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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 10 gennaio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    è fin troppo nota la condizione di profonda crisi in cui tuttora versa la società italiana. I dati Istat del 2012 confermano un quadro allarmante in cui 9 milioni e 563.000 persone, pari al 15,8 per cento della popolazione italiana, versano in condizione di povertà relativa, mentre 4 milioni e 814.000 persone, pari al 7,9 per cento della popolazione, si trovano in condizioni di povertà assoluta. Il numero di famiglie in tale, drammatica, situazione sono aumentate, rispetto al 2011, del 33 per cento. Si tratta dell'incremento percentuale più rilevante degli ultimi dieci anni. Sempre stando ai dati del 2012, ben 8,6 milioni di individui fanno parte di nuclei familiari gravemente deprivati, ovvero, famiglie che presentano quattro o più segnali di deprivazione su un elenco di nove, comprendenti, tra l'altro: l'impossibilità di sostenere spese impreviste; non potersi permettere una settimana di ferie l'anno, lontano da casa; avere debiti arretrati per il pagamento di mutui, canoni di locazione e bollette; non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni; non poter riscaldare adeguatamente la propria abitazione; non potersi permettere essenziali elettrodomestici di uso comune; non potersi permettere un'automobile;
    l'incremento vertiginoso degli indicatori sulla povertà assoluta – 2 milioni di persone in più a rischio negli ultimi 5 anni – e di quelli sulla povertà relativa, trovano riscontro nell'aumento dell'indebitamento medio delle famiglie italiane, passato nell'arco temporale 2003-2011, secondo i dati della Banca d'Italia, dal 30,8 per cento al 53,2 per cento del reddito disponibile lordo. Le famiglie si indebitano sempre di più, basti pensare che nei soli primi mesi del 2012 le famiglie indebitate sono passate dal 2,3 per cento al 6,5 per cento e che, secondo l'indagine di Confcommercio e Censis, Outlook Italia 2013, 4,2 milioni di famiglie (il 17 per cento del totale) non riescono a coprire tutte le spese mensili;
    più in dettaglio, gli ultimi rilevamenti dell'Istituto nazionale di statistica (Istat) restituiscono ancora una volta un'immagine drammatica:
     a) nel 2012, il 12,7 per cento delle famiglie è relativamente povero (per un totale di 3 milioni 232 mila) e il 6,8 per cento lo è in termini assoluti (1 milione 725 mila). Le persone in povertà relativa sono il 15,8 per cento della popolazione (9 milioni 563 mila), quelle in povertà assoluta l'8 per cento (4 milioni 814 mila);
     b) tra il 2011 e il 2012 aumenta sia l'incidenza di povertà relativa (dall'11,1 per cento al 12,7 per cento) sia quella di povertà assoluta (dal 5,2 per cento al 6,8 per cento), in tutte e tre le ripartizioni territoriali;
     c) la soglia di povertà relativa, per una famiglia di due componenti, è pari a 990,88 euro, circa 20 euro in meno di quella del 2011 (-2 per cento);
     d) l'incidenza di povertà assoluta aumenta tra le famiglie con tre (dal 4,7 per cento al 6,6 per cento), quattro (dal 5,2 per cento all'8,3 per cento) e cinque o più componenti (dal 12,3 per cento al 17,2 per cento); tra le famiglie composte da coppie con tre o più figli, quelle in povertà assoluta passano dal 10,4 per cento al 16,2 per cento; se si tratta di tre figli minori, dal 10,9 per cento si raggiunge il 17,1 per cento;
     e) aumenti della povertà assoluta vengono registrati anche nelle famiglie di monogenitori (dal 5,8 per cento al 9,1 per cento) e in quelle con membri aggregati (dal 10,4 per cento al 13,3 per cento);
     f) oltre che tra le famiglie di operai (dal 7,5 per cento al 9,4 per cento) e di lavoratori in proprio (dal 4,2 per cento al 6 per cento), la povertà assoluta aumenta tra gli impiegati e i dirigenti (dall'1,3 per cento al 2,6 per cento) e tra le famiglie dove i redditi da lavoro si associano a redditi da pensione (dal 3,6 per cento al 5,3 per cento);
     g) la crescita dell'incidenza di povertà assoluta è tuttavia più marcata per le famiglie con a capo una persona non occupata: dall'8,4 per cento è salita all'11,3 per cento se in condizione non professionale, dal 15,5 per cento al 23,6 per cento se in cerca di occupazione;
     h) le dinamiche della povertà relativa confermano molti dei peggioramenti osservati per la povertà assoluta: famiglie con uno o due figli, soprattutto se minori (dal 13,5 per cento al 15,7 per cento quelle con un minore, dal 16,2 per cento al 20,1 per cento quelle con due); famiglie con tutti i componenti occupati (dal 4,1 per cento al 5,1 per cento), con occupati e ritirati dal lavoro (dal 9,3 per cento all'11,5 per cento), con persona di riferimento dirigente o impiegato (dal 4,4 per cento al 6,5 per cento, particolarmente marcata tra gli impiegati), ma soprattutto in cerca di occupazione (dal 27,8 per cento al 35,6 per cento);
     i) l'aumento di fenomeni di pauperizzazione ha colpito soprattutto i giovani e le regioni meridionali: il panorama regionale mette in evidenza il forte svantaggio dell'Italia meridionale e insulare, con una percentuale di famiglie povere più che doppia rispetto alla media nazionale. Nel Mezzogiorno, le famiglie in povertà relativa sono il 23,3 per cento di quelle residenti (contro il 4,9 del Nord e il 6,4 del Centro) e quelle in povertà assoluta ne rappresentano l'8 per cento (contro il 3,7 per cento e il 4,1 per cento rispettivamente). Le situazioni più gravi si osservano tra le famiglie residenti in Sicilia (27,3 per cento) e Calabria (26,2 per cento) dove sono povere oltre un quarto delle famiglie. All'opposto, nel resto del Paese si registrano incidenze di povertà relativa decisamente più contenute: la provincia di Trento mostra l'incidenza più bassa (3,4 per cento), seguita da Lombardia (4,2 per cento), Valle d'Aosta e Veneto (4,3 per cento). Nel Mezzogiorno, inoltre, alla più ampia diffusione della povertà si associa anche una maggiore gravità del fenomeno: le famiglie povere sono di più e hanno livelli di spesa mediamente molto più bassi di quelli delle famiglie povere del Centro-Nord. L'intensità della povertà relativa è, infatti, pari al 22,3 per cento (contro il 18,2 per cento del Nord e il 20 per cento del Centro) e quella di povertà assoluta al 18,8 per cento (contro rispettivamente il 16,4 per cento e il 18,4 per cento);
    come riporta la relazione al Parlamento dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, presentata il 13 maggio 2013, il dato che più di altri aiuta ad individuare il fallimento delle politiche sinora adottate è quello relativo al rischio di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni: esso è pari al 70 per cento nel Mezzogiorno a fronte del 46,5 per cento a livello nazionale. Settanta su cento minorenni che nascono in una famiglia numerosa del Mezzogiorno d'Italia rischiano di essere poveri;
    le peggiori condizioni di privazione ricadono, peraltro, sui figli degli immigrati, sui bambini delle famiglie giovani o i bambini con un solo genitore, spesso la madre, che, per il tasso di impiego delle donne molto più basso della media europea, non riesce a mantenere il bambino;
    già nella relazione dell'anno precedente l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza aveva sollevato la problematica relativa all'impatto negativo della mancanza di investimenti, da parte dello Stato, a favore dell'infanzia e dell'adolescenza;
    al forte ridimensionamento dell'intervento pubblico per quanto concerne le politiche sociali, si aggiunge la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale;
    i pesanti tagli agli enti locali attuati in questi ultimi anni non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista delle politiche sociali di contrasto alla povertà e della qualità dei relativi servizi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;
    i dati relativi al tasso di disoccupazione nel nostro Paese mostrano un quadro di assoluta gravità che continua a peggiorare. Si tratta di una vera e propria emorragia di posti di lavoro, che colpisce gli under 30, ma non di meno tutte le altre fasce di età. Quello che più turba è l'enorme crescita di quanti si dicono «scoraggiati», che hanno smesso di cercare lavoro perché ritengono di non trovarlo. La disoccupazione continua a crescere anche nell'ambito del lavoro precario, a riprova del fatto che la scelta di favorire contratti non a tempo indeterminato ha poco o scarso impatto sul problema occupazionale, mentre priva i lavoratori di molti diritti fondamentali;
    sono 2,8 milioni i lavoratori precari; la disoccupazione è prossima ormai alla soglia inaudita del 12,2 per cento, con punte che sfiorano il 40 per cento tra i più giovani; tra i disoccupati solo uno su quattro riesce a trovare un lavoro, sempre più spesso precario, entro un anno;
    se la disoccupazione giovanile è oltre il 40 per cento, il resto dei giovani è per la maggior parte precario e senza diritti. Tali numeri mettono a rischio la tenuta del sistema Paese. Un'intera generazione di giovani, per la mancanza del lavoro o per la sua discontinuità, vive situazioni di precarietà strutturale;
    i furti dei generi di prima necessità nei supermercati sono aumentati del 7,8 per cento (dato tratto dal «Barometro dei furti nella vendita al dettaglio» a cura del Centre for Retail Research, ottobre 2011);
    la questione abitativa, aggravata dal costante aumento del numero di famiglie ed individui che, a causa della perdita del lavoro e della drastica contrazione del reddito, scendono al di sotto della soglia di povertà, sta assumendo i caratteri di una vera e propria emergenza nazionale. Si stimano in oltre 430.000 le famiglie in difficoltà per il costo dei mutui, mentre solo nel 2012 sono state ben 67.790 le sentenze di sfratto (oltre 250.000 negli ultimi 4 anni) di cui l'87 per cento per morosità. Una situazione di vero allarme che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di vera e propria emergenza per le grandi aree urbane e per le regioni dell'Italia settentrionale, ove, per l'incidenza della crisi economica, le percentuali di sfratti per morosità incolpevole arrivano a superare il 90 per cento e riguardano spesso anche le locazioni di alloggi popolari;
    da quanto si desume dai dati menzionati, sempre più persone – in una composizione sociale mutata comprendente interi nuclei familiari e tutti quei soggetti che rientrano nella definizione di «nuove povertà» – hanno perso, o rischiano seriamente di perdere, la propria abitazione, incrementando il già considerevole e drammatico numero di utenti bisognosi di accoglienza;
    in Italia, i dati relativi alle sentenze di sfratto emesse, diffusi dal Ministero dell'interno, dicono che nel solo 2012 le sentenze di sfratto sono state circa 68 mila e gli sfratti per morosità incolpevole sono stati oltre 60 mila;
    la crisi economica da almeno cinque anni si sta facendo sentire anche nel settore delle locazioni e produce precarietà abitativa, riduzione dei redditi e disagio sociale che spesso sfociano in questioni di ordine pubblico;
    secondo un'indagine realizzata dalla Federazione italiana organismi per le persone senza dimora, nel 2012 si stimavano in oltre 50.000 le persone senza fissa dimora, con la concreta possibilità che il numero reale si potesse attestare anche nel doppio, rasentando quasi lo 0,2 per cento della popolazione italiana. Le grandi città rispecchiano compiutamente tale tragico contesto: nella città di Milano si contavano oltre 4.000 adulti privi di una casa, nella città di Torino circa 1.300 persone si sono rivolte alle case di prima accoglienza notturna gestite dal comune e 1.500 persone hanno usufruito di interventi e prestazioni presso l'ambulatorio sociosanitario per persone senza fissa dimora. A Napoli, Bologna e Firenze è stata calcolata la presenza stabile di almeno 2.000 homeless, mentre nella capitale vivrebbero circa 8.000 persone senza fissa dimora, di cui ben 5.500 in strada e 2.500 ospitati nei centri di accoglienza notturni del comune e delle associazioni di volontariato;
    nel quadro delle politiche sociali, in Italia, il tema delle persone senza dimora e del grave disagio abitativo è sempre stato ai margini, in posizione analoga allo spazio occupato da queste persone e dai servizi che se ne occupano all'interno del contesto sociale. Questa dimensione di marginalità e separazione, sia nel quadro sociale, sia in quello politico e legislativo, ha impedito, da sempre, lo sviluppo di azioni programmatiche e di interventi che possono essere qualificati come «buone prassi» diffuse a livello nazionale;
    l'assenza di politiche nazionali strutturate e concrete per affrontare il problema di chi perde la propria abitazione o rimane senza fissa dimora sul territorio italiano sta lasciando sempre più in balia dell'emergenza i comuni;
    sebbene siano auspicabili nuove politiche sociali, capaci di non limitarsi a prevedere esclusivamente trasferimenti monetari verso le persone maggiormente in difficoltà, in un Paese fortemente diseguale come il l'Italia – secondo nei livelli di disparità nella distribuzione dei redditi solo al Regno Unito nell'Unione europea e con livelli di disparità superiori alla media dei Paesi Ocse – appare necessario prevedere stanziamenti adeguati finalizzati a garantire un alloggio a tutte quelle persone che ne sono prive;
    l'articolo 6, comma 5, della legge n. 124 del 2013, ha istituito un fondo nazionale per la morosità incolpevole e ha disposto che i comuni programmino azioni di accompagnamento sociale per il passaggio da casa a casa per sfrattati e ha disposto anche che i prefetti graduino gli sfratti sulla base delle attività di accompagnamento predisposte dai comuni. Resta da emanare il decreto attuativo di quanto disposto dall'articolo 6, comma 5, della legge n. 124 del 2013, in materia di ripartizione delle risorse del fondo contro la morosità incolpevole alle regioni e la definizione della morosità incolpevole valida per quelle regioni e comuni che ad oggi non hanno ancora proceduto alla definizione;
    le politiche messe in atto dagli ultimi Governi ruotano sostanzialmente intorno alla cosiddetta social card di impronta marcatamente assistenzialista e che ha dato scarsissimi risultati pratici;
    mercoledì 18 settembre 2013 è stata presentata a Roma la relazione finale: «Proposte per nuove misure di contrasto alla povertà», elaborata dal gruppo di studio appositamente istituito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali interrogato il 13 giugno 2013. Obiettivo della relazione è quello di descrivere una nuova misura nazionale di contrasto alla povertà assoluta e all'esclusione sociale, il «sostegno per l'inclusione attiva (sia)», che ancora non esiste nel sistema italiano e che dovrebbe rappresentare l'evoluzione naturale delle sperimentazioni già avviate con la carta acquisti;
    nonostante già dal 2008 la Commissione europea abbia emanato una raccomandazione a tutti i Paesi per l'adozione di una strategia d'inclusione attiva, articolata sui tre pilastri del sostegno economico, di mercati del lavoro inclusivi e di servizi personalizzati, e, in particolare, nonostante l'Italia sia stata anche oggetto di una raccomandazione specifica nell'ambito della Strategia Europa 2020, nella quale sia la Commissione europea che il Consiglio europeo hanno chiesto maggiori sforzi nella lotta alla povertà, pur nel contesto di rigore tuttora richiesto al nostro Paese, l'Italia è l'unico grande Paese europeo a non avere ancora una misura di questo tipo;
    secondo la relazione illustrativa, il sostegno per l'inclusione attiva si caratterizzerà: per l'universalità (non è cioè destinato solo ad alcune categorie, come l'assegno sociale o la pensione di invalidità civile, ma a tutti i poveri); per l'erogazione non solo di una semplice elargizione monetaria, ma per il collegamento di questa ad un percorso di inclusione e attivazione dei componenti del nucleo familiare; per la sua disponibilità a tutti i residenti legalmente in Italia da almeno due anni;
    l'Italia è uno dei pochissimi Paesi europei privi di un meccanismo di questo tipo, la cui assenza si è fatta fortemente sentire nel corso della crisi al punto tale che si hanno 5 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta. L'obiettivo del «sostegno per l'inclusione attiva (sia)» sarebbe dunque quello di permettere a tali soggetti l'acquisto di un paniere di beni e servizi ritenuto decoroso. Non si tratterebbe quindi di un reddito di cittadinanza rivolto a tutti indistintamente, ma di un sostegno rivolto ai poveri, identificati come tali da una prova dei mezzi. Al sostegno monetario si prevede di associare un progetto di attivazione e inclusione sociale;
    nella legge di stabilità 2014 è stata estesa la platea dei possibili beneficiari la sperimentazione della cosiddetta carta acquisti, o come ora viene anche chiamata: «Sostegno di inclusione attiva (SIA)» per il contrasto alla povertà, in primo luogo, ai familiari di cittadini italiani o comunitari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente. I destinatari sono principalmente le famiglie povere con minori in cui uno degli adulti ha perso il lavoro negli ultimi tre anni. Si prevede, inoltre, una sorta di presa in carico della famiglia, selezionata dai comuni, in seguito a bandi, che poi verificano se i bimbi sono andati a scuola e dal medico, se il papà o la mamma hanno frequentato i corsi di formazione o fatto domanda di impiego ed altro;
    secondo Maria Cecilia Guerra, Viceministro del lavoro e delle politiche sociali, la norma consentirà di allargare la platea a 400 mila poveri nel 2014, ovvero 160-170 mila in più del previsto: solo per un minoranza del tutto minima;
    dando vita all'Alleanza contro la povertà in Italia, un insieme molto rappresentativo di soggetti sociali, sindacali, del terzo settore, istituzionali (Acli, Anci, Action Aid, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Cgil-Cisl-Uil, Cnca, Comunità di S. Egidio, Confcooperative, Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli Consiglio Nazionale Italiano Onlus, Fio-PSD, Fondazione Banco Alimentare, Forum Nazionale del Terzo Settore, Lega delle Autonomie, Movimento dei Focolari, Save the Children, Jesuit Social Network) intende promuovere adeguate politiche contro la povertà assoluta, per far fronte al dilagare di questo grave fenomeno, che riguarda ormai l'8 per cento della popolazione;
    in un documento comune i soggetti che aderiscono all'Alleanza contro la povertà in Italia chiedono al Governo di avviare un piano nazionale contro la povertà, di durata pluriennale;
    questo piano, secondo l'Alleanza contro la povertà in Italia, «dovrebbe contenere le indicazioni concrete affinché venga gradualmente introdotta una misura nazionale, rivolta a tutte le persone in povertà assoluta nel nostro Paese, che si basi su una logica non meramente assistenziale ma che sostenga un atteggiamento attivo dei soggetti beneficiari dell'intervento»;
    l'avvio sin dal 2014 del piano nazionale contro la povertà richiederà investimenti, sviluppo di competenze e programmazione: gli enti locali, il terzo settore e le organizzazioni sociali impegnati nel territorio potranno realizzarla solo se riceveranno adeguata risorse economiche;
    il 21 ottobre 2010 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sul «reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa», con una maggioranza di 540 voti a favore e 30 contrari;
    tale risoluzione, in modo ancora più netto rispetto ad una precedente sullo stesso tema del 2008, sancisce in modo pieno il riconoscimento di un diritto dei cittadini dell'Unione europea e delle persone che vi risiedano stabilmente ad un reddito che ne salvaguardi la dignità sociale;
    in attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, Carta di Nizza, il reddito minimo viene definito come un diritto sociale fondamentale, destinato a fungere da strumento di protezione della dignità della persona e della sua «possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale, culturale e politica»;
    il reddito minimo è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
    la piena partecipazione alla vita sociale è richiesta come obiettivo di garanzia della Repubblica italiana, dall'articolo 3 della Costituzione, e è stata richiamata dalla Corte costituzionale tedesca nella sentenza del 9 febbraio 2010, in materia di reddito minino;
    schemi di tutela del reddito sono presenti nella maggior parte dei Paesi europei: infatti, gli Stati membri dell'Unione europea hanno previsto nei loro rispettivi sistemi di protezione sociale un reddito base come fondamento del sistema stesso di integrazione e contrasto alla povertà. Attualmente, tra i ventisette Paesi dell'Unione europea la mancanza di un reddito base è una circostanza riscontrabile solo in Italia, Grecia ed Ungheria;
    la disoccupazione, in particolare quella giovanile, in Italia e in Europa ha raggiunto livelli non più sostenibili e tali da mettere a rischio la tenuta del sistema Paese nel futuro. Un'intera generazione di giovani, per la mancanza del lavoro o per la sua discontinuità, vive situazioni di precarietà strutturale;
    tale situazione non consente a molti giovani di studiare, di fare ricerca, di progettare e realizzarsi nella vita, di creare una famiglia e di mettere al mondo dei figli; li costringe a continuare a dipendere dalle famiglie di origine, anche quando le famiglie sono già, esse stesse, nell'impossibilità di continuare a sostenerli; gli impedisce di concorrere allo sviluppo sociale ed economico dell'Italia, incidendo sulla loro dignità sociale; li discrimina, oggi per il futuro, quando non avranno diritto ad una pensione che possa garantire loro un'esistenza libera e dignitosa;
    il reddito minimo è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità, e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
    il reddito minimo è anche uno strumento che tutela la cultura e la dignità del lavoro, perché aiuta ad impedire che lavoratrici e lavoratori siano costretti ad accettare un lavoro purchessia;
    nel corso del 2012, in Italia, è stata avviata una campagna per un reddito minimo garantito, per la presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare, che ha visto il coinvolgimento di molte associazioni della società civile;
    tre proposte di legge d'iniziativa parlamentare di deputati appartenenti ai gruppi di Sinistra Ecologia Libertà, Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, propongono l'istituzione anche nel nostro Paese di un reddito minimo garantito, sia pure con formulazioni parzialmente diverse,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per introdurre il reddito minimo garantito, predisponendo un piano che individui la platea degli aventi diritto, con particolare riferimento alle situazioni di disagio sociale descritte in premessa;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse per le politiche sociali, per l'infanzia e l'adolescenza e per fornire adeguate risorse ai comuni per gli interventi di sostegno alle famiglie ed ai singoli in difficoltà;
   ad assumere iniziative per prevedere interventi, anche di tipo fiscale, per il sostegno alle famiglie in condizione di povertà estrema;
   nelle more degli adempimenti previsti dall'articolo 6, comma 5, della legge n. 124 del 2013 e per dare modo alle regioni e ai comuni di procedere alla programmazione e alle attività necessarie per affrontare la questione degli sfratti in maniera strutturale e basata sul passaggio da casa a casa, nonché per dare modo al Governo stesso di avviare i provvedimenti già illustrati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ad assumere iniziative per procedere alla proroga degli sfratti, compresi quelli per morosità incolpevole, per tutto l'anno 2014;
   a prevedere, con apposito provvedimento, un piano nazionale per la messa in atto di interventi di alloggiamento a favore di persone senza fissa dimora che preveda chiaramente che, in ogni contesto territoriale nel quale siano presenti delle persone senza dimora, sia affrontato e programmato un intervento a favore di queste persone che comprenda servizi di accoglienza di primo livello, a bassa soglia di accesso, e servizi alloggiativi di secondo livello, capaci di dare risposte che possano trasformarsi in interventi stabili e duraturi nel tempo;
   a prendere le opportune iniziative per:
    a) il recupero di decine di migliaia di case popolari oggi inutilizzate;
    b) sostenere gli affitti agevolati con una ulteriore riduzione della cedolare secca;
    c) un aumento delle risorse a favore del Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione (cosiddetto fondo affitti).
(1-00295) «Di Salvo, Nicchi, Piazzoni, Aiello, Migliore, Airaudo, Placido».


