Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 17 dicembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    è nota la gravità della problematica relativa alla tutela dei cittadini, dei lavoratori e dell'ambiente con riferimento all'amianto;
    vi sono enormi ritardi in materia da parte dello Stato che, sulla base di quanto sancito persino dalla Corte di cassazione in ordine all'evidenza scientifica degli effetti cancerogeni dell'amianto quantomeno dall'inizio degli anni sessanta del secolo scorso, ha di fatto accettato che per anni i lavoratori si ammalassero e morissero di tumore nei luoghi di lavoro;
    in questo quadro è stato presentato il disegno di legge Atto Senato n. 8, «Norme a tutela dei lavoratori, dei cittadini e dell'ambiente dall'amianto, nonché delega al Governo per l'adozione di un testo unico in materia di amianto», che rappresenta in effetti un evidente miglioramento delle norme che oggi regolano il fenomeno;
    le distorsioni dei comportamenti spesso in netto contrasto con lo spirito e la lettera delle norme vigenti dal 1992 in materia di amianto da parte degli enti preposti alla concreta attuazione della tutela dei lavoratori esposti (INPS e INAIL) hanno portato alla generazione di un notevolissimo ed assai costoso contenzioso giudiziale da parte di soggetti deboli e traditi nelle loro legittime aspettative e nei loro diritti;
    molto numerose, purtroppo per il nostro Paese, sono le realtà industriali nelle quali si è fatto indiscriminato uso di materiali contenenti amianto e Civitavecchia, assai più di altre città, ha dovuto e sta tuttora pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane a causa dell'indiscriminato utilizzo del suddetto, pericolosissimo inquinante. È fin troppo facile affermare che non vi è ulteriore tempo da perdere poiché la tutela prevista dalle normative già in vigore a salvaguardia dei lavoratori esposti e delle loro famiglie deve essere concretamente prestata senza ulteriori indugi, con l'ovvio fine di non aggravare situazioni di grande disagio già purtroppo in essere;
    per i motivi sopra evidenziati è fondamentale intervenire tempestivamente a favore di un territorio – quello di Civitavecchia – pesantemente colpito sia dalle conseguenze dell'utilizzo indiscriminato di materiali contenenti amianto nei principali cicli produttivi, sia dalla colpevole inerzia degli enti preposti alla tutela dei lavoratori esposti e delle loro famiglie, al fine di minimizzare, per quanto ancora possibile, le gravi conseguenze di trascuratezze oggi di fatto riconosciute e non più ulteriormente tollerabili;
    è notizia di queste ore il rinvenimento di circa 300 tonnellate di amianto proprio in una nota località civitavecchiese, scaricate ed interrate abusivamente nel corso degli anni fino a circa un metro di profondità. Un potenziale disastro ecologico portato alla luce dal Roan della Guardia di finanza che ha ovviamente posto sotto sequestro l'area, con la procura della Repubblica che ha di seguito aperto un'inchiesta per reati ambientali,

impegna il Governo:

   a predisporre un tavolo di confronto con INPS ed INAIL per individuare i ripetuti comportamenti distorsivi dello spirito e della lettera delle norme già vigenti da parte degli enti, al fine della compiuta tutela giuridico-legale dei soggetti esposti e delle loro famiglie;
   a convocare i soggetti variamente investiti già dalla legge vigente di competenze dirette e indirette in materia di amianto (enti territoriali, INPS, INAIL, ASL, sindacati), al fine di dare inizio ad un compiuto «censimento» di tutti i lavoratori civitavecchiesi e del circondario loro malgrado coinvolti nel fenomeno e delle loro famiglie, nonché di tutte le patologie asbesto-correlate, con particolare riferimento ai bambini;
   a convocare i rappresentanti delle aziende (ENEL, Ferrovie, Ente porto, indotto e altro) che hanno per anni utilizzato amianto nel proprio ciclo produttivo e devono oggi essere maggiormente impegnate nella definitiva bonifica dei rispettivi impianti già ai sensi della citata legge n. 257 del 1992, acquisendo precisa e certa conoscenza della situazione circa la persistente presenza dell'inquinante negli ambienti di lavoro;
   a provvedere senza ulteriori indugi alla individuazione dei moltissimi edifici pubblici contenenti amianto ed alla loro definitiva bonifica;
   a fornire maggiore informazione alla cittadinanza circa i rischi legati alla presenza di materiali contenenti amianto negli edifici privati, incentivandone la rapida bonifica;
   a provvedere alla creazione di una apposita task-force pubblica, mediante il ricorso alle aziende già istituzionalmente impegnate nella tutela ambientale del territorio, organizzando specifici corsi di formazione delle maestranze per il trattamento dei materiali contenenti amianto.
(1-00286) «Grande, Tacconi, Prodani, Artini, Pinna, Currò, Spadoni, Del Grosso, Scagliusi, Rizzo, Corda, Fico, Piepoli, Lorefice, Mantero, Di Vita, Vacca, Brescia, Grillo, Furnari, Labriola, Dall'Osso, Baroni, Cecconi, Valiante, Picchi».


   La Camera,
   premesso che:
    nel 2006 il Parlamento europeo ha approvato, con non poche difficoltà e dopo una lunga gestazione, la Direttiva 2006/123/CE, meglio nota come «direttiva Bolkestein» relativa ai servizi nel mercato interno. Questa proposta di atto normativo comunitario, appena venne presentata dalla Commissione europea, suscitò aspre polemiche, provenienti dai più disparati settori della società, segno evidente di quanto la sua impostazione fosse profondamente sbagliata;
    una delle finalità di questo atto normativo comunitario, recepito tra l'altro nel nostro ordinamento interno con il decreto legislativo n. 59 del 2010 «Attuazione della Direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno», è di fare dell'Unione europea, entro il 2010, l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, legando questa prospettiva al processo di riforma economica avviato con l'approvazione della cosiddetta Strategia di Lisbona nel 2000;
    purtroppo questo intendimento – certamente condivisibile ma comunque alquanto vago – non è ancora stato realizzato compiutamente, ad oggi;
    occorre inoltre rammentare come alcune categorie produttive avranno serie difficoltà a recepire e ad adeguarsi ai dettami del provvedimento in oggetto, con la conseguenza che – a parere dei sottoscrittori del presente documento – gli effetti che si avranno risulteranno profondamente diversi rispetto agli intendimenti originari della direttiva;
    tra i settori toccati direttamente da questo provvedimento normativo vi è quello delle imprese balneari che, soprattutto in Italia, rappresentano un'importante – se non addirittura vitale per alcuni territori – realtà socio-economica e di sviluppo. Queste aziende, tradizionalmente quasi sempre a gestione familiare, rappresentano per un numero rilevante di persone e per le relative famiglie la fonte unica e primaria di reddito, svolgendo altresì una vera e propria missione al servizio delle comunità nelle quali operano;
    il settore turistico-balneare, quindi, interessato direttamente dalla direttiva Bolkestein, dovrà rispettare, in futuro, il principio della concessione delle licenze tramite gare pubbliche, in base a quanto stabilito dalla direttiva Bolkestein. In particolar modo, interpretando il contenuto dell'articolo 12 della stessa, è evidente come le concessioni demaniali marittime aventi finalità turistico-ricreative non potranno più, come avveniva prima da prassi, essere rinnovate automaticamente in favore del precedente concessionario, ma dovranno essere assegnate – necessariamente – attraverso un bando con procedura di evidenza pubblica, rispettando così i princìpi di imparzialità e trasparenza;
    proprio recentemente, il Parlamento europeo con la Risoluzione sulla crescita blu: miglioramento della crescita sostenibile nel settore marino, dei trasporti marittimi e del turismo dell'Unione (2012/2297(INI)), approvata lo scorso 2 luglio 2013, ha sottolineato al punto n. 62 dei considerando «l'importanza del turismo balneare come peculiarità di alcune Regioni costiere europee». Inoltre, con questo documento si impegna direttamente e apertamente la Commissione europea ad effettuare una valutazione di impatto in modo tale da verificare se la direttiva 2006/123/CE (Bolkestein) abbia delle ripercussioni negative sulle piccole e medie imprese di questo settore e, qualora lo ritenga necessario, a proporre misure per attenuare tale impatto e garantire che le caratteristiche specifiche di questa attività professionale siano prese in considerazione nel momento in cui si applica la direttiva stessa. Ora, con la trasposizione della direttiva Bolkestein nel nostro ordinamento interno, avvenuta con il decreto legislativo n. 59 del 2010, si era disposto che a partire dal 2015 la concessioni relative al demanio marittimo dovessero avvenire attraverso bandi ad evidenza pubblica facendo venir meno, pertanto, il principio della preferenza (il cosiddetto diritto di insistenza) verso il concessionario uscente, come tra l'altro prevedeva anche l'articolo 37 comma secondo – successivamente abrogato – del codice della navigazione; con il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, è stata introdotta la proroga fino al 31 dicembre 2020 per le concessioni aventi finalità turistico-ricreative e sportive;
    occorre altresì considerare che il turismo balneare rappresenta un'importante realtà economica per il Paese, ragione per cui occorre intervenire e tutelare questo ampio spettro di imprese che potrebbero trovarsi in situazioni di enorme difficoltà con il venir meno della prassi normativa circa le concessioni demaniali;
    l'applicazione dei contenuti e delle finalità operative di tale direttiva anche alle piccole e medie imprese turistico-balneari porterà, quasi sicuramente, queste ultime ad entrare in concorrenza con grandi società di capitale, potenzialmente interessate ad utilizzare le proprie disponibilità finanziarie in vista di un'integrazione orizzontale del settore. Il turismo balneare rappresenta un'importante realtà economica per il Paese, ragione per cui occorre intervenire e tutelare questo ampio spettro di imprese che potrebbero trovarsi in situazioni di enorme difficoltà con il venir meno della prassi normativa circa le concessioni demaniali;
    in considerazione di tutto quanto detto, i proponenti ritengono che le concessioni demaniali relative agli stabilimenti balneari debbano essere escluse dal perimetro indicato dalla direttiva Bolkestein;
    è comunque indubbio che per procedere il tal senso occorra una visione unitaria come Paese, che il Governo stesso, nelle persone del Presidente del Consiglio, del Ministro per gli affari europei e degli affari esteri dovrebbe portare avanti nei consessi e appuntamenti istituzionali preposti (Consigli europei, vertici intergovernativi, e altro),

impegna il Governo:

   ad attivarsi, con tutti i mezzi a propria disposizione, presso le istituzioni comunitarie, per fare in modo che le concessioni demaniali relative agli stabilimenti balneari siano estromesse dall'applicazione della Direttiva Bolkestein;
   a presentare formalmente, nel corso del Consiglio europeo che si terrà i prossimi 19 e 20 di dicembre a Bruxelles, una proposta normativa in attuazione della delega contenuta all'articolo 11 della legge n. 217 del 15 dicembre 2011 (cosiddetta legge comunitaria 2010) che permetta all'Italia di derogare alla normativa in vigore e prorogare le concessioni in essere, così come è stato concesso alla Spagna che, proprio il 30 maggio 2013, ha approvato una legge sulla protezione e sull'uso sostenibile del proprio litorale e delle proprie coste.
(1-00287) «Prataviera, Gianluca Pini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Rondini».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni III e IV,
   premesso che:
    il Consiglio europeo che avrà luogo nei giorni 19 e 20 dicembre 2013, in attuazione delle conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2012, è stato convocato secondo un ordine del giorno che reca al primo punto la Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC);
    gli obiettivi del Consiglio europeo, come individuati nel 2012, sono relativi al rilancio dei tre pilastri: dell'efficacia operativa, intesa come capacità di risposta rapida ed efficace alle crisi in coerenza con l'approccio globale dell'Unione europeo, fondato sulle priorità della prevenzione dei conflitti e gestione delle crisi; della capacità di difesa, costituita da capacità militari e civili, in un'ottica di pianificazione già a livello nazionale di una «messa in comune e condivisione» delle risorse; infine, di una più forte industria europea della difesa, più integrata e competitiva grazie ad un mercato più funzionante e ad attività di ricerca e sviluppo, e che oggi dà lavoro direttamente a circa 400.000 persone e fino a 960.000 persone nell'indotto;
    il 19 novembre 2013 le Commissioni riunite affari esteri, difesa e politiche dell'Unione europea del Senato hanno approvato una risoluzione a conclusione dell'esame, ai sensi dell'articolo 50, comma 2 del Regolamento del Senato, dell'affare assegnato n. 104 sulle linee programmatiche e di indirizzo italiane in vista del prossimo Consiglio europeo sulla Difesa che avrà luogo nel mese di dicembre 2013 (Doc. XXIV, n. 13);
    il 12 dicembre 2013 le Commissioni Difesa e Attività produttive della Camera dei deputati, a conclusione dell'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Verso un settore della difesa e della sicurezza più concorrenziale ed efficiente (COM(2013)542 final), hanno approvato il documento finale ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del Regolamento della Camera dei deputati;
    sono in corso di svolgimento presso le Commissioni Affari esteri e Difesa della Camera, delle indagini conoscitive rispettivamente, sulla proiezione dell'Italia e dell'Europa nei nuovi scenari geopolitici – priorità strategiche e di sicurezza e sui sistemi d'arma destinati alla difesa in vista del Consiglio europeo di dicembre, anche alla luce della apprezzabile proposta di documento conclusivo già presentata su quest'ultima presso la Commissione difesa;
    va ricordato l'impegno assunto dall'Alto rappresentante per la politica estera e di difesa comune, Catherin Ashton, per il rafforzamento dell'approccio globale dell'Unione europea fondato su un'analisi condivisa da tutti gli attori europei (istituzioni, Stati membri e Unione europea) che inquadri la nozione europea di «situazione di crisi potenziale» e che individui interessi, obiettivi e ruolo dell'UE; elabori una visione strategica unica e comune sui conflitti e sull'impegno futuro dell'UE nei diversi teatri; affidi centralità al lavoro di prevenzione mediante lo strumento diplomatico, l'allarme precoce e l'azione rapida; metta a disposizione tutte le capacità europee al servizio degli obiettivi comuni; definisca come impegno di lungo termine la costruzione di società pacifiche e resilienti; evidenzi i legami tra i diversi campi di intervento (sicurezza energetica, cambiamento climatico, flussi migratori, lotta contro il terrorismo e il crimine organizzato o la riforma della governance economica mondiale); affidi un ruolo più forte alle delegazioni dell'Unione europea nel coordinamento del dialogo e della cooperazione con gli altri organismi multilaterali a partire dalle Nazioni unite, dalla NATO o dall'Unione africana, come pure con la società civile;
    alla luce del nuovo contesto internazionale minacce di tipo geopolitico appaiono minare in profondo la prospettiva di pace e sicurezza di lungo periodo per il continente europeo, e, pertanto, un sistema integrato di difesa europea, basato su efficienza, risparmio e su una comune volontà politica, costituisce un progetto non più rinviabile;
    la Sezione II del Trattato sull'Unione europea, come modificato dal Trattato di Lisbona, reca disposizioni sulla politica di sicurezza e di difesa comune, definita all'articolo 42 parte integrate della politica estera e di sicurezza comune e finalizzata ad assicurare all'Unione la disponibilità di una capacità operativa, ricorrendo a mezzi civili e militari, per il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite;
    tra le maggiori novità introdotte dal Trattato di Lisbona, ai fini della realizzazione della difesa comune europea, rientra lo strumento delle cooperazioni rafforzate, da istituire all'interno dell'Agenzia europea per la difesa o attraverso la creazione di una cooperazione strutturata permanente, e in cui gli Stati membri, legati l'uno all'altro sulla base di un'esplicita clausola di solidarietà, partecipano a missioni, militari e umanitarie;
    anche il comma 3 del medesimo articolo 42 del TUE dichiara l'impegno degli Stati membri al miglioramento progressivo delle rispettive capacità militari avvalendosi del ruolo esercitato dall'Agenzia europea per la difesa, anche per quanto concerne la individuazione delle specifiche esigenze operative;
    il secondo comma del citato articolo 42 del TUE affida la realizzazione della difesa comune ad una deliberazione unanime del Consiglio europeo e ad una decisione degli Stati membri che sia conforme alle rispettive norme costituzionali;
    ciò appare in piena coerenza, pertanto, con l'ordinamento giuridico del nostro Paese fondato sull'articolo 11 della Costituzione e sulla tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, da cui è derivata una partecipazione dell'Italia a missioni internazionali ogniqualvolta che dall'assenza di impiego dello strumento militare sarebbero potute derivare tragedie umanitarie o processi di grave destabilizzazione geopolitica;
    occorre operare nell'ambito del percorso di attuazione delle conclusioni che saranno adottate dal Consiglio europeo e che avrà per protagonista la presidenza di turno dell'UE da parte dell'Italia, in una fase di rinnovo delle istituzioni europee, con particolare riferimento al Parlamento europeo, alla Commissione europea e allo stesso Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza;
    nel più recente intervento del Presidente del Consiglio dei ministri presso l'Assemblea della Camera dei deputati l'11 dicembre 2013, è stata sottolineata l'esigenza che l'Italia rappresenti un fattore di stabilità nei confronti del Mediterraneo e dei Paesi del vicinato orientale, nonché un attore globale capace di difendere e promuovere i suoi interessi e i suoi valori con politiche di sicurezza e difesa nel quadro degli impegni derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea e alle maggiori organizzazioni internazionali e regionali;
    va ribadito l'impegno a proseguire il processo di spending review in corso secondo modalità compatibili con le esigenze di efficienza ed interoperabilità dello strumento militare, provvedendo a graduare le misure di riduzione della spesa militare in modo sostenibile per l'Italia e funzionale alle priorità e agli impegni che saranno assunti in sede europea;
    è necessario giungere all'appuntamento di dicembre avendo condotto una mappatura nazionale dei settori essenziali dell'industria nazionale della difesa, idonei a garantire livelli di competitività anche in futuro;
    le prospettive di ristrutturazione e di crescita dell'industria della difesa devono inserirsi in un quadro coerente, volto a tutelare la strategicità del settore, anche in termini di creazione di posti di lavoro e di rafforzamento delle capacità competitive rispetto ai maggiori concorrenti internazionali;
    va ribadita l'esigenza che il nostro Paese si doti di un proprio Libro bianco sulla difesa, essenziale per definire, in sinergia con l'analoga iniziativa preannunziata in sede di Unione europea dall'Alto Rappresentante, gli obiettivi di difesa e sicurezza dell'Italia, e da compilare con il pieno coinvolgimento delle Commissioni parlamentari competenti come anche dei settori produttivi e della società civile, come peraltro auspicato di recente dal Consiglio supremo di difesa;
    sul versante parlamentare si esprime un riconoscimento unanimemente condiviso dalle forze politiche sugli strumenti normativi previsti anche dalla recente riforma sulla revisione dello strumento militare e finalizzati ad assicurare il controllo parlamentare sul corretto ed efficiente utilizzo delle risorse destinate al finanziamento dei programmi di armamento, in considerazione del carattere di investimento strategico che tali programmi rivestono per la difesa nazionale e per lo sviluppo tecnologico e produttivo del nostro Paese, nonché in un'ottica di sempre maggiore collaborazione interistituzionale tra Governo e Parlamento, fondata sul dialogo, sulla trasparenza e sulla responsabilità;
    è condivisa l'urgenza di avviare un ampio dibattito europeo sui temi della difesa al fine di coinvolgere i cittadini nelle necessarie scelte da compiere, anche sul piano finanziario, evidenziandone i ritorni di tipo civile e funzionali al superamento della crisi economico-finanziaria,

impegnano il Governo:

  a promuovere, in sede europea, un'azione volta a colmare le lacune del sistema della difesa europea e
   a) quanto al primo pilastro, relativo all'efficienza operativa, a promuovere, altresì;
    1) l'elaborazione un nuovo Strategy Paper con una visione europea compiuta sulle nuove minacce di tipo geostrategico, con specifico riferimento al Mediterraneo e al Sahara, e sulle conseguenti misure da adottare sul terreno della PESC e della PSDC per garantire al continente europeo il mantenimento di pace e sicurezza anche nel lungo periodo;
    2) la piena implementazione dello strumento delle cooperazioni rafforzate nel settore della difesa e il potenziamento delle forze di pronto intervento;
    3) l'individuazione, con il supporto dell'Agenzia europea per la difesa, degli investimenti e dei progetti industriali condivisi, da porre in essere promuovendo partnership industriali, in modo da coinvolgere tutto il tessuto produttivo europeo, evitando la sovrapposizione di programmi d'arma;
    4) la messa a sistema delle risorse comuni fra i Paesi dell'Unione, come le strutture addestrative e i poligoni, anche al fine di ridurre progressivamente il peso delle servitù militari sul nostro Paese;
   b) quanto al secondo pilastro, relativo alla capacità di difesa, ad assicurare
    1) l'effettivo avvio di programmi europei a sostegno delle capacità comuni nel campo della sorveglianza aerea satellitare, affiancando le capacità nazionali con nuove iniziative comuni;
    2) il rafforzamento delle attività di ricerca e sviluppo, e, in questo quadro, la produzione europea nel settore navale ed in quello aeronautico ad alta tecnologia, garantendo continuità e sostegno ai consorzi europei esistenti e prevedendone la costituzione di nuovi a partire dal settore dei droni;
    3) l'impegno comune sullo sviluppo di capacità-chiave, come il rifornimento in volo e la cyber difesa;
   c) quanto al terzo pilastro, relativo all'industria della difesa, a promuovere
    1) il riconoscimento dell'importanza di misure a sostegno delle piccole e medie imprese, anche al fine di facilitare l'accesso ad opportunità di ricerca e sviluppo, soprattutto in vista del programma Horizon 2020;
    2) l'impegno per la sicurezza degli approvvigionamenti e la correlata esigenza di una piena applicazione della direttiva sui trasferimenti intracomunitari;
    3) lo scambio di informazioni su sistemi di controllo nazionale degli investimenti esteri in imprese strategiche per la difesa;
    4) la valorizzazione delle sinergie tra ricerca civile e militare nel settore delle tecnologie ad uso duale in modo da sviluppare capacità dual use anche negli assetti operativi della Difesa;
    5) la cooperazione nel settore dei processi di standardizzazione e certificazione, in cui l'Italia vanta un particolare livello di eccellenza;
    6) una politica europea di protezione della priorità intellettuale e delle regole di ingaggio societario.
(7-00208) «Manciulli, Scanu».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    come rilevato da Eurispes nel «Rapporto Italia 2011» e successivi, l'83 per cento degli italiani disapprova le attività di sfruttamento degli animali per la produzione di pellicce e per questo sono sempre più numerose le iniziative di contestazione fisica o telematica organizzate verso le amministrazioni comunali dove sono attivi allevamenti di animali «da pelliccia» ed avviate anche spontaneamente da singoli cittadini non afferenti a specifiche associazioni animaliste;
    il diretto coinvolgimento della maggioranza dell'opinione pubblica in pacifiche azioni finalizzate a rivendicare il diritto degli animali a non essere sfruttati per la loro pelliccia, è indice dell'evoluzione culturale e dei nuovi valori sociali sempre più diffusi tra la popolazione italiana;
    gli enti locali non hanno il potere di vietare attività di allevamento di animali per la principale finalità di utilizzare la loro pelliccia, per questo è necessaria una normativa nazionale che ponga il divieto tale pratica sul tutto il territorio italiano;
    per quanto gli allevatori possano rispettare le normative vigenti, sono di palese evidenza le numerose criticità delle modalità di stabulazione dei visoni in funzione alle esigenze etologiche di questi animali. Il visone è un animale acquatico, può immergersi sino a 5 metri di profondità e può nuotare sottacqua per circa 30 metri; così come è anche un abile corridore sulla terra ferma dove, solitario e non in branco, occupa sino a 4 chilometri di territorio. I visoni in allevamento vivono invece a migliaia – anche 20-30 mila animali per impianto, a stretto contatto tra di loro e senza alcuna possibilità di riparo, non hanno alcuna possibilità di nuotare, e l'unico mondo che conoscono è fatto di una gabbia in rete metallica delle dimensioni di 2.550 centimetri quadrati (circa 36x70 centimetri e alta 45 centimetri);
    è dimostrato che i visoni in allevamento manifestano spesso comportamenti innaturali e per periodi prolungati nel corso della giornata, come il succhiarsi o mordersi la coda o altre parti del corpo sino a procurarsi automutilazioni o gravi lesioni, oltre che a manifestare episodi di aggressione e infanticidio; si tratta di evidenze già documentate nel 2001 dal Comitato scientifico per la salute e il benessere animale della Commissione europea nel report «The welfare of animals kept for fur production» che classificò le condizioni di detenzione degli animali «da pelliccia» negli allevamenti europei come «gravemente lesive del benessere animale»;
    dalle immagini e dai filmati diffusi dalla LAV, reperibili in internet o comunque anche tramite i frequenti servizi giornalistici messi in onda dai telegiornali nazionali, è facile comprendere come l'incompatibilità della vita in gabbia dei visoni sia causa di gravi privazioni per questi animali;
    l'attività di allevamento di animali «da pelliccia», ed in particolare dei visoni, è stata oggetto dello studio scientifico di Life Cycle Assessment condotto dalla società olandese di consulenza ambientale Ce Delft, pubblicato in Italia dalla LAV nel 2011 e intitolato «The environmental impact of mink fur production». Da tale ricerca emerge come nel processo di lavorazione per l'ottenimento di un chilogrammo di pelliccia animale, la fase di alimentazione dei visoni risulta essere un fattore dominante in 14 effetti ambientali dei 18 presi in esame (tra i quali il cambiamento climatico, l'eutrofizzazione e le emissioni tossiche), e che tale produzione è causa di impatto ambientale maggiore rispetto alla produzione di un analogo quantitativo di prodotti sostitutivi anche di sintesi come l'acrilico e il poliestere;
    in Europa, l'allevamento di animali «da pelliccia» è un'attività in declino e sempre più Stati membri stanno adottando provvedimenti normativi non solo restrittivi e disincentivanti, bensì di reale messa al bando, come già fatto da: Inghilterra (2000, divieto per tutti gli animali); Irlanda del Nord (2003, divieto per tutti gli animali); Scozia (2003, divieto per tutti gli animali); Austria (2004, divieto per tutti gli animali); Croazia (2007, divieto per tutti gli animali effettivo dal 2017); Bosnia (2009, divieto per tutti gli animali effettivo dal 2018); Danimarca (2009, volpi effettivo dal 2024); Slovenia (2013, divieto per tutti gli animali effettivo dal 2015);
    persino l'Olanda, che oggi costituisce il terzo Paese al mondo produttore di pelli di visone con oltre 5 milioni di animali allevati all'anno, ha approvato a dicembre 2012 il divieto di allevamento di animali «da pelliccia» che sarà vigente dal 2024 per dare il tempo ai 189 allevamenti di visoni di riconvertirsi mentre il divieto di allevamento di chinchilla e volpi per la produzione di pellicce era già vigente dal 2008;
    l'Italia con il decreto legislativo n. 146 del 2001 consente e regolamenta l'attività di allevamento di animali da pelliccia disponendo, in modo controverso, che i visoni – unica specie allevata nei 18 allevamenti italiani – debbano essere cresciuti confinati in gabbie della misura minima di 36 centimetri x 70 e altezza di 45 centimetri, mentre l'allevamento di altre specie animali e per la stessa finalità (che di fatto non esiste in Italia) dovrebbe avvenire in recinzioni con anche arricchimenti ambientali;
    è già stata presentata la proposta di legge di «divieto di allevamento, di cattura e uccisione di animali per la loro pelliccia», di cui è promotrice l'associazione LAV, al Senato (atto S. 62 assegnato alla Commissione igiene e sanità) e alla Camera (atto C. 288, assegnato alla Commissione agricoltura), sostenuta da numerosi parlamentari di diversi schieramenti politici;
    a favore della proposta di legge «divieto di allevamento, di cattura e uccisione di animali per la loro pelliccia», quasi 100.000 cittadini hanno già sottoscritto la petizione di iniziativa popolare indetta dalla LAV nel 2011 e nuovamente, in queste settimane, migliaia di italiani stanno chiedendo di approvare il bando nazionale tramite un ulteriore appello veicolato dalla LAV ai parlamentari membri delle commissioni referenti di Camera e Senato;
    le assemblee legislative delle regioni Abruzzo ed Emilia Romagna – che insieme a Lombardia e Veneto sono le uniche regioni dove ancora oggi insistono allevamenti di animali «da pelliccia» – hanno già approvato all'unanimità un ordine del giorno al fine di chiedere al Parlamento la messa al bando dell'allevamento di animali per la produzione di pellicce;
    anche l'ANCI ha espresso il proprio parere favorevole al divieto disponendo all'articolo 6 comma 25 del testo «tipo» di regolamento comunale per la «Tutela del benessere degli animali e la convivenza con i cittadini»: «È vietato l'allevamento di animali al fine di ottenere pellicce»,

impegna il Governo:

   ad assicurare, in base a quanto esposto in premessa e già applicato in numerosi Stati dell'Unione europea, iniziative normative in materia di divieto di allevamento, di cattura e uccisione di animali per la loro pelliccia al fine di mettere fine ad una pratica anacronistica quanto crudele contro gli animali, favorendo, per quanto di competenza, un rapido iter delle proposte di legge presentate sul tema;
   ad intraprendere, tutte le iniziative possibili volte a vietare l'allevamento di animali «da pelliccia» in Italia;
   a promuovere campagne nazionali di sensibilizzazione contro l'uso di indumenti realizzati attraverso lo sfruttamento degli animali, al fine di indurre la popolazione italiana a diminuire, più di quanto stia già accadendo, l'acquisto di capi che comportano lo sfruttamento e il maltrattamento di altri esseri viventi.
(7-00206) «Gagnarli, Massimiliano Bernini, Gallinella, Benedetti, L'Abbate, Lupo, Parentela».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    sussiste l'esigenza di razionalizzare e semplificare il sistema dei controlli nel comparto agroalimentare in modo da rendere più efficace l'effettuazione dei controlli ispettivi, l'utilizzo delle risorse facenti capo ai diversi organismi impegnati per il contenimento della spesa pubblica, la riduzione delle possibili sovrapposizioni nello svolgimento delle azioni ispettive, la scelta dei target ottimali aziendali che presentano profili di rischio elevati;
    emerge la necessità di valorizzare le produzioni agroalimentari nazionali promuovendo il made in Italy di eccellenza, in grado di competere sui mercati internazionali più efficacemente attraverso elevati standard dei controlli di qualità e di sanità dei prodotti, così da esaltare i valori culturali e della tradizione manifatturiera italiana, valorizzando i territori attraverso l'utilizzazione della materia prima agroalimentare nazionale;
    il Corpo forestale dello Stato e l'ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, svolgono, ormai da diversi anni, ognuno in base alle rispettive competenze, azioni di controllo nel comparto agroalimentare di estrema efficacia;
    il Corpo forestale dello Stato quale forza di polizia specializzata ha sviluppato in questi anni un'intensa attività investigativa nel settore agroalimentare e l'ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi agroalimentari ha effettuato una continua attività di controllo attraverso anche l'utilizzazione dei propri laboratori di analisi chimico-fisiche;
    i due organismi sono entrambi incardinati nel Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali; il loro personale, seppur con differenziazioni, riveste qualifiche di polizia giudiziaria e le normative succedutesi nel corso degli ultimi anni hanno attribuito ad entrambi la competenza di tutela di tutte le filiere del settore agroalimentare (viti-vinicolo, lattiero-caserio, oleario) con particolare riferimento al rispetto della normativa nazionale e internazionale di settore, alla tutela dei prodotti DOP, IGP e STG, (norma ex officio), ai controlli nel settore dei prodotti dell'agricoltura biologica, alla prevenzione del rischio di encefalopatia spongiforme bovina (BSE), ai prodotti ed alle piante geneticamente modificati (OGM);
    l'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari a fronte di un organico complessivo di circa 900 unità è strutturato in un dipartimento centrale a cui afferiscono due uffici di livello dirigenziale generale e otto unità dirigenziali di livello non generale e, a livello territoriale, di 12 uffici e 4 laboratori di livello dirigenziale non generale;
    il Corpo forestale dello Stato ha un organico complessivo di oltre 9.000 unità ed è strutturato in un ispettorato generale a cui afferiscono 6 servizi centrali (retti da dirigenti superiori) e 24 uffici dirigenziali, mentre a livello territoriale operano 15 comandi provinciali (retti da dirigenti superiori) e 83 comandi provinciali di livello dirigenziale e sul territorio operano ulteriori articolazioni per lo svolgimento di funzioni particolari attribuite dal quadro normativo vigente (20 coordinamenti territoriali per l'ambiente per la sorveglianza nei parchi nazionali, 28 uffici territoriali per la biodiversità in funzione delle attività di tutela e salvaguardia delle riserve naturali dello Stato e del patrimonio genetico animale e vegetale, 28 Servizi CITES territoriali (SCT), sul territorio e 23 nuclei operativi CITES (NOC) presso le dogane, per il controllo della commercializzazione delle specie protette dalla Convenzione di Washington, e oltre 1.000 comandi stazione forestali diffusi in modo capillare in particolare nelle aree rurali e montane;
    la realizzazione di un'unica struttura che possieda le peculiarità del Corpo forestale dello Stato (specializzazione tecnica e operativa per l'ampia gamma di tipologie di assunzioni effettuate, capacità investigativa e di intervento tipica di una Forza di polizia, territorialità per la presenza di uffici su tutto il territorio nazionale in particolare nelle aree rurali e montane, supporto operativo di notevole capacità, mezzi e personale in quantità superiore, scuole, centro aeromobili, servizio nautico, reparti a cavallo e cinofilo, presenza negli organismi di cooperazione internazionale, presenza negli spazi doganali) e dell'ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (specializzazione tecnica derivante dalla tipologia delle assunzioni e mantenuta grazie alla formazione continua del personale, attività di certificazione delle strutture delegate ai controlli, autorità competente ad emettere ordinanze di ingiunzione, qualificazione dei laboratori, unici in Italia ad essere riconosciuti ufficialmente per i controlli di qualità sugli alimenti e mezzi tecnici, punto di riferimento per tutti gli operatori per attività di informazione sulla normativa vigente), consentirebbe di ottenere un organismo di eccellenza nazionale di elevata specializzazione, professionalità, operatività e incisività che potrebbe operare con efficacia per la tutela e la valorizzazione del sistema nazionale alimento-territorio-ambiente e potrebbe altresì corrispondere in modo adeguato alle esigenze di cooperazione internazionale in ambito Unione europea per le necessità della recente norma dell’ex officio per la tutela dei prodotti DOP, IGP e STG e in ambito Interpol-Europol;
    la realizzazione di un'unica struttura consentirebbe di ottenere indubbi benefici per tutto il settore e in particolare quelli di razionalizzare e snellire i controlli nei confronti delle aziende sottoposte a verifica attraverso la realizzazione di un'unica banca dati dei controlli, creare una maggiore incisività e professionalità nell'azione data dall'integrazione di caratteristiche complementari (tecniche e di polizia), razionalizzare la spesa pubblica tramite una revisione dell'utilizzo delle strutture nei medesimi ambiti territoriali, ottimizzare l'impiego di personale nei controlli tecnico-specialistici, aumentare l'efficienza e l'efficacia dell'azione pubblica mediante una riorganizzazione attenta e rispettosa delle necessità e delle esperienze del settore, attuare il principio di terzietà in campo amministrativo separando la funzione dell'accertamento delle irregolarità da quella riguardante l'emissione delle relative ordinanze di ingiunzione, aumentare l'efficacia dell'azione investigativa e di cooperazione internazionale nel settore;
    il possibile accorpamento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari al Corpo forestale dello Stato, consentirebbe di sviluppare quelle sinergie operative capaci di conseguire risultati particolarmente efficaci, ottenendo nel contempo l'auspicabile ottimizzazione delle risorse umane e strumentali impiegate nel settore dalle due amministrazioni con un conseguente contenimento della spesa pubblica;
    la costituzione di un unico organismo di eccellenza di controllo e di indagine per la tutela e valorizzazione del sistema alimento-territorio-ambiente consentirebbe anche di corrispondere in modo ottimale alle nuove esigenze di cooperazione internazionale con l'Unione europea e con l'Interpol e Europol per contrastare i fenomeni di contraffazione non solo nei luoghi dove vengono prodotti gli alimenti illegali ma anche in quelli, lontani dai primi, dove avviene il più delle volte la commercializzazione illegale dei prodotti,

impegna il Governo

ad intraprendere un percorso di semplificazione e razionalizzazione del sistema dei controlli agroalimentari, al fine di migliorare l'efficacia degli interventi sulle aziende, di valorizzare la produzione agroalimentare e di promuovere il made in Italy, ottimizzando l'impiego del personale e delle strutture, nell'ottica del contenimento della spesa pubblica, attraverso l'accorpamento all'ispettorato generale del Corpo forestale dello Stato di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1o agosto 2003, n. 264 del dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 2012, n. 41 (ex ispettorato centrale repressione frodi) di cui all'articolo 10 del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1986, n. 462 e successive modificazioni.
(7-00207) «Fiorio».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 75, «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Sardegna concernenti l'istituzione di zone franche» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 1998 prevede:
    «1. In attuazione dell'articolo 12 dello statuto speciale per la regione Sardegna approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, e successive modificazioni, sono istituite nella regione zone franche, secondo le disposizioni di cui ai regolamenti CEE n. 2913/1992 (Consiglio) e n. 2454/1993 (Commissione), nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax ed in altri porti ed aree industriali ad essi funzionalmente collegate o collegabili;
    2. La delimitazione territoriale delle zone franche e la determinazione di ogni altra disposizione necessaria per la loro operatività viene effettuata, su proposta della regione, con separati decreti del Presidente del Consiglio dei ministri;
    3. In sede di prima applicazione la delimitazione territoriale del porto di Cagliari è quella di cui all'allegato dell'atto aggiuntivo in data 13 febbraio 1997, dell'accordo di programma dell'8 agosto 1995 sottoscritto con il Ministero dei trasporti»;
   la regione Sardegna con deliberazione n. 39/30 del 26 settembre 2013 ha previsto:
    di proseguire e reiterare le azioni nei confronti dello Stato italiano affinché lo stesso formalizzi l'istanza all'Unione europea volta ad ottenere l'extra-doganalità di tutto il territorio della Sardegna (zona franca integrale) conseguibile o con la modifica/integrazione del codice doganale europeo, aggiungendo la Sardegna agli altri territori extra-doganali individuati dallo Stato italiano, ovvero dando seguito a quanto previsto dal medesimo codice in materia di determinazione delle zone franche dove si stabilisce che «Gli Stati membri possono destinare talune parti del territorio doganale della Comunità dell'Unione a zona franche per ogni zona franca, lo Stato membro stabilisce l'area interessata e i punti di entrata e di uscita»;
    di proporre alla Presidenza del Consiglio dei ministri, interpretando estensivamente il decreto legislativo n. 75 del 1998, una unica perimetrazione dell'intero territorio regionale quale coincidente con i confini naturali dell'isola e delle sue isole minori circostanti;
   la regione ha chiesto all'agenzia delle dogane e dei monopoli l'immediata attivazione della Zona franca di Cagliari con gli adempimenti di competenza di cui all'articolo 3 del Regolamento (CE) n. 2562 del 1990;
   il Governo con proprio emendamento alla legge di stabilità 2014 ha previsto la modifica dello statuto della regione autonoma della Sardegna –:
   se il Governo abbia formalmente avanzato la richiesta all'Unione europea per la modifica o integrazione del codice doganale europeo, aggiungendo la Sardegna agli altri territori extra doganali individuati dallo Stato italiano;
   se la Presidenza del Consiglio abbia valutato la proposta della regione Sardegna di interpretare estensivamente il decreto legislativo n. 75 del 1998 con un'unica perimetrazione dell'intero territorio regionale quale coincidente con i confini naturali dell'isola e delle sue isole minori circostanti e se in tal senso abbia deliberato o intenda farlo e con quali tempi;
   se l'Agenzia di cui sopra abbia dato riscontro alla richiesta della regione oppure quale sia l'intendimento della stessa;
   se risulti, come dichiarato da alcuni rappresentanti istituzionali sardi, che la Sardegna dal 1° gennaio sarà zona franca integrale.
(2-00344) «Pili».

