Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 19 febbraio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il 30 per cento del territorio italiano è costituito da boschi, habitat di moltissime specie naturali e vegetali. Il ricco patrimonio forestale del Paese, nonostante gli sforzi compiuti soprattutto nella direzione della sensibilizzazione dei cittadini all'attenzione e alla cura dell'ambiente, non è adeguatamente tutelato e ogni anno migliaia di ettari di bosco vengono distrutti da incendi dolosi e colposi. Le stime degli ultimi trenta anni sono spaventose: circa il 12 per cento delle aree forestali italiane sono andate in fumo;
    dal 1o gennaio al 14 agosto 2013, secondo i dati del Corpo forestale dello Stato, gli incendi boschivi sono stati 1850, un numero ancora troppo elevato, sebbene ci sia stato un calo rispetto al 2012 pari a circa il 58 per cento. Le fiamme, nel periodo di riferimento, hanno percorso 13.630 ettari di superficie, di cui 6.370 ettari di bosco. Le regioni maggiormente colpite, perché più esposte per ragioni climatiche al rischio di incendi, sono state la Puglia con 356 roghi, la Sardegna con 262 roghi, la Sicilia con 242 roghi, la Campania con 183 roghi, il Piemonte con 106 roghi e la Calabria con 98 roghi;
    in moltissimi casi i danni provocati dagli incendi risultano aggravati della mancata tempestività degli interventi oltre che dalla scarsa disponibilità di mezzi, soprattutto d'aria, capaci di intervenire e sedare gli incendi;
    l'articolo 3 della legge quadro in materia di incendi boschivi, legge n. 353 del 2000, ha disposto l'approvazione da parte delle regioni dei piani regionali per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi da sottoporre a revisione annuale;
    le regioni, inoltre, in base all'articolo 7 della legge citata, assicurano il coordinamento delle proprie strutture antincendio con quelle statali istituendo e gestendo con una operatività di tipo continuativo nei periodi a rischio di incendio boschivo le sale operative unificate permanenti (SOUP), avvalendosi, oltre che delle proprie strutture e dei propri mezzi aerei di supporto all'attività delle squadre a terra, anche di risorse, mezzi e personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e del Corpo forestale dello Stato in base ad accordi di programma, di personale appartenente ad organizzazioni di volontariato, riconosciute secondo la vigente normativa, di risorse, mezzi e personale delle Forze armate e delle Forze di polizia dello Stato, in caso di riconosciuta e urgente necessità, di mezzi aerei di altre regioni in base ad accordi di programma;
    ogni anno, nel periodo compreso tra giugno e settembre, viene avviata la campagna antincendio boschivo, accompagnata dalle «raccomandazioni per un efficace contrasto agli incendi boschivi, di interfaccia e ai rischi conseguenti» che il Presidente del Consiglio dei ministri fornisce alle regioni, alle province autonome e ai ministeri interessati contenente i compiti, le responsabilità e le iniziative che i diversi enti ed amministrazioni devono assumere per un'efficace azione e coordinamento delle forze in campo;
    la flotta aerea dello Stato, che interviene a sostegno dei mezzi aerei regionali, degli elicotteri e delle squadre di terra, maggiormente nei mesi di luglio e agosto, è coordinata dalla Protezione civile attraverso il Centro operativo aereo unificato (COAU);
    la legge n. 100 del 2012 recante disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile, ha trasferito, nel rispetto dei tempi e delle modalità stabilite dal decreto del Presidente della Repubblica n. 40 del 5 aprile 2013, le risorse e i mezzi della flotta aerea antincendio dalla presidenza del Consiglio – dipartimento della protezione civile, al ministero dell'interno – dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, riconoscendo alla protezione civile il ruolo di coordinamento dei mezzi;
    nel decreto del Presidente della Repubblica di cui sopra, allegato A, è inoltre contenuto il dettaglio della composizione della flotta aerea antincendio che risulta essere attualmente composta da 19 velivoli CL-415, più comunemente noti come Canadair;
    nel 2013 risultano essere stati utilizzati, per le operazioni di spegnimento degli incendi, soltanto 15 dei 19 mezzi a disposizione, risultando i restanti quattro in manutenzione;
    la flotta aerea antincendio ha subito nel 2013 una forte riduzione. Precedentemente al 2013, infatti, risultava composta da 32 unità di cui quattordici Canadair, quattro S-64 del Corpo Forestale dello Stato, dieci Fire Boss gestiti dalla protezione civile e altri mezzi appartenenti alle altre amministrazioni;
    nonostante l'appello lanciato dal capo del dipartimento della protezione civile, Franco Gabrielli, il 25 ottobre 2012, in occasione della sua audizione presso la Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati, la spending review messa in atto dal Governo Monti ha interessato anche questo settore;
    il 12 agosto 2013 il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha annunciato la vendita di tre dei dieci aerei di Stato, un Airbus A-319 e due Falcon 900, per un valore complessivo di mercato stimato in circa 50 milioni di euro da destinare al potenziamento della flotta antincendio;
    la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), al comma 263 dell'articolo 1, stabilisce che le risorse derivanti dall'alienazione dei velivoli della flotta di Stato saranno riassegnate al pertinente capitolo dello stato di previsione del ministero dell'economia e delle finanze finalizzato alle esigenze del Corpo nazionale dei vigili del fuoco per il potenziamento del concorso aereo di Stato per il contrasto agli incendi boschivi,

impegna il Governo:

   a fornire ogni utile elemento circa iniziative, miranti ad incrementare la flotta aerea antincendio, che siano state adottate o si intendano adottare precisando, nello specifico, l'ammontare delle risorse già stanziate e la natura degli interventi finora adottati;
   ad incrementare, in tempi brevi, la flotta aerea antincendio mettendo immediatamente in campo tutte le risorse necessarie e provvedendo, qualora non ancora avvenuto, a rispettare quanto disposto dal comma 263 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, in materia di contrasto agli incendi boschivi, ovvero procedendo immediatamente alla vendita dell'Airbus A-319 e dei due Falcon 900 appartenenti alla flotta aerea di Stato;
   ad adottare altresì iniziative volte all'utilizzo delle risorse economiche previste per la lotta agli incendi boschivi nella direzione di una maggiore efficienza dei mezzi già a disposizione dello Stato, al fine di tutelare il patrimonio forestale italiano e di evitare disastri ambientali e perdite di vite umane.
(1-00346) «Nicola Bianchi, Cristian Iannuzzi, De Lorenzis, Paolo Nicolò Romano, Scagliusi, Lupo, Del Grosso, Barbanti, Gallinella, Benedetti, Gagnarli, L'Abbate, Parentela, Tofalo, Terzoni, Vallascas, Da Villa, Brugnerotto, Rizzetto, Tripiedi, Cominardi, Baldassarre, Rostellato, Turco, Micillo, Currò, Luigi Gallo, Marzana, D'Uva, Battelli, Chimienti, Ruocco, Cancelleri, Villarosa, Paolo Bernini, Alberti, Pesco».

Risoluzioni in Commissione:


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cosiddetto Codice ambientale), all'articolo 252, come modificato dall'articolo 36-bis, comma 1, del decreto-legge 83/2012, norma i criteri per l'individuazione e la definizione dei Siti di interesse nazionale (SIN) ai fini della bonifica, in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico;
    alcuni tra i criteri volti a individuare un'area quale Sito di interesse nazionale, stabiliscono che: 1) gli interventi di bonifica devono riguardare aree e territori, compresi i corpi idrici, di particolare pregio ambientale; 2) il rischio sanitario ed ambientale che deriva dal rilevato superamento delle concentrazioni soglia di rischio deve risultare particolarmente elevato in ragione della densità della popolazione o dell'estensione dell'area interessata; 3) l'impatto socio economico causato dall'inquinamento dell'area deve essere rilevante; 4) vi sia, o vi sia stata, l'insistenza di attività di raffinerie, di impianti chimici integrati o di acciaierie;
    la discarica romana di Malagrotta, situata nell'area di valle Galeria, è stata aperta nel lontano 1974, e chiusa definitivamente, dopo infinite proroghe, il 1o ottobre scorso;
    Malagrotta è la discarica più grande d'Europa: con un'estensione di circa 240 ettari, ha raccolto quasi 5mila tonnellate di rifiuti al giorno, provenienti dalla città di Roma e da parte della sua provincia, inclusi i rifiuti speciali degli aeroporti di Ciampino e Fiumicino;
    la discarica, secondo le analisi dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente del Lazio, ha costituito e costituisce la principale causa di fenomeni di inquinamento delle acque e dei terreni circostanti;
    la stessa «Relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Lazio» approvata il 3 luglio 2012 dalla «Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti», riporta – tra l'altro – la valutazione epidemiologica dello stato di salute della popolazione residente nell'area di Malagrotta svolta dal dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario regionale e dall'Arpa Lazio, pone in evidenza l'aumento di neoplasie e di patologie a carico degli apparati respiratori e cardiovascolari nella popolazione insediata a ridosso degli impianti industriali presenti nell'area;
    la stessa ARPA, con nota prot. 00550653 del 9 luglio 2010, nel confermare il quadro di contaminazione delle acque sotterranee rilevato nella precedente campagna di monitoraggio, aveva del resto già sottolineato «un peggioramento dello stato di contaminazione del sito sia per composti inorganici che per composti organici»;
    come riportato dalla suddetta «Relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Lazio», un altro studio dell'ISPRA «Studio dell'impatto della discarica di Malagrotta sulle acque superficiali e sotterranee mediante l'uso di metodologie isotopiche: risultati preliminari», concludeva asserendo che «l'indagine multidisciplinare realizzata nell'area della discarica di Malagrotta (RM) dal CIRCEDSA/SUN, ISPRA e ARPA Lazio evidenzia una contaminazione diffusa delle acque sotterranee, esterne ed interne al sito, da parte di metalli e inquinanti. In particolare, l'utilizzo di metodologie isotopiche allo scopo di identificare il potenziale inquinamento da percolato insistente sulle risorse idriche sotterranee e superficiali è stato dimostrato essere uno strumento applicabile nell'area di studio considerata ed efficace nell'identificare zone di possibile contaminazione»;
    ma è tutta l'intera area della valle Galeria a rappresentare una vera e propria emergenza ambientale e sanitaria. Le indagini epidemiologiche effettuate dall'Asl Roma e dall'Arpa mostrano un quadro piuttosto preoccupante, con valori di inquinamento fuori da ogni parametro;
    anche la recente relazione preliminare del politecnico di Torino richiesta dal Consiglio di Stato in merito all’iter giudiziario aperto in seguito all'ordinanza emessa il 12 novembre 2010 dal sindaco di Roma per la messa in sicurezza l'area circostante la discarica a salvaguardia delle acque sotterranee e già annullata dal Tar del Lazio, confermano la non salubrità ambientale della zona della valle Galeria. Dalla valutazione dei dati di qualità dell'acqua di falda disponibili risulta che nei punti a valle della discarica si riscontrano o direttamente parametri di inquinamento presenti nel percolato o parametri che appaiono derivare da fenomeni biologici aventi origine nelle caratteristiche chimico-fisiche dello stesso percolato. Il confronto tra i dati di monitoraggio chimico dell'acqua di falda superficiale, unito a considerazioni di carattere idrogeologico – rivela una nota diffusa dall'Arpa Lazio (l'Agenzia per la protezione ambientale della regione che nel 2010 aveva diffuso una allarmante relazione) portano a ricondurre all'attività di discarica gestita dalla E. Giovi srl (società del «re» di Malagrotta, Manlio Cerroni arrestato nell'ambito dell'inchiesta) il fenomeno di contaminazione dei terreni;
    l'elevato livello di rischio ambientale e sanitario dell'area di valle Galeria, è tale da far classificare l'intera zona valle Galeria come fra le 18 aree italiane ad alto rischio di incidente rilevante, di cui al decreto legislativo n. 334 del 1999 (la cosiddetta legge Seveso 2). Detto elevato livello di rischio ambientale e sanitario, è infatti fortemente acuito dalla contestuale presenza, oltre alla discarica, di numerose altre attività e impianti inquinanti, tra i quali:
     a) il deposito idrocarburi Sud Gas;
     b) il deposito idrocarburi ENI – EX PRAOIL;
     c) il deposito G.P.L. Lampogas e del deposito idrocarburi DECO;
     d) la ex raffineria, con i suoi impianti di stoccaggio di idrocarburi derivati;
    a ciò si aggiungano due impianti per il Trattamento meccanico biologico dei rifiuti (TMB), cave per l'estrazione di materiali da costruzione, un gassificatore, un inceneritore di rifiuti speciali ospedalieri ubicato nei pressi di Ponte Malnome. Si rammenta peraltro, proprio con riferimento a quest'ultimo impianto, che nei primi giorni di febbraio 2014, a seguito del forte nubifragio che hanno colpito molte aree laziali, vi è stata l'esondazione del Rio Galeria che ha provocato la fuoriuscita sui terreni circostanti dei suddetti rifiuti ospedalieri, con rischi evidenti per la salute e per l'ambiente, tanto che la procura di Roma ha avviato un'indagine in proposito,

impegna il Governo

a verificare i presupposti per dichiarare l'area di Valle Galeria quale sito di interesse nazionale, ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
(7-00267) «Zaratti, Piazzoni, Zan, Pellegrino, Pilozzi».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il 12 settembre 2013 l'Italia ha approvato definitivamente il disegno di legge «Ratifica ed esecuzione della convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) n. 186 sul lavoro marittimo, con Allegati, adottata a Ginevra il 23 febbraio 2006 nel corso della 94ma sessione della Conferenza generale dell'OIL, nonché norme di adeguamento interno»;
    con questo atto l'Italia ha adottato definitivamente la convenzione del lavoro marittimo, che è entrata in vigore il 20 agosto 2013 e che, all'articolo 1 recita che «Ogni Stato Membro deve adottare delle politiche nazionali adeguate che favoriscano lo sviluppo delle carriere e delle attitudini professionali nonché le opportunità di impiego della gente di mare, allo scopo di dotare il settore marittimo di manodopera stabile e competente»;
    la convenzione internazionale sugli standard di addestramento, abilitazione e tenuta della guardia per i marittimi (Convenzione STCW), resa esecutiva in Italia con la legge 21 novembre 1985, n. 739, alla sezione A-I-11 stabilisce i termini per la riconvalida dei certificati;
    la direttiva 2008/106/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare, all'articolo 12, comma 1/b, rimanda, per ciò che concerne i rinnovi dei certificati, alla citata sezione A-I-11 della Convenzione STCW;
    il decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 136, recante «Attuazione della direttiva 2008/106/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare» all'articolo 2, comma 1, lettera pp), definisce i certificati dei quali devono essere in possesso i lavoratori marittimi per svolgere la propria attività professionale: «un certificato rilasciato e convalidato, di cui all'annesso alla Convenzione STCW, dalla amministrazione italiana competente, conformemente al presente decreto legislativo, che legittima il titolare a prestare servizio nella qualifica ed a svolgere le funzioni corrispondenti al livello di responsabilità menzionato sul certificato su una nave del tipo e dalle caratteristiche di tonnellaggio, potenza e propulsione considerati e nel particolare viaggio cui essa è adibita»;
    il citato decreto legislativo, tuttavia, stabilisce norme molto più restrittive per i rinnovi dei certificati rispetto a quanto previsto per gli altri Paesi europei, nonostante quanto previsto dalla direttiva 2008/106/CE;
    con riferimento alla competenza professionale necessaria per la riconvalida dei certificati la convenzione internazionale sugli standard di addestramento, abilitazione e tenuta della guardia per i marittimi, alle cui disposizioni si richiama espressamente la direttiva 2008/106 prevede, infatti, che: «La competenza professionale continua, come richiesta dalla regola I/11, dovrà essere stabilita da un periodo d'imbarco approvato, svolgendo mansioni (functions) appropriate al certificato posseduto, per un periodo di almeno un totale di 12 mesi nei precedenti cinque anni, o un totale di tre mesi nei precedenti sei mesi immediatamente prima della riconvalida»;
    in Italia invece, ai fini della riconvalida dei certificati, pena il declassamento, si richiede un periodo di navigazione pari a trentasei mesi, vale a dire il triplo di quanto richiesto negli altri Stati che hanno recepito la direttiva;
    in questo periodo di crisi economica può accadere, ad esempio, che un comandante abilitato alla guida di navi da diporto di grande stazza possa imbarcarsi su yacht o altre barche più piccole pur di lavorare ma questo, alla scadenza dei cinque anni, se non dimostra di esser stato imbarcato per almeno trentasei mesi nel quinquennio, lo penalizza, posto che il suo certificato verrà declassato alla classe inferiore e non potrà, se dovesse arrivare un ingaggio, imbarcarsi su navi di potenza superiore;
    questo costituisce una pesante discriminazione dei marittimi italiani rispetto a quelli di altri Paesi europei ed extraeuropei, che determina una perdita di competitività dei nostri lavoratori e la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro;
    inoltre, tale situazione costringe, di fatto, i lavoratori italiani del settore marittimo a richiedere la certificazione di abilitazione o rinnovo non più in Italia ma in altri Paesi,

impegna il Governo

ad adottare iniziative normative che equiparino i requisiti per il rinnovo dei certificati in Italia a quelli vigenti in Europa, al fine di salvaguardare la concorrenza dei nostri lavoratori marittimi nel mercato europeo ed internazionale, nonché ai fini della tutela dei livelli occupazionali.
(7-00265) «Totaro».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la contraffazione alimentare colpisce soprattutto i prodotti alimentari di qualità regolamentata (DOP e IGP);
    la memoria storica, la localizzazione geografica e la qualità della materia prima utilizzata sono le caratteristiche fondanti dei prodotti tipici. Tutelare e valorizzare tali prodotti è un atto di responsabilità sociale;
    la denominazione di origine protetta (DOP) individua il nome di una zona determinata, di una regione e, talvolta, anche di un singolo Paese che designa un prodotto agricolo o alimentare come originario di tale territorio, ove avviene la produzione e/o la trasformazione, le cui qualità sono da rinvenirsi esclusivamente in quel determinato ambiente geografico;
    l'indicazione geografica protetta (IGP) indica una regione, un luogo ed anche un singolo Paese che designa un prodotto agricolo o alimentare come originario di tale territorio, ove ha luogo la produzione e/o la trasformazione, le cui qualità «possono essere attribuite» alla sua origine geografica;
    le denominazioni di origine rappresentano la punta di diamante della produzione agroalimentare nazionale capace di trascinare l’export dell'intero settore;
    il nostro Paese in Europa è quello con più prodotti a denominazione di origine protetta (DOP), a indicazione geografica (IGP) e di specialità tradizionale garantita (STG) con 261 prodotti iscritti nel registro dell'Unione europea che rappresentano circa un quarto delle denominazioni riconosciute a livello comunitario;
    il giro d'affari legato alle produzioni DOP e IGP supera solo nel nostro Paese i 7 miliardi di euro per fatturato alla produzione e i 12,6 miliardi di euro per consumo, di cui circa 8,9 registrati sul mercato nazionale. Circa un terzo del volume prodotto è destinato all’export, per un valore di circa 2,5 miliardi di euro. Mentre il valore delle merci contraffatte nel settore alimentare e bevande è pari ad oltre un miliardo di euro, il 15 per cento dell'intera contraffazione rivenuta nel nostro Paese che va dall'usurpazione della denominazione alle sofisticazioni e frodi alimentari;
    i consorzi di tutela dei prodotti tipici hanno come scopo primario la tutela, promozione e valorizzazione dei prodotti italiani. Detti consorzi salvaguardano il prodotto da abusi, atti di concorrenza sleale, contraffazioni ed uso improprio delle denominazioni. Questi ogni anno investono milioni di euro in azioni di vigilanza e tutela;
    le contraffazioni e le frodi alimentari fanno perdere risorse al nostro Paese, risorse che creano indispensabili rapporti commerciali che sono fondamentali per l'economia del territorio;
    il termine «agropirateria» si riferisce alle condotte volte alla contraffazione e frode industriale in campo alimentare. Si distingue in falsificazione degli alimenti ovvero nota come «frode di qualità» dove il prodotto viene modificato con la sostituzione, sottrazione e/o integrazione degli alimenti che lo compongono e falsificazione del marchio ovvero nota come «frode sull'origine» che riguarda la riproduzione abusiva del brevetto secondo il quale l'alimento è prodotto. Una frode alimentare molto diffusa deriva, invece, dalla «falsa indicazione dell'origine per territorio dei prodotti». Sono colpiti, soprattutto, i prodotti italiani a maggior diffusione internazionale a danno ovviamente del made in Italy;
    le frodi e le contraffazioni nel settore agricolo e agroalimentare rappresentano un fenomeno preoccupante e, nonostante l'intensificarsi dei controlli, continuano a svilupparsi in maniera crescente;
    al fine di contrastare e contenere l'illecita attività della contraffazione, il legislatore ha previsto sanzioni sia amministrative che penali per le violazioni che si configurano in condotte illecite poste in essere dagli imprenditori ed operatori commerciali. In ordine alle diverse fattispecie sono state individuate differenti sanzioni;
    in sede di Unione europea il quadro normativo sul riconoscimento delle denominazioni e per la loro tutela è stato istituito, e aggiornato, da molti anni quindi i prodotti DOP e IGP sono riconosciuti e tutelati, mentre in ambito internazionale si rileva l'assenza di regole multilaterali per una loro tutela globale contro l'agropirateria e la mancanza di una disciplina uniforme nel sistema commerciale;
    il regolamento (UE) 1151/2012 del Parlamento e del Consiglio del 21 novembre 2012 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli ed alimentari tutela su tutto il territorio dell'Unione i prodotti registrati come DOP-IGP da ogni tentativo di imitazione, usurpazione, evocazione della denominazione, dall'impiego commerciale diretto o indiretto del nome registrato per prodotti che non abbiano diritto al suo utilizzo, dalle indicazioni false ed ingannevoli relative all'origine di prodotti apparentemente simili ma non registrati, ed, infine, da qualsiasi prassi che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine dei prodotti;
    i fenomeni di contraffazione sui prodotti a denominazioni protette riguardano alcune particolari tipologie di prodotti come ad esempio i formaggi parmigiani e i prosciutti. Nonostante la normativa europea sopra richiamata sia volta a garantire e proteggere la qualità certificata dei prodotti DOP e IGP esistono ancora oggi casi di concorrenza sleale legata ad articoli, anche di provenienza extra europea che circolano indisturbati,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per destinare le risorse derivanti dai fondi delle sanzioni amministrative, applicate in violazione delle norme nazionali di tutela delle dop, igp e stg, direttamente ai consorzi di tutela per promuovere azioni di tutela e vigilanza;
   a potenziare, per quanto di competenza, le capacità di controllo e di repressione a livello nazionale dei fenomeni di contraffazione, tramite un maggiore coordinamento delle forze dell'ordine deputate a tale scopo, in quanto queste talvolta operano in modo concorrenziale e non complementare, al fine di tutelare le denominazioni di origine e di indicazioni geografiche protette;
   a promuovere un potenziamento degli scambi di informazioni tra partner europei e il coordinamento europeo ed internazionale, al fine di rendere più efficaci i controlli a protezione dei nostri prodotti d'eccellenza.
(7-00266) «Caon».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    in Italia l'approccio ai problemi faunistici legati alla proliferazione dei suidi, è condizionato pesantemente da una burocrazia farraginosa e dalla sottovalutazione della dimensione sociale di questo fenomeno, valutato come una faccenda che riguarda solo i singoli agricoltori o allevatori, di fatto lasciati soli a fronteggiare un fenomeno e che in alcune aree del Paese, ha assunto dimensioni preoccupanti;
    la diffusione delle popolazioni di cinghiale interessa molte aree del nostro Paese, anche quelle che per loro natura non ne erano vocate, come i pascoli di alta montagna, provocando gravissimi danni alla rinnovazione delle malghe che date le basse temperature ed il ciclo vegetativo molto breve, si rimarginano con molta difficoltà;
    la proliferazione dei suidi è effetto ed al contempo causa dell'abbandono delle aree agricole e montane da parte delle popolazioni che oltre alla «sofferenza» dovuta alla recente crisi economica, subiscono gravi perdite della produzione che mina la ulteriormente la sussistenza degli agricoltori e delle loro famiglie;
    tale proliferazione risulta particolarmente impattiva a causa dell'irrazionale introduzione a scopo venatorio di esemplari provenienti dal centro Europa che hanno pressoché soppiantato o contaminato incrociandosi, le specie autoctone quali la Sus scrofa majori in Maremma ed il Sus scrofa meridionalis in Sardegna, che morfologicamente ed etologicamente risultavano essere perfettamente integrate e in equilibrio con l'ambiente;
    a differenza di quanto si sia erroneamente ritenuto fino ad oggi, l'ordinaria attività venatoria, così come viene organizzata e gestita in Italia, non rappresenta una forma di controllo delle popolazioni di cinghiale, tantomeno può rappresentarlo un'estensione del periodo di prelievo (deregulation dei calendari venatori) o la concessione del prelievo in aree altrimenti protette. Altresì, l'attività venatoria ha determinato negli anni una destrutturazione della piramide delle classi di età, agevolando la riproduzione degli esemplari più giovani, abbattendo i capi adulti con più di due anni di età;
    molti enti locali confondono l'attività venatoria con quella di controllo che qualora strettamente necessario, deve avvenire sempre con la supervisione degli organi di polizia e di vigilanza competenti e pianificato con gli enti scientifici nazionali, quali l'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), i cui pareri non assumono purtroppo carattere vincolante;
    i metodi di contenimento non cruento, quali le recinzioni meccaniche permanenti e le recinzioni elettrificate (Allegato 1, Metodi di prevenzione diretta dei danni da cinghiale, «Linee guida per la gestione del Cinghiale», ISPRA) ed il trappolaggio per la successiva sterilizzazione farmacologica (Allegato 3, Sistemi di cattura del cinghiale), benché risolutive ed eticamente accettate, non trovano applicazione o perdono di efficacia a causa della mancanza di applicazione da parte degli enti territoriali preposti, di uno schema di piano per la programmazione degli interventi di controllo numerico del cinghiale nelle aree protette (Allegato 2, delle «Linee guida per la gestione del Cinghiale») e della presenza di coadiutori ai piani di controllo numerico del cinghiale, formati secondo lo schema dell'Allegato 4 delle «Linee guida per la gestione del Cinghiale» dell'ISPRA;
    oltre all'ISPRA, altri enti come l'ARSIA (Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione nel settore agricoloforestale) della Toscana, hanno individuato sistemi di contenimento non cruenti delle popolazioni di cinghiali, come riportato nella pubblicazione «I danni causati dal cinghiale e dagli altri ungulati alle colture agricole. Stima e prevenzione», del 1999. Questi metodi purtroppo hanno trovato scarsa applicazione a causa dell'assenza di una pianificazione a livello territoriale da parte degli enti competenti, e per il fatto che i conduttori dei fondi debbano sobbarcarsi gli ingenti oneri economici necessari alla realizzazione degli interventi;
    a seguito dell'incapacità della pubblica amministrazione di affrontare il problema dei danneggiamenti, molti agricoltori sono stati costretti ad affrontare in modo autonomo l'emergenza, ricorrendo all'abbattimento di capi in modo disorganico e in aperta infrazione delle norme costituzionali a tutela della fauna selvatica e benché la giurisprudenza abbia riconosciuto il loro diritto di autotutela, è statistico che l'aumento del numero di cacciatori improvvisati, può aggravare i rischi per la pubblica incolumità legata all'attività venatoria, che ad esempio dal 1o settembre al 25 dicembre 2012 ha causato un totale di 25 morti ed 88 feriti, con 26 vittime tra la gente comune (7 morti e 19 feriti), di cui 9 minori (5 morti e 4 feriti), e 87 tra i cacciatori (18 morti e 69 feriti);
    la legge quadro sulla caccia n. 157 del 1992 e le singole leggi regionali ove emanate, istituiscono un fondo al fine di indennizzare i conduttori di aziende agricole che ne facciano richiesta documentata, con il consiglio regionale che ne regolamenta l'utilizzo. Tuttavia questo piano «no-fault» che dovrebbe rendere quasi scontato l'accoglimento delle domande di risarcimento, trova difficile o impossibile applicazione nelle aree interessate dai danneggiamenti, a causa di lungaggini burocratiche, dell'estrema eterogeneità delle procedure per l'istruzione delle pratiche risarcitorie sul territorio nazionale, nella mancanza di un'assunzione di responsabilità da parte delle autorità degli enti preposti, e nella difficoltà di ottenere dei sopralluoghi condotti da personale qualificato, creando spesso contenziosi a cui corrispondono ulteriori oneri da parte degli agricoltori;
    il mancato rilascio delle certificazioni del danno subito dalle aziende agricole, comporta la mancata registrazione del debito effettivo da parte della regione, ponendola nell'impossibilità di ottemperare al decreto-legge n. 35 dell'8 aprile 2013;
    a seguito delle inefficienze imputabili alla pubblica amministrazione di cui prima, il diritto soggettivo al risarcimento che deve essere integrale, viene impugnato dal danneggiato presso il giudice ordinario per contestare l'applicazione dei criteri di liquidazione da parte delle PA, con tempi di attesa delle sentenze tali da ledere il diritto del soggetto privato, e che ingolfano ulteriormente il sistema giudiziario;
    secondo le stime delle associazioni di categoria, la percentuale di danneggiamento da parte dei suidi, ha superato la soglia di tolleranza fissata al 4-5 per cento di perdita di prodotto, ingenerando un allarme sociale. Tra le regioni più colpite abbiamo il Lazio, con circa tre milioni di euro di danni nel solo 2013, soprattutto nei comprensori di Amatrice, Vallepietra, Bracciano, nel reatino e nel viterbese, la Valle d'Aosta, il Piemonte, le Marche, la Toscana, dove rappresentano il 66 per cento dei danni, nel Molise, in provincia di Campobasso, nell'oasi di monte Vairano e in altre regioni,