   La Camera,
   premesso che:
    il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), ratificato dall'Italia, prevede che «Il fondo emette prestiti (concessi a tassi fissi o variabili) per assicurare assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà e acquista titoli sul mercato primario (contestualmente all'attivazione del programma Outright Monetary Transaction, ossia l'acquisto sul mercato secondario da parte della BCE di titoli di Stato)»;
    in virtù del trattato l'Italia, titolare di quote pari al 17,9137 per cento ha un dovere di contribuzione pari ad 125.395.900.000,00 di euro, di cui 14.330.960.000,00 di euro «paid» ed il restante a chiamata ai sensi dell'articolo 9, che recita: «Il consiglio dei governatori può richiedere il versamento in qualsiasi momento del capitale autorizzato non versato. [...] I membri del MES si impegnano incondizionatamente e irrevocabilmente a versare il capitale richiesto dal direttore generale ai sensi del presente paragrafo entro sette giorni dal ricevimento della richiesta. In caso di mancato pagamento lo Stato membro perde il diritto di voto negli organismi decisionali del MES»;
    al paragrafo 1 dell'articolo 41 del trattato si afferma che «il versamento delle quote da corrispondere in conto del capitale sottoscritto da ciascun membro del MES è effettuato in cinque rate annuali, ciascuna pari al 20 per cento dell'importo totale. La prima rata è versata da ciascun membro del MES entro quindici giorni dalla data all'entrata in vigore dei presente trattato. Le restanti quattro sono corrisposte rispettivamente alla prima, seconda, terza e quarta data coincidente con la data di pagamento della prima rata»;
    nella riunione dell'Eurogruppo a Copenaghen svoltasi il 30 marzo 2012, i Ministri delle finanze hanno convenuto di accelerare if ritmo del versamento di capitale rispetto a quello inizialmente previsto dai trattato MES;
    l'ex ministro Vittorio Grilli, nell'audizione alla Camera dei deputati del luglio 2012, ha dichiarato che l'Italia avrebbe partecipato al versamento delle quote previste per il fondo MES con 5.732.384.000,00 di euro nel 2012 e nel 2013 e con 2.866.192.000,00 di euro entro la metà del 2014;
    il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012, n. 135, ed in particolare l'articolo 23-duodecies, comma 2-bis, prevedono che, per garantire la maggiore efficienza operativa, ai fini della contribuzione alla sottoscrizione del capitale per la partecipazione al MES, sono autorizzate emissioni di titoli di Stato a medio-lungo termine, le cui caratteristiche sono stabilite con decreti di emissione che destinano tutto o parte del netto ricavo a tale finalità;
    il decreto ministeriale n. 78318 dell'8 ottobre 2012 ha disposto l'erogazione per la sottoscrizione del capitale per la partecipazione al MES, per l'anno 2012, per un importo di 5.732.384.000.00 di euro. I decreti del 26 ottobre e del 26 novembre 2012 hanno dato attuazione al medesimo provvedimento dell'8 ottobre 2012;
    il decreto ministeriale n. 31179 del 16 aprile 2013 ha disposto l'erogazione per la sottoscrizione del capitale per la partecipazione al MES, per l'anno 2013, di due quote di 2.866.192.000,00 di euro ciascuna, per un importo complessivo di 5.732.384.000.00 di euro, ed è stata autorizzato il ricorso all'anticipazione di tesoreria per l'erogazione della prima quota. I decreti n. 41141 e n, 41142 del 27 maggio 2013 hanno dato attuazione al medesimo provvedimento del 16 aprile 2013 per la quota predetta;
    allo stato attuale risulta dai decreti ministeriali che è stata attuata l'erogazione delle rate previste per l'anno 2012 e per l'anno 2013 e che, quindi, per onorare gli impegni presi dall'Italia residua la rata relativa all'anno 2014 pari a 2.866.192.000,00 di euro;
    dal 2010 al 2012 l'Italia, oltre al contributo per il MES, ha versato per gli aiuti alla Grecia e al Paesi in difficoltà (10 miliardi) e per i contributi al ESFS (28 miliardi) una ulteriore somma di 38 miliardi di euro;
    in base alle vigenti normative in materia di finanza pubblica, l'Italia, per far fronte a tali esborsi, ha contratto prestiti mediante la emissione di titoli di Stato, corrispondendo ai sottoscrittori non il più conveniente tasso di sconto fissato dalla BCE (stante il divieto di quest'ultima di prestare direttamente il denaro agli Stati), ma quelli imposti dai «mercati dei titoli e delle obbligazioni» nell'epoca della più elevata impennata del livello degli spread tra titoli italiani e titoli tedeschi;
    siffatti esborsi, come notato anche da Bankitalia, hanno contribuito all'impennata ulteriore del debito pubblico che, alla data odierna, si adegua a 2.074 miliardi di euro, di cui 90 miliardi di spesa per i soli interessi sul debito;
    l'istituzione del fondo MES si è rivelata sinora superflua sul piano dell'obiettivo di riduzione dei tassi di finanziamento per l'emissione di titoli di Stato, dal momento che è opinione concorde di tutti gli analisti che il solo programma Outright Monetary Transaction della BCE ha determinato il raffreddamento degli spread;
    a seguito delle proposte presentate dalla segreteria in data 9 giugno 2013, l'Eurogruppo prima e l'ECOFIN poi, in data 20 e 21 giugno 2013, hanno concordato la destinazione dei Fondi raccolti dal MES alla ricapitalizzazione diretta degli istituti di credito in difficoltà, senza una richiesta formale degli Stati funzionalizzata a tale specifico obiettivo;
    viste altresì le condizioni stabilite per l'intervento, l'assistenza del Fondo Mes sarà effettuata non con erogazione di prestiti in favore degli istituti di credito, bensì con sottoscrizioni di aumenti di capitale sociale negli stessi, con le evidenti conseguenze in termini di controllo e realizzazione di profitti;
    si rivelano sempre più marginali ed occasionali le declamate finalità di assistenza agli Stati in crisi del MES, mentre se ne delineano incisivamente ben altre, ossia quelle di aiutare prioritariamente le banche in difficoltà, nonché ulteriori obiettivi speculativi, atteso che l'erogazione dell'assistenza produrrà, per il Fondo, un ritorno in termini di profitti e controllo sugli istituti bancari sistemici;
    appare paradossale che il denaro degli Stati sovrani, conferito a fondo perduto al MES, gravando quindi sui conti pubblici, venga utilizzato, sotto l'egida di un altrettanto discutibile imperativo «too big to fail», per salvare «banche e banchieri» colpevoli di buchi e ammanchi, regalando loro questo inammissibile salvacondotto sovranazionale, contrariamente a quanto sarebbe accaduto con qualsiasi altra azienda in difficoltà;
    nei primi otto mesi del 2013 il gettito Iva ha subito un ulteriore flessione del 5,2 per cento (-3.724 milioni di euro), dovuta essenzialmente alla riduzione delle entrate derivanti dagli scambi interni (-2 per cento) e al prelievo sulle importazioni (-22,1 per cento);
    chi subisce l'aggravio più pesante sono i prodotti Made in Italy che costituiscono l'asse portante del nostro manifatturiero. Il calo evidente dei consumi sta portando ulteriori effetti negativi sulla miriade di piccole e medie imprese che già operano in condizioni di estrema difficoltà a causa di una tassazione che ha raggiunto livelli record, di una burocrazia asfissiante e di una crisi che continua a produrre effetti devastanti;
    è necessario e non più procrastinabile il rilancio economico del Paese da realizzarsi anche con l'aumento di quote di reddito disponibile per consumi,

impegna il Governo

a reintrodurre l'IVA al 21 per cento cancellando l'aumento di un punto percentuale entrato in vigore il 1° ottobre 2013 coprendo il fabbisogno di cassa previsto mediante la sospensione del versamento a favore del fondo MES delle somme previste a saldo degli impegni presi.
(1-00296) «Sibilia, Scagliusi, Manlio Di Stefano, Zolezzi, D'Incà, Bechis, Tofalo, Carinelli, Di Benedetto, Caso, Liuzzi».

