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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 25 febbraio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni III e XIV,
   premesso che:
    nel 2014 è prevista la definizione della Strategia relativa alla Macroregione Adriatico-Ionica (EUSAIR), punto di arrivo di un intenso percorso politico, civile ed istituzionale che fonda le sue radici nella storica amicizia e nel dialogo sempre esistito tra i territori e le nazioni accomunati dalle acque dei mari Adriatico e Ionio. Nel secondo semestre del 2014, sotto la guida della presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, l'EUSAIR sarà approvata;
    il ricorso alla strategia macroregionale, strumento innovativo per le politiche di coesione e cooperazione territoriale tra Stati e Regioni per il conseguimento di obiettivi comuni di sviluppo, è già stato sperimentato con successo con l'approvazione definitiva delle strategie del Baltico e del Danubio;
    l'11 ottobre 2011, a Bruxelles, è stato varato il primo atto di definizione in sede europea dell'iniziativa, con l'approvazione, da parte del Comitato delle regioni, del parere sul riconoscimento della Macroregione Adriatico-Ionica, che dovrà avvenire entro il 2014, in coincidenza con l'avvio della nuova programmazione dei fondi strutturali 2014-2020. Il parere invita anche il Parlamento europeo ad assumere un'iniziativa forte a favore di questa realtà e soprattutto la Commissione europea ad avviare il monitoraggio su quest'area per favorire lo sviluppo e l'integrazione dei progetti attualmente esistenti e quindi degli obiettivi che la stessa macrostrategia si propone;
    il Consiglio europeo, nelle conclusioni del 23-24-giugno 2011, in occasione dell'approvazione della strategia dell'Unione europea (UE) per la regione del Danubio, aveva invitato gli Stati membri a proseguire i lavori, in cooperazione con la Commissione, sulle eventuali future strategie macroregionali, in particolare per la regione Adriatico-Ionica;
    è necessario garantire coerenza tra le priorità della strategia medesima e dei relativi quadri strategici comuni e il prossimo quadro finanziario pluriennale;
    l'iniziativa Adriatico-Ionica (IAI) è stata avviata con una Conferenza sullo sviluppo e la sicurezza nel mare Adriatico e nello Ionio tenutasi ad Ancona il 19-20 maggio 2000, alla quale hanno partecipato i capi di Governo e i Ministri degli esteri di sei Paesi rivieraschi, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Grecia, Italia e Slovenia;
    la Conferenza si è conclusa con la firma della «Dichiarazione di Ancona», alla presenza di rappresentanti della Commissione europea, da parte dei Ministri degli esteri dei Paesi interessati; nella citata dichiarazione è stata affermata l'importanza della cooperazione regionale come strumento di promozione della stabilità economica e politica di questi Paesi e della tutela ambientale del bacino Adriatico-Ionico;
    nel 2006 la Serbia e il Montenegro si sono aggiunti agli originari 6 Paesi aderenti all'IAI, attualmente costituita, quindi, da otto Paesi;
    la presidenza dell'organo decisionale dell'IAI (Consiglio Adriatico-Ionico) ruota annualmente. L'Italia è succeduta alla Grecia il 1o giugno 2009 e ha concluso il proprio anno di presidenza il 31 maggio 2010, quando l'incarico è stato assunto dal Montenegro;
    l'IAI ha avviato rapporti con molte altre organizzazioni e iniziative regionali che operano nel sud-est Europa, in particolare con l'iniziativa centro-europea (InCE), con il Consiglio di cooperazione regionale (RCC) e il Processo di cooperazione per il sud-est Europa (SEECP), con la Cooperazione economica del mar Nero (BSEC) e con il processo di cooperazione del Danubio (DCP);
    nel giugno 2008, ad Ancona, è stato inaugurato ed è subito divenuto operativo un Segretariato permanente dell'IAI, tramite il quale è stata avviata una cooperazione con i forum delle società civile dell'Adriatico e dello Ionio che già operano nella regione e tra i quali avvengono periodicamente incontri di coordinamento: il forum delle camere di commercio e quello delle città dell'Adriatico e dello Ionio e UniAdrion;
    nell'ambito della presidenza italiana IAI (2009-2010) è stata evidenziata l'esigenza di valorizzare il bacino adriatico-ionico e di sviluppare una strategia integrata mediante la formulazione di specifici protocolli di intesa tra i Paesi IAI come base di riferimento per sviluppare progetti di interesse comune, coerentemente alle priorità dell'Unione europea nella regione e ai suoi programmi, al fine anche di sostenere e accelerare la prospettiva dell'integrazione europea per i Paesi IAI non membri dell'Unione europea;
    la presidenza italiana ha posto alla base del suo programma la valorizzazione e lo sviluppo di settori strategici per l'area adriatico-ionica, quali ambiente, turismo come strumento di sviluppo sostenibile, cultura e cooperazione universitaria, piccole e medie imprese (PMI) e distretti industriali e trasporti, da valorizzare anche attraverso un coinvolgimento di attori locali – regioni, municipalità, camere di commercio, eccetera – al fine di rafforzare la cooperazione regionale nel bacino Adriatico-ionico e promuoverne lo sviluppo economico e sociale, operando nel quadro delle strategie dell'Unione europea attraverso la promozione di progetti finanziabili su fondi comunitari;
    negli ultimi 6 mesi della presidenza italiana, sono stati di fatto predisposti diversi protocolli nei settori del turismo e delle piccole e medie imprese;
    il 5 maggio 2010, a dieci anni dall'istituzione dell'IAI, si è tenuta ad Ancona la riunione del XII Consiglio Adriatico-Ionico. In tale occasione i Ministri degli affari esteri dei Paesi IAI hanno adottato una dichiarazione intesa a confermare la volontà dei Paesi membri di valorizzare la cooperazione nella regione attraverso il varo di una strategia specifica UE per la macroregione Adriatico-ionica, dando mandato a Italia, Grecia e Slovenia, Paesi IAI membri dell'UE, di promuovere tale iniziativa a Bruxelles, con il supporto ed il pieno consenso di tutti i Paesi IAI ed in collaborazione con la Commissione ed il Comitato delle regioni;
    sulla base della Dichiarazione del Consiglio Adriatico-Ionico adottata il 5 maggio 2010 ad Ancona, dai Ministri degli affari esteri degli otto Paesi partecipanti all'Iniziativa Adriatico-Ionica (IAI), dall'esperienza della macroregione del Mar Baltico e dalla cooperazione esistente sui mari Adriatico e Ionio, per la creazione delle macroregioni è necessario considerare il seguente elemento fondamentale: la maturità di un'area per la costituzione della macroregione può essere misurata in base all'esistenza di reti e scambi tra comuni e gemellaggi di comuni, regioni, università e camere di commercio sull'area. Nel quadro di prossima programmazione dopo il 2013, è necessario considerare le macroregioni come strumenti efficienti ed efficaci per l'utilizzo delle risorse e definisca criteri e procedure per l'approvazione delle strategie macroregionali;
    il 27 ottobre 2010, all'incontro sulla strategia macroregionale tenutosi ad Ancona, è stato adottato il documento di risoluzione da parte dei membri del Comitato delle regioni nel quale si chiede al Consiglio europeo di invitare la Commissione europea a presentare una strategia europea per la Macroregione Adriatico-Ionica, sulla base della dichiarazione del Consiglio Adriatico-Ionico e che la stessa Commissione, nel quadro della prossima programmazione dopo il 2013, consideri le macroregioni come strumenti efficaci per l'utilizzo delle risorse e definisca i criteri per l'approvazione delle strategie macroregionali;
    alla luce dei recenti sviluppi che hanno visto l'emergere e l'approvazione delle macroregioni nelle aree del Danubio e del Baltico destinatarie di politiche europee specifiche per il loro sviluppo, la strategia Adriatico-Ionica, basata su tematiche di interesse comune dei Paesi membri, rappresenta una grande opportunità per la promozione di una politica di coesione transnazionale diretta allo sviluppo del bacino Adriatico-Ionico;
    il piano d'azione previsto in questa strategia potrà imprimere un nuovo impulso ai progetti in corso in questa area, promuovendo un ambiente più sostenibile, uno sviluppo economico e sociale più equilibrato, il rafforzamento delle istituzioni democratiche, la sicurezza dell'intero bacino, dando concretezza all'obiettivo di coesione territoriale sostenuta dal Trattato di Lisbona e agevolando le procedure di ingresso degli Stati esterni nella Unione europea;
    la strategia può rappresentare anche un importante segnale politico verso i Balcani occidentali, in quanto una macroregione Adriatico-Ionica può contribuire a stabilire relazioni più profonde tra l'UE e i Paesi di tale area geografica, accelerandone l'integrazione, anche al fine di attivare processi di sviluppo sostenibili e di consolidamento dell'economia in un'area particolarmente fragile;
    la valenza politica di tale strategia macroregionale appare ancora più rilevante se si considera che quattro Paesi sono membri dell'UE (Italia, Grecia e Slovenia, Croazia), quattro (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Serbia) hanno avviato un percorso di avvicinamento all'Unione europea;
    tale strategia potrebbe, altresì, costituire un impulso ulteriore nel processo di cooperazione nel Mediterraneo, agevolando progressivamente la creazione di una strategia macroregionale più ampia con il coinvolgimento di altri Paesi del Mediterraneo;
    l'IAI presenta enormi potenzialità sia per l'omogeneità territoriale di collocazione geopolitica dei Paesi che si affacciano sull'Adriatico e sullo Ionio, con conseguente possibilità di forte interlocuzione con le altre macroregioni, sia per i molteplici rapporti e scambi storico-culturali tra i medesimi Paesi rivieraschi;
    è urgente che si manifesti un protagonismo diretto più convincente delle istituzioni italiane nazionali, degli enti territoriali e degli altri attori istituzionali, economici e sociali sia per accelerare l'iter di approvazione definitiva della macroregione in sede europea, sia per coordinare i programmi di sviluppo nazionali con quelli che dovranno formare oggetto della strategia Adriatico-Ionica;
    il 22 luglio 2010 i lavori ufficiali del decennale IAI, sono culminati con il Consiglio dei Ministri degli affari esteri che hanno presentato richiesta formale per il riconoscimento del territorio come macroregione, con l'Adriatico come infrastruttura su cui effettuare l'interazione dei territori di un'area particolarmente dimenticata da Bruxelles, tanto da rappresentare il fianco più debole dell'Europa;
    l'approvazione da parte dell'Unione europea della strategia macroregionale rappresenta uno strumento forte ed utile per rafforzare la coesione europea e costituisce un passo importante verso una strategia ancora più vasta che riguarda la macroregione mediterranea. La macroregione adriatico ionica oltre ad integrare questi territori promuoverà un'accelerazione nei processi dei Paesi che sono in fase di preadesione. Come per la strategia del Mar Baltico le macroregioni possono essere considerate prioritarie nell'utilizzo di fondi comunitari contenuti in particolari programmi finanziari come il Programma quadro ricerca e sviluppo;
    la commissione svilupperà insieme alle regioni interessate il Piano d'azione per la macroregione Adriatico Ionica nel 2014, a metà strada, tra la Presidenza greca e quella italiana, del semestre europeo;
    in data 31 gennaio 2013 è stato istituito a Bruxelles l'Intergruppo Adriatico-Ionico del Comitato delle regioni d'Europa, un organismo composto da tutti i gruppi politici presenti nel Parlamento europeo;
    la Commissione europea, che in precedenza aveva adottato un Piano di azione esclusivamente marittimo, presenterà uno schema aggiornato e integrato di piano d'azione, orientativamente incentrato su quattro pilastri verticali (infrastrutture, ambiente, turismo, pesca ed economia del mare) e su due pilastri orizzontali (ricerca e innovazione, capacity building);
    in data 24 luglio 2013 si svolge la riunione costitutiva dell'intergruppo del comitato delle regioni per la Definizione dei quattro «pilastri» della strategia individuati ed affidati ad altrettanti gruppi di lavoro;
    il primo riguarda le «Risorse marine/marittime» con l'obiettivo di promuovere la crescita economica sostenibile e posti di lavoro e opportunità di business nei settori della blu-economy e quindi l'acquacoltura, la pesca, biotecnologie blu, servizi marini e marittimi, e altro (Paesi coordinatori del gruppo di lavoro: Grecia-Montenegro, per l'Italia partecipa il Veneto);
    il secondo è «Connettere la regione» finalizzato a rafforzare i collegamenti della macroregione e a ridurre le distanze tra le comunità insulari e rurali attraverso il miglioramento della gestione dei corridoi fluviali e marittimi, nonché l'interoperabilità di tutte le modalità di trasporto. (Paesi coordinatori Italia-Serbia, per l'Italia partecipa il Friuli Venezia Giulia);
    il terzo «Preservare gli ecosistemi» obiettivo il miglioramento della qualità ambientale degli ecosistemi e la tutela della biodiversità (Paesi coordinatori Slovenia-Bosnia Erzegovina, per l'Italia partecipa l'Emilia Romagna);
    il quarto «Aumentare l'attrattività della regione» con particolare riferimento all'attrazione degli investimenti e all'internazionalizzazione punta ad aumentare l'attrattiva turistica della regione, supportando lo sviluppo sostenibile del turismo costiero, marittimo e dell'entroterra, a ridurre la stagionalità della domanda, limitare l'impatto ambientale e promuovere un marchio regionale comune (Paesi coordinatori Croazia-Albania, per l'Italia partecipa la Puglia);
    accanto ai quattro pilastri il piano d'azione si compone anche di due assi trasversali: quello della ricerca, innovazione, sviluppo delle piccole e medie imprese (è affidato alle Marche che hanno anche il coordinamento generale dei lavori Eusair) e formazione e Capacity Building (Molise);
    il piano di azione della Commissione europea dovrà essere strettamente collegato con il nuovo programma per la cooperazione territoriale della nuova programmazione 2014-2020 «South East Gateway» che comprende l'Adriatico-Ionio e le aree collegate: Italia, Slovenia, Croazia, Grecia, Cipro, Malta, l'Austria (solo due regioni Stiria e Carinzia) e Albania, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Serbia e ex Fyrom-Macedonia;
    in data 16 dicembre 2013, in fase di definizione del riparto delle risorse 2014-2020, l'Unione europea ha accolto la richiesta pervenuta dal ministero degli affari esteri di inserire tra le regioni facenti parte della macroregione Adriatico Ionica anche le regioni Lombardia ed Umbria e le province autonome di Trento e Bolzano;
    in data 19 dicembre 2013 è stato dato il via libera nella conferenza delle regioni al documento di sintesi dell'azione di consultazione delle regioni italiane coinvolte nel percorso per la Macroregione Adriatico Ionica e riunite nel gruppo di lavoro Eusair Italia. Il documento rappresenta l'atto fondamentale delle regioni rispetto alla strategia macroregionale adriatico ionica e costituisce il contributo dei territori alla stesura del Piano d'azione;
    dell'Eusair Italia fanno parte le regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria, Sicilia;
    fino al 17 gennaio 2014 tutti i cittadini, le istituzioni e gli stakeholder potranno esprimere la propria opinione sulla macroregione Adriatico Ionica. La Commissione europea ha promosso una consultazione on line, nel sito della direzione generale per le politiche regionali attraverso la quale tutti potranno contribuire, con le proprie idee, alla strategia macroregionale intervenendo anche sui temi dei quattro pilastri;
    in data 6-7 febbraio si è tenuta ad Atene la Conferenza finale degli stakeholders sulla Strategia Europea per la Regione Adriatico Ionica (EUSAIR), organizzata congiuntamente dalla Commissione europea e dalla Presidenza ellenica del Consiglio dell'Unione europea e nella quale si sono valutati tutti i risultati relativi alle consultazioni svoltesi negli ultimi mesi, finalizzate alla definizione del Piano di Azione della strategia stessa,

impegnano il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa in sede europea, di concerto con gli altri Stati aderenti, al fine di ottenere, entro i tempi più brevi possibili e comunque prima della definizione della nuova programmazione dei fondi strutturali 2014-2020, l'approvazione definitiva della macroregione adriatico-ionica da parte del Parlamento europeo;
   a contemplare in tutti gli strumenti di programmazione economico-finanziari, infrastrutturali, energetici, ambientali, turistici, culturali, l'esistenza della Macroregione adriatico-ionica e le sue finalità ed a conformare, altresì, la politica estera nei confronti dei Paesi aderenti all'IAI agli obiettivi della strategia medesima;
   a promuovere la partecipazione dei Parlamenti nazionali al processo di definizione ed attuazione della strategia adriatico-ionica;
   a coordinare la partecipazione degli enti territoriali e degli altri attori istituzionali, economici e sociali alla definizione della strategia adriatico-ionica;
   a sostenere la promozione di una politica di branding unitaria condivisa dai Paesi dell'Iniziativa adriatico ionica, attraverso i rispettivi Ministeri di competenza ed enti di promozione turistica nazionale, con l'obiettivo di consolidare una immagine di destinazione sostenibile di qualità e di favorire il riconoscimento dell'area adriatico-ionica come unica destinazione turistica di riferimento ben visibile a livello nazionale, europeo ed internazionale;
   a dare sostegno finanziario alle attività della Fondazione per l'iniziativa adriatico ionica per lo sviluppo della macroregione adriatico-ionica e impulso al disegno strategico della strategia macroregionale, anche in vista del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, come modalità innovativa di cooperazione territoriale tra diverse comunità con l'obiettivo di uno sviluppo integrato, equilibrato e sostenibile, capace di attrarre investimenti e intercettare finanziamenti europei, partendo da progetti di ampio respiro internazionale quale ad esempio la creazione di piattaforme informatizzate unitarie per la connessione e condivisione di dati tra tutti gli attori della macroregione adriatico ionica («Adriatic Ionian Cloud»).
(7-00272) «Michele Bordo, Manciulli, Lodolini».

