nella norma l'importanza di una pianificazione unitaria e precisando le procedure di adozione (e/o modifica) di un piano e di un regolamento del parco unitari e ancorati a criteri scientifici, definendo con precisione anche l'organismo che è competente per l'adozione di tali strumenti e prevedendo le necessarie intese con le Province autonome, nel rispetto delle competenze sul territorio loro garantite dallo Statuto di autonomia;
    b) di prevedere che all'interno dell'organismo che adotta il piano e il regolamento del parco sia prevista la presenza di rappresentanti delle associazioni di protezione ambientale più rappresentative in ciascuno dei tre territori, così come previsto dalla legge quadro n. 394 del 1991 sulle aree protette, e di una adeguata presenza di rappresentanti della comunità scientifica, su designazione degli enti culturali e di ricerca tra cui le università presenti nelle province e nella regione interessate dal parco;
    c) di garantire nella pianificazione e gestione del parco forme concrete ed efficaci di partecipazione democratica della popolazione interessata;
    d) a prevedere, in prospettiva, un allargamento degli orizzonti del Parco dello Stelvio, da Parco nazionale a Parco transfrontaliera, vista la stretta vicinanza del Parco con altre aree protette quali il Parco Nazionale Svizzero, il Parco naturale provinciale Adamello-Brenta e il Parco regionale dell'Adamello.
(2-00424) «Kronbichler, Lacquaniti, Franco Bordo, Daniele Farina».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AMODDIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 febbraio 2014 poco dopo le ore 18,00 si è verificato uno scoppio seguito da un incendio negli impianti della raffineria Isab Sud, nella zona industriale di Priolo;
   secondo le prime informazioni riportate dalla stampa l'incendio, sarebbe stato preceduto da un «boato», ed avrebbe interessato una parte dell'impianto destinato alla lavorazione delle benzine;
   l'entità dello scoppio è stato tale si è addirittura temuto in un primo momento persino una scossa di terremoto;
   allo stato non è dato sapere se siano state liberate nell'aria sostanze tossiche;
   i video dell'accaduto sono presenti nella rete internet e fanno comprendere le dimensioni dell'evento; l'impianto è collocato all'interno del Petrolchimico di Priolo rispetto al quale, l'interrogante ha già presentato altra interrogazione, ad oggi priva di risposta, e nella quale si faceva riferimento ad un evento del 18 maggio 2013, ovvero ad una nube di smog industriale proveniente dal polo petrolchimico di Priolo che aveva avvolto l'abitato dei comune di Melilli costringendo la popolazione a trincerarsi a casa e mettendo in allarme la protezione civile; il polo industriale di Priolo-Augusta-Melilli nonostante i cambiamenti societari e le promesse di investimento sulla sicurezza degli impianti e dei lavoratori rimane un sito ad altissimo rischio. L'interrogante ha già presentato tre interrogazioni parlamentari che spronavano il Governo ad intervenire e fare chiarezza sulle tante questioni irrisolte del polo petrolchimico, prima fa tutte la questione delle bonifiche del sito SIN. Oltre agli eventi del 18 maggio 2013 e del 26 febbraio 2014 il territorio dei comuni sopra menzionati è stato interessato da rilevanti e persistenti eventi che hanno provocato odori nauseabondi provenienti dall'area industriale di Priolo che nel corso degli ultimi mesi hanno raggiunto livelli inaccettabili ed è stato presentato un esposto da centinaia di cittadini alla procura della Repubblica di Siracusa –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se e quali urgenti iniziative abbia intrapreso o intenda intraprendere il Ministro per garantire la fiducia e la salute dei cittadini, e dirette a fronteggiare la gravissima criticità sanitaria e ambientale delle aree esposte in premessa. (5-02239)

Interrogazioni a risposta scritta:


   QUARANTA e ZAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la centrale Tirreno Power di Vado Ligure è costituita da un'unità a ciclo combinato di taglia pari a 800 megawatt, che utilizza due turbogas alimentati esclusivamente a gas naturale, e da due unità a carbone da 330 megawatt cadauna;
   sono previsti una ristrutturazione e un ampliamento dell'impianto che durerà undici anni. In particolare si prevede la ristrutturazione dei due gruppi a carbone e la realizzazione di un nuovo gruppo da 460 megawatt;
   la regione Liguria e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno dato il via libera per l'ampliamento della centrale Tirreno Power;
    il procuratore Capo della Repubblica Francantonio Granero ha aperto due fascicoli, uno per disastro ambientale in cui sono indagati tre manager dell'azienda e uno per omicidio colposo a carico di ignoti;
   al centro delle indagini c’è una perizia che prende in esame le ricadute sulla salute pubblica. Come si apprende da fonti giornalistiche (la Repubblica edizione Savona) «La consulenza si sviluppa attraverso due modelli, uno matematico dell'università di Genova che tiene conto, tra i vari fattori, di venti ed emissioni, mentre il secondo è basato sull'indagine sul campo effettuata con 40 stazioni di biomonitoraggio realizzate con licheni, che hanno avuto due periodi di raccolta dati di 4 mesi ciascuno. I risultati variano a seconda del modello di riferimento che riguarda una popolazione di 153 mila residenti in venti comuni rivieraschi. Sono 350 i bambini ricoverati per patologie respiratorie o per asma. I ricoveri degli adulti sono 1700 (1.200 per il biomonitoraggio); i decessi degli adulti per problemi cardiaci 250 (340); i decessi degli adulti per patologie respiratorie 100 (90). I dati Asl dei ricoveri coprono il periodo 2005-2010, quelli dei decessi non sono aggiornati e quindi si va dal 2000 al 2007»;
   nel frattempo Tirreno Power ha fortemente ridotto la sua produzione a causa della crisi. Sono in corso incontri tra il nuovo direttore generale Massimiliano Salvi e le parti sociali –:
   se il Ministro sia a conoscenza della perizia ha acquisito la perizia predisposta dalla magistratura e se, nel dettaglio, dei dati in essa contenuti;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per rivedere l'autorizzazione di ampliamento della centrale di Vado Ligure alla luce degli allarmanti dati sanitari emersi nella perizia della magistratura. (4-03756)


   CHIARELLI e PELILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   lo smaltimento del relitto della motonave Concordia, pur rientrando nell'esclusiva competenza della società armatrice, assume un particolare valore sociale, sia per quanto riguarda l'impatto ambientale, che tale rilevante attività comporta, sia per le significative ricadute di natura economica;
   la delibera del Consiglio dei ministri dell'11 marzo 2013, ha definito la nave come «rifiuto» e pertanto assoggettato alla direttiva 2008/98/Ue e al regolamento (Ce) n. 1013 del 2006. Queste norme, in sostanza, impongono che il rifiuto venga gestito «nel rispetto dei principi di vicinanza e prossimità». Stando così le cose, pronto anche solo un porto italiano, l'opzione estera non è normativamente percorribile;
   definito quanto sopra, sul piano tecnico è acclarato che le condizioni operative più compatibili con la attività di smaltimento sono quelle di un porto che sia prossimo ad uno stabilimento siderurgico;
   allo stato i due porti più compatibili risultano essere quelli di Piombino e quello di Taranto;
   entrambi i territori sono caratterizzati da una crisi economica ed occupazionale di particolare gravità;
   sul piano dimensionale e dello stato dei fatti il porto di Taranto, nell'insieme complessivo di struttura portuale e stabilimento siderurgico, risulta pronto a svolgere la attività di smaltimento della motonave Concordia;
   la città di Taranto è stata individuata come sito di rilevanza nazionale e fatta oggetto di diversi provvedimenti normativi orientati a sostenerne il rilancio economico –:
   se il Governo non intenda istituire un tavolo di confronto con i soggetti deputati alla assegnazione dell'appalto, al fine di meglio definire il perimetro normativo entro il quale l'attività dovrà svolgersi e valutare ogni possibile percorso utile a indirizzare, compatibilmente con i vincoli di natura ambientale ed economica, la scelta del sito destinato a svolgere lo smaltimento. (4-03762)


   BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il diritto alla tutela della salute è garantito dalla Costituzione e non può essere oggetto di discriminazione territoriale a nessun titolo;
   nonostante le emissioni inquinanti siano diminuite in tutta Europa, l'ultimo rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente (Aea) sulla qualità dell'aria in Europa mette alcune città italiane tra cui Padova in cima alla lista delle città più inquinate;
   in gran parte delle regioni italiane sono previste drastiche riduzioni delle sedi dei dipartimenti provinciali delle agenzie di prevenzione dell'ambiente e del relativo personale con conseguente peggioramento della qualità dei controlli;
   dopo l'emanazione della legge n. 61 del 1994, è stato fatto poco per riconoscere al sistema agenziale il giusto ruolo centrale sul controllo ambientale (basti dire che ancora oggi, a tanti anni dall'istituzione delle prime agenzie di protezione ambientale, è opinione diffusa nella popolazione che i controlli ambientali siano effettuati dai carabinieri, dalla Guardia di finanza, dal Corpo forestale dello Stato); le agenzie operano insieme ad altri organi necessari per un controllo capillare del territorio e la cui integrazione nel contesto dei controlli ambientali è certamente insostituibile sia in fase preventiva sia in fase repressiva in ausilio ed in sinergia con i tecnici delle Arpa;
   sussiste una scarsa presenza sul territorio delle Arpa in parte attribuibile ad organici inadeguati delle medesime ed all'espletamento di attività secondarie rispetto al loro preminente compito di tutela dell'ambiente di cui certamente il monitoraggio ed il controllo costituiscono una parte fondamentale. L'ultimo importantissimo atto dei passati Governi il cosiddetto testo unico ambientale (decreto legislativo n. 152 del 2006) cita il sistema agenziale e le Arpa non più di cinque sei volte e non per ribadire la loro specificità nel campo della tutela ambientale. Infatti, tranne che per il riutilizzo delle terre e rocce da scavo dove, nel caso in cui non sia prevista la valutazione d'impatto ambientale, è prescritto il parere dell'Arpa territorialmente competente, le Arpa non sono esplicitamente chiamate in causa né nella fase di rilascio delle autorizzazioni, né nella fase del controllo, in quanto entrambe queste fasi sono giustamente messe in capo alle autorità competenti le quali però possono decidere autonomamente di avvalersi o meno delle Arpa –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra descritto;
   se il Ministro interrogato, alla luce delle considerazioni svolte, non ritenga opportuno assumere iniziative normative, al fine di fornire, pur nel rispetto delle autonomie regionali, idonei strumenti e, ove necessario, garantire adeguatezza dei controlli. (4-03770)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante, nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-02232 pubblicata in allegato al resoconto della seduta n. 101 di lunedì 21 ottobre 2013, alla quale a tutt'oggi non è stata purtroppo data risposta, ha già diffusamente descritto la situazione che si verifica nell'acerrano, che viene costantemente denunciata da due cittadini meritoriamente impegnati in una costante opera di denuncia e sensibilizzazione dell'opinione pubblica rispetto alla contaminazione ambientale di quel territorio;
   i medesimi Alessandro Cannavacciuolo e Antonio Montesarchio hanno trasmesso all'interrogante le circostanziate denunce presentate dagli stessi il 18 febbraio in pari data presso la legione dei carabinieri e il commissariato di pubblica sicurezza di Acerra circa operazioni di movimento di terra in località Tappia del comune di Acerra in un terreno di proprietà del signor Nicola Roberto Russo. Tali attività sarebbero svolte dalla società «A.T.R.» di proprietà dei fratelli Pellini;
   agli stessi Cannavacciuolo e Montesarchio erano giunte segnalazioni anonime secondo le quali dai terreni rimossi fuoriuscivano varie tipologie di rifiuti quale plastica, materiale ferroso, laterizi. Sempre secondo le medesime denunce, era possibile notare nell'area dei cumuli di terreno, con tutta probabilità accumulati in attesa di essere rimossi, i quali presentavano uno strano color rame, solitamente corrispondente alla presenza di scorie. I due cittadini, una volta localizzato il terreno (40o56'57.99” Nord – 14o20'52.94” Est), segnalavano il tutto alla polizia municipale, che interveniva sul posto, senza tuttavia riscontrare nulla di anomalo;
   analoga segnalazione sarebbe avvenuta nei confronti del commissariato di pubblica sicurezza, i cui uomini avrebbero provveduto a sequestrare il sito e a dissequestrarlo nel giro di poche ore non riscontrando particolari anomalie;
   successivamente, poiché nonostante le segnalazioni in forma orale alle autorità di pubblica sicurezza la situazione seguitava a destare sospetti, i signori Cannavacciuolo e Montesarchio in data 18 febbraio hanno sporto le sopracitate denunce, chiedendo in particolare una analisi di caratterizzazione del sito e la contestuale sospensione dei lavori in attesa dei risultati delle richieste analisi;
   a proposito di tali circostanze, occorre precisare che i denuncianti hanno ricevuto segnalazioni dalla cittadinanza, secondo cui negli ultimi anni nel citato terreno sarebbero stati scaricati rifiuti di ogni genere;
   tale situazione sarebbe stata oggetto anche del servizio di apertura nell'edizione di sabato 22 febbraio del notiziario del telegiornale regionale della Campania in onda su Rai Tre;
   nella mattinata del 26 febbraio 2014, il signor Alessandro Cannavacciuolo ha rinvenuto una ogiva, probabilmente di un proiettile di pistola, sull'uscio dell'esercizio commerciale di proprietà della sorella Maddalena (in Acerra, ove lui presta la sua attività lavorativa), presentando regolare denunzia al commissariato di pubblica sicurezza –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra illustrati e se non ritengano doveroso accertare quali materiali siano stati sversati, disponendo le verifiche di competenza, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, per chiarire la situazione;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per tutelare i signori Cannavacciuolo e Montesarchio la cui incolumità è messa in pericolo a causa della loro meritoria ed encomiabile attività di denuncia dello scempio ambientale che quotidianamente si compie nell'area dell'acerrano. (4-03771)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AMODDIO, IACONO, ZAPPULLA e PICCOLI NARDELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 agosto 2013 la prima firmataria del presente atto presentava l'interrogazione n. 5-00898;
   nella citata interrogazione premetteva che l'Istituto nazionale del dramma antico è una fondazione culturale, celebre per l'organizzazione del ciclo di rappresentazioni classiche presso il teatro greco di Siracusa il cui centenario dell'avvio degli spettacoli classici cadrà nel 2014;
   la ricorrenza del centenario rappresenta per la fondazione Inda un momento di consacrazione quale istituzione divenuta a pieno titolo «patrimonio dell'umanità»;
   il legislatore nel 1998 individuò nel sindaco del comune di Siracusa il presidente della fondazione e la sede operativa a Siracusa, proprio nell'ottica di legare indissolubilmente la fondazione al territorio del comune di Siracusa; lo statuto della Fondazione Inda stabilisce che il consiglio di amministrazione è composto da 8 membri;
   il comma 5 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, prevede la riduzione dei componenti del consiglio di amministrazione di tutti gli organismi di diritto pubblico, comprese le fondazioni;
   nel mese di febbraio 2013 è scaduto il mandato del consiglio di amministrazione della fondazione Inda;
   la fondazione Inda ha deliberato la riduzione del numero dei consiglieri di amministrazione nei limiti previsti dalla legge citata;
   per espressa previsione statutaria l'efficacia della modifica dello statuto necessita dell'approvazione del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze ed il Ministro della funzione pubblica;
   con decreto ministeriale dell'11 aprile 2013 il dottore Alessandro Giacchetti è stato nominato commissario straordinario della fondazione Inda;
   il dottore Giacchetti al momento della nomina era anche commissario straordinario del comune di Siracusa e quindi facente funzioni di sindaco del comune di Siracusa;
   si sono svolte le elezioni amministrative del comune di Siracusa e nel mese di giugno del 2013 è stato proclamato eletto sindaco il signor Giancarlo Garozzo; erano decorsi oltre 4 mesi dalla nomina del commissario straordinario ed il Ministro interrogato non aveva ancora provveduto ad approvare le modifiche statutarie che sono necessarie per nominare e ricostituire il consiglio di amministrazione; il dottore Giacchetti oltre ad assumere nella qualità di commissario straordinario le funzioni del presidente della fondazione, ha anche quelle del consiglio di amministrazione e quindi del consigliere delegato, e del soprintendente della fondazione;
   alla data dell'interrogazione la permanenza in carica del dottore Alessandro Giacchetti non trovava alcuna giustificazione atteso che:
    a) il sindaco era stato eletto;
    b) il decorso del tempo per procedere alla nomina del consiglio di amministrazione non dipende dalla volontà o dall'inerzia dell'amministrazione comunale o della fondazione, bensì dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   lo statuto della fondazione Inda prevede espressamente che la carica di presidente spetta di diritto al sindaco di Siracusa;
   erano venute meno con la proclamazione del sindaco le ragioni della nomina del dottore Alessandro Giacchetti quanto meno in sostituzione del sindaco;
   nell'interrogazione precedente si chiedeva se il Ministro fosse a conoscenza di quanto esposto nelle premesse, se il Ministro intendeva approvare con sollecitudine le modifiche statutarie adottate dal consiglio di amministrazione della fondazione Inda e procedere ad avviare il procedimento per nominare i componenti del consiglio di amministrazione e se il Ministro intendeva revocare senza indugio il decreto datato 11 aprile 2013, quanto meno nella parte in cui nominava il commissario straordinario nella persona del dottore Alessandro Giacchetti, anziché del sindaco del comune di Siracusa;
   nella seduta del 9 gennaio 2014 nella commissione competente il Ministro rispondeva: «la nomina del prefetto Giacchetti, già commissario straordinario del comune di Siracusa e già presidente pro-tempore della fondazione stessa, è stata limitata al 31 dicembre 2013 e, comunque, non oltre la ricostituzione del consiglio di amministrazione della fondazione. Nel momento in cui verrà ricostituito il consiglio di amministrazione, il sindaco di Siracusa sarà, ope legis, il presidente della fondazione.» ...Vorrei poi rassicurare l'Onorevole interrogante sul fatto che l'obiettivo primario del Ministro Bray è quello di consentire all'Inda di avere, nel più breve tempo possibile, un consiglio d'amministrazione operativo e completo nella sua composizione ordinaria... La proposta di modifica statutaria coerente con gli obblighi derivati, in applicazione dell'articolo 6 comma 5 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 (in materia di composizione dei Consigli di amministrazione) ha già ottenuto il parere favorevole del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, per il concerto previsto dall'articolo 2, comma 1 del decreto legislativo n. 20/1998, in modo da poter poi subito procedere alle nomine del consiglio di amministrazione... Da ultimo, anticipo il fatto che, a breve, il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto, su proposta del Ministro Bray, istituirà il Comitato nazionale per le celebrazioni dell'Inda composto da diversi ministri e dal sindaco di Siracusa ed affiancato da un Alto consiglio scientifico che vedrà la presenza di illustri uomini e donne della cultura italiana»;
   con l'ordine del giorno 9/01628/016 presentato dall'interrogante ed accolto dal Governo, la Camera impegnava il Governo a valutare l'opportunità di reperire, in sede di approvazione della legge di stabilità, risorse adeguate a promuovere e sostenere il dramma antico in occasione delle celebrazioni del centenario di costituzione dell'Istituto nazionale del dramma antico (INDA);
   con decreto del 21 dicembre 2013 il Presidente del Consiglio dei ministri ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il «Comitato promotore per le celebrazioni del centenario dell'Inda», cui è demandato il compito di promuovere, valorizzare e diffondere in Italia e all'estero l'attività posta in essere nei 100 anni dell'istituto nazionale del dramma antico attraverso un adeguato programma di celebrazioni e di manifestazioni culturali, che si avvale di un «Alto consiglio scientifico» che formula gli indirizzi generali per le iniziative celebrative del centenario dell'Inda;
   nonostante le rassicurazioni del Ministro, ad oggi il commissario straordinario è stato prorogato;
   per quanto risulta all'interrogante il «Comitato promotore per le celebrazioni del centenario dell'Inda» e l'Alto consiglio scientifico non hanno svolto alcuna attività –:
   se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo intende finalmente provvedere alla ricostituzione del consiglio di amministrazione della Fondazione Inda;
   se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo intende assumere iniziative affinché il «Comitato promotore per le celebrazioni del centenario dell'Inda» e l'Alto consiglio scientifico avviino con celerità il compito di promuovere, valorizzare e diffondere in Italia e all'estero l'attività posta in essere nei 100 anni dell'Istituto nazionale del dramma antico attraverso un adeguato programma di celebrazioni e di manifestazioni culturali. (5-02246)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO, MARCON, DURANTI e FAVA. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   uno studio portato avanti dall'istituto di ricerche internazionali «Archivio Disarmo» sul commercio di armi in Africa mostra un quadro complesso ed inquietante;
   si parla di un mercato clandestino incontrollabile, legato soprattutto alle armi leggere, della mancanza di fiducia tra eserciti regolari e governanti e dell'assenza di un apparato legislativo capace di regolarne il commercio;
   i Paesi africani non sono tra i primi acquirenti in questo mastodontico commercio, ma per un intero continente ricchissimo di potenzialità e tra i più affamati in assoluto, il traffico d'armi è uno dei settori più seguiti dai singoli Paesi per quanto riguarda le importazioni;
   secondo le fonti del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) le spese militari in Africa nel 2012 risultano relativamente modeste rispetto a quelle di aree del mondo: si registra un incremento del 7,8 per cento rispetto al 2011 nel Nord Africa, mentre nell'area subsahariana per la prima volta si assiste a una riduzione del 3,2 per cento, con Uganda (che ha completato i suoi programmi di acquisizione di armamenti) e Sud Sudan (per problemi finanziari legati alla chiusura dell'oleodotto di Port Sudan) come maggiori importatori della zona;
   il Sipri, però, tiene conto esclusivamente dei maggiori sistemi d'arma (aerei, carri armati, missili), senza prendere in considerazione le cosiddette armi leggere (pistole, fucili, mitra, mitragliatrici, bazooka, mine, bombe a mano, munizioni), nuove o acquistate sul mercato dell'usato e impiegate sia da forze armate regolari che da gruppi ribelli;
   Egitto, Algeria, Libia e Sudafrica e Etiopia da soli totalizzano oltre la metà della spesa militare africana, risultando tra i migliori acquirenti dei sistemi d'arma più sofisticati, mentre la restante parte del continente sconta gravi deficienze in termini di equipaggiamenti, automezzi, addestramento e comunicazioni;
   l'esiguità del personale militare (in Mali vi sono 46 militari ogni 100.000 abitanti ed in Nigeria 48, mentre in altre zone la cifra cresce esponenzialmente, come in Senegal, dove ve ne sono 105 ogni 100.000 abitanti, in Ciad, dove la cifra raggiunge i 155, ed in Algeria, che vanta uno dei più numerosi eserciti africani, con addirittura 408 militari ogni 100.000) si riflette negativamente sulla capacità di molti Paesi a controllare le proprie frontiere;
   ad esempio nel caso del Mali, che condivide 6.500 chilometri di confine con 7 Stati, la carenza di personale è stata tra le cause principali che hanno favorito la circolazione incontrollata e l'insediamento di svariati gruppi di criminali dediti al contrabbando, al traffico di droga e armi leggere e ai sequestri a scopo di riscatto;
   altro aspetto di criticità tale da rendere impossibile la stabilità dei Paesi africani è costituito dai sospetti di abusi di potere o di colpi di Stato da parte degli eserciti sulle autorità delle singole nazioni, con i rapporti tra Governi e forze militari caratterizzati da estrema diffidenza, poiché il timore è che il rafforzamento di questi ultimi possa rappresentare una minaccia alla sicurezza interna e alle istituzioni, anziché una risorsa;
   il Trattato internazionale sul commercio di armi del 2013, l'ATT, non è ancora entrato in vigore, e quindi la mancanza di un adeguato complesso legislativo che determini le regole sul commercio di armi rende l'Africa una regione ancora debole e sottomessa a quelle nazioni che l'hanno dominata fino ad un secolo fa, insieme con i nuovi poteri dell'Oriente;
   in questo contesto, infatti, Russia, Cina e Stati Uniti d'America sono i principali esportatori di armi, con le loro multinazionali che perpetrano una politica colonialista in una terra già devastata dalla sua storia;
   il tutto si complica ulteriormente nell'incontrollato mercato d'armi leggere, dove la Convenzione Ecowas (Economic Community of West African States) è l'unico trattato sulle armi leggere veramente vincolante per i firmatari, perché prevede un meccanismo sanzionatorio in caso di violazione delle sue norme;
   ciò spiega l'estrema pericolosità dei traffici transfrontalieri, che sfuggono al controllo delle istituzioni;
   al loro arrivo in Africa le armi vengono vendute come merce comune dalle multinazionali, che stipulano contratti di compravendita in un libero scambio che solo in un secondo tempo diviene ingestibile ed irregolare;
   le armi trafficate in modo illegale e clandestino vengono, dunque, solo inizialmente vendute attraverso contratti ufficiali e regolari;
   i fatti narrati sono riportati anche nell'articolo «L'Africa spende 34 miliardi in un anno per comprare armi da Russia, Cina e Stati Uniti» pubblicato dall'edizione online de La Repubblica il 25 febbraio 2014 –:
   se l'Italia sia coinvolta in questo mercato di armi e con quale ruolo;
   se i Ministri non ritengano opportuno, per quanto di competenza, mettere in atto tutti i meccanismi di controllo per evitare che, alla fine del ciclo, queste armi vengano utilizzate contro i nostri soldati, magari inviati in missioni di peacekeeping, come già successo in Iraq. (4-03748)