Risoluzioni in Commissione:


   La V Commissione,
   premesso che:
    uno degli obiettivi più rilevanti delle politiche ambientali è la bonifica dei siti contaminati che, oltre a soddisfare esigenze di tutela della salute, favorisce il riutilizzo e la riconversione economico-produttiva di aree industriali;
    per raggiungere l'obiettivo di restituire a condizioni di equilibrio naturale territori gravemente inquinati o danneggiati dal punto di vista ecologico è necessario lo stanziamento di ingenti risorse pubbliche;
    tuttavia, in moltissimi casi, anche quando le amministrazioni, in particolare gli enti locali, hanno a disposizione le somme per procedere agli interventi di bonifica, questi non possono essere realizzati a causa dei vincoli imposti dal patto di stabilità;
    un caso emblematico è rappresentato dalla vicenda del comune di Abbadia San Salvatore in provincia di Siena, nella zona del Monte Amiata;
    nel 1976 la miniera di mercurio situata nel comune di Abbadia San Salvatore viene assegnata all'Eni che predispone un progetto che contempla la quasi completa demolizione di gran parte delle strutture che sono, ad oggi, oggetto di investimenti per la realizzazione di un museo e di una sede di numerose attività commerciali, artigianali e di servizi;
    dopo una lunga trattativa l'Eni trasferisce al comune di Abbadia San Salvatore tutto il sito del patrimonio minerario, comprendesi immobili terreni e pertinenze; contestualmente il comune solleva da ogni obbligo l'Eni dalla bonifica dietro versamento di 18,3 milioni di euro, tale versamento viene effettuato in una unica soluzione nel 2008;
    in questo modo il comune assume contrattualmente l'obbligo di bonifica che la legge impone all'ultimo concessionario e vincola le somme ricevute alla bonifica e alla riqualificazione del territorio;
    il comune elabora quindi un nuovo progetto di bonifica diventato esecutivo nel maggio del 2012 di cui realizza parte degli interventi per una spesa complessiva di circa 2,5 milioni di euro. Per completare la bonifica dovrebbe corrispondere circa 3,5 milioni di euro l'anno, per 4 anni ma tale impegno non può essere però eseguito a causa dei limiti di spesa imposti dalle regole del Patto di stabilità interno;
    il patto di stabilità interno per gli enti locali è attualmente disciplinato dall'articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183, come successivamente modificato ed integrato dall'articolo 1, commi 532-535, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014);
    il rispetto del patto di stabilità per gli enti locali consiste nel raggiungimento di uno specifico obiettivo di saldo finanziario – calcolato quale differenza tra entrate e spese finali, comprese dunque le spese in conto capitale, con l'eccezione di alcune voci – espresso in termini di competenza mista;
    nel caso del comune di Abbadia, l'impedimento al completamento degli interventi di bonifica deriva anche dal fatto che non possono essere utilizzate somme già iscritte in bilanci precedenti per finanziare nuove attività;
    il completamento della bonifica risulta particolarmente urgente poiché vicino al sito è presente la falda acquifera che provvede all'approvvigionamento idropotabile di un grande bacino di utenza che comprende le popolazioni delle province di Siena e di Grosseto;
    in data 20 dicembre 2013, il Governo ha accolto un ordine del giorno alla legge di stabilità 2014 (atto n. 9/1865-A/13, a prima firma del deputato Susanna Cenni) che lo impegna a «a valutare la possibilità di inserire, nel primo provvedimento utile, una specifica deroga nell'applicazione del Patto che consenta al comune di Abbadia San Salvatore di ultimare gli interventi di bonifica 9 riqualificazione del sito minerario, rispettando gli impegni previsti e ponendo in sicurezza il territorio»,

impegna il Governo

a dare attuazione all'impegno contenuto nel citato ordine del giorno ed inserire, nel primo provvedimento utile, una specifica deroga nell'applicazione del patto che consenta al comune di Abbadia di ultimare gli interventi di bonifica e riqualificazione del sito minerario.
(7-00219) «Marchi, Cenni, Dallai».


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 1, comma 453, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, reca disposizioni in materia di blocco della contrattazione ed incrementi stipendiali nella pubblica amministrazione e prevede che «all'articolo 9, comma 17, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dopo il primo periodo è inserito il seguente: “Si dà luogo alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013 e 2014 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, per la sola parte normativa e senza possibilità di recupero per la parte economica»;
    l'articolo 64, comma 9, del decreto- legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, prevede tuttora che «una quota parte delle economie di spesa di cui al comma 6 è destinata, nella misura del 30 per cento, ad incrementare le risorse contrattuali stanziate per le iniziative dirette alla valorizzazione ed allo sviluppo professionale della carriera del personale della Scuola a decorrere dall'anno 2010, con riferimento ai risparmi conseguiti per ciascun anno scolastico. Gli importi corrispondenti alle indicate economie di spesa vengono iscritti in bilancio in un apposito Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, a decorrere dall'anno successivo a quello dell'effettiva realizzazione dell'economia di spesa, e saranno resi disponibili in gestione con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca subordinatamente alla verifica dell'effettivo ed integrale conseguimento delle stesse rispetto ai risparmi previsti»;
    l'articolo 8, comma 14 del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, richiama le risorse di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto 25 giugno 2008 n. 112 e conferma che le medesime «(...) sono comunque destinate, con le stesse modalità di cui al comma 9, secondo periodo, del citato articolo 64, al settore scolastico», aggiungendo poi che «alle stesse finalità possono essere destinate risorse da individuare in esito ad una specifica sessione negoziale concernente interventi in materia contrattuale per il personale della scuola, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato e nel rispetto degli obiettivi programmati dei saldi di finanza pubblica. La destinazione delle risorse previste dal presente comma è stabilita con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative»;
    all'interno dello stesso decreto- legge, 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, l'articolo 9 comma 23 sconfessa il contenuto dell'articolo precedente, non considerando che le risorse di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, erano destinate espressamente ad incrementare le risorse contrattuali stanziate per le iniziative dirette alla valorizzazione e dallo sviluppo professionale della carriera del personale della Scuola a decorrere dall'anno 2010 e affermando che «Per il personale docente, Amministrativo, Tecnico ed Ausiliario (A.T.A.) della Scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti. È fatto salvo quanto previsto dall'articolo 8, comma 14»;
    l'articolo 1, comma 1, lettera c) del decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122 prevede che il blocco degli incrementi contrattuali per tutto il personale della pubblica amministrazione, e dunque anche per il comparto scuola, venga esteso fino al 31 dicembre 2014, e precisamente afferma che «si dà luogo, alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013-2014 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche così come individuate ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, per la sola parte normativa e senza possibilità di recupero per la parte economica. Per il medesimo personale non si dà luogo, senza possibilità di recupero, al riconoscimento degli incrementi contrattuali eventualmente previsti a decorrere dall'anno 2011;
    le amministrazioni scolastiche, in accordo con le organizzazioni sindacali rappresentative e vista la necessità di reperire con urgenza i fondi per corrispondere al personale scolastico quanto meno gli scatti stipendiali dell'annualità 2012, avrebbero deciso di prelevare i 350 milioni di euro necessari dal fondo per il miglioramento dell'offerta formativa, che ammonta a 985 milioni di euro, che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca destina ogni anno per le attività pomeridiane, i progetti a completamento della formazione ordinaria e le visite culturali;
    la riduzione di oltre un ulteriore terzo di questi fondi determinerebbe una riduzione dei fondi destinati ai docenti per le numerose attività svolte nelle scuole, come ad esempio quella dei coordinatori a supporto della didattica, le cosiddette le funzioni strumentali, quelle dei progetti, quelle del personale Ata,

impegna il Governo

a impiegare la quota parte delle economie di spesa, stabilita nella misura del 30 per cento, ottenuta dal piano quadriennale di razionalizzazione del settore scolastico stabilito dal decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, e destinata al riconoscimento degli incrementi contrattuali del personale della scuola per gli anni 2012 e seguenti, così come statuito dall'articolo 64, comma 9, del decreto in questione, con particolare riferimento al pagamento degli scatti di anzianità per gli anni 2012 e 2013.
(7-00218) «Chimienti, Rostellato, Ciprini, Cominardi, Tripiedi, Bechis, Rizzetto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere — premesso che:
   la Corte dei conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato I, Il Collegio e Collegio per il controllo sulle entrate, nell'adunanza del 5 dicembre 2013, ha deliberato la relazione concernente «Destinazione e gestione del 5 per mille dell'Irpef» – Deliberazione n. 14/2013/G;
   nella citata relazione sono evidenziati diversi aspetti, dei quali alcuni risultano, a parere degli interpellanti, condivisibili e di urgente attenzione da parte del Parlamento e del Governo;
   in particolare nel capitolo 9 recante «Raccomandazioni», la citata Corte, propone una serie di soluzioni volte a sottolineare l'esigenza della stabilizzazione dell'istituto del 5 per mille e quindi l'interruzione del carattere sperimentale accompagnata dall'abrogazione del tetto fissato dalla legge di stabilità 2014 in 400 milioni di euro; a garantire e migliorare la trasparenza, la razionalizzazione e la diffusione dei dati; la concentrazione temporale dei pagamenti; la creazione di un unico database pubblico con dati provenienti dall'Agenzia delle entrate, dalle Camere di commercio, dal Coni e dalle altre amministrazioni coinvolte; la semplificazione delle procedure amministrative; una più chiara ed efficace pubblicazione dei dati sulla rete web;
   come più volte evidenziato nella legislatura in corso e nelle precedenti, attraverso attività di sindacato ispettivo, il tetto di spesa annuo è in contrasto con le determinazioni dei contribuenti, riducendo, di fatto, la percentuale del contributo fissato dalla legge nella misura del 5 per mille;
   la Corte dei conti riscontra lungaggini e eccessiva laboriosità delle rendicontazioni relative alla distribuzione del 5 per mille, anche a causa dello scarso raccordo e dell'assenza di flussi informativi essenziali per il suo svolgimento tra i Ministeri interessati e l'Agenzia delle entrate;
   appare evidente, alla luce della relazione citata, l'opportunità di rideterminare la categoria dei beneficiari, stabilendo una soglia sotto la quale gli enti perdano il beneficio della ripartizione delle quote opzionate dai contribuenti, senza per questo mettere in discussione la libertà di scelta degli stessi ma al solo fine di evitare che il costo amministrativo per lo Stato sia superiore al beneficio spettante alle organizzazioni destinatarie; si legge infatti «si impone una più rigorosa selezione delle stesse, al fine di non disperdere risorse per fini impropri. D'altronde, il notevole e costoso lavoro di controllo della rendicontazione risulta, almeno finora, poco proficuo: una più rigorosa selezione degli enti risulterebbe, probabilmente, più utile per assicurare una più razionale allocazione delle risorse»;
   in particolare si condivide l'importanza di stabilire una soglia minima di contributo sotto la quale lo stesso non venga attribuito, per la motivazione, pagina 55 della Relazione, per cui «Non mancano situazioni paradossali, quali un cospicuo numero di enti, ben superiore a 1.000 per l'ultimo anno, che non ricevono alcuna scelta, dimostrando, così, di non essere di interesse nemmeno per i propri membri e sollevando dubbi sulla loro reale consistenza. Notevolissimo anche il numero di enti con un numero di scelte minime, anche di solo una o due», generando un notevole costo di gestione ed un rallentamento delle procedure di erogazione, spesso per importi insignificanti;
   come esplicitato dalla Corte dei Conti, «l'attribuzione delle risorse in base alla stretta capacità contributiva fa sì che alcuni enti che possono raccogliere il favore di optanti abbienti ottengano, anche con un basso numero di scelte, somme assai rilevanti», a parere degli interpellanti sarebbe opportuno inserire una soglia massima nella potenziale destinazione del contribuente oltre la quale la ripartizione del 5 per mille sulle tasse dovute non viene effettuata;
   allo stesso modo di particolare importanza rivestono le attività di coordinamento, controllo e garanzia operate dalle amministrazioni interessate che appaiono, secondo la citata Corte, ancora insufficienti;
   l'articolo 4 della «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita» al secondo periodo, del comma 2, delega il Governo a procedere, in funzione delle maggiori entrate ovvero delle minori spese realizzate con l'attuazione dello stesso articolo 4, alla razionalizzazione e stabilizzazione dell'istituto della destinazione del cinque per mille dell'imposta sul reddito IRPEF sulla base delle scelte dei contribuenti;
   nel novembre 2013, Vitanonprofit e i rappresentanti delle più importanti organizzazioni non profit hanno raccolto e consegnato in Parlamento 10.000 firme per chiedere la stabilizzazione del 5 per mille e l'abrogazione del tetto –:
   se, anche alla luce dell'articolo 4 della delega al Governo, in corso di esame al Senato, di cui in premessa, non si ritenga necessario dar seguito, visti le puntuali osservazioni della Corte dei conti e i ripetuti solleciti operati dal Parlamento, quanto prima alla stabilizzazione dell'istituto del 5 per mille, così come alla cancellazione del tetto, disponendo l'allocazione delle risorse necessarie a soddisfare l'intero ammontare derivante dalle scelte operate dai contribuenti;
   se non si ritenga urgente e doveroso, per quanto di competenza porre in essere nei confronti dei soggetti destinatari tutto quanto necessario per realizzare e risolvere i punti espressi in premessa.
(2-00362) «Bobba, Santerini, Vignali, Realacci, Grassi, Beni, Braga, Manfredi, Zardini, Marzano, Porta, Covello, Patriarca, Zanin, D'Incecco, Gelli, Rocchi, Preziosi, Marcon, Rughetti, Binetti, Parrini, Rubinato, Arlotti, Iori, Carra, Peluffo, Laffranco, Capone, Sbrollini, Marguerettaz, Taricco, Bonaccorsi, Magorno, Fioroni, Anzaldi, Sberna, Quartapelle Procopio, Malpezzi, Giorgis, Gigli, Fauttilli».