 * * *

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE ROSA, PETRAROLI, LIUZZI, TERZONI, SEGONI, ZOLEZZI, MANNINO, BUSTO, DAGA e DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Repubblica italiana, come specificatamente previsto dall'articolo 9 della propria Costituzione, «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»;
   la Basilicata, secondo i dati Istat del 2010, era la regione più povera d'Italia e negli ultimi due anni è stata superata, in questa triste classifica, soltanto per demerito di altre regioni del Sud;
   la Basilicata, secondo i dati dell'Associazione italiana registro tumori, ha una percentuale di morti per tumore più alta della media nazionale;
   in Basilicata, secondo i dati della Confederazione italiana agricoltori, nell'arco di 10 anni le aziende agricole si sono dimezzate;
   la Basilicata, secondo i dati Cgil, ha un tasso di disoccupazione costantemente in crescita: «Nella sola Val d'Agri (dove è più intensa l'attività dei petrolieri) ci sono 8 mila persone tra disoccupati e inoccupati»;
   in Basilicata le prime ricerche di petrolio risalgono al 1981 in Val d'Agri con il pozzo Costa Molina 1. Nella Val d'Agri si concentra il bacino più importante, da sola produce l'82 per cento del petrolio italiano e possiede il più grande giacimento di petrolio onshore (sulla terraferma) dell'Europa continentale. Le aree di estrazione sono gestite da una holding dove l'Eni ha la maggioranza del 61 per cento e il resto (39 per cento) è detenuto dall'inglese Shell;
   nonostante le attività di estrazione siano iniziate da ormai oltre trent'anni, una vera e propria rete di monitoraggio per la salubrità delle attività estrattive è stata attivata però solo dal 2011 (per stessa ammissione dell'Eni). Anni in cui sono passati sotto silenzio tutta una serie di incidenti e anomalie, come la fuoriuscita di migliaia di litri di greggio in un bacino naturale per la raccolta di acque piovane il 17 marzo 2002; la nebulizzazzione di 500 litri di greggio il 6 giugno del 2002; l'immissione in aria di ingenti quantitativi di gas inquinanti il 4 ottobre del 2002, oppure la «misteriosa» intossicazione da idrogeno solforato di 20 operai di un'azienda che si trova proprio di fronte il Centro Oli, per i quali fu necessario contattare il centro anti veleni di Pavia;
   la Basilicata, secondo i dati della Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti, ha oltre 400 siti contaminati dalle attività estrattive;
   di pozzi, nella sola Val d'Agri ce ne sono 39, alcuni a pochi metri da una scuola materna o addirittura uno che sovrasta un municipio. In particolare, sedici pozzi petroliferi si trovano all'interno del perimetro del parco nazionale Appennino Lucano Val d'Agri Lagonegrese, istituito con il decreto del Presidente della Repubblica dell'8 dicembre 2007. Si tratta dei pozzi Pergola 1, S. Elia 1, Monte Enoc 1, Monte Enoc 6, Monte Enoc 7, Monte Enoc 10, Alli 2, Alli 4, Caldarosa 2, Caldarosa 3, Serra del Monte di Montemurro, Costa Molina Ovest 1, che si aggiungono alla costellazione dei pozzi denominati Cerro Falcone: il CF1, CF2, CF3, CF4, CF5, CF7 e il CF8;
   c’è da notare, tra l'altro, come il pozzo CF7, ad oggi, viene considerato un cosiddetto cavallo di Troia per operare dentro il parco, dove è vietata ogni attività estrattiva. L'Alli 2 verrebbe perforato a poche centinaia di metri l'ospedale di Villa d'Agri, verrà spostato di poche centinaia di metri, ma sempre davanti il suddetto ospedale; e i due pozzi Monte Enoc 6 e 7 saranno realizzati addirittura dentro l'abitato di Viggiano, in un'area franosa, già ritenuta dall'amministrazione municipale inidonea ad edificare abitazioni;
   nel «piano di sviluppo Val d'Agri», approvato nel gennaio 2012 e firmato dal Ministro dello sviluppo economico, pro tempore Corrado Passera, si progettava di duplicare la produzione annuale di petrolio del Paese;
   inseguendo tale progetto, l'Eni progetta nuovi pozzi di estrazione come il «Pergola 1», nel comune di Marsico Nuovo, con annessi circa 24 chilometri di oleodotti petroliferi che nasceranno a ridosso di un'area protetta, in prossimità del fiume Agri, a pochi metri dalle case e dai campi coltivati. Un'area, ancora, in cui sono presenti le più importanti «sorgenti perenni» che portano acqua fino in Campania, nonché in prossimità del sito di interesse comunitario «Monti della Maddalena» e sulla faglia sismica «Pergola-Melandro»;
   la realizzazione del «Pergola 1» comporterebbe uno scavo di venti metri di larghezza e quattro di profondità, creando un fitto reticolo di oleodotti collegati ai tre pozzi già esistenti a Marsico Nuovo. Tutto passerebbe sotto il fiume Agri, sotto la superstrada Fondo Val d'Agri, passando in alcuni punti a 200 metri dalle abitazioni. La superficie da espropriare è pari a 180.000 metri quadrati; circa il 30 per cento delle superfici è costituito da fertili suoli agricoli, pascoli e boschi. Si tratta di un territorio esposto al rischio di episodi come quello del 25 marzo 2013, quando dai pozzi e lungo le condotte fuoriuscì idrogeno solforato; l'Eni, sempre rifacendosi al suo nuovo programma di raddoppio petrolifero in Val d'Agri e in Basilicata, con determinazione dirigenziale del dipartimento ambiente 21 febbraio 2013, n. 219 ENI S.p.A. – distretto meridionale – ha autorizzato ai sensi del regio decreto-legge n. 3267 del 1923 i lavori di «Progetto Sviluppo Caldarosa 2/3», adeguamento piste esistenti ed apertura nuove piste di accesso all'area, in agro del comune di Calvello;
   l'area scelta per ospitare i pozzi «Caldarosa 2» e «Caldarosa 3», previsti all'interno della cosiddetta fascia di rispetto non appare conforme alla normativa vigente. A tal proposito infatti, le misure di salvaguardia della Rete Natura 2000 emanate dalla regione Basilicata (BUR n. 23 del 1o agosto 2012) prevedono «il divieto di nuove attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi all'interno dei siti Rete Natura 2000 (ZPS e ZSC) e in una fascia di rispetto pari a 1.000 (mille) metri esterna ai suddetti»;
   dopo il parere negativo dell'ufficio regionale competente per il paesaggio, all'inizio del 2014 anche la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Basilicata ha «bocciato» il progetto dell'Eni, nell'ambito della valutazione di impatto ambientale;
   nella nota di diniego del parere ambientale la soprintendenza ritiene che, se realizzati, i nuovi pozzi e i relativi oleodotti di collegamento con il Centro Olio di Viggiano «si porrebbero in stridente contrasto con le caratteristiche intrinseche dello specifico quadro panoramico ancora scarsamente antropizzato, introducendo elementi di rottura del tutto estranei all'attuale paesaggio in un'area estremamente vulnerabile dal punto di vista ambientale e naturalistico. Il sito infatti risulta a ridosso dell'area SIC del Monte Caldarosa inserito altresì nell'elenco nazionale dei biotopi dalla Società Botanica Nazionale, sottoposto a tutela assoluta dalla Legge Regionale n. 42 del 22 maggio 1980 come «Biotopo della Caldarosa»;
   la soprintendenza, inoltre, fa rilevare che «l'intervento nel suo complesso, è situato ad una quota altimetrica superiore ai 1200 metri. In particolare l'area pozzo è prevista ad una quota di 1326 metri e pertanto altamente visibile da e verso i punti panoramici e di percorrenza nonché dalle altre zone limitrofe sottoposte a vincolo paesaggistico quali quelle del Parco Nazionale della Val d'Agri;
   inoltre la condotta attraversa per la maggior parte un'area boschiva prevedendo pertanto tagli di vegetazione poiché non sono presenti piste all'interno della stessa area che ridurrebbero l'incidenza paesaggistica negativa dello stesso intervento. Per tutto quanto suddetto si ritiene che l'opera prevista non risulta compatibile con le finalità intrinseche di tutela paesaggistica dello specifico territorio»;
   alcuni pozzi petroliferi sono previsti vicino ai centri abitati o in prossimità di limpide sorgenti d'acqua, come quella denominata Acqua dell'Abete, bene comune, prezioso oro blu, indispensabile per la vita stessa della popolazione. Ebbene, queste sorgenti sono state inquinate da metalli pesanti e sostanze usate durante la trivellazione, come il bario. L'area è situata all'interno del parco nazionale, ove insiste, a poche centinaia di metri, il pozzo petrolifero Cerro Falcone 2, recentemente autorizzato dalla regione Basilicata alla «messa in produzione» (nonostante il divieto previsto nel decreto istitutivo e le misure di salvaguardia allegate al decreto del Presidente della Repubblica del 2007) ovvero ad estrarre greggio, anch'esso situato all'interno di un SIC/ZPS del parco nazionale;
   durante i campionamenti del lago che porta acqua potabile nei rubinetti di Puglia e Basilicata, il dipartimento di scienze geologiche dell'università degli studi della Basilicata ha trovato 6458 microgrammi/litro di idrocarburi in tre punti diversi e su undici campioni di sedimenti, ben sette avevano presenza di idrocarburi superiori al limite di riferimento;
   oltre al patrimonio naturale della Val d'Agri, anche i beni culturali hanno subito conseguenze per le attività estrattive. Numerosi sono i reperti rinvenuti sul tracciato degli oleodotti: a Marsicovetere, località Barricelle, nell'ambito dei lavori dell'ENI per la ristrutturazione petrolifera, la Soprintendenza archeologica di Potenza ha messo in luce un impianto edilizio di notevoli dimensioni (una villa rustica) risalente all'età augustea-primo imperiale (fine I sec. a.C.-I sec. d.C.);
   in quasi dieci anni, al centro di inchieste tutte legate al petrolio, sono finiti in manette il direttore generale dell'Arpab, il coordinatore provinciale dell'Ente regionale Ambiente, il vicepresidente, tre assessori e un consigliere regionale. Altri otto consiglieri sono stati destinatari di divieto di dimora, mentre sotto inchiesta sono finiti due deputati lucani. E non c’è solo la politica. Nel 2002 sono stati arrestati un maggiore della Guardia di finanza, un generale dei servizi segreti (Sisde), imprenditori, banchieri, finanzieri –:
   se il Governo non ritenga opportuno procedere al blocco dei progetti dell'ENI circa la realizzazione dei nuovi pozzi, anche a seguito dei giudizi negativi già ricevuti dagli enti competenti, per procedere tempestivamente ad una verifica puntuale della conformità alle norme di quanto progettato e della corretta e salubre attività di estrazione dei pozzi esistenti;
   se il Governo non ritenga opportuno far prevalere la salvaguardia dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione in merito alla tutela della salute pubblica, secondo l'articolo 32 ed, in merito alla tutela della propria ricchezza paesaggistica e culturale, secondo l'articolo 9, rispetto ad interessi e profitti privati derivati da politiche energetiche anacronistiche e contrastanti con quanto richiesto dalla Unione europea, sullo sviluppo delle energie rinnovabili, anche al fine di realizzare gli obiettivi comunitari disposti dalla strategia dell'Unione europea per lo sviluppo sostenibile. (5-02225)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GULLO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la tutela della salute costituisce principio fondamentale costituzionalmente garantito;
   da notizie di stampa si apprende la possibile presenza di componenti in amianto sugli elicotteri in dotazione alla polizia di Stato;
   esisterebbe, a quanto consta all'interrogante, una disposizione che il settore aereo della polizia di Stato avrebbe inviato ai reparti volo, ove si ribadirebbe che la sostituzione di guarnizioni contenenti amianto va effettuata dal personale specialista della polizia di Stato, munito degli appositi dispositivi di protezione individuale, dei quali i suddetti uffici sarebbero stati approvvigionati;
   altre forze dell'ordine avrebbero già rilevato il problema e provveduto a non utilizzare più gli elicotteri che presentano rischi legati all'amianto;
   anche il semplice dubbio circa possibili conseguenze pregiudizievoli per la salute dovrebbe consigliare la messa a terra degli elicotteri e/o quantomeno un'attenta valutazione della problematica –:
   quali iniziative urgenti si intendano assumere per:
    a) verificare la veridicità delle notizie relative alla presenza di amianto sugli elicotteri della polizia e su altri mezzi in dotazione alle forze dell'ordine e/o dell'esercito;
    b) eliminare gli eventuali rischi per la salute di cittadini e forze dell'ordine.
(4-03709)


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo stime condotte dall'Istat, anche nel 2013, e dall'ufficio Studi dell'Agenzia delle entrate, integrando dati amministrativi sulle dichiarazioni Irap con dati statistici sulla contabilità nazionale l'evasione fiscale in Italia raggiunge circa il 18 per cento del PIL. Complessivamente l'evasione fiscale in Italia è stimata, secondo alcuni studi, in circa 180 miliardi di euro l'anno (media di 3.000 euro a persona) il cui recupero totale garantirebbe ad esempio un recupero o azzeramento dell'intero debito pubblico, che nel 2012 ammonta a circa 1,900 miliardi di euro, in soli 16 anni;
   nel 1981 l'evasione fiscale in Italia ammontava a circa 28. 000 miliardi di vecchie lire, equivalente al 7-8 per cento del PIL. Più di trent'anni dopo questa quota è salita appunto fra il 16,3 per cento e il 17,5 per cento del PIL, per un totale che oscilla, secondo altri studi, tra i 255 e i 275 miliardi di imponibile sottratto all'erario con forti ripercussioni sul deficit pubblico e sul conseguente debito pubblico. Secondo alcuni studi tali valori collocano tristemente l'Italia al 1° posto in Europa per evasione e al terzo posto tra i Paesi dell'area OCSE;
   nell'ultimo saggio «Ladri – Gli evasori e i politici che li proteggono», edito da Bompiani, scritto da Stefano Livadiotti, si apprende che: «il Fisco italiano conosce per nome e cognome 518 contribuenti che dichiarano meno di 20.000 euro l'anno di reddito ma possiedono un jet privato» –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro interrogato siano a conoscenza di quanto affermato nel saggio dello scrittore Livadiotti e se questo dato corrisponda al vero;
   se intendano rendere noto se detti 518 contribuenti siano stati mai sottoposti a indagine da parte dell'Agenzia delle Entrate e quali provvedimenti siano stati assunti, a norma di legge, dalla competente amministrazione;
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere il Governo per arginare l'insopportabile evasione fiscale in Italia anche al fine di ottenere un migliorante una riduzione del carico fiscale complessivo per tutti i cittadini in ossequio al principio «pagare tutti per pagare meno» e al principio costituzionale di effettiva proporzionalità del regime fiscale. (4-03713)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la situazione in cui versa lo stadio in cui è costretta a giocare in seria A la squadra del Cagliari è una vergogna nazionale senza precedenti;
   regione e comune sono risultate incapaci come non mai ad affrontare e gestire una situazione che costringe ormai da anni la squadra sarda a giocare il massimo campionato con disagi sempre più gravi;
   aver costretto il Cagliari a giocare ancora una volta in uno stadio ridotto ai minimi termini è semplicemente vergognoso e insostenibile sia per gli sportivi che per il prestigio di un intera regione;
   l'atteggiamento mostrato dalle istituzioni nei confronti della squadra rossoblu, ma in generale dell'intero sport sardo, è di una gravità inaudita;
   in altri contesti tutto ciò avrebbe comportato reazioni ben più rilevanti da parte del mondo sportivo;
   il buon senso e il senso di responsabilità dei tifosi del Cagliari ha impedito che la situazione potesse assumere altri risvolti, anche di ordine pubblico;
   quel che è più grave è il silenzio di tutti i soggetti istituzionali e politici su questa vicenda;
   lo sport non è solo divertimento e gioco, ma è anche insegnamento di valori e elemento imprescindibile dell'aggregazione e della crescita di tanti giovani;
   si tratta di un bene sociale che viene trattato alla stregua di un fenomeno da avversare e vietare;
   il Ministro dell'interno deve utilizzare tutti i poteri in suo possesso per autorizzare, in forma commissariale, senza perdere altro tempo il pieno utilizzo dello stadio S. Elia;
   dopo la vergognosa gestione della vicenda da parte delle istituzioni, a partire da quella regionale per arrivare a quella del comune di Cagliari, non si può continuare a vessare la squadra rossoblu con rinvii continui e un'indeterminatezza delle procedure davvero figlia di una Repubblica dalle procedure infinite, discriminatorie e vessatorie;
   da ormai diversi anni la società sarda affronta una situazione inverosimile, considerato che risulta priva di un vero e proprio stadio in cui affrontare un campionato a pari condizioni con le altre squadre italiane;
   quest'annosa situazione appare vergognosa e insostenibile proprio perché generata da una vera e propria avversione burocratico-amministrativa nei confronti della squadra sarda;
   prima costretta ad emigrare in Friuli per le avverse e gravi condizioni dello Stadio S. Elia e poi, dopo aver realizzato uno stadio nuovo di zecca nel comune di Quartu S. Elena, costretta ad espatriare per il ripetersi di vincoli e divieti che ne hanno praticamente vietato il suo utilizzo;
   lo stadio di Is Arenas è stato letteralmente raso al suolo perché, dopo aver giocato partite a stadio pieno con il Milan e il Napoli, è stato di fatto reso impraticabile per la mancanza delle necessarie autorizzazioni negate per quelli che all'interrogante cavilli formali di fatto vessatori nei confronti della compagine sarda;
   si è trattato dell'unico caso in Italia ed in Europa di smantellamento di uno stadio nel giro di pochi mesi dalla sua costruzione. Tutto questo con la complicità e incapacità della regione e del comune di Cagliari;
   dopo aver nuovamente emigrato in giro per l'Italia alla squadra è stato proposto di ritornare a giocare allo Stadio S. Elia con il rimontaggio all'interno dello stadio della struttura;
   ad oggi lo stadio S. Elia è autorizzato per 5.000 persone, mentre potrebbe ospitarne 16.000;
   lo  scioglimento delle province, senza aver governato in alcun modo la riassegnazione delle funzioni, ha fatto venir meno la commissione provinciale per i pubblici spettacoli e ad oggi non si capisce chi deve autorizzare il pieno utilizzo dello stadio;
   il governo regionale e quello comunale di Cagliari, ad avviso dell'interrogante negligente, dopo aver garantito e millantato soluzioni rapide, sta costringendo la società rossoblu a subire un danno senza precedenti che rischia di mettere la stessa in gravi situazioni economiche e finanziarie;
   il mondo dello sport sardo è indignato per questa negligenza delle istituzioni a tutti i livelli. Lo stadio di Is Arenas smontato e rimontato al S. Elia, era stato autorizzato per la disputa delle gare casalinghe Cagliari-Pescara, Cagliari-Genoa, Cagliari-Napoli e Cagliari-Palermo, nel pieno rispetto delle condizioni dell'ordine e della sicurezza pubblica, tanto è vero che non si è verificato, in quelle occasioni, alcun episodio di disordini;
   a distanza di quasi un anno dall'ultima partita con il Milan la squadra rossoblu ha dovuto nuovamente affrontare la partita casalinga al S. Elia con uno stadio autorizzato per appena 5.000 posti –:
   se il Governo non intenda, per quanto di competenza, assumere iniziative per consentire la definizione di questa vergognosa situazione e dare una risposta compiuta, positiva e definitiva al pieno utilizzo stadio S. Elia;
   se il Ministro non intenda assumere iniziative, anche normative, per dare urgente mandato alla prefettura di Cagliari, o a chi il Ministro intenda individuare, affinché assuma in via straordinaria le funzioni delegate alla commissione provinciale;
   se non si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, perché già dalla prossima partita casalinga la squadra del Cagliari possa giocare con la piena fruizione dello stadio S. Elia, senza perdere altro tempo. (4-03722)


   OLIVERIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Il Sole 24 ore del 20 febbraio 2014 riporta i termini dell'accordo «tra il Ministero per la coesione territoriale e le regioni per la ripartizione degli oltre 31 miliardi di euro assegnati all'Italia con i fondi, strutturali europei per il 2014-2020»;
   guardando i dati, colpisce che le «regioni più sviluppate» ottengono tutte, ma proprio tutte, un forte incremento finanziario rispetto alla precedente programmazione. E così all'Emilia Romagna vengono assegnati 321 milioni di euro in più, alla Lombardia 607, al Piemonte 253, al Veneto 245. E così per tutte le altre regioni del centro-nord;
   osservando le «regioni meno sviluppate», tutte del Sud, si trova che la Basilicata arriva ad ottenere un notevolissimo incremento di fondi pari a 433,5 milioni di euro in più rispetto al 2007/2013, la Campania ne ottiene 53 e la Sicilia 73 milioni;
   alla Calabria, regione che ha un disperato bisogno di investimenti e risorse per la crescita economica e lo sviluppo del territorio, della ripartizione dei trentuno miliardi non viene assegnato nemmeno un euro in più, rispetto alla programmazione 2007/2014 –:
   quali siano state le ragioni che hanno portato la Calabria ad essere esclusa dalla nuova e migliorativa ripartizione dei Fondi comunitari per il 2014-2020, ben sapendo che a fronte di cinque regioni in forte ritardo nello sviluppo, ben tre ottengono più risorse finanziarie rispetto al periodo 2007-2013, ma due (tra cui la Calabria) non ottengono nulla, e se ciò dipende da responsabilità della regione Calabria che utilizza i fondi comunitari in modo del tutto insoddisfacente e davvero preoccupante in un periodo di gravissima crisi economica e sociale che l'attraversa.
(4-03725)


   DI SALVO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) è un'autorità di regolazione di servizi di pubblica utilità ai sensi della legge n. 481 del 1995, istituita con la legge 31 luglio 1997, n. 249;
   l'AGCOM è una amministrazione pubblica caratterizzata da un elevato livello di autonomia organizzativa nonché dall'indipendenza dal potere esecutivo, istituzionalmente garantita dalla normativa di riferimento, sia nazionale, sia comunitaria e deputata alla garanzia del pluralismo e della libertà di comunicazione;
   l'articolo 2, comma 3, della legge n. 481 del 1995, prevede che più autorità per i servizi pubblici non possono avere sede nella medesima città, promuovendo una equilibrata distribuzione sul territorio di detti organismi;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 1998 il Presidente del Consiglio dei ministri ha disposto che l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni avesse sede legale a Napoli, poiché quest'ultima ...può assumere un ruolo significativo quale punto di riferimento dello sviluppo indotto dall'intero Mezzogiorno, in un settore tecnologicamente avanzato...;
   pertanto la sede dell'autorità si trova in Napoli, al centro Direzionale, isola B5, palazzo Torre Francesco, mentre è stata istituita una secondaria in Roma, dapprima localizzata in via delle Muratte, e successivamente trasferita in via Isonzo, palazzo ex CNIPA;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 luglio 2007 veniva resa esecutiva la delibera dell'autorità n. 315/07/CONS del 6 giugno 2007 recante la definizione della nuova dotazione organica della stessa, ai sensi dell'articolo 1, comma 543 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, con l'esplicita previsione di una «equilibrata ripartizione del personale tra la sede di Napoli e la sede secondaria di Roma», elevando la dotazione organica nella misura di 419 unità distribuite tra la «sede di Napoli e la sede secondaria operativa di Roma»;
   con delibera 359/09/CONS l'autorità ha disposto modifiche e integrazioni al regolamento concernente l'organizzazione e il funzionamento, spacchettando le funzioni originariamente assegnate al servizio amministrazione e personale di cui all'articolo 21 del regolamento, e affidando a tre nuovi servizi le competenze, rispettivamente, in materia di a) risorse umane e formazione (RUF); b) organizzazione, bilancio e programmazione (OBP); c) affari generali e contratto (AGC), giustificando tale scelta con l'esigenza di favorire l'efficienza, la trasparenza e il buon andamento dell'azione amministrativa, scelta che non avrebbe alterato gli equilibri fra le due sedi dell'Autorità;
   ciò nonostante, i due uffici Obp e Agc sono stati trasferiti presso la sede romana di via Isonzo, per cui alla moltiplicazione di figure apicali si è accompagnato un nuovo depauperamento della sede di Napoli, mentre la tesoreria dell'autorità, a quanto consta all'interrogante, è stata spostata da Napoli a Roma e affidata alla Banca nazionale del lavoro, benché per la pubblica amministrazione sia stato istituito e reso obbligatorio fin dal 2011 il servizio di tesoreria unica;
   la delibera 65/12/CONS ha inferto l'ultimo colpo ferale a tale processo di progressivo svuotamento della sede partenopea, disponendo di una ennesima riorganizzazione in virtù della quale 21 uffici di secondo livello sono strutturati su Roma e 14 a Napoli, con l'aggravante per la sede di Napoli della trasformazione della direzione studi e del servizio comunicazione politica in uffici di II livello e alle dipendenze di direzioni che hanno il centro decisionale a Roma. A tutto questo si deve aggiungere che l'ufficio di presidenza, l'ufficio di gabinetto e gli uffici di staff dei commissari sono, per quanto risulta all'interrogante, tutti ubicati su Roma;
   oggi nella sede di Napoli lavorano circa 120 persone, mentre tutte le altre (circa 260) – oltre il doppio – occupano gli uffici nei 12 mila metri quadri della nuova sede di Roma;
   pertanto, la seconda sede operativa di Roma in via di fatto si è trasformata in sede principale, concentrandosi in questa tutte le principali attività condotte dagli uffici, in spregio della equilibrata ripartizione territoriale prevista dalla legge n. 481 del 1995 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1998, mortificando il ruolo del Mezzogiorno e generando un aumento considerevole dei costi sopportati da questa amministrazione;
   le ingenti spese sostenute per l'irrazionale mantenimento della sede di Roma (un metro quadro della sede di Roma costa quattro volte un metro quadro della sede di Napoli) però non costituiscono le uniche voci atte a incidere sul bilancio dell'autorità, fra queste rientrano i bandi per le nuove figure dirigenziali che sembrano addirittura in sovrannumero rispetto alla pianta organica approvata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 luglio 2007, generando ad avviso dell'interrogante una moltiplicazione ingiustificata di ruoli direttoriali che ha finito per aumentare considerevolmente i costi dell'amministrazione, che potevano essere ridotti prendendo in considerazione candidature interne che avrebbero garantito un adeguato livello di professionalità;
   le stesse nomine del nuovo segretario generale, avvocato dello Stato Francesco Sclafani, e del nuovo direttore del servizio giuridico potevano secondo l'interrogante essere evitate, con grande risparmio per le casse dell'AGCOM, se si «pescava nel pregiato lago» delle risorse interne –:
   se il Governo non concordi sull'opportunità di assumere ogni iniziativa di competenza, anche in sede di spending review, per individuare un'unica sede di riferimento per l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni ubicata nella città di Napoli. (4-03726)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   TERZONI, ZOLEZZI, SEGONI, MANNINO, DE ROSA, DAGA, BUSTO, CECCONI, LOREFICE e AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Fabriano, in provincia di Ancona, è stato rilevato sin dal 1988 un forte inquinamento di una falda acquifera da tetracloroetilene;
   già negli anni 1984/1985 il titolare di una piccola impresa e residente in zona segnalò una moria di trote allevate in una vasca alimentata da una vena sorgiva;
   solamente nell'anno 1988 sulla base di un campione maleodorante, prelevato da un privato dal proprio pozzo e fatto analizzare dalla ASL di Fabriano, ha permesso di accertare lo specifico e più diffuso inquinamento da tetracloroetilene ed acquaragia che interessava la vasta area di Santa Maria;
   a partire dalla metà dalla seconda metà degli anni 90 e per l'esattezza dal 1996-1997 si sono registrati ulteriori gravi episodi di contaminazione da percloroetilene o tetracloroetilene che dir si voglia. Fatto questo testimoniato dalla presenza di tale contaminante nell'acqua del pozzo comunale sito nei pressi del nuovo campo sportivo comunale e dell'ex Palaindesit ora Pala Guerrieri;
   oltre a questi fenomeni, altri episodi di contaminazione hanno nuovamente interessato la sorgente denominata Fonte Rita, ed alcuni pozzi tra cui giova ricordare quello sito presso la parrocchia della Sacra Famiglia e altri pozzi posti nell'area compresa tra il vocabolo Cortine e la «Fornace» nei pressi della chiesa del Lazzaretto o del vecchio cimitero comunale;
   tali manifestazioni, con il passare del tempo, sono emerse in tutta la loro gravità ed estensione sino a giungere, oggi, al coinvolgimento dell'intero quartiere «Campo sportivo», quest'ultimo, si ricorda, intensamente urbanizzato e, successivamente l'area del quartiere Cortina Santa Maria;
   malgrado il silenzio intorno a questa vicenda, la situazione complessiva del fenomeno emerge oggi, in tutta la sua complessità e gravità, dalla semplice consultazione del piano bonifiche regionale. Da tale strumento emergono un insieme di aree il cui suolo e le relative falde risultano contaminate non solo da solventi clorurati ma anche da metalli pesanti ed altre sostanze;
   qui viene indicata una generica «area di inquinamento da tetracloroetilene» che coincide con il quartiere campo sportivo – zona parco «Merloni» a valle del centro abitato di Fabriano che si contraddistingue per una «contaminazione diffusa delle acque di falda da solventi clorurati»;
   a distanza di oltre 25 anni dalle prime segnalazioni, però, il risultato delle timide attività messe in atto dalle amministrazioni locali non ha portato alcuna soluzione od intervento nonostante, per le fasi di caratterizzazioni siano stati già spesi ingenti fondi pubblici;
   i dati pubblicati dall'ARPAM e dal comune di Fabriano registrano nei campioni raccolti in alcuni pozzi valori di PCE altissimi, da circa 200 μg/l a 2400 μg/l, dove il limite di legge prescrive 1,1 μg/l nelle acque sotterranee;
   nel caso di un pozzo abbiamo due valori molto superiori ai precedenti, riscontrati nei campionamenti in data 03 dicembre 1998 e 17 febbraio 1999 che testimoniavano rispettivamente i valori di 24400 μg/l e 277100   μg/l, probabilmente derivanti dall'iniziale sversamento in falda;
   osservando i risultati dei campionamenti effettuati dall'ARPAM e pubblicati dalla regione Marche e dal comune di Fabriano, si è rilevata una presenza, in minor concentrazione rispetto al PCE, di altri prodotti come il tricloroetilene, 1,2 dicloroetilene e 1,1 dicloroetilene –:
   se il Governo intenda disporre un'indagine, anche per il tramite dell'istituto superiore di sanità, per valutare i rischi per la salute e le condizioni igienico sanitarie visto che nell'area attraversata dalla falda acquifera contaminata, oltre a numerose abitazioni, insistono scuole, altri edifici ad alta frequentazione, e orti urbani che, prima di un'ordinanza sindacale che lo ha vietato, venivano abitualmente innaffiati con acqua dei pozzi;
   se il Ministro, alla luce di eventuali verifiche tecniche effettuate sullo stato di inquinamento delle acque e del suolo e sullo stato di conservazione di ambienti naturali, non ritenga opportuno, nel rispetto delle competenze delle regioni e degli enti locali, disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al Comando carabinieri tutela dell'ambiente (CCTA), in considerazione dell'oggettivo pericolo per la popolazione residente. (4-03710)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la regione Calabria e, in particolare la provincia di Catanzaro, rappresenta una delle aree del territorio italiano a più elevato rischio idrogeologico;
   a rendere più preoccupante il quadro generale si aggiungono le tante emergenze, che nelle ultime settimane hanno dato luogo a situazioni molto critiche, come le frane che hanno colpito diversi comuni calabresi che evidenziano sempre di più la diffusa fragilità del territorio;
   in occasione dell'ultimo evento franoso accaduto nel comune di Serrastretta, a seguito delle abbondantissime precipitazioni degli ultimi giorni, si è registrato un ennesimo segnale di pericolo;
   il primo cittadino Felice Molinaro ha richiamato l'attenzione sulla necessità di intervenire tempestivamente per scongiurare l'aggravarsi di una situazione che potrebbe diventare irrecuperabile e le cui conseguenze potrebbero essere drammatiche;
   la tragicità dell'evento è amplificata anche dalla presenza in quella zona di un consistente nucleo di abitazioni e infrastrutture;
   tuttavia nessun intervento di rilievo è stato ancora effettuato e lo spettro di un dissesto idrogeologico, se non si interverrà in tempi brevissimi, sembra ormai inevitabile –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per garantire tempestivi interventi per la messa in sicurezza idrogeologica del territorio della provincia di Catanzaro, ed in particolare del comune di Serrastretta e dei territori limitrofi;
   se il Governo intenda assegnare adeguate risorse finanziarie destinate alla difesa del suolo e alla prevenzione del dissesto idrogeologico, assicurando che la distribuzione avvenga in modo da privilegiare le aree a più alto rischio franoso, come quella della provincia di Catanzaro.
(4-03715)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLI, FREGOLENT e PICCOLI NARDELLI. —Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la «Camera Picta» (comunemente conosciuta come «Camera degli Sposi») è collocata nel torrione nord est del castello di San Giorgio a Mantova. È stata dipinta da Andrea Mantegna nell'arco di nove anni (dal 1465 al 1474) ed è globalmente riconosciuta come uno dei capolavori universali dell'arte rinascimentale;
   da oltre 20 mesi la «Camera degli Sposi» è chiusa al pubblico a seguito dei danneggiamenti causati dal terremoto che ha colpito il centro-nord Italia, ed in particolare le regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto nel mese di maggio del 2012. Nelle zone interessate dal sisma è stato riconosciuto lo stato di calamità naturale e sono stati assegnati finanziamenti specifici, da apposite leggi dello Stato, per la ricostruzione ed il ripristino delle attività;
   il terremoto ha infatti creato gravissimi danni al patrimonio storico, artistico e culturale di Mantova. Per quanto riguarda la «Camera degli Sposi» la situazione è divenuta ormai insostenibile: i saloni, nonostante non siano stati direttamente danneggiati, non possono essere visitati a causa di problemi di sicurezza che interessano alcune sezioni del castello di San Giorgio;
   da quanto riportato anche nell'atto di sindacato ispettivo n. 5/00276 (interrogazione a risposta in commissione presentata a prima firma del deputato Marco Carra il 6 giugno 2013) la «locale soprintendenza per il patrimonio storico artistico ha predisposto un progetto di intervento finalizzato al restauro delle parti di Palazzo Ducale danneggiate, nonché al consolidamento delle strutture dello stesso Palazzo più a rischio quale misura preventiva antisismica» e che «tale progetto, del costo previsto di 5 milioni di euro, è stato inviato al Cipe per il finanziamento, ma a tutt'oggi non si conosce l'esito di tale richiesta»;
   l'interrogazione sopracitata ad oggi (dopo oltre 7 mesi dalla presentazione) non ha ancora avuto risposta;
   emerge da recenti articoli di stampa che «per riaprire la “Camera degli Sposi” occorrerebbero almeno altri 6 mesi»;
   sempre dai mass media si viene a conoscenza che sarebbero stati stanziati complessivamente, da parte dello Stato per il castello di San Giorgio di Mantova, 1 milione e 900 mila euro complessivi di fondi Arcus (in due capitoli differenti, rispettivamente, 400 mila e 1 milione e 500 mila euro);
   Arcus è la Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo, nata nel 2004. Il capitale sociale è interamente sottoscritto dal Ministero dell'economia e delle finanze, mentre l'operatività aziendale deriva dai programmi di indirizzo che sono oggetto dei decreti annuali adottati dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turiamo (di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti). Il compito dichiarato di Arcus (si legge nel sito istituzionale della società) è quello di sostenere in modo innovativo progetti importanti e ambiziosi concernenti il mondo dei beni e delle attività culturali, anche nelle sue possibili interrelazioni con le infrastrutture strategiche del Paese);
   la chiusura del castello di San Giorgio e della «Camera degli Sposi» sta procurando un gravissimo danno economico alla comunità locale. È stato infatti stimato in 120 mila il calo di presenze in questi 20 mesi. Una diminuzione che ha fortemente penalizzato non solo il settore culturale, ma quello ricettivo, turistico, enogastronomico che erano fortemente integrati e che rappresentano storicamente un volano irrinunciabile dello sviluppo sociale, economico ed occupazionale del territorio mantovano;
   è stato inoltre rimarcato che la prolungata chiusura del castello di San Giorgio e della «Camera degli Sposi» avrebbe anche penalizzato la candidatura di Mantova a «Capitale Europea della Cultura 2019». La città è stata infatti esclusa nella ultima fase delle selezioni –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente della grave situazione in cui versa il castello di San Giorgio di Mantova (che impedisce, in particolare, la visita alla «Camera degli Sposi») e quali iniziative urgenti intendano mettere in campo per risolvere il problema;
   se entrambi i finanziamenti di Arcus citati in premessa siano stati stanziati e nel dettaglio quali sarebbero le tempistiche e l’iter per la completa realizzazione degli interventi previsti;
   se i finanziamenti stanziati siano sufficienti per il completo ripristino della fruibilità del castello di San Giorgio e quando sia prevista che possa essere riaperta al pubblico la «Camera degli Sposi»;
   se non ritengano opportuno prevedere interventi straordinari, per quanto di competenza, per rilanciare la promozione del patrimonio storico ed artistico complessivo della provincia di Mantova, fortemente penalizzata in questi anni dal calo di presenze nel settore turistico e ricettivo.
(5-02228)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZARDINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   un'area di 50.000 metri quadrati adiacente ad un'ansa del fiume Adige è stata oggetto di una inaccettabile modifica orografica da parte di due società sportive per utilizzare un terreno pianeggiante a destinazione agricola per attività di motocross, in mancanza di autorizzazioni di tipo ambientale, paesaggistico, edilizio e urbanistico, come segnalato dalla relazione di servizio della polizia municipale del comune di Verona e confermato con la nota prot. 113012/2008 dell'ufficio controllo edilizio del comune di Verona;
   nel 2010 il rapporto dei tecnici comunali registrava un elenco di numerosi abusi e opere difformi che andavano dall'utilizzo a destinazione sportivo-motoristica di un terreno a destinazione agricola, alla realizzazione di fabbricati e posizionamento di furgoni e roulottes, alla realizzazioni di dossi per la pratica di motocross;
   la Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici del Veneto, a seguito di presentazione da parte delle società di una autorizzazione paesaggistica per opere di modifica del terreno senza autorizzazione ambientale ha espresso, il 29 ottobre 2012, parere negativo, per quanto di competenza, «in quanto le opere eseguite hanno modificato l'assetto morfologico e naturale dei luoghi, comportando un'inaccettabile alterazione del paesaggio»;
   a seguito degli atti sopra citati, le società avevano l'obbligo del ripristino dei luoghi, come registrato dal controllo effettuato dai tecnici del controllo edilizio in data 28 luglio 2011 e come segnalato dal provvedimento sanzionatorio paesaggistico-ambientale avviato dal comune di Verona in data 14 settembre 2011;
   l'area oggetto dell'intervento ricade in un luogo di particolare pregio e sensibilità ambientale, in un contesto rurale in prossimità del fiume Adige sottoposta a tutela paesaggistica (Deliberazione di consiglio regionale n. 578/1987) e di riconosciuta valenza naturalistica, pertanto soggetta agli obblighi previsti dal decreto legislativo n. 42 del 2004;
   il Piano degli interventi del comune di Verona definisce l'Adige: il motore dello spazio scenico, riconoscendone uno degli iconemi strutturali di maggior valenza simbolica ed evocativa nel paesaggio veronese, come testimoniato dalle arti visive e dalla poesia;
   il corso del fiume Adige è percepito dagli abitanti come unitario ed è di fondamentale importanza mantenere chiaramente leggibile tale continuità ai fini della tutela dell'identità paesaggistica, anche per la salvaguardia del circostante territorio agricolo;
   nel PAT, approvato dalla regione del Veneto, «Carta delle fragilità», si segnalano «vulnerabilità intrinseca degli acquiferi» (articolo 38), confinante con aree per il rispetto dell'ambiente naturale, della flora e della fauna – SIC (articolo 37); nella «Carta dei vincoli e della pianificazione territoriale» si indica il «vincolo paesaggistico e area di ricarica degli acquiferi» (articolo 32);
   il ripristino dell'area, richiesto alle società dal comune, è avvenuto in modo parziale, con la sola rimozione di parte delle strutture realizzate, mentre sono rimasti pressoché inalterati i dossi che la Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici del Veneto ha scritto essere «una inaccettabile alterazione del tipico paesaggio»;
   inspiegabilmente, nonostante l'evidenza dei fatti, nella relazione di sopralluogo i tecnici del controllo edilizio, in data 18 marzo 2013, scrivono che è avvenuta «l'eliminazione delle pronunciate ondulazioni e rampe di terra utilizzate per il percorso di motocross», e quindi il comune ha provveduto all'archiviazione del provvedimento sanzionatorio. L'area non è stata ancora ripristinata come evidenziato da documentazione fotografica prodotta al comune di Verona e agli enti competenti;
   l'Associazione Ca del Bue Park ha presentato alla provincia di Verona una domanda di verifica di assoggettabilità di valutazione di impatto ambientale senza inserire nella suddetta domanda alcuna firma o atto di assenso da parte del proprietario del terreno o prodotto un contratto di affitto, per la realizzazione del crossodromo con il dichiarato scopo di «regolarizzare la situazione di fatto»;
   la domanda di assoggettabilità di valutazione di impatto ambientale è da considerarsi una generica sanatoria, senza oneri a carico da parte del proponente, per la regolarizzazione degli abusi edilizi e ambientali effettuati precedentemente, così come confermato dagli atti del comune di Verona –:
   quali iniziative di propria competenza il Ministro interrogato intenda avviare al fine di evitare che un'area in prossimità del fiume Adige sottoposta a tutela paesaggistica (deliberazione del consiglio regionale n. 578/1987) e di riconosciuta valenza naturalistica, soggetta agli obblighi previsti dal decreto legislativo n. 42 del 2004, venga selvaggiamente trasformata, danneggiando in modo irreparabile il territorio e la morfologia delle aree che appartengono all’habitat naturalistico del fiume Adige. (4-03712)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 febbraio 2014 presso il locale Cocoricò di Riccione si teneva un evento dal titolo Memorabilia;
   tale evento prevedeva, tra l'altro, un omaggio alla storica performance di Marina Abramovic, messa in scena a Bologna nel 1977, e poi già ripresa nel 2003 presso lo stesso Cocoricò, che consiste nel passaggio degli spettatori fra due persone nude in piedi l'una di fronte all'altra;
   si trattava di performer professionisti, appartenenti alla nota compagnia Fanny&Alexander, e l'esibizione si teneva in uno spazio ad accesso controllato;
   la cultura può essere il nostro petrolio, a patto che si abbia la capacità diffusa di riconoscerla, soprattutto da parte degli organi dello Stato;
   la performance viene interrotta dai carabinieri, che dopo aver acquisito materiale fotografico in borghese, si manifestano come tali e accompagnano in questura i 6 performer e il direttore artistico, invocando il concorso aggravato in atti e spettacolo osceno in luogo pubblico –:
   se il Governo ritenga che nell'Italia del 2014 sia possibile che accadano cose simili, e se siano compatibili con la libertà di espressione, artistica e personale e con il principio di laicità;
   se non si ritenga inoltre che tale utilizzo delle forze dell'ordine, in un quadro di risorse scarso, sia compatibile con la migliore garanzia della sicurezza dei cittadini;
   quali iniziative intendano adottare, anche di natura normativa, per evitare che episodi simili possano ripetersi. (4-03717)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   i medici di medicina generale sono professionisti convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale con un rapporto di parasubordinazione, ovvero sono retribuiti con una quota per assistito in carico, fino ad un massimale invalicabile di 1500 (1575) scelte;
   gli ambulatori dei medici di medicina generale sono a tutti gli effetti presidi sanitari pubblici;
   il medico di medicina generale opera secondo le modalità organizzative di cui all'articolo 59 lettera B del vigente accordo collettivo nazionale e le disposizioni di cui all'articolo 1 del decreto-legge 13 settembre 2012 (decreto Balduzzi – Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito con modificazioni dall'articolo 1, comma 1, della legge 189/2012, limitatamente all'ambito di esercizio dell'attività convenzionata con il Servizio sanitario nazionale;
   per promuovere il tipo di evoluzione delle medicina territoriale orientato definitivamente stesso decreto, in molti casi già da tempo si è provveduto all'assunzione di collaboratori di studio, figure professionali che permettono di agevolare sensibilmente l'accesso al servizio di medicina generale, intervenire in campagne di prevenzione e sensibilizzazione ed organizzare studi dedicati alle fasce più deboli della popolazione (anziani, malati cronici e disabili), ed è obiettivo implementare gli studi di dotazioni tecnologiche di primo livello (esempio telemedicina) ottenendo così tra l'altro anche una costante riduzione del numero dei ricoveri ospedalieri;
   come confermato anche dalla recentissima sentenza della Corte di cassazione, sezione VI civile – T, ordinanza n. 106/14, depositata il 7 gennaio 2014, è evidente che la disponibilità di uno studio dotato delle attrezzature di cui all'arb. 22 dell'Accordo collettivo, obbligatoria ai fini dell'instaurazione e mantenimento del rapporto convenzionale, non integra, di per sé, il requisito dell'autonoma organizzazione, con ciò orientando nettamente il tema della inapplicabilità dell'IRAP ai medici di medicina generale convenzionati con il SSN;
   per i medici di medicina generale, limitatamente all'ambito di esercizio dell'attività convenzionata, qualunque organizzazione ed implementazione della qualità dei servizi a vantaggio dei cittadini non è in grado di produrre maggior reddito per il professionista ed anzi, dovendone lo stesso sostenere i costi, è fonte di impoverimento;
   viceversa coloro che già sostengono le spese di un collaboratore proprio per migliorare la qualità del servizio fornito e realizzare una medicina territoriale d'iniziativa e proattiva, vengono assoggettati alle imposte proprie dell'autonoma organizzazione finalizzata all'implementazione del reddito, cosa per l'appunto tecnicamente impossibile;
   le stesse associazioni mediche e quindi le aggregazioni funzionali, piuttosto che le associazioni di professionisti, secondo alcune interpretazioni, rappresenterebbero una sorta di «autonoma organizzazione», con le relative conseguenze;
   contrariamente agli indirizzi previsti dalla «legge Balduzzi», la presente normativa, tanto più là dove applicata in forma rigida da parte dell'Agenzia delle entrate regionali, finisce paradossalmente per promuovere implicitamente i medici di medicina generale che non provvedono ad organizzare la propria attività secondo modelli di implementazione dei servizi;
   dal quadro delineato, risulta prevedibile che i medici di medicina generale, per evitare i costi aggiuntivi a loro carico, a completo svantaggio dei cittadini e con significativi danni occupazionali, optino per il regresso nella qualità del servizio con il licenziamento forzato dei numerosi collaboratori, disperdendo tra l'altro qualità professionale –:
   poiché l'ambulatorio del medico di medicina generale è un presidio del servizio sanitario nazionale e dalla sua migliore organizzazione non possono derivare vantaggi per il medico se non debba essere predisposta un'iniziativa diretta a chiarire l'esclusione della fattispecie descritta in premessa dal concetto di organizzazione autonoma del lavoro, escludendo pertanto gli oneri fiscali derivanti dall'interpretazione applicata dall'Agenzia delle entrate.
(2-00419) «Zanin, Ventricelli, Zardini, Zappulla, Caruso, Cova, Coppola, Crimì, Carra, Fregolent, Mariani, D'Ottavio, Brandolin, Braga, Tentori, Terrosi, Moretto, Rotta, Bargero, Bazoli, Pellegrino, Rubinato, Quartapelle Procopio, Patriarca, Berlinghieri, Piccoli Nardelli, Oliverio, Marrocu, Taricco, Martelli, Argentin, Benamati, Coscia, D'Arienzo, Sbrollini, Scanu, Scuvera, Venittelli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   acquirente unico è una società pubblica interamente partecipata dal gestore dei servizi energetici spa che ha come scopo quello di garantire la fornitura di energia elettrica ai clienti del mercato tutelato;
   a sua volta, Gestore dei servizi energetici GSE spa, finalizzato all'erogazione di incentivi economici per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, è posseduti) al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   l'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) è un organismo indipendente, istituito con la legge 14 novembre 1995, n. 481, con il compito di tutelare gli interessi dei consumatori e di promuovere la concorrenza, l'efficienza è la diffusione di servizi con adeguati livelli di qualità, attraverso l'attività di regolazione e di controllo;
   l'Autorità per l'energia elettrica e il gas è chiamata a vigilare su una serie di soggetti pubblici che svolgono un ruolo strumentale al funzionamento del settore energetico, in particolare approvandone i costi inseriti in bilancio, che poi vengono «ribaltati» in bolletta;
   a quanto si apprende, sembrerebbe che siano state recentemente assunte dall'Acquirente unico, un soggetto vigilato dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, numerose figure professionali (9), alcune anche con qualifica dirigenziale, per essere successivamente distaccate presso l'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
   la circostanza che un soggetto pubblico vigilato inserisca nel proprio bilancio costi che il vigilante poi sarà chiamato a controllare, e che verranno quindi scaricati senza alcuna trasparenza sulle bollette di cittadini e imprese, appare all'interrogante assai grave –:
   se i Ministri interrogati ritengano compatibili simili prassi con la trasparenza ed il rigore richiesti nel caso di società a controllo statale e, in particolare, se ritengano accettabile che soggetti prescelti intuitu personae vengano assunti con ruoli dirigenziali nella amministrazione pubblica. (5-02229)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come previsto dal piano carceri i primi di marzo 2014 inizieranno i lavori di ampliamento del carcere di massima sicurezza di Sulmona (AQ). In base al progetto si costruirà un nuovo padiglione in grado di ospitare altri 200 detenuti. Sono previsti 400 giorni di lavoro per l'opera, occorreranno un anno e tre mesi per realizzare il nuovo blocco della struttura carceraria;
   la polizia penitenziaria, tramite le proprie associazioni di categoria, chiede, da tempo, la ridefinizione della pianta organica dell'istituto affinché si ristabiliscano le 328 unità previste nel decreto ministeriale del 2001 rispetto agli attuali 240 agenti impiegati nel penitenziario peligno;
   la polizia penitenziaria chiede almeno 30 nuovi agenti ed assistenti nella struttura sulmonese per coprire l'attuale emergenza e poi altri 60 agenti attraverso l'implementazione;
   inoltre domandano pagamenti regolari dello straordinario da parte del Ministero dell'economia e delle finanze evitando così accantonamenti continui di ore. Chiedono le ferie e tutti gli altri diritti soggettivi: riposi e recupero ore, ma anche docce all'interno delle celle detentive, automatizzazione di tutti i cancelli, apparato di videosorveglianza innovativo con sale di regia da implementare. Chiedono, come da contratto, di non effettuare lo straordinario o il recupero delle ore attraverso riposi compensativi. 10 mila ore di ferie maturate da 240 agenti sulmonesi nel 2012;
   nel carcere di Sulmona, il più grande d'Abruzzo, che dovrebbe ospitare 306 detenuti, ve ne sono 471, cioè ben 167 detenuti in più con un livello intollerabile delle condizioni di vita e di sicurezza dei detenuti e del personale penitenziario;
   nell'ultimo anno vi sono stati 4 tentativi di suicidio e 12 casi gravi di autolesionismo tra i detenuti, negli ultimi 10 anni ci sono stati ben 13 casi di suicidio, al punto tale che questo carcere è diventato tristemente famoso a livello nazionale e internazionale –:
   se non intenda assumere iniziative per superare rapidamente questa situazione di emergenza e prevedere un incontro con le parti sociali per definire misure straordinarie di riorganizzazione della struttura carceraria e di copertura del fabbisogno di personale penitenziario.
(3-00648)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il servizio di trasporto scolastico è regolato dal decreto ministeriale 31 gennaio 1997, «Nuove disposizioni in materia di trasporto scolastico», che disciplina i veicoli da adibire al trasporto e la gestione del servizio;
   il succitato decreto, all'articolo 1, prevede che i mezzi debbano rispettare precise caratteristiche costruttive, di cui al decreto ministeriale 18 aprile 1977, fra cui la resistenza, struttura, sistemazione delle uscite e protezione antincendio, intesa come limiti all'uso di materiali infiammabili o obbligo di estintori che devono essere sottoposti a revisione annuale;
   il trasporto scolastico può essere effettuato esclusivamente con autobus, minibus o scuolabus immatricolati in uso proprio dai comuni o in uso di terzi da imprese di trasporto autorizzate all'esercizio della professione o autovetture immatricolate in uso terzi da soggetti autorizzati allo svolgimento di servizi di noleggio con conducente;
   il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, attribuisce ai comuni le funzioni amministrative in materia di «assistenza scolastica» – compresi i servizi diretti ad agevolare l'assolvimento dell'obbligo scolastico – secondo modalità previste con legge regionale, che nel caso della regione Veneto è la legge 2 aprile 1985, n. 31;
   alcuni comuni come, ad esempio, Padova, Vigonza, Silea, Villa del Conte, Salzano, Mareno di Piave, Gaiarine, San Fior hanno attuato competenze in materia di trasporto scolastico, anche mediante ricorso al car pooling;
   ai genitori che si prestano a diventare autisti per questo servizio è richiesto il solo possesso della patente di categoria B, soggetta a rinnovò ogni 10 anni previa visita medica, ma non sono previste prove teoriche e/o pratiche di guida, né accertamenti psico-fisici, né controlli annuali sull'uso di droghe ed alcol, né tanto meno il rispetto degli obblighi relativi a tempi di guida e di riposo;
   sembra evidente che i livelli di sicurezza garantiti attraverso l'utilizzo dei mezzi autorizzati guidati da professionisti non possono essere garantiti in egual misura dall'utilizzo di mezzi privati guidati da genitori volontari, per di più in considerazione del fatto che la mortalità con trasporto scolastico con autobus è 30 volte inferiore a quella dell'auto;
   i vantaggi dell'utilizzo dell'autobus per il trasporto scolastico sono molteplici: maggiore flessibilità e capacità di adattamento alla domanda, minor inquinamento atmosferico, garanzia di un servizio capillare, trasporto di un numero maggiore di alunni su un unico mezzo;
   in base alla normativa vigente, i comuni non possono affidare lo svolgimento dei servizi di trasporto scolastico a soggetti non abilitati all'esercizio professionale dell'attività e, quindi, neppure avvalersi di forme di condivisione del trasporto tra i genitori degli studenti, a meno che non siano forme spontanee –:
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative, eventualmente anche attraverso l'utilizzo di una circolare esplicativa, per ribadire che il servizio di trasporto scolastico deve essere effettuato esclusivamente con i mezzi previsti dall'articolo 1 del decreto 31 gennaio 1977 e che i veicoli devono essere condotti dai soggetti di cui all'articolo 4 del medesimo decreto. (4-03718)