Interrogazioni a risposta scritta:


   ELVIRA SAVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   i dati allarmanti forniti dalla Società italiana di pediatria rivelano che il nostro Paese ha tassi di sedentarietà tripli rispetto agli altri Paesi europei: a 15 anni di età meno di 1 adolescente su 2 pratica attività sportiva continuativa, a 18 anni la pratica poco più di 1 su 3, mentre in controtendenza risultano soltanto i bambini dai 6 ai 10 anni, ma l'abbandono precoce comincia già ad 11 anni;
   in dieci anni (2001-2011) tra i bambini di età compresa tra i 6 e i 10 anni la pratica sportiva continuativa è aumentata di oltre 5 punti percentuali, passando dal 48,8 per cento al 54,3 per cento. Nell'ultimo anno, grazie ad una ulteriore crescita di circa 3 punti percentuali, i più piccoli hanno guadagnato il primato dei più sportivi del Paese. Quasi 6 su 10 (57 per cento) praticano uno sport in maniera continuativa, in particolare nuoto e danza. Si tratta di percentuali che non si registrano in nessun altro periodo della vita di ogni individuo;
   tuttavia, già dopo la scuola primaria, i bambini italiani iniziano ad allontanarsi dalla pratica sportiva. Tra il 2011 e il 2012 la quota di praticanti continuativi è diminuita persino nella fascia d'età 11-14 anni, passando dal 56 per cento al 53,4 per cento. Percentuale che tra i 15 e i 17 anni diventa del 48,5 per cento e si assesta 14 punti percentuali sotto, al 34,7 per cento, tra i 18 e i 19 anni;
   secondo i pediatri risulta particolarmente preoccupante l'elevato numero di sedentari assoluti, ovvero coloro che non praticano né sport (in maniera continuativo o saltuaria che sia) né alcuna attività fisica. Tale fenomeno riguarda soprattutto le ragazze in una percentuale che va da 24 per cento (tra i 15 e 17 anni) al 30 per cento (tra i 18 e i 19 anni);
   tra le principali cause all'origine di tale fenomeno vi sono le nuove tecnologie: gli adolescenti, infatti, trascorrono da tre a quattro ore al giorno davanti a uno schermo (di tv, computer o smartphone);
   tuttavia ciò non è sufficiente a spiegare perché il tasso di sedentarietà degli adolescenti italiani sia più che triplo rispetto a quello dei loro coetanei europei. Alcuni studi svolti in alcune città italiane hanno evidenziato due principali motivi alla base dell'abbandono: uno legato all'eccessivo impegno richiesto dallo studio (56,5 per cento) e l'altro riconducibile alle modalità di svolgimento dell'attività fisica perché «fare sport è venuto a noia» (65,4 per cento) «costa troppa fatica» (24,4 per cento), e gli «istruttori sono troppo esigenti» (19,4 per cento);
   è necessario offrire alle giovani generazioni nuovi stimoli, finalizzati ad una competizione sana, lontana dall'agonismo esasperato e da aspettative e pressioni eccessive che rischiano di allontanare i giovani dallo sport;
   lo sport è un elemento fondamentale per il sano sviluppo dei bambini, tanto da esser stato riconosciuto dalle Nazioni Unite come un diritto fondamentale. Secondo l'articolo 31 della Convenzione sui diritti dell'infanzia: «Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica[...]»;
   anche se tale articolo non cita espressamente lo sport, la dottrina ha specificato successivamente che le parole riposo, svago, gioco e attività ricreative, benché appaiano quasi come dei sinonimi, implicano invece differenze sostanziali. In particolare, per attività ricreative si intende una vasta gamma di azioni svolte per libera scelta, il cui scopo è il piacere e il divertimento: lo sport, le arti creative, i passatempi di carattere scientifico, tecnico, artigianale, agricolo;
   anche in Italia l'UNICEF si impegna a promuovere una vita sana – fondata sulla salute fisica, mentale e psicologica – dei bambini e degli adolescenti, grazie a sport, svago e attività ricreative;
   l'attività fisica regolare apporta innumerevoli benefici al corpo e alla mente: irrobustisce il fisico e ne previene le malattie; sviluppa e aiuta a mantenere sano l'apparato osseo; aiuta a controllare il peso corporeo; aiuta a ridurre il grasso e la pressione sanguigna; riduce lo stress, l'ansia, la depressione e la sensazione di solitudine; prepara i bambini all'apprendimento futuro; migliora il rendimento scolastico; aiuta a controllare vari rischi comportamentali, come l'uso di tabacco, droghe o di altre sostanze, le abitudini alimentari scorrette, il ricorso alla violenza;
   come dichiarato dal direttore esecutivo dell'UNICEF Ann Veneman, l'attività fisica promuove la non violenza, la tolleranza e la pace;
   lo sport insegna valori fondamentali quali amicizia, solidarietà, lealtà, lavoro di squadra, autodisciplina, autostima, fiducia in sé e negli altri, rispetto degli altri, modestia, comunicazione, leadership, capacità di affrontare i problemi, ma anche interdipendenza;
   lo sport rappresenta inoltre un importante fattore di coesione sociale, un valido sostegno per i giovani nel percorso di crescita, che li aiuta ad affrontare le sfide quotidiane e a superare le differenze culturali, linguistiche, religiose, sociali, ideologiche –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere al fine di riavvicinare gli adolescenti all'attività fisica e alla pratica sportiva;
   se non ritengano opportuno, altresì, porre in essere azioni tese alla valorizzazione dell'attività fisica e della pratica sportiva non agonistica coinvolgendo anche le società sportive e le strutture scolastiche. (4-02953)


   COSTANTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la SIAE – Società degli autori e editori – è un ente pubblico economico regolato dalla legge n. 2 del 2008 che agisce, a tutela degli interessi collettivi rappresentati, in regime di monopolio legale ai sensi della legge n. 633 del 1941;
   la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'economia e delle finanze, per quanto di competenza, esercitano un'azione di vigilanza sulla SIAE;
   il 3 marzo 2011 Presidenza del Consiglio dei ministri ha commissariato la SIAE nominando commissario il dottor Gian Luigi Rondi e sub commissari il professor Mario Stella Richter e l'avvocato Luca Scordino; il mandato conferito è stato quello di procedere alla revisione dello statuto ed al risanamento economico-finanziario dell'ente; il commissariamento ha avuto termine il 1° marzo 2013 con l'elezione dei nuovi organi sociali;
   la VII Commissione della Camera dei deputati nella scorsa legislatura, dopo una lunga indagine, il 6 novembre 2012 ha deliberato l'istituzione di una commissione di inchiesta sulla SIAE motivata da una contestata e affatto trasparente operazione immobiliare per altro di dubbio esito; a causa dell'anticipata interruzione della XVI legislatura la Commissione non ha potuto svolgere il proprio compito; tuttavia, considerate le gravi evidenze emerse nel corso dell'indagine conoscitiva condotta dalla Commissione cultura della Camera della XVI legislatura, andrebbe tempestivamente ricostituita;
   il 19 giugno 2013 il neo eletto consiglio di sorveglianza ha ritenuto di approvare il bilancio consuntivo 2012 della SIAE pur in assenza di alcun obbligo trattandosi di un atto commissariale del dottor Rondi;
   il citato bilancio presenta un passivo del margine operativo lordo superiore ai 30 milioni di euro, mentre il bilancio 2009, l'ultimo redatto dagli organi sociali prima del commissariamento, presentava un disavanzo di 20 milioni di euro; in altri termini i costi sono aumentati e gli utili diminuiti; nel biennio 2011/2012 di gestione commissariale la SIAE ha sopportato un onere pari a 140 milioni di euro per la ristrutturazione del fondo pensioni dipendenti, connessa, come esplicitamente affermato dei vertici della Società, alla menzionata operazione immobiliare, che già in fase di avvio presenta un'evidente criticità essendo attesi per il primo biennio di funzionamento 7 milioni di proventi a favore dell'Ente, mentre la SIAE dovrà sopportare un onere per fitti passivi di circa 13,7 milioni di euro;
   i risultati di bilancio, ad avviso dell'interrogante, dimostrano inequivocabilmente che il commissario governativo ha fallito nel compito di risanamento economico-finanziario e che anzi le iniziative assunte rischiano di compromettere la solidità patrimoniale dell'ente pubblico SIAE;
   ulteriori dubbi si appalesano anche sull'azione commissariale in tema di contabilità separata del fondo di solidarietà in quanto le spese di gestione sopravanzano le prestazioni rese ed il capitale immobilizzato appare immotivatamente sproporzionato rispetto agli interventi assistenziali realizzati; ciò stante si dovrebbe rimeditare, fermo restando il vincolo di destinazione, quanto deliberato dal commissario in tema di cessazione di erogazione nei confronti degli associati;
   quanto sin qui rappresentato denota secondo l'interrogante un'ingiustificabile dispersione di risorse appartenenti ad una vasta categoria, composta da circa 100.000 associati alla SIAE, che appare maggiormente censurabile in un contesto generale nel quale vengono richiesti alle aziende, pubbliche e private, e, soprattutto, ai cittadini sacrifici spesso difficilmente sopportabili –:
   quali siano state le valutazioni del Governo in sede di esercizio dei poteri, assegnati dalla legge, di ratifica del bilancio della SIAE e quali siano state le eventuali indicazioni fornite alla società in materia di reale risanamento dell'ente per evitare che la progressiva perdita di incassi (in significativa contrazione anche per l'anno in corso) possa nel breve periodo creare uno squilibrio finanziario tale da mettere in discussione la capacità di continuare a perseguire i compiti istituzionali;
   quali siano le garanzie per gli autori che gli importi accantonati per il fondo di solidarietà, senza alcun onere a carico della SIAE nemmeno gestionale, continuino ad essere utilizzati ai fini di solidarietà a favore degli stessi così come previsto dallo statuto dell'Ente. (4-02971)


   VIGNAROLI, DAGA, TOFALO e MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 24 giugno 2011, la direzione regionale delle attività produttive e rifiuti della regione Lazio, trasmetteva al segretario generale della presidenza della giunta, Salvatore Ronghi, con nota prot. n. 120859, un documento, intitolato «Analisi preliminare di individuazione di aree idonee alla localizzazione di discariche per rifiuti non pericolosi» (doc. 1161/3 e 865/2), nel quale venivano individuati sette potenziali siti da adibire a discariche per rifiuti solidi urbani trattati. Tra questi potenziali invasi, veniva indicato anche quello di Monti dell'Ortaccio, ubicato nel comune di Roma;
   in data 11 ottobre 2011, l'allora commissario straordinario ai rifiuti, dottor Giuseppe Pecoraro veniva audito dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ed ivi dichiarava: «l'ordinanza prevede di scegliere uno o più siti tra i sette individuati dalla regione Lazio (...). Abbiamo escluso immediatamente il sito di Monte dell'Ortaccio in quanto, da un'indagine dell'ISPRA dell'aprile 2011 la zona risulta condizionata da inquinamento delle acque di falda dovuto alla presenza della raffineria e della discarica, rilevandosi in aggiunta la compromissione del Rio Galeria all'altezza di via Portuense, in base a dati dell'ARPA Lazio e ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 1999. Questo sito si trova a poca distanza dalla discarica di Malagrotta e da due raffinerie. Abbiamo ritenuto, quindi, come gruppo di tecnici, di escludere questo dagli altri sette siti»;
   il 25 maggio 2012, il prefetto Giuseppe Pecoraro, rassegnava le sue dimissioni ed in sua sostituzione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 maggio 2012 (sostituzione del commissario delegato per l'emergenza ambientale nella provincia di Roma per l'imminente chiusura della discarica di Malagrotta), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 26 maggio 2012, veniva nominato l’ex prefetto Goffredo Sottile, già commissario delegato all'emergenza rifiuti nella regione Calabria nell'anno 2009;
   in data 8 giugno 2012, in una lettera indirizzata al sindaco di Riano ed altri, il Ministro pro tempore Clini, informava che il 12 marzo su richiesta del prefetto di Roma e d'accordo con regione, provincia e comune, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva avviato una verifica tecnica sui 7 siti con riferimento ai vincoli non derogabili stabiliti dalle direttive europee 1999/31/CE e 2008/98/CE in materia di discariche di rifiuti, della direttiva 2000/60/CE in materia di acque, nonché dalle norme nazionali di recepimento decreto legislativo n. 152 del 2006 e n. 205 del 2010. (...) «La scelta dei 7 siti da parte della Regione non è sostenuta da uno studio comparato delle diverse alternative, ovvero non è il risultato della Valutazione Ambientale Strategica (VAS), che avrebbe dovuto svolgere un accurato lavoro di selezione di tutti i siti al fine di scegliere i più idonei in base all'analisi dei vincoli che insistono su ciascuno, dei fattori escludenti o penalizzanti e dei relativi fattori preferenziali»;
   con nota n. 157 del 10 agosto 2012, acquisita al protocollo della regione Lazio n. 56098 del 14 agosto 2012, veniva presentata, da parte del Consorzio laziale rifiuti (CoLaRi) di proprietà dell'avvocato Manlio Cerroni, l'istanza per la realizzazione e messa in esercizio di una nuova discarica per rifiuti speciali non pericolosi, sita in località Monti dell'Ortaccio nel comune di Roma Capitale;
   in data 23 agosto 2012, con nota n. 145, il commissario delegato Goffredo Sottile, disponeva che l'ufficio commissariale assumesse la competenza in ordine al procedimento di autorizzazione integrata ambientale (AIA) relativo alla realizzazione, in località Monti dell'Ortaccio nel comune di Roma Capitale, di un impianto di discarica di rifiuti speciali non pericolosi, di cui all'istanza presentata dal Consorzio CoLaRi e indiceva la conferenza dei servizi istruttoria con le amministrazioni competenti;
   con note del 6 settembre 2012, prot. n. 170/u-I-P.C.M/E.A. del 6 settembre 2012 prot. n. 191/u e del 18 settembre 2012, prot. n. 262/u, veniva convocata per il giorno 24 settembre 2012, la conferenza di servizi istruttoria, finalizzata all'esame dell'autorizzazione. Gli enti interpellati in conferenza di servizi erano: la regione Lazio, l'Arpa Lazio, il Ministero per i beni e le attività culturali, la provincia di Roma dipartimento IV, il comune di Roma Capitale, il comune di Roma XV municipio, l'Asl Roma D, la sopraintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma, la sopraintendenza per i beni archeologici di Roma, l'Autorità di bacino del fiume Tevere, la Terna spa – rete elettrica nazionale, l'Enac spa ed infine l'Enav spa; detti enti, resero pareri scritti negativi in merito alle soluzioni progettuali relative al sito di Monti dell'Ortaccio, fornite dal consorzio Co.La.Ri;
   il 27 dicembre del 2012, il commissario Goffredo Sottile, firmava l'Aia autorizzando in tal modo il sito di Monti dell'Ortaccio a divenire nel breve periodo la nuova discarica di Roma;
   come noto, l'autorizzazione integrata ambientale (AIA) è quel provvedimento che autorizza l'esercizio di un impianto o di parte di esso a determinate condizioni, idonee a garantire la conformità ai requisiti di cui alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, così come modificato dal decreto legislativo n. 128 del 2010, costituente l'attuale recepimento della direttiva comunitaria 2008/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008 sulla prevenzione e la riduzione integrata dell'inquinamento (IPPC). Ai sensi di quanto previsto dall'articolo 29-quattuordecies del citato decreto legislativo n. 152 del 2006, tale autorizzazione è necessaria per poter esercire le attività specificate nell'allegato VIII alla parte seconda dello stesso decreto;
   l'Aia sul sito di Monti dell'Ortaccio, veniva rilasciata nonostante le innumerevoli revisioni progettuali sviluppate dal proponente CoLaRi non avessero condotto al superamento dei pareri negativi espressi dagli enti tecnici intervenuti in conferenza di servizi ed in special modo quello dell'Autorità di bacino del fiume Tevere, contrario alla scelta del sito di Monti dell'Ortaccio, in quanto invaso presentante forti criticità soprattutto sotto il profilo idrogeologico. Oltre all'aspetto idrogeologico ulteriori criticità emerse, e non superate in conferenza di servizi, sono risultate legate alla presenza di fattori di inidoneità quali la distanza della discarica dall'aeroporto di Fiumicino (4 chilometri) e dalle abitazioni (100 metri) e l'elevato livello di contaminazione e di inquinamento dell'area, dovuto alla presenza dei numerosi impianti ad alto rischio ambientale e di incidente rilevante che di per sé costituiscono fattori escludenti non derogabili;
   le non superate osservazioni emerse in conferenza di servizi costringevano Sottile, ad imporre nell'Aia diverse prescrizioni. Tra tutte, quella di subordinare il conferimento dei rifiuti nella discarica alla presentazione di un modello idrogeologico redatto da una università e/o ente pubblico di ricerca, su di un'area, comprendente l'impianto, sufficientemente vasta da includere i corpi idrici recettori e tutte le fonti di inquinamento potenziali in atto, evidenziandone inoltre i possibili impatti, dai quali risultasse inequivocabilmente l'assenza del pericolo di inquinamento della falda;
   è bene rammentare inoltre che in virtù dello stato d'emergenza dichiarato nell'intera provincia di Roma ed in deroga dunque alle norme vigenti in materia (possibilità che purtroppo l'abusato e disastroso istituto del commissariamento prevede) l'Aia, veniva rilasciata dal commissario delegato senza aver superato la necessaria procedura di Via;
   viste le inevitabili, giuste osservazioni e rimostranze da parte degli attenti cittadini residenti nell'area della Valle Galeria, che da molti anni vedono calpestato impunemente il loro diritto alla salute, e considerando la procedura anomala con la quale veniva rilasciata l'Aia per il sito di Monti dell'Ortaccio, alcun senatori, chiedevano in data 17 settembre 2013 di audire in Commissione ambiente del Senato, il commissario Sottile per conoscere la recondita ragione della scelta di un sito già ampliamente dichiarato inidoneo. Durante detta audizione peraltro registrata da Radio Radicale, Sottile ammetteva candidamente: «Dei 7 siti indicati dalla regione Lazio dei quali io dovevo tenere prioritariamente conto, l'unico sito che alla fine delle nostre sia RAPIDE istruttorie ci sembrò idoneo alla scopo è stato quello di Monti dell'Ortaccio, che non ha incontrato l'adesione di alcun Ente territoriale. É stata una decisione che io ho preso in solitaria e debbo dire che quella decisione non ha dato i frutti sperati perché l'Aia concessa era subordinata alla presentazione da parte del proponente che era il Consorzio CoLaRi, cioè l'Avvocato Cerroni, alla presentazione di un modello idrogeologico che ancora non è pervenuto». Identica dichiarazione il commissario rilasciava nel corso dell'audizione del 18 settembre 2013 tenutasi presso la Commissione ambiente del Consiglio regionale del Lazio;
   da organi di stampa, nei mesi successivi alle inaccettabili dichiarazioni del commissario, si veniva a conoscenza che delle associazioni di cittadini, avevano impugnato innanzi al Tar, l'autorizzazione integrata ambientale (AIA) emessa il 27 dicembre del 2012, nella quale il conferimento dei rifiuti veniva subordinato alla redazione del citato studio idrogeologico che certificasse inequivocabilmente l'assenza del pericolo di inquinamento della falda;
   sempre dalla Stampa si apprendeva che lo studio, nonostante le autorità preposte dichiarassero inspiegabilmente di non esserne a conoscenza in realtà esisteva ed era persino giunto a conclusione. Addirittura, la redazione di tale studio risaliva al mese di agosto 2013. Detto studio, condotto dal dipartimento DICEA dell'università La Sapienza Di Roma, incaricato dal privato proprietario della discarica, per quanto non abbia analizzato, per stessa ammissione da parte dell'università, le conseguenze di tutti le possibili fonti di inquinamento, spinse gli autori a concludere che non si poteva affermare, inequivocabilmente l'assenza del pericolo di inquinamento della falda acquifera attorno all'erigenda discarica;
   dunque ancora una volta, quanto più volte denunciato alle autorità competenti dalle associazioni dei cittadini con foto e video trovava conferma;
   nel documento di lavoro (DT/924210IT.doc) redatto dalla commissione petizioni dell'Unione europea successivamente alla missione d'inchiesta svoltasi dal 29 al 31 ottobre 2012 in Italia e riguardante la gestione dei rifiuti in Lazio e Campania, gli europarlamentari manifestarono una profonda preoccupazione per i metodi poco ortodossi intrapresi nel Lazio, dal commissario Sottile. I membri della commissione petizioni, inoltre contestarono nel loro documento, le analisi, i metodi e soprattutto i criteri di scelta intrapresi da costui. Fu giustamente messo in dubbio anche il rispetto e l'applicazione della direttiva Seveso (IPPC) ed inoltre in maniera più che esplicita indicarono le azioni intraprese in contrasto con la normativa. Nelle conclusioni, la Commissione chiese l'immediata abrogazione dei poteri commissariali, ricordando altresì la responsabilità del Governo centrale italiano in merito a tale nomina. Sollecitò inoltre, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ad agire con decisione sulla modifica del paradigma, onde chiarire una volta e per tutte i rispettivi livelli di responsabilità delle autorità politiche. Infine la commissione manifestò, la sua ferma opposizione alla designazione dei siti di Monti dell'Ortaccio e Pian dell'Olmo individuati come potenziali discariche, in ragione dell'impatto cumulativo di tali invasi con altre strutture esistenti e data la loro vicinanza soprattutto alle abitazioni nonché ai corsi d'acqua –:
   quale sia il livello di controllo operato dal Governo riguardo alle scelte e all'operato del commissario Sottile;
   quali siano le motivazioni che hanno portato alla riconferma ed all'ampliamento dei poteri commissariali avvenuto con decreto ministeriale del 30 settembre 2013, nonostante gli innumerevoli insuccessi mietuti dal commissario e viste soprattutto le scelte a giudizio degli interroganti illogiche, forzate e lesive delle direttive europee;
   quale sia la ragione per cui è stato permesso a Sottile, senza elementi innovativi ed alcun supporto tecnico se non l'affidarsi esclusivamente all'opera del privato proponente, di ribaltare completamente il parere negativo sul sito di Monti dell'Ortaccio, espresso non solo dalla precedente gestione commissariale, ma anche da tutti gli enti intervenuti in sede di Conferenza di servizi, nonché dall'università degli Studi di Roma «La Sapienza» incaricata dal privato stesso alla redazione del necessario studio idrogeologico;
   quale sia il motivo per cui ad oggi l'AIA su Monti dell'Ortaccio, nonostante le enormi, inequivocabili e comprovate criticità del sito, non sia stata ancora ritirata;
   se sia ammissibile e legittimo che il commissario Sottile commissioni non solo la scelta dell'ente per la redazione dello studio idrogeologico sull'invaso al privato, quanto soprattutto, nel momento in cui anche detto ente si esprime in senso negativo, riconsenta al proponente di rivolgersi ad una nuova università per la redazione di un successivo studio;
   se intendano assumere iniziative affinché sia ritirata l'Aia negando al CoLaRi ed al commissario Sottile la possibilità di trovare ulteriori scorciatoie che finiranno di fatto secondo gli interroganti col mettere in pericolo l'ambiente e la salute dei cittadini per il mero profitto di pochi ed a discapito di molti;
   quali controlli abbia effettuato o stia effettuando il Governo a tutela del sacrosanto diritto alla salute dei cittadini residenti nell'area. (4-02982)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


  GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero degli affari esteri sta conducendo una mappatura sul numero e sull'operatività delle associazioni italiane all'estero, onde legittimarle a concorrere alle elezioni in vista del prossimo rinnovo del Consiglio generale degli italiani all'estero, previsto per il 2014;
   i soggetti ai quali è rivolta l'indagine sono associazioni di fatto, solitamente registrate presso le autorità locali sulla base delle normative esistenti nello Stato in cui operano;
   soltanto le associazioni italiane all'estero regolarmente riconosciute dall'autorità diplomatica consolare potranno prendere parte all'appuntamento elettorale di rinnovo del Consiglio generale degli italiani all'estero previsto per il 2014;
   fra le informazioni richieste alle associazioni italiane all'estero da parte del Ministero degli affari esteri c’è anche l'elenco degli iscritti di ciascuna associazione;
   tale richiesta, impartita tramite una circolare della direzione generale degli italiani all'estero e delle politiche migratorie (DGIEPM) riguarda dati «sensibili» inerenti gli associati e si pone pertanto in contrasto con la normativa sulla privacy di diversi Paesi;
   in diversi Paesi come il Regno Unito e la Svizzera, i rappresentanti di alcune associazioni, conoscendo la stringente normativa locale in materia di privacy e diffidati da singoli soci a trasmettere la lista dei nominativi a terzi, hanno fatto presente il problema alle autorità consolari competenti, rifiutandosi di ledere la legge locale, ma preoccupati di non potere concorrere al rinnovo degli organi di rappresentanza;
   il mancato invio alle autorità consolari italiane dei dati richiesti potrebbe compromettere il riconoscimento della legittimità delle associazioni interessate e impedire loro di concorrere all'elezione dei rappresentanti del Consiglio generale degli italiani all'estero –:
   se non ritenga di dover adeguare il contenuto della circolare in questione, evitando richieste che implichino la violazione di leggi dei Paesi in cui le autorità consolari operano. (5-01731)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI, NICOLA BIANCHI, COLONNESE, DE LORENZIS, MANLIO DI STEFANO, SCAGLIUSI, LOREFICE, D'UVA e MANNINO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Carta sociale europea è un trattato del Consiglio d'Europa adottato nel 1961 e riveduto nel 1996;
   la nuova versione ha lo scopo di migliorare a livello internazionale i diritti economici e sociali, tenendo conto dell'evoluzione della società europea successiva all'elaborazione della Carta nel 1961;
   la versione riesaminata è un trattato internazionale che riunisce in un solo strumento tutti i diritti garantiti dalla Carta del 1961 e dal suo protocollo addizionale del 1988, ed aggiunge nuovo diritti;
   la Carta è realizzata in modo da supportare la Convenzione europea dei diritti dell'uomo che riconosce i diritti civili e politici, garantisce i diritti positivi e le libertà che riguardano tutti gli individui nella loro esistenza quotidiana;
   i diritti fondamentali enunciati nella Carta sono i seguenti: i diritti di abitazione, alla salute, all'educazione, al lavoro, all'occupazione, al congedo parentale, alla protezione sociale e legale, ad ottenere il necessario sostengo contro la povertà e l'esclusione sociale, alla libera circolazione delle persone e alla non discriminazione, e anche i diritti dei lavoratori migranti e delle persone con disabilità;
   l'applicazione della nuova Carta è sottoposta allo stesso dispositivo di controllo previsto dalla Carta del 1961, che prevedeva un sistema di reclamo collettivo;
   sono sempre più numerosi i casi di violenza su persone disabili, tra i quali si possono ricordare i più recenti in Italia: a Vicenza un 15enne autistico e disabile ha subito per circa sei mesi le violenze della sua professoressa di sostegno e di un'assistente sociale; a Belluno una 15enne, affetta dalla sindrome di Down, è stata oggetto di scherno da tre bulli, tra i 16 e 17 anni, che hanno tentato di farle prendere un pullman che l'avrebbe portata in una direzione diversa da quella di casa; a Padova un uomo picchiava il padre novantenne e la sorella disabile di 50 anni con tubi di ferro avvolti da alcuni panni, per non lasciare troppi lividi;
   il risultato di una ricerca condotta su un campione di 445 soggetti con handicap evidenzia che l'incidenza del maltrattamento è dell'11,5 per cento contro l'1,5 per cento del gruppo di controllo costituito da bambini senza handicap;
   uno studio compiuto dal National Incidence and Prevalence of Child Maltreatment ha evidenziato che 35,5 bambini disabili su 1.000 hanno subito almeno un'esperienza di maltrattamento contro i 21,3 su 1.000 dei bambini senza handicap;
   il tasso di abuso fra la popolazione dei soggetti portatori di disabilità è da 4 a 10 volte maggiore che nella popolazione di bambini senza handicap;
   allo stato attuale, la nuova versione della Carta sociale europea non è stata ancora firmata dalla Svizzera, dalla Turchia e dal Liechtenstein e non è stata ancora ratificata dai seguenti Paesi: Croazia, Danimarca, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Islanda, Lussemburgo, Monaco, Polonia, Repubblica Ceca, San Marino, Spagna –:
   se e quali iniziative, anche di carattere diplomatico, abbia adottato o intenda adottare per incentivare i Governi di Svizzera, Turchia e Liechtenstein a procedere alla firma della nuova Carta sociale europea del 1996 e, contestualmente, per invitare gli Stati firmatari a procedere alla sua ratifica in maniera celere, considerata l'importanza del trattato. (4-02960)


   REALACCI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   è notizia apparsa su quasi tutti i quotidiani nazionali e sui media online che l'Italia fornirà appoggio logistico per il trasbordo dell'arsenale chimico siriano su una nave della Marina militare statunitense e, una volta in acque internazionali, queste sostanze verranno materialmente distrutte. Non è certo se in acque internazionali;
   la notizia viene confermata anche da fonti della Farnesina;
   Danimarca e Norvegia forniranno le navi e le unità da guerra di scorta per prelevare i cosiddetti precursori chimici dal porto siriano di Latakia. Si viene a conoscenza poi che la miniflotta attraccherà in un porto italiano, probabilmente una base militare, per effettuare il trasferimento dei container in cui saranno sigillate le sostanze alla Mc Cape Ray, la predetta unità navale della US Navy –:
   con la necessaria urgenza quali iniziative, per quanto di competenza, intendano predisporre i Ministri interrogati per conoscere le modalità di trasbordo del materiale bellico e altamente tossico dalle navi scandinave all'unità Mc Cape Ray in acque territoriali italiane; se sia possibile conoscere in quale porto avverranno le predette operazioni; da ultimo, se i Ministri intendano chiarire dove avverrà la distruzione delle armi chimiche siriane se all'interno della base di Norfolk negli Stati Uniti o in acque internazionali, come paventano fonti di stampa, ovvero all'interno della zona di protezione ecologica italiana. (4-02962)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 17 ottobre 2013 l'Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato – per la prima volta in maniera ufficiale – che lo smog è uno dei più importanti agenti cancerogeni, ed ha annunciato la decisione di inserire gli inquinanti dell'aria nel gruppo numero 1, quello dei sicuri cancerogeni, insieme a sostanze come amianto e benzene. Si stima che lo smog nel solo 2010 abbia causato 220 mila morti;
   l'Unione europea detta regole precise sulla qualità dell'aria e sui livelli di inquinamento sostenibili, tanto che la Corte di giustizia condanna quegli Stati che non rispettano i limiti imposti dall'Unione europea. L'Italia è stata condannata lo scorso anno perché molte regioni hanno violato i limiti imposti per la qualità dell'aria per gli anni 2005 e 2006 (sentenza 19 dicembre 2012, n. C-68/11);
   tra le regioni in violazione c’è l'Umbria i cui livelli di inquinamento atmosferico stanno aumentando in maniera esponenziale nel corso degli ultimi anni e il cui registro tumori segnala un aumento del cancro ai polmoni in tutta la regione, specialmente a carico della popolazione femminile;
   nella prima settimana di dicembre 2013 – come si evince da diverse segnalazioni dell'associazione Italia Nostra – lo smog ha soffocato tutta l'Umbria. Non solo Terni, città dell'acciaio e delle polveri, ma Perugia, Città di Castello, Foligno, Magione, Gubbio, Spoleto, Narni e perfino Torgiano hanno superato i limiti di legge per le polveri sottili;
   nella stessa settimana il consiglio regionale dell'Umbria ha discusso del nuovo piano della qualità dell'aria che però appare, agli occhi degli interroganti, poco incisivo per tutelare la salute dei cittadini, in quanto non prevede misure stringenti né per quanto riguarda l'obbligo di riduzione dell'inquinamento atmosferico per le imprese, né per la necessaria riduzione dell'inquinamento dovuto al traffico. Nel frattempo la regione continua a sostenere il progetto di trasformare la E45 in autostrada, che non farà certo diminuire l'inquinamento dell'aria;
   è importante segnalare che in Umbria continuano a sorgere centrali a biomasse, come, ad esempio, quella legnosa ad Umbertide, che contribuiscono ad accrescere i livelli di inquinamento dell'aria;
   nelle segnalazioni di Italia Nostra si evince inoltre che, grazie al posizionamento strategico dei rilevatori di inquinamento, il fenomeno sembra praticamente ed improvvisamente sparito in alcuni centri urbani: gli sforamenti a Perugia sono passati da 69 nel 2009 a 6 nel 2013 –:
   se i Ministri interrogati, in base a quanto esposto in premessa, specie in relazione alla recente comunicazione dell'organizzazione mondiale della sanità, non ritengano fondamentale prevedere dei piani stringenti per il contenimento dell'inquinamento atmosferico in tutto il territorio italiano, al fine di evitare una nuova condanna da parte dell'Unione europea, ma soprattutto per tutelare la salute pubblica;
   se non intendano avviare, avvalendosi eventualmente del supporto tecnico-scientifico dell'ISPRA e dell'Istituto superiore di sanità, studi dettagliati sulle modalità di misurazione dell'inquinamento atmosferico, valutando anche l'opportunità ed il corretto posizionamento dei sistemi di rilevamento dello stesso. (4-02959)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PINNA, DI BATTISTA, TERZONI, ROSTELLATO, LUIGI GALLO, RIZZETTO e PRODANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 6 dicembre 2013 è stato pubblicato il decreto direttoriale concernente l'avvio di una procedura concorsuale pubblica per la selezione di cinquecento giovani laureati da formare, per la durata di dodici mesi, nelle attività di inventariazione e di digitalizzazione del patrimonio culturale italiano, presso gli istituti e i luoghi della cultura statali;
   il progetto, denominato «500 giovani per la cultura», rientra nelle azioni previste dalla legge n. 112 del 2013 «Disposizioni urgenti per la tutela, valorizzazione e rilancio dei beni, attività culturali e turismo»;
   l'articolo 6 del bando stabilisce il compenso (definito «indennità di partecipazione») per i cinquecento giovani che dovranno catalogare lo sterminato patrimonio culturale italiano: cinquemila euro lordi all'anno, per minimo trenta ore settimanali (significa tre euro e venti centesimi l'ora) e comprensivi della quota relativa alla copertura assicurativa. Inoltre, per i candidati selezionati non sono previste ferie e la retribuzione è decurtata in caso di assenze non giustificate;
   al termine della prestazione è rilasciato a coloro che abbiano concluso il programma formativo un apposito attestato di partecipazione, che tuttavia non comporta alcun obbligo di assunzione da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, come da articolo 5, comma 5, del sopracitato bando;
   i destinatari sono giovani, con meno di 35 anni, laureati (con votazione minima 110 su 110) o diplomati presso scuole di archivistica, paleografia e diplomatica (con voto minimo 150/150) e in possesso della certificazione internazionale delle competenze linguistiche di livello B2 di lingua inglese;
   si tratta di un programma formativo ma parrebbe più che altro un lavoro subordinato (nonostante l'articolo 5, comma 3, del bando specifichi il contrario) e mal retribuito. La discrasia fra promesse e fatti è palese. I pubblici proclami, «rilanciamo l'occupazione e ripartiamo dai giovani» «fermiamo la fuga di cervelli», sono smentiti dagli interventi concreti che approfittano dello smarrimento di brillanti neo-laureati e giovani specializzati italiani, i quali avrebbero tutte le carte in regola per accedere al mondo del lavoro ed invece sono sfruttati con una sorta di occupazione di ben 12 mesi con «retribuzione» mensile di circa 300 euro, che ne svaluta le professionalità e tecnicità acquisite con anni di studio;
   la scelta del «programma formativo» a discapito della regolamentata categoria dei tirocini ad avviso degli interroganti non appare in linea con le linee guida stabilite, il 24 gennaio di questo anno, dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. In tal modo si crea un grave precedente che consente a ogni pubblica amministrazione di esercitare una inaccettabile discrezionalità nelle materie del lavoro e dei tirocini;
   tuttavia, dal momento che all'articolo 7 si rinvia alla normativa vigente in materia di tirocinio formativo e orientamento per quanto non espressamente previsto dal bando stesso, ci si domanda perché tutto il progetto non sia disciplinato da tale normativa –:
   quali siano le ragioni che hanno indotto alla scelta della categoria «programma formativo», per cui non sono previste linee guida nazionali;
   se ritenga equilibrato il rapporto fra requisiti necessari per la partecipazione alla selezione (meno di 35 anni di età; laurea con voto minimo 110/110 o diploma specialistico con voto minimo 150/150; attestato di conoscenza della lingua inglese: livello B2) e modalità di svolgimento e indennità di partecipazione al programma formativo previsto (durata 12 mesi; cinquemila euro lordi all'anno, per minimo trenta ore settimanali, e comprensivi della quota relativa alla copertura assicurativa; assenza di ferie e retribuzione decurtata in caso di assenze non giustificate). (4-02954)