Interrogazioni a risposta scritta:


   RUOCCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di una conferenza stampa convocata a Palazzo Chigi, in data 12 agosto 2013, il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha annunciato il taglio di tre dei dieci aerei della flotta di Stato e la destinazione dei fondi risparmiati, da lui quantificati in 50 milioni di euro, a un potenziamento del contrasto degli incendi da parte della Protezione civile. Ha poi dichiarato ai presenti di iniziare i tagli di spesa a partire da quelli del proprio ufficio e che avrebbe quindi rinunciato a qualche macchina di servizio e a un paio di aerei, tra quelli a sua disposizione;
   durante quest'estate i Canadair anti incendio non potevano volare nella loro pienezza, per mancanza dei pezzi di ricambio e adesso in piena emergenza naufragi, le unità della marina devono aiutare i naufraghi a uscire dalle morse delle onde e, non da ultimo a provvedere alla sepoltura dei morti affogati;
   il 13 ottobre 2013 in occasione della visita a Longarone, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ripetuto che i 50 milioni di euro che avrebbe ricavato dalla suddetta vendita, li avrebbe destinati alla Protezione civile –:
   se il Governo possa dare riscontro alle vendite promesse dal Presidente del Consiglio dei ministri, presentando un rapporto in cui siano indicati i beni dismessi e relativi criteri di valutazione del prezzo di dismissione, i dati degli acquirenti e le cifre incassate, i beneficiari delle donazioni, e se non si è fatto seguito alla promessa fatta come il Governo intenda intervenire per chiarire al meglio tutta la vicenda. (4-03111)


   BONAFEDE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con protocollo di intesa siglato il 2 agosto 2007, il Ministero dell'economia e delle finanze, l'Agenzia del demanio, la regione Toscana, la provincia di Firenze e il comune di Firenze, prevedevano la realizzazione di un progetto unitario di valorizzazione e razionalizzazione di diversi immobili pubblici finalizzato, da una parte, ad incentivare e promuovere l'economia turistica regionale, dall'altra, a razionalizzare l'uso dei beni immobili in uso alle amministrazioni statali;
   con atto di permuta rep. 439/2009 del 30 novembre 2009, stipulato tra Agenzia del demanio (in rappresentanza anche del Ministero dell'economia e delle finanze) e gli enti locali, veniva data concreta attuazione al protocollo, operando la permuta a titolo definitivo di una serie di immobili pubblici tra demanio dello Stato ed enti locali, per un valore complessivo di circa 168 milioni di euro;
   tra gli immobili oggetto di permuta i più significativi, non solo dal punto di vista sostanziale ma anche del valore venale figuravano:
    a) tra i beni di proprietà del demanio trasferiti agli enti locali, il complesso denominato «Fortezza da Basso», valutato complessivamente 147 milioni di euro, il cui trasferimento avveniva con effetto immediato pro indiviso e pro quota, il 7.147 per cento alla regione Toscana, il 42.422 per cento alla provincia di Firenze, il 50.431 per cento al Comune di Firenze;
    b) tra i beni di proprietà degli Enti Locali trasferiti o da trasferire al Demanio dello Stato, il complesso denominato «Le Cascine», di proprietà del comune di Firenze e tuttora concesso in uso gratuito all'università dello stesso capoluogo come sede della facoltà di agraria, valutato 74 milioni di euro, il cui trasferimento veniva tuttavia procrastinato al 31 dicembre 2016, a seguito di riallocazione in altra sede della stessa facoltà di agraria, presso un nuovo polo universitario da realizzare nel territorio del limitrofo comune di Sesto Fiorentino;
   pur in presenza della ricordata dilazione dei tempi per il rispetto del protocollo di intesa, il termine del 2016 appare del tutto irrealistico stante l'assenza di chiare indicazioni da parte dall'università di Firenze in merito alla diversa collocazione della facoltà di agraria;
   il mancato trasferimento, da parte del comune di Firenze al demanio dello Stato, del complesso «Le Cascine», ove e nei limiti in cui non sia compensato dal trasferimento di diversi ed ulteriori immobili di proprietà del comune aventi conformazione e valore corrispondente (74 milioni di euro), rischierebbe di comportare rilevanti danni per gli interessi del demanio, il quale, avendo adempiuto alla propria prestazione contrattuale con il trasferimento agli enti locali della proprietà del complesso denominato «Fortezza da Basso» (valutato complessivamente 147 milioni di euro), si troverebbe nella necessità di ricercare e perseguire diverse soluzioni allocative per le amministrazioni pubbliche destinatarie dell'intervento, con emersione di ulteriori danni –:
   quali iniziative il Governo abbia assunto, o intenda assumere anche per il tramite dell'Avvocatura di Stato, presso gli altri soggetti istituzionali cofirmatari del suddetto protocollo, al fine di prevenire un esito pregiudizievole della vicenda per gli interessi del demanio dello Stato;
   qualora l'attuale perdurante situazione di stallo dovesse protrarsi oltre il termine stabilito dal protocollo d'intesa per il compimento degli accordi, quali siano gli orientamenti del Governo nei confronti del comune di Firenze nel caso in cui quest'ultimo si trovi, anche senza sua responsabilità, nelle condizioni di non poter adempiere ai medesimi. (4-03113)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI e GRIMOLDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 6 gennaio 2013 il quotidiano La Repubblica pubblicava una intervista di Natalia Aspesi al regista Paolo Virzì, il quale dichiarava, relativamente alla Brianza, dove è ambientato il suo ultimo film il «capitale umano»: cercavo un'atmosfera che mi mettesse in allarme, un paesaggio che mi sembrasse gelido, ostile e minaccioso;
   nella stessa intervista, poco più avanti, lo stesso Virzì dichiarava: «Ho girato nella campagna di Osnago, nel centro storico di Varese, di Como, città ricchissima che esprime il degrado della cultura, con quel suo unico teatro, il Politeama, chiuso e in rovina. E che ha una parte importante nel film, come simbolo di un inarrestabile degrado e sottomissione al denaro»;
   nei giorni successivi queste pesanti affermazioni hanno dato luogo a chiarimenti e polemiche, in particolare con l'assessore al turismo della provincia di Monza e Brianza, Andrea Monti, che giustamente provvedeva a smentire il luoghi comuni espressi dal regista nella sua intervista, evidenziando, anche con riferimento ad importanti testimonianze letterarie, gli aspetti positivi del tessuto sociale della sua provincia, territorio caratterizzato da piccole e medie imprese artigiane, e da grandi industrie metalmeccaniche, tessili ed alimentari che hanno dato molto all'Italia: un tessuto economico che ha da sempre scommesso sulle proprie capacità e sulle proprie risorse, a differenza di altri territori italiani che vivono di assistenzialismo pubblico, ed è infatti una delle aree che più contribuisce a finanziare i bilanci dello stato e che permette quindi che la macchina pubblica funzioni;
   il giorno 8 gennaio alle ore 16.10 di tutta risposta lo stesso Virzì scriveva all'assessore Monti sul suo blog: «Scusi lei è davvero un assessore ? Ma la smetta, abbia rispetto dei cittadini che rappresenta.
Si dia un contegno, lei è un uomo delle istituzioni, lasci fare il buffone a noi gente dello spettacolo. Torni a bordo, (...) !
Nel film c’è un grave errore: un assessore leghista troppo composto rispetto alla sguaiataggine di questo. Realtà più grottesca»;
   lo stesso regista Virzì, che è anche direttore del Torino Film Festival, presentando a Torino l'edizione 2013 dello stesso Festival, ebbe a dire: «Quando voi vedete Scarlett Johansson che sfila sul red carpet romano dovreste metterle anche un cartellino del prezzo. Dovreste vedere, lì che cammina, un “cosa” che sta tra i 400 mila e i 600 mila dollari. Immaginatevi proprio il mucchio di banconote che cammina. E sappiate che sono banconote pubbliche»;
   anche il film «Il capitale umano» di Virzì ha ottenuto il tanto deprecato intervento pubblico: ha ricevuto infatti un contributo di 700.000 euro dal Ministero dei beni culturali con delibera della Direzione generale per il Cinema del 15 ottobre 2012;
   il presupposto della mission della Direzione generale per il Cinema è che il Cinema è uno dei fondamenti dell'espressione culturale, che il suo principale valore culturale risiede nell'essere testimone della ricchezza di identità culturali, e che le opere audiovisive e in particolare il cinema svolgono un ruolo essenziale nel formare le identità culturali nazionali» –:
   se il ministro interrogato non intenda vigilare sulla direzione generale per il cinema nella sua attività riconoscimento dei presupposti in base ai quali vengono erogati i fondi, e quindi sulla concessione degli stessi;
   se non intenda sottoporre a verifica il soggetto beneficiario del contributo per la realizzazione del film «Il capitale umano», in quanto è contraddittorio finanziare pellicole che mirano a denigrare, e mettere in cattiva luce, luoghi e territori che lo stesso Ministero è chiamato poi a valorizzare attraverso gli investimenti nel settore turistico, e se pertanto non ritenga opportuno, alla luce di tale vicenda, provvedere all'annullamento della succitata delibera e alla richiesta di restituzione immediata dei fondi. (4-03110)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia regionale per la protezione ambientale del Friuli Venezia Giulia (ARPA) nello scorso dicembre ha comunicato alle amministrazioni locali i dati delle analisi effettuate nel poligono militare «Cellina-Meduna» in provincia di Pordenone (Cordenons);
   secondo l'ARPA in 4 degli 8 bersagli statici presenti nel poligono — delle carcasse di carri armati utilizzati per l'addestramento al fuoco —, è stata riscontrata la presenza di torio 232 molto superiore alla norma, di origine artificiale e presumibilmente collegata alle attività militari;
   la presenza di questa sostanza radioattiva è compatibile con le attività addestrative svolte negli anni ’80 e ’90 nel sito. Tra il 1986 e il 2003, infatti, l'Esercito ha utilizzato il missile anticarro MILAN (Missile d'Infanterie Léger ANtichar) in grado di rilasciare l'isotopo radioattivo summenzionato;
   il Comando della brigata Ariete, che gestisce il poligono a ridosso del sito d'interesse comunitario (Sic), ha già effettuato monitoraggi ambientali e rilevato limiti superiori alla soglia consentita di cadmio, antimonio, piombo, nichel, zinco, rame e vanadio in 3 degli 8 siti utilizzati dai militari per gli addestramenti;
   le aree interessate dal campionamento sono state recintate per impedirne l'accesso, e la zona sarà preclusa ad ulteriori attività di addestramento per evitare incrementi dei valori di soglia;
   attualmente è in corso la caratterizzazione del sito per la sua bonifica, ai sensi del Codice dell'ambiente (dlgs; n. 152/2006) e del decreto ministeriale 22 ottobre 2009, il cui piano è stato approvato dalla conferenza dei servizi il 12 giugno 2013;
   sull'inquinamento del poligono di Cordenons l'interrogante ha già presentato un atto di sindacato ispettivo — l'interrogazione a risposta scritta 4-00846 — con il quale si è chiesto di avviare la verifica dello stato d'inquinamento dell'aerea, a tutela dell'ecosistema e della popolazione che vi risiede;
   nella risposta pubblicata nell'Allegato B della seduta d'Aula del 18 ottobre 2013, il ministro della difesa Mario Mauro ha fatto presente che «le esercitazioni presso i poligoni vengono sempre effettuate nel pieno rispetto di precise norme di legge, volte ad assicurare la salvaguardia della popolazione e la tutela dell'ambiente». Inoltre, ha concluso il Ministro, «ogni attività viene preventivamente valutata e autorizzata solo dopo un esame dell'impatto ambientale e previa consultazione del Comitato misto paritetico, la cui attività è finalizzata proprio ad instaurare, nell'ambito di ogni regione, un rapporto permanente di collaborazione con le Forze armate, al fine di armonizzare le esigenze della Difesa con le esigenze del tessuto civile e sociale della vita comunitaria» –:
   quali iniziative urgenti, d'intesa con gli enti locali, s'intendano adottare a seguito dei dati allarmanti resi pubblici dall'ARPA Friuli Venezia Giulia;
   quali siano i criteri utilizzati dal Ministero della difesa per valutare l'impatto ambientale delle esercitazioni e quanti e quali tipi di munizionamento utilizzati dalle Forze armate possono determinare il rilascio di isotopi radioattivi. (4-03112)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nel 2008, in uno dei primi provvedimenti che hanno costituito il cosiddetto pacchetto sicurezza nella XVI Legislatura, è stata disposta la costituzione del Fug-Fondo unico giustizia: il Fondo è alimentato con le risorse liquide o liquidabili sequestrate e confiscate alla mafia, è gestito dal Ministero dell'economia e delle finanze, è destinato per il 2 per cento al medesimo ministero, per il 49 per cento a integrare le esigenze del ministero dell'interno e per l'altro 49 per cento a integrare quelle del Ministero della giustizia.
   gli ultimi dati conosciuti sulla consistenza del Fondo e su come viene impiegato risalgono a una nota della Ragioneria generale dello Stato prodotta dall'allora Sottosegretario di Stato all'economia, il 1o agosto 2012, a margine dell'esame del decreto-legge sullo spending review, in Commissione bilancio alla Camera. In tale nota, la Ragioneria generale dello Stato comunicava che alla data del 31 dicembre 2011 le risorse intestate al Fug ammontavano a 2 miliardi e 212,88 milioni di euro: un importo di tutto rispetto che, se riversato per intero nelle casse dei ministeri che per legge ne dispongono, avrebbe permesso di venire incontro a non poche necessità dei comparti sicurezza e giustizia;
   secondo la medesima nota della ragioneria, rispetto a quell'importo in realtà sarebbero stati utilizzabili «solo» 1.065,52 milioni di euro, perché tale è la somma complessiva riportata da conti correnti e depositi a risparmio; il resto non sarebbe da considerare, in quanto costituito da titoli. Non si comprende perché mai un titolo finanziario che entra nella disponibilità dello Stato non può essere venduto sul mercato, ricavandone il cash permesso dalle sue quotazioni, a differenza di quello che qualsiasi risparmiatore è invece in grado di fare con la propria banca. Dall'importo di 1.065,52 milioni di euro erano messi da parte — sempre secondo la ragioneria — 343 milioni di euro per eventuali restituzioni agli aventi diritto per le confische revocate; quanto ai residui 722,52 milioni, essi — concludeva la ragioneria — potevano essere adoperati solo per spese «una tantum», quindi non, per esempio, per compensare, sia pure in parte, i tagli che la spending review ha imposto alle forze di polizia e all'organizzazione giudiziaria; o per azzerare gli arretrati delle locazioni per i presidi di polizia;
   in seguito non sono stati resi pubblici aggiornamenti –:
   a quanto ammonti l'attuale consistenza del Fug;
   quali somme e verso quali destinazioni siano state erogate dal 1° gennaio 2012 a oggi;
   quali siano gli ostacoli, e come si immagina di superarli, che impediscono la piena utilizzazione delle risorse finanziarie del Fondo.
(2-00361) «Costa, Pagano».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito degli eventi alluvionali che hanno colpito la regione Marche nel marzo 2011, il ponte di Colbuccaro, sul torrente Fiastra in provincia di Macerata, è stato danneggiato in maniera da renderlo inagibile;
   in data 29 dicembre 2011 con decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento della protezione civile, sulla base dell'OPCM 3907/10, alla regione Marche è stato assegnato un importo di 777.000,00 euro per l'adeguamento sismico dell'infrastruttura;
   tali fondi tuttavia, pur disponibili in regione per l'erogazione alla provincia di Macerata, non sono ancora stati liquidati, su richiesta dello stesso ente, in quanto impossibilitato a spenderli per i vincoli del patto di stabilità;
   tra l'altro i medesimi fondi sono stati stanziati per l'adeguamento sismico della struttura, che nel frattempo si è spezzata in due a causa delle recenti e violenti piogge;
   nel corso dell'ultima seduta del 2013, la giunta regionale delle Marche, ad integrazione del precedente, ha deliberato lo stanziamento di ulteriori 2.2 milioni di euro per la demolizione e ricostruzione del ponte sul torrente Fiastra in località Colbuccaro di Corridonia, nell'ambito del pro- gramma a favore delle Marche, finanziato dallo Stato, con la legge di stabilità 2013;
   la priorità è stata riconosciuta per il ripristino della viabilità della strada provinciale 28 Corridonia-Colbuccaro, ulteriormente compromessa dalle piogge del novembre scorso che hanno reso inutilizzabile anche l'attraversamento veicolare temporaneo in sostituzione del ponte, dichiarato inagibile;
   secondo le autorità amministrative locali, tali somme sono comunque insufficienti, in quanto servirebbero circa 3 milioni di euro per riparare interamente ed in maniera efficiente la struttura, anche perché interventi tampone, come l'utilizzo e la messa in sicurezza del guado, che doveva essere provvisorio, si sono rivelati del tutto inadeguati, escludendo il transito dei mezzi più pesanti e comportando interruzioni continue e un dispendio di energie e risorse che si concluderà soltanto con la realizzazione del nuovo ponte;
   le autorità provinciali e regionali hanno chiesto che, nel contesto della dichiarazione dello stato di emergenza e successiva ordinanza, relativo agli eventi del mese di novembre 2013, venga autorizzata la deroga al patto di stabilità specificamente per il trasferimento alla provincia di Macerata dei 777 mila euro destinati al Ponte di Colbuccaro –:
   se i Ministri interrogati, ritengano possibile un loro impegno nel senso auspicato in premessa, in modo tale da permettere alla provincia di Macerata l'utilizzo di tali fondi, peraltro già stanziati, senza incorrere nello sforamento del patto di stabilità interno. (5-01851)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   CERA, CESA, BINETTI e BUTTIGLIONE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 15 marzo 2013 con l'uso di ben dieci volanti della polizia, con un vero e proprio blitz a sorpresa, a Battipaglia sono stati portati in casa famiglia due fratellini, strappati alle cure materne e con il divieto per la madre di vedere i suoi figli (l'isolamento totale è durato ben 73 giorni);
   nel decreto del tribunale per i minorenni di Salerno del 15 marzo 2013 tale estrema e forzata soluzione si giustificava con il fatto che le consulenti del Tribunale avevano diagnosticato la PAS (sindrome di alienazione parentale);
   il difensore della signora Cipriani madre dei due bambini presentava istanza con la quale chiedeva il ritorno a casa dei due fratellini, dimostrando che la Pas è una sindrome scientificamente inesistente;
   il tribunale per i minorenni di Salerno, con decreto 16 settembre 2013, respingeva detta istanza accantonando di fatto la diagnosi di PAS ma giustificando il permanere dei fratellini presso la comunità (vedono la madre una volta la settimana per due ore con incontri protetti ed è stato loro vietato di frequentare amici, parenti e vecchi compagni di scuola) sul presupposto di una generica inadeguatezza delle capacità genitoriali e dell'esercizio del diritto alla bigenitorialità;
   la difesa Cipriani presentava reclamo presso la corte d'appello di Salerno sostenendo che:
   a) la diagnosi di PAS era il costrutto portante della consulenza del tribunale e che, tolta tale erronea diagnosi, cadevano le ragioni di un penoso e drammatico allontanamento dei minori dalla madre;
   b) nella CTU e di conseguenza nei decreti del TM erano stati rimossi gli indicatori di trauma (sintomi da stress post traumatico) e di abuso sessuale (ipersessualizzazione), in un primo tempo invece rilevati (i fratellini hanno dichiarato di avere subito abusi sessuali dal padre;
   c) nel processo civile, a differenza di quello penale, ove vige il principio della prova oltre ogni ragionevole dubbio, vige il principio della probabilità nell'accertamento dei fatti (Cass. Pen. Sez. III Sentenza n. 29612/2010) e pertanto doveva essere tenuto in considerazione il rischio di probabilità della veridicità degli abusi in forza degli indicatori e dei persistenti racconti dei bambini;
   la corte d'appello di Salerno respingeva il reclamo della difesa Cipriani, scrivendo che l'allontanamento dei minori (una volta caduta l'ipotesi della PAS) si reggeva sulla personalità labile e precaria della signora Cipriani, sul non positivo giudizio sulle capacità genitoriali della stessa e sull'esistenza di una sindrome di obesità di cui avrebbero sofferto i due figli della signora Cipriani;
   le consulenti tecniche del giudice avevano trovato importanti indicatori di abuso sessuale ma, in ragione della scellerata diagnosi di PAS, avevano, ad avviso dell'interrogante, ingiustamente, svalutato i racconti dei bambini e rimosso gli indicatori di abuso trovati;
   il tribunale per i minorenni, nell'esclusivo interesse dei fanciulli, doveva interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione e proteggere i minori, secondo criteri di probabilità, dal rischio che i fatti, raccontati dai bambini, siano autentici;
   nei provvedimenti del tribunale per i minorenni e della corte d'appello non vi è traccia alcuna di una valutazione  o risposta alle argomentazioni della difesa Cipriani in tal senso;
   non è accettabile che dei minori vengano drammaticamente e per un periodo di tempo lungo e indefinito tolti alle cure familiari sulla scorta di valutazioni psicologiche vaghe, generiche e prive di alcuna rilevanza psichiatrica e pediatrica (sindrome di obesità – personalità labile e precaria, carenze sulla genitorialità);
   i fratellini sono in casa famiglia da più di nove mesi e chiedono incessantemente di tornare a vivere con la loro madre;
   il 15 marzo 2013, sono stati traumatizzati (portati via con la forza in maniera drammatica), senza che ne esistessero i presupposti (la diagnosi di PAS);
   nell'ultimo incontro (3 dicembre 2013) i minori hanno pianto disperatamente per 40 minuti di fila chiedendo alla madre di portarli a casa e urlando: mamma voglio morire, voglio svenire, non ce la faccio più, voglio tornare a casa;
   non appare tollerabile per una nazione civile, che ha firmato la convenzione di New York sui diritti dei fanciulli, che dei minori vengano tolti drammaticamente alle cure familiari senza motivazioni serie, ma con la superficialità riscontrata in questo caso;
   non si comprende come sia possibile che l'ipotesi di maltrattamenti o abuso sessuale a danno di minori sia stata rimossa a favore del diritto della bigenitorialità, diritto quest'ultimo vicario innanzi al diritto all'integrità psicofisica dei minori;
   sarebbe infine necessario acquisire comunque direttamente e in maniera indipendente informazioni sullo stato di salute e psicologico dei minori, sui loro bisogni, sui traumi causati dalle drammatiche modalità di allontanamento e sull'isolamento dalla figura materna anche per valutare il rischio che i minori corrono nella permanenza presso la casa famiglia –:
   se si intenda disporre una approfondita indagine e un'ispezione ministeriale presso il tribunale dei minori di Salerno al fine di acquisire informazioni sul caso in esame e sull'esistenza di eventuali casi analoghi;
   se sussistano casi di diagnosi di malattie inesistenti come la PAS e se queste o altre diagnosi simili abbiano fondato decisioni giudiziarie in base alle quali bambini siano stati tolti alle famiglie. (4-03115)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   DI BATTISTA, TACCONI, GRANDE, DEL GROSSO, SCAGLIUSI, SIBILIA e MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 1 del regolamento sulla disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza (decreto del Presidente della Repubblica n. 362 del 18 aprile 1994) «l'istanza per l'acquisto o la concessione della cittadinanza italiana, di cui all'articolo 7 ed all'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, si presenta al prefetto competente per territorio in relazione alla residenza dell'istante, ovvero, qualora ne ricorrano i presupposti, all'autorità consolare»;
   quanto all'istruttoria, l'ufficio che ha ricevuto la domanda ne verifica il contenuto e «nel caso di incompletezza o irregolarità della domanda o della relativa documentazione, entro trenta giorni l'autorità invita il richiedente ad integrarla e regolarizzarla, dando le opportune indicazioni ed i termini del procedimento restano interrotti fino all'adempimento» (articolo 2, comma 2);
   l'articolo 1, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 362 del 1994 prevede, inoltre, che entro trenta giorni dalla presentazione della domanda – termine interrotto ove vi sia l'invito di cui sopra – l'autorità, se non dichiara l'inammissibilità della domanda per incompletezza o irregolarità, inoltra la stessa al Ministero dell'interno con le proprie osservazioni;
   lo stesso Regolamento governativo, all'articolo 3, stabilisce che «per quanto previsto dagli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n, 241, il termine per la definizione dei procedimenti di cui al presente regolamento è di settecentotrenta giorni dalla data di presentazione della domanda»;
   secondo il disposto dell'articolo 9 della Legge «la cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell'interno»;
   infine l'articolo 10 della medesima legge l'articolo 10 specifica che «il decreto di concessione della cittadinanza non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato», giuramento che, ai sensi del successivo articolo 23, viene prestato davanti «all'ufficiale dello stato civile del comune dove il dichiarante risiede» che poi provvede alla trascrizione e annotazione del decreto negli atti dello stato civile dandone immediata notizia al Ministero dell'interno;
   il procedimento appena descritto normalmente dura più del tempo massimo indicato nelle normativa in precedenza richiamata pari a 730 giorni;
   ad esempio da un'indagine statistica (Blangiardo, 2007) si evince che nel decennio 1992-2001 i tempi medi di decisione avrebbero oscillato tra i due e i tre anni;
   l'interrogante ha appreso da organi di stampa che la Signora Maria Måwe, candidata alle scorse elezioni della provincia autonoma di Bolzano nel Südtiroler Volkspartei (SVP), in soli 49 giorni è riuscita a concludere l'intero iter per l'ottenimento della cittadinanza italiana, rendendo il giuramento davanti al sindaco di Bolzano in data 11 settembre 2013, quando il termine ultimo per la presentazione delle liste sarebbe scaduto il successivo 13 settembre 2013;
   l'interrogante è altresì venuto a sapere che l'ex deputato del Südtiroler Volkspartei (SVP) Siegfried Brugger – nominato nel Consiglio dei ministri n. 42 del 21 dicembre 2013, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, Consigliere della Corte dei Conti – ha rilasciato, in data 16 settembre 2013, un'intervista al quotidiano on line Alto Adige nella quale ha affermato che «mi sono mosso da ex parlamentare... ho parlato della cittadinanza direttamente con la signorina Måwe; che conosco... sono convinto che la signorina Måwe sia stata aiutata anche da altre persone; oltre a me. Ma di più non voglio dire»;
   sempre dal quotidiano on line l'Alto Adige è emerso che presso la prefettura di Bolzano giacciono attualmente 3000 richieste di cittadinanza (di cui 881 presentate nel 2012 e 800 nel 2013);
   pertanto è rilevante verificare se, nel caso di specie, non vi siano state, nel procedimento amministrativo de quo, discriminazioni, a parità di situazioni, e violazioni del principio di parità di trattamento di cui all'articolo 3 Cost.;
   il Ministero dell'Interno ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 svolge funzioni nella tutela dei diritti civili, ivi compresi quelli delle confessioni religiose, di cittadinanza, immigrazione e asilo nonché nell'organizzazione e funzionamento delle strutture centrali e periferiche dell'amministrazione;
   in particolare al Ministro interrogato, ai sensi dell'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 362, spetta il compito di verificare «periodicamente la funzionalità, la trasparenza e la speditezza dei procedimenti disciplinati dal presente regolamento e adotta tutte le misure di propria competenza per l'adeguamento della relativa disciplina ai principi ed alle disposizioni delle leggi 7 agosto 1990, n. 241, e 24 dicembre 1993, n. 537, e del presente regolamento» ed inoltre «i risultati delle verifiche svolte e le misure adottate in esito ad esse sono illustrate in un'apposita relazione che viene inviata, entro il 31 marzo di ogni anno, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa;
   se, alla luce delle vicende descritte abbia proceduto o intenda procedere, anche ai sensi dell'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 362 del 1994, alla verifica e constatazione del corretto svolgimento dell’iter amministrativo di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 91 ed al decreto del Presidente della Repubblica 362 del 1994 soprattutto con riferimento al rispetto del principio di parità di trattamento;
   se non intenda disporre una indagine interna sui fatti di cui in premessa e, pertanto, sul corretto svolgimento del procedimento amministrativo de quo, fornendo immediatamente ogni elemento relativo agli esiti della medesima. (3-00544)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti (UIC) è un ente morale con personalità giuridica, di diritto privato cui la legge e lo statuto affidano la rappresentanza e la tutela degli interessi dei non vedenti nei confronti delle pubbliche amministrazioni;
   nell'esercizio delle sue funzioni l'UIC ricorre a enti e strumenti operativi tra cui le onlus IRIFOR (Istituto per la ricerca, la formazione e la riabilitazione) e IERFOP (Istituto europeo per la ricerca, la formazione e l'orientamento professionale);
   la legge finanziaria per il 2006 (n. 266 del 2005), all'articolo 1, comma 318, ha stabilito la ripartizione in parti uguali fra IRIFOR e IERFOP del contributo vincolato dello Stato all'UIC, erogato dal Ministero dell'interno – organo vigilante – sul presupposto consolidato che i due enti destinatari avevano acquisito autonoma personalità giuridica;
   questa disposizione ha eliminato, quindi, il manifesto conflitto di interessi legato al fatto che l'Unione italiana ciechi amministra formalmente e sostanzialmente l'IRIFOR, cancellando il precedente sistema di ripartizione dei fondi stabilito, dalla legge n. 379 del 1993, e successive modificazioni, sul contributo annuo dello Stato all'UIC, con vincolo di destinazione all'IRIFOR e all'IERFOP;
   successivamente, con la legge finanziaria per il 2008 (n. 244 del 2007) all'articolo 2, comma 466, è stata disposta l'abrogazione della normativa summenzionata ripristinando la potestà ripartitoria dei contributi pubblici in capo all'Unione italiana ciechi;
   lo IERFOP ha impugnato la disposizione abrogativa innanzi al giudice amministrativo e il Consiglio di Stato, con Sentenza n. 08463/2010 del 9 dicembre 2010, ha riconosciuto la piena validità delle questioni sollevate dall'onlus ricorrente, ribaltando completamente la sentenza di primo grado del TAR Lazio n. 06196/2009;
   questo provvedimento di natura amministrativa, però, si limita ai singoli provvedimenti di ripartizione impugnati e non può intervenire sulla normativa vigente, che deve essere modificata per porre rimedio a una situazione insostenibile;
   desta dubbi di costituzionalità la normativa in base alla quale lo Stato delega a una associazione con personalità giuridica privata, come l'Unione italiana ciechi, la potestà ripartitoria di contributi dello pubblici –:
   se l'esecutivo intenda adottare iniziative normative urgenti per abrogare la disposizione che ha ripristinato una sperequazione nella distribuzione dei contributi statali in favore dell'IRIFOR, ovvero provvedere all'abrogazione del comma 466, articolo 2, della legge finanziaria per il 2008 (n. 244 del 2007). (5-01846)


   FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come ormai è noto, il 2014 sembra profilarsi come l'anno dell'Europa in Italia, in particolare a seguito della nomina della città di Milano quale capitale del semestre di presidenza italiano dell'Ue già a partire dal 1° luglio 2014, e che dovrebbe comportare la presa in considerazione di Milano quale sede preferenziale per i vari consigli dei ministri europei;
   il 2014 ed il 2015 rappresentano altresì per Milano e per il nostro paese, l'occasione di una importante vetrina internazionale, sia per il rilevante evento dell'Expo 2015, che per essere stata scelta come sede per ospitare l'importantissimo vertice Asia-Europa Asem;
   eventi di un simile rilievo internazionale necessitano senz'altro di una attenta ed accurata preparazione e pianificazione, finalizzata, tra le altre cose, anche ad incrementare i livelli di sicurezza del Paese –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare ai fini di un necessario potenziamento del dispositivo di soccorso tecnico urgente espletato dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco e di quello del personale tecnico ed amministrativo contabile.
(5-01848)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto rettorale 1° giugno 2000, l'università «La Sapienza» dispensava dal servizio il ricercatore confermato presso la facoltà di medicina Romano Di Salvo per «scarso rendimento» per gli effetti dell'articolo 129 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957;
   il TAR/Consiglio di Stato, in seguito ad un ricorso presentato dal dottor Di Salvo, si esprimevano nel merito del provvedimento di dispensa dal servizio, ma dichiaratamente non sulla sua legittimità;
   a seguito di un'indagine ispettiva il Ministero dell'istruzione, università e ricerca, facendo proprio il giudizio di illegittimità dell'atto espresso interveniva presso «La Sapienza» a proporre il reintegro in servizio del dottor Di Salvo, senza successo;
   analogamente il Consiglio universitario nazionale (CUN), verificato che il dottor Di Salvo era stato licenziato senza il conforme parere della Corte di disciplina dello stesso CUN, ricordava al Ministro il proprio ruolo in tema di procedimenti disciplinari nei confronti dei docenti/ricercatori universitari;
   in ogni caso la dispensa dal servizio poteva essere comminata dal Ministro previo parere della Corte di disciplina del CUN;
   il Ministero avviava un'altra indagine ispettiva presso «La Sapienza» volta a verificare la legittimità del provvedimento di dispensa dal servizio comminato dal rettore;
   lo stesso Ministro invitava «La Sapienza» a riconsiderare il provvedimento di dispensa, dichiarato illegittimo sotto più profili;
   nel corso del 2008 e del 2009 più volte il CUN ha chiesto al Ministro un intervento sul «caso Di Salvo», e ha ribadito la propria posizione con delibera dell'8 luglio 2009, redatta a conclusione dei lavori di un'apposita commissione;
   sono dieci anni che il professor Di Salvo si batte a tempo pieno per tutelare la sua dignità di medico e di docente, chiedendo che nei confronti del rettore de «La Sapienza» professor Frati sia evidenziato un conflitto di interessi, essendo il rettore Frati sia il soggetto detentore della competenza a pronunciarsi sulle richieste del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di annullamento in autotutela del provvedimento di dispensa, sia colui che, a suo tempo, quale preside della facoltà di Medicina, propose il suddetto licenziamento peraltro mai approvato dagli Organi collegiali dell'università;
   con una nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 27 giugno 2013 indirizzata a La Sapienza riguardo la dispensa per «scarso rendimento» si richiede, su conforme parere dell'Avvocatura dello Stato, il riesame dell'intera vicenda e che la risposta de La Sapienza è stata negativa –:
   se il Ministro intenda accertare definitivamente con apposita indagine ispettiva il merito dei fatti riguardanti la decennale vicenda del dottor Di Salvo anche assumendo ogni iniziativa per arrivare al ritiro del Decreto rettorale del 1° giugno 2000 con cui l'università «La Sapienza» aveva decretato la dispensa dal servizio per «scarso rendimento» «per gli effetti dell'articolo 129 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957». (4-03108)


