Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 24 febbraio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 99 e 104 del Trattato di Roma istitutivo della Comunità economica europea (così come modificato con il Trattato di Maastricht e dal Trattato di Lisbona) si attuano attraverso il rafforzamento delle politiche di vigilanza sui deficit ed i debiti pubblici, nonché un particolare tipo di procedura di infrazione;
    la Procedura per deficit eccessivo (PDE), che ne costituisce il principale strumento, è stata implementata dal Patto di stabilità e crescita (PSC). Stipulato nel 1997, il PSC ha rafforzato le disposizioni sulla disciplina fiscale nella UEM di cui agli articoli 99 e 104, ed è entrato in vigore con l'adozione dell'euro, il 1o gennaio 1999;
    in base al PSC, gli stati membri devono continuare a rispettare nel tempo i parametri di deficit pubblico (3 per cento) e di debito pubblico (60 per cento del Pil);
    l'articolo 104 del Trattato di Roma prevede 3 fasi, nel caso in cui un paese non rispetti i parametri:
     1. se il deficit di un Paese membro si avvicina al tetto del 3 per cento del PIL, la Commissione europea propone, ed il Consiglio dei ministri europei in sede di Ecofin approva, un «avvertimento preventivo» (early warning), al quale segue una raccomandazione vera e propria in caso di superamento del tetto;
     2. se a seguito della raccomandazione lo Stato interessato non adotta sufficienti misure correttive della propria politica di bilancio, esso viene sottoposto ad una sanzione che assume la forma di un deposito infruttifero, da convertire in ammenda dopo due anni di persistenza del deficit eccessivo. L'ammontare della sanzione presenta una componente fissa pari allo 0,2 per cento del PIL ed una variabile pari ad 1/10 dello scostamento del disavanzo pubblico dalla soglia del 3 per cento. È comunque previsto un tetto massimo all'entità complessiva della sanzione, pari allo 0,5 per cento del PIL;
     3. se invece lo Stato adotta tempestivamente misure correttive, la procedura viene sospesa fino a quando il deficit non viene portato sotto il limite del 3 per cento. Se le stesse misure si rivelano però inadeguate, la procedura viene ripresa e la sanzione irrogata;
    la legge n. 243 del 2012 «Disposizioni per l'attuazione del Principio del Pareggio di Bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione» all'articolo 6, comma 2, «Eventi eccezionali e scostamenti dall'obiettivo programmatico strutturale» prevede che:
     «Ai fini della presente legge, per eventi eccezionali, da individuare in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, si intendono:
      a) periodi di grave recessione economica relativi anche all'area dell'euro o all'intera Unione europea;
      b) eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, ivi incluse le gravi crisi finanziarie nonché le gravi calamità naturali, con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese»;
    il comma 3 invece prevede che «Il Governo, qualora, al fine di fronteggiare gli eventi di cui al comma 2, ritenga indispensabile discostarsi temporaneamente dall'obiettivo programmatico, sentita la Commissione europea, presenta alle Camere, per le conseguenti deliberazioni parlamentari, una relazione con cui aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica, nonché una specifica richiesta di autorizzazione che indichi la misura e la durata dello scostamento, stabilisca le finalità alle quali destinare le risorse disponibili in conseguenza dello stesso e definisca il piano di rientro verso l'obiettivo programmatico, commisurandone la durata alla gravità degli eventi di cui al comma 2»;
    da più parti si è sottolineata l'eccessiva rigidità del Patto, perché questa, se non applicata considerando l'intero ciclo economico, genera rischi involutivi derivanti dalla contrazione della politica degli investimenti;
    in passato anche l'allora Presidente della Commissione, Romano Prodi, definì il patto «inattuabile» per la sua rigidità;
    molti critici affermano poi, che il PSC non promuoverebbe né la crescita né la stabilità, dal momento che finora esso è stato applicato in modo incoerente, come dimostrato, ad esempio, dal fatto che il Consiglio non è riuscito ad applicare le sanzioni malgrado ne sussistessero i presupposti;
    l'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha in diversi studi fatto presente come il PIL non sia un indicatore esaustivo per parametrare il benessere di un Paese e dei suoi cittadini (vedi rapporto OCSE How's Life 2013), ma che bisogna tener conto anche di altri indicatori come la qualità e il costo delle abitazioni, salari, sicurezza dell'impiego e disoccupazione, l'educazione, la coesione sociale, la qualità dell'ambiente, la salute, la sicurezza, e altri);
    recenti studi condotti da ricercatori universitari (vedi: Italy from economic decline to current crisis, Università Roma 3, Tridico 2013) suggeriscono come negli ultimi anni le misure di austerità adottate in Italia, e non solo, non hanno prodotto gli effetti positivi sperati, anzi hanno acuito gli effetti negativi;
    le misure di austerità introdotte dal Governo Monti e prima dal Governo Berlusconi avevano come scopo di diminuire la spesa pubblica e miravano a equilibrare il bilancio, con l'ovvia conseguenza di ridurre ulteriormente la spesa nazionale senza risultati notevoli in termini di crescita, recupero nonché in termini di riduzione del rapporto debito/PIL;
    tali politiche di austerità hanno prodotto come risultato una riduzione della domanda aggregata e, direttamente e indirettamente, hanno indebolito il potere d'acquisto dei lavoratori (ad esempio riducendo la spesa per servizi pubblici, sanità e istruzione);
    le cattive performance dell'Italia, stando ai dati, sono da ricercarsi nelle cattive politiche legislative e in particolare relative alla non tutela dei posti di lavoro;
    la Corte di giustizia europea inoltre nel 2004 stabilisce con una sentenza che la Procedura di deficit eccessivo richiamata dal Patto non è obbligatoria; appare ormai evidente quanto sia difficile far valere i vincoli del Patto di stabilità e crescita nei confronti dei «grandi» dell'Unione che, tra l'altro, ne furono gli stessi promotori. Invero, taluni Paesi registrano da anni deficit «eccessivi» secondo la definizione del Patto, ma ciò nonostante, malgrado gli avvertimenti e le raccomandazioni ricevute, non si sono poi visti applicare alcuna sanzione;
    nel marzo 2005, quindi, in risposta alle crescenti perplessità, l'Ecofin decise di ammorbidirne le norme per renderlo più flessibile. Decisione richiamata e ribadita dall'asse franco-tedesco nel 2008 per far fronte alla gravissima crisi finanziaria che ha investito i mercati e le economie di tutto il mondo in seguito alla cosiddetta crisi dei mutui americana del 2006;
    ulteriori istanze di riforma, nel senso di sospendere il diritto di voto dei Paesi che non rispettino i propri obblighi di bilancio, sono state manifestate in particolare dalla Germania, in occasione degli aiuti stanziati dai Paesi dell'Eurozona per la grave crisi finanziaria della Grecia nel maggio 2010,

impegna il Governo

a discostarsi temporaneamente dall'obiettivo programmatico di cui alle premesse, particolarmente per le questioni urgenti riguardanti la disoccupazione, la qualità e il costo delle abitazioni, i salari, la sicurezza dell'impiego, l'educazione, la coesione sociale, la qualità dell'ambiente, la salute e la sicurezza.
(1-00348) «Castelli, Sorial, Caso, D'Incà, Nesci».

Risoluzioni in Commissione:


   La III e IV Commissione,
   premesso che:
    la diffusione di armi nucleari rappresenta una delle più grandi minacce alla pace e alla sicurezza internazionale e numerose sono le iniziative assunte per incoraggiare la comunità internazionale a procedere concretamente verso l'obiettivo di un mondo libero da armi nucleari, superando progressivamente la logica della deterrenza, attraverso trattati internazionali per la riduzione degli armamenti, revisioni delle concezioni strategiche e delle dottrine nucleari di singoli Paesi e di alleanze militari internazionali;
    il disarmo nucleare è previsto dall'articolo VI del Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) che recita testualmente: «Ciascuna Parte si impegna a concludere in buona fede trattative su misure efficaci per una prossima cessazione della corsa agli armamenti nucleari e per il disarmo nucleare, come pure per un trattato sul disarmo generale e completo sotto stretto ed efficace controllo internazionale»;
    uno dei principi fondamentali del Trattato stabilisce che i Paesi non nucleari rinuncino all'acquisizione di armi atomiche a fronte di un progressivo disarmo nucleare da parte di quelli a cui il Trattato di non proliferazione nucleare inizialmente riconosce il diritto di possedere tali armi; va detto, però, in generale, che nessuna delle cinque potenze nucleari che aderiscono al Trattato (secondo i dati della Federation of American Scientists gli Stati Uniti, al 2013, risultano ancora in possesso di circa 7.700 testate nucleari) si è conformata al citato articolo VI che prevede lo smantellamento dei propri arsenali atomici;
   il Tnp è entrato in vigore il 5 marzo del 1970 apportando una significativa regolamentazione in un mondo che altrimenti avrebbe potuto conoscere una diffusione indiscriminata dell'arma nucleare, limitandone il possesso a cinque Stati riconosciuti come «militarmente nucleari»: gli Stati Uniti, l'ex Unione Sovietica, la Gran Bretagna, la Francia e la Cina. Queste ultime, pur avendo diritto alla qualifica di «stato militarmente nucleare» in base ai termini del trattato, vi hanno aderito soltanto nel 1992. Restano fuori dal Trattato quattro potenze nucleari: India, Israele, Pakistan e Corea del Nord (aderente al Tnp nel 1985 ma ritiratasi da esso nel 2001);
    le conferenze di revisione del Tnp si sono svolte ogni cinque anni, come previsto dal comma 3 dell'articolo VIII, a partire dal 1970, nel tentativo di trovare un accordo per raggiungere una dichiarazione finale per l'attuazione delle disposizioni del Trattato;
    le conferenze di riesame sono precedute dalle riunioni delle commissioni preparatorie, le cosiddette Prep-coms, che fissano i punti salienti e le procedure, sondano il livello di consenso politico tra le parti e monitorano il grado di applicazione delle raccomandazioni adottate;
    l'ultima Conferenza di revisione del Trattato Tnp si è tenuta a New York il 28 maggio 2010 con l'approvazione di un documento finale consensuale contenente un piano d'azione in 64 punti; prima ancora, l'8 aprile 2010 a Praga era stato sottoscritto dal Presidente americano Obama e da quello russo Medvedev il nuovo Trattato sulla riduzione degli arsenali nucleari New STrategic Arms Reduction Treaty, New START), ratificato il 22 dicembre 2010 dal Senato USA e il 25 e 26 gennaio 2011 dalla Duma e dal Consiglio federale della Federazione russa;
    dopo il fallimento della precedente Conferenza di riesame del 2005, si era così raggiunto un accordo unanime su misure concrete: rilancio delle «garanzie negative di sicurezza»; invito a ratificare il Trattato per il bando totale delle esplosioni nucleari (Comprehensive Test Ban Treaty, CTBT); sollecitazione a concludere un trattato per il bando della produzione di materiali fissili e la riduzione di quelli esistenti (Fissile Material Cutoff Treaty, FMCT) sotto il controllo dell'Agenzia atomica internazionale di Vienna (AIEA); convocazione di una conferenza internazionale per il 2012 per realizzare una Zona priva di armi di distruzione di massa e dei rispettivi vettori in Medio oriente (Zona), in attuazione della risoluzione adottata nel 1995;
    l'idea di costituire una Nuclear weapons free zone (Nwfz) in Medio Oriente viene da lontano: la prima proposta fu presentata, infatti, dall'Iran, con il sostegno dell'Egitto, all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite già nel 1974. La bozza di risoluzione fu approvata con 138 voti a favore, nessuno contrario e due astenuti: Israele e Birmania. Successivamente, alla quinquennale Conferenza di riesame del Tnp del 1995, la Nwfz fu inserita nel documento finale, in un'apposita risoluzione sul Medio Oriente, come detto, che includeva tutte le armi di distruzione di massa (Weapons of Mass Destruction Free Zone – Wmdfz);
    la realizzazione della Zona rappresenta un passo decisivo verso l'obiettivo di liberare il mondo dalle armi nucleari auspicato dal Presidente statunitense Barack Obama ma, tale aspirazione, incontra molti ostacoli e resistenze politiche: il Governo israeliano, infatti, ha sempre sostenuto che non avrebbe contribuito all'attuazione della risoluzione sulla Wmdfz, non avendo aderito al Tnp pur detenendo l'arma nucleare; tra l'altro, si è sempre dichiarato non contrario in linea di principio, ma non disposto a discuterne fino a quando i suoi vicini non riconosceranno lo stato ebraico e non rinunceranno a dotarsi di armi nucleari, ovvero di tipo chimico e/o batteriologico; viceversa, come è noto, i Paesi arabi sarebbero disposti ad avviare trattative sulla Nwfz, ma chiedono che prima Israele entri a far parte del Tnp e sottoponga tutti i suoi impianti nucleari al controllo dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (Aiea);
    la Conferenza sulla creazione della Zona prevista a Helsinki nel 2012, è stata rinviata per svariati motivi (la crisi siriana, il caso iraniano, gli attacchi alle rappresentanze americane ma soprattutto l'incertezza sull'esito delle elezioni presidenziali americane del novembre dello stesso anno), malgrado il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, avesse dato mandato a Jaakko Laajava quale facilitatore e designato la Finlandia come governo organizzatore;
    fino al novembre 2012 l'Unione europea tentò di tenere vivo il dibattito sulla Zona, ospitando a Bruxelles un seminario di accademici e diplomatici, ma il 27 novembre 2012, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti confermò che la citata Conferenza, la cui finalità era quella di impegnare le parti a non possedere, acquisire, testare, produrre, usare armi nucleari, chimiche e biologiche nonché i relativi sistemi di lancio, non potendosi tenere affatto, sarebbe stata convocata «appena possibile», e che ovviamente i motivi del rinvio non erano legati al calendario quanto a fattori prettamente politici, come sopra accennato;
    nel frattempo, tutti i cosiddetti sponsor della risoluzione del 1995 sulla Zona, Stati Uniti, Regno Unito, Russia, rilasciarono subito dopo dichiarazioni a favore di una Conferenza da tenere nel 2013; Egitto e Lega Araba, su questo punto, si mostrarono, invece, particolarmente irritati a causa del suo rinvio, causato, a loro dire, dal tentativo Usa di coprire le indecisioni d'Israele;
    nel frattempo si era riunita a Ginevra, nell'aprile 2013, la PrepCom Tnp, ovvero la sessione preparatoria della Conferenza prevista per il 2015, appuntamento che costituisce una sorta di «tagliando» al Trattato stesso; tuttavia, tra polemiche e abbandono dei lavori della delegazione egiziana e le critiche delle delegazioni arabe e iraniana per l'ennesimo rinvio della Conferenza sulla creazione della Zona e malgrado la delegazione Usa in questa sede si fosse impegnata a favorire lo svolgimento di tale Conferenza entro l'anno 2013, non si è comunque mai svolta; tra l'altro, questo rinvio costituisce per la Lega araba un motivo di indebolimento del Tnp, tale da mettere in discussione la sua partecipazione al PrepCom che si terrà a New York dal 28 aprile al 9 maggio 2014;
    il bilancio della riunione ginevrina del 2013 non è stato confortante specie per il primo pilastro, il disarmo nucleare. Alcuni punti sono stati molto specifici, come l'entrata in vigore del Comprehensive Nuclear Test Ban Treaty (Ctbt) e l'avvio dei negoziati in seno alla Conferenza disarmo del Trattato per bandire la produzione di materiale fissile (Fmct) mentre altri punti sono risultati alquanto vaghi come quello di procedere verso una riduzione degli arsenali di tutti i tipi di armi nucleari;
    una coalizione di organizzazioni non governative (Ong) e di attivisti per la pace e contro il nucleare stanno lanciando una campagna globale per un vertice tra i leader mondiali per chiedere la totale eliminazione dell'arma di distruzione di massa più devastante al mondo: l'arma atomica; inoltre, propongono che la prossima Conferenza di revisione del Tnp si svolga a Hiroshima e Nagasaki nel 2015, in occasione del 70o anniversario dei bombardamenti nucleari che in sostanza raserò al suolo le due città giapponesi;
    il Trattato di non proliferazione nucleare sancisce l'obbligo per l'Italia di non ospitare ordigni nucleari e per gli Stati nucleari di non dispiegare tali armamenti al di fuori del proprio territorio;
    il nuovo Concetto strategico della Nato, adottato a Lisbona il 19 novembre 2010, indirizzato verso un'ulteriore riduzione in Europa degli arsenali nucleari dell'Alleanza atlantica, ha ribadito che «fintanto che ci sono armi nucleari nel mondo, la Nato rimarrà una Alleanza nucleare», in tale contesto, va ricordato, però, che, ultimo caso di dispiegamento avanzato (forward deployment), cinque Paesi dell'Alleanza atlantica (Belgio, Germania, Italia, Olanda e Turchia) continuano a ospitare, come sopra accennato, armi nucleari tattiche statunitensi (Ant) all'interno dei propri confini;
    un rapporto dell'associazione ambientalista americana Natural Resources Defense Council (NRDC) ha affermato, infatti, che gli Stati Uniti mantengono 90 bombe nucleari in Italia (50 ad Aviano e 40 a Ghedi Torre mentre altre 400 sarebbero dislocate in Germania, Gran Bretagna, Turchia, Belgio e Olanda); si tratta di bombe tattiche B-61 in tre versioni, la cui potenza va da 45 a 170 kiloton (13 volte maggiore di quella della bomba di Hiroshima) e il Dipartimento della Difesa statunitense ha annunciato di aver avviato nell'aprile 2013 un programma di modernizzazione proprio di questo tipo di bombe per renderle idonee all'uso da parte dei cacciabombardieri F-35, armi che si trovano, appunto, in Europa;
    gli F-35, come è noto, vengono acquistati dall'Italia per sostituire tre linee di volo prossime alla fine della propria vita operativa – si tratta degli AV-8B Harrier II della Marina militare, degli AMX e dei Tornado dell'Aeronautica militare – garantendo, in subordine, la capacità di strike nucleare attualmente affidata ai Tornado Ids in base alla dottrina della «condivisione nucleare» sviluppata dalla NATO;
    gli F-35 saranno assegnati anche al 6o Stormo dell'Aeronautica militare con sede presso la citata base di Ghedi, dove è ubicato il deposito di armi nucleari gestito dal 704th Munitions Support Squadron statunitense;
    il Governo tedesco, avendo deciso di non acquisire i cacciabombardieri F-35, ha anche scelto di rinunciare a qualsiasi capacità di attacco nucleare una volta ritirati dal servizio, attorno al 2024, i velivoli Tornado;
    l'Italia, per conciliare gli obblighi derivanti dal Tnp con la presenza di armi atomiche, ricorre al sistema della «doppia chiave» di cui, peraltro, non sono pubblici i dettagli. Le armi nucleari restano in possesso degli Stati Uniti e sotto il suo stretto controllo: solo gli Usa, infatti, potranno decidere se ricorrere all'arma nucleare previa autorizzazione dello Stato territoriale, cioè del nostro Paese;
    l'uso dell'arma atomica è soggetto alle prescrizioni del diritto internazionale umanitario ma, poiché una rappresaglia nucleare che coinvolga l'intera popolazione civile di una città sarebbe vietata dal I Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 1949, gli stati Nato, al momento della firma del citato Protocollo, hanno formulato una dichiarazione interpretativa, che è una vera e propria riserva, secondo cui esso non si applica alle armi nucleari. Tale riserva è stata apposta anche dall'Italia, che ha precisato come il Protocollo si applica alle sole armi convenzionali, ma ha lasciato impregiudicata la questione dell'esistenza di regole consuetudinarie in materia di armi nucleari. Tale posizione, decisamente ambigua, andrebbe ora chiarita, mediante il ritiro della riserva interpretativa, non più sostenibile alla luce del parere della Corte internazionale di giustizia con il parere sul divieto della minaccia e dell'uso dell'arma nucleare del 1996);
    come ulteriormente affermato dalla Corte internazionale di giustizia, mantenere una minaccia nucleare nei confronti di altri Paesi è un illecito, per di più le armi nucleari in territorio italiano rappresentano un pericolo per la salute e la vita di chi vive nei pressi di una installazione nucleare militare;
    a tal proposito, in base al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230 il Governo italiano dovrebbe mettere a conoscenza la popolazione sui rischi alla salute, sulla radioattività ambientale e sui piani di evacuazione dei civili in caso di emergenza nucleare, mentre quest'ultimi non risultano ad oggi essere conosciuti dalle autorità civili,

impegnano il Governo:

   a sostenere la proposta di tenere la Conferenza internazionale di revisione dei Tnp, prevista per il 2015, nelle città martiri di Hiroshima e Nagasaki in occasione del 70o anniversario delle bombe nucleari sganciate sulle due città giapponesi;
   a svolgere un ruolo attivo a sostegno delle misure di disarmo e di non proliferazione nucleare in tutte le sedi internazionali proprie, e, in particolare, in vista del prossimo PrepCom che si terrà a New York dal 28 aprile al 9 maggio 2014;
   a sostenere nello stesso ambito, in linea con gli orientamenti già assunti dalle istituzioni italiane, la necessità di ridurre ulteriormente il numero di armi nucleari tattiche in Europa, nella prospettiva della loro totale eliminazione, con particolare riferimento a quelle che insistono nel nostro territorio;
   a rendere noti al Parlamento e pubblicare gli accordi, anche quelli in forma semplificata, che regolano lo status delle basi USA presenti sul territorio italiano, al fine di una maggiore trasparenza sulle decisioni relative agli impegni convenzionali concernenti le basi;
   a rendere noto al Parlamento il sistema della «doppia chiave» di cui alla premessa e contestualmente a ritirare la riserva interpretativa al I Protocollo addizionale affinché lo stesso si possa applicare anche alle armi nucleari;
   a ritirare o non sostituire, alla scadenza della loro vita operativa, i sistemi d'arma in servizio nelle Forze armate italiane abilitati a qualsiasi titolo al trasporto, alla gestione, alla guida e all'uso di armi nucleari;
   a non introdurre in servizio nuovi vettori e sistemi d'arma abilitati all'uso d'armi nucleari e a rendere note, in ogni caso, al Parlamento le intenzioni dell'Italia in quanto alla capacità di attacco nucleare dei velivoli F-35 che dovrebbero entrare in servizio nell'Aeronautica Militare.
(7-00270) «Manlio Di Stefano, Rizzo, Artini, Sibilia, Basilio, Di Battista, Corda, Spadoni, Frusone, Scagliusi, Tofalo, Del Grosso, Tacconi, Grande, Paolo Bernini».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    nei primi giorni del mese di febbraio 2014 si sono verificati in Veneto eventi atmosferici di forte intensità, piogge persistenti e nevicate anche a bassa quota che hanno messo in ginocchio il comparto agricolo veneto;
    quello che è accaduto in questi giorni ha fatto subito correre il pensiero all'alluvione del novembre 2010 che, sia per la sua entità che per i danni subiti, è analoga, se non più pesante;
    numerose sono state le aree del Veneto orientale ed occidentale, del Basso Padovano e del Vicentino interessante da allagamenti ed inondazioni;
    nella zona di Padova i danni maggiori si sono riscontrati sui vigneti che sono stati sommersi e sulle aziende d'eccellenza della viticoltura, messe in ginocchio per i danni alle cantine, alle attrezzature e strutture. I vigneti DOC del Piave sono stati letteralmente sommersi, inoltre sono finiti sott'acqua allevamenti avicoli che hanno causato l'annegamento di circa 12 mila pulcini e 30 mila polli;
    nella zona di Belluno gli allevatori sono stati costretti a gettare il latte che non sono riusciti a trasportare per l'isolamento causato dalla neve;
    le coltivazioni a seminativo in pianura di cereali hanno sofferto di asfissia e il raccolto è stato compromesso. Anche gli ortaggi in pieno campo allagati sono marciti, mentre nelle serre, a causa dell'umidità, le muffe hanno distrutto le coltivazioni;
    oltre al versante produttivo, si sono verificati danni anche alle strutture e alle infrastrutture agricole;
    da stime della Coldiretti sembra che i danni all'agricoltura nelle aree alluvionate superino i 10 milioni di euro;
    la regione Veneto, con decreto, ha dichiarato lo stato di calamità ed ha erogato, per le prime necessità, un milione di euro. Inoltre, ha avviato l’iter istituzionale per il riconoscimento, da parte del Governo, dello stato di crisi e dello stato di calamità per tutto il territorio regionale, allo scopo di ottenere, i benefici economici previsti dalla legge;
    i danni derivanti dall'alluvione in Veneto del novembre 2010 ammontarono in totale a circa mezzo miliardo di euro e si stima che anche per questa alluvione i costi per i danni si aggirino intorno allo stesso importo, a soli 3 anni di distanza;
    risulta indispensabile prestare la massima attenzione a un settore di primaria importanza che continua a perdere redditività;
    le continue precipitazioni che si abbattono in tutto il Paese stanno mettendo in ginocchio l'agricoltura di tutto il nord Italia, con danni già stimati dalle associazioni di categoria nell'ordine di centinaia di milioni di euro;
    è necessario che, visto che le condizioni meteorologiche che fino a poco tempo fa potevano considerarsi straordinarie e, invece, ormai tendono ad assumere un carattere di ordinarietà continuando ad arrecare danni alle popolazioni, al territorio, all'agricoltura e alle imprese, le regioni e gli enti locali vengano liberate dai limiti del patto di stabilità per poter svincolare le risorse necessarie per mettere in sicurezza il territorio e soprattutto i terreni agricoli;
    la regione Veneto versa alle casse dello Stato circa 21 miliardi di euro l'anno ed è giusto che gran parte di queste risorse vengano reinvestite sul territorio per aiutare le popolazioni e le aziende proprio in queste occasioni;
    ogni anno il nostro Paese impiega mediamente due miliardi di euro per far fronte alle emergenze. Non ha senso spendere per i danni più di quanto si paga per evitarli,

impegna il Governo:

ad assumere urgentemente iniziative che riconoscano la pubblica calamità per i danni all'agricoltura, nonché il relativo impegno a finanziare adeguatamente gli interventi utili a sostegno degli agricoltori veneti;
   ad assumere iniziative per prevedere che le somme conseguentemente impiegate per far fronte alle emergenze alluvionali e alle conseguenti opere di ripristino, necessarie per il settore agricolo siano escluse dai vincoli imposti dal patto di stabilità.
(7-00271) «Caon».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 febbraio 2014 sono apparse sui principali organi di informazione, svariati articoli in cui si riportava che Antonio Ragusa, generale dell'Arma dei carabinieri in pensione, e Luigi Bisignani, noto alle cronache in qualità di «faccendiere», già condannato in via definitiva e attualmente coinvolto in alcune note inchieste giudiziarie, inclusa l'inchiesta denominata «P4», venivano portati agli arresti domiciliari, con l'accusa, il primo, di corruzione e turbativa d'asta e, il secondo, di frode fiscale;
   Antonio Ragusa è stato membro dell'Arma dei carabinieri, ove avanzò rapidamente di carriera, passando dal Reparto operativo al nucleo tribunali sino ad approdare al gruppo Roma Primo; tuttavia, nel 1992, durante la terza prova scritta dell'esame di procuratore legale venne scoperto mentre copiava e per questo motivo fu esonerato dall'Arma dei carabinieri; successivamente fu trasferito al SISMI;
   nel 2005 la sua nomina alla direzione nazionale antidroga fu respinta e l'anno seguente venne assunto, durante il Governo presieduto da Silvio Berlusconi, a capo del dipartimento «risorse strumentali» presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nonostante fosse già in pensione, in deroga alla prassi seguita fino ad allora, per cui tale incarico veniva ricoperto da un dipendente di ruolo;
   la posizione ricoperta da Antonio Ragusa, dunque, gli consentiva di gestire, per conto della Presidenza del Consiglio dei ministri, somme di denaro molto significative;
   il signor Ragusa fu confermato in quella posizione fino al 2012, quando l'allora Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti, decise di non procedere al rinnovo di numerosi incarichi conferiti nel corso degli anni precedenti a persone già in pensione;
   dal 2006 al 2012 la Presidenza del Consiglio ha proceduto a conferire svariati appalti, anche tramite procedure non chiare e senza la opportuna evidenza pubblica, mentre Antonio Ragusa riceveva uno stipendio complessivo lordo ben oltre i 200 mila euro annui;
   tra questi appalti figura anche quello relativo alla gestione dei servizi informatici e di sicurezza della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2010, oggetto dell'inchiesta che ha portato all'arresto di Luigi Bisignani e Antonio Ragusa;
   secondo quanto affermato dalla procura inquirente, Antonio Ragusa avrebbe mostrato una assenza di remore nell'alterare il corretto svolgimento della gara d'appalto e nel deviare i poteri connessi alla sua pubblica funzione al fine di perseguire meri interessi utilitaristici di carattere privato; avrebbe in più occasioni favorito i membri della propria famiglia, incurante dei doveri di imparzialità e correttezza connessi alla sua funzione e della peculiarità dell'ufficio ricoperto; avrebbe tenuto una condotta pericolosa, non solo per il carattere sistematico e non occasionale delle modalità familistiche con le quali era solito esercitare funzioni pubbliche giungendo a operarne una vera e propria mercificazione;
   infatti, la figlia di Antonio Ragusa, Simona Ragusa, dal gennaio 2008 al dicembre 2012, per 5 anni, è stata consulente del comitato per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita della Presidenza del Consiglio dei ministri, all'interno della stessa struttura ove lavorava il padre;
   i termini del bando di gara d'appalto oggetto dell'indagine, il cui valore ammonta a circa 9 milioni di euro, sarebbero stati scritti appositamente per consentire alla società Italgo, dell'imprenditore Anselmo Galbusera, di vincere; quest'ultimo avrebbe dovuto poi, in cambio, subappaltare determinati lavori per un valore di 117 mila euro alla società del genero di Antonio Ragusa, Marco Napoli;
   la procura inquirente ipotizza, inoltre, che la concessione di tale appago alla Italgo sia riconducibile ad un favore fatto in precedenza ad Antonio Ragusa da parte dell'ex direttore delle relazioni esterne di Finmeccanica, Lorenzo Borgogni, per far assumere il figlio di Ragusa, all'interno di una società del Gruppo Finmeccanica;
   Luigi Bisignani pluricondannato ed ad oggi indagato in note inchieste giudiziarie, avrebbe avuto il ruolo di intermediatore per la concessione dell'appalto –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri, visto il carattere sistematico e non occasionale delle modalità illegittime di gestione degli appalti mostrato dal signor Antonio Ragusa, non intenda avviare delle verifiche sugli appalti e sugli incarichi di lavoro concessi a persone fisiche nel periodo in cui il medesimo ricopriva la carica di capo del dipartimento delle risorse strumentali della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   quali siano state le gare di appalto assegnate tramite il dipartimento risorse strumentali e quali siano i soggetti che si sono aggiudicati tali gare, ovvero a quali soggetti siano stati attribuiti appalti tramite trattativa privata, nel periodo in cui il signor Antonio Ragusa era a capo di tale dipartimento. (4-03699)


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il ventiseiesimo rinvio da parte della Corte di giustizia suprema indiana, dell'udienza relativa alla vicenda dei marò italiani Latorre e Girone, deciso la scorsa settimana per deliberare se sia da applicare la normativa anti-terrorismo e anti-pirateria nei confronti dei due fucilieri di marina, a giudizio dell'interrogante, oltre a manifestare l'evidente incapacità indiana di gestire il caso internazionale, sta assumendo i toni di una farsa, in considerazione dell'atteggiamento di continui ed inspiegabili rinvii da parte delle autorità indiane nel definire in modo risoluto un evento dai risvolti assurdi, che ormai da due anni;
   le dichiarazioni da parte del Ministro degli esteri indiani, successivamente contraddette, dal suo stesso Governo e in seguito nuovamente confermate e ancora smentite, dalla Corte di giustizia suprema indiana, alimentano a parere dell'interrogante, la convinzione della scarsa considerazione che le stesse autorità indiane, hanno sia nell'osservanza dei Trattati internazionali, nell'ambito del rispetto della giurisdizione, che in particolar modo nei riguardi del nostro Paese;
   a giudizio dell'interrogante, necessitano interventi quanto mai rigorosi e decisi, in grado di determinare un effetto mediatico a livello mondiale, di rilevante risonanza, finalizzato a condizionare profondamente l'atteggiamento delle autorità indiane nei riguardi del nostro Paese palesemente lesivo, che possano pertanto di invertire, il comportamento remissivo e inaccettabile, del Governo indiano per la vicenda dei due fucilieri della marina militare italiana, prigionieri da due anni in India, accusati di aver ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati;
   l'esposizione universale di EXPO 2015, che porrà al centro dell'attenzione le sfide globali, in tema di sviluppo e sicurezza alimentare, rivolgendo l'interesse e la solidarietà verso i Paesi più poveri, com’è noto, si svolgerà in Italia e prevede la partecipazione di oltre 150 Paesi partecipanti fra cui l'India, ed un numero cospicuo di enti internazionali;
   il percorso di riavvicinamento all'evento mondiale che partirà il 1° maggio del 2015, ha visto un forte coinvolgimento del Governo di New Delhi, che ha considerato particolarmente attrattiva la manifestazione organizzata dal nostro Paese, in tema di alimentazione sostenibile e di ricerca e sviluppo per garantire cibo e acqua alla popolazione mondiale;
   a giudizio dell'interrogante, il suindicato evento mondiale, rappresenta l'occasione per intervenire nei riguardi del Paese indiano, al fine di escluderlo dalla manifestazione, in quanto considerata non gradita la presenza, a seguito dell'atteggiamento umiliante messo in atto da parte del Governo di New Delhi e della magistratura indiana nei riguardi del nostro Paese;
   la predetta misura di estromissione dell'India, dallo svolgimento di EXPO 2015, ad avviso dell'interrogante, determinerebbe pertanto, come in precedenza rilevato, un effetto mediatico mondiale, condiviso ed efficace da parte della comunità internazionale ed in particolare nei confronti dei rappresentanti diplomatici indiani, dimostratisi inadeguati e scorretti nei confronti dell'Italia –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se ritengano in considerazione della situazione relativa alla vicenda dei due fucilieri italiani, ingiustamente trattenuti in India, da due anni, vicenda divenuta a giudizio dell'interrogante, ormai grottesca e stupefacente se si valutano i continui rinvii e gli atteggiamenti assunti dal Governo indiano sulle decisioni da intraprendere nei riguardi del futuro dei nostri militari, che siano necessari interventi rigorosi e intransigenti, come quello esposto in premessa. (4-03701)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in questi anni la Sardegna e i sardi hanno pagato, e continuano a pagare, un prezzo altissimo per le gravissime e reiterate discriminazioni democratiche, economiche, infrastrutturali e sociali che lo Stato e l'Europa hanno esercitato contro la più isolata regione insulare dell'Unione;
   sia lo Stato che l'Europa hanno sistematicamente ignorato la condizione insulare della Sardegna e hanno a giudizio dell'interrogante ripetutamente danneggiato con provvedimenti gravemente discriminatori la rappresentanza democratica, l'economia e la società sarda;
   il 25 maggio 2014, si svolgeranno le elezioni europee;
   si tratta di un'occasione unica e irripetibile per far sentire forte e chiara la voce della Sardegna e dei sardi;
   la discriminazione più rilevante sul piano democratico è, infatti, quella dell'esclusione della Sardegna dal Parlamento europeo considerato che l'accorpamento con la Sicilia ne preclude per il rapporto elettorale qualsiasi possibilità di accesso;
   si tratta di una discriminazione grave sul piano democratico, insostenibile su quello sostanziale, considerato che l'Europa, in concorso con lo Stato, ha messo in atto provvedimenti che a giudizio dell'interrogante ledono l'appartenenza stessa della Sardegna al contesto europeo;
   si tratta di quella che all'interrogante appare una palese discriminazione democratica;
   l'attuale legge elettorale europea distorce e nega in modo ineludibile l'uguaglianza e la libertà del diritto di voto dei cittadini sardi e provoca una palese distorsione della foro rappresentanza come cittadini dell'Unione accertata proprio in forza delle precedenti elezioni europee;
   si tratta di norme che appaiono palesemente non conformi ai principi e alle norme Costituzionali che traggono principalmente origine dalle modifiche introdotte con la legge n. 10 del 2009, nella disciplina previgente sull'elezione del Parlamento europeo, nonché dalle modifiche legislative nazionali e comunitarie entrate in vigore successivamente all'adozione della legge n. 18 del 1979, che evidenziano, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'incompatibilità della normativa attuale in materia, con quelle costituzionali e comunitarie anche in relazione alle norme speciali e derogatorie previste per alcune minoranze linguistiche;
   tale lesione dei principi fondamentali della rappresentanza democratica costituisce un vulnus di rilevanza tale da minare alla radice la stessa appartenenza della Sardegna all'Unione europea, essendo il popolo sardo privato del più elementare diritto di rappresentanza diretto;
   il principio di uguaglianza alla base della stessa Unione europea viene, dunque, violato e ignorato nel caso della regione insulare della Sardegna che, proprio per le sue peculiarità insulari e culturali – linguistiche, avrebbe avuto diritto al riconoscimento della propria specialità sia sul piano della rappresentanza democratica che economica e sociale. La legge sulla elezione della delegazione italiana al Parlamento europeo n. 18 del 1979, è stata modificata con la legge n. 10 del 2009, mediante l'introduzione di norme che, secondo l'interrogante in contrasto con la Costituzione e i Trattati TFUE e TUE, limitano gravemente il diritto di voto dei cittadini residenti in Sardegna, che invece dovrebbe essere garantito sia costituzionalmente che dalle norme sovranazionali;
   la mancanza di un potere-diritto di rappresentanza nel Parlamento europeo costituisce elemento che determina di fatto l'esclusione della Sardegna dallo stesso contesto dell'Unione europea determinando di fatto quella che all'interrogante appare una condizione statutale indipendente;
   si rende indispensabile porre al Governo la seguente condizione:
   per questa ragione si rende indispensabile un'immediata e urgente modifica del contesto normativo che consenta alla regione Sardegna, prima delle elezioni europee del 25 maggio, un'adeguata rappresentanza nel contesto del futuro Parlamento europeo. Tale condizione risulta inderogabile e non negoziabile proprio perché si intende altrimenti promuovere un'azione tesa a favorire un'astensione collettiva del popolo sardo dalle prossime elezioni europee con l'avvio di procedure tese a riconoscere la condizione statutale di fatto indipendente della Sardegna dal contesto europeo;
   si configura una palese discriminazione economica nei confronti della Sardegna;
   tutti i provvedimenti economici e sociali adottati dall'Unione europea con il concorso dello Stato italiano che hanno riguardato e riguardano la Sardegna ignorano reiteratamente e in modo grave la condizione insulare della regione;
   tutti i parametri econometrici di riparto di risorse e definizione di politiche comunitarie hanno deliberatamente escluso la misurazione e la compensazione del divario insulare;
   tale atteggiamento oltre che discriminatorio risulta minare alle fondamenta il principio di uguaglianza tra cittadini appartenenti all'Unione europea;
   si tratta di un reiterato comportamento che si è manifestato sin dal 2004 quando in fase di valutazione dei parametri di coesione si è forzatamente ritenuto di dover valutare solo ed esclusivamente il parametro artificiosamente determinato del PIL medio europeo che ha ignorato la condizione insulare e rapporto all'interno di quello stesso prodotto interno lordo di fatturati che, come nel caso della Saras, risultavano del tutto estranei al contesto sardo. Quell'atto, teso ad escludere la valutazione sia della condizione insulare che del parametro occupazionale, ha in modo lesivo e grave collocato la Sardegna fuori da un contesto di «obiettivo uno», accorpando l'isola a contesti del tutto diversi sul piano delle condizioni infrastrutturali; economiche, sociali e di contesto geografico;
   tale atteggiamento supportato da atti conseguenti ha provocato danni economici e sociali di rilevante entità a partire da un taglio netto di risorse economiche con ricadute sociali ed occupazionali senza precedenti;
   lo stesso riparto di risorse per la prossima programmazione europea 2013-2020 esclude qualsiasi tipo di compensazione insulare e conferma la discriminazione economica che colloca la Sardegna di fatto fuori dal contesto del riequilibrio e della coesione europea;
   si ritiene necessario sottoporre tale condizione al Governo nazionale:
   la Commissione europea, con lo Stato italiano, devono introdurre con effetto immediato nella programmazione 2013-2020 parametri di misurazione e compensazione economica, infrastrutturale e fiscale del divario insulare al fine di inserire la Sardegna a pieno titolo e a pari condizioni nel piano di coesione europea. Tale condizione, inderogabile e non negoziabile, deve verificarsi sin dal prossimo provvedimento economico al vaglio del Parlamento e deve essere ratificata prima delle elezioni europee da parte della stessa Commissione europea;
   si configura in modo evidente una discriminazione infrastrutturale verso la Sardegna;
   il Governo con reiterati provvedimenti di natura economica ha adottato un piano infrastrutturale nazionale che prevede l'esclusione della Sardegna da qualsiasi contesto infrastrutturale strategico adducendo come motivazione il mancato inserimento della Sardegna nell'ambito dei 4 corridoi europei;
   con l'atto finale del documento economia e finanza 2012 approvato il 26 aprile 2012 viene, infatti, enunciato, declinato e adottato un disegno pianificatorio che disattende precisi disposti costituzionali e comunitari relativi al diritto all'equità, alla coesione e all'unitarietà dell'Unione e della Stato;
   in particolar modo il Def afferma quanto segue: «In questa prospettiva, le priorità d'intervento nazionali coincidono con il sottoinsieme delle infrastrutture strategiche comprese nella rete essenziale transeuropea di trasporto TEN-T, con il duplice vantaggio di abbinare un valore aggiunto di crescita europea al valore aggiunto di crescita italiana e di utilizzare al meglio i cofinanziamenti europei per le stesse infrastrutture. L'obiettivo è di realizzare, progressivamente, le tratte italiane dei quattro corridoi “Adriatico-Baltico”, “Mediterraneo”, “Helsinki – La Valletta” e “Genova – Rotterdam”, partendo dai principali colli di bottiglia, costituiti dai nodi urbani (Roma, Bologna, Genova, Milano, Napoli, Torino, Venezia e Palermo), portuali marittimi (Ancona, Bari, Genova, Gioia Tauro, La Spezia, Livorno, Palermo, Ravenna, Taranto, Trieste e Venezia) e fluvio-marittimi (Cremona, Mantova, Ravenna, Trieste e Venezia), aeroportuali (Roma Fiumicino, Milano Linate e Malpensa, Venezia Tessera, Bergamo Orio al Serio, Bologna Borgo Panigale, Genova Sestri, Napoli Capodichino, Palermo Punta Raisi e Torino Caselle) interportuali (Ancona, Bari, Bologna, Cervignano, Firenze, Genova, Livorno, Milano, Napoli, Novara, Orbassano, Padova, Pomezia e Verona) e di valico alpino (Fréjus Domodossola, Chiasso, Brennero, Tarvisio, Trieste) e dagli archi congestionati della rete transeuropea di trasporto essenziale (Ten-T core network) concordati in sede di revisione delle reti TEN-T e del “meccanismo per collegare l'Europa” (Connecting Europe Facility)»;
   tale puntuale definizione di interventi strategici esclude in qualsiasi modo la Sardegna e risulta a giudizio dell'interrogante totalmente eluso e palesemente violato l'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, con particolare riferimento alla lettera g) relativa alla misurazione e alla compensazione del divario insulare che richiama gli interventi previsti nell'ambito dell'articolo 19 della Costituzione;
   alla mancata attuazione di tale provvedimento e alla reiterazione di tale discriminazione evidente si deve aggiungere la rilevazione effettuata da un soggetto terzo, l'istituto Tagliacarne, che rileva attraverso l'atlante delle infrastrutture elementi di comparazione assolutamente emblematici dell'assenza di coesione e unità nazionale ed europea: per quanto riguarda le reti energetiche: indice 100 per l'Italia; 64,54 per il Mezzogiorno; 35,22 per la Sardegna; per quanto riguarda le reti stradali indice 100 per l'Italia; 87,10 per il Mezzogiorno; 45,59 per la Sardegna; per quanto riguarda le reti ferroviarie: indice 100 per l'Italia; 87,81 per il Mezzogiorno; 15,06 per la Sardegna; per quanto riguarda l'analisi delle infrastrutture economico sociali: indice 100 per l'Italia; 84,45 per il Mezzogiorno; 56,16 per la Sardegna;
   tali dati, inoltre, non tengono conto del divario insulare, che risulta indefinito proprio per l'assenza strutturale di tale parametro nell'ambito di una corretta pianificazione territoriale e di coesione nazionale ed europea;
   un divario che rende il dato macroscopico tale da evidenziare una vera e propria emergenza nazionale ed europea sul piano della coesione economica ed infrastrutturale, minando i presupposti fondamentali della stessa Carta costituzionale e i trattati europei in termini di coesione e uguaglianza tra cittadini;
   risulta evidente la non conformità alla Costituzione relativamente agli articoli 2-3-4-5; appare all'interrogante palesemente violato il disposto dell'articolo 2 della Costituzione che affida alla «Repubblica» il compito di riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. I provvedimenti dello Stato e della Commissione europa ignorano tale disposto sia sul piano del diritto ad un'equa ripartizione di interventi e risorse tese al riequilibrio territoriale e infrastrutturale che su quello dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale; è sostanzialmente violato l'articolo 3 della Costituzione che ha riconosciuto a «tutti i cittadini pari dignità sociale»;
   l'articolo 3, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (Gazzetta Ufficiale legge n. 158, pagina 77, e – rettifiche – Gazzetta Ufficiale del 2004, legge n. 229, pag. 35, e Gazzetta Ufficiale del 2005, legge n. 197, pagina 34), così dispone: «La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell'Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell'articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo»; risulta evidente che l'esclusione della Sardegna da qualsiasi piano infrastrutturale strategico costituisce, proprio per la sua aggravante condizione insulare, un grave impedimento alla mobilità e che pertanto per il pieno esercizio del predetto diritto risulta indispensabile un piano adeguato di infrastrutturazione teso proprio all'eliminazione sia sul piano infrastrutturale che economico di quel divario;
   si rende indispensabile porre la seguente condizione:
   risulta improcrastinabile e indifferibile l'adozione di una serie di atti tesi ad attuare un riequilibrio sostanziale infrastrutturale, da adottarsi prima delle elezioni europee, che preveda:
    a) una ridefinizione dei corridoi europei al fine di inserire anche le regioni insulari, con particolare riferimento alla Sardegna, all'interno di siffatti corridoi di trasporto e mobilità con l'inserimento a pieno titolo e con compensazione e incentivi economici del sistema portuale sardo nelle autostrade del mare;
    b) un'equa ripartizione delle risorse statali e comunitarie con parametri oggettivi eliminando quelle evidenti e assolutamente inique ripartizioni che danneggiano in modo irreversibile la regione Sardegna e non tengono conto della condizione insulare;
    c) l'adozione di un decreto attuativo relativamente alla questione insulare in relazione alla lettera g) dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 al fine di prevedere un piano di misurazione e riequilibrio del divario insulare;
   si registra una evidente discriminazione energetica ai danni della Sardegna;
   la condizione insulare costituisce un grave condizionamento alla liberalizzazione del mercato elettrico della Sardegna. Tale situazione è riscontrata nella decisione della Commissione europea relativa al caso Alcoa dove si afferma:
   «i prezzi all'ingrosso dell'elettricità in Italia sono fra i più elevati in Europa, e i prezzi in Sardegna sono fra i più elevati in Italia. Il mercato dell'energia elettrica in Sardegna presenta una serie di problemi (alcuni dei quali, tuttavia, sono comuni al resto d'Italia) che possono essere riassunti come segue: prezzi elevati, forte grado di concentrazione del mercato, potere di mercato degli operatori dominanti, capacità di produzione eccedentaria nel segmento ad alto costo, relativa inefficienza delle centrali di produzione che stanno diventando obsolete, assenza di accesso all'infrastruttura del gas naturale, carenza di interconnessione»;
   la Commissione europea per quanto riguarda la natura del problema di concorrenza in Sardegna rileva quanto segue: «I prezzi elevati in Sardegna sono il frutto di una combinazione di fattori: l'insufficiente interconnessione, la struttura dei costi del portafoglio di generazione e il potere di mercato dei due principali generatori»;
   assumendo a riferimento i livelli dei prezzi del 2005, secondo l'autorità garante per l'energia elettrica e il gas – nel 2009 i prezzi nel continente sono aumentati – a seconda della zona – fra lo zero e il 5 per cento, mentre i prezzi in Sardegna sono aumentati del 36 per cento. Dette differenze nei livelli dei prezzi – secondo l'Autorità garante per l'energia elettrica e il gas – non sono riconducibili interamente a differenze nella struttura di costo del rispettivo parco produttivo quanto, piuttosto, al potere di mercato unilaterale di cui godono i produttori in Sardegna;
   il fatto che in Sardegna non si possa ottenere un prezzo concorrenziale soltanto leggermente superiore al costo di produzione marginale del produttore è da imputarsi – secondo le dichiarazioni riportate dalla Commissione europea – al comportamento dell'operatore dominante, che può fissare il prezzo in Sardegna e non ha alcun interesse commerciale a vendere ad un prezzo inferiore, sapendo che nessuno può acquistare altrove l'elettricità di cui ha bisogno. Inoltre, in situazione di duopolio (ENEL e E.ON) entrambi gli operatori possono avere interesse ad applicare un prezzo superiore al prezzo economicamente ottimale, onde evitare di creare «un cattivo precedente» nel resto d'Italia. Considerato il notevole potere di mercato conservato dall'ex monopolista ENEL, la relazione alla Commissione europea conclude che non vi è alcuna differenza sostanziale fra il prezzo (18/20 euro megawattora) accordato ad Alcoa in una situazione di monopolio (approvato dalla Commissione nella decisione Alumix) e la tariffa applicabile nelle attuali, alquanto imperfette, condizioni di mercato;
   mentre in tutta Europa i Governi di vari Stati membri incoraggiano la conclusione di contratti di fornitura a lungo termine orientati ai costi tra i consumatori industriali elettro-intensivi e i produttori di energia elettrica, tenuto conto del fatto che i mercati elettrici non funzionano adeguatamente, tutto ciò è precluso in Sardegna per quella che all'interrogante appare una grave commistione di interessi tra le forze politiche di centrodestra e centrosinistra e l'Enel;
   in gran parte dei Paesi europei i contratti bilaterali costituiscono la soluzione adottata per affrontare il problema ed in particolare le misure adottate nei vari Paesi rendono possibili tariffe regolamentate;
   si rende indispensabile porre la seguente condizione al Governo nazionale:
   occorre l'immediata e improcrastinabile adozione, prima delle elezioni europee, di un provvedimento teso a garantire il riequilibrio del costo elettrico in Sardegna garantendo prezzi pari alla media europea secondo le varie tipologie di consumo, domestiche ed elettrointensive, al fine di eliminare strutturalmente le condizioni speculative e di monopolio che hanno provocato e provocano un danno economico ed occupazionale senza precedenti alla Sardegna. Tale condizione prevede l'eliminazione radicale della posizione «dominante» dei produttori elettrici in Sardegna anche attraverso il commissariamento gestionale degli impianti sardi al fine del ripristino di normali condizioni di mercato. In questa direzione la Commissione europea deve esplicitamente e preventivamente adottare procedure che consentano per le regioni insulari l'adozione di parametri oggettivi per la determinazione del prezzo massimo ammissibile con la definizione di un onere di servizio pubblico energetico;
   è evidente la discriminazione agricola ai danni della Sardegna;
   l'attuale riparto dei fondi destinati ai due pilastri della Politica agricola comune costituisce la più evidente discriminazione ai danni dell'agricoltura e della zootecnica sarda;
   la mancata gestione dei pagamenti uniformi a livello regionale costituisce il vulnus della mancata coesione e uguaglianza di trattamento tra le varie aree del Paese e dell'Europa. Non aver tenuto in alcuna considerazione parametri oggettivi di riequilibrio territoriale e insulare ha fatto sì che l'obiettivo del contributo integrativo al reddito sia stato rivolto non alle aree deboli ma a quelle più avvantaggiate sia sul piano strutturale che infrastrutturale, oltre che al posizionamento sul mercato;
   le attuali rilevanti disparità (da 50 a 500 euro/ha) costituiscono la più evidente conferma di una logica che tende a confermare le discriminazioni pregresse per renderle di fatto un consolidato storico destinato ad ampliare in modo irreversibile il divario tra aree forti e deboli del sistema agricolo nazionale ed europe;
   le risorse del piano di sviluppo rurale a livello nazionale sono passate dai 17.661 miliardi di euro del precedente periodo di programmazione ai 18.619 stabiliti per il 2014-2020, con un incremento del 5,42 per cento circa, alla Sardegna, aggiuntivamente al divario pregresso, rispetto al Psr precedente, appena l'1,25 per cento. Non così per regioni come Emilia Romagna o Lombardia, che registrano un incremento superiore ai 130 milioni di euro. Il cofinanziamento statale per la Sardegna è oggi di 476,260 milioni, mentre la volta scorsa era di 620,015 milioni. Il minore impegno dello Stato si traduce in un onere per la regione di ben 204,111 milioni di euro; mentre per il Psr 2007-2013 aveva erogato 97,339 milioni di euro, che rappresentavano il 7,53 per cento della spesa totale, mentre oggi deve accollarsi il 15,60 per cento;
   tale evidente discriminazione non tiene in alcun modo conto dei costi sia dei trasporti che dell'energia, del costo della risorsa idrica e dei carburanti, tutti inficiati in modo rilevante dal gap insulare. A questo si aggiungono regolamenti e disposizioni comunitarie sia sul piano dei contingentamenti che della tutela dei mercati che inficiano peculiarità e caratteristiche del comparto agricolo zootecnico sardo;
   tale condizione di discriminazione si registra nelle politiche ambientali con un gravame di vincoli spropositato rispetto alle esigenze di governo del territorio e alle reali esigenze di tutela del territorio;
   l'imposizione di regole di dimensione europea, a partire da quelle di natura venatoria, eludono il principio di pianificazione ambientale legata alle reali condizioni territoriali di una regione insulare che registra peculiarità non assimilabili ad altri contesti;
   analogo discriminatorio atteggiamento viene messo in atto con provvedimenti vessatori verso l'attività di pesca tutta indirizzata a favorire marinerie diverse da quella sarda, con gravi ed evidenti discriminazioni a partire dal riparto delle quote del «tonno rosso» che hanno totalmente escluso la Sardegna;
   si rende indifferibile porre a Governo la seguente condizione:
   la condizione improcrastinabile e irrinunciabile è la ridefinizione, prima delle elezioni europee, di una nuova politica agricola che modifichi sostanzialmente in chiave di riequilibrio e uguaglianza il riparto dei fondi della PAC a partire dalla convergenza interna dei pagamenti diretti ridefinendo modalità e tempi. In tal senso si deve procedere alla regionalizzazione dei pagamenti stessi anche attraverso la definizione di una soglia minima di pagamenti (400 euro – 0,5 ha) da perseguire attraverso un nuovo riparto risorse tra regioni e una parte di cofinanziamento nazionale;
   si configura l'evidente discriminazione sulla mobilità da e per la Sardegna;    
   la Sardegna è ancora oggi l'unica regione europea dove si prevede un doppio trattamento tra residenti e non residenti per quanto riguarda il naturale e universale diritto alla mobilità;
   sia per il trasporto marittimo che aereo vigono norme e disposizioni a giudizio dell'interrogante di dubbia legittimità, incostituzionali e contrarie al diritto comunitario relativamente alla mobilità dei passeggeri con le quali viene arbitrariamente chiesta la residenza per poter usufruire o per veder negato il diritto alla continuità territoriale;
   in totale violazione del principio di non discriminazione riaffermato dalla decisione della Commissione n. 2007/332/CE, del 23 aprile 2007, e, nell'ambito delle competenze attribuite ai singoli soggetti istituzionali dalla normativa vigente, è necessario prevedere che a tutti i cittadini residenti nel territorio nazionale ed europeo che intendano effettuare voli da e per la Sardegna sia applicata la tariffa sottoposta ad onere di servizio pubblico, in modo da garantire il rispetto del principio di riequilibrio territoriale in relazione all'insularità della regione;
   risultano secondo l'interrogante del tutto inapplicate e violate le disposizioni comunitarie in materia che disciplinano in modo esaustivo e puntuale il significato di continuità territoriale esplicitando che l'obiettivo è quello di collegare in modo efficace e permanente territori altrimenti non collegati;
   il regolamento europeo 1008/2008 in particolare dispone: «previa consultazione con gli altri Stati membri interessati e dopo aver informato la Commissione, gli aeroporti interessati e i vettori aerei operanti sulla rotta, uno Stato membro può imporre oneri di servizio pubblico riguardo ai servizi aerei di linea effettuati tra un aeroporto comunitario e un aeroporto che serve una regione periferica o in via di sviluppo all'interno del suo territorio o una rotta a bassa densità di traffico verso un qualsiasi aeroporto nel suo territorio, qualora tale rotta sia considerata essenziale per lo sviluppo economico e sociale dello regione servita dall'aeroporto stesso. Tale onere è imposto esclusivamente nella misura necessaria a garantire che su tale rotta siano prestati servizi aerei di linea minimi rispondenti a determinati criteri di continuità, regolarità, tariffazione o capacità minima, cui i vettori aerei non si atterrebbero se tenessero conto unicamente del loro interesse commerciale»;
   il richiamo al modo non discriminatorio esplicita la volontà del legislatore europeo di affermare il concetto di collegamento tra territori escludendo qualsiasi tipo di discriminazione tra cittadini europei;
   tale discriminazione è, invece, perpetrata a scapito dei cittadini non residenti per la continuità territoriale aerea, nel periodo 15 giugno 15 settembre, e per quella marittima, per la media e alta stagione, a scapito dei cittadini residenti chiamati a pagare un prezzo superiore del 30 per cento rispetto ai non residenti;
   si rende indispensabile porre al Governo la seguente condizione:
   è improcrastinabile e irrinunciabile uniformare, con apposito provvedimento di natura statale ed europeo, la continuità territoriale marittima e aerea, da e per la Sardegna, merci e passeggeri al principio di uguaglianza e non discriminatorio. Tale atto deve essere finalizzato a garantire e favorire la libera circolazione di merci e passeggeri nell'intero ambito europeo con l'utilizzo di parametri certi e codificati di costi e compensazioni eventuali in linea con il costo chilometrico ferroviario;
   occorre sancire la piena attuazione del principio di continuità territoriale compresa l'autonomia della regione sarda a definire, proprio per la sua condizione insulare e speciale, accordi di qualsiasi natura, commerciali o di marketing, economici e finanziari, con le compagnie che attuino politiche attive di sviluppo tese sia alla crescita economica che occupazionale. Tali azioni di coomarketing devono dimostrare l'efficacia e la valenza economica di tali investimenti con effettiva e duratura ricaduta sul territorio regionale, sia in termini di crescita che di occupazione –:
   se e come il Governo intenda dare risposte, con atti concreti e iniziative conseguenti, alle condizioni poste nel presente atto di sindacato ispettivo;
   se intenda dare risposte compiute e in quali tempi, necessariamente prima dell'indizione delle elezioni europe, al fine di scongiurare azioni sia sul piano giudiziario che su quello politico tese a rigettare tale atteggiamento vessatorio, dello Stato e dell'Europa verso la Sardegna e i sardi. (4-03702)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 febbraio 2014 Giuseppe Di Fabio, giovane consigliere comunale d'opposizione a Maneiro, nell'isola venezuelana di Margarita, originario di Corvara (Pescara), è stato arrestato dalla polizia nell'ambito delle manifestazioni politiche scoppiate di recente nei confronti del Governo del Presidente Maduro;
   secondo l'accusa, Di Fabio avrebbe preso parte agli scontri di piazza tra studenti e polizia, recentemente avvenuti sull'isola, in particolare di fronte all'Hotel Venetur dove alloggiava la squadra cubana di baseball;
   le imputazioni mosse dal procuratore locale, Erarthy Salazar, sono di preoccupante pesantezza: associazione a delinquere, istigazione alla violenza e resistenza a pubblico ufficiale;
   in Venezuela, la pena prevista per questi reati è di diversi anni di carcere;
   gli avvocati del giovane di origine abruzzese hanno eccepito la sua assoluta estraneità ai fatti e si dicono in possesso di documenti comprovanti la sua presenza in zone molto lontane da quelle dove si è verificata la protesta;
   secondo il racconto dei familiari, Di Fabio si troverebbe attualmente in una cella con altri sei ragazzi, tenuto a pane ed acqua una volta al giorno, senza un letto e costretto a dormire per terra –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare il Ministro per ottenere al più presto la scarcerazione di Giuseppe Di Fabio;
   se intenda sollecitare l'ambasciatore italiano in Venezuela ad interessarsi immediatamente della faccenda presso il Governo venezuelano. (5-02217)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   a Francoforte da quindici anni è attivo il progetto italo-tedesco di insegnamento bilingue «biLiS» che garantisce un percorso formativo dalla scuola elementare alla maturità per classi miste italo-tedesche e che coinvolge cinque scuole: tre elementari, un Gymnasium e una Realschule;
   il progetto negli ultimi anni ha subito fattori di tensione dovuti da un lato al progressivo ridimensionamento del sostegno assicurato in precedenza, dall'altro al costante arrivo di famiglie italiane che particolarmente in Germania cercano le occasioni di lavoro che non riescono a trovare nel nostro Paese;
   sulla situazione di Francoforte incombe inoltre il rischio della diminuzione del numero degli insegnanti del contingente scolastico assegnati al progetto bilingue;
   l'intreccio tra la diminuzione dei fondi e la limitazione del contingente sta mettendo il nostro Paese nella condizione di non poter più rispettare gli impegni contrattuali assunti con il Land dell'Assia, finanziatore per parte tedesca del medesimo progetto bilingue;
   questa evenienza, oltre a mettere a repentaglio il destino formativo di un gran numero di ragazzi, rischia di far regredire il positivo processo di integrazione e di scambio culturale che il progetto aveva favorito nel contesto di Francoforte –:
   se il Ministro non ritenga di assicurare anche per i prossimi anni al progetto «biLIS» le risorse necessarie per il suo svolgimento e per far fronte agli impegni assunti con le autorità scolastiche tedesche;
   se non ritenga di garantire anche per i prossimi anni scolastici la presenza di insegnanti italiani di ruolo necessari per la sopravvivenza e il positivo sviluppo del progetto. (4-03694)


   GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   a Wolfsburg è attiva da anni una scuola italo-tedesca che ha consentito di raccogliere e soddisfare le esigenze formative della numerosa comunità italiana e si è distinta per il proficuo livello didattico dimostrato nell'insegnamento bilingue;
   l'assetto didattico-organizzativo consolidatosi negli ultimi anni ha subito le negative conseguenze dei criteri adottati in applicazione delle misure di ridimensionamento del contingente scolastico inviato all'estero;
   a seguito della decisione di non reintegrare le cattedre rese vacanti dal rientro in Italia dei titolari, è stato già soppresso un posto dall'anno scolastico 2012-2013 e, se sarà applicato lo stesso criterio per il futuro, un secondo posto sui tre inizialmente previsti sarà a sua volta cancellato;
   dall'ultimo anno scolastico (2013-2014) la scuola bilingue di Wolfsburg, dalle classi elementari fino a quelle superiori, è stata investita da una acuta emergenza, dovuta al trasferimento nell'area di un gran numero di nuove famiglie italiane, che hanno rivolto a questa struttura una domanda formativa che la scuola non può pienamente soddisfare con un personale in diminuzione;
   in ogni classe si è dovuto conteggiare l'inserimento di non meno di cinque nuovi alunni appena arrivati dall'Italia, privi peraltro di ogni conoscenza del tedesco, senza la possibilità di essere affiancati da un insegnante italiano in quanto tutti gli operatori sono già impegnati a tempo pieno;
   finora solo la dedizione e il volontariato degli operatori hanno consentito di sopperire alle esigenze più impellenti, con la prospettiva che nemmeno questo apporto disinteressato possa bastare di fronte al continuo arrivo di altri ragazzi dall'Italia –:
   se non s'intenda per il prossimo anno scolastico rivedere secondo termini più realistici ed organici il criterio della eliminazione delle cattedre in base al rientro in Italia dei loro titolari e, più in generale, se di fronte all'incremento delle nuove mobilità degli italiani verso l'estero, non s'intenda riconsiderare in termini normativi il ridimensionamento del contingente scolastico;
   sei il Ministero non intenda affermare, nella sostituzione degli insegnanti rientrati, una priorità per le scuole bilingue che rappresentano un modello didattico di primaria importanza e, nello stesso tempo, una soluzione indispensabile per fronteggiare le esigenze formative delle famiglie dei nuovi emigranti;
   se non intenda assicurare alla scuola italo-tedesca di Wolfsburg per l'anno scolastico 2014-2015 la copertura dei tre posti di insegnanti inviati da Roma indispensabili perché la scuola possa rispondere alla sua missione formativa in una comunità italiana tanto numerosa come quella di Wolfsburg. (4-03695)


   SPADONI e SIBILIA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 13 luglio 1965, n. 932, è stato ratificato l'accordo, firmato a Parigi il 21 maggio 1962, per l'istituzione di un «Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Méditerranéennes – C.I.H.E.A.M – (Centro internazionale di alti studi agronomici mediterranei) cui hanno aderito la Francia, la Spagna, l'Italia, la Grecia, il Portogallo, la Turchia e l'ex-Jugoslavia;
   detto accordo consta di due protocolli addizionali (1 e 2) e un annesso titolato «Riserve dell'Italia concernente il protocollo addizionale n. 2» e indica espressamente e solamente quale unica sede del Centro menzionato la Sede del Segretariato, situata a Parigi;
   nell'allegato alla menzionata legge sono state, altresì, espresse chiare riserve circa i contenuti dell'accordo nel merito del diritto internazionale, dell'immunità di giurisdizione e in materia di tassazione del personale italiano operante a vario titolo presso l'istituto;
   ad oggi la Francia, facendo riferimento ai canoni del diritto internazionale, non ha stipulato accordi di sede con il segretariato del C.I.H.E.A.M. finalizzati all'attribuzione di titolo di extraterritorialità e di totale immunità del personale;
   il C.I.H.E.A.M., nell'ambito del suo mandato di centro di formazione per quadri impiegati nel settore agricolo, si avvale di quattro strutture specialistiche, in particolare: gli Istituti agronomici di Bari (Italia), Chania (Grecia), Montpellier (Francia) e Saragozza (Spagna);
   lo stesso sito del C.I.H.E.A.M., gestito dal segretariato parigino, conferma il suo carattere di istituzione intergovernativa;
   secondo l'articolo 7 del protocollo addizionale n. 2, firmato a Parigi il 21 maggio 1962, riguardante i privilegi e le immunità dei membri del segretariato del Centro, afferma che solo «il Segretario Generale, i Direttori degli Istituti e gli altri membri del Segretariato che occupano un impiego permanente all'interno del Segretariato» godono di tali immunità, ossia saranno esonerati da ogni imposta diretta sugli emolumenti e i trattamenti versati dal Centro;
   l'Istituto agronomico mediterraneo di Bari (IAMB) è un'istituzione a carattere scientifico ed educativo facente capo allo C.I.H.E.A.M. e, sulla base della normativa di riferimento, dovrebbe operare con fini di interesse pubblico, solo in materia di formazione complementare nelle materie agricole tecniche ed economiche, per favorire lo spirito della collaborazione internazionale tra i quadri dell'agricoltura dei Paesi mediterranei;
   nella parte finale «riserve per l'Italia» si afferma che «l'esenzione dalle imposte dirette sugli stipendi e gli emolumenti di cui al punto a) dell'articolo 7 del titolo II del protocollo addizionale n. 2 non si applica ai cittadini dello Stato in cui gli Istituti hanno la loro sede o persone che, al momento del reclutamento, già hanno la loro residenza abituale in detto Stato»;
   l'immunità dalla giurisdizione di esenzione e di espropriazione di cui agli articoli 2 e 3 del titolo I del protocollo aggiuntivo n. 2 si applica soltanto nella misura in cui i principi generali del diritto internazionale li accordano agli Stati esteri;
   durante la XIII legislatura è stato deciso di concedere al personale dello IAM di Bari, con l'approvazione della legge 26 maggio 2000, n. 159, relativa ai privilegi di extraterritorialità riconosciuti dalla Repubblica italiana agli organismi internazionali;
   detta istituzione, e il suo personale italiano, attualmente gode, dunque, di totale immunità e privilegi –:
   quali criteri e parametri sanciti dal diritto internazionale, siano alla base del riconoscimento allo IAM di Bari, e al personale in esso operante, dei diritti contemplati in materia di extraterritorialità e immunità che sono attualmente applicati;
   se gli altri istituti di Chania (Grecia), Montpellier (Francia) e Saragozza (Spagna) godono degli stessi privilegi e immunità. (4-03697)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la Rete di informazione contabile agricola (RICA) è uno strumento comunitario finalizzato a conoscere la situazione economica dell'agricoltura europea e a programmare e valutare la politica agricola comunitaria;
   i dati RICA sono funzionali ad alimentare una serie di indicatori relativi alle caratteristiche delle aziende agricole quali redditività, produttività, struttura dei costi;
   la Rete di informazione contabile agricola (RICA) è un'indagine campionaria annuale istituita dalla Commissione economica europea nel 1965, con il Regolamento (CEE) 79/56 ed aggiornata con il Regolamento (CE) 1217/2009;
   essa viene svolta con un'impostazione analoga in tutti i Paesi membri dell'Unione europea e rappresenta l'unica fonte armonizzata di dati microeconomici sul funzionamento e sulle dinamiche economico-strutturali delle aziende operanti nel settore agricolo;
   la RICA italiana si basa su un campione ragionato di aziende, strutturato in modo da rappresentare le diverse tipologie produttive e dimensionali presenti sul territorio nazionale. Le aziende agricole che partecipano all'indagine RICA vengono selezionate sulla base di un piano di campionamento redatto in ciascun Paese membro a livello di circoscrizione;
   l'INEA (Istituto nazionale di economia agraria) è stato individuato quale «Organo di collegamento» tra l'Italia e l'Unione europea per la creazione e la gestione della RICA (decreto del Presidente della Repubblica n. 1708 del 1965). L'INEA gestisce la RICA attraverso una rete di rilevazione coordinata a livello nazionale dal servizio 1 e a livello locale dai responsabili RICA delle sedi regionali INEA;
   i rilevatori dei dati contabili sulle aziende della rete RICA dell'INEA per la Sicilia sono stati selezionati con un concorso per titoli di cui alla GURS serie speciale concorsi n. 4 del 28 marzo 2003. Sono laureati in scienze agrarie o equipollenti (in prevalenza) e periti agrari ed agrotecnici;
   tale concorso prevedeva che detti tecnici specializzati svolgessero «attività» connesse al protocollo d'intesa tra INEA-ISTAT e regioni/province autonome, con incarico di collaborazione coordinata e continuata o di collaborazione professionale;
   detti rilevatori, allo stato attuale, attendono i pagamenti delle retribuzioni spettanti per le rilevazioni dell'anno contabile 2008, effettuate nel corso del 2009 e gestite dall'INEA tramite la regione siciliana. Dal 2009 in poi l'INEA contrattualizza e gestisce, direttamente i rilevatori siciliani e ha pagato i compensi per le rilevazioni degli anni contabili 2009, 2010, 2011 e 2012 solo ai rilevatori senza partita IVA, mentre tutti i professionisti, rilevatori, con partita IVA attendono le retribuzioni per i lavori di rilevazione per gli anni sopra citati;
   i compensi per l'anno contabile 2008, in base al protocollo d'intesa sopra citato, per un importo di circa euro 137.400,00 sono stati trasferiti dall'INEA all'assessorato delle risorse agricole e alimentari della regione siciliana nell'aprile 2013;
   a tutt'oggi e dopo 10 mesi dal trasferimento dei compensi da parte dell'INEA, dopo una serie di passaggi burocratici tra assessorato delle risorse agricole e alimentari e l'assessorato dell'economia – dipartimento del bilancio e del tesoro – ragioneria generale della regione siciliana, i rilevatori non hanno ancora alcun riscontro dei loro compensi –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato affinché vengano pagati questi professionisti. (4-03684)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   DISTASO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo il rapporto di Legambiente «Ecosistema Rischio», appena presentato, il numero di comuni italiani a rischio idrogeologico è in aumento e sarebbe pari a circa l'80 per cento del totale;
   alla base di questa situazione allarmante ci sono fattori come la mancanza di politiche preventive, la scarsità di risorse a disposizione per opere di messa in sicurezza del territorio e la mancanza di norme in grado di garantire politiche in merito ai criteri di edificabilità;
   secondo il rapporto vi sono realtà regionali che hanno visto crescere, negli ultimi anni, il numero di comuni in situazione di potenziale rischio. Un esempio è costituito dalla Puglia, nel cui territorio vengono calcolati in 200 i comuni a rischio idrogeologico;
   durante l'ultimo Governo Berlusconi fu varato un piano straordinario di durata decennale per la messa in sicurezza delle aree del Paese maggiormente a rischio con una dotazione di 4 miliardi di euro, ma le successive vicende istituzionali non hanno consentito fino a questo momento un suo reale avvio e al momento, secondo le stime elaborate da ANCE (Associazione nazionale costruttori edili), appena il 4 per cento tra gli interventi considerati più urgenti sarebbero stati portati a conclusione;
   l'articolo 1, comma 111, della legge di stabilità per il 2014 (legge n. 147 del 2013) reca un'articolata disciplina volta, per un verso, a destinare risorse già esistenti o allo scopo finalizzate a interventi contro il dissesto idrogeologico immediatamente cantierabili e, per l'altro, a recare uno stanziamento e a definire una nuova disciplina delle modalità di finanziamento di tali interventi. La norma estende, inoltre, il periodo di tempo nel quale è consentita la nomina di commissari straordinari per la rimozione delle situazioni a più elevato rischio idrogeologico;
   per le finalità indicate il comma 111 prevede una specifica procedura, con precise scadenze temporali: entro il 1o marzo 2014 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare proceda alla verifica della compatibilità degli accordi di programma e dei connessi cronoprogrammi con l'esigenza di massimizzare la celerità degli interventi in relazione alle situazioni di massimo rischio per l'incolumità delle persone e, se del caso, propone alle regioni le integrazioni e gli aggiornamenti necessari; entro il 30 aprile 2014, deve avvenire la finalizzazione, da parte dei soggetti titolari, delle risorse disponibili sulle contabilità speciali concernenti gli interventi contro il dissesto idrogeologico, agli interventi immediatamente cantierabili contenuti nell'accordo;
   il comma 111 prevede inoltre che, a decorrere dal 2014, ai fini della necessaria programmazione finanziaria, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare presenti al CIPE, entro il mese di settembre, una relazione che dia conto degli interventi in corso di realizzazione, della prosecuzione ed evoluzione degli accordi di programma, del fabbisogno finanziario necessario per gli esercizi successivi;
   nei giorni scorsi il Ministro pro tempore ha affermato che le priorità da perseguire sono quattro:
    chiudere entro metà febbraio il confronto con le regioni per individuare le priorità da affrontare immediatamente con i fondi di coesione e sviluppo;
    attivare al più presto i fondi già stanziati nelle contabilità speciali e a disposizione dei commissari;
    approvare quanto prima la legge sul consumo del suolo;
    approvare il collegato ambientale, soprattutto nelle parti che prevedono il riassetto della governance delle strutture che si occupano di dissesto idrogeologico;
   nella seduta del 3 ottobre 2013 l'VIII Commissione ambiente della Camera ha approvato, con il parere favorevole del Governo pro tempore, un'articolata risoluzione sottoscritta da tutti i gruppi parlamentari sul tema della messa in sicurezza del territorio indicando priorità e linee d'azione;
   il tema del dissesto idrogeologico, come dimostrato da molti episodi anche recenti, deve rappresentare una priorità assoluta delle politiche del Governo –:
   quali siano i dati aggiornati in possesso del Governo in merito alle aree a rischio idrogeologico sull'intero territorio nazionale e, in particolar modo, in Puglia;
   quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere per portare a realizzazione il piano straordinario sul dissesto idrogeologico e per varare ulteriori misure utili a mettere in sicurezza il territorio;
   in che modo il Ministro interrogato intenda dare concreta attuazione agli impegni di cui alla risoluzione della Commissione ambiente della Camera sopra indicata e ai quattro punti richiamati in premessa ancora in attesa di realizzazione. (4-03685)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Vernotico è un corso d'acqua che nasce sul versante napoletano dei Monti Lattari e sfocia nel mare all'altezza di Castellammare di Stabia, sempre in provincia di Napoli;
   grazie alle acque sorgive provenienti dalla valle di Castello e dell'Imbuto, nella zona di Gragnano, il Vernotico è un importante bacino idrografico, ricadente in misura prevalente nel parco regionale dei Monti Lattari;
   lungo le sponde del torrente Vernotico si è nel corso dei secoli concentrata la presenza di numerosi mulini per la macinazione del grano, da cui si è dato avvio all'attività di produzione della pasta di Gragnano, nota in tutta il mondo ed unica a fregiarsi oggi del marchio comunitario IGP;
   il valore ambientale e paesaggistico della cosiddetta «Valle dei Mulini» ha attirato nel corso dell'Ottocento numerosi viaggiatori del Gran Tour e paesaggisti della scuola di Posillipo, che ne hanno dipinto gli scorci più suggestivi;
   nel corso degli anni il Vernotico è stato oggetto del deposito di rifiuti, tra cui principalmente residui di lavorazione edile, amianto e scarti di lavorazione tessile, e di scarichi liquidi di origine fognaria, inquinamento urbano provocato in via primaria dall'assenza di un adeguato allacciamento alla rete fognaria da parte dei comuni interessati;
   di recente il Vernotico è stato anche protagonista di un crescente fenomeno di scarichi liquidi di colorazione varia e di origine al momento sconosciuta;
   all'inizio del mese di dicembre 2013 questi scarichi sono stati denunciati alla capitaneria di porto di Castellammare di Stabia, alla polizia municipale di Gragnano, al Comando dei carabinieri di Gragnano e Castellammare di Stabia, alla polizia provinciale ed all'Arpac;
   questi scarichi hanno reso le acque del torrente in alcuni tratti addirittura di una tonalità d'azzurro del tutto innaturale, determinando l'interessamento dei media ed una crescente e motivata preoccupazione da parte della cittadinanza;
   la procura competente ha prontamente avviato delle indagini in merito, ma circa un mese dopo è stato segnalato alle autorità un ulteriore, gravissimo peggioramento della situazione, con scarichi di colore nero e dall'odore pungente;
   il caso in esame, oltre a rappresentare una grave situazione di inquinamento ambientale in zone rientranti nel parco regionale dei Monti Lattari, coinvolge direttamente anche il problema del disinquinamento del golfo di Napoli, e più precisamente del litorale sorrentino-stabiese, essendo il Vernotico la principale fonte di inquinamento dopo il fiume Sarno;
   la fonte dell'inquinamento, non dimenticando la presenza degli scarichi fognari di origine urbana summenzionati, potrebbe essere individuabile presso la zona di congiunzione a monte tra i comuni di Gragnano e Pimonte;
   cause del fenomeno potrebbero essere sversamenti illegali ad opera di attività agricole e/o di lavorazione tessile posti nella zona, senza escludere la possibilità che essi siano anche effettuati da autobotti che, con l'avallo di persone del luogo, scaricano in loco sostanze provenienti da altri territori;
   i fatti narrati sono riportati anche da articoli quali quelli pubblicati dal quotidiano d'informazione on-line «Napolitoday» l'8 gennaio 2014 con il titolo «Gli sversamenti rendono il torrente blu elettrico» ed il 9 gennaio 2014 con il titolo «Un tuffo dove l'acqua è più blu, ma nel Vernotico lo è troppo», l'articolo pubblicato dal quotidiano on-line «Metropolis» dal titolo «Gragnano, il Vernotico si colora. Le associazioni: “Problema che riguarda anche Castellammare” » e l'articolo intitolato «Choc alla Valle dei Mulini di Gragnano: sversati vernici e solventi. Le acque diventano blu» e pubblicato dal quotidiano d'informazione on-line «Retenews24» –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, abbiano già preso in merito;
   se non ritengano opportuno, per quanto di competenza, intensificare i controlli per verificare quali siano le reali cause ed assicurarsi che non si prosegua con le attività inquinanti;
   se non ritengano doveroso, alla luce delle disposizioni del decreto-legge n. 136 del 2013, promuovere iniziative per far partire immediate bonifiche del territorio, specie considerata la prossimità di numerosi e popolosi centri abitati e di mulini che producono pasta consumata su tutto il territorio nazionale ed anche all'estero. (4-03705)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRAGA, MARIASTELLA BIANCHI, MORASSUT, GADDA, COMINELLI, CENNI, BRATTI e MARIANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nell'area compresa tra le pendici dei «Castelli romani» e, la zona sud-est di Roma Capitale insistono in modo diffuso e rilevante, oltre il parco dell'Appia Antica, pregiati insediamenti di epoca romana e preromana, nonché aree dell'agro romano significative per il loro valore ambientale e paesaggistico. Sono necessarie politiche di recupero e sviluppo adeguate per valorizzare il patrimonio esistente, come ad esempio il congiungimento del parco dell'Appia Antica con il parco regionale dei Castelli Romani, riunendo così aree, siti e monumenti delle antiche città di «Mugilla-Tellene» e «Bovillae» nonché l'asse pedemontano delle antiche Via «Mola Cavona» e «Anziate»;
   tali opere di ricongiungimento produrrebbero infatti una unica grande area storica, archeologica, ambientale e naturalistica (dai Fori Imperiali, per l'Appia Antica e Bovillae, fino al Tuscolo) che valorizzerebbe notevolmente l'offerta e la fruibilità complessiva del patrimonio storico, culturale e paesaggistico esistente;
   tale area avrebbe quindi una grande risonanza a livello internazionale, permettendo di salvaguardare per le future generazioni la culla dell'antica cultura romana nonché servire da volano per uno sviluppo locale ecocompatibile, sociale, economico ed occupazionale;
   da anni ed in numerose occasioni le comunità locali, comitati di cittadini ed associazioni ambientaliste, hanno già avanzato al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; la richiesta di promuovere la candidatura dell'area romana dell'Appia Antica quale sito Unesco «Patrimonio dell'Umanità»;
   tale area è ed è stata però oggetto di una rilevante cementificazione, soprattutto nel territorio del comune di Marino. Il comune di Marino avrebbe infatti promosso, attraverso apposite varianti urbanistiche, l'edificazione di edifici in alcune zone interessate da insediamenti e beni archeologici. Nell'ultima versione 2011 del piano regolatore generale (Prg) di Marino sono stati infatti aggiunti 1.300.000 metri cubi per almeno 15.000 abitanti, anche in deroga alle previsioni complessive del piano regolatore generale vigente, già esaurite;
   la normativa vigente circa l'edificazione della zona susciterebbe alcune evidenti perplessità, dal momento che nella parte di tale area ricompresa all'interno del comune di Roma vige invece la protezione del vincolo previsto dal decreto ministeriale 25 gennaio 2010 del Ministero per i beni e le attività culturali (Dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardante l'ambito meridionale dell'Agro romano compreso tra le vie Laurentina e Ardeatina-Comune di Roma);
   altri enti locali territoriali hanno espresso da tempo la volontà di salvaguardare la zona dell'Appia antica. Nello specifico la provincia di Roma, durante l'ultima consiliatura elettiva (protocollo 0176120/11 del 18 novembre 2011) ha infatti espresso un chiaro parere negativo circa le deliberazioni ivi edificatorie adottate dal Consiglio comunale di Marino il 3 agosto 2011, in coerenza con il piano territoriale provinciale generale (Ptpg) adottato. In questo contesto è utile anche rimarcare che da anni è in discussione, presso la regione Lazio, una proposta di legge di ampliamento del parco regionale dell'Appia Antica all'area dell'Antica Bovillae;
   è emerso da notizie stampa che sarebbe coinvolta nell'edificazione sopracitata, presente nel piano regolatore generale del comune di Marino, anche l'Inps il tramite la «Idea Fimit» (società strumentale con la quale la stessa Inps, sottoposta alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, gestisce il proprio patrimonio immobiliare);
   secondo quanto riportano gli organi di informazione «Idea Fimit» cederebbe un palazzo nel centro storico di Roma più una parte in capitale liquido per 26 milioni di euro per riceverne dalla society proprietaria «Parsitalia» quote della «Ecovillage». La società «Parsitalia» è capofila dell'operazione di edificazione nella zona del «Divino Amore» (nel comune di Marino) –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero, se conseguentemente i Ministri interrogati non ritengano opportuno attivare iniziative urgenti per estendere l'efficacia del decreto ministeriale 25 gennaio 2010 anche ai comuni di Ciampino e Marino, quale strumento propedeutico indifferibile per favorire nel territorio provinciale di Roma la realizzazione di una unica grande area protetta storica, archeologica, ambientale e naturalistica, capace di divenire un volano per la crescita economica sociale ed occupazionale dei territori interessati e di rappresentare una candidatura autorevole, in ambito nazionale ed internazionale, per il riconoscimento di sito Unesco patrimonio dell'Umanità; 
   se sia opportuno, per una società controllata dall'Inps, intraprendere investimenti immobiliari in zone di riconosciuto prestigio storico naturalistico e di inestimabile valore culturale e paesaggistico. (5-02218)

Interrogazione a risposta scritta:


   BATTELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, recante «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo» prevede l'obbligo per le amministrazioni pubbliche di ridurre il personale dipendente, dirigenziale e non dirigenziale, in misura non inferiore al 10 per cento;
   lo stesso decreto, al fine di ridurre la spesa pubblica, disciplina che «è fatto comunque divieto, ..., di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto»;
   la legge 27 dicembre 2006, n. 296 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)» articolo 1, commi 482 e seguenti, prevede il riordino, la trasformazione o la soppressione di enti ed organismi pubblici statali, nonché strutture amministrative pubbliche statali;
   un recentissimo articolo pubblicato su L'Espresso riporta la notizia di un'indagine che la polizia tributaria della Guardia di finanza starebbe conducendo sulle presunte irregolarità nel contratto di un dirigente dell'Enit, Andrea Babbi, assunto il 1o dicembre 2012, quando erano già entrate in vigore le norme sulla riduzione della spesa pubblica e che già allora vietavano l'assunzione di personale «a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto»;
   il già citato articolo pubblicato su L'Espresso elenca le spese sostenute nell'anno 2013 per l'affitto dei locali ed il costo del personale amministrativo nonché le indennità mensili dei dirigenti, presso le 23 sedi estere dell'Enit, specificando che la gestione dell'Enit, includendo sia le sedi italiane che estere, costa circa 18 miliardi di euro l'anno alle casse dello Stato;
   fonti interne all'Enit e fonti governative, negli ultimi anni hanno riconosciuto che, con l'attuale sistema organizzativo, l'Enit è un ente inutile e può essere chiuso;
   i Governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno manifestato l'interesse e la necessità di procedere ad un riordino dell'Enit. L'ex Ministro Frattini ne aveva proposto l'accorpamento all'Ice (Istituto per il commercio estero) e da ultimo il Governo Monti ne aveva prevista l'abolizione –:
   come intenda applicare la legge 27 dicembre 2006, n. 296, nella parte che prevede il riordino, la trasformazione o la soppressione di enti ed organismi pubblici statali, nonché strutture amministrative pubbliche statali;
   in quale modo intenda intervenire affinché l'Enit non costituisca uno spreco per le casse dello Stato;
   per quale ragione il 1o dicembre 2012 sia stato assunto il nuovo dirigente Andrea Babbi. (4-03700)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Teulada, attraverso il proprio consiglio comunale, in data 8 agosto 2013, ha rinnovato al Governo nazionale la richiesta di aprire una fase nuova per le servitù e il demanio militare, di assoluto interesse per il territorio e per l'intera Sardegna;
   la Sardegna con il 2,5 per cento della popolazione sopporta l'80 per cento del totale nazionale dei demani e servitù militari, 1/3 del quale si trova nel territorio del comune di Teulada;
   il consiglio comunale di Teulada ha rappresentato l'esigenza di avviare una vertenza tra Stato-regione-comune di Teulada sulla materia, che muova ulteriori passi rispetto al passato e si giunga a quel riequilibrio dei gravami militari sempre evocato ma mai concretamente perseguito;
   i permanenti disagi delle servitù militari sono stati accertati e riconosciuti anche attraverso la recente Commissione parlamentare di inchiesta, istituita con deliberazione del Senato del 16 marzo 2010, approvata nella seduta del 30 maggio 2012 la relazione intermedia sulla situazione dei poligoni di tiro, tra cui quello di Teulada, i cui contenuti del documento rivestono una notevole importanza per la comunità, sia in relazione ai nuovi e preoccupanti elementi di conoscenza scaturiti dalle indagini svolte, che riguardo alla formulazione delle proposte indicate nelle conclusioni della relazione stessa, tra le quali spicca la restituzione dei territori non utili ai fini addestrativi, previa bonifica ambientale;
   il comune di Teulada, stritolato da una crisi economica e un tasso di disoccupazione senza precedenti, subisce un progressivo ed incessante spopolamento (perdita di circa 45 per cento della popolazione residente dal 1957 ad oggi);
   ulteriori conseguenze di totale declino sono legate all'esclusione del comune dalla zona franca urbana (ZFU) del territorio del Sulcis-Iglesiente con provvedimento del Ministero dello sviluppo economico decreto ministeriale, 10 aprile 2013 pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell'11 luglio 2013;
   il consiglio comunale nel disposto deliberativo ha chiesto di proporre al Governo centrale l'adozione delle seguenti iniziative ai fini di un superamento della attuale criticità che blocca di fatto lo sviluppo socio-economico del territorio:
    a) immediata e improcrastinabile adozione degli atti normativi necessari affinché si arrivi all'inserimento, fin da subito, del comune nella zona di fiscalità di vantaggio (ZFU) prevista per il territorio del Sulcis-Iglesiente, attualmente individuato e coincidente con i 23 comuni ricadenti nella sopprimenda provincia di Carbonia-Iglesias, con provvedimento del Ministero dello sviluppo economico (decreto ministeriale 10 aprile 2013 pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell'11 luglio 2013). L'esclusione del comune avrebbe conseguenze catastrofiche sul tessuto produttivo locale già logorato da una situazione di drammatica e permanente crisi che va avanti da oltre mezzo secolo e che mette a rischio la tenuta della coesione sociale;
    b) istituzione dell'Osservatorio ambientale e monitoraggio costante del territorio, nell'interesse degli addetti ai lavori e della popolazione tutta; tale attività e assolutamente necessaria per avere dei dati scientifici certi su cui ragionare in maniera serena, non preconcetta ed evitare strumentalizzazioni o distorsioni ideologiche da una parte o dall'altra; tale pratica deve essere necessariamente svolta da enti o soggetti civili quali Istituti di ricerca, università, ASL, eccetera;
    c) richiesta dei Fondi assegnati, sulla base della legge 104 del 1990, più congrui rispetto agli attuali per un ristoro economico attualizzato e proporzionato alla contropartita in termini di territorio sottratto agli usi civili e di limiti allo sviluppo di attività. Ad esempio, parte di questi maggiori fondi potrebbe essere utilizzata per la realizzazione e la gestione del succitato osservatorio ambientale oltre che per altre opere di pubblica utilità;
   inoltre gli stessi fondi necessitano di una maggiore puntualità nell'erogazione e la possibilità di studiare formule per l'erogazione annuale e procedure affinché gli stessi siano esclusi dal patto di stabilità, svincolandoli quindi dal patto stesso e consentendo all'amministrazione di utilizzarli per la pianificazione e programmazione del suo territorio;
    d) riduzione del periodo addestrativo rispetto all'attuale: in un territorio a forte vocazione turistica e che punta al turismo come volano di crescita e sviluppo sostenibile, e indispensabile poter disporre di un congruo periodo di assenza di attività addestrativa. In sostanza, di una finestra più ampia rispetto agli attuali tre mesi estivi, al fine di consentire agli operatori turistici di «vendere» il loro prodotto per un periodo di tempo maggiore, allungando di fatto la stagione e consentendo ai visitatori una fruizione del territorio più estesa durante l'anno;
    e) adozione di provvedimenti normativi in deroga, tali da consentire maggiori opportunità per le ditte locali per le forniture, i lavori e gli appalti legati alla operatività e alla vita del e nel poligono e delle attività addestrative; le imprese locali devono avere una effettiva possibilità a partecipare e a fornire direttamente prestazioni di lavoro o servizi, anche ai fini di creare un indotto che ad oggi e risultato praticamente assente; raggiungere questo risultato consentirà di garantire un livello occupazionale reale e costante e di fronteggiare nel concreto l'attuale crisi occupazionale che costituisce ad oggi una delle principali criticità della nostra comunità;
    f) maggiori opportunità per i giovani del luogo di specializzarsi attraverso opportuni corsi di formazione che li preparino e li rendano adeguati ad attività professionali ed occupazionali all'interno del poligono con particolare riferimento a quelle ad elevata specializzazione, tecnologia e ingegneristica anche in considerazione dell'ammodernamento e della maggiore componente tecnologia di nuove tecniche addestrative rispetto a quelle tradizionali;
    g) riconversione ad usi civili di porzioni di territorio non più utilizzate per attività addestrative, previa messa in sicurezza e bonifica, se necessaria, delle aree da utilizzare per attività economiche civili che consentirebbero di attivare percorsi occupativi e creare posti di lavoro preziosi specie con riguardo a tematiche ambientali e turistiche; anche in considerazione delle aree SIC già individuate, si pensi alla restituzione dell'area dunale «Sabbie Bianche», ai fini dell'istituzione di un'area ambientale tutelata fruibile tutto l'anno oltre che per finalità turistiche anche per finalità didattiche e scientifiche. Alcune aree prospicienti erano state peraltro già in passato rese disponibili per finalità non militari (progetto fotovoltaico);
   altro sito proposto e quello di «Portu Tramatzu» che, oggettivamente non utilizzato a fini addestrativi, può essere riconvertito anch'esso ai fini di una fruizione civile legata alla ricerca scientifica e alla sensibilizzazione ambientale (esempio: Centro di educazione ambientale, museo del mediterraneo);
   tali aree sono poste in posizione strategica (si pensi a Portu Tramatzu lontano poche centinaia di metri dal porto turistico di Teulada) e nel complesso contribuiscono a promuovere un'immagine turistica positiva del territorio, rafforzando in maniera adeguata un settore strategico per la nostra comunità e costituendo di fatto importanti opportunità occupazionali specifiche (biologi, ricercatori, educatori, guide eccetera);
    h) allestimento, ai fini turistici, di campi boa sul fronte delle spiagge ricomprese nell'area poligono militare, in modo da consentire, in piena sicurezza, l'ormeggio dei natanti e delle imbarcazioni;
    i) richiesta di maggiore puntualità nell'erogazione annuale e costante degli indennizzi destinati ai pescatori di Teulada per il riconoscimento del mancato reddito;
    l) riconoscimento di un indennizzo anche ad altre attività economiche, direttamente danneggiate che operano nei pressi delle aree interessate dalle servitù militari, per mancato reddito dalle attività addestrative;
    m) adeguamento di una strada che insiste sul versante ovest del poligono che partendo a nord dalla strada statale 195, attraversando e raccordando alcune frazioni del comune di Teulada, a tratti costeggerebbe il lato interno del poligono, altre volte utilizzerebbe tracciati esterni già esistenti, arrivi direttamente in prossimità del complesso dunale delle Sabbie Bianche per una migliore fruizione;
    n) vista la distanza dai principali punti di soccorso e presidi ospedalieri e considerato il livello di isolamento geografico, disponibilità e utilizzo dell'eliporto militare anche per fini civili quali elisoccorso, protezione civile, servizio antincendio e altro –:
   se non ritengano i Ministri competenti di dover intervenire senza ulteriori indugi al fine di accogliere le istanze del comune di Teulada attraverso provvedimenti urgenti e indifferibili considerata la gravità della situazione;
   se non ritenga il Ministro della difesa di dover dar immediata attuazione a tutte quelle azioni necessarie a bonificare e recuperare allo sviluppo economico tutte quelle aree destinate a zona militare considerate le vocazioni naturali della Sardegna e di quelle aree site nel territorio del comune di Teulada;
   se non ritenga di dover predisporre un serio piano di equi indennizzi sia pregressi che futuri non solo per le attività a mare ma anche e soprattutto per le gravi ricadute economiche che si generano sull'intero territorio;
   se non ritenga di dover adeguare gli attuali indennizzi per tutte quelle marinerie che operano nell'area contigua e che subiscono danni evidenti e rilevanti;
   se non ritenga di dover sottoscrivere con la regione Sardegna un piano di dismissione delle zone militari previa bonifica rilevante delle stesse;
   se non ritenga di dover vietare qualsiasi tipo di attività che danneggi in modo irreversibile le bellezze naturali della Sardegna a partire dal patrimonio paesaggistico e naturalistico delle coste dove sono insite le basi militari. (5-02221)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   anche oggi, 13 febbraio 2014, è stata sfiorata la tragedia in una scuola a causa del crollo di un soffitto in un'aula che ha causato il ferimento di tre alunni, colpiti dai calcinacci e dall'intonaco;
   l'episodio è avvenuto nella scuola statale «Marinella Bragaglia», ma ricorda ormai molti, troppi fatti simili avvenuti in altre scuole italiane che, da luogo di formazione, si stanno trasformando in potenziali pericoli: nel corso del 2013 sono state sfiorate 29 tragedie a causa di crolli di diversa entità;
   gli istituti scolastici sono edifici trascurati, troppo spesso privi delle garanzie sulla sicurezza tanto da mettere a rischio l'incolumità degli studenti che le frequentano: il 40 per cento delle strutture è privo del certificato di agibilità, il 37 per cento necessita di interventi di manutenzione urgente e il 60 per cento non ha il certificato di prevenzione incendi, come emerso dal Rapporto «Ecosistema scuola» 2013, elaborato da Legambiente, indagine che ha preso in considerazione la qualità delle strutture e dei servizi della scuola dell'infanzia primaria e secondaria di primo grado di 94 capoluoghi di provincia;
   sempre secondo il Rapporto di Legambiente, tranne le eccezioni di Trento, Prato e Piacenza, circa il 62 per cento dei 5.301 edifici analizzati, è stato costruito prima del 1974, mentre solo il 4,8 per cento è stato costruito tra il 2001 e il 2002 e appena lo 0,6 per cento risulta edificato con criteri di bioedilizia;
   in un Paese notoriamente a rischio sismico, inoltre, appena il 9 per cento delle scuole è stato costruito con criteri antisismici: la verifica di vulnerabilità sismica è stata realizzata solo sul 27 per cento degli edifici, mentre nei comuni che si trovano in aree a rischio sismico e idrogeologo, solo il 21 per cento gli edifici ha compiuto la verifica di tenuta delle strutture;
   per quanto riguarda l'attenzione all'inquinamento, c’è una diminuzione dei comuni impegnati nell'effettuare i controlli relativi all'amianto negli edifici scolastici, anche se aumentano, invece, i casi certificati di amianto (10,5 per cento) e quelli sospetti (3,1 per cento). Problemi di monitoraggio si riscontrano anche per le fonti d'inquinamento ambientale esterne come elettrodotti, emittenti radio televisive, antenne dei cellulari;
   l’«XI Rapporto su sicurezza, qualità e comfort degli edifici scolastici» di Cittadinanzattiva, analizzando 165 istituti in 18 regioni, ha rilevato la presenza anche di altri problemi delle scuole: dalla scarsa igiene dei bagni, alla presenza di barriere architettoniche, fino al sovraffollamento delle aule, e in più di un terzo dei casi (39 per cento) arredi non a norma, inadeguati, ad esempio, all'altezza degli alunni;
   secondo questo studio, l'84 per cento delle scuole avrebbe richiesto dei lavori di mantenimento, ma nel 21 per cento dei casi l'ente interessato ha risposto con estremo ritardo, mentre il 34 per cento degli istituti ha sollecitato degli interventi strutturali, che richiedono più soldi e tempo, ma solo in un caso su quattro dall'ente proprietario c’è stata una risposta tempestiva e nel 14 per cento dei casi non è stato preso nessun provvedimento;
   una classe su 5 ha più di 25 alunni, dunque non è adeguata alla normativa antincendio, e pur applicando l'articolo 64 del decreto-legge n.112 del 2008, che ha innalzato il limite di alunni per classe, sono state riscontrate 47 classi fuorilegge;
   i dati sono allarmanti anche per i 207.244 ragazzi disabili che quest'anno frequenteranno gli istituti italiani perché il 44 per cento delle aule non ha banchi adatti per una persona in carrozzina e, nel 57 per cento dei casi, non ci sono in aula attrezzature didattiche o tecnologiche per facilitare la partecipazione alle lezioni;
   negli edifici scolastici anche la palestra non gode di un buono stato di salute: il 28 per cento delle scuole non ne possiede una all'interno dell'edificio e, se presente, nel 19 per cento dei casi vi si trovano distacchi di intonaco, muffe ed infiltrazioni (24 per cento), barriere architettoniche (18 per cento) fonti di pericolo (23 per cento), nell'8 per cento dei casi non vi è attrezzatura e quasi una su due (44 per cento) è priva di cassetta di pronto soccorso; tutto questo nonostante l'Organizzazione mondiale della sanità sottolinei da anni la grande importanza dell'attività fisica nell'età della crescita, che contribuisce allo sviluppo di tessuti muscolo scheletrici, del sistema cardiovascolare ed endocrino-metabolico, favorisce il mantenimento del peso ideale e mette «al riparo» dall'eventuale propensione a disturbi come ansia e depressione;
   sembra ancora lunga l'attesa di un'anagrafe-scolastica fondamentale per gestire agilmente e in modo mirato i fondi da destinare alla ristrutturazione degli edifici;
   quest'anno le famiglie italiane hanno dovuto elargire circa 390 milioni di euro sotto forma di contributo volontario o donazione di materiali e beni per supportare la scuola italiana;
   l'urgenza di intervenire con un piano di riqualificazione per gran parte del patrimonio esistente, prevedendo un piano nazionale per l'edilizia scolastica che metta in sicurezza ed innovi l'intero patrimonio scolastico, è strettamente legata anche alla necessità di avere strutture adeguate alle nuove esigenze didattiche, in considerazione del fatto che se il profilo della sicurezza è da considerarsi oltremodo preoccupante e impone interventi urgenti, va anche considerato che tutte le indagini internazionali sul rendimento degli studi confermano la centralità e la decisiva influenza positiva esercitata dalla confortevole e adeguata organizzazione degli spazi scolastici sull'efficacia dell'attività didattica e sui livelli di apprendimento;
   il problema non riguarda solo la manutenzione straordinaria: gli enti locali non hanno più i fondi neanche per quella ordinaria: gli enti locali si ritrovano spesso nell'impossibilità di fronteggiare eventi improvvisi o guasti che seppure di piccola entità, diventano rischiosi per l'incolumità della comunità scolastica, sono infatti ben il 56 per cento del totale gli edifici che negli ultimi 5 anni non hanno goduto di nessun tipo di intervento;
   la Rete studenti, dopo l'incidente di questa mattina, ribadisce l'urgenza di interventi sull'edilizia scolastica dicendo che: «nel nostro paese più di una scuola su due non è a norma. È uno scandalo, un’ emergenza nazionale. Anche questa volta abbiamo sfiorato la tragedia. Troppo spesso sentiamo notizie come questa, e non siamo più disposti ad aspettare l'ennesima tragedia. Lo diciamo da anni: non si può avere paura di andare a scuola. Deve essere completata l'anagrafe nazionale degli istituti scolastici, così da avere un quadro chiaro e rimettere in sesto gli edifici che non sono a norma. Non si può più attendere» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della penosa situazione degli istituti scolastici esposta in premessa e quali iniziative, anche di carattere normativo, intendano intraprendere affinché siano realizzati gli interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle scuole per evitare sia i disagi che i pericoli connessi alla permanenza in ambienti degradati e fatiscenti, e garantire dunque l'incolumità fisica della comunità scolastica;
   se non si intenda assumere il tema dell'edilizia scolastica tra le priorità del Governo, visto che l’«ambiente scuola», anche nella sua struttura edilizia è quello che determina il clima pedagogico necessario alla crescita equilibrata e responsabile degli studenti, e stabilire e attuare un piano nazionale per mettere in sicurezza gli edifici, individuando le risorse necessarie sulla base delle necessità rilevate dagli enti locali;
   se non si intenda infine aprire un'indagine conoscitiva sullo stato del patrimonio dell'edilizia scolastica del Paese tenendo conto delle norme vigenti sulla sicurezza e sul diritto allo studio al fine di avere un quadro nazionale certo della situazione, per rivedere con urgenza la legge stessa e procedere ad una grande operazione di riqualificazione e recupero del patrimonio scolastico italiano. (4-03688)