impegna il Governo:

   ad intraprendere urgentemente, secondo il principio che la tutela ambientale debba comunque conciliarsi con l'esercizio dell'attività d'impresa, tutte le iniziative tecniche, organizzative e normative, atte a contenere i danni dovuti alla proliferazione dei suidi e i danni alle colture, attenendosi in modo vincolante ai pareri scientifici dell'ISPRA e degli altri enti di ricerca competenti;
   ad avviare, nell'ambito delle proprie competenze e di intesa con le regioni e le province autonome, un monitoraggio nazionale sull'applicazione dell'articolo 10 della legge n. 157 del 1992, e in particolare del comma 8, lettera f), al fine di valutare oggettivamente se siano state messe in atto tutte le misure previste dalla legislazione nazionale in materia di risarcimento dei danni da fauna selvatica agli agricoltori e di assicurarsi che si raggiungano dei risultati omogenei sul territorio nazionale così da garantire, al contempo, la tutela della fauna selvatica e il diritto degli agricoltori di essere risarciti in tempi rapidi e certi;
   a creare con il prossimo piano di sviluppo rurale nazionale, un fondo di solidarietà, come quello per le calamità naturali, per la prevenzione e per il risarcimento immediato dei danni agli agricoltori, evitando in questo modo il fallimento di numerose aziende agricole;
   a verificare l'attuazione e la dotazione del fondo presso il Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 24 della legge n. 157 del 1992 e a constatare se siano stati istituiti fondi regionali per il risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall'attività venatoria, come previsto dall'articolo 26, cagionati delle specie animali indicate negli articoli 2 e 18;
   ad assumere tutte le iniziative normative per scorporare il risarcimento o l'indennizzo per i danni dei suidi, dalla quota massima (nell'arco di tre esercizi fiscali) prevista per gli aiuti delle aziende agricole rientranti nel regolamento de minimis;
   a promuovere bandi per la realizzazione e la manutenzione di strumenti di prevenzione a difesa dei comprensori o di singole proprietà, con le caratteristiche stabilite dagli enti di ricerca preposti, quali ISPRA;
   ad assumere iniziative per vietare ogni ulteriore introduzione per fini venatori di esemplari di cinghiali su tutto il territorio nazionale, attuando o promuovendo azioni concrete per il recupero e la successiva reintroduzione, al termine dell'emergenza, dei suidi autoctoni italiani quali il Sus scrofa majori ed il Sus scrofa meridionalis;
   ad adottare e promuovere, per quanto di competenza, tutte le misure necessarie per prevenire l'ibridazione con i suini allevati al pascolo e quindi iniziative per la regolamentazione di queste forme di allevamento;
   ad assumere iniziative normative volte ad introdurre una moratoria nei confronti dei debiti che i conduttori dei fondi hanno contratto nei confronti della pubblica amministrazione e di tutti gli atti di pignoramento conseguenti, maturati a seguito del mancato reddito causato dal danneggiamento alle colture e ai ritardi degli indennizzi e risarcimenti dovuti;
   ad assumere iniziative normative per rendere più stringente il rilascio delle licenze di caccia, previo il superamento di accurati test psico-attitudinali e di idoneità fisica, visto e considerato che troppo spesso coloro che si approcciano alla pratica venatoria hanno un'età avanzata che però non garantisce pari esperienza, conseguente al raggiungimento di obiettivi formativi in materia faunistica ed ambientale;
   ad intraprendere tutte le iniziative necessarie, anche normative, per vietare la presenza di minori durante le battute di caccia.
(7-00268) «Massimiliano Bernini, Benedetti, Gallinella, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) è stato oggetto di accuse da parte del quotidiano Avvenire e di alcuni esponenti politici del Nuovo centro destra per aver realizzato materiale informativo per docenti delle scuole pubbliche contro tutte le discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere;
   questo materiale informativo è stato realizzato dall'istituto Beck (Istituto di terapia cognitivo-comportamentale) in base a un contratto con il Dipartimento per le pari opportunità del dicembre 2012;
   all'interrogante appare chiaro come ci sia un tentativo politico di bloccare la distribuzione degli opuscoli per impedire la realizzazione di uno dei pochi strumenti disponibili per educare gli studenti al rispetto delle diversità, così come previsto nella strategia nazionale lgbt 2013/2015, fortemente voluta dal Consiglio d'Europa che prevede proprio interventi specifici nelle scuole;
   numerose associazioni per i diritti lgbt – come si legge in note di agenzie stampa – hanno contestato l'attacco portato nei confronti dell'Unar sottolineando come la produzione degli opuscoli sia in linea con gli obiettivi propri dell'Unar che agisce anche in base ad un Protocollo d'intesa tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e pari opportunità;
   l'azione dell'Unar è tra le poche che a livello istituzionale contribuisce a contrastare le discriminazioni conformemente alle linee guida europee;
   anche quest'ennesima deplorevole vicenda dimostra come l'Unar abbia bisogno di operare in condizioni di autonomia e di indipendenza dalle pressioni politiche conservatrici –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per garantire la prosecuzione indispensabile delle attività dell'Unar di educazione alle diversità e quali iniziative intenda porre in essere per garantire l'utilizzo di questi opuscoli – su cui sono state impiegate risorse pubbliche – ai docenti per una opportuna formazione in materia di lotta all'omofobia e alla transfobia;
   se il Governo disponga di un quadro chiaro della necessità di intervenire sui giovani nelle scuole anche in relazione ai dati relativi al fenomeno di bullismo a sfondo omofobico e transfobico e relativi ai casi recenti di tentati suicidi o suicidi.
(2-00413) «Zan, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Migliore, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaratti».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   in data 13 giugno 2013 gli organi di stampa hanno dato notizia dell'avvenuta pubblicazione di tre opuscoli dal titolo «Educare alla diversità a scuola», prodotti a cura dell'istituto Bech e dell'UNAR, ufficio afferente al Dipartimento per le pari opportunità che dipende dalla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   gli opuscoli sono stati pubblicati sotto l'egida e con il logo della «Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità»;
   il contenuto di tali opuscoli si proponeva esplicitamente di «rendere le scuole più aperte e accettanti, scuole delle pari opportunità, che consentano e favoriscano lo sviluppo sano di tutti i ragazzi, indipendentemente dal loro orientamento sessuale; di fornire agli insegnanti gli strumenti per approfondire le varie tematiche legate all'omosessualità, così da diventare essi stessi educatori dell'omofobia»;
   in realtà le «pari opportunità» secondo gli autori dei tre volumetti consisterebbero nell'insegnare a tutti gli alunni, dalle elementari alle superiori, che la famiglia padre-madre-figli è solo uno «stereotipo da pubblicità», che i due generi maschio e femmina sono un'astrazione, che leggere romanzi in cui i protagonisti sono eterosessuali è una violenza, che la religiosità è un disvalore, arrivando al ridicolo di censurare le favole in quanto appiattite sulla presentazione di solo due sessi e non già di sei generi o a proporre problemi di matematica che partono da situazioni in cui operano nuovi modelli di famiglie omosessuali;
   i tre opuscoli si collocano in continuità con precedenti iniziative rieducative dello stesso UNAR, dirette ai professionisti dell'informazione, al personale della scuola e agli studenti di ogni ordine e grado;
   il significato ideologico di tali precedenti iniziative era stato già segnalato con interpellanza degli interpellanti rivolta al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e depositata in data 14 gennaio 2014 alla quale aveva dato risposta il Sottosegretario Marco Rossi-Doria in data 17 gennaio 2014;
   come per le precedenti iniziative dirette agli studenti, anche quella oggetto di tale atto scavalcava ad avviso degli interpellanti deliberatamente la libertà e le scelte educative delle famiglie dei ragazzi;
   di fronte alle proteste e alla richieste di spiegazioni, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha sostenuto di non sapere nulla dell'iniziativa dell'UNAR e, in particolare, di non aver richiesto e in alcun modo approvato la produzione del materiale didattico predisposto dall'UNAR;
   la mancanza di ogni preventivo confronto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stata confermata dal vice-ministro Guerra;
   il Sottosegretario all'istruzione, all'università e alla ricerca Gabriele Toccafondi ha dal canto suo dichiarato in data 15 febbraio 2014 che «Il fatto che gli opuscoli sulla diversità siano stati redatti dall'UNAR e diffusi nelle scuole senza l'approvazione del Dipartimento Pari Opportunità da cui dipende, e senza che il ministero dell'istruzione ne sapesse niente, è una cosa grave, chi dirige UNAR ne tragga le conseguenze» ed ha aggiunto «L'UNAR sembra voler imporre un'impronta culturale a senso unico destando preoccupazione e confusione su tutto il sistema educativo. Una materia così delicata richiede particolare attenzione ai contenuti e al linguaggio utilizzati, a maggior ragione visto che si rivolge a ragazzi di tutte le fasce di età»;
   il Vice Ministro Maria Cecilia Guerra, titolare della delega per le pari opportunità, ha dal canto suo smentito decisamente la paternità dell'iniziativa, dichiarando di ignorarne addirittura l'esistenza, ed ha stigmatizzato il comportamento del direttore dell'UNAR, Marco De Giorgi, criticandone la decisione dallo stesso presa in totale autonomia, giudicando «Non accettabile che materiale dibattito su questi argomenti sia diffuso dagli insegnanti da un Ufficio del Dipartimento Pari Opportunità senza alcun confronto con il Miur»;
   risulta che il direttore dell'UNAR sia stato già oggetto di una «nota formale di demerito» da parte del dipartimento delle pari opportunità, per aver diffuso materiale mai prima approvato e addirittura sconosciuto a chi di dovere –:
   quali iniziative intenda assumere il Presidente del Consiglio dei ministri per rispondere all'allarme educativo creato in molte famiglie dalle iniziative dell'UNAR;
   in qual modo intenda muoversi per ricondurre l'UNAR ai suoi compiti istituzionali evitando per il futuro che tale ufficio possa occuparsi di rieducare gli italiani e in particolare gli studenti al politically correct di quello che agli interpellanti appare il «pensiero unico» delle associazioni LGBT;
   se non ritenga opportuno sostituire urgentemente il direttore dell'UNAR, che secondo gli interpellanti ha abusato della delega ricevuta, sostituendosi all'autorità politica in iniziative che coinvolgono aspetti molto rilevanti della vita sociale e ambiti molto delicati del processo educativo delle giovani generazioni;
   chi abbia autorizzato la spesa di fondi europei generata dalle iniziative del predetto direttore dell'UNAR e, nel caso essa non fosse stata autorizzata, quali iniziative si intendano assumere nei confronti dello stesso funzionario;
   se non intenda risolvere immediatamente il contratto con l'istituto Bach, in essere dal 2012 per evidente uso a fini ideologici del rapporto con la pubblica amministrazione.
(2-00414) «Gigli, Sberna».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRAGA, BORGHI, MARIASTELLA BIANCHI, REALACCI, CARRESCIA, COMINELLI, MARIANI, BRATTI, GADDA, TINO IANNUZZI, MAZZOLI, ZARDINI, ARLOTTI, MANFREDI, GIOVANNA SANNA, GINOBLE, MORETTO e DALLAI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i violenti eventi meteorologici che nelle ultime settimane hanno investito buona parte delle regioni italiane, causando smottamenti, frane e allagamenti, con conseguenti gravi danni alle abitazioni e alle infrastrutture, forti disagi per migliaia di cittadini e purtroppo anche alcune vittime, hanno ancora una volta confermato l'estrema fragilità e il pessimo stato di manutenzione del territorio nazionale;
   i dati del dissesto del territorio sono noti da tempo: l'82 per cento dei comuni è esposto a rischio idrogeologico, sono oltre 5 milioni e 700mila i cittadini che vivono in aree di potenziale pericolo e 1,2 milioni gli edifici che insistono su queste aree. Secondo l'ultimo rapporto Ance Cresme, in poco più di cento anni ci sono stati 12.600 tra morti, dispersi o feriti e più di 700mila sfollati. Tra il 2002 e il 2014 si contano 293 morti, 24 solo l'anno scorso, dal 2002 ad oggi si sono verificati quasi 2.000 episodi di dissesto e ancora più sconcertante è il dato del gennaio 2014: in soli 23 giorni (data dell'ultima rilevazione) si sono registrati 110 episodi in tutto il territorio italiano;
   inoltre, circa una scuola su dieci è in potenziale pericolo perché sorge in aree a rischio frana o alluvione: sono 6.400 edifici scolastici sui 64.800 totali presenti in Italia. Lo stesso discorso vale per gli ospedali, con 550 strutture sanitarie che si trovano in zone a rischio. Non va meglio per quanto riguarda gli stabilimenti industriali, 46mila in territori colpiti dal dissesto che salgono a 460mila se si contano anche uffici e negozi;
   con l'obiettivo di garantire un flusso di risorse costanti e certe per gli interventi di prevenzione del rischio idrogeologico e messa in sicurezza del territorio, la legge di stabilità per il 2014 (articolo 1, comma 7, legge 27 dicembre 2013, n. 147) prevede che il Ministro delegato alle politiche per la coesione territoriale, d'intesa con i ministri interessati, destini quota parte delle risorse del fondo per le politiche di coesione, ai sensi del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, al finanziamento degli interventi di messa in sicurezza del territorio, di bonifica di siti di interesse nazionale (SIN) e di altri interventi in materia di politiche ambientali –:
   quali iniziative siano state assunte la destinazione di una quota significativa delle risorse del fondo delle politiche di coesione, come previsto dall'articolo 1, comma 7, della legge di stabilità 2014, ad interventi di messa in sicurezza del territorio e prevenzione del rischio idrogeologico. (5-02196)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SILVIA GIORDANO, MANTERO, LOREFICE, GRILLO, BARONI, CECCONI, DI VITA e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 ottobre 2012, con deliberazione nr. 223/12, il dottor Antonio Squillante, direttore generale dell'ASL Salerno, deliberava la nomina di direttore amministrativo l'avvocato Annamaria Farano per la durata di tre anni;
   la nomina avveniva in relazione ai requisiti previsti dal comma 7 dell'articolo 3 del decreto-legge 30 dicembre 1992, nr. 502 e ss.mm.ii. che recita testualmente: «il Direttore Amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione»;
   la delibera nr. 223/12 nominava il nuovo direttore amministrativa in accertamento dei requisiti richiesti dal succitato articolo di legge;
   all'Unione sindacale di base non risulta allo stato dei fatti che l'avvocato Annamaria Farano sia in possesso dei requisiti sopra citati ed in particolare rileva che «la predetta nominata è sì dirigente dell'ASL Salerno ma, sin dalla sua collocazione nell'Area dirigenziale, possedeva e possiede il profilo professionale di avvocato e quindi da sempre incardinata nei ruoli professionali dell'Azienda»; risulta inoltre che «l'Avv. Annamaria Farano ha diretto, con un incarico attribuito ai sensi dell’ex articolo 18 del CCNL dell'Area S.P.T.A. 8 giugno 2000, una struttura professionale, cosa diversa da quanto previsto dalla succitata normativa»;
   un ulteriore elemento di presunta irregolarità rispetto al ruolo ricoperto dall'avvocato Annamaria Farano, è rappresentato dalla sentenza emessa dalla corte di appello di Salerno in data 29 novembre 2013 con cui dichiara Farano Anna «colpevole del delitto al capo B) dell'imputazione e, concesse le attenuanti generiche, condanna Farano Anna alla pena di mesi quattro di reclusione e la dichiara interdetta dai pubblici uffici per anni cinque» –:
   di quali elementi disponga il Governo, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari regionali, in merito alla vicenda descritta in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare al riguardo, in considerazione del fatto che le scelte relative al l'affidamento di importanti incarichi dirigenziali nelle aziende sanitarie pubbliche sono destinate a produrre effetti anche sul piano dell'efficienza complessiva della gestione del servizio sanitario regionale e, quindi, della razionalizzazione della spesa;
   se si intendano assumere iniziative normative, nel rispetto dell'autonomia delle regioni, al fine di meglio disciplinare le procedure di selezione per l'affidamento di incarichi come quello di cui in premessa.
(4-03629)


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da circa 2 mesi i territori di Montoro e Solofra, situati in una zona di cerniera tra le province di Avellino e Salerno, nell'Alta Valle dell'Irno, sono interessati da una grave emergenza socio-ambientale. L'alta presenza di TCE (tetracloroetilene) nell'acqua per uso domestico, in pubbliche fontane, proveniente da pozzi di proprietà dell'Alto calore servizi, ha innescato un'emergenza che è solo agli inizi. Infatti, i successivi e diversi controlli effettuati ai pozzi che servono le industrie conciarie, hanno portato alla chiusura di ben dieci opifici per la stessa presenza di sostanze riconducibili al suddetto pericoloso composto chimico. Il tetracloroetilene è un organoclorurato che se versato sul suolo penetra il terreno fino ad interessare la falda, provocando per la sua pesantezza e densità contaminazione di lunga durata;
   da questo preoccupante scenario di natura ambientale e sanitaria deriva anche la ricaduta di gravi problemi nell'ambito socio-economico della zona con ripercussioni sull'apparato produttivo di quel distretto industriale ed i livelli occupazionali già fortemente provati dal perdurare della crisi dei mercati;
   già nel 2004 l'apposita Commissione parlamentare di inchiesta accertò gravi inadempienze nel sistema di depurazione delle acque che la stessa Arpac certificò nel 2007 (se ne può prendere visione grazie allo studio svolto dall'autorità di bacino del Sarno nell'ambito del «Progetto Integrato Parco Regionale dei Monti Picentini»);
   l'opera di risanamento del fiume Sarno, iniziata dall'allora commissario generale Roberto Jucci, proponeva, tra l'altro, il potenziamento e l'ammodernamento degli impianti di depurazione di Solofra (Co.Di.So) e di Mercato San Severino. In maniera inopinata e fuori da ogni logica di sana amministrazione proprio gli ultimi riparti, nel giugno del 2013, destinati alla bonifica del fiume Sarno e alla ridefinizione di un moderno sistema di depurazione integrato, hanno escluso definitivamente il torrente Solofrana ed il distretto della concia di Solofra, che risulta ancora oggi al primo posto per importanza tra quelli manifatturieri del Mezzogiorno;
   nel mentre si è pensato bene di finanziare nel comprensorio montorese, a monte ed a valle del distretto industriale, progetti per 13 milioni di euro derivanti dal piano di sviluppo rurale 2007/2013 recentemente approvati dalla Unione europea, per la costruzione di due mega-vasche di laminazione e per far fronte ad un eventuale quanto improbabile rischio di natura alluvionale, considerato anche il progressivo depauperamento del letto fluviale dei corsi d'acqua in questione;
   l'area interessata da questi interventi insiste su di una superficie di circa 16 ettari, dei quali ben 10 ettari impegnati ad uso agricolo per prodotti tipici e di pregio come il «Carciofo preturese» e la «Cipolla ramata di Montoro», che ha recentemente presentato documentazione per il riconoscimento del marchio IGP;
   questi enormi invasi alla fine rischiano di riempirsi di ogni sorta di rifiuto civile ed industriale ma soprattutto di trasformarsi in appetibili siti incustoditi di scarichi abusivi provenienti dal distretto conciario, quindi altamente tossici, nonché dalle attività illecite della criminalità organizzata;
   occorrerebbe affrontare in termini di urgenza i problemi innanzi esposti rispondendo a tutta questa inerzia e a questo scempio con gli unici gesti riparatori e al momento possibili nei confronti della cittadinanza, ulteriormente preoccupata per l'incremento di malattie tumorali anche in età adolescenziale, con poche ma urgenti misure anche per ridare un minimo di tranquillità e di normalità nell'esercizio dell'approvvigionamento idrico e per intraprendere un percorso che vada verso un serio e duraturo risanamento ambientale dell'area e non alla sua ulteriore e dannosa urbanizzazione;
   sarebbe opportuno recuperare ed armonizzare i finanziamenti regionali ed europei per la bonifica del bacino idrico e fluviale montorese-solofrano soprattutto per la creazione di un moderno sistema di depurazione delle acque che contempli il riciclo delle stesse e un considerevole risparmio in termini di costi e di energia, superando le logiche campanilistiche utilizzate finora per la canalizzazione dei fondi stanziati in maniera distorta ed avulsa dal contesto per i quali erano stati programmati –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito ai risultati delle analisi fisico-chimiche operate negli ultimi 5 anni che, a diverso titolo, sono state realizzate in quest'area;
   se non si intenda promuovere una verifica da parte del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente nell'area in questione. (4-03636)