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INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   LODOLINI e FIANO. – Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Dna, direzione nazionale antimafia, nella relazione dell'attività 2013 evidenzia il tentativo da parte della criminalità organizzata di mettere le mani sul porto di Ancona con traffico internazionale di droga, immigrazione clandestina e marchi contraffatti;
   da anni l'attività dei controlli garantita dalle autorità doganali e dalle forze dell'ordine, Guardia di finanza e Polmare in particolare, è andata via via crescendo facendo registrare volumi e numeri da grande porto internazionale;
   stando alla relazione della direzione nazionale antimafia «il Porto internazionale di Ancona costituisce uno dei mezzi primari di ingresso della droga, a volte destinata ad altre zone d'Italia. E ha un ruolo cruciale nei reati di contrabbando e di favoreggiamento all'immigrazione clandestina. Le indagini condotte dalla direzione distrettuale antimafia “riguardano reati associativi, sia inerenti gli stupefacenti, sia il contrabbando che l'immigrazione clandestina”, settori di attività illecite “strettamente collegate all'intensissima e importante attività del porto, strategicamente collocato nell'Adriatico per il traffico internazionale delle merci verso i Balcani e il resto dell'Europa orientale, nonché verso i continenti adriatico e africano”»;
   da gennaio ad aprile 2013 sono stati sequestrati 70 chilogrammi di eroina e 1.250 chilogrammi fra hashish e marijuana, oltre a 75.805 chilogrammi di tabacchi lavorati esteri. Greci, albanesi, bulgari, turchi, iracheni, siriani, africani, ma anche italiani ed europei sono trafficanti di droga e di esseri umani, e alcune indagini sono state condotte per rogatoria anche in altre nazioni (come la Grecia);
   nelle Marche sono poi presenti soggetti che «mantengono legami con la criminalità organizzata operante in altre zone d'Italia, e che diventano uno degli strumenti per possibili infiltrazioni. Una modalità è quella del basista per la commissione di rapine»;
   indagini sono in corso su una banda di rapinatori originari della Campania che «hanno commesso numerose rapine nella regione ai danni di istituti di credito». «Particolare attenzione – conclude la relazione della Dna – è stata posta sui rischi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore economico, specie in considerazione della grave crisi (anche nelle Marche si registra l'aumento delle procedure concorsuali)». La Guardia di finanza poi «ha in corso accertamenti finalizzati a richiedere l'adozione di misure di prevenzione patrimoniali» –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare, alla luce dei fatti esposti in premessa, al fine di garantire la sicurezza dei cittadini residenti, degli operatori economici e del loro patrimonio nel territorio in questione;
   se il Ministro intenda sollecitare l'intervento del Commissario per il coordinamento delle iniziative anti-racket ed anti-usura. (4-03708)