   DELLA VALLE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   the Hague Centre for Strategic Studies (HCSS) è un rinomato centro studi internazionale, specializzato nell'analisi delle politiche della sicurezza e della difesa;
   recentemente l'HCSS ha pubblicato uno studio relativo alla considerazione dei diritti delle persone LGBT nell'ambito dei Corpi militari di oltre cento Paesi, nonché alla loro integrazione negli stessi, sulla base di 19 parametri raggruppati in cinque categorie: inclusione, ammissione, tolleranza, esclusione e persecuzione;
   in tale studio l'Italia è valutata quasi ultima in Europa, appena prima di Bosnia-Erzegovina, Grecia, Bulgaria e Serbia ma a notevole distanza da Gran Bretagna, Olanda, Francia, Spagna;
   il non lusinghiero giudizio, con tutta probabilità, potrebbe essere dovuto anche al fatto che in Italia vige tuttora una preclusione normativa all'arruolamento delle persone LGBT: infatti l'articolo 582, comma 1, lettera r) punto 4 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, numero 90, prevede i «disturbi nell'identità di genere» tra le patologie elencate nelle cause psichiatriche di esclusione, nonostante fin dal 1990 l'Organizzazione mondiale della sanità abbia depennato l'omosessualità dall'elenco delle malattie mentali;
   in un comunicato stampa del 15 ottobre 2009, tuttora visibile sul sito internet del Partito Democratico, si legge: «Pinotti: “Gay nell'esercito senza se e ma”». «Subito dopo la Finanziaria il Pd presenterà una mozione che chiede di modificare il regolamento della Difesa del 2005 nel quale, tra le cause che possono qualificare i soldati come “non idonei” a svolgere la loro attività, viene menzionata l'omosessualità come disturbo dell'identità di genere qualora essa provochi problemi a rapportarsi con gli altri». Lo annuncia Roberta Pinotti, responsabile nazionale Difesa del Pd, in un'intervista pubblicata dal Secolo XIX, che sottolinea come spera che «questa iniziativa del Pd possa trovare il sostegno di altri partiti dell'opposizione e di parti significative della maggioranza». «All'interno della direttiva tecnica contenuta in un decreto della Difesa del 2005 – spiega il Ministro del Pd – si indicano le cause che possono qualificare i soldati come “non idonei” a svolgere la loro attività e tra queste si menzionano i disturbi dell'identità di genere, specificando che l'omosessualità rientra in questa categoria nel momento in cui essa provoca problemi a rapportarsi con gli altri. Non si tratta di una preclusione sostanziale alla carriera militare, e questo è un elemento positivo che fa sì che l'Italia non sia «indietrissimo». Ma si tratta pur sempre di una norma che limita l'idoneità e che può indurre a un'ampia discrezionalità. In altre parole, il problema è, se gli omosessuali possono dichiararsi tali e, qualora lo facciano, se possono essere ritenuti non idonei. È vero, sembrerebbe di no in base alla normativa, ma è altrettanto vero che comprendendo l'omosessualità all'interno dei disturbi dell'identità di genere, nel momento in cui qualcuno la manifesta, viene il dubbio che possano sorgere delle difficoltà nel proseguimento della propria carriera. La nostra proposta promuove un cambiamento culturale, attraverso l'eliminazione di un elemento di ambiguità che aiuterebbe molti gay a esprimere in piena tranquillità la propria identità, senza pensare che l'omosessualità possa essere motivo di carriera meno brillante o di mancato prestigio. Le effettive capacità di un soldato non vanno certo valutate sulla base del proprio orientamento sessuale. Tra l'altro – conclude Roberta Pinotti – la via della dichiarazione esplicita di omosessualità è anche quella su cui si stanno muovendo gli Stati Uniti, mentre Regno Unito e Svezia in questo senso viaggiano un passo avanti perché già prevedono una normativa tesa a non ostacolare in alcun modo la carriera militare dei gay»;
   il 3 dicembre 2009 risulta presentata al Senato la mozione numero 1-00211, prima firmataria senatrice Pinotti, con la quale si impegna il Governo all'eliminazione di ogni riferimento all'omosessualità come fenomeno collegato a possibili disturbi psichici o di tipo relazionale o sociale o comunque come causa di inidoneità al servizio e alla carriera militare –:
   se il Ministro consideri la norma in questione tuttora discriminatoria nei confronti delle persone LGBT e se non ritenga quindi opportuno assumere iniziative per eliminarla. (4-03759)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   con le assemblee fissate nel mese di maggio 2014 dovranno essere rinnovati gli organi sociali di molte aziende direttamente e indirettamente partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze. Per effetto di ciò tale Ministero dovrà presentare le liste degli amministratori di propria competenza entro il 13 aprile 2014;
   fra le società i cui organi amministrativi e di controllo sono in scadenza alcune (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa; ARCUS; Istituto Luce - Cinecittà; Italia Lavoro; SOGIN; SOSE e Studiare Sviluppo) che appaiono all'interpellante perfettamente inutili e improduttive; le loro funzioni, in un processo di logica razionalizzazione delle competenze, ottimizzazione dei processi decisionali e contenimento delle spese, potrebbero essere attribuite a esistenti strutture ministeriali;
   le attenzioni e l'interesse della politica si appuntano maggiormente su quelle aziende, i cui business e bilanci si fondano spesso su tariffe interamente a carico dei cittadini utenti e consumatori, che rappresentano un pezzo importante dell'economia nazionale quali Eni, Enel, Terna, Poste Italiane e Gestore dei servizi energetici (GSE) (quest'ultimo, in realtà, rinnova solo il collegio sindacale dopo che con un «blitz» di metà luglio 2012 il consiglio di amministrazione è stato ridotto a tre membri per consentire il raddoppio della carica al presidente-amministratore delegato, Nando Pasquali, già membro della segreteria del Ministro forzista dell'industria Antonio Marzano);
   debbono rinnovare il proprio consiglio di amministrazione anche aziende considerate «strategiche» come Finmeccanica e STMicroelettronics nonché realtà come il Coni, la CONSAP, l'ENAV e l'istituto Poligrafico dello Stato, meno visibili ma a giudizio dell'interpellante veri e propri centri di potere e di interesse;
   sui media è quotidianamente e diffusamente descritto l'avvincente gioco di società denominato «carica alle poltrone», poltrone il cui numero è imprecisato – si sfida il Ministro interrogato a conoscerlo precisamente – a causa del proliferare perverso di controllate da parte delle società di Stato. A tal proposito, solo a titolo esemplificativo, si ricorda che Eni nomina a sua volta i vertici di Saipem, Versalis e Syndial; Enel quelli di Enel Green Power, Enel Distribuzione, Enel Produzione e un'altra mezza dozzina di partecipate; Terna quelli di Terna Rete Italia e Terna Plus; Finmeccanica quelli di Alenia Aeronautica, Thales Alenia Space, Telespazio, Selex Sistemi Integrati, AnsaldoBreda e Oto Melara; Poste Italiane quelli di Poste Energia, Poste Vita, Poste Assicurazione, Mistral Air e altri;
   si evidenzia che nel 2011 i due super manager che guidano Eni ed Enel hanno visto aumentare notevolmente i loro già elevatissimi stipendi. Paolo Scaroni, l'anno scorso ha ricevuto compensi per un totale di oltre 5,8 milioni, il 30 per cento in più del 2010. Il suo collega Fulvio Conti, amministratore delegato dell'azienda elettrica, ha invece percepito 4,37 milioni, con un balzo del 40 per cento circa rispetto a quanto, dedotte alcune voci di competenza dell'anno precedente, gli era stato accordato nel 2010;
   ciò conferma che nulla cambia visti i risultati aziendali e i numeri di bilancio a cui, almeno in teoria, dovrebbe essere legati i compensi di dirigenti e amministratori. L'Eni, nel 2011 ha chiuso un bilancio con utili in aumento. La crescita dei profitti però si è fermata al 9 per cento, quindi di gran lunga inferiore all'incremento in busta paga del numero uno Scaroni. All'Enel è andata ancora peggio. Il gruppo guidato da Conti si è messo alle spalle un esercizio non esattamente brillante, con profitti in calo del 5 per cento. Utili in calo quindi, al contrario dei compensi dell'amministratore delegato Conti saliti del 40 per cento e di quelli del gruppo di dirigenti di vertice, pure questi in netto aumento;
   inoltre Finmeccanica è sotto gli occhi di tutti che stia disperatamente cercando di vendere i propri gioielli per far quadrare i conti; Terna ha un cash flow elevato (derivante dalle tariffe di trasporto dell'energia elettrica probabilmente troppo alte) che non investe come dovrebbe in nuove infrastrutture e, per finire, Poste Italiane mette i propri fondi in Alitalia di fatto assecondando alcune spinte politiche;
   nonostante queste performance non proprio esaltanti nelle aziende pubbliche stazionano più o meno da un decennio gli stessi top manager (Scaroni all'Eni da nove anni più tre passati all'Enel; Conti nove anni all'Enel; Sarmi dodici anni alle Poste; Cattaneo nove anni a Terna più tre passati alla Rai). L'unica eccezione è rappresentata da Finmeccanica dove gli attuali vertici, l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro e Alessandro Pansa, sono stati nominati lo scorso anno ma solo perché hanno preso il posto di Guarguaglini e Orsi entrambi finiti, insieme ad altri dirigenti del gruppo di Piazza Monte Grappa, nel mirino della magistratura;
   alcuni degli attuali manager pubblici sono stati o sono oggetto di procedimenti penali. È il caso dell'amministratore delegato del «cane a sei zampe», Scaroni, che ha alle spalle un patteggiamento per tangenti versate al partito socialista italiano all'epoca di Tangentopoli. Scaroni attualmente è indagato per corruzione internazionale in relazione a presunte tangenti pagate a esponenti governativi algerini ed è imputato per disastro ambientale, insieme a Fulvio Conti, amministratore delegato dell'Enel, per l'inquinamento incontrollato prodotto dalla centrale elettrica di Porto Tolle. È il caso dell'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato imputato per il disastro ferroviario accaduto a Viareggio;
   nell'ambito dell'inchiesta così detta P4 condotta dalla procura della Repubblica di Napoli che ha visto coinvolto il faccendiere Luigi Bisignani, sono emerse inquietanti relazioni fra lo stesso Bisignani e gli attuali vertici di molte aziende pubbliche (Masi di CONSIP, Mazzei del Poligrafico dello Stato, Moretti delle Ferrovie dello Stato e l'onnipresente Scaroni che, dalle numerosissime intercettazioni pubblicate dai media, sembra si consigliasse spessissimo al telefono con «l'uomo che sussurra – e non solo – ai potenti»). In realtà la rete di relazioni all'interno delle aziende pubbliche del Bisignani, sempre da quanto emerso dalle indiscrezioni giornalistiche all'epoca della citata inchiesta, appare avviluppare anche molti altri dirigenti pubblici;
   il 24 giugno 2013 è stata emanata la direttiva n. 14656 del Ministro dell'economia e delle finanze che, nella versione finale, in ordine all'adozione di criteri e modalità per la nomina degli organi di amministrazione delle società controllate dal Ministero, rafforza i requisiti di onorabilità e di professionalità richiesti agli amministratori e individua le tappe di un processo trasparente e oggettivo di valutazione di tali requisiti, preliminare alla designazione dei candidati da parte del Ministro, nell'ambito delle sue funzioni di indirizzo politico-amministrativo;
   tale direttiva non contempla un limite ai mandati e all'età degli amministratori e non impedisce ad avviso dell'interpellante alla folta schiera dei politici non rieletti di aspirare a un posto di primo piano. Inoltre, la parte della direttiva dove si parla della ineleggibilità legata a fatti giudiziari appare all'interpellante così elastica da non poter creare preoccupazioni in quei manager come ad esempio Scaroni e tanti altri;
   sempre il 24 giugno 2013 il Ministro pro tempore Saccomanni con decreto ha istituito il comitato di garanzia per le nomine (presidente Cesare Mirabelli e membri Vincenzo Desario e Maria Teresa Salvemini);
   a tale comitato risultano pervenuti nei mesi scorsi, da parte delle incaricate società di head hunters Spencer Stuart e Korn Ferry i curriculum vitae dei potenziali candidati all'assunzione dei ruoli di presidente, amministratore delegato e consigliere di amministrazione delle società controllate dallo Stato;
   la ventata «innovatrice» che attraversa la politica italiana lascia sperare che qualche boiardo possa finalmente essere lasciato a godere della meritata pensione;
   è opportuno che il Parlamento venga informato delle decisioni assunte dal Governo in materia di nomine pubbliche prima che le stesse vengano rese note attraverso la pubblicazione delle liste sui giornali –:
   se sia intenzione del Governo assumere ogni utile iniziativa, anche normativa, al fine di:
    a) sospendere le nomine in quelle società definite in premessa inutili e improduttive e le cui funzioni, in un processo di logica razionalizzazione delle competenze, ottimizzazione dei processi decisionali e contenimento delle spese, potrebbero essere attribuite a esistenti strutture ministeriali;
    b) fornire chiarimenti sullo stato di avanzamento della selezione dei manager pubblici e anticipare al Parlamento le decisioni assunte dal Governo in materia di nomine pubbliche;
    c) applicare strettamente i criteri, soprattutto quelli di onorabilità, di competenza e di professionalità, previsti dalla direttiva 24 giugno 2013 per la scelta dei manager pubblici, prevederne ulteriori come il limite ai mandati, e l'età degli amministratori e impedire alla folta schiera di politici non rieletti di essere nominati nelle società pubbliche.
(2-00425) «Vallascas».

Interrogazione a risposta scritta:


   DELLA VALLE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Corte dei conti ha quantificato in circa 130 miliardi di euro l'evasione fiscale in Italia, collocandosi pertanto al primo posto tra i Paesi europei; la legge n. 189 del 1959 prevede che il primo compito del Corpo della guardia di finanza sia quello di prevenire, ricercare e denunziare le evasioni e le violazioni finanziarie; il decreto legislativo n. 68 del 2001 nell'adeguare i compiti del Corpo, ha previsto che la Guardia di finanza è forza di polizia ad ordinamento militare con competenza generale in materia economica e finanziaria, e che assolve le funzioni di polizia economica e finanziaria a tutela del bilancio pubblico; il 16 luglio 2013, nel corso di un'audizione alla Commissione finanze della Camera dei deputati sull'operatività della Guardia di finanza, l'attuale comandante generale, Saverio Capolupo, ha affermato che la lotta all'evasione fiscale costituisce, da sempre, la prioritaria missione istituzionale del Corpo; nel corso della medesima audizione, il generale Capolupo illustrò anche come «...la Guardia di finanza ha avviato un programma di progressivo rinnovamento organizzativo, avuto riguardo all'esigenza di proseguire nell'azione di contenimento della spesa pubblica e di efficientamento strutturale della pubblica amministrazione. Ciò anche in funzione della recente ulteriore contrazione dei flussi reclutativi che, di fatto, comporterà un significativo rallentamento nel processo di ripianamento delle consistenze organiche»; nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4, si legge «...Da un confronto effettuato lo scorso anno con le amministrazioni fiscali della Francia e del Regno Unito – amministrazioni notoriamente considerate molto efficienti e che operano in Paesi di dimensioni demografiche ed economiche comparabili con l'Italia – è emerso che il rapporto fra il numero dei contribuenti e gli addetti alle attività specifiche dell'Agenzia delle entrate (per omogeneità di raffronto è stata inclusa fra gli addetti a tali attività anche la quota parte del personale della Guardia di finanza – stimata in 10.000 unità – destinata a compiti di controllo fiscale) è attualmente assai più alto nel caso dell'Italia: 960 contribuenti per addetto, a fronte di 599 per la Francia e 478 per il Regno Unito...»; poiché attualmente il personale della Guardia di finanza ha una consistenza di circa 60 mila unità, ne deriva che solamente un finanziere su sei è impiegato in compiti di controllo fiscale; tra i compiti affidati al personale del Corpo vi sono anche il concorso al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica, la lotta al traffico di stupefacenti, la vigilanza aerea e marittima, nonché la partecipazione a missioni internazionali in collaborazione con lo Stato maggiore della difesa –:
   quanti siano e come siano impiegati i militari del Corpo della guardia di finanza che non svolgono attività di controllo fiscale o che sono impiegati in attività di supporto;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per impiegare il personale della Guardia di finanza esclusivamente nella lotta all'evasione fiscale tralasciando tutte le altre funzioni operative non prioritarie o di supporto. (4-03758)

GIUSTIZIA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   è nota la situazione di grave emergenza che interessa gli istituti di pena italiani in termini di sovraffollamento e di carenza di organici;
   il decreto 146 del 2003 di recente convertito in legge non affronta in modo strutturale la problematica ed interviene in modo molto marginale, potendosi applicare la nuova norma esclusivamente ai detenuti che scontano una pena definitiva;
   si rileva in particolare uno squilibrio nelle dotazioni organiche che vede penalizzati soprattutto gli istituti di pena allocati al Sud;
   il carcere di Taranto, che ha funzione di casa circondariale, dall'interpellante conosciuto in modo diretto per propria attività professionale, e di recente visitato in veste istituzionale, presenta numerose carenze che riguardano le condizioni generali di manutenzione della struttura ed in particolare la dotazione organica;
   l'organico in base a quanto previsto dal decreto ministeriale del 2001 prevede 357 unità di polizia penitenziaria;
   in data 25 febbraio 2014 presso il provveditorato regionale di Bari si è tenuto l'incontro tra i sindacati, il provveditore ed il direttore di Taranto in cui è stata esposta una tabella da cui si evince che il numero di personale effettivo presso il carcere di Taranto è 299, compreso il comandante e tolto l'UEPE che è di competenza provveditoriale, a fronte di un numero previsto in una proposta dal Ministero di 403 e del provveditore di 340;
   con questi numeri si vuole anche aprire un nuovo padiglione indipendente, per 48 detenuti a regime di sorveglianza remota, con problemi logistici con solo l'unità recuperate dagli uffici già sommersi di lavoro –:
   se ritenga di sospendere l'apertura del nuovo padiglione al fine di evitare il rischio di determinare situazioni di possibile grave pericolo, nelle more di un necessario approfondimento della intera materia;
   se ritenga di intervenire in direzione di un ormai inderogabile adeguamento della pianta organica, acquisendo come dato il numero di 42 (quarantadue) unità necessarie per raggiungere il livello minimo di dotazione.
(2-00426) «Chiarelli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TULLO e VAZIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   risulterebbe agli interroganti che il 12 febbraio 2014 si sia tenuta presso il Ministero della giustizia, una riunione propedeutica alla definizione di un decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, che prevede una riorganizzazione dello stesso Ministero e del dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria;
   tra gli indirizzi da assumere, vi sarebbe quello di sopprimere 4 provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria tra quali quello della Liguria (PRAP), che sarebbe accorpato con quello del Piemonte;
   tale misura appare immotivata e contraddittoria con la grave situazione carceraria del nostro Paese;
   per quanto riguarda la Liguria il Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria di Genova fa riferimento a sette strutture carcerarie (Sanremo, Imperia, Savona, Genova Pontedecimo, Genova Marassi, Chiavari, La Spezia) nelle quali sono detenute circa 2000 persone e nelle quali lavorano centinaia di poliziotti e operatori penitenziari;
   la creazione di unico provveditorato per Piemonte, Liguria, e Valle d'Aosta rischia di compromettere tra l'altro quanto previsto dall'ordinamento penitenziario in materia di territorialità della pena, rendendo possibile trasferimenti ordinari allentando rapporti con le famiglie, a cui hanno lavorato in questi anni gli istituti e le varie realtà sociali e di volontariato;
   il superamento del Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria di Genova rischia di compromettere e destabilizzare un sistema di sicurezza e di presidio territoriale della legalità a livello regionale costruito con anni di esperienza di cui fanno parte le carceri, i reparti, i nuclei delle traduzioni e dei piantonamenti e le centrali operative regionali della polizia penitenziaria;
   nel corso del solo anno 2013, il personale di polizia penitenziaria ha movimentato circa 9000 detenuti presso altre sedi penitenziarie e aule di giustizia, circa 14000 sono quelli transitati nelle carceri liguri, circa 2400 detenuti sono stati interessati da misure alternative; nel corso dell'anno ci sono stati 371 atti di autolesionismo e 46 tentativi di suicidio –:
   se corrisponde al vero l'intenzione di sopprimere 4 provveditorati regionali dell'amministrazione penitenziaria tra i quali quello della Liguria;
   se non si ritenga di ripensare questa scelta che rischia, in una situazione carceraria già fortemente messa alla prova per il noto sovraffollamento, di creare ulteriori disagi ai detenuti e alle loro famiglie, al personale della polizia penitenziaria e a tutto il sistema. (5-02244)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   una importante novità introdotta dal decreto legislativo n. 154 del 2013, relativo alle separazioni, concerne l'ascolto del minore, che diventa obbligatorio per il giudice. Mentre in precedenza, infatti, le vecchie disposizioni lasciavano ampio margine di discrezionalità sul punto, oggi il nuovo articolo 336-bis del codice civile prevede come il minore che abbia compiuto 12 anni (ma anche di età inferiore se capace di discernimento) sia ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali debbano essere assunti provvedimenti che lo riguardano. Lo stesso tenore imperativo relativamente a tale obbligo è contenuto anche nel precedente articolo 336 codice civile;
   l'intento della disposizione è certamente quello di porre fine alla discrezionalità del giudice in una attività fondamentale del processo familiare quale è l'ascolto della parte più debole del processo, quella cioè sulla quale spesso ricadono gli effetti di decisioni prese da altri. Prima di tale normativa la discrezionalità al riguardo era moltissima, tanto da costringere la Corte di Cassazione a pronunciarsi in direzione dell'obbligatorietà dell'ascolto;
   ulteriore elemento di novità è rappresentato dalla totale riscrittura dell'articolo 317-bis del codice civile, che prevede oggi un diritto diretto dei nonni di adire il Tribunale per i minorenni in caso in cui sia agli stessi impedito di mantenere con i nipoti rapporti relazionali significativi. Anche tale novità appare rivoluzionaria se si considera che, precedentemente, l'ascendente era privo di legittimazione diretta ad agire, dovendo ritagliare il proprio diritto a frequentare i nipoti all'interno di quello paterno/materno. Da ciò derivava che qualora il genitore, per qualsivoglia motivo, non avesse più alcuna relazione con i figli, gli ascendenti del suo ramo genitoriale erano a loro volta privati di tale relazione, senza poter utilizzare nessuno strumento giuridico atto a far cessare la violazione;
   pur con alcune criticità, dunque, il decreto legislativo n. 154 del 2013 compie senz'altro importanti passi verso la tutela dei minori, rafforzandone i diritti all'interno del processo del quale non saranno più semplici spettatori ma potranno diventare, sempre di più, parti attive. Purtroppo restano numerosi i casi in cui i minori vengono utilizzati quali arma di ritorsione verso uno dei due genitori, solitamente i padri;
   esempio emblematico è quello del signor A. M., a favore del quale in data 26 giugno 2012 il tribunale per i minorenni di Roma aveva disposto, in via provvisoria ed urgente, che al minore M. C. fosse corrisposta una terapia psicologica finalizzata alla realizzazione concreta di un riavvicinamento tra padre e figlio in un contesto terapeutico adeguato; il tribunale aveva disposto, altresì, che fosse posta in essere un'adeguata valutazione dei genitori del minore; ad oggi, risulta all'interrogante che a questo provvedimento non sia mai stato dato seguito;
   come riportato dal settimanale Panorama del 19 dicembre 2012 e dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 4 settembre 2013 il padre, A. M., dal momento della separazione, ha avuto enormi difficoltà sia ad incontrare il figlio sia a poterlo sentire al telefono;
   ad oggi risultano esservi ancora molte situazioni irrisolte come quella che interessa il signor A.M. –:
   di quali elementi disponga il Governo sull'attuazione della disciplina in questione, come risultante dalle più recenti modifiche, e in particolare in ordine all'efficacia della stessa, con specifico riferimento alla salvaguardia degli interessi del minore, e quali eventuali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (4-03752)


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 febbraio 2014, si è svolta un'importante assemblea pubblica organizzata dall'Ordine degli avvocati sui problemi della giustizia a Siena;
   in tale assemblea sono emersi i numerosi e gravi problemi che affliggono l'amministrazione della giustizia a Siena, problemi annosi e di recente ulteriormente aggravati dall'accorpamento, presso il tribunale di Siena, del tribunale di Montepulciano e della sezione staccata di Poggibonsi;
   tali problemi riguardano principalmente gli organici gravemente insufficienti per quanto riguarda i magistrati ed il personale amministrativo, gli aspetti legati all'organizzazione, la logistica, le gravi carenze del palazzo di giustizia, alcune delle quali aggravatesi recentemente, gli aspetti legati al trasferimento del tribunale civile e degli uffici del giudice di pace nella nuova sede individuata in via Camollia a Siena;
   tutto questo complesso di problemi, ulteriormente complicati dall'attuale celebrazione a Siena di alcuni processi di rilevanza nazionale che assorbono molto i magistrati presenti, si ripercuotono anche sul lavoro degli avvocati, e soprattutto comportano negative conseguenze per tutti i cittadini, che avrebbero diritto ad una giustizia rapida e certa, e che invece vedono allungare i tempi dei processi in maniera abnorme e sempre crescente;
   il comune di Siena e il Governo, nella persona del Ministro interrogato, hanno il dovere di percorrere tutte le strade possibili per migliorare il servizio ai cittadini –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno convocare, in collaborazione con l'ANCI e con l'amministrazione comunale di Siena, una conferenza di servizi fra tutti i comuni che gravitano sul distretto del tribunale di Siena, quindi attualmente anche di quelli dell'area di Montepulciano e dell'area di Poggibonsi, affinché tutti questi enti contribuiscano alle spese di manutenzione e funzionamento del palazzo attuale, o, in prospettiva, dei palazzi di giustizia di Siena, se necessario anche proponendo una nuova norma di carattere nazionale;
   se non ritenga opportuno attivarsi, per quanto di competenza, per sanare al più presto le gravi carenze nelle piante organiche presso il tribunale di Siena, sia per i magistrati che per il personale amministrativo, e presso la procura della Repubblica di Siena, e trovare le risorse per la non più rimandabile ristrutturazione degli immobili sede dell'amministrazione della giustizia a Siena, sia per quanto riguarda le emergenti carenze strutturali, sia per quanto riguarda la sicurezza;
   se nel frattempo non ritenga opportuno, avvalendosi di tutte le possibilità offerte dalle norme in vigore in tema di mobilità del personale impiegato nella pubblica amministrazione, esaminare l'ipotesi di destinare, anche temporaneamente, presso la cancelleria del tribunale, del personale in esubero, attualmente in forza nella pubblica amministrazione della città di Siena, quale, ad esempio, quello in forza alla stessa amministrazione comunale oppure anche presso l'università degli studi, la provincia o altri enti, intervenendo da un punto di vista finanziario a copertura delle necessarie spese conseguenti. (4-03766)


   SARTI, DE LORENZIS e SCAGLIUSI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel Comune di Lucera (Fg) langue in tema urbanistico una persistente e duratura situazione di incertezza pianificatoria che si concretizza nella presenza di aree di territorio non regolamentate da vigente Prg rimaste prive di destinazione urbanistica;
   tale situazione è dovuta alla decadenza di vincoli espropriativi di piano e alla non riqualificazione di tali aree in proprietà privata;
   su tali aree esistono numerose abitazioni private;
   come conseguenza più grave di tale mancanza di riqualificazione vi è l'impossibilità da parte dei notai di poter rogare in sede di compravendita di immobili;
   tale situazione sarebbe una palese violazione della sentenza della Corte Costituzionale 5 maggio 2003, n. 148;
   numerosissime sono state le segnalazioni e le denunce di tale situazione da parte della cittadinanza del comune di Lucera alla pubblica amministrazione;
   in data 30 dicembre 2008 la Segreteria Generale della Presidenza della Repubblica, messa a conoscenza delle suddette circostanze dal presidente del «Comitato per la ritipizzazione delle zone bianche del Comune di Lucera», signor Francesco Caporicci, a mezzo di diverse raccomandate ed esposti, con sua missiva n. 1114/2006 firmata dal direttore dell'ufficio dottoressa Giovanna Ferri, la quale a sua volta, per conto del segretario generale della Presidenza della Repubblica, rendeva noto di aver sottoposto tale questione al Ministero dell'interno per l'esame e le valutazioni di competenza;
   la stessa dottoressa Ferri con lettera n. 227 del 2005 rendeva noto di aver inoltrato mediante l'ufficio di Segreteria Generale della Presidenza della Repubblica la copia del suddetto esposto del signor Caporicci, in merito alla vicenda in oggetto, alla prefettura di Foggia (competente per territorio) che a sua volta nell'anno 2006 intervenne commissariando il Comune di Lucera;
   nonostante il commissariamento, il comune di Lucera non si determinò mai in merito alla riqualificazione urbanistica;
   a più riprese, sia nel 2005 che nel 2012, la regione Puglia con delibera di giunta n. 1797 e n. 1026, diffidava e di conseguenza imponeva al Comune di Lucera, a pena dell'invio di un commissario ad acta ai sensi dell'articolo 55, comma 3, della legge regionale n. 56 del 1980 della regione Puglia, di operare una variante generale al P.R.G. volta alla riqualificazione delle aree private di cui sopra, entro sessanta giorni;
   allo scadere del termine intimato e nonostante la perdurante inerzia del comune di Lucera, la stessa regione Puglia non inviò il commissario ad acta così come previsto dai su citati sensi di legge;
   contestualmente alle iniziative del «Comitato per la ritipizzazione delle “zone bianche” del Comune di Lucera» altri cittadini intrapresero la strada della giustizia amministrativa, incardinando un ricorso straordinario al Capo dello Stato presentato in data 10 luglio 2003, accolto in data 15 aprile 2009 e che in motivazione si riportava per intero al parere del Consiglio di Stato II sezione nell'adunanza del 21 novembre 2007 n. 2004/11010 il quale pure accoglieva il ricorso degli stessi cittadini sulle medesime doglianze di cui in premessa, posto che l'intimazione di eseguire la variante al P.R.G. imposta dalla giunta della regione Puglia non era stata attuata, immotivatamente, dal comune di Lucera;
   nonostante tutto quanto sin qui esposto, non essendosi il comune di Lucera mai determinato a dare esecuzione a nessuno degli atti autoritativi di cui sopra, il presidente del comitato su citato, signor Francesco Caporicci, in data 1o giugno 2011 presso gli uffici della sezione polizia giudiziaria-Guardia di Finanza della procura di Lucera, sporgeva formale esposto-querela oggetto del quale furono le medesime circostanze sin ora riportate con particolare riguardo all'inottemperanza dell'autorità prefettizia nel periodo del commissariamento comunale e nel quale faceva esplicita richiesta di informazioni sull'esito delle indagini così come previsto dall'articolo 408 del codice di procedura penale;
   ad oggi, trascorsi ormai ben cinque anni, la situazione urbanistica del comune di Lucera non è mutata, anzi, ma ciò che sconcerta è che nessuna notizia in merito all'esito dell'esposto-querela presentato in data 1o giugno 2011 è stata fatta pervenire all'attenzione degli interessati, nonostante ne avessero fatta legittima e vincolante richiesta ai sensi di legge;
   la vicenda brevemente tratteggiata, che ha portato allo sconforto molti cittadini del comune di Lucera, vistisi negare giustizia persino di fronte a sentenze passate in giudicato in secondo grado, è paradigmatica dell'assenza di controllo, non soltanto delle pubbliche amministrazioni istituzionalmente competenti (comune, regione, prefettura, e altro), ma anche dell'autorità giudiziaria penale;
   a dispetto della produzione di esposti e sentenze analiticamente documentate, con le quali sono state segnalate – da parte del già citato «Comitato per la ritipizzazione delle zone bianche del Comune di Lucera» ed anche da altri cittadini – gravi anomalie e fattispecie integranti estremi di reato, la competente autorità giudiziaria, che pure avrebbe potuto e dovuto impedire un così grave e prolungato diniego di giustizia, a distanza di cinque anni, non si è ancora determinata in merito –:
   se intenda esercitare il proprio potere in ordine a tale vicenda, anche disponendo una ispezione mirata ex articolo 7 legge 12 agosto 1962, n. 1311 ultimo comma presso gli uffici giudiziari competenti della Procura di Foggia. (4-03772)

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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GASPARINI e MAURI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sono trascorsi sei anni dall'inizio dei lavori per eliminare i semafori lungo la strada statale 36 (Lecco-Milano) e per connetterla al sistema autostradale. Le opere avrebbero dovuto essere completate, nella loro interezza, nel mese di aprile 2013, poi posticipato al novembre 2013 con le varie perizie suppletive di variante approvate da ANAS stessa. A fronte dell'apertura del tunnel sotto Monza, avvenuta il 30 aprile 2013, è stato riconosciuto da ANAS spa ad Impregilo spa un «premio di acceleramento» pari a 10 milioni di euro. E nulla è stato invece definito per il completamento di tutte le altre opere;
   i cittadini del comune di Cinisello Balsamo residenti nei quartieri Robecco, Cornaggia, Casignolo hanno subito molti danni causati da questi lunghi e complessi lavori che per i loro quartieri non hanno comportato alcun vantaggio ambientale o di servizi;
   più volte l'amministrazione comunale di Cinisello Balsamo e i Comitati di cittadini hanno evidenziato l'urgenza di completare le opere che avevano un'incidenza sul sistema residenziale di questa area, come peraltro previsto dal crono-programma originario, ottenendo tuttavia scarsi risultati;
   ANAS ha più volte dichiarato di voler provvedere, come da accordi, al completamento delle opere pubbliche concordate, ma a tutt'oggi non ha ancora presentato un crono-programma con le nuove tempistiche ipotizzate, così come evidenziato dal Comitato Robecco. Le notizie della ormai prossima fine dei lavori lungo la strada statale 36 stanno creando forti preoccupazioni e tensioni sociali nei Comitati e nella stessa amministrazione comunale, in quanto si teme la mancata realizzazione delle infrastrutture promesse –:
   se intenda intervenire per:
    a) far sì che sia urgentemente promossa la conferenza di servizi presso il provveditore dei lavori pubblici (promessa e concordata da 2 anni) per modificare il progetto esecutivo con le opere di completamento concordate e oggetto di accordi con l'amministrazione comunale;
    b) far rispettare l'accordo condiviso con cittadini, amministrazione comunale e regione Lombardia, per non realizzare l'innesto a raso nella A52 (Rho-Monza);
    c) verificare che ANAS si impegni nella immediata realizzazione delle infrastrutture di interesse cittadino concordate con l'amministrazione e che non ci siano ancora ulteriori ritardi sul completamento dei lavori previsti;
    d) sollecitare l'ANAS affinché siano attuate le altre opere indispensabili riguardanti le aree Casignolo e Robecco, così come da elenco che il Comitato Robecco ha riassunto, opere concordate già da molto tempo. (5-02237)


