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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 20 dicembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    Enrico «Chico» Forti è un connazionale che da 12 anni si trova in carcere a Miami condannato all'ergastolo, accusato di un omicidio che non ha commesso;
    è stato condannato in base a un processo che non può chiamarsi tale, in quanto si è trattato di un processo indiziario, senza prove, e basato su un movente dal quale lo stesso Forti era stato assolto mesi prima da un altro tribunale;
    «La Corte non ha prove che lei signor Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest'uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all'ergastolo senza condizionale!», è questa la frase che il giudice Victoria Platzer ha proferito in chiusura del processo di Enrico Forti; il 15 giugno 2000 è stato ritenuto colpevole di omicidio da una giuria popolare della Dade County di Miami, a suo carico non è mai stata prodotta alcuna prova forense oggettiva;
    Enrico Forti attende ormai da quattordici anni un'opportunità per dimostrare la sua innocenza ma finora tutti gli appelli proposti per la revisione del suo processo sono stati rifiutati senza motivazione;
    Chico nasce a Trento l'8 febbraio 1959, vive in famiglia fino al conseguimento della maturità scientifica nel 1978, in seguito si trasferisce a Bologna dove frequenta l'Isef per ottenere una laurea in educazione fisica. All'inizio degli anni ’80 Chico diventa uno dei pionieri del windsurf, ottenendo risultati a livello mondiale. La sua simpatia e voglia di vivere, il buonumore e la comicità estrema in un batter d'occhio fanno di lui un vero e proprio personaggio nel circuito internazionale; negli anni ’90 si trasferisce a Miami in Florida, dove intraprende un'attività di film-maker e presentatore televisivo, in seguito si dedica anche ad intermediazioni immobiliari ed è proprio svolgendo questa attività che conosce Anthony John Pike, che si presenta come proprietario di un omonimo albergo sull'isola di Ibiza, in Spagna;
    alla fine del 1997, Anthony John Pike viaggia alla volta di Miami, ospite di un tedesco di nome Thomas Knott, che da qualche tempo soggiornava a Williams Island, in un appartamento sito proprio sotto l'abitazione di Enrico Forti. I due erano stati «amiconi» ai tempi dorati dell'albergo di Ibiza, di cui Knott era un assiduo frequentatore;
    Knott era stato condannato in Germania a sei anni di detenzione per truffe miliardarie, sparito durante un periodo di libertà vigilata e ricomparso a Miami, dove svolgeva, sotto falsi documenti procuratigli da Pike, un'attività di copertura come «istruttore di tennis». In realtà continuava la sua «professione» di truffatore. L'ultima accusa fu proprio quella tentata ai danni di Enrico Forti, convocando Anthony John Pike a Miami con l'intento di vendere il citato hotel, sebbene non fosse più di sua proprietà da oltre un anno;
   durante questa trattativa, compare Dale Pike, figlio di Anthony, che in passato era stato allontanato dall'albergo di Ibiza per gravi dissapori con il padre;
    Dale Pike doveva lasciare precipitosamente la Malesia, per motivi non accertati, e ricorse all'aiuto del padre, trovandosi in questo stato di necessità completamente privo di denaro. Anche Anthony Pike non aveva alcuna disponibilità finanziaria, e chiese l'aiuto di Enrico Forti con il quale era entrato in trattative per la compravendita dell'albergo. Forti fu disponibile e alla fine di gennaio 1998 pagò a Dale Pike il biglietto aereo dalla Malesia alla Spagna. Quindici giorni più tardi, Anthony Pike telefonò nuovamente ad Enrico Forti, prospettandogli una sua visita a Miami, questa volta in compagnia del figlio Dale;
    il giorno del loro arrivo fu programmato per domenica 15 febbraio 1998. Convinse nuovamente Enrico Forti ad anticipare il denaro per pagare i biglietti aerei ed anche questa volta Forti acconsentì a pagare i biglietti ad ambedue;
    il giorno prima della partenza, Anthony fece un'ultima telefonata ad Enrico Forti, adducendo problemi personali, spostando il suo appuntamento con lui a New York per il mercoledì successivo 18 febbraio. Suo figlio Dale invece, avrebbe comunque viaggiato a Miami, da solo, la domenica 15 febbraio ed Anthony chiese a Forti di andarlo a prendere all'aeroporto per ospitarlo a casa sua. Forti acconsentì, ma dopo il suo incontro con Dale all'aeroporto, quest'ultimo gli chiese di essere portato al parcheggio di un ristorante a Key Biscayne, dove amici di Knott lo stavano attendendo e con i quali avrebbe trascorso alcuni giorni, in attesa dell'arrivo del padre. Forti quindi diede un passaggio a Dale fino al luogo da lui indicato e lo lasciò al parcheggio verso le ore 19 di quella domenica. Il suo contatto con Dale Pike, mai visto né frequentato prima di quel giorno, era durato circa una mezz'ora;
    il giorno 16 febbraio un surfista ritrovò il cadavere di Dale Pike in un boschetto che limita una spiaggia a poca distanza dal parcheggio dove Enrico Forti lo aveva lasciato. Era stato ucciso con due colpi di pistola calibro 22 alla nuca, denudato completamente ma con vicino il cartellino verde di cui viene dotato alla dogana chiunque entri negli Stati Uniti. Cerano anche altri oggetti personali per cui fu semplice l'identificazione. La morte fu fatta risalire tra le ore 20 e 22 del giorno precedente, poco tempo dopo il suo commiato da Enrico Forti; al processo quest'ultimo venne accusato e condannato come «mandante» dell'omicidio;
    le accuse mosse contro Enrico Forti si basarono tutte sul fatto che in un primo momento egli tacque sulla circostanza dell'arrivo di Dale Pike domenica 15 febbraio 1998 ed omise la verità sul loro incontro all'aeroporto di Miami;
    nei giorni che seguirono i fatti dimostrarono come Enrico Forti non fosse stato affatto preoccupato della sorte di Dale Pike. Fu soltanto mercoledì 18 a New York, dove si era recato per l'incontro con il padre, che apprese la notizia dell'omicidio;
    saltato l'appuntamento con Anthony Pike e non avendo più sue notizie. Forti tornò immediatamente a Miami ed il giorno seguente, 19 febbraio, si recò spontaneamente al dipartimento di polizia, per rispondere ad una convocazione come persona informata dei fatti. Fu durante questa convocazione – che si rivelò poi un vero e proprio interrogatorio come maggior indiziato per l'omicidio – che la polizia lo informò falsamente che oltre a Dale, anche il padre Anthony era stato trovato ucciso a New York. Anthony Pike invece, era vivo e vegeto e sotto protezione della polizia stessa dal giorno precedente. Terrorizzato dal precipitare degli avvenimenti. Forti negò di aver incontrato Dale Pike;
    la sera del 20 febbraio, ormai resosi conto della gravità della situazione, tornò alla polizia per consegnare una serie di documenti relativi al rapporto d'affari con il padre della vittima;
    ingenuamente, si presentò senza l'assistenza di un legale, anche per la garanzia avuta da un ex capo della squadra omicidi da lui conosciuto, che lo aveva assicurato trattarsi solamente di dare alcuni chiarimenti per aiutare le indagini della polizia;
    invece in quell'occasione venne immediatamente arrestato e sottoposto ad un massacrante interrogatorio per 14 ore, durante il quale ammise di aver incontrato Dale Pike il 15 febbraio nelle ore precedenti il suo omicidio e di averlo accompagnato al parcheggio del ristorante Rusty Pelican a Virginia Key;
    questa ammissione fu il risultato di una vera e propria trappola, tesagli per mandarlo in totale confusione, costringendolo a mentire soggiogato dalla paura e dalla disperazione;
    nell'immediatezza del primo arresto, Enrico Forti era stato accusato di frode, circonvenzione d'incapace e concorso in omicidio. La giuria però fu fuorviata ed ingannata nel suo giudizio finale perché non venne mai informata che Enrico Forti in precedenza era già stato completamente assolto dalle accuse di frode e circonvenzione d'incapace. Liberato su cauzione, nei venti mesi che seguirono, era stato infatti scagionato da tutti i capi d'accusa che riguardavano la frode, scorrettamente, invece, la frode fu usata come movente nel processo per omicidio;
    si è scoperto che l'albergatore tentava di vendere al Forti un hotel che da molto tempo non era più suo. Una truffa vera e propria. Anthony Pike stesso lo aveva ammesso in una deposizione rilasciata a Londra prima del processo, ma l'accusatore l'ha tenuto nascosto alla giuria;
    le indagini per l'omicidio di Dale Pike vennero affidate al prosecutor Reid Rubin, il pubblico ministero venne informato da Gary Schiaffo (il leader investigator nel caso Cunanan) sulla persona di Chico Forti e fu messo al corrente dell'inchiesta dal Forti realizzata sul caso Versace/Cunanan dove venivano messe in dubbio le dichiarazioni della polizia di Miami e dove l'attacco alla casa galleggiante era considerato una clamorosa messinscena;
    le indagini preliminari furono affidate ai detective Catherine Carter e Confessor Gonzales che, stranamente, facevano parte della squadra investigativa di Schiaffo. In seguito, la conduzione del processo ad Enrico Forti fu affidata alla giudice Victoria Platzer, anche lei membro della squadra di Schiaffo prima di essere nominata giudice;
    il pubblico ministero Reid Rubin non ha sicuramente lasciato nulla all'improvvisazione, dato che ha impiegato ben ventotto mesi per preparare la sua arringa finale, un record per i tribunali americani: normalmente qualsiasi processo si esaurisce entro sei mesi dalla sua istruttoria;
    Rubin ha avuto l'incredibile vantaggio di pronunciare la sua arringa finale senza che la difesa potesse replicare, in modo che qualsiasi teoria lui intendesse proporre alla giuria, vera o presunta, o basandosi esclusivamente su una fantasiosa ricostruzione dei fatti, non era più contestabile;
    il rito del processo americano prevede che l'ultima parola spetti di diritto all'accusa quando l'imputato si è avvalso della facoltà di non rispondere oppure non è chiamato al banco dei testimoni, ma Enrico Forti non ne era al corrente. Lo sapeva ovviamente il pubblico ministero, che ha sfruttato questa opportunità puntando tutte le sue chances proprio nello spazio finale a lui concesso, approfittando anche del fatto che la giuria deve decidere il suo verdetto basandosi esclusivamente sulla propria memoria del dibattimento. Logico quindi che nella mente dei giurati rimangano impresse più le ultime parole dell'accusa che non quelle della difesa. A maggior ragione questo si verifica quando l'oratore è particolarmente bravo e non c’è dubbio che Reid Rubin lo sia;
    ma la responsabilità più grave della faccenda ricade sugli avvocati della difesa: anche loro conoscevano questa regola, la spiegazione data dai legali nel consigliare Enrico Forti di non presentarsi alla sbarra fu: «Tu hai detto una bugia, quindi sei esposto al massacro di immagine che l'accusatore può dare di te ai giurati. Quindi meglio non rischiare. Inoltre, non essendoci prove, nessuna giuria al mondo potrà emettere un verdetto di colpevolezza nei tuoi confronti!». Anche l'accusatore quindi, non ha ritenuto di dover chiamare Enrico Forti alla sbarra;
    dopo la conclusione dell'arringa dell'accusa la giuria popolare si ritirò nella camera di consiglio e solo poche ore bastarono ai giurati per emettere un verdetto di colpevolezza;
    la morte civile inflitta ad Enrico Forti in definitiva si basa solamente su una «sensazione»; in seguito, nonostante si fosse in grado di dimostrare ampiamente che Enrico Forti era rimasto vittima di un clamoroso errore giudiziario, cinque appelli presentati per la revisione del processo sono stati tutti rifiutati sistematicamente dalle varie Corti, senza alcuna motivazione né opinione;
    il 30 aprile 2002, dopo il rifiuto della revisione del processo, un incredibile fatto venne casualmente alla luce. A Ira Loewy, avvocato dello studio legale incaricato della difesa di Enrico Forti, venne contestata un'assoluta inefficienza nella difesa di Chico tale da far sospettare una collusione con l'accusa;
    oltre al processo di Enrico Forti, Loewy lavorava per un altro caso, come sostituto procuratore aggiunto presso il dipartimento criminale, in un ufficio adiacente a quello dell'accusatore Reid Rubin. Questo costituiva un chiaro conflitto d'interessi, richiamato anche dalla giudice del processo in una specifica udienza. Benché Loewy avesse assunto l'impegno di informare il suo assistito Enrico Forti della situazione, non ottemperò mai a questo obbligo. Scoperta casualmente tre anni più tardi questa illegale procedura, Loewy presentò, per giustificarsi, la fotocopia di un documento di autorizzazione a procedere firmata da Enrico Forti. Di questo documento non si è mai trovato l'originale, non è mai stato allegato agli atti del processo, la firma in calce non è di Enrico Forti e quindi non si è mai voluto o potuto verificarne l'autenticità;
    la responsabilità più grave di Ira Loewy è quella di aver concesso l'ultima parola all'accusa nella fase finale del processo, infatti non facendo deporre Chico Forti, Loewy concesse un enorme vantaggio all'accusa, Reid Rubin ebbe la possibilità di esporre alla giuria una sequenza di prove circostanziali senza alcun sostegno probatorio. La giuria, infatti, può fare affidamento soltanto sulla propria memoria relativamente alle situazioni prospettate durante il processo, per cui al momento del ritiro in camera di consiglio pesano in modo determinante le ultime cose ascoltate;
    ad Enrico Forti è stato negato il diritto allo speed trial – processo veloce entro venti giorni dall'arresto – per avvenuta scadenza dei termini di legge – sei mesi – dalla prima accusa all'arresto – venti mesi –. Il diritto allo speed trial gli è stato negato perché applicata la regola Williams, cioè l'esistenza di una diretta connessione tra l'ottenimento di un illecito guadagno, truffa, e la consumazione dell'omicidio. Questa regola avrebbe dovuto essere revocata perché Enrico Forti era già stato assolto dall'accusa di frode in un precedente processo;
    la deposizione rilasciata da Forti come testimone, durante la quale disse la bugia sul suo incontro con Dale Pike, avrebbe dovuto essere annullata perché coperta dai diritti Miranda che prevedono l'assistenza di un legale durante qualsiasi deposizione rilasciata da una persona ufficialmente accusata di un crimine, infatti questi diritti gli furono negati nonostante al momento della deposizione fosse già il principale indiziato per l'omicidio;
    l'accusatore ha anche, in maniera ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo colpevole e scorretta, ignorato un accordo pre-processuale tra le parti, detto in limine, secondo il quale la truffa non avrebbe dovuto essere usata come movente in tal modo la giuria fu intenzionalmente fuorviata nel suo giudizio finale;
    si è violata anche la double Jeopardy secondo la quale se un imputato è già stato assolto da un'accusa in un precedente processo, la stessa accusa non può essere usata in un altro processo;
    a Chico Forti furono negati anche i diritti previsti dalla convenzione di Vienna: i Paesi firmatari di questa convenzione, garantiscono l'immediata assistenza legale in caso di arresto di un loro cittadino in uno Stato diverso dal proprio;
    è prevista, inoltre, anche l'automatica simultanea comunicazione alle autorità consolari locali del cittadino stesso; il consolato italiano venne, invece, a conoscenza del primo arresto di Enrico Forti casualmente dai giornali ben nove giorni dopo; alla protesta ufficiale che ne seguì, la polizia inviò una lettera di scuse per «l'involontaria» omissione;
    Ferdinando Imposimato, suo legale italiano, e la criminologa Roberta Bruzzone hanno presentato nel maggio 2012 un report al Ministro degli affari esteri pro tempore Giulio Maria Terzi di Santagata che contiene le motivazioni per la richiesta di revisione;
    l'attuale Ministro degli affari esteri Emma Bonino ha a sua volta espresso l'attivo interessamento del Governo italiano sul caso Forti;
    anche molte personalità dello spettacolo si sono unite ad un movimento di opinione per chiedere la revisione del processo;
    purtroppo la richiesta di un nuovo processo può avvenire solo ed esclusivamente sulla base di una newly discovered evidence: una nuova prova determinante che, se presentata nel dibattimento, ne avrebbe potuto modificare l'esito e che, si dimostri, non poteva essere trovata al tempo del processo. Tutte le prove, anche a sua discolpa, che sono passate, o avrebbero potuto passare, davanti ad una corte sono procedural defaulted e, quindi, non valgono,

impegna il Governo

ad assumere in ogni sede qualsiasi iniziativa di competenza volta a tutelare il concittadino Enrico Forti, come più volte in precedenza il Governo italiano ha ritenuto di dover fare in difesa di altri concittadini condannati e detenuti all'estero, considerato anche il fatto che lo Stato italiano intrattiene con il Governo degli Stati uniti ottimi rapporti diplomatici che hanno portato anche di recente alla soluzione di casi giudiziari controversi.
(1-00291) «Ottobre, Nicoletti, Dellai, Locatelli, Rossi, Pisicchio, Kronbichler, Plangger, Marcolin, Corsaro, Piepoli, Di Gioia, Migliore, Capelli, Cicu, Bruno, Marguerettaz, La Marca».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e X,
   premesso che:
    la direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati così dispone all'articolo 4, paragrafi 1 e 2:
  «...1. Fatto salvo l'articolo 2, paragrafo 4, i progetti elencati nell'allegato I sono sottoposti a valutazione a norma degli articoli da 5 a 10.
  2. Fatto salvo l'articolo 2, paragrafo 4, per i progetti elencati nell'allegato II gli Stati membri determinano se il progetto debba essere sottoposto a valutazione a norma degli articoli da 5 a 10»;
    il decreto 10 settembre 2010 (Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18 settembre 2010) «Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili» dispone i limiti di capacità di generazione e di potenza degli impianti e l’iter autorizzativo, nonché le tempistiche per il rilascio dell'autorizzazione stessa;
    secondo le disposizioni dell'articolo 23 della legge europea n. 97 del 6 agosto 2013 (Gazzetta Ufficiale n. 194 del 20 agosto 2013), per sanare la procedura di infrazione aperta dall'Unione europea contro alcune disposizioni del codice dell'ambiente sui criteri per l'individuazione dei progetti da assoggettare a VIA sarà necessario emanare apposite linee guida ministeriali. In particolare, l'articolo 23, comma 1, recita così: «Al fine di dare attuazione alle disposizioni della direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, e di risolvere la procedura di infrazione 2009/2086 per non conformità alla direttiva 85/337/CEE in materia di valutazione d'impatto ambientale, per le tipologie progettuali di cui all'allegato IV alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, si provvede alla emanazione delle linee guida finalizzate all'individuazione dei criteri e delle soglie per l'assoggettamento alla procedura di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sulla base dei criteri di cui all'allegato V alla parte seconda del medesimo decreto legislativo»;
    secondo quanto disposto dal punto 1.2. delle «Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili» allegate al decreto 10 settembre 2010 (Gazzetta Ufficiale n. 219 del 18 settembre 2010) «...le sole Regioni e le Province autonome possono porre limitazioni e divieti in atti di tipo programmatorio o pianificatorio per l'installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati a fonti rinnovabili...»;
    le linee guida nazionali, al punto 18.4, dispongono, qualora necessario, che le regioni adeguino le discipline in materia di «Autorizzazioni». In particolare, così si dispone: «...18.4 – Le Regioni, qualora necessario, adeguano le rispettive discipline entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore delle presenti linee guida, anche con l'eventuale previsione di una diversa tempistica di presentazione della documentazione di cui al paragrafo 13... (omissis...)»;
    il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recanti modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), anche detto decreto rinnovabili, ha introdotto misure di semplificazione e razionalizzazione dei procedimenti amministrativi per la realizzazione degli impianti a fonti rinnovabili, modificando e integrando quanto già stabilito dalle linee guida in merito agli iter procedurali per l'installazione degli impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili. I singoli interventi, a seconda della taglia e della potenza installata, possono essere sottoposti a comunicazione, procedura abilitativa semplificata (P.A.S.) o autorizzazione unica (A.U.);
    i contenuti della direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, ad avviso dei firmatari del presente atto, sono stati disattesi in particolare nella stesura delle leggi regionali che hanno il compito di regolamentare la materia in tema di iter autorizzativi;
    numerose sono state, invece, le problematiche scaturite dalle inadempienze delle regioni, relative soprattutto ai lunghi tempi degli iter autorizzativi, a discapito soprattutto degli imprenditori. Per ridurre le tempistiche di autorizzazione sarebbe opportuno, in caso di impianto autorizzabile con DIA o PAS, che la VIA fosse emessa dal comune interessato, con riferimento al proprio piano energetico comunale, entro un tempo massimo di 30 giorni dalla sua presentazione;
    secondo quanto si evince dall'articolo 5, comma 5, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, «i piani regolatori generali, di cui alla legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni e integrazioni, dei comuni con popolazione superiore a cinquantamila abitanti, devono prevedere uno specifico piano a livello comunale relativo all'uso delle fonti rinnovabili di energia». Di fatto, i comuni con popolazione inferiore a cinquantamila abitanti non sono tenuti a elaborare un piano energetico comunale;
    appare evidente da un lato la necessità di semplificare e razionalizzare le procedure di concessione della valutazione di impatto ambientale e dall'altro di estendere l'obbligo di valutazione di impatto ambientale a tutti gli impianti, compreso gli impianti da installare in comuni con popolazione inferiore a cinquantamila abitanti che, allo stato attuale, non sono tenuti ad elaborare un piano energetico;
    i piani energetici regionali contribuiscono a raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla Unione europea in tema di produzione da fonti rinnovabili, riduzione dei consumi energetici e riduzione della CO2 per contenere gli effetti dei cambiamenti climatici e favoriscono lo sviluppo economico senza aumentare indiscriminatamente la crescita dei consumi di energia; pertanto, appaiono determinanti nella disposizione di indirizzi utili alla elaborazione dei piani energetici comunali,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità, sentita la Conferenza delle regioni e delle province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), di assumere iniziative per rendere obbligatoria per tutti i comuni italiani l'emanazione dei piani energetici comunali, che dovranno essere elaborati sulla base delle disposizioni e degli indirizzi contenuti nei piani energetici regionali;
   ad intraprendere tutte le iniziative di propria competenza utili a garantire che le procedure di concessione di valutazione di impatto ambientale siano espletate con tempistiche brevi e che non eccedano, di fatto, la durata dell'iter autorizzativo, secondo le tempistiche stabilite dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28;
   una volta stabiliti i piani energetici comunali, e affinché si possano ridurre le tempistiche di concessione delle autorizzazioni, a valutare l'opportunità di intraprendere tutte le iniziative normative di propria competenza affinché sia definita una procedura che, ove possibile, possa automatizzare, semplificandola, la concessione di valutazione di impatto ambientale per impianti installati in zone con caratteristiche evidenti e consolidate e quindi già idonee all'autorizzazione, suddividendo il territorio in base a criteri che ne rispettino le caratteristiche morfologiche e che tutelino la salute della popolazione.
(7-00212) «Matarrese, D'Agostino».