   PIZZOLANTE. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere:
   quale somma totale sia stata raccolta nel fondo cosiddetto dell'8 per mille dalla sua istituzione (articolo 47 della legge n. 222 del 1985) al 2013;
   quale parte di questa somma sia stata destinata ai beni culturali;
   se non si ritenga di assegnare prontamente le somme che sullo stesso fondo risulteranno disponibili al rimborso dei proprietari di beni culturali (e quindi, in molti casi, alle aziende esecutrici dei lavori interessate) che da più e più anni attendono di essere (parzialmente) rimborsati dallo Stato delle spese – controllate dalle soprintendenze – impegnate per il restauro di detti beni (articolo 35 del decreto legislativo n. 42 del 2004), considerando che, in molti degli stessi casi, parte della somma erogata ritornerebbe allo Stato sotto forma di IVA corrisposta sulle fatture che le aziende precitate emetteranno col pagamento. (4-03645)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il call center rappresenta il principale strumento di informazione e comunicazione per gli utenti dei servizi consolari deciso dalla nostra amministrazione degli esteri, nonostante il parere negativo più volte espresso dalla rete di rappresentanza degli italiani nel mondo: parlamentari, Cgie, Comites e rete associativa e di servizio;
   negli ultimi anni, attraverso atti di sindacato ispettivo, sono state segnalate criticità sui costi di gestione dei call center, sui costi per gli utenti, sui disservizi in tante parti del mondo;
   i nostri connazionali all'estero sono ormai di fatto obbligati ad utilizzare il call center per entrare in contatto con le autorità diplomatiche e consolari italiane;
   il ricorso obbligato al call center non è risolutivo e spesso è necessario ricorrere a tale servizio più di una volta per espletare una pratica;
   in questi giorni, in Australia, si registra l'ulteriore disagio provocato agli utenti della nostra rete diplomatica e consolare a causa dell'improvvisa chiusura della Team Australian Company, società che gestiva il servizio di call center per conto della nostra ambasciata e di tutti i consolati in Australia;
   tale situazione emerge anche da una nota dei consolati italiani in Australia in cui si apprende che il servizio è irraggiungibile dal 1o febbraio 2014 –:
   quali urgenti misure si intendano intraprendere per garantire agli utenti in Australia il ripristino immediato dei servizi di informazione e di contatto con le nostre autorità diplomatiche e consolari indipendentemente dal ricorso alla pratica del call center;
   quali urgenti misure si intendano intraprendere per superare comunque il ricorso al call center per la gestione dell'informazione e comunicazione relativa ai servizi consolari in Australia;
   se si intenda adoperare concretamente affinché i servizi consolari siano accessibili da tutti, senza costi, e in tempi ragionevoli;
   se intenda chiarire quale sia stato il costo per l'amministrazione pubblica italiana relativamente alla progettazione, alla organizzazione ed alla gestione del servizio offerto dalla Team Australian Company.
(4-03644)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMONE VALENTE, BRESCIA e BATTELLI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da numerose agenzie di stampa e quotidiani nazionali pubblicati in data 5 febbraio 2014 si apprende che in seguito ad una serie di controlli e verifiche durata circa 5 mesi, il Coni ha segnalato alla Procura della Repubblica di Roma diversi atti della Federazione Italiana Nuoto apparentemente anomali e sospetti nei quali si paventa un'ipotesi di truffa aggravata dovuta a un doppio finanziamento che avrebbe ricevuto dal Ministero dell'economia e delle finanze e da Coni Servizi spa;
   la regolare verifica svolta dal Coni rientra nei poteri stabiliti dallo stesso Statuto; in particolare, l'articolo 23 disciplina l'attività di indirizzo e di controllo che lo stesso deve esercitare su tutte le federazioni sportive italiane prevedendo, nello specifico, a carico della Giunta nazionale del Coni lo svolgimento di un'attività di vigilanza sul corretto funzionamento «In caso di accertate gravi irregolarità nella gestione o di gravi violazioni dell'ordinamento sportivo da parte degli organi federali, o nel caso che non sia garantito il regolare avvio e svolgimento delle competizioni sportive, ovvero in caso di constatata impossibilità di funzionamento dei medesimi»; l'inchiesta, che rientra pienamente nelle prerogative del Coni, è scaturita da un controllo generale effettuato su tutte le 45 federazioni italiane;
   le prime risultanze rivelerebbero gravi irregolarità nei bilanci della federazione e prendono avvio da due esposti: l'uno presentato da 14 società di nuoto sulla gestione delle vasche dei centri federali, sull'amministrazione del club olimpico nonché sull'assegnazione dei premi da assegnare agli atleti per le medaglie vinte, l'altro presentato in forma anonima rivelerebbe un debito di circa 5.3 milioni di euro della federazione nei confronti dell'Acea, la società che si occupa della vendita di energia elettrica e gas in mercato libero;
   la vicenda ruota attorno ad uno sconto su un debito che Federnuoto avrebbe ottenuto dal Coni consegnando 32 fatture (per un valore pari a 826 mila euro) utilizzate per lavori di manutenzione straordinaria su piscine di proprietà del Coni; fatture che in realtà sarebbero state pagate con soldi pubblici, erogati dallo Stato sulla base di un ingente finanziamento erogato dal Ministero dell'economia e delle finanze nel 2005 e del valore di due milioni di euro spalmato in tre anni per la realizzazione della piscina olimpica di Roma;
   dal canto suo, Federnuoto in riferimento all'impianto sportivo di proprietà di Coni Servizi spa dichiara di aver presentato una parte delle fatture pagate con i soldi dello Stato nell'ambito di una transazione sottoscritta il 9 aprile 2013 con la stessa Coni Servizi spa con cui quest'ultima ha riconosciuto alla federazione 1.500.000 euro per i lavori svolti negli anni precedenti e regolarmente documentati nella piscina del Foro Italico data in gestione alla federazione nel 2006; pertanto la federazione avrebbe ottenuto un contributo governativo che è stato regolarmente impiegato e in aggiunta nel 2013 ha ricevuto un rimborso dalla Coni servizi spa per spese anticipate. Nell'ambito delle opere realizzate negli anni 2005-2012, la Federnuoto avrebbe superato di 1700.000 euro l'importo del contributo statale per le sole opere di manutenzione ed implementazione, anticipando anche spese a carico del Coni per lavori di manutenzione straordinaria indispensabili a garantire il regolare funzionamento dell'impianto natatorio del Foro Italico;
   a ciò si aggiunga anche la questione di alcuni rimborsi per trasferte fantasma attualmente al vaglio del giudice del lavoro di Roma depositati da alcuni dipendenti della federazione che, pur inseriti nell'organico, avrebbero svolto la propria attività lavorativa in nero e successivamente licenziati perché reputati non più necessari;
   quanto alla ipotesi di truffa aggravata, resta il fatto che le indagini adesso sono in mano alla magistratura che sta facendo luce sulla vicenda dal momento che sembrerebbe che quelle fatture non dovevano essere oggetto di rimborso perché parte del finanziamento erogato alla federazione nel 2005 dal Ministero dell'economia –:
   se intendano, i Ministri interrogati, effettuare delle verifiche volte ad escludere un eventuale coinvolgimento dello stesso Coni in termini di responsabilità nella vicenda e ad accertare che non ci sia stata condotta omissiva o comunque una violazione delle previsioni statutarie e di legge;
   se i fondi erogati dal Ministero dell'economia e delle finanze siano effettivamente serviti a svolgere la funzione assegnata dal principio e se sia stata mantenuta una perfetta rispondenza dei costi con le finalità. (5-02198)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   è noto il trattamento barbaro e crudele riservato agli animali utilizzati nell'ambito dell'industria della pelliccia e, ciò non solo per quanto concerne gli allevamenti stranieri, in particolare, i tanto condannati allevamenti cinesi, ma altresì quelli italiani;
   sul punto, difatti, si apprende, tra gli altri, da un articolo del Fatto Ambiente & Veleni, del 6 febbraio 2014, che è stata condotta un'investigazione da «Essere Animali» (Associazione animalista no profit) negli allevamenti situati nelle campagne emiliane e lombarde, le cui pratiche nei confronti degli animali allevati e poi uccisi destano sconcerto per la crudeltà, riproponendo la necessità di adottare misure affinché siano aboliti la cattura e gli allevamenti da pelliccia, a prescindere dalla specie utilizzata e dalle modalità di uccisione;
   per quanto concerne i bianchi conigli d'angora, che hanno un pelo utilizzato soprattutto per produrre capi di alta moda, le immagini crude e spaventose girate dall'associazione animalista «Peta» (People for the Ethical Treatment of Animals) mostrano animali coscienti, appesi su assi di legno, ai quali viene strappata la pelliccia senza alcuna esitazione di fronte agli altri animali, tra grida di dolore;
   ogni tre mesi i conigli subiscono detto trattamento, che si protrae per circa 2-5 anni, mentre, i superstiti, terminato il ciclo di sfruttamento, vengono sgozzati per essere venduti;
   anche durante la permanenza negli allevamenti i conigli d'angora subiscono maltrattamenti psicologici poiché sono tenuti isolati, senza alcun arricchimento ambientale, non possono interagire con gli altri conigli, sono collocati in minuscole gabbie e non possono dedicarsi alla loro attività principale, ossia il foraggiamento;
   è stata poi condotta un'ulteriore investigazione, dalla predetta associazione «Essere Animali», presso gli allevamenti italiani di visoni, dalla quale emerge, anche in tale caso, la vita sofferente che devono condurre tali esseri viventi sino alla barbara morte a cui sono destinati, per l'utilizzo della propria pelliccia;
   a riguardo, risulta che gli allevatori posizionino le gabbie poste in batteria in capannoni posti in aperta campagna, poiché il tasso di umidità alto conferisce una morbidezza maggiore alla pelliccia e trattandosi di animali che in natura sono solitari, negli allevamenti sono, invece, costretti a lottare con altri esemplari per lo spazio (limitato anche per un solo individuo);
   tale convivenza forzata causa stress agli animali, che, tra l'altro, non possono annusare l'erba né nuotare, e ciò comporta un grave malessere trattandosi di animali che per natura sono semiacquatici, pertanto, gli stessi ben presto assumono comportamenti stereotipati, che generano casi di aggressione e automutilazione, quali segnali del forte disagio provato;
   i visoni vengono poi uccisi con dispositivi meccanici che perforano il cervello oppure con l'iniezione letale o con camere a gas prodotte artigianalmente, dove vengono gettati vivi;
   la morte non è immediata, ma lenta e dolorosa, difatti, gli animali lottano fino alla fine, si dibattono, graffiano le pareti per cercare inutilmente una via di fuga e, una volta morti, i corpi vengono lanciati in rulli pieni di segatura, in quanto tale procedimento facilita lo scuoiamento, che consiste nel praticare con un coltello dei tagli tra le zampe posteriori in modo da sfilare agevolmente la pelliccia all'animale;
   la pelliccia viene, in seguito, trattata con agenti chimici per conservarla fino a quando non sarà acquistata dalle case di moda;
   orbene, un Paese civile, dove, secondo il rapporto Eurispes del 2011, l'83 per cento degli italiani dichiara di essere contrario alle pellicce, non può ritenere leciti la cattura, l'allevamento e l'uccisione di animali, attraverso metodi che ingenerano atroci sofferenze e per il soddisfacimento di futili e non necessarie esigenze umane;
   dunque, è d'obbligo revisionare la legislazione nazionale in materia, poiché si ritiene che quella vigente non sia conforme ai principi dell'ordinamento nazionale e comunitario, nonché agli attuali costumi sociali e valori etici;
   si ricorda che il riconoscimento degli animali quali esseri senzienti, e quindi portatori di diritti, è uno dei capisaldi della politica dell'Unione Europea e ha visto due traguardi essenziali, quali la dichiarazione universale UNESCO dei diritti dell'animale, proclamata il 15 ottobre 1978, e il Trattato di Lisbona entrato in vigore dal 1o dicembre 2009, il quale all'articolo 13 prevede che: «Nella formulazione e nell'attuazione delle politiche dell'Unione nei settori dell'agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dello Spazio, l'Unione e gli Stati Membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti»;
   gli animali, dunque, in quanto esseri senzienti devono essere tutelati e protetti, e ogni atto che si pone in contrapposizione a tali principi e che avvenga in assenza di un bisogno essenziale per l'uomo, in una società civile, dovrebbe rientrare nella casistica degli atti di violenza e maltrattamento;
   al riguardo, per comprendere l'importanza del rispetto nei confronti del mondo animale, basti riflettere sul fatto che, alla luce della letteratura scientifica in materia, sono state addirittura esaminate le relazioni che possono sussistere tra taluni disturbi psicologici e psichiatrici dell'uomo e gli atti di violenza ai danni degli animali, individuando significative connessioni tra tali condotte e lo sviluppo contestuale o futuro di disturbi della personalità nell'uomo (Guida alla prevenzione e alla repressione dei maltrattamenti agli animali di Felici Giancarlo – Ferrara Vincenzo – Gentile Daniela – Suaria Maria Morena);
   nel nostro Paese si è assistito negli anni ad un'incisiva evoluzione della normativa concernente la tutela dei diritti degli animali, che ha condotto all'emanazione della legge 20 luglio 2004, n. 189 (disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate) la quale ha introdotto nel libro II del codice penale («Delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume») il titolo IX-bis dedicato ai «Delitti contro il sentimento per gli animali»;
   la predetta legge ha disposto un inasprimento delle sanzioni nel caso dell'uccisione di un animale per crudeltà o senza necessità, nei casi di maltrattamento e di abbandono, ma anche qualora gli animali siano utilizzati per i combattimenti clandestini e competizioni non autorizzate, nonché qualora gli animali siano mantenuti in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze;
   ebbene, negli allevamenti di animali da pelliccia non solo tali esseri viventi sono mantenuti in condizioni che recano loro gravi disagi e sofferenze ma, altresì, vengono allevati al solo scopo di sopprimerli attraverso tecniche crudeli, in mancanza di un requisito di «necessità» (come richiesto dalla legge n. 189 del 2004) che possa, in qualche modo, giustificare tali pratiche;
   la pelliccia non è un bene necessario né utile, ed invero, di frequente viene commercializzata, meramente, per la decorazione di capi ed accessori di abbigliamento; inoltre, si mette in evidenza che, nella società odierna è possibile realizzare capi di abbigliamento con tessuti e materiali simili a quelli di origine animale;
   l'allevamento di animali per la produzione di pellicce già è stato limitato, sino a divenire vietato, in molti Paesi: dal 2000, la Gran Bretagna ha abolito gli allevamenti poiché ritenuti crudeli; l'Olanda ha vietato dal 1995 l'allevamento delle volpi e dei cincillà e il 18 dicembre 2012, ha disposto il divieto di allevamento di tutti gli animali qualora il principale fine sia quello di utilizzare le loro pellicce (divieto effettivo dal 2024); l'Austria ha approvato tale divieto dal 2004; la Danimarca dal 2009 e limitatamente alle volpi (bando vigente a partire dal 2024); l'Irlanda del nord e Scozia dal 2003; la Croazia dal 2007 (bando vigente a partire dal 2017); la Bosnia dal 2009 ha vietate l'allevamento di qualsiasi specie di animali per la produzione di pellicce (bando vigente a partire dal 2018); ed ancora, Svizzera, Svezia, Bulgaria e Germania hanno approvato incisive limitazioni a tali attività;
   in Italia l'approvazione del divieto di cattura ed allevamento di animali per la produzione di pellicce appare un passo obbligato, anche considerando che le è riconosciuto il primato, nell'ambito dell'Unione europea, rispetto ai brevi tempi di approvazione della legge n. 189 del 2004, che prevede all'articolo 2 il divieto di commercio di pellicce di cani e di gatti, altresì tale primato le è riconosciuto nell'avere bandito prodotti derivanti dalla caccia commerciale delle foche;
   ed ancora, deve essere considerato il grave impatto ambientale determinato dall'industria della pelliccia come si evince dallo studio del ciclo produttivo di questo settore, pubblicato nel 2011 dalla Lav (Lega anti vivisezione), dal quale si apprende che l'industria della pelliccia contribuisce all'avvelenamento di aria e acqua, al consumo energetico, nonché al cambiamento climatico, a causa sia dell'alimentazione che delle deiezioni degli animali;
   inoltre, per la lavorazione di pellicce vengono utilizzati cromo, formaldeide e diverse sostanze chimiche tossiche e cancerogene, sicché, nel prodotto finito possono rimanere i residui di queste sostanze;
   pertanto, la pelliccia oltre ad essere tossica per l'uomo ed a impoverire lo strato di ozono, è causa di una serie di fattori ambientali la cui commistione provoca impatti da 2 a 28 volte superiori rispetto a prodotti tessili alternativi, anche sintetici;
   deve, infine, essere considerato che in Italia l'allevamento di animali per la produzione di pellicce non è mai stata un'attività di rilevante peso economico e negli ultimi 40 anni ha registrato una costante tendenza alla contrazione;
   ad oggi, le attività economiche non possono prescindere dal rispetto di criteri ambientali, sociali ed etici e la cattura e l'allevamento di animali, al fine di sopprimerli ed utilizzarne la pelliccia, rappresenta un'attività commerciale che si pone in contrapposizione ai predetti criteri, pertanto, deve essere urgentemente vietata –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in merito a quanto premesso;
   se e quali iniziative intenda intraprendere il Ministro affinché sia disposto il definitivo divieto di cattura e allevamento di animali, qualunque ne sia la specie, per la produzione di pellicce, posto che la pelliccia oltre a non essere un bene «necessario», è il risultato di un processo produttivo che provoca gravi danni all'ambiente e si pone in contrapposizione con principi di responsabilità sociale, etica e benessere animale;
   quali siano le specifiche motivazioni, qualora il Ministro interrogato non ritenga di dovere adottare provvedimenti al fine di pervenire al definitivo divieto di cattura e allevamento di animali per la produzione di pellicce.
(2-00412) «Rizzetto, Gagnarli, Tacconi, Corda, Benedetti, Cristian Iannuzzi, Zolezzi, Busto».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in Italia, con la nascita di CONAI (1997), si è determinato il passaggio da un sistema di gestione basato sulla discarica a un sistema integrato basato sul recupero e sul riciclo dei materiali da imballaggio;
   CONAI, Consorzio nazionale imballaggi, è un consorzio privato senza fini di lucro, cui aderiscono circa 1.000.000 imprese, produttrici ed utilizzatrici di imballaggi, che ha la finalità di perseguire gli obiettivi di recupero e riciclo dei materiali di imballaggio previsti dalla legislazione europea e recepiti dalla normativa italiana, attraverso il decreto Ronchi, poi modificato con il decreto legislativo n. 152 del 2006;
   CONAI indirizza l'attività di 6 consorzi di filiera rappresentativi dei materiali utilizzati come materie prime per la produzione di imballaggi (acciaio, alluminio, carta, legno, plastica vetro);
   ogni consorzio di filiera ha un proprio assetto organizzativo ed un proprio bilancio;
   principale strumento utilizzato per garantire il raggiungimento degli obiettivi di riciclo e recupero dei rifiuti di imballaggio è l'Accordo quadro ANCI-CONAI;
   si tratta di un accordo siglato da CONAI e dall'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) per la definizione delle condizioni tecniche ed economiche di ritiro dei rifiuti di imballaggio conferiti dai comuni che organizzano la raccolta differenziata sul proprio territorio, direttamente o tramite società di gestione dei rifiuti;
   in base a questo accordo quadro, i consorzi di filiera stipulano convenzioni a livello locale con i Comuni e le società di gestione dei servizi di raccolta differenziata, al fine di assicurare il ritiro e la valorizzazione degli imballaggi;
   l'ultimo accordo è scaduto il 31 dicembre 2013 ed è stato prorogato fino al 31 marzo 2014 in attesa di un nuovo accordo;
   le principali voci che compongono costi e ricavi del sistema sono, per quanto riguarda i ricavi:
    a)  il Contributo Ambientale (CAC);
    b) i ricavi derivanti dalla valorizzazione dei materiali;
   per quanto riguarda i costi:
    a) i corrispettivi erogati ai comuni per il ritiro degli imballaggi;
    b) i Costi per l'avvio a riciclo;
    c) i Costi di struttura;
   il Contributo ambientale applicato su ogni tipologia di imballaggio (carta, vetro, plastica, alluminio, acciaio e legno) viene attribuito dal CONAI al consorzio di riferimento che poi utilizza questi soldi per acquistare dai comuni i rifiuti differenziati dai cittadini;
   a decidere l'entità del «contributo ambientale», che il CONAI incassa dai propri consorziati, è lo stesso CONAI; infatti, in base all'articolo 224, comma 3, lettera h), decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni, è lo stesso CONAI che «determina e pone a carico dei consorziati (...) il contributo denominato contributo ambientale Conai»;
   questa decisione, in particolare, spetta al consiglio di amministrazione che è composto in gran parte da imprenditori che producono o utilizzano imballaggi;
   il presidente del consiglio di amministrazione è Roberto De Santis, ex Presidente del gruppo Enichem poi ci sono, in qualità di consiglieri: Piero Perron, Presidente Heineken Italia spa; Pietro Raffaele Capodieci, presidente Astra Spa (commercio ingrosso carta e cartone), amministratore unico Capodieci & Partners Srl, presidente GPP Industrie Grafiche Srl (fabbricazione carta e cartone), consigliere Modiano carte da gioco spa, consigliere Pop Italian design Srl (fabbricazione imballaggi materie plastiche); Marco Pagani, vice Presidente Ecolight consorzio (recupero e preparazione per il riciclaggio dei rifiuti solidi urbani, industriali, biomasse), vice presidente Ortofrutta Italia associazione; Fausto Crema, presidente gruppo rilegno riciclaggio (recupero e preparazione per il riciclaggio dei rifiuti solidi urbani, industriali e biomasse), amministratore unico Mastropack Srl (fabbricazione imballaggi in legno); Maurizio Crippa, consigliere BIS Srl (immobiliare beni propri), consigliere Bonaiti serrature Spa (fabbricazione serrature), consigliere Certiquality Srl (controllo sistemi di qualità e certificazione prodotti, gruppo Federchimica), consigliere collegio Alessandro Volta Spa (gruppo Opera diocesana preservazione e diffusione della fede), amministratore unico Lario Reti Gas Srl (distribuzione gas); Cesare Maffei, vice presidente CIAL Consorzio imballaggi alluminio; Maurizio Amadei, Presidente consorzio nazionale per la raccolta il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti di imballaggi in acciaio; Ettore Fortuna, consigliere Corepla consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero degli imballaggi in plastica, ex consigliere Ferrarelle Spa; Luca Fernando Ruini, procuratore speciale Barilla G.e R. fratelli Spa (pasta); Giuseppe Rossi, consigliere ed ex presidente Corepla (recupero imballaggi in plastica), presidente Coreve (consorzio recupero vetro), presidente Zignago Vetro Spa (fabbricazione di vetro cavo);
   il fatto che siano gli stessi produttori a decidere quanto pagare rappresenta, secondo l'interrogante evidentemente, una anomalia per il corretto funzionamento del sistema, cioè per il suo funzionamento a vantaggio dei cittadini. È infatti palese il conflitto di interessi;
   a decidere, invece, quanto il CONAI deve versare ai comuni (e quindi ai cittadini) a titolo di corrispettivo per l'acquisto dei rifiuti differenziati è il comitato di coordinamento ANCI-Conai;
   da una relazione pubblicata dall'Associazione comuni virtuosi in collaborazione con la Esper, risulta che nel 2011 su 813 milioni di euro di contributi incassati, il CONAI ne ha «girati» ai comuni circa 297, pari al 37 per cento;
   in Francia, invece, il consorzio analogo ha girato ai comuni il 92 per cento dei contributi. Se in Italia funzionasse come in Francia, è lecito pensare che i comuni italiani incasserebbero quasi il triplo per la vendita dei rifiuti differenziati e, di conseguenza, i cittadini pagherebbero tasse – come la Tarsu o la Tares – decisamente inferiori;
   dal bilancio 2012 del CONAI si apprende, poi, che i contributi ambientali per il 2012 sono addirittura scesi a circa 387 milioni di euro e che «tale decremento è legato, principalmente, alle variazioni al ribasso intervenute, in corso d'anno, nel valore del Contributo Ambientale»;
   sempre dal bilancio 2012, con riferimento a carta e cartone, si legge: «negli ultimi due anni (...) il valore del Contributo ambientale CONAI è passato da 22,00 euro/ton di inizio 2011 a 10,00 euro/ton di fine 2012 e a 6,00 euro/ton a partire dal 1o aprile 2013»;
   ed infine: «già nella seconda metà del 2011 e poi nel corso del 2012, il Consiglio di Amministrazione CONAI è intervenuto più volte per rivedere al ribasso i valori del Contributo Ambientale»;
   si tratta di variazioni al ribasso dei contributi ambientali che implicano, potenzialmente, maggiori oneri per le finanze comunali, aprendo la strada all'innalzamento della tassazione a carico dei cittadini;
   alla luce dell'evidente conflitto di interessi sussistente, in quanto la determinazione dell'entità dei contributi ambientali spetta al consiglio di amministrazione che è composto in gran parte da imprenditori che producono o utilizzano imballaggi, sarebbe necessario assumere iniziative per garantire effettiva calmierazione dei contributi medesimi, a tutela degli interessi dei cittadini contribuenti –:
   se il Ministro interrogato intenda ottenere chiarimenti in merito alle ragioni della revisione al ribasso dei contributi ambientali e, ciò, anche in vista della rinegoziazione dell'accordo quadro ANCI-CONAI in scadenza il 31 marzo 2014;
   se intenda assumere iniziative, per quanto di propria competenza, affinché i contributi versati dalle imprese per l'immissione sul mercato degli imballaggi possano essere allineati agli standard europei. (5-02197)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NICCHI e ZAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la messa in sicurezza del territorio italiano deve essere una delle priorità assolute del Governo italiano;
   il territorio italiano ed in special modo quello toscano sono funestati da continue annuali alluvioni e frane. I costi della mancata manutenzione del territorio sono stati valutati in 3,5 miliardi di euro l'anno. Secondo il rapporto Ance-Cresme, un piano nazionale per la messa in sicurezza del territorio richiederebbe un investimento annuo di 1,2 miliardi di euro per vent'anni;
   il presidente della regione Toscana Enrico Rossi ha dichiarato «lo Stato di emergenza per le zone colpite dall'alluvione»; il medesimo ha sostenuto: «... chiederemo al governo di mettere un po’ di soldi per la sicurezza idraulica. Servirebbero almeno 2 miliardi, che potrebbero essere recuperati dal rientro dei capitali illegalmente esportati all'estero. Noi, in Toscana, con le sole nostre forze, dal 2010 ad oggi abbiamo fatto interventi di prevenzione per 250 milioni. Se il presidente del Consiglio Letta ci desse una mano, nel 2014 potremmo fare investimenti per ulteriori 100 milioni» dato che «per la sicurezza e la tutela del territorio occorre passare dall'emergenza alla prevenzione». Il presidente Rossi ha affermato anche che la Toscana ha fatto scelte fondamentali in tale senso istituendo il divieto di edificazione assoluta nelle aree ad elevato rischio idraulico, approvando in Giunta la nuova legge sul governo del territorio che istituisce il divieto di edificazione nelle aree agricole della Regione, approvando in prima seduta il piano paesaggistico, riordinando le competenze sui fiumi e i corsi d'acqua. Lo stesso ha invitato «i sindaci delle zone disastrate a fare il prima possibile i lavori di somma urgenza e poi, se non ci sono soldi, a chiedere il conto a Roma, al Governo nazionale», dato che «la Regione Toscana è quella che ci ha messo più risorse. Anticipando 16 milioni per i danni subiti nel 2013, così come i fondi per il novembre del 2012»;
   a gennaio 2014 la Coldiretti ha posto nuovamente l'attenzione sui rischi idrogeologici del territorio della Toscana ed in modo particolare di quello di Pistoia (il 98 per cento dei comuni), sottolineando una situazione non più tollerabile, sia per i rischi diretti alla vita e ai beni delle persone, sia per l'assoluta incertezza prodotta all'attività economica pistoiese, e in particolare alle aziende agricole e affermando che al cambiamento climatico non è stato contrapposta una adeguata manutenzione ordinaria del territorio;
   a dicembre 2013 la giunta della regione Toscana ha approvato il documento annuale per la difesa del suolo in cui sono stati previsti 110 opere volte a mitigare il rischio idraulico e idrogeologico per oltre 50 milioni di euro (a fronte dei 30 milioni di euro che stanzierà il Governo per tutto il Paese); i 106 interventi inseriti nel documento sono stati selezionati in relazione alla loro efficacia rispetto alla mitigazione del rischio e sulla base delle caratteristiche di cantierabilità, visto che i lavori dovranno partire nel 2014. Il maggior numero di interventi (51 per oltre 25 milioni di euro) riguarda il bacino dell'Arno, 35 si riferiscono al bacino Toscana nord e 20 al bacino Toscana sud e costa. 46 interventi di progettazione, per un totale di 2 milioni e 451.000 euro, riguardano in 12 casi il bacino dell'Arno, in 24 il bacino Toscana nord e in 10 il bacino Toscana sud e costa;
   il rischio idraulico legato al bacino dell'Arno è considerato una priorità assoluta per il documento sulla difesa del suolo. Per quest'area sono ammessi a finanziamento 51 interventi su un totale regionale di 106 e sono ammesse a finanziamento 12 attività di progettazione ed indagini su un totale regionale di 46;
   ad ottobre 2013 Gaia Checcucci, segretario dell'autorità di bacino dell'Arno, aveva affermato che «lo stato dell'arte è migliorato ma non mi considero soddisfatta se penso che ci sono a disposizione 104 milioni di euro del famoso accordo del 2005 per la messa in sicurezza di tutto il corso del fiume. E si tratta delle priorità rispetto al complesso degli interventi contenuti nella pianificazione del piano rischio idraulico del 1999. Rispetto a 104 milioni, solo il 50 per cento è stato utilizzato perché mancano ancora alcune progettazioni definitive e soprattutto siamo indietro con la realizzazione delle opere, dovendo recuperare un ritardo storico e superare complessità e burocrazia che tutt'ora rallentano la realizzazione di queste opere»; la stessa ha dichiarato che «C’è bisogno dell'assunzione di responsabilità da parte di tutti per la più grande opera strategica infrastrutturale del nostro Paese, che è la lotta al dissesto idrogeologico con l'Arno che continua ad essere la seconda emergenza nazionale dopo il Vesuvio. A fronte di ciò occorrerebbe, oltre ad allentare i vincoli del Patto di Stabilità, una legge speciale che consenta di ridurre tempi e procedure autorizzative e di appalto per questo tipo di interventi»;
   le alluvioni che hanno interessato la Toscana nell'autunno del 2013 hanno causato danni per almeno 100 milioni di euro. Le zone colpite hanno riguardato tutta la Toscana ad eccezione di Livorno, con numerose criticità che interessano la Mediavalle lucchese, la Garfagnana, Volterra, le province di Arezzo, Firenze, Siena e il bacino dell'Ombrone pistoiese;
   a dicembre 2010 il piano di manutenzione straordinaria dei consorzi di bonifica indicava in circa 750 milioni di euro il fabbisogno per la messa in sicurezza delle opere gestite dai Consorzi del territorio toscano;
   secondo il sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti Erasmo D'Angelis, sono oltre 500 milioni di euro i danni causati dalla alluvioni degli ultimi due anni in Toscana, di questi lo Stato ne ha riconosciuti 150 e versati solo 50;
   per i lavori di somma urgenza, quelli cioè finalizzati all'eliminazione di uno stato di pericolo per la pubblica incolumità a prescindere dalla disponibilità della copertura finanziaria, la legge consente di derogare alle normali procedure nel caso di eventi imprevedibili e imprevisti –:
   quali soluzioni finanziarie, per quanto di competenza, intenda mettere in campo il Governo per la messa in sicurezza del territorio toscano non solo per fronteggiare l'emergenza contingente ma per la cura e la manutenzione ordinaria del territorio in modo da scongiurare future ulteriori catastrofi in un'area che presenta molte fragilità ambientali.
(4-03632)