   BATTELLI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, prevede all'articolo 2 l'inserimento di 500 giovani nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, finalizzato a proseguire l'attività di inventariazione e digitalizzazione del patrimonio culturale italiano;
   il 6 dicembre 2013 è stato bandito un avviso pubblico per la selezione di 500 giovani laureati da formare, per un periodo di dodici mesi, nelle attività di inventariazione e digitalizzazione del patrimonio culturale italiano, presso gli istituti ed i luoghi della cultura italiani;
   tale avviso pubblico prevede l'attivazione di 500 tirocini formativi della durata di dodici mesi, rinviando espressamente alla disciplina vigente in materia di tirocini formativi;
   i tirocini formativi sono disciplinati dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, che delega il Governo e le regioni a concludere in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un accordo per la definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi e di orientamento;
   tali linee guida, prevedono l'erogazione di un'indennità minima di 400 euro mensili ed una durata massima di sei mesi per la conclusione dei tirocini formativi e di orientamento;
   l'avviso pubblico prevede la corresponsione di 5 mila euro annui ai giovani partecipanti al progetto «500 giovani per la cultura» di cui circa 4.800 euro per indennità e circa 200 euro per l'assicurazione obbligatoria INAIL che il bando pone a carico dei tirocinanti stessi e pertanto questi giovani saranno indennizzati con poco più di 2 euro l'ora –:
   se ritenga che la tipologia dei tirocini formativi, indennizzati con 5 mila euro annui e soggetti ad IRPEF e contribuzione INAIL, possano risolvere i problemi lavorativi di 500 giovani;
   quali iniziative intenda intraprendere per rendere definitivo l'ingresso nel mondo del lavoro dei 500 giovani beneficiari del percorso formativo;
   se, dopo i sei mesi di tirocinio formativo previsti dagli accordi in sede di Conferenza permanente Stato-regioni, sia possibile prevedere per i restanti sei mesi una tipologia contrattuale differente come, ad esempio, l'apprendistato per facilitare l'accesso al lavoro di questi giovani e rendere produttivi i fondi stanziati per la realizzazione del progetto. (4-02955)


   BATTELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 7 della legge n. 100 del 29 giugno 2010 è stato istituito il Nuovo Imaie per assicurare e realizzare gli obiettivi previsti dalla legge n. 93 del 1992 e precisamente per la tutela dei diritti degli artisti interpreti ed esecutori nonché l'attività di difesa e promozione degli interessi collettivi di queste categorie;
   con l'articolo 39 del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 24 marzo 2012, al fine di rendere competitiva l'attività di riscossione e ripartizione dei diritti connessi al diritto d'autore, è stata disposta la liberalizzazione del mercato dei diritti connessi, derivanti dall'utilizzazione delle registrazioni di opere cinematografiche, audiovisive e musicali che danno luogo ad un equo compenso a favore dei produttori e degli artisti interpreti ed esecutori, attività fino ad allora svolta dal Nuovo Imaie in regime di monopolio;
   con decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 19 dicembre 2012 sono stati determinati i requisiti minimi per le imprese operanti nel settore della tutela dei diritti connessi;
   l'attuale quadro normativo risponde alle logiche di liberalizzazione del mercato e di facilitazione della concorrenza promosse e perseguite dalla Unione europea;
   è all'esame in Commissione una proposta di direttiva (COM 2012/372) che riguarda il funzionamento delle società di gestione collettiva dei diritti (autori, editori, produttori, artisti interpreti esecutori), e che introduce il concetto di liberalizzazione dei diritti connessi a livello transfrontaliero;
   il decreto del Consiglio dei ministri del 19 dicembre 2012 individua i requisiti minimi richiesti per l'accesso al mercato da parte degli intermediari;
   di fatto, il quadro normativo non scioglie i dubbi interpretativi ed applicativi relativi alla corretta ripartizione dei diritti tra gli artisti in quanto tra le varie società di collecting esistono differenti criteri di definizione degli artisti primari e comprimari;
   tale normativa ha generato confusione sui soggetti obbligati a raccogliere i diritti degli artisti interpreti ed esecutori;
   tale incertezza ha di fatto ottenuto il risultato di bloccare il pagamento dei diritti maturati da parte degli utilizzatori e tale situazione crea un grave pregiudizio sia per gli organismi giuridici che, sulla base della legge sulla liberalizzazione, vogliono affacciarsi al mercato dei diritti connessi, sia al Nuovo Imaie che non incassa i diritti da parte degli utilizzatori e sia agli artisti che non possono percepire i diritti maturati –:
   come il Ministro interrogato intenda affrontare e risolvere questo problema che provoca un grave pregiudizio a tutte le categorie coinvolte. (4-02968)


   BATTELLI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in questi ultimi giorni si è letto su quotidiani a diffusione nazionale e soprattutto a diffusione locale che un artista bresciano, Francesco Vezzoli, avrebbe acquistato la cappella sconsacrata della Madonna del Carmine di Montegiordano in provincia di Cosenza al fine di scomporla e trasferirla negli Stati Uniti, ricomponendola nel museo newyorchese Moma Ps1, nell'ambito del progetto «Trinity» a cui l'artista sta lavorando;
   l'operazione di scomponimento e imballaggio delle parti della chiesa è stata effettuata sulla base di autorizzazioni rilasciate dalle autorità locali;
   attualmente la parti scomposte della cappella gentilizia di Montegiordano si trovano ferme nel porto di Gioia Tauro e sono state poste sotto sequestro da parte dell'autorità giudiziaria;
   il decreto legislativo n. 42 del 2004 impone che per l'alienazione e la circolazione dei beni culturali sottoposti a tutela è necessario richiedere l'autorizzazione alla soprintendenza competente per territorio –:
   come mai sia stato autorizzato lo scomponimento della cappella;
   quale amministrazione abbia autorizzato lo spostamento della cappella di Montegiordano;
   cosa si intenda fare della cappella ormai scomposta. (4-02970)


   ZOLEZZI, DE ROSA, MASSIMILIANO BERNINI, TERZONI, BUSTO, DAGA, MANNINO e SEGONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del Parco di Veio, le Valli del Sorbo, tra il comune di Formello e Campagnano di Roma, sono riconosciute come sito di importanza Comunitaria (IT6030011 – Valle del Cremera – Zona del Sorbo) per la presenza dei caratteristici valloni tufacei della campagna romana, solcati da torrenti discretamente conservati e che ospitano una fauna variegata;
   quando gli Orsini acquistarono il feudo di Formello (fine XIII sec.), per dare un nuovo impulso alle notevoli risorse agricole e naturali del territorio di Formello e Cesano, edificarono lungo il corso del Crèmera un mulino da grano ad acqua (La Mola di Formello), approfittando della cascata del fiume stesso;
   La Mola è rimasta in funzione fino al 1950 circa; attualmente è ridotta a rudere, dopo aver macinato grano per sei secoli;
   adiacente alla mola è presente un antico ponte in blocchetti di tufo ad un'unica arcata, probabilmente realizzato nello stesso periodo del mulino ad acqua, che scavalca il fiume Crèmera sottostante con una luce di 8 metri ad un'altezza di 18 metri, permettendo così il raggiungimento della mola e la possibilità di percorrere un'antica via che consentiva il collegamento alla Cassia;
   l'area che comprende tutto il complesso del Mulino ad acqua con il ponte in mattoni si caratterizza per la straordinaria integrazione con la natura rendendo l'antropizzazione secolare parte del vasto complesso paesaggistico della valle del Sorbo. In tale contesto l'uso del mulino oltre ad essere un elemento fondamentale per le comunità locali che lo adoperarono, nei secoli passati, per la sopravvivenza alimentare, diviene elemento peculiare della stessa comunità di Formello. Per tutte queste ragioni il complesso della Mola per le sue caratteristiche rientrerebbe nella classificazione definita all'articolo 10 del codice dei beni culturali del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42;
   nell'area in questione è prevista la costruzione di un nuovo ponte con palificate in cemento e travi in legno da realizzare a circa 200-250 metri rispetto al complesso della Mola. Attualmente la nuova struttura è in fase di realizzazione perché presenta due grandi piloni in cemento che fungono da appoggio a tre grandi travi in legno lamellare. Tuttavia, l'uso del nuovo ponte sarà solo parziale poiché l'attraversamento verrà interdetto, come prescritto dall'autorità di Bacino del fiume Tevere, in determinati periodi dell'anno a causa di esondazioni cicliche stagionali;
   realizzare questa nuova struttura disturba lo skyline naturale delle Valli del Sorbo e rende inutile le presenza del ponte medievale che perde la sua funzione di attraversamento pedonale del Crèmera. Da quanto stabilito dal TAR Puglia (Bari, Sez. III – 28 maggio 2009, n. 1274), la valutazione dell'incidenza sull'ambiente e sul paesaggio di ogni opera di urbanizzazione primaria non può essere limitata esclusivamente all'area su cui ricade l'intervento ma deve essere necessariamente riferita al complessivo contesto ambientale (ivi compreso lo skyline) entro cui l'opera si inserisce;
   il manufatto insiste in un'area di vincolo paesaggistico ed è individuata nel piano territoriale paesaggistico regionale (PTPR) del Lazio e sottoposta a specifica normativa d'uso. Nella cartografia della Tavola B, con i relativi repertori, sono contenute la descrizione dei beni paesaggistici di cui all'articolo 134, comma 1, lettera a), b) e c) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. La tutela dell'area nella quale si trova la Mola è stabilita dalle NTA (norme tecniche di attuazione) del PTPR all'articolo 8, lettera c) e d) (beni di insieme), all'articolo 35 (Protezione dei corsi e delle acque pubbliche) e all'articolo 37 (Protezione dei parchi e delle riserve naturali). Si ribadisce, inoltre, che quest'area è riconosciuta come Sito di importanza comunitaria (SIC – IT6030011 – Valle del Crèmera – Zona del Sorbo);
   nell'ambito del IV accordo integrativo dell'accordo di programma quadro «aree sensibili: parchi e riserve (APQ7)» sottoscritto in data 4 maggio 2001 dal Ministero dell'ambiente, Ministero dell'economia e delle finanze e regione Lazio era previsto il finanziamento dell'intervento « 16 – Formello – recupero della vecchia mola e dei sentieri natura» nella valle del Sorbo per un importo di 80.000 euro;
   nel 2007 si dà avvio alla procedura autorizzativa del progetto per il «Recupero della vecchia mola e sentieri Valli del Sorbo» per un costo complessivo di 80.000 mila euro, di cui 15.000 per oneri professionali della stazione appaltante (determinazione del direttore del parco di Veio n. 167 del 2010). In tale progetto si prevede la messa in sicurezza dei ruderi della mola e del ponte per mezzo di ristrutturazione e pulitura generica della vegetazione cresciuta in maniera incontrollata negli ultimi cinquant'anni. Nella descrizione delle opere. Non sono però previsti interventi che consentano il ripristino della funzionalità e piena fruibilità della struttura –:
   se, alla luce delle numerose criticità riportate in premessa, il Ministro non ritenga che sia opportuno, sentiti gli enti coinvolti, avviare il procedimento per la dichiarazione dell'importante interesse culturale del sito, attraverso l'apposizione del vincolo diretto, ai sensi degli articoli 12 e seguenti del decreto legislativo n. 42 del 2004, e prescrizioni di tutela indiretta al fine di evitare che sia compromessa l'integrità del bene, «ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro» (articolo 45 del decreto legislativo n. 42 del 2004);
   se ritenga di attivarsi affinché venga chiarito se le modalità con le quali sono stati utilizzati i fondi e le risorse per la realizzazione del progetto, «recupero della vecchia mola e sentieri Valli del Sorbo» incluso nell'ambito del IV accordo integrativo dell'accordo di programma quadro citato in premessa, anche in riferimento alla realizzazione del nuovo ponte con palificate in cemento e travi in legno, molto impattante rispetto alle peculiarità paesaggistiche e ambientali del sito, siano coerenti con i fini e gli obiettivi del citato accordo di programma. (4-02979)

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   in Italia, tra tumori e malattie asbesto correlate, l'amianto uccide oltre 4000 persone all'anno (11 morti evitabili al giorno). Nel 2008, il IV Rapporto ReNaM ha stati censito 1422 nuovi casi di mesotelioma maligno, la punta dell’iceberg delle esposizioni professionali e ambientali all'amianto, con un trend dell'incidenza in costante aumento che porterà ad aumentare questi «numeri» fino al 2018/2020, continuando poi a mietere vite umane, dal completamento delle agognate bonifiche, per un altro mezzo secolo ancora;
   anche le forze armate e tutto il Comparto difesa è travolto da questa tragedia; infatti a causa dell'uso e all'abuso dell'amianto, tra le vaste aree e città del nostro Paese che hanno guadagnato il triste primato per morti per mesotelioma maligno – pleurico, peritoneale, del pericardio e della tunica vaginale del testicolo –, spiccano le sedi storiche delle basi navali e degli arsenali militari: La Spezia, Taranto, La Maddalena (OT); il mesotelioma rappresenta la punta dell’iceberg delle patologie asbesto-correlate e anche che è un indicatore della pregressa esposizione ad asbesto per questo è bene tenere presente che il III rapporto ReNaM (periodo di osservazione 1993/2004) indica il comparto difesa tra i settori economici maggiormente coinvolti nelle occasioni di esposizioni professionali, con una media del 4 per cento dei casi di mesotelioma maligno definiti a livello nazionale, con punte dell'11,8 per cento in Puglia, 9 per cento nel Lazio, 5 per cento in Piemonte, e altro;
   sugli effetti «democratici» dell'amianto inconsapevolmente respirato dal personale militare nelle Navi e nei Sommergibili il IV Rapporto 2012 del ReNaM riporta che, considerando l'intera finestra temporale di osservazione (1993-2008) e i soli soggetti colpiti dalla malattia per motivo professionale, il settore della difesa militare risulta tra i settori di attività maggiormente coinvolti (nel senso di un peso percentuale delle esposizioni in quel settore rispetto al totale), pari al 4,24 per cento del totale della casistica, con 463 casi di Mesotelioma Maligno con almeno una occasione di esposizione ad amianto nel settore (M=459; F=4) di cui 215 casi (46,4 per cento) con esposizione esclusiva nel Comparto Difesa (M=212; F=3);
   da una analisi dei succitati dati eseguita dalla AFeVA Sardegna Onlus, che considera i 215 casi – censiti in detto rapporto – con esposizione professionale esclusiva nel comparto difesa, si evidenzia che il numero dei casi del personale militare colpito da mesotelioma maligno con codici «Ateco 91» con esposizione esplicita nelle categorie di «macchina» e «coperta» sono complessivamente 147 (100 per cento), di cui 88 (59,9 per cento) casi nel personale di «macchina» e 59 (40,1 per cento) casi nel personale di «coperta». Questo significa che l'amianto respirato a bordo di una Nave o di un Sommergibile non ha fatto distinzione tra personale di «macchina» e personale di «coperta»;
   nel 1993, il legislatore italiano, al fine di coprire il buco nero di omissioni, durato oltre quaranta anni, che ha caratterizzato l'uso e l'abuso dell'amianto nei luoghi di lavoro nel nostro Paese, – applicando quanto la suprema Corte costituzionale ha più volte affermato in tema dell'inviolabilità del principio non negoziabile che a parità di rischio, si deve garantire parità di tutela (per tutte, Corte costituzionale 206/1974 e 114/1977 – Cost. articoli 3 e 38 –) –, approva la legge n. 271 del 1993 di modifica dei commi 7 e 8 dell'articolo 13 della legge n. 257 del 1992, socializzando il costo di un'enorme colpa collettiva e riconoscendo a tutti i lavoratori esposti e malati a causa dell'amianto, il diritto a un indennizzo pensionistico (attraverso una maggiorazione di contributi previdenziali), quantificato come segue:
    a) con il comma 7 dell'articolo 13 della legge n. 257 del 1992 – come modificato dall'articolo 1, comma 1-bis, della legge n. 271 del 1993 –, si riconosce a tutti i lavoratori esposti alle fibre di amianto che hanno contratto una malattia professionale asbesto-correlata, il diritto alla contribuzione aggiuntiva dell'intero periodo lavorativo di esposizione moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5, indipendentemente dagli anni e dalla quantità di esposizione all'amianto;
    b) con il comma 8 dell'articolo 13 della legge n. 257 del 1992 – come modificato dall'articolo 1, comma 1, dalla legge n. 271 del 1993 –, si riconosce a tutti i lavoratori, esposti per più di dieci (10) anni a rischio morbigeno qualificato alle fibre di amianto, il diritto alla contribuzione aggiuntiva dell'intero periodo lavorativo di esposizione moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5;
   nonostante l'affermazione di questi inalienabili principi Costituzionali, lo Stato, che come visto è stato uno dei principali utilizzatori di amianto, ha inaccettabilmente escluso il personale militare dalla applicazione delle sue stesse leggi;
   nel corso degli anni, l'impianto normativo originario, pensato per indennizzare tutti i lavoratori pubblici esposti e vittime dell'amianto e di altri cancerogeni inconsapevolmente respirati e ingeriti nel compimento delle proprie attività istituzionali, è stato costantemente svuotato dei contenuti rendendolo di fatto vacuo, formalmente inapplicabile, come se fosse stata messa in atto una strategia ben definita per ridimensionare la strage compiuta dall'amianto, principalmente nei confronti del personale civile e militare comparto della difesa, a cosa di poco conto. La nuova normativa emanata dal Governo Berlusconi con l'articolo 47 del decreto-legge n. 269 del 2003 (convertito con modificazioni dalla legge n. 326 del 2003), che secondo la comune opinione avrebbe, per prima, allargato, con decorrenza dal 1o ottobre 2003, la platea dei beneficiari per riconoscere «anche» ai dipendenti pubblici (dunque solo nel 2003) i diversi (minori) benefìci, in realtà non ha introdotto niente di nuovo e tanto meno positivo. È solo e soltanto più restrittiva, per i militari è addirittura «sacco vuoto», e l'unica nota positiva rilevabile è che ha lasciato intatti i diritti riconosciuti dal comma 7 dell'articolo 13 legge n. 257 del 1992 (come modificati dalla legge n. 271 del 1993) a tutti i lavoratori che contraggono una malattia asbesto-correlata;
   per il personale militare esposto in cui la patologia non si è ancora manifestata, la sintesi chiara è la risposta, pubblicata lunedì 9 luglio 2012, del Ministro della difesa, ammiraglio Di Paola, alla interrogazione 4-13579 del 13 ottobre 2011 presentata dall'onorevole Maurizio Turco: «... È il caso, tuttavia, di evidenziare, che la maggiorazione di servizio prevista dall'applicazione della normativa richiamata dall'interrogante (aumento di 1/4 del servizio svolto con esposizione all'amianto), anche laddove venisse riconosciuta, produrrebbe in molti casi (circoscritti al personale militare) effetti sostanziali alquanto limitati. Infatti, in base alla previsione normativa dell'articolo 1849, comma 1, del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010, il periodo di servizio, del quale è prevista la maggiorazione ai fini pensionistici, può essere considerato una sola volta, secondo la normativa più favorevole. Pertanto, se consideriamo che la quasi totalità delle richieste interessa personale della Marina militare e dell'Aeronautica militare, già beneficiario per imbarco/volo dell'aumento di 1/3 del servizio svolto, la maggiorazione prevista non potrà, comunque essere, concessa.»;
   dalla medesima risposta si evince inoltre che, al 9 luglio 2012, «per quanto riguarda il personale militare» erano state presentate «n. 13.939 richieste di concessione di benefici ai sensi della citata legge n. 326 del 2003 – tra le quali sono state definite, negativamente, n. 186 richieste presentate dal personale dell'Arma dei carabinieri, in quanto non sono stati individuati, dall'Arma stessa, siti in cui possa essersi verificata una possibile esposizione all'amianto – mentre, per quanto concerne il personale civile, sono state presentate, allo stato, n. 8.000 istanze; il «Ministero delle politiche agricole e forestali ha comunicato che, dal 2005 ad oggi, hanno prestato servizio con esposizione all'amianto n. 25 dipendenti del Corpo Forestale dello Stato, per i quali è stata disposta una ricongiunzione dei periodi, con relativa maggiorazione;»;
   nel Piano Nazionale Amianto, approvato dal Governo il 24 marzo 2013, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, accogliendo le istanze di superamento della discriminazione subita dai militari esposti e malati a causa dell'amianto respirato nelle navi e nelle installazioni militari rivolte sul tema da parte Associazione familiari e vittime dell'amianto Sardegna – AFeVA Sardegna Onlus (già AIEA Sardegna) –, nella parte relativa alla «MACROAREA SICUREZZA DEL LAVORO E TUTELA PREVIDENZIALE... – OBIETTIVO 2 – Benefìci previdenziali: risoluzione delle disarmonie della normativa di attuazione per i lavoratori civili e militari e recepimento della procedura tecnico di accertamento dell'esposizione qualificata utilizzata dall'INAIL.» a pag. 38 scrive: «... omissis... Sotto altro profilo, nel rispetto della normativa primaria, l'opportunità di una revisione del decreto ministeriale 27 ottobre 2004 con riferimento alla “determinazione del beneficio pensionistico”, improntando tale revisione a criteri di maggiore aderenza alle finalità dell'intervento legislativo. Ciò, in particolare con riferimento al settore marittimo, nonché, in collaborazione con le altre amministrazioni interessate, nei confronti dei militari affetti da patologie asbesto correlate»;
   l'amianto respirato a bordo di una nave o di un sommergibile non fa distinzione tra personale di «macchina» e personale di «coperta» come invece sembra che l'INAIL stia facendo;
   le norme attualmente in vigore e gli atti conseguenti, sebbene riconoscano formalmente che il personale militare che ha ottenuto il rilascio del curriculum da parte del Ministero della difesa è stato esposto ad amianto ben oltre le soglie minime di legge, non consentono al detto personale di accedere ai «benefìci previdenziali» previsti dalla normativa di settore per la totalità degli altri lavoratori –:
   se sia intendimento del Governo, del Ministro della difesa e Ministro del lavoro e delle politiche sociali superare l'inaccettabile somma di discriminazioni subite dal personale militare esposto all'amianto o affetto da patologie asbesto-correlate, adottando apposito atto di indirizzo, che riconosca al personale militare delle forze armate e delle forze di polizia compresa l'Arma dei carabinieri, senza distinzione di mansioni-categorie, in possesso del curriculum lavorativo rilasciato dal Ministero della difesa attestante l'adibizione, in modo diretto ed abituale, ad attività lavorative comportanti l'esposizione all'amianto o al medesimo personale affetto da malattie o patologie asbesto-correlate, accertate da parte del competente dipartimento militare di medicina legale, di cui all'articolo 195, comma 1, lettera c), del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, in deroga agli articoli 1849 e 2264 del citato decreto-legge n. 66 del 2010, i benefìci previdenziali nella misura di 1,5 del periodo di esposizione all'amianto, accertato dal citato curriculum, ovvero, in mancanza dello stesso, per analogia con altri casi, dall'estratto del foglio matricolare;
   se il Governo, condivida l'interpretazione data dall'INAIL all'articolo 12-bis del decreto-legge n. 11 del 2009, in forza del quale nega di emettere la «certificazione» al personale militare affetto da patologie asbesto correlate, seppure in possesso del «curriculum» lavorativo attestante l'esposizione all'amianto, precludendo di fatto ai lavoratori militari l'applicazione del comma 7, dell'articolo 13, della legge n. 257 del 1992, il quale riconosce a tutti i lavoratori esposti alle fibre di amianto, che hanno contratto una malattia professionale asbesto-correlata, il diritto alla contribuzione aggiuntiva dell'intero periodo lavorativo di esposizione moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5, indipendentemente dagli anni e dalla quantità di esposizione all'amianto;
   se corrisponda al vero la notizia diffusa nei giorni scorsi dalla AFeVA Sardegna Onlus seconda la quale, i dipendenti dello Stato vittime dell'amianto, in cui la patologia si sia manifestata dopo l'entrata in vigore dell'articolo 6 del decreto n. 201 del 2011 – Salva Italia –, (ossia il 28 dicembre 2011) sono esclusi dalle provvidenze previste per le vittime del dovere, in quanto, da quella data, è stato abolito l'istituto dell'accertamento della dipendenza della infermità da causa di servizio per talune categorie di lavoratori e, nel caso affermativo, se sia intendimento, del Ministro della difesa e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione assumere iniziative per fare salvo l'istituto dell'accertamento della dipendenza delle infermità da causa di servizio nei procedimenti per il riconoscimento dello status di vittima del dovere, per il rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata ordinaria nei confronti di quanti a causa della mancanza di protezioni e di informazioni sono morti o si sono ammalati per aver inalato o ingerito amianto e altri cancerogeni, si è espresso il Consiglio di Stato con il parere n. 02526/2010 del 4 maggio 2010;
   se sia intendimento del Governo e del Ministro della difesa rendere pubblici ì risultati delle indagini ambientali, epidemiologiche statistiche e diagnostiche eseguite a cavallo degli anni ’60-’70 dalla clinica di medicina del lavoro di Bari presso l'arsenale della marina militare di Taranto e dalla clinica del lavoro di Milano con la collaborazione dell'istituto di medicina del lavoro di Genova presso l'arsenale della marina militare di La Spezia e i risultati di tutte le altre indagini esterne eventualmente autorizzate in seguito;
   se sia intendimento del Governo e del Ministro della difesa rendere pubblici il numero dei casi dei tumori (polmonari, del mesotelio – pleura, pericardio peritoneale, tunica vaginale del testicolo –, della laringe, della faringe, dello stomaco, del colon retto) e delle patologie asbesto-correlate (asbestosi, placche e ispessimenti pleurici, atelettasie, BPCO da asbesto e altro) che hanno colpito il personale militare e civile a causa dell'esposizione all'amianto presente nel naviglio, nei mezzi e nelle installazioni dello Stato, riconosciute dalle competenti commissioni mediche ospedaliere dipendenti da causa di servizio o da fatti inerenti il servizio svolto, relativamente all'intero comparto difesa suddivisi, per anno, per Arma e, all'interno di queste, per categorie/mansioni/grado, a partire dal 1986;
   se sia intendimento del Governo e del Ministro della difesa rendere pubblico l'esito dello studio epidemiologico conoscitivo sull'incidenza delle patologie asbesto correlate nell'ambito delle categorie lavorative per il personale civile e militare delle forze armate, avviato nel 2011 dalla direzione generale della sanità militare in collaborazione con l'università la «Sapienza» di Roma;
   con quali mansioni e in quali contesti operativi abbiano prestato servizio con esposizione all'amianto i 25 dipendenti del Corpo forestale dello Stato ai quali, dal 2005 ad oggi, risulta essere stata disposta una ricongiunzione dei periodi, con relativa maggiorazione.
(2-00345) «Migliore, Piras».

Interrogazione a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sulla stampa locale si apprende che nei giorni scorsi nel comune di Remanzacco (Udine) si è consumata una tragedia familiare che si è conclusa con la morte di un giovane ragazzo e il ricovero in ospedale di una donna in gravi condizioni;
   la donna, di 48 anni e di nome Isavela, si era trasferita a Remanzacco dalla Moldavia anni fa, e qui viveva assieme al marito e ad uno dei due figli Ian, di 19 anni;
   era noto a tutti a Remanzacco che il marito della donna, Andrei Talpis, rientrava spesso ubriaco a casa la sera e picchiava la moglie: le liti, come hanno riferito i vicini agli uomini della squadra mobile della questura, diretti da Massimiliano Ortolan e coordinati dal pm Elisa Calligaris, che si stanno occupando del caso, erano all'ordine del giorno ormai da anni;
   malgrado ciò, qualche giorno fa durante l'ennesimo litigio, l'uomo, sempre ubriaco, ha aggredito con un coltello il figlio che stava difendendo la madre, uccidendolo con una coltellata al cuore davanti alla moglie, che terrorizzata ha cercato, a quel punto, di fuggire;
   Elisaveta è allora scappata di casa, riuscendo comunque a ripararsi dalla furia omicida del marito, che nel frattempo raggiuntala l'aveva pugnalata più volte all'addome, riparando nella corte di un complesso da cui un caporalmaggiore dell'esercito, che qui abitava e che si era affacciato in quel momento alla finestra, le aveva suggerito di entrare per nascondersi;
   successivamente Elisaveta è stata portata all'ospedale di Udine dove è entrata subito in sala operatoria ed al momento sembra sia ancora ricoverata in terapia intensiva;
   la tragedia consumatasi a Remanzacco può considerarsi peraltro annunciata non solo perché le liti e la violenza del signor Andrei Talpis erano da tempo noti ma anche perché la stessa sera in cui si è consumata la tragedia sopra riportata, poco prima verso le 21, era scoppiata già una lite in casa Talpis, tanto che i vicini avevano chiamato carabinieri e 118, ma poco dopo il signor Talpis era stato rilasciato, consentendogli dunque di fare rientro a casa dove poi ha ucciso il figlio e quasi la moglie –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra riportati, se non ritenga che la tragedia familiare consumatasi nei giorni scorsi a Remanzacco, che ha portato all'uccisione di un giovane ragazzo e al grave ferimento di una donna, ora in gravi condizioni, per mano di un soggetto violento e già noto alle forze dell'ordine, avrebbe potuto essere evitata se all'uomo fosse stato impedito di fare rientro a casa;
   per quali motivi l'uomo sia stato rilasciato, nonostante i precedenti episodi di violenza domestica e disturbo alla quiete pubblica e se non ritenga che le politiche di scarcerazione portate avanti dal Governo favoriscano casi simili a quello verificatosi a Remanzacco. (4-02965)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   GINATO, CAUSI e CRIVELLARI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, cosiddetta spending review, che ha previsto la riorganizzazione dei servizi degli uffici del Ministero dell'economia e delle finanze e delle Agenzie fiscali, ha predisposto un piano di soppressione degli uffici dell'Agenzia delle entrate presenti nel territorio nazionale;
   nell'ambito del citato processo di revisione, l'Agenzia delle entrate, con atto prot. n. 2013/1624 della direzione centrale del personale, ha disposto la soppressione di 11 uffici territoriali, di cui 6 in Piemonte e 5 in Veneto;
   in alcuni casi le amministrazioni locali, coscienti dell'importanza di un servizio di prossimità quanto mai indispensabile, hanno valutato concrete alternative alla chiusura, mettendo a disposizione degli spazi, al fine di ridurre i costi di locazione a carico dello Stato;
   sarebbe utile considerare, tra i criteri utilizzati dall'Agenzia delle entrate nella definizione del piano di riorganizzazione, la possibilità di un coinvolgimento delle amministrazioni locali volto a scongiurare la chiusura delle sedi territoriali e ad evitare così i gravi disagi sia per i lavoratori, sia per gli utenti –:
   quale siano i criteri utilizzati nella definizione del piano di riorganizzazione previsto dall'Agenzia delle entrate, in particolare per la regione Veneto, quale sia l'elenco degli uffici territoriali dei quali è prevista la chiusura e se le amministrazioni locali siano state coinvolte nella definizione di tale piano, anche al fine di considerare la possibilità di una riduzione dei costi di gestione delle strutture attraverso la collaborazione delle amministrazioni stesse. (5-01725)


   ZANETTI e SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione a risposta immediata n. 5-01563 gli interroganti chiedevano al Ministro dell'economia e delle finanze quali fossero le sue valutazioni in merito alle ragioni che hanno portato all'effettuazione delle nomine di dirigenti da parte dell'Agenzia delle entrate in assenza del rispetto delle procedure di legge che impongono il concorso pubblico, alla loro effettiva imprescindibilità rispetto ad esigenze operative, oppure all'esistenza di ingiustificate sottovalutazioni del quadro normativo e dei possibili risvolti negativi per l'interesse pubblico, tenuto anche conto dell'arco temporale intercorso tra le prime nomine contestate come illegittime e l'avvio delle contestazioni formali, di cui anche si chiede di conoscere l'ampiezza;
   in data 27 novembre 2013, il Sottosegretario Baretta forniva una dettagliata risposta scritta di ben otto pagine che però, già nel suo secondo paragrafo, esplicitava la provenienza della medesima con la locuzione: «Al riguardo l'Agenzia delle entrate riferisce quanto segue»;
   l'intera risposta del Ministero dell'economia e delle finanze contiene la mera trasposizione dei fatti e delle considerazioni esposte dall'Agenzia delle entrate, ossia l'ente oggetto dell'interrogazione, ad avviso degli interroganti senza alcuna apparente valutazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, o di suoi specifici uffici, comunque diversi dall'ente oggetto di interrogazione, sull'opportunità politica o la correttezza tecnica di quanto asserito dall'Agenzia delle entrate e pedissequamente fatto proprio dal Ministero;
   in un passaggio della risposta all'interrogazione si legge addirittura che «lungi dal compromettere l'immagine dell'Agenzia, come paventato dagli interroganti, una scelta di questo tipo dimostra, all'opposto, l'attenzione che la stessa pone al buon funzionamento dei propri uffici»;
   proprio la «scelta di questo tipo» è stata giudicata illegittima dal TAR del Lazio, ha reso necessaria una norma di sanatoria ad hoc e ha creato da ultimo i presupposti per il rinvio alla Corte costituzionale, ad opera del Consiglio di Stato, della norma ad hoc introdotta per cercare di sanare ex post l'illegittimità rilevata dal TAR del Lazio –:
   se non ritenga inopportuno demandare, di fatto, la risposta ad una interrogazione sulla valutazione delle scelte operate da un ente, l'Agenzia delle entrate, sottoposto al suo controllo politico, alla stessa Agenzia delle entrate, non fosse altro per la percezione che tale comportamento può determinare nei cittadini in ordine all'effettiva sussistenza di una capacità di controllo sull'operato di singole parti dell'Amministrazione finanziaria di tipo tecnico-politico e non solo, a posteriori, di tipo giurisdizionale. (5-01726)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la decisione 2013/678/Ue del Consiglio dell'Unione europea pubblicata nella Gazzetta Ufficiale europea n. 316 del 27 novembre 2013, in deroga all'articolo 285 della direttiva 2006/112/CE, l'Italia è autorizzata a esentare dall'Iva i soggetti passivi il cui volume d'affari non superi i 65.000 euro annui;
   la precedente decisione n. 2010/688/UE del 15 ottobre 2010 del Consiglio dell'Unione europea autorizzava l'Italia ad applicare il regime dei minimi, di cui all'articolo 1, comma 96 e seguenti, della legge n. 244 del 2007, fino al 31 dicembre 2013, e la stessa decisione consentiva al nostro Paese di mantenere quale soglia massima per l'applicazione del regime, gli attuali 30.000 euro di fatturato;
   ciò avveniva in deroga all'articolo 285 della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, la quale fissa la soglia per l'esenzione a 5 mila euro, e tale soglia è stata derogata comunque da numerosi Paesi dell'Unione europea, già autorizzati dal Consiglio ad adottare limiti ben più elevati;
   analogamente a quanto contenuto nella precedente decisione (n. 2008/737/Ce del 15 settembre 2008), lo stesso Consiglio aveva autorizzato l'Italia a conservare la citata soglia di 30.000 euro, al fine di mantenere il valore dell'esenzione in termini reali, stabilendo allo stesso tempo che l'autorizzazione sarebbe scaduta alla data di entrata in vigore di norme comunitarie che fissassero una soglia comune di volume di affari al di sotto della quale i soggetti passivi possono essere esonerati dall'Iva, o al più tardi, entro il 31 dicembre 2013;
   con la decisione di esecuzione 2013/678/Ue del 15 novembre 2013, il Consiglio ha autorizzato il mantenimento del regime speciale di esenzione dall'Iva fino al 31 dicembre 2016 e l'aumento a 65.000 euro del volume d'affari annuo per l'accesso al regime speciale stesso; nelle motivazioni del provvedimento, il Consiglio osserva, tra l'altro, che l'importo è compatibile con la proposta di modifica della direttiva presentata dalla Commissione europea il 29 ottobre 2004 che, allo scopo di semplificare gli obblighi Iva, intende permettere agli Stati membri di fissare fino a 100.000 euro la soglia di volume d'affari annuo per l'accesso al regime speciale di esenzione dall'IVA per le piccole imprese;
   in base alle dichiarazioni presentate nel 2012 (redditi 2011), l'esclusione dall'Iva entro il volume di affari di 65 mila euro determinerebbe l'esonero dalla contabilità Iva e dalla relativa presentazione della dichiarazione per circa 1,15 milioni di imprenditori individuali (pari al 62,15 per cento) e di 537 mila lavoratori autonomi (pari al 72,70 per cento);
   la decorrenza della nuova disposizione è stata fissata al 1° gennaio 2014 ed è applicabile fino al 31 dicembre 2016, salvo che nel frattempo non intervenga una nuova direttiva che, modificando gli importi dei massimali del volume di affari, stabilisca anche l'esenzione dall'Iva per i soggetti passivi rientranti nei nuovi parametri;
   secondo gli ultimi dati forniti dal dipartimento delle finanze, nel 2012, su tre partite Iva aperte, una rientra nel cosiddetto regime dei contribuenti minimi, il quale prevede una imposta forfettaria, che sostituisce Irpef e Irap, del 5 per cento per i primi 5 anni di attività (prima era del 20 per cento ma senza limiti temporali), né l'applicazione dell'Iva, né a debito né a credito (cioè scaricabile), obblighi contabili ridotti al minimo, esenzione dagli studi di settore e dalle comunicazione per lo spesometro –:
   se e quali iniziative normative siano state adottate per armonizzare la legislazione nazionale vigente alla nuove normative europee, così da ampliare il numero dei contribuenti per i quali sono oggi previste semplificazioni e riduzioni degli obblighi fiscali, come l'esonero della registrazione e della tenuta delle scritture contabili, delle liquidazioni e dei versamenti periodici e dell'acconto dell'imposta sul valore aggiunto, e se sia stata valutata altresì la possibilità di estendere tale regime di vantaggio sia alle imposte dirette e all'IRAP, attraverso la previsione di un'aliquota di vantaggio, sia ai contribuenti minimi ai quali oggi si applica il limite dei 30.000 euro, così da sostenere maggiormente il rilancio dell'attività impresa. (5-01727)