   GASPARINI e MAURI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la riqualificazione del la strada statale 36 dello Spluga, iniziata negli anni 90, termina il proprio tracciato all'innesto autostradale di Cinisello Balsamo (autostrada Milano Venezia, tangenziale nord, tangenziale ovest);
   il tratto finale del progetto coincideva con parte della strada provinciale SP.5 e pertanto è stato successivamente trasformato in strada statale;
   il tratto di strada provinciale SP.5, non interessato ai lavori di riqualificazione e di collegamento al sistema autostradale, restava di competenza della provincia di Milano stessa;
   il progetto approvato con accordo di programma prevedeva l'impegno a de-semaforizzare anche l'intero tratto di competenza provinciale SP.5; infatti con regione Lombardia, provincia di Milano, comune di Cinisello Balsamo si sottoscrissero precisi accordi di programma che prevedevano:
    a) un primo lotto di lavori che, progettato e realizzato da ANAS spa, contemplava il completamento delle opere di potenziamento della strada statale 36 da Monza a Cinisello Balsamo, trasformando contestualmente un tratto della strada provinciale SP.5 in strada statale 36 per dare continuità alla strada statale che da Colico si doveva innestare al sistema autostradale e delle tangenziali in territorio di Cinisello Balsamo. Il progetto prevedeva che la strada nel territorio Monzese fosse interrate, mentre a Cinisello Balsamo, non essendo tecnicamente possibile interrarla, si erano convenute opere di mitigazione, che però ad oggi, non sono state ancora realizzate;
    b) un secondo lotto di lavori doveva essere realizzato dalla provincia di Milano con il contributo della regione Lombardia e del comune di Cinisello Balsamo;
   a tal fine infatti, il consiglio comunale di Cinisello Balsamo, con deliberazione del consiglio comunale n. 54/1998 ha dato parere favorevole alla realizzazione del primo tratto subordinandolo all'impegno per la riqualificazione dell'intero tracciato della strada provinciale SP.5 (viale Fulvio Testi) al fine di creare migliori condizioni in ingresso a Milano. Quanto sopra con lo scopo soprattutto di evitare che il traffico di incolonnamento, che si sarebbe creato all'altezza del primo semaforo in via Ferri/Partigiani (primo semaforo da Colico), si concentrasse sull'abitato del quartiere Crocetta a Cinisello Balsamo, un quartiere abitato da migliaia di persone;
   la regione Lombardia e la provincia di Milano non hanno rispettato gli impegni presi;
   la situazione ambientale e sociale è sempre più grave perché da una parte aumenta il disagio dei cittadini rispetto a rumore e inquinamento, dall'altro segnala l'incoerenza della pubblica amministrazione che si è impegnata a realizzare precise opere investendo denaro per progetti dedicati, ma che nei fatti nulla ha potuto concretamente attuare in tutti questi anni. Gli interroganti segnalano che molti cittadini si stanno unendo in comitati e stanno chiedendo alle istituzioni di essere coerenti con quanto detto in tutti questi anni;
   la strada provinciale SP.5 (Viale Fulvio Testi) ha una importanza strategica per la viabilità di tutto il nord della regione, e pertanto non è possibile lasciare solo il comune di Cinisello Balsamo perché non può, per ruolo e per risorse, porre rimedio ai ritardi degli altri enti pubblici –:
   se intenda assumere iniziative per:
    a) verificare con tutti i soggetti coinvolti lo stato di attuazione delle opere in corso e la programmazione di quelle necessarie per rispettare gli impegni presi;
    b) classificare l'intero percorso della strada provinciale SP.5 come strada statale;
    c) promuovere un incontro con il sindaco di Cinisello Balsamo e il sindaco di Milano affinché si ricerchi una soluzione nel quadro della futura Città metropolitana. (5-02241)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale n. 131 di collegamento tra il nord e il sud Sardegna rappresenta la più grande vergogna della gestione di opere infrastrutturali in Italia;
   la negligenza sommata a incapacità e latitanza ha provocato e provoca quotidianamente un danno senza precedenti all'economia dell'isola, dei singoli automobilisti, cittadini, imprese, costi gestionali di trasporti e sicurezza stradale inesistente;
   tale situazione vede un cantiere aperto ormai da otto anni senza che un solo metro lineare di strada sia stata realizzato;
   si evince che tale situazione abbia generato un danno economico rilevantissimo che deve essere risarcito al sistema economico della Sardegna dai responsabili di questa vergogna;
   in base ad un'analisi puntuale economico-finanziaria emerge che si è dinanzi a danni per oltre 200 milioni di euro;
   in tal senso si evidenziano i dati base di calcolo per il risarcimento economico che i soggetti responsabili dovrebbero eventualmente corrispondere:
    a)   tratta con rallentamento in seguito ai lavori stradali iniziati e mai completati, lunghezza =23 Km;
    b)  la velocità media attuale di percorrenza =40 Km/h;
    c)  la velocità massima con lavori terminati =110 Km/h;
    d)  costo medio orario lavoratore (compreso contributi) =22 euro/ora;
    e) flussi di traffico: 4755 TGM (traffico giornaliero medio) veicoli leggeri (DATO 2006);
    f) flussi di traffico: 1943 veicoli pesanti giorno (DATO 2006);
    g) occupazione media veicoli: 2 persone/veicolo leggero; 1 persona/veicolo pesante;
   il rallentamento determina una riduzione di velocità pari a 110 – 40 =70 Km/h rapportati al tratto di 23 km comportano una perdita di tempo pari a: 23 Km/70 Km/h = 0,33 h;
   ogni persona che attraversa quel tratto perde 0,33 h della sua giornata a causa del rallentamento. Per cui considerando il traffico giornaliero medio dei veicoli leggeri con 2 persone in ogni veicolo e il traffico giornaliero di mezzi pesanti con 1 sola persona a bordo si ha che giornalmente le ore perse a causa del rallentamento sono: ore perse giornaliere = 0,33 x (4755 x 2 + 1943 x 1) = 3494 ore che considerato il costo medio orario di un lavoratore pari a 22 euro/ora determina una perdita economica giornaliera per la comunità pari a: perdita economica giornaliera = ore perse giornaliere x 22 euro/ora = 3494 x 22 = euro 76.876,14;
   tale perdita economia giornaliera determina in un anno una perdita così calcolabile perdita economica annua = perdita economica giornaliera x 365 giorni = euro 76.876,14 x 365 giorni = euro 28.059.791,10;
   il tratto è rallentato da 8 anni con una perdita complessiva ad oggi di circa: 28 ml euro/anno x 8 anni = 224 milioni di euro;
   si tratta di una cifra che è di gran lunga superiore al costo stesso dell'opera e che a giudizio dell'interrogante non può non portare a un intervento della Corte dei Conti per accertare l'eventuale danno erariale e il risarcimento dovuto alla comunità sarda;
   lo Stato, a giudizio dell'interrogante, deve risarcire la regione Sardegna, intesa come collettività danneggiata, secondo le forme da concordare con la regione Sarda, anche attraverso una riduzione netta delle accise dei carburanti sino al concorso dei 224 milioni di euro a carico dello Stato;
   sono ormai trascorsi otto anni dall'aggiudicazione degli appalti per la realizzazione di due tratti della Carlo Felice e quei cantieri sono ancor oggi una quotidiana via crucis per migliaia di cittadini;
   i tempi di realizzazione sono ormai scaduti da tre anni per il tratto verso Sanluri, mentre i cantieri non sono nemmeno aperti per quello verso Nuraminis;
   la sicurezza dei cantieri, oltre ai disagi sulla strada più importante per la Sardegna, ha superato la soglia massima di rischio;
   sul posto si presentano lavori abbandonati senza alcun tipo di sicurezza, con la carreggiata stradale ridotta a vera e propria mulattiera;
   non sono più procrastinabili un immediato intervento a tutela della sicurezza da parte degli organi competenti e un'indagine ministeriale sulla scandalosa gestione di quell'opera;
   i due cantieri sono stati aggiudicati, come si legge negli atti, rispettivamente il 4 e il 22 febbraio del 2005;
   sono trascorsi 8 anni e quei cantieri sono ancora in condizioni disastrose;
   il tratto verso Sanluri, secondo i cartelli dell'opera, obbligatori per legge sulla carreggiata, si sarebbe dovuto concludere nell'ottobre del 2010;
   i termini contrattuali indicati nel cartello lavori risultano scaduti oltre tre anni fa;
   da una verifica sul cantiere ci si rende conto che i lavori sono tutt'altro che in fase conclusiva e quindi i ritardi saranno ancora più gravi;
   a quanto costa all'interrogante il cantiere è in condizioni di sicurezza precaria sotto ogni punto di vista;
   il tratto da Villagreca a Nuraminis, secondo i cartelli dell'opera, si doveva, invece, concludere, inspiegabilmente, nell'ottobre del 2013, nonostante la prima aggiudicazione sia del febbraio 2005 come l'altro;
   in questo caso, però, i lavori non sono di fatto nemmeno iniziati. Sul cantiere solo qualche picchetto, qualche reticolato in plastica e sommarie piste in terra;
   si tratta di cantieri abbandonati, con pochissimi operai, e in alcuni tratti ormai con un'incuria disarmante;
   la strada statale n. 131 è stata inclusa nel dicembre 2001 su richiesta del presidente della regione Sardegna nella delibera CIPE n. 121 nell'ambito dei «corridoi stradali» della regione Sardegna;
   l'11 ottobre del 2002, era stata sottoscritta l'intesa generale quadro tra Governo e regione Sardegna, che prevede il completamento e l'adeguamento della strada statale n. 131;
   nel 2003 vengono redatti i progetti definitivi di due dei tre lotti che vengono approvati dall'Anas il 25 settembre;
   il 13 gennaio 2004 l'Anas approva il progetto definitivo del 3o lotto con un importo stimato in 133,3 milioni di euro;
   l'Anas pubblica il bando di gara del 1o lotto (dal Km 23+885 al Km 32+412) per l'importo di 20,4 milioni di euro e il bando di gara del 2o lotto (dal Km 32+412 al Km 41+000) per l'importo di 35,5 milioni di euro;
   il 4 febbraio 2005 viene aggiudicato il 1o lotto per 17,152 milioni di euro ed il 22 febbraio il 2o lotto a 29,5 milioni di euro;
   in teoria il 5 dicembre 2007 iniziano i lavori dal Km 32+300 al Km 41+000;
   in data 11 maggio 2010, dopo 5 anni dal primo bando, l'Anas consegna i lavori di ammodernamento e di adeguamento dal km 23+885 al km 32+412 – Nuraminis-Villagreca;
   in base ai dati comunicati dal responsabile unico del procedimento al 31 maggio 2011, si rilevano le seguenti percentuali di avanzamento dei lavori;
    17 per cento per il lotto dal Km 23+885 al km 32+412 – Nuraminis-Villagreca;
    58 per cento per il lotto dal km 32+412 al km 41+000 – Svincolo Villasanta;
   la data di ultimazione per il lotto Nuraminis – Villagreca era fissata al 22 ottobre 2013, abbondantemente sorpassata;
   è indispensabile mettere in campo iniziative urgenti per risolvere la questione;
   occorre promuovere anche attraverso gli organi competenti dello Stato, a partire dalla polizia stradale, una puntuale verifica sul grado di pericolosità di quei cantieri e della stessa segnaletica che appare all'interrogante fuori da qualsiasi norma;
   è urgente che le autorità competenti accertino con urgenza lo stato della sicurezza in quei 23 km, relativi ai due cantieri e si provveda a disporre eventuali prescrizioni –:
   se il Ministro non ritenga di dover intervenire urgentemente presso l'Anas per affrontare e risolvere  quella che all'interrogante appare una scandalosa gestione di questi due cantieri e del completamento dell'intera arteria statale di prima importanza per la Sardegna;
   se non ritenga di dover accertare come sia possibile che interventi per quasi 60 milioni di euro non siano stati conclusi in tempi minimi piuttosto che prolungarsi all'infinito;
   se non ritenga di dover valutare l'eventuale accresciuto costo dei lavori e il danno causato ai singoli automobilisti e fruitori dell'arteria stradale in termini di tempo e costi ai fini delle necessarie segnalazioni alla Corte dei conti per i seguiti di competenza;
   se non ritenga di dover istituire presso il Ministero una commissione d'indagine per capire quali sono le cause reali di questo scandaloso ritardo stabilire a chi siano imputabili;
   se non ritenga di dover chiedere urgenti chiarimenti al presidente dell'Anas sullo stato dei lavori e sulle immediate iniziative che intende attivare per risolvere definitivamente la questione;
   se non intenda assumere iniziative per il commissariamento dell'opera per l'immediata ripresa dei cantieri, facendo ricorso, eventualmente, ad altre imprese concorrenti senza perdere altro tempo con il rischio che tale arteria non sia conclusa nemmeno per la prossima stagione estiva;
   se non intenda disporre l'accantonamento dei 224 milioni di euro per il ristoro dei danni, nell'ambito dei bilanci Anas o dello stesso Ministero, al fine di una puntuale erogazione dei fondi tramite la modalità che dovrà essere definita d'intesa con la regione Sardegna. (4-03764)


   COZZOLINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 gennaio 2014, un deputato inoltrava richiesta scritta alla struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al fine di ottenere copia del testo della convenzione stipulata tra Anas e CAV-concessioni autostradali Venete spa in data 23 ottobre 2010 e del decreto interministeriale n. 408 del 22 novembre 2011 che tale convenzione recepiva;
   in data 17 gennaio 2014, la struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali inviava in copia la nota ufficiale, prot. 0000487-17/01//2014-USCITA, inviata a CAV spa nella quale si informava della pervenuta richiesta da parte dell'interrogante e ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 184 del 2006, si chiedeva il nulla osti all'invio della comunicazione richiesta;
   in data 31 gennaio 2014, la struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali inviava in copia la nota ufficiale, prot. 0001073-31/01/2014, inviata a CAV nella quale comunicava l'avvenuto decorso dei 10 giorni previsti dell'articolo 3, comma 2, in assenza di opposizione da parte di CAV, avrebbe provveduto ad inviare la documentazione richiesta;
   la lettera dell'articolo 3 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 184 del 2006 assegna 10 giorni di tempo ai controinteressati per presentare motivata opposizione alla richiesta di accesso agli atti, la comunicazione del 31 gennaio 2014 accertava che tale periodo era decorso, pur non essendo pervenuta ulteriore comunicazione ufficiale da parte della struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali, ad oggi la documentazione richiesta non è stata ancora inviata;
   a giudizio dell'interrogante la vicenda è da ritenersi di estrema gravità, in primo luogo perché stante la documentazione ufficiale ad oggi sembrerebbe ravvisarsi un mancato rispetto delle procedure previste dal decreto del Presidente della Repubblica n. 184 del 2006, e più in generale della normativa in tema di trasparenza amministrativa, in secondo luogo perché sembra volersi configurare la volontà di negare ad avente titolo la possibilità di prendere visione di un atto pubblico stipulato tra soggetti pubblici quali il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e CAV, società partecipata per metà dalla Regione Veneto e per metà da Anas, e di un decreto ministeriale non pubblicato in Gazzetta Ufficiale che recepisce tale atto –:
   quali misure i ministri interrogati intendano adottare per accertare prontamente, secondo le rispettive competenze, se siano state rispettate le procedure interne al ministero e la normativa vigente di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 184 del 2006;
   quali siano le motivazioni in base alle quali la documentazione richiesta, anche alla luce dei dati riportati in premessa non sia stata consegnata e quali iniziative intendano assumere per una positiva definizione della vicenda. (4-03768)


   PLACIDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la RFI, Rete ferroviaria italiana ha chiesto alla procura di Foggia il dissequestro della linea merci tra Melfi e Foggia, interdetta dopo l'incidente avvenuto il 2 dicembre 2013 a causa del deragliamento di un treno a seguito dell'esondazione del torrente Carapelle nei pressi della stazione di Cervaro. È quanto si è appreso dopo un contatto tra l'assessore alle infrastrutture della regione Basilicata, Aldo Berlinguer, ed il direttore del compartimento territoriale di RFI, Roberto Pagone;
   «La Regione Basilicata porrà in essere ogni necessario adempimento atto a risolvere le problematiche relative alla movimentazione delle merci via ferrovia da San Nicola di Melfi, a seguito dell'interruzione della linea ferroviaria da Melfi a Foggia per il sequestro giudiziario della linea stessa» ha sostenuto Berlinguer. Rete ferroviaria italiana, per parte sua, ha dichiarato che riaprirà la linea Potenza-Foggia entro dieci o 15 giorni dal dissequestro da parte della magistratura –:
   se non ritenga opportuno predisporre tutto quanto è necessario alla immediata riattivazione della funzionalità della tratta ferroviaria all'indomani del provvedimento di dissequestro atteso da parte della magistratura competente, considerata la circostanza che sono trascorsi ormai tre mesi dalla data dell'incidente citato in premessa;
   se non si ritenga necessario accelerare i tempi di avvio degli interventi di messa in sicurezza ed ammodernamento della linea ferroviaria che collega Melfi a Foggia (già previsti nel quadro del contratto istituzionale di sviluppo per la realizzazione della direttrice Napoli-Bari-Lecce-Taranto, licenziato positivamente dalla conferenza di servizi tenutasi recentemente presso il Ministero), al fine di potenziare le attuali capacità di trasporto di persone e merci lungo la tratta, rispondendo alle sollecitazioni pressanti avanzate recentemente da aziende, pendolari e comunità interessate. (4-03769)

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INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIANO, ROSATO, PELUFFO, QUARTAPELLE PROCOPIO, CARRA, MANFREDI, RAMPI, ROBERTA AGOSTINI, INCERTI, MIOTTO, CARNEVALI e BARUFFI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in occasione dell'esposizione universale di Milano 2015 – «Expo Milano 2015» – è stata autorizzata una capacità assunzionale del 55 per cento del turn over per il comparto sicurezza-difesa, in virtù del fatto che un evento di tale dimensione richieda necessariamente un incremento delle forze dell'ordine presenti nella città protagonista della manifestazione, senza che questa concentrazione pregiudichi il livello di sicurezza nelle altre aree del Paese;
   nella legge di stabilità 2014 sono state previste importanti risorse economiche anche per le dotazioni di mezzi e la logistica, e per le strutture e i servizi;
   perché il protocollo «Milano Expo 2015 – Mafie free» e l'incremento di personale delle forze dell'ordine possano essere operativi in tempo utile per l'esposizione che si terrà il prossimo anno, è necessario che gli allievi agenti siano avviati ai corsi entro il mese di aprile di quest'anno;
   a tal proposito, si ricorda che vi sono, ad oggi, diverse graduatorie di merito in corso di validità nelle quali risultano essere disponibili candidati idonei immediatamente arruolabili tra cui: 512 candidati idonei non vincitori, oltre alle seconde aliquote e VFP4 idonei dell'ultimo concorso per l'arruolamento di 964 allievi agenti, bandito lo scorso marzo 2013;
   l'arruolamento di detto personale consentirebbe il rispetto dei tempi necessari all'attuazione del protocollo e garantirebbe un risparmio di spesa per l'amministrazione, rispetto ad altre e diverse soluzioni, in quanto non si renderebbero necessarie le visite mediche di controllo –:
   se l'amministrazione intenda procedere con le assunzioni dei candidati idonei non vincitori, delle seconde aliquote e VFP4 idonei dell'ultimo concorso per l'arruolamento di 964 allievi agenti, bandito nel mese di marzo 2013, al fine di consentire l'impiego di queste nuove forze dell'ordine in occasione dell'esposizione universale «Expo Milano 2015»;
   quali tempi preveda il Ministro per l'avvio ai corsi degli allievi di cui in premessa. (5-02236)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella serata del 25 febbraio 2014 poco prima delle 22,30, presso la città di Crotone è stato registrato un boato in via Ducarne, davanti alla sede dell'associazione Libere donne, a palazzo Caminiti;
   è stato tentato di dare fuoco alla sede dell'associazione Libere Donne. La presenza di un cancello di ferro e il tempestivo intervento dei vigili del fuoco hanno impedito il propagarsi dell'incendio;
   sono scattate immediatamente le indagini ma con ogni probabilità si tratta di una intimidazione ai danni dell'associazione di volontariato che da anni è impegnata in prima linea nell'assistenza alle donne vittime di violenza;
   l'associazione ha aiutato e aiuta tantissime donne in città soprattutto nei quartieri a rischio e nelle aree sociali di maggior disagio;
   si tratta di un episodio grave che non va sottovalutato;
   con la legge 119 del 15 ottobre 2013 l'Italia ha adottato non solo un inasprimento delle pene per quanto riguarda la violenza ai danni delle donne ma anche misure di sostegno nell'azione di prevenzione e presa in carico delle vittime in termini di assistenza e protezione con un ruolo centrale per le associazioni –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare per evitare il ripetersi di simili episodi e per consentire ad una associazione come Libere donne di Crotone di poter svolgere in sicurezza e con tranquillità la propria azione in favore delle donne vittime di violenza. (5-02238)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COZZOLINO, TONINELLI, LIUZZI, DADONE e DIENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta Ufficiale numero 46, del 25 febbraio 2014, è stato pubblicato il decreto ministeriale del 12 febbraio 2014, varato dal Ministro del interno di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, provvedimento che attua l'articolo 6, comma 1, lettere a) e c), del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35;
   l'articolo 1 del decreto ministeriale da attuazione alla disposizione del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, che prescrive l'obbligo di trasmissione per via telematica tra comuni di atti e documenti previsti dal testo unico delle leggi per la disciplina dell'elettorato attivo e per la revisione delle liste elettorali, facendo però decorrere tale obbligo solo a far data dal 1o gennaio 2015;
   considerato che il decreto attuativo è stato adottato con grave ritardo rispetto al termine stabilito dal comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 5 del 2012, appare agli interroganti difficilmente comprensibile la motivazione che ha indotto a prevedere la decorrenza dal 1o gennaio 2015 della vigenza dell'obbligo di trasmissione per via telematica tra comuni di atti e documenti previsti dal testo unico delle leggi per la disciplina dell'elettorato attivo e per la revisione delle liste elettorali, anche in considerazione del fatto che il 27 maggio 2014 si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo –:
   quali siano i motivi che hanno indotto a far decorrere solo dal 1o gennaio 2015 la vigenza del disposto di cui all'articolo 1 del decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione del 12 febbraio 2014. (4-03749)


   MISIANI, SANGA, CARNEVALI e GIUSEPPE GUERINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dagli organi di informazione, il dipartimento della pubblica sicurezza prevederebbe, nel quadro della revisione dei presidi e degli uffici della Polizia sul territorio nazionale, la chiusura del commissariato di Treviglio (Bergamo);
   il commissariato trevigliese è stato aperto nel 1994. Attualmente vi lavorano 38 persone. Nell'organico sono presenti, oltre al dirigente e 5 ispettori e sostituti commissari, 5 sovrintendenti, 22 agenti, 1 operatore tecnico, 4 impiegati civili;
   Treviglio, con quasi trentamila abitanti, è la seconda città della provincia di Bergamo, punto di riferimento di un territorio – la bassa bergamasca – che il 1o luglio vedrà l'apertura della nuova autostrada Bre.be.mi. e, in futuro, della linea ferroviaria ad alta velocità (TAV). Il territorio trevigliese diventerà così, nel giro di pochi anni, un importante crocevia di persone e merci sull'asse Milano-Brescia;
   la provincia di Bergamo è da sempre agli ultimi posti tra le province italiane per la presenza di forze di Polizia in rapporto alla popolazione;
   il territorio bergamasco è stato oggetto, negli ultimi mesi, di una recrudescenza di atti di criminalità che stanno suscitando crescente allarme e preoccupazione nelle comunità locali;
   la scelta di chiudere il Commissariato priverebbe la provincia di Bergamo di un fondamentale presidio a tutela della sicurezza pubblica –:
   se non ritenga opportuno, alla luce di quanto premesso, riconsiderare l'orientamento emerso nell'ambito della stesura del piano di revisione dei presidi di pubblica sicurezza e salvaguardare il commissariato di Treviglio. (4-03755)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in vista dell'Esposizione universale Expo 2015, come anche dichiarato alla stampa dal Ministro interrogato, è stato sbloccato il turnover delle forze dell'ordine, che subirà una deroga del 55 per cento, e sarà necessario procedere a nuove assunzioni al fine incrementarne il numero nella città protagonista della manifestazione, Milano, senza che questa concentrazione pregiudichi il livello di sicurezza nelle altre aree del Paese;
   le unità da assumere, per essere effettivamente disponibili entro la data d'inizio dell'EXPO 2015, dovrebbero iniziare il corso di allievi agenti entro e non oltre aprile 2014 e pare che non sussistano i normali tempi tecnici per avviare una nuova procedura concorsuale, che terminerebbe a fine 2014 e renderebbe operativi i nuovi agenti solo a dicembre 2015;
   una soluzione potrebbe essere quella di assumere immediatamente le 672 unità (160 vincitori in seconda aliquota + 512 idonei non vincitori) dichiarate idonee all'ultima procedura concorsuale per il concorso per 964 allievi agenti della polizia di Stato;
   è di pochi giorni fa la notizia che l'Arma dei carabinieri, mediante decreto dirigenziale, ha avviato una nuova procedura di arruolamento mediante scorrimento degli idonei della graduatoria 2012 per 1886 allievi carabinieri, e in tal modo sono stati assunti non solo i vincitori, ma anche 48 idonei non vincitori, ovvero tutti i restanti idonei presenti in graduatoria e pertanto la stessa è stata esaurita;
   tale decreto cita testualmente: «RAVVISATA l'esigenza di disporre, con immediatezza, di XXX Allievi Carabinieri, senza dover attendere i tempi tecnici richiesti per portare a termine una nuova procedura di reclutamento mediante il bando di un concorso pubblico. TENUTO CONTO dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa e della necessità di contenere i costi gravanti sull'amministrazione per la gestione delle procedure di reclutamento»;
   la proposta sopra evidenziata permetterebbe l'immediata assunzione degli interessati evitando, per la recentissima idoneità conseguita, la necessità di effettuare anche le visite mediche di controllo per il mantenimento dell'idoneità psico-fisica e pertanto sposando in pieno quanto previsto dal principio di economicità ed efficienza dell'azione amministrativa, sancito anche dalla Costituzione della Repubblica italiana –:
   quali siano le intenzioni del Ministro adito in merito alla necessità di assumere nuovi agenti di polizia in vista della manifestazione di Expo 2015, se non ritenga opportuno, anche per ridurre i costi gravanti sull'amministrazione e consentire una celere disponibilità delle necessarie forze dell'ordine in tempo per l'evento sopra richiamato, procedere all'assunzione immediata delle 672 unità dichiarate idonee all'ultima procedura concorsuale per il concorso per 964 allievi agenti della polizia di Stato, ed, in caso contrario, quale procedura alternativa intenda adottare e per quali motivi. (4-03765)


   NACCARATO, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda 2Gis srl, che fa parte dell'omonima multinazionale, operante dal 2004 in Russia nel campo della mappatura informatica di paesi e città, ha aperto nel 2012 una sede in via Padova, in piazza Régia a Busa, frazione del comune di Vigonza in Provincia di Padova;
   la ditta è stata iscritta al registro imprese il 10 maggio 2012 come società per azioni e trasformata, subito dopo, in società a responsabilità limitata con un decremento di capitale sociale da 120.000 a 40.000 euro;
   il 20 giugno 2013 la società è stata posta in stato di liquidazione volontaria ed è stato dato incarico al liquidatore di proseguire nel ricorso già esperito dal consiglio di amministrazione nei confronti della società Limited Liability Doublegis, per una mancata esecuzione del contratto numero 1 del 12 dicembre 2012;
   all'avvio dell'attività la 2Gis contava 60 addetti, mentre al momento della chiusura la ditta aveva 25 lavoratori con un rapporto di lavoro a tempo determinato, uno a tempo indeterminato e 14 con contratto a progetto;
   improvvisamente l'impresa ha chiuso gli uffici, ha licenziato i dipendenti senza avvisare il personale e attualmente sembrerebbe che i sindacati stiano tentando di ottenere la dichiarazione di fallimento dell'azienda;
   nel settembre 2012 l'attività della multinazionale era stata presentata con entusiasmo dal responsabile marketing Michele Moro, poiché l'azienda aveva promesso un investimento di cinque milioni di euro per il periodo 2012-2013, contando su un organico di 50 persone e prevedendo altre 20 assunzioni che avrebbero raggiunto le 300 unità nel 2013;
   alcuni dipendenti avrebbero rivelato di aver sottoscritto contratti a progetto, mentre svolgevano in realtà le funzioni di dipendenti senza avere le stesse garanzie;
   i 60 dipendenti non avrebbero ricevuto lo stipendio di marzo, aprile, maggio e giugno 2013 e non risultano versamenti contributivi dopo novembre 2012;
   emerge inoltre, dalle dichiarazioni dei dipendenti, che l'azienda avrebbe fatto una iscrizione all'Inps non veritiera e per questo i licenziati non avrebbero potuto ottenere l'indennizzo di mobilità, ma soltanto 8 mesi di Aspi;
   la vicenda ha generato forte allarme e sconcerto nella comunità e nelle istituzioni locali che addirittura avevano ricevuto promesse circa 200 nuove assunzioni e che ora invece devono affrontare la repentina chiusura dell'attività senza nemmeno comprendere le cause reali della vertenza –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   quali iniziative, di competenza il Governo intenda adottare, anche attraverso la collaborazione degli uffici territoriali del Governo, per far luce sulla vicenda, per garantire i controlli necessari ad evitare il ripetersi di simili truffe ai danni dei cittadini e per tutelare e sostenere le famiglie dei lavoratori vittime di questa operazione. (4-03767)


   MASSIMILIANO BERNINI, DE ROSA, TOFALO e GAGNARLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni si sono verificati nel territorio del viterbese decine di incendi di natura dolosa, a danno di attività commerciali o lavorative di vari settori; agli interroganti risulta che almeno sette si sono verificati nel solo 2013 e già tre in questi primi due mesi del 2014;
   varie fonti autorevoli hanno affermato, valutando fattori come l'aumento dei disagi causati dall'attuale crisi economica, che sta aumentando di molto il rischio racket e usura in tutta la zona della Tuscia –:
   se, nel caso non sia ancora stato fatto, ritenga opportuno avviare un'attività di studio sull'aumento del rischio racket nella zona del viterbese e sul contemporaneo proliferare di incendi dolosi a carico di attività commerciali nella stessa area, al fine di valutare l'eventuale presenza di un legame preoccupante e pericoloso tra i due fenomeni;
   quali misure siano state adottate ad oggi per prevenire la proliferazione di attività criminale finalizzata al racket nel territorio del viterbese. (4-03773)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il cyberbullismo include violenze psicologiche, insulti, offese e rivelazione di segreti online ed è un fenomeno in crescita ovunque, come conferma una ricerca realizzata da Save the Children, in collaborazione con Ipsos, in cui si evidenzia come 4 minori su 10 sono testimoni di atti di bullismo online verso coetanei, percepiti «diversi» per aspetto fisico (67 per cento), per orientamento sessuale (56 per cento) o perché stranieri (43 per cento); già in precedenza una ricerca Eurispes nel 2008 aveva identificato in Roma la capitale del bullismo, con un minore su tre che dichiarava di aver subito traumi fisici o emozionali;
   il cyberbullismo rivela una crescita esponenziale dei disagi subiti soprattutto dai minori, ma non solo da loro, nonostante non tutti gli atti di cyberbullismo vengano denunciati; il fenomeno appare ancora più pericoloso se pensiamo che il 62 per cento dei bambini ha a disposizione un telefonino proprio e attualmente il 44,4 per cento dei bambini riceve un cellulare di ultima generazione tra i 9 e gli 11 anni, per cui è in grado di scattare foto e filmini e di diffonderli tra i suoi coetanei, senza rendersi conto delle conseguenze che può avere l'effetto moltiplicatore della diffusione del messaggio, a volte veramente devastante sulle vittime;
   il bullismo online è ormai riconosciuto come primaria fonte di angoscia e potenziale psicopatologia per gli adolescenti nativi digitali e ogni struttura che si occupa di psicopatologia adolescenziale deve fare i conti con questo disagio emergente; l'esperienza maturata in questi ultimi anni, anche sulla base di vistosi fatti di cronaca, consente di approcciare ogni forma di psicopatologia web-mediata con un'idea precisa sulla gestione che gli adolescenti fanno delle emozioni, dell'aggressività e delle condotte sessuali, quando sono online;
   fondamentale, affinché il fenomeno venga allo scoperto, è il ruolo dei familiari di vittime e di cyberbulli, ma anche il ruolo degli insegnanti e degli adulti che vengono a conoscenza di fatti riconducibili a possibili forme di cyberbullismo; occorre curare, ma soprattutto prevenire ed educare all'uso delle nuove tecnologie, anche in collaborazione con la polizia postale;
   la cura e la riabilitazione richiedono psicoterapia e terapia di gruppo, con uno spazio di ascolto anche per genitori e insegnanti, non solo per le vittime, ma anche per i cyberbulli; occorre insegnare ai giovani nuove modalità di gestire la propria aggressività, aiutandoli a mettersi nei panni dei loro coetanei, per essere più empatici, nella gestione della propria affettività e dei propri sentimenti di colpa –:
   se non ritenga utile attivare presso il Ministero, con la partecipazione di esperti un portale web divulgativo sulla sicurezza informatica, l'utilizzo dei social network e la diffusione di una appropriata coscienza di cittadinanza digitale da parte di tutti.
(3-00652)