   CIMBRO, SENALDI, GADDA, SIMONI, TARANTO, BONAFÈ, DANIELE FARINA, FAVA, KRONBICHLER, LACQUANITI, FRANCO BORDO, LAFORGIA, BIFFONI, GIANNI FARINA, MARANTELLI, STUMPO, AIELLO, NARDI, PLACIDO, VERINI, ANDREA ROMANO, RABINO, ASCANI, BOSCO, GAROFALO, MICCOLI, BENAMATI, GIULIANI, PARIS, VENITTELLI, BASSO, TINO IANNUZZI, IMPEGNO, MARAZZITI, MARIANO, DI GIOIA, GUTGELD, CAUSI, GIUDITTA PINI, BERLINGHIERI, MAURI, SCUVERA e TARTAGLIONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 maggio 2011 l'ENAC ha presentato, ai sensi dell'articolo 23 e seguenti del decreto legislativo 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale per il Nuovo master plan dell'aeroporto di Milano Malpensa;
   gli interventi previsti sono: ampliamento del sedime aeroportuale; potenziamento del sistema infrastrutturale dell'aeroporto mediante la realizzazione di una terza pista; ampliamento e riconfigurazione delle aree terminali dedicate al trasporto commerciale sia sul lato airside che landside in funzione delle previsioni di crescita; ampliamento dell'area dedicata al trattamento merci e realizzazione di un «parco logistico» di supporto all'intero contesto territoriale; razionalizzazione e potenziamento delle attività complementari al trasporto aereo;
   a progetto già depositato, SEA ha provveduto a integrare lo studio di impatto ambientale in data 20 giugno 2012 con delle «Integrazioni volontarie», e il 30 novembre 2012 con dei «chiarimenti» a seguito del contraddittorio tra le parti, ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, avvenuto il 18 settembre 2012;
   ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni sono state inviate osservazioni contenenti 1054 argomenti di contrarietà al progetto sottoscritte da cittadini, associazioni e comitati;
   numerose delibere di contrarietà sono state espresse dall'assemblea del parco del Ticino e da numerosi enti locali del territorio;
   le previsioni di traffico presentate da SEA come unica motivazione dell'ampliamento dell'aeroporto sono secondo gli interpellanti palesemente sovrastimate. Tali previsioni sono, allo stato, smentite dai dati reali; attualmente l'Aeroporto di Malpensa sta lavorando al 50 per cento delle proprie potenzialità: i dati di traffico su cui si basa il master plan di Malpensa sono obsoleti in quanto lo scenario alla base del master plan stesso è antecedente l'abbandono di Malpensa da parte di Alitalia; in questi anni il traffico a Malpensa è crollato da 24 milioni di passeggeri del 2007 a meno di 18 milioni del 2013; le previsioni di SEA pubblicate nel 2011 si sono dimostrate errate e non realistiche; SEA prevedeva per il 2012 un aumento di +5,6 per cento (movimenti) e +4,6 per cento (passeggeri) e invece si è registrato a -8,4 per cento (movimenti) e -4 per cento (passeggeri); SEA prevedeva per il 2013 un aumento di +5,2 per cento (movimenti) e +4,6 per cento (passeggeri) ed invece si è registrato a -6,1 per cento (movimenti) e -3,5 per cento (passeggeri). (Dati gennaio-novembre 2013, i dati ufficiali di dicembre 2013 non sono ancora stati pubblicati);
   ad oggi, l'unico parere positivo al progetto di espansione denominato «Nuovo Master Plan Aeroportuale dell'aeroporto di Milano Malpensa», è stato deliberato da regione Lombardia con d. giunta regionale n. X/13 del 3 aprile 2013;
   la comunità del parco Ticino formata da 47 comuni e 3 province ha all'unanimità deliberato con propria delibera n. 12 del 21 giugno 2013 di richiedere la revisione della delibera regionale X/13 con la quale regione Lombardia ha espresso il proprio parere nei confronti del master plan di Malpensa;
   l'area interessata dall'ampliamento del sedime aeroportuale è una zona naturalisticamente importante sia per la presenza di habitat di interesse comunitario (4030 Lande secche europee ossia brughiere, 6510 Praterie magre, 9160 Querceti di Farnia, 9190 Querceti acidofili con Quercus Robur), sia per la presenza di numerose specie animali tutelati e protetti da apposite direttive come la direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009 concernente la conservazione degli uccelli selvatici;
   in relazione alla situazione di danno ambientale del SIC Brughiera del Dosso IT2010012, causato dal sorvolo degli aerei in decollo dall'aeroporto di Malpensa, la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l'Italia per violazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche («direttiva habitat»), con l'invio di una lettera di messa in mora all'Italia in data 22 giugno 2012 (Riferimento procedura n. 2012/4096);
   la presenza di habitat di interesse comunitario e di popolazioni significative di specie di interesse comunitario hanno portato in data 25 ottobre 2011 il Parco Ticino a inoltrare richiesta ufficiale a regione Lombardia, e per conoscenza al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e all'Unione europea, per l'istituzione di un nuovo sito di importanza comunitaria e zona di protezione speciale denominato «Brughiere di Malpensa e di Lonate»;
   tale richiesta è stata recentemente supportata dall'aggiornamento, così come richiesto da regione Lombardia, degli studi del parco Ticino datato Novembre 2013, che riconosce oltre ogni dubbio la valenza europea della zona denominata «Brughiere di Malpensa e di Lonate» tale da rendere «dovuto» il riconoscimento SIC/ZPS della stessa;
   il riconoscimento SIC/ZPS dell'area denominata «Brughiere di Malpensa e di Lonate» potrebbe generare un effetto compensazione tale da portare alla chiusura della procedura di infrazione n. 2012/4096 attualmente aperta per il SIC Brughiera del Dosso;
   in data 29 marzo 2013, ENAC, a seguito di vari incontri tenutisi con il gruppo istruttore della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (CTVA), ha chiesto una sospensione di nove mesi del procedimento di valutazione di impatto ambientale, al fine di approfondire e risolvere le problematiche progettuali legate allo sviluppo del quadro infrastrutturale della macro-area di riferimento e che la DVA con nota dell'11 aprile 2013 ha concesso la sospensione del procedimento valutazione di impatto ambientale;
   con nota del 30 dicembre 2013 ENAC ha richiesto un'ulteriore proroga di sei mesi e al momento la DVA sta predisponendo una risposta in merito, in cui chiedere motivazioni più specifiche sulla richiesta di proroga, in quanto non sufficientemente motivata e seguente ad una serie di svariate integrazioni già presentate dal proponente nel corso degli anni –:
   quali siano gli intendimenti del Ministro interpellato riguardo alle continue e non consuete proroghe della procedura di valutazione di impatto ambientale anche in relazione alle numerose osservazioni di contrarietà espresse dal territorio e certamente in buona parte condivise dalla commissione tecnica VIA/VAS;
   quali siano gli intendimenti del Ministro interpellato riguardo agli aspetti scientifici e biologici relativi alla perdita di una zona naturalisticamente importante tanto da essere considerato ad oggi un possibile sito di interesse comunitario, sapendo inoltre che la conseguenza di questa perdita potrebbe portare ad una nuova procedura di infrazione da parte della Comunità europea. (4-03637)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in località Borgo Venusio a Matera sorge l'impianto I.L.A. Valdadige S.r.l. specializzato nella produzione di laterizi;
   l'impianto sorge nell'abitato di Venusio a soli 600 metri di distanza dalle abitazioni civili (il borgo conta oltre 500 abitanti) e nelle vicinanze di prese idriche destinate al consumo civile e agricolo;
   lo stabilimento di laterizi utilizza nel processo di combustione tra l'altro il pet-coke, un misto di idrocarburi e di metalli pesanti;
   i cittadini e gli operatori dell'area materana denunciano da settimane la presenza di aria irrespirabile nelle vicinanze dell'impianto a causa della combustione del pet-coke e da giorni presidiano, anche di notte, lo stabilimento della Valdadige;
   occorre verificare la correttezza delle autorizzazioni ed i sistemi di monitoraggio e di controllo dell'impianto di Venusio per evitare danni alle persone ed all'ambiente –:
   se ritenga opportuno assumere un'iniziativa ispettiva, per il tramite del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, diretta a verificare la situazione descritta in premessa. (4-03646)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BATTELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi molte testate giornalistiche, nelle pagine dedicata alla cultura, hanno pubblicato articoli relativi agli aiuti previsti dalla legge a favore del cinema italiano, precisando alcuni titoli destinatari dei finanziamenti statali;
   tali aiuti sono costituiti sia dall'erogazione di finanziamenti statali finalizzati alla realizzazione dei film, sia da sgravi fiscali dei costi di produzione, il tax credit, che dal beneficio di uno scudo fiscale per la parte di utili investiti nella produzione e nella distribuzione cinematografica, il tax shelter;
   un articolo pubblicato il 9 gennaio 2014 da «La notizia» riporta anche titoli di film che, pur beneficiari di finanziamenti statali, non sono mai arrivati nelle sale;
   il decreto ministeriale 8 febbraio 2013 «Modalità tecniche di erogazione e monitoraggio dei contributi percentuali sugli incassi realizzati in sala dalle opere cinematografiche», all'articolo 6, disciplina le ragioni e le modalità della revoca dei contributi statali erogati;
   tra le motivazioni di revoca non viene considerata la mancata realizzazione e/o commercializzazione della pellicola e soprattutto il comma 4 prevede che «Il provvedimento di revoca comporta l'inammissibilità, per i successivi cinque anni, di ogni successiva istanza finalizzata all'ottenimento dei benefici a carico dello Stato, presentata dal destinatario» tacendo riguardo ogni eventuale richiesta di restituzione –:
   se siano note le motivazioni per cui i film destinatari degli aiuti non sono ancora presenti nelle sale;
   quale sia l'effettivo utilizzo dei fondi finanziati per i film destinatari degli aiuti e non ancora presenti nelle sale;
   come intenda intervenire per evitare che i finanziamenti dedicati al cinema possano costituire una sorta di indebito guadagno da parte dei beneficiari;
   come intenda intervenire per evitare che tali soggetti beneficino degli sgravi fiscali previsti. (5-02191)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca d'Italia è stata istituita con la legge n. 449 del 10 agosto 1893 in forma di società anonima (in seguito alla fusione tra la Banca nazionale del Regno d'Italia, la Banca nazionale Toscana, la Banca toscana di credito per le industrie e il commercio d'Italia ed alla liquidazione della Banca romana);
   nel 1936, con regio decreto-legge n. 375 del 1936 (cosiddetta legge bancaria del 1936), è stata trasformata da società anonima ad istituto di diritto pubblico, con il compito di vigilare sulle banche italiane ed il potere di emettere moneta;
   per effetto della pubblicizzazione, la partecipazione al capitale della Banca d'Italia veniva limitata ad istituti di diritto pubblico o banche di interesse nazionale controllate indirettamente dallo Stato (attraverso l'IRI);
   tuttavia nel 1993, in seguito al processo di privatizzazione delle banche pubbliche italiane, gli istituti di diritto pubblico e le banche di interesse nazionale partecipanti al capitale sociale di Banca Italia venivano trasformati in società per azioni divenendo, quindi, soci privati della nostra Banca centrale;
   a partire da quel momento si è realizzato il paradosso di una Banca centrale, cioè un istituto formalmente di diritto pubblico, con azionisti privati;
   la spinosa questione della proprietà del capitale della Banca d'Italia è stata quindi affrontata dalla legge 28 dicembre 2005. n. 262, che rimetteva ad un regolamento governativo, da emanarsi entro tre anni dall'entrata in vigore della legge, la ridefinizione dell'assetto partecipativo dell'Istituto;
   tale regolamento, in particolare, avrebbe dovuto disciplinare le modalità di trasferimento delle quote in possesso dei «soggetti diversi dallo Stato o da altri enti pubblici» (articolo 10, legge n. 262 del 2005);
   il termine fissato dalla legge n. 262 del 2005 è tuttavia venuto a scadenza senza che fosse emanato il regolamento: ad oggi, pertanto, soci privati continuano a partecipare al capitale sociale della nostra Banca Centrale;
   il problema della proprietà mista, pubblica e privata, del capitale sociale della Banca d'Italia si è riproposto in seguito al decreto-legge 27 novembre 2013, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 2014 n. 5 (cosiddetto decreto Imu-Bankitalia);
   con il predetto provvedimento è stata autorizzata la rivalutazione delle quote di Bankitalia, mediante il computo delle sue riserve statutarie, per un valore di 7,5 miliardi di euro; per effetto di questa rivalutazione contabile, i soci privati di Bankitalia hanno beneficiato di una plusvalenza di almeno 2,3 miliardi di euro;
   questa operazione di rivalutazione, secondo fonti stampa, sarebbe avvenuta anche mediante il computo delle sue riserve auree: infatti nello stato patrimoniale dell'istituto di via Nazionale (a pagina 260 dell'ultima relazione annuale) sono inseriti all'attivo oro e crediti in oro per 99,4 miliardi di euro;
   si tratta di 2450 tonnellate di lingotti d'oro, le terze riserve auree più grandi nel mondo per dimensione, dopo quelle di Stati Uniti e Germania;
   eppure, ad avviso dell'interrogante, questa operazione di rivalutazione non sarebbe ammissibile, essendo avvenuta mediante il computo delle riserve statutarie, che sono indisponibili in quanto di esclusiva pertinenza dello Stato;
   ancora maggiori perplessità suscita la circostanza che la rivalutazione sarebbe avvenuta anche mediante il computo delle riserve auree;
   al riguardo si osserva che, poiché la funzione di emettere moneta è stata trasferita alla Banca centrale europea, è venuto meno qualsiasi titolo giustificativo alla loro detenzione con funzione di garanzia da parte della Banca centrale nazionale;
   si tratta di oro che andrebbe restituito allo Stato, in quanto di pertinenza esclusiva del popolo italiano –:
   se il Ministro dell'economia e delle finanze non intenda chiarire tutti i profili e le implicazioni della operazione di rivalutazione delle quote di Bankitalia mediante imputazione delle riserve statutarie, di cui al decreto-legge 27 novembre 2013, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 29 gennaio 2014, n. 5, nonché la natura delle riserve auree di Bankitalia;
   se non intenda chiarire di chi sia la proprietà di queste riserve auree – se dello Stato o della Banca d'Italia – e se le stesse siano disponibili da parte dei soci privati di Bankitalia, anche ai fini di un computo nel loro stato patrimoniale;
   se non intenda indicare il luogo esatto in cui le predette riserve auree sono attualmente depositate. (5-02194)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARCON. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle entrate di Treviso sta per ampliare gli spazi a propria disposizione prendendo in locazione un intero piano situato nella stessa torre dell'Appiani in cui si trova la sede di Unindustria. A rivelarlo è il sindacato della Cisl Fp Treviso Belluno dei lavoratori del settore pubblico che avanzano critiche sull'operazione: ”Da indiscrezioni – riferisce Massimo Grella della Cisl Fp Treviso Belluno – pare che il costo dell'operazione superi i 200 mila euro l'anno e che tale immobile sia destinato ad accogliere lo staff del direttore provinciale e l'ufficio legale;
   successivamente sarà trasferita a Treviso l'attività di controllo che attualmente viene anche svolta nelle sedi decentrate di Conegliano e Montebelluna, con notevoli e conseguenti immaginabili disagi non solo per il personale, ma anche per i contribuenti e i professionisti della sinistra Piave e dell'area del montebellunese, che per ogni pratica dovranno recarsi a Treviso, con inevitabile aggravio di costi per gli imprenditori che, di questi tempi, già vivono momenti difficili”;
   per effetto di questa scelta infatti, a Conegliano, nell'ufficio di via Maggiore Piovesana, rimarranno vuote 11 stanze per le quali l'Agenzia sarà costretta a continuare a pagare il canone di locazione e a sostenere le spese di gestione (manutenzione, Tarsu o Tares). Altre stanze resteranno vuote a Montebelluna, in quanto gli spazi a disposizione degli uffici territoriali attualmente presenti non sono riducibili. Ciò appare ancora più ingiustificato se si considera che recentemente l'Agenzia ha chiuso due uffici in provincia di Treviso, a Castelfranco e Vittorio Veneto, e altri nel Veneto, motivando tale scelta con la necessità di ridurre i costi di gestione –:
   quali iniziative intenda intraprendere per applicare anche a livello periferico la spending review necessaria per il risanamento dei conti pubblici e il contenimento delle spese;
   se non ritenga di inviare degli ispettori per verificare se quanto enunciato in premessa sia conforme alle linee strategiche dell'Agenzia delle entrate e se i locali individuati per l'ampliamento diano le garanzie di trasparenza e utilità. (4-03643)


   CERA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa sono state apprese fantasiose voci sulle soluzioni da dare ai gravi problemi finanziari della banca Monte dei Paschi di Siena, dove fantomatici investitori medio orientali, russi, hedge Funds e fondazioni, sembrerebbero interessati ad investire sulla ricapitalizzazione della predetta Banca, al fine di restituire allo Stato il prestito dei cosiddetti «Monti bond»;
   la fondazione Siena, pur essendo priva delle risorse finanziarie necessarie alla ricapitalizzazione, con il controllo del 33 per cento del capitale azionario esistente, ha «imposto» la posticipazione di detto aumento di capitale, dopo il prossimo mese di maggio, esponendo così la banca a speculazioni ed incertezze, non ultima la perdita di clientela;
   l'attuale capitalizzazione della Banca è 1,9 miliardi di euro e a fronte di una ricapitalizzazione che può variare da 3 a 5 miliardi, chiunque sottoscriva detto aumento di capitale diventa azionista di riferimento, con le Fondazioni di Siena che diventerebbe irrilevante con la svalutazione dal 33 al 10 per cento circa delle sue azioni;
   l'apertura del Governo all'ingresso di investitori stranieri in Italia, in via di principio, è da ritenersi positiva, nel caso di specie però si rischia di consegnare al controllo straniero una banca nazionale con più di 2300 sportelli (tra cui il 50 per cento in Toscana, Lombardia e Veneto), circa 30.000 dipendenti, 6 milioni di clienti, tra cui molte imprese, buona parte delle quali con relazioni commerciali su mercati esteri strategici nei settori dell'abbigliamento, della meccanica dell'elettronica –:
   se non ritenga di identificare nella salvaguardia della terza banca nazionale italiana un «interesse nazionale, da difendere e, in tal caso, quali iniziative, di propria competenza, abbia assunto o intenda assumere per preservare:
    a)  la libera e paritaria concorrenza del sistema bancario italiano, che verrebbe di fatto alterata dai minori «costi di funding» di banche estere, con la conseguenza di mettere fuori mercato primarie banche italiane;
    b) la tutela dei «data/base» della clientela, dove sono evidenziate le situazioni contabili delle aziende italiane più dinamiche nei mercati esteri, con l'evidente rischio di spiazzamento da parte di aziende concorrenziali straniere più assistite finanziariamente dalla banca di riferimento nel nuovo azionariato della BMPS. (4-03650)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COLLETTI e AGOSTINELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 20 al 22 novembre 2013, presso il Centro congressi Ergife di Roma, si è svolto il concorso a 250 posti per notaio, bandito in data 29 marzo 2013 con decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 25 serie speciale;
   tale concorso è consistito nello svolgimento di tre prove teorico-pratiche e precisamente in un atto di diritto societario, uno in materia di diritto successorio e un contratto. Per ciascun atto, è stato richiesto ai candidati di fornire adeguata motivazione e di trattare l'argomento o gli argomenti di parte teorica pertinenti;
   in seguito all'abrogazione della prova preselettiva avvenuta ad opera dell'articolo 66 della legge n. 69 del 18 giugno 2009, il candidato aspirante notaio, oltre a possedere i requisiti di ammissione, deve non aver conseguito alla data del bando la dichiarazione di tre inidoneità. In sostanza, non deve essere stato bocciato per tre volte;
   tale regola, cosiddetta «delle tre consegne», ha sostituito il sistema della prova preselettiva al fine di ridurre il numero dei concorrenti consegnanti senza tenere conto che moltissimi dei notai attualmente in servizio, proprio per la particolare complessità del concorso, lo hanno superato solo dopo la terza o quarta partecipazione;
   il concorso del 20-22 novembre 2013 è stato caratterizzato da alcune anomalie che hanno influito sul regolare svolgimento delle prove d'esame;  
   il notaio Giuseppe Maiatico, facente parte della commissione esaminatrice del concorso, si è dimesso alla vigilia dell'inizio delle prove senza motivare in alcun modo la sua decisione, ma limitandosi a pubblicare su un noto social network alcune considerazioni critiche inerenti allo svolgimento delle prove d'esame;
   nel corso delle prove, il presidente della commissione ha imposto ai candidati di consegnare anche le minute dei compiti, contravvenendo al principio secondo il quale gli elaborati non devono presentare alcun elemento riconducibile al singolo candidato. Le minute-brutte copie contengono infatti, per loro natura, appunti e altri segni distintivi;
   a tutto ciò si aggiunga che lo svolgimento di una delle prove del concorso risultava, a parere dell'interrogante, di quasi impossibile risoluzione, dal momento che si basava su una massima giurisprudenziale dal contenuto del tutto controverso, affermante la validità di un contratto di divisione stipulato nonostante l'assenza di una delle parti condividenti, e ciò in aperto contrasto con i princìpi fondamentali del diritto civile. A tal proposito occorre evidenziare che un meccanismo di selezione adeguato dovrebbe prevedere un grado di difficoltà delle prove d'esame elevato sì, ma non al punto di precludere il superamento delle prove ai candidati, salvo che questi non abbiano potuto conoscere in anticipo – e dunque irregolarmente – le tracce del concorso –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa ed intenda convocare sia il presidente della commissione d'esame sia il commissario dimissionario, notaio Giuseppe Maiatico, affinché questi riferiscano in merito alle motivazioni di dette dimissioni e alla regolarità delle prove d'esame tenutesi presso il Centro congressi Ergife di Roma il 20, 21 e 22 novembre 2013;
   se il Ministro, qualora venisse accertata l'irregolarità di tali prove d'esame, intenda disporne l'annullamento e procedere con urgenza alla definizione di un nuovo bando di concorso;
   se sia nelle intenzioni del Ministro, infine, promuovere una riforma delle procedure di selezione degli aspiranti notai che contenga misure maggiormente idonee a garantire l'assoluta imparzialità nella valutazione dei candidati e modifichi la disciplina dell'ammissione al concorso eliminando, ad esempio, la cosiddetta «regola delle tre consegne», dimostratasi eccessivamente penalizzante alla luce della particolare complessità delle prove d'esame. (5-02186)