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il documento denominato: «Le prospettive della finanza pubblica, dopo la legge di stabilità per il 2014», presentato ieri dalla Corte dei conti, allegato alla relazione Quadrimestrale sui conti pubblici, realizzato con l'apporto di tre centri studi indipendenti: il Cer, Prometeia e Ref, ha rilevato che la legge 23 dicembre 2013, n.147 (legge di stabilità per il 2014), rappresenta un provvedimento triennale di finanza pubblica che non determinerà alcuna prospettiva di crescita significativa;
   la relazione tecnica della magistratura contabile definisce infatti né di crescita né di risanamento i contenuti della suindicata legge di stabilità 2014, traendo giudizi severi con riferimento alle coperture finanziarie definite fragili, i cui effetti causeranno un mancato gettito, di 2,8 miliardi dal 2014 al 2016 e per 13,7 miliardi entro fine legislatura (2017-2020), con ripercussioni al ribasso sul PIL e sul deficit pubblico ed un pericoloso aumento della spesa corrente;
   l'aspetto più preoccupante dell'analisi della Corte dei conti, riguarda l'anticipo una tantum di una rilevante massa di entrate fiscali, che sono state utilizzate per la copertura di spese o per l'abolizione dell'IMU sulla prima casa;
   le suddette misure finanziarie sono infatti configurate, dall'innalzamento degli acconti nel 2013 per banche e assicurazioni, che hanno dovuto anticipare fino al 130 per cento l'IRAP del 2014, i cui effetti sebbene abbiano giovato ai conti pubblici dello scorso anno per 3,7 miliardi di euro, determineranno per il prossimo triennio, il problema di colmare un automatico vuoto di gettito pari a 2,8 miliardi di euro;
   ulteriori profili di criticità che emergono dalla relazione tecnica della Corte dei conti, riguardano una serie di imposte ad adesione volontaria, previste all'interno della legge di stabilità per il 2014, che possono determinare rischi sul futuro gettito;
   se le banche e le imprese, da un lato, hanno potuto rivalutare i propri beni, riallineare valori delle partecipazioni o svalutare le sofferenze, pagando una semplice imposta sostitutiva, consentendo di incassare nel 2014 all'erario 1,6 miliardi di euro, dall'altro tale operazione di anticipo, definita una convergenza di interessi dalla stessa magistratura contabile, permetterà per il periodo 2017-2020 una serie di sconti fiscali, in termini di costi deducibili e di abbattimento di plusvalenze per un ammontare complessivo pari a 13,7 miliardi di euro;
   le predette risorse, prosegue il documento contabile, risulteranno indisponibili già dalla fine della legislatura, a meno che non si proceda attraverso l'aumento della pressione fiscale enormemente con il previsto taglio di detrazioni per 11,8 miliardi di euro all'anno;
   se sul fronte delle entrate, il giudizio secondo le considerazioni in precedenza indicate, risulta essere palesemente severo, non meno intransigente appare il monito che giunge sul versante delle spese;
   il rapporto ridimensiona infatti, di mezzo punto le previsioni sulla crescita del prodotto interno lordo, nel triennio 2014-2016 e tutti gli obiettivi di deficit vengono corretti al rialzo: a partire da quello relativo al 2015, che il Governo intende ridurre all'1,6 per cento e che invece secondo il parere espresso della Corte dei conti, dovrebbe aumentare al 2,4 per cento;
   le numerose norme microsettoriali e localistiche previste dalla legge di stabilità per il 2014, quantificate in 200 modifiche, hanno inoltre determinato un aumento della spesa pubblica pari a 7,6 miliardi di euro, descritto come «allentamento del rigore», nonostante nel periodo di esame della legge di stabilità per il 2014, erano state avviate le procedure da parte del Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, finalizzate ad una direzione opposta;
   la relazione tecnica della magistratura contabile, conclude evidenziando la prospettiva che il pareggio di bilancio in termini nominali, che nel 2011, era previsto per il 2013 e successivamente slittato al 2017, in un quadro di ripresa, non consentirà al nostro Paese di beneficiare degli sconti automatici dovuti al ciclo negativo, in concomitanza peraltro dell'avvio del processo del fiscal compact;
   il quadro complessivo delineato dalla Corte dei conti, a giudizio dell'interrogante, ove fosse confermato, desta indiscutibili preoccupazioni e perplessità in considerazione, sia del rilevante gettito che risulterebbe mancante per il periodo 2017-2020 stimato in oltre 13 miliardi di euro, che delle numerose valutazioni negative espresse, rimaste inascoltate, sia dalla maggior parte delle associazioni industriali e del commercio nazionale, che dai principali organismi economici sia nazionali che internazionali, i quali hanno nel corso dell'esame del disegno di legge di stabilità 2014, manifestato a più riprese gli effetti negativi e penalizzanti derivanti dall'impianto normativo della manovra economica di finanza pubblica per il triennio;
   l'interrogante evidenzia come necessitano urgenti precisazioni da parte del Ministro interrogato, con riferimento ai numerosi e rilevanti rilievi critici indicati dalla Corte dei conti, attraverso la relazione tecnica, se si valutano le conseguenze derivanti dalle incertezze del quadro economico e fiscale, nel caso fossero confermate le stime emerse dal documento della magistratura contabile –:
   se intenda confermare il contenuto allarmistico derivante dalla relazione tecnica della Corte dei conti esposta in premessa, secondo la quale la manovra economica di finanza pubblica per il triennio 2014-2016, contiene una serie di misure finanziarie nel complesso insoddisfacenti ed insufficienti nel sostenere l'economia del Paese e riporta la spesa corrente su un percorso di crescita;
   in caso affermativo quali misure urgenti e necessarie intenda prevedere, al fine di correggere lo scostamento delle misure previste dalla legge di legge di stabilità per il 2014, i cui effetti secondo quanto rilevato dalla magistratura contabile, sono contrassegnati da una impostazione non priva di rischi per la tenuta dei conti pubblici;
   quali iniziative urgenti e necessarie intenda infine intraprendere al fine di accelerare il processo degli obiettivi di risparmio previsti dalla revisione della spesa pubblica, il cui rallentamento a differenza di quanto in diverse occasioni è stato affermato dal Governo Letta, nel corso dei mesi precedenti, determina inevitabili conseguenze negative sul quadro economico complessivo, allungando i tempi per l'auspicata ripresa dell'economia italiana. (4-03690)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ALBANELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 febbraio 2014 la ditta «Sicilia Polis», assegnataria dell'appalto per il servizio di vigilanza e gestione degli impianti di sicurezza del palazzo di giustizia di Caltagirone, ha annunciato la cessazione dell'appalto e il conseguente licenziamento dei nove agenti impiegati nell'attività di tutela della struttura;
   tale decisione comporterà drammatiche conseguenze per le persone coinvolte e rischia di provocare seri disagi in ordine alla sicurezza degli operatori e degli utenti del palazzo di giustizia;
   una positiva soluzione della vicenda, secondo alcuni componenti della giunta comunale, può essere rappresentata dal ricorso da parte del comune ai contributi previsti dalla legge 24 aprile 1941, n. 392 («Trasferimento ai Comuni del servizio dei locali e dei mobili degli Uffici giudiziari») e dal decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1988, n. 187;
   il beneficio di tali contributi – che, a detta dei medesimi rappresentanti del comune, non vengono erogati dal Ministero della giustizia da 4 anni a fronte di una spesa di più di 3 milioni sostenuta dal comune nel triennio 2010-2012 – consentirebbe di mantenere l'appalto del servizio di vigilanza, preservando i posti di lavoro dei citati 9 agenti della «Sicilia polis» e continuando a garantire la sicurezza nel palazzo di giustizia di Caltagirone –:
   se non intenda adoperarsi con la massima urgenza allo scopo di provvedere all'erogazione dei contributi previsti dalle disposizioni legislative menzionate in premessa a favore del comune di Caltagirone. (5-02220)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 61, comma 23, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008, ha istituito il Fondo unico di giustizia (Fug) per ricevere le somme di denaro e gli altri proventi relativi a titoli a portatore, crediti pecuniari, conti correnti, libretti di deposito, ed ogni altra attività finanziaria a contenuto monetario o patrimoniale sequestrati e/o confiscati nell'ambito di procedimenti penali, dell'applicazione di misure di prevenzione o di irrogazione di sanzioni amministrative;
   confluiscono nel Fondo unico di giustizia anche somme sequestrate dall'Agenzia delle dogane e dalla Guardia di finanza nell'ambito delle attività di controllo sul denaro contante in entrata e in uscita dai confini comunitari, i depositi giacenti da 5 anni presso Poste e banche nell'ambito dei processi civili e non reclamati e le somme che, al termine delle procedure fallimentari, non sono state riscosse dai creditori;
   il Fondo unico di giustizia è gestito da circa 6 anni da Equitalia Giustizia spa;
   nonostante l'enorme rilevanza delle somme di cui parliamo, molti addetti ai lavori ignorano la reale consistenza del Fondo;
   una gestione burocratica eccessiva ha comportato per molti l'impossibilità di visionare una precisa rendicontazione del flusso finanziario in esame;
   la società Equitalia Giustizia spa, che gestisce il fondo, ha costantemente prodotto perdite, con l'unica eccezione del bilancio 2012;
   basti pensare, ad esempio, alla voce di bilancio relativa ai Servizi Ict, ovvero legati alla tecnologia dell'informazione e della comunicazione, salita come spesa nel 2011 a 683.235 euro dai 395.473 dell'anno precedente, o anche la voce relativa alle spese per il personale distaccato, passata nello stesso anno a 863.035 euro dai 750.000 precedenti;
   sempre nello stesso anno (il 2011) sono aumentate le spese per il capitolo relativo alla locazione per uso ufficio (lievitata da 319.195 euro a 579.463 euro) e quelle per il capitolo relativo agli altri costi connessi al personale (da 175.556 euro a 254.360 euro);
   non appare chiaro il tipo di ritorno ed utile per la collettività garantito da tale gestione finanziaria delle liquidità sottratte alla criminalità organizzata;
   queste liquidità, infatti, dovrebbero da sole fruttare interessi, che potrebbero essere poi ripartiti tra forze dell'ordine ed uffici giudiziari, così da migliorare il funzionamento del sistema giustizia, oppure utilizzati per consentire un utilizzo intelligente e produttivo dei beni confiscati;
   il rendimento del Fondo, invece, è stato solo dello 0,10 per cento, tale in pratica da pareggiare le spese con gli utili;
   nel 2010, ad esempio, il Ministero della giustizia ha versato ad Equitalia Giustizia spa circa 5.456.000 euro, generando utili netti finanziari per 884.000 euro circa, ma Equitalia Giustizia ha investito nello stesso anno risorse per complessivi 840.074.338 euro, per cui la gestione del Fondo per lo Stato è stata fallimentare, producendo di fatto un utile netto finanziario dello 0,10 per cento, drammaticamente prossimo allo zero;
   lo Stato ha donato a fondo perduto ad Equitalia Giustizia, in fase costitutiva, l'intero suo capitale sociale, di dieci milioni di euro;
   il massimo rendimento atteso di Equitalia Giustizia dalla gestione del Fug, ovvero l'utile netto annuo che ne potrebbe ricavare, è dato esclusivamente dal compenso che ottiene dallo Stato sull'utile lordo finanziario prodotto;
   nell'anno 2010 è stato il 5 per cento su 6 milioni di euro ottenuti nello stesso anno quali rendimenti lordi finanziari;
   il recupero del capitale iniziale investito è, di questo passo, per Equitalia Giustizia di oltre 30 anni;
   i fatti narrati sono riportati anche nell'articolo pubblicato il 5 novembre 2013 da Il Mattino con il titolo «Troppa burocrazia, si utilizzino quei soldi subito», nell'articolo intitolato «Spese record con i fondi dei beni confiscati» pubblicato da Il Mattino il 5 novembre 2013, nell'articolo del 5 novembre 2013 dal titolo «Mafia, il flop del denaro sequestrato ai boss: “divorato” dalla burocrazia» pubblicato da Il Mattino e nell'articolo pubblicato da Il Mattino il 7 novembre 2013 con il titolo «Non sprecare beni e fondi tolti alla mafia» –:
   quali misure abbiano, per quanto di competenza, già preso in merito;
   se non ritengano di dover operare immediatamente al fine di rendere maggiormente trasparente la gestione del Fondo unico di giustizia;
   se non sia opportuno investire le somme in questione per la gestione delle aziende confiscate, così da non acuire la crisi sopportata da centinaia di famiglie private da qualsivoglia fonte di reddito, e, anche alla luce delle disposizioni di cui al decreto-legge n. 136 del 2013, per le bonifiche ambientali nei territori campani devastati dalle attività della criminalità organizzata. (4-03704)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le Ferrovie appulo lucane sono una società a responsabilità limitata di proprietà del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nata dalla scissione delle Ferrovie calabro lucane attuata nel 2001. Tale azienda ha in carico la gestione delle linee scartamento ridotto (0,950 metri) fra la Puglia e la Basilicata e dei servizi ferroviari su di esse per conto delle citate regioni, oltre che di numerose autolinee nella medesima area;
   l'8 agosto 2013 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha proceduto alla nomina del nuovo consiglio di amministrazione delle Ferrovie appulo lucane, rinnovando il mandato di presidente a Colamussi;
   Matteo Colamussi è stato vice segretario di Forza Italia a Bari ed opera anche come assicuratore nella città di Rutigliano (Bari);
   l'Unione sindacale di base (Usb) ha criticato la nomina succitata, interpellando il 15 ottobre 2013 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il presidente della Corte dei conti e l'agenzia Civit;
   le ragioni della contestazione della nomina da parte del sindacato si basano su una presunta incompatibilità di incarichi. Infatti Colamussi ricopre dal 27 luglio 2009, oltre che la carica di presidente delle Fal, anche la carica elettiva di presidente del consiglio comunale di Rutigliano (Bari), comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti. Di conseguenza – secondo il sindacato – Colamussi non può svolgere anche la carica di presidente Fal, in quanto le due cariche sarebbero incompatibili. Quanto appena detto in virtù del decreto legislativo n. 39 dell'8 aprile 2013, articolo 1, comma 2, lettera e); articolo 7, comma 2, in materia di incompatibilità di incarichi presso enti di diritto privato in controllo pubblico («la proprietà del capitale sociale delle Fal è detenuta al 100 per cento dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti») da parte di membri dei consigli comunali con una popolazione superiore a 15.000 abitanti che qualora giuridicamente accertata per Colamussi dovrebbe decorrere a partire da luglio 2009 (data in cui è stato nominato presidente del consiglio comunale);
   si precisa inoltre che nel 2012, Matteo Colamussi ha assunto anche le funzioni di direttore generale della stessa azienda (nonostante tale figura non fosse prevista dall'organigramma e senza che venisse bandito un concorso pubblico). Una procedura alquanto singolare perché la nomina a direttore è stata deliberata dallo stesso consiglio di amministrazione di cui Colamussi era allora ed è tuttora presidente. La questione appena citata è stata ripresa anche da diversi articoli di stampa locale;
   il sindacato ha più volte evidenziato agli enti pubblici locali e nazionali le problematiche che a suo dire derivano da una cattiva gestione aziendale come ad esempio: le assunzioni del personale a chiamata diretta, con violazione dell'articolo 18 del decreto-legge n. 112 del 2008 (che invece prevede le assunzioni mediante concorsi pubblici), il mancato espletamento delle gare per la fornitura dei servizi; la mancata applicazione della legge che consente l'alienazione delle vecchie case cantoniere e l'applicazione di un organigramma mai ufficializzato;
   inoltre, secondo Usb, il presidente Colamussi non appare, ad avviso dell'interrogante, in grado di razionalizzare le risorse aziendali che si traduce nel mancato pensionamento dei lavoratori che hanno maturato i requisiti con esempi di personale ultra sessantacinquenne e la sospensione dei lavori di ammodernamento delle linee, nonostante gli ingenti finanziamenti –:
   se i fatti sopra citati trovino conferma e se il Ministro ne sia a conoscenza;
   se, ove gli incarichi di cui sopra risultassero incompatibili, intenda assumere iniziative per revocare la nomina di Colamussi in virtù del decreto legislativo n. 39 dell'8 aprile 2013, articolo 1, comma 2, lettera e), ed articolo 7, comma 2, nominando un soggetto con requisiti meritocratici, trasparenti e nel rispetto della legge vigente, al fine di assicurare una gestione e amministrazione che garantisca efficacia ed efficienza del servizio di mobilità. (5-02222)

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è attiva fra Faenza e Firenze una linea ferroviaria, il cosiddetto treno di Dante, che incontra le esigenze di un numero crescente di utenti, turisti e pendolari;
   la tratta ha attualmente un tempo di percorrenza di 1 ora e 45 minuti, e che una diversa organizzazione renderebbe teoricamente possibile, in assenza di investimenti, collegare le città d'arte di Ferrara e Ravenna con Firenze in 2 ore, al prezzo di 10 euro a biglietto, con evidenti ricadute positive per il turismo;
   l'alternativa è attualmente rappresentata dal Frecciarossa Bologna-Firenze, che, con tempi complessivi di percorrenza complessivamente analoghi, ha un prezzo di oltre 40 euro ed è inutilizzabile dai pendolari dell'area collinare tosco-romagnola;
   sarebbe quindi ragionevole aspettarsi un'organizzazione del traffico ferroviario che faciliti i collegamenti con Faenza dalla provincia di Ravenna e Ferrara, al fine di rendere utilizzabile il collegamento con 1'Appennino e con Firenze;
   il nuovo orario ferroviario va invece in direzione contraria, cancellando coincidenze, al punto da lasciare il dubbio che si voglia penalizzare il traffico diverso da quello ad alta velocità, anche laddove competitivo in termini di costi e tempi di percorrenza;
   tale scelta sarebbe sbagliata tanto sul piano della programmazione della mobilità locale, in un'area fortemente gravata dal traffico veicolare, quanto dell'investimento su un turismo di qualità, eco-sostenibile e legato a percorsi naturalistici e culturali –:
   se e come il Governo intenda intervenire, in coordinamento con la regione Emilia Romagna, per impedire che scelte di business di Ferrovie dello Stato diventino un oggettivo impedimento alle funzioni di servizio pubblico che dovrebbero essere proprie del servizio ferroviario. (4-03687)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   DI GIOIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto di vigilanza «METROPOL» ha svolto la propria attività sul territorio pugliese per oltre venti anni, garantendo lavoro a 240 dipendenti, arrivando a collocarsi al secondo posto tra le aziende leader del settore della vigilanza in Puglia nonché al settimo posto in Italia;
   in data 15 febbraio 2013, la prefettura di Foggia, comunicava tramite raccomandata (prot. n. 419272013/AREA 1a Bis), al signor Rizzi, legale rappresentante dell'istituto di vigilanza «METROPOL Srl» di Foggia, l'avvio di un procedimento per la revoca dell'autorizzazione ex articolo) 134 TULPS;
   tale data corrispondeva a quella dell'aggiudicazione provvisoria, da parte dell'istituto di vigilanza in questione, della gara d'appalto presso il Poligrafico dello Stato per un valore complessivo di circa 4 milioni di euro;
   tale procedimento era avviato sul presupposto che, a seguito di accertamenti condotti dagli organi di polizia, sarebbe emerso che 6 dipendenti dell'istituto di vigilanza, dei quali due avevano già cessato la loro attività, avevano legami di parentela o frequentazioni con esponenti della criminalità organizzata;
   i restanti quattro dipendenti, ancora in servizio, venivano licenziati in data 20 marzo 2013;
   due delle dipendenti licenziate impugnavano tale provvedimento presso il tribunale del lavoro di Foggia che ne ordinava il reintegro nel posto di lavoro, con condanna per la «METROPOL Srl» al pagamento delle spese legali e delle mensilità arretrate;
   i giudici del lavoro evidenziarono, tra l'altro, che la parentela con eventuali soggetti collegati alla criminalità sia priva di riferimenti alla condotta del lavoratore e sia circostanza del tutto generica e non comprovata da circostanze probatorie concrete;
   la «METROPOL Srl» aveva, d'altronde, già fatto presente che, in ogni caso, la società era assolutamente all'oscuro di qualsivoglia legame di parentela o frequentazione degli stessi con soggetti legati alla criminalità organizzata;
   l'istituto aveva fatto presente che aveva 206 guardie particolari giurate, di queste 115 erano state assunte direttamente, conformemente alla disposizioni della legge vigente e alla prassi in uso presso la prefettura di Foggia, e 91 che erano state acquisite dopo l'acquisto del ramo d'azienda della cessata ex cooperativa «La Centotre», operazione questa autorizzata dal Ministero dello sviluppo economico con nota prot. n. 0126634 del 30 maggio 2012;
   METROPOL si era impegnato a tali assunzioni, a condizione che le guardie giurate fossero in regola con i titoli di polizia, a garanzia che le stesse avessero già superato le verifiche della prefettura e della polizia;
   era stata cura della società verificare che tutti gli assunti non avessero carichi pendenti attraverso l'estrazione del relativo certificato;
   va ricordato, inoltre, che per le guardie giurate la licenza di porto d'armi viene rilasciata dal prefetto soltanto dopo l'effettuazione della verifica dei presupposti di buona condotta e illibata moralità da parte del questore o degli organi di polizia competenti;
   analogamente, ai sensi dell'articolo 134 del TULPS, spetta alla prefettura il rilascio del decreto di nomina a guardia particolare giurata e l'avvio del procedimento che verifichi i presupposti per tale licenza;
   non a caso l'articolo 138 del TULPS prevede che ogni due anni i titolari di porto d'armi debbano rinnovare il proprio titolo abilitativo;
   a tal proposito va rilevato che la METROPOL, nei rari casi in cui la prefettura, nel corso degli anni, ha negato il rilascio del decreto di nomina di guardia giurata, non ha mai assunto tale personale;
   al contrario, nessun soggetto privato ha alcun potere o modo di verificare la condotta del proprio dipendente fuori dal posto di lavoro, né le sue frequentazioni o parentele;
   sarebbe singolare se corrispondesse al vero, come viene pubblicamente denunciato, che a nessuna delle persone ritenute pericolose dalla prefettura, sia stato ancora revocato il porto d'armi;
   nello stesso periodo, sia al Poligrafico dello Stato che al direttore generale degli ospedali riuniti di Foggia venivano recapitati, a mezzo di plico postali anonimi, copie della comunicazione prefettizia, diretta al signor Rizzi, con la quale prefettura avviava il procedimento di revoca della licenza;
   da ciò gli enti interessati comunicavano che avrebbero valutato l'interruzione di servizio con un provvedimento di autotutela;
   tale fuga di notizie ha rappresentato, sicuramente, una circostanza grave che ha creato notevoli danni economici e di immagine all'istituto «METROPOL Srl»;
   in data 18 giugno 2013, la prefettura di Foggia, attraverso il dirigente dell'area 1a, rispondeva ad una richiesta di informazioni antimafia ai sensi dell'articolo 91, del decreto legislativo n. 159 del 2011, avanzata dalla direzione qualità sicurezza, ambiente e servizio generali, sulla ditta «METROPOL Srl» e sul suo amministratore unico, Rizzi Leonardo, affermando che «non risultano tentativi di infiltrazione mafiosa nonché cause di divieto, di decadenza e di sospensione previste dall'articolo 67 del sopra citato decreto legislativo»;
   in data 23 luglio 2013, il signor Rizzi come amministratore unico di «METROPOL» ha presentato una denuncia presso il Tribunale di Foggia denunciando impedimenti e ritardi, ad opera di alcuni funzionali della prefettura, nei confronti della propria azienda nonché procedure non esattamente in linea con la legge vigente in occasione di bandi pubblici;
   in data 29 gennaio 2014, il prefetto della provincia di Foggia, dopo aver rigettato le numerose memorie difensive dell'interessato, decretava il ritiro dell'autorizzazione, rilasciata al signor Rizzi, in merito alla gestione dell'istituto di vigilanza privata «METROPOL Srl» –:
   se non si ritenga opportuno ed urgente verificare tutte le circostanze sopra descritte al fine di accertare la reale dinamica dei fatti e gli elementi, in base ai quali, è stato deciso, dal prefetto di Foggia, il ritiro dell'autorizzazione alla società «METROPOL Srl» con il relativo prevedibile licenziamento di ben 240 dipendenti;
   per quale motivo il dirigente dell'area 1a, in data 18 giugno 2013, rispondendo ad una richiesta dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, dichiarava che non risultavano tentativi di infiltrazione mafiosa nonché cause di divieto, di decadenza e di sospensione previste dall'articolo 67 del decreto legislativo n. 159 del 2011;
   se si ritenga conforme alla legge che la prefettura che è responsabile del rilascio dell'autorizzazione per il porto d'armi e del rilascio del decreto di guardia giurata abbia concesso tali permessi a persone che ha poi dichiarato essere pericolose e se corrisponda al vero che agli stessi non è stato revocato il porto d'armi. (3-00647)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il corpo dei vigili del fuoco svolge compiti fondamentali a tutela dei beni e della collettività, operando spesso in condizioni critiche e garantendo l'incolumità dei cittadini a rischio della vita, peraltro in un contesto di gravi carenze di personale, logistiche e di attrezzature;
   come soluzione a tali carenze di personale, in luogo di assunzioni a tempo indeterminato che permettano di arruolare personale preparato attraverso adeguati corsi di formazione e selezionati attraverso regolari procedure concorsuali, esistono tre tipi di vigili del fuoco: i permanenti (ovvero i professionisti con contratto a tempo indeterminato), i discontinui e i volontari;
   in particolare, i vigili del fuoco discontinui sono reclutati sulla base delle necessità, attraverso una procedura di richiamo dal comando di appartenenza, con un tetto massimo di 160 giorni di richiamo l'anno: si tratta pertanto di una tipologia di lavoro atipico, regolata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004;
   l'arruolamento come vigile del fuoco permanente avviene attraverso procedure di concorso molto restrittive, con una media di età massima tra i 35 ed i 37 anni, di fatto ostativi alla partecipazione di quei vigili del fuoco discontinui che, pur avendo assunto notevole know how sulla base dei tanti anni di servizio conseguiti attraverso i richiami di cui ai punti precedenti della presente premessa;
   l'attuale censimento dei vigili del fuoco discontinui ha riscontrato la presenza di 15.000 unità che, dislocate sul territorio nazionale, sono prive di un lavoro a tempo indeterminato e sono pertanto in una precaria condizione lavorativa ed esistenziale;
   al contempo, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco professionisti si riduce di anno in anno per effetto di un turn over a ranghi i ridotti, pochi concorsi molto restrittivi ed un ricorso sempre maggiore a figure volontarie. L'età media dei vigili del fuoco permanenti è schizzata sopra i quarantacinque anni, mentre l'universo della vigilanza privata ha assunto proporzioni numericamente sempre rilevanti, con pregiudizio per la qualità (nonché ovviamente la natura pubblicistica) di un fondamentale servizio a tutela della pubblica incolumità;
   l'assunzione in via definitiva dei vigili del fuoco discontinui potrebbe garantire minori costi per lo Stato, sia dal punto di vista dell'acquisto del vestiario per i neo-assunti, quanto soprattutto per la continua necessità di ricorrere a corsi di formazione per personale in perenne rinnovamento;
   infine, la stabilizzazione di figure professionali atte a garantire la pubblica incolumità può reputarsi finalizzato ad aumentare la professionalità del personale, garantendo un maggiore grado di affidabilità e di esperienza delle figure impiegate in un compito molto rischioso e delicato –:
   quali iniziative, anche di natura normativa, intenda il Ministro porre in essere al fine di sanare le criticità esposte in premessa in merito ad un settore cruciale per la tutela dei beni e dell'incolumità personale dei cittadini. (4-03689)


   BOCCADUTRI e PIAZZONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la sera di martedì 18 febbraio 2014, quaranta lavoratori delle cooperativa «Romana Petrus» e «Activity» avevano occupato la scuola elementare Trilussa di Pomezia (RM), con l'intento di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla vertenza del settore;
   in particolare, la suddetta occupazione si inseriva nella più ampia vertenza promossa dai ventiquattro mila lavoratori (ex LSU ed appalti storici) che si occupano delle pulizie nelle scuole e che, per effetto dei tagli imposti dal decreto-legge del 2013, n. 69, (cosiddetto decreto del fare) rischiano una riduzione drastica dell'orario di lavoro e conseguentemente della retribuzione;
   la sera stessa, il sindaco di Pomezia Fabio Fucci, eletto col MoVimento 5 stelle, aveva scritto al prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, «per informarlo sulla situazione venutasi a creare a Pomezia dopo l'occupazione della scuola elementare Trilussa da parte dei lavoratori ex LSU»;
   la mattina successiva, alle 7.15, quando già i lavoratori avevano deciso di abbandonare la scuola, l'autorità di pubblica sicurezza, coadiuvata dai vigili urbani di Pomezia, ha effettuato lo sgombero della scuola;
   secondo quanto riferito da fonti giornalistiche, l'autorità di pubblica sicurezza, nell'effettuare lo sgombero, avrebbe utilizzato dei modi particolarmente brutali; in particolare pare che una lavoratrice si stata stretta al collo e sia poi svenuta, richiedendo il ricovero ospedaliero –:
   quali notizie il Ministro dell'interno abbia sull'effettiva modalità secondo la quale l'autorità di pubblica sicurezza ha sgombrato la scuola e, in particola, se risulti al Ministro interrogato che siano state compiute delle irregolarità;
   ove riscontrate, se non intenda predisporre una ispezione interna per verificare l'accaduto. (4-03692)


   CRISTIAN IANNUZZI, DAGA, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che nel luglio 2012, il presidente della provincia di Latina, Armando Cusani, è stato condannato dal tribunale di Latina alla pena di due anni di reclusione e due anni di interdizione dai pubblici uffici per il reato di abuso di ufficio ed abuso edilizio relativo all'indebito aumento delle volumetrie dell'hotel «Grotte di Tiberio» lungo la Riviera d'Ulisse a Sperlonga, di proprietà dello stesso presidente e del suocero Aldo Chinappi;
   sempre da notizie di stampa risulta che nel mese di ottobre 2013 Cusani è stato oggetto di una ulteriore condanna in primo grado ad un anno e due mesi di reclusione per il reato di abuso d'ufficio mentre rivestiva la carica di sindaco della città di Sperlonga, a seguito dell'ingiusta rimozione dall'incarico dell'ex comandante dei vigili urbani della città, avvenuta nei primi anni del 2000;
   a seguito di quest'ultima condanna, il prefetto di Latina, Antonio D'Acunto, con provvedimento del 31 ottobre 2013, ha disposto, in applicazione del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, cosiddetta «legge Severino», la sospensione per 18 mesi del signor Cusani dalla carica di presidente della provincia di Latina;
   in data 12 febbraio 2014 il consiglio provinciale di Latina ha approvato una mozione con cui viene censurato l'operato del prefetto D'Acunto e rigettato il provvedimento di sospensione a carico del signor Cusani;
   in tale occasione i gruppi Forza Italia, Fratelli d'Italia e Lista Cusani hanno ribadito l'incompetenza del consiglio a dare esecuzione alla dichiarazione prefettizia relativa alla sospensione del presidente Cusani, sottolineando come la legge Severino «appaia, in maniera manifesta, violativa dei princìpi fondanti dell'ordinamento giuridico» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se, in ragione delle gravi e persistenti violazioni di legge, non ritenga opportuno esercitare i poteri di cui all'articolo 141, comma 1, del testo unico degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267), proponendo lo scioglimento del consiglio provinciale di Latina. (4-03696)


   DI GIOIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Foggia ha sottoscritto un contratto di affitto con la società Co. IM. Srl di Raffaele Zammarano, per l'immobile di piazza Padre Pio, allo scopo di dare una terza sede decentrata al tribunale della stessa città;
   in questo palazzo saranno accorpati sia il tribunale di Lucera sia le sedi distaccate di Apricena e Rodi Garganico, che, come è noto, dovranno trasferirsi presso il capoluogo dauno;
   il contratto avrà una durata di sei anni, non riguarderà tutto lo stabile, e corrisponderà alla cifra di 773.430 euro all'anno oltre l'IVA, per una somma complessiva di 4.640.580 euro;
   la spesa peserà sui bilanci comunali dal 2015 al 2019, con un'opzione per l'acquisto dell'immobile, allo scadere del contratto di affitto, al costo di 17 milioni di euro a cui andranno scomputate le cifre versate, sino a quel momento, per l'affitto;
   buona parte di queste spese ricadranno sulle tasche dei cittadini del comune di Foggia stanti sia i ritardi nei rimborsi dal parte del Ministero della giustizia, sia l'esiguità degli stessi;
   per l'affitto dello stabile, i cui lavori non sono ancora stati terminati, il comune ha bandito una gara e tra le offerte pervenute alla commissione preposta, formata da dirigenti comunali, la scelta è ricaduta sull'offerta dell'imprenditore Zammarano;
   lo stabile per il quale il comune ha stipulato il contratto sorge nell'area dell'ex mercato «Padre Pio» che fu messa in vendita dal comune, nel 2010, nell'ambito delle alienazioni per risanare le casse comunali, al prezzo di 2 milioni di euro;
   ciò che ha creato maggiore perplessità e sgomento fra i cittadini di Foggia non è stata, ovviamente, la decisione di mettere a disposizione nuovi spazi al tribunale di Foggia, atto questo dovuto e necessario, quanto la procedura che ha portato la Co. IM. Srl prima ad acquistare un'area comunale a 2 milioni di euro per poi trovarsi, dopo soli pochi mesi, a riaffittare la struttura sorta in quell'area al medesimo ente locale con degli enormi ricavi;
   la conclusione della decisione che ha portato alla chiusura del tribunale di Lucera per ridurre i costi della si sta rilevando una enorme beffa perché non solo arrecherà enormi danni ai cittadini del territorio che saranno costretti a lunghi spostamenti ma riverserà, causa una operazione estremamente discutibile, i nuovi costi sui cittadini di Foggia che già vivono una situazione estremamente critica sul versante economico;
   l'intera vicenda che, a fronte di un piccolo ricavo economico iniziale, sta portando ad un folte aumento dei costi per l'amministrazione locale è agli occhi della maggioranza della popolazione del tutto incomprensibile;
   sarebbe opportuno effettuare tutti gli accertamenti del caso per quanto riguarda l'intera vicenda e i lavori della commissione preposta all'esame delle offerte giunte all'amministrazione locale, con i vari passaggi avvenuti, affinché siano quantomeno fugati tutti i legittimi dubbi dei cittadini del capoluogo dauno che trovano incomprensibile l'intera operazione –:
   a quanto ammonti la cifra che il Ministero della giustizia assegnerà al comune di Foggia in seguito al contratto di affitto stipulato e se non si ritenga assurdo che, in virtù di un risparmio decretato dallo Stato centrale in termini di costi della giustizia ignorando le esigenze delle popolazioni locali, si arrivi poi a far pagare i costi di questa operazione agli abitanti del territorio interessato. (4-03698)


   GAGNARLI, BALDASSARRE e ARTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da numerosi organi di stampa si apprende l'intenzione del dipartimento per la pubblica sicurezza di riprendere in mano il progetto di razionalizzazione delle risorse già preannunciato qualche anno fa;
   in particolare, si parlerebbe della chiusura di una dozzina di commissariati, della cancellazione delle squadre nautiche (circa 500 unità di personale), di una ventina di presidi della stradale e di una trentina di quelli della Polfer, della soppressione della maggior parte delle sezioni della polizia postale, per lasciare aperte solo quelle dove sono presenti le corti d'appello;
   tale progetto di razionalizzazione risulta già essere sul tavolo di questori e prefetti competenti che dovranno valutarne la compatibilità ed esprimere un parere entro la prima metà di marzo 2014;
   tra le province che subiranno tagli pesanti c’è quella di Arezzo; una provincia da sempre unanimemente indicata quale esempio tipico di vivibilità anche grazie al lavoro sinergico tra amministrazioni locali, istituzioni centrali e organi di sicurezza efficacemente distribuiti sul territorio;
   in particolare, il nuovo progetto del dipartimento di pubblica sicurezza potrebbe portare alla chiusura della sezione polizia postale di Arezzo e dei Posti Polfer di Terontola e San Giovanni Valdarno, tre presidi strategici, soprattutto per la specificità del servizio offerto ai cittadini;
   la polizia postale negli ultimi anni è divenuta un settore sempre più impegnato a causa del diffondersi epidemico delle nuove tecnologie informatiche che hanno permesso una sin troppo facile diffusione di reati «da web»: frodi online, clonazione di carte di credito, furto d'identità con conseguente pericolo di diffamazione (anche grazie alla diffusione massiccia dei social network). Non è possibile dimenticare, inoltre, che la polizia postale riveste un ruolo fondamentale e di primo piano nel contrasto ai fenomeni della prostituzione online e della pedopornografia;
   appare, quindi, una contraddizione agli interroganti andare ad operare un taglio lineare in una sezione, quella di Arezzo, che è tutt'altro che in declino ma che è anzi diventato un vero e proprio punto di riferimento nella zona;
   un discorso simile potrebbe essere fatto per la stazione della polizia ferroviaria di Terontola che rappresenta un punto di riferimento per le attività di controllo per la sicurezza in quanto si trova in un'area particolare (tra Perugia e Cortona) che conta circa 500 mila turisti ogni anno, senza contare l'importanza che questo centro ha rivestito in passato: dal posto Polfer di Terontola è partita una delle più importanti battaglie contro le Brigate Rosse italiane e ancora oggi è punto di riferimento contro la lotta al crimine in Italia;
   andare ad incidere in maniera così profonda in un'area che proprio grazie ad una efficace sinergia garantisce la sicurezza e la vivibilità dei cittadini senza valutare attentamente le ricadute che tagli così drastici potrebbero portare sul territorio, e senza prevedere alcuna soluzione alternativa volta al mantenimento degli attuali standard di sicurezza per la collettività, appare, quindi, agli occhi degli interroganti, irrazionale a fronte della presunta ottimizzazione delle risorse che si vorrebbe operare;
   è bene ricordare, infine, che tale progetto andrebbe ad incidere in maniera significativa sulle professionalità e le legittime esigenze e aspettative del personale coinvolto, che sarebbe costretto ad essere assegnato ad altri uffici della provincia se non in altre regioni –:
   se, sulla base di quanto esposto in premessa, non intenda rivedere il piano di razionalizzazione delle risorse della polizia, con particolare riferimento ai presidi di Arezzo, Terontola e San Giovanni Valdarno, al fine di continuare a mantenere gli standard attuali di sicurezza per la collettività e non penalizzare il benessere e la vivibilità di un'area del nostro Paese al solo fine del risparmio economico per lo Stato;
   se, considerata la proliferazione dei reati «da web» degli ultimi anni, non intenda ripensare il drastico taglio agli uffici di polizia postale che rappresentano oggi un punto di riferimento fondamentale per i cittadini frodati attraverso la rete, ma soprattutto per l'intero settore della prostituzione in rete e dei traffici di pedopornografia. (4-03703)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultimo triennio ci sono stati trentamila immatricolati in meno, che salgono a 78 mila in meno in dieci anni. È un dato trasmesso recentemente dallo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e rivela una situazione di sfiducia complessiva da parte dei giovani e delle loro famiglie; da un lato infatti sembrano credere sempre meno alla possibilità di inserirsi positivamente nel mondo del lavoro grazie al titolo conseguito nell'università e dall'altro considerano eccessivamente onerose in tempi di crisi non solo le tasse accademiche, ma anche gli indispensabili costi relativi ai libri di testo, all'eventuale alloggio e ai trasporti;
   un dato apparentemente in controtendenza, anche questo confermato dallo stesso Ministero, rivela che mentre diminuisce il numero di coloro che dopo il diploma decidono di continuare gli studi nel nostro Paese, sono in aumento gli studenti che decidono di frequentare i rispettivi corsi di laurea all'estero, probabilmente perché ritengono migliori le opportunità di formazione, anche in vista del successivo investimento professionale; si tratta di una opzione evidentemente riservata alle famiglie che sono in grado di affrontare costi decisamente più alti per l'educazione dei propri figli;
   anche quest'anno i giovani immatricolati sono stati 260.245, il 3,4 per cento in meno rispetto a dodici mesi fa, quando gli immatricolati furono 270 mila; tre anni fa – negli anni 2010/2011/2012 – gli immatricolati furono quasi 290 mila; dieci anni fa – nell'anno accademico 2003/2004 – gli immatricolati superarono abbondantemente le 300 mila unità: erano infatti 338 mila e 500. Nonostante la riforma del 3 più 2, voluta proprio per accelerare i tempi di studio universitario e aumentare il numero dei laureati italiani, in un decennio se ne sono volatilizzati 78 mila: il 23 per cento del totale;
   da un decennio quindi il trend sembra aver imboccato una direzione negativa che si conferma drammaticamente di anno in anno, mentre dall'Europa pressano l'Italia per incrementare il numero dei laureati, considerati strategici per tentare di agganciare una ripresa economica che si gioca tutta sullo sviluppo e sull'innovazione;
   in questo stesso periodo le tasse universitarie sono cresciute, il numero chiuso si è esteso – oltre che ai corsi a numero programmato a livello nazionale (medicina, odontoiatria, veterinaria, architettura e alle professioni sanitarie) – ad oltre la metà di tutti gli altri corsi di laurea. E le borse di studio per gli studenti meno abbienti si sono ridotte;
   in molti casi per di più, dopo aver affrontato un corso di studi lungo e costoso come accade per la facoltà di medicina e chirurgia, i giovani si vedono preclusa la possibilità di concluderli dignitosamente accedendo ad una scuola di specializzazione, che la normativa europea considera indispensabile per poter lavorare nel Sistema sanitario nazionale; è nota la situazione che quest'anno prevede 3.300 contratti di formazione per 7.000 laureati, con la prospettiva amara di lasciare la metà dei laureati senza una ulteriore opportunità di studio e di lavoro;
   nel frattempo, la crisi economica che si protrae da diversi anni e la disoccupazione giovanile che è giunta ad un livello che supera, sia pure di poco, il 40 per cento hanno messo in grave difficoltà migliaia di famiglie italiane che dopo aver fatto a lungo da ammortizzatore sociale, forse, non possono più permettersi il lusso di un figlio all'università;
   a novembre 2013 è stata approvata la cosiddetta «riforma Carrozza» che aumenta il Fondo per le borse di studio degli studenti universitari a partire dal 2014 e per gli anni successivi per un importo complessivo di 100 milioni, con uno stanziamento consolidato e non temporaneo; prevede inoltre 6,6 milioni (1,6 per il 2013 e 5 per il 2014) per potenziare da subito l'orientamento degli studenti della scuola secondaria di secondo grado –:
   quali siano le modalità di destinazione dei fondi stanziati dalla legge e se non intenda porre un freno alla riduzione degli iscritti all'università utilizzando la leva delle borse di studio o tramite una concreta facilitazione dell'inserimento dei giovani neo-laureati nel mondo del lavoro con modalità flessibili ma efficaci e dignitose. (3-00645)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BOBBA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 2012 è stata avviata per la prima volta l'abilitazione scientifica nazionale (ASN), istituita dalla legge n. 240 del 2010, articolo 16, la cui funzione è quella di dare l'abilitazione a docenti associati e ricercatori per poter partecipare ai concorsi locali, indetti dalle università;
   la commissione valutatrice eletta tra docenti che avevano dei requisiti minimi di pubblicazioni e citazioni resta in carica per 2 successive abilitazioni cioè per il bando 2012 e per il bando 2013;
   la legge prevede il divieto di partecipare ai due bandi successivi, qualora si fosse dichiarati inidonei, mentre tace su cosa possano fare gli abilitati, per cui molti professori partecipanti al bando del 2012, pur non essendo noto l'esito, non si sono iscritti a quello del 2013, posto anche che la commissione giudicatrice era la stessa dell'anno precedente;
   prerequisito fondamentale per la partecipazione all'abilitazione era legato alla produzione scientifica con degli indicatori (numero di pubblicazioni negli ultimi 10 anni, numero di citazioni dei propri lavori), ovvero era necessario superare le mediane della fascia per cui si concorreva, nello specifico settore scientifico disciplinare;
   al bando del 2012 ha partecipato la maggioranza dei docenti e ricercatori italiani;
   molte commissioni sono state restrittive (percentuali di abilitati dell'ordine del 20-30 per cento) diversi sono stati i ricorsi ai Tar di riferimento, con continuo aumento;
   è invece probabile che pochi ricorsi si avvieranno nel 2013 dato il ridotto numero di partecipanti e che le commissioni (essendo le stesse) prendendo atto delle critiche del bando 2012, si presume tareranno i giudizi, al fine di eliminare i ricorsi;
   i professori che, avendo ottenuto l'abilitazione nazionale nel loro settore con il bando 2012 e non avendo più fatto domanda sui bandi 2013, si trovano oggi ad essere penalizzati in quanto pendono sui bandi 2012 non pochi ricorsi dei diversi TAR; così come, se la sede universitaria a cui appartengono bandisce il concorso a cattedra si trovano ad essere impossibilitati a concorrere e allo stesso tempo sono anche esclusi dal nuovo bando per le abilitazioni;
   a meno che non vi siano sospensive, le procedure giurisdizionali, non comportano il blocco dei provvedimenti conseguenti all'ottenimento dell'abilitazione;
   le università stanno rapidamente avviando le procedure concorsuali per le chiamate in sede, in quanto temerebbero la perenzione dei punti-organico del piano straordinario e del turn-over;
   a parere dell'interrogante, appare quanto meno inopportuno che la commissione che viene criticata (o cancellata dal TAR nel 2012) possa valutare i ritardatari del 2013;
   la federazione lavoratori della conoscenza Cgil, in un recente articolo riportavano le seguenti perplessità: «Il MIUR ha quindi dato notizia che si aprono i lavori della seconda annualità ASN “con riferimento ai settori concorsuali i cui risultati sono stati pubblicati (tornata 2012). A breve saranno infatti disponibili i criteri di valutazione dei candidati della tornata 2013 con l'indicazione della data di scadenza per l'eventuale ritiro della domanda”. Su questo punto, in via preliminare, non si può che giudicare paradossale che le commissioni possano modificare i criteri e i parametri per la valutazione dei candidati, e che i candidati bocciati che avessero maturato nuovi requisiti non abbiano invece la facoltà di partecipare alla seconda annualità» –:
   se non si ritenga opportuno e urgente, pur garantendo l'autonomia programmatoria delle università, porre in essere quanto di propria competenza per eliminare le palesi quanto evidenti disparità tra i candidati ai bandi 2012 e 2013. (5-02219)


   LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella scuola campana vi è una situazione di disagio che si protrae da tempo e che concerne quasi tutta l'attività amministrativa della direzione scolastica regionale, caratterizzata da lentezza operativa e scarsa vigilanza sul territorio e sulle scuole, da errori continui nella formazione delle graduatorie e degli elenchi di personale come accaduto per i corsi di riconversione e per i PAS;
   il 3 febbraio 2014 la direzione regionale scolastica della Campania ha ripubblicato sul proprio sito, con decreto AOODRCA UFF.DIR. 736/U del 31 gennaio 2014, l'elenco dei candidati aventi i requisiti per l'accesso ai percorsi abilitanti speciali (P.A.S.), nonché l'elenco dei candidati non aventi i requisiti per l'accesso ai percorsi medesimi;
   tale pubblicazione segue quella del 30 dicembre 2013 e doveva contenere tutte le rettifiche degli errori commessi;
   da notizie pervenute all'interrogante l'elenco del 31 gennaio 2014 dovrebbe essere ancora una volta ripubblicato per i numerosi errori ancora presenti;
   risulta che il Ministero sia già al corrente della lenta ed erronea operatività della direzione regionale per la Campania, come per le vicende riguardanti i Pas e i corsi di riconversione per il sostegno;
   vi sono ad avviso dell'interrogante valide motivazioni che inducono a ritenere parte delle determinazioni della direzione regionale assunte in base ad un potere discrezionale che, lungi dall'assicurare nel modo migliore i fini perseguiti dalla legge, come in tanti casi che riguardano direttamente il personale tutto, la disapplica;
   in provincia di Caserta appare molto grave la vicenda, non ancora conclusa, dell'IC «Capoluogo» di San Nicola la Strada, per il quale sussistono situazioni di disagio lavorativo in danno di alcuni lavoratori; fattispecie che sono state documentate tramite esposto alla direzione generale scolastica regionale già dall'ottobre 2012 e tramite numerosi interventi sindacali;
   sembrerebbe che accertamenti probanti, scaturiti da una verifica ispettiva durata quasi un intero anno scolastico, siano stati ignorati dal direttore generale scolastico regionale il quale avrebbe disatteso sia le conclusioni ispettive urgenti interlocutorie sia quelle finali;
   in quella scuola si sarebbero verificate continue umiliazioni, da parte del dirigente scolastico, in danno di una lavoratrice, madre di un soggetto con grave disabilità, fino al punto da costringerla prima a chiedere congedo parentale e poi a trasferirsi in altra scuola in comune diverso da quello di residenza, una volta constatati; l'inerzia decisionale della direzione generale regionale e la lentezza dell'accertamento ispettivo;
   pur sapendo che per questa scuola e per altra in provincia di Caserta è stata disposta ispezione ministeriale, oggi ancora in atto, risulta necessario fin da oggi ricevere dettagliate informazioni almeno sugli esiti della prima verifica ispettiva e sul perché dell'assenza di provvedimenti da parte dei direttore generale, tali da assicurare la fine del disagio lavorativo;
   si costata l'assenza di qualsiasi monitoraggio di questa vicenda anche dopo il deposito della relazione ispettiva, da parte del direttore generale regionale, unico competente in materia;
   si rende necessario conoscere: l'esito di tutte le verifiche ispettive disposte nelle scuole della Campania almeno negli ultimi tre anni, la durata dell'iter e le decisioni adottate in merito –:
   se il Ministro intenda fornire dettagliatamente quanto richiesto in premessa;
   se il Ministro sia già intervenuto su tutti i fatti noti e come;
   se il Ministro intenda assumere iniziative urgenti motivate già dalle risultanze della prima verifica ispettiva, per continuare ad assicurare dignità e serenità operativa ai lavoratori dell'IC Capoluogo di San Nicola la Strada;
   se il Ministro, prendendo atto dello stato della scuola campana, intenda assumere consequenziali, definitive decisioni, anche politiche, che assicurino il rispetto della legge e una diversa conduzione nella scuola campana. (5-02224)