Interrogazione a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la delibera del Cipe del 20 gennaio 2012 assegnava 259 milioni di euro per gli interventi di messa in sicurezza delle scuole sul territorio nazionale. Il provveditorato alle opere pubbliche di Puglia e Basilicata attuava un programma di 74 interventi dall'iniziale finanziamento complessivo di euro 11.816.000, poi ridotti a euro 7.691.780, per la Basilicata per la sicurezza del patrimonio scolastico regionale;
   la situazione dell'edilizia scolastica italiana continua ad essere in uno stato di permanente emergenza sul fronte degli interventi e della messa in sicurezza;
   il 37,6 per cento delle scuole necessita di interventi di manutenzione urgente, il 40 per cento è privo del certificato di agibilità, il 38,4 per cento si trova in aree a rischio sismico e il 60 per cento non ha il certificato di prevenzione incendi;
   anche quest'anno i dati confermano lo stallo in cui si trova la qualità del patrimonio dell'edilizia scolastica italiana, che fatica a migliorare nonostante gli investimenti siano ripartiti e sembrino essere per la prima volta più consistenti;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha pubblicato soltanto una volta una parte dei dati a sua disposizione, nell'autunno del 2012;
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha firmato il decreto che assegna alle regioni i primi 150 milioni previsti dal decreto-legge n. 69 del 2013 cosiddetto del fare, per interventi urgenti per la riqualificazione e la messa in sicurezza delle scuole statali, in particolare quelle dove è presente l'amianto. C’è il via libera, dunque, a 692 interventi, di cui 202 (il 29 per cento) esclusivamente per la bonifica delle strutture dall'amianto;
   le regioni il 15 ottobre 2013 hanno presentato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca una graduatoria di interventi immediatamente cantierabili, in ordine di priorità. Alle regioni sono arrivate dagli enti locali 3.302 richieste di intervento di cui 2.515 ammissibili al finanziamento. In particolare alla regione Basilicata sono stati destinati 2.000.000 di euro 8 interventi ammessi al finanziamento e 41 richiesta ammissibili;
   grazie ai 150 milioni stanziati per le urgenze saranno avviati già 692 interventi, ovvero il 27,5 per cento del totale di quelli ammissibili al finanziamento. A questa cifra, come previsto sempre dal decreto-legge n. 69 del 2013, si affiancheranno, nel triennio 2014/2016, altri 300 milioni di euro destinati tramite l'Inail all'edilizia scolastica;
   gli enti locali beneficiari dei finanziamenti dovranno provvedere alle gare per l'affidamento dei lavori che andranno aggiudicati entro il prossimo 28 febbraio 2014, pena la revoca delle risorse stanziate, per rendere rapide le procedure di realizzazione degli interventi;
   il Presidente del Consiglio Matteo Renzi nelle sue dichiarazioni programmatiche alle Camere ha posto tra le sue priorità la necessita di dare attuazione al programma straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici da attuare sui singoli territori e prevedendo che l'edilizia scolastica deve restare fuori dal patto di stabilità;
   tale emergenza nazionale non può essere affrontata con finanziamenti altalenanti e non commisurati alle effettive realtà e necessità;
   ci sono infatti ancora più di 600 milioni di euro da assegnare per programmi attivati da anni che consentirebbero di intervenire laddove necessario, mentre il fondo unico nel quale avrebbero dovuto confluire tutte le risorse destinate a finanziare l'edilizia scolastica, previsto dalla legge n. 221 del 2012, non è ancora stato attivato –:
   se i Ministri siano al corrente dei dati suesposti e quali iniziative di competenza ritengano di assumere al fine di intervenire urgentemente anche attraverso finanziamenti adeguati e mirati esclusivamente alla sicurezza degli alunni ed eventualmente mediante la definizione di procedimenti amministrativi accelerati, stante l'urgenza degli interventi. (4-03747)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GNECCHI, GRIBAUDO, LENZI, GHIZZONI, ROTTA, INCERTI, CENNI e MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   vengono penalizzati fortemente i lavoratori precari della pubblica amministrazione allorquando venga loro interrotto anticipatamente il rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro pubblico, costringendoli ad aspettare fino a 27 mesi il pagamento del TFR maturato;
   il comma 23 dell'articolo 1 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, stabilisce che i nuovi termini di liquidazione non si applichino nei confronti dei soggetti che abbiano maturato i requisiti per il pensionamento prima del 13 agosto 2011, per i quali continua a valere la vecchia normativa che prevede la liquidazione dei TFS/TFR:
    entro 105 giorni nei casi di cessazione dal servizio per inabilità, decesso, raggiunti limiti di età, massima anzianità contributiva (40 anni);
    non prima di sei mesi ed entro i successivi tre mesi nei casi di cessazione dal servizio per volontarie dimissioni, licenziamento, destituzione e altro;
   l'INPS, direzione generale, con circolare n. 37 del 14 marzo 2012 ha fornito ulteriori indicazioni in merito ai termini di pagamento dei TFS/TFR, a seguito delle modifiche introdotte dall'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011. Detta norma ha infatti fatto venir meno, dal 1o gennaio 2012, la nozione di «anzianità massima contributiva» e la possibilità di conseguire il diritto a pensione con 40 anni di anzianità contributiva a prescindere dall'età anagrafica (ad eccezione di coloro che avessero già maturato tale requisito entro il 31 dicembre 2011). Pertanto, per il personale destinatario delle nuove regole di accesso e calcolo della pensione che cessa dal servizio senza aver raggiunto il limite di età previsto dal proprio ordinamento, il trattamento di fine servizio-trattamento di fine rapporto sarà messo in pagamento non prima di 24 mesi dall'interruzione del rapporto di lavoro. Resta fermo il termine di 6 mesi per il personale che ha maturato l'anzianità contributiva di 40 anni entro il 31 dicembre 2011 anche se cesserà dal servizio successivamente a tale data;
   in merito alle deroghe previste dal decreto-legge n. 138 del 2011 sopra illustrate, ed a seguito della nota protocollo n. 2680 del 22 febbraio 2012 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il termine di 105 giorni per le cessazioni dal servizio per limiti di età o di servizio sono a condizione che i relativi requisiti siano maturati entro il 12 agosto 2011. Pertanto, i lavoratori che a tale data abbiano maturato i requisiti congiunti di età e anzianità contributiva (cosiddetta «quota») ma non abbiano ancora raggiunto il limite di età previsto dall'ordinamento di appartenenza, ovvero la massima anzianità contributiva, avranno il pagamento del TFS/TFR dopo sei mesi, anche nel caso in cui successivamente abbiano raggiunto, al momento della cessazione dal servizio, i predetti requisiti di accesso per limiti di età ovvero anzianità massima contributiva (40 anni);
   la prestazione non viene quindi liquidata e messa in pagamento prima di 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, quando questa è avvenuta per cause diverse da quelle sopra richiamate, anche nell'ipotesi in cui non sia stato maturato il diritto a pensione. Tra queste cause sono previste in particolare:
    le dimissioni volontarie, con o senza diritto a pensione;
    il recesso da parte del datore di lavoro (licenziamento o destituzione dall'impiego);
   si ha motivo di ritenere non equa suddetta applicazione della norma, che colpisce ingiustamente i lavoratori precari della pubblica amministrazione, per la maggior parte giovani, che dopo aver subito l'interruzione anticipata e unilaterale del rapporto di lavoro, rimangono non solo senza alcuna fonte di reddito ma non possono neanche disporre del TFR maturato in tempi brevi –:
   se non ritengano i Ministri interrogati assumere iniziative, se del caso con apposito atto amministrativo, per sanare la problematica segnalata, che colpisce pesantemente questa categoria di lavoratori, già soggetti loro malgrado a forme di lavoro precario. (5-02245)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PIAZZONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 8 novembre 2000, n. 328, finalizzata a promuovere interventi sociali, assistenziali e sociosanitari volti a superare la semplice assistenza del singolo, garantendo il sostegno della persona all'interno del proprio nucleo familiare, ha cambiato profondamente il sistema dei servizi e degli interventi sociali del territorio italiano, risultando in molti casi decisiva per una loro effettiva creazione;
   parallelamente all'emanazione di detta legge ha visto la luce la legge costituzionale n. 3 del 2001, legge di riforma del Titolo V della Costituzione. Con essa i servizi sociali assumono competenza regionale, attenuando la forza riformatrice della legge n. 328 del 2000, pur rimanendo quest'ultima legge quadro di riferimento per il sistema di welfare italiano, affermatosi dunque sulla base di leggi regionali attuative. Occorre tuttavia precisare che non tutte le regioni hanno provveduto ad emanare l'apposita normativa attuativa della legge quadro citata;
   la legge n. 328 del 2000 ha messo in campo un esteso tentativo di decentramento territoriale e di redistribuzione delle responsabilità, investendo gli enti locali di un ruolo centrale, anche in virtù del principio della sussidiarietà verticale, caratterizzandosi per la promozione dell'integrazione tra i diversi attori istituzionali e sociali nel senso della ricerca di un livello adeguato di collaborazione, programmazione e gestione condivisa del sistema locale dei servizi. In questo senso gli enti locali sono chiamati ad implementare forme di aggregazione intercomunale (ambiti territoriali) e a promuovere forme unitarie di organizzazione e gestione associata dei servizi in ambito distrettuale (piano di zona) attraverso accordi formali;
   nella maggioranza dei casi il governo politico di tali ambiti territoriali è identificato nel comitato o nella conferenza dei sindaci;
   per quanto riguarda il modello organizzativo e gestionale del sistema dei servizi locali, la maggioranza delle regioni ha previsto la costituzione e il funzionamento di un ufficio, rappresentativo di tutti i comuni dell'ambito territoriale, deputato all'attuazione delle linee di indirizzo formulate dal comitato dei sindaci, svolgendo funzioni di supporto tecnico dello stesso e di gestione ed implementazione dei servizi e degli interventi sociali. Tale organismo è usualmente denominato «ufficio di piano»;
   le strutture in questione svolgono un ruolo centrale nell'applicazione della legge n. 328 del 2000 come strumenti tecnici ed organizzativi per la programmazione e la gestione dell'integrazione socio sanitaria, svolgendo tra l'altro: attività istruttoria, di supporto all'elaborazione e valutazione della programmazione in area sociale e socio-sanitaria; attività istruttoria e di monitoraggio per la definizione di regolamenti distrettuali sull'accesso e sulla compartecipazione degli utenti alla spesa; coordinamento degli strumenti tecnici per l'accesso e la valutazione d'accesso; azioni di impulso e di verifica delle attività attuative della programmazione sociale e sociosanitaria, attività di monitoraggio e valutazione della qualità dei servizi e degli interventi attuati con il piano di zona al fine di valutare gli stessi in termini di efficacia, efficienza ed economicità, nonché di equità rispetto a tutti i cittadini;
   i comuni dell'ambito territoriale si dotano della configurazione necessaria e sufficiente per la gestione delle funzioni di loro competenza nell'attuazione del piano di zona ed eventualmente, possono scegliere una delle diverse forme di gestione associata previste dalla legislazione vigente;
   nel caso diffuso di adozione della forma dell'accordo di programma, non avendo il comitato o la conferenza dei sindaci uno status giuridico riconosciuto, la gestione del piano sociale di zona ricade formalmente e contabilmente sul comune capofila, che tuttavia non usufruisce di nessuna deroga specifica ai vincoli di legge per lo svolgimento di una funzione che in realtà riguarda non il proprio territorio ma quello di un numero più o meno ampio di comuni;
   in molti casi il comune capofila non è individuato in modo stabile e definitivo da legge regionale, ma la funzione viene assunta a rotazione dai vari comuni appartenenti all'ambito territoriale;
   tutto ciò determina notevoli problemi relativamente alla gestione finanziaria dei fondi e alla gestione tecnico-amministrativa dei servizi, ma soprattutto per gli operatori afferenti alla struttura tecnica;
   la situazione descritta rende infatti impossibile l'assunzione a tempo indeterminato di detto personale, sottoposto a un regime di precariato da moltissimi anni, con tipologie contrattuali utilizzate per regolamentare i rapporti di lavoro con gli operatori esterni: da contratti a tempo determinato a contratti a collaborazione coordinata e continuativa, partite iva e agenzie interinali fino all'esternalizzazione a cooperative sociali;
   occorre precisare che i lavoratori in questione svolgono funzioni particolari e molto delicate, che spesso attengono alla valutazione dei risultati inerenti alla programmazione degli interventi socio sanitari. Appare quantomeno discutibile che si possa giungere all'esternalizzazione di figure professionali deputate a valutazioni oggettive che, per essere tali, devono risultare scevre da qualsiasi condizionamento;
   alla luce delle norme recentemente introdotte dal decreto-legge n. 101 del 2013, che prevedono, da un lato, la possibilità di assunzione a tempo indeterminato per i lavoratori che hanno maturato negli ultimi cinque anni almeno tre anni di servizio con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, e dall'altro, limitano il ricorso a proroghe di contratti e all'uso del lavoro flessibile nel pubblico impiego, il personale operante negli uffici di piano, spesso definita proprio mediante la proroga di tipologie contrattuali atipiche, appare destinata ad andare incontro al surreale destino di un licenziamento de facto, pur in presenza di una forte necessità del proprio operato e della disponibilità delle risorse;
   riguardo agli, operatori, risulta chiara la loro peculiarità e importanza per una piena ed efficace applicazione della legge n. 328 del 2000 e per consentire una evoluzione dei servizi di welfare che miri alla qualità e alla appropriatezza delle risposte ai bisogni socio-sanitari rilevati, la mancata definizione della composizione e formazione dell'ufficio di piano ha rappresentato da sempre una delle maggiori criticità sollevate dal territorio. La situazione di precarietà degli operatori in questione, sottoposti continuamente a situazioni di tensione, determina un reale ostacolo al raggiungimento degli obiettivi sopra citati, che dovrebbero essere prioritari nello sviluppo di un sistema di welfare moderno, efficace e in grado di rispondere ai bisogni della collettività. Un ufficio di piano stabile, con personale qualificato e adeguato ai compiti assegnati, è infatti indispensabile, all'interno della governance distrettuale, a garantire la funzionalità stessa del sistema –:
   se non intenda intraprendere, previo coinvolgimento delle regioni e degli enti locali eventualmente in sede di Conferenza unificata, apposite iniziative di carattere normativo per garantire una efficace attuazione della legge n. 328 del 2000 chiarendo le forme di organizzazione e di gestione degli ambiti territoriali nonché la composizione degli uffici di piano e la posizione dei lavoratori impiegati;
   quali eventuali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere affinché, i lavoratori in questione, le cui professionalità risultano necessarie al corretto funzionamento del sistema di welfare integrato, siano assunti con tipologie contrattuali capaci di garantire l'adeguato e corretto svolgimento della loro attività. (4-03753)


   LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Telecom Italia s.p.a. ha dato vita ad una divisione focalizzata alla gestione delle attività di caring, orientata a massimizzare le sinergie tra le 8 unità operative esistenti;
   tali azioni di riassetto organizzativo sono state presentate dall'azienda Telecom Italia nel piano d'azione d'impresa 2013-2015, che oltre a dichiarare circa 5.000 esuberi a livello nazionale, ha previsto un piano di razionalizzazione territoriale delle sedi, con particolare riferimento a quelle che abbiano un numero di dipendenti inferiore a 46 unità;
   la chiusura dei presidi caring services in 47 città sarà realizzata progressivamente entro il 2014;
   tra le sedi operative che saranno chiuse vi è la sede storica di assistenza alla clientela sita a Taranto con trasferimento, attraverso il sistema di mobilità territoriale di tutto il personale a Bari;
   gli operatori di Taranto sono prevalentemente donne, mamme e lavoratori part-time i quali subiranno, con tali decisioni aziendali forti disagi economici e personali;
   le attività di cui sopra si svolgono in modalità remotizzata, essendo di assistenza alla clientela (cosiddetto servizio 187): si tratta dunque di mansioni che potrebbero essere svolte in qualsiasi parte d'Italia o in uno dei tanti immobili sul territorio di Taranto nella disponibilità dell'azienda Telecom. Non a caso l'alternativa proposta ai singoli lavoratori è il telelavoro, che però, potrebbe rappresentare un isolamento ed un allontanamento non volontario del lavoratore dal normale ciclo produttivo con forte penalizzazione in termini di diritti e di condizioni lavorative;
   tale decisione, cui si sono opposte organizzazioni sindacali, comune e altri organi locali, va ad incidere in modo negativo su una città già gravata da un alto tasso di disoccupazione reso ancora più preoccupante dalle problematiche che investono il territorio sia con riferimento all'inquinamento ambientale che alle conseguenti ripercussioni sulla salute;
   nell'immediato futuro circa 30 lavoratori verranno trasferiti presso altra sede al di fuori della città con conseguente ulteriore impoverimento del tessuto economico e, produttivo;
   la motivazione addotta da Telecom Italia di volere risparmiare sui fitti delle sedi locali non è assolutamente giustificata sul piano economico: dal momento che la sede di lavoro di via Campania a Taranto resterà utilizzata dalla stessa Telecom, quale sito tecnologico (contiene centrali telefoniche, apparati trasmissivi e sale permutatori), e costituisce posto di lavoro per circa altri settanta lavoratori. Da ciò si evince una seria preoccupazione da parte dei lavoratori che l'iniziativa dell'azienda sia solo il primo passo verso un definitivo abbandono del territorio di Taranto, facendo perdere al territorio altri significativi posti di lavoro –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di tutelare i lavoratori della sede caring di Taranto invitando l'azienda Telecom Italia, attraverso una revisione del piano d'impresa, a rinsaldare i legami con questo territorio, già molto sofferente, ed evitando in tal modo ulteriori ricadute negative sia dal punto di vista occupazionale che economico. (4-03754)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di un precedente atto di sindacato ispettivo (interrogazione n. 5-00867) presentato dall'interrogante e relativo alla procedura di infrazione aperta a carico del nostro Paese in materia di ripartizione del prelievo supplementare nell'ambito dell'applicazione del regime delle quote latte, l'amministrazione comunicava l'avvenuto invio alla Commissione europea, come disposto dall'articolo 258 del TFUE, delle osservazioni e risposte in merito a quanto rappresentato nella lettera di costituzione in mora;
   il citato atto di sindacato ispettivo richiamava inoltre la decisione della Commissione europea del 17 luglio 2013 con la quale l'Esecutivo comunitario dichiarava incompatibile con il mercato interno l'aiuto, sotto forma di pagamento differito disposto con legge 26 febbraio 2011, n. 10, accordato dall'Italia ai produttori di latte aderenti al programma di rateizzazione di cui alla decisione del Consiglio europeo 2003/530/CE;
   relativamente alla suddetta dichiarata incompatibilità l'amministrazione riferiva di aver dato mandato all'Avvocatura dello Stato di proporre ricorso contro la decisione della Commissione europea, avanzando tra l'altro, perplessità di carattere giuridico posto che essa annulla, per un certo numero di produttori, gli effetti derivanti da una decisione del Consiglio europeo adottata all'unanimità –:
   se la Commissione europea, in base a quanto disposto dall'articolo 258 del TFUE, abbia assunto alcuna determinazione in merito ai chiarimenti presentati dal nostro Paese a seguito della nota di messa in mora;
   se sia stato presentato alla Corte di giustizia formale ricorso per annullamento della decisione della Commissione europea del 17 luglio 2013.
(5-02242)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il gioco d'azzardo è attività vietata ai minori già dall'articolo 110, commi 8 e 8-bis, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (regio decreto n. 773 del 1931);
   con l'articolo 24 del decreto-legge n. 98 del 2011 il legislatore, oltre a ribadire al comma 20 il divieto di consentire la partecipazione ai giochi pubblici con vincita in denaro ai minori di 18 anni, ha provveduto – ai successivi commi 21 e 22 – ad inasprire le sanzioni;
   da ultimo, l'articolo 7, comma 8, del decreto-legge n. 158 del 2012 prevede il divieto di ingresso ai minori di anni 18 nelle aree destinate al gioco con vincite in denaro interne alle sale Bingo, nelle aree ovvero nelle sale in cui sono installati apparecchi VLT (video lottery) e nei punti vendita in cui si esercita – quale attività principale – quella di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi. Il titolare dell'esercizio commerciale, del locale ovvero del punto di offerta del gioco con vincite in denaro è tenuto ad identificare i minori di età mediante richiesta di esibizione di un documento di identità, tranne nei casi in cui la maggiore età sia manifesta;
   finalità di queste previsioni è scongiurare l'accesso al gioco d'azzardo da parte dei minori;
   si stanno però diffondendo programmi per smartphone e tablet – cosiddette app – che imitano in ogni dettaglio il meccanismo di funzionamento delle slot, ma che sono espressamente indirizzate ad un pubblico di bambini e che non prevedono vincite in denaro;
   sul mercato digitale si possono trovare fino a 2.200 app categorizzate «slot machine» e 19 di queste sono espressamente destinate ad un pubblico di bambini di età 4-8 anni;
   altro fenomeno in rapida e preoccupante diffusione è quello delle «ticket redemption»: apparecchi identici alle slot ma abilitati a distribuire ticket per giocare nuovamente invece del denaro e che prevedono la possibilità, casuale, di convertire i ticket accumulati in premi di diversa natura (apparecchi elettronici o altro);
   è evidente ad avviso degli interpellanti il tentativo da parte dell'industria del gioco di alimentare, agendo ai confini della legalità, una cultura dell'azzardo che renda naturale il passaggio dalla app destinata al bambino, all'apparecchio ticket redemption per l'adolescente, alla slot vera e propria non appena compiuti i 18 anni, favorendo tutti quegli elementi che spingono alla compulsività;
   tali comportamenti vanificano gli sforzi di contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo profusi in questi ultimi anni dalle istituzioni e da associazioni e movimenti di cittadini e vanno a colpire la fascia di popolazione più debole e influenzabile: quella dei minori, spinti verso forme di gioco cui sono associate la maggior parte delle patologie gioco-correlate –:
   quali interventi urgenti si stiano adottando per vietare ai minori quelle forme di gioco che, imitando nelle sue caratteristiche essenziali i giochi d'azzardo vietati ai minori, abbiano come possibile effetto la fidelizzazione al gioco d'azzardo con caratteristiche di compulsività;
   quali iniziative il Governo intenda adottare a protezione dei minori esposti ai rischi del gioco d'azzardo e delle sue derive patologiche.
(2-00423) «Basso, Ascani, Paola Bragantini, Arlotti, Tullo, Francesco Sanna, Vaccaro, Bonafè, Ginato, Dal Moro, Zardini, Casellato, Rotta, Dell'Aringa, Bratti, Amendola, Marco Di Stefano, Carocci, Borghi, Colaninno, Civati, Amoddio, Carlo Galli, Folino, Bonifazi, Mosca, Fontanelli, Patriarca, Boccuzzi, Baruffi, Senaldi, Bargero, Fiorio, Ferrari, Ferro, Orfini, Giacobbe, Baretta, Moretti, Fassina, Monaco, Beni».

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ultima relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori sanitari metteva in evidenza che nel decennio 1995-2005 la spesa sanitaria in Italia era quasi raddoppiata, passando da 48 a 92 miliardi di euro l'anno e nel decennio successivo il trend all'orizzonte sembrava mantenere questa stessa rotta, essendo la spesa attuale di 112 miliardi, destinata ad aumentare del 2,2 per cento nel 2013;
   la medicina difensiva è uno dei capitoli più «pesanti» all'interno della spesa sanitaria complessiva, perché l'eccesso di prescrizioni per evitare contenziosi con i pazienti pesa sulla spesa sanitaria pubblica per 10 miliardi di euro, lo 0,75 per cento del prodotto interno lordo. Poco meno di quanto investito in ricerca e sviluppo nel nostro Paese: l'incidenza percentuale dei costi della medicina difensiva sulla spesa sanitaria è del 10,5 per cento (farmaci 1,9 per cento, visite 1,7 per cento, esami di laboratorio 0,7 per cento, esami strumentali 0,8 per cento, ricoveri 4,6 per cento);
   da numerose ricerche effettuate in questo campo emerge che il 53 per cento dei medici dichiara di prescrivere farmaci a titolo «difensivo» e, mediamente, tali prescrizioni sono il 13 per cento circa di tutte le prescrizioni dei ricettari; il dato s'impenna al 73 per cento con riferimento alle visite specialistiche, dove le prescrizioni inutili diventano il 21 per cento del totale effettuato dal singolo medico; analogamente il ricorso a esami di laboratorio e ad esami strumentali costituisce una sorta di autotutela per i medici; è evidente l'eccesso, lo spreco, di sanità in tempi di spending review;
   tra medici ed avvocati si è scatenata negli ultimi anni una vera e propria guerra di immagine che fa del contenzioso medico-legale una fonte di reddito per alcuni e un esborso eccessivo del sistema per altri, ma soprattutto incide pesantemente anche sull'immagine di una intera categoria di professionisti, che nella stragrande maggioranza sono pienamente dedicati al loro lavoro professionale in scienza e coscienza, come recita il codice di deontologia professionale dei medici;
   il contenzioso si è attualmente spostato sul piano della comunicazione e degli spot televisivi, l'ultimo dei quali è lo spot «Siete avvoltoi» di Amami, a difesa dei medici, che protestano contro quanti, denunciando la malasanità, sottraggono dignità al medico e serenità al paziente; nel video in questione si invitano i cittadini dal diffidare dagli «avvoltoi» che «si approfittano della fiducia dei pazienti» e propongono un «facile arricchimento con cause milionarie», considerando «i medici come prede»;
   il video, rivolgendosi ai cittadini, considerati come pazienti potenzialmente danneggiati dai medici, sottolinea come gli attacchi continui alla classe medica, accusata sistematicamente di malasanità, «il danno vero lo facciano alla sanità e ai vostri diritti perché, un medico che ha paura di prendere una decisione, farà male il suo lavoro»;
   lo spot rappresenta una evidente risposta allo spot della società «Obiettivo Risarcimento» che ha fatto il giro di molte TV nazionali e ha creato un profondo disagio tra le associazioni mediche, mettendo in difficoltà anche esponenti politici e sindacali; ma anche questo spot era una risposta a quello promosso il 12 febbraio 2014 dal Collegio italiano chirurghi in occasione dello stato di agitazione di ginecologi e ostetriche, che chiedevano una diversa legge sulla responsabilità medica; il video dei chirurghi, ovviamente, era tutto centrato sull'abnegazione e l'impegno dei medici e sulla delicatezza della loro missione e sottolineava l'assurdità di un contenzioso con i pazienti che sta allontanando molti giovani neo laureati da queste specializzazioni –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare per evitare questa costosissima battaglia di spot che, in un caso e nell'altro, sono lesivi della dignità professionale medica e forense e comunque rappresentano un approccio fuorviante a tematiche delicate e complesse come quella del rischio clinico, che va affrontata con ben altri strumenti sul piano della organizzazione sanitaria, della formazione specialistica e della normativa in un ambito, così delicato e complesso, che da anni chiede una formulazione più adeguata ed efficace. (3-00653)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Asl 9 di Grosseto, insieme alla procura della Repubblica, alle forze dell'ordine del territorio e ai Centri per le vittime di violenza, ha sperimentato un servizio denominato «codice rosa antiviolenza», che sta dando ottimi risultati e rappresenta una «buona pratica» di riferimento;
   il servizio prevede una stanza apposita, con personale specializzato e formato, che accoglie al pronto soccorso le vittime di violenza, e una procedura speciale che unisce assistenza, ascolto, raccolta delle prove per il processo con un iter giudiziario velocizzato;
   a rivolgersi al codice rosa antiviolenza sono in maggioranza donne picchiate dai loro compagni e mariti o molestate, ma anche anziani, bambini, immigrati; soggetti in condizione di debolezza che ritrovano, così, fiducia nelle istituzioni;
   si è provato ripetutamente in questi anni a portare tale «buona pratica» su un tavolo di progettazione nazionale, in modo da trasformare il codice rosa antiviolenza in un servizio da garantire a tutto il Paese;
   il tema è stato affrontato all'interno dei sette tavoli formati dal Dipartimento delle pari opportunità per scrivere il piano nazionale antiviolenza, previsto dal «decreto femminicidio»; i tavoli dovevano portare a diversi protocolli/regolamenti su formazione degli operatori, rete di assistenza, intervento nei pronto soccorsi, raccolta dei dati, educazione nelle scuole, reinserimento delle donne nel tessuto lavorativo, rieducazione degli uomini maltrattanti;
   del codice rosa si è occupato un tavolo specifico, a cui sedevano tutti i Ministeri interessati, coordinati dal dipartimento pari opportunità, e le associazioni femminili, Udi e Dire, in rappresentanza dei centri antiviolenza;
   il lavoro si è avviato ad ottobre, e poi pare sia rallentato fino a fermarsi del tutto, senza produrre risultati;
   il 14 ottobre 2013, secondo quanto riportato dal quotidiano La Stampa, all'incontro «Great network», organizzato alla scuola di polizia di Roma, il Ministro interrogato ha affermato: «In Italia non siamo all'anno zero, ci sono esperienze avviate e produttive, come quella del codice rosa di Grosseto»;
   il 25 novembre 2013, giornata mondiale della violenza contro le donne, l'allora viceministra con delega alle pari opportunità, Maria Cecilia Guerra, è stata in visita proprio a Grosseto, evidentemente raccogliendo di persona l'esperienza positiva del codice rosa su quel territorio;
   da quel momento, però, nonostante i tavoli di cui in precedenza siano tornati a riunirsi, nulla sul codice rosa antiviolenza nazionale si è più mosso;
   notizie di stampa attribuiscono lo stop ad una diversità di vedute tra chi avrebbe voluto affidare il coordinamento del codice rosa ai prefetti, riportando la lotta alla violenza su un approccio emergenziale e puramente repressivo, e chi invece propendeva per un approccio più articolato, complesso, di tipo strutturale e articolato;
   mentre a livello centrale la discussione è rimasta ferma, sui territori si sono moltiplicate iniziative singole: in Lazio è stato lanciato da poco «percorso rosa», un codice di pronto soccorso criptato che prevede un percorso ad hoc nel caso di violenza sessuale o fisica con l'immediata attivazione della task force interistituzionale in cui entrano prefettura, questura, carabinieri e tutte le professionalità;
   altre esperienze simili si stanno organizzando in Veneto, in Lombardia, in Basilicata, in Puglia, promosse da singole realtà ospedaliere;
   in Toscana, dove da quest'anno il codice è attivo in tutte le asl della regione i numeri parlano da soli: nel 2012, nelle 5 aziende toscane in cui il codice rosa era già in funzione (Lucca, Prato, Arezzo, Grosseto, Viareggio), sono stati trattati 1.455 casi di maltrattamenti e abusi su adulti e minori; da gennaio a settembre 2013, in 10 asl (si sono aggiunte Pisa, Livorno, Empoli, Careggi e Meyer a Firenze) i casi sono saliti a 2.259, di cui 2.139 maltrattamenti, 108 abusi, 12 maltrattamenti in seguito a stalking;
   vista l'ottima riuscita delle esperienze territoriali, si ritiene ormai indispensabile che il codice rosa antiviolenza diventi una priorità del sistema sanitario nazionale, nella sua interfaccia ad altri livelli istituzionali, in modo da garantirne l'attuazione in tutto il Paese –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra e con quali tempi e modalità si intenda promuovere l'estensione del codice rosa antiviolenza su tutto il territorio nazionale, nei termini organizzativi già sperimentati in esperienze di buone pratiche realizzate su alcuni territori, come in particolare quelli espressi nella premessa. (5-02240)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le infezioni associate all'assistenza sanitaria hanno un impatto notevole in termini di morbilità e di mortalità. Secondo le ultime stime delle istituzioni europee, nell'Unione europea 37.000 persone muoiono direttamente per tali infezioni. Esse costituiscono uno dei principali problemi di sanità pubblica nei Paesi dell'Unione europea e incidono sulla sostenibilità dei sistemi sanitari nazionali con costi stimati in circa 5,5 miliardi di euro all'anno;
   il problema è all'attenzione delle principali istituzioni internazionali e dell'Unione europea ormai da diversi anni. Da ultimo si è espresso il Parlamento Europeo che il 22 ottobre 2013 ha approvato una risoluzione con la quale si invitano gli Stati membri ad intraprendere una serie di azioni per migliorare la sicurezza dei pazienti e intervenire efficacemente per la riduzione delle infezioni legate all'assistenza sanitaria –:
   quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere per garantire al paziente il massimo della sicurezza nelle cure sanitarie, liberando allo stesso tempo risorse che potrebbero esser reinvestite a favore del servizio sanitario;
   se intenda formulare, facendo seguito alla risoluzione approvata dal Parlamento europeo, chiari obiettivi nazionali per:
    a) ridurre le infezioni associate all'assistenza sanitaria ed elaborare un piano nazionale per prevenire e ridurre le infezioni in ambito sia ospedaliero che extraospedaliero;
    b) migliorare la consapevolezza dei pazienti sul tema tramite apposite campagne informative;
    c) sostenere le attività di ricerca destinate alla prevenzione e al controllo delle infezioni;
   se intenda coinvolgere nella definizione del piano nazionale per la prevenzione delle infezioni tutti gli enti e gli organismi interessati a partire dalle regioni, dalle associazioni a tutela dei diritti dei pazienti e dalle società scientifiche. (4-03750)