   TURCO, FRUSONE, NICOLA BIANCHI, DA VILLA, SCAGLIUSI, TERZONI e SIBILIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è notizia recentissima che due detenuti presso il carcere di Rebibbia in Roma, Giampiero Cattini di 41 anni e Sergio Di Palo di 35, sono stati protagonisti di un'evasione dopo aver segato le sbarre di una finestra, situata al terzo piano dell'edificio, e si sono calati da un muro di cinta del carcere con delle lenzuola annodate;
   secondo quanto riportato dalla stampa, i due, una volta superato il muro di cinta, si sono ritrovati nel parcheggio riservato agli agenti della polizia penitenziaria e, da lì, hanno raggiunto via Tiburtina, riuscendo a far perdere le proprie tracce;
   gli evasi erano detenuti nella «terza casa» del carcere romano. Si tratta di un'ala a custodia attenuata che «Attualmente la struttura ospita solo 47 detenuti – ha affermato il segretario regionale della Federazione Nazionale Sicurezza Cisl Lazio, Massimo Costantino – Dalla cosiddetta “terza casa” si fa il trattamento avanzato per i tossicodipendenti e i detenuti sono a regime di custodia attenuata.». I due evasi, infatti, sono fuggiti dal terzo piano, attualmente dismesso, segando le sbarre di una finestra;
   Cattini era in carcere per rapina e furto, mentre Di Palo, che una quindicina di anni fa era già evaso dagli arresti domiciliari, era invece detenuto per rapina, furto e reati concernenti sostanze stupefacenti. I due avrebbero dovuto scontare la pena in carcere fino al 2018;
   come ha ricordato il vice capo del dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap), Luigi Pagano, «Stiamo accertando la dinamica esatta dell'evasione e collaboriamo, anche attraverso il nostro nucleo investigativo, alle ricerche dei detenuti» –:
   se sia al corrente della situazione prospettata;
   se e quali iniziative intenda promuovere in merito alla necessità di accertare le circostanze che hanno consentito l'evasione dei due detenuti;
   se ed in quali modi intenda intervenire al fine di accertare eventuali responsabilità anche a titolo omissivo che, in connessione con i fatti più sopra indicati, abbiano avuto le autorità preposte al controllo di sicurezza ed alla prevenzione delle evasioni;
   se e quali misure intenda adottare per promuovere il miglioramento delle condizioni di sicurezza negli istituti di pena anche relativamente all'eventuale necessità d'implementazione delle stesse procedure di sicurezza all'interno dei penitenziari. (5-02193)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAPARINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento dei trasporti e navigazione tramite la direzione generale per la motorizzazione ha emesso in data 21 maggio 2013 il decreto dirigenziale n. 202 nel quale si indicano le norme tecniche dei ponti sollevatori per i veicoli di massa superiore alle 3,5 tonnellate da utilizzare nell'ambito delle revisioni dei veicoli a motore e dei loro rimorchi;
   in tale decreto e allegato capitolato sono contenute le norme tecniche a cui gli operatori privati che intendono effettuare sedute di revisione in tutto il Paese devono attenersi rigorosamente affinché tali ponti sollevatori operino con piena efficacia e sicurezza;
   tali ponti sollevatori oltre a sottostare a quanto richiamato in tale decreto e capitolato devono essere accompagnati da autorizzazione e certificazione rilasciate dalle autorità competenti, e in applicazione del decreto legislativo n. 17 del 27 gennaio 2010 e del decreto legislativo n. 81 del 2008;
   queste attrezzature mobili e strutture di sollevamento per poter operare in sicurezza, saranno inoltre adeguate alle norme di cui ancora gli operatori sono in attesa (della loro emanazione), che certificano il riconoscimento di idoneità rilasciato dall'INAIL (ex ISPESL);
   tali ponti sono di proprietà di piccole imprese sparse su tutto il territorio nazionale le quali hanno investito molto nell'acquisto di tale attrezzatura al fine di assicurare un servizio di pubblica utilità come sono le sedute operative per la revisione dei veicoli con portata superiore a 3,5 tonnellate presso le sedi di utenti di cui all'articolo 19 della legge n. 870del 1986;
   nell'ambito delle sedute di revisione dei veicoli, come previsto dal capitolato ponti sollevatori di cui al decreto dirigenziale n. 202 sopra richiamato al punto 4 «altri controlli stato dello sterzo, azionamento organi di sterzo, colonna, forcelle, gioco sterzo», è previsto che il mezzo sia in moto con alla guida dello stesso un operatore;
   per ovvie ragioni di sicurezza degli operatori che intervengono in tali sedute di revisione è previsto che i controlli sopra richiamati avvengano con veicolo sulle pedane del ponte sollevatore ma con veicolo a terra;
   sino ad oggi gli uffici delle motorizzazioni civili provinciali hanno effettuato le sedute di revisione veicoli presso la sede degli utenti attenendosi rigorosamente alla norma del capitolato al punto 4 ispezionando i veicoli posti sopra le pedane dei ponti sollevatori a terra;
   questi ponti sollevatori attualmente utilizzati, sono stati costruiti con certificazione CE, come strutture «scarrabili» in quanto funzionali alle attività di revisione presso le sedi degli utenti e per questa loro natura non è stata richiesta nel capitolato sopra richiamato al punto 4 la presenza di fosse di ispezione;
   due motorizzazioni civili provinciali del nord Italia hanno sospeso l'attività di revisione veicoli con attrezzature «scarrabili», con ponte di sollevamento in quanto, presso le sedi degli utenti non sono presenti fosse di ispezione;
   questa sospensione di attività appare all'interrogante ingiustificata, visto che riguarda solo due province tra l'altro aventi lo stesso direttore dell'ufficio provinciale, nociva perché sta creando un danno notevole alle imprese che hanno fatto investimenti consistenti per l'acquisto delle attrezzature «scarrabili» di revisione, crea disservizi alle imprese che hanno necessità di effettuare le revisioni delle loro centinaia di veicoli presso le loro sedi dovendosi in conseguenza a tale sospensione recare presso le sedi della motorizzazione provinciale con prevedibile aumento dei costi per le stesse e di ulteriore intasamento delle sedi di revisione provinciali –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se esista una direttiva o una circolare della direzione generale per la motorizzazione che modifica quanto esplicitamente contenuto al punto 4 del decreto dirigenziale n. 202 del 21 maggio 2013 «i controlli devono essere effettuati in condizioni di veicolo a terra»;
   se in assenza di tale direttiva o circolare non sia da considerare ingiustificata la decisione, fortunatamente limitata a due sole motorizzazioni civili provinciali, di sospendere le sedute di revisione veicoli presso le sedi degli utenti in assenza di una fossa di ispezione. (5-02187)


   MOLEA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la realizzazione dell'alta velocità, ha consentito all'Italia del versante tirrenico e dell'area del centro-nord di generare in poco tempo un profondo mutamento: si è aperto il mercato a operatori privati, si è determinata una dinamica virtuosa di miglioramento della qualità, efficientamento dei tempi, competizione sulle tariffe, potenziamento dell'offerta;
   in queste aree del Paese l'effetto, in linea con gli standard europei, è che su distanze fino a 800 chilometri il treno è tornato a costituire il vettore principale per la mobilità, dal momento che milioni di persone lo preferiscono stabilmente all'aereo;
   invece, sul versante adriatico, nell'area del centro-sud e del nord est dell'Italia la situazione è ben diversa: nessuna linea ad alta velocità, apparati tecnologici vetusti, materiali rotabili usurati e altamente inquinanti, tratti ancora incredibilmente a binario unico che attraversano zone ad elevato rischio idro-geologico e che potrebbero determinare, come già recentemente accaduto, conseguenze di isolamento totale;
   ovviamente, in queste condizioni infrastrutturali, il mercato resta chiuso a qualsiasi dinamica competitiva, l'offerta tende a dequalificarsi, i tempi di percorrenza sono inaccettabili, le tariffe non sono competitive (paradossalmente anche più elevate rispetto all'alta velocità), il servizio registra da anni una progressiva riduzione;
   in tali zone l'effetto, in stridente contrasto rispetto agli standard e alle direttive europei, è che al treno un'utenza crescente preferisce l'aereo o, addirittura, il trasporto privato su gomma anche per lunghe percorrenze di 1.000 chilometri; inoltre, lo stesso trasporto cargo è fortemente ostacolato dai limiti strutturali della rete;
   questa doppia frattura è insostenibile per due ordini di ragioni: la prima è che nega l'accesso al diritto alla mobilità a milioni di cittadini italiani, generando una sperequazione inaccettabile dal punto di vista sociale, la seconda è che costituisce il più rilevante ostacolo ai processi di sviluppo economico del territorio, non solo per l'economia delle merci, ma anche per la vita delle imprese e per le potenzialità di crescita turistica, fortemente condizionate dall'accessibilità del territorio;
   nell'ambito della programmazione finanziaria pluriennale per il periodo 2014-2020, la Commissione europea ha annunciato, tra le sue proposte di regolamenti per collegare l'Europa, la creazione di un nuovo strumento a livello europeo per finanziare le infrastrutture prioritarie per l'Unione europea (UE) in diversi settori, tra i quali quello dei trasporti;
   in particolare, questo nuovo strumento, denominato «Meccanismo per collegare l'Europa», sosterrà le infrastrutture aventi una dimensione europea e a livello del mercato unico, indirizzando il sostegno dell'Unione europea alle reti prioritarie che devono essere realizzate entro il 2020 e per le quali si giustifica maggiormente un'iniziativa a livello europeo;
   tale strumento disporrà di una dotazione di 50 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, di cui saranno assegnati al settore dei trasporti 31,7 miliardi, 10 miliardi dei quali specificamente destinati ad investimenti in infrastrutture collegati ai trasporti ammissibili nell'ambito del fondo di coesione. Assieme al meccanismo per collegare l'Europa, sono stabilite le priorità per il finanziamento europeo delle infrastrutture di trasporto;
    previsione della costituzione, da parte dell'Unione europea, della macroregione adriatico-ionica, appare prioritaria la realizzazione della prosecuzione del corridoio Baltico-Adriatico verso sud lungo la dorsale adriatica, in quanto tale prosecuzione costituisce elemento centrale per il sistema dei collegamenti all'interno della macroregione e per il successo della stessa;
   la realizzazione della linea alta velocità/alta capacità sull'intera dorsale adriatica è indubbiamente riconducibile alla strategia della macroregione adriatico-ionica, la quale rappresenta senz'altro un'opportunità per il nostro Paese di prendere parte a quel grande processo di coesione europeo già avviato con successo in Europa con l'approvazione delle strategie macroregionali del Danubio e del Baltico;
   la dorsale adriatica risulta carente di adeguate infrastrutture ferroviarie ad alta velocità, che colleghino non solo i capoluoghi di provincia di questo versante ma anche tali zone verso le grandi città italiane, diversamente da altre regioni, soprattutto del Nord e della dorsale tirrenica, aventi invece collegamenti ferroviari veloci ed efficienti e già servite da tutti gli operatori del settore in regime di concorrenza;
   i collegamenti del versante adriatico, infatti, sono oggi garantiti solo attraverso treni obsoleti e altamente inquinanti, con livelli di servizio nettamente differenti rispetto ad altre parti d'Italia, che determinano un notevole aumento dei tempi di percorrenza, rispetto alle linee coperte dall'alta velocità;
   tra gli obiettivi prioritari per lo sviluppo del nostro Paese rientra il potenziamento dei trasporti su rotaia, partendo proprio dalle zone che sono ancora collegate attraverso mezzi obsoleti ed altamente inquinanti; la mobilità su ferro risulta infatti essenziale non solo per garantire un servizio ai passeggeri e un celere trasporto di merci, ma soprattutto quale strumento di coesione territoriale, crescita e competitività del Paese che viaggia, di fatto, a due differenti velocità –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare per il potenziamento, l'ammodernamento e la velocizzazione della linea ferroviaria della dorsale adriatica e dei relativi collegamenti con i maggiori capoluoghi di provincia italiani, anche in considerazione della programmazione delle risorse dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, nel quadro delle grandi reti transeuropee e dei Fondi strutturali, nonché in vista della prossima approvazione della strategia macroregionale adriatico-ionica, anche perché l'adeguamento dell'infrastruttura ferroviaria lungo il versante adriatico risulta indispensabile per il rilancio di una zona ad alto potenziale economico, oltre che necessario per colmare il gap tra le regioni del litorale adriatico sprovviste della linea ad alta velocità e quelle del litorale tirrenico, in modo da garantire le stesse opportunità, in termini di crescita e competitività, a tutto il territorio nazionale. (5-02188)


   VELO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 13 febbraio 2014 il Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti, Rocco Girlanda, in risposta all'interpellanza Velo n. 2-00392, sulla sicurezza stradale in relazione al terribile incidente avvenuto nella giornata del 30 gennaio 2014 sulla variante Aurelia tra l'uscita della galleria e lo svincolo di San Vincenzo sud, ha affermato che l'ANAS dal 2005 ad oggi ha eseguito lavori per la sicurezza stradale, il miglioramento funzionale e la manutenzione straordinaria, per circa 850 mila euro e che ha programmato interventi, per un valore di circa 4 milioni di euro, necessari per l'adeguamento, l'allineamento e il ripristino delle barriere di sicurezza, nonché per il rifacimento dell'intera pavimentazione stradale;
   il terribile incidente avvenuto sulla variante Aurelia tra l'uscita della galleria S. Carlo e lo svincolo di San Vincenzo sud, costato la vita a due donne madre e figlia, ripropone, ancora una volta, il tema della sicurezza stradale, della manutenzione degli assi viari e del mancato adeguamento della suddetta variante agli standard autostradali;
   riguardo, nello specifico, alla manutenzione della galleria San Carlo il Sottosegretario ha sottolineato che esso sarà oggetto di lavori di adeguamento degli impianti tecnologici, ai sensi del decreto legislativo n. 264 del 2006, per un importo programmato di circa 3 milioni di euro senza saper tuttavia, indicare una data di inizio;
   l'urgenza delle necessarie opere di manutenzione della variante a partire dal ripristino del manto stradale da eseguirsi in tempi brevi e compatibili con la tutela della sicurezza dei cittadini, non è ancora sufficientemente recepita dagli organi competenti;
   la stessa risposta fornita dall'ANAS conferma l'inadeguatezza degli investimenti programmati che sono stati di soli 850 mila euro dal 2005 ad oggi, così come i 4 milioni di euro di lavori programmati sono assolutamente insufficienti a garantire un accettabile livello di sicurezza stradale; di fatto lo stato di dissesto in cui versa la variante Aurelia è una diretta conseguenza di tali mancati e insufficienti investimenti;
   sarebbe auspicabile che il Governo esercitasse un maggior controllo sugli investimenti dell'ANAS, mediante la richiesta di relazioni e di rendiconti necessari per focalizzare le priorità della società e rendere trasparente le modalità con cui le risorse pubbliche sono spese per garantire la sicurezza stradale dei cittadini –:
   quali siano nello specifico i lavori di manutenzione già eseguiti dall'ANAS, di cui ha parlato il Sottosegretario Girlanda, per la messa in sicurezza, il miglioramento funzionale e la manutenzione straordinaria;
   quali siano i tempi per l'inizio dei lavori riferibili allo stanziamento di 4 milioni di euro programmati e quali siano nello specifico le strade interessate;
   quando avranno inizio i lavori di adeguamento degli impianti tecnologici, della galleria San Carlo, ai sensi del decreto legislativo n. 264 del 2006, per un importo programmato di circa 3 milioni di euro. (5-02190)


   VELO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, n. 71, reca, tra le altre finalità, alcune disposizioni urgenti per il rilancio dell'area industriale di Piombino, consentendo la realizzazione degli interventi infrastrutturali destinati all'area portuale; a tal fine, il CIPE, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto n. 43 del 2013, avrebbe dovuto deliberare in relazione al progetto definitivo del lotto n. 7 – tratto tra l'intersezione della strada statale 398 fino allo svincolo di Gagno – compreso nella bretella di collegamento al porto di Piombino, parte integrante dell'asse autostradale Cecina-Civitavecchia;
   nonostante la norma di legge ancora oggi, dopo 10 mesi dall'approvazione del decreto n. 43, tale opera non risulta essere stata esaminata dal CIPE; al contrario, notizie apparse sugli organi di stampa locali nel denunciare i motivi dei ritardi, prefigurano ancora lunghi tempi di attesa per l'approvazione del progetto definitivo;
   in particolare, la stampa denuncia il farraginoso iter dal 3 agosto 2012, quando, il CIPE, dopo aver esaminato il progetto della bretella autostradale relativo a 2,5 chilometri dalla Geodetica fino al Gagno, lo ha rinviato alla concessionaria Sat perché ottemperasse ad una serie di prescrizioni; il 10 febbraio 2014 una determinazione della direzione generale per le valutazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sembrerebbe aver chiarito che la Sat non ha adottato tutte le prescrizioni richieste; inoltre sembrerebbe che nella determinazione ministeriale si inviti la concessionaria a perfezionare le prescrizioni richieste in fase di realizzazione del progetto esecutivo dell'opera tenendo comunque conto anche che prima del via dei lavori va costituito un «Osservatorio ambientale e socio economico con lo scopo di verificare in fase di progettazione esecutiva e in fase di costruzione e primo esercizio il rispetto delle prescrizioni definite nelle fasi di approvazione del progetto preliminare e del progetto definitivo e di monitorare gli effetti ambientali»;
   a tale quadro si aggiunge una ulteriore complicazione denunciata sempre dagli organi di stampa relativa ad interventi di bonifica; infatti sembrerebbe che la Sat abbia dichiarato che i due tratti della bretella, potranno essere realizzati solo successivamente all'avvenuta bonifica delle aree interessate dall'intervento che ricadono all'interno del sito di interesse nazionale di Piombino e che quindi i costi di tale bonifica non sono inclusi nel quadro economico dei due progetti; al riguardo, si segnala che non risulta ancora pianificato nessun intervento di bonifica di tale sito;
   il ritardo nell'approvazione definitiva del progetto sta provocando pesanti ripercussioni che minano il tentativo di rilancio dell'area portuale e industriale di Piombino, dichiarata, in base al decreto sopra citato, area di crisi industriale complessa –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se trovino conferma motivi che fino ad ora hanno determinato la suddetta situazione di stallo nell’iter per la realizzazione degli interventi infrastrutturali destinati all'area portuale di Piombino;
   se non ritenga di dover intervenire per chiarire con la concessionaria Sat gli obblighi e le prescrizioni che quest'ultima deve assolvere;
   se abbia preso visione della determinazione della direzione generale per le valutazioni ambientali del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare relativa agli interventi infrastrutturali in questione e quali siano i suoi orientamenti;
   se il Ministro interrogato non ritenga di assumere con urgenza un'iniziativa per far sì che il progetto definitivo dell'opera sia inserito all'ordine del giorno del Cipe, dando così attuazione a quanto disposto dal citato decreto-legge n. 43 del 2013.
(5-02192)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è di circa un mese fa la notizia, riportata su quotidiani locali e nazionali, che ha fatto riemergere l'annosa questione dei gravi disservizi sulla tratta ferroviaria Roma-Napoli: la storia infinita del caos e dei disagi provocati dalla soppressione dei treni, dai ritardi continui e dalle riduzioni di carrozza;
   oltre ai disagi e ai rischi che i pendolari corrono ogni giorno per la mancanza di sicurezza sui convogli, infatti, si è aggiunta anche l'entrata in vigore, proprio a ridosso delle festività natalizie, dei nuovi orari di Trenitalia e la soppressione di numerose fermate del treno regionale 2416, che non fermerà più nelle stazioni di Casoria, Sant'Antimo, Afragola, Sant'Arpino e Falciano del Massico, da dove ogni mattina partono diverse centinaia di viaggiatori;
   tale decisione ha inevitabilmente scatenato la rabbia di quanti sono già costretti a viaggiare ogni giorno in condizioni disagevoli e ora, con il taglio delle fermate, saranno obbligati a prendere i treni che partono prima, anch'essi affollatissimi, o a partire da un'altra stazione;
   in particolare, circa cinquanta persone, per lo più lavoratori e studenti, hanno occupato i binari della stazione di Villa Literno, con l'accumulo di enormi ritardi per tutta la mattina di giovedì 12 dicembre 2013;
   nonostante ciò e nonostante il rischio concreto che altre analoghe manifestazioni possano scatenarsi, le petizioni e le proteste non hanno sortito alcun effetto, né Trenitalia sembra essere sensibile alle reali esigenze degli utenti;
   un servizio fondamentale come quello del trasporto pubblico locale incide pesantemente sulla quotidianità dei cittadini e in Campania appare sempre più minacciato;
   la situazione è diventata, infatti, insostenibile ed è, pertanto, indispensabile dare al problema una soluzione immediata e decisiva, non solo a tutela dei diritti dei cittadini, ma anche del turismo e della valorizzazione del territorio –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità e urgenza degli stessi, quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per risolvere definitivamente l'annosa e atavica questione dei treni che percorrono la tratta Roma-Napoli, evitando così disagi legati alla mobilità, oltre che all'ordine pubblico. (4-03624)


   DE MITA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'area generale di coordinamento 12 sviluppo economico, della regione Campania, con decreto dirigenziale n. 440 del 7 ottobre 2011 autorizza la società Ferrero spa con azionista unico, con sede legale in P. Le Ferrero, 1 – 12051 Alba (CN) – P.IVA: 00934460049, alla costruzione ed all'esercizio di una linea elettrica a 150 kV della RTN di raccordo tra la linea a 150 kV «CP Goleto S.Angelo – CP Sturno», con la costruenda stazione elettrica a 150 kV RTN di Castelnuovo di Conza;
   il decreto dirigenziale n. 379 del 3 agosto 2012 rettifica solo parzialmente il suddetto decreto del 2011, ribadendo l'autorizzazione ex articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 in favore della società Ferrero spa alla costituzione della suddetta opera;
   con decreto dirigenziale n. 440 del 15 ottobre 2012 la regione Campania ha provveduto alla voltura in favore di TERNA spa del decreto dirigenziale 440 del 2011, come rettificato dal decreto dirigenziale 379 del 2012;
   i comuni interessati dai provvedimenti su citati sono Sant'Angelo Dei Lombardi, Lioni, Teora, Conza Della Campania, in provincia di Avellino, e Castelnuovo Di Conza, in provincia di Salerno;
   il commento alla «Relazione Geologico-tecnica e sismica» redatto dal Professor Ciocchini, commissionata dal comune di Lioni, n. prot. 11511, 23 novembre 2012, ha evidenziato come la relazione sia insufficiente e lacunosa in molte parti, ed in particolare si rileva l'assenza dell'inquadramento geologico di dettaglio, essendo presente esclusivamente un inquadramento geologico derivato da una Carta in scala 1:100.000, essendo invece totalmente assente un inquadramento geologico su Carta in scala 1:10.000;
   i territori elencati nel punto 4 della presente premessa sono sovente attraversati da scosse sismiche, anche di grave entità, come hanno dimostrato gli eventi del 23 novembre 1980, nonché classificati in zona 1 (Zona con pericolosità sismica alta), come indicato nella tabella allegata all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274/2003, Gazzetta ufficiale 8 maggio 2003;
   con ordinanza 18 dicembre 2013, n. 62, il sindaco del comune di Sant'Angelo dei Lombardi ha disposto la sospensione dei lavori, per quanto concerne il territorio comunale, dell'opera suddetta, a seguito del ricevimento di nota inviata dal genio civile di Avellino (13 dicembre 2013, prot. 0856733), ove si richiedevano ai comuni coinvolti nel Fasc. Contenzioso sismico n. 163/2013 ulteriori dati e documentazioni inerenti al progetto in parola;
   l'ordinanza di cui al punto precedente è stato oggetto di ricorso da parte della Terna spa depositato presso il TAR del Lazio, Reg. Gen. 657/2014, depositato in data 17 gennaio 2014;
   essendo scaduti i 45 giorni a decorrere dall'emissione dell'ordinanza di cui al punto 7 di questa premessa, i lavori procedono in orari festivi e notturni nei comuni di Lioni, Teora, Conza della Campania, Castelnuovo di Conza;
   il genio civile di Avellino, con nota ai comuni interessati ricadenti nella provincia di Avellino (prot. n. 90997 del 7 febbraio 2014), sospende il procedimento di contenzioso sismico avviato con nota prot. n. 25975 del 14 gennaio 2014, in attesa di ricevere il parere della direzione generale per i lavori pubblici e della protezione civile, servizio sismico, in merito all'assoggettabilità delle opere oggetto della presente interrogazione alla normativa nazionale e regionale in materia;
   le comunità e le istituzioni dei territori interessati hanno proposto l'interramento dell'opera citata, al fine di conseguire comunque il miglioramento delle infrastrutture energetiche sul territorio e al contempo garantire la tutela dell'ambiente e del territorio, beni tutelati a livello costituzionale, vista l'interpretazione della migliore dottrina in merito all'articolo 9, comma 2, della Costituzione –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere al fine di ovviare alle criticità esposte in premessa, in merito al progetto ed all'avanzamento dei lavori finalizzati alla costruzione della linea elettrica che è oggetto della presente interrogazione. (4-03631)