   La X Commissione,
   premesso che:
    secondo lo studio dell'Osservatorio sull’e-commerce Ipsos-Webloyalty, condotto su 1.500 consumatori online nel nostro Paese e pubblicato nel dicembre 2013, le compravendite digitali stanno riducendo il digital divide in Italia, colmando il gap tecnologico tra generi, generazioni e diversi livelli di istruzione;
    tra i 30 siti più «navigati» nel periodo prenatalizio figurano quelli appartenenti alla categoria viaggi e turismo, che primeggia con un netto 37 per cento seguita da quelli di tecnologia (23 per cento), moda (17 per cento), giochi, cultura ed intrattenimento (13 per cento);
    la crescita dell’e-commerce turistico è ulteriormente confermata dai dati diffusi il 12 novembre 2013 dall'Osservatorio eCommerce B2C di Netcomm e School of Management del Politecnico di Milano che ha evidenziato un aumento del 13 per cento rispetto al 2012;
    l'Italia, con un valore assoluto pari a 11,3 miliardi di euro per il commercio online, è ancora lontana dai principali Paesi europei come il Regno Unito (66 miliardi), la Germania (40 miliardi) e la Francia (26 miliardi), anche se la crescita delle vendite sul web ha subito un'accelerazione grazie alla maggior diffusione di tablet e smartphone;
    gli acquisti del settore turistico costituiscono il 43 per cento del totale e un quarto è riferito a servizi di ospitalità visto che dei 5 miliardi riferiti al 2013, il 75 per cento proverrebbe dalla vendita dei biglietti di viaggio (aerei e treni) mentre il 25 per cento dalla prenotazione alberghiera;
    le società di servizi che sviluppano la maggior parte del proprio business attraverso siti web e internet costituiscono il nucleo principale dell’e-commerce turistico nel nostro Paese, ma in questo settore sono principalmente avvantaggiate — escludendo grandi aziende come Italo, Alitalia e Trenitalia — le imprese straniere;
    secondo l'Osservatorio, infatti, i «top player» di questo e-commerce in Italia sono eDreams (Spagna), Expedia (USA), Venere (di proprietà Expedia) Lastminute.com (della statunitense Travelocity), Volagratis (Svizzera);
    sono sempre più numerosi gli italiani che acquistano servizi su siti di viaggio stranieri, come nel caso dei voli lowcost offerti da Easyjet e RyanAir, con un import dal valore di circa 3,44 miliardi di euro, in crescita del 13 per cento rispetto al 2012;
    gli stranieri che comprano su siti italiani ricorrono generalmente ai portali di Alitalia, Trenitalia e Italo che costituiscono il 55 per cento del valore assoluto speso, che si aggira sui 2 miliardi di euro — in crescita del 28 per cento rispetto al 2012 — ed evidenzia la scarsa strutturazione dell'offerta turistico-ricettiva online dei player italiani;
    è evidente che l'offerta turistica online, ampiamente sottostimata e poco organizzata, non consente all'intero comparto — che contribuisce al prodotto interno lordo con oltre 130 miliardi di euro – di svilupparsi appieno sostenendo l'occupazione e l'economia del Paese;
    i proventi dell'intermediazione turistica straniera online non possono essere tassati, sottraendo all'erario risorse finanziarie notevoli che invece potrebbero essere investite nella promocommercializzazione turistico-culturale;
    l'intermediazione online può incidere notevolmente sul costo finale del servizio, arrivando a costituirne addirittura il 30 per cento;
    di conseguenza è auspicabile favorire l'aumento del numero di operatori nazionali non solo a garanzia della concorrenza ma anche per evitare un mancato introito per le casse dello Stato,

impegna il Governo

ad adottare tutte le iniziative necessarie a potenziare l'ottica multicanale dell'offerta turistica online, avvalendosi dell'ENIT, dei portali Italia.it e Naturitalia.it, in modo da sostenere lo sviluppo dell’e-commerce in un settore centrale per l'economia italiana.
(7-00213) «Prodani, Mucci».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione – per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 339, lettera a), della legge 24 dicembre 2012 n. 228 (legge di stabilità anno 2013) ha riproposto la norma già contenuta già nel decreto-legge 11 dicembre 2012, n. 216, non convertito riguardante l'adeguamento della normativa nazionale in materia di congedo parentale alla direttiva 2010/18/ Ue;
   la normativa in questione, con decorrenza dal 1o gennaio 2013, ha modificato l'articolo 32 del Testo unico sulla maternità e paternità, di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, introducendo, per lavoratrici e lavoratori del settore sia pubblico sia privato, la possibilità di frazionare i giorni di congedo parentale in periodi orari e prevedendo espressamente che «la contrattazione collettiva di settore stabilisce le modalità di fruizione del congedo di cui al comma 1 su base oraria, nonché i criteri di calcolo della base oraria e l'equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa...»;
   la possibilità di fruire del congedo parentale a ore rappresenta, per lavoratrici e lavoratori, una rilevante opportunità di conciliazione tra vita professionale, vita privata e vita familiare, e rientra tra le iniziative adottate per promuovere la parità di opportunità e di trattamento tra uomini e donne, come è stabilito dall'apposito accordo quadro sottoscritto dalle parti sociali europee il 18 giugno 2009, attuato, appunto, con la già citata direttiva 2010/18/UE in data 18 marzo 2010 del Consiglio dell'Unione europea;
   il richiamo alla «contrattazione collettiva di settore» – contenuto nel citato articolo 1, comma 339, della legge n. 228 del 2012 di adeguamento della normativa nazionale alla direttiva 2010/18/UE – sta dando luogo a distinte e contrastanti interpretazioni circa lo specifico strumento di contrattazione al quale la legge ha effettivamente inteso demandare la concreta individuazione delle modalità di fruizione del congedo parentale, i criteri di calcolo della base oraria, l'equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa;
   in particolare, i sindacati Cgil, Cisl e Uil, con apposito interpello ex articolo 9 del decreto legislativo n. 124 del 2004, hanno compulsato il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – direzione generale attività ispettiva, per conoscere se, alla norma che interessa  (articolo 1, comma 339, della legge n. 228 del 2012), potesse essere data una interpretazione più estensiva che ricomprendesse nella locuzione «contrattazione collettiva di settore» anche la contrattazione di secondo livello, intesa, quest'ultima, rispettivamente, o come generale fonte integrativa della disciplina dell'istituto del congedo parentale a ore rispetto alla contrattazione nazionale, ovvero come forma suppletiva della disciplina in questione, in carenza di apposita disciplina contrattuale nazionale dell'istituto del congedo parentale;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – direzione generale attività ispettiva, con parere prot. 37/0013271 del 22 luglio 2013, acquisito il parere della direzione generale delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro – dopo aver richiamato la esatta formulazione dell'articolo 32 del decreto legislativo n. 251 del 2001, ed il riferimento letterale alla «contrattazione di settore» ivi contenuta e dopo aver evidenziato che il legislatore, laddove ha inteso richiedere il livello «nazionale» della contrattazione, in materia di organizzazione dell'orario di lavoro, lo ha fatto esplicitamente (come si evince, ad esempio, nel decreto legislativo n. 66 del 2003, articoli 17 e 18, comma 2), verificata la carenza di un esplicito riferimento al livello «nazionale» della contrattazione, ha affermato l'insussistenza di motivi ostativi «...ad una interpretazione in virtù della quale i contratti collettivi abilitati a disciplinare le modalità di fruizione del congedo parentale di cui al comma 1 [dell'articolo 32, decreto legislativo n. 151 del 2001] su base oraria, nonché i criteri di calcolo nella base oraria e l'equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa possano essere anche i contratti collettivi di secondo livello»;
   lo stesso Ministero, nel medesimo parere, ha altresì precisato che analoga interpretazione avrebbe dovuto utilizzarsi in relazione a quanto specificamente previsto dal capoverso del comma 1-bis, laddove risulta assegnata alla «disciplina collettiva» il compito di tenere conto delle «peculiari esigenze di funzionalità connesse all'espletamento dei relativi servizi istituzionali» per le modalità di fruizione e di differimento del congedo «per il personale del comparto sicurezza e difesa di quello dei vigili del fuoco e soccorso pubblico»;
   in contrasto con la interpretazione testé richiamata, il dipartimento della funzione pubblica – servizio studi e consulenza per il trattamento del personale della Presidenza del Consiglio dei ministri, a sua volta richiesto dall'università degli studi dell'Insubria di fornire indicazioni sull'applicazione delle disposizioni del comma 1-bis dell'articolo 32 n.  151 del 2001, introdotto dall'articolo 1, comma 339, lettera a) della legge n. 228 del 2012, in materia di congedi parentali su base oraria, con nota DFP 0045298 P-4 17.1.7.5 del 7 ottobre 2013, ha affermato, con riferimento al settore del lavoro pubblico, che l'applicazione della ripetuta normativa sui congedi parentali ad ore non può essere attuata a ragione del mancato recepimento dell'istituto nel contratto collettivo di comparto o nella contrattazione quadro del settore del lavoro pubblico;
   le contrastanti interpretazioni sopra richiamate, per le conseguenze che comportano in termini di concreta applicazione dell'istituto del congedo ad ore, causano, di fatto, secondo l'interpellante un'illegittima disparità di trattamento in danno dei dipendenti pubblici, allo stato impediti a esercitare un diritto formalmente riconosciuto in favore dei lavoratori tutti, nell'attesa della adozione del nuovo contratto collettivo di comparto o della contrattazione quadro del settore del lavoro pubblico che recepiranno l'istituto del congedo parentale a ore;
   la correttezza delle considerazioni esposte nel citato parere del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – direzione generale prot. 37/0013271 del 22 luglio 2013, circa la insussistenza di una esplicita restrizione, nella formulazione dell'articolo 32 del decreto legislativo n. 251 del 2001, alla sola contrattazione di primo livello quale esclusiva sede per la concreta individuazione delle modalità di fruizione del congedo parentale orario, la individuazione dei criteri di calcolo della base oraria e l'equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se ritengano opportuno, alla luce di quanto esposto:
    a) definire, di concerto, una univoca linea di interpretazione, se del caso in forma di «interpretazione autentica», dell'articolo 32 del decreto legislativo n. 251 del 2001, che, sul presupposto della insussistenza di una esplicita restrizione, nella formulazione della norma in questione, alla sola contrattazione di primo livello, quale esclusiva sede per la concreta individuazione delle modalità di fruizione del congedo parentale orario, la individuazione dei criteri di calcolo della base oraria e l'equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa, riconosca la contrattazione di secondo livello come sede adeguata per la definizione delle modalità di fruizione del congedo parentale orario, per la individuazione dei criteri di calcolo della base oraria, per l'equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa, e per tutto quanto necessario a rendere concretamente esercitabile il diritto dei lavoratori tutti del settore pubblico e privato alla fruizione del congedo parentale orario di cui alla direttiva 2010/18/Ue, dall'ordinamento italiano;
    b) chiarire, conseguentemente, se la contrattazione di secondo livello debba rappresentare generale fonte integrativa della disciplina dell'istituto del congedo parentale a ore rispetto alla contrattazione nazionale, ovvero debba intendersi come temporanea e suppletiva disciplina dell'istituto stesso, in carenza della apposita disciplina contrattuale nazionale dell'istituto del congedo parentale, fino alla introduzione della disciplina in questione nella contrattazione di primo livello.
(2-00347) «Valeria Valente».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, TERZONI, MASSIMILIANO BERNINI, LOREFICE e BECHIS. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società SAT, Società autostrada tirrenica p.a., è stata autorizzata alla realizzazione dell'autostrada tirrenica, da Rosignano a Civitavecchia;
   tale corridoio autostradale appare non solo non necessario, ma dannoso per lo sviluppo economico, per il turismo e per l'ambiente della zona della Maremma. Esso, infatti, produrrà un impoverimento certo dei residenti e di un ambiente, ad oggi, unico, ben conservato, armonico, poco urbanizzato;
   non si guadagnerà in velocità di scorrimento degli automezzi, in quanto già oggi, sulla statale «Aurelia», i 115 chilometri di variante da Rosignano a Grosseto si percorrono a 110 chilometri orari; con un'autostrada a 130 chilometri orari si guadagnerebbero, in via ipotetica, una manciata di minuti, ma le previste 4 barriere vanificheranno il magro guadagno, e nel periodo estivo renderanno caotico il traffico dei turisti;
   l'Unione europea nel suo libro bianco non chiede che il corridoio TEN1(Berlino-Palermo) sia fatto con autostrada a pedaggio (in Germania non lo sono), chiede solo che ci sia «continuità di larghezza di carreggiata», e questo è assicurato, almeno nel tratto Rosignano-Grosseto Sud, dalla Variante Aurelia, bella superstrada, quattro corsie con guardrail, larga a sufficienza, sicura, collaudata dall'ANAS per 110 chilometri orari, già pagata con i fondi statali e gratuita;
   cosa diversa sono i 106 chilometri a sud di Grosseto, che da anni gridano vendetta per la pericolosità e i morti. È da lì che si sarebbe dovuto iniziare se realmente si avesse avuto a cuore la sicurezza dei cittadini, non iniziando da dove la strada è già sicura;
   il progetto CIPE 2008 era approvato dalle amministrazioni e dalla SAT, non dalle associazioni ambientaliste e soprattutto, nella sua prima stesura, era stato bocciato dalla Commissione dell'Unione europea per la concorrenza, in quanto prevedeva il cosiddetto «accollo» da parte dello Stato: 3,8 miliardi a favore di SAT nel 2046, alla fine della concessione. Cioè a fronte di un'opera che sarebbe costata a SAT 3,8 miliardi, lo Stato, al momento di riprenderla, avrebbe rimborsato tutto l'investimento iniziale e così SAT, per 35 anni, avrebbe incassato il pedaggio;
   i cittadini pagheranno di tasca propria l'infrastruttura, tre volte. Prima, con la variante già pagata negli anni; poi durante i 35 anni gestionali col pedaggio; infine, restituendo alla SAT in toto i costi dell'opera;
   il progetto CIPE definitivo non parla più di accollo, e per questo la SAT l'ha rigettato, variando in pochi mesi le cifre sul traffico e presentando un progetto di Autostrada in sede Aurelia, ad un costo ben inferiore di 2,2 miliardi di euro;
   pagare il pedaggio su di un bene già pubblico è incomprensibile. La variante è già esistente e la società SAT non farà altro che allargarla in qualche tratto e installare i caselli per la riscossione, oltre che recintarla lungo i lati del percorso;
   il pedaggio, se applicato ai residenti, rappresenterebbe una nuova, iniqua tassa sui cittadini, un pedaggio tra l'altro, esoso, tra i più cari d'Europa, 18 centesimi per chilometro (1,80 euro ogni 10 chilometri di tratta);
   il progetto non prevede interventi nelle gallerie o sui viadotti, a riprova che la variante va già bene così com’è, e che, a giudizio degli interroganti, si vuole realizzare un'autostrada che di fatto produce benefici solo per SAT; un mancato adeguamento di carreggiata per le gallerie e per i viadotti crea una larghezza della carreggiata variabile (oggi non presente) aumentando i rischi e venendo ad essere in chiaro contrasto con quanto chiesto dall'Unione europea;
   il Progetto ANAS 2001 prevedeva la messa in sicurezza e raddoppio dell'Aurelia stessa a sud di Grosseto, progetto fatto sotto il Governo Amato ed approvato dalla commissione ministeriale per la valutazione di impatto ambientale e da tutte le parti sociali, ambientalisti compresi;
   tale soluzione avrebbe avuto il merito di consegnare una strada Aurelia sicura, gratuita per tutti – turismo incluso – e poco impattante sul territorio. Tale progetto ANAS 2001 si è dimostrato essere inoltre la soluzione più vantaggiosa in termini di analisi costi-benefici nello studio fatto nel 2004 dai professori Marco Ponti e Andrea Boitani, che non sono due ambientalisti ma architetti, docenti di economia dei trasporti del Politecnico e della Cattolica di Milano;
   le continue promesse di esenzione al pagamento del pedaggio non hanno trovato alcuna approvazione da parte del CIPE dato che manca, a tutt'oggi, ogni e qualsiasi valutazione di carattere economico-finanziario della loro sostenibilità e di colui che se ne accolla il costo;
   sulla società SAT esiste inoltre un gigantesco conflitto d'interessi: Antonio Bargone, presidente SAT è anche commissario governativo straordinario per l'Autostrada Tirrenica che la stessa SAT deve costruire, cioè fa il controllore di sé stesso –:
   se il Governo sia consapevole dell'ennesimo enorme errore strategico infrastrutturale che secondo gli interroganti si sta commettendo e quali iniziative intenda adottare per mostrarsi effettivamente vicino ed utile al proprio territorio ed ai propri cittadini, gli unici verso i quali una classe dirigente ha degli obblighi.
(5-01764)


   DE ROSA, MANNINO, TERZONI, DE LORENZIS, LOREFICE, MANLIO DI STEFANO e BECHIS. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Milano, nel quartiere Gallaratese, nella parte di parco Trenno che si affaccia su via Lampugnano, insiste il cantiere della Via d'Acqua, una delle opere previste per Expo 2015. Il parco di Trenno, insieme a quello delle Cave e al Pertini, ospiteranno questa opera idraulica che serve a far scorrere l'acqua nel laghetto del sito di Expo, collegando il canale Villoresi al Naviglio Grande di Milano;
   il costo di realizzazione dell'opera è di 89 milioni di euro, i lavori sono stati appaltati a un'azienda già sotto inchiesta per lavori in altre zone d'Italia (la Maltauro spa), mentre il progetto definitivo, a quanto consta agli interroganti, non è mai stato votato dal consiglio comunale di Milano;
   l'opera è stata infatti inserita tra quelle prioritarie e gestite direttamente dalla società Expo spa con il commissario unico Giuseppe Sala;
   il commissario unico di Expo, Giuseppe Sala, nell'ambito dei lavori per Expo 2015 il 12 novembre 2013, ha firmato il declassamento dei limiti degli inquinanti tollerati nei terreni, il parametro di riferimento delle CSC (le concentrazioni di soglia di contaminazione oltre le quali scatta la bonifica) passa da residenziale/aree verdi a industriale;
   tale procedura abbreviata si è resa possibile grazie alla semplificazione delle procedure di gestione degli scavi relativi ai lavori di competenza di Expo spa e la Via d'Acqua è appunto una di quelle opere commissariate dalla società per azioni che gestisce l'Esposizione Universale del 2015;  
   a dare i poteri speciali al commissario unico è stato il decreto-legge n. 43 del giugno 2013, dove è scritto che il commissario può provvedere in deroga alla legislazione vigente a mezzo di ordinanza;
   il commissario Sala ha quindi deciso che per tutto il sedime della Via d'Acqua si potranno applicare i parametri di riferimento degli inquinanti della tabella B del decreto legislativo n. 152 del 2006 invece che quelli della tabella A, come avviene per aree urbane, verdi, residenziali;
   si tratta di un declassamento che deroga alle norme urbanistiche comunali. Il tracciato della Via d'Acqua viene pertanto equiparato ad un'area industriale e come tale va classificato: «il canale è in cemento armato impermeabile» è scritto nel documento firmato da Sala;
   le aree contaminate che preoccupano i cittadini sono quella di via Quarenghi, zona Bonola. Una ex cava sopra cui sono iniziati i lavori della base-cantiere degli operai che lavorano alla Via d'Acqua, le cava di via Cancano al parco cave, in area Cascina Merlata (via Triboniano) e in via Calchi-Taeggi. Il cantiere è stato aperto prima ancora che la valutazione di rischio ambientale fosse trasmessa al consiglio di zona 8 del comune di Milano;
   l'inquinamento dell'area di via Quarenghi è cosa nota dagli anni ’70, dai tempi della vecchia proprietà, Salvatore Ligresti;  
   negli anni duemila si è aperto un contenzioso tra comune di Milano e nuova proprietà, la società Grassetto, proprio sulla bonifica;
   un progetto di box interrati è stato respinto anni fa dal comune proprio per il mancato accordo sulla bonifica e il rischio ambientale che ne sarebbe derivato;
   lo sforamento dei limiti di legge è confermato dagli ultimi rilievi disponibili fatti dall'amministrazione milanese nel 2008: Pcb, idrocarburi, metalli pesanti oltre la soglia di legge –:
   se il Governo sia a conoscenza della dannosità dell'opera, potenziale e già effettiva;
   se non ritenga opportuno ed urgente ripristinare il parametro di riferimento delle concentrazioni di soglia di contaminazione dei territori interessati, restituendo la precedente qualifica di aree verdi/residenziali;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per far sì che i poteri speciali del commissario unico, concessi per agevolare la realizzazione di un evento importante come l'Expo 2015, non divengano lo strumento ed il pretesto per avallare gli ennesimi abusi su un territorio già ridotto ai minimi termini e diminuire ulteriormente la qualità della vita dei propri cittadini;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per il blocco del cantiere al fine di disporre le bonifiche necessarie e l'adozione di un progetto alternativo, già predisposto da associazioni ambientaliste come Italia Nostra, che tuteli i parchi, il territorio e la salute dei cittadini, evitando sprechi inutili per le casse dello Stato.
(5-01766)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIMONE VALENTE, BRESCIA, BATTELLI, MARZANA, LUIGI GALLO, BONAFEDE, BALDASSARRE, GAGNARLI, SEGONI, VACCA e ARTINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la regione Toscana, di concerto con gli enti locali, il 29 settembre 2010 ottenne mandato dall'UCI di organizzare i «Campionati del Mondo di Ciclismo su Strada — edizione 2013»;
   nel giugno dello stesso anno, quindi pochi mesi prima, con due lettere datate 9 giugno e protocollate presso l'ufficio per lo sport, membri dell'allora governo si impegnarono informalmente a sostenere economicamente il mondiale di ciclismo;
   con la lettera nota protocollo USS-Sport 0003568-P, l'allora Presidente del Consiglio Berlusconi scrisse al Presidente dell'UCI Patrick McQuaid per assicurare l'impegno del Governo a sostenere ed a dare il «proprio contributo alla realizzazione» del Mondiale;
   la lettera con nota protocollo USS-Sport 0003569, scritta dall'allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo sport Rocco Crimi ed indirizzata al Presidente della FCI Renato di Rocco ed al Presidente del Comitato Organizzatore, Mondiali Ciclismo Toscana 2013 Srl, Claudio Rossi, assicurava agli stessi il «sostegno del Governo»;
   nel 2011 si conclude e stila un accordo di programma tra la regione Toscana, le province di Firenze, Lucca, Pistoia e Prato ed i comuni di Fiesole, Firenze, Lucca, Montecatini e Pistoia;
   nascono quindi il Comitato istituzionale, che sceglie di farsi affiancare da un Gruppo tecnico istituzionale, nato in seguito all'accordo di programma;
   il Gruppo tecnico stima i costi delle opere in ben 157.244.090,15 euro, ripartiti in:
    a) 71 milioni di euro circa in interventi fondamentali;
    b) 86 milioni di euro circa in interventi di completamento;
   la cifra è eccessivamente sproporzionata rispetto agli stessi eventi svoltisi negli anni precedenti: Geelong 2010, Copenaghen 2011 e Valkenburg 2013 affrontarono spese massime che si aggirano attorno ai 10 milioni di euro;
   per i mondiali di Mendrisio 2009 venne spesa una cifra compresa tra i 9 e gli 11 milioni di euro, la cui differenza tra cifra incassata e cifra spesa, fu restituita alla comunità locale;
   nel giugno 2011 il Comitato incontra il Ministro della salute Fazio che non dà certezza su finanziamenti statali e/o deroghe al Patto di stabilità interno;
   il Comitato opta così per rinunciare alle opere di completamento e per concentrarsi sui 71 milioni delle opere fondamentali, che però non si riescono a trovare, ricalcolando la cifra a 49 milioni di euro;
   il Comitato tornò con questa richiesta dal governo Monti, che però si oppose;
   gli enti, locali e la regione riescono a mettere insieme 32 milioni di euro, che gli uffici tecnici del comune di Firenze suggerisce di utilizzare «con parsimonia, limitatamente al risanamento delle singole anomalie»;
   con risoluzione n. 7-00008 a prima firma Bonafè, in Commissione cultura si è affrontata, solo per l'illustrazione, un impegno al Governo per sostenere economicamente l'evento;
   dopo l'illustrazione da parte della prima firmataria ed una replica da parte del sottoscritto interrogante, la risoluzione non è più stata affrontata e discussa in sede di Commissione;
   a settembre 2013 si sono svolti regolarmente i mondiali di ciclismo e sul sito ufficiale si può leggere come la Presidenza del Consiglio dei ministri abbia fornito il suo patrocinio –:
   se la Presidenza del Consiglio abbia o meno sostenuto economicamente l'evento ed a quanto ammonterebbe eventualmente tale impegno economico ed a quali soggetti istituzionali e non siano state erogate le eventuali somme di denaro. (4-03025)