   LOREFICE, DALL'OSSO, BARONI, MANTERO, CECCONI e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la riforma del titolo quinto della Costituzione ha generato molteplici effetti, tra cui l'eccessiva regionalizzazione della sanità, causa spesso di gravi disuguaglianze tra cittadini di regioni diverse nell'accesso alle terapie mediche. Secondo la normativa attuale, infatti, i pazienti ricevono cure diverse a seconda del luogo di residenza;
   emblematico è il caso delle malattie rare. Essere affetti da una di queste patologie significa spesso avere una malattia dal nome impronunciabile, sconosciuta persino alla gran parte dei medici, non avere un farmaco per curarla e, in quattro casi su dieci, di non disporre neanche di un nome con cui definirla;
   solo alcune malattie sono riconosciute dall'elenco nazionale delle patologie rare, con la conseguenza che migliaia di persone non riescono ad ottenere il riconoscimento della loro condizione rimanendo esclusi dai programmi nazionali di assistenza ed esenzione del ticket sanitario;
   il Ministro interrogato avrebbe dichiarato di voler aggiornare, attraverso il nuovo patto della salute, il decreto che individua i livelli essenziali di assistenza e l'elenco delle malattie rare, decreto non aggiornato da quasi 15 anni;
   alcune regioni hanno cercato di porre rimedio a questa delicata situazione aggiornando l'elenco delle patologie;
   ulteriori conseguenze dell'attuale federalismo sanitario sono la tempistica estremamente difforme per la commercializzazione dei nuovi farmaci innovativi e la difformità per l'identificazione dei centri di riferimento per la diagnosi e la cura. È persino accaduto che una regione ha definito criteri di rimborsabilità di un farmaco, costoso ma importante, per una malattia rara diversi da quelli definiti dall'Aifa e recepiti da tutte le altre regioni;
   è ormai evidente che al federalismo sanitario e alle sue molte criticità si sovrappone una disuguaglianza e, in molti casi, una discriminazione nell'accesso alle cure e all'assistenza sanitaria –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno promuovere studi e ricerche volte a colmare le lacune ancora notevoli nella conoscenza delle patologie rare così da poter giungere a validi schemi di trattamento, nonché aggiornare l'elenco delle malattie rare;
   se non reputi opportuno promuovere il Parlamento al fine di avviare una riforma del titolo quinto della Costituzione che ha generato confusione e conflittualità nell'ambito dell'attribuzione di poteri tra Stato e regioni, con la conseguenza di generare spesso delle paralisi nei processi decisionali, enormi difficoltà nel controllo della spesa pubblica e sistemi sanitari differenti nelle diverse regioni d'Italia con evidenti diseguaglianze nelle garanzie e nei servizi offerti ai cittadini. (4-03763)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   MOGNATO, MARTELLA, MURER, MORETTO, ZOGGIA e BARETTA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 177 del 2005 individua compiti specifici e precisi obblighi da parte del servizio radiotelevisivo pubblico, prescrivendo in particolare che la società concessionaria di tale servizio (RAI spa) «al fine di favorire l'istruzione, la crescita civile e il progresso sociale» debba garantire «un numero adeguato di ore di trasmissioni televisive e radiofoniche dedicate all'educazione, all'informazione, alla formazione, alla promozione culturale»;
   tali principi sono stati declinati nel vigente contratto nazionale di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la RAI spa, concessionaria del servizio pubblico fino al 2016;
   il medesimo contratto nazionale di Servizio, oltre ai principi generali finalizzati a «garantire il pluralismo, rispettando i principi di obiettività, completezza, imparzialità, lealtà dell'informazione» prevede altresì di «garantire la comunicazione sociale attraverso trasmissioni dedicate allo sport sociale, assegnando spazi adeguati alle associazioni rappresentative del settore»;
   la comunicazione sociale inerente le pratiche sportive assume un valore del tutto particolare, considerando sia il ruolo educativo di tali pratiche, sia la particolare esposizione mediatica dell'universo simbolico sportivo nell'immaginario pubblico;
   è del tutto evidente che l'offerta dei canali cosiddetti «generalisti» della RAI spa (RAI1, RAI2, RAI3, Radio RAI) in materia di comunicazione dedicata agli sport sociali sia pesantemente sbilanciata in favore del gioco del calcio, nei fatti pregiudicando la rappresentazione delle altre discipline sportive più rappresentative (per esempio pallacanestro, pallavolo, rugby, atletica leggera), ed in particolare per quanto riguarda la promozione delle realtà sportive di base) –:
   se il Governo, nell'ambito delle sue competenze intenda assumere iniziative affinché nel contratto di servizio nazionale siano riequilibrati gli spazi in favore delle discipline sportive più rappresentative nelle trasmissioni dedicate dei canali generalisti, privilegiando in particolare le realtà dello sport di base. (3-00654)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Askoll Holding consolida un'importante presenza nei mercati delle pompe di scarico per lavabiancheria e lavastoviglie, dei motori elettrici per applicazioni domestiche come lavatrici, asciugatrici e sistemi di aspirazione, ventilazione e refrigerazione attraverso i marchi Askoll, Plaset e Ceset;
   gli stabilimenti del gruppo sono ubicati nei comuni di Sandrigo, Dueville, Cavazzale di Monticello Conte Otto in provincia di Vicenza, e a Castell'Alfero in provincia di Asti. Altre fabbriche sono attive in Slovacchia, Brasile, Messico, Romania e Cina;
   lo stabilimento Askoll di Castell'Alfero ha deciso la cessione dell'attività, con lettere di licenziamento collettivo e con l'apertura della procedura di mobilità, recapitate ai delegati della Rsu aziendale e successivamente alle organizzazioni di categoria dei metalmeccanici di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm;
   la holding vicentina conferma ufficialmente lo stop della produzione dall'8 giugno 2014 nello stabilimento lungo la strada statale 99. La perdita, secondo la comunicazione ufficiale di Askoll, ammonterebbe a 6 milioni di euro, prevista sia per il 2013 che per il 2014, e non ci sarebbero strumenti in alternativa alla mobilità. Con la lettera scattano i 75 giorni previsti dalla normativa per raggiungere l'accordo;
   nel documento, il gruppo sostiene che la crisi economica (in particolare quella del settore degli elettrodomestici) assieme alla concorrenza da parte dei produttori asiatici e al trasferimento dei clienti nei Paesi «low cost» ha ridotto di molto la redditività dell'azienda;
   inoltre, la volontà di cessare l'attività impedisce ai lavoratori l'eventuale rinnovo dei contratti di solidarietà in scadenza;
   la procedura riguarda complessivamente 221 dipendenti: 141 operai, 68 impiegati, 10 quadri e 2 dirigenti –:
   se siano a conoscenza delle problematiche sopra esposte e quali azioni intendano intraprendere per salvaguardare gli attuali livelli occupazionali;
   quali iniziative il Governo intenda porre in essere per dare soluzione alla crisi della società Askoll, e se intenda aprire un tavolo nazionale di confronto con lo scopo di avviare un dialogo finalizzato a tutelare la continuità occupazionale. (4-03751)


   PIAZZONI e PILOZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Alliance Medical, presente in Italia a partire dal 1989, opera nel settore della diagnostica sanitaria ed oggi occupa circa 500 persone sparse su tutto il territorio nazionale. Il gruppo è attualmente di proprietà del fondo di private equity inglese M&G che, a sua volta, è controllato dalla Prudential PLC;
   il gruppo ha conosciuto negli ultimi mesi una profonda ristrutturazione aziendale caratterizzata dalla cessione di diversi rami d'azienda e dunque da uno «spacchettamento» aziendale che, generalmente, è lo strumento utilizzato dalle grandi imprese prima di cedere parti del proprio business;
   in particolare, il 1o giugno 2013 veniva ceduto un ramo d'azienda da Alliance Medical Srl a Mobile Diagnostic Srl, il 1o agosto veniva ceduto un ramo d'azienda da Alliance Medical Srl a Urology Diagnostic Srl, il 12 settembre 2013 Mobile Diagnostic Srl è stata ceduta da Alliance Medical Srl a FORA SPA con sede in Parma, il 1o novembre 2013 viene messa in atto la terza cessione di ramo d'azienda da Alliance Medical Srl a Alliance Medical Diagnostic Srl;
   nel compiere la cessione dei rami d'azienda, il gruppo non ha contestualmente provveduto a cedere tutto il personale impegnato nei rami d'azienda ceduti, creando in tal modo le condizioni per la dichiarazione di esuberi a carico dell'azienda cessionaria;
   il 18 novembre 2013, dunque pochi giorni dopo l'ennesima cessione del ramo d'azienda, Alliance Medical Srl, una delle società della holding AM, attivava la procedura di licenziamento collettivo di cui alla legge n. 223 del 1991 per 28 unità lavorative occupate tra gli uffici di Roma e Cesano Maderno;
   il giorno 14 febbraio, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, veniva sottoscritto accordo per la concessione della cassa integrazione guadagni in deroga in favore di 7 dipendenti della AM Srl, in luogo dei 28 richiesti a seguito di ricollocazione in altre sedi dei restanti lavoratori in precedenza considerati in esubero;
   il gruppo in questione presta la propria attività principalmente in favore del servizio sanitario nazionale e delle sue articolazioni territoriali, dalle quali ricava gran parte del proprio fatturato annuo;
   pur avendo conosciuto una flessione del proprio fatturato, come conseguenza della riorganizzazione della spesa sanitaria da parte dello Stato e delle regioni, il gruppo non presenta una situazione finanziaria particolarmente critica e tale da giustificare una pesante riduzione dell'organico;
   le scelte industriali dell'azienda, senza dubbio insindacabili da parte delle istituzioni pubbliche, troppo spesso basate su logiche puramente finanziarie, non possono però essere compiute a danno e discapito dei lavoratori e ciò è ancora più vero per quelle aziende che «vivono» grazie a quelle pubbliche istituzioni nei confronti delle quali erogano servizi essenziali, come quello offerto dal gruppo AM;
   in vista di possibili ulteriori tagli della forza lavorativa del gruppo Alliance Medical, diventa necessario conoscere i piani industriali dell'impresa per l'Italia in modo da consentire possibili interventi a tutela dei livelli occupazionali –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire affinché, con l'apertura di un tavolo istituzionale sul gruppo Alliance Medical Italia, in presenza altresì delle parti sociali, vengano condivisi i piani industriali del gruppo, le sue possibili implicazioni sulla forza lavoro attualmente impegnata ed eventuali iniziative congiunte al fine di evitare ulteriori esuberi lavorativi. (4-03757)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Liuzzi n. 5-02222, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato L'Abbate.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BINETTI, CESA e BUTTIGLIONE. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la notizia che una gran quantità di latte tossico e cancerogeno, contaminato da una micidiale muffa del mais, la aflatossina, particolarmente pericolosa per i bambini, veniva prodotta in Friuli per essere distribuita in gran parte del Paese;
   nell'ambito dell'operazione i circa 300 carabinieri del NAS e dei comandi provinciali, hanno eseguito – in Friuli Venezia Giulia, Veneto, Toscana, Umbria, Campania e Puglia – 86 perquisizioni locali e personali;
   le indagini – avviate nel maggio 2012 – hanno consentito di accertare che il presidente, due dipendenti di un consorzio di allevatori della provincia di Udine ed una consulente esterna ritiravano latte dagli imprenditori agricoli associati (di cui alcuni certificati per la produzione di formaggio «Montasio DOP»), lo miscelavano e lo destinavano alla preparazione dell'alimento tutelato, violando così il disciplinare che garantisce al consumatore le caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche del prodotto;
   è inoltre emerso che 17 allevatori (denunciati a piede libero) ed i responsabili del consorzio, nonostante fossero a conoscenza della contaminazione da aflatossine (sostanze notevolmente cancerogene) di diverse partite di latte, le diluivano con prodotto non contaminato rendendolo idoneo ai controlli analitici effettuati dagli acquirenti. Tale illecito veniva favorito dalla complicità di un laboratorio di analisi della provincia di Udine (2 responsabili sono tra le persone tratte in arresto) che, quando dalle analisi eseguite per conto del consorzio emergeva la presenza di tossine in quantità superiore a quella consentita, alterava i referti ed il latte risultava sempre e comunque idoneo per la commercializzazione –:
   quali iniziative si ritenga opportuno assumere al fine di verificare con esattezza in quali zone e in quali modi il latte contaminato è stato distribuito e in che quantità è stato consumato;
   quali indagini mediche si intendano proporre per coloro che hanno consumato il prodotto incriminato per valutare l'impatto che ha avuto sulla loro salute e se ci sono sintomi di compromissione;
   quali misure si intendano intraprendere per tutelare la salute dei consumatori anche attraverso controlli più tempestivi e rigorosi della qualità dei prodotti messi in commercio. (4-02649)

  Risposta. — Le condizioni climatiche verificatesi nell'estate del 2012, caratterizzate da una prolungata siccità, hanno determinato un'accresciuta contaminazione da aflatossina B1 nelle produzioni di mais oltre i limiti fissati dalla normativa europea, particolarmente in alcune aree territoriali nelle quali, oltre alle temperature elevate rispetto agli anni precedenti, la raccolta delle materie prime è stata ritardata.
  Tali circostanze hanno accresciuto il livello di attenzione da parte delle autorità competenti nei confronti del rischio rappresentato dalla presenza della aflatossina M1, nel latte prodotto da bovini alimentati con il suddetto mais contaminato.
  Ciò premesso, per quanto attiene al primo quesito, il Ministero della salute, nel settembre del 2012 ha fornito indicazioni operative rivolte alle autorità competenti, tra cui il comando carabinieri per la tutela della salute, nonché ad altri enti ed organismi coinvolti nelle attività di verifica ufficiale, per intensificare i controlli sia sul mais pronto all'immissione sul mercato per il consumo umano ed animale sia sul latte.
  Nell'ambito di tali attività di controllo nel settore lattiero-caseario, il comando carabinieri per la tutela della salute ha sottoposto a verifica anche l'attività della ditta «Cospalat Fvg».
  Nel corso degli accertamenti, è emerso che alcune partite di latte bovino, raccolto alla fine del mese di ottobre dalla «Cospalat Fvg», benché con concentrazioni di aflatossina M1 superiori ai tenori massimi fissati dalla normativa europea, sono state miscelate con altre partite conformi, al fine di abbatterne i livelli di contaminazione.
  Il latte così miscelato è stato successivamente distribuito ad altri operatori del settore alimentare per la vendita o la trasformazione in prodotti lattiero-caseari.
  Le partite di latte in argomento sono state vendute dalla «Cospalat Fvg» a stabilimenti lattiero-caseari ubicati nelle regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Toscana, Umbria, Campania e Puglia.
  I nuclei antisofisticazioni e sanità (nas) competenti per il territorio delle aziende destinatarie delle menzionate partite di latte sono stati allertati per le verifiche di competenza e l'operazione ha portato al sequestro di 1017 forme di formaggio prodotte con latte contaminato, in parte già distrutte su disposizione delle locali autorità sanitarie.
  L'indagine condotta dai nas, ancora una volta, conferma la capacità delle istituzioni di saper contrastare ogni forma di contraffazione al fine di tutelare la salute pubblica.
  Comunico, inoltre, che l'accertamento dell'eventuale presenza in commercio di ulteriori alimenti derivati dal latte contaminato è tuttora oggetto delle indagini di polizia giudiziaria in corso, con il coordinamento della Procura della Repubblica di Udine, quindi sottoposto a segreto istruttorio.
  Solo all'esito di tali attività ispettive, pertanto, il Ministero della salute potrà valutare l'opportunità o meno di costituirsi parte civile in giudizio.
  Benché non si disponga dei dati di consumo del latte, i controlli ufficiali forniti dalla regione Friuli Venezia Giulia non hanno potuto rilevare la non conformità nel prodotto finito, per il fatto che il latte contaminato potrebbe essere stato diluito con latte conforme, per ricondurre nei limiti di legge, la presenza di aflatossine, nonostante tale pratica non sia consentita dalla legislazione.
  Per quanto concerne i controlli in materia di sicurezza alimentare si precisa che i nuclei antisofisticazioni e sanità, nel corso dell'ordinaria attività di vigilanza ed in relazione alle competenze derivate dal piano nazionale integrato sulla sicurezza alimentare, hanno svolto 3929 controlli mirati nel settore del latte e derivati nel periodo dal 1o gennaio 2012 al 30 giugno 2013.
  Tali controlli hanno portato al sequestro di prodotti per un valore di 52 milioni di euro, a 421 sanzioni penali e a 1335 sanzioni amministrative.
  Inoltre, il controllo della filiera latte «dalla stalla alla tavola» viene svolto attraverso i competenti servizi del Servizio sanitario nazionale. Solo a titolo esemplificativo si ricorda che, nell'anno 2012, presso gli stabilimenti del settore sono state effettuate circa 45 mila ispezioni nell'ambito del controllo ufficiale e circa 28 mila analisi.
  Riguardo alle iniziative rivolte alla tutela del marchio Montasio dop, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali garantisce che particolare attenzione viene riservata alle produzioni di qualità più rappresentative del nostro Paese e ai prodotti a denominazione tutelata (tra cui i formaggi), grazie all'attività di controllo svolta a cura dell'ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari dello stesso Ministero.
  I controlli effettuati nel comparto delle denominazioni tutelate sono rivolti alle caratteristiche merceologiche delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti, all'etichettatura, alla presentazione e pubblicità dei prodotti, al sistema di tracciabilità aziendale.
  Presso l'ispettorato è operativo l'osservatorio permanente antifrode, che elabora indicazioni utili all'individuazione dei fattori che accrescono il rischio di frodi nei vari comparti merceologici, al fine di poter ottimizzare la pianificazione delle ispezioni nel settore agroalimentare.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   D'OTTAVIO, ROSSOMANDO, AIRAUDO, SCALFAROTTO e PES. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari ha avuto inizio con l'emanazione del decreto del Presidente del consiglio dei ministri del 1° aprile 2008 e tra gli obiettivi ha indicato la realizzazione di strutture sanitarie residenziali extraospedaliere destinate ad accogliere pazienti psichiatrici autori di reato;
   la regione Piemonte ha avuto l'idea di realizzare una di queste strutture nell’ex ospedale psichiatrico di Collegno, come è stato comunicato al sindaco in data 9 aprile 2013, scelta che gli interroganti giudicano inopportuna posto che avrebbe l'effetto di riportare la città di Collegno e la struttura dell’ex ospedale psichiatrico indietro nel tempo;
   sarebbe necessario che la regione Piemonte individui altre e condivise soluzioni per raggiungere il proposito, senza interrompere quel processo di superamento dell'ospedale psichiatrico di Collegno per cui l'amministrazione comunale tanto si è impegnata –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in relazione a quanto descritto in premessa. (4-00253)

  Risposta. — Il Ministero della salute risponde all'interrogazione in esame sulla base delle informazioni acquisite dalla regione Piemonte, tramite la prefettura – ufficio territoriale del Governo di Torino.
  La regione ha comunicato che la soluzione originariamente prevista, alla quale si fa riferimento nell'interrogazione in esame, e cioè la realizzazione di una struttura sanitaria residenziale extraospedaliera per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (opg) nell'area dell’ex ospedale psichiatrico di Collegno, è venuta meno, in quanto la stessa ha individuato altri due siti per le esigenze dei pazienti piemontesi, che tengono conto della distribuzione della popolazione residente, dei dati storici dei flussi degli internati e dell'attuale situazione degli stessi.
  Un ulteriore motivo a favore di tale decisione è costituito dal parere negativo espresso dall'amministrazione comunale di Collegno nei confronti della possibilità di collocare la struttura nell'area dell’ex Certosa.
  Per quanto concerne in particolare le soluzioni individuate, la regione ha comunicato che, per il Piemonte nord è stato realizzato uno studio di fattibilità dalla Azienda sanitaria locale di Biella, che prevede la messa a norma dell’ex Residenza sanitaria assistita (Rsa) «Madonna Dorotea» di Broglio, mentre per il Piemonte sud l'Asl di Alessandria ha effettuato lo stesso studio, individuando nell'area «Cascina Spandonara» di Alessandria il luogo più idoneo per la realizzazione della seconda struttura regionale per il superamento degli opg.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   DELL'ORCO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPADONI, FERRARESI, MUCCI e CASTELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 16 settembre 2013, nell'ambito dell'inchiesta sul passante ferroviario di Firenze dell'alta velocità, i carabinieri del Ros, coordinati dai pubblici ministeri fiorentini Giulio Monferini e Gianni Tei, hanno posto agli arresti domiciliari, tra gli altri, il dottor Gualtiero Bellomo, geologo e membro della commissione di valutazione di impatto ambientale del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'accusa è di associazione a delinquere finalizzata a corruzione e abuso d'ufficio;
   secondo la procura, Bellomo era a «disposizione per stilare pareri compiacenti utilizzando documenti forniti dagli stessi interessati», in cambio di «plurime utilità»;
   secondo il giudice per le indagini preliminari, Angelo Antonio Pezzuti, che ha firmato l'ordinanza di custodia cautelare, Bellomo avrebbe ricevuto, come favori, più incarichi, compresa la conferma del ruolo nella commissione ministeriale di valutazione dell'impatto ambientale (Via) «come contropartita per l'apporto fornito» in una serie di approvazioni urbanistiche e paesaggistiche, «nonché per il rapido e positivo esame da parte del grippo istruttore Via del progetto per la realizzazione dell'autostrada Cispadana appaltata ad un'ATI, partecipata dalla cooperativa reggiana Coopsette»;
   giova sottolineare che, attraverso una sua controllata, la Nodavia S.c.p.A. di Castelnuovo di Sotto (RE), sta costruendo proprio l'alta velocità di Firenze;
   l'autostrada regionale Cispadana, che dovrebbe unire il casello di Reggiolo con Ferrara ha sollevato, fin dalla nascita del progetto, forti malumori e contrarietà da parte dei cittadini residenti nelle aree interessate dall'opera, che si sono organizzati in comitati e hanno raccolto migliaia di firme al fine di impedire la realizzazione di questa grande infrastruttura che non solo recherebbe un danno all'ambiente, ma soprattutto per la salute di migliaia di cittadini che, residenti in una zona pianeggiante, già subiscono un persistente inquinamento e una pessima qualità dell'aria;
   il dottor Gualtiero Bellomo è ancora membro della commissione di valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare –:
   considerati i fatti emersi nell'inchiesta ed esposti in premessa, se il Ministro interrogato non ritenga di dover rimuovere immediatamente dall'incarico il dottor Bellomo, avviando contemporaneamente un'indagine ministeriale per capire quali procedure di valutazione di impatto ambientale in corso presso il Ministero possano essere state compromesse dall'operato dello stesso Bellomo e se, in attesa della chiusura delle indagine, non si ritenga comunque necessario sospendere ambientale in corso per l'autostrada regionale Cispadana. (4-02217)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si fa presente che a seguito dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari (Gip) di Firenze che ha, tra l'altro, sottoposto a misura cautelare il dottore Gualtiero Bellomo, componente della Commissione valutazione impatto ambientale – valutazione ambientale strategica, questo Ministero ha tempestivamente richiesto al presidente della stessa Commissione una dettagliata relazione al fine di valutare le possibile ed eventuali azioni da porre in essere a tutela della amministrazione.
  Il presidente del predetto organismo ha fornito il proprio riscontro con nota del 3 ottobre 2013; con essa, viene evidenziato che sono stati compiuti accertamenti per verificare eventuali ingerenze del dottore Bellomo nei procedimenti Via-Vas cui ha preso parte e che da tali accertamenti non sarebbero emerse improprie interferenze del medesimo sull'operato della Commissione.
  Ciò nonostante, alla luce dei contenuti dell'ordinanza del Gip di Firenze, questo Ministero ha ritenuto di sospendere il dottore Bellomo dall'incarico di commissario Via-Vas per la durata di sei mesi, salvo proroga, con decreto ministeriale n. 264 dell'8 ottobre 2013.
  In relazione al piano utilizzo terre (put) (d.d. 10 gennaio 2013), e presupposto parere della commissione Via-Vas, relativo allo snodo av di Firenze, oggetto dell'indagine penale sfociata nell'ordinanza cautelare di cui trattasi, una volta acquisita dalla procura della Repubblica di Firenze copia della consulenza tecnica da essa disposta, questa è stata esaminata dalla competente direzione generale di questo Ministero la quale, con nota protocollo n. 24358 del 24 ottobre 2013, ha disposto l'avvio del procedimento di autotutela in relazione al predetto put, dandone comunicazione alle società interessate, e ne ha disposto la sospensione cautelare nelle more della conclusione del procedimento.
  Peraltro, allo stato, come già riferito, il dottore Bellomo non opera nella commissione Via-Vas e, pertanto, non può influire sulla valutazione ambientale, ancora in corso, relativa all'autostrada regionale Cispadana.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   FRAGOMELI, GUERRA, TENTORI e BRAGA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'attività assistenziale del reparto di reumatologia dell'ospedale di Gravedona (Como) ha inizio nell'agosto del 1981 inizialmente come ambulatorio di visite specialistiche reumatologiche fino a alla costituzione nel 1999 dell'UOS di reumatologia e riabilitazione reumatologica nell'ambito dell'UOC diretta dal dottor Mangano;
   nel corso degli anni il costante percorso di crescita della struttura ospedaliera, ha comportato l'assunzione di nuovo personale medico;
   è del 2002 la delibera di istituzione della reumatologia redatta dal direttore generale dottor Garofalo, mentre nel 2003 c’è il riconoscimento regionale della struttura come centro di riferimento regionale per la terapia con farmaci biologici nel progetto Antares, riconoscimento dettato dalla peculiare locazione che è riferimento per il territorio Lariano, di Valchiavenna e di Valtellina come esplicitamente viene esplicitato nel decreto n. 15503 della direzione generale sanità n. 1713 del 29 settembre 2003. Infine nel 2007 viene stipulata la convenzione con l'università di Milano per la reumatologia e vengono descritte esplicitamente dal dottor Garofalo, direttore generale dell'ospedale di Gravedona, le caratteristiche essenziali della UOS di reumatologia: posti letto, personale, dotazioni;
   attualmente la struttura dà assistenza ad oltre 3000 malati reumatici, con provenienza da tutta la regione Lombardia, con un volume di attività costituito da visite reumatologiche (principalmente rivolte ai malati artritici) e visite per osteoporosi e connettiviti (principalmente malati con sclerodermia sistemica), diagnostica ed interventistica ecografica per l'apparato locomotore, diagnostica capillaroscopica, attività MAC, ricoveri in DH, ricoveri ordinari e riabilitativi e si superano le 2000 prestazioni ogni anno;
   l'attività dell'ospedale di Gravedona si articola principalmente in: visite reumatologiche con accesso facilitato per le prime visite e per le urgenti, visite per osteoporosi con accesso facilitato per le prime visite; ecografia diagnostica dell'apparato locomotore, ecografia dedicata alla valutazione dell'attività sinovitica nei pazienti artritici, ecografia interventistica per il trattamento ecoguidato delle articolazioni, capillaroscopia per la diagnostica delle connettiviti, attività ambulatoriale complessa MAC 10, DH reumatologico terapeutico, ricoveri per situazioni acute particolarmente complesse, ricoveri riabilitativi per l'artrite e per l'osteoporosi fratturosa;
   il bacino d'utenza della struttura ospedaliera comprende l'Alto Lario occidentale ed orientale, la Valtellina, la Valchiavenna, la Valsassina ed il Lecchese e attualmente la popolazione del territorio che fa riferimento alla suddetta struttura ospedaliera può essere stimata non inferiore alle 200.000 persone. I dati epidemiologici di prevalenza delle artriti, delle connettiviti, delle malattie metaboliche testimoniano l'enorme volume di attività (pari circa al 3 per cento della popolazione) che il centro di Gravedona deve sostenere per non sottrarsi ad una legittima richiesta di assistenza, nel rispetto dell'adeguata offerta dei LEA del sopraccitato bacino;
   fino a dicembre 2012 la struttura suddetta disponeva di 18 letti di degenza, due day hospital, personale FKTerapico (TDR) dedicato ed infermieri adeguati al volume di attività;
   sempre nel mese di dicembre 2012 è stato attivato il tavolo tecnico riabilitazione reumatologica nell'ambito del tavolo di riabilitazione regionale coordinato dalla dottoressa Beretta responsabile della Riabilitazione dell'ospedale Niguarda. Il tutto per definire migliori percorsi assistenziali garantiti da personale sempre più preparato;
   con delibera regionale n. 4934 approvata nella seduta di Giunta regionale n. 133 del 28 febbraio 2013 vengono riconosciuti all'ospedale di Gravedona (Italia Hospital) la messa a contratto di 30 nuovi posti letti di riabilitazione specialistica neurologica;
   dall'inizio di gennaio 2013 con ordine verbale i letti a disposizione dei ricoveri riabilitativi sono stati ridotti a 6 così come il personale e due TDR sono stati assegnati alla riabilitazione neurologica. Infine, il 19 aprile 2013 è stato comunicato verbalmente che uno dei tre medici specialisti reumatologi verrà spostato in riabilitazione neurologica;
   tutto ciò ha evidentemente comportato grande sconcerto e preoccupazione sia da parte degli operatori del team ospedaliero di reumatologia, sia da parte dei malati utenti del servizio, sia da parte delle istituzioni e associazioni del territorio;
   la presidente dell'Associazione Lombarda dei malati reumatici (ALOMAR) ha chiesto formalmente un incontro con il direttore generale dell'ospedale dottoressa Carla Nanni e ne ha informato l'assessore regionale alla sanità e la direzione generale degli ospedali;
   l'attività svolta dall'ospedale di Gravedona, unica in un territorio prevalentemente montano, nel settore reumatologico integra il lavoro svolto dai medici reumatologici delle province di Sondrio, Lecco e Como, garantendo un appropriato sistema dei LEA;
   è auspicabile un riesame della situazione descritta in premessa tenendo conto delle più che legittime istanze dei numerosi malati e delle loro reali necessità assistenziali e posto che una riduzione in termini di organico e/o di strutture comporterebbe il collasso totale del servizio in essere;
   appare contraddittorio che a fronte del recente aumento di 30 posti letto di riabilitazione assegnati all'ospedale di Gravedona si comprimano i letti dedicati ai malati reumatici ed ai malati che necessitano di riabilitazione medica specialistica –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa, con particolare riferimento alla compatibilità delle soluzioni adottate con il pieno rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in un'area montana. (4-00644)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame dopo aver acquisito elementi dalla prefettura – ufficio territoriale del Governo di Como, stante il peculiare rilievo territoriale della problematica segnalata.
  A tal riguardo, si segnala che l'ospedale generale di Zona «Moriggia – Pelascini» di Gravedona ed Uniti (CO) ha comunicato che, con decorrenza 1o settembre 2013, sono stati attribuiti all'attività di reumatologia dodici posti letto e, contestualmente, è stata nuovamente assegnata una unità di personale medico, già destinata ad altro servizio.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   L'ABBATE, GAGNARLI, SCAGLIUSI, PARENTELA, TURCO, LUPO, TOFALO e LOREFICE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 27 maggio 2013, durante la seduta n. 23, veniva presentata l'interrogazione a risposta in commissione 5-00177 a cui il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali Dell'Aringa si è limitato ad elencare dati noti, relativi al solo sito produttivo di Monte Sant'Angelo (FG), mentre i quesiti oggetto della richiesta di informazioni riguardano lo stato del gruppo Sangalli nel suo complesso e la situazione dello stabilimento di Manfredonia in particolare (investimenti futuri, rifacimento forno, salvaguardia dei livelli occupazionali). Tale gruppo, che sta procedendo secondo un piano di ristrutturazione del debito (pari a circa euro 130 milioni), aderendo di fatto all'articolo 67 della legge fallimentare, ha formalmente presentato un'operazione di riorganizzazione aziendale che appare «invasiva» della Sangalli Vetro Manfredonia;
   il gruppo Sangalli ha beneficiato di contributi a fondo perduto, stanziati da tutti e tre i protocolli aggiuntivi al «contratto d'area di Manfredonia» come segue:
    Sangalli Vetro Manfredonia (già Manfredonia Vetro) ha percepito euro 70,048 milioni su euro 98,644 milioni, stando ai dati riportati dalla relazione del responsabile unico del contratto d'area, mentre secondo altre fonti contabili risultano euro 102.620.061,35 su euro 106.941.808,90 di valore dell'investimento;
    la Sangalli Vetro spa (ieri con funzione di controllo e direzione, oggi soltanto immobiliare) ha percepito oltre euro 9 milioni per lo stabilimento «Isola 13» poi dato in fitto a Zadra Vetri, dal dicembre 2011 non più produttiva;
    Sangalli Vetro Satinato srl ha percepito euro 2,87 milioni su euro 5,7 milioni di valore iniziale dell'investimento;
   il Gruppo Sangalli pare abbia utilizzato i conti operativi dell'insediamento industriale di Manfredonia, sottoposto ai vincoli del «contratto d'area di Manfredonia» per ottenere vantaggi in capo alla controllata Sangalli Vetro Porto Nogaro spa di San Giorgio di Nogaro (UD), mettendo in grossa difficoltà l'azienda della Capitanata e ponendola in condizioni di estrema vulnerabilità;
   Sangalli Vetro Porto Nogaro infatti, è garantita da Sangalli Vetro Manfredonia attraverso fidejussioni e, in particolare, da un'ipoteca da euro 90 milioni, a fronte dei euro 45 milioni concessi, che coincidono con la posizione finanziaria netta negativa per circa euro 90 milioni risultante dal bilancio al 31 dicembre 2012. A ciò si aggiunga un'ipoteca derivante da concessione di mutuo fondiario sulla sede legale di Susegana (Treviso) iscritta in data 20 giugno 2012;
   oggi, la sfavorevole congiuntura economica, la riduzione degli ordinativi, il restringimento del credito unito alla fuga di capitali e a fallimenti controllati di aziende finanziate ma mai insediate, hanno decretato di fatto il fallimento del «contratto d'area di Manfredonia». Una situazione che ha visto il gruppo Sangalli lamentarsi delle difficoltà di mercato e delle perdite d'esercizio da un lato e, dall'altro, aprire uno stabilimento pressoché identico, con identica gamma di prodotti, a San Giorgio di Nogaro (UD), raddoppiando e più l'offerta di vetro piano e mettendo di fatto in crisi il mercato interno. Sangalli Vetro Porto Nogaro s.p.a., infatti, in origine avrebbe dovuto produrre «vetro float extrachiaro» tuttavia produce quasi totalmente «vetro float chiaro»: il medesimo dello stabilimento di Manfredonia. Il nuovo sito produttivo avrebbe dovuto rivolgersi in prevalenza al mercato estero, cosa che, nei fatti non si è verificata. Inoltre, come riporta a pagina 5 la «Relazione dei Sindaci» al bilancio al 31 dicembre 2012 di Sangalli Vetro Manfredonia S.p.A., riguardo la procedura ex articolo 67 della legge fallimentare: «Il Presidente in quell'occasione aveva aggiornato in merito agli sviluppi degli incontri con le Banche, alla luce del Piano aggiornato al 6 marzo 2013, sottolineando che gli Istituti di Credito avrebbero provveduto a ripristinare i fidi, garantendo l'operatività del gruppo. L'intesa con le banche dovrà comprendere inoltre la sottoscrizione di una moratoria, l'erogazione di nuova finanza ponte, e la sottoscrizione di un accordo eventualmente dotato delle protezioni fornite dalla legge fallimentare»;
   il 18 giugno 2013, la proprietà (Giorgio Sangalli e i figli Giacomo e Francesco) ha tenuto un incontro con l'assessore regionale al lavoro e politiche del lavoro Leo Caroli, presso la sede della regione Puglia, in cui ha dichiarato che per rilanciare l'attività dello stabilimento di Manfredonia occorre un investimento pari a euro 20 milioni. Una richiesta a cui la regione Puglia ha fatto sapere di poter far fronte sino a euro 6 milioni, finanziabili attraverso il progetto «Puglia Sviluppo», a patto di salvaguardare i livelli occupazionali, e che ha visto la ferma opposizione della proprietà che pare invece orientata alla esternalizzazione di alcuni servizi operando nel contempo un significativo ridimensionamento aziendale con il ricorso a procedure di mobilità per un numero consistente di addetti;
   sempre il 18 giugno 2013, il management Sangalli ha incontrato i rappresentanti dei sindacati ed i sindaci dei comuni di Manfredonia, Mattinata e Monte Sant'Angelo e ha reso noto l'accordo di «transazione strategica» con il gruppo russo «Stis» (leader nella produzione, distribuzione, lavorazione e logistica del vetro float in Russia e nei paesi ex CSI), attraverso la lussemburghese Glasswall Sàrl (già Cilaos Sàrl fino al 19 giugno 2013) che vede come azionista unico un trust domiciliato a Tortola, nelle Isole Vergini Britanniche, dal nome East Investing Ltd. Il CEO del Gruppo Stis Dmitry Sulin, con ogni probabilità dominus del trust di cui sopra, non ha esternato nulla in merito a chi sarà l'azionista di riferimento del gruppo Sangalli né, tantomeno, il contenuto dell'accordo. Ad ogni modo, nulla di tale operazione risulterebbe oggi dai depositi documentali presso il competente registro delle imprese;
   tra le varie concause dello stato di insolvenza lamentato dal Gruppo Sangalli possono essere annoverate:
    a) la frode fiscale internazionale, connessa alla nota vicenda «Lista Pessina» che ha coinvolto il presidente Giorgio Sangalli e molti altri, che hanno chiesto il patteggiamento, e proseguita con un altro contenzioso sempre di natura fiscale; a bilancio emergono oltre 293,066 milioni di euro qualificati come «spese per servizi» di cui i bilanci Sangalli Vetro Manfredonia dal 2004 di fatto non forniscono il dettaglio. Non sorprende che tali spese risultino in forte crescita nel caso dell'ultimo bilancio nonostante il manifesto calo del fatturato e le ingenti perdite d'esercizio (circa 8,6 milioni di euro);
    b) la lussemburghese Saninpart SA, collocata al vertice dell'articolata struttura societaria del gruppo, che ha visto per molti anni come amministratore un professionista come Jean Bodoni, più volte accostato a scandali finanziari (Coppola, Telepiù, Fiorani, Ricucci), a sua volta sottoposta al controllo di alcune strutture fiduciarie (trust) atte a custodire il patrimonio famigliare dei Sangalli. Tali trust sono, con ogni probabilità, ubicati in paradisi fiscali. Non sorprende che i bilanci del gruppo, a quanto consta agli interroganti, non riportino informazioni relative a Saninpart SA;
    c) il terzo protocollo aggiuntivo al contratto d'area di Manfredonia ha stanziato contributi pubblici a favore della Sangalli Vetro Satinato per euro 2,8 milioni, e così pure, anche se indirettamente, della Sangalli Home Glass (società veneta del gruppo controllata da Sangalli Vetro) la quale, prima di chiudere i battenti nell'ottobre 2011, avrebbe beneficiato del trasferimento di alcuni macchinari dalla sede di Manfredonia della controllante. Queste ultime, Sangalli Home Glass e Zadra Vetri (già Sangalli Vetro) sono ora in liquidazione e oltre 150 risultano essere gli esuberi a poche settimane dalla conclusione del procedimento penale per frode fiscale di cui sopra. Trasferimenti che possono aver avuto un impatto sull'occupazione, e in particolare sull'indotto;
    d) il coinvolgimento, infine, di due cariche sociali nel crac di una storica azienda friulana: un consigliere e un sindaco della Sangalli Vetro Porto Nogaro, nonché dirigenti della finanziaria regionale Friulia, socia e creditrice del gruppo sono ora indagati per bancarotta fraudolenta;
   gli azionisti della Sangalli Vetro Manfredonia spa sono stati convocati per le dimissioni dell'organo amministrativo, in prima convocazione, per il giorno 6 novembre 2013;
   si richiama il dichiarato impegno del Ministro interrogato «ad acquisire ulteriori informazioni che possano ulteriormente chiarire le vicende aziendali» –:
   se il Governo intenda assumere le iniziative di competenza per:
    a) comprendere quali motivi abbiano spinto la proprietà Sangalli ad aprire uno stabilimento pressoché identico a San Giorgio di Nogaro, mentre il sito produttivo di Manfredonia lamentava nel 2009 difficoltà di mercato come è apparso evidente già allora dal ricorso alla cassa integrazione;
    b) approfondire le cause delle perdite d'esercizio dell'intero gruppo e le difficoltà riscontrate dalla società Sangalli Vetro Manfredonia spa – ex Manfredonia Vetro s.p.a., gli eventuali rapporti, non solo contabili, con la controllante lussemburghese ed i trust di cui sopra, in particolare l'esistenza di macchinose partite di giro, già accertate in parte dalla Guardia di finanza, e l'eventuale collegamento tra questi costi e quelli fatti per conto della controllata Sangalli Vetro Porto Nogaro, visti soprattutto gli ingenti finanziamenti pubblici percepiti dalle aziende manfredoniane del gruppo;
   quali siano le cause alla base del fallimento della società «Zadra Vetri spa – ex Sangalli Vetro», e gli eventuali rapporti con le rispettive società lussemburghesi e le condizioni di vendita e di trasporto dei macchinari ceduti;
   quali siano le azioni intraprese dalla «Sangalli Vetro Manfredonia S.p.A. – ex Manfredonia Vetro S.p.A.» a salvaguardia dei livelli produttivi ed occupazionali;
   se lo stato di insolvenza lamentato dal Gruppo Sangalli, di cui peraltro si ignora l'ammontare complessivo attuale (il dato è riferito al 31 dicembre 2012), sia dovuto non solo alla sfavorevole congiuntura economica ma anche agli altri fattori di natura strategica, fiscale e giudiziaria riportati in premessa. (4-02323)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede quali iniziative si intendano assumere rispetto alla situazione occupazionale della Sangalli vetro Manfredonia Spa – ex Manfredonia vetro spa, si rappresenta quanto segue.
  Sulla base delle risultanze degli accertamenti svolti dalla Direzione territoriale del lavoro di Foggia, risulta che nel periodo dal 2009 in poi, i valori di produzione e spedizione dello stabilimento Sangalli vetro Manfredonia Spa sono stati i seguenti:

Produzione 2009 2010 2011 2012 2013
Vetro Float tonn. 138.338 166.589 172.910 155.486 131.045
Vetro laminato, satinato,
coater mq.
4.654.848 6.828.368 7.334.543 6.886.880 6.726.041


Spedizione 2009 2010 2011 2012 2013
Vetro Float tonn. 65.416 82.932 65.074 81.076 59.329
Vetro laminato, satinato,
coater mq.
3.299.148 5.523.681 5.639.273 5.763.020 5.596.550

  La produzione del vetro float ha seguito un andamento crescente fino al 2011 per poi diminuire nel 2013 nella misura del 24,21 per cento rispetto al 2011. Per quanto concerne i vetri laminato, satinato e coater, la diminuzione nel 2013 rispetto al 2011 è stata dell'8,3 per cento.
  La quantità di vetro float venduto nel 2013 è diminuita del 26,8 per cento, rispetto al 2012, mentre la vendita dei restanti prodotti non ha subito, nel tempo, variazioni di rilievo.
  La forza occupata nel predetto periodo è rimasta più o meno inalterata come si rileva dal seguente prospetto:

2009 2010 2011 2012 2013
Unità lavorative 197 200 204 203 196

  La ditta ha fatto ricorso alla Cassa integrazione ordinaria negli anni 2009, 2012 e 2013, in misura irrisoria rispetto al monte ore lavorato.
  Dall'esame dei bilanci relativi al periodo in questione, l'utile/perdita di esercizio è stato il seguente:

2009 2010 2011 2012
(3.697.037) 553.957 3.623.836 (8.617.707)

  Da notizie assunte presso il predetto stabilimento, è risultato che l'attuale situazione produttivo/finanziaria della società risente della forte contrazione della domanda interna e che lo stabilimento Sangalli vetro Porto Nogaro non costituisce motivo di «sofferenza» per lo stabilimento di Monte Sant'Angelo, atteso che l'offerta del primo si rivolge principalmente al mercato europeo, non raggiunto dal secondo, se non con vendite a prezzi ribassati del prodotto, considerato l'elevato costo del suo trasporto.
  Per quanto concerne gli investimenti futuri e le iniziative finalizzate al mantenimento dei livelli occupazionali, nulla è stato possibile conoscere presso lo stabilimento, mentre in merito al forno, si prevede che esso, sulla base degli attuali standard tecnici, concluderà il proprio ciclo alla fine del 2015. Ad oggi, per quanto è dato sapere, non risultano ancora avviate procedure per la sua sostituzione.
  Quanto alle risultanze emerse dall'istruttoria effettuata presso il Ministero dello sviluppo economico, si rappresenta che nell'ambito del «Contratto d'Area di Manfredonia – 1o Protocollo aggiuntivo», sottoscritto il 12 novembre 1998, è stato concesso in via provvisoria alla Manfredonia vetro Spa – ora Sangalli vetro Manfredonia Spa –, un contributo in conto impianti pari a poco più di 70 milioni di euro, riguardante un programma di investimenti per la lavorazione del vetro che prevedeva quasi 99 milioni di euro di investimenti ed un'occupazione a regime di 197 unità. A fronte del suddetto contributo sono state effettuate, a favore della predetta società, erogazioni per un ammontare complessivo di circa 67 milioni di euro.
  Inoltre una commissione nominata dal Ministero dello sviluppo economico ha accertato una spesa finale complessiva pari a circa 102 milioni di euro e 194 dipendenti mediamente occupati nel 2003.
  Lo stesso Ministero ha reso noto altresì che con provvedimento del febbraio 2005 il sindaco di Manfredonia, in qualità di responsabile unico del contratto d'area di Manfredonia, ha approvato in via definitiva il programma di investimenti realizzato dalla Manfredonia vetro Spa ed ha determinato le agevolazioni spettanti in circa 67 milioni di euro, al lordo degli oneri per la commissione di accertamento della spesa finale.
  Per quanto riguarda il contratto d'area nella sua generalità, il medesimo Ministero ha fatto sapere che sono ancora in corso 10 iniziative e, tra i programmi agevolati conclusi amministrativamente, 38 sono stati chiusi con provvedimento di concessione definitiva e 73 sono stati oggetto di provvedimento di revoca.
  Quanto alle specifiche tematiche occupazionali, si rappresenta che diverse aziende rientranti nel contratto d'area di Manfredonia-Mattinata-Monte Sant'Angelo hanno cessato ogni attività, mentre altre attraversano una fase congiunturale sfavorevole che ha generato una diminuzione dei livelli occupazionali ed il ricorso agli ammortizzatori sociali.
  In particolare, la società Sangalli home glass Srl, congiuntamente alle organizzazioni sindacali, ha sottoscritto presso questo Ministero in data 4 novembre 2011 un verbale di accordo per il ricorso alla Cigs per crisi aziendale per cessazione totale dell'attività svolta presso il sito di Vittorio Veneto (TV), al fine di gestire un esubero di personale pari a 40 dipendenti ivi occupati. Il trattamento di Cigs, richiesto per la durata di 24 mesi decorrenti dal 28 novembre 2011, è scaduto lo scorso 27 novembre.
  La società Sangalli vetro Spa, congiuntamente alle organizzazioni sindacali, ha sottoscritto presso questo Ministero in data 13 dicembre 2012 un verbale di accordo per il ricorso alla Cigs per crisi aziendale per cessazione totale dell'attività svolta presso il sito di Monte Sant'Angelo (FG) al fine di gestire un'eccedenza di personale pari a 78 lavoratori ivi occupati. Il trattamento di Cigs, richiesto per la durata di 24 mesi decorrenti dal 1o ottobre 2012, scadrà il 30 settembre 2014.
  Si rappresenta, infine, che nulla è pervenuto a questo ufficio in merito alla situazione occupazionale della Sangalli vetro Manfredonia Spa.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiCarlo Dell'Aringa.


   LAFFRANCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   alla fine degli anni ’70 si sono verificati i primi smottamenti nella zona cosiddetta «Ivancich» di Assisi. Un'area densamente popolata che da piazza Matteotti passa per via Giovanni XXIII, Porta nuova, viale Umberto I, via San Benedetto e via Madonna dell'Olivo, fino ad arrivare a San Potente;
   gli smottamenti hanno a lungo creato disagi in tutta la zona, soprattutto dissesti idrogeologici che hanno causato la rottura dell'acquedotto in più punti, con conseguente disagio per le abitazioni servite;
   i lavori di consolidamento ebbero inizio nel 2001 a cura del provveditorato alle opere pubbliche per l'Umbria e dopo mille traversie, nel 2006, con i lavori realizzati appena al 50 per cento, si è addivenuti alla rescissione del contratto con la ditta aggiudicatrice;
   nel 2008 il provveditorato interregionale ha bandito la gara per i lavori di completamento dei lavori, aggiudicando gli stessi ad una nuova ditta, che però non vi ha potuto mai dare inizio a causa di un sopravvenuto annullamento dell'aggiudicazione nel 2010 a cura dello stesso provveditorato;
   nell'estate del 2009, a seguito delle forti piogge cadute in quel periodo, si sono verificati ulteriori disagi in tutta la zona Ivancich, con anche una microfrana dovuta alla mancanza di regimentazione idrogeologica del versante sovrastante Subasio;
   la vicenda dei lavori per la sistemazione idrogeologica dell'area, in particolare del versante di frana, non si è ancora definitivamente conclusa;
   nel marzo 2011 il provveditorato ha specificato che in via di autotutela ha verificato l'effettiva disponibilità dei fondi a suo tempo impegnati per la realizzazione di tutto l'intervento di consolidamento ed oramai caduti in perenzione amministrativa. Aggiungendo che, solo allorquando si acquisirà definitiva certezza delle disponibilità dei fondi, potrà procedersi, come per altro si è fatta riserva con il D.P n. 231/11 del 25 gennaio 2011, a rimettere gli atti di gara alla Commissione giudicatrice per la ripetizione della valutazione delle offerte e procedere a nuova aggiudicazione;
   le competenze sui lavori in questione sono, nel frattempo, passate al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed i fondi residui per la realizzazione dell'intervento sono effettivamente andati in perenzione amministrativa;
   il provveditorato ha più volte chiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la disponibilità del finanziamento per il completamento dei lavori;
   con ordinanza n. 430 del 15 settembre 2011 (protocollo 29524) il sindaco di Assisi, in veste di ufficiale di Governo, ordinava al provveditore alle opere pubbliche per la Toscana e Umbria di «dare corso senza ulteriore indugio», ai lavori di completamento del consolidamento del versante in frana in località Ivancich, stante il concreto pericolo di ulteriore cedimenti;
   con nota del 26 settembre 2011 (protocollo 2782) il provveditorato interregionale richiedeva all'avvocatura distrettuale di Stato un parere in merito alle competenze in materia di difesa del suolo, ritenendo che i lavori di completamento fossero ormai divenuti di competenza della Regione Umbria;
   con successiva nota dell'11 ottobre 2011 (protocollo 0032155) il Sindaco chiedeva alla Presidenza del Consiglio dei ministri dipartimento di protezione civile la nomina di un commissario straordinario;
   in data 10 gennaio 2012, il sindaco di Assisi, stante la complessità della vicenda, ha provveduto a inviare una missiva direttamente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, auspicando un suo intervento volto all'individuazione di un iter idoneo per la definitiva soluzione del problema;
   nel maggio 2012, come riportato dalla stampa locale, l'esasperazione di molti cittadini di Assisi a seguito delle inadempienze e delle promesse non mantenute si è manifestata in proteste pubbliche;
   nel dicembre 2012, il Sindaco e l'amministrazione comunale hanno nuovamente sollecitato l'immediata ripresa dei lavori di consolidamento della frana, per quanto attiene al secondo stralcio. Dopo due anni di attesa, infatti, il provveditore Toscana Umbria ha appaltato i lavori all'impresa e si attende solamente una lettera di autorizzazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in data 10 gennaio 2013 il consiglio comunale di Assisi ha approvato all'unanimità una mozione richiedente alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ai Ministri dell'ambiente e delle finanze e alla regione Umbria di riscrivere a bilancio i fondi in perenzione e di rifinanziare in tempi rapidi i lavori di consolidamento;
   con ulteriori due missive, datate 8 aprile 2013 (protocollo 0011352) e 9 aprile 2013 (protocollo 0011667), il sindaco di Assisi richiedeva ulteriormente un intervento urgente da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il completamento dei lavori di consolidamento. In tale occasione veniva altresì chiarita ulteriormente la portata e la gravità del movimento franoso in atto ad Assisi, con lo scivolamento di una vasta area della città di circa 7,5 millimetri l'anno (come rilevato nell'ottobre 2011 anche dall'ESA);
   in una relazione redatta dall'ingegner Pasquale Cosco del 20 febbraio 2013 vengono evidenziate le motivazioni tecniche per le quali è essenziale intervenire immediatamente al completamento dei lavori mediante la realizzazione dei dreni sub verticali al fine di non compromettere la funzionalità delle parti di opere già realizzate e quindi mettere a rischio l'intero progetto;
   vista la gravità della situazione il provveditorato alle opere pubbliche per l'Umbria ha riattivato i sistemi di monitoraggio al fine di riscontrare un ulteriore aggravamento del movimento franoso in atto;
   appare evidente all'interrogante che ci si trova di fronte ad una vicenda di degenerazione burocratica, di cui, come sempre, pagano le conseguenze i cittadini che da troppi anni attendono risposte chiare e i necessari interventi risolutori;
   in tale contesto, perdurando la mancanza di un definitivo intervento da parte delle autorità competenti, esiste il rischio concreto di nuovi pericolosi eventi franosi che coinvolgerebbero inevitabilmente la popolazione residente con gravi rischi anche per l'incolumità fisica –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti, e in quali tempi intendano intervenire per chiarire definitivamente gli aspetti di propria competenza nell'interesse dei cittadini coinvolti, permettendo la ripresa e la definitiva conclusione dei lavori;
   se non intendano, come richiesto dagli amministratori locali, convocare nel più breve tempo possibile un tavolo istituzionale che veda coinvolti a vario titolo tutti gli enti preposti alla tutela del territorio, così da addivenire ad un iter amministrativo certo e concordato, dando così una risposta alla cittadinanza preoccupata per l'evoluzione negativa della vicenda.
(4-00483)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante ha riassunto con dovizia di particolari la lunga e travagliata questione dei lavori di consolidamento della cosiddetta frana di Assisi, che consegue ai primi smottamenti registrati sin dalla fine degli anni ’70 nella località «Ivancich».
  La zona interessata dagli interventi, in particolare, posta nel versante sud di Assisi, è situata all'interno dell'abitato, immediatamente a ridosso della parete meridionale della cinta muraria medioevale. Nella zona sono presenti, oltre a vari edifici privati, anche l'ospedale e il complesso edilizio relativo al convento dei Cappuccini.
  Per meglio comprendere le pertinenti e perduranti problematiche, appare opportuno ricordare, innanzitutto, che all'epoca dei primi sopralluoghi quasi tutti gli edifici risultavano più o meno lesionati, al punto che per alcuni di questi, compresa un'ala dell'ospedale e parte del Convento dei Cappuccini, era stato ordinato lo sgombero ed effettuato il transennamento. L'area interessata dal movimento franoso, complessivamente, misurava circa 40 ettari.
  I vari studi e progetti che si erano succeduti nel tempo, non avevano, peraltro, trovato accoglienza a causa di problemi legati alla incompatibilità con il contesto storico-ambientale in cui è posta l'area ed alle particolari condizioni di disagio, e qualche volta di rischio, cui sarebbero stati sottoposti gli abitanti della zona.
  Era stato accertato, infatti, che i terreni interessati sono costituiti da una coltre di materiale detritico di spessore variabile compreso tra 0 e 60 metri poggiante sulla formazione di base marnoso arenacea (complesso di sedimenti prevalentemente terrigeni di età miocenica). Le analisi e le indagini di carattere geologico e geotecnico effettuate hanno dimostrato che il principale responsabile del movimento franoso è l'acqua che, permeando in maniera diffusa attraverso l'ammasso detritico, lo rende instabile sulla superficie d'appoggio della sottostante formazione.
  La circolazione idrica sotterranea è alimentata in maniera significativa dai rilasci delle formazioni carbonatiche a ridosso del corpo di frana e dalle infiltrazioni dirette provenienti dalla superficie dell'area di frana. Sulla base di queste considerazioni è stato individuato il tipo di intervento necessario ad arrestare il fenomeno franoso e stabilizzare l'intera area, attraverso la realizzazione di un particolare sistema drenante capace di abbattere i carichi piezometrici presenti.
  A seguito, quindi, di un primo finanziamento all'uopo assicurato, il Provveditorato alle opere pubbliche per l'Umbria aveva realizzato per tramite della Ati Tecnis Spa, – Si.Gen.Co. Spa, cui era stato affidato l'appalto (a favore del quale era stato assunto il pertinente impegno di spesa a carico del competente capitolo di spesa dell'allora competente Ministero delle infrastrutture – oggi di questo Ministero), una prima parte dei lavori che consistono nella realizzazione di pozzi verticali ed opere accessorie. I lavori non erano stati, tuttavia, portati a compimento in quanto la stazione appaltante aveva risolto nel corso del 2007 l'appalto per grave inadempimento del contraente, il quale ha promosso apposito contenzioso presso il tribunale di Perugia, tuttora pendente.
  Al fine di garantire il completamento degli interventi predetti, necessari anche in relazione alla oggettiva circostanza che l'opera, allo stato dell'arte, non poteva, come ancora oggi non può, garantire alcun effetto positivo di assestamento del territorio, il competente provveditorato aveva provveduto a bandire apposita gara per l'affidamento dei lavori di completamento dell'intervento in parola.
  Finalmente nel 2011, a seguito di altre vicissitudini, lo stato delle procedure erano giunte al punto di poter procedere alla aggiudicazione del nuovo appalto, quando si poneva prepotentemente alla attenzione della stazione appaltante la impossibilità di utilizzare i fondi residui dell'impegno originario a suo tempo assunto a favore dei primi affidatari dell'intervento, in quanto nel frattempo caduti in perenzione amministrativa.
  Al riguardo, valga segnalare che si parla di perenzione amministrativa quando taluni impegni di spesa, regolarmente assunti per far fronte a obbligazioni contratte dallo Stato e giuridicamente perfezionate (esempio: contratto di appalto), non vengono assoggettati alla successiva fase della liquidazione, ordinazione e pagamento entro un certo periodo di tempo e sono per questo «cancellati» dal bilancio della pertinente amministrazione. Si tratta di un istituto caratteristico della contabilità pubblica che di norma non arreca danno al creditore in quanto il medesimo può comunque avanzare richiesta di pagamento (a fronte di una prestazione o di una fornitura regolarmente resa) dando corso ad una apposito procedimento di natura amministrativa che si conclude con la nuova iscrizione del suo credito nel bilancio della stessa pertinente amministrazione, prelevando le risorse da un apposito «fondo speciale» istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'economia e delle finanze.
  Sulla possibilità di procedere in tal senso anche nel caso in esame, tuttavia, si esprimeva in senso sfavorevole l'Ufficio centrale del bilancio coesistente presso questo dicastero con la nota prot. n. 6921 del 22 giugno 2012, negando la possibilità di utilizzare i residui passivi perenti per un soggetto giuridico diverso da quello per il quale venne a suo tempo assunto l'impegno contabile.
  Dello stesso avviso era stato, altresì, il parere reso dall'ispettorato generale di bilancio del Mef con la nota prot. n. 69903 del 31 agosto 2012, alla cui attenzione era stata sottoposta la questione.
  Esclusa, così, la possibilità di poter utilizzare, per i fini che qui interessano, quanto rimaneva delle risorse a suo tempo complessivamente stanziate, e considerato che la somma necessaria per la ripresa dei lavori e il conseguente completamento degli interventi era stata quantificata in circa 3,5 milioni di euro, a meno di una improbabile resipiscenza dei competenti uffici del Mef, altro non v'era che reperire nuove ed ulteriori risorse.
  Sul punto si riferisce, infatti, che tra questo Ministero e la regione Umbria risultava in essere, firmato in data 3 novembre 2010, un accordo di programma finalizzato alla programmazione e al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico nel territorio della regione. In esso, in particolare, era prevista la realizzazione di n. 22 interventi per una spesa programmata di complessivi euro 45,648 milioni, di cui oltre euro 21 milioni di provenienza ministeriale e i rimanenti euro 24 milioni circa posti a carico della stessa regione.
  La problematica specifica, tuttavia, nonché quella più in generale riconducibile alle problematiche connesse al dissesto idrogeologico, sono da tempo tenute da questo Dicastero in prioritaria considerazione.
  La lotta contro il dissesto idrogeologico, infatti, è una grande emergenza nazionale e si ritiene rappresenti il più grande investimento infrastrutturale che il nostro Paese ha in questo momento il dovere di compiere. Le stime dei costi degli interventi da realizzare per la mitigazione di questi rischi ci danno numeri allarmanti. Si pensi che solo per mettere in sicurezza le aree a più elevato rischio idrogeologico è stato stimato che servirebbero circa 11 miliardi di euro, mentre per mettere in sicurezza l'intero paese la cifra salirebbe a circa 40 miliardi di euro.
  Ed è stato proprio per tali motivi che questo Ministero si è fatto parte diligente nel cercare di reperire le necessarie risorse da destinare alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza in relazione alla frana in movimento in località Ivancich nel comune di Assisi – che qui in particolare interessa – prevedendo una apposita norma per la finalizzazione di risorse per 2 milioni di euro nel decreto-legge 31 ottobre 2013, n. 126 (articolo 1, comma 10), recante «Misure finanziari urgenti in favore di regioni ed enti locali ed interventi localizzati nel territorio», purtroppo decaduto per mancata conversione.
  Un'altra e parallela iniziativa, tuttavia, originariamente programmata per consentire il completamento dello stesso intervento, risulta essere andata a buon fine. Infatti, in data 24 dicembre 2013 si è pervenuti alla sottoscrizione tra il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il presidente della regione Umbria di un apposito atto integrativo all'accordo di programma di cui sopra, finalizzato ad assicurare ulteriori risorse pari a 2,3 milioni di euro, provenienti interamente dal bilancio ministeriale, per la sistemazione del versante di frana di cui si discute.
  Nel ritenere di aver corrisposto, questo Ministero, con atti concreti e in tempi relativamente brevi alle legittime istanze del territorio in un settore, quale quello del dissesto idrogeologico, che purtroppo interessa gran parte della nazione, si rassicura l'interrogante che l'attenzione sulle pertinenti problematiche sarà tenuto comunque alto anche per il prossimo futuro, al fine di adottare, anche di concerto con le altre amministrazioni ed enti pubblici interessati, tutte le più idonee iniziative di competenza
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   LODOLINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina comunitaria individuata dalla direttiva CE 2000/59 «Impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico» recepita dall'ordinamento italiano con il decreto legislativo 24 giugno 2003 n. 182 «Attuazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico che sta alla base della comune esigenza di salvaguardare l'ambiente e ridurre l'inquinamento marino e gli scarichi in mare dei residui del carico, prevede l'obbligo per le navi di conferire presso i porti di approdo i rifiuti prodotti a bordo;
   secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 182 del 2003 attuativo della direttiva comunitaria, le navi che approdano nei porti italiani sono tenute a conferire i rifiuti prodotti a bordo articolo 7, comma 1, recita infatti «il comandante della nave, ogniqualvolta lascia il porto di approdo, conferisce i rifiuti prodotti dalla nave all'impianto portuale di raccolta prima di lasciare il porto...»;
   l'articolo 6 prevede a tal riguardo l'obbligo di notifica per cui il comandante della nave diretta verso lo scalo nazionale deve notificare all'autorità marittima, se intende conferire tutti, alcuni, o nessuno dei rifiuti, oltre al tipo ed al quantitativo di rifiuti non conferiti con la relativa percentuale di stoccaggio residua;
   la notifica (che costituisce una sorta di autocertificazione da parte del comando nave) deve essere inoltrata dalla nave all'autorità marittima almeno 24 ore prima dell'arrivo nel porto di scalo, se noto; non appena il porto di scalo è noto, qualora conosciuto a meno di 24 ore dall'arrivo, prima della partenza dal porto di scalo precedente, se la durata del viaggio è inferiore a 24 ore;
   le navi possono altresì proseguire verso il successivo porto di scalo senza aver adempiuto all'obbligo di conferimento, in deroga a tale prescrizione, previa autorizzazione dell'autorità marittima che, avvalendosi dell'autorità sanitaria marittima e del chimico del porto, ove presenti, abbia accertato per la stessa nave una capacità di stoccaggio sufficiente per i rifiuti già prodotti e accumulati e per quelli che saranno prodotti fino al momento dell'arrivo presso il successivo porto di conferimento;
   a giudizio dell'interrogante appare evidente che una tale possibilità sia poco stringente, lasciando amplissimi margini di discrezionalità circa il comportamento che devono tenere le autorità preposte al rilascio delle autorizzazioni in deroga alla normativa comunitaria e nazionale;
   nella quasi totalità dei porti nazionali, da qualche anno è invalso l'uso da parte delle autorità marittime locali di concedere come prassi ordinaria alle navi che vi approdano, siano esse di linea, mercantili o da crociera, deroga al citato obbligo di conferire i rifiuti senza preventivo accertamento ed effettivo controllo della reale capacità di stoccaggio, facendo quindi divenire l'eccezione della deroga, rispetto all'obbligo di conferimento, la regola;
   per contro la capitaneria di porto di Genova, con l'ordinanza n. 348 del 28 gennaio 2007, ai commi 4.1, 4.2, 4.3, 4.4 fa obbligo a tutte le navi che approdano in quel porto e che vi sostano per oltre 24 ore di conferire i rifiuti putrescibili (di camera e cucina) e quindi ad alto rischio infettivo, anche se abbiano ottenuto l'autorizzazione alla deroga ai sensi dell'articolo 7, comma 2, del decreto legislativo n. 182 del 2003;
   detta disposizione restrittiva trova conferma anche nella sentenza n. 19800 del 14 settembre 2006 Cassazione civile – Augusta, che ha ribadito il principio sancito nella convenzione ONU sul diritto del mare di Montego Bay del 1982 (articolo 211 di detta convenzione);
   pur nell'ambito dei poteri di autonomia riconosciuti alle capitanerie di porto in relazione al rilascio delle autorizzazioni in deroga, non è dato comprendere come sia possibile che a fronte di una problematica di tale importanza, quale quella di evitare il rischio che le navi possano scaricare in mare i loro rifiuti, sia possibile una così ampia discrezionalità in capo alle locali autorità marittime nel concedere le autorizzazioni in deroga come prassi ordinaria, rispetto al conferimento, senza alcun previo ed effettivo controllo delle relative capacità di stoccaggio della nave;
   infatti come prevede la norma, il rilascio della deroga è un'ipotesi occasionale ed eccezionale rispetto all'ordinario conferimento e dovrebbe presupporre da parte dell'autorità marittima un preventivo controllo a bordo della nave sull'effettiva corrispondenza tra quanto autodichiarato dal comando nave, attraverso il foglio di notifica, e quanto effettivamente accertato;
   infatti numerosi sono gli errori ed anomalie che quotidianamente si riscontrano nei fogli di notifica, con conseguente illegittimo rilascio della deroga;
   pertanto si pone anche l'esigenza di accertare la veridicità di quanto autodichiarato dai responsabili delle navi circa l'effettiva capacità di stoccaggio dei rifiuti, e se essa sia realmente sufficiente ed idonea a mantenere a bordo quelli già prodotti e quelli che verranno prodotti, fino al raggiungimento del prossimo porto, sì da evitare qualunque rischio in ordine ad un eventuale loro scarico in mare –:
   quali determinazioni i Ministri interrogati intendano assumere al fine di garantire il reale rispetto della legge nazionale e comunitaria, e garantire al contempo uniformità di applicazione della normativa in tutti i porti nazionali. (4-00692)