   DISTASO, SISTO e ELVIRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la questione sicurezza continua a rappresentare una vera emergenza per la città di Bari, come confermato da alcuni recenti episodi di cronaca, quali l'uccisione nel quartiere San Paolo di un pregiudicato con un agguato mortale e un gravissimo episodio di rapina verificatosi di giorno ai danni del Bar Savoy, in pieno centro, davanti a un bambino di pochi anni;
   quelli a cui si è assistito negli ultimi due anni sono stati molto più che segnali evidenti di escalation criminale da una parte – con omicidi, avvertimenti, attentati, ferimenti e rapine – ma anche di disagio sociale dall'altra;
   criminalità e disagio sociale rappresentano infatti due fenomeni che non sono distanti tra loro perché innegabilmente è proprio nei momenti di maggiore crisi economica che la criminalità tenta di approfittare delle difficoltà e di un humus più favorevole;
   Bari ha bisogno di attenzione – oltre che da parte dell'amministrazione locale che al netto di annunci spot non ha saputo o voluto esercitare quelle prerogative che sono alla base di una migliore qualità della convivenza sociale e della sicurezza – da parte del Governo, perché, mentre le forze dell'ordine che pure operano in una situazione di assoluta difficoltà devono fare i conti con carenze di organico e di risorse economiche, oggi vi è assoluta assenza di politiche di sicurezza e di prevenzione sociale;
   agli interroganti risulta che vi siano significative risorse del fondo unico giustizia (istituito dall'articolo 61, comma 23, del decreto-legge n. 112 del 2008 e poi rafforzato sul piano della dotazione economica dall'articolo 2 del decreto-legge n. 143 del 2008) non assegnate e che invece potrebbero essere opportunamente utilizzate per rafforzare le politiche della sicurezza a sostegno di chi – prefetto, magistratura e forze dell'ordine – sta in trincea tutti i giorni per la sicurezza della comunità –:
   quali iniziative urgenti, tanto più alla luce dei gravissimi fatti di cronaca avvenuti negli ultimi tempi, intenda assumere per rafforzare le politiche di prevenzione e contrasto alla criminalità nella città di Bari e nel suo territorio;
   se il Governo ritenga necessario convocare con urgenza una riunione a Bari del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, alla presenza dei Ministri competenti, così da offrire ai cittadini del capoluogo pugliese un segnale concreto di attenzione e di volontà di agire contro il crimine;
   quali utili iniziative ritenga di varare per dare conto dell'ammontare delle risorse del fondo unico giustizia non assegnate, indirizzandole poi sia a politiche per la sicurezza sul territorio che al rafforzamento dei necessari strumenti di vigilanza e di contrasto delle infiltrazioni criminali. (4-03720)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla stampa locale, susciterebbe fondate preoccupazioni la tenuta del muro paraonde della diga sita nel mare di fronte a Cirò Marina;
   a seguito di sopralluoghi effettuati dai tecnici, risulterebbero sulla diga foranea del porticciolo turistico e peschereccio di Cirò Marina delle fessure che darebbero conferma dello stato di allarme che si è sollevato nella popolazione;
   la struttura ha risentito delle poderose mareggiate verificatesi nei giorni scorsi, quando il mare si è gonfiato per i forti venti provenienti dal nord;
   le diverse sezioni della struttura, ricostruita solo un anno e mezzo fa, si sono disancorate l'una dall'altra determinando forti inclinazioni all'interno del bacino portuale;
   il movimento verificatosi sulla diga farebbe pensare ad un processo inesorabile che, favorito dalle recenti mareggiate, potrebbe portare la struttura ad affondare velocemente;
   il sindaco di Cirò Marina, dottor Roberto Siciliani ha affermato che, considerate le risorse disponibili del comune e il significativo danno arrecato alla struttura, un intervento da parte del comune finalizzato a ripristinare la barriera frangiflutti potrebbe risultare solo un rimedio momentaneo;
   risulta assolutamente indispensabile che il lungomare sia da porre in sicurezza dal l'erosione marina, tutelando le abitazioni, le strutture alberghiere e gli esercizi commerciali, che stanno vivendo momenti di comprensibile panico;
   si apprende sempre dalla stampa locale che sia stato costituito un gruppo di lavoro di tecnici della regione, il cui progetto di messa in sicurezza avrebbe, però, dei costi superiori a quelli stanziati dal «decreto del fare»;
   a parere dell'interrogante la situazione merita particolare attenzione, anche al fine di valutare eventuali azioni finalizzate alla salvaguardia delle tante attività locali che creano il reddito prevalente in una cittadina già colpita da ogni tipo di calamità;
   studi ed interventi che si stanno svolgendo sulla diga foranea dovrebbero rientrare in un percorso che coinvolga anche il Governo, congiuntamente alla regione e alle amministrazioni locali –:
   quali iniziative intenda assumere per quanto di propria competenza il Governo per garantire la realizzazione di tempestivi interventi per la messa in sicurezza dell'area interessata che mette fortemente a rischio la pubblica incolumità, evitando, tra l'altro, la desertificazione di ogni attività commerciale dal lungomare di Cirò Marina e mettendo in salvo i livelli occupazionali in una regione, come la Calabria, da sempre alle prese con il problema drammatico delle infrastrutture e della mancanza di lavoro;
   se il Governo, per quanto di competenza, intenda mettere a disposizione adeguate risorse finanziarie destinate alla difesa del suolo e alla prevenzione di eventi naturali calamitosi. (4-03723)

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   l'università di Palermo – polo didattico di Agrigento istituiva nell'anno accademico 1992-1993 la «Scuola diretta a fini speciali per operatori tecnico-scientifici per i Beni Culturali ed Ambientali – Settore Archeologico», con sede presso Villa Genuardi, messa a disposizione dalla presidenza della regione siciliana e tuttora utilizzata dall'università di Palermo, con il vincolo del suo impiego per attività di formazione universitaria nel campo dell'archeologia (una parte della struttura è invece utilizzata dalla soprintendenza beni culturali);
   nel 1996 la «Scuola» divenne corso per il diploma universitario di operatore dei beni culturali («laurea breve»), cui venne affiancato un vero e proprio corso di laurea quadriennale in conservazione dei beni culturali. Con la riforma del 3+2 esso si trasformerà in corso triennale di laurea in beni culturali archeologici (più un altro corso di beni archivistici e librari) e laurea specialistica biennale in archeologia, trasformati poi rispettivamente in beni culturali (triennio) e laurea magistrale in archeologia (biennio);
   la collocazione dei corsi di beni culturali/archeologia in sede decentrata, già da oltre un ventennio, ha la sua ragion d'essere nelle potenzialità di uno straordinario sito archeologico quale quello di Agrigento, patrimonio UNESCO (secondo sito in Italia per flusso di visitatori dopo Pompei !) e sede di istituzioni particolarmente attive nella tutela, ricerca e valorizzazione dei beni culturali (soprintendenza beni culturali e parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi), in sinergia con le quali i corsi possono erogare una didattica non meramente teorica ma qualificata da numerose attività di carattere pratico-applicativo (19 attività diverse, ad esempio, nei due ultimi anni) e rispondente a effettive e manifeste vocazioni territoriali della sede;
   dal prossimo anno, grazie all'accordo con le suddette istituzioni nonché con il distretto turistico regionale Valle dei Templi ed il comune, si prevede di rafforzare l'interazione con il contesto di riferimento, ampliando le occasioni di stage, tirocini e attività pratiche per gli studenti e creando una vera e propria rete funzionale allo studio, tutela e valorizzazione dei beni culturali del territorio, con specifica attenzione agli ambiti della valorizzazione e comunicazione per il turismo culturale che proprio per Agrigento rappresenta una delle più rilevanti prospettive di crescita e sviluppo;
   va ribadito che i corsi suddetti non sono «filiazioni» di corsi palermitani, ma rappresentano l'unica offerta dell'ateneo di Palermo (e nell'intera Sicilia occidentale) nella classe dei beni culturali (triennio) e dell'archeologia (lauree magistrali) e – con la prevista riorganizzazione del corso triennale – anche nel campo del patrimonio e turismo culturale;
   un gruppo di docenti palermitani ha «trasferito» interamente la propria «titolarità» ad Agrigento, altri vi prestano servizio in aggiunta a ulteriori incarichi per corsi diversi dell'ateneo, mentre altri ancora sono stati assunti dall'università di Palermo appositamente per le esigenze dei due corsi di Agrigento. I suddetti docenti per oltre il 90 per cento hanno persino espresso la loro disponibilità a rinunciare al compenso dovuto (incentivo o supplenza, per i primi due gruppi citati) per l'insegnamento in sede decentrata, come extrema ratio, qualora ciò si rivelasse indispensabile per l'attivazione dei corsi;
   la mancata attivazione, infatti, anche per un solo anno comporterebbe la chiusura definitiva dei corsi in quanto, a differenza di quelli che possono «appoggiarsi» su analoghi corsi nella sede centrale (tutti gli altri corsi di laurea attivi presso il polo didattico di Agrigento sono, per fortuna, in condizione di trasformarsi in «canali», e giurisprudenza lo è già), i corsi di beni culturali e archeologia sono «accreditati» unicamente sulla sede di Agrigento;
   qualora, per problemi di non sostenibilità finanziaria non fossero attivati per un anno, non potrebbero più essere riaperti, dal momento che la legislazione vigente vieta l'apertura di nuovi corsi in sede decentrata (l'interruzione infatti comporterebbe la riapertura e l'accreditamento ex novo);
   l'esperienza dei corsi universitari di quest'ambito ad Agrigento non risponde alle ottiche deleterie della proliferazione delle sedi didattiche e dei corsi stessi per fini clientelari, ma ha una ragione effettiva di ordine scientifico, culturale e sociale. Il patrimonio archeologico e culturale non potrà vivere a lungo se non c’è chi lo studia, lo conosce e lo fa conoscere, lo tutela e lo valorizza. Per Agrigento il patrimonio archeologico e culturale «è» il Patrimonio per eccellenza, unico, inimitabile e irriproducibile;
   sia il soprintendente per i beni culturali di Agrigento che il direttore del parco archeologico di Agrigento hanno espresso profonda preoccupazione per il rischio paventato di chiusura del corso di laurea in beni culturali archeologici, che rappresenterebbe un elemento di ulteriore grave impoverimento del territorio in termini culturali e sociali;
   tale chiusura interverrebbe proprio nel momento in cui si stanno rafforzando le politiche di collaborazione ed interazione tra il corso di laurea e gli enti deputati alla tutela ed alla valorizzazione dello straordinario patrimonio culturale della nostra città e della nostra provincia, allo scopo di offrire agli studenti nuove opportunità di formazione e di specializzazione;
   in quest'ottica il corso di laurea sta realizzando in questo momento importanti politiche di trasformazione e arricchimento della propria offerta formativa, in accordo con le forze produttive e con gli enti di tutela e di valorizzazione, al fine di adeguare il corso di studi alle esigenze del territorio e alle richieste del mercato del lavoro, in crescita nel settore del turismo culturale –:
   di quali elementi dispongano in merito al mantenimento del corso di laurea in beni culturali archeologici, unico nella Sicilia occidentale ed accessibile a tanti studenti a costi contenuti, in un momento, come quello attuale, di grave difficoltà per le famiglie, e particolarmente legato alla vocazione culturale e turistica del territorio, potendo in tal modo continuare ad operare, arricchendo anzi la propria offerta formativa, anche grazie a collaborazioni rafforzate con il parco archeologico e con la soprintendenza, volte a radicare nella comunità locale sensibilità ed interesse verso il proprio patrimonio culturale.
(2-00418) «Schirò, Dellai».

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   oltre 800 lavoratori ex-lsu impegnati nei servizi di pulizia e ausiliari nelle scuole abruzzesi stanno ricevendo lettere di licenziamento da parte delle imprese che hanno gestito finora il servizio di pulizia esternalizzato delle scuole;
   i lavoratori hanno ricevuto la lettera di licenziamento, in vista della scadenza del 28 febbraio 2014, quando cesseranno gli attuali affidamenti. Dal primo marzo, infatti, subentreranno le aziende vincitrici delle nuove gare e verranno applicate le nuove normative relative all'affidamento di risorse, notevolmente ridotte;
   i vincitori delle nuove gare Consip hanno previsto un risparmio sui costi attuali del servizio di circa il 50 per cento: ciò significa che i lavoratori rischiano di dover lavorare meno in termini di ore, di subire una riduzione del compenso (attualmente oscilla tra i 300 e gli 800 euro mensili) e di perdere il posto;
   gli 800 ex-lsu abruzzesi sono parte di complessivi 24.000 lavoratori del settore che in tutta Italia stanno subendo il medesimo trattamento –:
   quali iniziative abbia assunto per scongiurare il rischio di una gravissima crisi occupazionale al fine di continuare a garantire decoro, pulizia e igiene nelle scuole. (4-03706)


   BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i licei musicali sono stati istituiti nel quadro della riforma delle scuole secondarie di secondo grado, con il decreto-legge n. 112 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, facente parte della cosiddetta «Riforma Gelmini»;
   i licei musicali sono diventati operativi a partire dall'anno scolastico 2010-2011, anno di entrata in vigore della legge stessa e rappresentano un'importante novità nel sistema scolastico italiano. Rispetto alle precedenti sperimentazioni di liceo ad indirizzo musicale, istituite dalla «riforma Moratti», si caratterizzano per la presenza nel quadro orario di un alto numero di ore di carattere specifico sotto forma di lezioni individuali di esecuzione e interpretazione (strumento musicale) e di lezioni collettive (laboratorio di musica d'insieme, tecnologie musicali, teoria, analisi e composizione e storia della musica);
   nello stesso anno scolastico 2010-2011, risultavano attivati 40 licei musicali in tutto il territorio nazionale;
   nell'attuale anno scolastico 2013-2014 risultano attivati in Italia complessivamente 90 licei musicali statali;
   la riforma di questo indirizzo liceale entrerà a pieno regime nell'anno scolastico 2014-2015, con l'avvio delle classi quinte;
   nonostante i suddetti licei siano giunti già al loro quarto anno di attivazione, non esiste ancora una classe di concorso specifica per l'insegnamento delle materie di indirizzo su citate;
   per il motivo suddetto, le procedure di reclutamento dei docenti, in questi primi anni di attivazione, nonostante le chiare direttive del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca, sono apparse spesso disomogenee fra i vari licei presenti sul territorio nazionale. In alcuni casi tali procedure sono sembrate condizionate più dall'esigenza di utilizzare personale in esubero e non, che di selezionare le nuove competenze specifiche;
   allo stato attuale, in fase transitoria, possono accedere all'insegnamento i docenti delle classi di concorso: A031, A032 e A077, in possesso dei requisiti richiesti nella nota 4405 del 7 maggio 2013, allegato E, tabella licei;
   in questi anni, i docenti a tempo determinato nominati per le suddette discipline dalle graduatorie scaturite dai bandi emanati dalle singole istituzioni scolastiche, provengono pertanto tutti dalle classi di concorso A031, A032, A077 ed, in alcuni casi, così come previsto dalle convenzioni tra i licei e le istituzioni AFAM, anche da nomina diretta da parte dei conservatori di musica;
   la mancanza di una classe di concorso specifica che identifichi le discipline succitate ha prodotto come conseguenza l'impossibilità per le segreterie scolastiche di poter stipulare dei contratti ad hoc per il personale ad esse incaricato, vincolandole a redigere per gli stessi sull'unica classe di concorso di discipline musicali appartenente ai ruoli della scuola secondaria di secondo grado: la A031 «Educazione musicale negli istituti di istruzione di secondo grado», la quale, di fatto, non trova nessuna corrispondenza nel D.I. 211 del 7 ottobre 2010 riguardante «Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e gli insegnamenti compresi nei piani degli studi previsti per i percorsi liceali di cui all'articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, in relazione all'articolo 2, commi 1 e 3, del medesimo regolamento»;
   la necessità di dover disciplinare necessariamente, mediante il SIDI, i contratti sulla classe di concorso A031, ha determinato l'impossibilità, per i docenti provenienti dalla A032 e A077, di maturare – in sede di aggiornamento delle graduatorie (avvenuto nel 2011) – un punteggio come servizio specifico nella graduatoria di appartenenza; il medesimo è stato riconosciuto solo come servizio non specifico, quindi, valutato solo la metà del punteggio intero per la classe di concorso A032 e addirittura un terzo per la classe di concorso A077, così come previsto dal decreto ministeriale n. 27 del 15 marzo 2007, allegato 3. In aggiunta, in alcune regioni, si è verificato che gli uffici scolastici non abbiano ritenuto opportuno valutare (a giudizio dell'interrogante arbitrariamente) per questi incarichi, il punteggio specifico (quindi intero) neppure ai fini dell'inclusione-aggiornamento nella classe A031, ritenendoli appunto, atipici e non direttamente riconducibili alla stessa;
   ad oggi, al prossimo aggiornamento delle GAE, previsto nel maggio di quest'anno, tutti gli insegnanti che hanno lavorato nelle discipline musicali citate in premessa, non si vedranno riconosciuto appieno il servizio prestato rischiando di vedersi scavalcare dai colleghi delle medesime classi di concorso che hanno lavorato in alcuni casi addirittura come docenti di sostegno. Questi ultimi, tutelati dal decreto ministeriale n. 27 del 15 marzo 2007 allegato 2 (tabella di valutazione dei titoli della terza fascia delle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo delle scuole ed istituti di ogni ordine e grado), pur non effettuando un servizio attinente alla loro classe di concorso, possono comunque maturare un punteggio specifico nella graduatoria di appartenenza, cioè quella da cui deriva la posizione utile per il conferimento della nomina, anche se diversa e non facente parte della stessa area disciplinare;
   per i docenti che hanno insegnato nei licei musicali questo provocherà l'inevitabile perdita della posizione precedentemente acquisita nelle graduatorie di appartenenza;
   l'attuale mancanza di una classe di concorso specifica per il liceo musicale rende particolarmente complicata ed iniqua la condizione di precariato dei docenti di questo indirizzo liceale. Fino alla creazione di una nuova classe di concorso specifica sarà infatti impossibile per questi docenti avere la prospettiva di entrare in ruolo: si figura perciò una sorta di «precariato a tempo indeterminato». Tale discriminazione, determinata da un vuoto legislativo, appare ingiusta anche dal momento che detti docenti, fortemente impegnati nell'avviamento e nello sviluppo dei licei musicali in Italia, prestano il proprio servizio per mansioni anche superiori rispetto a quelle che normalmente esplicherebbero se fossero nominati per le classi di appartenenza. Ancor di più, tale discriminazione si ritiene oltremodo ingiustificata dal momento in cui, in altre circostanze, come ad esempio quella citata al punto 7, il Ministero, a tutela dei docenti incaricati nelle attività sostegno, garantisce la possibilità di poter maturare un punteggio specifico nella graduatoria di appartenenza, anche se diversa e non facente parte della stessa area disciplinare;
   occorrono degli essenziali interventi da parte del Ministero per portare a compimento una riforma destinata a condizionare in maniera essenziale la formazione musicale in Italia, anche perché direttamente collegata con la riforma degli Afam –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopra descritta e come intenda intervenire per risolverla;
   se e in quali tempi intenda istituire le classi di concorso e le abilitazioni specifiche per l'insegnamento degli strumenti e delle materie d'aula nel liceo musicale;
   in attesa dell'uscita delle nuove classi di concorso specifiche, se non ritenga opportuno assumere iniziative per il riconoscimento, in toto, del servizio maturato nelle ancora inesistenti classi di concorso dei licei musicali, consentendo così, agli insegnanti di poter scegliere di acquisire un punteggio pieno e specifico almeno in una delle classi di concorso appartenenti alla stessa area disciplinare (quindi, A031, A032 o A077). (4-03707)