Interrogazione a risposta scritta:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 33-bis del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria convertito con modificazioni dalla legge n. 248 del 2007 recante «Servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti nei confronti delle istituzioni scolastiche», dispone che il Ministero dell'istruzione provveda a corrispondere direttamente ai comuni la somma concordata in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali nelle sedute del 22 marzo 2001 e del 6 settembre 2001, valutata in euro 38,734 milioni, quale importo forfetario complessivo per lo svolgimento, nei confronti delle istituzioni scolastiche statali, del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani di cui all'articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   i criteri e le modalità di corresponsione delle somme dovute ai singoli comuni, in proporzione alla consistenza della popolazione scolastica, sono concordati nell'ambito della predetta conferenza. Al relativo onere si provvede nell'ambito della dotazione finanziaria del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche, di cui all'articolo 1, comma 601, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;
   a decorrere dal medesimo anno 2008, le istituzioni scolastiche statali non sono più tenute a corrispondere ai comuni il corrispettivo del servizio di cui al citato articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   alla luce di quanto esposto, non si comprende la ragione che giustifichi un trattamento fiscale differente relativamente all'applicazione della Tares a carico della scuola paritaria;
   paradossale è la disparità di trattamento relativo al calcolo della Tares: per la scuola paritaria la tassa viene infatti calcolata a metro quadro della struttura, mentre per la scuola statale a bambino iscritto: come se gli alunni di una scuola sporcassero di più di quelli di un'altra scuola;
   le scuole pubbliche paritarie ai sensi della legge n. 62 del 2000 fanno pienamente parte di diritto e di fatto del sistema nazionale di istruzione e formazione integrati. La presenza delle scuole paritarie è peraltro legittimata ed auspicata dagli articoli 33 e 118 della Costituzione italiana;
   il sistema scolastico italiano rischia il collasso di fronte al pericolo certo di una sempre maggiore assenza delle scuole pubbliche paritarie che accolgono 1.072.560 studenti (di cui 11.878 studenti diversamente abili) assicurando il pluralismo educativo e concorrendo a far risparmiare allo Stato sei miliardi di euro annui –:
   qualora i fatti illustrati rispondano al vero, se il Ministero interrogato non ritenga opportuno esplicitare con apposita nota chiarificatrice la parte dell'articolo 33-bis citato, chiarendo che i comuni applicano alle istituzioni scolastiche riconosciute paritarie, ai sensi della legge n. 62 del 2000, lo stesso criterio di corresponsione del tributo rapportato al numero degli alunni e lo stesso coefficiente per alunno, previsti per le scuole statali in base al decreto-legge n. 248 del 2007 convertito con modificazioni dalla legge n. 31 del 2008. (4-03691)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella attuale modulistica INPS, in particolare nel modello AP70 da utilizzare per le pratiche di «invalidità civile, da alcune settimane è stata sostituita la dicitura: padre e madre con quella di gran lunga più generica di genitore 1-genitore 2, in assenza di una qualunque normativa che prescriva un cambiamento di questo tipo;
   l'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS), in particolare l'ufficio stampa, addetto alle comunicazioni, interpellato in tal senso si è detto sorpreso ed è sembrato all'oscuro dell'avvenuto cambiamento e non hanno saputo spiegare quando e perché il modello AP70 sia stato modificato;
   il modulo in questione, da compilare per ottenere la concessione dell'invalidità civile e delle relative erogazioni, riguarda soprattutto i minori e recita proprio così: genitore (1o) e genitore (2o); evidentemente non si tratta di un cambiamento irrilevante e si inserisce nel più ampio dibattito sulla ideologia del gender, che si sta diffondendo a macchia d'olio, come è emerso anche dalla recente vicenda che ha coinvolto il Ministero delle pari opportunità, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e l'UNAR;
   sembra infatti che l'obiettivo sia quello di cancellare dal lessico burocratico-istituzionale le parole madre e padre, cadute nel rischio di accusa di omofobia, per sostituirle con succedanei asessuati, come i due termini di genitore 1 e genitore 2;
   nell'INPS la macchina organizzativa è molto complessa ed è difficile risalire a chi ha ordinato il cambiamento, che evidentemente prevede un non indifferente capitolo di spesa per la sostituzione complessiva della modulistica e dei data base corrispondenti;
   la risposta generica ottenuta dall'ente di previdenza nazionale rimanda ai responsabili del settore invalidità civile e sostiene che il cambiamento sia stato fatto esclusivamente per motivi di praticità;
   la scelta appare coerente con un indirizzo politico, già in più occasioni riscontrato, che vede una sintonia tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il dipartimento delle pari opportunità, la cui responsabilità era in capo al Viceministro Cecilia Guerra;
   il viceministro di fatto è anche la persona politicamente responsabile dell'operazione MIUR-UNAR-Pari opportunità, che ha predisposto la pubblicazione di testi per le scuole in cui le figure genitoriali di madre e padre sono sistematicamente messe in discussione –:
   se il Ministro non intenda prima di tutto verificare chi abbia predisposto il cambio di modulistica nell'INPS e in base a quali criteri;
   quanto sia costata la sostituzione della modulistica nel suo complesso e soprattutto a quali criteri di scelta corrisponda una decisione che nella sua apparente «praticità», mette in discussione modelli consolidati di vita familiare, in una remota prospettiva di accusa di omofobia ogni volta che si vuole ribadire la presenza di un padre e di una madre nella vita di un bambino. (3-00646)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FREGOLENT, MARTELLI e PICCOLI NARDELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Ibm, si legge nel sito internet istituzionale dell'azienda «è una società di innovazione al servizio delle aziende e delle istituzioni di tutto il mondo che detiene primati in ogni area tecnologica, dai microprocessori ai supercomputer, dai server al software per lo sviluppo e la gestione di complesse infrastrutture informatiche; opera in 170 paesi con un organico di oltre 400.000 dipendenti e in Italia è presente dal 1927 con una consolidata tradizione di progetti, iniziative e partnership a supporto della crescita economica e dell'innovazione»;
   il gruppo Ibm Italia conta ad oggi circa seimila dipendenti distribuiti su varie sedi sul territorio nazionale;
   a livello globale Ibm, leggendo le notizie economiche che emergono dai mass media, sembra essere una società attiva, in espansione e con un piano finanziario ben definito (nel 2011 è stata annunciata la road map da completare nel 2015 per portare il dividendo per azione a 20 dollaro: in pratica un raddoppio);
   dal punto di vista industriale Armonk dichiara di volersi sempre più posizionare sulle nuove frontiere dell'It (dal «Cloud» al «Mobile»), ritenendo che il «tradizionale» non darà più gli utili del passato. Infatti nel mese di gennaio ha venduto all'azienda cinese Lenovo la divisione server X86, dopo avergli già ceduto la divisione Pc negli scorsi anni, per una cifra pari a 2,3 miliardi di euro; sempre nel mese di gennaio ha venduto i diritti su 900 brevetti a Twitter; d'altro canto negli ultimi mesi Ibm si è notevolmente espansa nei settore dei servizi investendo oltre 2,7 miliardi di dollari in tutto il mondo;
   contemporaneamente la corporate sta sempre più spostando attività dagli Usa e soprattutto dalla vecchia Europa dell'Ovest verso l'Europa dell'est e verso il far east onde aumentare i livelli di profittabilità;
   tale politica, unitamente ad un calo nel revenue e signing italiano dovuto alle difficoltà del settore It (Information technology) italiano, sta determinando da anni una pesante ripercussione negativa sui livelli occupazionali italiani: dal 2005 ad oggi si sono persi più di 3 mila posti di lavoro;
   nel 2013 Ibm Italia ha attivato la procedura di mobilità negli enti di staff per circa 140 addetti nonostante l'utile del 2012 si attestava sui 100 milioni di euro;
   nel 2014 (ancora in presenza di un bilancio per il 2013 positivo) il 30 gennaio Ibm Italia ha infatti inviato una lettera a tutte le rsu territoriali annunciando la procedura di mobilità per 290 addetti ai sensi della legge 223 del 1991. Il settore interessato da tali tagli è l'area del «Global technology services» (Gts) ossia il personale che si occupa di outsourcing, hosting delle applicazioni, gestione delle infrastrutture fisse e wireless nonché manutenzione dell’hardware;
   si tratta quindi di una riduzione del 15 per cento rispetto alla forza lavoro complessiva dell'area di riferimento. Secondo quanto comunicato dall'azienda stessa «in Italia l'It» continua ad andare male, nel primo trimestre 2013 il business è calato del 3,5 per cento su base annua;
   il mercato – scrive ancora l'azienda nel testo della procedura di riduzione di personale – richiede servizi di livello sempre più alto a costi sempre più competitivi e il forte incremento della competitività avrebbe fatto sì che «contenimento dei costi operativi» e «competenze innovative» divenissero le principali leve da muovere;
   il confronto fra Ibm Italia con le organizzazioni sindacali si è avviato il 10 febbraio con la richiesta sindacale all'azienda di fornire finalmente un piano industriale degno di nota e di ricercare soluzioni non traumatiche per evitare i licenziamenti annunciati;
   il settore Gts di Ibm Italia (che attualmente conta 2032 dipendenti) ha già subito da numerosi anni azioni di limitazione dei costi che hanno già fortemente penalizzato i lavoratori e le attività: come il contenimento delle trasferte, la campagna di uscite incentivate del personale e la riduzione del numero dei dirigenti. Tutto ciò mentre questo settore continua ad essere valutato dalla corporate il migliore dell'Europa;
   le sedi del settore Gts di Ibm Italia sono 16 e sono tutte interessate dalla procedura di mobilità per i 290 addetti: Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Pero (Mi), Roma, Segrate (Mi); Settimo Milanese (Mi), Torino, Vimercate (Mb);
   è evidente che le attività del settore Information technology, al di là delle valutazioni di Ibm, rappresentano un volano strategico di sviluppo per il nostro Paese;
   è altrettanto evidente che le soluzioni proposte da Ibm da alcuni anni per rilanciare il comparto It non solo non siano state efficaci, ma anche controproducenti e non lungimiranti dal momento che, in mancanza di un piano industriale mirato, il costo sostenuto dall'azienda per incentivare l'uscita dei dipendenti va solo a penalizzare la situazione finanziaria;
   le associazioni sindacali di categoria stanno da anni denunciando la mancanza di una strategia aziendale basata sulle caratteristiche del nostro paese (a prevalenza di medie e piccole aziende); una mancanza che se non affrontata in tempi rapidi e in maniera efficace e risolutiva porterebbe quindi nel prossimo futuro ad altri pesanti tagli non solo nel settore Gts ma anche negli altri comparti di Ibm Italia;
   va comunque segnalato che negli ultimi anni riduzione di personale sono comunque avvenute, anche se nella forma degli incentivi «spontanei» alle dimissioni. Fonti di informazione confermano che, anche per quest'anno, sarebbero almeno 400 i dipendenti complessivi (inclusi i 290 del comparto Gts) ritenuti in eccesso da Ibm Italia su tutto il territorio nazionale;
   alcune associazioni sindacali hanno espresso a mezzo stampa di aver «rilevato come, già lo scorso anno, ci si è trovati davanti a licenziamenti faticosamente risolti con un accordo sindacale in grado di evitare soluzioni traumatiche e che siamo ancora in presenza di una Cassa Integrazione Guadagni straordinaria applicata vergognosamente a una sola persona»; hanno inoltre evidenziato come Ibm Italia progetti la sua politica industriale basandola unicamente su riorganizzazioni ordinate da oltre oceano e caratterizzate esclusivamente da riduzioni occupazionali che, ormai, si ripetono da molti anni;
   serve una discussione approfondita sulla qualità della presenza di Ibm in Italia e sugli interventi necessari affinché, in questo periodo di crisi economica e industriale, l'azienda si riprogetti e si riorganizzi valorizzando la professionalità dei suoi dipendenti e la vicinanza con le realtà produttive presenti nel territorio;
   per quanto riguarda in particolare la procedura di mobilità recentemente avviata, il coordinamento e le organizzazioni sindacali hanno ribadito che, analogamente a quanto fatto nel 2013, vanno ricercate soluzioni non traumatiche a partire da forme di accompagnamento alla pensione che possano essere applicate sia a tutte le figure professionali presenti in Gts (a prescindere dai ruoli professionali per i quali sono stati dichiarati esuberi), sia anche a tutti i dipendenti della società;
   in questa prima fase della trattativa Ibm si è dichiarata disponibile ad un'analisi delle anzianità contributive presenti nella platea dei dipendenti attualmente occupati in Gts (a questo scopo, ha convenuto sulla costituzione di una commissione tecnica con le associazioni sindacali) ribadendo però che il numero di uscite deve essere di 290;
   le parti hanno inoltre convenuto di incontrarsi, presso la sede di AssoLombarda, i prossimi 5 e 10 marzo per esaminare i risultati del lavoro svolto dalla Commissione tecnica e, a partire da ciò, valutare una possibile soluzione negoziale;
   da parte delle RSU di Ibm Italia sono stati annunciate azioni di mobilitazione, assemblee, scioperi e manifestazioni in vista dei prossimi incontri nel mese di marzo –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione economica ed occupazionale di Ibm Italia (che prevede riduzioni di personale anche in presenza di redditività decisamente positiva) e dei livelli di commesse pubbliche affidate da Ibm e alle sue controllate;
   quali iniziative urgenti intendano intraprendere per salvaguardare i livelli occupazionali e le professionalità sia nel ramo italiano interessato dalla procedura, che negli altri settori dell'azienda, al fine di evitare che tale riduzione di organici possa protrarsi anche nei prossimi anni;
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano assumere per rilanciare complessivamente e con efficacia il settore italiano dell'It (Information technology), che rappresenta oggi un volano irrinunciabile per lo sviluppo, sociale economico e produttivo di un Paese moderno. (5-02216)

Interrogazione a risposta scritta:


   NUTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 1984 ad oggi, sistematicamente quasi ogni anno, i Governi che si sono succeduti, di qualsiasi colore politico, hanno concesso svariate centinaia di milioni di euro per il pagamento di progetti in cui erano impiegati lavoratori socialmente utili;
   da ultimo, la legge di stabilità per il 2014, approvata solo poche settimana fa, destinava ben 126 milioni di euro ai lavoratori socialmente utili di Napoli, di Palermo, della Calabria e dei comuni sotto i 5 mila abitanti;
   nel corso degli anni si è verificata una stratificazione normativa che rende tutt'oggi complicata l'analisi del fenomeno, la cui genesi può essere ricondotta al decreto-legge 2 agosto 1984, n. 409, e al decreto-legge 12 febbraio 1986, n. 24;
   la normativa di riferimento relativa alla disciplina dei lavoratori socialmente utili negli anni ’80 e ’90, con particolare riferimento alla provincia di Napoli e ai comuni di Napoli e Palermo, è contenuta in vari decreti-legge. In particolare: il decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, il decreto-legge 27 ottobre 1995, n. 444, il decreto-legge 27 agosto 1994, n. 515, il decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, la legge 20 gennaio 1992, n. 22, il decreto-legge 12 gennaio 1991, n. 6, il decreto-legge 4 settembre 1987, n. 366, il decreto-legge 12 febbraio 1986, n. 24, il decreto-legge 12 febbraio 1986, n. 24, il decreto-legge 2 agosto 1984, n. 409;
   la maggior parte di questi, specificava che le regioni Campania e Sicilia ovvero i comuni di Napoli e Palermo e la provincia di Napoli, avrebbero dovuto presentare una relazione sulle opere eseguite dall'inizio degli interventi sino alla data di entrata in vigore della normativa in base ai progetti già attuati e/o presentati, oltre ai programmi che si sarebbero intrapresi, quale precondizione necessaria per poter procedere al trasferimento delle somme predisposte;
   le successive disposizioni di legge contenute nelle leggi finanziarie e di stabilità degli ultimi 15 anni, hanno sistematicamente richiamato questi provvedimenti, con particolare riferimento al decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, che, come riportato sopra, obbligava le amministrazioni a fornire una relazione sui lavori svolti e quelli che si prevedeva di svolgere; ad ogni modo, nella pressoché totalità dei casi si condizionava la concessione delle somme alla stipula di convenzioni tra le amministrazioni interessate e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, attraverso le quali trasferire le somme previste;
   ad avviso degli interroganti, le centinaia di milioni di euro stanziati sin dal 1984 in favore dei lavoratori socialmente utili, sono stati concessi senza reali criteri e l'assunzione di questi soggetti è avvenuta nei settori più disparati, con particolare incidenza negli enti pubblici locali;
   ad avviso dell'interrogante e secondo fonti di stampa, queste assunzioni sono troppo spesso avvenute con fini politico-elettorali: esponenti di ogni forza politica hanno, infatti, promesso e garantito contratti di lavoro, utilizzando fondi pubblici, per svolgere mansioni superflue o non necessarie ovvero senza svolgere realmente alcuna mansione, ottenendo come controparte la loro fedeltà elettorale;
   dopo ricerche effettuate dagli interroganti, non si rinvengono documenti relativi alle piante organiche delle amministrazioni in oggetto che indicherebbero reali carenze di organico che giustificherebbero in questo modo l'assunzione di una tale quantità di lavoratori socialmente utili –:
   se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali sulla base degli atti depositati abbia notizia dei criteri attraverso i quali, utilizzando risorse statali, le amministrazioni citate in premessa hanno proceduto all'assunzione di lavoratori socialmente utili;
   se le amministrazioni interessate abbiano provveduto ad inviare al Ministero del lavoro e delle politiche sociali i documenti richiesti dalla normativa citata in premessa anche con riferimento a eventuali carenze di organico dei medesimi atti, e, in tal caso, se intenda renderli noti, anche fornendo la documentazione relativa;
   se, in base alle relazioni sui lavori effettuati e sui programmi dei lavori da intraprendere ovvero in base alle convenzioni stipulate con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, secondo quanto stabilito dalla relativa normativa, non vi siano incongruenze tra quanto dichiarato nel corso degli anni rispetto ai lavori già effettuati e quelli proposti;
   quale sia il numero dei soggetti appartenenti alla categoria dei lavoratori socialmente utili, di pubblica utilità ovvero appartenenti a categorie similari create nel tempo a livello regionale, per i quali risulta accesa una posizione contributiva presso l'INPS, sia con riferimento ai lavori socialmente utili ed alle altre categorie finanziate con risorse statali per i quali questa posizione non risulta, per il periodo dal 2000 ad oggi, suddivisi per ente utilizzatore;
   nel corso degli anni, quanti siano stati i fondi anche statali destinati per le proroghe dei progetti socialmente utili, di pubblica utilità o similari, e quanti i fondi destinati agli incentivi per ridurre il bacino degli appartenenti a questa categoria;
   quali siano gli enti utilizzatori che hanno percepito questi fondi statali, in che misura queste risorse siano state destinate al pagamento degli stipendi dei lavoratori socialmente utili/LPU e se il Governo abbia notizia di eventuali ulteriori destinazioni;
   per quali motivi, nonostante la riduzione del bacino dei lavoratori socialmente utili negli ultimi 15 anni, il livello dei finanziamenti sia rimasto sostanzialmente uguale nel corso degli anni e vi è perfino un folto gruppo di lavoratori socialmente utili che ancora deve percepire svariate mensilità arretrate. (4-03686)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI, MARIANI e FIORIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con la legge di stabilità 2014 sono stati stanziati 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016 finalizzati al rifinanziamento dei contratti degli operai forestali assunti presso gli uffici territoriali per la biodiversità (UTB) che da anni consentono lo svolgimento di un delicato lavoro in decine di realtà italiane (Umbria, Toscana, Abruzzo, Veneto, Calabria);
   tali uffici sono collocati in varie realtà forestali del nostro Paese, occupano circa un centinaio di operai sul territorio;
   la legge n. 36 del 2004 assegna all'ufficio per la biodiversità vari compiti tra i quali i principali sono la gestione delle aree protette assegnate in gestione al Corpo forestale dello Stato (ivi comprese le attività di manutenzione del territorio, di gestione delle foreste, di tutela degli animali), l'attività di ricerca e monitoraggio in tali riserve, l'attività di educazione ambientale;
   il personale Otd con competenze e qualifiche specifiche, viene assunto per rafforzare quello ordinario, per svolgere mansioni ben delineate sopra (che riguardano la manutenzione ed il presidio in aree di pregio ambientale e forestale la cui conservazione e tutela è anche indispensabile ai fini della sicurezza del territorio e della difesa del suolo oggi molto pregiudicata dall'abbandono delle attività agricolo e silvo-forestali);
   le risorse stanziate dalla legge di stabilità dovrebbero essere destinate esclusivamente a coprire le spese di tale funzione rafforzata;
   risulterebbe agli interroganti da notizie informali essere state assunte nuove ed altre figure, estemporanee ed estranee a tali finalità, prive delle qualifiche necessarie, che non potrebbero essere inserite tra gli Otd del territorio in quanto non disposte o non in grado di svolgere veri e propri lavori forestali;
   tale eventualità, rappresenterebbe un grave precedente, oltre a disattendere le finalità per le quali l'emendamento è stato accolto, ed avrebbe come diretta conseguenza una pesante erosione delle risorse necessarie a garantire il funzionamento degli uffici in questione –:
   se le notizie sopra riportare corrispondano al vero;
   nel caso, per quale ragione e con quali atti, sarebbero state svolte assunzioni non proprie attingendo alle risorse degli uffici per la biodiversità;
   come stia procedendo il programma di rinnovo dei contratti, con quale tempistica e con quali programmi;
   se il Ministro non ritenga realizzare un tavolo tecnico, agricoltura/ambiente, per studiare ed organizzare al meglio l'attività di tutela del territorio agro-forestale e di lotta al dissesto idrogeologico. (5-02223)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   è appena stata pubblicata la «Nota di Commento» dell'Associazione medici diabetologi (AMD) e della Società italiana di diabetologia (SID) in merito alle nuove indicazioni prescrittive AIFa per le terapie basate sulle incretinente, che in contrasto con le decisioni europee prevede forti restrizioni sulle incretine, (agonisti recettoriali del GLP-1 e inibitori della DDP-4). per motivi di natura esclusivamente economica, con grave danno per i pazienti;
   le Società scientifiche hanno individuato nelle indicazioni prescrittive dell'Agenzia del farmaco una serie di criticità, elencate in dodici punti, che risultano in netto contrasto con le linee guida di terapia del diabete italiane e internazionali e, almeno in parte, anche con le indicazioni EMA;
   le restrizioni contenute nei criteri AIFA, secondo gli esperti della Società scientifica di diabetologia non sono motivate da criteri scientifici solidi, avranno come ricaduta il peggioramento della qualità di vita per una parte delle persone con diabete e ne esporranno altre, che potrebbero beneficiare delle terapie incretiniche, agli eventi avversi tipici dei vecchi anti-diabetici orali;
   le Società scientifiche di diabetologia comprendono la necessità di contenere la spesa sanitaria, tuttavia ritengono che l'impatto che avranno i nuovi piani terapeutici sarà prevedibilmente negativo, visto l'inevitabile aumento di complicanze, legato alla mancata adozione delle nuove terapie;
   in altri termini per risparmiare sulla prescrizione delle incretine, si rischia di generare una spesa maggiore, perché tra gli effetti secondari dei vecchi antidiabetici orali occorre considerare anche il maggior numero di accessi al pronto soccorso, i ricoveri per crisi ipoglicemiche e le loro conseguenze (fratture, incidenti stradali);
   secondo le Società scientifiche, AIFA avrebbe tenuto conto solo dei costi diretti legati all'acquisto dei farmaci, mentre non avrebbe valutato adeguatamente l'impatto dei costi diretti e indiretti generati dalle complicanze;
   inoltre, la sospensione della rimborsabilità delle terapie incretiniche alle persone in trattamento insulinico abolisce un «diritto acquisito» e rischia di determinare un aggravio economico per il ricorso a terapie insuliniche più complesse e costose, oltre alla necessità di intensificare il controllo glicemico a domicilio;
   le Società scientifiche sottolineano ancora l'evidente contraddizione tra i criteri di rimborsabilità indicati dall'AIFA e i criteri di prescrittibilità indicati dall'EMA; in concreto mentre l'EMA ritiene che non debbano essere prescritti a pazienti con insufficienza renale, l'AIFA al contrario sembra intendere che siano prescrivibili anche alle persone con insufficienza renale. In sostanza, questi farmaci risultano rimborsabili per persone alle quali non potrebbero essere prescritti, mentre non sono rimborsabili per coloro che potrebbero giovarsene e alle quali potrebbero essere prescritti;
   gli esperti delle società scientifiche fanno poi notare come, a distanza ormai di anni dall'introduzione delle prime terapie basate sulle incretine, ai diabetologi italiani venga ancora richiesto di compilare un piano terapeutico complesso che, facendo perdere molto tempo, rappresenta di per sé un'ulteriore limitazione, se non un vero e proprio deterrente, alla prescrizione dei nuovi farmaci;
   l'emoglobina glicata è un parametro che consente di definire il compenso metabolico degli ultimi 3 mesi, pur se con varie limitazioni, non è utilizzabile ad esempio nelle persone con anemia o trasfuse di recente, mentre può essere falsamente aumentato in presenza di insufficienza renale o di aumento dei trigliceridi;
   secondo AIFA, le terapie incretiniche andrebbero somministrate solo a pazienti con emoglobina glicata compresa tra 7,5 e 8,5 per cento. Ma le Società scientifiche non sono d'accordo, ecco perché: secondo AIFA, le terapie basate sulle incretine andrebbero prescritte solo a chi presenta un «fallimento terapeutico» cioè il mancato raggiungimento del target terapeutico, con una precedente terapia antidiabetica che, secondo AIFA, corrisponderebbe a un valore di emoglobina glicata superiore a 7,5 per cento. Le Società scientifiche fanno notare che linee guida e raccomandazioni indicano invece la soglia del 7 per cento come livello di intervento, se non un più ambizioso 6,5 per cento da riservare ai pazienti più giovani e senza patologie cardiovascolari associate;
   AIFA sostiene anche che la riduzione di glicata ottenuta con le terapie basate con le incretine sia uguale o inferiore all'1 per cento, mentre in numerosi studi con agonisti del recettore del GLP-1, la riduzione media è stata superiore a 1,2 per cento;
   nella parte «Limitazioni generali alla rimborsabilità» dei Piani terapeutici per la prescrizione degli agonisti del recettore del GLP-1, analogamente a quelli per gli inibitori della DPP-4, è riportato che «il livello di HbA1c può estendersi al 9 per cento nel caso di insufficienza renale cronica di grado severo (GFR <30 ml/min)». Questa rappresenta una rilevante (e potenzialmente pericolosa) contraddizione con quanto riportato nelle indicazioni dell'Agenzia Europea EMA e delle stesse schede tecniche ministeriali di tali farmaci (RCP), che chiaramente indicano come questi farmaci non sono prescrivibili con clearance <30 ml/min;
   gli esperti delle società scientifiche fanno notare, infine, come questa soglia arbitraria dell'8,5 per cento venga applicata dall'AIFA solo alle nuove terapie. Avere la possibilità di prescrivere solo farmaci in grado di causare ipoglicemie (sulfoniluree e insulina) – sottolineano infine le Società scientifiche – comporta limitazioni per la guida di veicoli commerciali e per l'uso di altri macchinari. Non avere la possibilità di prescrivere farmaci a bassissimo rischio di ipoglicemie, quali le terapie basate sulle incretine, potrebbe rendere impossibile il proseguo della propria attività lavorativa ad alcune persone con diabete nelle quali l'ipoglicemia può essere considerata un possibile rischio per terzi (autotrasportatori, autisti, gruisti, lavoratori su impalcature) comportando limitazioni al rinnovo della patente di guida a molte altre –:
   quali urgenti misure intenda porre in essere al fine di ovviare alle criticità elencate in premessa e in contrasto con le linee guida di terapia del diabete italiane e internazionali e se non ritenga opportuno rivedere le norme prescrittive relative alle incretine, così da mettere il nostro Paese al passo con gli altri Paesi comunitari.
(2-00417) «Binetti, Rossi, Gigli, Sberna, Buttiglione, Fitzgerald Nissoli, Piepoli, Gitti, Fauttilli, Molea, Vezzali, Monchiero».

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO, PRODANI, CRIPPA e MUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è noto che la normativa comunitaria e nazionale promuove lo sviluppo dell'energia da fonti rinnovabili prefiggendosi l'obiettivo di potenziare e razionalizzare il sistema per incrementare l'efficienza dell'energia alternativa, anche diminuendo gli oneri relativi alla realizzazione degli impianti da essa alimentati;
   tuttavia, nell'ambito del settore delle energie rinnovabili, vengono adottati di frequente dei provvedimenti che invece di incentivare tali investimenti, come prevede la normativa, li scoraggia o addirittura, determina un danno attraverso l'addebitando di costi/oneri retroattivi per coloro che hanno già provveduto ad investire in queste tecnologie;
   a riguardo, una questione sulla quale è necessario fare chiarezza concerne l'accatastamento degli impianti fotovoltaici;
   da un articolo del Sole 24ore del 18 febbraio 2014, intitolato «Fotovoltaico sul tetto ? Per il Fisco vale come una stanza in più e va accatastato», si legge che in base alla circolare dell'Agenzia delle entrate, n. 36/E del 19 dicembre 2013, l'impianto fotovoltaico istallato sul tetto di un edificio è sottoposto all'obbligo di accatastamento se ha una potenza superiore ai 3,00 Kwp;
   l'Agenzia delle entrate, dunque, sostiene che gli impianti devono essere considerati come una «appendice» dell'abitazione, il che ne comporta un aumento del valore e un aumento di tutte le imposte che hanno come base il valore catastale per chi procede al predetto virtuoso investimento;
   i moduli fotovoltaici sono installati per abbattere i costi in bolletta ed il Governo pro tempore più volte aveva dichiarato di essere a favore della green economy, settore che va sostenuto anche per la creazione di nuovi posti di lavoro e il mantenimento di quelli attuali, tali fini è chiaro che si contrappongono al riconoscimento di ulteriori oneri, come quelli connessi all'accatastamento per gli impianti installati sulle coperture e/o pertinenze degli edifici al servizio di utenze domestiche o delle piccole e medie imprese;
   generalmente, un impianto di 3,00 Kwp è quello che serve per coprire i consumi di una famiglia-tipo, tuttavia, molti proprietari hanno scelto di installare impianti più potenti, così da massimizzare i benefici, sicché, se l'estensione del tetto dell'abitazione lo consente, molti acquirenti hanno scelto potenze sino ai 6/12 Kwp di potenza installata (in media, 1,00 Kwp richiede circa 7 metri quadri di superficie);
   nei predetti casi, ossia per gli impianti con potenza superiore a 3,00 Kwp, secondo l'Agenzia delle entrate, va verificato se la rendita catastale dell'unità immobiliare deve essere aggiornata ed, a riguardo, la circolare afferma che la variazione catastale è obbligatoria quando il valore dell'impianto supera il 15 per cento della rendita catastale;
   l'Agenzia delle entrate, tra l'altro, nella circolare non ha chiarito attraverso quali procedure il proprietario dell'impianto possa accertare se il valore dello stesso superi o meno il 15 per cento della rendita catastale, posto che tale calcolo non può di certo essere effettuato dal proprietario stessa, ma da un tecnico abilitato, con l'aggiunta, quindi, di un'ulteriore spesa;
   dunque, non solo non si specificano i criteri per valutare oggettivamente l'aumento della tariffa d'estimo catastale dovuta alla presenza dell'impianto fotovoltaico, ma, altresì, sul punto, non si considerano due ulteriori problematiche che renderebbero necessaria la rimodulazione della tariffa d'estimo al ribasso: innanzitutto la vita media di un impianto è convenzionalmente di circa 25-30 anni durante i quali la produzione di energia decresce e con essa anche la redditività dell'impianto, in secondo luogo, al termine della vita convenzionale dell'impianto, quando lo stesso non produrrà più un alto beneficio per l'utente, quest'ultimo dovrà, altresì, sostenere i costi per lo smaltimento;
   orbene, quanto affermato dalla predetta circolare dell'Agenzia delle entrate è gravemente penalizzante per il settore del fotovoltaico, che, invece, andrebbe valorizzato così come previsto dalla normativa comunitaria e nazionale, anche considerando che la realizzazione di impianti da fonti energetiche rinnovabili presenta i caratteri di un servizio di pubblica utilità;
   a parere dell'interrogante vi sono fondati dubbi sulla legittimità della circolare dell'Agenzia delle entrate rispetto all'accatastamento degli impianti fotovoltaici, pertanto, si deve fare chiarezza sulla questione, anche a fronte dello stato d'incertezza, su tale vicenda, in cui versano circa 312 mila impianti, con una potenza compresa tra 3,00 a 20,00 Kwp (dati GSE);
   si ritiene che debbano essere esentati dalla rivalutazione della rendita catastale i piccoli impianti con potenza inferiore ai 20,00 Kwp, trattandosi generalmente di utenze domestiche o quelle di piccole imprese, installati con finalità di risparmio energetico ed autoconsumo e non di investimento o mera speculazione, quindi, non soggetti a denuncia di apertura di officina elettrica ed installati sulle coperture e pertinenze degli edifici;
   quanto meno, devono essere esentati dalla rivalutazione della rendita catastale gli impianti, della medesima taglia e caratteristiche a quelle predette, che non beneficiano delle tariffe incentivanti ai sensi di tutte le edizioni del Conto Energia e hanno optato per il regime di scambio sul posto –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sulla questione esposta in premessa;
   se il Ministro non ritenga che il settore del fotovoltaico sia altamente penalizzato da quanto prevede la circolare dell'Agenzia delle entrate, n. 36/E del 19 dicembre 2013, rispetto ai profili catastali e fiscali ivi previsti per quanto concerne gli impianti domestici e quelli delle piccole imprese installati con finalità di risparmio energetico e non di investimento;
   se non ritenga di adottare specifici provvedimenti per esentare dalla rivalutazione della rendita catastale i piccoli impianti con potenza inferiore ai 20,00 Kwp trattandosi generalmente di utenze domestiche o di piccole imprese installate con finalità di risparmio energetico e non di investimento e, quanto meno, esentare gli impianti, con le medesime caratteristiche, che non beneficiano delle tariffe incentivanti ai sensi del Conto Energia e hanno optato per il regime di scambio sul posto;
   se e quali provvedimenti ritenga di adottare, posto che la circolare in questione è comunque carente e, pertanto, inefficace poiché non precisa specificamente i criteri per valutare l'aumento della tariffa d'estimo catastale dovuta alla presenza dell'impianto fotovoltaico e, nello stabilire tale onere, non prende in considerazione che la vita media di un impianto è, convenzionalmente, di circa 25-30 anni durante i quali l'energia decresce e con essa anche la redditività dell'impianto stesso. (5-02215)

Interrogazione a risposta scritta:


   DE ROSA, TRIPIEDI, CARINELLI, ZOLEZZI, PESCO, CASO e MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società Pimkie Modisti è una multinazionale con sede in Francia che opera nella distribuzione organizzata dell'abbigliamento con 84 negozi in Italia e circa 400 dipendenti, presente in 26 Paesi del mondo;
   secondo quanto riportato da un comunicato sindacale congiunto di Filcams Cgil, Uiltucs Uil e Fisascat Cisl, l'azienda ha deciso la chiusura del deposito merci di Cornaredo nel quale sono occupati 70 lavoratori, di cui 58 donne, avviando una procedura di licenziamento collettivo in data 27 gennaio 2014 che secondo i tempi procedurali di legge si esaurirà dopo 75 giorni, il 12 aprile 2014;
   l'azienda avrebbe deciso di chiudere il magazzino cornaredese di via Monzoro per trasferire l'attività in Germania. Nella sede cornaredese resterebbero solo gli uffici dove lavorano 40 impiegati che si occupano della parte amministrativa;
   i sindacati succitati dichiarano che, nelle verifiche trimestrali effettuate nel 2013, l'azienda non ha mai fatto accenno ad eventuali esuberi o alla chiusura del magazzino;
   questa decisione mette in grave difficoltà le lavoratrici e i lavoratori che, considerando la media di età superiore ai 40 anni, difficilmente potranno trovare in tempi rapidi una nuova collocazione nel mondo del lavoro;
   l'iniziativa aziendale giunge dopo un anno in cui azienda e sindacati avevano trovato un'intesa per concedere ai lavoratori un contratto di solidarietà al fine di scongiurare il pericolo dei licenziamenti, ora, a un solo anno dal precedente accordo, l'azienda rimette in discussione i risultati raggiunti annunciando la definitiva chiusura del magazzino –:
   se il Governo intenda attivare misure di sostegno quali: l'istituzione di un tavolo di concertazione, l'individuazione di soluzioni di ricollocamento dei lavoratori o, in alternativa, misure di sostegno al reddito, al fine di affrontare le problematiche relative alle ricadute sociali e occupazionali sul territorio interessato;
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere affinché si faccia chiarezza sul corretto svolgimento dei rapporti tra l'azienda e i lavoratori con particolare riferimento al rispetto dei vincoli contrattuali, sindacali e di legge. (4-03693)

Apposizione di firme ad una interpellanza.

  L'interpellanza Gigli e Sberna n. 2-00414, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Iori, Patriarca.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Dadone n. 4-02887, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Battelli.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Garavini n. 5-02214, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: La Marca, Porta, Fedi.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Pili n. 5-02207 del 20 febbraio 2014.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BOCCADUTRI. — Al Ministro della salute, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 152 del Trattato che istituisce la Comunità europea stabilisce che «nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività della Comunità è garantito un livello elevato di protezione della salute umana»;
   in particolare, statuisce che «l'azione della Comunità, che completa le politiche nazionali, si indirizza al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all'eliminazione delle fonti di pericolo per la salute umana. Tale azione comprende la lotta contro i grandi flagelli, favorendo la ricerca sulle loro cause, la loro propagazione e la loro prevenzione, nonché l'informazione e l'educazione in materia sanitaria»;
   l'articolo 168 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea stabilisce che l'azione dell'Unione deve completare le politiche della sanità pubblica, occupandosi in particolare della lotta contro le malattie più gravi;
   uno strumento fondamentale utilizzato per combattere le malattie più gravi è costituito dalle vaccinazioni;
   la vaccinazione infantile è competenza degli Stati membri sia per i profili che riguardano i sistemi di vaccinazione, che per il loro carattere obbligatorio o facoltativo;
   un coordinamento dell'attività degli Stati membri su questo tema può avere benefici generali su tutti i cittadini dell'Unione europea;
   sul punto il Consiglio dell'Unione europea ha adottato le conclusioni sulle vaccinazioni infantili (Doc. 2001/C 202/02), con cui ha invitato gli Stati membri a rafforzare i procedimenti che consentono di offrire le strategie nazionali o regionali e locali, potenziare l'istruzione e la formazione degli operatori sanitari o di altri esperti in tema di vaccinazione infantile, proseguendo nella cooperazione tra servizi di vaccinazione nazionale e condividendo le esperienze e le migliori pratiche per migliorare la copertura di vaccinazione infantile; il Consiglio ha invitato contemporaneamente la Commissione ad assicurare sinergie tra la promozione della vaccinazione infantile e l'attuazione della legislazione e delle politiche pertinenti dell'Unione europea;
   il pericolo che, a causa della libera circolazione delle persone attuata con il Trattato di Schengen, le malattie si diffondano con più rapidità all'interno dell'Unione europea è più alto;
   per tale ragione, è necessario che l'Unione europea implementi le misure già adattate o attui quelle già prese –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere per attuare le conclusioni del Consiglio dell'Unione europea sulle vaccinazioni infantili. (4-00556)

  Risposta. — In Italia, attraverso strategie vaccinali di massa, sono stati ottenuti ottimi risultati anche in termini di controllo di alcune malattie: il tetano colpisce solo gli anziani non vaccinati; il numero di casi di epatite virale B è in continuo declino, soprattutto nelle classi di età più giovani, target dal 1991 di una strategia vaccinale mirata, il cui successo nel contenimento della malattia, ha valso all'Italia, primo Paese ad intraprendere tale strategia preventiva, l'apprezzamento dell'Organizzazione Mondiale della sanità (OMS).
  Proprio in ragione di tali risultati, in Italia il calendario nazionale delle vaccinazioni prevede, accanto alle vaccinazioni obbligatorie, altre vaccinazioni fortemente raccomandate, perché ritenute altrettanto efficaci in termini di controllo delle malattie e della tutela della salute collettiva.
  Le vaccinazioni che nel corso del tempo sono state rese obbligatorie per legge sono: vaccinazione antidifterica, antipoliomielitica, antitetanica ed antiepatite virale B. Le altre vaccinazioni, ovvero contro pertosse, morbillo, parotite, rosolia, infezioni da
haemophilus influenzae b (Hib), infezioni da alcuni ceppi di pneumococco e da meningococco C, anti-HPV (per le ragazze nel corso del dodicesimo anno di vita), sono fortemente raccomandate, ma non sono state imposte per legge.
  La situazione delle coperture vaccinali per le vaccinazioni obbligatorie è sempre stata più che soddisfacente e non è mai stata inferiore al 90-95 per cento arrivando anche a punte del 99 per cento, seppure con inevitabili differenze tra le regioni. Anche la copertura vaccinale per Hib è andata progressivamente migliorando e dal 2006 è stabilmente al di sopra del 95 per cento.
  Più problematica è, invece, la copertura vaccinale per morbillo-parotite-rosolia (MPR), ancora inferiore al 95 per cento, soglia critica necessaria a bloccare la circolazione del virus e, quindi, a raggiungere l'obiettivo di eliminazione previsto per il 2015 nella regione Europea dell'Oms.
  Nel 2011 la copertura nazionale media per MPR nei bambini sotto i due anni di età e stata dell'89,9 per cento (
range per regione 72,4 – 94,7 per cento) e nessuna regione ha superato la soglia del 95 per cento.
  Per quanto riguarda, invece, le vaccinazioni effettuate dopo i primi due anni di vita, le coperture vaccinali non vengono rilevate routinariamente a livello nazionale. Tuttavia, l'indagine Icona 2008 ha colmato la mancanza di dati nazionali rilevando le coperture vaccinali negli adolescenti nel sedicesimo anno di età (coorte di nascita 1992), evidenziando che le coperture vaccinali per il ciclo primario per i vaccini polio, DT e HBV e per il primo richiamo di polio e DT (previsto a 5-6 anni) sono superiori al 96 per cento ma la percentuale di adolescenti che ha ricevuto la quinta dose di DT è pari solo al 52,9 per cento e la copertura vaccinale per 3 dosi di vaccino anti-pertosse è pari al 45,6 per cento. Il 78,1 per cento dei sedicenni ha ricevuto una dose di vaccino contro il morbillo (MPR o vaccino singolo) e il 53,9 per cento ne ha ricevuto 2 dosi. La copertura vaccinale per una dose di vaccino anti-rosolia (vaccino singolo o MPR) è pari al 74,9 per cento esiste, quindi, una percentuale elevata di ragazze che si avvicinano all'età riproduttiva ancora suscettibili alla rosolia. La copertura per vaccino antiparotite è pari al 75 per cento.
  Relativamente alla vaccinazione contro l'HPV, la copertura vaccinale per ciclo completo riferita alla coorte di nascita 1997, la prima invitata attivamente alla vaccinazione in tutte le regioni, è del 68,5 per cento, ancora inferiore all'obiettivo del 70 per cento, fissato nel nuovo Piano nazionale della prevenzione vaccinale 2012-2014 (PNPV 2012-2014) per le dodicenni a partire dalla coorte del 2001 (il dato riferito a questa coorte non è ancora disponibile).
  Peraltro, nel citato piano si è proceduto ad una rimodulazione degli obiettivi di copertura vaccinale per anti-HPV, stabilendo di raggiungere, in maniera graduale, l'obiettivo del 95 per cento nelle dodicenni a partire dalla coorte del 2003.
  Riguardo alle coperture vaccinali per i vaccini antipneumococcico ed antimeningococcico C, il dato relativo al primo anno di introduzione (2012) non è ancora disponibile a livello nazionale.
  In merito alle iniziative che questo Ministero ha già avviato o intende assumere per dare attuazione alle Conclusioni sulla vaccinazione infantile approvate dal Consiglio europeo nel giugno del 2011, si segnala che il nuovo Piano nazionale prevenzione vaccinale 2012-2014, approvato il 22 febbraio 2012, costituisce il documento programmatico nazionale sulle strategie vaccinali per il triennio in corso. Lo strumento utilizzato per la sua emanazione è stato quello dell'intesa in conferenza Stato-Regioni. La necessità di strategie vaccinali omogenee e comuni viene avvertita perché soltanto così è possibile evitare il rischio che l'ecologia microbica si differenzi tra le diverse aree geografiche del nostro Paese, tanto da ridurre l'impatto di contrasto che le vaccinazioni perseguono.
  Il Piano nazionale della prevenzione vaccinale 2012-2014, tenendo conto delle raccomandazioni dell'Organizzazione fondiate della sanità, definisce anche il processo decisionale ed i criteri,
evindence based, per l'introduzione di nuovi vaccini nel calendario nazionale, prendendo in considerazione, oltre agli aspetti di efficacia, sicurezza e sostenibilità economica del vaccino, per valutare se esso rappresenti una priorità di Sanità Pubblica, anche le problematiche di politica vaccinale e le questioni di carattere programmatico, e, quindi,
anche di sostenibilità della vaccinazione da parte del sistema. L'approccio adottato è, sostanzialmente, quello dell’
Health technology assessment.
  Il Piano nazionale della prevenzione vaccinale 2012-2014 prevede che il medesimo approccio venga adottato per i futuri aggiornamenti del calendario nazionale.
  Il Piano nazionale della prevenzione vaccinale ha come obiettivo generale l'armonizzazione delle strategie vaccinali in atto nel nostro Paese, al fine di garantire equità nella prevenzione delle malattie suscettibili di vaccinazione, superando i ritardi e le insufficienze presenti e assicurando parità di accesso alle prestazioni vaccinali a vantaggio di tutti i cittadini.
  In esso sono elencati obiettivi specifici concreti, contestualizzati alla realtà del nostro Paese, coerenti anche con le esperienze e gli impegni presi a livello internazionale, incluse le raccomandazioni per gli Stati membri enunciate nelle conclusioni sulla vaccinazione infantile del Consiglio europeo:
   1. mantenere e sviluppare le attività di sorveglianza epidemiologica delle malattie suscettibili di vaccinazione, al fine di determinare le dimensioni dei problemi prevenibili e per valutare l'impatto degli interventi in corso;
   2. potenziare la sorveglianza delle malattie suscettibili di vaccinazione, collegando i flussi informativi con le anagrafi vaccinali e integrando la sorveglianza epidemiologica con le segnalazioni provenienti dai laboratori diagnostici;
   3. garantire l'offerta attiva e gratuita nei gruppi e rischio delle vaccinazioni prioritarie e sviluppare iniziative per promuovere le vaccinazioni rivolte sia agli operatori sanitari sia ai gruppi difficili da raggiungere;
   4. ottenere la completa informatizzazione delle anagrafi vaccinali e verificare lo stato vaccinale del bambino in tutte le occasioni di contatto con le strutture sanitarie regionali;
   5. raggiungere standard adeguati di sicurezza e qualità nel processo vaccinale;
   6. garantire la disponibilità, presso i servizi vaccinali delle aziende sanitarie locali, degli altri vaccini (da somministrare in «co-payment») per le indicazioni d'uso e al costo che saranno definiti ed emanati con apposito provvedimento regionale;
   7. progettare e realizzare azioni per potenziare l'informazione e la comunicazione, al fine di promuovere l'aggiornamento dei professionisti sanitari e per diffondere la cultura della prevenzione vaccinale come scelta consapevole e responsabile dei cittadini;
   8. garantire l'offerta attiva e gratuita delle vaccinazioni prioritarie per la popolazione generale, al fine del raggiungimento e del mantenimento dei livelli di copertura stabiliti, necessari a prevenire la diffusione delle specifiche malattie infettive.

  Il Piano contiene il nuovo «Calendario delle vaccinazioni attivamente offerte a tutta la popolazione», in cui sono stati inseriti, rispetto al precedente Piano nazionale vaccini 2005-2007 ed a quanto attualmente contemplato nei livelli essenziali di assistenza (LEA), alcuni nuovi vaccini, peraltro già offerti attivamente e gratuitamente nella maggior parte delle Regioni: il vaccino antipneumococco tredicivalente ed il vaccino antimeningococco C, per i quali è prevista l'offerta universale attiva e gratuita a tutti i nuovi nati (nel corso del I e del II anno di vita rispettivamente); il vaccino anti-HPV alle bambine nel corso del dodicesimo anno di vita (già introdotto con l'Intesa del 20 dicembre 2007); la vaccinazione anti-influenzale per gli ultrasessantacinquenni.
  Il piano prevede, altresì, l'introduzione della vaccinazione universale gratuita contro la varicella per tutti i nuovi nati in alcune regioni e P.P.A.A. (Basilicata, Calabria, P.A. di Bolzano, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Veneto), i cui programmi pilota forniranno le evidenze per supportare l'introduzione della vaccinazione in tutto il Paese, prevista per il 2015. Infine, il PNPV 2012-2014 fornisce indicazioni sulle vaccinazioni raccomandate in ogni età per i soggetti appartenenti a gruppi a maggior rischio di ammalare o di avere gravi conseguenze in caso di malattia infettiva prevenibile con le stesse.
  Questo Ministero, d'intesa con le regioni e le province autonome, sta predisponendo i seguenti documenti informativi a contenuto tecnico, utili ad orientare il lavoro dei servizi di prevenzione e a comunicare in modo appropriato con i destinatari degli interventi vaccinali previsti dal piano:
   definizione operativa degli indicatori per la valutazione degli obiettivi del Piano nazionale della prevenzione vaccinale 2012-2014;
   requisiti per la qualità dei processi vaccinali; requisiti per la realizzazione delle anagrafi vaccinali;
   indicazioni d'uso per i vaccini disponibili da somministrare in «copayment» presso i servizi vaccinali delle, Aziende sanitarie locali;
   intervalli minimi e massimi fra le dosi e intervalli tra vaccini diversi, co-somministrazione di vaccini, eventi avversi a vaccini, controindicazioni e precauzioni;
   schede informative sulle singole malattie infettive, contenenti informazioni sul quadro epidemiologico, sulla sicurezza ed efficacia dei vaccini disponibili e sulle strategie di prevenzione indicate dal piano, sugli intervalli minimi e massimi fra le dosi e intervalli tra vaccini diversi, co-somministrazione di vaccini, eventi avversi a vaccini, controindicazioni e precauzioni;
   quadro sinottico delle raccomandazioni vaccinali per singolo vaccino;
   quadro sinottico delle raccomandazioni vaccinali per soggetti destinatari.

  Inoltre, questo Ministero, allo scopo di rafforzare la sorveglianza delle malattie infettive, sta realizzando un nuovo sistema informativo per la notifica dei casi (Premal), e sta curando tutti i passaggi normativi e organizzativi necessari affinché esso possa andare a regime in tutto il Paese. Questo nuovo sistema presenta alcuni vantaggi rispetto a quello attualmente in uso, realizzato in base a quanto prescritto dal decreto ministeriale 15 dicembre 1990, ormai tecnicamente obsoleto, troppo rigido nelle informazioni richieste e poco tempestivo nei tempi previsti. I vantaggi sono:
   contestuale recepimento delle nuove definizioni di caso per la segnalazione approvate dalla Commissione europea nel 2008 (EU case definition, 2008/426/EC);
   rapidità di accesso e disponibilità in tempo reale dei dati inseriti;
   standardizzazione delle informazioni;
   reportistica automatica ed aggiornata dei dati;
   semplificazione delle procedure di scambio di dati con gli altri attori nazionali (Istituto superiore di Sanità, Istat) e internazionali (European centre for disease prevention and control, european food safety authority, organizzazione mondiale della sanità);
   tutela della riservatezza dei dati personali relativi ai singoli casi;
   flessibilità nella raccolta delle informazioni, che possono essere rapidamente modificate sulla base di eventuali cambiamenti nelle definizioni di caso, o a seguito dell'emergenza di nuovi fenomeni da controllare e, più in generale, tenendo conto dello scenario in continuo mutamento delle malattie infettive.