   VACCA, MARZANA, D'UVA, BATTELLI, CHIMIENTI, LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, BRESCIA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'atto di sindacato ispettivo presentato n. 3-00489, presentato dal sottoscritto in data 28 novembre 2013, con cui si interrogava il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sull'atteggiamento ambiguo e non conforme alle indicazioni delle circolari ministeriali di alcuni dirigenti scolastici riguardo alla richiesta di contributi volontari alle famiglie;
   tale interrogazione è stata ispirata dalla circolare n. 5259/B15-B17b dell'istituto comprensivo statale Pescara 5 avente come oggetto l'assicurazione responsabilità civile (RC) e infortuni alunni e attività di ampliamento e di arricchimento dell'offerta formativa azione POF 2013/2014, la quale recitava che «al fine di consentire alla Scrivente di attivare, anche per il corrente anno scolastico, le attività e di procedere alla stipula della polizza di l'assicurazione responsabilità civile (RC) e infortuni alunni, invito le signorie loro, secondo il deliberato del consiglio di istituto, come appresso:
    a) I genitori degli alunni di tutte le sezioni di scuola dell'infanzia. Verseranno il contributo annuo di euro 40,00 comprensivo di assicurazione infortuni RCT pari a euro 6,30. La causale del contributo è Ampliamento dell'offerta formativa e assicurazione as 2013-2014 erogazione liberale;
    b) I genitori degli alunni di tutte le classi di scuola primaria. Verseranno il contributo annuo di euro 60,00 comprensivo di assicurazione infortuni RCT pari a euro 6,30. La causale del contributo è Ampliamento dell'offerta formativa e assicurazione as 2013-2014 erogazione liberale;»
   il sottoscritto, a seguito di una segnalazione, si augurava pubblicamente che la stessa dirigente chiarisse la propria posizione sulla eventuale nomina di un proprio parente molto stretto come vicepreside (vicario), sia quest'anno che negli anni passati;
   su un articolo di stampa apparso sul quotidiano Il Tempo il giorno 9 gennaio 2014 pare che il dirigente dell'istituto comprensivo Pescara 5 dichiari, sulla nomina del dirigente vicario, che «Tutto è stato fatto alla luce del sole. C’è un avviso pubblico e chi ha titoli risponde. Mio figlio è stato l'unico a presentare la domanda, dopo essere arrivato in questa scuola non per raccomandazione, ma perché titolare di cattedra dopo gli anni di lavoro a Milano»;
   l'articolo 25 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 stabilisce che il dirigente scolastico nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative può avvalersi di docenti da lui individuati, ai quali possono essere delegati specifici compiti;
   l'articolo 6 del Decreto del presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 «Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165» prescrive che il dipendente della pubblica amministrazione si astiene dal prendere decisioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi di parenti entro il secondo grado;
   l'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 «Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165» stabilisce che il dipendente della pubblica amministrazione si astiene dal partecipare all'adozione di decisioni che possano coinvolgere interessi di suoi parenti entro il secondo grado –:
   se alla luce della normativa vigente sia possibile che un dirigente nomini come vicario e attribuisca incarichi diretti a parenti fino al secondo grado;
   nel caso in cui il Ministero ravvisi effettivamente una situazione di conflitto di interesse, quali iniziative intenda adottare per contenere situazioni simili negli istituti comprensivi statali nazionali.
(4-03109)


   BRESCIA, LUIGI GALLO, MARZANA, VACCA, D'UVA, DI BENEDETTO, SIMONE VALENTE e BATTELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 2003 nel regno Unito sono stati stanziati 50 milioni di sterline a favore delle amministrazioni locali per l'acquisto di nuove tecnologie educative ed il governo inglese ha investito altri 40 mln di sterline affinché entro l'inizio dell'anno scolastico 2014/2015 tutte le scuole secondarie siano dotate di banda ultralarga;
   attualmente il 25 per cento delle scuole primarie inglesi naviga ad una velocità di 2 megabyte e il 45 per cento ad una velocità di 8 megabyte, mentre le scuole secondarie hanno una velocità di connessione pari a 20 megabyte e lo scorso anno una indagine OCSE metteva in rilievo come tra la scuola inglese e la scuola italiana vi fosse un gap di almeno 15 anni. Il Governo inglese ha, infatti, nonostante i conti profondamente in rosso, digitalizzato l'80 per cento dei suoi istituti;
   in Svezia l'innovazione nella scuola è parte integrante dell'insegnamento avendo la banda larga in tutte le scuole e tutti i dirigenti scolastici possono fare richiesta delle LIM;
   il decreto legge n. 95 del 6 luglio 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 135 del 7 agosto 2012, senza mezzi termini imponeva che a partire dallo scorso anno scolastico le iscrizioni online, il registro elettronico e le pagelle digitali dovevano essere operative in tutta Italia;
   negli ultimi 15 mesi le cose non sono assolutamente cambiate e carta e penna fanno ancora da padroni nella maggior parte degli Istituti scolastici;
   in Italia abbiamo:
    a) un pc ogni 15 studenti nelle scuole elementari;
    b) un pc ogni 11 studenti nelle scuole secondarie di primo grado;
    c) un pc ogni 8 per quelle di secondo grado;
    d) una LIM ogni 5 classi e solo la metà delle classi hanno accesso alla rete;
   lo scorso 9 settembre 2013 il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, che stanzia:
    a) solo 15 milioni di euro per incrementare la connettività wireless nelle scuole secondarie (con priorità a quelle di secondo grado);
    b) 8 milioni (2,7 per il 2013 e 5,3 per il 2014) per finanziare l'acquisto da parte di scuole secondarie di libri di testo – da ora facoltativi e sostituibili con altro materiale – e ebook da dare in comodato d'uso agli alunni bisognosi;
    c) 10 milioni per il 2014 per la formazione del personale scolastico anche sul piano delle competenze digitali –:
   come si possa pensare di superare il ritardo rispetto agli altri Paesi con investimenti così esigui nel settore;
   quali seri provvedimenti s'intendano attuare per favorire la diffusione delle nuove tecnologie e della banda larga nella scuola. (4-03114)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BELLANOVA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la signora D.D.C., nata il 20 agosto 1963 a S. Pietro in Lama (LE) e residente in Lequile (LE) codice fiscale DCRDNL63M60I115M, ha lavorato alle dipendenze della società POZZINO CLUB s.r.l., con sede in S. Pietro in Lama (Le), alla Pozzino, dal 1o maggio 2008 fino al 7 settembre 2010, data in cui è stata licenziata, con la qualifica di «aiuto cuoco», inquadrata nel 3° livello del settore commercio;
   in conseguenza del licenziamento, la signora D.C. ha percepito da parte dell'INPS di Lecce l'indennità di disoccupazione per il periodo dal 1° dicembre 2010 al 16 maggio 2011;
   successivamente, in data 23 giugno 2011, la stessa ha prodotto domanda per ottenere l'indennità di mobilità in deroga ai sensi dell'articolo 1, commi 30, 31, 32 e 33, della legge n. 220 del 2010 e dell'Accordo regione Puglia – parti sociali del 14 dicembre 2010;
   l'INPS di Lecce, in accoglimento della suddetta domanda, erogava alla signora D.C. l'indennità di mobilità in deroga per il periodo dal 17 maggio 2011 al 30 giugno 2011 per un importo complessivo di euro 1.261,22;
   in data 1o agosto 2011, poiché si trovava nelle condizioni per la proroga del beneficio della mobilità in deroga sino al 31 dicembre 2011, prevista dall'accordo della regione Puglia e le parti sociali sottoscritto in data 29 giugno 2011 (punto C), la stessa si recava presso il competente centro per l'impiego di Lecce dove compilava e sottoscriveva la domanda di mobilità in deroga ed il patto di attivazione sulla modulistica predisposta dal centro per l'impiego, per ottenere la proroga della prestazione di cui innanzi, così come previsto dal citato Accordo del 29 giugno 2011;
   successivamente, in data 11 agosto 2011, la signora D.C. in adempimento delle procedura previste dal più volte citato accordo del 29 giugno 2011, consegnava all'INPS di Lecce il modello DS 21-SR05, per richiedere la prestazione della mobilità in deroga;
   poiché non veniva corrisposta l'indennità richiesta, l'interessata in data 1° dicembre 2011 al fine di sollecitare l'erogazione della spettante indennità, veniva ripresentata all'INPS di Lecce ed alla regione Puglia tutta la documentazione di cui innanzi, ma senza ottenere alcuna risposta sia da parte dell'INPS sia da parte della regione Puglia;
   in data 22 dicembre 2011 veniva concluso un accordo tra regione Puglia e parti sociali, con il quale si conveniva di «prorogare per l'anno 2012 la mobilità in deroga ai lavoratori che abbiano già esaurito tutti gli ammortizzatori sociali, ordinari e in deroga, nel corso del 2012». Tale proroga veniva già definita con gli stanziamenti economici fino al 30 aprile 2012, con riserva per l'ulteriore periodo in funzione del monitoraggio della spesa;
   poiché perduravano tutte le condizioni soggettive previste dall'accordo del 22 dicembre 2011, la signora D.C., pur non avendo ancora ricevuto il pagamento dell'indennità relativa all'anno 2011 (periodo 1o luglio 2011-31 dicembre 2011), presentava in data 2 febbraio 2012 all'INPS di Lecce il certificato mod.MOB1, così come previsto espressamente dal suddetto Accordo del 22 dicembre 2011, per ottenere la proroga del beneficio dell'indennità di mobilità in deroga per tutto l'anno 2012;
   pur non ricevendo alcuna risposta da parte dell'INPS e della regione Puglia, la signora D.C. in data 10 maggio 2012 presentava domanda di proroga dell'indennità di mobilità in deroga allegando il mod.MOB1/2012 in base all'Accordo quadro regione Puglia/parti sociali del 23 aprile 2012 per il periodo successivo al 30 aprile 2012, espressamente dichiarando e certificando di essere in possesso di tutti i requisiti previsti dall'Accordo del 23 aprile 2012;
   non ottenendo l'erogazione della prestazione richiesta per il periodo successivo al 30 giugno 2011, né alcuna comunicazione da parte degli enti interessati in merito alle domande di proroga della mobilità in deroga, la signora D.C. con istanza di sollecito, depositata in data 19 luglio 2012 all'INPS di Lecce e spedita con raccomandata a.r. ricevuta in data 27 luglio 2012 dalla regione Puglia, faceva presente a detti enti le proprie condizioni economiche precarie e chiedeva l'erogazione dell'indennità di mobilità in deroga, invocando altresì l'interruzione di qualsiasi termine;
   l'istanza di sollecito alla regione Puglia del 27 luglio 2012 è stata esaminata dalla sottocommissione regionale politiche del lavoro in data 4 dicembre 2012 e, alla luce della documentazione in atti, la stessa sottocommissione esprimeva parere favorevole all'iscrizione della signora D.C. nelle liste di mobilità in deroga;
   gli uffici della regione Puglia, in attuazione della decisione della sottocommissione Regionale di cui innanzi, disponevano la relativa autorizzazione ma, per un errore di trasmissione dei dati all'INPS, la stessa perveniva con l'indicazione di una data errata ed in particolare: invece di indicare il periodo dal 1° luglio 2011 al 31 dicembre 2011 veniva indicato il periodo dal 7 gennaio 2011 al 31 dicembre 2011. Di conseguenza, l'INPS rilevando la contraddizione non ha ritenuto di erogare il sussidio;
   gli uffici regionali hanno riscontrato l'errore e con nota e-mail del 4 febbraio 2013 hanno segnalato all'INPS l'inversione di data;
   in data 20 maggio 2013 la signora D.C.D. ha prodotto ricorso al comitato provinciale INPS per il pagamento dovuto, ma senza alcun esito;
   a tutt'oggi la signora D.C., pur essendo nelle condizioni previste dalla legge, non ha percepito alcuna somma per il titolo di cui sopra da parte dell'istituto di previdenza ed è costretta ad enormi sacrifici per potere condurre una esistenza dignitosa, al limite della povertà, a causa di errori burocratici;
   il caso della signora rappresenta uno dei troppi casi drammatici che, purtroppo, non trovano soluzioni in tempi ragionevoli –:
   se il Ministro non ritenga necessario intervenire per verificare le responsabilità di tutti gli organi amministrativi competenti coinvolti in questa ed in altre analoghe vicende al fine di risolvere problematiche fortemente penalizzanti sia per la lavoratrice citata nell'atto che, a causa dello stato di crisi occupazionale si trova nell'assoluta necessità di vedersi, riconosciuti i propri diritti con la massima urgenza sia per tanti altri cittadini.
(5-01850)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MONCHIERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   desta enorme preoccupazione quanto accaduto, in Piemonte, a Domodossola, ad una donna incinta che ha viaggiato per sette ore in ambulanza con le doglie prima di arrivare in ospedale. La donna, al sesto mese di gravidanza, si è rivolta all'ospedale San Biagio di Domodossola. Aveva in corso un parto gemellare prematuro, ma l'ospedale ha ritenuto che la gravità del caso suggerisse in un punto nascita di secondo livello. Risulterebbe che essendo impegnata in un trasporto urgente l'ambulanza medicalizzata dell'ospedale, è stato chiesto l'intervento del 118;
   un'ambulanza è partita da Verbania per risalire sino a Domodossola e poi correre all'ospedale di Alessandria: 170 chilometri di autostrada, troppi per uno dei gemelli che è morto dopo il parto con taglio cesareo, mentre rimane sotto osservazione, il fratello;
   la regione Piemonte ha subito avviato un'indagine, puntualizzando però che «Nonostante la riforma abbia previsto la chiusura del punto nascite di Domodossola perché al di sotto dei requisiti minimi previsti dall'Oms e dall'accordo Stato-regione del 2010, oggi questa struttura risulta ancora aperta a seguito di un pronunciamento non definitivo del Tar;
   il punto nascita di Domodossola — la cui chiusura era stata oggetto di forti tensioni — era dunque attivo, il medico ginecologo ha esaminato il caso e seguendo i protocolli ha trasferito la madre in ospedale di secondo livello;
   la drammatica conclusione della vicenda evidenzia, tuttavia, che protocolli e standard organizzativi non hanno consentito di dare alla puerpera l'assistenza necessaria –:
   di quali elementi disponga in relazione agli avvenimenti e, in particolare, alla decisione di trasferire la paziente da Domodossola ad Alessandria con un percorso troppo lungo rispetto all'urgenza dell'intervento e quali eventuali iniziative intenda assumere. (5-01849)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, RIZZETTO, CIPRINI, BECHIS, ROSTELLATO, CRIPPA, PRODANI, CHIMIENTI, CASO, CARINELLI, DE ROSA, MANLIO DI STEFANO, ALBERTI e PESCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la multinazionale svedese Electrolux è un'azienda leader mondiale nel settore dell'elettrodomestico e delle apparecchiature per uso professionale;
   in data 28 ottobre 2013, a Mestre, la direzione di Electrolux ha presentato al Coordinamento sindacale un piano che prevede la messa in discussione degli stabilimenti italiani del gruppo, messi sotto investigazione dalla direzione stessa che intende svolgere, entro aprile 2014, la sostenibilità delle produzioni che si realizzano in Italia, analizzando le vie percorribili per consolidare i fattori di competitività e le azioni necessarie per una maggiore profittabilità;
   in modo esplicito la direzione aziendale ha spiegato che questo può significare il mantenimento, il ridimensionamento o la chiusura degli stabilimenti italiani di Porcia (PN) dove lavorano 1.160 addetti, di Susegana (TV) dove lavorano 1.033 addetti, di Solaro (MI) dove lavorano 912 addetti, di Forlì dove lavorano 843 addetti, preferendo a questi una delocalizzazione di una notevole parte dei suoi prodotti verso Polonia e Ungheria;
   si parla di 461 esuberi programmati, cifra alla quale va aggiunta quella dei 1.200 esuberi (oggi 1.100 per effetto delle dimissioni incentivate), affrontati con il ricorso alla solidarietà realizzata con accordo del 22 marzo 2013, con il rischio inevitabile di provocare, a cascata, la perdita di migliaia di posti di lavoro nell'indotto;
   l'ex presidente della regione Lombardia, Roberto Formigoni, il 25 gennaio 2010 inaugurò una linea di produzione nello stabilimento di Solaro. All'inaugurazione parteciparono anche l'allora Ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi e il direttore dello stabilimento di Solaro, Giuseppe Caiullo e il management di Electrolux;
   l'impianto doveva rappresentare la scommessa della multinazionale svedese che nonostante la grave crisi internazionale ha investito alcune decine di milioni di euro che avrebbero dovuto garantire lavoro puntando sull'eccellenza e sull'attenzione alla sostenibilità ambientale;
   regione Lombardia nel dicembre 2009 aveva destinato uno stanziamento di 900 milioni di euro alle imprese lombarde, non quantificando quanto destinò all'azienda Electrolux di Solaro, chiedendo alle stesse di fare altrettanto –:
   se il Ministro interpellato non ritenga opportuno quantificare, rendendoli noti all'interpellante, i finanziamenti che il Governo o altre istituzioni hanno disposto all'azienda Electrolux in Italia e per quali motivi e in merito a quali progetti siano state assegnate delle risorse economiche da parte dei citati soggetti all'azienda stessa. (5-01847)


   PRODANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'11 dicembre 2013 l'edizione online del quotidiano La Repubblica ha pubblicato l'articolo intitolato «L'outlet delle eccellenze made in Italy. Eurispes e Uil-Pa: Fermiamo la svendita» in cui si riporta una sintesi del Rapporto «Outlet Italia. Cronaca di un Paese in (s)vendita» presentato dall'Eurispes in collaborazione con la Uil-Pubblica Amministrazione (PA);
   secondo il documento, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012 si sono registrati ben 437 passaggi di proprietà di aziende dall'Italia all'estero e i gruppi stranieri hanno speso circa 55 miliardi di euro per ottenere prestigiosi marchi italiani nei più svariati settori produttivi;
   la «svendita» delle attività nostrane, comunque, è iniziata negli anni ’70 e da allora non si è più fermata includendo brand famosi come Algida, Perugina, Eridania, Conbipel, Sergio Tacchini, Zanussi, Ducati e Lamborghini;
   secondo il rapporto, nel corso degli anni lo «shopping dissennato di brand Made in Italy» è stato condotto per lo più a multinazionali francesi, statunitensi, tedesche e inglesi, mentre oggi sono presenti per lo più imprenditori cinesi, indiani, giapponesi e arabi;
   la questione principale, comunque, non riguarda la nuova titolarità delle aziende ma se le acquisizioni costituiscano o meno occasioni di crescita o l'inizio del declino che porterà alla chiusura le attività rilevate di cui si perde lo storico marchio;
   il sospetto che le acquisizioni straniere non costituiscano un'opportunità è reale consultando l’«ampio database dei 130 principali marchi italiani ceduti all'estero negli ultimi 20 anni, costituito da Eurispes e Uil-Pa» che fa pensare come i grandi marchi italiani possano essere ormai solo «gloriose vestigia del passato, pronti per il museo» sebbene alcuni siano ancora leader di mercato nel proprio settore;
   secondo il segretario della Uil-PA Benedetto Attili, spesso i titolari delle aziende sono «costretti giocoforza a vendere a un prezzo inferiore rispetto a quello reale» e la struttura è successivamente delocalizzata con conseguenze disastrose quali «perdita di posti di lavoro, di personale specializzato e, inevitabilmente, abbandono degli standard di qualità del prodotto»;
   la continua perdita di marchi di produzione nazionale è legata al modello italiano delle «family business», per lo più alcune grandi imprese e piccole e medie imprese a conduzione familiare, che operano con grande difficoltà in un mercato globalizzato a causa di una duplice difficoltà: l'accesso al credito e la continuità produttiva;
   riguardo quest'ultima, per il presidente dell'Eurispes Gian Maria Fara «si è esaurita la spinta che aveva consentito alle generazioni precedenti di trasformare un Paese arretrato, agricolo, in una moderna democrazia industriale, sia pure segnata da ritardi e contraddizioni. E nello stesso tempo, non siamo stati capaci di raccogliere l'eredità, consolidarne i risultati e utilizzarli come piattaforma per il raggiungimento di nuovi traguardi, per la messa a punto di un nuovo progetto. Abbiamo pensato, stoltamente, che si potesse vivere di rendita all'infinito in un mondo in continuo mutamento» –:
   quali iniziative urgenti il ministero interrogato intenda adottare a favore delle imprese italiane, per lo più a conduzione familiare, che costituiscono un vanto per l'economia nazionale e che per questo motivo non devono essere svendute ad aziende straniere, interessate per lo più a delocalizzarne la produzione creando seri problemi occupazionali nel nostro Paese. (5-01852)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Bobba e altri n. 1-00058, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Argentin.