   DA VILLA, CRIPPA, PRODANI, COZZOLINO, SPESSOTTO, LOREFICE, DE LORENZIS, GALLINELLA e SIMONE VALENTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 del trattato sull'Unione europea stabilisce che le decisioni dell'Unione europea sono prese nel modo più trasparente e vicino possibile ai cittadini;
   risulta agli interroganti che a maggio 2013 siano iniziati i negoziati sugli accordi di libero scambio tra USA e EU, la cosiddetta Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP);
   tra il 10 e il 15 novembre 2013 si è tenuto a Bruxelles il secondo round di negoziazioni tra la delegazione europea e quella statunitense;
   si apprende dal sito internet della Commissione europea che il 15 novembre 2013 si è tenuto un incontro tra le delegazioni per discutere la regolamentazione dei servizi finanziari;
   si apprende altresì da un briefing del parlamento britannico che il 3 dicembre 2013 il Consiglio affari esteri dell'Unione europea si è riunito per discutere temi legati al commercio;
   sempre dal citato briefing del Parlamento britannico risulta come il prossimo round di negoziati sia in programma a partire dal 16 dicembre 2013, e che a gennaio 2014 il commissario al commercio Karel de Gucht e il suo omologo statunitense Michael B. Froman si incontreranno per prendere atto dei risultati delle negoziazioni;
   la Commissione europea difende la segretezza dei negoziati con un unico argomento: è necessario un certo grado di riservatezza; in caso contrario, sarebbe come mostrare all'altro giocatore le proprie carte (question & answers pubblicate sul sito della Commissione);
   nel caso concreto pare che il giocatore USA conosca benissimo le carte del giocatore Europa, come è chiaramente emerso dalle notizie pubblicate sulla stampa di tutto il mondo nell'ambito dello scandalo Prism/Datagate: non c’è quindi a parere degli interroganti alcuna ragione per continuare a non informare puntualmente i cittadini europei sullo stato delle negoziazioni;
   persino sul «riservatissimo» mandato del Consiglio ai negoziatori europei sono facilmente rinvenibili notizie su internet;
   ai sensi dell'articolo 207 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), un comitato i cui membri sono designati dagli Stati membri affianca la delegazione negoziale dell'Unione europea;
   se il TTIP riguarderà anche materie di non esclusiva competenza dell'Unione europea, dovrà essere ratificato anche dal Parlamento italiano: è pertanto necessario che il Parlamento italiano sia tempestivamente informato circa gli sviluppi delle negoziazioni in corso, e che tutti i documenti connessi a tali negoziazioni siano al più presto resi accessibili ai parlamentari –:
   se il Governo ritenga che un negoziato segreto sia il modo più trasparente e vicino possibile ai cittadini per sviluppare la politica commerciale dell'Unione europea;
   chi sia il componente designato dall'Italia del Comitato che affianca i negoziatori ai sensi dell'articolo 207 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, con che criteri è stato individuato, che mandato gli è stato affidato e con che modalità riferisce al Governo;
   quali contenuti siano stati discussi il 27 novembre 2013 nell'ambito delle negoziazioni sulla regolamentazione finanziaria;
   se, in che modo e con quali obiettivi l'Italia abbia contribuito a definire tali contenuti;
   quali contenuti siano stati discussi il 3 dicembre nell'ambito del Consiglio affari esteri sul commercio;
   se, in che modo e con quali obiettivi l'Italia abbia contribuito a definire tali contenuti;
   quali siano le ragioni per cui il Governo non ha sin qui riferito tempestivamente al Parlamento circa i progressi delle negoziazioni, e se intenda mettere a disposizione la documentazione in proprio possesso;
   quali siano la tempistica e le modalità con le quali il Governo intenda riferire tempestivamente circa i progressi delle negoziazioni e mettere a disposizione la documentazione rilevante, in vista del prossimo round di negoziati in programma a partire dal 16 dicembre 2013;
   quali siano le ragioni per cui il Governo non ha sin qui avviato un'azione di informazione e divulgazione sul tema a favore della cittadinanza italiana.
(4-03033)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARIANO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che il porto di Brindisi come punto per il trasbordo delle armi chimiche consegnate dal regime siriano, dalle fregate norvegese e danese, all'unità della Us Navy «Cape Ray» sarebbe considerato «la prima scelta»;
   il 1o dicembre 2013 a margine del Consiglio esteri a Bruxelles, il Ministro degli affari esteri, Emma Bonino aveva dichiarato che la scelta del porto sarebbe stata fatta dall'Organizzazione per la distruzione delle armi chimiche (OPAC) sulla base di tre elementi: «Il pescaggio, la capienza del porto e la lontananza o la vicinanza dal centro abitato»;
   il porto di Brindisi e la zona industriale che vi si affaccia è a stretto contatto con la città, quindi, secondo la dichiarazione del Ministro, non risulta utilizzabile per questa operazione ad alto rischio;
   nel porto di Brindisi ci sono anche altri impianti a rischio come il deposito di Gpl più importante del Paese;
   la città è appena uscita dal progetto di un rigassificatore della British Gas: un impianto che avrebbe condizionato profondamente le attività e la sicurezza portuale;
   il consiglio comunale di Brindisi ha approvato il 19 dicembre 2013, un ordine del giorno urgente nel quale si prende atto che «tale scelta effettuata dal Ministro degli Esteri del Governo Italiano avviene senza alcun coinvolgimento della Comunità Brindisina esponendo a pericolo e rischi non conosciuti né valutati, l'intera città»;
   nello stesso ordine del giorno, il consiglio comunale «manifesta la propria opposizione a tale scelta dando mandato al Sindaco di predisporre tutte le azioni necessarie per impedire che le operazioni di approdo delle armi chimiche avvengano nel Porto di Brindisi»;
   la direttiva 85/337/CEE, nel definire progetti e procedure su cui formare la valutazione di impatto ambientale, precisa, all'articolo 3, che vanno valutati «gli effetti diretti ed indiretti di un progetto» su:
    l'uomo, la fauna e la flora;
    il suolo, l'acqua, l'aria, il clima e il paesaggio;
    i beni materiali ed il patrimonio culturale;
    l'interazione fra i fattori di cui al primo, secondo e terzo punto;
   tale direttiva, a giudizio dell'interrogante, include tra le opere o le attività «da sottoporre a V.I.A., anche operazioni del tipo di quella indicata in premessa, anche se è la prima volta che ci si deve misurare con situazioni di questo tipo» –:
   se i Ministri, considerando la delicatezza dell'argomento, intendano, con la massima tempestività, fornire chiarimenti sulla fondatezza delle notizie anticipate dalla stampa e sulle ragioni che avrebbero portato ad individuare il porto di Brindisi come luogo del trasbordo ignorando gli aspetti relativi alla sicurezza delle persone e dell'ambiente. (5-01769)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero degli affari esteri ha programmato un'importante riorganizzazione della struttura consolare italiana nel mondo;
   tale ristrutturazione si è resa necessaria per gli obblighi assunti in materia di riduzione della spesa pubblica; le scelte dei tagli da operare non devono però tradursi in pesanti disagi per gli italiani che vivono e lavorano nel mondo con i quali si deve avere la capacità di rinnovare legami sempre più intensi e produttivi da ogni punto vista;
   si parla della soppressione di 33 sedi di cui 3 ambasciate, 11 uffici consolari, 5 istituti di cultura e 8 sezioni distaccate di istituti di cultura;
   ciò sta provocando grande preoccupazione tra le comunità italiane –:
   se non intenda fornire elementi sul piano di riorganizzazione della rete diplomatica italiana anche per chiarire le ragioni delle scelte che si intendono fare e il modo in cui venire incontro ai problemi che si creano ai connazionali che usufruiscono dei servizi delle strutture italiane all'estero soppresse. (4-03020)

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta scritta:


   SARRO, PALMIZIO, PETRENGA, LUIGI CESARO, CASTIELLO, LATRONICO e RUSSO. — Al Ministro per gli affari europei, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con nota C(2009) 0328 del 29 gennaio 2009 la Commissione europea comunicava l'avvio, in danno della Repubblica italiana, della procedura di infrazione 2008/4908 ex articolo 226 del Trattato CE, avendo ravvisato in alcune previsioni dell'articolo 37 del codice della navigazione e dell'articolo 9 della legge regionale Friuli-Venezia-Giulia 13 novembre 2006, n. 22, una violazione degli articoli 43 e 49 del Trattato. In particolare, si censurava il fatto che in Italia l'attribuzione delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, fosse basata su un sistema di preferenza per il titolare uscente (cosiddetto diritto di insistenza) che, di fatto, determinava un rinnovo sostanzialmente automatico delle concessioni esistenti;
   con nota del 7 aprile 2009 le autorità italiane si impegnavano a modificare le disposizioni di legge contestate dalla Commissione al fine di conformare il quadro normativo disciplinante le concessioni per stabilimenti balneari, al diritto comunitario;
   la direzione generale del mercato interno e dei servizi, con lettera del 4 agosto 2009, nel sollecitare il perfezionamento delle citate modifiche normative entro tempi certi e predefiniti, evidenziava che il meccanismo del rinnovo automatico delle concessioni, così come contemplato dall'ordinamento italiano, oltre a confliggere con gli articoli 43 e 49 del Trattato, si poneva in contrasto anche con l'articolo 12, comma 2, della direttiva 123/2006/CE, relativa alla libera circolazione dei servizi nel mercato interno, dal che un ulteriore motivo per giungere, il più rapidamente possibile, alla cancellazione di tali norme;
   il dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie, con nota del 1° dicembre 2009, informava la competente direzione generale della Commissione europea dell'intendimento del Governo italiano di superare la procedura di infrazione, abrogando immediatamente il diritto di insistenza di cui all'articolo 37 del codice della navigazione prevedendo, contestualmente, una proroga transitoria fino al 31 dicembre 2015 delle concessioni già in scadenza o che sarebbero venute a scadere entro tale data, per consentire agli operatori di agire in un quadro di maggiore certezza fino all'emanazione delle nuove discipline di settore di competenza delle regioni, alla stregua di quanto contemplato dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, recante il cosiddetto federalismo;
   avendo gli uffici della Commissione espresso favorevole avviso rispetto alla soluzione in questi termini prospettata, veniva emanato il decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre 2009, il cui articolo 1, comma 18, prevedeva che «il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente Decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2012 è prorogato fino a tale data»;
   in sede di conversione la citata disposizione veniva però modificata nei seguenti termini «il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino a tale data, fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993 n. 400, convertito con modificazioni, dalla Legge 4 dicembre 1993 n. 494»;
   con nota C (2010) 2734 del 5 maggio 2010 la Commissione europea osservava che attraverso un sistema di rinvii successivi contenuti nell'articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge n. 400 del 1993, veniva sostanzialmente privata di ogni effetto utile la disposizione con la quale si eliminava la preferenza in favore del concessionario uscente nel procedimento di attribuzione delle nuove concessioni, reintroducendosi il meccanismo del rinnovo automatico, in aperto contrasto con l'ordinamento comunitario, formalizzandosi, di conseguenza, la messa in mora ex articolo 258 del TFUE nei confronti della Repubblica italiana;
   per ovviare alle segnalate contestazioni si decideva di inserire nella legge comunitaria 2010 una disposizione, modificativa del decreto legge n. 400 del 1993, per eliminare definitivamente dal quadro della normativa italiana il diritto di insistenza per le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative;
   tanto è avvenuto con la previsione di cui all'articolo 11, comma 1, lettera a), della legge 15 dicembre 2011, n. 217 che ha consentito di chiudere la procedura di infrazione, ufficialmente archiviata dalla Commissione in data 27 febbraio 2012;
   i ripetuti interventi normativi e le modifiche succedutesi in rapida evoluzione hanno determinato una non sempre lineare applicazione dell'istituto della proroga, generando situazioni limite così come, ad esempio, per alcuni stabilimenti balneari situati sul litorale marittimo del comune di Giugliano (NA) laddove si è contestata l'occupazione abusiva di spazi del demanio marittimo assumendosi che i gestori di tali stabilimenti sarebbero privi di concessione demaniale, dato che agli stessi non sarebbero state rilasciate autorizzazioni all'esito dell'entrata in vigore della legge comunitaria 2010 (n. 217 del 2011), né troverebbe per loro applicazione l'articolo 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 2009, in quanto siffatta disposizione riguarderebbe le concessioni in essere da intendersi quali nuove concessioni e non già quelle prorogate;
   dalla ricostruzione degli atti intervenuti nel corso della richiamata procedura di infrazione e, segnatamente dalla interlocuzione avutasi tra le autorità italiane e quelle europee risulta, da un lato, che tutti gli interventi normativi sono tra loro connessi e perseguono la comune finalità di superare la contestata infrazione e, dall'altro, che la proroga riguarda tutte le concessioni, anche quelle precedentemente rinnovate automaticamente, purché non affidate all'esito di una procedura di evidenza pubblica e, quindi, in contrasto con il diritto comunitario –:
   se, alla luce degli atti intervenuti nel corso della procedura di infrazione 2008/4908, la proroga al 31 dicembre 2015 delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 194 del 2009 riguardi tutte le concessioni demaniali marittime per uso turistico ricreativo in essere in quel determinato momento sulla base di un titolo contrario al diritto comunitario e se la suddetta proroga, ope legis trovi applicazione automatica, senza cioè necessità dell'espletamento di uno specifico procedimento amministrativo.
(4-03026)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BELLANOVA e CAPONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 30 ottobre 2013 l'Ufficio di Presidenza della Camera ha disposto la desecretazione dei documenti relativi all'inchiesta condotta nel corso della XII legislatura dalla Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse;
   nei documenti resi pubblici, relativi alle dichiarazioni rilasciate al presidente Massimo Scalia dal collaboratore di Giustizia Carmine Schiavone, appartenente al clan dei Casalesi, viene tratteggiato nelle oltre sessanta pagine con dovizia di particolari il traffico di rifiuti illeciti gestito dalla camorra in Campania e nell'intero Meridione in accordo con le mafie territoriali. Una descrizione agghiacciante, dove a un certo punto si legge: «Il sistema era unico, dalla Sicilia alla Campania. Anche in Calabria era lo stesso, non è che lì rifiutassero i soldi. L'essenziale era il business. So per esperienza che fino al 1992 la zona del Sud, fino alle Puglie, era tutta infettata da rifiuti tossici provenienti da tutta Europa e non solo dall'Italia»;
   più precisamente, incalzato dal presidente Scalia, Schiavone a proposito della Puglia dice: «C'erano discariche nelle quali si scaricavano sostanze che venivano da fuori. A mia conoscenza personale nel Salento, ma sentivo parlare anche delle province di Bari e Foggia»;
   in questi anni anche altri collaboratori di giustizia, uno tra tutti Silvano Galati, ex esponente della Sacra Corona Unita, ha parlato agli inquirenti di rifiuti sepolti nelle campagne del Sud Salento, indicando una porzione di territorio circostante il comune di Casarano. Nel 2005, dopo l'arresto, Galati nel corso dell'interrogatorio dice che il suo clan, legato direttamente ai Tornese di Monteroni, «aveva avviato un servizio di smaltimento rifiuti tossici per le imprese del Basso Salento che trattavano pellame per scarpe o per accessori di abbigliamento». Nel corso dell'interrogatorio Galati parla espressamente di rifiuti tossici, a seguito di analisi fatte svolgere da uno degli uomini del clan e addirittura di un «prodotto smaltito che poteva inquinare un intero paese se non addirittura finire nella falda acquifera». Successivamente, nel 2006, il gruppo tutela ambientale di Napoli, con lo scanner iperspettrale, sorvolando la zona indicata dal collaboratore di giustizia, scatta numerose foto aeree, rilevando, nei 18 fotogrammi, grazie alla differenza di temperatura del terreno, i siti probabilmente inquinati. Tale documentazione è nei documenti in possesso della Commissione bicamerale per il ciclo dei rifiuti dal 2008, allorché i magistrati della direzione distrettuale antimafia di Lecce relazionano in commissione sulle aree a rischio nel Salento, ed è divenuta di pubblico dominio nei giorni scorsi, pubblicata online da altre forze politiche;
   sull'argomento i mezzi di informazione pugliese — cartacea, televisiva online —, hanno svolto un preziosissimo lavoro di approfondimento, aprendo inchieste e rimappando episodi spesso apparentemente lontani tra di loro, permettendo l'emergere di un quadro decisamente allarmante anche relativamente all'incremento dell'incidenza di particolari e precise patologie tumorali, differenti a seconda delle zone, con particolare riguardo a leucemie, ai tumori al polmone, tumori al pancreas e allo stomaco, tumori alla tiroide;
   nell'ultimo rapporto Ecomafie 2013, presentato da Legambiente nelle scorse settimane, si conferma che nel ciclo illegale dei rifiuti la Puglia occupa stabilmente la terza posizione, con un significativo aumento degli illeciti pari al 24 per cento. Proprio in Puglia, dal 2002 al maggio 2013, si contano ben 42 inchieste contro attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti, pari al 19,4 per cento circa delle inchieste su tutto il territorio nazionale. Fra le inchieste più importanti, Legambiente cita l'Operazione Cenerentola avviata dai carabinieri del nucleo operativo ecologico, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce, che ha permesso l'emergere di un presunto traffico illecito di rifiuti speciali, in particolare ceneri industriali, illecitamente smaltite in due siti (cave) del brindisino privi di autorizzazione per trattare rifiuti speciali pericolosi. Operazione che vede come indagati imprenditori e trasportatori a cui è stato contestato il reato di traffico e gestione illecita di rifiuti. Altra operazione menzionata la cosiddetta Black Wear, in provincia di Foggia, dove i carabinieri del Noe, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari, hanno smascherato un vero e proprio traffico nazionale e internazionale di rifiuti speciali (materiale tessile) che ha prodotto l'evasione dell'ecotassa per circa un milione e mezzo di euro, ma soprattutto danni ambientali delle zone agricole demaniali dove gli «stracci» venivano bruciati o sotterrati nel terreno. Inoltre, e non è certo una novità, la Puglia rimane la base logistica, la porta d'ingresso o d'uscita, per i traffici internazionali di rifiuti e i fronti caldi sono sempre i grandi porti di Bari e di Taranto;
   nella ultima relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti in Puglia della Commissione parlamentare d'inchiesta nel corso della XVI legislatura, approvata dalla Commissione il 20 giugno 2012, si conferma ancora una volta, e grazie alle indagini svolte da numerose procure italiane, come la Puglia, e in particolare il tarantino, sia il terminale di enormi traffici, tanto da far parlare di «uno spaccato inquietante di traffici illeciti di rifiuti diretti in Puglia». Nello specifico, tra l'altro, nella relazione si fa riferimento a due precise e distinte discariche: la discarica Vergine di Lizzano e la discarica Ecolevante di Grottaglie. Due situazioni evidentemente così allarmanti da spingere il Presidente della Commissione Gaetano Pecorella a scrivere: «Meraviglia, dunque, che in loco non siano state sviluppate indagini, né che siano state segnalate le indagini sopra menzionate da parte degli organi di controllo e degli organi investigativi locali. Si tratta di un gap conoscitivo da parte delle autorità locali che non può non incidere negativamente sulla programmazione delle attività di controllo e prevenzione che dovrebbero essere orientate anche in ragione dell'individuazione di zone o settori particolarmente sensibili». Tanto più se, come si descrive nella relazione, il meccanismo di smaltimento dei rifiuti tossici contemplerebbe anche un meccanismo di attribuzione falsa di certificati atti a comprovare il trattamento degli stessi, trattamento mai avvenuto;
   nel frattempo sui mezzi di informazione territoriali si dà conto di oltre duecento siti presenti nelle tre province jonico-salentine, «potenzialmente contaminati», conosciuti da quasi vent'anni, il cui censimento, effettuato nel 1994 dall'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo sostenibile, sarebbe stato trasmesso alla regione e divenuto uno dei fondamenti del Piano regionale delle bonifiche del 2001. I siti sarebbero stati complessivamente 991 nell'intera regione, e più dettagliatamente 266 nella provincia di Lecce, 170 nella provincia di Brindisi, 127 nella provincia di Taranto. Dopo dieci anni e parziali attività di ripristino ambientale rimarrebbero da risanare, ancora, 197 siti a Lecce e 6 a Brindisi;
   stesso quadro allarmante emerge nella mappa redatta dalla regione Puglia nel report consegnato dall'assessore all'ambiente Nicastro alla V Commissione regionale. Stilato sulla base degli interventi di Guardia di finanza, Carabinieri e Corpo forestale, il report individua dodici siti, dislocati sull'intero territorio salentino, punto di arrivo di un ciclo dei rifiuti parallelo a quello lecito. Nello stesso report la regione afferma come sia altissima la quantità di rifiuti tossici che ogni anno «svaniscono» in Italia, provenienti da Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Sicilia, Campania, nonché Germania e Bulgaria, e che si troverebbero nelle discariche abusive pugliesi. Nello stesso incontro svoltosi in V Commissione, sempre l'assessore Nicastro avrebbe affermato: «Abbiamo registrato 2.391 sequestri, un numero rilevante di sanzioni e di imposte evase recuperate, il numero più elevato in Italia di arresti e sanzioni», sottolineando l'impegno della regione Puglia in tal senso, ma rafforzando lo sgomento e la paura e sostanzialmente dichiarandoli fondati;
   tali e tante notizie, spesso anche contrastanti tra di loro, hanno, come si può facilmente intuire, creato nelle popolazioni salentine uno stato di fortissima preoccupazione ed enorme allarme, tanto da produrre la nascita di comitati spontanei di cittadini e una vera e propria massiccia mobilitazione di cui si stanno facendo portavoce i sindaci;
   in ultimo, il 26 novembre, in conferenza stampa presso la procura di Lecce, è stata annunciata l'apertura di un'inchiesta contro ignoti sul traffico dei rifiuti che avrebbe visto nel territorio salentino una delle «stazione terminali». Tale decisione, annunciata dal procuratore capo Cataldo Motta e dal procuratore aggiunto Ennio Cillo, darà il via ad una serie di accertamenti da parte di un Gruppo interforze composto da uomini del Corpo forestale dello Stato, Carabinieri e Guardia di finanza, con lo scopo di monitorare la penisola salentina per evidenziare l'eventuale presenza di rifiuti pericolosi interrati nelle discariche nel sottosuolo, anche con l'utilizzo di mezzi aerei e speciali attrezzature in grado di «leggere» il sottosuolo;
   ad avviso degli interroganti sarebbe opportuno assumere iniziative per riunificare tutte le attività di indagine attivate o in essere nelle procure italiane e che hanno per oggetto il traffico e lo smaltimento illegale di rifiuti nocivi e tossici verso la Puglia ad opera di imprese operanti in altre regioni italiane o europee –:
   quali iniziative di competenza i Ministri abbiano già assunto o intendano intraprendere in merito a quanto esposto per accertare lo stato delle cose, fugando la paura e il dubbio delle popolazioni locali;
   se i Ministri non ritengano opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di procedere alla costituzione di un tavolo permanente di monitoraggio o verifica sulle azioni poste in essere dalla filiera istituzionale, integrato da quanto emerso negli anni nel corso del lavoro della Commissione parlamentare sui rifiuti e della Commissione parlamentare antimafia, così che tutte le informazioni possano comporre un unico quadro;
   se i Ministri non ritengano opportuno, necessario e urgente, assumere ogni iniziativa di competenza per lo stanziamento di risorse mirate alla bonifica dei territori oggetto delle indagini, e a verifiche più puntuali sullo stato di salute dei terreni coinvolti, oggetto delle mire criminali. (5-01770)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Comitato «non bruciamoci il futuro», al quale hanno aderito 3.400 cittadini, si è costituito in Rivarolo Canavese in provincia di Torino nel 2012 per far fronte alla realizzazione di una grande centrale a biomassa collocata in mezzo alla città (area ex cotonificio Vallesusa);
   la centrale è di proprietà Sipea srl, poi passata nel corso del 2011 al gruppo Cofely/GDF-Suez, l'impianto operante già dal dicembre 2012 ha le seguenti caratteristiche: potenza elettrica 5 MWe; potenza termica in ingresso 30 MWt; camera di combustione di 40 mq; forno a griglia mobile inclinata che raggiunge la temperatura di 1.000 oC, alimentato da circa 200 t/giorno di biomasse pari a 65.000 t/anno;
   la società dichiara che sta utilizzando esclusivamente biomassa legnosa (cippato di legno vergine) proveniente al 70 per cento da filiera corta;
   agli interroganti risulta che la biomassa legnosa è scarsamente reperibile sul territorio di riferimento e 200 tonnellate/giorno sono una quantità considerevole tanto da porci il dubbio su quale sia la reale natura e provenienza di tutta la biomassa che arriva alla centrale attraverso numerosi e grandi camion, così come riferito dalla cittadinanza;
   per l'alimentazione della centrale, Sipea/Cofely dichiara di aver fatto approntare nel comune di Foglizzo un'area di stoccaggio biomasse gestita dalla Tecnogarden Service spa. Poiché il comune di Foglizzo dista circa 15 chilometri in linea d'aria da Rivarolo non vorremmo che con questo escamotage sia concessa alla ditta Sipea srl secondo il decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali 2 marzo 2010 gli incentivi da filiera corta;
   la provincia di Torino ha autorizzato nel solo ambito del Canavese (entro 20 chilometri di raggio da Rivarolo) le centrali a biomasse legnose di Cuorgnè, Torre C.se, Lombardore, che si aggiungerebbero a quelle già operanti di Leinì, Castellamonte e Rivarolo C.se;
   il fabbisogno di biomassa legnosa per alimentare tutte le centrali sopra elencate potrebbe ammontare a circa 200.000 t/anno, pari a circa 600 t/giorno;
   tali volumi appaiono del tutto inverosimili (a meno che si pensi di desertificare il territorio) e lascia crescere nella popolazione limitrofa la paura che ad un certo punto si possa ricorrere ad altri generi di biomasse, finanche ai rifiuti –:
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative a livello normativo per stabilire dei parametri generali applicabili ai singoli territori, in base ai quali il numero di impianti a biomassa realizzabili in una data area in base al reale fabbisogno energetico del territorio ed alla effettiva disponibilità che lo stesso territorio può offrire in termini di materia necessaria e relativo utilizzo, anche in relazione alle normative sulla qualità dell'aria e preferendo comunque, ove possibile fonti rinnovabili meno impattanti;
   cosa intendano fare i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, in merito alla evidente violazione da parte di queste tipologie di centrali della direttiva 96/62 CE e del successivo decreto legislativo n. 155 del 2012 di recepimento, soprattutto alla luce dei recenti studi dell'OMS sul rapporto tra inquinamento atmosferico e salute umana che hanno indotto il Commissario europeo all'ambiente ad un riesame della politica dell'Unione europea sulla qualità dell'aria che presto si tradurrà in una normativa più stringente. (4-03017)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 6 dicembre 2013 è stata presentata dal sottoscritto l'interrogazione n. 4-02874, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo che evidenziava la vicenda di un abuso edilizio in area tutelata nel comune di Umbertide, rivelato da panorama.it due mesi fa;
   a seguito degli articoli di Panorama e di alcune interrogazioni presentate in sede parlamentare e locale, un nuovo articolo pubblicato da Panorama online il 16 dicembre http://news.panorama.it/politica/villa-abusiva-guasticchi riporta la conferma dell'assessore regionale all'ambiente, Silvano Rometti, che in risposta ad un'interrogazione del consigliere leghista Gianluca Cirignoni scrive: «L'amministrazione comunale ha ritenuto di non rilasciare il permesso di costruire in sanatoria né l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria» come richiesto dal proprietario. Niente condono edilizio o paesaggistico. Il motivo ? Gli «ulteriori abusi edilizi, precedentemente non facilmente individuabili, riscontrati negli accertamenti eseguiti in data 22 e 25 ottobre 2013»;
   da quanto riportato nell'articolo, a distanza di 5 e di 7 giorni dalla pubblicazione dell'articolo di Panorama.it, il comune di Umbertide ha sentito la necessità di capire l'effettiva consistenza degli abusi di casa Guasticchi e, grazie a due distinti sopralluoghi dei vigili, ha scoperto l'esistenza del piano interrato con tanto di idromassaggio e bagno turco. Da qui, il 29 ottobre, la firma di un'ordinanza di demolizione, la numero 114, che fa seguito alla numero 22 del 1o marzo, con cui il sindaco ordinava l'abbattimento delle prime opere abusive e il ripristino dei luoghi, evidentemente non effettuato;
   anche il Corpo forestale il 25 ottobre, otto giorni dopo l'uscita di Panorama.it, comunicava ufficialmente alla regione le «presunte irregolarità in materia paesaggistica e urbanistico-edilizia» –:
   se il Ministro non intenda intervenire, per quanto di competenza, per fare piena luce sulla vicenda in relazione alle esigenze di tutela dei beni paesaggistici. (4-03031)

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che si è aperto un nuovo fronte investigativo riguardante la ricostruzione de L'Aquila riferito agli appalti pubblici per i restauri delle chiese e dei palazzi storici;
   i militari del nucleo di polizia tributaria della Finanza si sono presentati nei locali della Curia arcivescovile aquilana per chiedere l'esibizione e la messa a disposizione di copie degli atti legati alla ricostruzione dei tanti edifici di culto ricadenti nella diocesi;
   l'altro aspetto investigativo riguarda la direzione regionale dei beni culturali dove c’è stata una verifica degli uomini della polizia con le stesse modalità che le Fiamme gialle hanno usato in Curia. Anche qui sono stati acquisiti atti riguardanti altri lavori pubblici con particolare riferimento agli appalti della gestione del già commissario per la ricostruzione;
   gli inquirenti stanno cercando di capire se e in quale misura sono state rispettate le procedure per gli appalti pubblici, a chi sono stati affidati e con quali procedure. Inoltre è da chiarire il ruolo avuto dalla direzione regionale del Ministero competente nell'affidamento negli appalti per i restauri dei luoghi di culto –:
   ferma restando l'autonomia della magistratura inquirente, se non intenda fornire chiarimenti sullo stato della ricostruzione de L'Aquila anche per rendere conto dell'impegno del Governo alla massima vigilanza e trasparenza su quanto di competenza sui lavori pubblici in corso a L'Aquila. (4-03027)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZOLEZZI, ARTINI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e SEGONI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 7 agosto 2013 il quotidiano on line «Huffington Post.it» pubblicava un articolo dal quale si veniva a conoscenza che: «La flotta di elicotteri delle nostre forze armate è a rischio contaminazione: innumerevoli modelli attualmente in dotazione a Esercito, Marina, Aviazione e Carabinieri sarebbero in pratica scatole volanti piene di amianto». E questa situazione andrebbe avanti da oltre quindici anni, nel silenzio più assoluto delle autorità. E ciò che si scopre leggendo una recentissima quanto conflittuale corrispondenza fra il Ministero della salute e l'azienda che li ha fabbricati, l'Agusta Westland. In tale carteggio, è la stessa azienda a definire gli apparecchi «inquinati». Come noto, l'Huffington Post ha potuto analizzare questa corrispondenza – adesso in mano ai magistrati delle procure militari di Roma e Napoli – grazie alla segnalazione del Partito per la tutela dei diritti dei militari. Da tale documentazione risulta evidente, come già dopo il 1992 (anno della legge che bandisce l'impiego dell'amianto), la controllata di Finmeccanica avesse debitamente, e dettagliatamente, provveduto a informare la Difesa su quali e quanti modelli di velivoli da loro prodotti contenessero asbesto, in quali e quante parti delle rispettive carlinghe. Si legge, infatti, in proposito, che nella lettera del 6 giugno 2013 inviata dall'Agusta Westland al Segretariato generale della difesa e direzione nazionale degli armamenti «Sin dal 1996 abbiamo trasmesso l'elenco di tutti i materiali “pericolosi” presenti sui nostri elicotteri», ossia quanto scritto nella loro lettera del 6 giugno 2013 inviata dall'Agusta Westland al segretariato generale della difesa e direzione nazionale degli armamenti, a dimostrazione del fatto che il Ministero semplicemente non poteva non sapere;
   dall'articolo si apprendeva, inoltre, che il Ministero della difesa, pur essendo a conoscenza della gravissima situazione, non avrebbe mai provveduto alla bonifica degli elicotteri contenenti amianto, né tantomeno avrebbe informato (circostanza gravissima) gli equipaggi dei notevoli rischi cui erano giornalmente sottoposti durante l'orario di lavoro, violando in tal modo, quanto stabilito dagli articoli 32 e 117 della Costituzione;
   la legge n. 257 del 1992, anticipando quanto sostenuto dalla recente direttiva 2009/148/CE detta le norme per la messa al bando di tutti i prodotti contenenti amianto, vietandone l'estrazione, l'importazione, la commercializzazione nonché la produzione di amianto e di prodotti che lo contengono, secondo un preciso programma di dismissione che definisce i criteri per il finanziamento delle imprese interessate alla riconversione produttiva e per i benefici previdenziali a favore dei lavoratori occupati nella produzione dell'amianto;
   con la legge n. 271 del 1993 venivano estesi tali benefici a tutti i lavoratori professionalmente esposti ad amianto. Il legislatore, tuttavia, non si limitava a prescrivere la cessazione dell'impiego dell'amianto ma metteva in evidenza alcuni problemi considerati particolarmente rilevanti ai fini della tutela della salute pubblica, connessi alla presenza nell'ambiente di prodotti di amianto liberamente commercializzati ed installati in precedenza;
   il decreto legislativo n. 81 del 2008, ovvero il testo unico sulla salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, prevede delle forme di tutela dei lavoratori nei vari ambienti di attività, dai diversi agenti chimici cui possono venire in contatto. Tra questi, viene considerato anche l'amianto. In particolare, l'articolo 254 del decreto, stabilisce che il valore limite di esposizione all'amianto deve essere pari a 0,1 fibre per centimetro cubo di aria, misurato come media ponderata nel tempo di riferimento di otto ore, ponendo a carico dei datori di lavoro il controllo, affinché nessun lavoratore sia esposto ad una contaminazione di amianto nell'aria, che superi il valore limite. Il datore di lavoro, conseguentemente, (ex articolo 249 valore limite) è tenuto a valutare i rischi dovuti alla polvere proveniente dall'amianto e dai materiali che lo contengono, al fine di stabilire la natura e il grado dell'esposizione e le misure preventive da attuare, affinché non venga superato il prescritto valore limite di esposizione, di cui al predetto articolo 254. Ai fini del rispetto di questo valore limite, il datore di lavoro ha, altresì, l'obbligo di effettuare periodicamente la misurazione della concentrazione di fibre di amianto nell'aria del luogo di lavoro (ex articolo 253 controllo dell'esposizione). I campionamenti che vengono effettuati a tale fine devono avvenire sempre previa consultazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti;
   nel quarto rapporto Registro nazionale mesoteliomi del 2012, ovvero il sistema di sorveglianza epidemiologica istituito ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 308 del 2002, redatto dal settore ricerca dipartimento di medicina del lavoro dell'Inail veniva affermato che: «Fra gli agenti cancerogeni, l'amianto si caratterizza per una serie di fattori di particolare pericolosità, legati alle quantità del materiale usato, in una gamma assai ampia di attività industriali, al numero di lavoratori esposti, alle ricadute in termini di matrici ambientali contaminate, con conseguenze di rischi per la salute non solo negli ambienti di lavoro. La legge che nel 1992 ha bandito l'impiego dell'amianto ha posto l'Italia tra le nazioni che hanno condotto una politica di contrasto, di controllo e di prevenzione dei rischi specifici. Restano, tuttavia, ancora aperte le questioni della bonifica e del risanamento ambientale, della sorveglianza epidemiologica e sanitaria per la prevenzione primaria e secondaria, della tutela dei soggetti ammalati»;
   inoltre, sempre nel documento sopracitato venivano riportate compiutamente delle percentuali inerenti ai casi di mesotelioma maligno riscontrati in alcuni lavoratori e più specificatamente tra coloro prestanti attività di servizio nella Cantieristica navale, la percentuale risulta essere del 9,6 per cento nei trasporti terrestri ed aerei del 6,3 per cento, nella portualità e trasporto marittimo del 5,5 per cento ed infine nella difesa militare del 2,6 per cento. Nel quarto rapporto si evince anche che per quanto riguarda gli elicotteri militari: «Risulta che la scatola del rotore può essere coibentata con amianto e durante le manutenzioni programmate (ogni 30 ore di volo) debba essere smontata e revisionata. È segnalato inoltre la presenza di pannellature in amianto inserite nei pianali»;
   il Ministro della difesa in risposta ad un'interrogazione a risposta in Commissione (Artini e altri n. 5-00945) in cui si sollevava il problema qui riportato ovvero quello relativo alla presenza di amianto a bordo degli elicotteri Augusta Westland rispondeva che: «l'impegno finalizzato a garantire che il personale non venisse sottoposto ad esposizioni all'amianto oltre il prescritto valore limite, non si è limitato soltanto ai componenti degli elicotteri, ma ha riguardato, fin dalla sua messa al bando, tutti i mezzi e tutte le strutture delle Forze armate»; ma anche che: «non è realistica, tuttavia, la prospettiva di una rimozione integrale della presenza di amianto, che, peraltro, possiamo trovare ancora in grandi quantità anche nelle fabbriche, negli edifici privati e pubblici e nell'ambiente» –:
   quali misure il Ministro della difesa abbia assunto a tutela dell'ambiente e del diritto alla salute del personale civile e militare della difesa sia nella loro attività operativa che manutentiva, in relazione alla necessità di predisporre aggiuntive azioni e misure di protezione per il personale della difesa così come annunciato dal Ministro competente il 20 ottobre 2013;
   se risulti, ai ministri interrogati per le rispettive competenze, che per le attività lavorative che comportano per i lavoratori, un'esposizione da amianto, sia stato redatto un documento di valutazione dei rischi al fine di stabilire la natura e il grado dell'esposizione e le misure preventive e protettive da attuare nonché il controllo dell'esposizione ai sensi del combinato disposto degli articoli 249 e 254 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 recante «Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro» ed in relazione all'osservanza delle linee guida ministeriali per il corretto smaltimento dell'amianto e dei materiali e rifiuti contenenti amianto. (5-01767)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la svolta investigativa sulla Cassa di Risparmio di Teramo (TERCAS) ha portato all'arresto dell'ex-direttore generale e a 19 indagati per associazione finalizzata all'ostacolo alla vigilanza e bancarotta;
   dalla stampa si ha notizia di un inquietante scenario di intrecci perversi con settori politici e dell'emittenza televisiva nazionale che avrebbero beneficiato di ingenti finanziamenti da parte di TERCAS –:
   ferma restando l'autonomia dell'organo di vigilanza sulle banche e della magistratura inquirente se non intenda fornire ogni elemento a disposizione sullo stato economico della TERCAS, recentemente acquisita da una banca pugliese, al fine di una doverosa informazione ai 500 dipendenti della TERCAS che rischiano il posto di lavoro. (3-00528)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BELLANOVA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto Svimez 2013 sull'economia del Mezzogiorno dice che «il deterioramento del quadro macroeconomico ha spinto le imprese a limitare i prestiti per investimenti, con conseguente peggioramento della qualità del credito, più marcato per le regioni meridionali. Al Centro-Nord infatti criteri più selettivi di valutazione del merito creditizio permettono alle banche maggiori possibilità di erogazione di finanziamenti». Ed inoltre «il Mezzogiorno ha subìto più del Centro-Nord le conseguenze della crisi, con una caduta forte del Pil e dell'occupazione, mentre le prospettive di ripresa sembrano lente e incerte. Si fa avanti un rischio concreto di consolidamento del calo dei consumi e della perdita dei posti di lavoro»;
   in questi giorni l'Osservatorio economico di Confartigianato imprese Lecce, analizzando i dati della Banca di Italia in merito all'andamento degli impieghi, lancia un allarme per ciò che riguarda la difficoltà nell'accesso al credito da parte delle micro, piccole e medie imprese salentine, motore trainante del tessuto industriale territoriale;
   in provincia di Lecce sembrerebbero continuare a diminuire i finanziamenti alle imprese in un momento storico caratterizzato da una forte crisi che ha investito il territorio salentino e che vede messa in gioco, purtroppo, la vita di tantissime imprese;
   si legge che «sul fronte del credito, in un solo anno, i prestiti sono crollati di ben 262,7 milioni di euro. Pari ad un tasso negativo del 6,7 per cento. A settembre 2012 ammontavano a 3 miliardi e 920 milioni, mentre un anno dopo si sono fermati a tre miliardi e 657 milioni»;
   lo studio puntualizza l'andamento dei diversi settori per ciò che concerne i cosiddetti prestiti «vivi». Emerge che il comparto dei servizi sia quello più penalizzato. Si parla infatti di -164 milioni, passando da due miliardi e 36 milioni a un miliardo e 872 milioni, pari ad un tasso negativo dell'8,1 per cento. La stessa percentuale sembrerebbe aver colpito anche il settore delle costruzioni, mentre per il manifatturiero il calo dei finanziamenti si attesta a -16 milioni, si passerebbe da 848 milioni a 831 milioni, pari al 2 per cento in meno;
   il rischio maggiore dinanzi a tutto questo per il territorio salentino è l'instaurarsi di una spirale che tende ad autoalimentarsi in modo preoccupante. La stretta creditizia ed il conseguente taglio ai prestiti per le micro, piccole e medie imprese salentine, oltre ad avere un effetto devastante sulle stesse, si riverberano, poi, pesantemente anche sulla vita occupazionale dei lavoratori determinandone una forte incertezza;
   pur non disconoscendo i problemi di capitalizzazione delle banche ed il conseguente aumento delle sofferenze, vale a dire degli inadempimenti da parte di quelle imprese che non riescono a restituire gli importi alle scadenze fissate, a parere dell'interrogante, per evitare la spirale di cui sopra, occorrerebbe mettere in campo misure idonee a concertare una soluzione tra le parti che preveda una modalità di aiuto e sostegno nei confronti di queste imprese –:
   quali iniziative si intendano adottare allo scopo di agevolare l'accesso al credito delle micro, piccole e medie imprese meridionali e salentine per evitare il rischio di una moria delle stesse e la conseguente perdita di altri posti di lavoro, in territori che a causa della crisi recessiva hanno già pagato un prezzo altissimo in termini di perdita di manodopera. (5-01765)