  I registri informativi informatizzati per le attività vaccinali (anagrafi vaccinali informatizzate – AVI) sono uno strumento importante sia per garantire una corretta conduzione dei programmi vaccinali sia per attuare molte delle misure a dimostrata efficacia per aumentare le coperture vaccinali. Attualmente solo l'83 per cento delle Aziende sanitarie locali ha un'AVI e solo il 25 per cento di queste trasmette dati individuali alla propria Regione.
  D'intesa con le regioni e P.P.A.A. è in corso di stesura il piano nazionale della Prevenzione (PNP) 2014-2018, che contempla lo scopo di portare a termine progetti, realizzati solo in parte, concernenti iniziative prioritarie che devono andare a regime in tutto il Paese, quali appunto le AVI.
  Sin dal primo piano nazionale della prevenzione del 2005, è sempre stata presente un'area dedicata alle vaccinazioni, per il sostegno a progetti regionali e locali volti a perseguire il miglioramento delle coperture vaccinali, la realizzazione/implementazione delle AVI, il miglioramento della qualità ed efficienza delle attività vaccinali, il sostegno al piano nazionale di eliminazione del morbillo e della rosolia congenita.
  Le azioni in cui questo Ministero è impegnato in merito alle politiche vaccinali sono coerenti con le conclusioni sulla vaccinazione infantile del Consiglio europeo.
  Inoltre, nel corso della conferenza sulla vaccinazione infantile, organizzata dalla Commissione europea (Conference on childhood immunisation: progress, challenges and priorities for further action – 16 e 17 ottobre 2012, Lussemburgo), sono state evidenziate azioni prioritarie che sono da tempo integrate nelle strategie vaccinali in atto nel nostro Paese:
   la gratuità per la popolazione target delle vaccinazioni incluse nel calendario vaccinale;
   la richiesta del dissenso informato per le vaccinazioni dell'infanzia e la verifica dello stato immunitario al momento della prima iscrizione alla scuola dell'infanzia o elementare;
   la promozione della verifica dello stato vaccinale e dell'offerta delle vaccinazioni in tutte le occasioni di contatto con i servizi vaccinali, anche per la popolazione adolescente/adulta inadempiente.

Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane s.p.a. è una società per azioni, il cui capitale è posseduto al 100 per cento dallo Stato, chiamata a gestire un servizio di pubblica utilità;
   sino all'anno 2016 (e con possibilità di proroga fino al 2026) la società è tenuta ad erogare il cosiddetto «servizio universale»;
   l'ufficio postale di Crema Centro sito in piazza Madeo a Crema (Cremona) è l'unico ufficio postale con orario continuato del territorio Cremasco dove vivono circa 160.000 abitanti e si determina oltre la metà del prodotto interno lordo della provincia di Cremona;
   Poste italiane s.p.a. con atto autonomo ha comunicato che dal 20 giugno al 2 agosto 2013 l'ufficio suddetto nelle giornate di giovedì e venerdì verrà chiuso alle 13,45 e che durante l'arco del mese di agosto la chiusura pomeridiana si estenderà a tutti i giorni della settimana;
   mentre risulta comprensibile la chiusura pomeridiana nel mese di agosto, si ritiene inaccettabile quella adottata per il periodo 20 giugno-2 agosto per i gravi disagi che andrebbe ad arrecare, oltre che al singolo cittadino, a tutti gli operatori economici del territorio: imprese, studi di professionisti, organizzazioni sociali e di categoria, attività regolarmente funzionanti nel suddetto periodo;
   il sindaco della città di Crema Stefania Bonaldi ha provveduto ad inoltrare formale protesta contro questa decisione unilaterale di Poste italiane s.p.a. presso la direzione affari istituzionali, la direzione provinciale e all'amministratore delegato di Poste italiane s.p.a. evidenziando il disagio che questa decisione provoca ai cittadini e alle attività di tutto il Cremasco –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare al fine di evitare i disagi ai cittadini e il pregiudizio all'efficienza che può derivare alle realtà produttive del territorio cremasco da questa decisione di Poste italiane;
   se il Ministro abbia intenzione di aprire un confronto con Poste italiane s.p.a. per indurre l'azienda erogatrice del «servizio universale» a cessare quella che all'interrogante appare una politica di gestione unilaterale degli uffici postali, erogatori di servizi pubblici, senza il coinvolgimento degli enti locali e delle organizzazioni sociali e di categoria dei territori. (4-00904)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in oggetto relativo alle iniziative di rimodulazione oraria attuate, durante il periodo estivo, nei confronti dell'ufficio postale di «crema centro nell'omonimo comune in provincia di Cremona, si rappresenta quanto segue.
  Il Fornitore del servizio universale ha comunicato al riguardo che il provvedimento di rimodulazione oraria è stato adottato in seguito alla fisiologica flessione della domanda registrata nel periodo estivo attraverso uno specifico e costante monitoraggio.
  L'intervento e stato adottato nel rispetto dei criteri stabiliti dal decreto ministeriale 28 giugno 2007 (cosiddetto decreto Gentiloni) come integrato dalla delibera 2934/13/Cons dell'autorità di regolamentazione (AGCOM) del 16 aprile 2013, al fine di tutelare l'utenza in termini di affidabilità e regolarità del servizio nel periodo estivo.
  Il suddetto provvedimento, preventivamente comunicato al sindaco, ha comportato la chiusura del solo turno pomeridiano in quattro giornate durante il mese di giugno, in dieci giornate durante il mese di luglio e analogamente a quanto realizzato negli anni precedenti, in tutti i giorni del mese di agosto.
  Poste italiane ha precisato, infine che l'apertura antimeridiana a parere della stessa, garantisce, di per sé l'assolvimento degli obblighi del servizio universale e, pertanto, nel piano degli interventi di rimodulazione, inviato annualmente ad AGCOM, non vengono menzionati eventuali interventi riguardanti il solo turno pomeridiano degli uffici postali che, come quello oggetto dell'interrogazione, osservano un orario di apertura che si protrae nel pomeriggio, ossia articolato in modalità di doppio turno (tutti i giorni dalle ore 8,30 alle ore 19 escluso il sabato).
  Per completezza di informazione si rappresenta, infine, che l'AGCOM, nell'ambito della propria attività di vigilanza, assicura che il provvedimento di rimodulazione oraria in argomento è stato adottato nel rispetto dei criteri stabiliti dal suddetto quadro normativo.

Il Viceministro dello sviluppo economicoAntonio Catricalà.


   CENSORE e BRUNO BOSSIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, recante «Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità dei servizi» dispone all'articolo 2 che l'autorità di regolamentazione del settore postale stabilisca gli standard qualitativi del servizio postale universale adeguandoli a quelli realizzati a livello europeo;
   il comune di Ricadi (VV), ha una altissima densità turistica e rappresenta uno dei punti d'eccellenza della costiera tirrenica calabrese, meglio conosciuto con il brand commerciale di «Capo Vaticano», con una fiorente industria turistica e con una ricettività in strutture alberghiere e para alberghiere che supera i venti mila posti letto;
   Poste italiane, a partire dal 30 ottobre 2011 ha temporaneamente decretato la chiusura di un importantissimo ufficio postale, posto nel centro urbano di San Nicolò di Ricadi (VV), punto nevralgico rispetto all'intero promontorio di Capo Vaticano;
   tale temporanea sospensione del servizio, che ha provocato gravi ed innumerevoli disagi, anche a causa delle caratteristiche morfologiche di un territorio estremamente frazionato, con altri uffici posti a notevole distanza dal centro di Capo Vaticano, si è protratta per circa due anni;
   la motivazione della temporanea sospensione dell'ufficio era strettamente connessa alla necessità di adeguare dal punto di vista igienico-sanitario i locali con interventi prontamente realizzati ed ultimati;
   allo stato attuale, nonostante non sia mai stata decretata la definitiva chiusura dell'Ufficio, che risulta ancora in temporanea sospensione, non è stata allo stesso tempo predisposta la sua riapertura, per cui oggi il comune di Ricadi è addirittura privo finanche di uno sportello bancomat;
   l'utenza garantita dall'ufficio di San Nicolò di Ricadi è di gran lunga una delle maggiori di tutto il territorio provinciale, anche in considerazione del notevole incremento della popolazione nel periodo estivo, quando risiedono fra seconde case e strutture ricettive, oltre agli abitanti censiti, oltre 40.000 abitanti;
   una eventuale soppressione definitiva del presidio di San Nicolò di Ricadi determinerebbe un gravissimo disagio in termini di servizi e di immagine di un comprensorio turistico, come quello di Capo Vaticano, avente rilevanza internazionale –:
   quali iniziative per quanto di competenza il Governo, in qualità di azionista pressoché unico di Poste italiane s.p.a., intenda assumere perché venga riattivato l'ufficio postale di San Nicolò di Ricadi (VV) in considerazione della rilevanza economica, sociale e strategica che il territorio di Ricadi-Capo Vaticano riveste;
   se, nell'ambito delle proprie competenze e tenuto conto che le funzioni di regolazione e vigilanza sul servizio postale sono state trasferite all'autorità garante per le comunicazioni dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, un'azione di sensibilizzazione nei confronti della concessionaria poste italiane, per le problematiche relative al comune di Ricadi. (4-02118)

  Risposta. — Con riferimento all'atto in oggetto riguardante la temporanea chiusura dell'ufficio postale ubicato in località San Nicolò, nel comune di Ricadi (Vibo Valentia), la società poste italiane ha rappresentato quanto segue.
  Nel citato comune, che conta circa 4.780 abitanti, sono presenti, oltre all'ufficio «San Nicolò», anche gli uffici postali «Santa Domenica» e «Ricadi», distanti rispettivamente circa 6 e 2 Km dalla frazione di San Nicolò ed entrambi aperti al pubblico, dal lunedì al venerdì, dalle ore 8.20 alle ore 13.45 e il sabato dalle ore 8.20 alle ore 12.45.
  La società ha precisato che l'ufficio «San Nicolò» è stato temporaneamente chiuso al pubblico a seguito della indisponibilità, da parte del proprietario dei locali, ad ottemperare al verbale azienda sanitaria locale del 31 marzo 2011, che prescriveva alcuni indispensabili interventi di adeguamento normativo.
  Pertanto, con nota del 17 ottobre 2011, veniva comunicato da poste italiane il recesso anticipato dal rapporto di locazione, con rilascio dei locali per inidoneità degli stessi.
  Successivamente in data 12 gennaio 2012, il proprietario dell'immobile informava la società di aver trovato una soluzione tecnica idonea ad adeguare i locali alle prescrizioni normative e, avendo ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie, di poter dare inizio ai lavori per rendere i locali idonei alla destinazione d'uso.
  Tale disponibilità veniva successivamente ribadita, dallo stesso proprietario dell'immobile, nel corso di un incontro in prefettura, promosso dal sindaco per valutare tutte le iniziative necessarie per la riapertura del citato ufficio postale.
  In questa occasione, però, emergeva che la pratica edilizia non poteva avere seguito per talune irregolarità legate al titolo di proprietà del locatore.
  Solo recentemente il proprietario ha reso noto di aver regolarizzato il titolo di proprietà e di avere eseguito le opere esterne di adeguamento locali, con l'abbattimento delle barriere architettoniche.
  In data 03/12/2013, è stato sottoscritto il contratto di locazione e, a seguito della sottoscrizione, sono stati anche eseguiti, a cura di poste italiane, alcuni interventi di adeguamento normativo richiesti dall'azienda sanitaria locale, sospesi in attesa della contrattualizzazione della locazione.
  La società ha, infine, assicurato che non appena saranno perfezionati tutti gli adempimenti, si procederà alla riapertura dell'ufficio postale.

Il Viceministro dello sviluppo economicoAntonio Catricalà.


   CIRIELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il polo industriale di Taranto non è solo Ilva. Ci sono realtà moderne e sostenibili che lavorano nel settore delle energie pulite e rinnovabili e che vanno sostenute con decisione per garantire un futuro occupazionale alla città e uno sviluppo alternativo a un territorio fino ad oggi devastato da politiche industriali vecchie e miopi;
   in particolare, il comune di Taranto è, ormai da tempo, al centro di una preoccupante e delicata vicenda riguardante la paventata chiusura di una delle attività della multinazionale danese Vestas Wind Systems, che nella sola città italiana conta circa 700 dipendenti distribuiti tra Vestas Nacelles, Vestas Blades e Vestas Italia;
   come riportato da organi di stampa locali e nazionali, nell'ultimo incontro presso il Ministero dello sviluppo economico dell'11 ottobre 2013, la Vestas ha confermato l'intenzione di dismettere entro fine anno l'attività di Vestas Nacelles, l'impresa addetta alla costruzione di turbine eoliche, in quanto la macchina prodotta a Taranto, la «V90», non avrebbe più mercato;
   la multinazionale danese ha avviato, altresì, la procedura di mobilità per licenziare 127 dipendenti, procedura che si chiuderà proprio sotto Natale;
   numerose e massicce sono state le iniziative e le mobilitazioni di cittadini, esponenti politici e del mondo dell'associazionismo, per scongiurare gli annunciati licenziamenti e altrettanto numerosi gli appelli dei sindacati per pensare, invece, ad un piano di rilancio della produzione;
   in occasione di un'assemblea dei lavoratori, l'assessore regionale al lavoro, Leo Caroli, ha fatto, altresì, presente che la regione sarebbe disponibile a mettere a disposizione di Vestas Wind Systems un milione di euro per la formazione dei lavoratori in azienda e di essere pronta anche a sostenere un investimento perché macchine nuove giungano a Taranto per produrre turbine V112 al posto di quelle V90 considerate obsolete;
   a parere dell'interrogante, appare indispensabile trovare la giusta soluzione a una problematica che assume un rilievo, non solo locale, bensì nazionale;
   la multinazionale danese, infatti, è l'unica realtà che si occupa di eolico a livello industriale sul territorio italiano e perderla significherebbe andare a colpire in maniera pesantissima tutto il comparto del rinnovabile non solo in Puglia, ma in tutta Italia;
   il nostro Paese rischia, pertanto, di perdere una battaglia d'immagine, occupazionale e sociale importantissima: d'immagine, perché il comparto eolico è l'altra faccia della medaglia di una città straziata dall'inquinamento e dall'impatto sanitario dell'industria siderurgica; occupazionale, perché la chiusura della fabbrica di turbine non rappresenta una catastrofe solo per i lavoratori direttamente coinvolti, ma anche per le famiglie delle attività satellite che orbitano attorno al tessuto aziendale; sociale, perché, con la fuga di Vestas, la città di Taranto subirà un duro colpo, non avendo alternative lavorative di rilievo;
   anche la richiesta di intervento avanzata dal sindaco di Taranto per scongiurare l'annunciata chiusura di una delle tre aziende Vestas è caduta nel vuoto, non ricevendo concrete risposte da parte delle istituzioni;
   la Vestas è il simbolo di un'azienda verde, l'esempio della produzione di energia pulita, l'industria virtuosa che non inquina e con un fatturato in attivo;
   la concomitanza di questi eventi favorevoli non giustifica, pertanto, la decisione di chiudere la sede produttiva della Vestas Nacelles, caratterizzata, tra l'altro, da una qualificata competenza di maestranze già formate;
   il Ministero dello sviluppo economico ha convocato un nuovo incontro con le parti sociali per l'11 novembre 2013 e, ci si augura che, in questa occasione, si arrivi finalmente a un ripensamento delle decisioni annunciate dalla multinazionale danese, che tenga conto anche degli aspetti produttivi, occupazionali e sociali su cui ricadrebbe la paventata chiusura –:
   se i Ministri interroganti siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, ritenuta la risoluzione della problematica prioritaria per le sorti del territorio tarantino, quali provvedimenti ritengano opportuno adottare per porre fine al processo di desertificazione del tessuto produttivo di quello che fu uno dei principali poli industriali del Mezzogiorno, anche attraverso un progetto di riconversione industriale. (4-02429)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta che il Ministero, segue attentamente gli sviluppi delle problematiche relative all'azienda in oggetto, per affrontare le quali sono stati già svolti alcuni incontri alla presenza delle parti interessate.
  Nel corso dell'ultimo incontro, tenutosi l'11 novembre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico, sono state ulteriormente approfondite le problematiche connesse alla chiusura della produzione di Vestas Nacelles nel sito di Taranto.
  In particolare, sono state raggiunte le seguenti intese tra le parti:
   1. la società ha comunicato che intende rafforzare la propria presenza nel comparto Blades ed a tal proposito investirà circa 10 milioni di euro finalizzati allo sviluppo di un prodotto di alta tecnologia (V 112). Tale investimento – che troverà la propria concretizzazione nel corso del primo trimestre 2014 ed entrerà a regime nel secondo trimestre dello stesso anno – dovrebbe consentire al sito di Vestas Blades di risultare competitivo sul piano internazionale. Da ciò potranno derivare nuove opportunità professionali (laddove supportate dal mercato e da adeguati percorsi di formazione professionale) quantificabili in circa n. 60 unità, da inserire in relazione alle esigenze tecnico-organizzative della società ed alla crescita reale delle opportunità di mercato. A tal fine, Vestas presenterà quanto prima i propri indirizzi strategici.
   2. Vestas Italia S.r.l. e Vestas Group hanno inoltre dichiarato di prevedere opportunità professionali per i lavoratori Vestas Nacelles per un totale di circa n. 38 posizioni lavorative.

  La prima formulerà 8 proposte occupazionali a tempo indeterminato entro il mese di gennaio 2014 ad altrettanti lavoratori oggi in organico presso la Vestas Nacelles; la seconda ha dichiarato di prevede circa n. 30 posizioni lavorative nell'ambito di propri insediamenti in United Kingdom, Spagna, Danimarca e Germania, previa verifica delle specifiche competenze dei candidati ed in relazione alle esigenze tecnico organizzative delle singole Società.
   3. Le parti si sono altresì impegnate a definire un piano sociale che preveda l'accesso alla mobilità incentivata per quei lavoratori che intendano volontariamente aderire, con i criteri della non opposizione, alle proposte formulate all'interno delle intese raggiunte.
   4. La regione Puglia e Vestas verificheranno il piano di formazione e riqualificazione e la compatibilità dello stesso con gli strumenti di supporto operativo e finanziario ai sensi della vigente normativa, piano che sarà volto ad accrescere le possibilità di occupazione dei lavoratori che fruiranno della Cassa integrazione guadagni straordinaria prevista.
   5. Vestas, accogliendo le sollecitazioni del Governo e delle Istituzioni territoriali, ha inoltre comunicato che attiverà la procedura per l'Accordo di Cassa integrazione guadagni straordinaria per cessazione attività per 24 mesi con sospensione a partire dal 30 dicembre 2013; in tale contesto la procedura di mobilità in corso sarà trasformata secondo i principi della non opposizione accompagnata da un incentivo economico per il personale non ricollocato nell'ambito del gruppo Vestas. Le parti si sono altresì impegnate a considerare vincolanti tali intese.
   6. Prima della scadenza della Cassa integrazione guadagni le parti si incontreranno per verificare l'eventuale presenza di criticità occupazionali al fine di individuare le soluzioni più opportune nell'ambito della normativa in essere.

  Infine, il Ministero dello sviluppo economico e la regione Puglia – ognuno per quanto di competenza – si sono impegnati a monitorare la situazione ed a convocare le parti al fine di raggiungere le necessarie intese o superare eventuali ostacoli.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   D'AGOSTINO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita, pertanto, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   in agricoltura sono presenti quasi un milione di imprese, ossia il 15 per cento del totale delle imprese italiane;
   il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma, altresì, per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiane che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle Amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per l'adozione, anche per gli altri prodotti agroalimentari, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle imposizioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati;
   quali iniziative il Governo intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di ristabilire la fiducia dei consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari. (4-02842)

  Risposta. — Nell'ambito delle attività rivolte alla tutela dell'igiene e della sanità degli alimenti, vengono costantemente effettuati, anche presso gli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni suine, i controlli ufficiali dei servizi veterinari delle Aziende sanitarie locali che, nella verifica dell'applicazione dei regolamenti comunitari afferenti al cosiddetto pacchetto igiene costituito dal Regolamento (CE) 178/2002 e dai Regolamenti (CE) 852, 853, 854 e 882 del 2004, esaminano anche gli aspetti relativi alla rintracciabilità dei prodotti, così come sancito dall'articolo 18 del Regolamento (CE) 178/2002.
  Inoltre, in considerazione della necessità che il consumatore venga correttamente informato al fine di una scelta consapevole nell'acquisto dei prodotti alimentari, in data 5 dicembre 2013 è stato approvato a livello comunitario, con il pieno sostegno da parte italiana, il regolamento della Commissione che disciplina l'indicazione di origine delle carni suine in applicazione del Regolamento n. 1169/2011.
  Il Ministero della salute è consapevole del fatto che la sicurezza e la qualità degli alimenti possano essere validamente garantite solo attraverso un elevato livello di collaborazione e di coordinamento tra le diverse amministrazioni coinvolte nella filiera produttiva.
  Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa comunitaria vigente in materia.
  In particolare, il Regolamento (CE) 882/2004 prevede che ciascun Paese membro dell'Unione europea predisponga un piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali.
  A tal fine, il Ministero della salute è il punto di contatto nazionale per il piano nazionale integrato (pni), che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con l'Agenzia delle dogane e dei Monopoli, con i nuclei specializzati del Comando dei carabinieri, con le Capitanerie di porto, con il Corpo forestale dello Stato e con la Guardia di Finanza.
  Il pni 2011-2014 e le relative relazioni annuali, che riuniscono i dati delle attività svolte da tutte le citate Amministrazioni, sono pubblicati nel portale di questo Ministero.
  Per quanto riguarda specificamente l'argomento dell'interrogazione in esame, va evidenziato come siano in corso le attività tra l'Amministrazione doganale e quella sanitaria per l'implementazione dello sportello unico doganale, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 242 del 4 novembre 2010.
  In tale contesto, l'Agenzia delle dogane e dei Monopoli e il Ministero della salute collaborano alla definizione di tempi e modalità per la realizzazione dell'interoperabilità telematica.
  Quanto alle iniziative rivolte al contrasto delle frodi alimentari e delle contraffazioni, il Ministero della salute è il punto di contatto per l'Italia presso il gruppo di lavoro europeo per la lotta alle frodi.
  Gli obiettivi principali perseguiti sono: l'individuazione di una definizione di frode alimentare condivisa a livello europeo; la realizzazione di un «
network» che consenta lo scambio tempestivo delle informazioni su casi di frode alimentare; lo sviluppo di misure di collaborazione amministrativa per la gestione di fenomeni di violazioni intenzionali, con effetti transnazionali, della normativa che regolamenta i settori della filiera produttiva agro-alimentare, che nella recente proposta di regolamento 265 (2013) COM sui controlli ufficiali assumono una rilevanza fondamentale.
  Infatti, la prevenzione e la lotta contro le frodi alimentari costituisce una priorità anche per l'Unione europea, a causa del loro impatto sulla fiducia dei consumatori, sulla sicurezza alimentare, sul funzionamento della catena alimentare e sulla stabilità dei prezzi agricoli.
  Per completezza, si segnala che nel semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea (luglio-dicembre 2014), nell'ambito degli eventi internazionali che il Ministero della salute sta organizzando in materia di sicurezza alimentare, è prevista una Conferenza internazionale sulle frodi alimentari, che si terrà a Roma il 23 e 24 settembre 2014.

Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministero dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da più parti (fonti di stampa, trasmissioni televisive, rotocalchi e altro) negli ultimi mesi si stanno diffondendo allarmanti notizie circa il proliferare di esercizi commerciali, cosiddetti «compro oro», dove i cittadini possono vendere oro che viene istantaneamente pagato in contanti;
   tale fenomeno si sta diffondendo con progressione geometrica anche alla luce della disperazione dovuta alla crisi che molte famiglie italiane vivono, non trovando alternativa alla «svendita» dei preziosi per riuscire a sopravvivere;
   l'allarme riguarda, in particolare, diversi peculiari aspetti della vicenda;
   in primo luogo, occorre segnalare come appaia del tutto evidente il sospetto per cui solo la criminalità organizzata, in particolar modo in un periodo di crisi come quello che il nostro Paese sta attraversando, possa disporre di un quantitativo di denaro contante tale da poter acquistare al momento qualsiasi quantitativo del prezioso metallo giallo;
   da quanto detto, emerge piuttosto chiaramente l'ulteriore sospetto che tali «compro oro» rappresentino, in realtà, una gigantesca macchina dedita al riciclaggio di danaro sporco frutto delle attività illecite poste in essere dalla criminalità organizzata;
   in secondo luogo, desta sgomento la circostanza — segnalata in particolare da un programma televisivo — per cui sempre più spesso la nascita di esercizi commerciali cosiddetti «compro oro» avvenga a poche decine di metri da esercizi commerciali dedicati al gioco d'azzardo legalizzato con slot machine e simili, all'interno dei quali sempre più soggetti sviluppano rovinose psico-patologie legate alla dipendenza dal gioco d'azzardo stesso;
   infine, sarebbe emerso, sempre da inchieste giornalistiche, che molti di questi esercizi cosiddetti «compro oro» non registrino le operazioni che effettuano, in violazione di quanto previsto dalle normative vigenti –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per istituire un registro finalizzato alla mappatura degli esercizi cosiddetti «compro oro»;
   se il Governo non ritenga di dover porre in essere un piano di controllo degli esercizi commerciali cosiddetti «compro oro», al fine di monitorare la situazione sul territorio; accertare scrupolosamente da dove derivi il denaro contante con il quale viene acquistato l'oro; trovare la modalità per impedire che possano effettuarsi operazioni in nero non registrate; verificare che l'oro acquistato non venga riutilizzato per il finanziamento di attività e/o investimenti illeciti. (4-02395)

  Risposta. — In Italia, complice la crisi economica, si è assistito negli ultimi anni alla proliferazione degli esercizi commerciali definiti comunemente «compro oro»; il loro sviluppo esponenziale rispecchia, infatti, una congiuntura negativa per le condizioni economiche di molti Italiani, tanto che alcune ricerche accreditano il dato secondo cui, lo scorso anno, quasi un italiano su tre vi avrebbe fatto ricorso.
  Dai dati a disposizione delle forze dell'ordine risulta, inoltre, che in questo settore e coinvolto un numero di operatori compreso tra le 5 mila e le 8 mila unità, con un volume d'affari annuo oscillante tra i 2 e i 3 miliardi di euro.
  Il gettito fiscale complessivo, incluse le imposte dirette e indirette, si aggira attorno ai 200-300 milioni di euro annui, anche se non è da escludere che alcuni dei soggetti interessati agiscano irregolarmente, soprattutto per quanto concerne la gestione delle imposte indirette. Il fenomeno, tutto italiano, ha generato un mercato sommerso che non di rado finisce con l'alimentare fattispecie delittuose quali la ricettazione e il riciclaggio.
  La sola Guardia di Finanza ha sequestrato, nel corso dello scorso anno, più di 179 chilogrammi tra oro e argento, con un incremento dell'86 per cento rispetto all'anno precedente. Sempre nel 2013, il numero delle persone denunciate o arrestate per traffico illegale di metalli preziosi – sebbene modesto in termini assoluti – è aumentato del 200 per cento.
  Attualmente, il commercio dell'oro in Italia è regolamentato dalla Legge n. 7 del 17 gennaio 2000, anche in attuazione della direttiva 98/80/CE del 12 ottobre 1998, che stabilisce cosa debba intendersi per oro e quali siano i requisiti per poterlo commerciare in modo professionale. In particolare, la sua compravendita è legittimamente consentita senza la comunicazione di avvio dell'attività – e quindi senza il possesso dei requisiti di forma societaria, oggetto sociale e onorabilità di cui all'articolo 1, comma 3. della citata legge – per quei soggetti che si limitano al «commercio di oro da gioielleria».
  In base alla normativa vigente, inoltre, i «compro oro», entrano in rapporto con la Banca d'Italia attraverso l'Uif (Unità di informazione finanziaria), la struttura dedicata al contrasto del riciclaggio che, però, non può esercitare su di loro alcuna forma di vigilanza o controllo; in base alla normativa vigente e quale soggetto giuridicamente autonomo, quindi, il «compro oro» non è autorizzato a trattare oro fino a uso industriale o semilavorato se non è in possesso dei requisiti richiesti dalla legge, ma può acquistare oggetti preziosi usati o «avariati» e rivenderli al pubblico, alle fonderie o agli altri operatori.
  Per poter qualificare il commercio dei «rottami d'oro» si distinguono due diverse modalità operative, a seconda che gli oggetti preziosi usati acquistati dai privati vengano rivenduti senza ulteriore trasformazione (commercio di prodotti finiti), oppure vengano destinati alla fusione, con successiva cessione dell'oro così ottenuto in una qualunque delle forme in uso (lingotti, placchette eccetera). Solamente in quest'ultimo caso è necessaria l'autorizzazione della Banca d'Italia.
  La disciplina relativa all'acquisto di oggetti preziosi e la loro successiva alienazione è regolamentata dall'articolo 128 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto n. 773 del 1931, e dagli articoli 16 e 247 del relativo regolamento d'esecuzione, di cui al regio decreto n. 635 del 1940. Il Ministero dell'interno, inoltre, con decreto del 17 febbraio 2011 intitolato «Determinazione degli indicatori di anomalia al fine di agevolare talune categorie di operatori non finanziari», ha individuato alcuni elementi per valutare la sussistenza di eventuali operazioni sospette; tra i soggetti destinatari del decreto sono compresi anche coloro che commerciano oggetti preziosi.
  Tutti gli oggetti preziosi comprati dai privati sono da considerarsi usati. La legge stabilisce che chi commercia in oggetti preziosi debba annotare su un apposito registro i dati relativi al loro acquisto, ma non prevede alcun tipo di registrazione per le fasi successive – quando si realizzano gli scambi tra i vari operatori di settore – rendendo, in tal modo, oltremodo complessa la tracciabilità dell'oro e la sua destinazione finale.
  È facile comprendere, infatti, come molti «compro oro» approfittino della situazione per esercitare abusivamente competenze commerciali proprie degli operatori professionali e rivendere i preziosi usati direttamente alle fonderie, eludendo in tal modo l'Iva e come tale stato di cose penalizzi le attività di vigilanza e controllo della polizia, sia per quanto concerne l'evasione fiscale che il riciclaggio di denaro.
  Attualmente, i «compro oro» che si sostituiscono nelle funzioni agli operatori professionali commettono, oltre che un abuso, anche una violazione di cui alla legge n. 7 del 2000, articolo 4. In tale contesto, grazie ai dispositivi di prevenzione generale e di controllo del territorio, l'azione costante di monitoraggio svolta dalle Forze dell'ordine – soprattutto in quegli ambienti criminali legati all'usura, alla ricettazione e al riciclaggio – ha consentito di individuare molti casi di attività illecite, con conseguenti sanzioni pecuniarie e, spesso, cessazione o revoca della licenza.
  Si assicura infine che, per quanto di sua competenza e in ottemperanza alla vigente normativa, la polizia di Stato continuerà ad adoperarsi con il massimo impegno per contrastare eventuali abusi e garantire il rispetto della legalità, anche attraverso mirate azioni di prevenzione specifica effettuata tramite controlli costanti ai vari esercizi operanti nel commercio di preziosi.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GADDA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 aprile 2013 presso la località «Folla» del comune di Malnate, provincia di Varese, si è svolto un concerto organizzato dalla «Comunità Militante dei dodici raggi» per festeggiare il ventennale della fondazione del gruppo «Varese Skinhead». Durante la serata si sono esibiti gruppi nazirock come i Civico 88, Garrota, Legittima Offesa e Linea Ostile;
   per arrivare al luogo della festa sono stati utilizzati cartelli stradali con simbologie naziste come l'88, il numero che simboleggia il saluto «Heil Hitler». All'evento hanno partecipato centinaia di militanti di estrema destra di tutta Italia e di tutta Europa;
   il 20 aprile è la data anniversario della nascita di Adolf Hitler, il dittatore nazista che ha distrutto l'Europa provocando lo scoppio del più sanguinoso conflitto bellico della storia e poi organizzato il genocidio di milioni di innocenti, ebrei, zingari, disabili, dissidenti politici;
   la serata organizzata dal gruppo «Varese Skinhead» si è svolta presso l'associazione culturale I nostar radis, che come rivelato dal suo stesso presidente Dino Macchi, avrebbe concesso la sala per festeggiare l'anniversario della nascita dell'associazione dei richiedenti;
   i promotori del concerto fanno parte di un'associazione dal chiaro stampo neonazista, la «Comunità Militante dei dodici raggi», che si trova a Sumirago, provincia di Varese;
   l'associazione, anche chiamata per brevità «Do.Ra» ha una pagina Facebook nella quale sono pubblicate foto e messaggi che celebrano il regime di Adolf Hitler, ed anche in vista del concerto del 20 aprile questo tipo di contenuti sono stati esplicitamente promossi al fine di pubblicizzare il concerto. Il presidente dell'associazione d Do.Ra. è Alessandro Limido, condannato dal tribunale di Bologna a 2 anni il pubblico ministero aveva chiesto 4, la pena è sospesa per condizionale) per associazione per delinquere finalizzata all'incitamento e all'odio razziale, per aggressioni avvenute a Bologna. In un'intervista pubblicata dal Fatto Quotidiano Limido ha affermato quanto segue: «rifiutiamo il concetto di genocidio. Secondo noi non c’è stato lo sterminio sistematico. Gli ebrei sono stati perseguitati perché nemici della Germania e dell'Italia e lo ritengo giusto»;
   dopo la diffusione della notizia di condanna dell'evento sulla stampa locale, le sedi del Partito Democratico di Varese e dell'Associazione nazionale partigiani di Busto Arsizio sono state oggetto di vandalismo dal chiaro contenuto fascista;
   infatti, nella sera tra il 25 ed il 26 aprile, in concomitanza con la Festa della liberazione, ignoti hanno deturpato i muri delle sedi e i marciapiede antistanti con il disegno di croci celtiche e frasi inneggianti alla Repubblica sociale italiana;
   il razzismo è un reato, non solo un'opinione da condannare;
   il convincimento che la razza, il colore, la discendenza, la religione, l'origine nazionale o etnica siano fattori determinanti per nutrire avversione nei confronti di individui o gruppi, è non solo un pregiudizio, una forma irrazionale ed intollerabile di intolleranza, ma è anche e soprattutto un crimine punito dalla legge italiana;
   la Costituzione italiana condanna ogni forma di razzismo, e all'articolo 3 recita: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»;
   ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza, l'origine o la convinzione religiosa è considerato dalla legge italiana discriminatorio (articolo 42 del decreto legislativo 286 del 1998;
   la gravità di un simile fenomeno ha portato il nostro legislatore ad introdurre gravi sanzioni per chi commette reati legati al razzismo. Secondo la legge n. 654 del 1975 chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, è punito con la reclusione sino a tre anni, mentre chiunque commette o incita a commettere atti di violenza o di provocazione alla violenza per gli stessi motivi, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni;
   un reato ancora più grave è invece la promozione, l'organizzazione, la direzione di movimenti o gruppi che perseguano finalità antidemocratiche tipiche del partito fascista, minacciando o usando violenza quale metodo di lotta politica o propaganda, un crimine punito con la reclusione da cinque a dodici anni, e con multe di diversa entità. Chi fa propaganda per la costituzione di un'associazione, di un movimento o di un gruppo con finalità fasciste ovvero chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche è punito con la reclusione da sei mesi a due anni –:
   quale sia stato il percorso delle autorizzazioni che ha consentito lo svolgimento di un evento che non è compatibile con l'ordinamento costituzionale e normativo italiano;
   quale sia stato l'effettivo comportamento dei partecipanti all'evento di sabato 20 aprile alla «Folla di Malnate», e soprattutto se durante la serata siano stati commessi fatti rilevanti sotto il profilo dell'ordine pubblico e se da parte delle forze dell'ordine sia stato redatto qualche rapporto e, in caso affermativo, quali ne siano i contenuti principali;
   se esistano segnali fondati di infiltrazioni di tali associazioni e movimenti nazifascisti all'interno di alcune associazioni sportive o tifoserie della provincia di Varese;
   quale sia l'orientamento del Governo in merito a questi gravi fatti conclusisi con atti vandalici subiti dalle locali sedi di Partito Democratico ed ANPI e quali eventuali iniziative di competenza verranno intraprese per arginare la recrudescenza di tali fenomeni. (4-00400)

  Risposta. — La sera del 20 aprile 2013, in Malnate (Varese), si è tenuto un concerto promosso dal sodalizio di estrema destra «Comunità Militante dei Dodici Raggi – DO.RA.», al quale hanno preso parte circa 500 persone aderenti all'area skinheads, provenienti da diverse località italiane ed estere.
  L'iniziativa, organizzata per festeggiare il ventennale della nascita di «Varese
Skinheads» si è svolta in un'area privata consistente in una tensostruttura in uso all'associazione culturale «I nostar radiis», ubicata nella Valmorea in prossimità di una zona industriale dismessa.
  Per raggiungere il luogo dell'evento, non pubblicizzato fino all'ultimo istante, i partecipanti hanno seguito le indicazioni fornite da alcuni organizzatori che li attendevano presso l'autogrill di Castronno (Varese).
  L'iniziativa, alla quale hanno partecipato alcuni gruppi musicali di genere, è iniziata alle ore 20 ed è terminata alle prime ore del 21 aprile, momento in cui è iniziato il deflusso dei partecipanti dall'area.
  Sono stati organizzati mirati servizi di vigilanza e ordine pubblico predisposti dalla locale questura che hanno consentito di accertare la mancanza di ostentazione di simboli o di altre manifestazioni esteriori riconducibili al disciolto partito fascista o a ideologie inneggianti la discriminazione razziale, etnica o religiosa.
  Anche i brani proposti dai gruppi musicali sono risultati privi di contenuti razzisti o discriminatori.
  Nella circostanza non sono stati rilevati particolari riferimenti all'anniversario della nascita di Adolf Hitler.
  Nel pomeriggio di sabato 11 maggio 2013, l’«Associazione Nazionale Partigiani d'Italia – ANPI», con il sostegno del sindaco del comune di Malnate, ha organizzato una pubblica assemblea sul tema «No al nazifascismo, sì al rispetto della Costituzione», svolta proprio nel medesimo luogo dove era avvenuto il raduno.
  Nel corso della manifestazione alla quale hanno partecipato circa 200 persone provenienti da tutta la provincia hanno preso la parola diversi oratori che hanno portato la propria testimonianza sul valore dell'antifascismo, proponendo – come noto all'interrogante – la città di Varese quale sede di un osservatorio per il monitoraggio dei fenomeni di neofascismo.
  La questura di Varese ha precisato che il gruppo in questione, certamente legato all'area
skinhead, non ha sinora promosso eventi caratterizzati dalla presenza di significativi elementi ideologici o di progettualità politiche.
  Peraltro, come per altre formazioni anche di opposta collocazione, la questura segue la situazione con una costante azione informativa.
  Le forze dell'ordine, infatti, dedicano massima attenzione all'attività dei gruppi politici estremisti e delle frange più radicali. In particolare, l'attività di contrasto delle forme di intolleranza politica si sviluppa sia con l'adozione di misure di carattere preventivo sia con indagini di polizia giudiziaria, volte a perseguire anche i fatti riconducibili alle fattispecie previste e punite dalla legge n. 645 del 1952, recante «norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione» relativa al divieto di riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
  Relativamente alle tifoserie, si rappresenta che effettivamente una frangia di quella che segue la squadra del Varese calcio risulta politicamente orientata. Anche su tali situazioni le Forze di polizia svolgono un costante monitoraggio.
  Inoltre, con riferimento all'ultima parte dell'interrogazione, si comunica che, nel corso dei consueti servizi di controllo del territorio, personale della locale questura ha rilevato la presenza di due scritte sui muri perimetrali dello stabile ove si trova la sede della federazione provinciale del «Partito Democratico».
  Anche sul muro della sede dell'associazione nazionale partigiani d'Italia di Busto Arsizio è stata rinvenuta un'analoga scritta.
  Su tali fatti sono state informate le procure della Repubblica competenti.
  Al riguardo si ritiene che debba essere rimossa dalla vita civile ogni forma di manifestazione che, anche solo verbalmente, inneggi o incoraggi la violenza, alimentando un clima di odio e di intolleranza.
  In quest'ottica nessun episodio, neppure quelli di minor impatto dimostrativo, può essere sottovalutato o trascurato.
  L'attenzione del Governo su questi temi è pertanto massima e le autorità di pubblica sicurezza continueranno a fronteggiare con rigore e impegno episodi come quelli richiamati nell'interrogazione.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita, pertanto, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   in agricoltura sono presenti quasi un milione di imprese, ossia il 15 per cento del totale delle imprese italiane;
   il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma, altresì, per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiane che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per l'adozione, anche per gli altri prodotti agroalimentari, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati.
   quali iniziative il Governo intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di ristabilire la fiducia dei consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari. (4-02813)

  Risposta. — Nell'ambito delle attività rivolte alla tutela dell'igiene e della sanità degli alimenti, vengono costantemente effettuati, anche presso gli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni suine, i controlli ufficiali dei servizi veterinari delle aziende sanitarie locali che, nella verifica dell'applicazione dei regolamenti comunitari afferenti al cosiddetto pacchetto igiene costituito dal regolamento (CE) 178/2002 e dai regolamenti (CE) 852, 853, 854 e 882 del 2004, esaminano anche gli aspetti relativi alla rintracciabilità dei prodotti, così come sancito dall'articolo 18 del regolamento 178/2002.
  Inoltre, in considerazione della necessità che il consumatore venga correttamente informato al fine di una scelta consapevole nell'acquisto dei prodotti alimentari, in data 5 dicembre 2013 è stato approvato a livello comunitario, con il pieno sostegno da parte italiana, il regolamento della commissione che disciplina l'indicazione di origine delle carni suine in applicazione del regolamento n. 1169/2011.
  Il Ministero della salute è consapevole del fatto che la sicurezza e la qualità degli alimenti possano essere validamente garantite solo attraverso un elevato livello di collaborazione e di coordinamento tra le diverse amministrazioni coinvolte nella filiera produttiva.
  Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa comunitaria vigente in materia.
  In particolare, il regolamento (CE) 882/2004 prevede che ciascun Paese membro dell'Unione europea predisponga un piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali.
  A tal fine, il Ministero della salute è il punto di contatto nazionale per il Piano nazionale integrato (PNI), che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con l'agenzia delle dogane e dei monopoli, con i nuclei specializzati del comando dei carabinieri, con le capitanerie di porto, con il corpo forestale dello Stato e con la Guardia di finanza.
  Il Pni 2011-2014 e le relative relazioni annuali, che riuniscono i dati delle attività svolte da tutte le citate amministrazioni, sono pubblicati nel portale di questo Ministero.
  Per quanto riguarda specificamente l'argomento dell'interrogazione in esame, va evidenziato come siano in corso le attività tra l'amministrazione doganale e quella sanitaria per l'implementazione dello sportello unico doganale, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 242 del 4 novembre 2010.
  In tale contesto, l'agenzia delle dogane e dei monopoli e il Ministero della salute collaborano alla definizione di tempi e modalità per la realizzazione dell'interoperabilità telematica.
  Quanto alle iniziative rivolte al contrasto delle frodi alimentari e delle contraffazioni, il Ministero della salute è il punto di contatto per l'Italia presso il gruppo di lavoro europeo per la lotta alle frodi.
  Gli obiettivi principali perseguiti sono: l'individuazione di una definizione di frode alimentare condivisa a livello europeo; la realizzazione di un «network» che consenta lo scambio tempestivo delle informazioni su casi di frode alimentare; lo sviluppo di misure di collaborazione amministrativa per la gestione di fenomeni di violazioni intenzionali, con effetti transnazionali, della normativa che regolamenta i settori della filiera produttiva agro-alimentare, che nella recente proposta di regolamento 265 (2013) COM sui controlli ufficiali assumono una rilevanza fondamentale.
  Infatti, la prevenzione e la lotta contro le frodi alimentari costituisce una priorità anche per l'Unione europea, a causa del loro impatto sulla fiducia dei consumatori, sulla sicurezza alimentare, sul funzionamento della catena alimentare e sulla stabilità dei prezzi agricoli.
  Per completezza, si segnala che nel semestre di Presidenza italiana U.E. (luglio-dicembre 2014), nell'ambito degli eventi internazionali che il Ministero della salute sta organizzando in materia di sicurezza alimentare, è prevista una Conferenza Internazionale sulle frodi alimentari, che si terrà a Roma il 23 e 24 settembre 2014.

Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   SILVIA GIORDANO, MANTERO, LOREFICE, DI VITA, DALL'OSSO, BARONI, CECCONI, COZZOLINO, TONINELLI, LOMBARDI, DIENI, COLONNESE e TOFALO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 20 aprile del 1989 il comune di Salerno, con deliberazione della giunta, affidava ad uso gratuito dei locali in cui l'A.I.G. sezione di Salerno, avrebbe potuto svolgere attività di ostello per la gioventù, con l'affidamento ad una cooperativa sociale di tipo B denominata Livingstone;
   visti gli enormi flussi di giovani che frequentavano l'ostello, la suddetta cooperativa, fin dai primi anni, evidenziò la necessità di intervento, da parte dell'amministrazione comunale, verso una nuova localizzazione della struttura per dare dignità alla città in termini di sensibilità verso i giovani turisti al fine di porre delle basi per una crescita di possibilità lavorative legate all'incremento delle presenze. La giunta, in primo momento, recepì tale richiesta (Del. giunta n. 850 del 23 giugno 1999);
   in seguito, con deliberazione di giunta n. 669 del 5 giugno 2002, il comune destinava i suddetti locali per l'accoglienza di persone in stato di indigenza di nazionalità sia italiana che straniera ivi compresi persone di passaggio con gravi stati di disagio;
   nel corso degli anni l'ostello accoglieva flussi turistici sociali che vedevano intere comunità straniere integrarsi perfettamente con il tessuto sociale cittadino;
   oggi la cooperativa sociale Livingstone continua il suo operato attraverso il lavoro di 7 dipendenti. La prima accoglienza e l'integrazione tra le comunità rappresentano i punti di forza che, in una città come Salerno, non trovano alcun altro esempio. Anche la Caritas sezione di Salerno, l'organismo pastorale della Cei per la promozione della carità, affida la prima accoglienza di persone indigenti proprio all'ostello in questione;
   ultimamente, purtroppo, il comune di Salerno ha improvvisamente cambiato rotta rispetto alla solidarietà nei confronti dell'ostello. Nel recepire le disposizioni volte al contenimento dei costi della pubblica amministrazione, intende dismettere i fitti passivi senza ricercare, sembra stranamente solo in questo caso, alcuna soluzione che possa portare ad una soluzione soddisfacente per le parti;
   trasferire l'ostello in locali di proprietà del comune o tentare una trattativa con il proprietario degli attuali locali per una riduzione del costo di fitto, sarebbero i primi due passaggi obbligatori dettati dalla norma e soprattutto dal buon senso. Chiedere un impegno ancora maggiore, in termini di riservatezza di posti letto da destinare alla prima accoglienza, potrebbe costituire un equilibrio tra costi e benefici per la collettività;
   queste ed altre soluzioni sono proposte dalla cooperativa Sociale che chiede solo di poter mantenere i posti di lavoro e garantire i livelli minimi di accoglienza per le persone disagiate ancor più numerose in questo periodo di enorme crisi –:
   se non ritengano opportuno attivarsi, per le parti di propria competenza valutando se tra gli immobili confiscati alla criminalità organizzata ne sussistano di idonei a consentire alla citata cooperativa di continuare ad operare per una attività di prima accoglienza che è stata base positiva per creare integrazione attiva e sodale, tanto più importante in una fase di gravissima crisi economica. (4-01810)

  Risposta. — Il comune di Salerno, consultato in merito ai fatti riferiti dall'interrogante, ha comunicato che il servizio di prima accoglienza di immigrati e di persone con basso reddito è affidato alla cooperativa sociale «Livingstone promozione e turismo srl», operante nel settore già da tempo.
  Tale servizio viene svolto in locali di proprietà comunale, in passato concessi alla cooperativa a titolo gratuito per la realizzazione di un ostello della gioventù; la convenzione è poi scaduta nell'ottobre del 2009, ma l'attività è continuata anche dopo.
  Il comune di Salerno, nell'ambito delle politiche di contenimento della spesa pubblica, da alcuni anni ha dato inizio a una dismissione graduale dei fitti passivi, recedendo in tale ottica anche dal contratto di locazione degli immobili occupati dalla Livingstone.
  Tuttavia, tenuto conto dell'ingente richiesta di accoglienza proveniente dalle molte persone in difficoltà, nel luglio del 2012 il comune ha stipulato con la Livingstone un protocollo d'intesa in base al quale, a fronte di un contributo annuo di 46 mila euro erogato dall'Ente, la società si impegnava al pagamento dell'affitto dei locali; l'accordo prevedeva anche una riserva di dieci posti di prima accoglienza per le persone in difficoltà segnalate dall'Assessorato alle politiche sociali.
  Il 24 aprile dell'anno seguente, il provvedimento è stato revocato per inadempienza da parte della Livingstone, con la conseguente richiesta di rilascio dei locali comunali occupati. Al riguardo, l'amministrazione comunale ha fatto sapere di non possedere altre strutture idonee ad accogliere quel particolare tipo di attività.
  Per quanto concerne invece i beni confiscati alla mafia, si ricorda che l'articolo 48, comma 3, lettera
c) del decreto legislativo n. 159 del 6 settembre 2011 stabilisce che debbano confluire, per finalità istituzionali o sociali, nel patrimonio dell'ente territoriale in cui sono situati; questo, a sua volta, delibera – nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e parità di trattamento – la concessione di tali beni alle associazioni e comunità individuate sul territorio.
  La vigente normativa, pertanto, non prevede tra le attribuzioni di questa Amministrazione la destinazione diretta degli immobili alle associazioni anzidette, riservandole, per il tramite dell'Agenzia per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati alla mafia, esclusivamente un'attività di verifica in ordine all'effettivo utilizzo a fini istituzionali o sociali dei beni trasferiti agli enti locali.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LABRIOLA, FURNARI e CHIARELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si sta prefigurando la chiusura dell'ufficio di poste italiane ubicato nel centro storico di Martina Franca e della contrazione di servizi presso l'ufficio di Poste Italiane sito nell'agro della città in Contrada «Motolese»;
   l'allora commissario Prefettizio, dottor Sandro Calvosa, in data 1° marzo 2012, disdettava con missiva indirizzata alla sede legale e agli uffici periferici di Poste italiane la sublocazione dei locali dell'ufficio postale di via Garibaldi n. 3 per ragioni amministrative e contabili, senza farsi carico di alcuna conseguenza sul piano della vita quotidiana di centinaia di persone e senza tentare alcuna mediazione per risolvere le varie questioni sottese alla locazione degli stessi locali e per garantire il funzionamento dell'ufficio;
   il medesimo indirizzo prefettizio trovava conferma nella lettera formale di rilascio dei locali in data 10 maggio 2012 a firma del dirigente del settore patrimonio del comune di Martina Franca;
   l'ufficio di poste italiane nel centro storico di Martina Franca svolge una funzione di grande rilevanza per la popolazione che vive nella parte antica della città, poiché è facilmente raggiungibile senza l'ausilio di auto soprattutto dalla parte più anziana della popolazione che ha, nel predetto ufficio, un indispensabile servizio per tutte le opportunità finanziarie e le incombenze relative a pensioni e pagamenti di conto corrente;
   l'ufficio, fino ad ora, ha sempre funzionato con la massima soddisfazione della clientela ormai fidelizzata e, presso lo stesso sportello, vi si reca anche parte della popolazione, che pur non abitando nel centro storico, svolge nello stesso il disbrigo di servizi vari, specie nei periodi di maggior affollamento degli sportelli ubicati nella parte nuova della città;
   la paventata chiusura viene assunta in maniera traumatica da parte della popolazione più anziana e scoraggia i cittadini interessati al trasferimento nel centro antico per l'assenza di un importante punto di riferimento;
   analogo disagio stanno vivendo anche tra i cittadini residenti nella popolosa (circa 5.000 abitanti) contrada di Motolese che per via della contrazione dei giorni di apertura dell'ufficio di poste italiane hanno più volte richiesto il ripristino del normale orario di servizio;
   il sindaco eletto ed insediatosi successivamente alle sopra citate determinazioni amministrative del commissario prefettizio, ha rappresentato alla direzione di poste italiane l'esigenza di continuare ad usufruire del servizio postale nel centro storico, prima con ripetute sollecitazioni telefoniche poi, con lettera del 2 novembre 2012, chiedendo un incontro tra le varie parti interessate e ribadendo alla direzione regionale di poste italiane la volontà di mantenere l'ufficio postale;
   anche i proprietari dei locali si sono resi disponibili ad un incontro per raggiungere le intese necessarie al rinnovo dei contratti di locazione con poste italiane;
   anche il consiglio comunale di Martina Franca in una riunione dello stesso, aperta ai cittadini residenti nel centro storico e alle associazioni di categoria, ai professionisti e alle associazioni culturali, lo scorso 10 gennaio 2013 ha ribadito, con determinazione l'esigenza di mantenere aperto l'ufficio postale nel centro storico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra citati e se ritenga opportuno assumere adeguati iniziative per sollecitare la direzione dell'azienda poste italiane ad avviare un confronto con il comune di Martina Franca al fine di assicurare il mantenimento dell'ufficio postale nel centro storico garantendo in tal modo un servizio efficiente ai cittadini e alle attività produttive che vi risiedono e vi operano;
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di sollecitare la direzione dell'azienda poste italiane per ripristinare un normale orario di apertura dell'ufficio postale sito in contrada Motolese;
   se, con riferimento soprattutto alla situazione di disagio che si sta vivendo a Motolese e in molti altri piccoli centri dislocati nella penisola, il Ministro abbia intenzione di aprire un confronto con poste italiane al fine di indurre l'azienda erogatrice di un «servizio universale» a cessare quella che sembra una politica di gestione unilaterale degli uffici postali, erogatori di servizi pubblici, senza il coinvolgimento degli enti locali e delle organizzazioni sociali e di categoria dei territori. (4-01461)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare in oggetto, riguardante la paventata chiusura dell'ufficio postale ubicato nel centro storico del comune di Martina Franca (Taranto), si rappresenta quanto segue.
  Nel citato comune sono attivi quattro uffici postali:
   Martina Franca, dotato di dieci sportelli, una sala consulenza e tre ATM. L'ufficio è aperto dal lunedì al venerdì con orario 8.25/19.10 e il sabato con orario 8.25/12.35;
   Martina Franca 1, dotato di quattro sportelli e di un ATM, è aperto al pubblico dal lunedì al venerdì dalle ore 8.25 alle ore 13.35 e il sabato dalle ore 8.25 alle ore 12.35;
   Martina Franca 2, dotato di sei sportelli e di un ATM, è aperto al pubblico dal lunedì al venerdì dalle ore 8.25 alle ore 13.35 e il sabato dalle ore 8.25 alle ore 12.35;
   Martina Franca 3, dotato di uno sportello, è attualmente aperto 3 giorni a settimana, con orario 8.20/13.45.