   GAGNARLI, DE LORENZIS, DELL'ORCO, CRISTIAN IANNUZZI, SPESSOTTO e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso
   l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (ANSF) con decreto n. 4/2012 del 9 agosto 2012, ha emanato un nuovo regolamento per la circolazione ferroviaria recepito in ambito Trenitalia attraverso remissione di appositi DEIF, tra cui il 41.2 e 42.2;
   a seguito dell'entrata in vigore di queste nuove disposizioni, prevista per il 31 marzo 2014, per quanto riguarda la fase di treno in movimento, si potrebbe determinare una redistribuzione delle responsabilità tra l'agente di condotta (macchinista) ed il capotreno (CT). In estrema sintesi, la responsabilità delle operazioni, molte delle quali continueranno ad essere svolte dal CT, passerà in carico dall'agente di condotta, il quale sarà l'unico a ricevere formazione professionale ed aggiornamenti relativi che in precedenza venivano erogati anche al capotreno;
   tale redistribuzione potrebbe comportare, a parere degli interroganti:
    un sovraccarico delle responsabilità e delle mansioni dell'agente di condotta, a parità di stipendio, che con ogni probabilità si avvarrà spesso e volentieri della delega al capotreno;
    una riduzione del livello globale di sicurezza per mancanza di aggiornamenti formativi al capotreno, a differenza del regime attuale in vigore fino al 31 marzo 2014;
    un risparmio dell'azienda Trenitalia a discapito dei dipendenti, soprattutto riguardo ai nuovi capotreni assunti, che percepiranno stipendi inferiori a causa delle loro ridimensionate mansioni e responsabilità, a discapito del livello complessivo di sicurezza;
    possibili contraddittori tra agente di condotta e capotreno, in caso di incidenti, per operazioni errate svolte dal capotreno ma di responsabilità dell'agente di condotta;
    perdita di tracciabilità di alcune informazioni ed allungamento dei tempi di esecuzione delle operazioni, anche in casi di criticità: il regolatore della circolazione, infatti, non dovrebbe più dettare le istruzioni in maniera diretta (su carta) al capotreno, ma bensì all'agente di condotta, che solo in un secondo step, verbalmente, incaricherà il capotreno di effettuarle;
   le disposizioni modificano nei fatti il concetto storicamente fondante della sicurezza del trasporto ferroviario e cioè il sistema di controlli incrociati fra PDC e capotreno che riducono al minimo i rischi di errore. La situazione che si prospetterebbe demansionando il ruolo del capotreno, eliminerebbe uno dei soggetti preposti a questi controlli con un logico degrado della sicurezza, senza espliciti motivi organizzativi/tecnologici;
   il 26 febbraio 2014 è fissata una riunione tra i vertici di ANSF, sindacati e Trenitalia per trovare un accordo sui controversi regolamenti che determineranno tale redistribuzione di responsabilità e mansioni –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente della situazione appena enunciata e non ravvisi degli elementi di criticità in conseguenza alla redistribuzione delle responsabilità di cui in premessa;
   se e quali iniziative il Ministro, in veste di garante del livello di sicurezza globale dei convogli in movimento, intenda adottare, anche in vista dell'incontro del 26 febbraio, al fine di scongiurare il rischio che un eventuale sovraccarico di responsabilità degli agenti di condotta ed un alleggerimento di quelle del capotreno possano minare la sicurezza dei passeggeri. (4-03633)


   BARUFFI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da diverso tempo, presso la stazione dei treni di Modena, risultano non funzionanti alcuni ascensori;
   questo grave disservizio non solo ostacola la agevole circolazione degli utenti della stazione – specie se provvisti di pesante bagaglio – ma soprattutto impedisce la fruizione del servizio da parte delle persone diversamente abili;
   il problema persiste ormai da molte settimane, per non dire mesi, un tempo assolutamente irragionevole rispetto a quelli normalmente dovuti alla manutenzione;
   tale disservizio appare tanto più grave e intollerabile in quanto si configura, nei confronti delle persone diversamente abili, come una vera e propria interruzione di pubblico servizio –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale situazione e quali iniziative siano state assunte per provvedere immediatamente al ripristino del funzionamento degli ascensori;
   quali siano gli obblighi contrattuali del gestore del servizio, quali i diritti degli utenti e quali le sanzioni previste per l'interruzione prolungata di un servizio tanto delicato;
   quali ulteriori iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda assumere non solo per appurare come sia stato possibile il protrarsi per tanto tempo di un tale disservizio, ma anche per sanzionare conseguentemente tale negligenza e per fare in modo che ciò non abbia più a ripetersi. (4-03642)


   CATANOSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   fra le conseguenze che porta con sé ogni volta che il nostro vulcano Etna riprende l'attività eruttiva, c’è quella della chiusura dello spazio aereo circostante per ovvi ed evidenti ragioni di sicurezza;
   la chiusura dello spazio aereo comportava, all'epoca dei fatti, la chiusura del traffico aereo sull'aeroporto di Catania ed il suo dirottamento su Palermo con gli evidenti e scontati disagi per i passeggeri;
   in questi giorni l'agenzia di stampa aeronautica AVIONEWS ed il sito castrenzesciambrablogspot.com, oltre che numerose testate giornalistiche, riportano un fatto spiacevole che riguarda la società di handling aeroportuale Katàne srl di proprietà della Sac spa, società di gestione dell'aeroporto di Catania;
   lo scorso 2 dicembre, a causa dell'attività dell'Etna, ai 28 lavoratori della Katàne presenti a vario titolo nello scalo era stato chiesto di effettuare dello straordinario a causa della riapertura imprevista ed imprevedibile dello scalo etneo, ma solo 7 di questi, secondo un comunicato dell'azienda, si sono resi disponibili;
   sulla vicenda, tuttora in corso, che vede i 21 lavoratori licenziati a causa di danni effettivamente arrecati, di danni eventuali e di insubordinazione, non si possono non esprimere delle perplessità, in considerazione del frequente verificarsi dei fenomeni vulcanici e delle relative ripercussioni sull'attività aeroportuale che, prima degli eventi del 2 dicembre, erano stati gestiti in modo corretto, quindi, anche avvalendosi degli stessi operai ora licenziati e dove sarebbe stato sufficiente prevedere dei protocolli ad hoc per eventi che si ripetono nel tempo. Ci si augura che i competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del giudice del lavoro verifichino, in tempi brevi e certi, colpe, responsabilità e mancanze ai propri doveri d'ufficio;
   la situazione del trasporto aereo nazionale è di una tale evidenza che la vicenda dei lavoratori licenziati dalla Katàne, vista dall'esterno, sembra una facezia rispetto ai problemi del sistema aeroportuale nazionale;
   l'intero sistema dei trasporti meriterebbe maggiori e migliori attenzioni da parte delle istituzioni nazionali ed europee e, nello specifico, quello del trasporto aereo ancor di più;
   la concorrenza sleale delle compagnie aeree «finto» low-cost e «finto» low-fares ai nostri vettori nazionali e la concorrenza, oltre che sleale anche dannosa per il sistema Italia, degli aeroporti nazionali l'uno con l'altro per accaparrarsi quote di volato a discapito dello scalo «vicino» e a discapito del bilancio pubblico sta portando velocemente alla rovina tutti gli operatori del settore;
   fra questi operatori danneggiati rientra a pieno titolo la Katàne con i suoi lavoratori che, a modesto parere dell'interrogante ed a prescindere dall'evento del licenziamento «collettivo» di dicembre, non sembra abbiano piena contezza della situazione generale del settore ed in particolare dello scalo di Catania;
   pochi giorni fa è stato dato l'annuncio che un accordo sul contratto di lavoro è stato raggiunto tra azienda e sindacati e sarà oggetto di referendum tra i lavoratori dello scalo e della Katàne in clima di grande incertezza ed insicurezza sul futuro lavorativo e sulla stessa continuità aziendale;
   un intervento determinato, risolutore ed autorevole dell'Ente nazionale per l'aviazione civile, avendone le professionalità e le competenze di legge, sarebbe quanto meno opportuno, a giudizio dell'interrogante;
   un intervento autorevole, magari, potrebbe sortire maggiori e migliori soluzioni in una vicenda che rischia di trascinare nel fallimento un'intera società e centinaia di lavoratori –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-03651)


   BARUFFI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la stazione ferroviaria presso il comune di San Felice sul Panaro, in provincia di Modena, a quanto consta all'interrogante non risulta attrezzata per servire le persone diversamente abili;
   fanno uso di questa stazione diverse persone diversamente abili (tra le quali studenti) e anziani con problemi di deambulazione, che a più riprese si sono rivolti alle autorità competenti per segnalare tale disservizio;
   il problema persiste da sempre, l'ascensore presente alla stazione per accedere ai binari risulta spesso non funzionante e in ogni caso è tenuto in condizioni non decorose circa pulizia e manutenzione, come segnalato dagli utenti;
   anche quando l'ascensore funziona, la più parte dei treni risulta comunque inaccessibile per le persone diversamente abili, non essendo dotata la stazione di un carrello elevatore;
   nei giorni scorsi, a seguito di incessanti segnalazioni e proteste degli utenti interessati, e stata sperimentata un'altra soluzione di accesso per i diversamente abili, che non si sta però rilevando risolutiva e soddisfacente –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale situazione;
   quali siano gli obblighi contrattuali del gestore del servizio e quali i diritti degli utenti, con particolare riferimento alle persone diversamente abili;
   quali iniziative siano programmate da parte del gestore per attrezzare le stazioni, al fine di non discriminare le persone diversamente abili nell'accesso a tutti i servizi pubblici;
   quali iniziative specifiche, per quanto di competenza, intenda assumere il Ministro per risolvere definitivamente il caso specifico della stazione di San Felice.
(4-03654)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   NICCHI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i primi quattro/sei mesi del 2014 saranno duri per 4 milioni di italiani poveri che ricevono aiuti alimentari da 15 mila parrocchie, empori, mense e strutture caritative: nonostante le crescenti richieste a causa della crisi, si rischia un black out negli aiuti, dovuto alla chiusura, il 31 dicembre del 2013, del Programma europeo gestito dall'Agea, l'agenzia per le erogazioni in agricoltura che ogni anno, dal 1987, destinava circa 100 milioni di euro agli enti caritativi italiani per l'acquisto di beni alimentari a favore degli indigenti;
   queste risorse saranno sostituite da un fondo nazionale e uno europeo che però rischia di raggiungere, al massimo, 65 milioni di euro, con un buco di 35 milioni rispetto agli stanziamenti attuali. Sui banchi dei vari Empori della solidarietà della Caritas non ci saranno più prodotti come il riso, la pasta, il latte, i formaggi, i legumi, la farina, i biscotti, la polpa di pomodoro, i biscotti per l'infanzia, l'olio di semi e le fette biscottate;
   gli enti italiani impegnati in questa assistenza sono in stato d'allerta dal 21 ottobre 2013, quando è arrivata la nota informativa dell'Agea, organismo pagatore dell'Unione europea, che avvisava della cessazione della distribuzione di aiuti alimentari agli indigenti a partire dal 2014. Caritas italiana ha subito inviato, nei giorni successivi, una circolare alle Caritas diocesana per chiarire la situazione. Al posto dei 100 milioni di euro l'anno si potrà contare, per il futuro sul Fondo rifinanziato con la legge di stabilità 2014 di 10 milioni di euro per l'anno 2014 e di un nuovo Fondo aiuti europei agli indigenti (Fead) che prevede misure transitorie per garantire che il fondo possa operare già dal 1o gennaio 2014;
   questo nuovo Fondo – che sostituisce il Pead – ha come obiettivo di promuovere la coesione sociale nell'Unione europea per ridurre il numero di persone a rischio o in condizioni di povertà, nell'ambito della Strategia Europa 2020, fornendo prodotti alimentari e beni di consumo alle persone indigenti, con particolare attenzione ai senzatetto e ai bambini. «Il problema – spiega Francesco Marsico, vice direttore di Caritas italiana – è che la cifra complessiva dei due fondi è comunque inferiore ai 100 milioni di euro dell'Agea, e che l’iter burocratico per arrivare all'approvazione e alla disponibilità dei fondi del Fead è molto lungo e non si concluderà prima di aprile/giugno 2014»;
   da gennaio a giugno, dunque, tutti gli enti che distribuiscono aiuti alimentari saranno in difficoltà: l'Agea ha coperto finora il 60 per cento delle spese per i prodotti, il restante 40 per cento viene raccolto nei territori tramite campagne di solidarietà, offerte di privati, collette nei supermercati, eccetera. È nato perfino un coordinamento dei sette principali enti caritativi che distribuiscono aiuti alimentari – Fondazione Banco alimentare, Fondazione Banco Opere della carità, Comunità di S. Egidio, Croce rossa italiana, Banco alimentare di Roma, Associazione Sempre insieme per la pace, Caritas italiana, San Vincenzo de Paoli – che sta portando avanti un'azione di pressione sulle istituzioni, soprattutto il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che sarà il nuovo gestore del Fead –:
   quali iniziative si intendano intraprendere per accelerare il trasferimento dei fondi al fine di mantenere aperti tutti quei luoghi di aiuto alle persone indigenti;
   se non si ritenga indispensabile reperire ulteriori fondi per sostenere tutte le persone che, a causa della crisi, sempre più numerose, si rivolgono agli enti e garantire loro il sostegno all'ingiustizia della povertà. (4-03625)


   OLIARO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Cogoleto (GE) rischia di trovarsi privo della stazione dell'Arma dei carabinieri;
   la comunità di 9 mila abitanti, essendo meta di numerosi visitatori, vede raddoppiare la popolazione nel periodo estivo con le conseguenze che ciò comporta in termini di controllo del territorio e dell'ordine pubblico;
   il fatto inizia nel 2008 quando il nucleo dell'Arma di Cogoleto, non essendo stato pagato il canone di affitto della sede in via Gioiello, fu costretto a ripiegare presso la compagnia di Arenzano;
   in questi anni le unità dei carabinieri in servizio presso tale stazione sono passate da 8 a 4 con la conseguenza di aver ridotto la presenza delle forze direttamente poste alla tutela della sicurezza, pubblica e privata;
   il sindaco del comune inizialmente aveva proposto, in sede di Comitato provinciale per la sicurezza e l'ordine pubblico, una nuova sede senza però ricevere parere positivo da parte dell'Arma. Quest'ultima riteneva necessario uno spazio maggiore che i locali di villa Nasturzio, essendo anche sede della biblioteca comunale, non erano in grado di offrire;
   nel maggio 2013 il consiglio comunale ha approvato all'unanimità un ordine del giorno nel quale si è espressa la volontà delle città di Cogoleto di poter mantenere la stazione dell'Arma dei carabinieri;
   inoltre si è costituito un comitato cittadino che ha raccolto più di 2000 firme a sottoscrizione di una petizione affinché la stazione non venisse soppressa;
   l'amministrazione comunale ha anche avanzato la proposta di concedere a titolo gratuito un immobile adeguato alle esigenze dell'Arma presso l'area della ex tubi ghisa, impegnandosi a pagare le utenze per evitare che l'Arma chiuda il proprio presidio a Cogoleto;
   il giorno 28 gennaio 2014 il consiglio comunale ha approvato un altro ordine del giorno con il quale è stata ribadita l'assoluta priorità di mantenere la presenza dell'Arma per fornire l'adeguato ordine pubblico cittadino –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare per verificare presso il competente comando provinciale e regionale dei carabinieri quanto esposto in premessa, garantendo conseguentemente il mantenimento della stazione dell'Arma dei carabinieri presso il comune di Cogoleto, con l'obiettivo di assicurare una prossimità territoriale efficiente ed efficace in grado di rispondere alla domanda di sicurezza dei cittadini. (4-03627)


   ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 25 maggio 2014 si terranno nel nostro Paese le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo;
   nella competizione elettorale saranno presenti liste con simboli nuovi che devono raccogliere le firme necessarie all'accettazione delle liste stesse entro le ore venti del 16 aprile 2014, nella misura variante tra un minimo di 30 mila e un massimo di 35 mila, per ognuna delle cinque circoscrizioni elettorali nel quale è diviso il nostro Paese, di cui non meno di 3 mila per ogni singola regione;
   tali firme vanno apposte in calce a moduli contenenti nome, simbolo e candidati della lista stessa e certificate secondo le norme vigenti;
   quindi è importante per rispetto dei cittadini firmatari indicare il numero esatto dei candidati in base al numero dei seggi attribuiti a ogni singola circoscrizione;
   dal combinato disposto degli articoli 2 e 7 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, risulta che la ripartizione dei seggi (che complessivamente per l'Italia risultano essere 73) alle singole circoscrizioni è effettuata, sulla base dei risultati dell'ultimo censimento generale della popolazione, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, da emanarsi non oltre il cinquantesimo giorno antecedente a quello della votazione –:
   se il Ministro non ritenga opportuno accelerare quanto più possibile le iniziative di competenza ai fini dell'emanazione del decreto del Presidente della Repubblica di cui sopra, per mettere in condizione le eventuali nuove liste, che non fruiscono dell'esenzione, prevista dalla normativa vigente, dal raccoglimento delle firme, di poterlo effettivamente fare in tempi compatibili con l'elevato numero delle firme stesse, in modo da poter partecipare alla competizione elettorale e garantire così agli elettori italiani di esprimere democraticamente la loro scelta di voto in base alle proprie convinzioni;
   se, in alternativa, il Ministro non intenda assumere opportune iniziative normative che rendano comunque e immediatamente possibile l'inizio della raccolta delle firme, in attesa dell'emanazione del decreto del Presidente della Repubblica. (4-03634)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOTARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), in data 15 giugno 2004, ha bandito il concorso n. 364.7 per titoli, ai sensi dall'articolo 64, comma 1, lettera b), del contratto collettivo nazionale del lavoro 1998-2001, per complessivi 162 posti per il profilo professionale dirigente di ricerca, primo livello, del CNR, che doveva consentire la progressione di carriera ai ricercatori bloccati nei ruoli da più di 12 anni e definiti in posizione di «anomala permanenza»;
   dall'esame dei verbali concorsuali si rileverebbe la superficialità e la mancanza di equità nella valutazione dell'attività scientifica di tutti gli scienziati che hanno preso parte al concorso; in particolare si segnala il caso eclatante, già indicato al Ministro dell'università e della ricerca pro tempore nella XVI Legislatura e riportato dalla stampa nazionale, del geologo Riccardo Massimiliano Menotti, nei confronti del quale la commissione (area disciplinare: scienze della terra) avrebbe omesso, a quanto consta all'interrogante, la valutazione di un anno di attività di ricerca con conseguente penalizzazione nella valutazione comparata dei titoli, i cui coautori sono risultati vincitori;
   anche dalla graduatoria del concorso n. 364.86, bandito ai sensi dell'articolo 15, comma 6, del CCNL 2002-2005 per complessivi 39 posti per il profilo professionale dirigente di ricerca, primo livello, del CNR, area scientifica scienze della terra, alla quale erano riservati tre posti, si rileva ancora una volta la palese penalizzazione subita dal geologo Riccardo Massimiliano Menotti relegato all'ultima posizione fra gli idonei;
   il Consiglio di Stato con sentenza n. 2392/2012, depositata il 23 aprile 2012, ha annullato gli atti del concorso n. 364.7, in particolare per l'area disciplinare «scienze della terra» e ha disposto la rinnovazione dell'intera procedura concorsuale «ora per allora», ad iniziare dalla fissazione dei criteri di valutazione dei titoli, nei confronti di tutti i candidati;
   il CNR in ottemperanza alla sentenza del Consiglio di Stato ha rinnovato il procedimento, ha disposto e approvato in data 25 luglio 2013 la nuova graduatoria degli idonei, escludendo fra gli altri il geologo Riccardo Massimiliano Menotti;
   il geologo Riccardo Massimiliano Menotti è stato assunto dal CNR in data 1o febbraio 1977 presso il laboratorio di ricerca per la protezione idrogeologica nell'Italia centrale a Perugia, trasferito d'ufficio perché «dotato di adeguata preparazione accademica» presso il sottoprogetto «Fenomeni franosi» del CNR di Bari, diretto dal professor Vincenzo Cotecchia, in data 5 dicembre 1977, successivamente sospeso dall'impiego il 27 febbraio 1978, è stato licenziato in tronco a Bari il 29 aprile dello stesso anno;
   il professor Menotti è stato riassunto dal CNR il 16 febbraio 1981 presso il Centro di geologia tecnica in Roma, in ottemperanza alla sentenza del TAR del Lazio, III Sezione (decisione n. 380 del 19 maggio 1980); licenziato di nuovo il 14 aprile 1981, in data 1o marzo 1985 è stato riassunto presso l'istituto di ricerca per la protezione idrogeologica nel bacino padano a Torino, in seguito ad impugnativa vittoriosa dinanzi al Consiglio di Stato, IV Sezione (decisione n. 450 del 31 gennaio 1984);
   il professore è stato trasferito d'ufficio da Torino a Firenze presso l'istituto di ricerca sulle onde elettromagnetiche in data 28 marzo 1987; nel 1989 è risultato vincitore del concorso per primo ricercatore ed è stato inquadrato nella II fascia del profilo di ricercatore (primo ricercatore) del CNR;
   nel novembre 1989 il geologo Riccardo Massimiliano Menotti, primo ricercatore del CNR, ha presentato domanda di partecipazione al concorso per l'area disciplinare 5.2, geologia applicata protezione idrogeologica, concorso per soli titoli bandito dal CNR;
   come presidente della commissione esaminatrice, per l'area disciplinare di cui sopra, è stato nominato il professor Vincenzo Cotecchia, che già aveva espresso un giudizio negativo sul Menotti, licenziandolo in tronco quando era alle sue dirette «dipendenze» a Bari;
   in data 4 ottobre 1991 il presidente pro tempore del CNR Luigi Rossi Bernardi ha comunicato a Menotti la sua esclusione dall'elenco dei vincitori del concorso di cui sopra;
   il professor Menotti ha presentato domanda in data 12 luglio 2004 per il concorso a dirigente di ricerca (bando n. 364.7), avendo maturato un'anzianità nel ruolo di primo ricercatore di oltre 15 anni; è stato poi trasferito d'ufficio il 31 ottobre 2006 da Firenze a Sesto Fiorentino, nuova sede dell'istituto di fisica applicata «Nello Carrara» del CNR (IFAC);
   il 28 giugno 2006 il dirigente dell'ufficio concorsi del CNR avrebbe comunicato al professor Menotti la sua mancata inclusione nella graduatoria degli idonei;
   il 9 dicembre 2011 lo stesso dirigente avrebbe comunicato al professor Menotti la sua inclusione nella graduatoria degli idonei, non vincitori, al quarantaduesimo e ultimo posto;
   il 25 luglio 2013 sempre il dirigente dell'ufficio concorsi avrebbe firmato la disposizione che escludeva il professor Menotti dalla graduatoria degli idonei –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di chiarire le vicende concorsuali del professor Menotti;
   se non ritenga opportuno disporre una verifica ministeriale al fine di accertare eventuali irregolarità in danno del geologo Menotti e quali iniziative di competenza intenda assumere, ove tali irregolarità sussistano nei confronti delle commissioni esaminatrici;
   se, considerati i provvedimenti amministrativi adottati nei confronti del Menotti, ad avviso dell'interrogante penalizzati, considerate le sentenze del TAR e del Consiglio di Stato che hanno annullato i diversi provvedimenti di licenziamento, giudicati illegittimi, considerata la sequela di trasferimenti d'ufficio da Perugia a Bari, da Bari a Roma, da Roma a Torino, da Torino a Firenze e infine da Firenze a Sesto Fiorentino, considerato quanto si è verificato nelle tornate concorsuali per il posto di dirigente di ricerca, considerato il probabile danno per «perdita di opportunità», non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza al fine di porre termine a questa vicenda. (4-03635)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la sicurezza degli edifici scolastici è un obiettivo prioritario nell'agenda di molti Governi; tuttavia, non è chiaro se i numerosi interventi abbiano portato ad un reale miglioramento in termini di sicurezza e di messa a norma degli edifici anche a fronte della vetustà di molti di essi e dell'aumento del rapporto studenti/docenti;
   tra questi, vi è la scuola media San Paolo di Perugia che occupa un edificio storico nelle immediate vicinanze del centro storico ed è frequentata giornalmente da numerosi studenti e da personale scolastico (circa 770 persone);
   già nell'ottobre del 2012 fece notizia (La Nazione del 14 ottobre 2012) la relazione tecnica di verifica sismica fatta dagli uffici tecnici del comune che ipotizzavano la dislocazione in altra sede del plesso scolastico, «data la storicità della costruzione, i vincoli a cui è soggetta, l'invasività e la non reversibilità degli interventi necessari ad un adeguamento e il numero elevato di persone che frequentano giornalmente l'edificio...»;
   con un altro documento del 19 giugno 2011 la Fondazione Sant'Anna, proprietaria dell'immobile, comunicava al comune che il complesso monumentale ha necessità di «lavori di consolidamento e adeguamento sismico... per assecondare le normative vigenti relative agli edifici scolastici, ed in particolare quelle relative alla sicurezza da eventi sismici» (La Nazione del 14 ottobre 2012);
   i lavori di adeguamento, ad oggi, non risultano completati e forte permane la preoccupazione tra i genitori degli studenti in merito al grado di sicurezza dello stabile anche nell'eventualità di un evento sismico (La Nazione del 16 ottobre 2012);
   secondo un rapporto di Legambiente «Ecosistema Scuola 2013» (da www.legambiente.it), il 62 per cento degli edifici scolastici è stato costruito prima del 1974, data della entrata in vigore della legge antisismica e il 38,4 per cento si trova in aree a rischio sismico;
   recentemente il decreto-legge n. 69 del 2013, convertito in legge n. 98 del 2013, all'articolo 18, comma 8 e 8-bis, ha previsto un piano di interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici destinando fino a 100 milioni di euro per il triennio 2014-2016 a tal fine e la spesa di 3,5 milioni di euro per il triennio 2014-2016 per l'individuazione di un modello di monitoraggio e di prevenzione del rischio sismico al fine di predisporre il piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici;
   la legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014) all'articolo 1, comma 206, ha previsto la possibilità di destinare l'otto per mille per ristrutturazione, adeguamento antisismico, messa in sicurezza ed efficientamento energetico degli immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica;
   è importante che siano attivate tutte le iniziative opportune al fine di garantire
ed assicurare il completamento dei lavori di adeguamento degli edifici scolastici e il loro svolgimento in modo corretto, anche attraverso indagine e controlli –:
   se i Ministri interrogati, nel rispetto delle competenze degli enti locali preposti, siano a conoscenza dello stato di avanzamento dei lavori di adeguamento sismico e di messa in sicurezza degli edifici scolastici e se vi siano criticità, in special modo nelle zone a rischio sismico come l'Umbria, e se intendano promuovere un monitoraggio e una verifica dei lavori di adeguamento realizzati negli edifici, anche al fine di tutelare l'incolumità degli studenti e del personale scolastico. (4-03638)