   CHIMIENTI, TRIPIEDI, DI BENEDETTO, BATTELLI e BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9, comma 1, del decreto 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sancisce che «per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio (...) non può superare, in ogni caso, il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010, al netto degli effetti derivanti da eventi straordinari della dinamica retributiva, ivi incluse le variazioni dipendenti da eventuali arretrati, conseguimento di funzioni diverse in corso d'anno (...)»;
   con nota del 19 dicembre 2013, richiamando il contenuto dell'articolo 9, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, il dipartimento per l'istruzione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca chiedeva di procedere al recupero diretto delle somme già erogate a favore del personale ATA, sia per la prima che per la seconda posizione economica acquisite e, conseguentemente, erogate con decorrenza 1o settembre 2011 ed annualità successive procedendo, altresì, al blocco di ogni ulteriore mensilità;
   il 9 gennaio 2014, a seguito della forte mobilitazione di tutto il personale della scuola, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca riconosceva la sospensione dell'applicazione della nota del 19 dicembre, nella parte relativa alle somme erogate e percepite dagli ATA, beneficiari della 1a e 2a posizione economica, acquisite dal 1o settembre 2011 al 31 agosto 2013, ma confermava l'applicazione del blocco di ogni ulteriore mensilità per le posizioni economiche acquisite con decorrenza economica 1o settembre 2013;
   il 28 gennaio il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca chiedeva con nota di non dar luogo, momentaneamente, al suddetto recupero delle somme acquisite ed erogate con decorrenza settembre 2013;
   il 5 febbraio il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in riferimento al blocco dell'erogazione dei benefici economici e al recupero delle somme già erogate per la liquidazione del beneficio di chi aveva avuto accesso alla prima e alla seconda posizione economica, invitava con una nota a procedere comunque al recupero delle somme eventualmente corrisposte al personale ATA interessato con decorrenza 1o settembre 2013, sia che si trattasse di eventuali nuove attribuzioni, sia che si tratti di somme corrisposte per posizioni economiche acquisite con decorrenza settembre 2011;
   il Ministero dell'economia e delle finanze tramite NoiPA, ha reso noto col messaggio n. 16 del 14 febbraio 2014 che, in base a quanto disposto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha provveduto sulla rata di febbraio alla chiusura al 31 gennaio dell'assegno di valorizzazione professionale riguardante la prima e la seconda posizione economica, in godimento, con decorrenza dal 1o settembre 2011 o decorrenza successiva. Ha inoltre precisato che avrebbe provveduto anche sulla rata di marzo 2014 al recupero delle somme in più, corrisposte con decorrenza settembre 2013, sia in caso di eventuali nuove attribuzioni sia per quelle riguardanti posizioni economiche con decorrenza da settembre 2011;
   l'attribuzione delle posizioni economiche è una procedura che valorizza le professionalità ed è finalizzata all'assunzione di ulteriori prestazioni e responsabilità. Inoltre, le risorse derivano da fondi contrattuali già destinati e accantonati, dunque, nessun aggravio della spesa pubblica;
   l'accesso alle posizioni economiche 1a e 2a avviene a seguito di una procedura di corso-concorso e comporta lo svolgimento di mansioni aggiuntive superiori che meritano una valorizzazione oltre che professionale anche economica –:
   se non ritenga opportuno adottare, così come avvenuto per il personale docente, una apposita iniziativa normativa che riesca a sanare la situazione in questione, garantendo lo sblocco di ogni ulteriore mensilità per le posizioni economiche acquisite con decorrenza economica 1o settembre 2013, anche in considerazione del fatto che le mansioni aggiuntive superiori sono già state svolte dal personale ATA in questione e hanno comportato il concreto svolgimento di attività e prestazioni qualificate ulteriori rispetto al mansionario. (4-03724)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di una gestione a giudizio dell'interrogante vergognosa da parte di Stato e regione oltre 12.000 lavoratori in mobilità da oltre un anno non ricevono alcun tipo di sostegno economico;
   regione e Stato risultano latitanti e continuano vergognosamente a «rimpallarsi» responsabilità gravissime;
   si tratta di una vertenza che segna la totale incapacità delle istituzioni nazionali e regionali di governare un processo delicato come quello dei lavoratori che hanno perso il posto di lavoro e che si sono trovati di punto in bianco senza un futuro;
   dal 16 gennaio 2013, dopo la sigla degli accordi Stato/regione, per questi lavoratori è iniziato un calvario senza precedenti;
   regione e Governo devono immediatamente assumersi la responsabilità del pagamento dei lavoratori, senza ulteriori e gravi ritardi;
   12.000 famiglie da un anno risultano senza nessun tipo di sostegno e nessuno fa niente; 
   la regione incapace di qualsiasi atto continua ad approvare surrettizi provvedimenti legislativi funzionali solo a temporeggiare e non riesce nemmeno ad anticipare i fondi stanziati considerato che le leggi vengono modificate ogni mese per sanare gli errori grossolani contenuti nelle norme precedenti;
   i fondi disponibili sono stati erogati in ordine di arrivo e finché i fondi fossero stati sufficienti;
   tali fondi hanno consentito di pagare le pratiche giunte dal 16 gennaio 2013 fino al giorno 20 gennaio 2013 alle ore 13,32, ma tutte le altre sono insolute con dodicimila lavoratori senza risposte;
   ad oggi la situazione non è cambiata e la gravissima negligenza di Stato e regione sta provocando disagi senza precedenti;
   si tratta di una gestione nefasta della vertenza condotta proprio da coloro che avrebbero dovuto tutelare i diritti dei lavoratori;
   Governo e regione dovrebbero smetterla di attribuirsi reciproche responsabilità e dare, invece, senza altre perdite di tempo, il via libera all'utilizzo delle risorse cancellando vincoli di patto di stabilità secondo l'interrogante ridicoli e dannosi;
   le reiterate leggi regionali sul tema, in così pochi mesi, dimostrano ad avviso dell'interrogante la totale incapacità della stessa regione a legiferare in modo corretto e puntuale;
   si tratta di un fallimento legislativo dietro l'altro;
   i sussidi, infatti, non sono mai arrivati e, ancora una volta, questi lavoratori, sono stati beffati dalle istituzioni statali e regionali –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di dover immediatamente convocare le parti e assumere iniziative per l'immediato pagamento del dovuto pregresso e futuro ai 12.000 lavoratori in mobilità;
   se non ritenga di dover intervenire in ogni sede opportuna, senza ulteriori ritardi ai fini del pagamento;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per modificare le procedure di governo di siffatto problema e predisporre per quanto di competenza, un puntuale monitoraggio delle reali esigenze finanziarie per evitare che chi è stato espulso dal mondo del lavoro debba sopportare anche questi vergognosi ritardi della pubblica amministrazione. (4-03711)


   ALLASIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che gli utenti, nel compilare il modello AP70 per pratiche di invalidità civile, hanno rilevato con grande meraviglia che sono stampati per la sottoscrizione, in presenza di minore nuovi termini: genitore 1-genitore 2;
   il modulo in questione, da compilare per ottenere la concessione dell'invalidità civile e delle relative erogazioni, in effetti per i minori recita proprio così: genitore (1o) e genitore (2o);
   come riportato dalla stampa all'interno dell'ente pochi sapevano della modifica; infatti i responsabili dell'ufficio stampa interpellati non ne sapevano niente. E tanto meno sapevano spiegare quando e perché il modello AP70 fosse stato modificato;
   nell'Inps ci sono persone addette alla modulistica ed è difficile risalire a chi lo ha elaborato, ma dalle inchieste di stampa si è scoperto chi può aver deciso di usare una terminologia che nessuna normativa si è sognata di accettare e rendere ufficiale, specie in documenti tanto importanti come quelli dell'ente di previdenza nazionale. «Il modulo è stato elaborato sotto consiglio dei responsabili del settore invalidità civile» –:
   se l'Inps, peraltro così severo nell'applicazione di leggi e decreti nei confronti degli utenti, abbia ottemperato a norme in vigore, posto che, secondo l'interrogante, non è verosimile che chi ha cambiato questi moduli lo abbia fatto «per praticità» o «per caso, senza particolari motivi», come è stato spiegato alla stampa. (4-03719)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BIONDELLI e TARICCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   gli animali selvatici, in precedenza considerati «res nullius», i cui danni erano uguagliabili a quelli dovuti a fatto naturale quale un fulmine o un'alluvione, sono oggi considerati proprietà comune di tutti, di appartenenza all'ambiente e costituenti patrimonio indisponibile dello Stato, così come sancito dal secondo comma dell'articolo 826 del codice civile;
   la legge 11 febbraio 1992, n. 157, che, abrogando la legge 27 dicembre 1977, n. 968, ha statuito che la fauna selvatica appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato e che la regione è competente ad emanare norme relative alla gestione e tutela della stessa. La medesima legge ha ripartito le competenze in materia, attribuendo alle regioni funzioni di coordinamento, programmazione e di orientamento, di controllo e sostitutivi e conferendo alle Province funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna;
   la legge 11 febbraio 1992, n. 157 recita all’«Art. 26. (Risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall'attività venatoria) – 1. Per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo della fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall'attività venatoria, è costituito a cura di ogni regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti, al quale affluisce anche una percentuale dei proventi di cui all'articolo 23.
  2. Le regioni provvedono, con apposite disposizioni, a regolare il funzionamento del fondo di cui al comma 1, prevedendo per la relativa gestione un comitato in cui siano presenti rappresentanti di strutture provinciali delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e rappresentanti delle associazioni venatorie nazionali riconosciute maggiormente rappresentative»;
   per giurisprudenza consolidata la responsabilità dei danni sta in capo all'ente a cui, per legge, risultano concretamente affidati i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata: «la responsabilità per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all'ente (sia esso regione, provincia, ente parco, federazione o associazione) a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, anche in attuazione della legge n. 157 del 1992, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata» (Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 2010, n. 20758, Gdir, 2011, 1, 87); e ancora: «è obbligo delle regioni provvedere ad approntare misure idonee per evitare che la fauna selvatica arrechi danni a cose o persone, con la conseguenza che è il suddetto ente obbligato a risarcire i danni causati da un cinghiale a un automobilista di passaggio, a nulla rilevando che l'animale provenisse dall'area di un parco naturale, affidato alla gestione di un apposito ente» (Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 2007, n. 21282, GC, 2007, 12, 2683);
   gli agricoltori del Piemonte a fronte di danni da fauna selvatica stimati in oltre 2 milioni di euro l'anno lamentano una drastica riduzione del risarcimento dei danni alle aziende agricole sin dal 2010, e la sostanziale inottemperanza a partire dal 2012, lasciando nei fatti le aziende agricole danneggiate senza indennizzo –:
   se e quali iniziative il Governo abbia intrapreso o intenda intraprendere per evitare che le aziende agricole abbiano a subire danni non dipendenti da loro responsabilità anche attraverso un apposito tavolo di confronto con le regioni. (5-02227)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che i locali del Centro dialisi dell'ospedale di Lamezia Terme, meta di numerosissimi ricoveri provenienti di tutta la provincia di Catanzaro, si trovano in una condizione di profondo disagio. Le difficoltà sono dovute essenzialmente ad infiltrazioni d'acqua piovana, a vetustà dell'impianto di osmosi e alla mancanza di sale d'attesa che si sommano ad altri aspetti critici di notevole importanza;
   al blocco dei turn over, sommato a pesanti criticità organizzative, si aggiungono anche gravi problemi strutturali che impongono un'apposita e urgente verifica del rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
   naturalmente questo stato di cose arreca ai malati gravi disagi e un peggioramento anche delle condizioni di salute, che fanno venire meno il diritto sancito dalla Costituzione alla tutela della salute;
   occorrono interventi urgenti e improcrastinabili, così si esprime il dottor Pasquale Scaramozzino, presidente regionale dell'associazione nazionale emodializzati dialisi e trapianto, sollecitando rapide iniziative;
   risulta assolutamente necessario, per le terapie di emodialisi, disporre di una struttura adeguata, efficiente e moderna per le attività sanitarie del centro dialisi di Lamezia Terme che consenta una più equilibrata ripartizione dei «posti rene» per corrispondere alla crescente richiesta di dialisi;
   le carenze infrastrutturali di un territorio come quello lametino, già così profondamente colpito anche da serie problematiche di ordine sociale ed economico, rendono necessaria l'adozione di azioni forti a tutela dei cittadini –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative intenda assumere al fine di garantire l'effettiva erogazione dei livelli essenziali di assistenza ai tanti malati affetti da gravi patologie renali, così attuando la norma prevista dall'articolo 32 della Carta Costituzionale. (4-03714)


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il sistema della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani in Calabria sta nuovamente attraversando, dopo la conclusione della gestione commissariale, un periodo di enorme difficoltà che si traduce nel mancato espletamento di questo servizio in quasi tutti i comuni della regione, con gravi disagi per i cittadini ed evidenti ripercussioni sotto il profilo igienico-sanitario ed ambientale;
   a causa delle avverse condizioni meteorologiche che si sono verificate nelle ultime settimane e della fragilità del territorio della regione, prevalentemente sabbioso, è stata differita la riapertura della megadiscarica di Pianopoli;
   la ritardata apertura della discarica sta determinando ingenti problemi ai cittadini che si vedono sovrastati dai rifiuti;
   l'insediamento delle acque piovane all'interno dei rifiuti sta, tra l'altro, dando luogo a quello che si definisce «percolato», un liquido che comincia ad accumularsi sul fondo della discarica solo dopo che i rifiuti, saturi d'acqua, hanno raggiunto un grado di umidità tale per cui ogni ulteriore apporto idrico prosegue il suo moto attraversandoli;
   questo composto, se non opportunamente trattato, può contaminare i terreni circostanti, le falde acquifere e le acque superficiali. Sussiste, altresì, il rischio, tutt'altro che remoto, che venga a determinarsi la destabilizzazione del corpo della discarica con conseguenti probabili collassamenti del terreno, che provocano frane e gravi danni ambientali;
   il caso della discarica di Pianopoli è emblematico perché determina una situazione che ormai sta raggiungendo elevati livelli di gravità;
   la discarica di Pianopoli, nella quale sono in corso continui lavori di manutenzione ordinaria, è l'unica ancora attiva in tutta la regione e risulta ormai essere prossima all'esaurimento;
   sarebbe necessario la creazione di altre discariche e di un complessivo intervento da parte della giunta regionale della Calabria per operare in regime di prevenzione e non, come accade da molti anni, in emergenza –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda porre in essere per affrontare l'emergenza del ciclo dei rifiuti nella regione Calabria e per individuare le giuste soluzioni al problema del superamento dell'attuale fase di emergenza e per favorire un percorso risolutorio di una problematica che diventa, ogni giorno, sempre più grave. (4-03716)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina per l'attribuzione delle concessioni di grande derivazione d'acqua per uso idroelettrico, di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, è stata modificata negli ultimi anni, prima dal comma 483 dell'articolo 1, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, successivamente modificato dall'articolo 15, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, ed infine ulteriormente modificata dall'articolo 37, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, come sostituito dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134;
   il comma 1 dell'articolo 12 del decreto legislativo n.79 del 1999 stabilisce i criteri sulla base dei quali deve essere scelto il nuovo concessionario, nell'ambito della gara ad evidenza pubblica, nel rispetto della normativa vigente e dei principi fondamentali di tutela della concorrenza, libertà di stabilimento, trasparenza, non discriminazione e assenza di conflitto di interessi;
   l'attribuzione a titolo oneroso della concessione, quindi, deve avvenire avendo riguardo all'offerta di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza, alle misure di compensazione territoriale, alla consistenza e qualità del piano di interventi per assicurare la conservazione della capacità utile di invaso e, prevalentemente, all'offerta economica per l'acquisizione dell'uso della risorsa idrica e all'aumento dell'energia prodotta o della potenza installata;
   pertanto, l'attuale formulazione della legge attribuisce una diversa importanza agli elementi di valutazione delle offerte, con prevalenza all'offerta economica per l'acquisizione dell'uso della risorsa idrica e all'aumento dell'energia prodotta o della potenza installata;
   tale prevalenza è frutto dell'ultima modifica del testo di cui al comma 4 dell'articolo 37 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, come sostituito dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 134, che ha modificato il testo dell'articolo 15, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione che, invece, recitava: «avendo particolare riguardo ad un'offerta di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza e di aumento dell'energia prodotta o della potenza installata, nonché di idonee misure di compensazione territoriale»;
   nonostante le ultime modifiche del testo, occorre dare adeguata importanza ai fattori di offerta volti a beneficiare le comunità locali e il territorio, poiché sono le comunità locali che subiscono i disagi dello sfruttamento della risorsa idrica;
   il diverso peso reciproco degli elementi di valutazione delle offerte dovrà essere specificato dal provvedimento ministeriale previsto dal comma 2 del citato articolo 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999 che, infatti, prevede: «Il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, determina, con proprio provvedimento ed entro il 30 aprile 2012 i requisiti organizzativi e finanziari minimi, i parametri ed i termini concernenti la procedura di gara in conformità a quanto previsto al comma 1, tenendo conto dell'interesse strategico degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e del contributo degli impianti idroelettrici alla copertura della domanda e dei picchi di consumo»;
   occorre pertanto, nell'ambito di tale decreto ministeriale che non risulta ancora emanato, attribuire la dovuta importanza alle misure di compensazione territoriale in favore dei territori interessati dalle concessioni idroelettriche per non penalizzare le comunità locali –:
   quali siano i tempi previsti per l'emanazione del decreto ministeriale che dovrà stabilire i requisiti organizzativi e finanziari minimi, i parametri ed i termini concernenti la procedura di gara per l'attribuzione delle concessioni di grande derivazione d'acqua ad uso idroelettrico e se i Ministri interrogati nell'ambito dei parametri di valutazione delle offerte, non intendano attribuire una particolare importanza alle misure di compensazione territoriale in favore dei territori interessati dalle concessioni idroelettriche per non penalizzare le comunità locali e i territori disagiati da] sfruttamento della risorsa idrica. (5-02226)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NARDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Syn – Tech SpA nasce (per la produzione di mobili da ufficio) nella zona industriale di Massa nel 2003 in seguito a progetto di reindustrializzazione dell'area ex – Olivetti/Synthesis;
   tale opera di reindustrializzazione è stata supportata da un finanziamento europeo di 12 milioni di euro e da sgravi fiscali per la collocazione di 70 unità e di agevolazioni urbanistiche che hanno consentito la realizzazione di immobili nelle aree limitrofe al sito Syn – Tech;
   tale insediamento industriale aveva lo scopo di rafforzare la produzione di mobili per ufficio in Toscana e che Syn – Tech nel 2006 in seguito alla chiusura dello stabilimento Class+ di Pistoia ne assorbiva parte delle maestranze;
   Syn – Tech SpA nel 2012 (a soli 9 anni dall'avvio del piano di reindustrializzazione dell'area ex-Olivetti) ha cessato l'attività produttiva e la produzione del sito massese è stata trasferita nel territorio vicentino (sede della ditta madre Estel) a dimostrazione che le condizioni per una continuità produttiva esistevano;
   i 43 (ex) dipendenti della Syn – Tech di Massa riceveranno a luglio 2014 lettera di licenziamento;
   oggi l'azienda, nonostante gli impegni assunti con le rappresentanze sindacali unitarie aziendali, non favorisce di fatto la vendita dell'area imponendo un prezzo più alto di quello di mercato (forse perché grazie ad un potente impianto fotovoltaico l'azienda ricava, ad impianti fermi, un reddito derivante dalla vendita di energia elettrica) –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione e, in particolare, al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali dell'azienda in questione in un territorio, quale è appunto quello della provincia di Massa Carrara, già duramente colpito dalla crisi economica;
   se il Governo non intenda convocare immediatamente presso il Ministero dello sviluppo economico un tavolo di trattative con la proprietà, le parti sociali e i rappresentanti degli enti locali interessati, al fine di trovare una soluzione positiva alla vertenza in questione e favorire così il mantenimento della destinazione d'uso industriale dell'area. (4-03721)