Interrogazione a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto direttoriale del 13 luglio 2009, come modificato ed integrato dal decreto direttoriale del 2 settembre 2010, obbliga i tabaccai concessionari del gioco del lotto ad installare presso i propri esercizi un dispositivo visivo attraverso il quale vengono visualizzati esclusivamente i numeri vincenti relativi alle estrazioni plurigiornaliere del 10eLotto, ossia quelle effettuate tutti i giorni ad intervalli di 5 minuti dalle 5.00 alle 24.00;
   i predetti apparati, installati dalla Lottomatica Group spa in qualità di concessionaria dello Stato per l'automazione e la gestione del lotto ai sensi del decreto ministeriale 17 marzo 1993 e successive integrazioni, non sono di proprietà dei ricevitori, bensì fanno parte della dotazione tecnologica loro assegnata per la raccolta del gioco;
   si tratta, in altri termini, di una periferica del terminale del gioco strumentale alla raccolta del gioco stesso che concorre alla definizione del gettito erariale consentendo ai giocatori di poter verificare tempestivamente se la giocata risulta o meno vincente;
   tali apparati fanno pertanto parte dell'equipaggiamento tecnico della ricevitoria previsto dalla concessione statale, unitamente al terminale di gioco ed alla stampante di servizio;
   peraltro i dispositivi installati nelle ricevitorie non sono nella disponibilità diretta dei tabaccai, in quanto vengono e devono essere utilizzati esclusivamente per la visualizzazione delle suddette estrazioni del 10eLotto, ogni diverso utilizzo è sottoposto a irrogazione di sanzioni e provvedimenti amministrativi da parte dei competenti uffici regionali dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, fino alla revoca della concessione stessa;
   si consideri inoltre che tutti gli elementi infrastrutturali della rete del gioco del lotto, compresi i suddetti monitor, godono del cosiddetto principio della «devoluzione» garantendo allo Stato di diventarne proprietario alla scadenza della concessione;
   l'utilizzo di tali monitor dedicati al 10eLotto è dunque atto unicamente a recare direttamente un servizio all'utenza ed indirettamente un servizio allo Stato per via della concessione;
   già da alcuni anni l'installazione di tali monitor per il 10eLotto ha attivato un procedura di riscossione del canone speciale Rai da parte della direzione dell'amministrazione abbonamenti RAI (Agenzia delle entrate e organi accertatori) per importi che variano dai 203 ai 407 euro annui, in base alla tipologia dell'esercizio;
   nel 2012 il gioco del lotto ha raggiunto una raccolta di 6,2 miliardi di euro garantita da oltre 32.000 punti vendita che, come noto, per l'ottenimento e/o rinnovo della concessione novennale corrispondono allo Stato una «una tantum» pari al 10 per cento dell'aggio;
   atteso che l'aggio medio della rete di vendita, pari all'8 per cento della raccolta del gioco, è all'incirca di 15.000 euro, possiamo facilmente desumere che annualmente per la concessione del lotto lo Stato esige mediamente 170 euro annui una tantum per singola ricevitoria;
   ci si trova pertanto dinanzi all'ennesimo paradosso per cui i tabaccai concessionari del gioco del lotto corrispondono allo Stato un importo di canone RAI notevolmente più alto, ovvero pari a più del doppio, rispetto a quello previsto per la gestione della concessione stessa;
   per effetto dell'incremento di tali contestazioni, numerosi ricevitori hanno deciso di disinstallare il monitor in loro dotazione, mettendo a disposizione i bollettini cartacei delle estrazioni, con evidente danno per la raccolta del gioco, in quanto i giocatori non riescono a fruirne correttamente, venendo a mancare un dispositivo così importante per la visualizzazione dei numeri vincenti;
   è del tutto evidente il conflitto che si sta creando — con le contestazioni per il pagamento del canone RAI — tra due diverse entrate erariali, a totale danno di quella più remunerativa per lo Stato, e cioè quella derivante dalla raccolta del 10eLotto, che ammonta a circa tre miliardi di euro, cioè poco meno del cinquanta per cento della raccolta totale del gioco del lotto;
   verosimilmente, se tutti i ricevitori optassero per una modalità di comunicazione immediata dei numeri estratti diversa dal visore, sempre nel rispetto della vigente regolamentazione, è ipotizzabile che il gettito derivante dalla raccolta del 10eLotto possa subire un decremento, venendo a mancare quell'elemento di suspence creato dalla diffusione del bollettino su un monitor che esercita certamente un'attrattiva diversa rispetto all'apposizione di un notiziario cartaceo al termine dell'estrazione;
   ulteriore paradosso è costituito dal fatto che l'importo annuale dell'abbonamento speciale richiesto dalla RAI varia in base alla tipologia di esercizio –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di escludere o esonerare i ricevitori del lotto dal pagamento del canone speciale in quanto meri detentori per conto dello Stato del predetto monitor dedicato al gioco del 10eLotto;
   quali iniziative intenda assumere per garantire che l'imposta colpisca strumenti realmente detenuti per la ricezione delle radioaudizioni e non sia applicata, invece, ai dispositivi che sono destinati ad altre funzioni come nella fattispecie rappresentata;
   quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di evitare l'assoggettamento a tassazione di strumenti la cui finalità è del tutto diversa da quelle dell'apparecchio televisivo allargando in modo sproporzionato ed irragionevole la base imponibile dell'imposta;
   se si intendano assumere iniziative per sospendere con sollecitudine gli effetti delle richieste di pagamento ai ricevitori detentori del monitor del 10eLotto;
   quale politica in materia il Governo intenda adottare affinché vengano modificate le norme che impongono il pagamento del canone televisivo, escludendo qualsiasi obbligo di corresponsione del canone speciale in relazione al possesso e o detenzione di apparecchi che fungono da meri strumenti di lavoro per le aziende.
(4-03016)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 1996 l'allora Governo Prodi dispose la chiusura del carcere di massima sicurezza di Pianosa perché, oltre alla sua grave antieconomicità, l'oramai ultra secolare vita della struttura penitenziaria era inadatta al fine primo del carcere ovvero una degna custodia del detenuto e il recupero del reo;
   dalla chiusura dell'istituto penale toscano sono state sempre ricorrenti da più parti, anche autorevoli, richieste di riapertura di Pianosa che puntualmente sono abortite per evidente antieconomicità ed illogicità del progetto;
   dal 1997 tutto il territorio dell'isola è stato inserito nel parco nazionale dell'arcipelago toscano e da allora si è cominciato a riconvertirne l'utilizzo verso la tutela ambientale ed il turismo sostenibile;
   nel 2010 la regione Toscana ha definitivamente approvato il «piano del parco» che sancisce e regolamenta per Pianosa le forme di utilizzo dell'isola: è stato stabilito proprio per la mancanza di strutture e per preservarne l'ecosistema anche in 250 il numero massimo di visitatori giornalieri;
   negli ultimi anni il parco ha lavorato per qualificare e diversificare l'offerta turistica. Nell'estate 2013 sono state collocate per la prima volta 5 boe per immersioni subacquee guidate che hanno registrato un grande successo e contribuito in un momento di difficoltà a dare ossigeno, nel rispetto dell'ambiente, alla micro economia locale;
   nell'isola, il cui mare è protetto dal parco nazionale ed è un sito di importanza comunitaria, non esistono peraltro impianti di depurazione e le falde acquifere. Al momento della dismissione del carcere risultavano compromesse sia dal cuneo salino, che era arrivato fino al cuore dell'isola, che da scarichi di olii esausti ed idrocarburi;
   nel giugno 2013 è stato sottoscritto un protocollo tra il comune di Campo nell'Elba, il provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria per la Toscana e l'ente parco dell'arcipelago toscano che prevedeva l'utilizzo temporaneo per ospitare detenuti per svolgere lavori sull'isola provenienti dal carcere di Porto Azzurro, del complesso denominato «Sembolello» che ne può ospitare meno di 40 –:
   se i Ministri interrogati intendano chiarire:
    se corrispondano al vero le notizie apparse sulla stampa in questi giorni che parlano di un accordo tra regione Toscana e il Ministero della giustizia per riportare sull'isola circa 100 detenuti oltre agli agenti di custodia e quindi alle relative famiglie, e se queste presenze siano compatibili con la vocazione di turismo ambientale che ormai gli atti di pianificazione hanno individuato per l'isola;
    se non si ritenga che, di fatto una presenza così consistente di detenuti, oltre agli agenti di custodia necessari, non configuri un'effettiva riapertura del carcere di Pianosa;
    se sia stato fatto un piano di valutazione economica di quanto costerebbe allo Stato una simile le riapertura, comparando i costi con analoghe strutture carcerarie;
    se non si ritenga utile coinvolgere nel predetto progetto di fruizione dell'isola di Pianosa il Parco nazionale dell'arcipelago toscano che cura la tutela di quel territorio;
    se i Ministri interrogati siano a conoscenza che, dal punto di vista dei servizi, l'isola è totalmente inadeguata ad ospitare tali numeri stabili per carenze nella rete fognaria e nella depurazione.
(4-03018)


   ALLASIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da notizie apparse sui quotidiani, qualche giorno fa nel carcere torinese «Lorusso e Cutugno» delle Vallette un assistente di polizia penitenziaria, Giuseppe Capitani, di 47 anni, ha sparato e ucciso l'ispettore Giampaolo Melis, 52 anni, nei locali del bar interno alla casa circondariale, e dopo aver rivolto l'arma verso di sé ferendosi gravemente alla gola, trasportato d'urgenza all'ospedale Maria Vittoria, è morto poco dopo l'arrivo al pronto soccorso;
   stando ad una prima ricostruzione dei fatti, l'assistente di polizia penitenziaria Capitani avrebbe sparato al suo superiore per timore di essere raggiunto da un provvedimento disciplinare, per motivi però che sono ancora da chiarire;
   pare che Giuseppe Capitani non avesse precedenti e secondo quanto riferito dai colleghi ai giornalisti, probabilmente era stressato poiché trascorreva buona parte della giornata in carcere, dove le condizioni di lavoro sono quotidianamente difficili, pericolose e stressanti, come conferma anche Donato Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria;
   sia Capitani che Melis non avevano problemi psichiatrici ma entrambi lavoravano nel carcere torinese in condizioni massacranti, dovute anche al sovraffollamento e alla carenza di organico tra le fila della polizia penitenziaria che mettono sotto pressione gli agenti;
   Leo Beneducci, segretario generale dell'Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria, ha affermato sui quotidiani che: «Sono mesi e mesi che come Sindacato denunciamo le violenze, le precarie condizioni igieniche e le gravi tensioni tra il personale nella Casa Circondariale Lorusso Cutugno di Torino, ma tutto è stato inutile fino alle morti odierne. Adesso diranno che certe cose accadono per fatti personali, ma non è così, perché la principale responsabilità del disastro penitenziario è di un'Amministrazione del tutto inutile, gestita da un vertice altrettanto inutile che fa capo a un Ministro utile solo a sé stessa, e che, mentre i Poliziotti Penitenziari stavano protestando ieri a Milano, si è rifiutata di incontrarli sostenendo che i suoi sindacati li incontra a Roma»;
   la tragedia consumatasi nel carcere torinese e il problema del sovrappopolamento carcerario, dopo ben tre provvedimenti svuotacarceri degli ultimi due anni, conferma che non possono essere, rispettivamente, evitati o risolti mediante altri provvedimenti emergenziali e temporanei, quali l'indulto o altri provvedimenti premiali per i detenuti, bensì ormai è necessaria una seria politica carceraria di implementazione delle strutture detentive e del personale addetto, nonché di rimpatrio dei detenuti stranieri –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto avvenuto nella casa circondariale Lorusso Cutugno di Torino;
   quali siano i suoi intendimenti con riguardo alle condizioni di lavoro degli agenti che qui operano quotidianamente;
   se non ritenga opportuno, rispetto a provvedimenti premiali nei confronti dei detenuti e condannati, procedere quanto prima all'avvio degli accordi con i Paesi di origine dei detenuti stranieri per il loro rimpatrio e alla realizzazione definitiva del piano carceri;
   se corrisponda al vero che il Ministro interrogato non abbia voluto incontrare a Milano i rappresentanti della polizia penitenziaria e i motivi. (4-03032)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   DE LORENZIS, MANNINO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, BECHIS, TERZONI e LOREFICE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   martedì 10 e mercoledì 11 dicembre 2013 la «Home Page» del sito di Posta certificata elettronica (PEC) www.postacertificata.gov.it, dal quale i cittadini possono controllare e inviare comunicazioni certificate da/per le pubbliche amministrazioni, è risultato inutilizzabile;
   nella parte centrale della pagina del sito su menzionato, è attualmente visibile una piccola immagine di una ragazza sorridente e con una scritta si comunica che «il sito è momentaneamente indisponibile, ci scusiamo per il disagio, grazie», tuttavia senza indicare fino a quando ci sarebbe stato il disservizio;
   il servizio è svolto in concessione da Poste italiane, Telecom Italia e Postecom spa;
   il servizio di PEC rappresenta, così come descritto dalla stessa home page del sito sopra menzionato, «la comunicazione sicura tra cittadino e Pubblica Amministrazione» in quanto le pubbliche amministrazioni sono tenute ad utilizzare la posta elettronica certificata per ogni scambio di documenti e informazioni con tutti i soggetti interessati (imprese, professionisti, cittadini) e il valore legale della comunicazione via Posta elettronica certificata equivale a quello di un invio effettuato tramite raccomandata AR;
   le amministrazioni hanno la facoltà di usare la Posta elettronica certificata per tutte le comunicazioni nei confronti dei soggetti interessati, così come stabilito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 maggio 2009;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 maggio 2009 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 25 maggio 2009, n. 119) dà attuazione all'articolo 16-bis, «Misure di semplificazione per le famiglie e per le imprese», del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 dove si stabilisce al comma 5 che «Per favorire la realizzazione degli obiettivi di massima diffusione delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni, previsti dal codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ai cittadini che ne fanno richiesta è attribuita una casella di posta elettronica certificata. L'utilizzo della posta elettronica certificata avviene ai sensi degli articoli 6 e 48 del citato codice di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005, con effetto equivalente, ove necessario, alla notificazione per mezzo della posta. Le comunicazioni che transitano per la predetta casella di posta elettronica certificata sono senza oneri»;
   i commi 1 e 2 dell'articolo 48 (Posta elettronica certificata) del decreto legislativo n. 82 del 2005 sanciscono che «La trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, o mediante altre soluzioni tecnologiche individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito DigitPA» e al comma 2 «La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta»;
   l'utilizzo del servizio di PEC rappresenta una ottima soluzione per le comunicazioni certificate che la cittadinanza effettua nei confronti delle PA, con grande risparmio di tempo e denaro, ed esso è anche un ottimo servizio che riesce ad avvicinare la cittadinanza alle amministrazioni e viceversa –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tali disservizi nei confronti dei cittadini e quali provvedimenti intende adottare per non lasciare più la cittadinanza in condizioni analoghe e sprovvista di un servizio fondamentale per la comunicazione con le pubbliche amministrazioni;
   quali siano i dipartimenti all'interno del Ministero/Ministeri che si occupa/occupano di tale servizio, chi sono e quali competenze posseggono le persone all'interno del/dei dipartimento/dipartimenti che dovrebbero garantire lo svolgimento corretto del servizio di PEQ;
   quali responsabilità siano riconducibili alle aziende Poste italiane, Telecom Italia e Postecom Spa, e quali provvedimenti siano stati presi per individuare eventuali altre responsabilità e quali provvedimenti siano stati presi per sanzionare i responsabili di tali disservizi. (4-03024)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   COSTANTINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che
   nella piana di Sibari – come ogni anno – arrivano migliaia di lavoratori dell'est per raccogliere gli agrumi a salari molto bassi, creando tensioni sia con migranti residenti che con i cittadini del luogo;
   come si apprende dal sito terrelibere.org, le drammatiche condizioni abitative, il doppio sfruttamento sessuale e lavorativo che colpisce le donne, i fenomeni di caporalato sono allarmanti; non essendoci concentrazioni «visibili», la realtà dei migranti rimane nascosta e sottovalutata, a differenza di quanto accade nella vicina Rosarno;
   le clementine che provengono da questo distretto vengono vendute al circuito della grande distribuzione in Italia e all'estero e costituiscono il 50 per cento della produzione italiana, che però si regge sul grave sfruttamento di migliaia di persone;
   in tutta la zona crescono i fenomeni di violenza contro le donne, in particolare migranti;
   la tensione tra italiani e stranieri cresce anche dopo le inchieste della magistratura sui «falsi braccianti», che stanno rompendo il fragile equilibrio tra locali che percepiscono indennità Inps spesso non legittime e stranieri che lavorano nei campi in nero;
   lo scorso ottobre alcuni automezzi andarono a fuoco nella piazza principale del paese, proprio sotto il castello che domina il paese; secondo una ipotesi erano i mezzi dei caporali; in un comune già sciolto per ’ndrangheta, nessuno compie in autonomia un atto del genere in pieno centro;
   lo scorso agosto il cadavere di un albanese fu ritrovato nella spiaggia di Schiavonea; l'ipotesi è un regolamento di conti nell'ambito del controllo della prostituzione;
   ad aprile il cadavere di Fiorentina Boaru, 19 anni, è stato ritrovato in un sacco nero; era il più grave degli episodi di violenza che colpiscono le donne straniere ma anche quelle italiane, come dimostra il caso della quindicenne Fabiana Luzzi –:
   quali provvedimenti intenda adottare per affermare il rispetto delle regole, in particolare sindacali, nella piana di Sibari.
(3-00529)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale Centro di primo soccorso e accoglienza della Sardegna, nato come Centro di accoglienza temporanea, è ospitato in una palazzina dell'Aeronautica militare, all'interno della zona aeroportuale di Elmas/Cagliari;
   nel corso degli anni si sono più volte verificate fughe degli ospiti, con l'immediata conseguente chiusura della pista dello scalo;
   il giorno 18 dicembre, a seguito dell'allontanamento di una quarantina di eritrei destinati alla struttura, l'aeroporto è stato chiuso per quattro ore, con gravi ritardi per i voli da e per Elmas, con disagi per i numerosi passeggeri in attesa di prendere l'aereo;
   come constatato nel mese di settembre 2013 nel corso di una visita, la struttura del Centro di primo soccorso e accoglienza non è assolutamente idonea ad ospitare i duecento richiedenti asilo attualmente residenti nel Centro;
   come annunciato dai vertici della prefettura di Cagliari, la zona dell'aeroporto deve comunque essere abbandonata, a causa della dismissione della palazzina da parte dell'Aeronautica;
   in tutti i casi un centro di accoglienza non può essere ospitato in una zona comunicante e a stretto contatto con un aeroporto civile –:
   se sia stata individuata altra sede per il Centro di primo soccorso e accoglienza;
   se non si ritenga urgente provvedere al trasferimento del centro in altro sito maggiormente idoneo, al fine di evitare ulteriori e certi disagi per i fruitori e gli operatori dell'aeroporto civile di Cagliari-Elmas (principale scalo aeroportuale sardo) e, nel contempo, per dare ai migranti ospitati uno spazio più accogliente e adatto alla permanenza per periodi molto più lunghi di quanto previsto dalle relative norme (5-01768)

Interrogazione a risposta scritta:


   MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, DEL GROSSO, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA, SPADONI e TACCONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 17 dicembre 2013 un servizio del TG2 ha mostrato alcune immagini relative al Centro di accoglienza e di primo soccorso di Lampedusa;
   si tratta di immagini sconcertanti in cui gli ospiti in fila e nudi, vengono sottoposti a una «doccia» di disinfestazione, mediante spruzzatori, che avrebbe dovuto preservarli da eventuali malattie infettive come la scabbia;
   non risulta essere stata rilevata, in nessuno dei presenti, alcuna traccia di infezione da scabbia;
   la disinvoltura e la naturalezza con le quali gli operatori del centro agiscono, lasciano presupporre che questo trattamento «da lager» sia già divenuto, da tempo, una prassi del centro di accoglienza;
   quest'ultimo, come spiegano i funzionari Onu che si occupano di rifugiati, ha la mera funzione di «fornire un primo supporto ai migranti e richiedenti asilo soccorsi in mare in attesa del loro rapido trasferimento, entro 48 ore al massimo, verso appositi centri dislocati su tutto il territorio nazionale» dove i loro casi verranno presi in esame;
   tra gli ospiti «disinfettati» vi sono uomini e donne di nazionalità eritrea, ghanese, siriana, kurda, e, pare, anche alcuni sopravvissuti dei naufraghi della più grave, recente tragedia accaduta nel Mediterraneo che ha causato la morte di più di 300 migranti –:
   come intenda intervenire per porre fine a questa vergognosa violazione dei diritti umani inaccettabile per un Paese civile come il nostro;
   quali misure intenda adottare al fine di migliorare gli standard di accoglienza nel centro di Lampedusa per tutti coloro che, costretti alla fuga da guerre e persecuzioni, giungono sul nostro territorio in cerca di protezione;
   come intenda agire per risolvere il problema del sovraffollamento del centro che, di fatto, blocca i lavori di ampliamento dello stesso. (4-03029)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   L'ABBATE, LOREFICE, MANNINO, GAGNARLI, BECHIS, DE LORENZIS e SCAGLIUSI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto disposto dall'articolo 21, comma 2-bis, della legge 8 novembre 2013, n. 128, che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, l'articolo 20 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, viene così modificato: «Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, da emanare entro il 31.03.2014, la durata dei corsi di formazione specialistica viene ridotta rispetto a quanto previsto nel decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 01.08.2005, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 258 del 05.11.2005, con l'osservanza dei limiti minimi previsti dalla normativa europea in materia, riorganizzando altresì le classi e le tipologie di corsi di specializzazione medica»;
   the Section and Board of Anaesthesiology dell'UEMS (European union of medical specialist) consapevole della direttiva europea sul riconoscimento delle qualifiche professionali (direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo) in cui si afferma, nell'allegato 5, che il periodo minimo di formazione per anestesiologia è di tre anni, ricorda come (nel medesimo allegato alla sezione 2, articolo 25) la direttiva afferma che la durata minima della formazione andrebbe modificata per adeguarla al progresso scientifico e tecnico. Con soli tre anni di specializzazione, infatti, questi medici, anche se soddisfano i requisiti minimi per essere iscritti come «specialisti» in un altro Paese dell'Unione Europea, avranno grandi difficoltà a partecipare al mercato del lavoro europeo. Il consenso unanime tra gli anestesisti in Europa prevede che la durata della formazione specialistica debba essere di almeno cinque anni in anestesiologia per acquisire le necessarie competenze in materia (Union Européenne des Médecins Spécialistes – European Union of Medicai Specialists, Section and Board of Anaesthesiology, President Dr. Jannicke Mellin-Olsen, Haslum 26.05.2010);
   infatti, dal 2008 il core curriculum «Anaesthesiology, Pain and Intensive Care Medicine» deliberato dall'EBA per l’Union européenne des médecins spécialistes (UEMS), sottoscritto e pubblicato dall’European society of anaesthesiology (ESA) (Ref. Eur J Anaesthesiol 20008 Jul;25(7):528-30) stabilisce chiaramente che «il tempo di formazione totale di uno specialista dura minimo di 5 anni, alla luce delle ampliate competenze richieste al giorno d'oggi, di cui almeno un anno può essere specificamente indirizzato alla formazione della cosiddetta terapia intensiva»;
   già in sede di conversione del decreto-legge è stato inviato da tutte le associazioni italiane di anestesisti, rianimatori e intensivisti nonché firmato dai maggiori esperti nel campo in Italia un position statement che affermava che «la denominazione usata nella direttiva risulti essere «Anestesia», denominazione comune a tutti i Paesi europei, ma oggi non considerata sufficiente. Infatti, la specializzazione in «Anestesia, Rianimazione e Terapia Intensiva» comprende: anestesia, medicina dell'emergenza, medicina perioperatoria, terapia intensiva e terapia del dolore. Tutto ciò è incompatibile con soli 4 (o addirittura 3) anni di corso di specializzazione. [...] Il Diploma di specializzazione in anestesia, rianimazione e terapia intensiva» se ridotto ulteriormente «non sarebbe più riconosciuto a livello europeo, in quanto non in linea con le raccomandazioni EBA/UEMS. La conseguenza sarebbe la non possibilità di libera circolazione a livello europeo degli Specialisti Italiani in Anestesia, Rianimazione e Terapia Intensiva, contrario alle norme di Diritto Europeo del Lavoro». La riduzione a 4 anni del corso di specializzazione in «Anestesia, Rianimazione e Terapia Intensiva» proposta con l'emendamento Crimì, infatti, «renderebbe problematico se non impossibile, abilitare i futuri specialisti nel prossimo futuro a lavorare in Terapia Intensiva, secondo le normative europee [...] La normativa nazionale in tema di terapia del dolore e cure palliative (legge n. 38 del 2010) definisce chiaramente le competenze da acquisire per lo Specialista della disciplina, unica a comprendere le basi utili alla formazione per questo settore clinico, così importante, ma ancora così poco sviluppato nel nostro Paese»;
   gli ordinamenti didattici delle specializzazioni degli altri Stati dell'Unione europea prevedono un percorso formativo più lungo, ad esempio Belgio 5 anni, Regno Unito 7 anni, Polonia 6;
   come riportato, ad esempio, sia dal «Bando di Concorso per l'ammissione dei laureati in Medicina e Chirurgia alle scuole di specializzazione mediche 2011-2012 – Università degli Studi di Bari», sia dal «Bando di Concorso per l'ammissione dei laureati in Medicina e Chirurgia alle scuole di specializzazione mediche 2012-2013 – Università degli Studi di Bari», alla «durata legale del corso» riportano la dicitura «5 anni» per il corso di anestesia, rianimazione e terapia intensiva;
   con l'approvazione dell'articolo 21, comma 2-bis, della legge 8 novembre 2013, n. 128, per quel che concerne la specializzazione in «Anestesia, rianimazione e terapia intensiva» si prevedono, nel 2016, ben 1144 specialisti che entreranno contemporaneamente sul mercato del lavoro chi (550) con un titolo quadriennale, chi (594) con un titolo quinquennale;
   attualmente il mercato del lavoro nell'ambito della sanità in Italia è talmente bloccato che non riesce ad assorbire il numero di specialisti che le scuole licenziano ogni anno in anestesia, rianimazione e terapia intensiva e nel 2016 metà di questi non saranno in grado di poter far valere il proprio titolo neppure all'estero per le motivazioni esposte in precedenza;
   il decreto ministeriale 1o agosto 2005 «Riassetto Scuole di Specializzazione di Area Sanitaria» afferma all'articolo 2, comma 2, che «Per il conseguimento del Titolo di Specialista nelle tipologie di corsi di specializzazione compresi nelle classi area medica, chirurgica e dei servizi clinici lo specialista in formazione deve acquisire 300 CFU complessivi, articolati in 5 anni di corso (o 360 CFU per i percorsi formativi delle Scuole articolate in 6 anni di corso). Per ciascuna tipologia di Scuola è indicato il profilo specialistico e sono identificati gli obiettivi formativi ed i relativi percorsi didattici funzionali al conseguimento delle necessarie conoscenze culturali ed abilità professionali». Il suddetto decreto ministeriale ha aumentato gli anni dei corsi di specializzazione per tenere conto delle normative europee e del decreto ministeriale n. 270 del 2004 che, all'articolo 3, comma 7, dichiara che «il corso di specializzazione ha l'obiettivo di fornire allo studente conoscenze e abilità per funzioni richieste nell'esercizio di particolari attività professionali e può essere istituito esclusivamente in applicazione di specifiche norme di legge e di direttive dell'Unione europea»;
   in premessa al suddetto decreto ministeriale 1o agosto 2005, infatti, veniva riportato che «tenuto conto che il decreto ministeriale 270/2004 stabilisce all'articolo 3, comma 7, che possono essere istituiti corsi di specializzazione esclusivamente in applicazione di direttive europee o di specifiche norme di legge; considerata l'esigenza di provvedere al riassetto delle scuole di specializzazione dell'area sanitaria nel quadro della disciplina generale degli studi universitari recata dal decreto ministeriale n. 270/2004; visti i pareri del Consiglio Universitario Nazionale (CUN), resi nelle adunanze del 17.12.2003, 13.04.2005 e 06.07.2005; visto il parere del Consiglio Superiore di Sanità del Ministero della Salute, espresso in data 16.02.2005; viste le note prot. N. 3097 del 27.05.2005 e prot. N. 3060 del 06.06.2005 con le quali sono stati richiesti i pareri degli ordini professionali interessati; visto il parere della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri espresso in data 28.06.2005; considerata la necessità di adeguare gli ordinamenti didattici delle Scuole di specializzazione dell'area sanitaria al quadro della riforma generale degli studi universitari, di cui al citato decreto ministeriale 270/2004; considerata la necessità di individuare gli obiettivi formativi delle citate Scuole di specializzazione in adeguamento a quanto previsto all'articolo 34 e seguenti del D.Lgs 368/1999; considerata l'opportunità di consentire una razionalizzazione complessiva dell'offerta formativa in stretta connessione con le esigenze del Servizio Sanitario Nazionale; ritenuta altresì la necessità di raccogliere in un unico provvedimento gli ordinamenti didattici delle Scuole di specializzazione mediche a normativa CEE e per le esigenze del Servizio Sanitario Nazionale finalizzandoli al conseguimento di una piena e autonoma capacità professionale dello specializzando, fondata su una solida base scientifica» –:
   se i Ministri interrogati, alla luce di ciò esposto in premessa, intendano valutare l'esclusione della specializzazione in «anestesia, rianimazione e terapia intensiva», dal riassetto delle scuole di specializzazione con relativa riduzione degli anni di corso, da sancire tramite decreto interministeriale entro il 31 marzo 2014 come introdotto con l'articolo 21, comma 2-bis, della legge 8 novembre 2013, n. 128.
(5-01774)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DISTASO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   al 31 dicembre 2010 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per la pulizia e le attività di ausiliariato di circa 4.000 istituti scolastici su tutto il territorio nazionale, affidava annualmente circa 554.000.000 euro (iva inclusa), così suddivisi: 360.000.000 euro per gli appalti cosiddetti ex LSU con impiegati circa 12.000 lavoratori a 35 ore settimanali; 194.000.000 euro per gli appalti cosiddetti storici con impiegati circa 10.000 lavoratori a 15 ore settimanali;
   il 1o gennaio 2011 il Ministero ha effettuato un taglio medio annuo su tutto il territorio nazionale del 17 per cento, con punte in alcuni territori al 25 per cento, sulla spesa per gli appalti storici, portando le risorse da 194.000.000 a 160.000.000 euro;
   è importante evidenziare come il taglio economico non comportò alcun licenziamento dei circa 10.000 lavoratori impiegati, in quanto beneficiarono della cassa integrazione in deroga, quindi con nessun recupero economico per le casse dello Stato, in quanto la spesa dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca passò al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Attualmente la situazione è la medesima;
   il 14 giugno 2011, con un accordo sottoscritto presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali tra il Ministero stesso, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, le principali organizzazioni sindacali e i consorzi aggiudicatari delle gare di appalto che impiegavano lavoratori ex LSU, i 360.000.000 euro della spesa storica furono ridotti a 243.000.000. Anche in questo caso non si effettuò alcuna riduzione del personale con l'utilizzo degli ammortizzatori sociali;
   la spesa attuale sostenuta dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per i servizi di pulizia e le attività di ausiliariato è quindi complessivamente di 403.000.000 euro a fronte degli iniziali 554.000.000 (pari a un calo del 27 per cento) con una situazione reddituale dei lavoratori pressoché invariata grazie all'utilizzo degli ammortizzatori sociali;
   in relazione all'anno 2014, il Ministero ha dichiarato che la disponibilità economica che attualmente permette di eseguire servizi svolti con l'impiego di 22.000 lavoratori, sarà ridotta con una disponibilità che permetterà di mantenere il posto a 11.594 persone (collaboratori scolastici mancanti), quantificando il costo di ognuna in 23.581 euro (come si desume da una nota esplicativa all'articolo 58 del decreto-legge n. 69 del 2013), con una previsione di spesa annua da investire tramite la gara Consip pari a 273.400.000 euro iva inclusa (con un calo del 50,6 per cento rispetto ai 554.000.000 euro del 2010). Inoltre nell'ipotesi del Ministero di riduzione della spesa annua da 554 milioni di euro a 273 milioni, ovvero da 22.000 lavoratori a 11.600 posti di lavoro nel caso in cui il valore del 22 per cento dell'iva sia incluso nell'importo affidato, la riduzione dei posti di lavoro sarà ridotta della stessa percentuale;
   in previsione dell'aggiudicazione definitiva delle gare di appalto in ambito nazionale inerenti ai servizi di pulizia nelle scuole, la riduzione sistematica delle risorse messe a disposizione da parte del Ministero sin dal 2011 ha delineato uno scenario di contenimento della problematica legata agli LSU solo grazie al sostegno degli ammortizzatori sociali;
   le previsioni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, solo per quanto attiene all'anno 2013, evidenzierebbero un deficit di 330 milioni di euro a fronte di un costo complessivo della cassa integrazione guadagni in deroga, secondi stime del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, pari a 3 miliardi di euro all'anno;
   si palesa come molto grave la problematica degli esuberi degli ex LSU legati al settore delle pulizie, dal momento che lo sconto in base di gara Consip non è stato applicato in base alla riduzione del personale bensì effettuato sul costo dei servizi –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano mettere in atto al fine di prevenire eventuali procedure di licenziamento e/o di richieste di cassa integrazione, anche alla luce di possibili mancanze di copertura finanziaria per ammortizzatori sociali visto il numero imprecisato, ma certamente considerevole, di lavoratori coinvolti;
   quali siano le previste modalità di intervento al fine di evitare il determinarsi di un contenzioso tra aziende, lavoratori e Stato;
   se non sia auspicabile l'allargamento alle scuole non statali su cui hanno competenza gli enti locali delle convenzioni Consip così da garantire nuovi contratti per dislocare i lavoratori in esubero;
   se sia ipotizzabile il ricorso, in deroga alle attuali disposizioni in materia pensionistica, alla normativa ante «riforma Fornero» (di cui al decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011), così da consentire, limitatamente a questi lavoratori, procedure di gradualizzazione del pensionamento anticipato. (4-03019)


   L'ABBATE, MANNINO, BECHIS, TERZONI, DE LORENZIS, SCAGLIUSI, MASSIMILIANO BERNINI e LOREFICE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi della normativa vigente le università italiane non hanno la facoltà di procedere ad assunzioni di personale se hanno superato il valore del 90 per cento nel rapporto tra spese fisse per il personale di ruolo e il Fondo di funzionamento ordinario – disciplina prevista dall'articolo 1, comma 1, decreto-legge n. 180 del 2008, convertito in legge n. 1 del 2009;
   a causa del venir meno del succitato vincolo, nel triennio 2010-2012 l'università degli studi di Bari «Aldo Moro» non ha dato seguito alle chiamate delle facoltà di ricercatori e professori idonei a seguito di valutazioni comparative bandite dalla stessa università o da altri atenei;
   il Decreto interministeriale 28 dicembre 2012, concernente il «Piano straordinario 2012-2013 per la chiamata di professori di seconda fascia», ha assegnato all'università di Bari la quota pari a 22,70 punti organico (P.O.) per l'anno 2012 e di una quota parte pari a 0,90 per l'anno 2013 sulla base dei criteri di utilizzo delle somme assegnate, pari a 15 milioni di euro per l'anno 2012 e di 90 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013, relativi al piano straordinario 2012, per la chiamata di professori di II fascia, nonché dell'importo di ulteriori 5 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014 relativi al piano straordinario 2013, per la chiamata di professori di II fascia;
   il Senato accademico e il Consiglio di amministrazione dell'università di Bari nelle sedute del 5 febbraio 2013 e 8 febbraio 2013, rispettivamente, hanno condiviso l'esigenza che il piano triennale 2013-2015 per la programmazione del reclutamento del personale, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 49 del 2012, debba considerare quale parte integrante, relativamente alla componente docente, i chiamati su posti di professori di seconda fascia, in valutazioni comparative bandite dall'Ateneo barese, nonché degli idonei per il ruolo di seconda fascia su valutazioni bandite da altri atenei, già deliberate dai consigli di facoltà;
   gli stessi organi dell'università di Bari nelle suddette sedute hanno riaffermato il principio, di cui alle proprie delibere del 13 novembre 2012 e del 20 novembre 2012, ossia l'impegno prioritario dell'università di Bari, non appena avrà la disponibilità di punti organico, a completare le procedure relative alle assunzioni dei vincitori di procedure di valutazione comparativa per posti di professore di prima e seconda fascia bandite dall'università di Bari, di idonei in procedure di valutazione comparativa bandite da altri atenei per i quali siano state deliberate le proposte di chiamata da parte delle rispettive facoltà;
   l'università di Bari ha ritenuto opportuno che le risorse disponibili per il personale docente fossero distribuite sulla base delle esigenze di didattica e di ricerca, rappresentate dai dipartimenti, da conciliare con le aspirazioni di progressione di carriera e tenendo conto della parte di programmazione costituita dalle chiamate già deliberate dalle facoltà;
   l'università di Bari, con la delibera del consiglio di amministrazione dell'8 febbraio 2013, ha proceduto all'assunzione, per chiamata diretta, di 37 chiamati/idonei nel ruolo di professore di seconda fascia mediante utilizzo dei punti organico assegnati dal piano straordinario 2012-2013 per la chiamata di professori di seconda fascia;
   in data 1o marzo 2013 hanno preso servizio come professori di seconda fascia 33 dei 37 ricercatori individuati dal consiglio di amministrazione dell'università di Bari, mentre gli altri quattro ricercatori non hanno potuto prendere servizio perché la loro idoneità, stando a quanto riferito dai competenti uffici del MIUR, risulta essere scaduta;
   i quattro ricercatori idonei per il ruolo di seconda fascia sono stati esclusi dalla presa di servizio come professori di seconda fascia perché, pur essendo stati chiamati dalle rispettive facoltà (due di loro nel novembre 2009 e con successiva deliberazione del Senato accademico), hanno conseguito l'idoneità a ricoprire il nuovo ruolo più di 5 anni prima del provvedimento deliberato da ultimo dal consiglio di amministrazione dell'università di Bari l'8 febbraio 2013;
   due dei quattro ricercatori, appartenenti alla ex facoltà di agraria dell'università degli studi di Bari «Aldo Moro», sono stati chiamati come professori associati da parte del Consiglio di facoltà il 9 dicembre 2009;
   il 22 dicembre 2009 il Senato accademico dell'università di Bari ha approvato la presa di servizio come professori associati dei suddetti ricercatori chiamati dalla facoltà di agraria;
   nel 2010 è avvenuto il blocco delle assunzioni di personale per le università che hanno superato il valore del 90 per cento nel rapporto tra spese fisse per il personale di ruolo e il Fondo di funzionamento ordinario (articolo 1, comma 1, decreto-legge n. 180 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 1 del 2009);
   di fatto, per le cosiddette università «non virtuose» – quelle che hanno superato il valore del 90 per cento nel rapporto tra spese fisse per il personale di ruolo e il Fondo di funzionamento ordinario e tra queste l'università di Bari – il decreto-legge n. 180 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 1 del 2009 ha omesso la previsione di una sospensione della durata dell'efficacia delle idoneità conseguite nei concorsi di professore universitario, per tutto il tempo in cui opera il divieto di assunzione, penalizzando le aspirazioni di progressione di carriera di ricercatori risultati idonei in procedure di valutazione comparativa per posti di professore di seconda fascia, che non hanno alcuna colpa del fatto che la loro università sia risultata «non virtuosa» –:
   se il Ministero interrogato ritenga che alla luce della citata normativa il termine di durata dell'idoneità sia decorso nonostante l'avvenuta chiamata dell'idoneo da parte di una facoltà o dipartimento universitario, posto che appare sproporzionato, irragionevole e in contrasto con il principio di buon andamento dell'amministrazione, che il termine di durata dell'idoneità decorre durante il periodo in cui opera il divieto di assunzione, sicché il divieto di assunzione imposto alle università si traduce anche in una perdita definitiva, per gli idonei, della chance di assunzione, tutte le volte in cui le università non rientrino nei parametri di legge durante il periodo di validità dell'idoneità;
   se il Ministro interrogato intenda, nell'ambito delle proprie funzioni, assumere iniziative in relazione a quanto descritto in premessa ed affinché in futuro non abbiano a verificarsi situazioni di questo genere. (4-03028)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BALDASSARRE, BECHIS, ROSTELLATO, RIZZETTO, CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dalla relazione annuale della Corte dei conti su «Determinazione e relazione della Sezione del Controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2012», depositata in data 27 novembre 2013, emergono notevoli criticità;
   a pagina 8 della suddetta relazione si legge: «nell'azione esercitata in rappresentanza unitaria dell'Istituto, il Presidente abbia operato in taluni casi – anche rilevanti – in carenza del previsto apporto propositivo dell'organo preposto alla tecnostruttura, in anticipo rispetto agli indirizzi del CIV e in assenza della previa disamina nell'apposita riunione di lavoro»;
   a pagina 10 della suddetta relazione si legge: «rimarcando l'esigenza non solo di evitare eccessive concentrazioni di potere, ma di promuovere la massima trasparenza delle decisioni assunte» e altresì «vanno comunque segnalate nuovamente le anomalie connesse alla permanenza di incarichi ricoperti mediante autodesignazioni – connesse anche all'assenza di un organo collegiale di amministrazione – e di scelte operate in via autonoma e diretta e non sempre rispondenti al criterio preferenziale della selezione interna, a presidio degli interessi dell'Ente»;
   a pagina 17 della suddetta relazione si legge: «In ordine al Presidente dell'istituto, deve peraltro ancora essere segnalata la ingiustificata e perdurante assenza del provvedimento di determinazione delle indennità – previsto dal decreto-legge 78/2010 – e la confermata attribuzione transitoria della precedente misura di 115.524 euro annui, maggiorata del 50% per i compiti sostitutivi del CdA»;
   a pagina 151 della suddetta relazione si legge: «Quanto ai compiti del Presidente, la Corte ribadisce l'esigenza non solo di evitare eccessive concentrazioni di potere, ma di garantire la massima trasparenza delle decisioni assunte, nel rispetto delle norme primarie sui controlli interni ed esterni. In proposito resta ancora insoddisfatta la più volte sottolineata richiesta di una revisione del regolamento di autodisciplina, soprattutto per una migliore definizione delle sequenze procedimentali, oltre che per l'integrazione delle materie più importanti, quali ad esempio gli incarichi dirigenziali esterni e le designazioni negli organi delle società partecipate. Per queste ultime, vanno nuovamente segnalate le anomalie connesse alla permanenza di incarichi nelle società e nei fondi immobiliari partecipati ricoperti mediante autodesignazione – dovute alla mancanza di un organo collegiale di amministrazione – e le scelte operate direttamente e non sempre allineate al criterio della rappresentanza interna, a migliore tutela delle finalità e degli interessi dell'Ente» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suddetti e, per quanto di propria competenza, quali interventi intendano intraprendere al fine di sopperire alle criticità denunciate nella relazione della Corte dei conti;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover valutare con più attenzione la situazione dell'attuale presidente dell'INPS Antonio Mastrapasqua, che lo vede ricoprire incarichi anche nelle società e nei fondi immobiliari partecipati – ricoperti mediante autodesignazione – al fine di scongiurare eventuali possibili conflitti di interessi nello svolgimento del delicato e importante incarico assegnato allo stesso. (5-01771)