   SIMONE VALENTE, BRESCIA e BATTELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 dicembre 2013 è stato sottoscritto il nuovo protocollo d'intesa tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e CONI per l'avvio di uno nuova fase di realizzazione del progetto «alfabetizzazione motoria» nella scuola primaria;
   il progetto prevede l'inserimento di un docente esperto in ambito di educazione fisica e motoria con diploma ex-ISEF o laurea in scienze motorie nella scuola primaria, affiancando il maestro unico, per due ore a settimana, al fine di potenziare l'attività motoria e sportiva;
   per l'anno scolastico in corso, in quanto già avviato, è prevista la prosecuzione delle attività sulla scorta di quanto realizzato negli anni precedenti;
   nel protocollo si fa cenno all'auspicio che gli enti territoriali possano partecipare finanziariamente per ampliare il progetto ad altri plessi;
   per l'anno scolastico 2013/2014 è previsto il coinvolgimento di 3061 plessi scolastici, per un totale di 15.305 classi e l'impiego di 150 tutor;
   le commissioni paritetiche regionali devono valutare i progetti affidati ai «Team Operativi Provinciali», di cui fanno parte il coordinatore territoriale di educazione fisica e sportiva ed il coordinatore tecnico del CONI, dando priorità ad istituzioni scolastiche situate in aree a rischio disagio sociale ed istituzioni che non hanno mai preso parte al progetto di alfabetizzazione motoria nell'ambito dell'accordo PCM-MIUR-CONI (2009-2013);
   pur condividendo la premessa di cui sopra, si ritiene di criticare il fatto che in questo modo può venir meno la continuità didattica di plessi che parteciparono già al suddetto progetto;
   il ruolo di tutor, che assume la figura di formatore territoriale e rappresenta il collegamento tra la commissione didattico-scientifica e gli esperti, è incompatibile con l'incarico di coordinatore territoriale di educazione fisica e sportiva e di coordinatore tecnico del CONI;
   le commissioni paritetiche regionali dovranno compilare gli elenchi degli esperti, mentre la scelta degli stessi sarà demandata ai dirigenti scolastici dei plessi designati. Questi ultimi dovranno valutare le pregresse esperienze sia nel progetto alfabetizzazione motoria, che le documentate esperienze professionali nell'ambito motorio con alunni disabili;
   non si fa alcun accenno al trattamento economico spettante all'esperto, salvo un rimando ad una stipula di un contratto di prestazione d'opera con il presidente del comitato regionale del CONI competente per territorio, a cui è demandata anche la definizione della retribuzione;
   l'interrogante ha presentato interpellanza n. 2-00338 in data 12 dicembre 2013, con lo scopo di avere notizie riguardo il futuro del progetto alfabetizzazione motoria, chiedendo alcune informazioni al Ministro competente, cui non è stata data risposta, pur decorsi inutilmente i termini previsti dal regolamento della Camera dei deputati;
   entro il 10 febbraio 2014 vanno completati gli abbinamenti degli esperti ai plessi ed ai tutor e le sottoscrizioni dei contratti;
   i tutor hanno dovuto partecipare all'obbligatorio corso di formazione/aggiornamento in data 25 gennaio 2014 –:
   quanti fondi siano stati stanziati complessivamente per il progetto, dettagliando l'importo per singole istituzioni (CONI-Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca-Presidenza del Consiglio dei ministri) impegnate finanziariamente, sia per l'anno in corso, che per i seguenti;
   quali siano le intenzioni per gli anni successivi previsti dal protocollo d'intesa e se il Ministro intenda ampliare il progetto rendendolo finalmente definitivo, introducendo a ruolo il docente esperto, anche gradualmente, per portare l'attività fisica nella scuola primaria al pari di quella praticata in tutta Europa;
   per quale motivo non venga garantita la continuità didattica per i plessi già impegnati gli anni precedenti;
   quali garanzie possa dare il Ministro sulla retribuzione minima del contratto da prestatore d'opera, in quanto non si fa riferimento a nessuna retribuzione minima, con il rischio che gli esperti siano sottopagati. (4-03648)


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la scuola per l'Europa di Parma, istituita in attuazione dell'articolo 3, comma 5, dell'accordo di Sede tra la Repubblica italiana e l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), ratificato, ai sensi della legge 10 gennaio 2006, n. 17, ha ricevuto il riconoscimento della personalità giuridica, con la legge 3 agosto 2009, n. 115;
   nel nostro Paese, lo svolgimento delle attività didattiche offerto dalla medesima istituzione scolastica di eccellenza è previsto, oltre che nella suindicata città di Parma, anche in quella di Varese;
   alla fine dell'anno 2010, sono stati avviati i lavori per la costruzione della nuova sede emiliana, funzionante in via sperimentale, sulla base del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 41 del 23 luglio 2004, il cui ammontare complessivo risulta essere pari a 29.647.720,20 euro, di cui 20.779.705 stanziati attraverso risorse statali;
   l'interrogante rileva che da circa due anni, a seguito del commissariamento dell'amministrazione comunale di Parma e con la successiva amministrazione comunale guidata dal MoVimento 5 stelle, la realizzazione dell'opera infrastrutturale ha subito svariate interruzioni a causa di alcune divergenze decisionali tra la stagione appaltante, STU Authority spa, società partecipata al 100 per cento dal comune di Parma, e la ATI appaltatrice dei lavori;
   l'interrogante evidenzia altresì come nonostante siano intervenuti due accordi transattivi, finalizzati a superare le controversie contrattuali, ai quali tuttavia non è stata data esecuzione per cause che appaiono imputabili alla stazione appaltante, i lavori infrastrutturali della nuova sede della scuola per l'Europa di Parma, che avrebbe dovuto essere consegnata entro il 30 giugno 2014, risultano attualmente ultimati al 90 per cento;
   gli effetti del mancato completamente, secondo quanto risulta all'interrogante, determineranno la mancata accessibilità all'interno della struttura scolastica, con inevitabili ripercussioni d'interruzione sull'attività didattica;
   la sede provvisoria della scuola, in due plessi scolastici diversi, comporta inoltre notevoli disagi dimensionali e logistici agli studenti ed al personale docente e non, pertanto, i tempi indefiniti per l'ultimazione dell'opera mettono a rischio l'accreditamento dell'istituto al sistema delle scuole europee da parte dei competenti organismi della Unione europea in scadenza il prossimo agosto 2015, che sarà oggetto di valutazione per l'ispezione dei funzionari dell'Unione europea prevista nel settembre 2014;
   l'interrogante segnala inoltre, come la probabile indisponibilità della nuova sede per l'anno scolastico 2014-2015 ha costretto a riservare le nuove iscrizioni ai soli figli dei funzionari di EFSA in contrasto con gli accordi iniziali, per cui l'iscrizione alla medesima scuola per l'Europa,  avrebbe dovuto essere estesa in generale, consentendo agli interessati la realizzazione di una effettiva opportunità formativa per tutto il territorio di Parma –:
   quali siano le motivazioni che prolungano i tempi per l'ultimazione della nuova sede della scuola per l'Europa di Parma;
   se non intenda, in considerazione dei cospicui finanziamenti statali messi a disposizione, intervenire, per quanto di competenza affinché si trovi una rapida soluzione ai problemi che rallentano l'ultimazione dell'opera infrastrutturale;
   se non intenda infine intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, presso le istituzioni europee, al fine di salvaguardare il rinnovo dell'accreditamento per questa importante istituzione scolastica. (4-03652)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NARDUOLO, MORETTI e ROTTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2013, la struttura di missione istituita dal Governo italiano ha presentato il «Piano per l'attuazione della raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 22 aprile 2013 sull'istituzione di una Garanzia per i giovani», con l'obiettivo di fissare le linee guida e la struttura della «Garanzia Giovani» nel nostro Paese. Il piano verrà ulteriormente discusso nelle prossime settimane, in particolar modo in sede di Conferenza Stato-regioni;
   per l'Italia le risorse per il biennio 2014-2015 ammonteranno a 1,5 miliardi di euro, per un target complessivo di 1.508.911 giovani. Al Veneto verranno assegnati circa 28 milioni, mentre ad esempio alla Sicilia 200 milioni, alla Lombardia 200, alla Campania 215, al Lazio 153, all'Emilia Romagna 83;
   la «Garanzia Giovani» si attiverà nelle regioni con tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) superiore al 25 per cento;
   dal momento che i progetti verranno implementati e gestiti su base provinciale, i dati da tenere in considerazione sono quelli delle 7 province venete. La disoccupazione superiore al 25 per cento si registra nelle province di Belluno (30,2 per cento), Rovigo (31,2 per cento) e Venezia (33,6 per cento), mentre Vicenza (21,6 per cento), Verona (19,7 per cento), Treviso (22,3 per cento) e Padova (20,7 per cento) risultano quindi escluse dal piano «Garanzia Giovani»;
   il target potenziale per le province di Belluno, Venezia e Rovigo – le sole al momento ammesse al programma – è di 14.906 giovani fino a 24 anni. Il target potenziale di tutto il Veneto è di 43.623 giovani, quindi resterebbero esclusi 28.717 giovani delle altre quattro province venete, a fronte di circa 74.000 NEET della stessa fascia d'età in tutta la regione;
   i giovani veneti stanno vivendo ormai da qualche anno una difficile situazione sociale ed economica, visto che nella regione il tasso di disoccupazione tra i 15 e i 24 anni è passato dal 10,7 per cento del 2008 al 23,7 per cento del 2012, con un aumento di oltre il 120 per cento dall'inizio della crisi –:
   se i Ministri interrogati non ritengano che «Garanzia Giovani» possa essere estesa anche alle province del Veneto che attualmente ne risultano escluse, assicurando in questo modo pari opportunità di accesso alle risorse europee a tutti i giovani della regione, verificando la possibilità di una applicazione più flessibile dei parametri – compatibilmente col regolamento comunitario – per esempio considerando non il dato puntuale della disoccupazione riferito al singolo anno 2012, bensì la crescita che si può rilevare dalla serie storica 2008-2012. (5-02189)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, COMINARDI, ALBERTI, ROSTELLATO, BALDASSARRE e RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal quotidiano La Repubblica del 17 febbraio 2014 si apprende che «Proprio nel week-end di San Valentino, non poteva arrivare una comunicazione peggiore per i lavoratori della Perugina, il celebre marchio del cioccolato, diventato famoso per i suoi Baci. La Nestlé che da tempo è proprietaria dell'azienda italiana ha comunicato ai sindacati di voler mettere in cassa integrazione 867 lavoratori. La risposta è stata, uno sciopero di 8 ore»;
   i lavoratori dello stabilimento Perugina Nestlé di San Sisto hanno infatti annunciato l'astensione dal lavoro dopo che l'azienda ha comunicato la decisione di procedere all'attivazione della cassa integrazione ordinaria per 867 lavoratori;
   la crisi dello stabilimento perugino della Nestlé si inserisce in un tessuto sociale quale quello umbro già marcatamente colpito dalla crisi industriale in atto: solo a titolo esemplificativo, l'Acciaieria di Terni, Merloni spa, già in amministrazione straordinaria, hanno progressivamente impoverito il territorio con effetti pesanti sulle famiglie e i lavoratori dipendenti;
   lo stabilimento Perugina rappresenta un marchio e una azienda «storica» della città e la decisione assunta dalla dirigenza Nestlé di porre in cassa integrazione guadagni 867 lavoratori suscita allarme per le dure conseguenze sociali ed economiche sul territorio umbro;
   i sindacati hanno espresso perplessità e preoccupazioni in ordine alle effetti della crisi e alla adozione della misura della cassa integrazione guadagni senza passare attraverso la valutazione di altri strumenti previsti dal nostro ordinamento giuridico in caso di crisi aziendale, come l'adozione di contratti di solidarietà anche di tipo difensivo (La Repubblica del 17 febbraio 2014);
   ad oggi forte è la preoccupazione tra gli 867 dipendenti collocati in cassa integrazione guadagni in merito alla propria sorte lavorativa come pure l'incertezza tra tutti i dipendenti dello stabilimento in merito alle prospettive occupazionali;
   è necessario un intervento del Governo finalizzato a realizzare un piano condiviso in maniera tale da ridurre il più possibile l'impatto della crisi sul salario dei dipendenti e in maniera tale da rilanciare l'attività con un serio piano industriale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della descritta situazione;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno ed urgente istituire un tavolo interministeriale che veda protagonisti tutti i soggetti interessati al fine di predisporre un piano industriale efficace e condiviso ed individuare ogni possibile strada che abbia come interesse preminente la salvaguardia dei livelli occupazionali anche tramite l'adozione di strumenti di solidarietà previsti dalla normativa vigente. (4-03639)


   AIRAUDO, DI SALVO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si è appreso che la multinazionale Nestlé, proprietaria dell'azienda italiana Perugina, ha comunicato ai sindacati la scelta unilaterale di voler mettere in cassa integrazione ordinaria 867 lavoratori dello stabilimento Perugina Nestlé di San Sisto;
   i lavoratori, dopo che l'azienda ha comunicato la sua decisione, hanno annunciato uno sciopero di 8 ore, come hanno riferito in una nota congiunta Flai-Cgil, Fai-Cisl, Uila-Uil e Rsu, precisando che nelle assemblee in corso i lavoratori chiedono solidarietà e non cassa integrazione;
   nella nota sindacale si afferma: «Siamo consapevoli della gravità della crisi in essere ma siamo altrettanto consapevoli che i suoi effetti sono amplificati oltremodo dalla mancata reazione, attraverso scelte industriali coraggiose ed investimenti, da parte del management italiano. Per questo non riteniamo accettabile scaricare in modo superficiale le conseguenze di questa situazione esclusivamente sul salario dei lavoratori, attraverso l'utilizzo di un ammortizzatore passivo e difensivo quale è la cassa integrazione. Il contratto di solidarietà al contrario presuppone un accordo su un piano industriale che va condiviso con i sindacati e con la RSU. Piano industriale che deve dare una prospettiva seria a fronte della quale i lavoratori possano affrontare i sacrifici che vengono loro richiesti, sapendo sono finalizzati al rilancio della loro fabbrica» –:
   come sottolineato dai sindacati, il problema che si presenta è costituito dall'assenza di un piano industriale e dalla debolezza del management italiano;
   la possibilità di ricorrere ai contratti di solidarietà, inducendo a presentare un piano industriale, è in grado di garantire l'occupazione e di costringere l'azienda a investire e a rilanciare la produzione nel territorio umbro;
   l'atteggiamento di Nestlé e la mancanza di una guida forte a livello di direzione aziendale non offrono al momento queste garanzie –:
   se non intenda convocare urgentemente un tavolo di trattative che abbia l'obiettivo di portare l'azienda Nestlé a presentare un piano industriale per la Perugina, anche ricorrendo ai contratti di solidarietà, invece che alla cassa integrazione. (4-03640)


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni una gravissima crisi occupazionale ha interessato la provincia di Monza e Brianza, in particolar modo nel settore dell'ITC;
   importanti imprese, che hanno fatto la storia della provincia e del Paese, come la Micron Semiconductor (ex Numonyx), la Competl/Linkra, l'Alcatel e l'IBM, stanno attuando significativi processi di ridimensionamento e/o di delocalizzazione;
   spesso è accaduto che aziende multinazionali abbiano acquistato società italiane loro competitor con relativi brevetti e know-how, cui hanno fatto seguito la relativa dimissione e chiusura, con ovvie ripercussioni sui livelli occupazionali;
   un caso al centro di attenzione della provincia in questi giorni riguarda la società Micron Electronics, che conta, esclusi i dirigenti, 1028 persone, di cui 426 impiegati nei siti di Agrate Brianza e Vimercate;
   l'azienda americana ha presentato al tavolo del Ministero dello sviluppo economico il piano per il licenziamento collettivo di 419 lavoratori, dei quali 223 dipenderebbero dai due poli presenti nella provincia di Monza e Brianza;
   la procedura di mobilità oramai già avviata terminerà il 7 aprile 2014, pertanto è urgente addivenire ad una soluzione in tempi rapidi che possa scongiurare il licenziamento collettivo –:
   a che punto siano le trattative presso il Ministero dello sviluppo economico e se e quali accordi siano stati già raggiunti;
   se e quali iniziative di competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda porre in essere in merito alla vicenda esposta in premessa per indurre la proprietà ad utilizzare strumenti alternativi ai licenziamenti e salvaguardare i livelli occupazionali. (4-03641)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   attraverso le pagine di diversi quotidiani nazionali e locali è ormai nota la vicenda dell'ex avvocato del comune di Perugia entrato nella lista dei super pensionati d'Italia con oltre 637 mila euro annui di pensione;
   la storia dell'avvocato perugino, pur essendo simile a molte altre in Italia, ha suscitato l'indignazione della popolazione umbra poiché a fronte di una pensione così alta è stato facile supporre quanto il comune abbia speso dal 2008 – anno di pensionamento dell'avvocato – ad oggi;
   sempre da diverse pubblicazioni web si apprende, infatti, che il comune avrebbe speso una cifra pari a 3.250.000 euro negli ultimi cinque anni, e che ancora oggi, lo stesso avvocato, pur in pensione, è incaricato di seguire alcune cause ancora aperte per il capoluogo umbro;
   l'indignazione dei cittadini nei confronti di quello che, anche agli interroganti, ha tutto l'aspetto di uno sperpero sconsiderato delle risorse pubbliche, è ancora maggiore se si pensa che il 65 per cento dei pensionati dell'Umbria percepisce un assegno sociale inferiore ai 600 euro al mese;
   è evidente che il caso perugino è soltanto un ulteriore esempio di come il tema delle cosiddette «pensioni d'oro» sia quanto mai urgente da affrontare e ridimensionare, specie in un grave momento di crisi economica come quello che stiamo vivendo;
   le cosiddette «pensioni d'oro» ad avviso degli interroganti, se ricalibrate, potrebbero essere una fonte importante di risorse economiche per lo Stato; e proprio a questo proposito gli interroganti hanno presentato una proposta di legge per mettere un tetto di 5.000 euro nette al mese alle pensioni d'oro, ridistribuendo l'eccedenza alle pensioni minime, che si è proposto di fissare a 1.000 euro annui –:
   se non ritenga opportuno intervenire in maniera urgente ed incisiva, anche mediante iniziative normative, sulle modalità di pensionamento di dirigenti e collaboratori delle pubbliche amministrazioni che, a fronte della grave crisi economica attuale, percepiscono pensioni oggettivamente troppo alte. (4-03649)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) è un ente pubblico economico che svolge, tra l'altro, la funzione di migliorare la gestione finanziaria dell'impresa agricola e favorire un più facile accesso al credito attraverso forme di garanzia creditizia e finanziaria;
   molte aziende agricole lucane che negli anni hanno contratto mutui per ottimizzare e potenziare l'attività a causa della pesante crisi che vive oggi il settore non sono riuscite o non riusciranno, però, ad onorare le rate del finanziamento;
   ciò ha comportato o comporterà per gli imprenditori del settore la vendita all'asta dei terreni, terreni che rappresentano per tanti l'unica fonte di sostentamento;
   l'agricoltura lucana rappresenta un contesto di lavoro e di impiego per migliaia di famiglie e di operatori e uno dei settori centrali dell'economia della regione;
   le difficoltà che oggi vive il comparto richiedono l'adozione di misure di sostegno;
   è necessario adottare ogni utile iniziativa per evitare che la morosità nei pagamenti dei mutui contratti dagli agricoltori possa portare alla vendita all'asta dei terreni –:
   quali azioni il Ministro intenda porre in essere per sostenere le imprese del settore agricolo che attraversano un grave periodo di crisi;
   se ritenga doveroso assumere iniziative, se del caso normative, dirette a consentire una dilazione nel pagamento delle rate dei mutui contratti dagli agricoltori lucani con l'ISMEA. (4-03647)


   REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   il Parmigiano Reggiano è un noto formaggio DOP, a pasta dura, prodotto con latte crudo, parzialmente scremato per affioramento, senza l'aggiunta di additivi o conservanti. La zona di produzione del Parmigiano Reggiano comprende le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna a sinistra del fiume Reno e Mantova a destra del fiume Po;
   la denominazione di origine protetta, meglio nota con l'acronimo DOP, è un marchio di tutela giuridica della denominazione che viene attribuito dall'Unione europea agli alimenti le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono stati prodotti. L'ambiente geografico comprende sia fattori naturali, clima, caratteristiche ambientali, sia fattori umani, tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità, savoir-faire che, combinati insieme, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva. Affinché un prodotto sia DOP, le fasi di produzione, trasformazione ed elaborazione devono avvenire in un'area geografica delimitata;
   secondo quando si apprende da un articolo apparso il 18 febbraio 2014 su La Stampa e ripreso nella medesima edizione del giornale dal «Buongiorno» di Massimo Gramellini il presidente dello storico e importantissimo consorzio del Parmigiano Reggiano, Giuseppe Alai, sarebbe a sua volta presidente della Itaca società cooperativa, che detiene il 100 per cento della Magyar sajt Kft, una società che, come si evince dall'articolo, commercializza formaggi che imitano i campioni nazionali dell'agroalimentare o che sono Italian sounding;
   a minare la credibilità di uno dei più importanti consorzi di tutela e valorizzazione italiani, oltre all'arresto del suo direttore generale Riccardo Deserti per una vicenda di furto aggravato di documenti del Mipaff, vi sono le furenti critiche degli agricoltori emiliani preoccupati per l'annuncio della prossima realizzazione (per ora sospesa) a Correggio, di un mega-magazzino di stagionatura del Parmigiano-Reggiano da parte della Nuova Castelli s.p.a., che sarà in grado di stoccare 500 mila forme: circa metà della produzione del Parmigiano-Reggiano della provincia reggiana, dove vengono prodotte quasi 1 milione di forme l'anno, mentre la produzione totale in tutto il comprensorio supera di poco le 3 milioni di forme. Il mondo agricolo reggiano si chiede da dove sarà reperita una quantità così elevata di formaggio, tale da giustificare l'investimento milionario. Tenuto conto che operano nel territorio reggiano altre società che hanno da poco ristrutturato i propri magazzini, i magazzini esistenti sono già in grado di stagionare tutto il formaggio prodotto;
   la Nuova Castelli s.p.a. società leader nel settore dell’export di formaggi e pesce, ha fra i propri soci la famiglia Dante Bigi (con il 43 per cento e, con il 25 per cento Tavole Emiliane, a sua volta partecipata da Parco, Unieco e Ccfs di Legacoop e alcune latterie sociali, oltre ad altri soci, in un reticolo di partecipazioni che arriva a società operanti anche in Paesi stranieri. Fra le varie società estere – spicca un'azienda ungherese, la Magyar Sajt Kft, che si occupa di prodotti lattiero-caseari, partecipata al 100 per cento da un'azienda mantovana riconducibile in termini di quote societarie a «Itaca Società Cooperativa». Il 1o aprile 2010 è stata fondata a Budapest la Società a responsabilità limitata, Magyar Sajt Kft la cui principale attività consiste in «prodotti lattiero-caseari di produzione». Dalla visura della Magyar, per quanto riguarda i soci, compare il solo nome della Cheese Company Srl, azienda italiana con sede a Moglie (Mantova). Socia al 20 per cento della Cheese Company Srl è la Nuova Castelli Spa, a sua volta socia per il 27 per cento circa di Sofinc spa della quale la società «Itaca Società Cooperativa» è proprietaria per il 36,42 per cento. Come detto, il presidente della società «Itaca Società Cooperativa» è Giuseppe Alai, attuale, peraltro presidente in carica del Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda e se quanto rappresentato trovi conferma; quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, in relazione alla doppia carica del presidente Alai affinché non pregiudichi le attività di promozione e tutela, anche della concorrenza, del Consorzio del Parmigiano Reggiano anche in ossequio alla direttiva comunitaria in materia di DOP; sé i Ministri interrogati non intendano considerare l'ipotesi di attivare iniziative normative che permettano di rafforzare gli strumenti di protezione dei «campioni» dell'agroalimentare italiano e di evitare l'elusione fiscale, in particolare dell'IVA, da parte di società estere che commercializzazione prodotti Italian sounding nel territorio nazionale.
(4-03653)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 agosto 2009 la giunta regionale della regione Marche ha deliberato la costituzione del registro tumori regionale (delibera di giunta regionale n. 1298 del 2 agosto 2009 di «Istituzione del registro nominativo cause di morte (ReNCaM) e del registro tumori regionale (RTR) della regione Marche presso l'Agenzia regionale sanitaria»);
   il 10 aprile 2012 il consiglio regionale delle Marche ha quindi approvato la legge regionale n. 6 istitutiva del «registro regionale delle cause di morte e dei registri di patologia»;
   nel novembre 2013 la V Commissione ha approvato all'unanimità la delibera che definisce l'organizzazione e il funzionamento del registro tumori regionale (RTR);
   in data 2 dicembre 2013 è stata approvata infine la delibera di giunta n. 1629 per l'istituzione del registro tumori regionale delle Marche, clone in realtà di quella del 2009;
   secondo le dichiarazioni recentemente rilasciate alla stampa dall'assessore regionale alla salute, Almerino Mezzolani (ASCA Marche: Mezzolani, nessun ritardo Giunta su avvio Registro tumori) si tratta di un provvedimento ad oggi non esecutivo a causa della mancata emanazione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, del regolamento dei registri di patologia di cui all'articolo 12 commi 10, 11, 12, 13 del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito dalla legge n. 221 del 2012 (in particolare l'articolo 12, comma 13, del decreto-legge n. 179 del 2012 dispone che: «...con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro della salute, acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuati, in conformità alle disposizioni di cui agli articoli 20, 22 e 154 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e successive modificazioni, i soggetti che possono avere accesso ai registri di cui al presente articolo, e i dati che possono conoscere, nonché le misure per la custodia e la sicurezza dei dati»);
   ad oggi, pertanto, le Marche sono una delle tre regioni italiane prive di un registro tumori (fonte: «Cronachemaceratesi.it», «Nelle Marche non c’è un registro tumori, Civicamente si rivolge a Mezzolani», 19 novembre 2010) strumento – come detto – indispensabile per avere una mappatura esauriente dell'incidenza nella popolazione delle malattie tumorali. La necessità che la regione Marche si doti di un proprio registro tumori è resa ancor più urgente dalla presenza di aree, una fra tante quella limitrofa alla raffineria API di Falconara (Ancona), ove insistono gravi fattori di criticità sanitaria ed ambientale, ma le realtà citabili sono molteplici;
   la mancata adozione del regolamento di cui all'articolo 12 del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito dalla legge n. 221 del 2012, rischia di creare un vuoto normativo, con conseguente possibile blocco dell'operatività dei registri tumori già esistenti sul territorio nazionale;
   tuttavia, secondo fonti ufficiali del Ministero della salute «attualmente sono attivi 31 registri di popolazione o specializzati che seguono complessivamente un quarto della popolazione italiana ...» (sito del Ministero) –:
   a che punto sia l’iter di adozione del predetto regolamento di cui all'articolo 12 del decreto-legge n. 179 del 2012 – in particolare, se sia stato acquisito il prescritto parere del Garante per la protezione dei dati personali, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano – ovvero, ove nulla sia stato fatto, se non ritenga assolutamente opportuno fornire idonee garanzie affinché ne sia avviato l’iter prima possibile, data la rilevanza della questione;
   se intenda chiarire se la mancata adozione del predetto regolamento, ex articolo 12 del decreto-legge n. 179 del 2012, sia o meno causa ostativa del funzionamento degli altri 31 registri tumori presenti sul territorio nazionale, come risultanti da fonti ministeriali, poiché si rischia in tal modo una evidente disparità di trattamento tra regioni e quindi tra cittadini. (5-02195)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogante sono giunte inquietanti segnalazioni di denuncia circa la qualità dell'acqua erogata dagli acquedotti sul territorio nazionale;
   a soli fini esemplificativi, si esporrà la situazione dei comuni del viterbese e in particolare del comune di Civita Castellana il cui approvvigionamento dovrebbe essere garantito tramite l'A.T.O. n. 1 Lazio Nord e Talete S.p.A.;
   il problema dell'acqua con alti contenuti di sostanze pericolose per la salute, quale arsenico, fluoro e borio è divenuto evidente, in particolare, con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 31 del 2001, che recepisce la direttiva n. 98/83/CE del Consiglio concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano. Da quel momento in poi, infatti, si è evidenziata – finalmente anche a livello normativo – una vera e propria emergenza sanitaria rimasta irrisolta ormai da oltre un decennio;
   i valori limite di 10 μ/l per l'arsenico, di 1 mg/l per il borio e di 1,5 mg/l per il fluoruro fissati dalla normativa comunitaria sopra citata mirano ad assicurare che le acque destinate al consumo umano possano essere consumate in condizioni di sicurezza nell'intero arco della vita;
   purtroppo, nella sola provincia di Viterbo, in 40 comuni su 60 sono in vigore specifiche ordinanze che vietano l'utilizzo dell'acqua del rubinetto per gli usi personali (abbeveraggio, cucina, igiene personale), mentre ne è consentito l'utilizzo solo per la pulizia della casa;
   nel frattempo, ben tre proroghe sono state chieste e concesse all'Unione europea, l'ultima delle quali in data 2 febbraio 2010 per alcune forniture nelle regioni Campania, Lazio, Lombardia, Toscana, Trentino-Alto Adige e Umbria;
   il 17 gennaio 2011 viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto interministeriale 24 novembre 2010, che non prevede alcuna disciplina derogatoria per la regione Lazio. Da ciò si desume come nulla sia stato fatto negli ultimi anni e come la popolazione sia stata lasciata esposta a contaminanti estremamente dannosi per la salute;
   il sindaco del comune di Civita Castellana, avvocato Gianluca Angelelli ha, addirittura, emesso in data 3 febbraio 2011 l'ordinanza sindacale n. 4 del 2011, nella quale – preso atto che su tutto il territorio comunale i dati di concentrazione dell'arsenico erano al momento superiori ai 10 μ/l ovvero alla soglia consentita per legge oltre la quale l'acqua non è più potabile – disponeva la non potabilità delle acque erogate dal pubblico acquedotto su tutto il territorio comunale determinata dal superamento delle concentrazioni di arsenico fissate dal decreto legislativo n. 31 del 2001, disponendo, inoltre, che l'A.T.O. n. 1 e Talete S.p.A. quali gestori del servizio idrico integrato del comune in questione, avrebbero dovuto provvedere con immediatezza: a) ad effettuare le analisi sulle acque in distribuzione; b) a mettere in atto tutti gli accorgimenti idonei a garantire l'abbattimento del livello di concentrazione di arsenico al di sotto del limite di legge; c) a garantire l'approvvigionamento idrico anche mediante erogatori pubblici, avvertendo che, in assenza di provvedimenti tempestivi, l'Ente avrebbe agito in loro danno;
   in data 2 gennaio 2014, dal sito web della ASL di Viterbo si apprende che nonostante i fondi pubblici spesi per gli impianti di depurazione dell'acqua potabile, i valori sono ancora lontani dall'essere ritenuti sicuri e a norma di legge;
   occorre a questo proposito segnalare che la non potabilità dell'acqua inficia in senso negativo il valore commerciale del bene, mentre dal punto di vista igienico e sanitario le strutture abitative e in genere ogni immobile realizzato dopo l'entrata in vigore dei limiti europei e che ha nelle proprie condotte acqua non potabile non assume le caratteristiche della agibilità, secondo quanto disposto dall'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380;
   peraltro, occorre segnalare che, nella misura in cui l'edificio difetti della certificazione di agibilità e abitabilità, risultano nulli altresì i contratti di ogni fornitura –:
   se il Governo, non ritenga doveroso attivarsi – con ogni iniziativa a sua disposizione considerati anche gli obblighi derivanti dalla normativa europea, e nel rispetto dei diversi livelli di competenza territoriale – al fine di ripristinare il rispetto dei requisiti di legge dell'acqua potabile, la cui violazione rappresenta un danno non solo economico per le sopraesposte considerazioni circa l'agibilità degli immobili, ma soprattutto alla salute dei cittadini, dal momento che l'esposizione a tali agenti inquinanti è una delle principali cause dell'aumento dell'incidenza di patologie tumorali. (4-03630)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la società San Leon Energy, risulta essere una piccola srl con 10 mila euro di capitale sociale e una sede in provincia di Lecce, e finora impegnata principalmente alle esplorazioni petrolifere al largo delle coste siciliane;
   come riportato dal quotidiano Italia Oggi del 25 giugno 2010, la San Leon è soltanto una delle numerose medio-piccole società petrolifere che in questi anni hanno ottenuto parere favorevole dal Ministero dello sviluppo economico per ben 36 istanze di esplorazione petrolifera, praticamente intorno alla Sicilia. Il capitale della San Leon Energy srl è però totalmente in mano alla San Leon Energy Limited, società che ha sede a Dublino, Northbrook road. Come si apprende dal sito della casa madre, si tratta di una società che ha circa 20 milioni di euro di capitale sociale versato e che si occupa di esplorazioni ed estrazioni di petrolio e gas in Marocco, Olanda, Polonia e Stati Uniti;
   la Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie (CIRM) del Ministero dello sviluppo economico nella seduta in data 11 dicembre 2008 ha espresso parere favorevole all'accoglimento dell'istanza, presentata in data 21 febbraio 2008 dalla suddetta società San Leon Energy Srl, per il permesso di ricerca (per una durata massima di 6 anni) per idrocarburi denominato «Sospiro»;
   detta ricerca deve condursi globalmente su un'area di estensione pari a 421,20 chilometri quadrati che interessa sul territorio della regione Lombardia, le province di Brescia, Cremona e Mantova, distribuita tra i comprensori dei comuni di seguito elencati:
    a) Gottolengo, Fiesse, Gambara, Isorella, Milzano, Pavone del Mella, Pralboino, Remedello, Seniga per la provincia di Brescia; Ca d'Andrea, Cappella de’ Picenardi, Cella Dati, Cicognolo, Cingia De’ Botti, Derovere, Drizzona, Gabbioneta-Binanuova, Isola Dovarese, Malagnino, Motta Baluffi, Ostiano, Pescarolo ed Uniti, Pessina Cremonese, Piadena, Pieve D'Olmi, Pieve San Giacomo, San Daniele Po, San Giovanni in Croce, San Martino Del Lago, Scandolara Ravara, Solarolo Rainerio, Sospiro, Torre de, Picenardi, Torricella del Pizzo, Volongo, Voltido per la provincia di Cremona; – Asola, Canneto sull'Oglio, Casalromano per la provincia di Mantova;
   la giunta regionale della Lombardia nella seduta n. 32 del 31 ottobre 2013, ha espresso al Ministero dello sviluppo economico l'assenso della regione al conferimento alla società San Leon Energy Srl del suddetto permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi;
   riguardo alla localizzazione e all'inquadramento territoriale, tra le motivazioni dalla giunta regionale lombarda addotte al parere favorevole vi è la constatazione che in tutta l'area del permesso la pericolosità sismica è modesta, tutti i comuni all'interno del permesso sono classificati in categoria 4. Si segnala però che detta classificazione andrebbe verificata alla luce degli eventi sismici del maggio 2012;
   il PTCP (piano territoriale di coordinamento provinciale) della provincia di Cremona segnala la presenza di ambiti di tutela quali: (parco Adda Sud) (articolo 15), valli fluviali e ambiti dei corsi d'acqua (articolo 4), elementi naturali puntuali (fontanili, zone umide) (articolo 16), rete ecologica provinciale e corridoi ecologici esistenti o potenziali (articolo 16), aree archeologiche (articolo 14). Sotto quest'ultimo aspetto si evidenzia però che le vibrazioni conseguenti alle attività di permesso di idrocarburi, rischiano di avere impatti negativi sulle suddette aree archeologiche;
   riguardo agli effetti legati all'inquinamento acustico, la premessa al parere positivo della giunta della regione Lombardia, riporta che «gli impatti sulla componente sono connessi alla fase di acquisizione dei rilievi sismici che sarà svolta in orario diurno sia per le prospezioni elettromagnetiche che per le prospezioni sismiche; le indagini geoelettriche verticali non comportano emissioni sonore particolari se non quelle emesse dal passaggio dei mezzi che trasportano il materiale necessario per l'esecuzione dei rilievi con un impatto sulla componente decisamente trascurabile; le prospezioni sismiche comportano l'utilizzazione di “vibroseis” che da un punto di vista acustico sono assimilabili ad autocarri in manovra; tale mezzo di compattazione ha una potenza sonora massima di 82 + 11 log 10 P dove P è la potenza generata dal mezzo in kW; nello studio si sottolinea che, anche ipotizzando un mezzo di potenza attorno a 500 kW la potenza emessa sarà sempre inferiore a 110 dB(A) (....). A tal proposito si segnala che la direttiva 2003/10/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dal rumore, recepita dal decreto legislativo 10 aprile 2006, n. 195, riporta, come valori di esposizione: a) valore limite di esposizione: 87 dB(A); b) valore superiore di esposizione che fa scattare l'azione: 85 dB(A); c) valore inferiore di esposizione che fa scattare l'azione: 80 dB(A). Ossia valori mediamente più bassi di quelli attesi dalle suddette attività di ricerca per idrocarburi»;
   relativamente alla fase di ricerca comprensiva di nuovi rilevamenti geofisici, limitati nella loro estensione per l'acquisizione di ulteriori dati geologici del sottosuolo, la premessa al parere positivo della giunta della regione Lombardia sottolinea che la società San Leon Energy s.r.l., provvederà al recupero dell'area indagata e alla restituzione dell'originaria destinazione d'uso. Va evidenziato però che la reale attuazione di quanto sopra riportato andrebbe valutata alla luce del fatto che detta società San Leon Energy risulterebbe avere solamente 10 mila euro di capitale sociale –:
   se risulti agli atti quali siano stati i presupposti e i criteri seguiti, anche alla luce delle criticità esposte in premessa, relativamente al parere favorevole dalla Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie del Ministero dello sviluppo economico all'istanza presentata dalla società San Leon Energy srl, per il sopra citato permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi nei territori delle province di Brescia, Cremona e Mantova.
(2-00415) «Lacquaniti».

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALMIZIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ultimo episodio del suicidio di una ragazzina di 14 anni verificatosi a Padova il 9 febbraio 2014, che ha indotto la procura ad avviare un'inchiesta, a seguito delle incitazioni ad uccidersi che l'adolescente aveva ricevuto sul social network: «Ask.fm», ripropone a giudizio dell'interrogante, l'irrisolto fenomeno relativo ad un gravissimo problema sociale, divenuto ormai di natura emergenziale, rappresentato dagli atti di bullismo e di molestia effettuati tramite Internet;
   l'interrogante evidenzia, come il gesto estremo compiuto dalla giovane adolescente, sia l'ultimo di nove episodi di cyberbullismo avvenuti dall'inizio dell'anno, provocato da offese e da violenze verbali e psicologiche ricevute attraverso il suindicato sito internet: «Ask.fm», la cui utenza composta quasi esclusivamente da adolescenti tra i 13 e i 18 anni, consente la possibilità di scrivere domande sul profilo di altri membri in assoluto anonimato;
   il medesimo portale Internet che rappresenta, a giudizio dell'interrogante, un'ulteriore dimostrazione di come la rete sia divenuto uno strumento d'informazione, che in molti casi sta determinando gravi disagi psicologici per i minorenni, impone una serie di interventi correttivi urgenti e necessari, in grado di creare una cornice protettiva per la tutela e la salvaguardia dei giovani nel nostro Paese;
   le indagini da parte della magistratura e l'importante attività d'investigazione, svolta da parte della polizia postale che dovranno verificare se ci siano stati sulle pagine della chat line sul sito web: «Ask.me», elementi probatori che possano ipotizzare l'istigazione al suicidio nei messaggi anonimi inviati alla ragazzina di Padova, sebbene necessarie e doverose in grado anche fronteggiare il fenomeno, non rappresentano a giudizio dell'interrogante, un argine rigoroso, che possa determinare una svolta nel superamento definitivo del grave e preoccupante manifestazione del cyber bullismo;
   a giudizio dell'interrogante, occorre intervenire direttamente sui social network, che rappresentano come evidenziato in precedenza, un pericolo concreto per i giovanissimi che dalla vita parallela sulle pagine virtuali, rischiano quotidianamente di subire ripercussioni nella vita reale, in grado di determinare addirittura gesti estremi come il suicidio –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritengano urgente e necessario, promuovere in ambito di Unione europea, iniziative anche attraverso il potenziamento dei sistemi tecnici ed informatici, in grado di contrastare un fenomeno quale il cyber bullismo, la cui diffusione negli ultimi anni è stata purtroppo molto intensa a causa delle dimensioni e della velocità con cui si trasmette nei confronti dei giovani adolescenti;
   se non ritengano altresì urgente e necessario, intervenire in sede internazionale, al fine di addivenire a soluzioni in grado di risolvere i complicati rapporti con le società che gestiscono i social network, in considerazione delle difficoltà che si riscontrano nel rintracciare i referenti con cui confrontarsi, a causa di una serie di problemi legati alla individuazione della giurisdizione competente rispetto a tali società, che rendono difficili le attività di controllo perfino nei Paesi dove esse hanno la sede;
   se non ritengano altresì opportuno, assumere iniziative per prevedere l'introduzione di una fattispecie penale nuova, in considerazione del livello emergenziale raggiunto nel nostro Paese, che sta determinando un vero e proprio aliante sociale, considerato che l'età delle vittime, non soltanto limitata alla sola fascia adolescenziale, tende ad abbassarsi sempre di più, con conseguenze che possono segnare una vita in profondità;
   quali iniziative intendano intraprendere, al fine di contrastare il fenomeno anche attraverso la formazione, il contatto diretto con i ragazzi, l'attività educativa e di confronto nelle scuole. (4-03626)


   CIRIELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il territorio casertano, già pesantemente segnato dalla crisi, sta vivendo l'ennesimo dramma dell'occupazione con l'ulteriore, durissimo colpo inferto a un'industri strategica del settore dell'ICT;
   in particolare, rabbia e preoccupazione desta la vicenda riguardante il futuro dei lavoratori della società Jabil Circuit, leader mondiale nella produzione di componenti elettronici, con sede nel comune di Marcianise (CE);
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa locali, la multinazionale americana avrebbe presentato un piano industriale, secondo il quale nel sito produttivo di Marcianise si registrerebbero 440 esuberi su 750 dipendenti, in cassa integrazione già da due anni;
   secondo i vertici dell'azienda, la riduzione del personale rappresenterebbe l'unica soluzione per salvare lo stabilimento di Terra del lavoro;
   si tratta dell'ultimo capitolo di una politica aziendale avviata da tempo, quando già due anni fa la multinazionale decise di chiudere la fabbrica di Cassina de’ Pecchi e licenziare tutti i 320 lavoratori, che ancora oggi sono in presidio permanente ai cancelli dello stabilimento, di fronte all'indifferenza di tutti;
   è indispensabile per il futuro di questo territorio e dei suoi cittadini, adottare ogni iniziativa a tutela dei lavoratori e dei livelli occupazionali nella fabbrica Jabil di Marcianise, l'ultima unità produttiva della multinazionale americana rimasta in Italia;
   uno spiraglio di speranza potrebbe nascere dalle recenti notizie riportate dai quotidiani locali, secondo cui l'azienda avrebbe accolto la richiesta del Governo di mantenere la produzione nello stabilimento di Marcianise, rinunciando a procedere con i temuti licenziamenti unilaterali e privilegiando gli ammortizzatori sociali per la gestione degli esuberi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerato che la risoluzione della problematica è fondamentale per le sorti del territorio, quali iniziative ritengano oppor-tuno adottare per garantire il rispetto da parte della Jabil Circuit Italia degli accordi raggiunti con il Governo e per affrontare con i vertici della multinazionale e con il management italiano le concrete possibilità di recuperare a Marcianise nuove attività produttive allocate in altri Paesi. (4-03628)


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con diversi atti di sindacato ispettivo (a partire dall'interrogazione n. 4/01963 del 25 settembre 2013 che, nonostante i solleciti del 12 novembre 2013 e del 28 gennaio 2014, non ha avuto riscontro) l'interrogante ha sottoposto all'attenzione del Governo la vicenda del dipendente di Poste italiane spa, Alessandro Carollo;
   benché il medesimo, nel ruolo di ispettore postale della struttura di fraud management di Palermo, abbia fornito un contributo particolarmente significativo all'inchiesta «lost pay» della Guardia di finanza relativa a una truffa organizzata ai danni della catena «Servizi postali» e «Posta più», è stata decisa la sua estromissione dalla citata struttura ispettiva con modalità che all'interrogante appaiono più che discutibili;
   a quanto risulta all'interrogante, l'ispettore Carollo sarebbe stato soggetto, negli anni, a comportamenti fortemente penalizzanti e vessatori nell'esercizio delle proprie funzioni; in tale contesto sarebbe maturato, a detta dello stesso ispettore, anche il provvedimento di estromissione dalla struttura ispettiva di Palermo;
   sono numerosi gli accadimenti – alcuni di questi ad avviso dell'interrogante sconcertanti – che hanno riguardato l'attività lavorativa dell'ispettore Carollo. Si fa riferimento, in particolare, al ripetersi di atteggiamenti di delegittimazione personale e professionale, al verificarsi di episodi di ostruzionismo rispetto alle ordinarie incombenze lavorative dell'ispettore (inclusa la mancata assegnazione di un mezzo di servizio), all'esercizio di pressioni in relazione alle delicate attività di accertamento svolte in collaborazione con le forze di polizia, al determinarsi di clamorose fughe di notizie su indagini in corso atte a ostacolarne gli esiti e a esporre l'ispettore a evidenti rischi e «malumori» (al punto che le attività ispettive sarebbero venute spesso a conoscenza delle persone coinvolte o di organi esterni);
   i fatti e le anomalie in questione – secondo quanto risulta all'interrogante – sarebbero, direttamente o indirettamente, imputabili all'atteggiamento tenuto dal management di Poste italiane e, segnatamente, dal dirigente Salvatore Malerba, referente dell'Ufficio Atta Sud 1 (al quale sarebbero state inviate circostanziate relazioni), e da un suo stretto collaboratore;
   solo a titolo esemplificativo è il caso di riportare una grave circostanza che sarebbe occorsa presso la citata struttura ispettiva nel 2009: uno stretto collaboratore del dottor Malerba si sarebbe addirittura appropriato di documenti contraffatti riportanti il sigillo dell'Arma dei carabinieri, dopo aver allontanato il dott. Carollo dalla sua stanza;
   analogamente, desta molte perplessità – e dovrebbe essere quindi approfondita – la vicenda concernente un dipendente che, per quanto consta all'interrogante, benché oggetto di segnalazioni per gravi irregolarità documentali, avrebbe beneficiato nel 2011 da parte di Poste italiane di un cospicuo incentivo per l'esodo volontario;
   a seguito delle svariate vicende pregiudizievoli per la sua attività nel 2012 l'ispettore Carollo non ha potuto fare a meno di sporgere denuncia querela (poi oggetto di remissione, peraltro in circostanze che andrebbero approfondite) per fatti lesivi della sua dignità professionale;
   risulta all'interrogante che più volte l'ispettore Carollo abbia chiesto aiuto e supporto anche al responsabile della struttura centrale di fraud management, affinché i descritti accadimenti potessero avere fine, senza alcun concreto effetto;
   l'ispettore versa attualmente in critiche condizioni di salute per un «disturbo post-traumatico ingravescente da stress» con «acufeni», in assenza di patologie a carico dell'apparato uditivo; su questo specifico aspetto sarebbe peraltro opportuno verificare la regolarità e tempestività delle dovute comunicazioni all'Inail, circostanza sulla quale, secondo quanto riportato dall'ispettore, sembrerebbero sussistere concreti dubbi;
   la vicenda, a prescindere da eventuali profili di responsabilità dei singoli dipendenti e dirigenti coinvolti, è ad avviso dell'interrogante emblematica di un modo poco trasparente, poco efficiente e scarsamente funzionale di gestire una grande società pubblica interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   le organizzazioni sindacali, inoltre in una nota del 15 febbraio 2014, denunciano procedure non trasparenti in relazione ai provvedimenti disciplinari, che generano uno squilibrio nel rapporto tra azienda e lavoratore, rapporto che sembrerebbe sbilanciato in favore della prima, con bassissime possibilità di tutela per il lavoratore –:
   di quali notizie disponga il Governo in ordine a quanto esposto in premessa;
   se non ritengano di acquisire elementi circa le iniziative che Poste Italiane intende intraprendere nei confronti di coloro che risultano coinvolti nelle narrate vicende, anche ai sensi e per gli effetti della legge n. 300 del 1970;
   se non si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, in relazione a verifiche condotte nei confronti di un dipendente di Poste italiane, cui fu corrisposta  una cospicua somma come incentivo all'esodo nell'anno 2011, pur essendo stato lo stesso coinvolto in vicende poco chiare; in caso affermativo, se e quali iniziative per quanto di competenza intenda intraprendere, anche con riguardo ad un'eventuale segnalazione alla Corte dei Conti;
   se non si intenda intervenire per far sì che la gestione del personale sia improntata a criteri di trasparenza, correttezza e legalità che nella vicenda in questione appaiono all'interrogante ab initio infranti e per di più in danno di un ispettore che negli anni ha dato prova di non assoggettarsi ad alcun tentativo di corruttela;
   se non si intenda intervenire ai fini di una verifica delle modalità di conduzione della struttura di tutela aziendale, che sembrerebbe all'interrogante essere improntata a criteri poco trasparenti.
(4-03655)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Liuzzi e altri n. 5-02182, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Cimbro n. 2-00387 del 28 gennaio 2014.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Tofalo e altri n. 5-02141 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 172 del 12 febbraio 2014.
  Alla pagina 9780, seconda colonna, dalla riga trentasettesima alla riga quarantesima deve leggersi: «SIBILIA, TOFALO, LOREFICE, DALL'OSSO, CECCONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:» e non «TOFALO, SIBILIA, LOREFICE, DALL'OSSO, CECCONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:», come stampato.