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda del lago dei veleni di Furtei, miniera d'oro della Sardinia Gold Mining, è la più grave commistione tra politica e inquinamento dell'ambiente in Sardegna;
   è la rappresentazione di come tutto sia stato omesso e mistificato sull'altare degli affari e della speculazione ambientale;
   il lago dei veleni e la gestione della Sardinia Gold Mining è una vicenda sulla quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare deve immediatamente aprire una propria indagine per appurare responsabilità e soprattutto individuare i responsabili per costringerli al pagamento del danno ambientale e al suo ripristino;
   il presidente della regione uscente Cappellacci nel corso di una trasmissione televisiva (Dentro la notizia), ha affermato che la gestione della Sardinia Gold Mining «era tutto un imbroglio»;
   lo stesso presidente della regione ha, però, omesso di dichiarare che il presidente del consiglio d'amministrazione tra il 2001-2003 era lo stesso Cappellacci che per due anni firmò i bilanci dichiarando la correttezza della gestione e persino la regolarità delle operazioni di ripristino ambientale;
   quell'operazione, secondo quanto affermato da Cappellacci era un «imbroglio», peccato che egli allora ne fosse presidente;
   un inganno senza precedenti ai danni della Sardegna e dei sardi;
   gli stessi personaggi che guidavano con incarichi di primo piano la Sardinia Gold Mining, dopo il fallimento della stessa a marzo del 2009, siglavano qualche mese dopo, dicembre 2009, un accordo tenuto segreto, tra l'Igea società regionale totalmente sotto controllo della regione, e una nuova società australiana i cui soci sono gli stessi di quella fallita appena qualche mese prima;
   i bilanci della Sardinia Gold Mining firmati Cappellacci risultano, dunque, un falso proprio perché il presidente della regione ha dichiarato pubblicamente che si trattava invece di un «imbroglio» finalizzato alla speculazione in borsa;
   per due anni Cappellacci, da presidente della Sardinia Gold Mining, firmò quei bilanci e oggi, con il tentativo di sfuggire alle proprie dirette responsabilità, parla di un «imbroglio»;
   aver affermato che la gestione fosse «tutto un imbroglio», dopo aver firmato per due anni di seguito i bilanci finanziari, è di fatto l'ammissione di un reato;
   i fatti, però, non riguardano solo il periodo 2001-2002-2003, per i quali risultano dai documenti compensi per lo stesso Cappellacci di 339 mila dollari canadesi;
   la gravità è che dopo il fallimento della Sardinia Gold Mining del marzo 2009 nel novembre dello stesso anno la regione guidata da Cappellacci sottoscrive, attraverso l'Igea, un accordo con una tale Kingsrose minino di cui risulta a capo lo stesso direttore esecutivo della società Sardinia Gold Mining guidata da Cappellacci e fallita qualche mese prima;
   un fatto inaudito proprio perché a tale società venivano affidati i bacini di sterili delle miniere del Sulcis che facevano rilevare presenze di piombo e zinco per un valore superiore ai 3 miliardi di euro;
   società che, con lo stesso metodo, dichiarava alla borsa di Londra, con chiaro spirito speculativo, di essere titolare di quelle discariche;
   tutto questo sotto la giunta Cappellacci;
   si rende indispensabile l'intervento autorevole dei Ministri dell'economia e delle finanze, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico per far piena luce su tutti gli aspetti di questa vicenda che per il rilievo che ha assunto potrebbe avere implicazioni rilevanti anche sul piano internazionale considerato che la società risulta quotata nella Borsa dei metalli di Londra;
   è improcrastinabile l'intervento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della autorità connesse al fine di vagliare i rischi che corre il territorio e la stessa popolazione in relazione al disastro ambientale che si registra in quell'area –:
   se non intenda il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intervenire con propria indagine o attraverso gli organi preposti dello Stato al fine di valutare l'entità del disastro ambientale consumato nell'area della miniera di Furtei;
   se non intenda il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare costituirsi parte civile contro il danno causato al territorio sardo, denunciando direttamente all'autorità giudiziaria i rilievi che avrà voluto compiere per proprio conto;
   se non intenda il Ministro dell'economia e delle finanze, attraverso i propri uffici competenti, segnalare alle autorità internazionali l'esistenza di una dichiarata speculazione in borsa e che la stessa si starebbe reiterando in virtù di un accordo per la gestione delle discariche di sterili contenenti piombo e zinco per un valore stimato di 3 miliardi di euro;
   se non intenda il Ministro dello sviluppo economico vagliare, per quanto di propria competenza la corretta gestione sul piano minerario del sito di Furtei e della condotta seguita nell'estrazione di oro in quel territorio. (4-03727)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Spadoni e Sibilia n. 4-03697, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Scagliusi.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Baldassarre e altri n. 4-03670 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 177 del 20 febbraio 2014. Alla pagina 9984, seconda colonna, dalla riga prima alla riga terza, deve leggersi: «BALDASSARRE, D'AMBROSIO, RIZZETTO, DE LORENZIS, L'ABBATE, SCAGLIUSI, CHIMIENTI e CARIELLO. – Al» e non «BALDASSARRE, D'AMBROSIO, RICHETTI, DE LORENZIS, L'ABBATE, SCAGLIUSI, CHIMIENTI e CARIELLO. – Al», come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BUENO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di recenti audizioni presso le Commissioni affari esteri di Camera e Senato, i vertici del Ministero hanno illustrato il programma di avvio della riorganizzazione della rete diplomatico-consolare italiana;
   è noto che si tratta dell'applicazione della legge finanziaria 2007 che ha imposto al Ministero degli affari esteri di avviare la «ristrutturazione della rete diplomatica, consolare e degli istituti di cultura in considerazione del mutato contesto geopolitico, soprattutto in Europa»;
   la spending review ha inoltre rafforzato l'obbligo per la Farnesina di riorganizzare la propria rete e tale necessità è avvertita anche dai partner europei del nostro Paese, che già da diversi anni, si sono impegnati in processi di riorientamento delle loro risorse verso i mercati emergenti, smantellando sedi nel vecchio continente;
   in tutto questo contesto non dobbiamo dimenticare i 50 milioni di italiani che vivono e lavorano all'estero e che rappresentano una preziosa risorsa economica, culturale e politica per il Paese specialmente alla luce dei risultati positivi del nostro export in tanti settori;
   le comunità italiane nel mondo chiedono e hanno bisogno di rapporti forti con le istituzioni italiane, rivendicano giustamente servizi efficienti dalla pubblica amministrazione italiana come spettano ai cittadini residenti in Italia;
   il piano presentato dal Ministero nel luglio 2013 prevedeva un calendario di soppressioni strutturato in tre fasi: al 30 novembre 2013 chiusura del consolato di Tolosa, del consolato di Spalato, di Scutari, del consolato di Alessandria, oltre a Sion, Neuchatel e Wettingen. Al 28 febbraio 2014 sono invece previste le seguenti chiusure: consolato di Neswark, consolato generale di Timisoara e il consolato di Adelaide e Brisbane. Al 30 giugno 2014 si prevede la chiusura del consolato di Amsterdam;
   a seguito di tali chiusure il Ministero ha preannunciato l'attivazione in loco di strutture sostitutive (sportelli consolari, consolati onorari, missioni periodiche), che andranno modulate di caso in caso a seconda della composizione della collettività, del suo grado di integrazione e della distanza dalla sede principale. Accanto a questi interventi si prevede il potenziamento della tecnologia informatica a supporto della garanzia del mantenimento dei servizi alle comunità italiane;
   nelle ultime settimane è giunto l'annuncio di nuove soppressione, si parla addirittura di 33 sedi tra le quali 3 rappresentanze diplomatiche (ambasciata di Tegucigalpa, rappresentanza Unesco, ambasciata di Reykjavik), 11 uffici consolari (consolati generali di Filadelfia, Nizza e Tripoli, consolati di Detroit, San Gallo, Recife, Maracaibo e Montevideo, agenzie consolari di Moron e Lomas de Zamora), 6 sportelli consolari (Innsbruck, Chambery, Grenoble, Norimberga, Digione, Manchester), 5 istituti di cultura (Lione, Lussemburgo, Copenaghen, Salonicco, Stoccarda) e 8 sezioni distaccate di istituti di cultura (Wolfsburg, Washington, Francoforte, Vancouver, Ankara, Strasburgo, Grenoble, Innsbruck);
   la chiusura del consolato di Recife ha suscitato grande preoccupazione in Brasile. Recife è la capitale dello stato del Pernambuco, nel nordest del Brasile, con una popolazione di 1,56 milioni di abitanti è la terza città del nord-est del paese. Il Consolato ha giurisdizione su tutta la regione Nordest del Brasile costituita di nove stati federali: Alagoas (capitale Maceió), Bahia (capitale Salvador), Ceará (capitale Fortaleza), Maranhão (capitale São Luís), Paraìba (capitale João Pessoa), Pernambuco (capitale Recife), Piauì (capitale Teresina), Rio Grande do Norte (capitale Natal), Sergipe (capitale Aracaju);
   stiamo parlando di un'area totale del Nordest è di 1.558.196 km2 (5,3 volte la superficie dell'Italia) e la popolazione è di ben 53 milioni di abitanti di cui tanti italiani sparsi nel vastissimo territorio;
   oltre alla sede di Recife, il consolato dispone di una rete di sette uffici dipendenti: un consolato onorario (Salvador), un vice consolato onorario (Fortaleza), due agenzie consolari onorarie (Natal e São Luís) e tre corrispondenti consolari onorari (João Pessoa, Maceió e Porto Seguro) –:
   se il Governo confermi questa ulteriore chiusura non preventivamente annunciata e in quale modo intenda garantire i servizi ai cittadini italiani residenti nella circoscrizione consolare oggetto di chiusura e con quali strumenti sostitutivi intenda compensare il venir meno delle funzioni svolte dal consolato di Recife. (4-02991)

  Risposta. — In relazione agli specifici quesiti posti dall'interrogante, si rimanda alle posizioni espresse dal Governo nelle recenti audizioni parlamentari del 16 gennaio e 5 febbraio scorso davanti alle commissioni esteri riunite.
  Con specifico riferimento al consolato di Recife, esso non sarà oggetto di chiusura nel contesto dell'attuale riorganizzazione della rete diplomatico-consolare.
  Si fa presente che il processo di riorganizzazione della rete costituisce per il Ministero degli affari esteri un inderogabile obbligo giuridico, che è stato da ultimo ribadito dal decreto-legge 95/2012 (convertito con la legge 153/2012) concernente la spending review. Al contempo, la ristrutturazione della rete degli uffici all'estero si presenta per la Farnesina come una necessità operativa imprescindibile vista la costante diminuzione delle risorse umane e finanziarie. Inoltre, il processo di riorientamento costituisce una fondamentale opportunità per sintonizzare la rete degli uffici all'estero ai nuovi scenari internazionali e geopolitici.
Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con la trasformazione del rapporto d'impiego da privato in pubblicistico (legge n. 252 del 2004 e decreto legislativo n. 217 del 2005) sono state emanate nuove norme per il passaggio di qualifica a capo reparto e capo squadra nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   attraverso tale procedura dovevano essere snellite le lunghe e farraginose procedure per ripianare le fortissime carenze nei due importanti profili professionali che al momento sono di circa 1.500 unità nel profilo di capo reparto e 2.000 circa nel profilo di capo squadra. La procedura prevede la copertura delle carenze determinate al 31 dicembre dell'anno precedente con un bando di concorso al 1° gennaio dell'anno successivo. Esso si divide in due sottoprocedure: la copertura nella misura del 60 per cento dei posti vacanti per anzianità e titoli e la copertura nella misura del 40 per cento dei posti per concorso;
   nell'effettuazione delle prime procedure per la copertura dei posti disponibili al 10 gennaio 2006 emersero tutte le problematiche reali rispetto allo spirito di riduzione delle procedure cui s'ispirava la procedura;
   nello specifico riguardo al concorso per la copertura del 40 per cento delle carenze nel profilo professionale di capo squadra (concorso 40 per cento del 1° gennaio 2007) vennero presentati dei ricorsi;
   a seguito di detti ricorsi il TAR del Lazio emise una sospensiva, successivamente superata dalle eccezioni dell'amministrazione;
   successivamente il Consiglio di Stato ha ritenuto fondate le motivazioni del ricorso ed ha definitivamente annullato il concorso di che trattasi;
   è già stata esperita un'analoga procedura al 1° gennaio 2006 ed è in corso quella al 1° gennaio 2008 e potrebbe accadere che nei prossimi giorni, analoghe sentenze potranno essere emesse riguardo alle decorrenze 2006 e 2008;
   tra l'altro, per superare tali condizioni e non mettere in ginocchio l'operatività del Comando nazionale dei vigili del fuoco, i commi 8 e 9 dell'articolo 10 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, concernente «Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l'economia» hanno previsto una procedura straordinaria per le decorrenze da effettuare solo ed esclusivamente per anzianità e titoli –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato al fine di superare tale incresciosa situazione e di rassicurare i 170 capi squadra che hanno superato il corso di formazione e che già da alcuni mesi espletavano le mansioni di capo squadra presso le sedi operative del Corpo dei vigili del fuoco. (4-01560)

  Risposta. — I bandi di concorso a capo reparto e capo squadra del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sono stati emanati in virtù di quanto previsto dal decreto-legge 20 giugno 2012, n. 79, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 131. Tale norma ha, in via straordinaria fino al 2013, eliminato il doppio canale di accesso alle qualifiche di capo squadra e capo reparto, prevedendo una selezione basata solo per titoli come previsto dagli articoli 12, comma 1 lettera a) e 16, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 217/2005.
  Successivamente il decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, all'articolo 1, ha prorogato il termine fino al 2014.
  Per l'assegnazione dei cosiddetti posti di risulta, derivanti dalla procedura concorsuale a capo reparto con decorrenza giuridica 1o gennaio 2007, è stata data applicazione alle disposizioni contenute nell'articolo 3, comma 4, della predetta legge n. 131 del 2012.
  La disposizione è finalizzata ad evitare incertezze interpretative, operando, a tal fine, una scelta ben precisa e coerente con le esigenze di semplificazione.
  Infatti, nella relazione al disegno di legge si precisa che: «Il comma 4 prevede una disposizione transitoria indispensabile a consentire l'applicazione della risulta al primo concorso semplificato per capo squadra, cioè quello con decorrenza al 1o gennaio 2009».
  Pertanto il legislatore ha ritenuto di dover attribuire i posti di risulta resisi disponibili a seguito dello svolgimento del concorso per capo reparto con decorrenza giuridica 1o gennaio 2007 – espletato secondo la nuova normativa – al primo concorso utile per capo squadra espletato anch'esso secondo le nuove regole (quello con decorrenza giuridica 2009).
  Inoltre, in tale ottica, nei successivi commi della stessa legge anche il sistema dei requisiti e dei titoli è stato armonizzato con le specifiche annualità per le quali sono banditi i concorsi.
  In merito ai ricorsi presentati avverso la procedura concorsuale di cui trattasi, indicati nel testo dell'interrogazione in esame, si è in attesa di conoscere gli sviluppi processuali della complessa vertenza, atteso che il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3050 del 4 giugno 2013, in accoglimento dell'appello da ultimo proposto, ha disposto il rinvio al giudice di primo grado, annullando la precedente decisione.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   FUCCI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza dei rapporti economici, commerciali e finanziari tra l'Unione europea e Taiwan è evidenziata dagli oltre 50 miliardi di dollari USA di interscambio annuale;
   in questo ambito la quota dell'interscambio con l'Italia – nonostante la perdurante assenza di una legge per l'esenzione dalla doppia tassazione che favorirebbe la competitività delle nostre imprese, come avviene in tanti altri Paesi europei dove tale legge è già in vigore – è di circa 4 miliardi di dollari USA e rappresenta un segmento importante delle nostre relazioni commerciali con l'Estremo Oriente;
   da anni in numerose Organizzazioni multilaterali internazionali sono state trovate formule appropriate, con il consenso dei Governi di Taipei e di Pechino, per la partecipazione taiwanese a tali Istituzioni, tra le quali vi sono l'Organizzazione mondiale del commercio, l'Assemblea mondiale della sanità, la Conferenza economica dell'Asia-Pacifico, la Banca di sviluppo asiatica, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, il Comitato olimpico internazionale;
   un'intesa tra Cina e Taiwan ha consentito, nel 2010, la presenza taiwanese all'Expo di Shanghai con un proprio distinto padiglione –:
   quali iniziative il Ministero degli affari esteri abbia già assunto e abbia attualmente in corso per individuare un'adeguata soluzione che garantisca, nel 2015, la significativa partecipazione di Taiwan all'Expo di Milano. (4-03174)