  La mozione Ciprini e altri n. 1-00292, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Agostinelli, Alberti, Artini, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Catalano, Cecconi, Colletti, Colonnese, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Tacconi, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Airaudo n. 1-00196, già pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 86 del 27 settembre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    in questi ultimi anni alcune delle maggiori industrie italiane sono state cedute, di fatto, a proprietà straniere: non solo i grandi marchi della moda e del lusso da sempre espressione del nostro made in Italy (da Bulgari a Loro Piana, da Valentino a Ferré), ma anche il settore alimentare (Dall'Orzo Bimbo agli spumanti Gancia, dai salumi Fiorucci alla Parmalat, dalla Star al Riso Scotti, fino al vino Chianti nel cuore della denominazione di origine controllata e garantita del Gallo Nero, diventata proprietà di un imprenditore cinese; sono molti e di prestigio, infatti, i marchi storici dell'agroalimentare italiano finiti in mani straniere, per un valore complessivo, dall'inizio della crisi ad oggi, di circa 10 miliardi di euro) e la meccanica (Ducati);
    il pericolo è, inoltre, che con un debito pubblico, che presumibilmente potrebbe arrivare a oltre il 130 per cento del prodotto interno lordo, lo Stato possa decidere di cedere altri gangli nevralgici del Paese sotto il profilo tecnologico e del know how, quali, ad esempio, gli asset civili di Finmeccanica a partire da Ansaldo Breda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e BredaMenarinibus;
    inoltre, assistere oggi alla cessione, alla svendita o al trasferimento di aziende centrali non solo per il loro portato economico in termini occupazionali e di sviluppo di indotto, ma anche strategiche per gli interessi nazionali, come Telecom Italia, Alitalia e Finmeccanica, appare di eccezionale gravità perché in nessuno Stato del mondo settori di comunicazione, trasporti o difesa sono mai stati abbandonati in nome del mercato e perché questo dimostrerebbe la totale resa da parte dell'Esecutivo rispetto alla fase di deindustrializzazione che sta attraversando il nostro Paese;
    detta fase di deindustrializzazione è del resto evidenziata anche dal rapporto sulla competitività industriale presentato recentemente dalla Commissione europea a Bruxelles: rapporto da dove emerge con tutta evidenza che l'Italia è l'unico Paese dell'Eurozona che, insieme alla Finlandia, ha peggiorato la propria produttività, venendo superata anche dalla Spagna;
    a fronte di tale annosa situazione l'attuale Governo non sembra avere una posizione chiara rispetto al futuro degli asset strategici dell'economia del nostro Paese, a partire innanzitutto da quelli controllati direttamente dallo Stato come nel caso di Finmeccanica; e soprattutto, non è chiaro come intenda usare gli strumenti necessari, ivi compreso l'intervento del Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti che attualmente dispone di circa 7 miliardi di euro, al fine di preservare e rilanciare il patrimonio industriale italiano e non certo avallare nuove ipotesi di cessione industriale, svolgendo le mere funzioni di un fondo di garanzia;
    le vicende relative a Telecom Italia, Alitalia e Finmeccanica mettono a rischio la tradizione e l'intero know how italiani, ormai svenduti al miglior offerente già in passato in numerosi altri casi di produzione industriale;
    Sinistra Ecologia Liberta, come già chiaramente esplicitato in numerosissimi atti parlamentari precedenti come, da ultimo, l'interrogazione a risposta immediata in assemblea n. 3-00337, nonché nell'ambito della mozione sulla crisi del settore manifatturiero n. 1-00164, è completamente contraria a qualsiasi processo di depotenziamento e alienazione della tecnologia che si potrebbe verificare attraverso la cessione degli asset civili di Finmeccanica ai diretti concorrenti internazionali;
    sotto tale profilo, non si comprendono i motivi per i quali l'Esecutivo non abbia ancora attuato l'articolo 2 del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, recante: «Norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni»;
    si tratta del cosiddetto golden power di cui, appunto, mancano i provvedimenti regolamentari di attuazione e senza tali provvedimenti il Governo non può esercitare i poteri speciali ivi previsti per tutelare l'interesse nazionale, come, ad esempio, imporre agli acquirenti condizioni di investimento o sul mantenimento dei presidi industriali, in caso di passaggio di proprietà straniera di importanti aziende italiane come Telecom, ma anche di Alitalia e le imprese con il marchio Ansaldo del gruppo Finmeccanica;
    al riguardo, si ricorda che, con lo scopo di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori reputati strategici e di interesse nazionale, il legislatore è intervenuto ridisciplinando con il citato decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21 la materia dei poteri speciali esercitabili dal Governo in tale settore, anche al fine di aderire alle indicazioni e alle censure sollevate in sede europea;
    per mezzo del decreto-legge n. 21 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 56 del 2012 sono stati ridefiniti, anche mediante il rinvio ad atti di normazione secondaria (decreti del presidente del Consiglio dei ministri), l'ambito oggettivo e soggettivo, la tipologia, le condizioni e le procedure di esercizio da parte dello Stato (in particolare, del Governo) dei cosiddetti «poteri speciali», attinenti alla governance di società operanti in settori considerati strategici;
    per «poteri speciali» si intendono, tra gli altri, la facoltà di dettare specifiche condizioni all'acquisito di partecipazioni, di porre il veto all'adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all'acquisto di partecipazioni. L'obiettivo del provvedimento è di rendere compatibile con il diritto europeo la disciplina nazionale dei poteri speciali del Governo, che si ricollega agli istituti della «golden share» e «action spécifique» – previsti rispettivamente nell'ordinamento inglese e francese – e che in passato era già stata oggetto di censure sollevate dalla Commissione europea e di una pronuncia di condanna da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea;
    per definire i criteri di compatibilità comunitaria della disciplina dei poteri speciali, la Commissione europea ha adottato una comunicazione con la quale ha affermato che l'esercizio di tali poteri deve comunque essere attuato senza discriminazioni ed è ammesso se si fonda su «criteri obiettivi, stabili e resi pubblici» e se è giustificato da «motivi imperiosi di interesse generale». Riguardo agli specifici settori di intervento, la Commissione europea ha ammesso un regime particolare per gli investitori di un altro Stato membro qualora esso sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica purché, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, sia esclusa qualsiasi interpretazione che poggi su considerazioni di ordine economico;
    nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o con riguardo ai movimenti di capitali, le deroghe ammesse non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali. In ogni caso, secondo quanto indicato dalla Commissione europea, la definizione dei poteri speciali deve rispettare il principio di proporzionalità, vale a dire deve attribuire allo Stato solo i poteri strettamente necessari per il conseguimento dell'obiettivo perseguito. Gli indirizzi contenuti nella predetta comunicazione hanno costituito la base per l'avvio da parte della Commissione europea delle procedure di infrazione nei confronti delle disposizioni del decreto-legge n. 332 del 1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 474 del 1994, recanti la disciplina generale dei poteri speciali. Procedure di infrazione in materia di golden share hanno riguardato anche il Portogallo, il Regno Unito, la Francia, il Belgio, la Spagna e la Germania;
    nel dettaglio, il decreto-legge n. 21 del 2012 reca anzitutto (all'articolo 1) la nuova disciplina dei poteri speciali esercitabili dall'Esecutivo rispetto alle imprese operanti nei comparti della difesa e della sicurezza nazionale;
    la principale differenza con la normativa precedente si rinviene nell'ambito operativo della nuova disciplina, che consente l'esercizio dei poteri speciali rispetto a tutte le società, pubbliche o private, che svolgono attività considerate di rilevanza strategica, e non più soltanto rispetto alle società privatizzate o in mano pubblica. Per effetto delle norme in commento, alla disciplina secondaria (decreti del Presidente del Consiglio dei ministri) saranno affidate le seguenti funzioni: 1) individuazione di attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale in rapporto alle quali potranno essere attivati i poteri speciali; individuazione della tipologia di atti o operazioni infragruppo esclusi dall'ambito operativo della nuova disciplina; 2) concreto esercizio dei poteri speciali; 3) individuazione di ulteriori disposizioni attuative;
    le norme fissano puntualmente il requisito per l'esercizio dei poteri speciali nei comparti della sicurezza e della difesa, individuato nella sussistenza di una minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale. L'Esecutivo potrà imporre specifiche condizioni all'acquisto di partecipazioni in imprese strategiche nel settore della difesa e della sicurezza; potrà porre il veto all'adozione di delibere relative ad operazioni straordinarie o di particolare rilevanza, ivi incluse le modifiche di clausole statutarie eventualmente adottate in materia di limiti al diritto di voto o al possesso azionario; potrà opporsi all'acquisto di partecipazioni, ove l'acquirente arrivi a detenere un livello della partecipazione al capitale in grado di compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale. Sono poi disciplinati gli aspetti procedurali dell'esercizio dei poteri speciali e le conseguenze che derivano dagli stessi o dalla loro violazione. Sono nulle le delibere adottate con il voto determinante delle azioni o quote acquisite in violazione degli obblighi di notifica, nonché delle delibere o degli atti adottati in violazione o inadempimento delle condizioni imposte;
    con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 novembre 2012, n. 253, è stato adottato il regolamento che individua le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale al fine dell'esercizio dei poteri speciali e gli atti/operazioni infragruppo esclusi dall'ambito operativo della nuova disciplina;
    per quanto riguarda l'adozione dei regolamenti di attuazione del decreto-legge n. 21 del 2012, il rappresentante del Governo nel corso del dibattito ha dichiarato che il 9 ottobre 2013 il Consiglio dei Ministri ha avviato il complesso iter di definizione dei suddetti regolamenti. In particolare, si è proceduto all'esame preliminare di tre schemi di decreto del Presidente della Repubblica. Nel primo schema sono stati individuati gli attivi nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni; nel secondo schema sono state definite le procedure per l'attivazione dei poteri speciali nei settori della difesa e sicurezza nazionale; nel terzo schema sono state definite le procedure per l'attivazione dei poteri speciali nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni;
    gli schemi dei suddetti decreti devono essere trasmessi al Parlamento e al Consiglio di Stato e, con riguardo al terzo schema, anche alle autorità indipendenti di settore, per i pareri di competenza;
    purtuttavia, si deve rilevare che, ad oggi, non risultano ancora definitivamente approvati tutti gli schemi di regolamento citati;
    nell'ipotesi specifica di Telecom, dopo lo svolgimento di un lungo ciclo di audizioni svoltesi presso la Commissione IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, dei sindacati, del Governo e dell'amministratore delegato di Telecom, Marco Patuano, tutti i gruppi parlamentari, in data 4 dicembre 2013, hanno votato approvando la risoluzione n 8-00029 ove si impegna il Governo: 1) a pervenire, quanto prima possibile, all'approvazione definitiva dei regolamenti dell'articolo 2 del decreto-legge n. 21 del 2012, con i quali sono individuati le reti e gli impianti, ivi compresi quelli necessari ad assicurare l'operatività dei servizi pubblici essenziali, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale nel settore delle comunicazioni e sono emanate le disposizioni attuative in materia di esercizio dei poteri speciali nel medesimo settore delle comunicazioni; 2) a garantire un'efficace vigilanza, in base ai poteri previsti dalla golden power, sui beni e i rapporti di rilevanza strategica per l'interesse e la sicurezza nazionale nel settore delle comunicazioni; 3) a chiedere nelle più opportune sedi europee garanzie affinché le banche interessate da aiuti provenienti dal fondo «salva Stati» (meccanismo europeo di stabilità) non utilizzino quelle risorse per finanziare l'acquisto di asset strategici ai danni delle Nazioni finanziatrici dello stesso fondo «salva Stati»; 4) ad adottare le iniziative consentite affinché siano garantiti i principi di equità e non discriminazione nell'accesso alla rete di telecomunicazioni da parte degli operatori, e, nel caso in cui si proceda alla costituzione di una società della rete, affinché la governance e gli assetti siano tali da assicurare che la gestione di una risorsa strategica per il Paese sia effettuata in modo rispondente a finalità di interesse generale; 5) ad assicurare piena tutela e valorizzazione dell'occupazione e del patrimonio di conoscenze e competenze di Telecom Italia; 6) ad assumere tutte le iniziative di propria competenza per evitare che, anche per effetto degli assetti proprietari del gruppo che potrebbero determinarsi, venga compromessa la dimensione internazionale del gruppo medesimo; 7) ad avviare ogni iniziativa volta a potenziare il sistema infrastrutturale delle telecomunicazioni, all'interno del piano previsto dall'Agenda digitale, al fine di determinare le condizioni affinché il nostro Paese diventi un vero hub globale delle comunicazioni, anche in considerazione del consolidamento del mercato europeo, ormai inevitabile;
    si rileva, inoltre, che durante le audizioni svolte presso la Commissione IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, il sindacato SLC-CGL aveva ribadito che senza uno strumento che potesse rimettere in discussione gli accordi che fanno diventare Telefonica controllore di fatto di Telecom Italia dal 1o gennaio 2014, ogni discussione sugli investimenti in infrastrutture necessari a rimuovere il gap tecnologico del nostro Paese potrebbe avvenire fuori tempo massimo. Sarebbe, quindi, necessario promuovere il decreto sull'offerta pubblica d'acquisto e successivamente avviare con Telefonica un negoziato che, partendo da un aumento di capitale a cui far partecipare investitori come Cassa Depositi e Prestiti, fondi pensione, assicurazioni vita, sia in grado di produrre uno sforzo significativo per la costruzione della rete di nuova generazione;
    detto sindacato ha, pertanto, chiesto ai membri della IX Commissione di farsi promotori di una mozione che impegni il Governo, tra e altre cose, a modificare la legge sull'offerta pubblica d'acquisto sulla scorta di quanto realizzato già dal Senato della Repubblica con la mozione n. 1-00160, cofirmata dai senatori del gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Liberta, ove si chiede al Governo ad attivarsi al fine di introdurre, con la massima urgenza, anche attraverso l'adozione di un apposito decreto-legge, le necessarie modifiche al Testo unico della finanza, in modo da: a) rafforzare i poteri di controllo della Consob nell'accertamento dell'esistenza di situazioni di controllo di fatto da parte di soci singoli o in concerto tra loro, in linea con le decisioni già assunte dalla Consob stessa in casi analoghi; b) aggiungere alla soglia fissa del 30 per cento, già prevista per l'offerta pubblica d'acquisto obbligatoria, una seconda soglia legata all'accertata situazione di controllo di fatto,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni atto di competenza diretto a pervenire all'approvazione definitiva dei regolamenti previsti dall'articolo 2 del decreto-legge n. 21 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, in maniera tale da esercitare i poteri speciali che per legge gli competono per tutelare l'interesse nazionale in caso di passaggio di proprietà straniera di importanti aziende italiane di particolare rilevanza strategica per il nostro Paese;
   a dare seguito il prima possibile agli impegni contenuti nella citata risoluzione n 8-00029, approvata il 4 dicembre 2013 dalla Commissione IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, relativa al caso Telecom e agli interventi a tutela dell'utilizzo per finalità di interesse generale delle reti, degli impianti, dei beni e dei rapporti di rilevanza strategica nel settore delle comunicazioni, al fine di salvaguardare un asset strategico per il nostro Paese e la tutela occupazionale di quella che è stata da sempre la più importante compagnia telefonica del Paese, nonché a dare, altresì, seguito agli impegni richiamati dalla citata mozione presentata al Senato della Repubblica n. 1-00160 in materia di modifiche alla legislazione sull'offerta pubblica di acquisto;
   a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato ad evitare che le vicende relative alla compagnia di bandiera Alitalia-Compagnia Aerea Italiana spa, a seguito dell'eventuale ingresso di nuovi soci anche stranieri in posizione dominante di cui dovrebbe essere per altro verificata l'affidabilità, si traducano in una ristrutturazione il cui unico scopo sarebbe l'ulteriore compressione del costo del lavoro già ridotto a seguito della privatizzazione avvenuta nel 2008 e un conseguente ridimensionamento degli aeroporti di Roma-Fiumicino e Milano-Malpensa rispetto ai collegamenti diretti di carattere extracontinentale, con grave nocumento per il sistema economico italiano;
   a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a salvaguardare gli attuali livelli occupazionali della compagnia di bandiera Alitalia-Compagnia Aerea Italiana spa;
   ad arrestare, nella qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica, ogni possibile cessione degli asset civili di Finmeccanica, a partire da Ansaldo Breda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e BredaMenarinibus e, più in generale, qualsiasi cessione della quota di controllo, diretta o indiretta, immediata o differita o trasferita, di società appartenenti o controllate dal gruppo Finmeccanica stesso;
   ad avviare una strategia volta alla conclusione di partnership con imprese industriali complementari realmente operanti nel sistema competitivo globale dell'alta tecnologia e diverse da Doosan, conglomerata equivalente per dimensione a Finmeccanica – che, in ogni caso, non rappresenta una conglomerata – ma estranea al cosiddetto oligopolio dell'alta tecnologia;
   a ridurre alla maggioranza relativa la quota azionaria di Finmeccanica in tutte le società del gruppo generalizzando il modello di Ansaldo STS (Finmeccanica: 40 per cento) in tutte le società attraverso: a) quotazione (come è possibile farlo per Agusta Westland); b) una drastica riorganizzazione che consenta una successiva quotazione o la conclusione di accordi di partenariato (come quelli vigenti in Ansaldo Energia e in Atr); c) la ricerca immediata di partner complementari nel settore dei sistemi di difesa (Oto, Wass);
   ad avviare una riorganizzazione che investa in profondità Ansaldo Breda, Selex ES e Alenia Aermacchi al fine di ottenere un deciso incremento di competitività arricchendo il loro portafoglio di tecnologie e prodotti e internazionalizzando il loro capitale umano e direzionale;
   ad intraprendere un progetto volto all'integrazione finanziaria di Finmeccanica e Fintecna in una sola holding industriale dell'alta tecnologia cui attribuire la maggioranza relativa, la gestione e lo sviluppo di Fincantieri, società equivalente per dimensione alla somma di Ansaldo STS e Energia, ma inferiore per risultati economici e prospettive strategiche;
   a porre in essere, sempre con riferimento a Finmeccanica, ogni strategia e sviluppo di progettazione e riorganizzazione come quelle poc'anzi citate al fine di consentire di evidenziare le eventuali perdite ancora non esibite, di ridurre il debito, di affrontare i necessari investimenti d'innovazione tecnologica, di progettare l'acquisizione di nuove società nei settori in sviluppo, di restituire alla nuova holding la reputazione e il rango internazionale persi nell'ultimo triennio;
   a non procedere alla messa sul mercato delle residue quote pubbliche di grandi società partecipate dallo Stato come Fincantieri, adottando un piano che la renda effettivamente competitiva nel mercato interno ed internazionale.
(1-00196)
(Nuova formulazione) «Airaudo, Migliore, Ferrara, Boccadutri, Di Salvo, Quaranta, Lacquaniti, Aiello, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Fava, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Scagliusi n. 5-01698, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 135 del 10 dicembre 2013.

   SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SPADONI, SIBILIA, TACCONI, DEL GROSSO e GRANDE. — Al Ministro per l'integrazione, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 settembre 2013, la Direzione Nazionale delle Migrazioni (DGM), presso il Ministero dell'interno e della sicurezza della Repubblica Democratica del Congo, ha informato tutte le ambasciate dei Paesi di accoglienza della sospensione per 12 mesi, a partire dal 25 settembre 2013, delle operazioni per il rilascio dei permessi di uscita per i bambini adottati dalle famiglie straniere;
   le adozioni internazionali sono disciplinate dalla Convenzione dell'Aja, cui hanno aderito quasi tutti gli stati del mondo tranne quelli africani e musulmani (con l'eccezione del Sudafrica e pochi stati affini) per ragioni legate al fatto che nelle culture africane è inconcepibile che un bambino venga affidato a estranei, poiché il concetto di famiglia è allargato non solo ai parenti anche più lontani, ma anche al clan, alla tribù, e in ultima istanza alla nazione intera;
   la Convenzione dell'Aja stabilisce due priorità fondamentali: primo, garantire l'interesse del bambino a rimanere nel proprio ambito familiare e culturale; secondo, combattere lo sfruttamento e la tratta dei bambini;
   l'adozione internazionale è riconosciuta come «ultima spiaggia» e infatti la Convenzione stessa dichiara che l'adozione è nulla se non si è fatto tutto il possibile per garantire le due priorità sovraordinate;
   la Repubblica Democratica del Congo non ha sottoscritto la Convenzione dell'Aja né un trattato bilaterale con l'Italia in tema di adozioni. Le poche pratiche che pure giungono a conclusione in questo Stato dipendono dai giudici locali, e sono spesso oggetto di forti contestazioni per le ragioni sopraddette;
   nel successivo ottobre, comunque, le autorità della Repubblica Democratica del Congo, hanno permesso la delineazione di una lista di coppie, con documentazione già conclusa entro il 25 settembre 2013, che avrebbero avuto il permesso di recarsi nel Paese per portare a compimento l'adozione dei figli;
   durante i primi di novembre, dopo essersi recata a Kinshasa per un incontro con le autorità competenti, la Ministra per l'integrazione, Cécile Kyenge, anche Presidente della Commissione adozioni internazionali, ha riportato che in tale occasione le è stata sottolineata l'ottima reputazione di cui godeva il sistema italiano e che le era stato assicurato che sarebbero state ripristinate immediatamente tutte le pratiche di adozione che avevano già ottenuto l'approvazione definitiva delle autorità locali; la sopra citata Commissione ha il compito, fra l'altro, di certificare l'idoneità delle associazioni che offrono assistenza alle coppie desiderose di adottare un bambino straniero. Un'associazione che coinvolga una coppia nell'adozione di un bambino in uno Stato che non ha aderito alla convenzione dell'Aja (o che non abbia almeno sottoscritto un trattato bilaterale con l'Italia) compie un atto assai rischioso sia per i bambini che per gli aspiranti genitori e, a parere degli interroganti, una simile associazione dovrebbe essere automaticamente dichiarata non idonea;
   il coordinamento CARE (Coordinamento delle associazioni familiari adottive e affidatarie in rete), continua a seguire con estrema attenzione la situazione delle coppie Italiane attualmente in Repubblica Democratica del Congo per adottare i propri figli; a tale coordinamento risulta che le coppie siano in questo momento in Repubblica Democratica del Congo, che la DGM non stia comunque procedendo con le operazioni di rilascio dei permessi di uscita per i bambini, interrompendo di fatto la conclusione dell'iter adottivo e il rientro in Italia delle famiglie con i loro figli;
   il 4 novembre scorso, il Ministro Kyenge dichiarava di aver raggiunto una conclusione positiva per 26 adozioni bloccate da un cavillo burocratico avendo fatto «ripristinare tutte le pratiche di adozione che avevano già ricevuto l'approvazione definitiva delle autorità locali»;
   il Congo attualmente vive un periodo di disordini legato a una guerra civile;
   da quasi due mesi, 24 coppie di genitori nostri connazionali sono ancora bloccate dopo che il Congo ha sospeso i visti di uscita. Si tratta di una decisione che comporta ogni giorno enormi costi per le famiglie presenti, per posticipare i voli di ritorno, per finanziare la propria permanenza, per ritardare il ritorno al lavoro e per le questioni sanitarie legate alle varie profilassi obbligatorie per i cittadini europei in Africa; purtroppo alcune di loro hanno dovuto fare rientro a casa, in quanto non avevano più soldi, senza i bambini con cui avevano già legato affettivamente;
   sulla questione in oggetto sono stati presentati vari atti di sindacato ispettivo, a due dei quali è stata già data una non convincente e esaustiva risposta: l'interpellanza urgente 2-00334 a prima firma dei deputati Quartapelle Procopio e altri, sottoscritta anche dagli interroganti, svolta in Assemblea il 13 dicembre 2013 e, prima ancora, il 9 dicembre, in III Commissione l'interrogazione a risposta immediata 5-01684 del deputato Scotto;
   quali siano le valutazioni in ordine a quanto esposto in premessa relativamente alla non idoneità delle associazioni che sostengono le adozioni con nazioni non aderenti alla convenzione dell'Aja;
   di quali ulteriori informazioni aggiornate disponga in ordine a quanto esposto in premessa;
   se intendano accertare che il processo di adozione avviato non sia in contrasto con la convenzione dell'Aja;
   come mai sia stato permesso alle coppie di genitori di partire alla volta di Kinshasa senza prima aver accuratamente verificato la situazione delicata in Congo, dopo il blocco del 25 settembre;
   come mai i genitori Italiani non siano riusciti a tornare a casa accompagnati dai loro figli adottivi nonostante in possesso di documenti completi e validati dalle autorità competenti congolesi e con regolare autorizzazione della CAI all'ingresso del minore adottato. (5-01698)