   PESCO, RUOCCO, PISANO, ALBERTI, VILLAROSA, CANCELLERI e BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 4 dicembre la Commissione europea ha imposto sanzioni per un totale di 1,7 miliardi di euro a carico di alcuni istituti finanziari (tra cui Deutsche Bank, Société Générale, Royal Bank of Scotland, JP Morgan and Citigroup), ritenuti colpevoli, al termine di un'indagine condotta dalla stessa Commissione, di aver costituito cartelli illegali allo scopo di manipolare due tassi interbancari, l'Euribor e il Tibor, utilizzati nel mercato dei mutui immobiliari e dei derivati;
   la suddetta condotta anticoncorrenziale costituisce una violazione dell'articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   le azioni irregolari contestate sono due: la prima, in essere dal 2005 al 2008 focalizzata su derivati denominati in euro e pilotati dal tasso Euribor, la seconda un cartello attivo fra il 2007 e il 2010 sui derivati denominati in yen (Libor);
   Euribor e Libor sono due dei tre principali tassi di riferimento per un mercato, quello dei derivati, che vale il 53 per cento del prodotto interno lordo europeo, e condizionano i prezzi di strumenti finanziari e influenzano migliaia di miliardi di trattative: un'intesa tra le banche per orientare il loro valore produce profitti immensi, con l'effetto di generare anche pesanti perdite per consumatori e investitori, distorsioni nell'economia reale e crepe nel clima di fiducia;
   il commissario europeo per la concorrenza Almunia ha dichiarato: «Quel che è scioccante non è solo la manipolazione degli indici, ma anche la collusione tra banche che si suppone siano concorrenti»;
   gli accordi che portavano alla definizione di un determinato tasso per una certa quantità di derivati in vendita in un certo giorno erano stilati direttamente tra i trader degli istituti, mascherati con «nomi d'arte» e pronti a sfruttare anche chatroom delle piattaforme finanziarie, a partire da quella di Bloomberg;
   sembra quindi evidente il caso di mancanza di vigilanza delle istituzioni e un eccesso di fiducia nei confronti degli istituti finanziari privati su uno strumento così importante per il nostro sistema economico;
   lo Stato italiano, gli enti locali ed i cittadini italiani utilizzano quotidianamente strumenti finanziari parametrati al tasso Euribor;
   le sanzioni imposte dalla Commissione europea non risarciscono direttamente lo Stato italiano ed i cittadini Italiani i quali hanno subito danni diretti sui propri contratti attraverso la manipolazione dei tassi interbancari –:
   se e come intenda agire, nell'ambito delle proprie competenze, nei confronti degli istituti finanziari dichiarati colpevoli dalla Commissione europea di aver manipolato gli strumenti di riferimento al tasso interbancario al fine di richiedere il giusto risarcimento per i danni arrecati allo Stato italiano ed ai cittadini. (5-01728)

Interrogazione a risposta scritta:


   SBROLLINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto viene riferito dal Coordinamento famiglie adottive italiane (CARE), risulta essere bloccato il fondo di rimborso alle famiglie per le adozioni internazionali, istituito dalla legge n. 311 del 2004, e stabilito nel 2005 (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 giugno 2005), non essendo ancora stato emanato il decreto per i genitori che hanno adottato nel 2012, pur essendo prevista una voce di bilancio preventiva –:
   per quali ragioni il fondo relativo al 2012 sia stato bloccato;
   se sia stata predisposta una medesima voce di bilancio relativa all'anno in corso, e se non si ritenga eventualmente opportuno predisporla;
   quali siano le intenzioni del Governo per i prossimi anni. (4-02961)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il signor Paul Badea, 51 enne di origini romene, è stato arrestato il 13 novembre 2013 con l'accusa di detenzione di armi e di essere coinvolto in una serie di furti di rame;
   dopo tre giorni, Badea ha ottenuto gli arresti domiciliari, ma venerdì 6 dicembre è stato nuovamente arrestato e condotto al carcere «Mammagialla» di Viterbo;
   il giorno successivo, 7 dicembre, il detenuto si è tolto la vita mediante impiccagione;
   il suicidio di Paul Badea si aggiunge ad altri 46 casi verificatisi nelle carceri italiane dall'inizio dell'anno;
   l'erogazione di prestazioni di prevenzione efficaci ed appropriate è disciplinata dal decreto legislativo n. 230 del 22 giugno 1999 sul riordino della medicina penitenziaria;
   l'articolo 1 di tale decreto prevede che i detenuti e gli internati abbiano diritto, al pari dei cittadini liberi, all'erogazione delle prestazioni sanitarie, tra cui sono specificati gli interventi di prevenzione, cura e sostegno del disagio psichico e sociale;
   il taglio alla spesa per la sanità penitenziaria dell'ultimo decennio ha portato ad una forte riduzione del personale adibito alle cure mediche dei detenuti, comprese quelle di prevenzione ed assistenza psicologica –:
   se il Ministro della giustizia, che ha recentemente dimostrato una spiccata sensibilità ed imparzialità nei confronti dei detenuti nelle carceri italiane e delle loro condizioni di salute, intenda accertare con urgenza eventuali responsabilità del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, del suo vice o di altri dirigenti dello stesso dipartimento, in relazione al verificarsi dell'ennesimo suicidio in carcere, frutto, forse, di un controllo insufficiente da parte del personale di vigilanza e di un livello inadeguato di assistenza psicologico-sanitaria;
   se il Ministro intenda altresì attivarsi affinché sia adottata al più presto un'iniziativa volta a stanziare le risorse economiche necessarie per integrare/ampliare l'organico del personale penitenziario – sia di vigilanza sia di assistenza sanitaria – al fine di prevenire nuovi casi di suicidio in carcere e di migliorare, più in generale, le sempre più disperate condizioni dei detenuti in Italia. (5-01729)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel 1997 Fincantieri – azienda pubblica italiana oggi controllata da Fintecna, finanziaria del Ministero dell'economia e delle finanze – ha dismesso le attività di riparazione e trasformazione navale realizzate nello stabilimento dell'Arsenale triestino San Marco (ATSM) di Trieste, trasferendole nel cantiere di Palermo, mentre il relativo personale è stato inviato a Monfalcone;
   a seguito di questa decisione, buona parte dell'area ex ATSM è stata venduta all'azienda multinazionale legata alla produzione dell'acciaio Duferco, la cui finanziaria Duferdofin ha ottenuto uno sconto di sette miliardi di lire sui 15 miliardi pattuiti grazie alla clausola contrattuale in base alla quale la costruenda Sertubi – controllata specializzata nella produzione di tubi in ghisa sferoidale – avrebbe assorbito 70 degli operai in esubero della Fincantieri;
   oggi la Sertubi, data in affitto nel 2011 per cinque anni (fino ad agosto 2016) alla indiana Jindal, versa in una situazione di grave crisi per la quale la provincia di Trieste sta attivando il ricorso ad ammortizzatori sociali, corsi di formazione e riqualificazione professionale;
   la Duferco, inoltre, ha successivamente rivenduto la maggior parte delle aree ex ATSM di sua proprietà ad aziende del settore come Cartubi e Ocean;
   Fincantieri non ha dismesso le zone pertinenti al bacino di carenaggio numero 4 – uno dei più grandi e capienti del nord Adriatico – e del bacino numero 3;
   dal 1998 al 2008 Fincantieri ha affittato gli impianti restanti alle aziende del settore che hanno rilanciato le attività di riparazione e trasformazione navale tanto da assicurare un impegno continuo, sistematico, competitivo e profittevole dei bacini di carenaggio;
   nel decennio in questione Fincantieri non ha investito sui due bacini di carenaggio in possesso, limitandosi alla manutenzione ordinaria e a pochi interventi necessari. Ne è riprova la bonifica dell'amianto presente sugli impianti di sollevamento funzionali ai lavori dei bacini, realizzata soltanto nel 2011, oltre ai circa 600 interventi promossi dalla sola autorità portuale di Trieste;
   con la temporanea ripresa del mercato internazionale delle riparazioni navali, nel 2008 Fincantieri ha deciso di gestire direttamente le attività ma i costi della sua intermediazione hanno reso meno competitive strutture e impianti rispetto ai cantieri concorrenti stranieri, come quelli della Croazia e della Turchia, contraendo i margini per le aziende locali;
   in questo contesto la recente realizzazione presso l'ATSM della commessa legata alla ristrutturazione della nave da crociera Destiny (ora Sunshine) della statunitense Carnival, svolta nel periodo febbraio-maggio 2013, non ha favorito la filiera locale per le condizioni imposte dall'armatore, accettate da Fincantieri. Nello specifico, la maggior parte delle maestranze impiegate non erano locali, quindi le ricadute economiche sul territorio sono state modeste rispetto al tipo di commessa eseguita;
   proprio la filiera di riferimento vive una grave crisi, come testimoniato dalla situazione in cui versano le aziende Wärtsilä Italia – che ha avviato le procedure per ottenere la cassa integrazione ordinaria nel primo trimestre 2014 – e Ocean, impossibilitate a continuare regolarmente la propria attività;
   l'Unione europea nel mese di luglio 2013 ha selezionato i due progetti presentati dagli scali del Napa (l'Associazione dei porti del Nord Adriatico di Trieste, Venezia e Capodistria) nell'ambito del bando Ten-T 2012 sul trasporto marittimo, per un finanziamento complessivo di oltre un milione e mezzo di euro;
   il presidente del Napa Paolo Costa, a conclusione del bando di gara ha dichiarato alle agenzie stampa che «l'Unione Europea da sempre ha creduto nel potenziale del Napa e dei suoi porti sostenendo, anche economicamente, i progetti di sviluppo e le nuove infrastrutture in corso d'opera nella convinzione che l'Alto Adriatico ricopra un ruolo strategico per i mercati italiani ed europei»;
   solo una programmazione industriale adeguata può impedire l'aggravarsi della crisi del comparto e creare nuovi posti di lavoro rilanciando l'area industriale dell'Arsenale triestino San Marco che dispone delle potenzialità per essere un'area produttiva di rilevanza internazionale –:
   se il Ministro interrogato intenda attivare un tavolo di confronto tra Fincantieri, l'autorità portuale di Trieste, gli enti locali competenti, i rappresentanti sindacali e delle aziende del settore navalmeccanico e delle riparazioni navali di Trieste per elaborare e avviare immediatamente una politica industriale di sviluppo a tutela del livello occupazionale e per il rilancio del comparto. (4-02963)

INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro per l'integrazione, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Repubblica democratica del Congo, che non ha mai ratificato la convenzione dell'Aia del 1993 sulle adozioni internazionali, dal mese di aprile 2013 ha sospeso per un anno le autorizzazioni della Direction Général de Migration per l'uscita dei minori adottati;
   a scatenare il blocco delle autorità congolesi sarebbero state delle irregolarità compiute nelle procedure d'adozione da parte di altri Paesi stranieri; secondo l'ambasciatore italiano a Kinshasa, Pio Mariani, il blocco viene direttamente dal presidente della Repubblica democratica del Congo, Joseph Kabila Jr: il presidente avrebbe avviato un'inchiesta sulle adozioni nel Paese e sono emersi casi di maltrattamenti in alcuni Paesi stranieri; inoltre, alcuni bambini andavano in nazioni dove sono concesse le adozioni a coppie gay o a single, pratiche vietate nella Repubblica democratica del Congo;
   il 27 settembre la Direction congolese ha informato le ambasciate di accoglienza dei piccoli dati in adozione, della sospensione per 12 mesi, a partire dal 25 settembre 2013, delle operazioni per il rilascio dei permessi di uscita per i bambini adottati dalle famiglie straniere;
   in ottobre una commissione competente ha stilato una lista di coloro che, con documentazione già conclusa entro il 25 settembre, avrebbero avuto il permesso di recarsi nel Paese per portare a compimento le adozioni. Ma 24 coppie di coniugi italiani arrivate in Congo il 4 novembre non sono state ancora autorizzate a ripartire con i piccoli;
   i circa 80 italiani, vivono sparsi in condizioni particolarmente disagiate (senza elettricità e pochissima acqua) in vari residence nella capitale della Repubblica democratica del Congo, e non possono lasciare il Paese;
   il Ministro per l'integrazione Kyenge che segue la vicenda sin dal momento del blocco, cioè dal 25 settembre, ha affermato che grazie alla diplomazia e ai contatti con le autorità, da quella data si è riusciti a portare in Italia sette coppie;
   il 9 dicembre la visita del Ministro Kyenge nella Repubbica democratica del Congo ha portato al raggiungimento di un accordo grazia al quale le famiglie italiane che hanno completato l'intera procedura burocratica per l'adozione internazionale potranno rientrare in Italia;
   tornando alla visita in Congo, il Ministro Kyenge ha spiegato che è stata l'occasione per approfondire l'intenzione della Repubblica democratica del Congo «... di poter effettuare una riforma per dare più sicurezza e trasparenza alle procedure di adozioni internazionali. In quella sede – ha ribadito – abbiamo raggiunto un accordo con il quale abbiamo stabilito che le famiglie che, hanno concluso tutta la procedure potranno rientrare»; secondo il Ministro il «vero motivo» della sospensione delle operazioni di rilascio dei permessi di uscita per i bambini adottati dalle famiglie straniere «risiede nell'esigenza, tutta interna all'Amministrazione congolese, di rivedere i vari passaggi delle proprie procedure di perfezionamento dell'adozione per fugare i dubbi di scarsa trasparenza (o addirittura di corruzione)»;
   a tutt'oggi, però, gli enti che seguono le famiglie interessate al blocco, denunciano che queste famiglie sono costrette a rimanere a Kinshasa a seguito di un ulteriore provvedimento di blocco all'uscita, e questo nonostante le loro procedure siano considerate regolari; a questo proposito il Ministro Kyenge ha parlato di mancato adempimento, a tutt'oggi – da parte delle autorità congolesi – degli impegni presi durante la sua visita;
   l'intesa che Kyenge aveva raggiunto con i Ministri dell'interno e della famiglia, il Vice Ministro degli esteri e il direttore generale per la migrazione del Congo era che la direzione generale per la migrazione avrebbe confrontato con l'ambasciata la lista delle adozioni considerate in regola e per le quali sarebbe stata quindi rilasciata l'autorizzazione alla partenza;
   in questa vicenda c’è anche un mistero: le famiglie bloccate coi figli a Kinshasa erano 26. Adesso sono 24: a quanto pare, due famiglie afferenti a un altro ente autorizzato sono riuscite a rientrare in Italia coi loro bambini, anche se le associazioni presenti stamani non hanno idea di come ci siano riuscite, augurandosi che non siano state commesse irregolarità che potrebbero creare rappresaglie diplomatiche a danno delle 24 famiglie rimaste; secondo altre voci il blocco delle adozioni imposto dalle autorità del Congo sembra sia stato superato, dopo un intervento di Parigi, da coppie di genitori adottivi francesi;
   l'Italia, con oltre 400 adozioni dal 2009 a oggi, è tra i Paesi più colpiti; l'Italia è sempre stata una «prima della classe» nell'ambito delle adozioni internazionali e, a detta delle stesse autorità congolesi, ha sempre rispettato ogni regola e procedura. I tempi medi di permanenza nella Repubblica del Congo, quando si va per incontrare e portare a casa i propri figli, si aggirano intorno alle tre settimane;
   è opportuno evidenziare che, ai fini del rilascio di tale autorizzazione all'espatrio dei minori, i connazionali hanno dovuto consegnare i propri passaporti alla competente direzione generale per la migrazione congolese: non si può però parlare di sequestro delle famiglie italiane, come riportato su alcuni organi di stampa, perché i passaporti verrebbero subito riconsegnati ai titolari qualora ciò fosse richiesto;
   le 24 famiglie ancora in Congo, in definitiva attendono «i permessi d'uscita», l'ultima tappa della procedura d'adozione, visto che i minori sono già muniti di visto d'ingresso per l'Italia rilasciato dall'ambasciata a Kinshasa. Tuttavia, nonostante le ripetute sollecitazioni dell'ambasciata italiana a Kinshasa, non si sono registrati concreti passi avanti –:
   quali ulteriori azioni e passi diplomatici i Ministri interrogati intendano adottare per porre fine a questa vicenda che rischia di compromettere la salute e la serenità dei bambini e dei loro genitori adottivi;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per rifinanziare il fondo per le adozioni internazionali che risulta incapiente dal 2012. (3-00519)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   MIGLIORE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a fronte di notizie apparse sugli organi di stampa, il COISP richiedeva al capo della polizia di essere ragguagliato in merito alla presenza di amianto sugli elicotteri in dotazione alla polizia di Stato e alle Forze armate;
   in particolare, richiedeva conferma della presenza, sugli elicotteri in dotazione alla polizia di Stato, di tale materiale pericoloso per la salute ed inoltre se nel corso degli anni i velivoli in questione fossero stati interessati da interventi di bonifica;
   con nota n. 557/RS/01/27/7147 del 17 settembre 2013, l'ufficio per le relazioni sindacali del dipartimento della P.S. rispondeva, in modo estremamente sintetico, che gli esami fatti effettuare sui velivoli da una società esterna e «ripetuti presso un Reparto Volo della Polizia di Stato, in stretta collaborazione con l'ufficio di vigilanza sanitaria, hanno escluso rischio per la salute degli Operatori». Nella stessa nota si dava atto che dal 2007 la ditta costruttrice degli elicotteri «ha fornito un elenco dei pezzi in cui vi era la possibilità della presenza di amianto. Tali componenti sono stati tempestivamente sostituiti sebbene non vi fosse alcuna possibilità che rilasciassero nell'aria sostanze dannose». Si dava atto inoltre che, allo stato, non era ancora avvenuto lo «smaltimento dei particolari sostituiti» e che negli elicotteri assegnati alla polizia di Stato «potrebbero essere presenti tracce di amianto» anche in altri componenti data una configurazione differente degli apparecchi rispetto a quelli in dotazione alle forze armate;
   il COISP inviava, successivamente, una nuova richiesta al capo della polizia chiedendo di acquisire gli atti relativi alla sostituzione dei pezzi dei velivoli contenenti amianto, la documentazione relativa ai riferiti controlli effettuati per scongiurare eventuali rischi per la salute degli operatori e le ragioni del perché materiale contenente amianto risultasse essere ancora in attesa di essere smaltito, dal lontano 2007, nei reparti volo della polizia di Stato;
   tale successiva richiesta del COISP prendeva spunto dalle notizie riportate dal portale internet della testata Repubblica, sulla quale, il 25 ottobre 2013, erano apparse fotografie di alcuni particolari in amianto degli elicotteri della Marina Militare, gli stessi in dotazione alla polizia di Stato, trattati con un materiale coprente, il PROSEAL 700, che, come mostrato dalle immagini, scollandosi portava alla luce le parti in amianto;
   il COISP ribadiva quindi la propria preoccupazione in quanto il personale aeronavigante della polizia di Stato, nel corso degli anni, non era mai stato informato adeguatamente sui rischi per la salute, né era stata realizzata alcuna attività di prevenzione dall'amministrazione;
   i reparti volo della polizia di Stato hanno ricevuto, inoltre una PTA (prescrizione tecnica aeronautica 2 del Ministero della difesa – armaereo) riguardante la presenza di guarnizioni potenzialmente contenenti amianto sugli elicotteri AB206 e AB212, che dimostra, quantomeno, che sui velivoli vi sia ancora presenza di amianto;
   nella prescrizione tecnica aeronautica viene prescritta la procedura di trattamento per le parti contenenti amianto e, con estrema sorpresa, compare il nome del materiale «PROSEAL 700», quello di cui si parlava sul quotidiano la Repubblica e si chiede agli «specialisti» della polizia di Stato di applicare tale prodotto su tutti i componenti degli elicotteri contenenti amianto, con l'utilizzo di dispositivi di protezione individuale (tute, guanti e maschere), nel corso della normale attività manutentiva;
   scorrendo l'elenco dettagliato allegato alla citata prescrizione tecnica, i componenti contenenti amianto risultano ancora molto numerosi;
   altra prescrizione tecnica, stavolta relativa all'elicottero A109, stabilisce interventi di natura temporanea in attesa di bonifica definitiva relativa all'impianto del freno rotore e dei freni ruote;
   è incomprensibile come sia possibile che gli elicotteri della polizia effettuino presso la ditta Agusta la cosiddetta «ispezione maggiore» per una cifra che si aggira intorno al milione di euro, mentre si domanda che gli operatori della polizia di Stato procedano a sostituire componenti contenenti amianto pur non essendo preparati a svolgere tali attività pericolose per la salute senza neppure che sia riconosciuto loro lo status di lavoratore esposto al rischio di amianto;
   nonostante dal 1992 l'utilizzo dell'amianto sia bandito, i velivoli della polizia hanno continuato la loro normale attività operativa e manutentiva senza che fosse messa in atto la benché minima precauzione, mentre gli elicotteri delle Forze armate venivano chiusi negli hangar e coperti da cellophane;
   non si comprende perché l'amministrazione non abbia preso in considerazione la richiesta del COISP di istituire una commissione per valutare i rischi corsi dagli operatori della polizia che hanno lavorato a contatto con l'amianto –:
   quali ulteriori elementi conoscitivi il Ministro interrogato sia in grado di fornire con riferimento alla gravissima situazione esposta in premessa;
   non ritenga necessaria l'istituzione di una commissione che sulla base delle procedure e dei protocolli clinici già utilizzati in situazioni simili elabori un documento sui rischi per la salute in cui sono incorsi gli operatori della polizia di Stato che, senza saperlo hanno operato negli ultimi trent'anni sugli elicotteri contenenti componenti in amianto, la cui lunga lista lascia impietriti;
   quali urgenti iniziative intenda prendere per escludere con decorrenza immediata l'ulteriore esposizione all'amianto degli operatori delle forze di polizia e per riconoscere loro lo status e i benefici di lavoratori esposti all'amianto. (3-00518)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CHAOUKI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il cittadino tunisino Hassen T., nato il 19 gennaio 1985, è arrivato in Italia nel 2011 e, avendo svolto attività di lavoro irregolare e detenendo i requisiti per poter accedere alla procedura di emersione dei rapporti di lavoro in nero, riservata ai cittadini extracomunitari, ha presentato apposita istanza alla prefettura di Ragusa ed è attualmente in attesa di risposta;
   secondo quanto riportato dallo stesso interessato, il 5 agosto 2013 avrebbe subito un'aggressione ingiustificata da parte di due agenti delle forze dell'ordine italiane mentre veniva accompagnato dalle autorità italiane presso il CIE di C. da Pian del Lago a Caltanissetta;
   durante il tragitto verso il centro, infatti, l'autovettura delle forze dell'ordine avrebbe avuto un guasto, motivo per il quale i due agenti e Hassen si sarebbero fermati e quest'ultimo sarebbe stato ammanettato e lasciato dentro l'autovettura con i finestrini chiusi;
   a causa delle caldissime condizioni climatiche, la temperatura raggiunta all'interno dell'autovettura avrebbe provocato uno stato di malessere in capo ad Hassen, il quale, una volta liberato dalle manette, si sarebbe precipitato fuori dal mezzo onde evitare di soffocare e, proprio in quel momento, sarebbe stato aggredito dagli agenti con calci, pugni e uso dello sfollagente;
   il successivo 6 agosto 2013 Hassen è stato infatti trasportato presso il presidio ospedaliero di Caltanissetta S. Elia, ricoverato nell'unità operativa di chirurgia generale per una lesione perianale e trattato chirurgicamente lo stesso giorno;
   dopo un ricovero di venti giorni Hassen ha ottenuto un permesso di soggiorno per cure mediche dalla questura di Caltanissetta;
   poiché lo stato di malessere continuerebbe a sussistere, il 10 settembre 2013 Hassen si è recato presso il pronto soccorso dell'ospedale civile di Ragusa, dove la diagnosi è stata quella di «ragade anale», cioè un'ulcerazione lineare dell'ano, mentre l'esame obiettivo avrebbe riscontrato condizioni generali di salute scadenti e, tra le altre cose, uno stato di sofferenza visibile nel paziente;
   secondo quanto risulterebbe anche dai referti medici rilasciati, i traumi provocati ad Hassen a seguito dell'aggressione dei due agenti sarebbero devastanti e visibili ancora oggi sul suo corpo, così come le difficoltà sorte a carico dell'apparato gastrointestinale, di quello urinario e di quello rettale;
   dal 21 settembre al 15 ottobre 2013 Hassen viene nuovamente ricoverato presso l'ospedale R. Guzzardi di Vittoria, questa volta con una diagnosi di paraparesi flaccida. I motivi del ricovero sarebbero dovuti a difficoltà al mantenimento della stazione eretta e della deambulazione, deficit delle funzioni sfinteriche e della funzione sessuale;
   dopo più di tre mesi Hassen soffrirebbe ancora di lancinanti dolori all'addome, all'ano e all'inguine che gli impedirebbero di svolgere molte delle funzioni fondamentali per condurre una vita normale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati e se non ritenga di dover far luce quanto prima sulla vicenda e di verificare eventuali abusi commessi a danno del cittadino tunisino Hassen.  (5-01733)


   GIAMMANCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco (CNVVF) è in grave carenza di organico. I tagli di bilancio adottati negli ultimi anni stanno determinando gravi ripercussioni nella organizzazione del lavoro dei vigili del fuoco che operano nella varie regioni d'Italia;
   la carenza di organico ha costretto tale categoria a sopportare turni massacranti ed ha reso estremamente difficoltoso garantire interventi di soccorso tecnico urgente. Inoltre, sempre a causa della carenza di organico, al fine di garantire un minimo di operatività delle squadre deputate al soccorso, si è resa necessaria una contrazione delle unità operative a bordo dei mezzi;
   nel nostro Paese si sono verificate diverse emergenze tra cui, di recente, l'evento calamitoso che ha colpito la regione Sardegna, dove il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è intervenuto ed è tuttora impegnato, anche in una persistente situazione di carenza di organico, per fronteggiare gli effetti devastanti che hanno colpito gravemente il territorio e la popolazione sardi;
   di recente, con l'approvazione della legge 30 ottobre 2013, n. 125 (recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni») è stato disposto il potenziamento di 1.000 unità, divise tra le due graduatorie vigenti, prorogate fino e non oltre il 31 dicembre 2016;
   in particolare l'articolo 8 della succitata legge prevede l'esaurimento delle due graduatorie vigenti entro quella data precludendo l'indizione di nuovi concorsi. Le suddette graduatorie garantiscono un bacino di idonei di circa 8.000 unità pronte a sopperire, a seguito di corso di formazione professionale, alla citata grande carenza di organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   la necessità di sopperire a tale esigenza evidenzia il controsenso enorme che si verrebbe a creare se il turn over, allo stato ridotto, venisse lasciato inalterato o depotenziato. Al riguardo si segnala che il turn over previsto per i prossimi anni è il seguente:
    50 per cento per il 2013;
    50 per cento per il 2014;
    70 per cento per il 2015;
   lasciare inalterate le suddette percentuali ridurrebbe ulteriormente l'effettiva capacità lavorativa del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di fronteggiare adeguatamente le emergenze che investono, ormai quotidianamente, la collettività nazionale;
   in tali frangenti il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha rappresentato e continua a rappresentare un valido punto di riferimento sia per i cittadini che per le amministrazioni locali interessate alle situazioni emergenziali –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare in tempi brevi (oltre il previsto potenziamento di 1.000 unità che non porterebbe benefici con un turn over ridotto) per il rafforzamento delle unità del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, avendo due graduatorie vigenti valide fino al 31 dicembre 2016, in cui sono presenti 8.000 idonei circa pronti all'assunzione, al fine di garantire l'operatività del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e garantire così in maniera adeguata la sicurezza dei cittadini italiani. (5-01734)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   non accenna ad attenuarsi la grande offensiva della piccola criminalità nella Bassa Comasca, già oggetto di altri atti di sindacato ispettivo rimasti finora senza risposta;
   la Bassa Comasca è in effetti interessata ormai quotidianamente da furti negli appartamenti ed altri reati contro la proprietà, che tendono a concentrarsi nelle prime ore della sera;
   ultimi in ordine di tempo ad aggiungersi alla lista dei comuni colpiti sono Mozzate, Lomazzo e Turate, località queste ultime dove sta emergendo una pressante richiesta della cittadinanza ad organizzare delle ronde per sopperire all'assoluta mancanza notturna di presidi delle forze dell'ordine;
   proprio a Turate, il 18 novembre 2013 è stata raggiunta dai ladri anche l'abitazione dei genitori del sindaco, Cristiano Banfi, rimasti vittime di un'effrazione che ha fruttato agli autori una refurtiva del valore stimato di ben 25mila euro;
   il sindaco Banfi aveva già rappresentato il crescente allarme avvertito dalla cittadinanza turatese in occasione di una riunione del tavolo di sicurezza provinciale convocata nella prefettura di Como il 18 ottobre 2013, presenti, oltre al prefetto, il questore ed i comandanti provinciali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza;
   il sindaco Banfi ha ribadito anche successivamente, in un incontro con il prefetto di Como svoltosi il 28 novembre 2013, la necessità di rinforzare i presidi delle forze dell'ordine a Turate, comune di 9 mila abitanti dotato di una polizia locale composta da due soli uomini –:
   se e soprattutto in che tempi il Governo conti di assumere le incisive misure che occorrono per fronteggiare l'emergenza criminale in atto nella Bassa Comasca, ed in particolare a Turate, prima che la spinta della società civile ad organizzare la propria autotutela diventi irresistibile. (4-02950)


   CORDA e VALLASCAS. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Elmas, popoloso centro dell'area vasta di Cagliari, chiede da anni di stabilizzare una presenza nel suo territorio di un nucleo dell'Arma dei carabinieri;
   tali richieste sono state fatte proprie dalla prefettura di Cagliari, che risulta essersi attivata per ottenere tutti i pareri per verificare la fattibilità di realizzare nel comune di Elmas una stazione dei Carabinieri –:
   se il Governo sia a conoscenza di tali istanze e se non reputi opportuno darvi un seguito; in caso di risposta affermativa, quali tempi ragionevolmente si prevedano e a quali risorse finanziare il Governo intenda attingere. (4-02956)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Poviglio (RE), in località S. Sisto, vi è da tempo un'area a insediamento residenziale e artigianale posta tra via Parma e via Argine Mola;
   verso la fine del 2011 sono state approvate delle varianti a detta area, permettendo anche un insediamento industriale (nonostante per tale tipologia sia stata da tempo prevista un'area di espansione posta al confine coi comuni di Brescello e Boretto), in favore dei titolari di un'area subito a nord-ovest di detta area artigianale;
   in detta area svolgono attività attinenti alla lavorazione del legno alcune ditte: Padana Legnami srl, Ares srl, Agricola Tricolore sas;
   le attività suddette comportano movimenti di macchinari e depositi di materiale derivante dalla lavorazione del legno;
   i rumori dei macchinari sono stati da tempo oggetto di segnalazioni al comune di Poviglio e all'Arpa, la quale ha riscontrato il superamento dei limiti sonori previsti per legge; il comune ha assicurato il suo conseguente intervento ma ad oggi non risulta che le ditte abbiano adeguato la loro attività alle norme di legge;
   i depositi di materiale derivante dalla lavorazione del legno formano alte piramidi che rilasciano polveri, odori ed esalazioni che, a seconda della direzione del vento, rendono l'aria irrespirabile;
   è noto che altre ditte che effettuano le medesime lavorazioni in comuni vicini (ad esempio Viadana) rispettano regole precise in ordine ai depositi: ad esempio devono bagnare costantemente il materiale (segatura, truciolame, e altri) in modo che non rilasci polveri, devono mantenere i filtri puliti sostituendoli periodicamente, devono elevare pareti per attutire i rumori;
   è già successo che un incendio, per fortuna di portata limitata, sia stato domato a fatica da personale delle ditte interessate. È certo che la quantità di materiale infiammabile è tale che un incendio serio causerebbe grosso pericolo anche all'insediamento residenziale attiguo; di questo sono stati informati il comune di Poviglio e vigili del fuoco –:
   se il Ministro dell'interno, non ritenga, alla luce dei rischi descritti in premessa di invitare i vigili del fuoco competenti per territorio a effettuare i dovuti controlli per assicurare che tutte le norme a tutela dei cittadini siano osservate nei luoghi sopra descritti. (4-02981)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BATTELLI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 508 del 21 dicembre 1999 ha introdotto la riforma, tra gli altri istituti ed accademie, anche delle Accademie di belle arti;
   il comma 8, lettera e), dell'articolo 2 della legge n. 508 del 21 dicembre 1999 ha disposto «la possibilità di prevedere, contestualmente alla riorganizzazione delle strutture e dei corsi esistenti e, comunque senza maggiori oneri per il bilancio dello stato, una graduale statizzazione, su richiesta, degli attuali Istituti pareggiati e delle Accademie di belle arti legalmente riconosciute (...). Nell'ambito della graduale statizzazione si terrà conto, in particolare nei capoluoghi sprovvisti di istituzioni statali, dell'esistenza di Istituti non statali e di Istituti pareggiati o legalmente riconosciuti che abbiano fatto domanda, rispettivamente, per il pareggiamento o il legale riconoscimento, ovvero per la statizzazione, possedendone i requisiti alla data di entrata in vigore della presente legge»;
   l'Accademia Ligustica di Genova ha già presentato domanda per la statizzazione;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha autorizzato l'Accademia Ligustica ad attivare corsi biennali e triennali in ordine ad un'offerta formativa aderente a quella delle accademie statizzate;
   la statizzazione dell'Accademia Ligustica permetterebbe alla stessa di usufruire delle cattedre attualmente congelate cioè di professori dipendenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a cui non sono stati assegnati compiti di insegnamento;
   l'attività didattica dell'Accademia Ligustica è finanziata dall'introito derivante dalle tasse a carico degli studenti iscritti, i cui importi sono allineati a quelli delle tasse universitarie, e dai trasferimenti degli enti locali;
   tali importi non sono sufficienti a garantire tutte le attività dell'Accademia, compreso il «diritto allo studio»;
   il decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, all'articolo 19, comma 5-bis, autorizza per l'anno finanziario 2014 la spesa di un milione di euro a favore delle accademie non statali di belle arti finanziate in misura prevalente dagli enti locali –:
   se e quali iniziative normative intenda assumere per intraprendere un percorso di statizzazione per l'Accademia Ligustica di Genova e per tutte le accademie che ne hanno fatto richiesta e per le quali non si è eventualmente completato il percorso stesso;
   se non ritenga di assumere iniziative per rendere strutturale il finanziamento di un milione di euro previsto per l'anno finanziario 2014 dal decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128. (5-01730)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SBROLLINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   dalle sollecitazioni ricevute e dagli articoli che da tempo compaiono sul Giornale di Vicenza, risulta che ad Alte Ceccato, frazione di Montecchio Maggiore (Vicenza), nella scuola dell'infanzia Piaget e nella scuola primaria Zanella, venga da anni e costantemente superato il tetto del 30 per cento di studenti stranieri per classe fissato dalla nota contenente «indicazioni e raccomandazioni per l'integrazione di alunni con cittadinanza non italiana» inviata a tutte le scuole nel gennaio 2010 dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   i numeri evidenziano una sproporzione grave che si riflette sul mancato rispetto del principio di integrazione, nonché del diritto all'istruzione;
   né l'amministrazione comunale né il dirigente scolastico unico delle due scuole, sembrano aver assunto strategie efficaci per risolvere il problema;
   la drammatica situazione comporta gravi conseguenze che interessano più fronti:
    a) risulta che molti studenti stranieri iscritti alla scuola primaria non conoscano la lingua italiana. In tale condizione essi non riescono a seguire il programma didattico previsto e i tempi di svolgimento dello stesso ne risentano oltre il normale; che gli studenti stranieri, continuando a frequentare classi dove la maggior parte dei compagni sono essi stessi stranieri non linguisticamente e culturalmente integrati e spesso proprio connazionali, non siano stimolati ad imparare la lingua italiana; gli insegnanti vivano una situazione di frustrazione perché impossibilitati a portare avanti il programma didattico e perché impotenti di fronte ad una distribuzione disomogenea degli studenti stranieri e di quelli italiani;
    b) molti genitori italiani cittadini di Montecchio Maggiore (Vicenza), preoccupati per la situazione e non rassicurati da alcuna azione concreta atta a contrastare il fenomeno, preferiscono iscrivere i loro figli in istituti più lontani dove il tetto del 30 per cento è garantito. Questo fatto contribuisce a formare una concentrazione di alunni stranieri negli istituti Piaget e Zanella che impedisce di fatto l'integrazione e lo svolgimento dell'attività didattica e costringe i bambini stranieri ad una forma di «ghettizzazione»;
   la precedente amministrazione comunale (2004-2009) aveva elaborato il «Patto per la scuola» con cui ogni dirigente scolastico si era impegnato a favorire una distribuzione equilibrata degli alunni stranieri nei plessi dei due istituti comprensivi, ma anche ad organizzare offerte formative per l'accoglienza, l'educazione e la formazione degli studenti; inoltre, di individuare, prima dell'iscrizione, le modalità per esaminare in comune accordo le domande presentate. Il patto aveva cominciato a dare una risposta concreta all'emergenza, ma poi è stato abbandonato dalla successiva (e attuale) amministrazione –:
   se i Ministri interessati siano a conoscenza di quanto sopra descritto; se non intendano intervenire, nell'ambito delle loro competenze, al fine di verificare l'emergenza in atto e porre in essere iniziative politiche normative che impongano il rispetto del tetto del 30 per cento di alunni stranieri per classe sollecitando le realtà territoriali competenti a mettere in atto strategie concrete ed efficaci volte ad una omogenea distribuzione degli alunni stranieri e italiani negli istituti del territorio. (4-02967)


   FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO e COSTANTINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   molte scuole ad oggi non riescono a pagare ai supplenti temporanei docenti e ATA gli stipendi dei mesi di novembre e dicembre 2013 e questa incresciosa situazione, secondo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, è dovuta all'insufficienza dei fondi necessari a disposizione e dall'impossibilità, a breve, di assegnare quanto necessario e doveroso;
   continua a ripersi una situazione già nota, scuole senza risorse e supplenti senza retribuzione, e per questo ancor più inaccettabile;
   il procedimento di assegnazione dei fondi per le supplenze brevi e saltuarie, attraverso l'erogazione ricorrente di risorse individuate e quantificate prima dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con la rilevazione dei contratti immessi al SIDI, accordate e concesse successivamente dal Ministero dell'economia e delle finanze infine messe a disposizione delle scuole, ha dimostrato di non funzionare soprattutto a danno dei lavoratori e con gravi ripercussioni del servizio e se non arriveranno immediatamente le risorse necessarie i dirigenti scolastici e gli uffici di segreteria delle scuole dovranno scegliere chi pagare o suddividere la poca ed eventuale disponibilità di cassa tra tutti i supplenti;
   l'ultimo giorno utile per pagare gli stipendi dei supplenti per il 2013 è il 27 dicembre 2013 e fino ad allora occorre sia reperire i fondi necessari che lasciare aperte le funzioni del Ministero dell'economia e delle finanze del Service NoiPA/Cedolino Unico per permettere alle scuole di procedere alla liquidazione di quanto dovuto;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca diversamente da quanto previsto dalla normativa vigente ha comunicato di recente che a causa della necessità di non meglio precisati adeguamenti dei sistemi informativi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero dell'economia e delle finanze le scuole dovranno continuare a provvedere alla liquidazione degli stipendi dei supplenti temporanei anche per il 2014, utilizzando quelle procedure farraginose e burocratiche che tanti problemi e difficoltà hanno causato fino ad ora –:
   se non si ritengano necessarie e quali siano le iniziative urgenti che si intendono attivare entro la fine dell'anno per garantire il pagamento al personale supplente precario di quanto dovuto per le retribuzioni dei mesi di novembre e dicembre 2013;
   quali siano ad oggi le difficoltà che non permetteranno dal mese di gennaio 2014 l'utilizzazione da parte delle scuole dei nuovi strumenti di liquidazione diretta dei compensi da parte del Service NoiPA e quali sono i tempi per l'effettiva messa a regime della nuova procedura che, forse, potrà evitare le situazioni intollerabili sopra denunciate. (4-02972)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XI Commissione:


   TRIPIEDI, ROSTELLATO, CIPRINI, COMINARDI, RIZZETTO, BALDASSARRE, CHIMIENTI e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la multinazionale svedese Electrolux è un'azienda leader mondiale nel settore dell'elettrodomestico e delle apparecchiature per uso professionale;
   in data 28 ottobre 2013, a Mestre, la direzione di Electrolux ha presentato al coordinamento sindacale un piano che prevede la messa in discussione degli stabilimenti italiani del gruppo, messi sotto investigazione dalla direzione stessa che intende verificare, entro aprile 2014, la sostenibilità delle produzioni che si realizzano in Italia, analizzando le vie percorribili per consolidare i fattori di competitività e le azioni necessarie per una maggiore profittabilità;
   in modo esplicito la direzione aziendale ha spiegato che questo può significare il mantenimento, il ridimensionamento o la chiusura degli stabilimenti italiani di Porcia (PN) dove lavorano 1.160 addetti, di Susegana (TV) dove lavorano 1.033 addetti, di Solaro (MI) dove lavorano 912 addetti, di Forlì dove lavorano 843 addetti, preferendo a questi una delocalizzazione di una notevole parte dei suoi prodotti verso Polonia e Ungheria;
   si parla di 461 esuberi programmati, cifra alla quale va aggiunta quella dei 1.200 esuberi (oggi 1.100 per effetto delle dimissioni incentivate), affrontati con il ricorso alla solidarietà realizzata con accordo del 22 marzo 2013, con il rischio inevitabile di provocare, a cascata, la perdita di migliaia di posti di lavoro nell'indotto –:
   se il Ministro interrogato intenda impegnarsi, per quanto di competenza, al fine di verificare l'attivazione di ogni strumento disponibile per il sostegno del reddito e per l'ammortizzazione sociale in favore dei lavoratori coinvolti, di salvaguardare con ogni possibile sforzo i livelli occupazionali e, in quest'ottica, di promuovere l'apertura di un tavolo tecnico tra le parti sociali coinvolte. (5-01723)


   BELLANOVA e GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni 22 mila pensionati salentini si trovano a vivere una condizione di estrema preoccupazione, poiché l'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) ha inviato agli stessi una comunicazione attraverso la quale l'ente previdenziale chiede ai pensionati di rimborsare somme, a suo dire, indebitamente percepite, pena il blocco delle prestazioni;
   sugli organi di stampa si legge che «i rappresentanti dei pensionati hanno lamentato innanzitutto la mancata comunicazione dell'arrivo di così tante lettere, che coglierebbe i pensionati impreparati ad affrontare il prevedibile affollamento delle sedi comunali dell'INPS. Contestate, inoltre, la genericità delle notizie contenute nelle richieste, l'errata corrispondenza dei redditi degli anni di riferimento, l'impossibilità a visionare on-line le posizioni, tramite la casella dedicata, a causa della sospensione sino a oltre metà dicembre dei programmi, e anche la non esclusione delle rendite svizzere»;
   proprio in merito alle rendite svizzere le organizzazioni sindacali puntualizzano che è «un errore che si ripeterebbe alla fine di ogni anno»;
   purtroppo è già accaduto nel recente passato che i pensionati si siano visti recapitare richieste, da parte dell'istituto di previdenza, di rimborso di somme indebitamente percepite con formule generiche e burocraticamente asettiche; tutto questo ha generato una comprensibile ed ampia preoccupazione in persone che fanno già fatica ad affrontare questo periodo di crisi durissima e che sono alle prese con un equilibrio economico che ogni giorno si fa più precario –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di intervenire con celerità per evitare il blocco delle prestazioni a 22 mila pensionati salentini, che in una situazione così critica andrebbe, purtroppo, ad aggravare gli effetti di quanto sopra descritto, nonché di adoperarsi affinché l'INPS attivi opportune verifiche prima dell'invio di comunicazioni che scatenano forti preoccupazioni, ciò anche al fine di evitare ulteriori disagi e penalizzazioni ai pensionati salentini. (5-01724)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'8 agosto 2013 viene pubblicato un avviso pubblico tramite il quale si intendono attivare 3.000 tirocini per l'inserimento e il reinserimento al lavoro e per favorire l'uscita dalla condizione giovanile «né allo studio, né al lavoro»;
   le risorse disponibili per l'attuazione del suddetto avviso sono quantificate in dieci milioni di euro a carico del Fondo di rotazione di cui alla legge n. 183 del 1987 e relative al Piano di azione e coesione – priorità giovani, stanziati con D.D. 25/2013 del Ministero dell'economia e delle finanze, registrato dalla Corte dei conti (reg. 4 - foglio 238) in data 23 maggio 2013;
   Italia Lavoro Spa è il soggetto che promuove l'attivazione e la gestione dei tirocini per conto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   le 3.000 borse di tirocinio sono ripartite su base tipologica (tirocini «in loco» e «in mobilità») e geografica (4 regioni in obiettivo convergenza);
   dal combinato disposto degli articoli 6, 11, 12, 13 e 14 si evince che l'ordine di assegnazione delle borse ai soggetti (la cui verifica di ammissibilità sia risultata positiva) sarà meramente cronologico; infatti l’ex (articolo 11): «Italia Lavoro non svolge alcun ruolo – diretto o indiretto – nelle procedure di individuazione del beneficiario della borsa». Nonostante la rilevanza del criterio cronologico per la ripartizione delle risorse disponibili, nel testo dell'avviso non si esplicita quale azione, tra le tante necessarie al completamento dell’iter per l'assegnazione della borsa, sarà presa a riferimento come base temporale per stilare le graduatorie sulla base delle quali assegnare le borse;
   il progetto di far fuoriuscire, almeno temporaneamente, 3.000 giovani laureati dal frustrante status di Neet ha senso solo se questi 3.000 tirocini vengono attivati in breve tempo, altrimenti, nell'attesa del responso di Italia Lavoro prima e della concreta attivazione dei tirocini dopo, si produce l'aberrante e paradossale effetto di incentivare i giovani o a non lavorare o a lavorare in nero per non perdere i requisiti di partecipazione;
   informazioni imprecise, in parte imputabili agli operatori della pagina Facebook di Cliclavoro, in parte ad un'ambiguità insita nel testo dell'avviso, hanno inoltre incentivato alcuni aspiranti tirocinanti a non intraprendere alcun percorso formativo sia in questa lunghissima fase di attesa, sia durante l'eventuale tirocinio, al fine di non perdere il requisito di cui all'articolo 4 che, invece, a ben vedere, afferma: «Tutti i requisiti devono sussistere alla data di candidatura al presente avviso»;
   l'articolo 7 elenca le cause di interruzione del tirocinio menzionando la perdita dello status di disoccupato/inoccupato, non disponendo nulla circa un eventuale percorso formativo contemporaneo al tirocinio e, di conseguenza, vincolando i tirocinanti solo al rispetto di quanto stabilito dall'articolo 4, il quale prescrive che «alla data di candidatura non si deve essere iscritti o frequentare alcun corso di formazione»;
   già a fine ottobre 2013, da diverse fonti, risulta che le domande pervenute ad Italia Lavoro sono più di 20 mila –:
   se sia o meno legittimo il mancato chiarimento nello stesso avviso pubblico del criterio di assegnazione dell'ordine cronologico delle domande, demandato alla sezione FAQ del sito Italia Lavoro o agli operatori della pagina Facebook di Cliclavoro;
   qual siano le ragioni per cui, a due mesi di distanza dall'inoltro delle prime domande di tirocinio, ancora nessun percorso formativo è stato avviato;
   se il Ministro interrogato sia consapevole che il protrarsi dei controlli da parte di Italia Lavoro sta, di fatto, tenendo bloccati sia le aziende sia i giovani che hanno fatto richiesta di tirocinio, causando la permanenza nello status di Neet per questi ultimi, contrariamente a quanto l'avviso si proponeva di fare, ed impedendo alle aziende di incrementare la loro produttività e competitività in un momento economicamente delicato come quello che stiamo attraversando;
   quali misure intenda adottare per evitare che alcune borse di tirocinio vengano impiegate impropriamente, con il mero scopo di usufruire del contributo pubblico, ponendo in essere progetti che esulano della ratio dell'avviso in oggetto. (4-02973)


   CARELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Antonelli Group di Labico (RM), azienda dolciaria, comunicava dal 2011 l'avvio della procedura di mobilità per 35 dipendenti su 80 e che dopo vari tavoli di concertazione la Regione Lazio autorizzava la Cassa integrazione straordinaria per 35 lavoratori, motivando la minor necessità di personale data dai processi produttivi più meccanizzati, cassa integrazione ancora in corso fino a maggio 2014;
   nel corso di questo periodo venivano posti in Cassa Integrazione gli stessi dipendenti e di fatto non applicando nessun principio di rotazione della CIGS tra i quali, due iscritti al sindacato CGIL;
   durante il periodo di riferimento l'azienda veniva condannata per attività antisindacale nei confronti dei due dipendenti iscritti al sindacato CGIL e posti perennemente in cassa integrazione;
   i due dipendenti si rivolgevano al giudice del lavoro della sezione del tribunale di Velletri il quale il 31 ottobre 2013 emetteva la sentenza della causa iscritta al n. 2648/2012 R.G. che accertava l'illegittimità della sospensione in CIGS e per effetto della condanna la società è convenuta a ripristinare il rapporto di lavoro e a risarcire il danno cagionato sino al mese di aprile 2012;
   in data 17 dicembre 2013 la società Antonelli Group ancora non applica la sentenza del giudice –:
   quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, il Ministro interrogato affinché la sentenza del giudice venga applicata. (4-02980)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della terra dei fuochi, suscita, inevitabilmente, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca al nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, al settore agroalimentare;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali, infatti, non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell'export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento CE 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria, rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013 –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità degli stessi, quali provvedimenti intenda adottare in sede europea al fine di promuovere il rispetto, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine;
   quali azioni il Ministro intenda intraprendere per provvedere alla tutela del vero made in Italy agroalimentare, con il fine di ristabilire la fiducia dei consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari locali.
(4-02974)


   CIRIELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati), equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca al nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, al settore agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali, infatti, non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
   deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e soprattutto alla produzione della Regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del PIL nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del Made in Italy;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy minacciano la solidità e provocano gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute, alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti, ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera, all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà, all'educazione al consumo, alla trasparenza e all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che, in realtà, non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità degli stessi, quali determinazioni intenda assumere, in particolare, tramite il Corpo forestale dello Stato, al fine di applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy, tenuto anche conto della necessità di ripristinare un dialogo di fiducia con i consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari. (4-02975)


   CIRIELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca al nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, al settore agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
   la Terra dei Fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
   deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e soprattutto, alla produzione della regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del prodotto interno lordo nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre, allora, ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   l'omissione delle informazioni sull'origine di un prodotto agroalimentare ed una pubblicità che suggerisca un legame inesistente tra un prodotto ed un territorio aumentano in modo significativo il rischio di confusione;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono pregiudica l'immagine del patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento CE 25 ottobre 2011, n. 1169 del 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, impone come obbligatoria l'indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza per una serie di prodotti, fissando alla Commissione il termine del 13 dicembre 2013 per adottare le disposizioni di attuazione dell'obbligo –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità degli stessi, quali iniziative di competenza intendano promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio con l'estero, al fine di prevenire le pratiche fraudolente o ingannevoli, ai danni del made in Italy o, comunque, ogni altro tipo di operazione o attività commerciali in grado di indurre in errore i consumatori e, ancora, la più ampia trasparenza delle informazioni relative ai prodotti alimentari ed ai relativi processi produttivi e l'effettiva rintracciabilità degli alimenti nazionali;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare in sede europea al fine di promuovere il rispetto del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento n. 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative per l'adozione di un sistema analogo a quello previsto dall'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine dei prodotti, nonché assicurare l'accesso ai relativi documenti da parte dei consumatori, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche. (4-02976)


   CIRIELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale va riconosciuta con riferimento alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita, pertanto, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca al nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, al settore agroalimentare;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo smaltimento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella Regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta più del 17 per cento del prodotto interno lordo e provengono dal settore agricolo oltre 53 miliardi di euro;
   il made in Italy agroalimentare è la leva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese;
   il settore agricolo, considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore, riveste una particolare importanza per l'economia nazionale ed assume un ruolo fondamentale nella custodia del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   dai dati elaborati da ISMEA nel rapporto «La competitività dell'agroalimentare italiano» del 2012, emerge che la fase agricola è fortemente penalizzata dalle repentine e intense variazioni dei prezzi alla produzione, variazioni che, invece, non si trasmettono immediatamente sui prezzi nelle fasi più a valle, né per tempistica, né per intensità;
   sulla base dei risultati definitivi pubblicati dall'Istat e secondo quanto certificato dal 6o censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo, in diminuzione nell'ultimo decennio, è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   l'attuale situazione del mercato risulta ulteriormente aggravata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine di diversi prodotti, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale – che assicurano, tra l'altro, elevati standards di sicurezza e qualità – e i prodotti di importazione che, invece, spesso presentano minori garanzie per il consumatore;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità degli stessi, quali iniziative di competenza intenda promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi palesemente inferiori ai costi di produzione medi sostenuti, nonché quali iniziative di competenza il Ministro intenda promuovere al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere ai danni degli agricoltori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo regolamento di attuazione (decreto ministeriale 19 ottobre 2012, n. 199), anche al fine di ripristinare la fiducia dei consumatori nei confronti della qualità e della sicurezza dei prodotti agroalimentari.
(4-02978)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   desta preoccupazione il caso del San Giovanni Addolorata di Roma, dove negli ultimi mesi, è salito a nove il bilancio delle morti causate presumibilmente da un presunto batterio killer, il clostridium difficile, agente patogeno ad altissima velocità di contagio, specialmente diffuso negli ambienti ospedalieri, che colpisce più facilmente persone anziane e i malati sottoposti a lunghe cure antibiotiche;
   la gravità del caso è accentuata da rilevazioni, dalle quali risulta che il 6-8 per cento dei pazienti contrae infezioni nelle corsie delle strutture sanitarie. Negli ospedali, a causa del largo utilizzo di antibiotici, nel tempo, si sono selezionati cloni di batteri resistenti a molti antibiotici, e talora a tutti quelli conosciuti. In questo caso debellare tali infezioni è impossibile. Secondo la Società italiana malattie infettive e tropicali qualcosa si può fare: si deve portare a zero la tolleranza nei confronti di pratiche scorrette, igiene insufficiente e mancato rispetto delle misure di controllo delle infezioni;
   il contagio può essere causato dal mancato rispetto delle misure igieniche ambientali e personali, tra cui il lavaggio delle mani da parte degli operatori sanitari, esiste la possibilità che possano essere trasferiti da un paziente all'altro;
   la cura è rappresentata, laddove possibile, dalla sospensione degli antibiotici che il paziente sta utilizzando se non più necessari, e dall'uso di farmaci antimicrobici ai quali il clostridium difficile è sensibile. Questi farmaci sono generalmente somministrati per via orale. La probabilità di una prima recidiva è del 25 per cento dopo il primo episodio, ed arriva fino al 60 per cento in coloro che hanno avuto una prima recidiva. Questi casi, peraltro molto fastidiosi, vanno curati con antibiotici selettivi nei confronti del clostridium difficile, insieme alla sospensione di eventuali altre terapie antibiotiche in corso;
   la pericolosità delle infezioni ospedaliere, tra le quali le più frequenti sono le infezioni urinarie associate a cateterismo vescicale, seguite dalle infezioni della ferita chirurgica, poi dalle infezioni delle basse vie aeree spesso associate a intubazione meccanica per ventilazione assistita, seguite ancora dalle infezioni del torrente circolatorio associate a cateteri vascolari (spesso centrali). La pericolosità di tutto ciò deriva dalla particolare suscettibilità di alcuni individui, e dal fatto che, in ospedale, a causa del largo utilizzo di antibiotici, nel tempo si sono selezionati cloni di batteri resistenti a molti antibiotici, e talora a tutti quelli conosciuti. In questo caso debellare queste infezioni è praticamente impossibile –:
   quali urgenti iniziative per quanto di competenza intenda porre in essere, per garantire al paziente il massimo della sicurezza per la salute ed in termini di igiene, ed all'operatore la possibilità di lavorare con tranquillità e se non ritenga necessario assumere iniziative per inasprire controlli e sanzioni finalizzati ad impedire pratiche scorrette, carenza di igiene e mancato rispetto delle misure di controllo delle infezioni. (5-01735)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   lungo l'intera filiera agroalimentare europea, ad esclusione dell'agricoltura, sono circa 90 milioni le tonnellate di alimenti sprecate, pari a circa 179 chilogrammi di cibo gettato pro capite, con proporzioni diverse a seconda del Paese (si va dall'1 per cento della Germania al 21 per cento dell'Estonia, per un 5 per cento complessivo a livello dell'Unione europea);
   i dati succitati sono stati forniti da Luca Falasconi, ricercatore Alma Mater Studiorum – università di Bologna e socio fondatore di Lmm – last minute market, intervenuto all'incontro «Quanto Basta – Un principio etico controllo spreco alimentare», organizzato di recente a Roma, al Tempio di Adriano, da Manageritalia e Manager@eat;
   secondo Falasconi lo spreco riguarda ogni step della filiera agroalimentare, dal campo alla tavola, ma è a livello domestico che si concretizza la quota maggiore di spreco. In termini di valore economico, lo spreco alimentare a livello domestico si aggira intorno ai 5-6 miliardi di euro, mentre nel percorso che il cibo segue dal campo ai supermercati il valore si attesta sui 3,5 miliardi di euro;
   Falasconi ha inoltre evidenziato che le ragioni di questo spreco casalingo sono molteplici, ma soprattutto sono legate al fatto che il consumatore dà poco valore al cibo e spesso non si rende neanche conto di sprecare perché vittima di comportamenti indotti da chi distribuisce e produce;
   in Italia si hanno a disposizione ogni giorno, per ognuno, circa 3.700 chilocalorie di cibo, una volta e mezzo di più di quanto necessario per vivere in modo sufficiente;
   ricerche americane dimostrano che i consumatori acquistano il 30 per cento in più di cibo «per scorta» che poi finisce nel bidone della spazzatura;
   per anni è stata diffusa una immagine consumistica, dimenticando aspetti essenziali e basilari, che devono collegare l'alimentazione al valore, anche educativo del cibo –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno dedicare maggiore attenzione ad un tema importante come quello della educazione alimentare attraverso azioni di sensibilizzazione e formazione che coinvolgano anche le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano promuovere per ridurre gli sprechi e garantire sistemi alimentari sostenibili per assicurare sicurezza alimentare e nutrizionale. (4-02951)


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i dati relativi al cosiddetto «pane a basso costo» sono allarmanti: è legato da una parte al fenomeno illegale del mercato nero italiano e dall'altra al fatto che più della metà di quello venduto legalmente nei supermercati e consumato nelle mense e nei bar proviene da forni della Romania, della Repubblica Moldova e della Repubblica di Slovenia;
   per quanto riguarda il mercato nero, in Italia i forni abusivi stimati sono 1.500 e il fatturato stimato raggiunge i 500 milioni di euro annui;
   si tratta di cifre che dimostrano l'esistenza di un vero e proprio commercio abusivo, che si svolge parallelamente a quello legale e che specula sul bisogno delle famiglie di risparmiare anche sui beni di prima necessità;
   per quanto riguarda invece il pane proveniente dalla Romania, dalla Repubblica Moldava e dalla Slovenia, risulta che una parte del prodotto importato verrebbe cotto in forni a gestione familiare ove si utilizzerebbe legna di dubbia provenienza, addirittura derivante da scarti di materiale per la costruzione di bare, di materiale utilizzato per i traslochi e persino pneumatici;
   il costo di un chilo di pane è di 60/80 centesimi, massimo 1 euro;
   il risultato è una quantità di circa quattro milioni di pane surgelato prodotto ogni anno, importato peraltro legalmente, a danno dei ventiquattromila fornai italiani;
   si tratta di un fenomeno pericoloso per la salute dei consumatori, poiché il pane prodotto illegalmente in Italia e quello importato legalmente viene venduto ad un prezzo basso poiché prodotto utilizzando farine di provenienza incerta, contaminato da sostanze non ammesse, trasgredendo completamente le norme igieniche obbligatorie;
   non si tratta solo di un problema, comunque gravissimo, di sicurezza alimentare ma anche di una questione di responsabilità sociale: è inaccettabile, infatti, che si lucri, peraltro in maniera illegale, sulla salute dei cittadini e di tante famiglie italiane che, a causa delle difficoltà economiche legate alla crisi economico-finanziaria che ha coinvolto il Paese, si trova costretta a dover ridurre persino le spese sui generi di prima necessità –:
   quali iniziative, di propria competenza, i Ministri interrogati ritengano attuare per fare piena luce sulla situazione esposta in premessa, al fine di tutelare il made in Italy agroalimentare, gravemente danneggiato dal fenomeno del mercato del cosiddetto «pane a basso costo» e garantire altresì la qualità del prodotto, soprattutto in riferimento alle delicate fasi di precottura, surgelazione, trasporto, immagazzinamento, congelazione e riscaldamento. (4-02952)


   RONDINI. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che al Ministero della salute sia già stata predisposta la lista per la chiusura per i piccoli ospedali con meno di 120 posti letto, inseriti nel nuovo patto per la salute. Se regioni e Governo daranno il via libera per la maggior parte sarà l'ora di chiudere i battenti;
   da anni leggi finanziarie, decreti e piani regionali rappresentano la necessità di chiusura dei nosocomi, ma in 175 secondo il piano rimangono a rappresentare altrettanti monumenti allo spreco;
   le cronache spesso riportano di ospedali sia con un numero basso di posti letto sia di altri che risultano sotto utilizzati;
   ci sono strutture con 15-20 posti letto utilizzati anche meno di 3 giorni su 10, per non parlare del personale. Se si mette a confronto il tasso di utilizzo reale dei pochi posti a disposizione ed il numero di chi ci lavora, si scopre che intorno a un letto in media si affaccendano sette, otto tra medici e infermieri;
   la lista in realtà sarebbe composta di 222 mini-nosocomi con meno di 120 posti letto, ma dall'elenco saranno da eliminare i servizi psichiatrici di diagnosi e cura, che in realtà ospedali non sono, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, perché fanno ricerca, i centri per «post acuti», che servono per chi dopo un ricovero non è in grado di tornare a casa ma ha bisogno di cure meno intensive;
   alla fine delle esclusioni la lista è composta di 175 ospedaletti (per un totale di oltre 12 mila posti letto), tra i quali figurano anche alcuni collocati in zone disagiate, isole o montagne;
   appaiono macroscopici alcuni errori dovuti a dati non aggiornati circa le dimensioni e le destinazioni attuali delle strutture indicate: l'ospedale di Leno, provincia di Brescia, 16 letti e 68 dipendenti sempre nel 2010. Se i dati fossero aggiornati ci si sarebbe accorti che la struttura è stata già riconvertita da regione Lombardia a centro psichiatrico;
   altri esempi di strutture erroneamente inserite sono: l'ospedale di Varese dove regione Lombardia sta investendo 40 milioni di euro al fine di farne un polo di eccellenza pediatrica, l'ospedale di Melzo che dopo la completa ristrutturazione, costata circa 25 milioni di euro, porterà la riapertura di un'ala portando la capienza ad oltre 170 posti letto;
   appare inoltre macroscopicamente inusuale l'attività del Ministero che, secondo le disposizioni di legge, dovrebbe solo occuparsi di programmazione e non di imporre alle regioni ristrutturazioni che, secondo quanto previsto dal titolo V della Costituzione sono di esclusiva competenza per materia –:
   se il Ministro, alla luce di quanto esposto, non intenda rivedere in modo sostanziale gli studi che hanno portato alla compilazione della lista delle chiusure, essendo gli stessi datati e non più rispecchianti la situazione attuale, almeno per quanto riguarda la metà degli ospedali lombardi, soprattutto tenendo come riferimento i dettami costituzionali.
(4-02957)


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge 8 novembre 2013, n. 128, ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, recante misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca;
   tra le modifiche apportate, vi è l'aggiunta del comma 5-sexies all'articolo 4 che ha soppresso il divieto di uso di sigarette elettroniche nei luoghi pubblici e aperti al pubblico e che ha introdotto una nuova regolamentazione della pubblicità di marchi di liquidi o ricariche per sigarette elettroniche contenenti nicotina;
   la nuova normativa, tra l'altro, prevede il divieto di tale pubblicità nelle sale cinematografiche in occasione «della proiezione di film destinati prevalentemente alla visione da parte dei minori», contemplando una sanzione amministrativa di importo variabile da 5 mila a euro 25 mila per la prima trasgressione e di importo pari al doppio per ogni ulteriore trasgressione. La sanzione si applica, tra gli altri, anche ai proprietari delle sale cinematografiche;
   per effetto delle nuove disposizioni introdotte dalla legge n. 128 del 2013, l'esercente che proietti la pubblicità in questione in occasione «della proiezione di film destinati prevalentemente alla visione da parte dei minori» è dunque passibile di sanzione, mentre l'adulto presente nella stessa sala può «svaporare» senza incorrere in ammende;
   tale paradosso è reso ancora più evidente dal fatto che la normativa generale attualmente vigente non prevede la definizione sopra richiamata di «film destinati prevalentemente alla visione da parte dei minori» dal momento che, ai fini della revisione cinematografica, i film sono riconosciuti con atto amministrativo «per tutti» o con «divieto ai minori degli anni 18 o 14», ovvero sono classificati «film per ragazzi» peraltro solo ai fini della previsione di incentivi di programmazione;
   le nuove regole introdotte dalla legge n. 128 del 2013 rischiano pertanto di ripercuotersi negativamente sulla attività di gestione delle sale e dei luoghi di spettacolo (cinema, teatro, circhi, e altro) introducendo un limite alla pubblicità che non appare coerente con la volontà complessiva espressa dal legislatore sulla materia. D'altra parte, nella attuale situazione di grave contrazione del gettito pubblicitario delle sale cinematografiche, è del tutto intuitivo come la nuova normativa sia fortemente penalizzante per l'attività economica dei gestori e contribuisca ad aumentare l'alea economica di attività imprenditoriali, quali le sale cinematografiche, che concorrono positivamente a mantenere qualità di vita e di relazioni all'interno dei centri urbani;
   va comunque rilevato come la Commissione europea, con propria comunicazione del 2 febbraio 2000, abbia applicato il principio della precauzione, inibendo l'uso delle sigarette elettroniche nei luoghi pubblici –:
   se e quali interventi intenda intraprendere per rendere inequivoca la normativa inerente all'uso – e alla correlata pubblicità sull'uso – di sigarette elettroniche nei luoghi pubblici e aperti al pubblico, eventualmente anche attraverso l'avvio di iniziative normative correttive dell'articolo 4, comma 5-sexies del decreto-legge n. 104 del 2013. (4-02958)


   CIRIELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della terra dei fuochi, suscita, inevitabilmente, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca al nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, al settore agroalimentare;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali, infatti, non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   in agricoltura sono presenti quasi un milione di imprese, ossia il 15 per cento del totale delle imprese italiane;
   il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma, altresì, per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine e una fattura italiane che, in realtà, non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle Amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la gravità degli stessi, se non intenda assumere iniziative per l'adozione, anche per gli altri prodotti agroalimentari, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati, nonché quali iniziative il Governo intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di ristabilire la fiducia dei consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari.
(4-02977)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   a dicembre scadranno gli ammortizzatori sociali e per la ripresa produttiva dello stabilimento di alluminio primario di Portovesme nel Sulcis (Sardegna);
   il Governo ha emanato reiterati decreti per l'Ilva di Taranto;
   per l'Alcoa del Sulcis il silenzio è inaccettabile, insostenibile e vergognoso;
   il Governo continua la politica di due pesi e due misure: mobilitazione e provvedimenti per Taranto, silenzi e complicità per la chiusura dell'Alcoa di Portovesme;
   il sottoscritto ritiene improcrastinabile una piena assunzione di responsabilità del Governo anche l'intervento commissariale dello Stato per l'immediata ripresa produttiva dello stabilimento di alluminio primario sardo;
   il Governo deve intervenire immediatamente con un commissariamento straordinario di uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale come quello dell'Alcoa, partendo proprio dalla dichiarazione di interesse strategico nazionale;
   il ricorso al commissariamento per la ripresa produttiva è legato sia all'area di elevata crisi ambientale che all'interesse strategico dell'alluminio;
   dalla Parmalat all'Ilva lo Stato ha agito con commissariamenti straordinari per salvare imprese strategiche del Paese;
   l'alluminio primario è fondamentale per il nostro Paese e non si può pensare di cedere una produzione così rilevante solo per proteggere il monopolio dell'Enel che schiaccia l'intrapresa economica della Sardegna;
   lo Stato deve rimuovere, «senza se e senza ma», gli ostacoli alla ripresa produttiva, a partire dalla stipula di un contratto bilaterale per 15 anni con l'Enel in grado di fornire energia elettrica alla pari delle altre produzioni di alluminio in Europa;
   il provvedimento per l'Alcoa deve essere recepito nell'ambito di quelli di natura straordinaria come quelli dell'Ilva;
   non si possono continuare ad affrontare questioni particolari ignorando l'interesse generale del Paese;
   quanto sta accadendo sull'Ilva dimostra come lo Stato sia secondo l'interpellante strabico e i partiti nazionali, senza nessuna distinzione, siano ciechi dinanzi alla Sardegna;
   il «Piano Sulcis», senza strategie e senza soldi, e che l'interpellante ritiene una farsa non ha affrontato e risolto un solo problema;
   sulle spalle dei lavoratori si preparano secondo l'interpellante gravi speculazioni, dalla produzione di canne per biocarburanti o altri progetti di corto respiro; non è stata avviata una sola opera, tutto è immobile;
   sarebbe auspicabile che si adotti un provvedimento d'urgenza per fronteggiare l'emergenza ambientale, industriale e occupazionale dello stabilimento Alcoa di Portovesme;
   andrebbe disciplinata l'operatività degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale in crisi consentendo, alle condizioni che saranno indicate nel provvedimento, la ripresa immediata dell'attività produttiva di tali stabilimenti; si dovrebbero disporre specifiche disposizioni destinate all'impianto Alcoa di Portovesme, che – ai sensi dello stesso decreto – deve essere riconosciuto stabilimento di interesse strategico nazionale;
   il provvedimento del Governo, in attuazione delle norme di carattere generale, sarebbe opportuno che prevedesse la stessa deliberazione del commissariamento di Alcoa da parte del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio;
   il testo del provvedimento deve far esplicito riferimento ad Alcoa in quanto stabilimento per il quale interviene una dichiarazione di strategico interesse nazionale;
   secondo l'interpellante che il provvedimento preveda anche l'imposizione dell'onere del servizio pubblico energetico per le regioni insulari, a partire dalla Sardegna, obbligando i soggetti fornitori ad applicare alle imprese strategiche i costi pari alla media europea stabiliti da apposita valutazione dell'autorità garante per l'energia ed intervenendo con adeguata compensazione laddove fosse necessario e ampiamente documentato;
   ad avviso dell'interpellante sarebbe necessario che il commissariamento duri tre anni, rinnovabili, sino alla vendita dello stabilimento a soggetto che offra garanzie produttive e di investimento per il mantenimento operativo degli impianti, compreso un complessivo ammodernamento degli stessi –:
   se il Governo abbia ottenuto la disponibilità e a quali condizioni per la sottoscrizione da parte di Enel di un contratto bilaterale di fornitura di energia elettrica alla pari degli altri smelter europei;
   se il Governo ritenga di favorire la cessione dello stabilimento Alcoa e a favore di chi e quali garanzie abbia ottenuto dal soggetto Klesch che risulterebbe aver interloquito con il Governo stesso, e se le stesse garanzie il Governo le ritenga affidabili o meno;
   se il Governo non ritenga di dover intervenire con la predisposizione di un apposito decreto per il commissariamento che preveda tra gli obiettivi la ripresa produttiva dello stabilimento Alcoa di Portovesme;
   se il Governo non intenda intervenire, senza ulteriori perdite di tempo, nella definizione di provvedimenti in grado di dare risposte al costo dell'energia facendo cessare i comportamenti dell'Enel relativamente alla gestione monopolistica e penalizzate nei confronti della Sardegna;
   se non ritenga di dover dare risposte immediate sul fallimento politico, istituzionale, amministrativo e finanziario del cosiddetto Piano Sulcis rimuovendo dai relativi incarichi coloro che hanno gestito tale piano secondo l'interpellante in termini meramente propagandistici;
   se non ritenga di dover intervenire per l'immediata attuazione dei provvedimenti normativi già in essere per quanto riguarda la realizzazione del sistema integrato miniera-centrale del bacino carbonifero del Sulcis;
   se non preveda di inserire il Sulcis all'interno di provvedimenti infrastrutturali seri in grado di approvare senza ulteriori ritardi la realizzazione delle precondizioni per lo sviluppo dell'area, a partire dall'energia, dai trasporti e dalla infrastrutturazione viaria e diportistica.
(2-00343) «Pili».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 11 giugno 2004, n. 147, veniva istituita la provincia di Fermo;
   l'articolo 1, comma 2, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, stabilisce che «le camere di commercio hanno sede in ogni capoluogo di provincia e la loro circoscrizione territoriale coincide, di regola, con quella della provincia o dell'area metropolitana di cui all'articolo 17 della legge 8 giugno 1990, n. 142»;
   ai sensi di tale norma il Ministero dello sviluppo economico, ha considerato istituita de iure la camera di commercio di Fermo, nominando con decreto ministeriale 1o marzo 2006 il commissario straordinario per l'istituzione e l'organizzazione della CCIAA di Fermo;
   con successive disposizioni interne, il Ministero dello sviluppo economico ha chiarito che al commissario era preclusa ogni attività relativa al riparto di patrimonio e di personale tra l'amministrazione scorporante CCIAA di Ascoli Piceno e l'amministrazione scorporata CCIAA di Fermo;
   la regione Marche, con DPGR n. 123 del 14 luglio 2008, ha nominato il primo consiglio della CCIAA di Fermo;
   rispondendo a specifico quesito congiunto sui rapporti tra i due enti camerali, il Ministero dello sviluppo economico ha impartito apposite istruzioni con nota prot. 13343 del 7 aprile 2009;
   asse portante della normativa in materia, così come illustrata e chiarita dal Ministero vigilante, è la definizione concordata di un «progetto per la separazione patrimoniale e per il riparto delle attività e delle passività tra le Camere interessate» ex articolo 69 del regio decreto 20 settembre 1934, n. 2011;
   ai sensi del citato articolo 69 del regio decreto n. 2011 del 1934 «in caso di modificazioni delle circoscrizioni provinciali, il Ministro per le corporazioni provvede con suoi decreti alla approvazione dei progetti, da stabilirsi d'accordo fra i Consigli interessati, o d'ufficio, in caso di dissenso, per la separazione patrimoniale e pel riparto delle attività e delle passività, anche di carattere continuativo, dei Consigli stessi. Contro tali decreti non è ammesso ricorso né in sede amministrativa, né in sede giurisdizionale»;
   il relativo procedimento è stato tempestivamente avviato;
   ad oggi, nonostante il tempo trascorso, l’iter non è ancora terminato;
   sulla materia il Ministero dello sviluppo economico si è più volte pronunciato, in particolare con la nota prot. 102128 del 30 aprile 2012, con la nota prot. 190326 del 13 settembre 2012 e da ultimo con nota prot. 172847 del 22 ottobre 2013;
   con nota prot. 172847 del 22 ottobre 2013 ha confermato definitivamente la necessità di definire l’iter di separazione patrimoniale tra le due CCIAA di Ascoli Piceno e di Fermo;
   i servizi ispettivi del Ministero dell'economia e delle finanze, con lettera del 18 ottobre 2013, hanno rilevato la mancata adozione di un atto formale congiunto tra le CCIAA di Ascoli Piceno e Fermo, per la definizione delle operazioni previste per completare la separazione dei loro patrimoni, evidenziando, la necessità di procedere, in tempi rapidi, alla definitiva chiusura delle operazioni;
   nel 2013 la CCIAA di Fermo ha preceduto al primo rinnovo dei propri organi direttivi, con votazione unanime da parte degli operatori economici della provincia;
   la mancata conclusione del procedimento di separazione patrimoniale comporta per le CCIAA di Ascoli Piceno e di Fermo grande incertezza in merito alle rispettive disponibilità finanziarie e non consente un'adeguata programmazione delle attività di sviluppo e rilancio dell'economia del territorio, nonché delle attività volte ad incrementare i processi di internazionalizzazione delle aziende associate –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di ultimare l’iter di separazione patrimoniale e di riparto delle attività e delle passività tra le camere interessate, così come previsto dal richiamato articolo 69 del regio decreto n. 2011 del 1934;
   se non ritenga opportuno, al fine di garantire agli operatori economici dei territori interessati certezza e stabilità nelle procedure amministrative, indicare tempi celeri e certi per l'ultimazione di tale iter. (5-01732)


   CATALANO, NICOLA BIANCHI e DE LORENZIS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Fondo paritetico interprofessionale nazionale per la formazione continua «Fondimpresa», è stato costituito a seguito dell'accordo interconfederale del 18 gennaio 2002, tra: Confederazione generale dell'industria italiana – Confindustria, Confederazione generale italiana del lavoro – CGIL, e Confederazione italiana sindacati lavoratori – CISL, secondo quanto previsto dall'articolo 118 della legge n. 388/2000 e successive modificazioni;
   Fondimpresa finanzia gli interventi di formazione continua delle imprese associate a Confindustria, a qualunque settore economico esse appartengano, e di tutte le aziende che liberamente scelgano di versare a Fondimpresa il contributo dello 0,30 per cento istituito dall'articolo 25, comma 4, della legge n. 845 del 1978 e successive modificazioni;
   Fondimpresa accantona nel conto individuale di ciascuna azienda aderente, denominato «Conto Formazione», una quota pari al 70 per cento del contributo obbligatorio dello 0,30 per cento sulle retribuzioni dei propri dipendenti versato al fondo tramite l'INPS;
   Poste italiane, con la presentazione all'INPS del decreto ministeriale 10 del mese di aprile 2009, ha formalmente comunicato l'adesione al fondo;
   il settore risorse umane è un asset strategico fondamentale per una crescita equilibrata e per la costante creazione di valore, nonché elemento centrale per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo dell'azienda, particolarmente importanti in considerazione del ruolo di Poste italiane di erogatore del servizio universale;
   come si legge nel verbale di accordo tra l'azienda e le Organizzazioni sindacali, le continue evoluzioni del quadro normativo che disciplina alcune delle attività di Poste italiane rendono necessario prevedere programmi di formazione che consentano di adeguare le conoscenze e le competenze degli addetti;
   risulterebbe all'interrogante che l'azienda avrebbe organizzato, nelle giornate dal 14 novembre al 3 dicembre 2013, un seminario sui processi di intelligence e la gestione di frodi ed illeciti a cura di Angelo Jannone;
   il 21 novembre 2008 la procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio di 34 imputati, per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione dei delitti di corruzione, intrusione informatica, rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio ed appropriazione indebita;
   si apprende dalla stampa che Angelo Jannone, ex responsabile della security di Telecom Brasile, è stato condannato ad un anno e con pena sospesa, ma è stato assolto con formula piena dall'accusa di associazione per delinquere, per non aver commesso il fatto, e non è stato condannato in solido con gli altri imputati ai risarcimenti nei confronti delle parti civili –:
   se ciò che risulta all'interrogante sia vero;
   quale sia lo stato di attuazione delle iniziative rese possibili dall'utilizzo del fondo;
   se non si intenda, nel caso in cui le affermazioni succitate corrispondano al vero, assumere iniziative per una più corretta gestione delle risorse del fondo.
(5-01736)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PIAZZONI e PILOZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Technicolor spa è un'azienda presente in Italia sin dal 1957 e oggi opera sul territorio nazionale con due sedi a Roma, in via Tiburtina e in via Urbana, che occupano complessivamente 94 persone;
   l'azienda è uno dei marchi storici leader nel settore della post produzione video e audio per il settore cinematografico e televisivo e occupa un posto di rilievo nella storia del cinema italiano;
   nel corso dei quasi 60 anni di attività infatti, la Technicolor ha concretamente contribuito alla realizzazione di film entrati nella storia del cinema italiano e mondiale: da Amarcord a Nuovo Cinema paradiso, passando per Apocalypse Now e L'ultimo Imperatore, C'era un volta in America, Per qualche dollaro in più, il Piccolo Buddha, fino ai recentissimi Caro Diario; Buongiorno presidente; La grande bellezza; Sacro GRA; Romanzo Criminale; Gomorra; This must be the place; Baciami ancora; Basilicata coast to coast; Educazione siberiana. Questi alcuni dei titoli su cui le maestranze italiane hanno messo passione, competenza e professionalità;
   nel 2001, la Holding Francese Thomson Multimedia, multinazionale francese specializzata nella produzione di sistemi video e immagini digitali, acquista la Technicolor di Roma e nel 2011 ne acquisisce il nome, a ulteriore conferma del prestigio della casa italiana;
   negli ultimi tempi, la crisi del mercato cinematografico, che vede la graduale ma progressiva sostituzione delle tradizionali pellicole con il più moderno digitale, ha portato la Technicolor spa, sedi italiane, a compiere delle drastiche riduzioni di personale: tra il 2010 e la fine del 2011, oltre 160 dipendenti sono stati posti in mobilità. L'azienda ha sostanzialmente dismesso l'attività di post produzione sulle pellicole affidando in outsourcing le commesse che continua a ricevere alla società Deluxe;
   nonostante tali ridimensionamenti di personale, in data 25 novembre 2013 l'assemblea straordinaria di Technicolor spa ha deliberato la messa in liquidazione della società italiana, nominando il liquidatore nella persona del dottor Maurizio Cisterna, e giustificando tale scelta con il notevole calo del fatturato negli ultimi 24 mesi;
   tale drastica decisione è stata comunicata ai lavoratori il 26 novembre 2013 e ufficializzate e ai sindacati ed alle istituzioni competenti con una comunicazione del 2 dicembre 2013 in cui la società, senza alcuna possibilità di discussione e/o trattativa, significa infine di aver «avviato la procedura per la richiesta di Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per un periodo di 12 mesi per cessazione attività per l'intero personale non dirigente, ossia n. 94 unità, a zero ore». Un successivo incontro tra i sindacati e l'azienda non ha sostanzialmente modificato la vicenda appena descritta;
   la decisione della Technicolor rappresenta senza dubbio un dramma per le 94 famiglie coinvolte, già sopravvissute a drastici processi di ristrutturazione effettuati dall'azienda e ora dinanzi a un futuro lavorativo incerto e complicato;
   la decisione unilaterale presa dalla proprietà francese, è grave anche per ulteriori motivi: come già detto, sin dal 1957 la società è protagonista della storia del cinema italiano per tutte quelle attività di post produzione in cui l'esperienza italiana ha fatto scuola per tutto il cinema mondiale;
   di più, il magazzino della Technicolor oggi può ben definirsi parte del patrimonio culturale dell'umanità poiché custodisce decine di migliaia di pellicole protagoniste della storia del cinema mondiale. Grazie alle attività di restauro compiute negli ultimi anni, in collaborazione con diverse scuole nazionali di cinema (Centro sperimentale, Scuola Gian Maria Volontè), film storici, come Un americano a Roma, L'armata Brancaleone, Satyricon, sono stati restaurati e restituiti alla cinematografia mondiale;
   la messa in liquidazione della società pone evidentemente in pericolo questo patrimonio culturale che richiede una cura e una manutenzione particolari e costanti che solo una società solida può garantire, ponendo le istituzioni pubbliche di fronte alla necessità di intervenire non solo per tutelare i 94 lavoratori ma anche per evitare che questo immenso patrimonio possa lasciare fisicamente il nostro Paese o addirittura finire per essere abbandonato a se stesso;
   alla luce degli eventi descritti, appare ancor più sorprendente la recente decisione dell'Unione europea di concedere alla Francia la cosiddetta «exception culturelle», l'eccezione culturale francese. La Francia infatti, è stata autorizzata dagli organismi comunitari a subordinare la concessione di finanziamenti pubblici alle iniziative culturali, al mantenimento di un livello minimo di attività di produzione sul territorio francese, proprio per garantire la conservazione della cultura francese ed evitare l'esternalizzazione delle produzioni in Paesi con costi più bassi;
   mentre la Francia si attiva per la conservazione delle sue specificità culturali e proprio una azienda francese decide di chiudere la Technicolor, l'Italia rischia di perdere un altro pezzo della sua storia culturale, dopo la chiusura degli stabilimenti di Cinecittà –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire affinché, di concerto con la proprietà e i rappresentanti dei lavoratori, vengano elaborate e percorse soluzioni imprenditoriali in grado di evitare la chiusura della Technicolor spa e il prosieguo delle attività da essa svolte;
   se non ritenga prioritario agire per la salvaguardia dell'immenso patrimonio cinematografico ancora nella disponibilità della Technicolor, oggi evidentemente in pericolo in seguito alle messa in liquidazione della società stessa. (4-02964)


   CORDA e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento della società Portovesme S.r.l., situato nella zona industriale di Portovesme nel bacino del Sulcis-Inglesiente con i suoi stabilimenti di Portoscuso e San Gavino rappresenta, a livello internazionale, una delle più importanti realizzazioni nel settore della metallurgia dei non ferrosi sia per valori di produzione, sia per il livello tecnologico degli impianti realizzati con larga utilizzazione dei processi di automazione e informatizzazione delle operazioni. La Portovesme S.r.l è leader in Italia nella produzione di piombo e zinco –:
   quale sia lo stato di attuazione del contratto di programma di cui alla delibera CIPE n. 100 del 18 novembre 2010, in particolare se sia stato sottoscritto, se siano stati erogati i previsti finanziamenti, e se la società beneficiaria abbia ottemperato ai suoi impegni e in che misura; in caso contrario, quali siano le azioni che il Governo intende intraprendere;
   se corrisponda al vero che sia stato sottoscritto, tra Ministero e Portovesme srl, un protocollo d'intesa che prevedrebbe l'erogazione di agevolazioni per un totale di 18 milioni di euro, a condizione che sia risolta la controversia con l'Unione europea relativa a finanziamenti del 2005 considerati dalla Commissione europea aiuti di Stato, e che tale controversia sia stata risolta col pagamento di una sanzione di circa 18 milioni di euro; e, ove ciò corrispondesse al vero, se il Governo non ritenga che le suddette agevolazioni, ammontanti appunto a 18 milioni, possano comunque essere considerate dall'Unione europea come un rimborso pubblico di una multa, a favore di una società privata;
   se non ritenga che realtà industriali importanti – specie per il mantenimento dei livelli occupazionali in aree di drammatico disagio quali il Sulcis – beneficiarie di aiuti di Stato rilevanti, e potenzialmente responsabili delle situazioni di inquinamento, e perciò potenzialmente richiamabili a obblighi di bonifica, possano avere natura di società a responsabilità limitata e se non sia invece il caso di assumere iniziative per prevedere che abbiano forme giuridiche che diano al pubblico maggiori garanzie di affidabilità, solidità e solvibilità;
   quali iniziative intenda assumere per contrastare i fenomeni di elusione fiscale che possono generarsi in una società a responsabilità limitata, specialmente nei casi i cui bilanci siano in passivo, in particolare per quelle società a responsabilità limitata che facendo parte di un grande gruppo internazionale con sede all'estero, versano ad altri Stati le imposte sui profitti; quali iniziative siano state assunte al riguardo per evitare una potenziale elusione fiscale in alcune operazioni di acquisto di brevetti e altre forniture, da parte della società a responsabilità limitata a favore della casa madre. (4-02966)


   SBROLLINI e GINATO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Triveneta Cavi spa, azienda vicentina leader nel settore della produzione di cavi elettrici che conta circa 550 dipendenti in Italia, ha nel territorio di Vicenza tre stabilimenti: Brendola (sede), Montecchio Maggiore e Sarego, per un totale di circa 450 dipendenti; l'azienda vive una condizione di crisi;
   la crisi dell'edilizia ha prodotto effetti importanti sulla riduzione dei volumi produttivi di Triveneta Cavi spa; le azioni di diversificazione dei mercati, puntando soprattutto su quelli emergenti, unitamente ad un generale intervento di riduzione dei costi, hanno consentito fino ad oggi, pur non senza difficoltà, di mantenerne l'assetto industriale e la missione produttiva dei vari siti;
   dal 2011 al 2013, per circa 450 dipendenti, si è attivata la cassa integrazione ordinaria, mentre da luglio 2013 il contratto di solidarietà;
   si apprende dal sito internet del Ministero dell'economia moldavo che Triveneta Cavi spa avrebbe in progetto, nel 2014, l'apertura di un'unità produttiva a Straseni (Moldavia) che andrà ad occupare circa 300 dipendenti;
   le smentite informali arrivate dalla direzione di Triveneta Cavi Spa non convincono, e il pericolo che si stia progettando una consistente delocalizzazione delle attività produttive sembra risultare sempre più plausibile;
   risulta che il Vice Ministro dell'economia moldavo abbia confermato l'investimento di Triveneta Cavi Spa in Moldavia, presentando anche copia dei mappali del terreno con il relativo piano di interventi –:
   se i Ministri possano intervenire nell'ambito delle loro competenze al fine di fare luce su una vicenda dai tratti poco chiari e dare certezze ai 550 lavoratori oggi impegnati negli stabilimenti italiani scongiurando ripercussioni sull'occupazione e sull'economia del territorio. (4-02969)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Lavagno e Paglia n. 4-02593, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rabino.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02731, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sbrollini, Bini.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02732, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sbrollini, Bini.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02733, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sbrollini, Bini.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02734, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sbrollini, Bini.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

   interpellanza Piras n. 2-00328 del 4 dicembre 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Bellanova n. 5-01712 del 12 dicembre 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Mazzoli n. 5-01715 del 12 dicembre 2013.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BIONDELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è una struttura dello Stato ad ordinamento civile e rientra nell'amministrazione del Ministero dell'interno, dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, per mezzo del quale il Ministero dell'interno assicura, il servizio di soccorso pubblico e di prevenzione ed estinzione degli incendi su tutto il territorio nazionale, nonché lo svolgimento delle altre attività assegnate al Corpo nazionale dalle leggi e dai regolamenti;
   con l'istituzione del servizio nazionale della protezione civile, resa effettiva con legge 24 febbraio 1992, n. 225, quest'ultima andava a collocarsi a capo di tutte le attività strettamente connesse alla salvaguardia dell'incolumità pubblica;
   conseguentemente, i vigili del fuoco sono stati inseriti in un contesto ambiguo, in un sistema in cui sono chiamati a intervenire in ogni sito emergenziale, pur senza consentire loro un autonomo e pieno intervento che veda interessata ogni tappa dell'intervento;
   per maggior chiarezza riguardo alle difficoltà con cui operano i vigili del fuoco si riporta un episodio avvenuto in data 20 luglio:
    «data 20 luglio u.s. alle ore 17.24 il Comando Provinciale VVF di Roma, con prot. n. 38620 del 20.07.2013, richiedeva il l'intervento del nucleo elicotteri VV.F, per il recupero di n. 2 persone infortunate a seguito di una caduta con parapendio. Alle ore 17.32 decollava da Ciampino l'elicottero VV.F – con eli-soccorritori a bordo raggiungendo la zona delle operazioni alle ore 17.34, lago di Albano, raggiunta e identificata l'area, si provvedeva a fare una ricognizione della stessa, per acquisire ulteriori elementi ed elaborare la strategia di recupero dei due pericolanti. Dalla ricognizione si identificavano le squadre di terra del personale VV.F., che nel frattempo avevano raggiunto le persone in difficoltà e un elicottero del 118 dell'ARES di Roma fermo al suolo. Alle 17.40, valutata dalle squadre sul posto la difficoltà di un recupero terrestre, si provvedeva ad improntare l'imbarco degli infortunati, calando a mezzo del verricello di soccorso in prossimità del luogo, il personale eli-soccorritore. Prima di provvedere all'elitrasporto attraverso elicottero VV.F si tentava di voler raggiungere via terra una zona idonea per il trattamento sanitario; pertanto l'elicottero VVF si portava all'atterraggio in una zona attigua. Durante l'operazione di recupero terrestre, le persone coinvolte prendevano coscienza del tempo necessario e delle difficoltà oggettive della manovra, tenuto conto della impervietà della zona circostante, conseguentemente davano la disponibilità ad essere recuperati con il mezzo aereo. Preso atto della volontà degli infortunati, gli eli-soccorritori predisponevano l'infortunata per il recupero tramite verricello di soccorso VV.F. Nel frattempo nella zona operazioni era giunto un terzo elicottero dell'ARES, proveniente dalla base di Viterbo, inviato dalla sala operativa del 118, sebbene sul posto fossero già presenti l'elicottero del 118 di Roma, l'elicottero VVF di Roma, il personale VVF e sanitario terrestre di Roma. Nel corso della fase di avvicinamento, per il recupero tramite il verricello di soccorso, VV.F. l'equipaggio VVF, non avendo avuto nessun preliminare contatto radio con l'elicottero del 118 di Viterbo, riscontrava che l'area di lavoro veniva impegnata dal medesimo, il quale ostacolava le operazioni d'imbarco VV.F pianificate, giustificando tale manovra con la presenza a bordo del medico e dell'infermiere; per questo motivo l'aeromobile VVF si portava in circuito di attesa evitando d'interferire con l'attività di sbarco del personale sanitario. Terminate le operazioni di sbarco del velivolo del 118, si procedeva ad imbarcare a mezzo del verricello di soccorso, gli incidentati, senza ulteriori presidi sanitari oltre quelli posti a protezione dal personale VVF; contestualmente i coniugi, alla presenza di tutti i soccorritori, dichiaravano di voler procedere al recupero come pianificato con l'elicottero VVF, e immediatamente avio trasportati presso struttura sanitaria»;
   l'episodio che qui si riporta mette chiaramente in luce il contesto fortemente ambiguo in cui i vigili del fuoco sono chiamati ad operare –:
   alla luce dei fatti sopraesposti se il Ministro non ritenga opportuno intervenire con un proprio atto al fine di emanare una direttiva univoca in materia di soccorso tecnico urgente stabilendo che l'ente dello Stato preposto sia solo il Corpo nazionale dei vigili del fuoco che si avvale degli altri enti secondo le particolari necessità dell'intervento nonché, al fine di salvaguardare l'incolumità della popolazione, che il primo intervento di soccorso sia demandato al Corpo nazionale dei vigili del fuoco. (4-01901)

  Risposta. — La direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 aprile 2006 stabilisce espressamente le competenze del dipartimento della protezione civile, al fine di assicurare un'organica strategia di intervento ed un efficace coordinamento operativo nella gestione di emergenze connesse ad incidenti.
  Nell'ambito di tali competenze il capo dipartimento della protezione civile provvede ad individuare le attività prioritarie da porre in essere in caso di emergenza e ad assegnare le funzioni relative alla prima assistenza alla popolazione ed alla diffusione delle informazioni.
  In questo quadro, negli eventi emergenziali di tipo complesso, il coordinamento avviene in conformità alle indicazioni emanate da dipartimento della protezione civile.
  In particolare, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco dispiega su tutto il territorio nazionale uno speciale servizio di soccorso elitrasportato ordinariamente composto da un equipaggio di volo integrato da due elisoccorritori e, stagionalmente, da due specialisti sommozzatori, in modo da garantire missioni di soccorso a medio raggio in ambiente terrestre impervio ed ostile con o senza il supporto di squadre terrestri o in ambiente acquatico.
  In molte regioni dove si è instaurato uno specifico rapporto di cooperazione, l'equipaggio dei Vigili del fuoco e integrato da un’
equipe medica tipica dei servizi «118».
  Il servizio di elisoccorso reso dalla componente aerea del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, quindi, non può essere classificato come semplice «servizio di eliambulanza».
  Tale servizio è infatti espressamente previsto dall'accordo sancito dalla conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano del 3 febbraio 2005, recante «Linee guida per l'organizzazione dei servizi di soccorso sanitario con elicottero» e prevede la predisposizione di appositi protocolli con altri enti e istituzioni dello Stato (Forze di polizia, Aeronautica, Capitaneria di porto, Forze armate, Corpo forestale dello Stato).
  In questo quadro, talvolta, possono emergere, solo per ciò che riguarda gli interventi della componente aerea in servizio di elisoccorso sovrapposizione di competenze così come evidenziato dall'interrogante.
  Non presenta incertezze, invece, il ruolo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco nei contesti emergenziali, quali le grandi calamità, dove il coordinamento – come già detto – è affidato al dipartimento della Protezione civile.
  Infatti, il dispositivo di mobilitazione e di intervento delle colonne mobili del corpo, è stato concepito nell'ottica della migliore integrazione con il sistema nazionale di Protezione civile e, negli anni, ha dato prova della sua efficacia in varie occasioni, come durante le recenti gravi calamità di origine sismica.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   BRAMBILLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   presso il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo (Catania) con Sede Legale in Piazza Roma 16 Cap 95125 Catania e con Sede effettiva in SS. 417 Contrada Cucinella Residence degli Aranci 95044 Mineo (Catania) sono presenti numerosi cani randagi;
   a seguito di un intervento del Corpo delle guardie zoofile dell'ente nazionale protezione animali della sezione di Catania è stato possibile stimare la presenza di 12 adulti e di 21 cuccioli;
   alla sezione Enpa di Catania sono giunte segnalazioni inquietanti da parte di operatori del centro e di pubblici ufficiali rispetto a gravissime forme di maltrattamento e di uccisione di alcuni di questi cani in modo efferato e violento;
   a seguito del sopralluogo dell'Enpa è stata trasmessa al sindaco del comune di Mineo (Catania) e per conoscenza al prefetto, al dirigente della polizia di Catania, al comando di polizia municipale e al direttore generale della Asp 3 di Catania, una dettagliata nota, richiamando lo stesso all'espletamento dei compiti previsti secondo quanto stabilito dalle normative vigenti, tra cui la legge n. 281 del 1991 e la rispettiva legge regionale n. 15 del 2000, al fine di prendere i dovuti accorgimenti per mettere in sicurezza gli animali e di provvedere alle indagini e agli accertamenti per individuare i responsabili e per evitare che simili reati possano essere reiterati;
   si aggiunge per altro che la condizione del randagismo in Sicilia è a dir poco a livelli inquietanti, e ciò causa non solo un danno alla condizione stessa degli animali, ma anche all'immagine del Paese che, attraverso i turisti, si trasmette all'estero: come pessimo esempio di gestione di un problema che si sarebbe dovuto risolvere in oltre 22 anni dall'entrata in vigore della legge n. 281 del 1991 «Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo»;
   in generale si ritiene che causa di questa inaccettabile situazione è e resta la gravissima e diffusa inadempienza da parte di numerosi sindaci e Asl, i quali, omettendo atti dovuti e certi di non essere sanzionati, sono secondo l'interrogante corresponsabili della diffusione del fenomeno del randagismo –:
   se non si ritenga che sia prioritario intervenire immediatamente sul caso segnalato al fine di garantire non solo il rispetto della normativa vigente, ma soprattutto la tutela stessa dei cani presenti nel centro CARA;
   se non si ritenga opportuno e urgente prevedere che nella prossima manovra finanziaria, i fondi destinati alla legge n. 281 del 1991 possano essere interamente (e non solo il 60 per cento) investiti in straordinarie campagne di sterilizzazione, vista la attuale situazione emergenziale, soprattutto nelle regioni del Sud;
   come il Governo intenda procedere per rispondere alle sollecitazioni da parte di tutte le associazioni animaliste che da anni svolgono un ruolo fondamentale non solo nella gestione, ma anche nella prevenzione del randagismo, sostituendosi spesso alle istituzioni preposte nei compiti previsti per legge e sobbarcandosi spese e oneri consistenti. (4-00723)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  In merito al caso segnalato, concernente la presenza di numerosi cani randagi all'interno del centro di accoglienza per richiedenti asilo «Villaggio della solidarietà» di Mineo, la prefettura di Catania ha segnalato che, in data 9 luglio 2013, presso detto centro ha avuto luogo una riunione alla quale hanno partecipato il sindaco di Mineo e l'assessore comunale competente, alcuni rappresentanti della polizia, il direttore generale del consorzio «Calatino terra d'accoglienza» i veterinari dell'A.S.P. di Catania e Caltagirone, nonché i rappresentanti dell'associazione «L'altra zampa».
  Nel corso della riunione, è stato definito l'immediato piano d'intervento che prevede la sterilizzazione di tutti gli animali, con il trasferimento di alcuni esemplari presso idonei ricoveri e l'affidamento all'ente gestore del centro di pochi esemplari prescelti, al fine di contenere l'eventuale accesso di altri cani provenienti dall'esterno.
  In tale attività, il comune di Mineo sarà supportato dall'A.S.P., dal «Calatino terra di accoglienza» e da una associazione animalista che si occuperà del prelievo e dell'accompagnamento degli animali presso l'ambulatorio di Caltagirone.
  La locale questura, inoltre, ha riferito che, per quanto attiene a segnalazioni inquietanti, forme di maltrattamento ed uccisione di cani, nessuna formale denuncia, né alcun esposto sono pervenuti agli organi di polizia o alla autorità giudiziaria.
  Sono stati rilevati due episodi di uccisione, ad opera di un grosso cane maschio fulvo che, specie nel periodo del calore delle femmine, ha, in diverse occasioni, attaccato violentemente gli altri cani, arrivando appunto ad ucciderne due.
  Sia la locale questura che il sindaco di Mineo hanno precisato che le citate segnalazioni non corrispondono alla realtà dei fatti.
  Per quanto riguarda il fondo previsto dalla legge n. 281 del 1991, attualmente destinato alle sterilizzazioni per il 60 per cento (legge finanziaria 2007), occorre precisare, che negli ultimi anni, il fondo è stato notevolmente ridotto, sino ad arrivare a circa 300.000 euro negli anni 2011 e 2012, da ripartire nel territorio nazionale tra le regioni e le province autonome.
  Il Ministero della salute, per rispondere alle segnalazioni provenienti dalle Associazioni di protezione animale e da privati cittadini, ha istituito nel giugno del 2010 una
«task force» per la «Tutela degli animali d'affezione, la lotta al randagismo e ai maltrattamenti e ai canili-lager».
  Tale unità operativa agisce in stretta sinergia con i carabinieri dei nuclei antisofisticazioni e sanità, con tutte le autorità competenti in materia e le associazioni interessate affinché, attraverso una rete ramificata nel territorio, si giunga alla piena applicazione della disciplina normativa e alla completa tutela degli animali.
  Sin dalla sua istituzione, la
«task force» ha effettuato numerosi sopralluoghi ispettivi presso canili e strutture ospitanti animali, ponendone diverse sotto sequestro e impartendo numerose prescrizioni per migliorare le condizioni di vita degli animali e il rispetto della legge.
  La
«task force», inoltre, è costantemente intervenuta per risolvere, con diverse modalità di intervento (richiami scritti, riunioni e tavoli di coordinamento) le criticità segnalate, che riguardano in particolare: maltrattamenti sugli animali, disapplicazione delle leggi da parte delle autorità preposte, avvelenamenti, cattiva gestione del randagismo e insufficiente controllo delle nascite. Intensa è anche l'attività di formazione, informazione e comunicazione svolta per sensibilizzare i cittadini e le autorità competenti in merito a tali tematiche e per migliorare la relazione uomo-animale.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   CARRESCIA, MANZI e LODOLINI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 25 novembre 1999, n. 452, ha istituito il museo tattile statale Omero con l'obiettivo di promuovere la crescita e l'integrazione culturale dei minorati della vista e diffondere tra essi la conoscenza della realtà, attraverso la raccolta di materiali, oggetti o riproduzioni delle diverse forme di arti plastiche e delle manifestazioni storico-culturali dell'organizzazione dell'ambiente, dello spazio e della vita dell'uomo;
   nell'estate del 2012 il museo ha iniziato il trasferimento nelle settecentesche sale della Mole Vanvitelliana di Ancona, rendendo fruibile parte della collezione permanente attraverso un percorso espositivo innovativo e multisensoriale, tecnologicamente avanzato e articolato su 1500 metri quadri per un totale di circa 300 opere e attivando il centro di documentazione e ricerca, i laboratori didattici, gli uffici;
   come noto, il museo Omero rappresenta un'eccellenza nel panorama museale nazionale e uno dei pochi esperimenti a livello europeo; svolge un'insostituibile funzione culturale e sociale consentendo l'esercizio del diritto universale alla fruizione dei beni culturali per i disabili visivi. Per tali caratteristiche è diventato meta per migliaia di visitatori ogni anno nonché il punto di riferimento per la ricerca scientifica sull'estetica della tattilità e, in collaborazione con l'ENEA e importanti imprese, per l'innovazione tecnologica finalizzata all'autonomia di ciechi e ipovedenti;
   il comma 250 dell'articolo 2 della legge finanziaria per il 2010 – legge n. 191 del 2009 – e il successivo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 195 del 2010 – hanno previsto l'erogazione di circa 1 milione di euro a sostegno delle attività del Museo Omero fino all'anno 2012;
   dal 2012 non risulta alcuna proroga dei succitati fondi e in mancanza di finanziamenti il Museo Tattile Omero rischia di dover cancellare gran parte delle sue attività che non si limitano solo al lavoro museale, ma che comprendono anche quelle didattiche, di formazione e di servizi educativi rivolti alle scuole di ogni ordine e grado, regionali ed extraregionali –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di assicurare la continuità operativa del museo tattile statale Omero che garantisce la crescita e l'integrazione culturale dei minorati della vista, attraverso l'individuazione di risorse certe ed adeguate alle sue caratteristiche e al ruolo che riveste nel panorama nazionale. (4-00952)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede di conoscere quali iniziative si vogliano assumere per garantire la continuità operativa del museo tattile statale Omero di Ancona, si comunica quanto segue.
  Il museo Omero, sorto nel 1993 come innovativa struttura comunale per ciechi e ipovedenti, è stato successivamente trasformato, come ricordato nell'interrogazione cui si risponde, con la legge n. 452 del 25 novembre 1999, in museo tattile statale con la finalità di «raccogliere materiali, oggetti o perfette riproduzioni delle diverse forme di arti plastiche e delle manifestazioni storico-culturali dell'organizzazione dell'ambiente, dello spazio e della vita dell'uomo, al fine di promuovere la crescita e l'integrazione culturale dei minorati della vista e di diffondere tra essi la conoscenza della realtà» (articolo 2).
  Nato come un museo eminentemente destinato ai privi della vista, il museo Omero può ora meglio definirsi come un museo senza barriere, in quanto, attraverso la valorizzazione della tattilità e di nuovi indirizzi multisensoriali, offre i suoi servizi ad un pubblico sempre più articolato, costituito non solo da minorati della vista, ma anche da portatori di altre disabilità e da persone così dette normodotate, costituendo in tal modo una splendida possibilità d'integrazione nel segno della cultura.
  L'impegno profuso nella ricerca metodologica in campo didattico e nell'approfondimento scientifico, oltre che tecnico, delle tematiche relative all'estetica della tattilità ed alla accessibilità ai beni culturali a categorie di pubblico rimaste finora escluse, consente al museo Omero di svolgere una preziosa attività formativa che si esplica mediante l'attività di laboratori destinati alle scuole, di diretti interventi in molte di esse, l'organizzazione di corsi di formazione rivolti ad operatori museali ed a educatori, cui hanno partecipato anche funzionari di questo Ministero e alcuni responsabili di importanti musei italiani.
  Il museo ha svolto attività di consulenza nei confronti di numerose istituzioni italiane sui temi dell'accessibilità e ha sviluppato una vivace collaborazione con importanti istituzioni straniere in campo scientifico (Spagna, Francia, Inghilterra, Polonia, Russia, Giappone, eccetera) e in campo museale, culminata, tra l'altro, nell'organizzazione di sei mostre tattili in Polonia, Repubblica Ceca e Croazia, mentre attualmente si sta studiando la possibilità di una mostra presso il museo Tretyakov di Mosca.
  Relativamente alla carenza di risorse economiche segnalata dall'interrogazione, va ribadito che la legge istitutiva del museo (la già citata legge 25 novembre 1999, n. 452), autorizzava, per il suo funzionamento, una spesa di lire 460 milioni annue a decorrere dal 1999 e un'ulteriore spesa massima di lire 40 milioni per il funzionamento del comitato consultivo previsto dall'articolo 2, comma 2.
  Dopo l'assegnazione di un milione di euro annuo prevista dall'articolo 2, comma 250, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010) per le annualità 2010, 2011 e 2012, per l'anno 2013 al predetto museo è stato concesso un contributo pari ad euro 61.909,00 per le spese di funzionamento relative al corrente anno 2013.
  Inoltre, l'articolo 5-
ter della legge 7 ottobre 2013, n. 112, introdotto in sede di conversione al decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91 (decreto «valore cultura»), ha previsto una spesa di euro 500.000,00 annui, per il triennio 2013-2015, a favore del predetto museo al fine di garantirne il funzionamento.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   COLLETTI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nei cittadini di Viterbo e di 16 comuni della provincia interessati dall'emergenza arsenico nell'acqua la concentrazione della sostanza nell'organismo è oltre il doppio rispetto a quella presente nella popolazione generale;
   concentrazioni superiori alla norma sono state rilevate anche nei bambini, come evidenzia uno studio condotto dall'Istituto Superiore di Sanità (Iss), con la collaborazione dell'ordine dei medici;
   le analisi sono state eseguite su 269 soggetti sani, da 1 a 88 anni di età, residenti nelle aree a rischio;
   l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha stabilito che l'arsenico è un elemento cancerogeno e l'Unione europea ne ha fissato limiti di concentrazione precisi già a partire dal 2001;
   l'acqua della rete idrica locale «fuori norma» utilizzata per irrigare i terreni sta contaminando anche le coltivazioni e gli ortaggi, mettendo a serio rischio la salute dei cittadini;
   l'emergenza colpisce in misura particolare i detenuti del carcere «Mammagialla» di Viterbo che non si possono permettere «alternative» costose, come l'acquisto di acqua minerale per bere e per cucinare;
   l'arsenico ingerito dai detenuti sta già provocando danni evidenti alla loro salute, come dimostra la comparsa di macchie cutanee dovute, presumibilmente, all'intossicazione;
   il problema non riguarda soltanto il carcere di Viterbo, ma anche istituti di pena di altre località italiane dove è stata riscontrata una elevata concentrazione di particolati nocivi nell'acqua;
   un'interrogazione parlamentare sul tema è già stata presentata il 12 settembre 2011 dall'onorevole Rita Bernardini, ma non ha portato ad alcuna misura risolutiva da parte dei Ministeri competenti –:
   quali misure urgenti di competenza intendano introdurre i ministri, ognuno per le rispettive competenze, per tutelare la salute dei detenuti e sostenere le strutture penitenziarie colpite dall'avvelenamento delle acque, a Viterbo e nel resto d'Italia. (4-00284)