  Risposta. — 1. In linea con la prassi invalsa in ambito Bureau International des Expositions (BIE), sono stati invitati ad Expo Milano 2015 esclusivamente Paesi membri delle Nazioni Unite o agenzie specializzate dell'ONU. Per tale motivo non si è potuto contemplare e non è possibile prevedere la partecipazione di Taiwan ad Expo in qualità di «partecipante ufficiale».
  2. Giova peraltro sottolineare come, secondo i riscontri raccolti presso il BIE, l'unico precedente di partecipazione di Taiwan ad una esposizione universale negli ultimi 40 anni – Expo 2010, Shanghai – ha avuto luogo in una circostanza del tutto peculiare, dettata dal fatto che l'Expo era ospitata dalla Cina. In tale occasione, le modalità di partecipazione furono definite con un accordo tra il Taiwan external trade development council (Taitra, che ha funzioni corrispondenti alla nostra agenzia ICE) e il China's bureau of Shanghai world expo coordination (corrispondente alla nostra società Expo). Il padiglione, taiwanese fu realizzato con il contributo esclusivo del settore privato e il coordinamento di Taitra e del «Taipei world trade center». Esso fu fisicamente collocato a fianco di quello nazionale cinese e in zona contigua all'area delle province cinesi, in prossimità del settore dedicato alle regioni autonome speciali cinesi (Hong Kong e Macao). Una disposizione organizzativa che teneva conto delle peculiari relazioni tra Pechino e Taiwan, e che appare difficilmente replicabile in altri contesti. Vale la pena di rilevare come Taiwan non risulti avere partecipato alla successiva Expo internazionale 2012 di Yeosu.
  3. Sulla base della rilevanza dei rapporti economici con Taiwan e con l'obiettivo di individuare una soluzione che sia largamente condivisibile e che contemperi gli interessi di tutte le parti coinvolte, è stata proposta alla Rappresentanza di Taipei in Italia la possibilità di promuovere una significativa presenza di aziende taiwanesi, sia singolarmente che associate in consorzio, in uno spazio non istituzionale nell'area corporate del sito dell'Expo 2015. La collocazione nell'area «corporate» consentirebbe di valorizzare il rilievo della dimensione economico-commerciale dei nostri rapporti con Taiwan, rispettando nel contempo il principio della «One China Policy» e del riconoscimento da parte del Governo italiano della Repubblica Popolare quale unica entità statuale cinese. Qualora tale opzione riscontrasse un auspicabile effettivo interesse da parte delle Autorità di Taiwan, i dettagli della proposta potrebbero essere definiti congiuntamente tra la Farnesina, la società Expo e le controparti taiwanesi con spirito pragmatico e in linea con la peculiare dimensione dei nostri rapporti con Taiwan.
Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   GOZI, PALMIZIO, AMODDIO, CHAOUKI, GALGANO, BERLINGHIERI, PASTORELLI, LACQUANITI, ZARDINI, MARZANO e RUBINATO. — Al Ministro dell'interno, Al Ministro della giustizia. Per sapere – premesso che:
   il diritto all'attivazione degli istituti di democrazia diretta, a partire dal referendum nazionale abrogativo previsto dall'articolo 75 della Costituzione, rappresenta una delle principali forme con cui i cittadini possono concorrere alla vita civile e democratica del Paese;
   dallo scorso 7 giugno è in corso una raccolta firme su 12 referendum abrogativi che hanno riscontrato consenso e attenzione nell'opinione pubblica;
   in data 5 luglio 2012 il segretario di Radicali italiani, Mario Staderini, ha scritto al Ministro dell'interno e al Ministro della giustizia per segnalare loro «una situazione di assoluta gravità rispetto all'onere di autenticazione delle firme dei cittadini che la legge pone in capo ai promotori dei referendum. Ad oggi, infatti, le Istituzioni non garantiscono un adeguato servizio pubblico di autenticazione e ciò rende la raccolta delle 500 mila firme proibitiva per i promotori che non dispongano di una propria rete di consiglieri comunali e provinciali diffusi in tutto il Paese. L'unico servizio assicurato dallo Stato – ma non pubblicizzato in alcuna forma, tantomeno dalla Concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo – è quello di rendere possibile l'autenticazione delle firme all'interno degli uffici comunali in orari molto limitati e ad esclusione del sabato e della domenica. Come noto, la raccolta firme è invece efficace solo se i banchetti sono posti nelle principali piazze delle nostre città e in particolare nel fine settimana. Né i Comuni né le Province organizzano però un servizio di autenticazione all'esterno degli uffici solo a volte consentendolo ai funzionari che ne facciano richiesta e comunque mai informando e incentivando lo svolgimento di tale funzione, al punto che centinaia di migliaia di potenziali autenticatori neanche sono a conoscenza del ruolo loro riconosciuto dall'ordinamento. Per quanto mi risulta, inoltre, non esiste presso gli altri Uffici pubblici cui appartengono gli ulteriori soggetti individuati dalla legge come autenticatori (ovvero notai, giudici di pace, i cancellieri e i collaboratori delle cancellerie delle Corti di appello, dei Tribunali di segretari delle Procure della Repubblica) alcuna misura organizzativa per fornire un vero e proprio servizio di autenticazione, non rimesso alla semplice buona volontà di singoli funzionari abilitati dalla legge. Tale situazione in molte città limita o impedisce la raccolta delle firme. I cittadini e le forze sociali che volessero organizzarsi per raccogliere le firme sui referendum non hanno così alcuna possibilità di reperire con certezza autenticatori disponibili alla raccolta delle firme nelle piazze italiane e nei fine settimana, in particolare se non rappresentano un partito che disponga di una vasta rete di consiglieri comunali e provinciali. In pratica, lo Stato italiano pone un onere per la presentazione dei referendum ma non fornisce gli strumenti affinché questo onere possa essere adempiuto. La possibilità dei cittadini di partecipare alla raccolta delle firme necessarie alla richiesta di referendum è inoltre ostacolata dalla mancanza di trasparenza che affligge tutte le fasi della procedura. In particolare, insufficienti sono le informazioni fornite ai soggetti che rivestono la qualifica di autenticatori in merito alle facoltà che la legge riconosce loro, e sono spesso i promotori del referendum a dover faticosamente individuare gli autenticatori e ad informarli della loro qualifica. Non essendo dubitabile la natura amministrativa dell'attività di autenticazione, questa deve essere improntata al rispetto del principio di trasparenza imposto dall'articolo 1 l. n. 241/1990, oltre che da un ormai consolidato orientamento normativo che mira a rendere quanto più possibile trasparente l'attività delle pubbliche amministrazioni (si vedano, per citare solo le disposizioni più recenti, il decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013 e il decreto legislativo n. 33 del 2013). Peraltro, a seguito degli ultimi interventi legislativi, la platea degli amministratori locali potenziali autenticatori si è di gran lunga ridotta: nei Comuni, infatti, la legge ha ridotto il numero di consiglieri e assessori, mentre nelle Province i cui consigli non sono stati rinnovati sono venute meno entrambe le figure. In definitiva, la complessità del procedimento di autenticazione, la carenza di servizi di autenticazione, la difficoltà nel reperire autenticatori e la mancanza di trasparenza frustrano di fatto l'alto valore di democrazia diretta insito nello strumento referendario, più volte affermato dall'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione»;
   nella medesima lettera Staderini chiedeva al Ministro dell'interno e al Ministro della giustizia «di provvedere con la massima urgenza – con riferimento alle competenze di ciascun Ministero – al fine di rimuovere gli ostacoli all'esercizio dei diritti civili dei cittadini, in particolare:
   di fornire indicazioni precise a Comuni, Province, Tribunali, giudice di pace e notai circa la necessità di garantire un adeguato servizio di autenticazione delle sottoscrizioni, anche in luoghi pubblici;
   di avvisare con una Vostra comunicazione tutti i funzionari competenti e gli amministratori locali della possibilità di offrire il servizio di autenticazione e di sensibilizzarli nelle forme ritenute più efficaci, affinché si rendano prontamente disponibili ad eseguire, ove richiesto anche all'esterno delle proprie sedi di lavoro, le autenticazioni delle sottoscrizioni dei cittadini, secondo la normativa vigente e la prassi amministrativa sopra ricordata, ispirati dai principi di trasparenza, pubblicità e buon andamento dell'amministrazione;
   di formare un Albo degli autenticatori a cui i promotori di iniziative popolari possano attingere, così da permettere l'espletamento dell'onere della sottoscrizione;
   di sollecitare i Comuni ad informare la cittadinanza delle iniziative popolari e referendarie in corso e dare risalto agli uffici dove i cittadini possono firmare, ad esempio creando una pagina dedicata e un link ad essa sulle homepage dei propri siti istituzionali;
   di sollecitare la RAI a trasmettere informazioni anche all'interno dei telegiornali per dare conoscenza ai potenziali autenticatori di questa loro facoltà e agli italiani della possibilità di sottoscrivere presso le segreterie comunali»;
   i Comitati promotori dei referendum comunicano che in molte città italiane i cittadini che si vogliono organizzare per la raccolta delle firme non sono messi nelle condizioni di poterlo fare a causa dell'assenza di autenticatori disponibili;
   l'inoltrarsi del periodo estivo, in particolare del mese di agosto, rende pressoché certa un ulteriore riduzione della disponibilità di persone disposte ad autenticare in luoghi aperti al pubblico –:
   quale iniziative il Ministro dell'interno e il Ministro della giustizia abbiano assunto sino ad oggi e cosa intendono fare per garantire il rispetto del diritto dei cittadini a promuovere e sottoscrivere i referendum;
   se siano state prese dal Ministero dell'interno iniziative per informare gli oltre 150 mila consiglieri comunali e provinciali e le centinaia di migliaia di funzionari di province e comuni della facoltà riconosciutagli dalla legge di svolgere il servizio di autentica delle firme, sensibilizzandoli in tal senso;
   se siano state assunte misure organizzative volte a favorire il servizio pubblico di autentica, anche con riferimento alle altre categorie previste dalla legge quali giudici di pace, notai, cancellieri di tribunale, segretari delle procure della Repubblica;
   se il Ministro dell'interno intenda promuovere compagnie di informazione in maniera tale che i cittadini siano pienamente a conoscenza della possibilità di firmare i referendum presso le segreterie comunali;
   se siano state date indicazioni ai comuni affinché garantiscano adeguatamente ai cittadini la possibilità di firmare nelle segreterie anche durante il periodo estivo, dandone notizia delle modalità attraverso le homepage dei propri siti istituzionali. (4-01529)

  Risposta. — In relazione alla raccolta delle sottoscrizioni per promuovere lo svolgimento dei dodici referendum abrogativi nazionali e con specifico riguardo all'autenticazione delle stesse, il Ministero dell'interno ha emanato due apposite circolari in data 26 luglio e 2 agosto 2013.
  La prima è rivolta ai sindaci affinché pongano in essere ogni misura organizzativa idonea a garantire un efficace servizio di autenticazione. Essa richiama l'attenzione sulla necessità che vengano incaricati, previa attenta verifica della relativa disponibilità, il maggior numero possibile di funzionari. Con la stessa direttiva è stato precisato che l'attività in questione può essere svolta anche al di fuori della residenza comunale, ovvero in luogo pubblico o aperto al pubblico, purché nel territorio comunale.
  Sul sito istituzionale del comune devono essere pubblicati i luoghi e gli orari di apertura dei locali comunali in cui si possono sottoscrivere le richieste referendarie.
  Invero, l'efficiente organizzazione del servizio di autenticazione, risulta essere essenziale al fine di rendere effettivo il diritto costituzionale all'esercizio dell'iniziativa referendaria.
  La seconda circolare riporta i contenuti del parere reso dal Consiglio di Stato (sezione I, affare n. 2671/2003, adunanza 10 luglio 2013) sul quesito relativo alle corrette modalità di esercizio del potere di autenticazione da parte dei consiglieri comunali e provinciali.
  Con tale circolare viene precisato che per le iniziative referendarie, trattandosi di consultazioni di carattere nazionale, tutti i soggetti di cui al comma 1 dell'articolo 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53, nell'ambito territoriale della propria attività, sono competenti ad autenticare la firma dei cittadini indipendentemente dal comune di residenza degli stessi.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   SPADONI, NICOLA BIANCHI, COLONNESE, DE LORENZIS, MANLIO DI STEFANO, SCAGLIUSI, LOREFICE, D'UVA e MANNINO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Carta sociale europea è un trattato del Consiglio d'Europa adottato nel 1961 e riveduto nel 1996;
   la nuova versione ha lo scopo di migliorare a livello internazionale i diritti economici e sociali, tenendo conto dell'evoluzione della società europea successiva all'elaborazione della Carta nel 1961;
   la versione riesaminata è un trattato internazionale che riunisce in un solo strumento tutti i diritti garantiti dalla Carta del 1961 e dal suo protocollo addizionale del 1988, ed aggiunge nuovo diritti;
   la Carta è realizzata in modo da supportare la Convenzione europea dei diritti dell'uomo che riconosce i diritti civili e politici, garantisce i diritti positivi e le libertà che riguardano tutti gli individui nella loro esistenza quotidiana;
   i diritti fondamentali enunciati nella Carta sono i seguenti: i diritti di abitazione, alla salute, all'educazione, al lavoro, all'occupazione, al congedo parentale, alla protezione sociale e legale, ad ottenere il necessario sostengo contro la povertà e l'esclusione sociale, alla libera circolazione delle persone e alla non discriminazione, e anche i diritti dei lavoratori migranti e delle persone con disabilità;
   l'applicazione della nuova Carta è sottoposta allo stesso dispositivo di controllo previsto dalla Carta del 1961, che prevedeva un sistema di reclamo collettivo;
   sono sempre più numerosi i casi di violenza su persone disabili, tra i quali si possono ricordare i più recenti in Italia: a Vicenza un 15enne autistico e disabile ha subito per circa sei mesi le violenze della sua professoressa di sostegno e di un'assistente sociale; a Belluno una 15enne, affetta dalla sindrome di Down, è stata oggetto di scherno da tre bulli, tra i 16 e 17 anni, che hanno tentato di farle prendere un pullman che l'avrebbe portata in una direzione diversa da quella di casa; a Padova un uomo picchiava il padre novantenne e la sorella disabile di 50 anni con tubi di ferro avvolti da alcuni panni, per non lasciare troppi lividi;
   il risultato di una ricerca condotta su un campione di 445 soggetti con handicap evidenzia che l'incidenza del maltrattamento è dell'11,5 per cento contro l'1,5 per cento del gruppo di controllo costituito da bambini senza handicap;
   uno studio compiuto dal National Incidence and Prevalence of Child Maltreatment ha evidenziato che 35,5 bambini disabili su 1.000 hanno subito almeno un'esperienza di maltrattamento contro i 21,3 su 1.000 dei bambini senza handicap;
   il tasso di abuso fra la popolazione dei soggetti portatori di disabilità è da 4 a 10 volte maggiore che nella popolazione di bambini senza handicap;
   allo stato attuale, la nuova versione della Carta sociale europea non è stata ancora firmata dalla Svizzera, dalla Turchia e dal Liechtenstein e non è stata ancora ratificata dai seguenti Paesi: Croazia, Danimarca, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Islanda, Lussemburgo, Monaco, Polonia, Repubblica Ceca, San Marino, Spagna –:
   se e quali iniziative, anche di carattere diplomatico, abbia adottato o intenda adottare per incentivare i Governi di Svizzera, Turchia e Liechtenstein a procedere alla firma della nuova Carta sociale europea del 1996 e, contestualmente, per invitare gli Stati firmatari a procedere alla sua ratifica in maniera celere, considerata l'importanza del trattato. (4-02960)

  Risposta. — 1. In Italia l'attuazione della Carta sociale europea è seguita in prima battuta dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Sulla base dei dati di cui il Ministero degli affari esteri dispone, non hanno ancora provveduto alla ratifica della versione emendata della Carta i seguenti Stati membri del Consiglio d'Europa (CoE): Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Germania, Grecia, Islanda, Liechtenstein, Lussemburgo, Monaco, Polonia, San Marino, Spagna, Svizzera e Regno Unito. Come ricordato dall'interrogante, ulteriori ratifiche sarebbero essenziali. Quanto alla Turchia, si informa che il Governo di Ankara ha firmato e ratificato la nuova versione della Carta sociale Europea.
  La rappresentanza italiana presso il Consiglio d'Europa a Strasburgo – anche in virtù dell'incarico di presidente del gruppo relazioni esterne del CoE ricoperto dal rappresentante permanente italiano – è in contatto con i vertici del CoE per l'organizzazione, anche nel contesto del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, di una iniziativa specifica sulla Carta sociale europea. Il tema delle possibili innovazioni e modifiche di tale Trattato è infatti divenuto in questi ultimi mesi più pressante e ha catalizzato l'attenzione di diversi Stati membri, tra cui l'Italia, a seguito di alcuni casi concreti che sono stati sottoposti all'esame del gruppo di lavoro competente del Consiglio dei ministri.
  Le questioni più controverse riguardano:
   a) la compatibilità con la Carta sociale delle legislazioni adottate dagli Stati membri per ottemperare al diritto dell'Unione europea;
   b) l'impatto delle decisioni prese, sovente su indicazione di organismi internazionali, da alcuni Stati parte per far fronte alla crisi economica in corso, e la loro compatibilità con gli obblighi derivanti dalla Carta sociale.

  2. Proprio al fine di avviare una riflessione su queste due criticità – che riteniamo siano alla base del ritardo nell’iter di ratifica dello strumento da parte dei Paesi sopra menzionati – stiamo studiando la possibilità di organizzare una iniziativa congiunta del Consiglio d'Europa e dell'Italia, consistente in un evento a livello politico su questi temi. Il segretariato del CoE ha indicato la città di Torino come luogo ed il 18 ottobre (anniversario della Carta) come data per lo svolgimento dell'evento. È stata sottolineata al riguardo la necessità di coinvolgere soprattutto Governi dei Paesi che non hanno completato l’iter di ratifica della nuova Carta sociale europea al fine di operare una maggiore sensibilizzazione degli Stati aderenti su questa tematica.
  L'evento in questione è stato formalmente annunciato in occasione della visita del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Enrico Giovannini, a Strasburgo il 16 e 17 gennaio scorso.
  In preparazione di tale importante appuntamento, il 20 gennaio si è svolta a Torino una riunione preparatoria, che ha visto, tra gli altri, la partecipazione di rappresentanti del Ministero degli affari esteri, del Ministero del lavoro e del Consiglio di Europa.
  L'evento previsto a Torino per il 18 ottobre potrebbe rappresentare il contesto più appropriato o propizio ai fini del coinvolgimento degli Stati firmatari a procedere in direzione della ratifica della Carta sociale europea.
Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.