  Risposta. — Con l'atto in esame, l'interrogante affronta una questione molto rilevante dal punto di vista ambientale, e cioè l'obbligo posto in capo alle navi di conferire presso i porti di approdo i rifiuti prodotti a bordo.
  La materia, com’è noto, è regolamentata dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182 recante «Attuazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico».
  Nel corpo della interrogazione in esame vengono nel dettaglio illustrate le pertinenti previsioni normative e richiamata l'attenzione, in particolare, sull'obbligo di «conferimento» da parte del comandante della nave dei rifiuti ivi prodotti, e sulla corrispondente e possibile «deroga» a tale prescrizione concessa dalla autorità marittima in presenza di determinate circostanze, quali, in particolare, l'esistenza di una capacità di stoccaggio per i rifiuti già prodotti e accumulati e per quelli che saranno prodotti, dalla nave interessata, fino al momento dell'arrivo al successivo porto di conferimento.
  Sul punto, viene posto l'accento sugli ampi poteri di autonomia e discrezionalità riconosciuti alle capitanerie di porto in relazione al rilascio delle autorizzazioni in deroga a fronte di una problematica tanto rilevante quale quella di evitare il rischio che le navi possano scaricare in mare i loro rifiuti. E questo, ritiene l'interrogante, poiché «nella quasi totalità dei porti nazionali, da qualche anno è invalso l'uso da parte delle autorità marittime locali di concedere come prassi ordinaria alle navi che vi approdano ... deroga al citato obbligo di conferire i rifiuti senza preventivo accertamento ed effettivo controllo della reale capacità di stoccaggio, facendo quindi divenire l'eccezione della deroga, rispetto all'obbligo di conferimento, la regola».
  Nel condividere il merito delle osservazioni formulate dall'interrogante (nel senso che la generalizzazione di una eccezione alla regola del conferimento obbligatorio dei rifiuti presso i porti di approdo potrebbe senz'altro portare a un indebolimento del pertinente obbligo normativo), non si può, tuttavia, non rilevare che la coeva assenza di precise e puntuali casistiche consentono un riscontro mantenuto nei limiti delle sole questioni normative e procedurali.
  Nondimeno, sulla questione sono stati interessati gli uffici competenti e sulla base degli elementi da questi forniti è possibile rilevare quanto segue.
  In primis, è stato confermato che l'autorizzazione ex articolo 7, comma 2, del decreto legislativo n. 183 del 2003, è concessa da parte dell'autorità marittima nei soli casi in cui la nave:
   sia diretta a un porto «conosciuto»;
   il successivo approdo sia dotato con certezza di reception facilities per le tipologie di rifiuti interessate (in presenza di prova documentale presentata dal richiedente in fase istruttoria);
   la capacità delle casse di bordo sia sufficiente per la durata del viaggio che deve essere affrontato (anche attraverso valutazioni tecniche che tengano conto dei dati della nave, come ad esempio la produzione di bilge e sludge desumibili dall’oil record book).
  In particolare, le problematiche connesse alle possibili eterogenee valutazioni delle informazioni rese dai comandanti delle navi interessate ai sensi dell'articolo 6 (cosiddette notifiche) del predetto decreto legislativo 182 del 2003, da parte delle diverse autorità marittime, sono state sempre tenute in debita considerazione, tanto che con circolare n. 1 dell'11 febbraio 2008 venivano dettate dal reparto ambientale marino del Corpo delle capitanerie di porto le opportune direttive volte a garantire l'uniformità di comportamento nelle varie realtà locale.
  Per quanto riguarda, più specificatamente, la deroga all'obbligo di conferimento dei rifiuti prevista all'articolo 7, comma 2, veniva, poi, fatto esplicito e pertinente richiamo alla precedente circolare emanata da questo Ministero in data 9 marzo 2004, laddove era specificato che la possibilità per la nave di trattenere i rifiuti a bordo non è da considerare eccentrica al sistema previsto dal decreto legislativo 182 del 2003 (nè pratica, altresì, a cui connettere l'applicazione di oneri economici non giustificati, quasi costituisse una sorta di penale il pagamento della «tariffa» dovuta nel caso di non conferimento prevista all'allegato IV).
  La pertinente normativa, infatti, delinea la possibilità di conferire i propri rifiuti nel successivo porto di scalo quale opzione ordinaria percorribile previa richiesta del comandante della nave alla autorità marittima, la quale deciderà nel merito in aderenza al richiamato dettato normativo.
  Tale valutazione, peraltro, evidenzia la circolare, non comporta necessariamente l'ispezione a bordo (al contrario di quanto espressamente previsto per i casi di cui al successivo articolo 11, stesso decreto legislativo). Infatti, l'accertamento previsto dall'articolo 7, stando alla lettera del testo, deve consistere nella attenta valutazione della notifica cui è tenuto il comandante della nave a norma del precedente articolo 6, e della capacità di stoccaggio dei rifiuti a bordo in funzione degli spazi disponibili, della durata del viaggio, nonché delle possibilità di successivo smaltimento.
  Era previsto, altresì, nella richiamata circolare del 9 marzo 2004, e lo è tuttora in assenza di diverse indicazioni, che ai fini dello snellimento e della trasparenza dell'attività amministrativa, nonché del perseguimento delle ragionevoli aspettative di certezza degli utenti e degli operatori del porto, l'autorità marittima può riportare tali elementi di valutazione in una unica ordinanza contenente linee guida riferibili in via generale alle navi che con ricorrenza scalano i propri porti di giurisdizione, avvalendosi, peraltro, del parere dei pertinenti enti tecnici (chimico del porto, sanità marittima).
  In siffatto quadro, così, l'ispezione si renderà necessaria soltanto nel caso in cui la notifica non sia stata resa dal comandante della nave o quando essa, seppure resa, risulti palesemente incongrua. L'accertamento a bordo riguarderà, inoltre, le unità navali non contemplate nella ordinanza di cui sopra, o quelle che presentano problemi di natura specifica: casi, questi ultimi, per i quali l'autorità marittima dovrebbe richiedere il parere di quello, fra i due enti tecnici sopra richiamati, ritenuto di volta in volta competente ad esprimersi.
  Non potrà, pertanto, procedersi ad alcuna autorizzazione in deroga all'obbligo di conferimento se il porto di successiva destinazione sia sconosciuto o quando presso di esso non vi sia certezza di adeguati impianti di raccolta per i rifiuti contenuti a bordo e per quelli che ancora vi si accumuleranno.
  Per quanto appena precisato, non può non ipotizzarsi (in assenza di altre e più precise indicazioni) che la «prassi ordinaria» di cui fa cenno l'interrogante venga adottata da parte delle competenti autorità marittime nell'integrale rispetto delle prescrizioni dettate da questo Ministero, volte, come appena riferito, a comunque garantire il rigido rispetto delle condizioni cui è subordinato il rilascio delle deroghe all'obbligo di conferimento anche se in un contesto procedurale finalizzato allo snellimento delle procedure.
  Del resto, non risulta a questo Ministero alcuna segnalazione concernente applicazioni non corrette della deroga di che trattasi da parte di utenti o istituzioni, come anche rilevato dall'Agenzia europea per la sicurezza marittima (European maritime safety agency) a seguito delle ricorrenti ispezioni di competenza effettuate in ambito nazionale.
  Poiché si ritiene che la corretta applicazione dell'istituto della deroga sia indice di una sostanziale chiarezza normativa, non si può non concordare con l'interrogante sul carattere occasionale e specifico della deroga che deve essere di volta in volta sottoposta al rispetto delle precise condizioni dettate dal più volte citato articolo 7, comma 2, decreto legislativo 182 del 2003, seppure temperato da procedure valutative più «snelle» volte ad assicurare maggiore certezza agli utenti e agli operatori del porto.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   LODOLINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la combustione sul campo dei residui vegetali derivanti da lavorazione agricola e forestale si configura come illecito smaltimento dei rifiuti, seppur non pericolosi, sanzionato dall'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006 con l'arresto da tre mesi a un anno o con un'ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro, e che la pena detentiva aumenta nel caso d'illecito smaltimento di rifiuti pericolosi;
   con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010, è diventato reato bruciare sterpaglie o rami in ogni stagione; in particolare l'articolo 13 del decreto legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010, modificando l'articolo 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006, stabilisce che paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo forestale naturale non pericoloso, se non utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente o mettono in pericolo la salute umana, devono essere considerati rifiuti e come tali devono essere trattati;
   in precedenza, i regolamenti di pulizia rurale degli enti locali disciplinavano la pratica dei fuochi controllati in agricoltura, prevedendo il divieto di accendere fuochi solamente durante il periodo compreso tra il 15 giugno e il 15 ottobre di ogni anno;
   il decreto legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010 sopra richiamato recepisce la normativa europea sui rifiuti, ed in particolare la direttiva 2008/98/CE, e trattandosi di direttiva comunitaria, obbliga al risultato, lasciando spazio all'iniziativa normativa di ogni Stato cui è diretta;
   va considerata la forte sensibilità ambientale del mondo agricolo e il contributo dato alla salvaguardia del patrimonio ambientale e paesaggistico contrastando l'abbandono dei terreni incolti e il dissesto idrogeologico;
   già molte imprese agricole hanno adottato pratiche per lo smaltimento dei residui colturali quali la trinciatura e l'interramento totale o parziale, il compostaggio, la raccolta e la valorizzazione energetica (caldaie e centrali a biomasse, biogas, syngas), dimostrandosi consapevoli degli aspetti negativi della combustione, quali la produzione d'inquinanti in atmosfera e la distruzione della struttura e della flora microbica del suolo;
   molti comuni stanno predisponendo isole ecologiche e centri di raccolta dove conferire i residui vegetali per poterli correttamente smaltire;
   è tuttavia riscontrabile come la pratica di bruciare i residui colturali sia tuttora ampiamente diffusa, non solo per la velocità con cui si consegue l'eliminazione dei residui agricoli, ma anche per alcuni oggettivi vantaggi che la pratica comporta, come la riduzione del carico di erbe infestanti e delle avversità biotiche sui terreni interessati;
   alcuni enti, come ad esempio la regione Marche, in un parere rilasciato alla provincia di Ancona sull'argomento (prot. N. 50026 del 25 marzo 2013), afferma che in determinate condizioni l'attività di abbruciamento risulta essere consentita, poiché individuata come ordinaria pratica agricola. Nel dettaglio la regione Marche fa ricorrere tale ipotesi nel caso in cui la bruciatura riguardi ramaglie di potature di colture arboree aziendali, quando sia finalizzata alla distruzione di forme svernanti di patogeni vegetali o fitofagi –:
   essendo auspicabile una modifica del decreto legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010, se intenda promuovere una rivisitazione del dettato normativo, prevedendo, in particolare:
    a) una revisione del divieto assoluto di fuochi in agricoltura;
    b) una correzione in modo meno sanzionatorio e afflittivo delle sanzioni penali e amministrative previste dall'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
    c) un'armonizzazione della normativa in materia, recependo, ad esempio, l'interpretazione fatta dalla regione Marche, che consente di utilizzare l'attività di abbruciamento, onde evitare fenomeni di contagio, in modo da addivenire ad una normativa più corretta e coerente con le buone pratiche agricole. (4-00720)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, vertente la revisione normativa introdotta dal decreto legislativo 205 del 3 dicembre 2010 con particolare riferimento all'invito rivolto al Governo di prendere, opportune iniziative al fine di mettere in condizione le imprese agricole di poter smaltire autonomamente paglia, sfalci, potature, nonché materiali agricoli o forestali naturali non pericolosi, ivi inclusi quelli derivanti dalla manutenzione del verde pubblico e privato che non vengano utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 185 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, concernente «Limiti al campo di applicazione», nella formulazione originale del 2006 stabiliva, al comma 1, punto 5, che non rientravano nel campo di applicazione della Parte IV del decreto in questione «le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate nell'attività agricola». Inoltre, al successivo comma 2 stabiliva che «possono essere sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni della lettera p), comma 1 dell'articolo 183: materiali fecali e vegetali provenienti da attività agricole utilizzati nelle attività agricole o in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas, ...».
  In data 10 dicembre 2010 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 288 (supplemento ordinario n. 269) il decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, recante «Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive», il quale all'articolo 13 ha previsto l'intera sostituzione del citato articolo 185.
  Nella nuova formulazione dell'articolo 185, concernente «Esclusione dall'ambito di applicazione», viene stabilito, alla lettera f), che non rientrano nel campo di applicazione della parte IV del decreto in questione «le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente ne mettono in pericolo la salute umana».
    L'attuale testo dell'articolo 185, che traspone letteralmente l'articolo 2, lettera
f), della direttiva comunitaria 2008/98/CE ha, pertanto, ulteriormente precisato le possibili utilizzazioni dei residui vegetali prevedendone tanto l'utilizzo diretto nelle pratiche agricole mediante il recupero della sostanza organica contenuta, quanto il recupero di energia.
  Ciò posto, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare unitamente al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, è favorevole ad assumere iniziative normative per escludere le piccole aziende agricole delle aree montane o svantaggiate, dall'applicazione dalla normativa sui rifiuti contenuta nella parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 relativamente allo smaltimento di paglia, sfalci, potature, e materiali agricoli naturali non pericolosi.
  In conclusione, intraprendere qualunque iniziativa di carattere normativo, difforme da quanto sopraesposto, esporrebbe l'Italia ad un eventuale procedura di infrazione comunitaria.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   PAGLIA e ZAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   durante lo scorso luglio la ditta Stogit spa ha presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare gli elaborati prescritti per l'effettuazione della procedura di valutazione di impatto ambientale relativa al progetto per la realizzazione di una nuova centrale di stoccaggio di gas, nell'ambito della concessione Alfonsine Stoccaggio nei comuni di Alfonsine e Lugo (RA);
   il progetto presentato da Stogit spa è finalizzato alla conversione del giacimento esaurito nei territori dei suddetti comuni in un nuovo impianto di stoccaggio gas;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha attivato la procedura di VIA, fissando al 13 settembre la scadenza dei termini per la presentazione delle osservazioni da parte dei cittadini interessati;
   il progetto ha suscitato un forte allarme sociale, dati i rischi ambientali connessi, legati al maggior generico inquinamento atmosferico, all'insistenza in un territorio interessato da forti fenomeni di subsidenza, alle dimensioni dell'area di stoccaggio, pari a 11 ettari di terreno, alla distanza ravvicinata di impianti all'abitato;
   il progetto, stante l'attuale regime delle royalties e delle compensazioni, non avrebbe alcuna ricaduta positiva sui territori interessati, né è prevista alcuna opportunità lavorativa;
   l'unione dei comuni della Bassa Romagna, di cui fanno parte i comuni interessati di Lugo e Alfonsine, ha presentato un'istanza di proroga di 60 giorni dei termini di presentazione delle osservazioni, per garantire il diritto minimo dei cittadini di partecipare in modo informato alla formazione della decisione, diritto altrimenti negato da errori procedurali e di comunicazione, che hanno di fatto limitato a 15 giorni il tempo effettivo disponibile –:
   se non ritenga il Ministro interrogato, anche al fine di assumere fin da subito tutti gli elementi utili a valutare l'opportunità di realizzare una centrale di stoccaggio in un territorio potenzialmente privo dei requisiti minimi di fattibilità, di concedere immediatamente tale proroga, o in alternativa di sospendere la decadenza dei tempi. (4-01740)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, riguardante il progetto per la realizzazione di una centrale di stoccaggio gas nei comuni di Alfonsine e Lugo (Ravenna), si rappresenta quanto segue.
  Per la realizzazione del progetto di cui trattasi, il 9 luglio 2013 la società Stogit spa ha presentato l'istanza di valutazione d'impatto ambientale e in pari data sono stati pubblicati, nei quotidiani Il Corriere della Sera ed Il Giorno, gli avvisi al pubblico attestanti il deposito della documentazione di valutazione di impatto ambientale nei quali, secondo quanto previsto dall'articolo 24 comma 4 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, è stato indicato il termine di sessanta giorni per la presentazione delle osservazioni.
  Nell'istanza, la società faceva anche presente che avrebbe inviato entro lo stesso mese di luglio il rapporto preliminare di sicurezza, così come previsto dall'articolo 23 del decreto legislativo n. 334 del 1999 (direttiva Seveso) e, pertanto, questo Ministero ha ritenuto di procrastinare la conclusione dell'analisi della procedibilità dell'istanza di Via fino al momento dell'avvenuta consegna di detto rapporto.
  Gli avvisi al pubblico relativi alla procedura di cui all'articolo 23 del decreto legislativo n. 334 del 1999 sono apparsi sui medesimi quotidiani di cui sopra in data 4 settembre 2013 ed in essi veniva indicato il termine di sessanta giorni per la presentazione delle osservazioni.
  Alla luce di quanto sopra, questo Ministero in data 12 settembre 2013 ha dato comunicazione a tutte le amministrazioni interessate della conclusione delle fasi di procedibilità dell'istanza di valutazione di impatto ambientale ed è stata indicata, quale termine ultimo, la scadenza del 3 novembre 2013 (60 giorni dalla data delle pubblicazioni del 4 settembre 2013) per la presentazione delle osservazioni.
  Con nota del 26 settembre 2013 questo dicastero ha confermato all'Unione comuni della bassa Romagna ed al comune di Alfonsine che, alla luce dell'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 334 del 1999 (Seveso), che prevede che le osservazioni sul rapporto preliminare di sicurezza siano fornite nell'ambito del procedimento di Via, si è ritenuto corretto estendere la data di scadenza per la presentazione delle osservazioni in merito alla procedura di Via alla data di scadenza per la presentazione delle osservazioni sul rapporto preliminare di sicurezza (3 novembre 2013).
  Inoltre, giova evidenziare che si è provveduto ad aggiornare il sito con la seguente informazione: «il termine di presentazione delle osservazioni del 3 novembre 2013 si riferisce sia alle osservazioni relative al rapporto preliminare di sicurezza (direttiva Seveso), sia a quelle relative al progetto, ai suoi effetti e ad altri eventuali aspetti (Via)».
  Il 17 dicembre 2013 sono pervenute delle integrazioni volontarie, dalla società Stogit trasmesse in commissione tecnica valutazioni ambientali e reperibili sul sito. Non risulta pervenuta alcuna richiesta di proroga dei termini da parte dei citati comuni di Alfonsine e di Lugo.
  In conclusione, si evidenzia comunque che è prassi consolidata di questo Ministero accettare e trasmettere alla commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Via e valutazione ambientale strategica tutte le osservazioni pervenute nel periodo di durata dell'istruttoria tecnica.
  Il procedimento in commissione VIA/VAS è tuttora in corsa.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   RIZZETTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 gennaio 2014, si è appreso dalla stampa che due operai calabresi sono scomparsi in Libia, in località Derna della Cirenaica, centro della presenza integralista e qaedista in Libia;
   si tratta di Francesco Scalise, 62 anni, e Luciano Gallo, 48 anni, residenti rispettivamente nei comuni di Pianopoli e Feroleto Antico, in provincia di Catanzaro, i quali lavoravano da alcuni mesi alla realizzazione di una strada in territorio libico per la ditta General World, presente nel Crotonese con un ufficio a Petilia Policastro;
   la notizia è stata confermata all'AGI da fonti governative, che secondo una prima ricostruzione, hanno accertato che i due operai erano usciti, in data 17 gennaio 2014, con il furgone della ditta, dovendo terminare dei lavori stradali per la posa di un cavo di telecomunicazioni;
   gli stessi si trovavano a Matouba, a 25 chilometri da Derna, in direzione di Tobruk, allorché, a quanto riferisce l'autista, un gruppo di uomini a volto coperto li ha fermati ripartendo con gli italiani sulle loro auto;
   la scomparsa dei due operai calabresi in Libia è stata denunciata dal fratello di Francesco Scalise, operaio che si trova anch'egli in Cirenaica per lavoro, il quale si è recato all'ambasciata italiana di Tripoli per presentare denuncia, posto che i due operai non hanno fatto rientro nei tempi previsti;
   sono state inutili le ricerche avviate dai colleghi e vani anche i tentativi di provare a contattarli attraverso i telefoni cellulari;
   il console italiano a Bengasi, Federico Ciattaglia, ha riferito all'Agi: «stiamo facendo tutti gli accertamenti possibili per chiarire la situazione» aggiungendo che la zona della località Derna è «ad alto rischio», a riguardo, ha aggiunto: «sappiamo che in quella zona la situazione è molto difficile e lo abbiamo segnalato» e «ci rendiamo conto che molte aziende hanno fatto scelte coraggiose di operare in quella zona»;
   il Ministero degli affari esteri sembra abbia riferito di avere attivato tutti i propri contatti per il recupero dei dispersi, inoltre, risulta che lo stesso abbia dichiarato che è stata una scelta irresponsabile della ditta mandare gli operai in Libia senza coordinarsi con la Farnesina;
   di contro, sul punto, si ritiene che vi siano delle gravi responsabilità del Ministero degli affari esteri per quanto concerne la sicurezza degli operai italiani che lavorano in Libia, considerando che il predetto Ministero è ben consapevole che molte imprese italiane operano in tale territorio;
   ed ancora, si rileva che, il Ministero degli affari esteri, oltre a non porre in essere i necessari interventi per tutelare l'incolumità fisica di coloro che lavorano in territorio libico, non ha neanche adottato i dovuti provvedimenti per la liquidazione dei crediti delle imprese italiane in Libia successivi all'embargo dell'anno 1992 nonché alla crisi dell'anno 2011;
   la mancata liquidazione di tali crediti, determinando la crisi delle aziende coinvolte, ha costretto, a rischio di vita, gli imprenditori e gli operai delle stesse a continuare ad operare in Libia pur di far «sopravvivere» tali attività;
   negli anni, tali fatti sono stati denunciati più volte dalle imprese, tra cui la friulana Bitumi International srl, al Ministero degli affari esteri e, da quando è in carica, allo stesso Ministro Emma Bonino, tuttavia, ad oggi, tali realtà risultano totalmente abbandonate dalle istituzioni –:
   se e quali provvedimenti siano stati adottati dal Ministro interrogato per rintracciare i due operai, Francesco Scalise e Luciano Gallo, scomparsi in territorio libico;
   se e quali interventi abbia posto in essere il Ministro interrogato per tutelare i lavoratori delle imprese italiane che operano in Libia, considerando la situazione a rischio sicurezza che sussiste in tale Stato;
   se e quali provvedimenti abbia adottato per risolvere la ben nota situazione che vede una moltitudine di imprese italiane in attesa, da molti anni, della liquidazione di crediti in Libia, costringendo le stesse, per stato di necessità, a continuare ad operare in territorio libico al fine di far sopravvivere le proprie attività. (4-03364)

  Risposta. — È ormai noto l'esito positivo che ha avuto la vicenda dei due connazionali, Francesco Scalise e Luciano Gallo, rapiti il 17 gennaio 2014 nelle vicinanze di Derna, nella regione della Cirenaica, dove lavoravano per la società italiana General Work. Merita essere sottolineato come la loro liberazione, avvenuta lo scorso 7 febbraio, sia stata anche il frutto della collaborazione tra questo Governo ed i servizi di informazione libici, che ha sicuramente favorito la rapidità con cui le operazioni di ricerca si sono concluse.
  A seguito della segnalazione del sequestro fatta dall'Ambasciata d'Italia a Tripoli, il Ministero degli affari esteri si è immediatamente attivato in coordinamento con le altre competenti articolazioni dello Stato, procedendo alle necessarie verifiche ed attivando gli opportuni canali di ricerca. Contestualmente, come di consueto avviene in tali circostanze, è stato stabilito un canale diretto con le famiglie per aggiornarle sulla situazione. Le famiglie sono inoltre state ricevute presso l'unità di crisi di questo Ministero per un punto di situazione e con loro sono stati mantenuti costanti contatti.
  Dalle verifiche effettuate è emerso che la ditta per cui lavoravano i due connazionali non aveva segnalato la loro presenza alla nostra rappresentanza diplomatica né a questo Ministero degli affari esteri. I due lavoratori italiani non risultavano infatti iscritti in alcuna lista istituzionale (Aire e/o presenze temporanee) e non avevano proceduto a registrarsi nemmeno al sito dell'unità di crisi/Ministero degli affari esteri www.dovesiamonelmondo.it come suggerito dall'avviso sicurezza Libia presente nel portale www.viaggiaresicuri.it. e da tutti fruibile.
  A tale proposito è opportuno ricordare che il predetto avviso, alla data in cui avveniva il sequestro, conteneva specifiche raccomandazioni per i connazionali che intendevano recarsi in Libia. Il predetto sito citava infatti che «a causa della fluida situazione politica si sconsigliavano in questo momento i viaggi verso l'intero territorio libico»; in particolare si raccomandava di mantenere particolarmente elevato il livello di allerta tra la comunità straniera presente in Libia citando in particolare la situazione in Cirenaica ove «a seguito dell'attentato del 12 gennaio 2013 contro il Console generale italiano a Bengasi e alla luce del nuovo scenario di sicurezza nonché della sospensione dell'attività del Consolato generale è al momento assolutamente sconsigliata la presenza di connazionale nell'area».
  Tali raccomandazioni sono state pubblicate al fine di rendere tutti i nostri connazionali, che intendevano ed intendono recarsi in Libia, ben consapevoli del precario quadro di sicurezza in cui versa il Paese africano con particolare riferimento ai lavoratori e agli operatori economici.
  Per quanto concerne la sicurezza degli operai italiani che lavorano in Libia, preme ricordare come l'Ambasciata d'Italia a Tripoli intrattenga uno strettissimo e costante contatto con tutti i connazionali presenti e con tutte le realtà imprenditoriali che ad essa si sono regolarmente notificate, destinatarie peraltro di regolari informative sulla situazione di sicurezza recanti anche istruzioni di comportamento in relazione a specifiche situazioni di rischio.
  Tale sistema di monitoraggio ed informazione, attivo ventiquattro ore su ventiquattro per 365 giorni l'anno, è peraltro particolarmente apprezzato dalla nostra comunità di affari presente nel Paese e si è rivelato di estrema utilità in molteplici circostanze proprio a tutela dell'incolumità dei nostri connazionali. Si ricordano, a mero titolo di esempio, le istruzioni diffuse nel corso dell'attacco all'Hotel Radisson del 7 e 8 novembre scorso che hanno consentito ad alcuni connazionali presenti di gestire in sicurezza la loro permanenza a Tripoli.
  Il Governo italiano è infine perfettamente consapevole dell'importanza della questione dei crediti per le nostre aziende coinvolte e con impegni in Libia che è sempre stata posta al centro dei colloqui in tutte le occasioni di incontro con le Autorità di Tripoli. Gli imprenditori italiani (e stranieri in generale) si aspettano dal Governo di Tripoli una sollecita liquidazione dei crediti maturati dalle imprese prima della rivoluzione e del pagamento degli indennizzi per quelle aziende che hanno subito danni durante gli eventi bellici del 2011. Si tratta di una risposta concreta e finanziariamente sostenibile, che tuttavia le Autorità libiche hanno finora posticipato in ragione delle difficoltà incontrate dal Governo nell'adozione di provvedimenti di spesa dopo la caduta del regime di Gheddafi.
  Non sono mai state accolte, da parte delle Autorità di Tripoli, ipotesi di soluzione del problema dei crediti «recenti» attraverso un meccanismo di gestione collettivo degli stessi, né con riferimento alle imprese italiane, né per quelle di qualsivoglia altro Paese straniero. Al contrario, da parte libica è stata sempre sostenuta la necessità di rivedere i contratti in forma individuale e di dare luce alla loro riattivazione, con contestuale sistemazione delle relative pendenze finanziarie. La proposta più volte avanzata alle aziende straniere di riprendere l'esecuzione dei progetti a fronte del pagamento immediato del 50 per cento dei crediti maturati, cui avrebbe fatto seguito il pagamento dilazionato del restante ammontare, ha iniziato ad avere parziale attuazione dopo l'approvazione del bilancio 2013 quando gli enti pubblici a carattere economico hanno iniziato a ricevere, seppur a piccole tranche, i finanziamenti necessari a dare corso alla ripresa dei lavori secondo i termini testé ricordati. A beneficiarne sono state anche alcune aziende italiane.
  Per quanto attiene i crediti recenti delle aziende italiane, il cui ammontare complessivo si colloca intorno ai 600 milioni di euro, oltre un quarto è stato finora recuperato, in particolare nelle componenti legate al settore energetico, a maggior ragione se con controparte privata, e nei casi in cui la controparte pubblica era costituita da enti e agenzie dotate di una propria autonomia di spesa (soprattutto in settori diversi da quelli delle costruzioni). Un numero crescente di aziende italiane ha segnalato di aver ripreso l'esecuzione dei contratti interrotti dalla crisi libica e recuperato in tutto o in parte i crediti già maturati. Un'ampia parte dei crediti maturati dovrebbe rientrare nelle casse delle aziende italiane grazie alla progressiva applicazione del piano di riavvio delle opere sospese. In quest'ambito, l'azione di sensibilizzazione sulle Autorità libiche da parte italiana e di altri Paesi è stata costante, soprattutto in considerazione del fatto che molta parte dei crediti grava in ampia misura su aziende spesso non in grado di sostenere un'esposizione finanziaria consistente e protratta nel tempo, con il conseguente rischio di fallimento o comunque di interruzione dell'attività dell'azienda. Il Governo è pienamente consapevole che casi del genere, se non risolti con urgenza, rischiano di minare l'esistenza stessa delle società di piccole e medie dimensioni. Per tale ragione, l'azione di sensibilizzazione sulle Autorità di Tripoli viene condotta in modo continuativo ed ininterrotto sin dal loro insediamento.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteriMario Giro.