  Per completezza d'informazione la società Poste italiane ha dichiarato che quest'ultimo ufficio dista circa 6 km dal citato ufficio «Martina Franca» e dall'ufficio «Alberobello», ubicato nell'omonimo comune, in provincia di Bari.
  L'ufficio «Martina Franca 1», d'interesse degli interroganti, era ubicato in locali concessi in locazione al comune e, da quest'ultimo, messi a disposizione dell'azienda, in regime di sublocazione.
  Su richiesta di uno dei due comproprietari, il comune è stato condannato all'immediato rilascio dell'immobile e, di conseguenza, alla filiale è stato intimato, con sentenza esecutiva, lo sgombero dei locali.
  A dire di poste italiane, la medesima società ha immediatamente attivato le necessarie ricerche, finalizzate al reperimento di un immobile ove riposizionare l'ufficio e, lo scorso 28 ottobre, è stata inaugurata la nuova sede, che sta incontrando grande favore, sia da parte della clientela sia degli operatori applicati, per la funzionalità dei locali, molto più spaziosi e dotati di una migliore illuminazione dei precedenti.

Il Viceministro dello sviluppo economicoAntonio Catricalà.


   LABRIOLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Vestas è un'azienda danese che progetta, fabbrica e commercializza turbine eoliche. Nel 2003 la compagnia, dopo la fusione con la danese NEG Micon, anch'essa produttrice di turbine eoliche, è divenuta la più grande compagnia di costruzione di pale eoliche al mondo, sotto il nome di Vestas Wind Systems A/S;
   la presenza di Vestas in Italia risale al 1998, quando con la società Italian wind technology Srl, partecipata anche dal gruppo Ansaldo, acquisisce dalla società West la commessa per la produzione e l'installazione di circa 400 MW sulla base di quanto previsto dal piano energetico nazionale, iniziando così la produzione di turbine, di pale eoliche e attività di service utilizzando infrastrutture di Finmeccanica;
   nel 2001 la Vestas acquisisce completamente la Italian Wind Technology srl, divenendo da subito un'azienda leader sul mercato italiano. La Vestas Wind Systems A/S, produce e assembla turbine nello stabilimento di Taranto non solo per il mercato interno ma soprattutto per i mercati esteri;
   la Vestas Nacelles Italia Srl, società del gruppo Vestas Wind Systems A/S, dopo diversi esercizi chiusi con utili, a decorrere dal 1° gennaio 2013 ha improvvisamente attivato la cassa integrazione guadagni ordinaria per il totale della sua forza lavorativa per mancanza di commesse. La cassa integrazione è stata interrotta il 14 luglio 2013 per riprendere una produzione di 52 turbine che hanno necessitato anche l'assunzione a tempo determinato di 97 lavoratori per un periodo di 8 settimane;
   in data 12 settembre 2013 Vestas Nacelles Italia srl ha riaperto la procedura di cassa integrazione ordinaria per altre 13 settimane dichiarando l'assenza di commesse a partire dal 30 settembre 2013;
   nel giorno dell'avvio della cassa integrazione ordinaria arriva invece l'annuncio choc della Vestas: l'azienda chiude lo stabilimento che produce macchine e impianti per energia eolica;
   i sindacati, che, ovviamente, contestano la decisione aziendale, ritengono che la Vestas abbia deciso di ricollocare in un altro stabilimento del gruppo la produzione della «V 90». D'altra parte, gli stessi sindacati avevano annunciato nelle scorse settimane che la società aveva comunque in cantiere un piano da mille tagli ma che ancora non si sapeva quali stabilimenti;
   il 4 ottobre 2013 si è svolto presso il Ministero dello sviluppo economico un'incontro sulla crisi dell'azienda al quale hanno partecipato, oltre ad alcuni rappresentanti della multinazionale danese, l'Assessore al lavoro della regione Puglia il sindaco di Taranto, nonché le organizzazioni nazionali e territoriali di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil;
   nel corso dell'incontro, la società ha illustrato le motivazioni alla base della decisione di cessare la propria attività presso il sito produttivo di Taranto;
   il Governo e le istituzioni, si legge nella nota diramata a margine dell'incontro, hanno preso atto di quanto riferito nonché della conferma da parte dei rappresentanti di Vestas dell'avvio della procedura di mobilità per la totalità dei 250 dipendenti esprimendo forte preoccupazione per le conseguenze produttive e occupazionali che verrebbero a determinarsi in un territorio già fortemente colpito da crisi economica;
   l'Esecutivo, condividendo le richieste avanzate dai sindacati e dalle istituzioni, ha pertanto richiesto formalmente alla società di sospendere la procedura di mobilità e di differire i termini della citata procedura fino alla ripresa del confronto previsto per l'11 ottobre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico. A questo punto la richiesta di moratoria avanzata dal Governo è stata accolta.
   quali siano gli sviluppi della vicenda con riferimento all'incontro che si sarebbe svolto l'11 ottobre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico del quale non si ha notizia e quali urgenti e inderogabili interventi il Ministro interrogato intenda adottare per evitare la chiusura da parte della Vestas dello stabilimento di Taranto e il conseguente licenziamento di numerosi lavoratori, preservando in tal modo un importante stabilimento produttivo che valorizza il nostro Paese, per competenze e tecnologia nel contesto internazionale. (4-02255)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta che il Ministero, segue attentamente gli sviluppi delle problematiche relative all'azienda in oggetto, per affrontare le quali sono stati già svolti alcuni incontri alla presenza delle parti interessate.
  Nel corso dell'ultimo incontro, tenutosi l'11 novembre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico, sono state ulteriormente approfondite le problematiche connesse alla chiusura della produzione di Vestas Nacelles nel sito di Taranto.
  In particolare, sono state raggiunte le seguenti intese tra le parti:
   1. la società ha comunicato che intende rafforzare la propria presenza nel comparto Blades ed a tal proposito investirà circa 10 milioni di euro, finalizzati allo sviluppo di un prodotto di alta tecnologia (V 112). Tale investimento – che troverà la propria concretizzazione nel corso del primo trimestre 2014 ed entrerà a regime nel secondo trimestre dello stesso anno – dovrebbe consentire al sito di Vestas Blades di risultare competitivo sul piano internazionale. Da ciò potranno derivare nuove opportunità professionali (laddove supportate dal mercato e da adeguati percorsi di formazione professionale) quantificabili in circa n. 60 unità, da inserire in relazione alle esigenze tecnico-organizzative della società ed alla crescita reale delle opportunità di mercato. A tal fine, Vestas presenterà quanto prima i propri indirizzi strategici;
   2. Vestas Italia Srl e Vestas group hanno inoltre dichiarato di prevedere opportunità professionali per i lavoratori Vestas Nacelles per un totale di circa n. 38 posizioni lavorative;
  La prima formulerà 8 proposte occupazionali a tempo indeterminato entro il mese di gennaio 2014 ad altrettanti lavoratori oggi in organico presso la Vestas Nacelles; la seconda ha dichiarato di prevedere circa n. 30 posizioni lavorative nell'ambito di propri insediamenti in United Kingdom, Spagna, Danimarca e Germania, previa verifica delle specifiche competenze dei candidati ed in relazione alle esigenze tecnico-organizzative delle singole società;
   3. le parti si sono altresì impegnate a definire un piano sociale che preveda l'accesso alla mobilità incentivata per quei lavoratori che intendano volontariamente aderire, con i criteri della non opposizione, alle proposte formulate all'interno delle intese raggiunte;
   4. la regione Puglia e Vestas verificheranno il piano di formazione e riqualificazione e la compatibilità dello stesso con gli strumenti di supporto operativo e finanziario ai sensi della vigente normativa, piano che sarà volto ad accrescere le possibilità di occupazione dei lavoratori che fruiranno della cassa integrazione guadagni straordinari prevista;
   5. Vestas, accogliendo le sollecitazioni del Governo e delle istituzioni territoriali, ha inoltre comunicato che attiverà la procedura per l'accordo di Cgis per cessazione attività per 24 mesi con sospensione a partire dal 30 dicembre 2013; in tale contesto la procedura di mobilità in corso sarà trasformata secondo i principi della non opposizione accompagnata da un incentivo economico per il personale non ricollocato nell'ambito del gruppo Vestas. Le parti si sono altresì impegnate a considerare vincolanti tali intese;
   6. prima della scadenza della cassa integrazione guadagni, le parti si incontreranno per verificare l'eventuale presenza di criticità occupazionali al fine di individuare le soluzioni più opportune nell'ambito della normativa in essere.

  Infine, il Ministero dello sviluppo economico e la regione Puglia – ognuno per quanto di competenza – si sono impegnati a monitorare la situazione ed a convocare le parti al fine di raggiungere le necessarie intese o superare eventuali ostacoli.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in Italia il mercato della prostituzione risulta essere in costante e diffusa crescita. Il web si afferma come uno degli strumenti principali di vetrina dell'offerta di questo tipo di mercato;
   un recente studio del dipartimento di scienze giuridiche dell'università di Trento stima il giro d'affari della prostituzione attraverso i mezzi informatici in una cifra superiore al miliardo di euro, circa un quinto dell'intero valore del mercato della prostituzione;
   secondo tale studio la stima minima parla in tutto di 130mila clienti italiani che si rivolgono alle 9750 prostitute che si pubblicizzano online e consumano in media 390mila prestazioni sessuali al mese;
   la promozione di tale mercato coinvolge i social network, ma si concentra principalmente su siti dedicati ed indicizzati. Spesso gli intestatari di tali siti risultano essere cittadini stranieri in forma di prestanome. La difficoltà nel rintracciare i reali amministratori, oltre a creare notevoli problemi nell'accertare responsabilità legati a favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione, porta ad un'elusione fiscale stimata in 50 milioni di euro all'anno;
   i recenti fatti di cronaca ed il loro clamore, hanno portato all'attenzione dell'opinione pubblica nazionale quanto il fenomeno sia radicato e diffuso –:
   quali azioni intenda adottare per contrastare il fenomeno della prostituzione, in particolare con iniziative volte a regolamentare il fenomeno dei siti web della tipologia sopradescritta, con specifico riferimento alla loro diffusione, alla loro accessibilità e al fenomeno di elusione fiscale ad essi correlato. (4-02562)

  Risposta. — Il fenomeno della prostituzione sul web ha registrato negli ultimi anni una notevole impennata – soprattutto per le modalità di accesso alla rete, che consentono di conservare l'anonimato – ma, data la sostanziale impunità riconosciuta agli «annunci a luci rosse», le attività di prevenzione e contrasto delle Forze dell'ordine possono riguardare solo lo «sfruttamento della prostituzione».
  Sotto il profilo investigativo la Polizia postale e delle comunicazioni ha comunque messo in atto una serie di azioni per arginare il fenomeno, anche se va però ricordato, al riguardo, come molto spesso si abbia a che fare con cittadini stranieri, dotati di server posizionati fuori dalla competenza territoriale italiana; è facile comprendere come ciò renda più complesse le indagini e la conseguente individuazione dei responsabili, richiedendo l'attivazione di canali internazionali formali di cooperazione di polizia, secondo procedure di rogatoria internazionale.
  Per quanto concerne, più in generale, il reato di sfruttamento della prostituzione, si evidenzia come ormai da tempo, nel nostro Paese, sia strettamente correlato all'immigrazione clandestina e alla grave fattispecie delittuosa della tratta degli esseri umani. Le vittime provengono prevalentemente dall'Africa centrale, dall'area balcanica e, più recentemente, dalla Cina e vengono reclutate da organizzazioni criminali per lo più straniere, facenti capo a strutture transnazionali con basi operative nei vari Paesi d'origine e diramazioni in quelli di destinazione.
  Le dimensioni del fenomeno hanno richiesto scelte strategiche adeguate che, tra l'altro, hanno dato luogo – con decreto del Capo della Polizia dei 12 gennaio 2001 – a una riorganizzazione degli Uffici stranieri e delle squadre mobili delle Questure, con l'individuazione di specifiche «sezioni criminalità extracomunitaria e prostituzione». A livello centrale, nell'ambito della Direzione centrale anticrimine, il servizio centrale operativo svolge un'azione di monitoraggio, coordinando le attività investigative dei singoli organi territoriali. Ciò ha permesso, negli anni, di assicurare una risposta unitaria a una problematica così complessa e articolata, spesso condizionata dalla situazione socio-politica dei Paesi di origine.
  In tutto ciò ha svolto un ruolo fondamentale la formazione professionale dei personale di polizia – attraverso convegni e seminari che hanno visto la partecipazione di figure professionali di primo piano, impegnate in progetti europei dedicati – realizzata anche in collaborazione con le organizzazioni internazionali e non governative del settore.
  Sul fronte della lotta allo sfruttamento della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale in danno di minori sono impegnati in prima linea, oltre alla citata Direzione centrale anticrimine, anche gli Uffici della direzione centrale per la Polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della Polizia di Stato; in particolare, merita di essere menzionato il «centro nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete internet», istituito dalla legge n. 38 del 2006; che funziona come punto di raccordo nazionale per la gestione dei risultati provenienti dai suoi uffici territoriali – dislocati su venti compartimenti e ottanta sezioni, rispettivamente nei capoluoghi di regione e di provincia – dalle associazioni e organismi non governativi (nazionali e internazionali) e da
provider e operatori della rete; il centro, inoltre, è in collegamento con l’Interpol e con il sistema nazionale bancario-finanziario – tramite la mediazione della Banca d'Italia – per l'acquisizione di informazioni utili all'individuazione delle varie transazioni finanziarie che ruotano attorno al mercato on-line del commercio sessuale di minori.
  Tra le più recenti iniziative a livello nazionale, infine, si segnala l'istituzione, nell'ottobre 2012, di un «Tavolo di lavoro» presso la Direzione centrale della polizia criminale, dotato di uno specifico «Protocollo d'intesa», il cui compito è quello di elaborare strategie di intervento finalizzate ad assicurare la piena attuazione e tutela dei diritti e degli interessi dei minori. A tale scopo è stato creato un «gruppo tecnico» – presieduto dal Direttore del servizio analisi criminale della Direzione centrale della Polizia criminale e composto da vari rappresentanti delle Forze dell'ordine – con cui collabora anche l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MARCOLIN. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in occasione del proprio avvicendamento alla testa della legione Veneto dell'Arma dei Carabinieri, il generale Sabino Cavaliere ha affermato che «la situazione economica impone delle scelte: meno caserme e più uomini sulla strada»;
   secondo il generale Cavaliere, in particolare, l'Arma non potrebbe più permettersi di avere dei «presidi semivuoti»;
   proprio per questo motivo, la tenenza di Mira, comune in provincia di Venezia, sarebbe stata potenziata chiudendo la stazione della frazione di Oriago, mentre a Santo Stefano, in provincia di Belluno, è stata aperta una caserma solo in seguito all'accorpamento di tre reparti;
   se è indubbiamente condivisibile la scelta di avvicinare i Carabinieri alla cittadinanza, impegnandoli sul territorio dove maggiormente occorre, come prefigurato dal generale Cavaliere, è tuttavia certo che si profila una riduzione sensibile non solo nelle caserme, ma anche nelle stazioni venete dei Carabinieri, veri e propri front office dell'Arma –:
   quale sia il numero esatto e la tipologia dei presidi dei carabinieri che si conta di sopprimere in Veneto ed i criteri di redistribuzione delle forze dell'Arma sul territorio della regione. (4-02172)

  Risposta. — L'Arma dei carabinieri, anche se in un momento storico contraddistinto da particolari difficoltà congiunturali, continua a garantire sicurezza ed efficienza con la massima economicità.
  Tale precipuo obiettivo è stato perseguito:
   investendo, prioritariamente, nella riconfigurazione del dispositivo, con particolare riguardo alle strutture logistiche, amministrative e di comando;
   potenziando i reparti preposti alle investigazioni e valorizzando le capacità operative del dispositivo territoriale, con specifico riferimento alle stazioni e alle tenenze Carabinieri che restano sempre tra le più concrete e immediate espressioni di vicinanza ai cittadini;
   distribuendo i presidi dell'Arma – al fine di adeguare costantemente il dispositivo territoriale – sulla base dei parametri rapportati alla popolazione, alla delittuosità, agli aspetti di carattere infrastrutturale/logistico e alla mobilità, in piena sintonia con le altre Forze di polizia e d'intesa con gli orientamenti dei prefetti.

  In tale contesto, nell'ambito del comando legione Carabinieri «Veneto», si è recentemente proceduto all'accorpamento delle stazioni carabinieri di:
   Oriago (frazione del comune di Mira) alla tenenza di Mira (posta ad appena 3 chilometri);
   Sappada e Padola di Comelico Superiore a quella confinante di Santo Stefano di Cadore;
   Posina ad Arsiero.

  Pur a fronte di una generalizzata carenza di risorse, destinata ad acuirsi in conseguenza dei provvedimenti normativi assunti in materia di «spending review» (blocco parziale del turn over), sono state adottate misure finalizzate a conferire maggiore efficienza al dispositivo territoriale attraverso:
   l'istituzione delle stazioni di Castel d'Azzano e Martellago;
   il potenziamento di 3 stazioni a «forza minima» (Enego, Pastrengo e Sant'Anna d'Alfaedo) con complessive 5 unità.

  I provvedimenti di razionalizzazione hanno consentito una più omogenea e funzionale ridistribuzione delle risorse sul territorio, in ragione del mutato quadro demografico e urbanistico, conseguendo anche notevoli economie connesse con il risparmio degli oneri di locazione e di gestione delle caserme già sedi dei reparti soppressi.
Il Ministro della difesaMario Mauro.


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   su Repubblica del 4 gennaio 2014 è apparsa la notizia che «l'Italia ha messo in disposizione un porto del sud del mare Adriatico per effettuare il trasbordo delle armi chimiche siriane» che saranno distrutte in acque internazionali. La nostra intelligence sarebbe preoccupata per il rischio che questa operazione possa essere ostacolata da comitati e movimenti di protesta per il rischio connesso allo smaltimento di 700 tonnellate di gas altamente tossici;
   il piano di smantellamento deciso per iniziativa degli Stati Uniti e della Russia dovrà essere completato entro metà del 2014, sotto l'egida della Organizzazione per la distruzione delle armi chimiche;
   il convoglio navale con le armi chimiche approderebbe in un porto italiano tra il 6 e il 17 gennaio –:
   se tale notizia corrisponda al vero e quali garanzie siano state eventualmente assunte per evitare ogni rischio per il nostro Paese. (4-03081)

  Risposta. — Il Governo, anche in virtù degli impegni assunti in Parlamento l'11 settembre 2013 a seguito dell'approvazione alla Camera della mozione 1-00178 (nella quale era contenuto l'impegno «a sostenere l'iniziativa volta a far emergere, a mettere sotto controllo internazionale e a neutralizzare l'arsenale chimico siriano, con l'obiettivo irrinunciabile che non possa essere nuovamente usato, confidando che una risoluzione in tal senso sia presto adottata dal consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite») e della risoluzione 6-00026 (nella quale era contenuto l'impegno «a partecipare alla definizione di una cornice politica e diplomatica che abbia il fine di avviare un processo democratico volto al riconoscimento dei diritti umani e all'eliminazione definitiva dell'arsenale chimico siriano, affinché non si abbiano a ripetere mai più in futuro simili atrocità»), è da sempre fortemente impegnato a favorire – nell'ambito della ricerca di una soluzione pacifica della crisi siriana – l'eliminazione delle armi chimiche a disposizione del regime. Armi che, si ricorda, sono state utilizzate nel corso del conflitto causando delle atrocità ai danni delle popolazioni civili inermi, come testimoniato dal terribile attacco di Al Ghouta dell'agosto 2013, rimasto impresso nella memoria comune.
  Tale impegno viene naturalmente esercitato nei contesti multilaterali appropriati dell'ONU e dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC), organizzazione che per la sua azione in favore di un mondo privo da armi chimiche ha vinto nel dicembre 2013 il premio Nobel per la pace.
  Come noto la risoluzione 2118 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e la Decisione del Consiglio Esecutivo dell'Opac sulla distruzione delle armi chimiche in Siria del 27 settembre 2013 hanno disposto un chiaro mandato per giungere in tempi rapidi allo smantellamento dell'arsenale chimico di Damasco. Il 15 novembre il consiglio esecutivo Opac ha quindi approvato una nuova decisione, che ha fissato precise scadenze per lo smantellamento dell'intero arsenale, da completare entro il primo semestre del 2014. Il 17 dicembre il direttore generale dell'Opac ha presentato al consiglio esecutivo il piano dettagliato per la distruzione delle armi chimiche siriane all'estero. Questo piano naturalmente richiede per la sua esecuzione la fattiva collaborazione degli Stati parte dell'organizzazione.
  Su queste basi, l'Italia ha deciso, in maniera convinta, di fornire un contributo all'organizzazione di tale operazione, mettendo innanzitutto a disposizione un velivolo dell'aeronautica militare per il trasporto degli ispettori e, successivamente, dei contributi finanziari e materiali alle Nazioni Unite e all'Opac. Ha inoltre messo a disposizione, come da richiesta dell'Opac per dare esecuzione al piano, un porto, successivamente identificato dalle competenti autorità nazionali a Gioia Tauro, per un'operazione di trasbordo degli agenti chimici. La decisione sull'identificazione del porto è stata prerogativa italiana ed è stata adottata, a seguito di attenta concertazione interministeriale, al massimo livello politico. Il processo di selezione ha tenuto conto dell'esigenza di garantire le massime condizioni di sicurezza e di tutela ambientale. Il porto di Gioia Tauro effettua già normalmente operazioni di trasbordo di materiali chimici analoghi a quelli di provenienza dalla Siria. Dette operazioni sono pienamente alla portata degli impianti portuali considerati, ivi compresa la gestione dei rischi connessi ad operazioni di questo tipo.
  Il piano per la distruzione delle armi chimiche siriane – come ampiamente illustrato il 16 gennaio 2014 dal direttore generale dell'Opac nel corso di un'audizione tenuta innanzi alle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato – prevede infatti il trasferimento all'estero degli agenti di maggiore pericolosità (cosiddetta di priorità 1) e la loro distruzione per idrolisi mediante apparecchiature mobili installate a bordo della nave americana Cape Ray.
  Le sostanze, inizialmente trasportate verso il porto siriano di Latakia, verranno infatti trasportate a bordo di una nave danese al porto di Gioia Tauro, dove, come noto, saranno condotte le operazioni di trasbordo sulla Cape Ray. Una volta caricata, la Cape Ray – nel pieno rispetto delle normative ambientali e dei requisiti di sicurezza – uscirà dalle acque territoriali italiane per collocarsi in acque internazionali, dove svolgerà le attività di distruzione. Il trattamento con idrolisi a bordo della Cape Ray avverrà in ogni caso al di fuori della zona di protezione ecologica marina italiana. La data dell'operazione verrà determinata in funzione dell'andamento delle attività di carico in Siria. Quanto alle tempistiche, nei contatti con i siriani in corso in ambito Opac è emersa una profonda distanza fra quanto ipotizzato da parte della Siria – per cui per ragioni di sicurezza sarebbero necessari almeno altri tre mesi per completare il carico – e quanto indicato dall'Opac, per la quale si potrebbe riuscire a completare l'operazione in questione già entro la fine di marzo e non all'inizio di giugno. L'Opac – anche tramite del suo consiglio esecutivo, di cui l'Italia fa parte – continuerà naturalmente a seguire con la massima attenzione l'andamento delle attività di carico. I residui della distruzione, che rimarranno a bordo della Cape Ray, verranno quindi trasferiti all'estero perché possano essere convertiti in sostanze utilizzabili dalle due industrie negli Stati Uniti e in Finlandia che hanno vinto la gara internazionale bandita dall'Opac.
  L'intera operazione – condotta sotto l'egida delle Nazioni Unite e dell'Opac – vede impegnati in uno sforzo internazionale, oltre all'Italia, gli Stati Uniti, Russia, Cina, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Germania e Regno Unito. L'operazione costituisce la più importante iniziativa di disarmo degli ultimi anni e le modalità di trasbordo presso il porto italiano sono state concordate con gli altri Stati partecipanti, in modo da garantire il rispetto sia delle convenzioni internazionali sia della legislazione nazionale in materia di protezione ambientale.
  Si segnala che il 21 gennaio 2014 il Presidente del Consiglio ha ricevuto – insieme al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi, e ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi, e dell'ambiente e del mare, Andrea Orlando – i sindaci di Gioia Tauro e di San Ferdinando, il presidente della regione Calabria, il presidente dell'autorità portuale di Gioia Tauro, i membri del comando generale delle Capitaneria di porto, l'amministratore delegato di Medcenter container terminal e il vicepresidente terminal marittimi del gruppo Contship. In tal circostanza il governo si è impegnato a predisporre iniziative puntuali di informazione allo scopo di aggiornare la popolazione.
  Infine, si precisa che i costi del piano di distruzione dell'arsenale chimico siriano sono finanziati attraverso l'istituzione da parte dell'Onu e dell'Opac di fondi fiduciari cui gli Stati possono partecipare mediante contributi finanziari o in natura. In particolare, il consiglio esecutivo dell'Opac ha istituito un fondo
ad hoc per la distruzione, che l'Italia ha già finanziato con 1 milione di euro a valere sul decreto missioni 2013. Da parte italiana saranno versati 2 milioni di euro sullo stesso Fondo e sono state offerte due autoambulanze blindate, immagini satellitari di siti italiani siriani e servizi di trasporto per il trasferimento in Siria degli ispettori dell'Opac. I costi dell'intero piano di distruzione saranno dunque coperti per la maggior parte con le risorse versate dagli Stati sul fondo dell'Opac su base volontaria.
Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   MICILLO e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'Ottocento l'isola di Ischia diventa una delle capitali del termalismo europeo, al pari delle più note stazioni inglesi e austriache. Le «antiche terme comunali», che sorgono sul porto, diventano un punto di riferimento anche per gli studiosi;
   il radon — elemento radioattivo naturale, appartenente alla classe dei gas nobili, e derivante dalla emanazione di una particella alfa da un atomo di radio — è una sostanza che viene assorbita molto facilmente attraverso le mucose (soprattutto degli apparti respiratorio e digerente) e la cute e si diffonde molto rapidamente ai tessuti con un'affinità elettiva per i lipidi (www.benessere.com);
   le linee-guida concernenti la prevenzione, la diagnostica e l'assistenza in oncologia, previste dall'accordo tra Ministro della sanità e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 2 maggio 2001, hanno descritto gli effetti sanitari del radon: «L'esposizione al radon ed ai suoi prodotti di decadimento è un fattore di rischio per il tumore polmonare ed è generalmente considerata come una delle principali cause di tale neoplasia, dopo il fumo della sigaretta. L'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro ha classificato tali radionuclidi tra le sostanze di gruppo 1; si stima che il rischio individuale sull'intera vita dovuto all'esposizione continua a 100 Bq/m3 sia dell'ordine di 1 per cento con un'incertezza stimabile in un fattore 3»; secondo le stime riportate nel medesimo documento si ipotizza che dal 5 al 15 per cento dei 30.000 tumori polmonari che ogni anno si verificano in Italia, siano attribuibili al radon;
   in data 4 maggio 2003 il programma Report su Rai3 aveva acceso i riflettori sulla presenza del gas radon nell'isola di Ischia e aveva posto in evidenza la sua pericolosità sulla salute umana a causa delle elevate concentrazioni presenti;
   nel servizio televisivo citato Francesco Bochicchio dell'Istituto superiore di sanità aveva affermato che: «La caratteristica fondamentale del radon è che è un gas inerte e quindi significa che dal posto in cui viene prodotto, dal suolo e dal materiale di costruzione, può muoversi e diffondere e in particolare entrare nei luoghi chiusi tra cui le abitazioni e concentrarsi»;
   Campania, Lazio e Veneto sono le regioni con la più alta concentrazione di radon e si stima che un milione di abitazioni in Italia siano esposte al radon;
   in data 4 aprile 2009 nel blog di Andrea d'Ambra si legge che: «Quello di cui la terza isola italiana per numero di abitanti avrebbe bisogno è una vasta campagna informativa rivolta alla popolazione, una diffusa misurazione di livelli di Radon e la conseguente bonifica di quei luoghi dove i livelli, risultano oltrepassare i limiti raccomandati dalla Comunità europea di 200 Bq/m3 per le nuove abitazioni e 400 Bq/m3 per quelle già esistenti» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti nella premessa, in particolare se allo stato attuale siano disponibili i dati delle rilevazioni di gas radon nelle varie zone dell'isola d'Ischia, ciò comprendendo sorgenti ed immobili (edilizia pubblica, privata e scuole);
   se non si intenda promuovere all'uopo tale studio mediante esperti del settore e quali iniziative si intendano assumere a tutela della salute degli isolani;
   se siano state effettuate indagini sull'incidenza di patologie tumorali ai polmoni, sia tra i fumatori, sia tra i non fumatori, e, in caso contrario, se non intenda avviare un circostanziato studio epidemiologico per valutare l'insorgenza del rischio rispetto al dato nazionale.
(4-01257)

  Risposta. — In merito alle iniziative per contrastare le problematiche sanitarie connesse all'esposizione della popolazione e dei lavoratori al radon, si segnala che il Ministero della salute ha promosso nel 2002 l'elaborazione del piano nazionale radon, attribuendone, dal 2005 in poi, il coordinamento all'istituto superiore di sanità.
  La nuova direttiva europea sulla protezione dalle radiazioni ionizzanti Council directive 2013/59/Euratom, approvata il 5 dicembre 2013 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea il 17 gennaio 2014 (Council directive Laying down basic safety standards for protection against the dangers arising from exposure to ionising radiation), che dovrà essere recepita nella legislazione nazionale, rende obbligatorio per i Paesi membri dell'Unione europea lo sviluppo di un piano nazionale radon, introduce per la prima volta requisiti di protezione dal radon nelle abitazioni e aumenta sensibilmente i requisiti di protezione da questa fonte di rischio per la salute della popolazione e dei lavoratori.
  Tra questi obblighi vi è anche la scelta di «livelli di riferimento» per la concentrazione di radon nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro (cioè valori sopra i quali è considerato sempre giustificato effettuare azioni di risanamento), i quali saranno scelti dai Paesi membri e potranno essere diversi per le abitazioni e i luoghi di lavoro, così come per edifici esistenti o da costruire, ma in ogni caso non potranno essere superiori a 300 Bq/m3 («bequerel al metro cubo»).
  L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha raccomandato nel 2009 che gli Stati scelgano un livello di riferimento compreso tra i 100 e i 300 Bq/m3.
  Il livello di riferimento non va inteso come una soglia sotto la quale il rischio è nullo e sopra la quale il rischio è certo, in quanto il rischio di tumore polmonare associato all'esposizione al radon è (allo stato attuale delle conoscenze) proporzionale alla concentrazione di radon e alla durata dell'esposizione.
  L'Italia ha contribuito, tramite l'istituto superiore di sanità, agli studi epidemiologici che sono alla base delle nuove raccomandazioni internazionali dell'Oms e della citata direttiva europea, così come ha partecipato all'elaborazione delle raccomandazioni dell'Oms (tramite esperti dell'istituto superiore di sanità) e della direttiva europea (tramite esperti di diversi enti ed amministrazioni, tra cui l'istituto superiore di sanità e il Ministero della salute).
  Nel nostro Paese, per quanto riguarda la valutazione dell'entità della concentrazione di radon nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro, con particolare attenzione alle scuole, ad oggi sono state effettuate numerose indagini da parte degli enti istituzionalmente preposti: in totale, le ispezioni hanno riguardato oltre 38.000 abitazioni, 8.500 scuole, nonché 12.000 luoghi di lavoro.
  Una prima indagine nazionale (coordinata dall'Istituto superiore di sanità e dall'allora Enea, ora Ispra) svolta negli anni ’90, ha permesso di fare un primo quadro a livello regionale per le abitazioni di tutte le regioni: in alcune regioni (tra cui Abruzzo, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Puglia, Sardegna, Toscana, Trentino-Alto Adige, Veneto) sono state inoltre successivamente effettuate indagini più dettagliate nelle abitazioni e/o nelle scuole; una seconda indagine nazionale (con risultati rappresentativi per ogni provincia italiana e coordinata dall'Istituto Superiore di Sanità) si sta per concludere. Ulteriori indagini di rilievo regionale o locale sono in corso o sono state programmate.
  Tutti i dati ricavati vengono raccolti nell'archivio nazionale radon gestito dall'istituto superiore di sanità in collaborazione con gli altri enti nazionali e regionali coinvolti. La media nazionale della concentrazione di radon nelle abitazioni risulta ad oggi di circa 70 Bq/m3. A livello regionale la media varia da circa 20-40 Bq/m3 (Basilicata, Calabria, Liguria, Marche, Sicilia) a 90-125 Bq/m3 (Campania, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia).
  Per quanto riguarda l'impatto sanitario, l'istituto superiore di sanità ha valutato il numero di casi di tumore polmonare attribuibili ogni anno all'esposizione al radon, che risulta di circa 3.200, cioè il 10 per cento di tutti i tumori polmonari.
  Va sottolineato che la gran parte di questi è attesa tra i fumatori e gli ex-fumatori, a causa degli effetti combinati di radon e fumo di sigaretta.
  Per quanto riguarda i dati delle rilevazioni di radon nelle varie zone dell'isola d'Ischia, si precisa che, nell'ambito dell'indagine nazionale degli anni ’90, è stato misurato un campione rappresentativo di 79 abitazioni nel comune di Ischia. La media è risultata di circa 110 Bq/m3 più elevata quindi sia della media nazionale (70 Bq/m3), che di quella regionale (circa 90 Bq/m3).
  Sulla base di queste misure si può stimare che circa 1 per cento delle abitazioni di Ischia abbiano valori superiori a 300 Bq/m3.
  Successivamente, sono state fatte misure in circa 60 abitazioni, in buona parte ancora nel comune di Ischia e in due scuole, nell'ambito di una iniziativa didattica dell'università di Napoli svolta con gli studenti di alcune scuole, i cui risultati, in parte non ancora pubblicati, sono interessanti ma non possono essere considerati rappresentativi.
  Anche in considerazione della citata direttiva, potrà essere realizzata una nuova indagine rappresentativa sulla concentrazione di radon nelle abitazioni, nelle scuole e in alcuni luoghi di lavoro, che includa tutti i sei comuni dell'isola (Barano, Casamicciola, Forio, Ischia, Lacco Ameno, Serrara Fontana), secondo le metodologie raccomandate dal Piano Nazionale Radon.
  Sulla base delle indicazioni fornite dall'istituto superiore di sanità non si ritiene necessario effettuare uno studio di incidenza di patologie tumorali ai polmoni, in quanto gli studi epidemiologici effettuati finora sono considerati sufficienti dalle organizzazioni internazionali sanitarie e di protezione dalle radiazioni per ritenere l'esposizione al radon un fattore di rischio accertato.
  Inoltre, la limitata popolazione dell'isola di Ischia renderebbe troppo bassa la potenza statistica di un'eventuale studio, anche se condotto con metodologia appropriata.
  Secondo l'istituto superiore di sanità, una valutazione della percentuale di casi di tumori polmonari attribuibili all'esposizione al radon degli abitanti dell'isola di Ischia è stimabile in circa il 15 per cento di tutti i tumori polmonari.

Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   MOLTENI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la stampa locale evidenzia un sensibile deterioramento delle condizioni dell'ordine pubblico e della sicurezza a Como città e nel territorio provinciale adiacente;
   nel breve volgere di pochi giorni, dallo scorso 27 settembre al 30 seguente, un ragazzo nigeriano è stato accoltellato nel pieno centro di Como, probabilmente nel contesto di un regolamento di conti; quindi, poco più tardi, nella stessa serata, è finito in ospedale un uomo senza fissa dimora, aggredito per sottrargli il denaro racimolato tramite accattonaggio; il giorno seguente, un secondo clochard è stato quindi preso a cinghiate da un gruppo di giovani; infine, più recentemente ancora, il titolare del distributore di benzina situato presso un noto ipermercato di Cantù è stato rapinato da un gruppo di assalitori armati, che ha poi seminato di chiodi la via di fuga;
   si sono registrate forme di intimidazione nei confronti di coloro che sul territorio hanno tentato di reagire, anche in modo blando, ad esempio rimproverando i giovani autori delle bravate notturne contro i privi di fissa dimora;
   sono stati riportati nei mesi scorsi casi di rapine ed aggressioni in case abitate;
   risultano, infine, in significativo aumento anche gli atti di vandalismo contro la proprietà pubblica e privata –:
   quali misure il Governo intenda assumere per assicurare un più efficace presidio del territorio comasco e se, in particolare, sia possibile immaginare il potenziamento dei distaccamenti delle forze dell'ordine presenti a Como e provincia, ipotizzando altresì l'impiego, con funzioni di concorso al mantenimento dell'ordine pubblico, di un limitato contingente di militari. (4-02031)

  Risposta. — In seguito alle indagini svolte dalla questura di Como, è emerso che gli episodi citati nel testo dell'interrogazione in esame – verificatisi negli ultimi giorni del mese di settembre 2013 – non erano accomunati tra loro e comunque non erano caratterizzati da serialità o emulazione; il risalto attribuito ad essi dalla stampa locale è stato dunque determinato dalla casualità del ristretto arco temporale in cui si sono susseguiti.
  In particolare, l'accoltellamento del cittadino nigeriano è scaturito da una lite tra giovani e non è quindi riconducibile a presunti regolamenti di conti in ambienti criminali. Lo stesso giorno, nel centro cittadino, due cittadini stranieri senza fissa dimora hanno aggredito un altro
clochard allo scopo di sottrargli una coperta. La rapina nel distributore di benzina a Cantù è stata compiuta invece da malviventi presumibilmente inesperti, che hanno tentato di impossessarsi di una valigetta affidata a una guardia giurata, ritenendo che contenesse l'incasso quotidiano, mentre in realtà conteneva solo alcuni documenti e le chiavi del distributore.
  Complessivamente, la situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica nella provincia di Como non risulta allarmante, sebbene in quest'ultimo periodo si sia riscontrata una repentina e progressiva impennata dei reati contro il patrimonio, in particolare dei furti presso abitazioni private.
  Al fine di contenere e contrastare l'evoluzione di tale tipologia delittuosa, in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica è stata tempestivamente concordata un'intensificazione delle attività di prevenzione generale, anche attraverso la programmazione di mirati servizi di controllo straordinario del territorio, con il supporto di unità di rinforzo sia della Polizia di Stato che dell'Arma dei Carabinieri.
  Tali iniziative – determinando, tra l'altro, una maggiore visibilità delle Forze di Polizia – si propongono anche di contribuire a riaffermare il sentimento di fiducia nelle istituzioni e la percezione della sicurezza nelle collettività interessate dai suddetti fenomeni criminosi.
  Il dispositivo delle forze di polizia preposto al controllo del territorio nella provincia comasca è attualmente composto da 382 unità della Polizia di Stato, 525 militari dell'Arma dei Carabinieri e 774 militari della guardia di Finanza.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il centro di Como è sempre più frequentemente interessato da violenze tra gruppi di immigrati, che paiono avere la loro ragion d'essere in regolamenti di conti connessi a pendenze pregresse di varia natura;
   la stampa locale ha appena dato notizia di una rissa scoppiata il 27 ottobre 2013 nella centralissima via Milano, protagonisti cinque cittadini rumeni, poi risultati in possesso anche di armi bianche, ricordando nella circostanza come a fine settembre si fosse registrato anche l'accoltellamento, in due separati episodi occorsi a poche ore l'uno dall'altro, di un ecuadoriano e di un polacco;
   il deteriorarsi delle condizioni di sicurezza a Como è motivo di crescente allarme sociale nella cittadinanza, che constata con sgomento come persino il centro della loro città sia diventato il luogo d'elezione per il regolamento di conti pregressi tra immigrati più o meno organizzati;
   per quanto le forze di polizia presenti a Como facciano il possibile, reagendo alle segnalazioni dei cittadini, è chiaro che la loro capacità di prevenire crimini ed atti violenti, anche attraverso un'efficace presenza dissuasiva, è ormai palesemente insufficiente ed urgono pertanto rinforzi –:
   quali siano le misure che il Governo intende adottare per invertire la sempre più evidente tendenza al degrado delle condizioni dell'ordine pubblico a Como e se, in particolare, non ritenga opportuno procedere all'immediato rinforzo in uomini e mezzi dei presidi delle forze di polizia presenti nella città lariana.
(4-02344)

  Risposta. — Gli episodi citati nel testo dell'interrogazione in esame – verificatisi a Como tra settembre e ottobre – non erano accomunati tra loro e non erano caratterizzati da serialità o emulazione; il risalto attribuito ad essi dalla stampa locale è stato dunque determinato dalla casualità del ristretto arco temporale in cui si sono susseguiti.
  In particolare, la rissa scoppiata in via Milano il 27 ottobre 2013 è scaturita da una lite tra due diversi nuclei familiari; la pattuglia delle forze dell'ordine prontamente intervenuta sul posto ha deferito all'autorità giudiziaria i cinque cittadini rumeni coinvolti e ha sequestrato un cavatappi a punta elicoidale. Anche i due episodi verificatisi alla fine di settembre non sono riconducibili a presunti regolamenti di conti in ambienti criminali: l'accoltellamento del cittadino nigeriano, infatti, è scaturito da una lite tra giovani, mentre l'aggressione di un
clochard da parte di altri due cittadini stranieri senza fissa dimora era finalizzati al furto di una coperta.
  Complessivamente, la situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica nella provincia di Como non risulta allarmante, sebbene in quest'ultimo periodo si sia riscontrata una repentina e progressiva impennata dei reati contro il patrimonio, in particolare dei furti presso abitazioni private.
  Al fine di contenere e contrastare l'evoluzione di tale tipologia delittuosa, in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica è stata tempestivamente concordata un'intensificazione delle attività di prevenzione generale, anche attraverso la programmazione di mirati servizi di controllo straordinario del territorio, con il supporto di unità di rinforzo sia della Polizia di Stato che dell'Arma dei Carabinieri.
  Tali iniziative – determinando, tra l'altro, una maggiore visibilità delle Forze di Polizia – si propongono anche di contribuire a riaffermare il sentimento di fiducia nelle istituzioni e la percezione della sicurezza nelle collettività interessate dai suddetti fenomeni criminosi.
  Il dispositivo delle forze di polizia preposto al controllo del territorio nella provincia comasca è attualmente composto da 382 unità della Polizia di Stato, 525 militari dell'Arma dei Carabinieri e 774 militari della Guardia di Finanza.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è in atto a Lipomo, comune della cintura comasca, una significativa offensiva della criminalità, che si sta concretizzando soprattutto nell'intensificazione dei furti compiuti negli appartamenti;
   secondo la stampa locale, nell'arco di una sola notte recente sarebbero state messe a segno ben dieci effrazioni, dato il cui significato può esser meglio compreso se si tien conto che Lipomo ha meno di seimila abitanti. È stata violata anche l'abitazione di un assessore;
   stando alle medesime fonti della stampa locale, i furti nelle case lipomesi sarebbero stati non meno di un'ottantina negli ultimi due mesi;
   il degrado della sicurezza a Lipomo è motivo di crescente allarme sociale, al punto che per fronteggiare l'emergenza i giovani lipomesi si sono organizzati autonomamente, dando vita ad una forma di perlustrazione mobile delle zone più bersagliate dai furti notturni;
   la circostanza è stata tuttavia stigmatizzata dal prefetto di Como, che ha creduto di riconoscervi gli estremi di un comportamento non conforme alla legge, chiedendo contestualmente ai cittadini lipomesi di aver fiducia nel rafforzamento dei presidi delle forze dell'ordine e di limitarsi a segnalare i comportamenti sospetti;
   il medesimo prefetto, tuttavia, ha riconosciuto che «l'incremento seriale di furti non fa dormire nessuno sereno» –:
   quali siano le ragioni per le quali un monitoraggio attivo, mobile ma circoscritto, e non armato da parte di giovani cittadini, laddove si limiti a segnalare alle forze dell'ordine comportamenti sospetti, sarebbe illegale, mentre l'osservazione di chi resta alla finestra non lo sarebbe; di quale consistenza organica sarebbero i rinforzi assegnati ai presidi delle forze dell'ordine di Lipomo ed, infine, se non si ritenga opportuno, a fronte della loro palese insufficienza, di procedere al loro ulteriore incremento. (4-02572)

  Risposta. — Nell'ambito di una situazione generale dell'ordine e della sicurezza pubblica che non suscita particolari preoccupazioni, in quest'ultimo periodo nella provincia di Como si è registrata una repentina e progressiva impennata dei reati contro il patrimonio e, in particolare, dei furti presso abitazioni private, la cui incidenza è più accentuata nei comuni limitrofi al capoluogo, la cosiddetta «prima cintura urbana».
  Nel comune di Lipomo – a cui si fa riferimento nel testo dell'interrogazione in esame – nel periodo da gennaio a settembre 2013 sono state presentate cinque denunce per furti nelle abitazioni, mentre nei mesi di ottobre e novembre ne sono state presentate trenta. Per quanto riguarda i furti in genere, sono state presentate quarantadue denunce nei primi nove mesi dell'anno in corso e trentasei negli ultimi due mesi.
  Al fine di contenere e contrastare l'evoluzione di tali tipologie delittuose, in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica è stata disposta un'intensificazione delle attività di prevenzione generale, anche attraverso la programmazione di mirati servizi di controllo straordinario del territorio, con il supporto di unità di rinforzo sia della Polizia di Stato che dell'Arma dei Carabinieri.
  Il dispositivo delle Forze di Polizia preposto al controllo del territorio nella provincia comasca è attualmente composto da 382 unità della Polizia di Stato, 525 militari dell'Arma dei Carabinieri e 774 militari della Guardia di Finanza. In tale contesto, l'area della cosiddetta «prima cintura» – che comprende anche il comune di Lipomo – ha beneficiato di una continuità di presenze delle pattuglie della locale questura, ordinariamente impiegate nei servizi di controllo del territorio. Infatti, in quest'area, dall'inizio dell'anno, sono state impiegate mediamente 15 pattuglie settimanali della Polizia di Stato (con punte di 25), mentre nelle ultime tre settimane, grazie alle risorse straordinarie messe a disposizione, ne sono state impiegate complessivamente 111, con una media di 37 pattuglie distribuite sui vari turni settimanali; inoltre, omologhi servizi sono disposti anche dall'Arma dei Carabinieri.
  Tali iniziative – determinando, tra l'altro, una maggiore visibilità delle forze di Polizia – si propongono anche di contribuire a riaffermare il sentimento di fiducia nelle istituzioni e la percezione della sicurezza nelle collettività interessate dai fenomeni criminosi che generano maggiore allarme sociale.
  Per quanto riguarda, infine, le attività di monitoraggio svolte dai giovani cittadini lipomesi, si precisa che l'eventuale coinvolgimento di associazioni di osservatori volontari, finalizzate a segnalare agli organi competenti eventi che possono arrecare danno alla sicurezza urbana, è disciplinato dal comma 41, articolo 1, della legge n. 94 del 2009. Inoltre, con decreto del Ministro dell'interno dell'8 agosto 2009, sono stati determinati i requisiti e gli ambiti operativi di tali associazioni.
  In ogni caso, si ritiene che solo garantendo continuità alla specifica azione di contrasto già messa in atto, si possano conseguire risultati apprezzabili sia sul piano della prevenzione che su quello della repressione dei reati.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   non accenna ad attenuarsi la grande offensiva della piccola criminalità nella Bassa Comasca, già oggetto di altri atti di sindacato ispettivo rimasti finora senza risposta;
   la Bassa Comasca è in effetti interessata ormai quotidianamente da furti negli appartamenti ed altri reati contro la proprietà, che tendono a concentrarsi nelle prime ore della sera;
   ultimi in ordine di tempo ad aggiungersi alla lista dei comuni colpiti sono Mozzate, Lomazzo e Turate, località queste ultime dove sta emergendo una pressante richiesta della cittadinanza ad organizzare delle ronde per sopperire all'assoluta mancanza notturna di presidi delle forze dell'ordine;
   proprio a Turate, il 18 novembre 2013 è stata raggiunta dai ladri anche l'abitazione dei genitori del sindaco, Cristiano Banfi, rimasti vittime di un'effrazione che ha fruttato agli autori una refurtiva del valore stimato di ben 25mila euro;
   il sindaco Banfi aveva già rappresentato il crescente allarme avvertito dalla cittadinanza turatese in occasione di una riunione del tavolo di sicurezza provinciale convocata nella prefettura di Como il 18 ottobre 2013, presenti, oltre al prefetto, il questore ed i comandanti provinciali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza;
   il sindaco Banfi ha ribadito anche successivamente, in un incontro con il prefetto di Como svoltosi il 28 novembre 2013, la necessità di rinforzare i presidi delle forze dell'ordine a Turate, comune di 9 mila abitanti dotato di una polizia locale composta da due soli uomini –:
   se e soprattutto in che tempi il Governo conti di assumere le incisive misure che occorrono per fronteggiare l'emergenza criminale in atto nella Bassa Comasca, ed in particolare a Turate, prima che la spinta della società civile ad organizzare la propria autotutela diventi irresistibile. (4-02950)