  Risposta. — In merito alla problematica delineata nell'interrogazione in esame, la prefettura – ufficio territoriale del governo di Viterbo ha segnalato che, in previsione della scadenza (31 dicembre 2012) della deroga, decisa dalla Commissione europea, che ha consentito il consumo dell'acqua in presenza di concentrazione di arsenico al Valore Massimo Ammissibile (V.M.A.) di 20 mg/l e di fluoruro al Valore Massimo Ammissibile di 2.5 mg/l, con ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri del 28 gennaio 2011, n. 3921, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza nella regione Lazio, sono stati definiti gli interventi da attuare con risorse economiche regionali.
  L'ordinanza ha individuato due distinte fasi per fronteggiare il problema: la prima (fase 1) relativa a quei comuni con parametri di arsenico superiori alla soglia di 20 mg/l; la seconda (fase 2) per tutti gli altri con valori compresi tra 10 e 20 mg/l.
  Al fine di monitorare l'andamento dei lavori, negli ultimi anni la regione Lazio ha organizzato tavoli tecnici informativi a cui hanno partecipato tutti i soggetti coinvolti (ambito territoriale ottimale – A.T.O., gestori, Asl e comuni), per acquisire e sollecitare l'attuazione dei piani necessari per sostenere le istanze di deroga per i parametri arsenico e fluoruro.
  Nonostante l'impegno delle autorità regionali per fronteggiare le difficoltà relative all'emergenza, alla data del 31 dicembre 2012, in 43 comuni della provincia di Viterbo, per un totale di circa 227.200 abitanti, non è stato possibile distribuire acqua conforme per il parametro arsenico e in 18 comuni, in parte compresi nei complessivi 43, corrispondenti a circa 128.000 abitanti, non è stato possibile distribuire acqua conforme per il parametro fluoruro.
  Il rientro nei limiti di legge dei suddetti parametri verrà completato progressivamente nei diversi comuni a partire dai primi mesi del 2013 e fino a tutto il 2014.
  Dal 1o gennaio 2013 la prefettura di Viterbo ha attentamente monitorato la situazione idrica in ordine ai successivi adempimenti posti in essere dagli enti locali, dall'A.T.O. n. 1 Lazio nord – Viterbo e dagli enti gestori del servizio idrico integrato per la salvaguardia della salute pubblica.
  Nel sito ufficiale dell'Ausl di Viterbo sono pubblicati ed aggiornati periodicamente i risultati dei controlli gestionali sulle acque, distinti per comuni. In quelli dove si sono registrati parametri di arsenico e di fluoruro oltre il Valore Massimo Ammissibile consentito, i sindaci hanno emanato apposite ordinanze di non potabilità, provvedendo, altresì, ad informare adeguatamente la popolazione e gli esercizi commerciali relativamente all'utilizzo delle acque.
  Inoltre, sono stati adottati interventi mirati, come l'installazione delle cosiddette «cassette dell'acqua» o fontanelle pubbliche, che erogano acqua conforme al decreto legislativo n. 31 del 2001, ed alcuni enti si sono dotati di piccoli impianti di dearsenificazione da utilizzare presso edifici sensibili, come scuole o centri per disabili.
  Particolare attenzione è stata posta alla casa circondariale di Viterbo; la prefettura è intervenuta in merito all'approvvigionamento di acqua con valori inferiori a 10 μg/l di arsenico per tutta la popolazione carceraria, consistente in 720 detenuti e 78 agenti.
  Al riguardo, si segnala che il presidente della società Talete S.p.a., ente gestore del servizio idrico, ha richiesto ed ottenuto un apposito sovvenzionamento da parte della regione Lazio, che ha consentito l'installazione di un dearsenificatore.
  In ambito provinciale, al fine di migliorare la qualità dell'acqua distribuita per il consumo umano, la società Talete S.p.a. ha eseguito e sta eseguendo interventi di miscelazione ed ottimizzazione della risorsa idrica, proveniente da altre fonti locali, con acqua avente concentrazioni minori di arsenico, riuscendo ad ottenere, in alcuni comuni, l'erogazione di acqua con una concentrazione di arsenico inferiore a 10 μg/l.
  Per le fonti aventi una concentrazione di arsenico compresa tra 20 μg/litro e 50 μg/litro, è in fase di conclusione l'appalto gestito dalla regione Lazio per la realizzazione di dearsenificatori.
  Per le fonti aventi una concentrazione di arsenico compresa tra 10 μg/litro e 20 μg/litro, nel mese di febbraio 2013 hanno avuto inizio le procedure di gara per l'affidamento dell'appalto.
  L'ultimazione e la messa in funzione di tutti gli impianti oggetto dell'appalto regionale sarà progressiva e dovrebbe concludersi entro 365 giorni dall'aggiudicazione dell'appalto.
  Più in generale, si segnala che l'Istituto superiore di sanità (ISS), tra le attività realizzate nell'ambito della corretta gestione dei rischi correlati all'utilizzo delle acque destinate al consumo umano, sta conducendo lo «studio per valutare l'esposizione alimentare all'arsenico in popolazioni residenti nelle aree del Lazio caratterizzate dalla presenza di arsenico di origine geologica nelle acque destinate al consumo umano».
  Tale studio mira a fornire adeguati elementi scientifici per valutare e caratterizzare il possibile rischio per la salute associato alla contaminazione da arsenico degli alimenti ed ha, come specifici obiettivi, l'identificazione delle fonti e dell'entità dell'esposizione alimentare all'arsenico nella sua forma tossica (arsenico inorganico), la valutazione dell'effetto della cottura degli alimenti con acque contenenti arsenico, nonché la caratterizzazione dell'efficienza del metabolismo dell'arsenico nelle popolazioni esposte per evidenziare eventuali sottogruppi più suscettibili.
  Lo studio è condotto in collaborazione con gli ordini dei medici delle province interessate della regione Lazio e i risultati preliminari sono stati pubblicati nel 2012: informazioni aggiornate sugli obiettivi e l'andamento dello studio sono contenute nell'articolo «esposizione ad arsenico attraverso acqua e alimenti in aree a rischio: il caso del Lazio», pubblicato nel notiziario dell'Istituto superiore di sanità, febbraio 2013, ad ampia diffusione e liberamente disponibile in rete.
  I risultati preliminari della ricerca evidenziano uno scenario complesso, che richiede ulteriori approfondimenti, ai fini di una tutela della sicurezza degli alimenti e della salute della popolazione fondata su solide ed aggiornate basi scientifiche.
  Le evidenze preliminari circa l'ingresso dell'arsenico inorganico nelle catene alimentari indicano l'opportunità di proseguire con ulteriori ricerche per valutare l'esistenza di eventuali rischi per specifici settori della popolazione, in particolare coloro che fanno uso esclusivo o prevalente di prodotti locali nella propria alimentazione.
  I risultati dello studio, misurando l'esposizione attuale della popolazione all'arsenico inorganico, forniscono una base di dati di riferimento rispetto a cui potrà essere valutata l'efficacia nel tempo degli interventi già intrapresi e di quelli che eventualmente si renderanno necessari, volti a ridurre l'esposizione stessa.

Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   DADONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da anni la città di Saluzzo, in particolare, e altri comuni della provincia di Cuneo, sono meta di flussi sempre più cospicui di braccianti africani che raggiungono queste zone in occasione della stagione di raccolta della frutta. Territori questi che rappresentano uno tra i più importanti distretti frutticoli non solo in Piemonte, ma anche in tutta Italia;
   tale raccolta, che si concentra nei soli mesi estivi, negli anni ha assistito all'arrivo di lavoratori provenienti da diverse parti, prima dal sud Italia, e poi dal Nord Africa, dall'Albania, dall'est Europa, e, ora dalla Cina;
   detto fenomeno ha registrato un lieve miglioramento nel corso del 2009 quando molti dei lavoratori si stabilizzarono ed integrarono grazie all'aiuto e alla collaborazione di enti, associazioni laiche, associazioni cattoliche, nonché alle più adeguate soluzioni logistiche rese dalla struttura della stazione ferroviaria di Saluzzo, attraverso la direzione territoriale di Torino, la quale aveva messo a disposizione locali e servizi igienici, seppur provvisori;
   nel 2012, invece, il fenomeno in questione è diventato così drammatico da non essere più gestibile dalle pur volenterose ed accoglienti comunità locali, (comune di Saluzzo e comuni limitrofi, associazioni dei produttori agricoli e associazioni di volontariato), tanto che oggi, anche a causa di numerosi soggetti provenienti dalla cosiddetta «emergenza nord Africa», sono già presenti nel territorio comunale oltre 220 migranti e mancano ancora alcune settimane all'inizio della raccolta;
   quest'anno, per via della primavera fredda e piovosa, oltre al ritardo di cui sopra si prevedono conseguenze anche sui raccolti senza calcolare la situazione delle piantagioni di kiwi di cui è ricco il territorio italiano, che patiscono ormai da tre anni un'epidemia letale che costringe le aziende all'espianto progressivo;
   oltre alla difficoltà di ospitare queste persone (a regime con l'inizio della raccolta saranno disponibili 200 posti letto offerti da comuni, Coldiretti, Caritas, Papa Giovanni XXIII in aggiunta ai posti offerti dalle aziende presso cui gli stessi lavorano, ma non basteranno comunque), quasi sicuramente quest'anno non ci sarà bisogno del loro lavoro, neanche nei giorni di punta della raccolta in cui solitamente questi hanno lavorato gli anni scorsi;
   a codesti lavoratori che soggiornavano, negli anni trascorsi, presso la stazione ferroviaria, a causa della indisponibilità delle Ferrovie a lasciar utilizzare i servizi igienici della stazione, è stato imposto l'allontanamento e la collocazione in strutture messe a disposizione da alcuni comuni e dalle parrocchie;
   il comune di Saluzzo aveva assunto ruolo centrale nell'organizzazione di un vero e proprio accampamento autogestito per l'accoglienza dei tanti immigrati sprovvisti di ospitalità in altre strutture, oramai chiuse dall'inizio di novembre. Oggi a tal riguardo le amministrazioni locali hanno vietato gli accampamenti spontanei e non controllati sul territorio comunale, adottando sin da aprile 2013, un'ordinanza che impone il divieto di campeggio o di pernottamento al di fuori degli spazi appositamente allestiti; altresì è stato incentivato l'intervento della forza pubblica in caso di violazione, per tutelare l'aiuto delle associazioni di volontariato e delle associazioni di categoria e fornire una congrua ospitalità che sia limitata soltanto a coloro che effettivamente saranno assunti dalle aziende frutticole;
   a tal proposito le amministrazioni locali hanno incentivato il collegamento tra domanda e offerta di lavoro, coinvolgendo il centro per l'impiego di Saluzzo, al fine di una maggiore regolazione di questi settori e di una maggiore legalità contro fenomeni illeciti quali il caporalato;
   le comunità che se ne occupano da anni sono ormai stremate ed esauste an- che perché si vedono abbandonate da provincia e regione che nulla sono in grado di fare se non sostenerle a parole;
   alcune realtà associative locali infine si sono viste negare la possibilità di allestire un campo di emergenza sul territorio comunale di Saluzzo, che avrebbe dato risposta ai bisogni dei soggetti coinvolti;
   si deve partire dal presupposto che si parla pur sempre di persone, si parla pur sempre di esseri umani con bisogni basilari: tetto, cibo e salute in primis –:
   se non si ritenga doveroso adottare iniziative umanitarie ed economiche per risollevare le sorti di queste persone, di questi lavoratori, di questi immigrati, ed attivare immediatamente delle procedure al fine di offrire non solo una risposta ma un aiuto effettivo considerato che l'intransigenza degli enti territoriali – attraverso la suddetta ordinanza di divieto di campeggio e di pernottamento – non ha tenuto conto delle tempistiche e delle modalità che numerose volte rendono la regolarità dei percorsi istituzionali incompatibile con le reali esigenze dei territori, delle persone e con gli stessi principi fondanti degli enti;
   quali politiche, a livello nazionale, si intendano mettere in atto per arginare il fenomeno dello sfruttamento dei braccianti agricoli, in particolare, ed in generale per garantire i diritti a immigrati privi di qualsivoglia forma di diritto e dignità.
   (4-01033)

  Risposta. — L'interrogazione in esame pone all'attenzione di questa amministrazione il problema dell'accoglienza dei lavoratori stagionali stranieri, impegnati nella raccolta della frutta nell'area pedemontana in provincia di Cuneo.
  Il territorio in questione ed in particolare quello nel comune di Saluzzo, da alcuni anni è interessato dall'arrivo, nella stagione estiva, di numerosi cittadini extracomunitari, in possesso di permesso di soggiorno, attratti dalla speranza di un impiego, anche saltuario e temporaneo.
  Nell'ultimo triennio, il numero dei lavoratori – originari principalmente dell'Africa sub-sahariana – si è più che raddoppiato, arrivando a circa quattrocento unità.
  I migranti, pur non trovando tutti un lavoro, continuativo, si fermano comunque in città, creando un «accampamento» di fortuna.
  Nel territorio comunale, accanto all'insediamento abitativo allestito per i lavoratori stagionali, regolarmente impiegati nella stagione estiva, anche quest'anno è sorto un vero e proprio accampamento autogestito che ha ospitato oltre 200 persone.
  Il sindaco a tal proposito ha chiesto alla protezione civile regionale l'attivazione della procedura prevista per fronteggiare lo stato di emergenza, e in particolare, di poter disporre di tende, al fine di evitare problemi sanitari.
  Più in generale si rappresenta che il comune di Saluzzo in questi anni è stato capofila di un tavolo di lavoro in cui enti locali, Coldiretti, Caritas diocesana, insieme ad altre realtà associative, si sono impegnati per l'accoglienza (nel 2012 sono state ospitate circa 170 persone).
  Per l'anno in corso l'amministrazione comunale ha approntato un programma per reperire alcune strutture di ricovero temporaneo, sia presso locali della Caritas diocesana, sia presso strutture-containers messe a disposizione dalla Coldiretti.
  In conseguenza dell'aumento costante delle presenze negli ultimi anni, il sindaco ha adottato una ordinanza contingibile ed urgente, ai sensi dell'articolo 54 del Testo unico degli enti locali, con la quale ha ordinato il divieto di ogni forma di insediamento temporaneo sul territorio del comune.
  Nella medesima ordinanza, il sindaco ha richiesto – mediante il concorso delle Forze di polizia – lo sgombero del fondo occupato, che è stato eseguito l'11 giugno 2013. Anche dopo tale intervento, nell'area sono inizialmente rimasti circa 160 stranieri privi di ricovero.
  Per far fronte a questa situazione, il 4 settembre 2013, questa amministrazione ha consegnato al sindaco 20 tende che hanno garantito 200 posti letto.
  Durante gli incontri promossi anche dalla prefettura di Cuneo con alcuni rappresentanti dei lavoratori stagionali, ospitati nella tendopoli, è stata evidenziata la difficoltà di lasciare il campo entro il periodo concordato della fine di ottobre.
  Per venire incontro a tali esigenze è stato, pertanto, prorogato al 15 novembre il termine per la restituzione delle tende, consentendo in tal modo di gestire senza conflitti le operazioni di sgombero del campo, che si sono concluse il 7 novembre 2013, terminate le attività lavorative stagionali.
  Sono stati anche restituiti i containers forniti dall'associazione Coldiretti per l'accoglienza dei migranti.
  Si soggiunge, infine, che nell'area adiacente il luogo dove è stata allestita la tendopoli permane ancora un accampamento abusivo con un numero di persone comunque più esiguo rispetto al passato (circa 50 persone), in costante diminuzione a seguito dell'allontanamento volontario dei migranti.
  La situazione descritta è comunque costantemente monitorata dalle Forze dell'ordine che adottano al riguardo puntuali misure di vigilanza e controllo del territorio. Allo stato attuale la situazione non presenta criticità tali da creare turbative per la sicurezza pubblica e al più presto sarà normalizzata.
  Le stesse operazione di sgombero si sono svolte senza conflittualità.
  Si rappresenta, infine, che questa amministrazione continuerà a coinvolgere i diversi livelli di Governo interessati affinché vengano individuati le risorse e i percorsi più efficaci per garantire ai lavoratori stagionali migranti una dignitosa accoglienza.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   FEDI, GIANNI FARINA, GARAVINI, LA MARCA e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'ambasciata d'Italia di Tunisi in data 12 aprile 2011, dopo avere proceduto ad alcune contestazioni formali, ha emanato un provvedimento di licenziamento senza preavviso a carico di Amor Khediri, un impiegato a contratto locale in servizio presso l'ambasciata da circa un ventennio;
   le motivazioni avanzate riguardano alcune presunte irregolarità nelle procedure seguite dal Khediri in qualità di addetto allo sportello nella concessione di visti subordinati alla condizione del rientro, mansioni alle quali era stato adibito nonostante la sua qualifica di contrattista escludesse funzioni non meramente esecutive;
   l'amministrazione della Farnesina, dopo avere respinto l'istanza di riesame presentata dall'interessato, a quanto consta agli interroganti, non si è presentata presso il tribunale tunisino al quale il Khediri si era rivolto per tutelare i suoi interessi e ha confermato di recente presso il tribunale del lavoro italiano la severa misura irrogata nel 2011;
   in parallelo al provvedimento rivolto al Khediri, l'ambasciata di Tunisi ha adottato una sanzione di semplice censura nei confronti dell'assistente amministrativo di ruolo in servizio presso la sezione visti, che aveva la responsabilità di indirizzare e controllare le operazioni realizzate allo sportello;
   l'atto di licenziamento dell'impiegato a contratto sembra obiettivamente eccessivo, per l'entità delle contestazioni avanzate, per il servizio lungamente prestato dall'interessato, che non aveva mai dato adito a richiami e osservazioni, per il fatto di essere stato adibito a mansioni che non gli competevano e, non ultimo, per il confronto con il provvedimento irrogato al capo ufficio del settore visti che aveva più impegnative responsabilità amministrative;
   l'episodio dell'impiegato a contratto presso l'ambasciata di Tunisi qui richiamato è rivelatore della fragilità del quadro giuridico nel quale questa categoria di personale è costretta ad operare e, in particolare, dell'esigenza di approfondire e definire con maggiore precisione la materia dell'attribuzione delle deleghe ai lavoratori a contratto –:
   se non si ritenga di effettuare una più attenta ed equilibrata valutazione del caso di Amor Khediri, esaminando la possibilità di un provvedimento meno drastico del licenziamento e comunque tale da salvaguardare la professionalità da lui acquisita in lunghi anni di servizio e una situazione umana irrimediabilmente compromessa dalla perdita del lavoro;
   se non consideri urgente avviare un serio confronto con i sindacati di categoria in ordine all'inquadramento giuridico del personale a contratto, dal quale deriva altresì la forma di attribuzione delle deleghe;
   se non ritenga indispensabile assumere iniziative per chiarire, in maniera definitiva ed inequivocabile, l'ambito giurisdizionale di competenza per i contratti di lavoro locali sulle materie attinenti alle condizioni di lavoro, nella misura in cui queste debbono sempre rispettare anche norme locali;
   se non si ritenga urgente garantire l'applicazione piena del principio della prevalenza del foro italiano per quanto concerne le controversie in ambito di rapporto di lavoro, senza ricorrere a forme di «immunità giurisdizionale» spesso utilizzate strumentalmente presso le sedi estere;
   se non si ritenga infine doveroso promuovere una riforma dell'intero settore dei contratti per il personale impiegato localmente chiarendo gli ambiti giurisdizionali relativi alle singole materie oggetto di accordo tra le parti. (4-02190)

  Risposta. — Il signor Amor Khediri, impiegato a contratto con mansioni esecutive, in servizio presso l'ambasciata d'Italia a Tunisi fino al 12 aprile 2011, è stato oggetto di un provvedimento di licenziamento senza preavviso per «commissione in genere di atti o fatti dolosi di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro». Il procedimento disciplinare ha permesso di accertare che il signor Khediri, traendo vantaggio dal proprio ruolo di addetto all'ufficio visti, ha favorito la concessione del visto a cinque cittadini tunisini nonostante la documentazione dagli stessi presentata fosse palesemente falsa. Il signor Khediri, dichiarando di conoscere personalmente i cinque richiedenti visto, si è spontaneamente fatto carico di una responsabilità aggiuntiva con il preciso intento di fuorviare il giudizio dei propri superiori gerarchici e facilitare la concessione del visto.
  La condotta dolosa dell'ex dipendente ha trovato ulteriore conferma dallo scambio di informazioni intervenute tra la nostra ambasciata a Tunisi e il Ministero dell'interno tunisino, in esito alle quali è risultato che il signor Khediri ha falsificato il passaporto di una delle cinque persone oggetto di contestazione, per dimostrare un rientro in Tunisia in realtà mai avvenuto.
  In merito al ricorso alla giurisdizione da applicare, va ricordato che l'articolo 154 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 stabilisce la competenza del foro locale a dirimere eventuali controversie sul rapporto di impiego. Il signor Khediri si è rivolto alla magistratura italiana dopo aver ritirato il ricorso inizialmente depositato presso il foro locale. Il tribunale di Roma con sentenza del 17 settembre 2013, ha rigettato il ricorso presentato dal signor Khediri rilevando come le circostanze risultassero di gravità tale da incidere fortemente sul rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, anche in relazione alla delicatezza della funzione svolta dal signor Khediri. Da ciò è derivato il giudizio di «assoluta adeguatezza del licenziamento irrogato».
  Il licenziamento senza preavviso, erogato al termine di una procedura in cui il dipendente ha potuto esporre le sue ragioni a difesa, è stato un atto necessario e doveroso nei confronti di un dipendente colpevole di accertate violazioni (e non di «presunte irregolarità»), suscettibili di mettere a repentaglio la sicurezza del Paese. Il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina rientra tra i comportamenti intollerabili, rispetto ai quali si è proceduto sempre con grande rigore, nei confronti di personale di ogni categoria.
  Anche il funzionario responsabile dell'ambasciata d'Italia a Tunisi ha subìto un procedimento disciplinare per negligenza nell'esame delle pratiche di visto, negligenza peraltro favorita anche dall'influenza esercitata dolosamente dal signor Khediri. La sanzione applicata (censura) appare quindi un provvedimento corretto e proporzionale al comportamento riscontrato, ben diverso da quanto contestato al signor Khediri.
  In conclusione, sulle domande poste dagli interroganti:
   1. I fatti così ricostruiti ed inquadrati nella loro gravità dimostrano la correttezza del comportamento dell'amministrazione degli affari esteri, giunta al termine di un procedimento in cui tutti i fatti sono stati attentamente valutati, comprese le giustificazioni dell'impiegato. Il procedimento assunto è stato confermato anche dal giudice italiano. Non si ritiene inoltre che nel caso in questione vi sia un problema di attribuzione di funzioni o di deleghe di funzioni consolari, in quanto il signor Khediri è stato sanzionato per aver commesso dimostrati gravi fatti, abusando della sua posizione all'interno dell'ufficio visti;
   2. Circa le «fragilità del quadro giuridico» evidenziate dagli interroganti, che richiederebbero interventi urgenti di modifica dell'attuale normativa relativa al personale a contratto. Il titolo VI del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 fornisce un quadro giuridico chiaro indicando che «i contratti sono disciplinati dalla legge locale» e che la competenza a risolvere eventuali controversie di lavoro spetta al giudice locale. Ciò non toglie che il signor Khediri abbia preferito rinunciare alla giurisdizione locale per adire il giudice italiano, che si è dichiarato competente a discutere del suo ricorso;
   3. In conclusione, a giudizio della Farnesina, l'attuale normativa risponde senza particolari problemi alla necessità di inquadrare i rapporti di lavoro nella legislazione locale, garantendo sia i diritti del lavoratore che le esigenze di servizio delle sedi diplomatiche e consolari all'estero.

Il Viceministro degli affari esteriMarta Dassù.


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni articoli apparsi oggi sui quotidiani, si apprende che il Ministero dell'interno ha disposto lo sgombero parziale del Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo (Gorizia) e il trasferimento, già in queste ore; di 38 immigrati nell'analoga struttura di Trapani;
   tale centro è stato, di fatto, reso inagibile e praticamente distrutto dagli stessi clandestini lì ospitati nel corso delle numerose e violente rivolte scoppiate negli ultimi mesi;
   sempre secondo agenzie di stampa, per 12 clandestini ospitati nel centro «in queste ore sono state accelerate le operazioni di rimpatrio o di allontanamento»;
   secondo alcune indiscrezioni che si sono susseguite negli ultimi giorni e che vengono riportate anche dai quotidiani, tale decisione del Ministro dell'interno non sarebbe finalizzata al ripristino in tempi celeri della funzionalità del Centro di identificazione ed espulsione bensì sarebbe il primo passo verso una sua temporanea chiusura, come da tempo chiede il centrosinistra sia a livello nazionale che locale, ad esempio la governatrice Serracchiani;
   a seguito di tale decisione e senza una chiara presa di posizione da parte del Ministro dell'interno, il sindaco Franco Tommasini infatti ha dichiarato alla stampa che «La chiusura mi sembrerebbe in questo momento un passaggio logico», alla luce anche del fatto che al Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca, che ospitava circa una sessantina di persone, sono rimasti non più di dieci clandestini ancora in attesa di rimpatrio;
   Angelo Obit, segretario provinciale del Sindacato autonomo di polizia/Sap ha rilasciato alla stampa le seguenti dichiarazioni «A quanto pare quella presa a Roma è una decisione politica, non operativa. Di fatto lo Stato si arrende a chi ha devastato il centro. Il messaggio che passa con questo provvedimento è che con la violenza si può ottenere tutto»;
   è la stessa direttiva comunitaria 2008/115, cosiddetto appunto rimpatri, a prevedere la necessaria presenza e operatività in territorio nazionale dei Centri di identificazione ed espulsione e la permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione è condizione necessaria per procedere all'identificazione del clandestino e al suo effettivo –:
   se corrisponda al vero quanto riportato dai quotidiani; in particolare quali siano le reali interazioni del Ministro dell'interno con riguardo al Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca e se ritenga opportuno non solo mantenere tale struttura ma renderla operativa il prima possibile;
   quali siano esattamente e a quanto ammontino i danni causati dagli immigrati clandestini ospitati nel centro, se siano stati identificati gli autori dei danneggiamenti alla struttura, quanti di questi avevano già precedenti penali e per quali reati, quali provvedimenti siano stati adottati nei loro confronti a seguito degli atti di devastazione del centro e da quanto fossero ospitati nel Centro di identificazione ed espulsione;
   entro quanto tempo il Ministro abbia previsto di concludere i lavori di riparazione e quando rimetterà in funzione il Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca;
   se i 12 clandestini per i quali sono state «accelerate le operazioni di rimpa-trialo di allontanamento» siano stati effettivamente già rimpatriati o si trovino ancora in territorio nazionale e dove e, in tale ultimo caso, quando avverrà il loro effettivo rimpatrio;
   quando verranno rimpatriati tutti i clandestini trasferiti ora al centro di Trapani. (4-02413)

  Risposta. — Come è noto, nelle nottate del 30 e 31 ottobre e dell'1 e 2 novembre 2013, si sono verificati gravi disordini nel Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo. Gli stranieri trattenuti, al fine di procurarsi una via di fuga dal centro, hanno ripetutamente dato fuoco ai materassi ignifughi, agli indumenti e agli asciugamani presenti nelle stanze. Solo l'intervento tempestivo delle forze dell'ordine, e successivamente dei vigili del fuoco, ha impedito che vi fossero feriti tra gli operatori, gli addetti alla vigilanza e gli stessi ospiti. Tuttavia, le rivolte hanno causato ingenti danni alla struttura: delle otto camerate precedentemente occupate, ne sono rimaste parzialmente agibili solo due, per una capienza complessiva di sedici posti.
  Di conseguenza, nella giornata del 5 novembre 2013, si è proceduto al completo svuotamento del centro, nel quale erano presenti circa sessanta immigrati: trentasette di loro sono stati trasferiti presso il Centro di identificazione ed espulsione di Trapani, mentre per gli altri è stato disposto il rimpatrio coatto verso i paesi di origine o la notifica del decreto di espulsione con intimazione a lasciare il territorio nazionale entro sette giorni.
  Attualmente, al fine di quantificare i danni, è in fase di redazione una specifica perizia, che la prefettura di Gorizia si è riservata di trasmettere al competente dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
  Più in generale, con riferimento alla
governance del fenomeno migratorio, si assicura che l'obiettivo del Governo è di garantire il pieno rispetto dei diritti e della dignità degli stranieri che entrano nel nostro Paese, nonché la massima trasparenza ed efficienza da parte dei soggetti cui è affidata la gestione dei Centro di identificazione ed espulsione, senza trascurare l'aspetto della sicurezza. Inoltre, il Ministero dell'interno svolge un costante monitoraggio sulle condizioni di vita all'interno dei centri, sia direttamente sia tramite le prefetture territorialmente competenti. In particolare, viene verificata la regolarità dei servizi appaltati, nonché l'effettiva erogazione dell'assistenza socio-sanitaria, psicologica e infermieristica, finalizzata a garantire la salute psico-fisica degli immigrati. In caso di accertato disservizio, le stesse prefetture applicano una penale e, in caso di grave inadempienza, hanno la facoltà di risolvere il contratto, come più volte avvenuto nei mesi scorsi.
  Proprio al fine di garantire il rispetto dei diritti umani e civili degli stranieri presenti all'interno dei Centri di identificazione ed espulsione, il Ministero dell'interno si avvale anche della collaborazione di organismi
ad hoc – come il Garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, la Croce rossa italiana, l'agenzia dell'ONU per rifugiati e la Caritas – con i quali le singole prefetture stipulano apposite convenzioni. Inoltre, sono state istituite apposite commissioni presso ciascuno dei centri governativi, con il compito di svolgere opportune verifiche con cadenza periodica.
  Infine, gli episodi di tensione e i disordini che hanno recentemente interessato alcuni dei Centri di identificazione ed espulsione dislocati sul territorio nazionale dimostrano chiaramente che sussiste l'esigenza di intraprendere iniziative finalizzate ad assicurare migliori
standard di accoglienza e un maggiore livello di sicurezza, sia per gli ospiti che per gli operatori. In tal senso, senza arrivare a ipotizzare una soppressione di tali strutture – che appaiono ancora necessarie sotto diversi profili – si ritiene che possano essere riviste alcune modalità di funzionamento dei Centri di identificazione ed espulsione. Al riguardo, si possono immaginare sia interventi in via amministrativa, sia iniziative normativa.
  Sotto il primo profilo, compatibilmente con le risorse economiche disponibili, si potrà intervenire sui criteri posti a base d'asta per l'aggiudicazione degli appalti di gestione, anche modificando l'elenco dei servizi previsti dall'attuale capitolato unico. Ulteriori iniziative, come la necessità di rafforzare l'espletamento dell'attività di identificazione già in carcere – in considerazione del fatto che molti dei cittadini stranieri trattenuti nei Centro di identificazione ed espulsione provengono da istituti di detenzione – dovranno essere attentamente valutate con le altre amministrazioni coinvolte. Eventuali percorsi normativi di più ampio respiro – come la riduzione dei tempi di permanenza nei Centro di identificazione ed espulsione – necessitano invece di un sostanziale contributo parlamentare.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Mercedes-Benz Italia spa con una lettera inviata a tutte le officine autorizzate, ha ribadito, in riferimento ai contratti di assistenza post vendita, il divieto di vendita di ricambi originali ai rivenditori non autorizzati;
   per impedire le forniture di ricambi originali ai ricambisti, il gruppo ha provveduto a definire una serie di standard minimi per le verifiche da effettuare nei confronti dei clienti; tali verifiche hanno lo scopo di tutelare il sistema di distribuzione selettiva adottato per la vendita di ricambi originali stessi;
   i contratti di assistenza post vendita sono disciplinati da regolamenti comunitari;
   la restrizione sulle vendite dei pezzi di ricambio da parte dei membri di un sistema di distribuzione selettiva ai riparatori indipendenti, che utilizzano tali pezzi per fornire servizi di riparazione e manutenzione, costituisce una limitazione della concorrenza e non trova riscontro nel regolamento (Ce) n. 1400/2002 della Commissione del 31 luglio 2002, in materia di distribuzione e servizi di assistenza degli autoveicoli nell'Unione europea;
   le pratiche anticoncorrenziali messe in atto dal gruppo Mercedes Benz Italia potrebbero ostacolare le attività svolte da molti riparatori autorizzati e distributori di pezzi di ricambio, con ricadute negative sull'occupazione –:
   se si intenda avvalere della facoltà di cui all'articolo 12 della legge n. 287 del 1990, richiedendo un'indagine all'Autorità garante della concorrenza e del mercato su tale fenomeno che ad avviso dell'interrogante può presentare profili di incompatibilità con la libera concorrenza.
(4-01374)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame riguardante le limitazioni alla vendita di ricambi originali posti dal gruppo Mercedes Benz Italia spa, sulla base degli elementi forniti dalla direzione generale competente, si rappresenta quanto segue.
  L'interrogante segnala che il gruppo Mercedes Benz Italia spa, con lettera inviata a tutte le officine autorizzate, risulta aver ribadito il «divieto di vendita di ricambi originali ai rivenditori non autorizzati». A garanzia del divieto, la casa costruttrice avrebbe adottato, nei confronti dei propri
partner commerciali, una serie di misure ritenute anticoncorrenziali dall'interrogante e suscettibili di ripercuotersi negativamente sugli operatori delle rete e sui livelli occupazionali.
  Di qui, la richiesta rivolta al Ministro dello sviluppo economico di esprimere la propria posizione in ordine alla facoltà – prevista dalla legge n. 287 del 1990, articolo 12, comma 2 – di promuovere un'indagine conoscitiva di settore, da parte dell'autorità antitrust nazionale.
  In merito alla questione occorre, ad avviso dello scrivente, distinguere il tema sotto il profilo generale, rispetto alla specifica situazione oggetto di attenzione.
  Con riferimento al caso di specie, si deve rilevare che la restrizione della vendita a distributori non autorizzati è connaturale ad un sistema di distribuzione selettiva, con il quale il produttore affida la vendita e/o il servizio esclusivamente ad operatori dotati di specifici requisiti.
  La distribuzione selettiva è, tuttora, la forma di distribuzione più diffusa nel settore automobilistico, sia per quanto riguarda la vendita di autoveicoli e di ricambi sia per il servizio di riparazione e manutenzione. Dunque, sotto questo aspetto, la rivendicazione affermata dal gruppo Mercedes Benz Italia appare, in quanto tale, legittima.
  L'argomentazione formulata dall'interrogante attiene, invece, ad altra fattispecie – la restrizione della vendita ai riparatori indipendenti – da non confondere con quella appena menzionata, relativa ai distributori (rivenditori, nella formulazione usata nell'atto di sindacato).
  Infatti, sia il vigente regolamento UE della Commissione n. 461 del 2010, (articolo 5, lettera
a)) sia il precedente regolamento citato nell'interrogazione, escludono il beneficio dell'esenzione agli accordi che vietino la facoltà dei membri di un sistema di distribuzione selettiva di vendere pezzi di ricambio a riparatori indipendenti che utilizzano tali pezzi per la riparazione e la manutenzione di un autoveicolo, costituendo detti accordi delle restrizioni incompatibili con il diritto della concorrenza europeo. Analoga disposizione, per i motivi dianzi illustrati, non è invece contemplata con riguardo alla vendita di ricambi a favore di distributori estranei alla rete autorizzata.
  Considerato tutto ciò, la specifica questione, così come descritta dall'interrogante, non giustificherebbe la richiesta di un'indagine di settore da parte del Ministro.
  Viceversa, con riferimento alla problematica sotto un profilo generale, si deve in primo luogo prendere atto che, già in varie altre occasioni, sono pervenuti appelli, sotto varia forma, a questo dicastero in ordine ad un grave inasprimento dei rapporti commerciali tra le case costruttrici e gli operatori della distribuzione e dell'assistenza. Causa anche la grave crisi dell’
automotive, le aziende a valle della filiera, in genere piccole e medie imprese, sembrerebbero essere spesso soggette a forme di pressione particolarmente gravose da parte dei produttori: dall'inasprimento di standard e/o obiettivi di vendita, alla risoluzione tout court di rapporti di lunga data.
  In qualche caso, la stessa Commissione europea ha accertato la natura restrittiva di talune pratiche perpetrate da case di primaria importanza a livello europeo (restrizioni all'accesso alle informazioni tecniche da parte delle officine indipendenti, ad esempio: decisioni di impegni del 2007).
  In merito alla questione, il Ministero dello sviluppo economico ha già avuto occasione di evidenziare che la nuova normativa europea in materia di concorrenza (il già citato Regolamento UE n. 461 del 2010 della Commissione) non copre più la sfera dei rapporti contrattuali all'interno della filiera.
  L'attualità del problema ha indotto l'associazione dei concessionari di tutte le marche, Federauto, ad invocare, tra le misure anticrisi necessarie, un riequilibrio dei rapporti con le case costruttrici, avendo riferimento «alle misure europee che regolano quelli fra PMI e multinazionali».
  In sintesi, la crisi generale del settore ha innescato un processo di razionalizzazione della rete autorizzata da parte dei produttori che a detta degli operatori a valle della filiera si avvale di pratiche anticoncorrenziali o comunque di discutibile correttezza contrattuale.
  Peraltro, occorre considerare che nel contesto europeo, il mercato italiano risulta particolarmente penalizzato, avendo riportato un calo delle vendite, dal 2007, di oltre un milione di automobili, con la chiusura, solo nel 2012, di trecentocinquanta concessionarie e la conseguente perdita di diecimila posti di lavoro.
  Le considerazioni che precedono sono tali da poter consentire una diversa valutazione della richiesta di intervento formulata dall'interrogante, ove vista sotto un aspetto generale e posta in relazione con analoghe fattispecie, generalmente non prive di fondamento.
  Pertanto, in tale ottica e in relazione ad analoghe fattispecie, generalmente non prive di fondamento, un'eventuale richiesta di indagine conoscitiva, motivata dal reiterarsi di denunce ed interrogazioni, potrebbe avere il precipuo vantaggio di attivare una verifica delle dinamiche concorrenziali e delle pratiche in atto sul mercato nazionale, per non dire del possibile effetto di
moral suasion in favore di una calmieramento dei rapporti tra le parti.
  Spetterà all'Autorità garante della concorrenza e del mercato valutare la rilevanza, sotto il profilo antitrust, dei comportamenti d'impresa meritevoli di approfondimento.
  Si rappresenta, infine, che presso questo Ministero si è insediato nel mese di ottobre, un nuovo organismo, la consulta permanente per l’
automotive, composto da aziende e istituzioni, per individuare possibili linee di intervento per la ripresa di un settore chiave per l'Italia duramente colpito dalla crisi.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoSimona Vicari.