   BALDASSARRE, BECHIS, ROSTELLATO, RIZZETTO, CIPRINI, MUCCI, TRIPIEDI, COMINARDI e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dalla relazione annuale della Corte dei conti su «Determinazione e relazione della Sezione del Controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2012», depositata in data 27 novembre 2013, emergono notevoli criticità;
   a pagina 119 della suddetta relazione, in merito al famoso «Buco INPS» successivo alla soppressione e incorporazione di INPDAP e ENPALS, si legge: «Il parallelo effetto congiunto sul conto economico del differenziale negativo tra contributi e prestazioni .... determina una rapida erosione del netto patrimoniale complessivo ...» e altresì, si legge: «I principali fattori di allarmi sono pertanto costituiti oltre che dal segnalato differenziale negativo negli aumenti dei contributi e delle prestazioni ... dalla natura degli apporti statali, che salgono da 2,6 a 12 mld, ma a titolo di anticipazioni, con effetti di parallela dilatazione dell'indebitamento»;
   a pagina 119 della suddetta relazione, si legge inoltre: «Resta fermo che l'eventuale mancata copertura degli squilibri strutturali tra contributi e prestazioni soprattutto nelle principali gestioni – presenti, come già rilevato, sia nel settore dei lavoratori privati che in quello dei lavoratori pubblici – attraverso apporti statali a titolo di trasferimenti può portare, nel breve periodo, al dissesto dei conti generali dell'Istituto»;
   a pagina 148 della suddetta relazione si legge: «...equilibrio economico, che evidenzia un disavanzo ormai attestato ad oltre 9 mld di euro ...»;
   a pagina 149 della suddetta relazione si leggono parole che a parere degli interroganti sono a dir poco allarmanti: «Il risultato d'esercizio, che si allontana sempre più dai saldi positivi del 2008, causa una conseguente erosione del netto patrimoniale, che consente margini attivi per poco più di un esercizio.» e inoltre: «... impongono altresì una particolare attenzione per una profonda riconsiderazione sulle reali consistenze delle riserve legali ...» e infine: «Rimane pertanto sicuro fattore di riequilibrio solo l'intervento statale ...»;
   a pagina 155 della suddetta relazione si legge: «Le prestazioni aumentano di 76,1 mld di euro, sino all'ammontare di 295,7 mld, di cui 261,5 mld per rate di pensione e connessi trattamenti di famiglia e 34,2 mld per prestazioni temporanee; il notevole incremento è principalmente imputabile all'incorporazione in INPS di INPDAP ed ENPALS»;
   a pagina 159 della suddetta relazione si legge: «Il saldo complessivo delle gestioni amministrate evidenzia una pesante perdita da -2,3 a -12,2 mld di euro, è prodotta dal crescente squilibrio tra contributi e prestazioni comune ai principali fondi e risulta trainata in gran parte da quella, di più rilevante dimensione, del settore pubblico ex INPDAP (-7,1 mld)» e ancora si legge: «... bilancio generale, esposto peraltro a rapido azzeramento»;
   a pagina 160 della suddetta relazione si legge: «Nell'ambito dei dipendenti pubblici, a fronte di 55,9 mld di euro per i contributi, si rilevano prestazioni per 63 mld...»;
   a pagina 162, sempre in merito al famoso «Buco INPS», si legge: «Le predette stime aggiornate 2013 dei disavanzi economico (-9,2 mld) e finanziario (-10,6 mld) confermano le valutazioni prospettiche, formulate nel precedente referto della Corte, di un azzeramento del patrimonio netto nell'arco di circa due esercizi e di erosione della liquidità» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suddetti e, per quanto di propria competenza, quali interventi intendano intraprendere al fine di sopperire alle criticità denunciate nella relazione della Corte dei conti in merito al famoso «buco INPS»;
   se i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, intendano esprimere il proprio orientamento in merito alle questione relativa agli enormi deficit dei bilanci di INPS ove dalla relazione della Corte dei conti emerge che ormai ci sono «margini attivi per poco più di un esercizio» e se gli stessi Ministri non ritengano che la situazione sia tragica considerato che l'INPS è il principale ente di previdenza italiano e gestisce un flusso complessivo annuo di 763 mld di euro;
   se i Ministri interrogati, di concerto con gli organi dell'INPS, abbiano o meno predisposto un piano per ripianare i bilanci – ed evitare un default annunciato – del principale istituto di previdenza italiano con conseguenti criticità sulle future erogazioni di decine di milioni di pensioni e nel caso se intendano esporlo;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze ritenga ancora che «non c’è nessun motivo di allarme» relativo all'enorme deficit di INPS ribadito ancora una volta dalla relazione della Corte dei conti e nel caso in cui ritenga opportuno confermare tali dichiarazioni, se intenda spiegare agli interroganti e a tutti i cittadini su quali dati e attraverso quali ragionamenti e studi riesca ad arrivare a una tale conclusione. (5-01772)


   BALDASSARRE, BECHIS, ROSTELLATO, RIZZETTO, CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dalla relazione annuale della Corte dei conti su «Determinazione e relazione della Sezione del Controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2012», depositata in data 27 novembre 2013, emergono notevoli criticità;
   a pagina 24 della suddetta relazione, in merito alle aree dei professionisti – con specifico riguardo al coordinamento legale – si legge: «L'auspicabile superamento della fase emergenziale renderebbe, infatti, ineludibile una approfondita analisi dei costi e benefici e una definitiva scelta sul ripristino di una adeguata dotazione dell'avvocatura interna...» e altresì: «...si impone pertanto una accurata verifica sui costi e benefici dell'attuale assetto, comparando gli oneri delle prestazioni esternalizzate rispetto a quelle interne...»;
   a pagina 37 della suddetta relazione, in merito agli «incarichi esterni», si legge: «... siffatta tipologia di incarichi rimane esposta ad altri fattori di anomalia, collegati alla invalsa prassi di operare ripetuti rinnovi del primo contratto o ulteriori attribuzioni agli stessi soggetti, contraddicendo le precipue finalità del rapporto a tempo determinato ... e del concorso pubblico.»;
   a pagine 63 della suddetta relazione, in merito al ricorso di INPS di servizi medici esterni convenzionati, si legge: «Nel contesto delineato assume maggiore rilievo la segnalata esigenza di una attenta riflessione e di una approfondita analisi di costi e benefici per valutare l'alternativa di un aumento dell'organico dell'area medico-legale...»;
   a pagina 86 della suddetta relazione, in merito al ricorso di avvocati domiciliatari esterni all'Ente, si legge: «Sulle misure poste in essere dall'istituto nel versante giudiziario, va tuttavia ribadita l'esigenza che si proceda ad una attenta e obiettiva analisi dei costi e dei benefici, a conclusione del previsto triennio sperimentale. Giova altresì nuovamente sottolineare sul punto che – in ogni caso – tenuto conto della immutata natura provvisoria ed eccezionale dei provvedimenti adottati, è indispensabile evitare che la loro protrazione si possa tradurre nella esternalizzazione di una cospicua parte di competenze dell'Istituto e nella seria compromissione del ruolo professionale dell'area legale, regolato e riconosciuto da apposite norme primarie e, in particolare nell'articolo 16 della legge 88/1989» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suddetti e, per quanto di propria competenza, quali interventi intendano intraprendere al fine di sopperire alle criticità denunciate nella relazione della Corte dei conti in merito all'analisi dei costi degli incarichi esterni dell'istituto e alla possibile perdita di competenze all'interno dello stesso;
   se ai Ministri interrogati non appaia urgente, per quanto di propria competenza, fornire indicazioni all'Istituto ovvero assumere iniziative normative in materia, al fine di attuare una attenta e obiettiva analisi dei costi e dei benefici di tali esternalizzazioni suddette. (5-01773)


   BALDASSARRE, BECHIS, ROSTELLATO, RIZZETTO, CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dalla relazione annuale della Corte dei conti su «Determinazione e relazione della Sezione del Controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2012», depositata in data 27 novembre 2013, emergono notevoli criticità;
   a pagina 96 della suddetta relazione – in merito alla Gestione dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni – si legge: ”Nel comparto del lavoro autonomo si aggravano i fattori di allarme segnalati nei precedenti referti per la Gestione dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni, con un disavanzo economico di -5,3 miliardi di euro (4,1 miliardi nel 2011);
   inoltre, a pagina 97 della suddetta relazione si legge: «Altri importanti fattori, di natura strutturale, che influenzano l'andamento deficitario della gestione sono costituiti: dal ridotto imponibile contributivo basato su valori convenzionali; dall'aliquota contributiva sempre inferiore a quella generale; dalla costante contrazione degli iscritti e dal continuo aumento delle pensioni; dall'andamento crescente del rapporto prestazioni/iscritti e da quello eccessivamente squilibrato del rapporto prestazioni/contributi...»;
   sempre a pagina 97, si legge: «La valutazione sulla gestione in esame conferma pertanto il giudizio di grave dissesto e di oggettiva insostenibilità...» e ancora: «Deve pertanto la Corte ribadire la conseguente necessità di adeguate misure correttive...» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suddetti e, per quanto di propria competenza, quali interventi intendano intraprendere al fine di rimediare alle criticità denunciate nella relazione della Corte dei conti in merito alla ormai insostenibile situazione della gestione dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni.
(5-01775)


   BALDASSARRE, BECHIS, ROSTELLATO, RIZZETTO, CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dalla relazione annuale della Corte dei Conti su «Determinazione e relazione della Sezione del Controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2012», depositata in data 27 novembre 2013, emergono notevoli criticità;
   a pagina 124 della suddetta relazione, in merito alla razionalizzazione delle spese dell'Ente, si legge: «Tra le osservazioni del Collegio interno di controllo, conviene nuovamente rammentare la carente attuazione dei piani triennali di razionalizzazione delle dotazioni strumentali e delle autovetture di servizio (L.F. 2008, articolo 2, comma 594),...» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suddetti e, per quanto di propria competenza, quali interventi intendano intraprendere al fine di rimediare alle criticità denunciate nella relazione della Corte dei Conti in merito alla mancata attuazione dei piani di razionalizzazione delle dotazioni strumentali e delle autovetture di servizio. (5-01776)


   BALDASSARRE, BECHIS, ROSTELLATO, RIZZETTO, CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dalla relazione annuale della Corte dei Conti su «Determinazione e relazione della Sezione del Controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2012», depositata in data 27 novembre 2013, emergono notevoli criticità;
   a pagina 30 della suddetta relazione, in merito alla trasparenza delle informazioni pubblicate sul sito dell'INPS, si legge: «Con riguardo agli adempimenti sulla trasparenza e integrità, va rilevato che richiederebbe una più analitica e completa pubblicazione, nel sito istituzionale, i dati sugli incarichi esterni e le retribuzioni – soprattutto dei dirigenti di vertice – mentre rimane sentita l'esigenza di una chiara individuazione dei responsabili delle verifiche delle inadempienze e delle specifiche sanzioni»;
   inoltre, a pagina 35 della suddetta relazione si legge: «... la Corte deve ancora una volta sottolineare che la pubblicazione sul sito internet delle retribuzioni annuali dei dirigenti non soddisfa compiutamente le finalità perseguite, anche per l'incompletezza del trattamento complessivo e per la lacuna di una parallela informativa su quelli attribuiti alle posizioni apicali dei professionisti, peraltro non espressamente prevista dalle specifiche disposizioni» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suddetti e, per quanto di propria competenza, quali interventi intendano intraprendere al fine di rimediare alle criticità denunciate nella relazione della Corte dei Conti in merito alle inadempienze e alle inesattezze dei dati pubblicati sul sito INPS. (5-01777)


   BALDASSARRE, BECHIS, ROSTELLATO, RIZZETTO, CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dalla relazione annuale della Corte dei Conti su «Determinazione e relazione della Sezione del Controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2012», depositata in data 27 novembre 2013, emergono notevoli criticità;
   a pagina 14 della suddetta relazione, in merito alla consistenza numerica del collegio dei sindaci, si legge: «Con riferimento alla consistenza numerica — stabilità dal decreto legislativo n. 479 del 1994 in sette membri (di cui 4 designati dal Ministero del lavoro e 3 dal Ministero dell'economia) collocati fuori ruolo e poi allargata a nove (1 per ciascuno dei predetti Ministeri) in esito alle ultime incorporazioni — non può non ribadirsene il contrasto con le linee legislative di razionalizzazione dei collegi e di contenimento dei corrispondenti costi che nella specie oltrepassano la metà degli oneri di tutti gli altri organi dell'Ente e salgono all'importo di circa 2 mln di euro, per i soli compensi fissi e le missioni» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suddetti e, per quanto di propria competenza, quali interventi intendano intraprendere al fine di sopperire alle criticità denunciate nella relazione della Corte dei Conti in merito alla consistenza numerica del collegio dei sindaci e il conseguente contrasto con le linee legislative di razionalizzazione dei collegi e di contenimento dei corrispondenti costi.
(5-01778)


   BALDASSARRE, BECHIS, ROSTELLATO, RIZZETTO, CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dalla relazione annuale della Corte dei Conti su «Determinazione e relazione della Sezione del Controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per l'esercizio 2012», depositata in data 27 novembre 2013, emergono notevoli criticità;
   a pagina 15 della suddetta relazione, in merito alla qualifica di direttore generale, si legge: «... con l'esigenza di assicurare, tanto la “piena responsabilità sulle traduzioni degli indirizzi in obiettivi di gestione”, quanto il “ruolo di garante dell'imparzialità e della continuità della tecnostruttura” ... »;
   a pagina 15 si legge altresì: «... appaiono indispensabili il riconoscimento di tutte le attribuzioni necessarie a conseguire gli obiettivi e i risultati e la corrispondente integrale assunzione delle relative responsabilità, non estesa peraltro alle competenze sulla dirigenza generale, riservate al Presidente dell'Istituto»;
   con proseguimento a pagina 16 si legge: «... l'implicito trasferimento al Presidente della proposta di nomina dello stesso Direttore, derivante dalla soppressione del CdA, ha di fatto consolidato la catena di comando tra il vertice governativo e quello di indirizzo gestionale dell'Istituto vigilato, introducendo un modello più vicino a quello dell'Agenzia ministeriale e quindi in contrasto con l'autonomia riconosciuta all'Ente stesso dal legislatore» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suddetti e, per quanto di propria competenza, quali interventi intendano intraprendere al fine di sopperire alle criticità denunciate nella relazione della Corte dei Conti in merito alla mancanza di responsabilità del direttore generale sulla gestione delle competenze della dirigenza generale posta attualmente in capo al presidente dell'Istituto;
   se ai Ministri interrogati non appaia contrastante, rispetto all'autonomia riconosciuta all'Istituto, il trasferimento al presidente della proposta di nomina del direttore generale che di fatto consolida la catena di comando tra il vertice governativo e quello di indirizzo gestionale e, nel caso, se intendano porre in essere tutte le iniziative di loro competenza per adeguare la governance dell'Istituto al fine di fronteggiare le criticità suddette. (5-01779)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, PARENTELA, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, LUPO e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Esposizione universale 2015 (Expo 2015) che avrà luogo a Milano tra il 1° maggio e il 31 ottobre 2015, ha scelto come tema Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita, puntando l'attenzione su tutto ciò che riguarda l'alimentazione mondiale: dal problema della mancanza di cibo in alcune zone del pianeta, all'educazione alimentare, fino alla conoscenza delle attività legate alla produzione dell'agroalimentare e a tutte le problematiche legate alla presenza nel nostro cibo di organismi geneticamente modificati;
   l'obiettivo dell'Esposizione è quello del diritto ad un'alimentazione sana, sicura e, soprattutto, sufficiente per tutto il pianeta; attraverso una rivalutazione dell'importanza del territorio, della genuinità del cibo, nonché della preservazione ed individuazione dei migliori strumenti di controllo e di innovazione;
   il settore agroalimentare è una delle eccellenze del nostro Paese, tanto da essere l'unico settore in crescita – sia in termini di occupazione che di export di prodotti – in un momento di grave crisi economica come quello attuale; esso comprende, oltre alle grandi produzioni, anche tutti i prodotti tradizionali e locali derivanti dall'attività della piccola agricoltura contadina;
   molte sono le associazioni di cosiddetti «agricoltori contadini» che in questi anni stanno portando avanti la battaglia per il riconoscimento a livello nazionale di un'agricoltura piccola ma foriera di grande valore per la riscoperta e conservazione di colture tradizionali lavorate con metodi naturali, sostenibili e biologici;
   la piccola agricoltura contadina sposa pienamente il tema dell'Expo 2015, poiché ha come obiettivi quello di valorizzare le colture locali e disincentivare il consumo di prodotti che non siano derivanti da una filiera corta; di contemplare metodi di lavorazione, coltivazione e allevamento sostenibili e che siano scevri dall'uso di organismi geneticamente modificati, che potrebbero compromettere la qualità del cibo –:
   se, considerata la tematica di EXPO 2015, si sia provveduto ad invitare tra gli espositori anche rappresentanti della piccola agricoltura contadina, e in caso contrario se non ritenga importante assegnare a quest'ultimi uno spazio adeguato a valorizzare questa preziosa componente della produzione agricola nazionale.
(5-01763)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy, che registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo ed è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto»;
   il made in Italy agroalimentare si caratterizza per suoi primati in termini di maggior valore aggiunto per ettaro in Europa, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, prodotti a denominazione protetta e produzioni biologiche;
   la crescita costante dell’export testimonia l'indiscutibile ruolo dell'agroalimentare nazionale e del valore attribuito al marchio «Italia», con un territorio ed una produzione ammirati ed imitati nel mondo;
   in Italia la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno e sono oltre 26.200 gli allevamenti di suini concentrati, prevalentemente, in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna;
   in Italia, nel 2012, la produzione nazionale di suini è stata stimata in 245.620 tonnellate, le importazioni in 572.987,42 tonnellate ed il consumo di cosce in 734.749,31 tonnellate;
   i dati relativi alla distribuzione delle importazioni di cosce fresche per paese di origine riportano percentuali altissime riferite alla provenienza di prodotti dalla Germania e dall'Olanda;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS) risulta che l'Italia nel 2012 ha importato, solo dalla Germania, il 52 per cento di suini vivi e carni suine, per un totale di 535.309 tonnellate;
   da articoli apparsi sulla stampa europea è emerso che l'efficienza dell'industria della carne suina in Germania è basata su prodotti a basso costo, operai sottopagati, falde acquifere inquinate, tecniche di allevamento non sostenibili e con gravi ripercussioni sulla salute dei consumatori legate all'eccessivo impiego di antibiotici;
   l'Istituto sviluppo agroalimentare (ISA-spa) è la società finanziaria, con socio unico il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF), che promuove e sostiene progetti di sviluppo agroindustriale che comportano, come ricaduta indotta, un miglioramento strutturale dei livelli di reddito dei produttori agricoli;
   attraverso specifici strumenti di legge, ISA-spa supporta le imprese operanti nella fase di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, zootecnici e silvicoli;
   molti controlli operati nel settore delle carni suine hanno già evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del made in Italy provoca gravi distorsioni della concorrenza, condiziona il funzionamento del mercato e viola il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certificata –:
   quali controlli vengano effettuati da ISA-spa prima di assicurare il supporto alle imprese o la partecipazione in specifiche iniziative con riferimento agli obiettivi sociali ed alla garanzia di perseguimento di finalità non contrastanti con la tutela e la valorizzazione dei prodotti e delle imprese nazionali;
   se ISA-spa partecipi o abbia concesso investimenti ad imprese coinvolte nel mondo nella produzione di finto made in Italy, alimentare e non, introducendo fattori di concorrenza sleale per le imprese italiane e pregiudicando gli interessi dei cittadini e dei consumatori. (4-03022)