  Risposta. — Nell'ambito di una situazione generale dell'ordine e della sicurezza pubblica che non suscita particolari preoccupazioni, nell'ultimo trimestre dello scorso anno nella provincia di Como si è registrata una progressiva crescita dei reati contro il patrimonio e, in particolare, dei furti presso abitazioni private.
  Il fenomeno in questione non ha interessato contemporaneamente tutta la provincia lariana, bensì distinte circoscritte aree per periodi limitati di tempo.
  Al fine di contenere e contrastare l'evoluzione di tali tipologie delittuose, in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica è stata disposta un'intensificazione delle attività di prevenzione generale, anche attraverso la programmazione di mirati servizi di controllo straordinario del territorio, con il supporto di unità di rinforzo sia della Polizia di Stato che dell'Arma dei Carabinieri.
  In generale, il dispositivo delle forze di Polizia preposto al controllo del territorio nella provincia comasca è composto da 382 operatori della Polizia di Stato, 525 militari dell'Arma dei carabinieri e 774 militari della Guardia di finanza. In tale contesto, nel corso del 2013, sono state impiegate, nei servizi di controllo del territorio, mediamente 15 pattuglie settimanali della polizia di Stato.
  Nelle ultime sei settimane dello scorso anno, grazie alle risorse straordinarie messe a disposizione, ne sono state impiegate complessivamente 200, in 96 turni di servizio, 40 dei quali nelle fasce serali e notturne; inoltre, omologhi servizi sono disposti anche dall'Arma dei Carabinieri.
  Inoltre, ha contribuito al controllo del territorio il reparto prevenzione crimine Lombardia con 82 pattuglie automontate distribuite in 22 turni di servizio.
  Tali iniziative – determinando, tra l'altro, una maggiore visibilità delle Forze di Polizia – si propongono anche di contribuire a riaffermare il sentimento di fiducia nelle istituzioni e la percezione della sicurezza nelle collettività interessate dai fenomeni criminosi che generano maggiore allarme sociale.
  A tale proposito, si precisa che l'eventuale coinvolgimento di associazioni di osservatori volontari, finalizzate a segnalare agli organi competenti eventi che possono arrecare danno alla sicurezza urbana, è disciplinato dal comma 41, articolo 1, della legge n. 941 del 2009. Inoltre, con decreto del Ministro dell'interno dell'8 agosto 2009, sono stati determinati i requisiti e gli ambiti operativi di tali associazioni.
  In ogni caso, si ritiene che solo garantendo continuità alla specifica azione di contrasto già messa in atto, si possano conseguire risultati apprezzabili sia sul piano della prevenzione che su quello della repressione dei reati.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MURA. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che la nave Ark Futura, noleggiata dal Gruppo Grendi, normalmente in servizio sulla, tratta Vado Ligure-Cagliari, sarebbe impegnata nell'eliminazione delle armi chimiche siriane;
   la stessa compagnia Grendi ha ufficialmente dichiarato che «il contratto di noleggio stipulato con la proprietà, prevede espressamente che, se richiesta, la nave, per periodi circoscritti, debba essere concessa in uso alla Marina militare danese, che attualmente la sta impiegando nell'ambito della missione di pace prevista dalla missione Onu-Opac per l'eliminazione della armi chimiche sequestrate in Siria»;
   queste notizie, non smentite da alcuna autorità nazionale, hanno suscitato grande preoccupazione nella popolazione e nelle istituzioni locali –:
   se corrisponda al vero quanto riportato da settimane sugli organi di informazione;
   qualora non si possa impedire il transito su territorio italiano, come si auspica se ci sia stato o ci sarà un coinvolgimento delle amministrazioni regionali e comunali dei territori interessati dal passaggio di armi ritenute pericolose, nonché del Parlamento;
   se non ritenga indispensabile accompagnare una simile eventualità con una corretta campagna di informazione, che rassicuri le popolazioni e faccia conoscere modalità, tempi, luoghi del trasporto delle armi sequestrate. (4-03157)

  Risposta. — Il Governo, anche in virtù degli impegni assunti in Parlamento l'11 settembre 2013 a seguito dell'approvazione alla Camera della mozione 1-00178 (nella quale era contenuto l'impegno «a sostenere l'iniziativa volta a far emergere, a mettere sotto controllo internazionale e a neutralizzare l'arsenale chimico siriano, con l'obiettivo irrinunciabile che non possa essere nuovamente usato, confidando che una risoluzione in tal senso sia presto adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite») e della risoluzione 6-00026 (nella quale era contenuto l'impegno «a partecipare alla definizione di una cornice politica e diplomatica che abbia il fine di avviare un processo democratico volto al riconoscimento dei diritti umani e all'eliminazione definitiva dell'arsenale chimico siriano, affinché non si abbiano a ripetere mai più in futuro simili atrocità»), è da sempre fortemente impegnato a favorire – nell'ambito della ricerca di una soluzione pacifica della crisi siriana – l'eliminazione delle armi chimiche a disposizione del regime. Armi che, si ricorda, sono state utilizzate nel corso del conflitto causando delle atrocità ai danni delle popolazioni civili inermi, come testimoniato dal terribile attacco di Al Ghouta dell'agosto 2013, rimasto impresso nella memoria comune.
  Tale impegno viene naturalmente esercitato nei contesti multilaterali appropriati dell'Onu e dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac), organizzazione che per la sua azione in favore di un mondo privo da armi chimiche ha vinto nel dicembre 2013 il premio Nobel per la pace.
  Come noto la risoluzione 2118 del Consiglio di sicurezza della nazioni unite e la Decisione del Consiglio esecutivo dell'Opac sulla distruzione delle armi chimiche in Siria del 27 settembre 2013 hanno disposto un chiaro mandato per giungere in tempi rapidi allo smantellamento dell'arsenale chimico di Damasco. Il 15 novembre il Consiglio esecutivo Opac ha quindi approvato una nuova decisione, che ha fissato precise scadenze per lo smantellamento dell'intero arsenale, da completare entro il primo semestre del 2014. Il 17 dicembre il direttore generale dell'Opac ha presentato al Consiglio esecutivo il piano dettagliato per la distruzione delle armi chimiche siriane all'estero. Questo piano naturalmente richiede per la sua esecuzione la fattiva collaborazione degli Stati parte dell'organizzazione.
  Su queste basi, l'Italia ha deciso, in maniera convinta, di fornire un contributo all'organizzazione di tale operazione, mettendo innanzitutto a disposizione un velivolo dell'aeronautica militare per il trasporto degli ispettori, e, successivamente, dei contributi finanziari e materiali alle Nazioni unite e all'Opac. Ha inoltre messo a disposizione, come da richiesta dell'Opac per dare esecuzione al piano, un porto, successivamente identificato dalle competenti autorità nazionali a Gioia Tauro, per un'operazione di trasbordo degli agenti chimici. La decisione sull'identificazione del porto è stata prerogativa italiana ed è stata adottata, a seguito di attenta concertazione interministeriale, al massimo livello politico. Il processo di selezione ha tenuto conto dell'esigenza di garantire le massime condizioni di sicurezza e di tutela ambientale. Il porto di Gioia Tauro effettua già normalmente operazioni di trasbordo di materiali chimici analoghi a quelli di provenienza dalla Siria. Dette operazioni sono pienamente alla portata degli impianti portuali considerati, ivi compresa la gestione dei rischi connessi ad operazioni di questo tipo.
  Il piano per la distruzione delle armi chimiche siriane – come ampiamente illustrato il 16 gennaio 2014 dal direttore generale dell'Opac nel corso di un'audizione tenuta innanzi alle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato – prevede infatti il trasferimento all'estero degli agenti di maggiore pericolosità (cosiddetta di priorità 1) e la loro distruzione per idrolisi mediante apparecchiature mobili installate a bordo della nave americana Cape Ray.
  Le sostanze, inizialmente trasportate verso il porto siriano di Latakia, verranno infatti trasportate a bordo di una nave danese al porto di Gioia Tauro, dove, come noto, saranno condotte le operazioni di trasbordo sulla Cape Ray. Una volta caricata, la Cape Ray – nel pieno rispetto delle normative ambientali e dei requisiti di sicurezza – uscirà dalle acque territoriali italiane per collocarsi in acque internazionali, dove svolgerà le attività di distruzione. Il trattamento con idrolisi a bordo della Cape Ray avverrà in ogni caso al di fuori della zona di protezione ecologica marina italiana. La data dell'operazione verrà determinata in funzione dell'andamento delle attività di carico in Siria. Quanto alle tempistiche, nei contatti con i siriani in corso in ambito Opac è emersa una profonda distanza fra quanto ipotizzato da parte della Siria – per cui per ragioni di sicurezza sarebbero necessari almeno altri tre mesi per completare il carico – e quanto indicato dall'Opac, per la quale si potrebbe riuscire a completare l'operazione in questione già entro la fine di marzo e non all'inizio di giugno. L'Opac – anche tramite del suo consiglio esecutivo, di cui l'Italia fa parte – continuerà naturalmente a seguire con la massima attenzione l'andamento delle attività di carico. I residui della distruzione, che rimarranno a bordo della Cape Ray, verranno quindi trasferiti all'estero perché possano essere convertiti in sostanze utilizzabili dalle due industrie negli Stati Uniti e in Finlandia che hanno vinto la gara internazionale bandita dall'Opac.
  L'intera operazione – condotta sotto l'egida delle Nazioni unite e dell'Opac – vede impegnati in uno sforzo internazionale, oltre all'Italia, gli Stati Uniti, Russia, Cina, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Germania e Regno Unito. L'operazione costituisce la più importante iniziativa di disarmo degli ultimi anni e le modalità di trasbordo presso il porto italiano sono state concordate con gli altri Stati partecipanti, in modo da garantire il rispetto sia delle convenzioni internazionali sia della legislazione nazionale in materia di protezione ambientale.
  Si segnala che il 21 gennaio 2014 il Presidente del Consiglio ha ricevuto – insieme al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi, e ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi, e dell'ambiente e del mare, Andrea Orlando – i sindaci di Gioia Tauro e di San Ferdinando, il presidente della regione Calabria, il presidente dell'autorità portuale di Gioia Tauro, i membri del Comando generale delle Capitanerie di porto, l'amministratore delegato di Medcenter Container Terminal e il vicepresidente Terminal Marittimi del gruppo
Contship. In tal circostanza il governo si è impegnato a predisporre iniziative puntuali di informazione allo scopo di aggiornare la popolazione.
  Infine, si precisa che i costi del piano di distruzione dell'arsenale chimico siriano sono finanziati attraverso l'istituzione da parte dell'Onu e dell'Opac di fondi fiduciari cui gli Stati possono partecipare mediante contributi finanziari o in natura. In particolare, il Consiglio esecutivo dell'Opac ha istituito un fondo
ad hoc per la distruzione, che l'Italia ha già finanziato con 1 milione di euro a valere sul decreto missioni 2013. Da parte italiana saranno versati 2 milioni di euro sullo stesso fondo e sono state offerte due autoambulanze blindate, immagini satellitari di siti italiani siriani e servizi di trasporto per il trasferimento in Siria degli ispettori dell'Opac. I costi dell'intero piano di distruzione saranno dunque coperti per la maggior parte con le risorse versate dagli Stati sul fondo dell'Opac su base volontaria.
Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   NACCARATO, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la stampa locale di Padova ha riportato ieri, 23 luglio 2013, un episodio di cronaca molto grave avvenuto nel comune di Agna, in provincia di Padova;
   i fatti si riferiscono alla mattina di lunedì 22 luglio 2013, quando un imprenditore locale di 39 anni, Albano Zanellato, è stato oggetto di un brutale pestaggio e di un sequestro di persona durato diverse ore;
   Zanellato, in sella alla propria bicicletta, veniva investito di proposito da un'auto alle ore 8.15 allo scopo di farlo cadere a terra. Riconosciuti gli occupanti dell'autovettura Zanellato si rialzava e scappava a piedi in direzione di un vicino distributore di benzina, nel cui ufficio/punto vendita si rifugiava chiudendo la porta;
   gli aggressori, raggiunto l'ufficio, aprivano senza difficoltà la porta e una volta entrati cominciavano a colpire Zanellato con calci e pugni, mettendo a soqquadro il locale;
   il gestore della pompa di benzina cercava di intervenire, almeno per recuperare il telefono cellulare lasciato all'interno dell'ufficio e avvertire le forze dell'ordine, ma veniva a sua volta colpito al volto da un pugno sferrato da uno degli aggressori che gli intimava di stare zitto e fermo;
   Zanellato veniva dunque portato a forza all'interno dell'autovettura usata dai malviventi, e le sue grida richiamavano sul posto diversi passanti che annotavano modello e numero di targa dell'auto, che risultava però appartenere ad altra autovettura;
   l'auto partiva a gran velocità in direzione Padova;
   poche ore dopo Zanellato veniva ritrovato nelle vicinanze di un centro commerciale nel comune di Albignasego, alle porte di Padova, stordito dai colpi ricevuti, e veniva ricoverato al nosocomio cittadino nel reparto di chirurgia, con una prognosi di 30 giorni;
   l'episodio ha suscitato in provincia di Padova grande clamore e preoccupazione in quanto in quel territorio non sono usuali aggressioni di tale violenza e sequestri di persona;
   l'aggressione e il sequestro sono avvenuti con modalità caratteristiche della criminalità organizzata di stampo mafioso e con evidenti finalità intimidatorie;
   l'episodio è stato preceduto da simili fatti accaduti di recente in provincia di Padova – l'ultimo in ordine di tempo nell'aprile 2013 a Galliera Veneta presso la ditta GS scaffalature – che sono stati oggetto del processo «Aspide» conclusosi con una sentenza di condanna per 25 usurai appartenenti al clan dei casalesi;
   l'episodio si inserisce in un contesto di crisi economica che sta favorendo l'infiltrazione della criminalità organizzata in Veneto e nella provincia di Padova, più volte denunciata dagli interroganti e dalle autorità giudiziarie –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali provvedimenti di propria competenza il Ministro intenda assumere per agevolare al più presto l'individuazione degli autori dell'aggressione e del sequestro. (4-01401)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si comunica che il 13 agosto 2013, a San Ferdinando di Puglia, i carabinieri hanno arrestato due fratelli responsabili dell'aggressione e del sequestro lampo compiuti il precedente il 22 luglio ad Agna, nel padovano, ai danni del signor Albano Zanellato, un intermediario di prodotti alimentari presso il mercato ortofrutticolo di Padova. Le persone arrestate, entrambe agricoltori, vantavano nei confronti dell'imprenditore padovano crediti per forniture non pagate di prodotti ortofrutticoli.
  Le indagini svolte dai carabinieri di Abano Terme hanno escluso qualsiasi ipotesi di coinvolgimento da parte di organizzazioni criminali di tipo mafioso.
  L'attenzione della Prefettura e del Comitato Provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica rimane comunque sempre elevata rispetto ad ogni manifestazione criminale che possa nascondere tentativi di penetrazione da parte della criminalità organizzata, anche in considerazione della persistente situazione di crisi finanziaria in cui versano alcune aziende della provincia di Padova.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   NACCARATO, CASELLATO, CRIMÌ, CRIVELLARI, DAL MORO, D'ARIENZO, DE MENECH, GINATO, MARTELLA, MIOTTO, MOGNATO, MORETTI, MURER, NARDUOLO, ROTTA, RUBINATO, SBROLLINI, ZARDINI e ZOGGIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 31 agosto 2013 il movimento di estrema destra Casa Pound ha diffuso la notizia secondo cui, quest'anno, la festa nazionale di Casa Pound si terrà in Veneto presso Revine Lago in provincia di Treviso dal 12 al 15 settembre;
   per la prima volta la Festa nazionale di Casa Pound esce da Roma dove è nato il movimento di chiara ispirazione neofascista, con l'intento dichiarato nelle parole del suo presidente di «far diventare “itinerante” la festa nazionale. Partiamo dal Nordest, per arrivare, anno dopo anno, a toccare tutte le regioni, e raccontare una realtà, quella delle oltre 70 sezioni di Casa Pound Italia dislocate in tutta Italia»;
   l'appuntamento ospiterà esponenti dell'estrema destra italiana tra cui, Simone di Stefano, Adriano Scianca e il presidente fondatore di Casa Pound, Gianluca Iannone, autodefinitosi fascista nel terzo millennio, già condannato in primo grado a 4 anni di reclusione per l'aggressione nel 2004 a Predappio ad un membro delle forze dell'ordine in occasione delle celebrazioni dell'anniversario della morte di Benito Mussolini (fonte: il Resto del Carlino, Forlì, 23 aprile 2009);
   tra gli interventi è annunciato anche Jean-Yves Le Gallou, esponente di spicco dell'estrema destra francese, che ricorderà Dominique Venner, membro della Nouvelle Droite, recentemente suicidatosi in segno di protesta contro la presenza di cittadini di religione musulmana in Francia;
   Casa Pound dalla sua fondazione si fa portatrice di messaggi razzisti e xenofobi, coltiva da anni formazioni locali di chiara ispirazione neofascista e i suoi esponenti sono protagonisti di numerosi episodi di violenza;
   oggi con questa festa nazionale il movimento intende accrescere la portata e l'intensità dei suoi messaggi su scala nazionale attraverso un disegno preciso diretto a raccogliere simpatizzanti e diffondere in modo sempre più capillare le tesi neofasciste;
   si ricorda che la legge 25 giugno 1993, n. 205, vieta ogni forma di discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e punisce sia la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, sia gli atti sia l'istigazione a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi oltre che la partecipazione a movimenti dediti a queste attività;
   la festa nazionale di Casa Pound rappresenta l'ultimo segnale della volontà di accrescere e organizzare il movimento neofascista e, per questo, ha generato preoccupazione e reazioni da parte delle associazioni partigiane venete e delle forze democratiche – in particolare da parte della segreteria nazionale dell'ANPI in data 9 settembre 2013 – che vedono nelle dette manifestazioni pericolose avvisaglie di apologia del fascismo e che intendono difendere l'argine posto dalla XII disposizione finale della nostra Costituzione alla riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista;
   la località scelta per la festa nazionale di Casa Pound comporta problemi di ordine pubblico anche per la conformazione del luogo e per la concomitanza con altre iniziative locali –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   quali provvedimenti intenda adottare per evitare che attraverso queste manifestazioni si consolidi e si diffonda l'ideologia neofascista e si proceda nel tentativo di ricostruire apparati organizzativi di ispirazione fascista in violazione della nostra Costituzione repubblicana. (4-01793)

  Risposta. — La festa nazionale «direzione-rivoluzione 2013» promossa e organizzata dal movimento politico «casa Pound Italia» si è tenuta presso la cittadina di Revine lago in provincia di Treviso dal 12 al 15 settembre 2013, presso il campeggio «Rive d'Oro», area privata liberamente concessa dal titolare agli organizzatori dell'evento.
  Il raduno si è svolto in forma privata, in quanto la partecipazione era consentita ai soli soggetti muniti di invito. Secondo le stime, hanno partecipato alla manifestazione circa cinquecento persone.
  La portata dell'evento è stata valutata in ambito di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, anche e soprattutto in relazione all'annuncio dello svolgimento di altre manifestazioni che si sarebbero dovute tenere nello stesso periodo in una località attigua.
  Nei quattro giorni di svolgimento della festa nazionale non sono state segnalate particolari criticità.
  Azioni di protesta sono state promosse dall'Associazione nazionale partigiani d'Italia che hanno manifestato il 15 settembre 2013 nella vicina Vittorio Veneto.
  La natura privata della manifestazione non ha consentito un intervento diretto delle autorità provinciali di pubblica sicurezza. Nella circostanza le forze di polizia si sono limitate ad una azione preventiva e di controllo che si è sviluppata per tutto il periodo in cui si è svolta la manifestazione.
  Si assicura comunque che su vicende di questo tipo e su ogni iniziativa che possa turbare la serenità della collettività l'attenzione dell'autorità di pubblica sicurezza è costante e, nei casi in cui si ravvisano o vengono posti in essere atti violenti o illegali, si procede tempestivamente a segnalarli all'autorità giudiziaria.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PISICCHIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   fin dallo scorso mese di aprile un comitato di cittadini ed utenti del servizio Poste italiane di Ruvo di Puglia (Bari), ha denunciato alle autorità cittadine e provinciali la grave difficoltà logistica in cui tale servizio viene erogato, a causa dell'angustia dei locali in cui è situato l'ufficio postale;
   la limitatezza dello spazio è tale da rendere inevitabile il formarsi di lunghe file di utenti al di fuori degli ambienti in cui è allocato l'ufficio, sito in via Cesare Battisti, portando come conseguenza lo straripamento del pubblico – tra cui molti anziani, bambini, donne anche in gravidanza – sulla strada, con effetti negativi sul traffico e sulla incolumità stessa degli utenti;
   non è, peraltro, raro che tali file generino attese di ore, con gravissimo pregiudizio nei confronti del pubblico ma anche degli stessi impiegati, costretti a svolgere la loro attività lavorativa in ambienti malsani –:
   come il Ministro intenda porre riparo a questo disservizio postale che colpisce una città di 27.000 abitanti, creando disagi nella popolazione. (4-02548)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riguardante l'ufficio postale «Ruvo di Puglia», situato nell'omonimo comune in provincia di Bari, la società Poste Italiane ha rappresentato quanto segue.
  Nel citato comune, che conta una popolazione di circa 25 mila abitanti, oltre all'ufficio di interesse, è attivo anche l'ufficio postale «Ruvo di Puglia 1»: entrambi sono ubicati in posizioni logisticamente rispondenti alle esigenze della clientela e risultano agevolmente raggiungibili, mediante brevi e comodi percorsi.
  L'ufficio «Ruvo di Puglia» è collocato in una zona particolarmente strategica, essendo limitrofo a locali commerciali e a centri di servizi per il territorio. Lo stesso è dotato di sette sportelli, due sale consulenza, un
automated teller machine e una sala riservata alla clientela, di circa 50 metri quadrati.
  Poste italiane ha precisato altresì che il citato ufficio, aperto al pubblico in modalità di doppio turno, rientra nella categoria di uffici completamente ammodernati, è accessibile anche a persone diversamente abili ed è dotato di un adeguato numero di panche, per assicurare la massima comodità alla clientela in attesa.
  La società ha fatto presente, inoltre, che accertamenti effettuati, non emerge la situazione di deterioramento dei locali e dall'analisi dei dati di traffico non emergono particolari criticità nei tempi di attesa, se non qualche fisiologico rallentamento nei giorni in cui i flussi di clientela risultano sensibilmente superiori alla media.
  Per completezza di informazione, infine, Poste italiane ha reso noto che ad una distanza di circa 600 metri dal precedente ufficio postale è ubicato l'ufficio «Ruvo di Puglia 1» che mette a disposizione della clientela sei sportelli, una sala consulenza, un
atm, ed è aperto al pubblico tutti i giorni in modalità di turno unico.
Il Viceministro dello sviluppo economicoAntonio Catricalà.


   REALACCI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   è notizia apparsa su quasi tutti i quotidiani nazionali e sui media online che l'Italia fornirà appoggio logistico per il trasbordo dell'arsenale chimico siriano su una nave della Marina militare statunitense e, una volta in acque internazionali, queste sostanze verranno materialmente distrutte. Non è certo se in acque internazionali;
   la notizia viene confermata anche da fonti della Farnesina;
   Danimarca e Norvegia forniranno le navi e le unità da guerra di scorta per prelevare i cosiddetti precursori chimici dal porto siriano di Latakia. Si viene a conoscenza poi che la miniflotta attraccherà in un porto italiano, probabilmente una base militare, per effettuare il trasferimento dei container in cui saranno sigillate le sostanze alla Mc Cape Ray, la predetta unità navale della US Navy –:
   con la necessaria urgenza quali iniziative, per quanto di competenza, intendano predisporre i Ministri interrogati per conoscere le modalità di trasbordo del materiale bellico e altamente tossico dalle navi scandinave all'unità Mc Cape Ray in acque territoriali italiane; se sia possibile conoscere in quale porto avverranno le predette operazioni; da ultimo, se i Ministri intendano chiarire dove avverrà la distruzione delle armi chimiche siriane se all'interno della base di Norfolk negli Stati Uniti o in acque internazionali, come paventano fonti di stampa, ovvero all'interno della zona di protezione ecologica italiana. (4-02962)

  Risposta. — Il Governo, anche in virtù degli impegni assunti in Parlamento 1'11 settembre 2013 a seguito dell'approvazione alla Camera della mozione 1-00178 (nella quale era contenuto l'impegno «a sostenere l'iniziativa volta a far emergere, a mettere sotto controllo internazionale e a neutralizzare l'arsenale chimico siriano, con l'obiettivo irrinunciabile che non possa essere nuovamente usato, confidando che una risoluzione in tal senso sia presto adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite») e della risoluzione 6-00026 (nella quale era contenuto l'impegno «a partecipare alla definizione di una cornice politica e diplomatica che abbia il fine di avviare un processo democratico volto al riconoscimento dei diritti umani e all'eliminazione definitiva dell'arsenale chimico siriano, affinché non si abbiano a ripetere mai più in futuro simili atrocità»), è da sempre fortemente impegnato a favorire – nell'ambito della ricerca di una soluzione pacifica della crisi siriana – l'eliminazione delle armi chimiche a disposizione del regime. Armi che, si ricorda, sono state utilizzate nel corso del conflitto causando delle atrocità ai danni delle popolazioni civili inermi, come testimoniato dal terribile attacco di Al Ghouta dell'agosto 2013, rimasto impresso nella memoria comune.
  Tale impegno viene naturalmente esercitato nei contesti multilaterali appropriati dell'ONU e dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC), organizzazione che per la sua azione in favore di un mondo privo da armi chimiche ha vinto nel dicembre 2013 il premio Nobel per la pace.
  Come noto la risoluzione 2118 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e la decisione del consiglio esecutivo dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche sulla distruzione delle armi chimiche in Siria del 27 settembre 2013 hanno disposto un chiaro mandato per giungere in tempi rapidi allo smantellamento dell'arsenale chimico di Damasco. Il 15 novembre il consiglio esecutivo dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha quindi approvato una nuova decisione, che ha fissato precise scadenze per lo smantellamento dell'intero arsenale, da completare entro il primo semestre del 2014. Il 17 dicembre il direttore generale dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha presentato al consiglio esecutivo il piano dettagliato per la distruzione delle armi chimiche siriane all'estero. Questo piano naturalmente richiede per la sua esecuzione la fattiva collaborazione degli Stati parte dell'organizzazione.
  Su queste basi, l'Italia ha deciso, in maniera convinta, di fornire un contributo all'organizzazione di tale operazione, mettendo innanzitutto a disposizione un velivolo dell'aeronautica militare per il trasporto degli ispettori e, successivamente, dei contributi finanziari e materiali alle Nazioni Unite e all'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche. Ha inoltre messo a disposizione, come da richiesta dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche per dare esecuzione al piano, un porto, successivamente identificato dalle competenti autorità nazionali a Gioia Tauro, per un'operazione di trasbordo degli agenti chimici. La decisione sull'identificazione del porto è stata prerogativa italiana ed è stata adottata, a seguito di attenta concertazione interministeriale, al massimo livello politico. Il processo di selezione ha tenuto conto dell'esigenza di garantire le massime condizioni di sicurezza e di tutela ambientale. Il porto di Gioia Tauro effettua già normalmente operazioni di trasbordo di materiali chimici analoghi a quelli di provenienza dalla Siria. Dette operazioni sono pienamente alla portata degli impianti portuali considerati, ivi compresa la gestione dei rischi connessi ad operazioni di questo tipo.
  Il piano per la distruzione delle armi chimiche siriane – come ampiamente illustrato il 16 gennaio 2014 dal direttore generale dell'Opac nel corso di un'audizione tenuta innanzi alle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato – prevede infatti il trasferimento all'estero degli agenti di maggiore pericolosità (cosiddetta di priorità 1) e la loro distruzione per idrolisi mediante apparecchiature mobili installate a bordo della nave americana Cape Ray.
  Le sostanze, inizialmente trasportate verso il porto siriano di Latakia, verranno infatti trasportate a bordo di una nave danese al porto di Gioia Tauro, dove, come noto, saranno condotte le operazioni di trasbordo sulla Cape Ray. Una volta caricata, la Cape Ray – nel pieno rispetto delle normative ambientali e dei requisiti di sicurezza – uscirà dalle acque territoriali italiane per collocarsi in acque internazionali, dove svolgerà le attività di distruzione. Il trattamento con idrolisi a bordo della Cape Ray avverrà in ogni caso al di fuori della zona di protezione ecologica marina italiana. La data dell'operazione verrà determinata in funzione dell'andamento delle attività di carico in Siria. Quanto alle tempistiche, nei contatti con i siriani in corso in ambito Opac è emersa una profonda distanza fra quanto ipotizzato da parte della Siria – per cui per ragioni di sicurezza sarebbero necessari almeno altri tre mesi per completare il carico – e quanto indicato dall'Opac, per la quale si potrebbe riuscire a completare l'operazione in questione già entro la fine di marzo e non all'inizio di giugno. L'Opac – anche tramite del suo consiglio esecutivo, di cui l'Italia fa parte – continuerà naturalmente a seguire con la massima attenzione l'andamento delle attività di carico. I residui della distruzione, che rimarranno a bordo della Cape Ray, verranno quindi trasferiti all'estero perché possano essere convertiti in sostanze utilizzabili dalle due industrie negli Stati Uniti e in Finlandia che hanno vinto la gara internazionale bandita dall'Opac.
  L'intera operazione – condotta sotto l'egida delle Nazioni unite e dell'Opac – vede impegnati in uno sforzo internazionale, oltre all'Italia, gli Stati Uniti, Russia, Cina, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Germania e Regno Unito. L'operazione costituisce la più importante iniziativa di disarmo degli ultimi anni e le modalità di trasbordo presso il porto italiano sono state concordate con gli altri Stati partecipanti, in modo da garantire il rispetto sia delle Convenzioni internazionali sia della legislazione nazionale in materia di protezione ambientale.
  Si segnala che il 21 gennaio 2014 il Presidente del Consiglio ha ricevuto – insieme al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi, e ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi, e dell'ambiente e del mare, Andrea Orlando – i sindaci di Gioia Tauro e di San Ferdinando, il presidente della regione Calabria, il presidente dell'autorità portuale di Gioia Tauro, i membri del Comando generale delle Capitanerie di porto, l'amministratore delegato di Medcenter container terminal e il vicepresidente terminal marittimi del gruppo Contship. In tal circostanza il Governo si è impegnato a predisporre iniziative puntuali di informazione allo scopo di aggiornare la popolazione.
  Infine, si precisa che i costi del piano di distruzione dell'arsenale chimico siriano sono finanziati attraverso l'istituzione da parte dell'Onu e dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche di fondi fiduciari cui gli Stati possono partecipare mediante contributi finanziari o in natura. In particolare, il consiglio esecutivo dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha istituito un fondo
ad hoc per la distruzione, che l'Italia ha già finanziato con 1 milione di euro a valere sul decreto missioni 2013. Da parte italiana saranno versati 2 milioni di euro sullo stesso fondo e sono state offerte due autoambulanze blindate, immagini satellitari di siti italiani siriani e servizi di trasporto per il trasferimento in Siria degli ispettori dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche. I costi dell'intero piano di distruzione saranno dunque coperti per la maggior parte con le risorse versate dagli Stati sul fondo dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche su base volontaria.
Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   RIZZETTO, BALDASSARRE, ROSTELLATO, CIPRINI, COMINARDI, BECHIS, TRIPIEDI e CHIMIENTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dalla stampa, in data 29 gennaio 2014, che la Fiat, storico gruppo industriale italiano, ha acquisito il 100 per cento della società statunitense Chrysler e muterà logo, denominandosi «Fiat Chrysler Automobiles NV»;
   il nuovo piano societario proposto dall'amministratore delegato, Sergio Marchionne, al consiglio di amministrazione, prevede la sede legale ad Amsterdam nonché la collocazione del domicilio fiscale a Londra, mentre, la sede delle attività europee del nuovo gruppo rimarrebbe a Torino;
   la società chiederà la quotazione delle azioni a New York, ma rimarrà la quotazione secondaria in Borsa a Milano;
   la quotazione sull'Mta di Milano avverrà dopo l'inizio della quotazione al Nyse che potrebbe essere effettuata entro il mese di ottobre 2014;
   si rileva, dunque, che l'Italia potrebbe perdere una parte del suo ruolo strategico nelle decisioni che riguardano la società;
   pertanto, sul nuovo assetto, è necessario fare chiarezza poiché la nuova società Fiat dovrebbe quanto meno garantire, oltre alla continuazione della produzione in Italia e la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali, il mantenimento del centro decisionale attraverso la presenza dell'unità di progettazione e ricerca sul territorio italiano;
   per quanto concerne l'ubicazione delle sedi, in particolare, deve essere trasparente la logica dello spostamento di quella fiscale in Gran Bretagna, fermo restando che tale scelta non avrà effetti sull'imposizione fiscale cui continueranno ad essere soggette le società del gruppo nei diversi Paesi in cui svolgeranno le proprie attività;
   si ritiene che il nuovo assetto della Fiat che prevede uno spostamento delle proprie attività all'estero e, più in generale, l'attuale tendenza delle società italiane a delocalizzare la produzione, richiedano una seria riflessione sulla scelta dello Stato italiano di erogare incentivi a realtà imprenditoriali che, comunque, decidono poi di impegnare le proprie attività all'estero;
   al riguardo, tra l'altro, si rileva la ben nota necessità di intervento da parte delle istituzioni affinché sia concretamente ridotto il cuneo fiscale, al fine di riacquistare competitività e beneficiare della crescita della domanda estera;
   il predetto intervento che agevolerebbe sia imprese che lavoratori, è chiaro che poi prescinde da un'analisi del merito delle scelte strategiche che decide di adottare la singola impresa –:
   se i Ministri interrogati intendano istituire, urgentemente, un tavolo di confronto con i rappresentanti della Fiat, per ottenere chiarimenti rispetto al piano relativo al nuovo assetto societario, come esposto in premessa;
   se intendano adottare iniziative affinché siano garantiti oltre alla continuazione della produzione in Italia e la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali, il mantenimento del centro decisionale della società attraverso la presenza dell'unità di progettazione e ricerca;
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati sull'attuale tendenza di molte società italiane a delocalizzare e spostare il centro delle proprie attività all'estero e se, al riguardo, intendano adottare, tra l'altro, urgenti iniziative normative affinché sia diminuito il costo del lavoro in Italia. (4-03407)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  La Fiat rappresenta un elemento fondamentale per lo sviluppo del sistema industriale italiano. L'azienda ha affrontato una sfida globale, con l'acquisizione del controllo del 100 per cento di
Chrysler, anche grazie alle capacità di tecnologia e d'ingegneria del nostro Paese.
  Il Ministero dello sviluppo economico ha una forte attenzione per il settore dell'auto e per la Fiat in particolare. Infatti, ad a ottobre 2013 si è insediata la «Consulta permanente dell’
automotive»: obiettivo di questo organismo è individuare possibili linee d'intervento per la ripresa del comparto e della sua intera filiera, duramente colpito dalla crisi. Nel suo ambito il Ministero dello sviluppo economico intrattiene rapporti regolari con la Fiat.
  Per quanto riguarda specificatamente Fiat
Chrysler, il Ministro ha provveduto a sollecitare l'amministratore delegato per chiarire al più presto le prospettive che si aprono per gli impianti del Gruppo, soprattutto per quelli sottoutilizzati.
  Negli ultimi mesi sono peraltro intervenute rilevanti novità. La produzione a Grugliasco e quella prevista a Mirafiori dei nuovi modelli Maserati, la ristrutturazione delle linee di Melfi per produrre, oltre alla «500», i nuovi Suv
Jeep e l'annuncio che nei prossimi mesi potrà iniziare a Cassino la produzione dei primi, nuovi modelli Alfa Romeo, rappresentano importanti indicazioni sulla strategia Fiat per il nostro Paese: produzione di modelli per la gamma alta destinati all'esportazione soprattutto verso i mercati extraeuropei, anche alla luce delle ottime prestazioni di mercato di questi segmenti nell'ultimo quadrimestre 2013. Si tratta di scelte importanti anche se restano da chiarire adeguatamente le prospettive dell'occupazione nel breve-medio periodo.
  Lo sviluppo di simili indirizzi strategici, richiede un sistema coerente di supporti sistemici: facilitazioni alle esportazioni, forte sostegno alla ricerca e all'innovazione, facilitazioni all'apertura di nuovi mercati particolarmente interessati al segmento alto della gamma. Su questo fronte si dovrà sviluppare il confronto con Fiat la quale, non va dimenticato, ha profonde radici nella storia industriale italiana.
  Le prossime settimane saranno dedicate al confronto su questi temi e sulla strategia Fiat in modo da favorire ricadute positive sull'insieme della nostra situazione economica e sociale, con l'obiettivo che indipendentemente da dove si situi la sede legale o fiscale dell'azienda, rimanga l'Italia una sede produttiva di primaria importanza e il centro dello sviluppo di nuovi prodotti e competenze.
  Per quanto concerne il fenomeno della delocalizzazione, ritengo che occorre distinguere tra internazionalizzazione e delocalizzazione: il primo è fenomeno da promuovere, in quanto rafforza le capacità competitive delle imprese italiane. La delocalizzazione invece è fenomeno che va contrastato sollecitando strategie industriali che puntino in Italia sullo spostamento verso prodotti a maggior valore aggiunto e di più alta qualità, che sono i fattori di competitività di un'economia avanzata.
  Evidenzio, infine, che il Governo sta definendo i provvedimenti a sostegno degli investimenti innovativi per le aziende per migliorarne la competitività e dare prospettive di lungo periodo. In questo modo si risponde anche alla richiesta di incidere sul versante dei costi generali di produzione, offrendo benefici molto concreti alle imprese.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   RUSSO, SARRO, LUIGI CESARO, PETRENGA e CASTIELLO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita, pertanto, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   in agricoltura sono presenti quasi un milione di imprese, ossia il 15 per cento del totale delle imprese italiane;
   il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma, altresì, per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiane che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agro alimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per l'adozione, anche per gli altri prodotti agro alimentari, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati;
   quali iniziative il Governo intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di ristabilire la fiducia dei consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari. (4-02809)

  Risposta. — Nell'ambito delle attività rivolte alla tutela dell'igiene e della sanità degli alimenti, vengono costantemente effettuati, anche presso gli stabilimenti di macellazione e lavorazione delle carni suine, i controlli ufficiali dei servizi veterinari delle Asl che, nella verifica dell'applicazione dei regolamenti comunitari afferenti al cosiddetto pacchetto igiene costituito dal Regolamento (CE) 178/2002 e dai Regolamenti (CE) 852, 853, 854 e 882 del 2004, esaminano anche gli aspetti relativi alla rintracciabilità dei prodotti, così come sancito dall'articolo 18 del Regolamento (CE) 178/2002.
  Inoltre, in considerazione della necessità che il consumatore venga correttamente informato al fine di una scelta consapevole nell'acquisto dei prodotti alimentari, in data 5 dicembre 2013 è stato approvato a livello comunitario, con il pieno sostegno da parte italiana, il regolamento della Commissione che disciplina l'indicazione di origine delle carni suine in applicazione del Regolamento n. 1169/2011.
  Il Ministero della salute è consapevole del fatto che la sicurezza e la qualità degli alimenti possano essere validamente garantite solo attraverso un elevato livello di collaborazione e di coordinamento tra le diverse amministrazioni coinvolte nella filiera produttiva.
  Tale principio è ben consolidato e su di esso si fonda la normativa comunitaria vigente in materia.
  In particolare, il Regolamento (CE) 882/2004 prevede che ciascun Paese membro dell'Unione europea predisponga un piano di controllo nazionale che assicuri un approccio multidisciplinare per la pianificazione, lo svolgimento e la rendicontazione dei controlli ufficiali.
  A tal fine, il Ministero della salute è il punto di contatto nazionale per il piano nazionale integrato (pni), che nasce dall'intensa e proficua collaborazione con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, con i Nuclei specializzati del Comando dei carabinieri, con le Capitanerie di porto, con il Corpo forestale dello Stato e con la Guardia di finanza.
  Il pni 2011-2014 e le relative relazioni annuali, che riuniscono i dati delle attività svolte da tutte le citate Amministrazioni, sono pubblicati nel portale di questo Ministero. Per quanto riguarda specificamente l'argomento dell'interrogazione in esame, va evidenziato come siano in corso le attività tra l'Amministrazione doganale e quella sanitaria per l'implementazione dello sportello unico doganale, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 242 del 4 novembre 2010.
  In tale contesto, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli e il Ministero della salute collaborano alla definizione di tempi e modalità per la realizzazione dell'interoperabilità telematica.
  Quanto alle iniziative rivolte al contrasto delle frodi alimentari e delle contraffazioni, il Ministero della salute è il punto di contatto per l'Italia presso il gruppo di lavoro europeo per la lotta alle frodi.
  Gli obiettivi principali perseguiti sono: l'individuazione di una definizione di frode alimentare condivisa a livello europeo; la realizzazione di un
«network» che consenta lo scambio tempestivo delle informazioni su casi di frode alimentare; lo sviluppo di misure di collaborazione amministrativa per la gestione di fenomeni di violazioni intenzionali, con effetti transnazionali, della normativa che regolamenta i settori della filiera produttiva agro-alimentare, che nella recente proposta di regolamento 265 (2013) COM sui controlli ufficiali assumono una rilevanza fondamentale.
  Infatti, la prevenzione e la lotta contro le frodi alimentari costituisce una priorità anche per l'Unione europea, a causa del loro impatto sulla fiducia dei consumatori, sulla sicurezza alimentare, sul funzionamento della catena alimentare e sulla stabilità dei prezzi agricoli.
  Per completezza, si segnala che nel semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea (luglio-dicembre 2014), nell'ambito degli eventi internazionali che il Ministero della salute sta organizzando in materia di sicurezza alimentare, è prevista una Conferenza internazionale sulle frodi alimentari, che si terrà a Roma il 23 e 24 settembre 2014.

Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   per il 10 novembre 2013, in occasione dell'undicesima giornata del campionato di calcio di Prima Divisione della Lega Pro, era prevista nel girone B la partita tra U.S. Salernitana e A.S.G. Nocerina;
   il match in questione, vero e proprio derby della provincia di Salerno, era atteso dalle rispettive tifoserie da oltre un quarto di secolo;
   considerata la storica rivalità tra le due tifoserie, d'intesa con l'Osservatorio sulle manifestazioni sportive il prefetto di Salerno aveva deciso di vietare ai sostenitori della Nocerina la trasferta a Salerno, nel timore che la partita potesse determinare gravi incidenti;
   questa decisione ha scatenato l'ira di parte della tifoseria nocerina;
   la mattina dell'incontro una folla di circa 200 persone si è presentata alle porte dell'hotel di Mercato San Severino dove la Nocerina era in ritiro, lanciando slogan all'indirizzo dei giocatori e minacciandoli di ritorsioni nel caso in cui la squadra non avesse assecondato la richiesta di rifiutarsi di scendere in campo in assenza dei propri tifosi;
   il questore di Salerno Antonio De Jesu ha provato a rassicurare i calciatori della Nocerina garantendo loro il mantenimento dell'ordine pubblico durante la partita da parte delle forze dell'ordine, e facendoli scortare fino allo stadio;
   nonostante queste rassicurazioni, i calciatori della Nocerina, impauriti dalla possibilità di diventare nei prossimi giorni vittima di ritorsioni e/o aggressioni da parte di quelli che dovrebbero essere i propri tifosi, hanno inscenato in campo una farsa, provvedendo alle tre sostituzioni disponibili nei primi centoventi secondi di gioco e poi inscenando una serie di finti infortuni fino a rimanere in soli sei giocatori in campo, situazione che ha obbligato l'arbitro, seguendo il regolamento, a sospendere la partita;
   nel frattempo un aereo ultraleggero sorvolava lo stadio trascinando uno striscione con su scritto «RISPETTO X NOCERA E GLI ULTRAS»;
   a seguito dell'accaduto la dirigenza e lo staff tecnico dell'ASG Nocerina hanno rassegnato le dimissioni;
   un'indagine in merito è già stata avviata da parte della polizia di Salerno;
   la scelta di vietare la trasferta ai tifosi dell'A.S.G. Nocerina, che doveva servire ad evitare ogni rischio legato a questioni di ordine pubblico, si è rivelata di fatto del tutto controproducente, giacché ha esasperato ulteriormente una situazione già complicata e portato a risultati paradossali;
   i fatti sono ampiamente narrati nell'articolo intitolato «Follia ultras Nocerina inchiesta su 200 tifosi» pubblicato dall'edizione locale online del quotidiano La Repubblica l'11 novembre 2013 –:
   se, considerato il completo fallimento della scelta di vietare la trasferta ai tifosi della squadra ospite, non si debba iniziare a ragionare su forme diverse di gestione dell'ordine pubblico nel caso di partite a rischio e quali misure siano già state prese in merito e quali azioni si intendano intraprendere. (4-02485)

  Risposta. — Come è noto le tifoserie di Salernitana e Nocerina sono storicamente caratterizzate da rivalità non solo calcistica.
  Proprio in ragione di ciò, la
Lega Pro ha collaborato con gli organi istituzionali locali per la realizzazione di un progetto educativo di diffusione della cultura dello sport, della legalità, della non violenza, coinvolgendo direttamente le opposte tifoserie al fine di superare le rivalità e consentire un regolare svolgimento delle gare.
  In attuazione di tale progetto, il 4 ottobre 2013, si è proceduto alla sottoscrizione di un protocollo d'intesa tra la Lega Pro, le associazioni calciatori ed allenatori, le società sportive e le amministrazioni dei comuni di Salerno, Nocera e Pagani, per mettere in campo, con il sostegno della prefettura, della questura e dell'osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, una serie di iniziative, rivolte in particolare alle giovani generazioni.
  Malgrado tali iniziative, nel corso di due apposite riunioni del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, alle quali hanno partecipato anche i rappresentanti dei due comuni interessati, sono comunque emerse preoccupazioni per l'ordine e la sicurezza pubblica in caso di disputa della gara a porte aperte.
  Nell'occasione è stata valutata con favore l'ipotesi di far svolgere la gara senza tifosi ospiti, quale soluzione non solo idonea a garantire la sicurezza pubblica, ma preferibile anche all'eventuale disputa a porte chiuse o eventualmente fuori provincia.
  L'osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive ha condiviso la valutazione effettuata sulla gara come evento connotato da profili di alto rischio ed ha rinviato al comitato di analisi per la sicurezza delle manifestazioni sportive l'individuazione delle misure organizzative di rigore.
  Conseguentemente la prefettura di Salerno, su conforme parere delle Forze di polizia, ha proceduto in tal senso, invitando la RAI – Radiotelevisioneitaliana ad assicurare la trasmissione della partita in diretta per la sola provincia di Salerno, al fine di stemperare le tensioni e consentire anche ai tifosi della Nocerina la visione dell'incontro.
  Nel corso della mattina del 10 novembre, nel parcheggio antistante la struttura alberghiera, sede di ritiro della squadra di Nocera, un centinaio di sostenitori della Nocerina, dopo aver intonato cori di incitamento, ritenendosi discriminati per il divieto di assistere alla partita, hanno invitato i calciatori a non scendere in campo in segno di solidarietà.
  Giunti allo stadio «Arechi», i giocatori della Nocerina, inizialmente hanno manifestato l'intendimento di non voler giocare e poi con un comportamento «anomalo» hanno provocato l'interruzione della gara da parte dell'arbitro.
  Al termine della partita i giocatori della Nocerina, unitamente ai responsabili della società calcistica, hanno raggiunto l'albergo in condizioni di assoluta sicurezza, confermando la validità delle decisioni prese per assicurare e garantire, in sinergia con le altre Istituzioni, l'ordine pubblico.
  Come è noto la vicenda è trattata in due ambiti distinti: quello della giustizia sportiva e quello della giustizia ordinaria.
  Per gli aspetti di giustizia sportiva la commissione disciplinare della Federazione italiana giuoco calcio ha disposto l'esclusione immediata della Nocerina dal campionato di Lega Pro con la contemporanea squalifica di dieci tesserati. Il club rossonero, inoltre sarà assegnato a un campionato di categoria inferiore.
  Per quanto attiene agli aspetti di giustizia ordinaria, la questura di Salerno ha deferito all'autorità giudiziaria 22 persone ritenute responsabili in concorso dei reati di violenza privata e manifestazione non preavvisata, mentre, nei confronti di 21 persone sono già stati emessi altrettanti provvedimenti D.A.S.P.O.
  Quanto è accaduto a Salerno, seppur nella sua gravità, va tuttavia inquadrato in un contesto di indiscutibile miglioramento, a livello nazionale, della sicurezza negli stadi.
  Dai dati dell'osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive emerge, infatti, un calo di incidenti di oltre il 70 per cento una diminuzione di oltre il 90 per cento dei feriti tra le Forze dell'ordine nella comparazione dell'ultimo campionato calcistico con quello precedente ai gravi fatti di Catania dove, nel 2007, perse la vita l'ispettore di Polizia Raciti.
  Partendo da questi risultati il Ministero dell'interno ha previsto la costituzione di una
Task Force per migliorare gli attuali impianti sportivi, la crescita della professionalità degli steward, responsabilizzare le società in tema di relazioni con le tifoserie ed infine per adottare ancora più marcate strategie di rigore per il contrasto di ogni forma di illegalità sia all'interno che all'esterno degli stadi.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in Campania esistono a tutt'oggi numerosi siti in cui sono stoccate da anni milioni di ecoballe;
   tali ecoballe creano da sempre allarme e preoccupazione per eventuali danni alla salute che sono suscettibili di cagionare alle popolazioni dei territori dove sono site;
   tali preoccupazioni riguardano anche i danni che potrebbero essere arrecati alle colture agricole ed ai prodotti della terra;
   nei giorni scorsi si è verificato l'ennesimo incendio di ecoballe, all'interno del sito di stoccaggio posto in località Fragneto Monforte, in provincia di Benevento;
   l'incendio è durato per oltre 48 ore e il tempo necessario per domarlo ha certamente causato gravi danni all'ambiente;
   l'incendio sembra essersi verificato per lo stato di abbandono nel quale giacciono le ecoballe all'interno dei siti, e ha posto nuovamente l'accento su una problematica che da anni colpisce ed umilia la regione Campania;
   lo scorso 26 settembre l'assessore all'ambiente della regione Campania, Giovanni Romano, ha dichiarato alle agenzie di stampa: «se un incendio di tale portata dovesse verificarsi presso i siti di stoccaggio di ecoballe di Giugliano in Campania o di Villa Literno quanti giorni ci vorrebbero per domarlo e quale sarebbe il danno ambientale ?» –:
   quali siano le misure e gli strumenti di sicurezza attualmente posti in essere dalle forze dell'ordine per il controllo delle aree nelle quali sono depositate le ecoballe. (4-02005)