   ROSATO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro per l'integrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in Italia il C.O.N.I ha stabilito, con una circolare, un limite massimo alle prestazioni di sportivi extracomunitari nelle Società Sportive. Tale limite riguarda sia gli sportivi extracomunitari che effettuano il loro ingresso per la prima volta nel nostro Paese perché impegnati nell'attività agonistica di alto livello, sia gli atleti già presenti sul territorio nazionale con un regolare permesso di soggiorno per motivi sportivi o di lavoro o familiari. Il limite massimo viene fissato annualmente con decreto della Presidenza del consiglio dei Ministri su proposta del C.O.N.I. ed è finalizzato alla «salvaguardia del patrimonio sportivo nazionale e della tutela dei vivai giovanili»;
   frequentemente si verificano casi di minori figli di genitori extracomunitari trasferitisi in Italia – o nati in Italia – che iniziano una attività all'interno di Società Sportive ma che, al compimento del diciottesimo anno di età acquisiscono lo status di «extracomunitario» con la sopraggiunta impossibilità di proseguire l'attività sportiva tranne, appunto, nel caso si riesca a rientrare nelle quote stabilite annualmente dal CONI;
   l’iter per l'ottenimento della cittadinanza italiana – una volta raggiunti i requisiti richiesti e presentata la domanda – prevede tempi molto lunghi che possono raggiungere anche i due anni, provocando di fatto una interruzione sostanziale dell'attività agonistica;
   l'attività agonistica, soprattutto per i giovani e gli adolescenti – ancor di più se sono stranieri – rappresenta anche uno strumento di forte coesione e di integrazione sociale e culturale, ed appare all'interrogante irragionevole che un giovane che per anni si è impegnato nella pratica dell'attività sportiva, magari anche conseguendo dei risultati, debba interrompere l'attività agonistica a causa dei tempi lunghi della burocrazia;
   si fa presente che anche le stesse Società Sportive, che negli anni hanno investito sul talento di questi giovani, possono risultare penalizzate da questa rigidità normativa;
   ci sono casi in Italia in cui le Federazioni Sportive, come la FIH (Federazione Italiana Hockey), hanno operato delle deroghe al sistema delle «quote» stabilite dal CONI ed hanno introdotto nel loro statuto lo «ius soli» sportivo in base al quale si considera italiani a tutti gli effetti i giocatori di origine straniera che siano nati però in Italia –:
   se, nell'ambito della predisposizione del prossimo decreto della Presidenza del Consiglio che stabilisce il limite massimo alle prestazioni sportive di extracomunitari, il Governo intenda fissare soglie più ampie che tengano conto delle situazioni indicate in premessa. (4-03087)

  Risposta. — Con riferimento al limite massimo degli sportivi extracomunitari in Italia, si rappresenta che il Comitato olimpico nazionale italiano, in base alle indicazioni fornite dalle Federazioni sportive nazionali, propone alla Presidenza del Consiglio dei ministri il numero complessivo degli atleti stranieri che ogni anno hanno la possibilità di entrare in Italia per svolgere qualsiasi tipo di attività sportiva professionistica.
  Ai sensi della normativa vigente, l'Autorità di Governo competente in materia di sport, sentiti il Ministro dell'interno e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto, determina il limite massimo annuale d'ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività sportiva a titolo professionistico o comunque retribuita, da ripartire tra le Federazioni sportive nazionali.
  Il Coni, con delibera del Consiglio nazionale da sottoporre all'approvazione dell'Autorità vigilante, esegue la ripartizione e stabilisce i criteri generali di assegnazione e di tesseramento per ogni stagione agonistica anche al fine di assicurare la tutela dei vivai giovanili. Comunque il Coni ritiene possibile aumentare il numero degli ingressi annuali di sportivi stranieri, qualora pervengano all'ente motivate richieste da parte delle Federazioni sportive nazionali.
Il Ministro per gli affari regionali e le autonomieGraziano Delrio.


   ZARDINI, DAL MORO, D'ARIENZO e ROTTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la discarica di rifiuti solidi urbani di Ca’ Filissine, presso il comune di Pescantina (Verona), è attiva fin dal 1987 ed è stata ampliata nel 1997;
   il comune ha affidato la gestione della suddetta discarica alla società ASPICA s.r.l. con sede in Bussolengo (Verona) via dell'Industria n. 6/A, ora Daneco spa con sede in Milano via Bensi n. 12/5, eccezion fatta per lo smaltimento del percolato;
   il comune ha affidato il servizio di trattamento/smaltimento del percolato con convenzione approvata con delibera di consiglio comunale n. 81 del 19 novembre 1998 e modificata con delibera di consiglio comunale n. 7 del 18 gennaio 2005 a Depuracque Sviluppo s.r.l. (già Depuracque Impianti s.r.l.) che gestisce l'impianto di trattamento del percolato annesso alla discarica, contratto scaduto il 31 dicembre 2011;
   con atto n. 05/10717 del 9 agosto 2006, l'autorità giudiziaria ha sottoposto la suddetta discarica a sequestro preventivo con decorrenza dal 28 agosto 2006, per sospetto inquinamento delle acque di falda non utilizzate per acqua potabile;
   i C.T.U. nominati dalla procura redassero una relazione tecnica che riportava, in particolare, alcune linee di intervento per l'eliminazione o la mitigazione del fenomeno inquinante accertato, consistenti principalmente nell'ottenere l'abbassamento del battente idraulico del percolato, nell'interrompere il riciclo in discarica del percolato concentrato, nel mettere in opera un efficace sistema di impermeabilizzazione e drenaggio superficiale e nell'eseguire alcuni sondaggi profondi, nonché nell'effettuare interventi aggiuntivi o alternativi alla barriera idraulica, finalizzati a bloccare l'inquinamento verso valle;
   in data 11 dicembre 2009 il tribunale di Verona ha pronunciato l'ultima ordinanza di rigetto dell'istanza di dissequestro della discarica in Ca’ Filissine presentata dal comune di Pescantina;
   in data 14 dicembre 2009 la regione Veneto, la provincia di Verona, il comune di Pescantina e Daneco spa hanno sottoscritto il protocollo di intesa relativo alla discarica situata in località Ca’ Filissine, concernente modi e possibilità di utilizzo delle somme «post mortem» accantonate presso i conti correnti intestati a Daneco spa e vincolati a favore della provincia;
   in data 29 gennaio 2010 la giunta provinciale, con deliberazione n. 16/2010, ha istituito un comitato tecnico per la definizione di soluzioni di messa in sicurezza e risoluzione delle criticità ambientali dell'area di sedime e contermine alla discarica e, con deliberazione n. 93 del 15 aprile 2010, ha approvato uno schema di convenzione con l'università degli Studi di Padova – dipartimento di ingegneria idraulica, marittima, ambientale – per la definizione di soluzioni di messa in sicurezza e risoluzione delle criticità ambientali dell'area di sedime e contermine della discarica connesse allo svolgimento delle funzioni di presidenza del comitato tecnico istituito;
   in data 3 marzo 2010 la regione Veneto, la provincia di Verona e il comune di Pescantina hanno sottoscritto un protocollo di intesa in forza del quale è stato reso possibile l'utilizzo delle somme «post mortem» esclusivamente per le operazioni di trattamento e smaltimento del percolato subordinatamente all'assunzione dell'impegno del comune a reintegrare il fondo stesso con i proventi derivanti dalle tariffe e a presentare un programma delle attività successive al dissequestro comprensive di progetti di riapertura o definitiva chiusura della discarica;
   il comitato tecnico istituito con deliberazione n. 16/2010 nella relazione conclusiva di analisi della situazione ambientale, consegnata e illustrata agli enti interessati in data 22 settembre 2010, ha evidenziato che all'inquinamento della falda sotterranea dell'area concorrono più sorgenti tra le quali, quelle più rilevanti, la discarica, il vigneto Ferrari e le attività agronomiche; in particolare, per quel che attiene la discarica di Ca’ Filissine, in considerazione dei diversi possibili interventi valutati e alla luce dei criteri informativi assunti per la definizione delle soluzioni tecniche da ricercare, ha individuato le azioni che l'ipotesi progettuale di intervento per la risoluzione delle questioni ambientali dovrebbe prevedere e precisamente:
    a) ripresa del conferimento di rifiuti solidi a basso o nullo contenuto di sostanza organica putrescibile fino al raggiungimento di una idonea morfologia finale;
    b) innocuizzazione della potenziale fonte contaminante tramite aerazione in situ dei rifiuti depositati nel bacino Est di ampliamento della discarica;
    c) realizzazione di una copertura superficiale attiva con uno strato biossidativo per il biogas ed un impianto vegetativo atto a condizionare positivamente il bilancio idrologico;
   in particolare, si rileva come la soluzione proposta non richieda il rifacimento di nessuna parte della discarica, tantomeno della parete est;
   nel 2007 uno studio commissionato dal gestore Daneco al professore Mario Manassero del politecnico di Torino riportava le seguenti conclusioni: «Al termine delle simulazioni si può senza dubbio affermare che il completamento del riempimento dei lotti dell'impianto non pregiudicherà in alcun modo la stabilità locale e/o globale della scarpata Est in quanto il quadro fessurativo delineatosi in corrispondenza del piano campagna di monte è governato dalle deformazioni indotte dall'interazione tra sistema di rivestimento della scarpata in esame ed i rifiuti in fase di assestamento»;
   a seguito della richiesta presentata dalla provincia di Verona, la regione Veneto, con DGRV n. 3486 del 30 dicembre 2010, ha concesso alla provincia l'accesso al fondo rotativo di cui all'articolo 20 della legge regionale n. 1 del 2009 per la somma di euro 2.518.854,96, somma che però il sindaco di Pescantina ha rigettato e rifiutato di ricevere per non sottoscrivere le garanzie necessarie;
   con delibere di giunta provinciale n. 52/2011 del 31 marzo 2011 e n. 59/2011 del 12 aprile 2011, di giunta comunale n. 54/2011 del 13 aprile 2011 e n. 64/2011 del 20 aprile 2011 e di giunta regionale n. 693 del 24 maggio 2011 è stato approvato un atto di integrazione del protocollo di intesa tra regione Veneto, provincia di Verona e comune di Pescantina, sottoscritto in data 3 marzo 2010, nel quale il comune si è impegnato a presentare alla regione Veneto, quanto prima e comunque entro il 31 maggio 2011, una richiesta di autorizzazione per l'approvazione di un progetto definitivo per il completamento e la messa in sicurezza della discarica di Pescantina e per la bonifica dell'adiacente fondo denominato «Vigneto Ferrari», o comunque altre concrete soluzioni che il comune ritenesse di proporre;
   in data 31 maggio 2011 la giunta comunale di Pescantina, con deliberazione n. 79/2011, ha preso atto del progetto trasmesso da Daneco spa relativo al completamento ed alla messa in sicurezza permanente della discarica di Pescantina contestuale alla bonifica del fondo adiacente denominato «vigneto Ferrari» e ha espresso parere favorevole alla presentazione del suddetto progetto alla regione Veneto, ai fini della relativa autorizzazione;
   politicamente il consiglio regionale del Veneto in data 8 febbraio 2012 ha votato all'unanimità una risoluzione in cui impegna la giunta comunale:
    a) ad attivarsi affinché la realizzazione dell'intervento sia vincolata all'osservanza dei dettami contenuti nello studio prodotto dal Comitato Tecnico «Ca’ Filissine», composto dall'università di Padova, provincia di Verona, arpav Verona e regione Veneto, prescrivendo al comune di Pescantina di adeguare il progetto alla «Proposta di intervento risolutivo» contenuta nella relazione (pagina 60) e di abbandonare quello di ampliamento della discarica. L'operazione di bonifica e messa in sicurezza deve riguardare solo il sito attualmente occupato dalla discarica di Ca’ Filissine senza sconfinamenti in altri terreni;
    b) a convocare presso il consiglio regionale le commissioni tecniche interessate, unitamente alle commissioni terza (cave), settima (ambiente) e seconda (urbanistica) per favorire la predisposizione di un progetto operativo finalizzato unicamente a bonificare il sito, realizzando una situazione di sicurezza, senza avviare altre discariche;
    c) ad attivarsi per reperire le eventuali risorse necessarie a realizzare il progetto di bonifica e messa in sicurezza d'intesa con la provincia di Verona e il comune di Pescantina;
    d) ad operare affinché un eventuale intervento di bonifica sul fondo denominato «vigneto Ferrari» venga considerato come problema separato da quello della discarica e sia messo in atto solo dopo approfonditi studi che accertino l'eventuale presenza di fattori di inquinamento/contaminazione;
   la giunta comunale di Pescantina in data 1° marzo 2013, con delibera n. 35, ha trasmesso, senza tuttavia una formale adozione, un nuovo e diverso progetto che insiste solo sull'originale sedime di discarica, che prevede la trasformazione della discarica in discarica di rifiuti speciali e lo spostamento di 470 mila metri cubi di rifiuti già stoccati per demolire e rifare la parete est. La demolizione della parete est della discarica potrebbe comportare un grave disagio per la popolazione della frazione di Balconi, in considerazione dell'imponente movimentazione di rifiuti ad essa associata. Tale parete risulterebbe svolgere allo stato il suo compito, in quanto a livello massimo di percolato in discarica corrispondono livelli minimi di ammoniaca in M7. Infine, la stessa parete risulta correttamente collaudata in tutte le sue parti, come del resto il fondo e le pareti dell'ampliamento della discarica. È da valutare e da approfondire maggiormente, pertanto, se vi sia la effettiva necessità della demolizione di tale parete est e della conseguente movimentazione dei rifiuti;
   il consiglio comunale di Pescantina in data 6 maggio 2013 ha deliberato all'unanimità:
    a) di ribadire le criticità progettuali già evidenziate nella delibera di giunta comunale n. 35 del 1° marzo 2013 e nella delibera di consiglio comunale n. 8 del 9 marzo 2013 e pertanto di impegnare il sindaco e la giunta comunale a deliberare, con convocazione e deliberazione entro il 9 maggio 2011 la non adozione dell'aggiornamento n. 1 del progetto per la bonifica e la messa in sicurezza permanente della discarica «Ca’ Filissine» e dell'adiacente fondo denominato «Vigneto Ferrari» trasmesso da Daneco spa il 26 febbraio 2013 e conseguentemente di dare mandato al sindaco di ritirare il predetto aggiornamento n. 1 del progetto attualmente in valutazione da parte della commissione V.I.A. regionale;
    b) di impegnare altresì il sindaco e la giunta, considerata la grave situazione di criticità ambientale, ad attivarsi con tempestività per individuare una soluzione progettuale a partire dalle indicazioni contenute a pagina 60 della relazione «Analisi della situazione ambientale nell'area interessata dalla discarica di Ca’ Filissine e proposte di intervento» prodotta dal comitato tecnico Ca’ Filissine, composto dall'università di Padova, provincia di Verona, Arpav Verona e regione Veneto, da portare preventivamente all'attenzione del consiglio comunale che potrà esprimersi con appositi atti di indirizzo, individuando al tempo stesso percorsi di partecipazione da parte della popolazione;
   il sindaco di Pescantina, in data 8 maggio 2013, ha rassegnato le dimissioni senza dare seguito alla delibera del consiglio comunale n. 19 del 6 maggio 2013;
   a seguito delle dimissioni, in data 29 maggio 2013, è stato nominato un commissario prefettizio nella persona della dottoressa Rose Maria Machinè, vice prefetto di Verona;
   la situazione è tuttora di gravissima criticità dal punto di vista ambientale, con un battente assolutamente fuori norma e un forte inquinamento della prima falda (non destinata ad uso potabile);
   sono quasi terminati i fondi di gestione «post-mortem» e, come detto, l'unico progetto di messa in sicurezza proposto dal sindaco è stato bocciato all'unanimità dal consiglio comunale –:
   di quali elementi disponga il Governo anche per il tramite del commissario prefettizio, in merito alla situazione di cui in premessa;
   se non si ritenga di avviare un'ispezione del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, anche alla luce di quanto previsto dall'articolo 299 e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006. (4-01065)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame riguardante le problematiche ambientali connesse alla discarica di rifiuti solidi urbani di Ca’ Filissine, presso il comune di Pescantina (Verona), nel premettere che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non riveste una specifica competenza in materia che rimane in capo agli enti locali, sulla base delle notizie acquisite dal commissario prefettizio del comune di Pescantina, si riferisce quanto segue.
  La discarica di «Ca’ Filissine» situata a nord del comune di Pescantina, è un impianto di smaltimento autorizzato per rifiuti solidi urbani e assimilati, realizzato a partire da metà degli anni ’80 e si colloca su un potente complesso alluvionale.
  La discarica sorge su terreno di un privato il signor Arturo Ferrari concessa in uso per quindici anni con convenzione scaduta nel marzo 2013.
  Il titolare delle autorizzazioni alla realizzazione della discarica era il comune di Pescantina, ma la costruzione e la gestione dell'impianto è stata affidata alla Daneco Spa – in precedenza Aspica Srl – sulla base di convenzioni attualmente scadute. La discarica è attualmente ancora gestita dalla società Daneco spa.
  Il signor Ferrari è anche proprietario dell'adiacente area, cosiddetto Vigneto Ferrari, su cui dagli anni ’70 hanno conferito materiale di rifiuti di varia natura prevalentemente costituiti da fanghi derivati dalla lavorazione di marmi e rifiuti solidi urbani. Sopra questo sito era stato impiantato un vigneto, attualmente estirpato.
  Nell'agosto 2006, l'attività della discarica è stata posta sotto sequestro per l'inquinamento della prima falda freatica rilevato in prossimità del piezometro M7, posizionato a valle della parete est, in confine con la zona denominata «vigneto Ferrari».
  Come hanno rilevato i periti del tribunale nel 2007, era infatti andato in default la rete di drenaggio e il sistema di captazione del percolato a causa della reimmissione nella stessa discarica del percolato concentrato. Per quanto riguarda l'inizio della contaminazione non è possibile stabilire una data certa, sicuramente precedente al 2005, data delle prime analisi del piezometro M7 e potrebbe essere collegata con gli eventi franosi dell'ottobre 2004, che hanno coinvolto il lato interno della scarpata est, provocando l'ostruzione e la messa fuori uso dei due pozzi di estrazione del percolato ubicati nei lotti 5 e 6.
  Nel corso del procedimento penale, il consulente tecnico del tribunale ha individuato una serie di interventi per l'eliminazione o la mitigazione del fenomeno inquinante accertato, che secondo il commissario prefettizio, sulla base degli atti, risultano ottemperati. In particolare sono stati realizzati nove nuovi pozzi di captazione del percolato; è stata messa in opera una impermeabilizzazione ed un drenaggio superficiale; è stato rispettato il divieto di ricircolo del percolato concentrato; verificata la stabilità geotecnica della parete est; sono stati eseguiti sondaggi profondi per individuare l'ampiezza del piume inquinante proveniente dalla discarica e per determinare i parametri idraulici necessari per la progettazione di un eventuale barriera idraulica e la realizzazione della stessa.
  Il monitoraggio dei pozzi ha rilevato che l'inquinamento da azoto ammoniacale è quasi nullo mentre è concentrato nell'area circostante il piezometro M7 e progressivamente a calare nei piezometri M13, M16 ed M15. Analogamente risulta il concentramento di cloruri.
  Per l'attività di estrazione e smaltimento del percolato il comune di Pescantina aveva incaricato la ditta depuracque. L'incarico è cessato il 31 dicembre 2011 e con ordinanza contingibile e urgente attualmente è incaricato il gestore dell'impianto ditta Daneco spa. Si precisa che l'attuale convenzione tra il gestore della discarica ed il comune di Pescantina, titolare dell'autorizzazione all'esercizio, prevede che «l'asporto e lo smaltimento del percolato faranno carico al comune di Pescantina, al quale verranno riconosciute le somme in piano finanziario a tal fine».
  Tuttavia, essendo state rigettate le varie istanze di dissequestro della discarica e non potendo finanziare le spese di asportazione del percolato con le quote riservate per legge dei nuovi conferimenti, sono state utilizzate parte delle somme a disposizione esistenti nel quadro economico della discarica (950 mila euro) e successivamente, a seguito autorizzazione del presidente della provincia in data 16 marzo 2009, sono stati utilizzati i fondi post mortem depositati presso il comune di Pescantina (3.004.964 euro). Con l'intervento promosso anche dalla prefettura il 3 giugno 2010 è stato stipulato un protocollo di intesa tra regione provincia e comune per l'utilizzo di ulteriori euro 3.000.000,00 che sono parte delle somme accantonate, ai sensi della DGR n. 2528 del 1999, presso i conti correnti intestati a Daneco spa e vincolati in favore della provincia di Verona.
  Successivamente con integrazione al suddetto protocollo, resa possibile dalla avvenuta redazione di un progetto di messa in sicurezza e bonifica, il 30 maggio 2011 si è permesso l'utilizzo di ulteriori 2.000.000 di euro delle somme post mortem con l'onere da parte del comune di presentare alla regione il giorno successivo, il suddetto progetto. Di tali somme restano ancora usufruibili 700.000,00 euro e con una modifica alla suddetta integrazione, recepita dalla regione del Veneto con delibera n. 1752 del 14 agosto 2012, si è disposta la loro messa a disposizione prevedendo l'impegno del comune a presentare alla regione entro il 31 maggio 2011 un'istanza ammissibile, procedibile e completa per l'approvazione di un progetto definitivo di messa in sicurezza permanente dell'area pertinente la discarica. Nel mese di aprile 2013, a seguito della sottoscrizione del protocollo d'intesa tra comune, provincia e regione, con ordinanza sindacale n. 43 del 2013, è stato ordinato alla ditta Daneco spa di riprendere l'emungimento e lo smaltimento del percolato per un importo pari a euro 700.000,00.
  Tuttavia, occorre precisare che già nel 2010, a sequestro in corso, un comitato tecnico presieduto dall'università di Padova, provincia di Verona, agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto e regione Veneto, aveva messo in evidenza il coinvolgimento dell'inquinamento ad opera della vicina area del vigneto Ferrari, nonché la necessità di portare a chiusura la discarica Ca’ Filissine per la definitiva messa in sicurezza.
  Quindi la ditta Daneco, gestore della discarica, redige un primo progetto (31 maggio 2011) al fine di mettere in sicurezza il sito comprendendo la messa in sicurezza dell'adiacente area denominata Vigneto Ferrari, progetto poi variato limitandone la portata alla sola discarica Ca’ Filissine per vari ordini di ragioni depositando al comune di Pescantina il progetto rettificato per il successivo inoltro alla regione del Veneto onde acquisirne le necessarie valutazioni ambientali.
  Tra le criticità presenti nel progetto «Viene prevista la demolizione della parete est della discarica che attualmente consente a livello massimo di percolato in discarica, una corrispondenza di livelli minimi di ammoniaca in M7».
  Per superare le criticità di cui sopra si sono tenute presso la sotto commissione valutazione impatto ambientale una serie di incontri tecnici cui hanno preso parte i progettisti, gli esponenti del Movimento ambiente e vita, tecnici comunali ed amministratori del comune di Pescantina nonché Arpav, provincia, rappresentanti dei comuni limitrofi. Vani i tentativi rivolti alla Daneco spa per rivedere il progetto onde superare le criticità prospettate a tal punto che l'8 maggio 2013 si è dimesso il sindaco di Pescantina, mentre il progetto non è stato ritirato così come richiesto dal consiglio comunale, progetto che, ad oggi, è all'esame della commissione Via regionale.
  Con sentenza n. 2112/2012 del 15 ottobre 2012, il procedimento è stato definito in primo grado, con la sentenza del tribunale penale di Verona che ha condannato la maggior parte degli imputati per le contravvenzioni previste dai commi 2, 3 e 4 dell'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006, nonché un dirigente del settore ecologia della provincia di Verona per il delitto di omissione di atti d'ufficio.
  Alla luce della predetta sentenza non ancora definitiva, sono stati accertati i seguenti fatti: la discarica è stata ritenuta causa, almeno in parte, dell'inquinamento della falda acquifera sottostante; la pratica di reimmettere in discarica il percolato dopo il trattamento (peraltro a suo tempo regolarmente autorizzata dagli enti competenti) ha pregiudicato la impermeabilizzazione della discarica, con conseguente infiltrazione nel suolo del suo contenuto liquido; gli elementi inquinanti non hanno raggiunto le falde da cui viene attinta l'acqua destinata al consumo umano, ubicate in profondità e protette dalla conformazione geologica del luogo; il sequestro preventivo della discarica nel 2006, non ha impedito la continua formazione di nuovo percolato a causa degli agenti atmosferici. Successivamente alla celebrazione del processo sono pervenute alla procura della Repubblica di Verona altre notizie di reato riguardanti la discarica e la sua gestione, per le quali sono in corso accertamenti.
  Il Tribunale, quindi, ha ordinato «il dissequestro dell'area posta sotto sequestro, ... previa regolarizzazione amministrativa ed adozione dei provvedimenti atti ad evitare ulteriori infiltrazioni di percolato nella falda acquifera.».
  Le azioni intraprese dal commissario fin dal suo insediamento, sono state di tipo emergenziale (come l'asportazione del percolato e il mantenimento dell'efficienza dell'impermeabilizzazione provvisoria) e di sistemazione definitiva (come l'adozione di un progetto «sostenibile» di messa in sicurezza della discarica di Ca’ Filissine nonché il rinnovo dei contratti con il gestore e con la proprietà dell'area).
  La ditta Daneco spa in ottemperanza all'ordinanza sindacale n. 43 del 2013 in data 12 aprile 2013 ha iniziato con pari decorrenza l'asportazione del percolato che potrà avvenire nei limiti dell'importo pari a euro 700.000,00 (residuo somme post mortem).
  Il gestore lamentava difficoltà economiche per continuare a sue spese a smaltire il percolato sulla base dell'ordinanza predetta cosicché in data 13 agosto 2013 la Daneco Spa ha presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica contro l'ordinanza sindacale n. 43 del 2013 del comune di Pescantina e, sebbene la stessa Daneco più volte aveva paventato l'interruzione del servizio di asportazione del percolato, per mancanza di fondi o di credito dalle banche stante la mancata approvazione del progetto, il servizio è proseguito fino al 25 ottobre 2013.
  Dell'accaduto, ne veniva informata la Procura della Repubblica competente.
  Il comune di Pescantina, con deliberazione commissariale n. 59 del 21 novembre 2013 ha anticipato l'esigua somma di euro 30.000 per la ripresa dell'emungimento del percolato dalla discarica in questione, tenuto conto che nella medesima data gli esisti delle analisi delle acque operate dall'ARPA Veneto, erano peggiorative con particolare riferimento ai pozzi M7, M13, M15 e M16, evidenziando valori in aumento al Manganese.
  Per quanto attiene l'efficienza dell'impermeabilizzazione superficiale provvisoria, si è tenuta apposita Conferenza dei servizi presso la provincia di Verona il 18 giugno 2013, nel corso della quale è stato discusso il sistema di raccolta delle acque piovane così da impedirne la percolazione nel corpo rifiuti.
  La Daneco in un primo momento ha interessato Acque Veronesi quale ente gestore del servizio locale di fognatura, per l'autorizzazione allo scarico delle acque in fogna, ricevendone risposta negativa.
Successivamente, sempre in conferenza dei servizi si è addivenuti alla conclusione da parte di Arpav che l'acqua contaminata di sopra telo è da considerarsi rifiuto il cui smaltimento potrà usufruire dei fondi messi a disposizione dai protocolli, ma che non può essere immesso in fognatura anche con provvedimento in deroga.
  Con nota del 7 novembre 2013 Daneco spa ha trasmesso al comune di Pescantina ed alla direzione lavori un programma aggiornato relativo agli interventi emergenziali di cui trattasi, chiedendo le relative autorizzazioni per l'esecuzione.
  Con nota in data 13 novembre 2013 è stata richiesta alla procura l'autorizzazione a mettere in atto le misure emergenziali proposte dal gestore, che in concomitanza con il miglioramento delle condizioni meteo, sono iniziati il 22 novembre 2013.
  Per quanto attiene le misure di sistemazione definitiva, premesso che le somme destinate alle gestione post chiusura della discarica sono state messe a disposizione per l'emungimento del percolato, il comune di Pescantina si è reso garante con la presentazione di un idoneo progetto che tenga conto sia della messa in sicurezza, come rilevato dalla sentenza, sia del recupero dei soldi vincolati a favore della gestione post mortem della discarica.
  Tenuto conto delle forti opposizioni sia nei confronti del progetto presentato dal comune il 31 maggio 2011 che della sua variante presentata da Daneco spa e trasmessa dal comune in regione il 1o marzo 2013 per l'acquisizione delle autorizzazioni di competenza, il commissario prefettizio cerca di vincere le resistenze del gestore a variare il progetto n. 1. Non è stata perseguita la strada del contenzioso per inadempimento e relativa escussione delle polizze in quanto da parte del gestore potevano essere poste a difesa del proprio operato le autorizzazioni ricevute a far reimmettere in discarica il percolato concentrato che aveva messo fuori uso i pozzi ed in quanto l'esposizione debitoria del comune nei confronti del gestore sarebbe stata immediatamente chiesta in compensazione, mentre il comune è privo di risorse finanziarie sufficienti a tale riguardo.
  Quello che ad oggi non è ancora definito è l'esatta posizione in corrispondenza della parete est del punto di fuoriuscita del percolato.
  Gli attuali livelli di percolato non consentono l'uso di traccianti quali strumenti di indagine preliminare all'intervento.
  Pertanto si ritiene ragionevole e sensato promuovere l'adozione di un progetto che pur prevedendo in linea del tutto teorica l'asportazione progressiva dei rifiuti, una volta accertato in corso d'opera che risulti indispensabile, così come da variante n. 1, ne subordini l'intervento ad ulteriori indagini conoscitive da svilupparsi «in continuo» anche successivamente alla ripresa dei conferimenti.
  Approvazione di un progetto di messa in sicurezza definitiva dell'area adiacente alla discarica denominata «vigneto Ferrari» poiché ritenuto «concausa all'inquinamento in falda» secondo la sentenza penale.
  Con la presentazione della variante n. 1 al progetto di messa in sicurezza della discarica di Ca’ Filissine il terreno è stato escluso dall'ambito progettuale e pertanto una sua messa in sicurezza diventa atto decisionale autonomo.
  Dopo l'incontro di luglio in cui è stato riferito ai proprietari che la legge pone a carico dei responsabili dell'inquinamento la bonifica dei siti inquinati, sono riprese le trattative con i proprietari anche con l'ausilio di una intermediazione del Movimento ambiente e vita, circa il rinnovo della concessione del terreno su cui insiste la discarica di Ca’ Filissine, al fine di definire se procedere o meno con eventuale esproprio od addivenire ad un bonario accordo. Si è attualmente in attesa di notizie da parte della proprietà con l'ausilio dei tecnici nominati dalla famiglia Ferrari e del legale di fiducia.
  Il comune è in attesa di definire il rinnovo della concessione delle aree, cercando di definire con il proprietario anche la messa in sicurezza dell'adiacente area cosiddetta vigneto Ferrari che dai documenti rinvenuti agli atti della discarica è da considerarsi possibile concausa degli inquinamenti di falda.
  In data 22 luglio 2013 e successivi solleciti di cui l'ultimo del 6 novembre 2103, è stato richiesto alla regione Veneto la volturazione dei fondi residui già stanziati con deliberazione della giunta della regione Veneto n. 3487 del 30 dicembre 2010 al fine di poter finanziare consulenze tecniche di supporto per progettare la messa in sicurezza del sito (tali fondi erano già stati assegnati alla provincia di Verona per il medesimo scopo).
  Infine, nel ribadire che la competenza in materia è in capo agli enti locali, si riferisce che non appena verranno messi a disposizione della provincia di Verona i fondi stanziati dalla regione Veneto per le attività di bonifica dell'area in oggetto, potranno essere affidati gli incarichi di progettazione e direzione lavori per la messa in sicurezza del cosiddetto «vigneto Ferrari», delineando gli aspetti essenziali da inserire nel bando di progettazione e prevedendo cautelativamente anche un idoneo monitoraggio sulla con-causalità del sito sulla capacità inquinante.
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.