   LATRONICO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy, che registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica; l'usurpazione del Made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace; la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale — considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore — ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   la crescita costante dell’export testimonia l'indiscutibile ruolo dell'agro alimentare nazionale e del valore attribuito al marchio «Italia», con un territorio ed una produzione ammirati ed imitati nel mondo;
   nell'agricoltura italiana sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento; in Italia nel 2012 la consistenza è stata di 9,279 milioni di capi, preceduta da Germania (28,1 milioni), Spagna (25,2 milioni), Francia (13,7 milioni), Danimarca (12,4 milioni), Olanda (12,2 milioni) e Polonia (11,9 milioni di capi); i dati del censimento dell'agricoltura 2010 indicano in 26.197 il numero delle aziende suinicole in Italia (74,1 per cento rispetto al 2007), 4.900 delle quali allevano più di 50 suini;
   in Italia, nel 2012, la produzione nazionale di suini è stata stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno, le importazioni in 572.987,42 tonnellate; gli allevamenti di suini sono oltre 26.200 concentrati, prevalentemente, in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate; minori importazioni provengono dall'Olanda;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   il Codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento CE 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all'allegato XI del regolamento medesimo — tra le quali sono contemplate le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate — rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle Amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   quali azioni il Ministro intenda adottare al fine di promuovere il rispetto di quanto imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine;
   quali determinazioni intenda promulgare alle autorità di controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy;
   se il Ministro non intenda assicurare l'adozione, anche per le carni suine, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati. (4-03023)

SALUTE

Interrogazioni a risposta orale:


   GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da diversi mesi è stata segnalata attraverso i mezzi di comunicazione la difficoltà di reperire farmaci importanti per la salute dei pazienti;
   si tratta di numerosi medicinali introvabili sugli scaffali delle farmacie, tra cui molti di interesse neurologico, usati — tra l'altro — per il trattamento del dolore neuropatico, della depressione, dell'epilessia, di malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson, per la prevenzione dei fenomeni tromboembolici;
   sono, il più delle volte, farmaci innovativi, di recente introduzione in prontuario, ad elevato valore terapeutico, ad alto costo e senza un equivalente alternativo disponibile. Farmaci anche essenziali, assenti dagli scaffali o perché la ditta distributrice non consegna o perché «contingentati», dei quali cioè ne viene consegnano solo un pezzo ogni tanto;
   ne derivano spesso autentici viaggi della speranza da una farmacia all'altra e spiacevoli quanto inutili diatribe tra pazienti e farmacisti. La conseguenza è fortemente ai danni della salute dei cittadini, specialmente quando si tratta di sostanze la cui interruzione può essere molto fastidiosa (come per gli antidolorifici) o pericolosa (come per gli antiepilettici o gli antitrombotici);
   alcune articolazioni territoriali di Federfarma sono arrivate a presentare esposti alla procura della Repubblica per denunciare «le gravi carenze sul territorio», se non addirittura «l'irreperibilità per lunghi periodi (più di 20 giorni) di alcuni farmaci»;
   stando alle informazioni in possesso dell'interrogante la carenza di questi farmaci nel circuito della distribuzione non è dovuta a deficit di produzione (in Italia o — più spesso — all'estero), né ad un insufficiente approvvigionamento per deficit di destinazione al nostro Paese rispetto ad altri da parte delle aziende estere produttrici;
   sembra, infatti che la quota percentuale di produzione assegnata all'Italia sia anzi più alta del fabbisogno reale e che il sistema di distribuzione non presenti difficoltà fino a livello dei grossisti. Il sistema distributivo si arresterebbe invece nel passaggio dal grossista alle farmacie, con l'eccezione forse delle grandi catene di farmacie, che lamentano minori difficoltà di approvvigionamento;
   si tratterebbe di una mancata consegna da parte del grossista alla rete capillare delle piccole farmacie. I grossisti peraltro sarebbero stati regolarmente riforniti dai produttori. Lecito chiedersi, dunque perché essi siano disponibili ad investire acquistando il farmaco, per poi apparentemente rinunciare al loro legittimo guadagno, visto che mancano di trasferire i prodotti all'ultimo anello della catena di distribuzione;
   detti farmaci, dal momento che all'estero costano molto di più, hanno una breve permanenza sul mercato, perché vengono tempestivamente ceduti al miglior acquirente. Si instaura in questo modo un parallel trade, un circuito di commercio parallelo, capace di assicurare a chi lo pratica un ritorno economico dettato dalla plusvalenza. L'esportazione a danno della distribuzione italiana, infatti, avviene solo per quei farmaci che in Italia hanno un prezzo al pubblico inferiore rispetto a quello di altri Paesi;
   in alcuni casi il differenziale di costo è talmente elevato da lasciare al grossista ampi margini di guadagno. È questo il caso, ad esempio, di un noto farmaco, molto utilizzato per la malattia del Parkinson, che costa alla farmacia in Italia 53,10 euro contro gli oltre 270 della farmacia in Germania;
   in Italia i medicinali sono sottoposti a un regime controllato dei prezzi, oggetto abitualmente di estenuanti «bracci di ferro» tra rappresentanti delle aziende produttrici e AIFA. Questo meccanismo per la definizione dei prezzi dei farmaci, se da un lato si è dimostrato capace di controllare efficacemente la spesa farmaceutica del servizio sanitario nazionale, dall'altro è tuttavia causa di inaccettabili ritardi nell'immissione in commercio dei nuovi prodotti autorizzati, posticipata dalle aziende produttrici fino a quando si determinino condizioni di redditività minime e accettabili per l'azienda;
   accanto al ritardo nell'immissione dei farmaci, che provoca un'indesiderata obsolescenza delle capacità terapeutiche del servizio sanitario nazionale si sta ora determinando un'altra pericolosa distorsione. Il medicinale che, grazie alla capacità virtuosa dell'Agenzia del farmaco, riesce ad essere venduto in Italia a prezzi decisamente più contenuti, sparisce dai banconi delle farmacie per essere rivenduto all'estero a prezzi più competitivi, in base alla normativa europea sul libero scambio. Il parallel trade all'interno dell'Unione, infatti, è una forma di scambio in seno al mercato interno fondata sull'articolo 28 del trattato CE del 1957, dalla quale peraltro alcuni Governi ritengono di avvantaggiarsi per ottenere attraverso di essa una riduzione consistente della spesa farmaceutica;
   la carenza di farmaci nel circuito distributivo può essere risolta, ovviamente, solo con il coinvolgimento delle istituzioni e di tutti gli operatori coinvolti nella filiera; nondimeno alcune azioni sono tuttavia possibili, e pertanto doverose, anche nell'immediato;
   è possibile, ad esempio, per i titolari fronteggiare episodi di irreperibilità utilizzando gli strumenti previsti dall'articolo 105, comma 4, del decreto legislativo n. 219 del 2006, che «obbliga i titolari di AIC a evadere direttamente gli ordinativi alle farmacie richiedenti senza nessuna specifica restrizione»;
   occorrerebbe un'azione di concertazione in sede europea per arrivare a concordare uno stesso prezzo per i farmaci in tutto il territorio dell'Unione, al livello più basso che sia possibile spuntare con le aziende, certamente interessate a non perdere un mercato di enormi dimensioni; 
   sarebbe necessario, a parere dell'interrogante, inoltre predisporre un efficace sistema di controllo sulle autorizzazioni ad immissioni in commercio, per dare priorità nella fornitura a favore della distribuzione diretta alle farmacie, evitando di alimentare quei grossisti per i quali vi sia evidenza di attività di esportazione parallela –:
   quali iniziative urgenti intenda porre in essere, per predisporre un aggiornato elenco dei farmaci introvabili e per un più incisivo intervento teso a contrastarne l'esportazione parallela. (3-00526)


   GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è stata autorizzata la commercializzazione su tutto il territorio nazionale di farmaci per la cosiddetta contraccezione di emergenza. Nel foglietto illustrativo che accompagna la vendita di uno di tali farmaci, il Levonorgestrel (Norlevo), il farmaco stesso è definito «contraccettivo orale di emergenza», mentre la contraccezione di emergenza viene definita come «un metodo di emergenza che ha lo scopo di prevenire la gravidanza dopo rapporto sessuale non protetto o in caso di mancato funzionamento di un metodo anticoncezionale»;
   la stessa informazione è riportata sostanzialmente nel foglietto illustrativo dell'altro farmaco, EllaOne (Ulpristal acetato). Norlevo, per essere efficace, può essere utilizzato fino a 72 ore (3 giorni) dopo un rapporto sessuale, cioè nel periodo in cui lo spermatozoo, ancora vitale, può dar luogo al concepimento, se si verifica l'ovulazione; per EllaOne il periodo di efficacia arriva invece fino a coprire 120 ore (5 giorni);
   nel foglietto illustrativo, a proposito del meccanismo d'azione del Norlevo, si riporta che, oltre all'azione antiovulatoria, «è probabile che siano coinvolti anche altri meccanismi come impedire l'impianto nell'utero dell'ovulo fecondato», mentre esso «non è efficace una volta che il processo di annidamento è iniziato», potendo dedursene che il farmaco può agire come antinidatorio, oltre che antiovulatorio;
   per quanto riguarda EllaOne, il foglietto illustrativo riporta invece solo che «si ritiene che EllaOne agisca bloccando l'ovulazione». Tuttavia, nel «Riassunto delle caratteristiche del prodotto», si riporta che l'inibizione o il ritardo dell'ovulazione sia da considerarsi il meccanismo d'azione «primario» del farmaco, lasciando intendere che possano esserci anche altri meccanismi. Tale interpretazione sembra essere avvalorata dal fatto che in altra parte dello stesso Allegato I, riportando i dati preclinici di sicurezza, l'azienda produttrice riferisce testualmente che «dato il suo meccanismo d'azione, ulipristal acetato ha un effetto embrioletale in ratti, conigli e scimmie»;
   nella sezione «informazioni nazionali» del foglietto illustrativo del Norlevo, a proposito dei fini dei metodi contraccettivi, si riporta anche quello di prevenire «l'impianto di un ovulo fecondato», aggiungendo poco oltre che la contraccezione di emergenza agisce «bloccando l'ovulazione o impedendo l'impianto dell'ovulo» (da intendersi, ovviamente, come ovulo fecondato). Niente di quanto sopra è riportato invece nel foglietto illustrativo di EllaOne;
   il riconoscimento dell'effetto abortivo di un preparato farmaceutico si attua sulla base delle evidenze scientifiche e non ha nulla a che fare con le discussioni filosofiche, biotiche, ideologiche o religiose circa il valore da riconoscere alla vita umana ai primi stadi del suo sviluppo, né tocca tantomeno la questione dell'annidamento dell'embrione in utero. Esso, inoltre, non dipende dal dibattito dall'interpretazione delle leggi effettuata dalla giurisprudenza;
   al riguardo si deve ricordare che la stessa terminologia di pre-embrione proposta dalla Commissione Warnock fa riferimento ad una definizione convenzionale, indipendente dal dato scientifico termine e comunque sganciata dall'annidamento;
   paradossalmente, proprio da quando è possibile la fecondazione in vitro è divenuto evidente che l'annidamento in utero costituisca solo una tappa importante dello sviluppo del nuovo essere umano, senza tuttavia che essa permetta di identificare salti tali da compromettere la continuità dello sviluppo stesso, se non attraverso definizioni arbitrarie. Sono, infatti, proprio le tecniche di fecondazione in vitro a smentire l'esistenza di un cosiddetto pre-embrione, da contrapporre all'embrione umano, identificabile già dal concepimento;
   le conoscenze scientifiche degli ultimi decenni hanno dunque confermato che non esiste alcun salto nella continuità dello sviluppo dell'embrione umano; che a nessuno stadio di tale sviluppo si determinano mutamenti qualitativi della natura dell'embrione umano stesso; che, infine, il suo patrimonio genetico è già interamente presente dopo il concepimento e tale rimarrà fino alla morte;
   la legge n. 40 del 2004 ha stabilito che il consenso della coppia richiedente la fecondazione in vitro non può essere revocato dopo l'avvenuta fecondazione, perché, appunto, con la fecondazione nasce una nuova vita umana; ha riconosciuto questa nuova vita «soggetto di diritto»; ha esplicitamente vietato la soppressione dell'embrione (oltre al suo congelamento), sanzionando penalmente tale condotta;
   non dovrebbe, a parere dell'interrogante, essere qualitativamente distinto l'effetto di un farmaco che induca chimicamente l'aborto dell'embrione prima dell'annidamento ed uno in grado di farlo dopo l'annidamento stesso –:
   se non ritenga opportuno che le cosiddette pillole del/dei giorno/i dopo possano essere definite semplicemente sostanze ad azione contraccettiva o se piuttosto non debba esserne riconosciuto e segnalato al consumatore anche l'effetto (almeno potenziale) di tipo abortivo attraverso l'ostacolo all'annidamento, quando l'azione farmacologica si produca dopo l'avvenuto concepimento. (3-00527)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   LATTUCA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il sistema televisivo italiano è stato per anni prevalentemente trasmesso via etere e con l'avvento del sistema digitale si è passati ad uno scambio dati basato su codici binari al pari dei computer, di internet e della telefonia mobile, al fine di ottenere un maggior numero di canali disponibili, una migliore qualità audiovisiva e la possibilità di accedere a informazioni aggiuntive;
   dal 2009 è stato avviato il progressivo spegnimento dei tradizionali segnali televisivi analogici e il passaggio delle trasmissioni al solo sistema digitale (switch off). Questo passaggio è stato realizzato in più fasi e si è concluso nel 2012;
   nello specifico il sistema digitale è stato introdotto in forma esclusiva obbligando i residenti all'acquisto del decoder per la televisione digitale o di un nuovo televisore con decoder incorporato;
   a distanza di diversi mesi dalla conclusione della fase di transizione da un sistema all'altro, si registrano ripetute problematiche di ricezione nel territorio del comune di Bagno di Romagna(FC) e in altri comuni della Valle del Savio, a cui hanno fatto seguito ripetute e pronte sollecitazioni da parte dell'amministrazione comunale per denunciare il cattivo servizio erogato dalla televisione pubblica, a fronte del puntuale pagamento del canone da parte degli utenti abbonati;
   queste problematiche di ricezione non consentirebbero un'ottimale visione della programmazione televisiva principalmente delle reti dell'emittente pubblica e talvolta anche delle reti commerciali nazionali, in quanto le trasmissioni televisive sarebbero interrotte continuamente da perdite del segnale (veri e propri black out durati fino ad alcuni giorni) e da ricezioni non corrette del segnale (con la visualizzazione in video di pixel monocromatici di grandi dimensioni e il ricevimento di un audio distorto) –:
   se al Ministro risulti che via siano ancora delle difficoltà nella ricezione del segnale in alcune aree del Paese ed in particolar modo nel territorio del comune di Bagno di Romagna;
   quali iniziative intenda attivare al fine di migliorare la ricezione dei canali digitali in dette zone. (4-03021)


   SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Firema Trasporti è una società per azioni italiana del settore metalmeccanico che si occupa di progettazione, costruzione e riparazione di locomotive, elettrotreni metropolitane e tram;
   Firema Trasporti è in amministrazione straordinaria, con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 2 agosto 2010, con nomina dell'avvocato Ernesto Stajano in qualità di commissario straordinario e con sentenza di insolvenza del tribunale di Santa Maria CapuaVetere del 13 agosto 2010;
   il gruppo Firema attualmente da lavoro a circa 600 persone, dislocate nei vari siti;
   quasi 360 persone lavorano per il gruppo Firema solo a Caserta, senza considerare il notevole indotto nella stessa provincia e regione;
   le origini dell'azienda attuale possono essere individuate nella costituzione, nel 1993, della Firema/Trasporti con la partecipazione al 49 per cento dell'IRI tramite Ansaldo Spa e la fusione delle principali aziende private del settore riunite in Firema Finanziaria srl;
   obiettivo dell'operazione era quello di poter mantenere competitività in un settore nel quale le piccole realtà produttive hanno ormai poca possibilità di sopravvivenza, considerato come il mercato sia aperto alla concorrenza straniera e caratterizzato dalla presenza di competitori mondiali quali Ansadto Breda, Alstom, Bombardier e Siemens;
   l'attuale portafoglio di ordini da completare dello stabilimento casertano di Firema ricomprende 24 casse TSR (treno per servizio regionale) da completare per le Ferrovie Nord Milano, 40 motori per i treni Meneghino della metropolitana di Milano per conto Ansaldo, 7 elettrotreni a singolo piano a due casse ALFA2 per Metro Campania Nord Est, 10 elettrotreni a singolo piano a due casse ALFA3 per SEPSA, 70 casse Vivalto per conto dell'Ansaldo Breda e 7 treni per la metropolitana di Genova per conto Ansaldo;
   a causa della scellerata gestione della proprietà, che ha portato all'amministrazione straordinaria dell'azienda e ad una perdita di credibilità nei confronti di creditori e clienti, i lavoratori della Firema si trovano a combattere una battaglia per la conservazione del posto di lavoro;
   per tutto il mese di agosto del 2010 i lavoratori della Firema sono stati impiegati, anche senza retribuzione, in alcuni casi, per mettere in sicurezza lo stabilimento di Caserta sul versante dell'affidabilità produttiva;
   l'attuale capacità dello stabilimento di Caserta di effettuare consegne puntuali e di offrire costi competitivi è riconosciuta ed apprezzata da tutti, ed è figlia della volontà e dell'impegno delle maestranze e della determinazione del commissario Ernesto Stajano, che, non fermando le attività produttive, è riuscito a rendere Firema una società altamente produttiva;
   la Firema ha ricevuto cinque offerte d'acquisto, sia per la sola realtà produttiva di Spello ed sia per l'intero gruppo;
   quest'ultima è stata effettuata dalla T'Trans, società brasiliana, ma le prime valutazioni ufficiose in merito sembrano ritenerla non sufficientemente rassicurante sul fronte occupazionale e dei carichi di lavoro da mettere in atto;
   dopo oltre tre anni di amministrazione straordinaria e ben tre bandi di vendita si è ancora al punto di partenza, anzi, la situazione è diventata ancor più grave e rischiosa, poiché si avvicina, per la terza volta, la scadenza del mandato del commissario (prevista per il 17 marzo 2014), con relativa scadenza della Cigs;
   nel frattempo vi è stato un impoverimento del portafoglio ordini di lavoro, ed, inoltre, molti degli ordini rimasti sono in subfornitura di Ansaldo, e quindi, alla luce della volontà di Finmeccanica di svendere Ansaldo Breda, che non sta nemmeno acquisendo nuovi ordini, esiste il rischio reale e concreto di vedere ulteriormente compromessa la situazione di Firema;
   il 12 dicembre 2013, si è tenuta una riunione sulla questione Firema presso il Ministero dello sviluppo economico, a cui hanno partecipato il commissario straordinario, il responsabili dell'unità di gestione delle situazioni di aziende in crisi del Ministero dello sviluppo economico, i rappresentanti sindacali dei lavoratori dell'azienda ed il presidente della provincia di Caserta, ma non si segnalano significativi avanzamenti verso una soluzione della vertenza;
   i fatti narrati sono riportati anche dall'articolo «Vertenza Firema, Zinzi al Ministero dello sviluppo economico: “Quest'azienda non può fallire”» pubblicato dal quotidiano d'informazione online «Caserta Prima Pagina», dall'articolo «Offerta per Firema, T'Trans chiede un incontro a Stajano» pubblicato da «Il Mattino» e dall'articolo «I lavoratori Firema Caserta tornano a protestare e attaccano i politici: Preferiscono i congressi e le candidature» –:
   se non si ritenga opportuno intervenire attivamente con il preciso ed imprescindibile impegno di preservare e mantenere in piena attività l'azienda Firema, punta di eccellenza nella produzione di veicoli ferroviari della provincia di Caserta e dell'intero comparto nazionale;
   se non si ritenga di dover sostenere il percorso di rilancio e di risanamento affidato al commissario straordinario per il gruppo Firema a livello nazionale, al fine di attivare un piano industriale in tempi rapidi e di individuare un acquirente o partner per dare continuità a Firema, tutelando le aziende italiane del settore ferroviario;
   se non si ritenga urgente una politica di rilancio delle società ferroviarie italiane, attuando una politica industriale di settore, creando un unico soggetto industriale dei trasporti, proponendo la costituzione di un Polo nazionale dei trasporti, a partire da Firema e Ansaldo. (4-03030)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Tidei e altri n. 2-00333, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tullo.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Laffranco e altri n. 4-02740, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Faenzi.

  L'interrogazione a risposta scritta Laffranco e Fabrizio Di Stefano n. 4-02741, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Latronico, Faenzi.

  L'interrogazione a risposta scritta Laffranco e altri n. 4-02742, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Faenzi.

  L'interrogazione a risposta scritta Laffranco e altri n. 4-02746, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Faenzi.

  L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi n. 4-02990, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zolezzi.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Placido n. 4-02840, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 132 del 5 dicembre 2013.

   PLACIDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ANPI di Lavello ha segnalato alle autorità locali la ripresa dell'attività di imbrattamento di molti spazi pubblici, ovvero di molti muri, con vergognose scritte a carattere nazi-fascista;
   tali fatti seguono a segnalazioni precedenti in cui già si stigmatizzava questo tipo di attività durante la scorsa campagna elettorale;
   l'organizzazione che emerge dalle scritte è «Militia» di cui già un articolo del quotidiano La Repubblica del 14 dicembre 2011 si era occupato evidenziando la pericolosità;
   anche Il Messaggero si è occupato del caso il 31 marzo 2013 «Neonazisti, torna Militia e arruola sul web: pronto il congresso a Roma. La formazione di estrema destra lancia un sito per il reclutamento e organizza un congresso a Roma» di Mastro Pasqua in cui si approfondisce l'attività svolta dal gruppo che attraverso pagine di social network e siti dedicati inneggia all'apologia del fascismo e del nazismo;
   alcune scritte che sembrano riconducibili a «Militia» rappresentano una chiara minaccia e motivano le preoccupazioni per l'incolumità e la sicurezza dei dirigenti ANPI locali e provinciali come ad esempio quella prodotta sul muro dell'asilo «Farina» riportante la seguente frase: «ANPI ci rivogliono i campi» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga di intraprendere iniziative stringenti per impedire che attraverso le manifestazioni organizzate si diffonda e si faccia proselitismo per organizzazioni di ispirazione fascista e nazista che di fatto violano la Costituzione repubblicana. (4-02840)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Boccadutri n. 4-00884 del 17 giugno 2013.