  Risposta. — Il sito di stoccaggio menzionato nell'interrogazione in esame si trova all'interno di un'ex cava silicea in località Toppa infuocata, nel comune di Fragneto Monforte, in provincia di Benevento, e ospita circa sessantamila ecoballe prodotte nel periodo dell'emergenza rifiuti in Campania.
  È stato realizzato nel 2004, in attuazione dell'accordo di programma sottoscritto il 21 ottobre di quell'anno presso la locale prefettura, col fine di rimuovere tempestivamente le ecoballe presenti nell'impianto Cdr (combustibile derivato da rifiuti) di Casalduni.
  L'accordo prevedeva, inoltre, l'attuazione di un successivo progetto di riqualificazione ambientale, attraverso la rimozione delle ecoballe stoccate, la realizzazione di strutture di utilità sociale e il rifacimento della viabilità del tratto stradale provinciale compreso tra i comuni di Fragneto Monforte e Ponte.
  Nell'agosto del 2007, il sito è stato sottoposto a sequestro giudiziario dal nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Napoli, in esecuzione di un decreto emesso dall'autorità giudiziaria partenopea che, in sostituzione dei precedenti gestori, ha nominato custodi giudiziari la Fibe spa e la Fibe Campania spa.
  La scorsa estate – nei giorni 17, 25 e 31 agosto – nel sito di Fragneto Monforte si sono sviluppati tre diversi incendi, verosimilmente di origine dolosa, che hanno interessato circa millecinquecento ecoballe e sui quali sono in corso indagini. Un ulteriore incendio doloso, che si è sviluppato nella notte del 22 settembre 2013, ha assunto vaste proporzioni e, alimentato dai venti, ha attraversato l'intera piazzola di stoccaggio, finendo per incendiare quasi tutte le ecoballe ivi custodite.
  Di conseguenza, nel corso di apposite riunioni del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica – dedicate proprio alla sicurezza del sito – è stata disposta l'intensificazione dell'attività di vigilanza esterna del sito già espletata dalle Forze dell'ordine, con frequenti passaggi in orario serale e notturno.
  È stata intensificata anche la vigilanza radiocollegata, con il concorso, nell'arco delle 24 ore, dell'Arma dei carabinieri, del Corpo forestale dello stato e della polizia provinciale.
  Inoltre la Samte – società per l'ambiente interamente partecipata dalla provincia di Benevento, che svolge attività di sorveglianza notturna presso lo stabilimento di imballaggio rifiuti di Casalduni – ha effettuato un servizio di vigilanza mobile anche presso il sito di Fragneto Monforte.
  Gli accertamenti effettuati dalla Asl e dall'Agenzia regionale protezione ambientale Campania (Arpac), per verificare la presenza di sostanze tossiche nell'ambiente, non hanno evidenziato situazioni di particolare rilievo. In ogni caso, al fine di tutelare la salute, l'ambiente e l'agricoltura, sono stati richiesti interventi straordinari e sono stati interessati i competenti Ministeri della salute, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole alimentari e forestali, nonché la regione Campania.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   TIDEI, FERRO, MICCOLI, GREGORI e IORI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la città di Tivoli, famosa nel mondo per avere ben due siti iscritti nella World Heritage List dell'UNESCO (Villa Adriana e Villa d'Este), è meta di centinaia di migliaia di turisti ogni anno;
   la città, in questi giorni di alta stagione turistica, per giunta con l'approssimarsi dell'estate, sta vivendo una emergenza rifiuti a causa della crisi finanziaria dell'azienda comunale ASA Tivoli spa, che si occupa della raccolta dei rifiuti solidi urbani;
   la società, ancorché in equilibrio economico, subisce lo squilibrio finanziario dovuto alla morosità degli utenti nel pagamento della tariffa (sono diversi milioni di euro i crediti che l'azienda vanta nei confronti degli utenti);
   il comune è stato commissariato a seguito dell'approvazione da parte del consiglio comunale della mozione di sfiducia al sindaco;
   è stato nominato commissario straordinario il vice-prefetto Alessandra De Notaristefani Di Vastogirardi;
   il commissario non risulta aver firmato il contratto di servizio con la società ormai scaduto il 31 dicembre 2012, non consentendo all'azienda di poter scontare in banca le fatture emesse e così saldare gli stipendi ai lavoratori e le prestazioni ai fornitori;
   il commissario ha nominato un proprio consulente esterno, a quanto consta agli interroganti senza procedere ad un bando ad evidenza pubblica e senza rendere pubblico, la ripartizione del compenso tra comune e ASA;
   il consulente ha depositato una relazione, a quanto consta agli interroganti anch'essa mai resa pubblica;
   il commissario, per quanto risulta agli interroganti inaudita altera parte, ha approvato l'accordo di ristrutturazione del debito ai sensi dell'articolo 182-bis della legge fallimentare;
   l'azienda, quindi, si trova sull'orlo del fallimento;
   le organizzazioni sindacali aziendali hanno proclamato lo stato di agitazione;
   appare ormai improcrastinabile la firma del contratto dell'igiene urbana per il 2013 e l'affido del servizio per più anni (ai sensi dei commi 3 e 8 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012 e della sentenza n. 199 del 2012 della Corte Costituzionale) –:
   quali iniziative i Ministri intendano assumere, alla luce delle ragioni descritte in premessa, per approfondire:
    a) le motivazioni per le quali il commissario straordinario di Tivoli non procede a firmare il contratto dell'igiene urbana per il 2013 e affidare il servizio per più anni (ai sensi dei commi 3 e 8 dell'articolo 4 del decreto-legge n.  95 del 2012 e della sentenza n. 199 del 2012 della Corte Costituzionale), cosa che permetterebbe di garantire il servizio di raccolta dei rifiuti e di tutelare le lavoratrici e i lavoratori;
    b) le motivazioni per cui non si proceda all'approvazione del piano industriale dell'Asa spa che prevede la realizzazione di un impianto per la raccolta differenziata e l'introduzione della raccolta porta a porta;
    c) le motivazioni per le quali un funzionario pubblico, quale il commissario straordinario di Tivoli, abbia provveduto alla nomina, intuitu personae, di un consulente esterno al comune e all'azienda senza il preventivo riscontro sulle professionalità interne agli enti e senza la pubblicazione di un avviso per la valutazione di ulteriori profili professionali;
    d) il curriculum del consulente incaricato (in particolare con riferimento ai rapporti avuti nel passato con gli enti locali), precisando se sia stato richiesto al professionista di produrre al protocollo del comune il certificato dei carichi pendenti e quello del casellario giudiziale, la relazione depositata dal consulente, le motivazioni per le quali non sia stata resa pubblica ed il costo della parcella a carico del comune e di quella a carico della società ASA Tivoli spa. (4-00926)

  Risposta. — Con decreto del prefetto di Roma dell'11 aprile 2013 è stato sospeso il Consiglio comunale di Tivoli ed è stato nominato il commissario per la provvisoria gestione dell'Ente.
  Particolarmente critica è apparsa la situazione finanziaria della società ASA Tivoli Spa (il cui capitale sociale è interamente di proprietà del comune), incaricata della gestione del servizio di igiene urbana ed ambientale e della raccolta e conferimento in discarica dei rifiuti.
  L'assoluta urgenza di individuare adeguate soluzioni che consentissero di continuare ad assicurare il servizio e di sospendere le azioni cautelari ed esecutive intentate dai creditori, ha reso necessario acquisire un qualificato parere in merito alla situazione economico-finanziaria della società.
  A tal fine, nell'aprile 2013, per la specificità delle competenze richieste, è stato affidato l'incarico di collaborazione ad un professionista il cui
curriculum evidenziava come lo stesso avesse svolto incarichi di consulente di Tribunali e di curatore fallimentare ed era quindi in possesso di quei requisiti di cui l'Amministrazione comunale necessitava per quel particolare incarico. Per quanto concerne la parcella del professionista, l'Ente ha fatto presente che la quantificazione degli onorari fa riferimento alla tariffa professionale.
  Nel corso dell'assemblea ordinaria dell'ASA Tivoli spa, tenutasi il 21 maggio 2013, il socio unico ed il consiglio di amministrazione, hanno deliberato di approvare l'avvio della procedura di cui all'articolo 182-
bis, VI comma, della legge fallimentare, sulla base del parere reso dal citato professionista. È stata in tal modo assicurata la continuità aziendale.
  Grazie all'attivazione della citata procedura l'azienda non è più considerata sull'orlo del fallimento ed ha continuato ad operare al riparo dall'attivazione di procedure esecutive, grazie anche agli accordi conclusi con i creditori.
  In merito al conferimento dell'incarico è stata anche fornita la documentazione richiesta da ex amministratori locali a seguito di domande di accesso.
  Il contratto di servizio, scaduto nel dicembre 2012, è stato prorogato dalla giunta comunale il 15 gennaio 2013.
  Successivamente, il commissario straordinario, con delibera del 3 maggio 2013, ha confermato il piano finanziario e la tariffa tarsu, già approvati dalla precedente amministrazione.
  Soltanto in data 31 luglio 2013 è pervenuta al comune l'adesione, per l'anno 2013, alla proroga del contratto, alle stesse condizioni di quello scaduto nel 2012.
  La situazione di crisi finanziaria descritta ha causato ritardi nei pagamenti degli stipendi del personale e ha determinato difficoltà a riparare gli automezzi.
  Tale situazione di criticità è rientrata dopo alcuni giorni, a seguito di vari interventi effettuati dall'Amministrazione comunale.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   TIDEI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   lo stesso Ministro interrogato ha fornito la disponibilità del nostro Paese allo smaltimento delle armi chimiche siriane le cui componenti saranno trasportate in 150 container che verranno trasferite sulla nave americana Cape Ray per la neutralizzazione;
   sarà l'Organizzazione per la distruzione delle armi chimiche (Opac) a decidere in quale porto italiano transiteranno le armi chimiche in arrivo dalla Siria sulla base di tre elementi, come dichiarato dal Ministro Bonino: «Il pescaggio, la capienza del porto e la lontananza o la vicinanza dal centro abitato»;
   si è appreso, a mezzo stampa, che secondo fonti dell'organizzazione dell'Aja trapelate le opzioni allo studio sono tre, in «regioni del centro-sud». La preferenza sarà data ad un porto abbastanza ampio da permettere l'ingresso di grandi navi;
   il litorale Nord della provincia di Roma presenta una combinazione di fattori inquinanti unici in Italia: la presenza di uno dei poli energetici più grandi d'Europa (la centrale termoelettrica Torrevaldaliga Nord nel comune di Civitavecchia, che ha una potenza installata di 1.980 Mw distribuiti su tre gruppi da 660 Mw alimentati a carbone e la centrale Termoelettrica di Torrevaldaliga Sud nel comune di Civitavecchia, che ha una potenza installata di 1.520 Mw); il porto di Civitavecchia, che rappresenta il primo scalo passeggeri del Mediterraneo, ove attraccano decine di navi da crociera ogni anno e transitano migliaia di turisti ogni giorno (circa tre milioni in un anno); la presenza di un Centro tecnico militare chimico fisico (in avanti denominato centro chimico);
   recentemente è stata paventata da articoli di giornali, peraltro mai smentiti, la possibilità di una realizzazione presso il Centro chimico di Civitavecchia di un Ossidatore termico. L'apparecchiatura in questione trova il suo utilizzo proprio nello smaltimento tramite combustione di armi chimiche;
   il porto di Civitavecchia ha una posizione centrale nel tessuto cittadino, insistendo proprio sulla parte più densamente popolata della città, dunque manca di fatto di una delle caratteristiche peculiari indicate dall'Opac per la scelta sul sito di attracco della nave container Cape Ray –:
   se, alla luce delle criticità sopra esposte, il Ministro interrogato non ritenga opportuno escludere il porto di Civitavecchia dalla rosa dei porti del Centro sud oggetto dell'interesse dell'Opac. (4-02996)

  Risposta. — Il Governo, anche in virtù degli impegni assunti in Parlamento l'11 settembre 2013 a seguito dell'approvazione alla Camera della mozione 1-00178 (nella quale era contenuto l'impegno «a sostenere l'iniziativa volta a far emergere, a mettere sotto controllo internazionale e a neutralizzare l'arsenale chimico siriano, con l'obiettivo irrinunciabile che non possa essere nuovamente usato, confidando che una risoluzione in tal senso sia presto adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite») e della risoluzione 6-00026 (nella quale era contenuto l'impegno «a partecipare alla definizione di una cornice politica e diplomatica che abbia il fine di avviare un processo democratico volto al riconoscimento dei diritti umani e all'eliminazione definitiva dell'arsenale chimico siriano, affinché non si abbiano a ripetere mai più in futuro simili atrocità»), è da sempre fortemente impegnato a favorire – nell'ambito della ricerca di una soluzione pacifica della crisi siriana – l'eliminazione delle armi chimiche a disposizione del regime. Armi che, si ricorda, sono state utilizzate nel corso del conflitto causando delle atrocità ai danni delle popolazioni civili inermi, come testimoniato dal terribile attacco di Al Ghouta dell'agosto 2013, rimasto impresso nella memoria comune.
  Tale impegno viene naturalmente esercitato nei contesti multilaterali appropriati dell'ONU e dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC), organizzazione che per la sua azione in favore di un mondo privo da armi chimiche ha vinto nel dicembre 2013 il premio Nobel per la Pace.
  Come noto la risoluzione 2118 del consiglio di sicurezza della Nazioni Unite e la decisione del consiglio esecutivo dell'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche sulla distruzione delle armi chimiche in Siria del 27 settembre 2013 hanno disposto un chiaro mandato per giungere in tempi rapidi allo smantellamento dell'arsenale chimico di Damasco. Il 15 novembre il Consiglio esecutivo Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha quindi approvato una nuova decisione, che ha fissato precise scadenze per lo smaltimento dell'intero arsenale, da completare entro il primo semestre del 2014. Il 17 dicembre il direttore generale dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha presentato al Consiglio esecutivo il piano dettagliato per la «distruzione delle armi chimiche siriane all'estero. Questo piano naturalmente richiede per la sua esecuzione la fattiva collaborazione degli Stati parte dell'organizzazione.
  Su queste basi, l'Italia ha deciso, in maniera convinta, di fornire un contributo all'organizzazione di tale operazione, mettendo innanzitutto a disposizione un velivolo dell'aeronautica militare per il trasporto degli ispettori e, successivamente, dei contributi finanziari e materiali alle Nazioni Unite e all'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche. Ha inoltre messo a disposizione, come da richiesta dell'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche per dare esecuzione al piano, un porto, successivamente identificato dalle competenti autorità nazionali a Gioia Tauro, per un'operazione di trasbordo degli agenti chimici. La decisione sull'identificazione del porto è stata prerogativa italiana ed è stata adottata, a seguito di attenta concertazione interministeriale, al massimo livello politico. Il processo di selezione ha tenuto conto dell'esigenza di garantire le massime condizioni di sicurezza e di tutela ambientale. Il porto di Gioia Tauro effettua già normalmente operazioni di trasbordo di materiali chimici analoghi a quelli di provenienza dalla Siria. Dette operazioni sono pienamente alla portata degli impianti portuali considerati, ivi compresa la gestione dei rischi connessi ad operazioni di questo tipo.
  Il piano per la distruzione delle armi chimiche siriane – come ampiamente illustrato il 16 gennaio scorso dal direttore generale dell'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche nel corso di un'audizione tenuta innanzi alle commissioni esteri e difesa di Camera e Senato – prevede infatti il trasferimento all'estero degli agenti di maggiore pericolosità (cosiddetta di priorità 1) e la loro distruzione per idrolisi mediante apparecchiature mobili installate a bordo della nave americana Cape Ray.
  Le sostanze, inizialmente trasportate verso il porto siriano di Latakia, verranno infatti trasportate a bordo di una nave danese al porto di Gioia Tauro, dove, come noto, saranno condotte le operazioni di trasbordo sulla Cape Ray. Una volta caricata, la Cape Ray – nel pieno rispetto delle normative ambientali e dei requisiti di sicurezza – uscirà dalle acque territoriali italiane per collocarsi in acque internazionali, dove svolgerà le attività di distruzione. Il trattamento con idrolisi a bordo della Cape Ray avverrà in ogni caso al di fuori della zona di protezione ecologica marina italiana. La data dell'operazione verrà determinata in funzione dell'andamento delle attività di carico in Siria. Quanto alle tempistiche, nei contatti con i siriani in corso in ambito organizzazione per la proibizione delle armi chimiche è emersa una profonda distanza fra quanto ipotizzato da parte della Siria – per cui per ragioni di sicurezza sarebbero necessari almeno altri tre mesi per completare il carico – e quanto indicato dall'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, per la quale si potrebbe riuscire a completare l'operazione in questione già entro la fine di marzo e non all'inizio di giugno. L'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche – anche tramite del suo Consiglio Esecutivo, di cui l'Italia fa parte – continuerà naturalmente a seguire con la massima attenzione l'andamento delle attività di carico. I residui della distruzione, che rimarranno a bordo della Cape Ray, verranno quindi trasferiti all'estero perché possano essere convertiti in sostanze utilizzabili dalle due industrie negli Stati Uniti e in Finlandia che hanno vinto la gara internazionale bandita dall'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche.
  L'intera operazione – condotta sotto l'egida delle Nazioni Unite e dell'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche – vede impegnati in uno sforzo internazionale, oltre all'Italia, gli Stati Uniti, Russia, Cina, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Germania e Regno Unito. L'operazione costituisce la più importante iniziativa di disarmo degli ultimi anni e le modalità di trasbordo presso il porto italiano sono state concordate con gli altri Stati partecipanti, in modo da garantire il rispetto sia delle convenzioni internazionali sia della legislazione nazionale in materia di protezione ambientale.
  Si segnala che il 21 gennaio il Presidente del Consiglio ha ricevuto – insieme al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi, e ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi, e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Andrea Orlando – i sindaci di Gioia Tauro e di San Ferdinando, il presidente della Regione Calabria, il presidente dell'Autorità Portuale di Gioia Tauro, i membri del comando generale delle capitanerie di porto, l'amministratore delegato di
Medcenter container terminal e il vicepresidente terminal marittimi del Gruppo Contship. In tal circostanza il governo si è impegnato a predisporre iniziative puntuali di informazione allo scopo di aggiornare la popolazione.
  Infine, si precisa che i costi del piano di distruzione dell'arsenale chimico siriano sono finanziati attraverso l'istituzione da parte dell'ONU e dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche di fondi fiduciari cui gli Stati possono partecipare mediante contributi finanziari o in natura. In particolare, il consiglio esecutivo dell'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha istituito un fondo
ad hoc per la distruzione, che l'Italia ha già finanziato con 1 milione di euro a valere sul decreto Missioni 2013. Da parte italiana saranno versati 2 milioni di euro sullo stesso Fondo e sono state offerte due autoambulanze blindate, immagini satellitari di siti italiani siriani e servizi di trasporto per il trasferimento in Siria degli ispettori dell'organizzazione per la proibizione delle armi chimiche. I costi dell'intero piano di distruzione saranno dunque coperti per la maggior parte con le risorse versate dagli Stati sul fondo dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche su base volontaria.
Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   TOFALO, DAGA, SEGONI, ZOLEZZI, TERZONI, MICILLO, COLONNESE, BRESCIA, SILVIA GIORDANO, LUIGI GALLO, SIBILIA e BUSTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Fragneto Monforte, piccolo paesino della provincia Beneventana di circa 1900 abitanti, situato a 20 chilometri da Benevento, insiste in località Toppa Infuocata un deposito di ecoballe oggetto nei giorni scorsi di alcuni incendi dolosi;
   il deposito fu istituito dall'allora commissario per l'emergenza rifiuti dottor Corrado Catenacci, che individuò nel predetto comune un sito di stoccaggio «provvisorio» per circa 60.000 «eco balle» prodotte dal vicino CDR situato nel limitrofo comune di Casalduni;
   nel periodo istitutivo del sito di stoccaggio l'amministrazione comunale si oppose all'istituzione del predetto deposito, in quanto l'area individuata sorgeva a poca distanza da alcune abitazioni sorgenti d'acqua e strutture ricettive esistenti nel predetto comune;
   successivamente ci furono diverse riunioni fra l'amministrazione comunale la prefettura, il Presidente della provincia in cui si stabilì che le stesse dovessero essere rimosse entro il 30 novembre 2004 e l'area bonificata entro il 28 febbraio 2005;
   trascorsi i predetti termini, ci furono altri incontri con i funzionari che si sono succeduti nella gestione dell'emergenza rifiuti e molteplici sono stati gli impegni assunti dalle Autorità tutti ad oggi disattesi, nonostante le ripetute richieste e proteste dell'amministrazione, le «eco balle» sono rimaste nel sito di stoccaggio «provvisorio»;
   nel 2007 l'impianto è stato sequestrato dal NOE ed è tutt'ora sotto sequestro; in data 17 agosto 2013 si è avuto il primo incendio doloso delle eco balle poi in data 30 agosto 2013 e per ultimo il giorno 22 settembre 2013 ed ancora in corso di spegnimento;
   a parte i danni di carattere economico subiti dagli esercenti attività nelle zone circostanti, si sta registrando un preoccupante incremento dei tumori che potrebbe essere ricollegabile anche alla presenza delle «eco balle» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda adottare iniziative per rafforzare la sorveglianza del sito al fine di evitare il fenomeno degli incendi dolosi. (4-01980)

  Risposta. — Il sito di stoccaggio menzionato nell'interrogazione si trova all'interno di un'ex cava silicea in località Toppa infuocata, nel comune di Fragneto Monforte, in provincia di Benevento, e ospita circa sessantamila ecoballe prodotte nel periodo dell'emergenza rifiuti in Campania.
  È stato realizzato nel 2004, in attuazione dell'accordo di programma sottoscritto il 21 ottobre di quell'anno presso la locale prefettura, col fine di rimuovere tempestivamente le ecoballe presenti nell'impianto Cdr (combustibile derivato da rifiuti) di Casalduni.
  L'accordo prevedeva, inoltre, l'attuazione di un successivo progetto di riqualificazione ambientale, attraverso la rimozione delle ecoballe stoccate, la realizzazione di strutture di utilità sociale e il rifacimento della viabilità del tratto stradale provinciale compreso tra i comuni di Fragneto Monforte e Ponte.
  Nell'agosto del 2007, il sito è stato sottoposto a sequestro giudiziario dal nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Napoli, in esecuzione di un decreto emesso dall'autorità giudiziaria partenopea che, in sostituzione dei precedenti gestori, ha nominato custodi giudiziari la Fibe spa e la Fibe Campania spa.
  La scorsa estate – nei giorni 17, 25 e 31 agosto – nel sito di Fragneto Monforte si sono sviluppati tre diversi incendi, verosimilmente di origine dolosa, che hanno interessato circa millecinquecento ecoballe e sui quali sono in corso indagini. Un ulteriore incendio doloso, che si è sviluppato nella notte del 22 settembre 2013, ha assunto vaste proporzioni e, alimentato dai venti, ha attraversato l'intera piazzola di stoccaggio, finendo per incendiare quasi tutte le ecoballe ivi custodite.
  Di conseguenza, nel corso di apposite riunioni del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica – dedicate proprio alla sicurezza del sito – è stata disposta l'intensificazione dell'attività di vigilanza esterna del sito già espletata dalle Forze dell'ordine, con frequenti passaggi in orario serale e notturno.
  È stata intensificata anche la vigilanza radiocollegata, con il concorso, nell'arco delle 24 ore, dell'Arma dei carabinieri, del Corpo forestale dello stato e della polizia provinciale.
  Inoltre la Samte – società per l'ambiente interamente partecipata dalla provincia di Benevento, che svolge attività di sorveglianza notturna presso lo stabilimento di imballaggio rifiuti di Casalduni – ha effettuato un servizio di vigilanza mobile anche presso il sito di Fragneto Monforte.
  Gli accertamenti effettuati dalla Asl e dall'Agenzia regionale protezione ambientale Campania (Arpac), per verificare la presenza di sostanze tossiche nell'ambiente, non hanno evidenziato situazioni di particolare rilievo. In ogni caso, al fine di tutelare la salute, l'ambiente e l'agricoltura, sono stati richiesti interventi straordinari e sono stati interessati i competenti Ministeri della salute, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole alimentari e forestali, nonché la regione Campania.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dalla stampa, nella notte di sabato 21 settembre 2013, alcuni agenti della Polstrada di Crema hanno tentato di bloccare due malviventi intenti a rubare gasolio da una cisterna del deposito di gas a Sergnano (CR);
   i ladri sono fuggiti in auto ad alta velocità e si sono rifugiati in un condominio sito a Castelleone (CR) in via Sgazzini;
   si tratta di un condominio ormai da tempo abitato soltanto da rumeni ed extracomunitari, in tutto una cinquantina di persone;
   quando gli agenti sono entrati nello stabile per procedere all'arresto dei ladri, tutti gli abitanti del condominio hanno cominciato ad inveire contro le forze dell'ordine ed a lanciare oggetti dalle finestre e dai balconi. Conseguentemente, l'auto degli agenti è stata danneggiata;
   a fronte di tale rivolta, le forze dell'ordine si sono viste costrette a chiamare i rinforzi e successivamente i due ladri sono stati arrestati;
   la vicenda ha provocato la reazione della cittadinanza e del sindaco Luigi Comandulli, il quale ha lanciato l'allarme, dichiarando che «La situazione è esplosiva e la cosa che ci atterrisce è che peggiora di giorno in giorno. [...] Si tratta di un condominio, ma dobbiamo pensarlo come un campo rom dentro la nostra città (inviatoquotidiano.it del 23 settembre 2013);
   secondo il sindaco, questo episodio non sarebbe isolato, anzi, la situazione non sarebbe più tollerabile;
   nel condominio, che verserebbe in una condizione di evidente degrado, ci sono anche minori. Alcuni giorni prima del fatto, «[...] i vigili del fuoco sono stati costretti a intervenire. Un bambino è entrato nel locale dei contatori e ha aperto una saracinesca provocando un allagamento» (inviatoquotidiano.it del 23 settembre 2013);
   per il sindaco, «anche il fatto che le stesse forze dell'ordine faticano a farsi rispettare nel condominio di via Sgazzini significa che siamo arrivati al punto di non ritorno» (inviatoquotidiano.it del 23 settembre 2013) –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali provvedimenti urgenti intenda assumere al fine di impedire che la questione possa degenerare al punto da mettere a repentaglio la pubblica sicurezza;
   se il Ministro intenda accertare se presso l'area ove sorge il caseggiato risultino situazioni di degrado, ed in caso affermativo, quali iniziative ritenga opportuno adottare al fine di tutelare la sicurezza e l'incolumità dei cittadini. (4-02059)

  Risposta. — Come riferito nell'interrogazione in esame, nella notte dello scorso 21 settembre una pattuglia della polizia stradale di Crema ha intercettato due ladri di carburante che stavano rubando gasolio da un cantiere di Sergnano, in provincia di Cremona; gli agenti hanno tentato di fermare i due, che però sono riusciti a fuggire a bordo di un'auto. Ne è nato un inseguimento conclusosi in un condominio di via Sgazzini, a Castelleone – abitato prevalentemente da extracomunitari – dove i malviventi si sono rifugiati per sfuggire all'arresto.
  Una volta entrati nel caseggiato, gli agenti sono stati circondati da una quarantina di individui, mentre dai balconi venivano lanciati sassi e altri oggetti. Grazie all'arrivo dei rinforzi, la situazione è tornata sotto controllo e i ladri sono stati arrestati. La volante della Polstrada è rimasta danneggiata.
  L'episodio ha avuto un'ampia risonanza presso gli organi di informazione locali, destando notevole preoccupazione nella cittadinanza per un possibile aumento della criminalità. Per questo, allo scopo di verificare la fondatezza di tali timori, immediatamente dopo il fatto sono state tenute numerose riunioni tecniche di coordinamento interforze presso la prefettura di Cremona. Sul tavolo della discussione, la delicata situazione del caseggiato di via Sgazzini e, più in generale, le problematiche connesse al tema dell'immigrazione e ai sentimenti di insicurezza molto spesso associati alla presenza di popolazione straniera. Dagli incontri è infatti emerso come l'aumento dell'immigrazione straniera registrato nel cremasco a partire dal 2007 – soprattutto di cittadini romeni di etnia
rom provenienti dagli accampamenti di Reggio Emilia e di Milano – abbia generato una diffusa percezione di pericolo, fenomeno sociale riscontrabile, d'altronde, in molte altre realtà locali, anche limitrofe.
  Allo scopo di dare segnali concreti della presenza delle istituzioni e dell'efficacia del controllo del territorio da parte della forza pubblica, è stato garantito il massimo impegno sul fronte dei controlli. Sono stati disposti appositi sopralluoghi e mirati servizi di vigilanza nel condominio in questione, cui hanno fatto seguito specifiche indagini volte ad appurare la presunta pericolosità dei suoi residenti.
  Il caseggiato, adiacente la locale stazione dei Carabinieri, ospita circa 70 persone, in massima parte romeni e marocchini; a carico loro sono stati rilevati numerosi precedenti penali ma, in generale, nessuno di particolare gravità o attualità. Dagli atti d'ufficio della locale questura è emerso, inoltre, che tutti i cittadini stranieri sono titolari di carta o permesso di soggiorno. Ulteriori accertamenti sono stati svolti anche dalla Guardia di finanza.
  Per quanto attiene, infine, l'andamento della delittuosità nel comune di Castelleone, occorre registrare un leggero aumento dei reati predatori, anche se il dato rimane al di sotto della media nazionale. La capacità operativa espressa dalle Forze dell'ordine risulta di elevata efficacia e le condizioni della sicurezza pubblica vengono costantemente seguite e monitorate.
  Si assicura che resterà comunque alta l'attenzione verso tutte quelle forme di comportamento che, pur non integrando fattispecie penalmente rilevanti, possano costituire in qualche modo un fattore percettivo di insicurezza.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   VACCA, DEL GROSSO e COLLETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in località San Silvestro Colle situata nel territorio del comune di Pescara, a partire dall'anno 1952, sono stati dislocati diversi tralicci per antenne radiotelevisive su cui sono installati, da oltre 50 anni, 60 impianti radio-tv aventi potenze di trasmissione elevatissime per raggiungere tutta la fascia costiera abruzzese;
   nel 1998 con la delibera n. 68 del 1998 dell'Agcom viene emanato il piano nazionale di assegnazione delle frequenze – per regolamentare a livello nazionale l'insediamento dei ripetitori radio televisivi in esecuzione a quanto disposto dalla legge n. 223 del 1990 e dal decreto legislativo n. 249 del 1997. Nella delibera è precisato che: «Detti siti soddisfano le esigenze sia della radiodiffusione analogica che di quella digitale»;
   il sito di San Silvestro Colle, sino ad allora sede legittima degli impianti ex articolo 32 legge n. 223 del 1990 viene «cancellato» dall'elenco dei siti idonei ad ospitare tali impianti;
   successivamente vennero emanate ulteriori delibere da parte dell'AGCOM: la n. 249 del 2002, la n. 15 del 2003, la n. 399 del 2003 e da ultimo la n. 93 del 2012. In nessuna di esse compare il sito di San Silvestro Colle;
   nella delibera n. 15 viene introdotto il principio di equivalenza dei siti. Essi comunque dovevano essere compresi nei PNAF o assentiti dalle regioni competenti. San Silvestro non è mai stato assentito dalla Regione Abruzzo;
   le autorizzazioni temporanee (valevano 2 anni) rilasciate alle emittenti nel 1994 dal Ministero includevano legittimamente San Silvestro Colle come sito censito;
   dopo il 1998 il Ministero competente non solo non poteva rilasciare nuove autorizzazioni alla installazioni di impianti che includessero il sito «cancellato» di San Silvestro Colle ma doveva necessariamente modificare le vecchie obbligando i concessionari a trasferire gli impianti nei siti di Piano individuati dal PNAF;
   nel 2001 venne emanata la legge n. 66 che introdusse l'obbligo di modificare le trasmissioni da analogico in digitale, dando un congruo periodo di tempo per l'adeguamento;
   nello stesso anno l'AGCOM emanò con delibera n. 435 del 2001 il Regolamento relativo alla TV digitale;
   all'articolo 13 del medesimo venne previsto che «La diffusione per mezzo delle radiofrequenze associate alla licenza è consentita esclusivamente dai siti previsti dal piano di assegnazione delle frequenze ...omissis... rispetta le normative sanitarie, ambientali, ...omissis... nonché le disposizioni relative alla condivisione o alla messa a disposizione degli impianti e dei siti»;
   nel mese di giugno 2008 il presidente della regione Abruzzo ha emanato apposita ordinanza di delocalizzazione degli impianti concedendo alle emittenti sei mesi di tempo per provvedere;
   il Tar Abruzzo sezione di Pescara ha rigettato il ricorso delle emittenti contro tale provvedimento dichiarando che «la delocalizzazione allo stato è un atto dovuto non essendo il sito di San Silvestro Colle compreso nei PNAF, indipendentemente dal superamento dei limiti di legge»;
   la regione Abruzzo nonostante sin dall'anno 2009 ha chiesto al Ministero dello sviluppo economico di emanare il definitivo atto delocalizzatorio nel rispetto di quanto sancito dalle norme vigenti e dalla sentenza del Tar, finora non ha ricevuto alcuna risposta;
   in data 25 giugno 2013 l'esponente nel corso di specifico accesso presso il Ministero dello sviluppo economico non ha rinvenuto alcun atto autorizzatorio da parte del predetto ente nei confronti di tutte le emittenti presenti in San Silvestro;
   l'articolo 41, comma 4, della legge n. 3 del 2003 ha previsto che: «Il Ministero delle comunicazioni, anche attraverso i propri organi periferici, esercita la vigilanza sui tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana anche a supporto degli organi indicati dall'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001 n. 36, ferme restando le competenze del Ministero della salute»;
   l'articolo 28, comma 8, del decreto legislativo n. 177 del 2005 ha previsto che: «La titolarità di autorizzazione o di altro legittimo titolo per la radiodiffusione sonora o televisiva dà diritto ad ottenere dal comune competente il rilascio di permesso di costruire per gli impianti di diffusione e di collegamento eserciti e per le relative infrastrutture compatibilmente con la disciplina vigente in materia di realizzazione di infrastrutture di comunicazione elettronica»;
   l'articolo 28, comma 1, del decreto legislativo n. 177 del 2005 ha stabilito che: «al fine di agevolare la conversione del sistema dalla tecnica analogica alla tecnica digitale la diffusione dei programmi radiotelevisivi prosegue con l'esercizio degli impianti di diffusione e di collegamento legittimamente in funzione alla data di entrata in vigore della legge 3 maggio 2004, n. 112»;
   a tutt'oggi non risulta che l'Autorità garante nelle comunicazioni abbia mai vigilato o direttamente o servendosi dei propri organi ispettivi per far rispettare i tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana (20 V/m il valore massimo del campo elettromagnetico) e né verificato che tali tetti anche per effetto congiunto di più emissioni, come nel caso di San Silvestro Colle a Pescara, fosse superato –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei lutti sopraesposti e se non ritenga doveroso emanare quanto prima il definitivo atto di delocalizzazione degli impianti siti in San Silvestro Colle di Pescara;
   se il Ministro non reputi necessario fare luce sulle responsabilità circa l'omesso controllo e vigilanza da parte degli organi del Ministero dello sviluppo economico, nel periodo 1999-2012;
   come il Ministero intenda assicurare il trasferimento immediato degli impianti di radiodiffusione sonora e televisiva di S. Silvestro in Pescara, a cominciare dall'antenna Rai nei siti individuati nel piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive senza che ciò comporti disagi di alcun genere per la popolazione. (4-01439)

  Risposta. — In merito alla delocalizzazione degli impianti per la diffusione radiotelevisiva siti sul colle di San Silvestro (Pescara), si fa presente quanto segue:
   premesso che nel 1994 l'allora Ministero delle comunicazioni (oggi Mise), ai sensi della legge 6 agosto 1990 n. 223, ha rilasciato alle emittenti i titoli concessori, sulla base del censimento del 1990, «fotografando» l'ubicazione degli impianti a quella data; successivamente si è proceduto, secondo legge, a proroghe dell'esercizio fino al passaggio alle trasmissioni in tecnica digitale. Le delibere agcom in base alle quali sono state assegnate le frequenze televisive digitali consentivano l'esercizio per la stessa area di servizio e con gli stessi impianti eserciti in tecnica analogica oggetto di autorizzazione o concessione.

  Pertanto, il diritto d'uso definitivo rilasciato agli operatori di rete della regione Abruzzo presupponeva atti di concessione precedenti con le stesse reti ed aree di servizio autorizzate e censite nel 1990.
  Per quanto concerne la delocalizzazione occorre precisare che, le ordinanze del Presidente della regione Abruzzo del 24 giugno 2008 e dell'1o luglio 2008, che disponevano la delocalizzazione degli impianti di radiodiffusione sonora e televisiva siti nella località di San Silvestro, hanno interessato il Ministero, in prima fase, solo per quanto riguarda le valutazioni tecniche sulla delocalizzazione stessa e non sulla pratica attuazione della delocalizzazione tramite emanazione di provvedimenti di modifica degli atti concessori o autorizzativi.
  Quindi, in nessun caso l'ordinanza richiedeva la disattivazione degli impianti, ma solo che il Mise esprimesse un parere sulla idoneità del sito individuato.
  Infatti, in data 11 dicembre 2008 lo stesso Ministero provvide a relazionare alla regione Abruzzo circa l'idoneità del sito Bussi sul Tirino, proposto per la delocalizzazione, estendendo l'analisi anche al sito di Colonnella che, poteva essere preso in esame come aggiuntivo e non sostitutivo del primo. Tale parere era basato su considerazioni di carattere tecnico, limitate agli aspetti di competenza del Ministero stesso, vale a dire: 1) la necessità di garantire che tutti gli utenti potessero continuare a ricevere i segnali televisivi senza interruzione del servizio; 2) minimizzare l'impatto sui cittadini in termini di riadattamento dei sistemi riceventi.
  Inoltre il parere non teneva in alcun conto, né poteva farlo, degli interessi di tutela della salute dei cittadini sia perché già ampiamente valutati dalla regione e sia perché gli aspetti connessi con tale valutazione sono di natura che esula dalle competenze del Mise. In ogni caso lo stesso Ministero diede la massima disponibilità a collaborare nella delocalizzazione indicando le procedure necessarie, tra cui l'idoneità dei siti proposti per quanto riguarda le autorizzazioni urbanistiche. Risulta poi che la regione abbandonò l'ipotesi di utilizzo dei siti di Bussi sul Tirino e Colonnella perché vi era una forte opposizione della popolazione locale a ricevere gli impianti siti in San Silvestro.
  Nel mese di febbraio 2011, a seguito della richiesta della giunta regionale Abruzzo, contenuta nella deliberazione n. 694 del 13 settembre 2010, in relazione allo studio di fattibilità della delocalizzazione degli impianti radio televisivi da San Silvestro ad una piattaforma
off-shore prospiciente la costa abruzzese all'altezza di Pescara, il Mise rispose (nota del 23 febbraio 2011) che risultava una sostanziale equivalenza delle aree di servizio di San Silvestro con quelle ottenute con gli impianti posti sulla piattaforma off-shore. La condivisione di tale parere è stata comunicata dalla legione Abruzzo con nota del 30 marzo 2011.
  Nel mese di aprile 2012 la regione ha istituito un gruppo di lavoro tecnico istruttorio, cui hanno partecipato anche rappresentanti del Mise, per la valutazione delle problematiche connesse all'ipotesi di migrazione verso la piattaforma marina delle antenne, non operativa, e l'indicazione di siti terrestri alternativi.
  Nelle more delle attività del gruppo di lavoro, secondo il calendario nazionale di transizione al digitale, ha avuto luogo lo
switch off in Abruzzo (7 maggio 2012) e le emittenti televisive sono state autorizzate dal Mise, a trasmettere ancora temporaneamente dal sito di San Silvestro, per le motivazioni indicate nelle premesse del diritto d'uso rilasciato il 4 maggio 2012, di seguito riportate:
   «Vista la delibera n. 93/12/CONS del 22 febbraio 2012, recante Piano di assegnazione delle frequenze per il servizio televisivo digitale terrestre delle regioni Abruzzo, Molise, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia (aree tecniche nn. 11, 14 e 15);
   Considerato che in detto Piano si ritiene idonea per la copertura dell'area di Pescara e della costa limitrofa, la piattaforma marina denominata «Francavilla», indicata dalla Regione Abruzzo come sito alternativo al sito di San Silvestro di Pescara;
   Considerato, tuttavia che la delibera 93/12/CONS evidenzia come il sito predetto non risulti, allo stato, operativo e che pertanto laddove il medesimo non sia utilizzabile al momento dello
switch-off della Regione Abruzzo, potrebbe non essere assicurata una adeguata copertura di servizio degli operatori nazionali (ivi incluso il servizio pubblico) e locali, nella provincia di Pescara in particolar modo qualora non siano stati utilizzati, per il progetto di rete delle emittenti, siti alternativi a quello di San Silvestro Colle;
   Considerato pertanto, come indicato dalla citata delibera n. 93/12/CONS, necessario che l'operazione di delocalizzazione del sito di San Silvestro Colle, prevista dalla Regione Abruzzo, venga attuata in collaborazione con tutti i soggetti coinvolti, concordando un piano di migrazione che tenga in debito conto l'esigenza di assicurare la continuità del servizio esercito dagli operatori televisivi, con riferimento in particolare al servizio pubblico;
   Visto il verbale della riunione svoltasi presso la Regione Abruzzo in data 24 aprile 2012 in cui tutti i soggetti coinvolti hanno concordato di costituire un Gruppo di lavoro operativo con il compito di realizzare una attività tecnica istruttoria per la valutazione delle problematiche connesse all'ipotesi di migrazione sulla piattaforma marina e l'indicazione di siti terrestri alternativi;
   Considerato che i lavori di detto Gruppo di lavoro avranno inizio intorno alla metà di maggio 2012 e dovranno concludersi entro i sei mesi successivi;
   Vista pertanto, alla data del passaggio al digitale in Abruzzo (7 maggio 2012), la non operatività del sito della piattaforma marina e l'assenza dell'individuazione di siti alternativi equivalenti a San Silvestro;
   Ritenuto peraltro imprescindibile assicurare in favore degli utenti coinvolti nella provincia di Pescara la continuità del servizio esercito dagli operatori televisivi, con riferimento in particolare al servizio pubblico, tramite la prosecuzione del servizio da San Silvestro esclusivamente per un periodo limitato, necessario per la messa in opera della piattaforma marina o di siti alternativi equivalenti;».

  Il citato gruppo ha concluso i suoi lavori nel mese di marzo 2013 stabilendo che la delocalizzazione delle antenne televisive sulla piattaforma off-shore di Francavilla a mare è tecnicamente fattibile come da studio realizzato dall'università di L'Aquila.
  Con delibera della giunta regionale Abruzzo dell'8 luglio 2013 la regione Abruzzo ha fatto proprie le risultanze del gruppo di lavoro riconfermando la decisione di inserire il sito
off-shore di Francavilla nel piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive per la delocalizzazione degli impianti presenti in località San Silvestro di Pescara.
  Contestualmente, con ordinanze del 24 settembre 2012 il sindaco di Pescara provvedeva a emanare atti di disattivazione degli impianti trasmissivi siti in San Silvestro, motivati con la mancata presentazione di un piano di risanamento da parte delle emittenti, e per il fatto di aver continuato le trasmissioni dal sito S. Silvestro, nonostante le ordinanze regionali di delocalizzazione e la inidoneità della zona ad ospitare l'impianto di trasmissione, non essendo lo stesso contemplato dell'elenco agcom 2012. Il Tar Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con sentenza del 25 luglio 2013 ha però annullato gli atti menzionati accogliendo i ricorsi proposti dalle emittenti contro il provvedimento di disattivazione del comune di Pescara.
  I giudici del Tar hanno, infatti, ritenuto che: «La ritenuta fattibilità della piattaforma marina “Francavilla” (nota regione Abruzzo 3.5.2013 prot. n. RA/115464), rappresenta allo stato una prospettiva, non essendo effettivamente pronta ed operativa; in quanto tale, non può essere considerata un valido sito alternativo a San Silvestro.
  Nel periodo di attesa, per il principio di equivalenza tra tutti i siti operativi, San Silvestro resta utilizzabile al fine di dare continuità al servizio audio – video, sempre nel rispettosi valori di attenzione (6V/m) e dei limiti di esposizione (20 V/m), di cui alla legge n. 36 del 2001 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 luglio 2003, che non risultano affatto superati (relazione tecnica Arta 2012).
  Nelle sentenze, i giudici del Tribunale regionale si esprimono anche in merito al paventato inquinamento elettromagnetico, sottolineando che il comune di Pescara non ha tenuto conto della relazione tecnica 2012 dell'Arta (l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente), che attesta il rispetto dei limiti e dei valori di emissione.
  A tal proposito, per quanto riguarda il quesito in merito all'ipotetico omesso controllo e vigilanza, anche con riferimento al rispetto dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana, da parte degli organi del Ministero nel periodo 1999 – 2012, si precisa che l'Ispettorato territoriale Abruzzo e Molise ha, sempre effettuato, nel corso di tali anni, regolari e periodici controlli dei parametri radioelettrici di emissione degli impianti trasmittenti radiotelevisivi operanti nel sito di San Silvestro, al fine di verificarne la rispondenza a quanto riportato negli atti autorizzativi. Lo stesso ha, inoltre, collaborato tutte le volte che ne è stato richiesto con l'Arta la quale è competente a valutare la compatibilità dei tetti delle emissioni di radiofrequenze con la salute umana ai sensi dell'articolo 19 della Legge regionale Abruzzo n. 45 del 2004.
  Pertanto, ferma restando la competenza degli altri organi preposti, il Ministero conferma l'impegno per le verifiche di propria competenza sulla compatibilità radioelettrica non appena sarà operativa la piattaforma
off shore o individuato un altro sito operativo dagli organi competenti.
  Si fa, infine, presente che il competente Dipartimento per le comunicazioni del Mise, ha rilasciato il nulla osta affinché si autorizzi la collaborazione di personale della Fondazione Ugo Bordoni con il comune di Pescara per proseguire gli studi inerenti alla dislocazione degli impianti radiotelevisivi attualmente presenti a San Silvestro.

Il Viceministro dello sviluppo economicoAntonio Catricalà.


   ZOLEZZI, DE ROSA, TERZONI, BUSTO, DAGA, MANNINO, SEGONI e TOFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del comune di Monterotondo (Roma), insistono degli edifici, destinati a civile abitazione siti in via Gramsci 78, complesso «le terrazze» ed in via Salaria 123, condominio «la dogana», che sono stati definitivamente confiscati alla criminalità organizzata, nell'ambito di un procedimento penale pendente presso la corte d'appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto;
   questi edifici sono gestiti e amministrati dall'A.N.B.S.C. (Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) ed elencati in una apposita lista pubblicata nel sito dell'Agenzia stessa;
   l'attuale provvedimento restrittivo impedisce l'acquisizione di detti immobili al patrimonio comunale;
   con il passare degli anni le palazzine sono state occupate abusivamente da un certo numero di nuclei familiari. Detti immobili non essendo mai stati terminati non hanno collaudo statico, insistono ancora in un'area di cantiere e non hanno l'allaccio alla rete fognaria comunale, determinando disagi di non poco conto visto che gli scarichi del complesso immobiliare finiscono per riversarsi nel suolo. Per cui l'area in questione è costantemente interessata da cattivi odori;
   in questo stato di continua illegalità gli abitanti del complesso si sono resi artefici di opere abusive di varia natura (demolizioni di parti murarie, chiusura di porte e realizzazione di nuove aperture verso l'esterno, chiusura di balconi e montaggio di pergolati di ogni forma e fattezza). Tali lavori hanno prodotto macerie che venivano depositate e accumulate all'interno di detto complesso creando una vera e propria discarica abusiva. Un camion a disposizione degli abitanti del sito in questione alimentava questa discarica con altro materiale di risulta di provenienza ignota;
   più di una volta per eliminare definitivamente il materiale della discarica abusiva, gli abitanti del complesso succitato si sono resi artefici di alcuni giganteschi falò alimentati per lo più da oggetti di plastica che hanno sprigionato nell'area fumi inquinanti pericolosamente vicini ad un'area di parcheggio privato;
   per tutte queste ragioni l'area in esame presenta un forte degrado ambientale che produce fastidio sensoriale (cattivi odori), rischio sanitario e presenza concentrata di animali quali zanzare e topi;
   la prefettura, dopo insistenti richieste del sindaco di Monterotondo, Mauro Alessandri, interverrà coordinandosi con le forze di polizia locale per attivare uno sgombero forzato –:
   se il Ministro interrogato, nell'esercizio della propria attività di vigilanza ex articolo 110, comma 1, del decreto-legge 6 settembre 2011, n. 159, (Gazzetta Ufficiale n. 226 del 28 settembre 2011) sull'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, intenda assumere iniziative, rapide e solerti, per verificare lo stato del caseggiato e assicurare attraverso monitoraggi specifici la salubrità e la sicurezza del patrimonio immobiliare e ambientale locale, contestualmente verificando nel dettaglio quale destinazione d'uso avranno i beni immobiliari, quale sia lo stato del procedimento amministrativo su detti beni confiscati nonché quali siano i provvedimenti necessari per la tempestiva assegnazione e destinazione dei citati beni confiscati;
   se intenda sollecitare la prefettura nelle operazioni di sgombero sopra richiamate al fine di ripristinare una condizione di legalità all'interno del complesso immobiliare, e agevolare con le autorità competenti, precedentemente allo sgombero forzato, una sistemazione alternativa per i nuclei familiari realmente bisognosi.
(4-02003)

  Risposta. — In merito allo sgombero degli immobili sottratti alla criminalità organizzata siti in via Gramsci e in via Salaria a Monterotondo (Roma), si fa presente che gli stessi sono stati confiscati nell'ambito del procedimento penale a danno di Ciarlante Matilde e definitivamente devoluti al patrimonio indisponibile dello Stato ai sensi della legge n. 575 del 1965.
  Gli immobili sono abusivamente occupati ed in condizioni di forte degrado, anche strutturale. A seguito, inoltre, delle innumerevoli segnalazioni fatte pervenire alla prefettura di Roma dal sindaco di Monterotondo, la questione è stata più volte discussa in sede di Comitato provinciale per l'Ordine e la sicurezza pubblica.
  In tale contesto è stata evidenziata la necessità di svolgere accertamenti patrimoniali per i nuclei familiari occupanti, che la Guardia di finanza ha provveduto ad eseguire.
  L'esito di tali accertamenti è stato inviato al Sindaco di Monterotondo il quale, per quanto riguarda lo stabile di via Salaria, ha riferito che in esso non sono presenti nuclei familiari ma che è occupato da appartenenti ad associazioni culturali e sociali.
  La prefettura di Roma ha quindi provveduto ad interessare il Comando provinciale Carabinieri per l'assistenza della forza pubblica ai fini dell'esecuzione delle operazioni di sgombero dell'immobile, previe dirette intese con l'Agenzia del demanio e con i competenti uffici Comunali.
  In relazione alla situazione di via Gramsci, invece, la prefettura ha richiesto che, prima dello sgombero, il comune di Monterotondo ponga in essere interventi socio-assistenziali nei confronti dei diversi soggetti in condizione di fragilità sociale presenti tra gli occupanti abusivi. Il Sindaco ha assicurato piena disponibilità in tal senso.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.