   IMPEGNO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i medici in servizio presso le strutture penitenziarie hanno stipulato un contratto di convenzione, con proroga automatica, con il Ministero della giustizia ai sensi della legge n. 740 del 1970, che prevede che per tali medici non si applicano incompatibilità e limitazioni rispetto ad altre attività lavorative;
   nel 2008, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° aprile 2008 è stato disposto il passaggio della gestione della medicina penitenziaria dal Ministero della giustizia alle aziende sanitarie locali;
   non avendo, fino al mese di marzo di quest'anno, la regione Campania deliberato sulle modalità applicative del passaggio predetto, le convenzioni con le figure professionali mediche e laureate non mediche transitate dal Ministero della giustizia alle ASL (da ora in poi definite «transitanti») sono state prorogate mantenendo inalterate le convenzioni, quindi alle stesse condizioni contrattuali;
   nel giugno 2009 la Conferenza Stato-Regioni determinava le linee guida da applicare per il passaggio delle competenze alle ASL, linee guida recepite anche dalla regione Campania nel settembre dello stesso anno, che richiamavano l'importanza del mantenere al lavoro le professionalità preesistenti, vista la particolare delicatezza del compito da esse stesse svolte;
   a fine novembre del 2011 la ASL Napoli 1 Centro, a firma del commissario Scoppa, unica nel panorama nazionale, prorogava con scadenza ultima il 31 dicembre 2011 le convenzioni in essere, alcune portate avanti da oltre 20-30 anni;
   il 1° gennaio 2012 a tutti i «transitanti» convenzionati con l'ASL Napoli 1 Centro, veniva bloccato l'accesso negli istituti di pena;
   nel marzo 2012 la regione Campania si è pronunciata a favore del reintegro immediato con il decreto del commissario ad acta n. 28, che proroga le convenzioni in essere al 31 dicembre 2011 fino alla definitiva regolamentazione di tutta la materia riguardante la sanità penitenziaria che non potrà far a meno di prevedere, per le succitate linee guida, l'impiego dei medici «transitanti»;
   il 20 dicembre 2012 il TAR Campania con sentenza 5290/2012, nel dare ragione a 46 medici ricorrenti, rendeva nulle tutte le delibere adottate all'epoca dal commissario Scoppa per la ASL, relative all'allontanamento dei medici. L'ASL pur manifestando disponibilità alla reimmissione in servizio dei medici, con le delibere n. 314 di febbraio e n. 565 di aprile 2013, mentre ha provveduto a sanare la situazione del comparto (personale infermieristico, OSA e altro), sta di fatto ritardando quanto stabilito dal TAR per quanto riguarda il personale medico e laureato non medico. Per tale motivo i medici «transitanti» sono stati costretti ad opporre altro ricorso al TAR chiedendo l'annullamento delle ultime due delibere con condanna alle spese;
   l'ASL, con la delibera 314 del 2013, incurante di quanto sancito per sentenza dal TAR, riconferma la disparità di trattamento intercorso tra i medici e laureati non medici ed il comparto dando, con tale atto, continuità al rapporto di lavoro solo con i lavoratori appartenenti a quest'ultima categoria. Inoltre, stabilisce un'ulteriore disparità tra i medici e i laureati non medici ed i medici incaricati allorquando stabilisce che il decreto 26 si pone come ostacolo alla riammissione in servizio dei primi, ma non ritiene che lo stesso decreto interferisca con il proseguimento del rapporto di lavoro dei medici incaricati, pur essendo questi maggiormente interessati dall'atto pubblico;
   nel frattempo anche la regione, con decreto n. 26 del 2013, rivedendo il decreto n. 28 del 2012, ha definito le modalità di utilizzo dei medici transitanti inserendoli in una apposita lista ad esaurimento, fino ad apposita normativa nazionale inclusa negli Accordi collettivi nazionali. Quest'ultimo decreto ha però inserito una limitazione oraria ai medici transitanti, contrariamente a quanto stabilito dalla legge n. 740 del 1970 che non impone alcuna limitazione né incompatibilità ai medici penitenziari, come già chiarito da cospicua precedente giurisprudenza. Per questo motivo i medici penitenziari della regione Campania hanno presentato ulteriore ricorso di sospensiva contro il decreto regionale nel punto che determina limitazioni orarie;
   tutta questa vicenda sta comportando notevoli disagi nell'assistenza sanitaria dei soggetti detenuti, come più volte segnalato dal provveditore regionale del Ministero della giustizia e da interventi della stampa cittadina;
   attualmente nei penitenziari gravitanti nella sfera dell'ASL Napoli 1 Centro (Poggioreale, Secondigliano, Nisida, OPG e Istituto dei Minori) non viene assicurata l'assistenza di base ed in alcuni casi nemmeno l'emergenza. Tale situazione è stata pubblicamente segnalata dal provveditore regionale del Ministero della giustizia, da alcuni direttori delle case di pena e dal garante per i detenuti. Si prevede che l'allargamento della problematica a tutti i medici penitenziari regionali comporterà un ulteriore aggravamento della situazione;
   tutta l'operazione condotta dalle ASL non si giustifica nemmeno, come precedentemente asserito dai direttori generali in un'ottica di risparmio di risorse. Il presunto e non provato risparmio ha di fatto comportato un enorme aumento dei costi nelle traduzioni dei detenuti che oggi, nelle carceri del napoletano, per effettuare anche una semplice visita medica specialistica devono essere accompagnati con scorta in uno degli ospedali cittadini, allungando tra l'altro le già insopportabili liste di attesa. Senza contare i maggiori rischi di evasione;
   interpellata a proposito più volte la ASL non si è riusciti a venire a conoscenza del perché non si sia, a tutt'oggi proceduto ad ottemperare ad una sentenza del TAR che prevedeva il reintegro dei medici precedentemente in servizio. A tutt'oggi, per oltre 100 medici è stato fatto ulteriormente slittare al 2 luglio il termine del presunto reintegro senza motivazione alcuna e senza la certezza che quella data non venga ulteriormente spostata come sta accadendo da oltre sei mesi, epoca della sentenza TAR –:
   quali iniziative, nei limiti delle loro prerogative e senza ledere quelle che sono le competenze regionali, i Ministri interrogati intendano adottare al fine di ripristinare, nell'immediato, una situazione di piena funzionalità della medicina penitenziaria stessa intervenendo su una inaccettabile sperequazione nei fatti determinatesi tra i medici della ASL Napoli 1 centro e tutti gli altri medici penitenziari italiani. (4-00982)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  In esito al passaggio della gestione della medicina penitenziaria dal Ministero della giustizia alle ASL, disposto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, la struttura commissariale della regione Campania ha adottato i due decreti del commissario
ad acta (DCA) n. 28/2012 e n. 26/2013.
  Con il decreto del commissario
ad acta n. 28/2012 la regione Campania ha fornito indirizzi per portare a compimento la riconduzione dei rapporti di lavoro del personale operante presso gli istituti penitenziari nell'ambito delle tipologie dei rapporti di lavoro del Servizio sanitario nazionale (SSN), specificando che, per i medici incaricati dall'amministrazione penitenziaria, l'attuale rapporto contrattuale continuerà ad essere assicurato ai sensi della legge n. 740 del 1970, fino alla naturale scadenza, mentre per i medici addetti al servizio integrativo di assistenza sanitaria (SIAS), il rapporto di lavoro sarà ricondotto nell'ambito dell'Accordo collettivo nazionale (ACN) di medicina generale, settori della continuità assistenziale e medicina dei servizi. Per i medici specialisti è previsto l'inquadramento all'interno dell'ACN degli specialisti ambulatoriali e dei professionisti. Per il personale del comparto sono programmate procedure concorsuali e, nelle more dell'espletamento di dette procedure, è previsto il ricorso a contratti libero professionali ovvero ad assunzioni a tempo determinato.
  Il decreto n. 28 del 2012, in data 5 febbraio 2013 è stato oggetto di osservazioni da parte dei Ministeri affiancanti, in particolare si è ritenuta non condivisibile la disposizione secondo cui i rapporti di lavoro del personale sanitario, instaurati ai sensi della legge n. 740 del 1970 e trasferiti dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e dal dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia alle aziende sanitarie locali del Servizio sanitario nazionale, devono continuare ad essere disciplinati dalla citata legge n. 740 del 1970 fino alla relativa scadenza. Per quanto riguarda la prevista adozione dei provvedimenti necessari a realizzare la continuità di tutte le tipologie di rapporti convenzionali del personale, trasferito in base all'ex decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, i Ministeri affiancanti hanno richiesto informazioni in merito alle specifiche modalità attraverso cui tale continuità verrebbe garantita. È stato, inoltre, richiesto di evidenziare che l'onere per la trasformazione dei rapporti di lavoro sia compatibile con le risorse a tale scopo previste dall'articolo 6 del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008.
  Per quanto concerne il personale del comparto, si è evidenziato che, in ragione del previsto percorso dell'inquadramento nell'ambito del personale dipendente Ssn, non appare congruo il ricorso all'utilizzo dei contratti libero professionali in luogo di assunzioni a tempo determinato effettuate con le modalità stabilite dal decreto del Presidente della Repubblica n. 220 del 2001.
  Con il decreto del commissario
ad acta n. 26/2013 la struttura commissariale ha provveduto ad integrare il precedente decreto n. 28 del 14 marzo 2012, accogliendo le indicazioni formalizzate in merito alla necessità di garantire che i rapporti di lavoro del personale trasferito alle Asl dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e dal dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia continuino ad essere disciplinati, fino alla loro naturale scadenza, in base alle previsioni di cui alla legge n. 740 del 1970.
  In relazione al decreto del commissario
ad acta n. 26/2013 i Ministeri affiancanti, in data 2 luglio 2013, hanno richiesto alla struttura commissariale di verificare che il trasferimento al servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie afferenti alla medicina penitenziaria avvenga senza maggiori oneri a carico della finanza pubblica (rispetto all'ammontare delle risorse trasferite) e hanno ribadito la richiesta di fornire un quadro analitico relativo all'impegno ed al relativo costo. Hanno, inoltre, rilevato che nel decreto non viene riportata alcuna ulteriore previsione in merito alle modalità di gestione/inquadramento contrattuale del personale di comparto, chiedendo chiarimenti in merito.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   LACQUANITI, DI SALVO, PILOZZI, COSTANTINO, FRATOIANNI, MATARRELLI, MELILLA, NICCHI e RICCIATTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   circa due settimane fa la Procura di Brescia ha avviato un'indagine che vede coinvolte 130 persone a vario titolo operanti presso lo sportello unico immigrati di via Lupi di Toscana, a Brescia;
   a loro carico sono stati configurati reati di associazione per irregolarità nella gestione delle pratiche di sanatorie e di flussi di ingresso;
   oltre al caos destabilizzante degli ultimi giorni, va segnalato inoltre che la capacità di tale sportello, diretto dalla prefettura, con la collaborazione della direzione provinciale del lavoro e della questura, per insufficienza di organico e per logistica carente, è sempre stata inadeguata ad accogliere le numerose richieste dell'utenza, creando intuibili disagi e tensioni in relazione alla dovuta espletazione delle pratiche;
   nella provincia di Brescia sarebbero 175.000 i migranti regolari su una popolazione di 1.200.000; in città 38.000, a fronte di 183.000 residenti;
   l'inadeguatezza illustrata, aumentando a dismisura i tempi di attesa dell'utenza rispetto alla gestione delle pratiche da parte degli operatori, fa sì che almeno ogni quindici giorni nella città si verifichino manifestazioni e proteste da parte di chi, da anni, attende l'evasione di pratiche relative a sanatorie per inefficienza dello Sportello –:
   quali siano le informazioni dei Ministri interrogati su quanto esposto in premessa e i relativi orientamenti;
   quali iniziative per quanto di competenza, intendano intraprendere, e in quali tempi, al fine di garantire, presso lo sportello unico. Immigrati di via Lupi di Toscana, a Brescia, lo svolgimento efficiente delle operazioni di gestione delle pratiche di gestione dei flussi migratori, evitando il sistematico ritardo sulla gestione delle richieste che inevitabilmente non può non tradursi in una violazione dei diritti dei soggetti più deboli. (4-01241)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si richiama l'attenzione del Ministero dell'interno su alcune criticità che si sono manifestate nel funzionamento dello sportello unico per l'immigrazione presso la prefettura di Brescia, con particolare riguardo ai ritardi nel rilascio dei provvedimenti in favore dei lavoratori stranieri e dei loro familiari.
  Al riguardo si assicura che i problemi sollevati nell'interrogazione in esame si stanno avviando verso una definitiva risoluzione.
  Le ripercussioni negative sull'operatività dell'ufficio a seguito della conclusione – avvenuta il 30 maggio 2013 – dell'indagine preliminare della procura della Repubblica di Brescia che ha coinvolto anche 21 persone dello sportello unico, ne hanno richiesto la riorganizzazione interna, attraverso la redistribuzione degli incarichi e il coinvolgimento del personale di altri servizi. È stato, inoltre, nominato anche un nuovo funzionario responsabile della struttura.
  In particolare, verranno impiegati – fino a cessate esigenze e con rotazione trimestrale e in via continuativa – anche i funzionari amministrativi e gli assistenti sociali di volta in volta individuati, assicurando così alla struttura i necessari livelli intermedi.
  Pur nei limiti delle attuali disponibilità finanziarie, non sono stati trascurati gli aspetti logistici, reperendo spazi utili per la creazione di archivi di deposito ove poter collocare il numero rilevante di fascicoli che prima occupavano le stanze dove si svolge l'attività d'ufficio.
  Sono state, altresì, adottate una serie di misure organizzative e funzionali interne dirette a ridurre i tempi di trattazione delle pratiche, con riflessi immediati sui risultati conseguiti.
  Anche l'attività di
front-office dello sportello è stata incrementata, anticipando l'orario di apertura e programmando un numero maggiore di convocazioni per la ricezione delle istanze degli immigrati. Sono state anche individuate forme di semplificazione nella raccolta della documentazione integrativa prodotta dagli interessati.
  L'attività fin qui svolta ha permesso una movimentazione complessiva di 2.206 pratiche, tra le quali vanno comprese anche quelle già definite con la convocazione dell'immigrato ai fini della stipula del contratto di lavoro.
  La riorganizzazione dello sportello unico per l'immigrazione è stata accolta favorevolmente anche dalle associazioni che si occupano di questioni migratorie, con le quali si è instaurato un positivo rapporto di collaborazione, anche per il monitoraggio delle situazioni che presentano ancora profili di criticità.
  Al momento, nonostante i risultati positivi raggiunti, soprattutto in relazione alla regolarizzazione della fase istruttoria delle pratiche, permane la necessità di smaltire l'arretrato.
  In questa prospettiva, è stata rinnovata l'aggregazione di due operatori dell'ufficio immigrazione della questura a supporto delle esigenze dello sportello unico.
  Per quanto riguarda più in generale il problema delle dotazioni organiche degli uffici e reparti operanti nel capoluogo, si rappresenta che, nonostante la ristrettezza di risorse disponibili per gli effetti della «
spending review», sono state recentemente assegnate 17 unità, per le esigenze delle Forze di polizia sul territorio.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MICILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sindrome fibromialgica cosiddetta «fibromialgia» è una forma comune di dolore muscoloscheletrico diffuso e di affaticamento (astenia), infatti il termine fibromialgia significa dolore nei muscoli e nelle strutture connettivali fibrose (i legamenti e i tendini);
   la fibromialgia spesso confonde poiché alcuni dei suoi sintomi possono essere riscontrati in altre condizioni cliniche e colpisce approssimativamente in Italia circa 1.5-2 milioni di persone;
   la fibromialgia interessa principalmente i muscoli e le loro inserzioni sulle ossa. Sebbene possa assomigliare ad una patologia articolare, non si tratta di artrite e non causa deformità delle strutture articolari. La fibromialgia è in effetti una forma di reumatismo extra-articolare;
   negli ultimi dieci anni, tuttavia, la fibromialgia è stata meglio definita attraverso studi che hanno stabilito le linee guida per la diagnosi. Questi studi hanno dimostrato che certi sintomi, come il dolore muscoloscheletrico diffuso, e la presenza di specifiche aree algogene alla digitopressione (tender points) sono presenti nei pazienti affetti da sindrome fibromialgica e non comunemente nelle persone sane o in pazienti affetti da altre patologie reumatiche dolorose;
   la fibromialgia è tabellata nell’«International Statistical classification of diseases and related health problems (ICD-10)» alle voci M79, Other soft tissue disorders, not elsewhere classified, e M79.O, Rheymathism, Unspecified-Fibromyalgia-Fibrositis;
   in Europa, secondo la dichiarazione del Parlamento europeo sulla fibromialgia, approvata il 13 gennaio 2009, circa 14 milioni di persone nell'Unione europea e l'1-3 per cento della popolazione mondiale soffrono di fibromialgia;
   nel 2008 il Parlamento europeo ha approvato una dichiarazione che dà mandato ai rappresentanti nazionali di attivarsi nei confronti dei Governi a favore della sindrome fibromialgica;
   la maggior parte delle nazioni riconosce la fibromialgia come una precisa entità nosologica con conseguente riconoscimento di esenzione per tale patologia;
   la fibromialgia ha ottenuto un riconoscimento nel Trentino la giunta provinciale di Trento con deliberazione n. 239 del 12 febbraio 2010 ha recentemente approvato un provvedimento che riconosce, a partire dal primo gennaio di quest'anno, alle persone affette da tale patologia esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria da parte dell'utente (ticket) ai cittadini e residenti in provincia di Trento ed iscritti al sistema sanitario nazionale. «La fibromialgia deve essere riconosciuta e attestata dall'O.O. di Reumatologia dell'Osp. Santa Chiara di Trento. Ne hanno diritto gli iscritti all'SSP residenti in provincia di Trento affetti da fibromialgia riconosciuta. Le prestazioni sanitarie sono quelle appropriate per il monitoraggio della patologia e delle relative complicanze, per la riabilitazione e per la prevenzione di ulteriori aggravamenti. Le prestazioni sono fruibili esclusivamente delle strutture del Servizio Sanitario Provinciale». Il codice di esenzione valido in provincia di Trento è: 046.729.0 e 046.729.1, con decorrenza 1° gennaio 2010 e validità illimitata. La definizione della malattia è «mialgia e miosite non specificate», in codice di esenzione è BZ 3.737.3;
   il consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia con l'ordine del giorno (collegato DDL n. 116) impegna l'assessore alla salute:
    a) ad attivare un monitoraggio sull'incidenza di tale patologia nella nostra regione;
    b) ad assumere ulteriori iniziative affinché a livello parlamentare siano approvate le normative necessarie a prevedere il riconoscimento, ai lavoratori affetti da questa patologia, di permessi di astensione dal lavoro per la cura della sintomatologia nonché per prevedere l'esenzione dal pagamento dei ticket e dei farmaci eventualmente prescritti;
   attualmente in Italia per gli esami di monitoraggio delle patologie non riconosciute non è prevista alcuna esenzione dal pagamento del ticket;
   la regione Lombardia ha inserito nel PSSR la fibromialgia come malattia degna di attenzione e per la quale viene assunto un impegno formale di studio e approfondimento a favore dei diritti del malato;
   la regione Veneto nel marzo 2011 ha visto l'approvazione all'unanimità del consiglio regionale di un ordine del giorno bipartisan che raccomanda nel merito la dovuta attenzione agli uffici competenti;
   nel 2010 la regione Toscana ha approvato la costituzione di un tavolo tecnico di confronto e di proposta per il problema in questione;
   la persona affetta da fibromialgia vive in solitudine economica il problema, pagando personalmente i vari specialisti a cui bisogna rivolgersi, per poter contenere i sintomi (reumatologo, fisiatra, immunologo, psicologo) il cui costo come testimoniano alcune pazienti online è anche esoso;
   l'ANMAR (Associazione nazionale malati reumatici) insieme ad altre tredici associazioni e al coordinamento nazionale delle Associazioni dei malati cronici (CnAMC) ha già presentato richiesta negli anni passati al Ministero della salute di una serie di esenzioni tra queste la «fibromialgia» –:
   se intenda assumere iniziative per riconoscere la fibromialgia come «patologia cronica», su tutto il territorio nazionale, superando in tal modo i differenti approcci che le regioni hanno assunto come evidenziato nelle premesse, introducendo l'esenzione dal ticket sugli esami clinici ed i farmaci, nonché per la riabilitazione e per la prevenzione di ulteriori aggravamenti, per i pazienti affetti dalla citata sindrome;
   quali iniziative intenda assumere per sostenere la ricerca di cure mirate per alleviare la sintomatologia provocata dalla fibromialgia. (4-01060)

  Risposta. — La fibromialgia (FM) è oggetto di un numero crescente di richieste di assistenza sanitaria, di segnalazioni da parte di associazioni di pazienti e di iniziative parlamentari, volte soprattutto a richiedere maggiore attenzione da parte delle Istituzioni e della classe medica; ciò che maggiormente viene lamentato è la scarsa conoscenza della patologia, ancora poco nota al di fuori degli ambienti specialistici.
  Tali questioni sono da tempo all'attenzione del Ministero della salute, che ha attentamente vagliato tutte le istanze pervenute.
  Non sussistono, attualmente, i presupposti per una collocazione della fibromialgia tra le patologie soggette a specifica tutela (decreto ministeriale n. 329 del 1999), in quanto permane un'oggettiva difficoltà ad identificare correttamente le forme cliniche da prendere in considerazione nel rispetto dei criteri previsti dal decreto legislativo n. 124 del 1998 (gravità clinica, grado di invalidità ed onerosità), con conseguente impossibilità di effettuare una corretta valutazione riguardante tale inserimento rispetto al profilo sia economico che organizzativo.
  Inoltre, allo stato attuale delle conoscenze, risulta particolarmente difficile individuare prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale rispondenti ai criteri previsti dal decreto legislativo n. 124 del 1998 (appropriatezza efficacia, onerosità del costo del trattamento), che siano effettiva- mente utili per il monitoraggio e per la prevenzione degli eventuali aggravamenti, anche considerando che il trattamento consigliato è prevalentemente farmacologico.
  In ogni caso gli assistiti, al pari degli altri cittadini, possono già usufruire di tutte le prestazioni contenute nei livelli essenziali di assistenza (LEA), erogabili attraverso le strutture del servizio sanitario nazionale.
  Per quanto concerne le iniziative che il Ministero intende assumere per sostenere la ricerca di cure relative a tale patologia, va segnalato il fatto che, ormai da anni, il Ministero della salute persegue una politica meritocratica riguardo alla presentazione ed al finanziamento dei progetti di ricerca.
  Come si può ricavare dalla lettura del sito istituzionale, all'indirizzo www.salute.gov.it/bandi/documenti/bando-finalizzata-2010.pdf, il finanziamento della ricerca finalizzata non comporta la preindividuazione di progetti di ricerca specifici, da sviluppare poi a cura degli enti finanziati.
  Al contrario, i destinatari istituzionali (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico-RCCS, regioni, istituti zooprofilattici sperimentali-IZS, Istituto superiore di sanità-ISS, eccetera), o i singoli ricercatori ad essi affiliati, presentano progetti di loro interesse, che saranno poi valutati ciascuno da tre «
referee» anonimi.
  Pertanto, solo i progetti migliori potranno accedere al finanziamento.
  Vi è pertanto, la massima libertà per la comunità scientifica di stabilire le priorità nella scelta dei progetti e nella valutazione degli stessi, nella convinzione che il mondo della ricerca sia il miglior giudice delle tematiche da sviluppare e delle modalità con le quali realizzarle.
  Inoltre, anche gli Irccs, finanziati dal Ministero per mezzo dei fondi annuali per la ricerca corrente, possono presentare progetti di ricerca con gli stessi requisiti e, anche in questo caso, il Ministero della salute si astiene da ogni scelta, limitandosi alla predisposizione di generiche linee di ricerca che poi saranno sviluppate dagli istituti in piena autonomia.

Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   MIGLIORE e PIAZZONI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, recante interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri, convertito con modificazioni nella legge 17 febbraio 2012, n. 9, all'articolo 3-ter, ha fissato al 1° febbraio 2013 il termine per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG);
   il medesimo articolo 3-ter aveva stabilito, in ogni caso, al 31 marzo 2013, la data entro la quale le regioni avrebbero dovuto organizzare e disciplinare il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, attraverso le aziende sanitarie, con la presa in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale dei soggetti attualmente presenti in tali istituti;
   nonostante tale previsione, gli ospedali psichiatrici giudiziari presenti sul nostro territorio hanno continuato e continuano ad operare, in aperta violazione dei diritti degli internati anche per le pessime condizioni strutturali e di carenza di personale che caratterizzano la gestione di alcuni ospedali psichiatrici giudiziari;
   le regioni, nel tempo, non sembrano esser state messe in condizione alcuna per il rispetto della scadenza stabilita nel provvedimento che, peraltro, segna un passaggio particolarmente delicato a causa del rischio che le nuove strutture prefigurino, in miniatura, dei manicomi giudiziari, in tal modo avallando l'equazione sofferenza mentale = pericolosità, che da più di 30 anni la legge n. 180 tenta di sradicare;
   va segnalato, tra l'altro, che il decreto del Ministero della salute contenente il riparto di finanziamento tra le regioni dei fondi per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, decisivo nel percorso che porterà alla nascita delle nuove strutture residenziali che sostituiranno gli ospedali psichiatrici giudiziari – e che prevede una somma totale di 173.807.991 di euro suddivisa in 117.055.955 per il 2012 e 56.752.036 per il 2013 per la realizzazione e riconversione delle strutture – è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale solo in data 7 febbraio 2013;
   il ritardo sui tempi di attuazione di quanto previsto in relazione alla chiusura degli OPG, che non può non essere considerato grave in considerazione della situazione che vivono quotidianamente le persone che si trovano in dette strutture, appare certo, considerato che il Consiglio dei ministri, in data 21 marzo 2013, ha disposto con un decreto-legge la proroga di un anno per la definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari;
   indispensabile e doveroso sembrerebbe, a questo punto, ancorare quantomeno il rinvio a precisi impegni rispettosi delle sentenze 253/2003 e 367/2004 della Corte Costituzionale – alla base dell'intervento del legislatore sul superamento degli OPG – in relazione al vincolo di destinazione dei finanziamenti per i programmi regionali e delle Asl rispetto alle dimissioni per gli internati «in proroga», con l'obbligo di presa in carico da parte della Asl, nonché all'esecuzione di misure di sicurezza alternative agli ospedali psichiatrici giudiziari;
   ai sensi dell'articolo 3-ter del decreto-legge n. 211 del 2011 spetta al Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza provvedere al monitoraggio e alla verifica degli interventi necessari al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari –:
   quali iniziative i Ministri interrogati abbiano assunto nel tempo per verificare che le regioni realizzassero senza indugio quanto di competenza per l'attuazione della riforma relativa alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e, in particolare, per garantire la presa in carico dei malati da parte dei dipartimenti di salute mentale, assicurando il diritto alle cure e al reinserimento sociale, stabiliti dalla nostra Costituzione e dalla normativa vigente;
   quali iniziative siano state adottate finora per consentire alle ASL di prendere in carico le persone internate facendole dimettere all'interno di progetti terapeutico-riabilitativi-individuali;
   se i Ministri interrogati, in considerazione della proroga di una anno per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari disposta con decreto-legge, approvato in sede di Consiglio dei Ministri del 21 marzo 2013, non ritengano – in linea con quanto stabilito dalle sentenze della Corte Costituzionale 253/2003 e 367/2004 – di vincolare il rinvio a tempi certi, mettendo in opera tutte le iniziative all'uopo necessarie, nonché a precisi impegni, quali la priorità assoluta dei programmi regionali e delle Asl rispetto ai finanziamenti per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari con destinazione vincolata, da un lato, alla dimissione per tutte le persone internate «in proroga» con l'obbligo di presa in carico da parte dell'Asl e, dall'altro, all'esecuzione di misure di sicurezza alternative agli ospedali psichiatrici giudiziari. (4-00096)

  Risposta. — A partire dal 1o aprile 2014, le persone nei cui confronti sono state applicate misure di sicurezza (ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario; assegnazione a casa di cura e custodia) non potranno più essere ospitate negli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) presenti nel territorio nazionale (Castiglione delle Stiviere, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto).
  Per l'attuazione di quanto previsto nella normativa vigente in merito al percorso di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari ed all'utilizzo dei fondi in conto capitale e di parte corrente allo scopo stanziati, è stato attivato presso il Ministero della salute un gruppo di lavoro che esamina e valuta tutti i programmi che provengono dalle regioni.
  Tutte le regioni hanno inviato il programma previsto per l'assegnazione dei 173 milioni di euro in conto capitale nei tempi stabiliti (15 maggio 2013), ad eccezione della regione Veneto per la quale, pertanto, è stata avviata la procedura di commissariamento indicata dall'articolo 1, comma 1, lettera
e) del decreto-legge 25 marzo 2013, n. 24, recante «Disposizioni urgenti in materia sanitaria» come convertito dalla legge 23 maggio 2013, n. 57.
  Tutti gli altri programmi valutati hanno richiesto alcune integrazioni per essere considerati pienamente rispondenti ai requisiti stabiliti, inclusa la parte relativa alla descrizione di percorsi terapeutico/riabilitativi personalizzati per ogni detenuto sottoposto a misura di sicurezza detentiva in OPG. Ovviamente attenta analisi è stata fatta per la parte strutturale delle nuove residenze previste (definite Rems-Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza), a valenza sanitaria, con al massimo 20 p.l. ciascuna, e con sola vigilanza perimetrale.
  Ogni programma valutato positivamente è stato inviato al Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) per il necessario concerto, che consente il trasferimento effettivo dei fondi assegnati a ciascuna regione. Ad oggi sono ritornati già approvati anche dal Ministero dell'economia e delle finanze i piani delle regioni Emilia-Romagna, Marche Sardegna, Liguria, Lazio, Campania, Calabria, Friuli Venezia Giulia.
  Sono in fase di concerto i piani delle regioni Piemonte, Toscana ed Umbria consorziate, Sicilia, Puglia.
  Per quanto riguarda le regioni Lombardia e Valle d'Aosta consorziate, questo Ministero è in attesa della delibera di giunta della regione Lombardia di approvazione del programma definitivo. Analoga delibera si attende dalla regione Basilicata. Per le regioni Abruzzo e Molise consorziate si è in attesa del provvedimento di approvazione del relativo accordo interregionale siglato il 18 settembre 2013.
  Si segnala anche che le previsioni per la realizzazione delle Rems indicano tempi che vanno dai 18 ai 24 mesi dall'approvazione dei progetti esecutivi.
  Le due province autonome di Trento e Bolzano non ricevono fondi, ma gli uffici del Ministero della salute verificheranno ugualmente quali misure siano state prese per garantire una adeguata presa in carico dei propri pazienti.
  In alcuni casi, le cifre stanziate non sono state destinate dalle regioni interamente alle esigenze strutturali, ma in parte utilizzate per il potenziamento dei dipartimenti di salute mentale (DSM), e quindi per misure alternative alla detenzione. Per l'utilizzo di questa specifica quota le regioni invieranno i programmi di dettaglio.
  Per quanto riguarda i fondi della parte corrente (38 milioni per il 2012 e 55 milioni per il 2013, assegnati con delibere Cipe), i programmi di utilizzo da parte delle regioni non sono sottoposti ad esplicita scadenza di legge, e la destinazione, in linea di massima, è legata al funzionamento delle citate Rems. Tuttavia, si prevede che saranno inseriti ulteriori elementi sul potenziamento dei percorsi riabilitativi territoriali alternativi alla detenzione.
  Preciso che il 9 ottobre 2013 ho firmato i decreti di approvazione dei programmi presentati dalle regioni Campania, Calabria, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Sardegna, per la realizzazione delle strutture sostitutive ai fini di garantire il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari.
  Il 10 ottobre 2013, inoltre, sono stati convocati gli assessori regionali alla salute e i loro delegati presso il Ministero della salute.
  Nel corso dell'incontro, i rappresentanti delle diverse regioni hanno potuto illustrare i propri progetti, le relative difficoltà di realizzazione, le iniziative conseguenti per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari.
  A seguito dell'incontro, è stata inviata una lettera agli stessi assessori, con la quale si sollecita l'invio agli uffici competenti del Ministero dei programmi concernenti lo stato di attuazione di quanto nel dettaglio disposto dalla legge n. 57 del 2013.
  L'acquisizione di questi programmi consentirà al Ministero di avere un quadro complessivo delle iniziative e degli interventi previsti per garantire il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, anche in vista della predisposizione della relazione da presentare in Parlamento entro il prossimo 30 novembre.
  Si ricorda, inoltre, che quanto previsto dalla normativa in merito alle dimissioni di tutti coloro che, già internati in ospedale psichiatrico giudiziario possono proseguire il proprio percorso in ambiente esterno ed in carico ai dipartimenti di salute mentale competenti per territorio, viene progressivamente e costantemente attuato dalle regioni.
  Prosegue, infatti, la dimissione di coloro ai quali questo procedimento può essere applicato, con presa in carico da parte dei servizi territoriali della regione di provenienza della persona.
  Di fatto, questo comporta la riduzione del numero di persone ancora in ospedale psichiatrico giudiziario che nell'arco degli ultimi anni è sceso con ritmo costante.
  A supporto di questo processo, questo Ministero ha anche finanziato, con fondi del centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, un progetto di ricerca che sta promuovendo la formazione del personale degli ospedali psichiatrici giudiziari all'uso di strumenti validati e standardizzati per migliorare la qualità della valutazione psichiatrica e psicologica dei pazienti.

Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   MONGIELLO, ANTEZZA e OLIVERIO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di settembre del 2012 si è verificato un innalzamento anomalo di casi di malattia da epatite A con il raggiungimento del picco massimo nel trimestre febbraio-marzo-aprile di quest'anno;
   il sistema di sorveglianza Seieva (sistema epidemiologico integrato dell'epatite virale acuta) ha rilevato in questo periodo 417 casi di epatite A acuta, contro i 167 casi notificati nel corrispondente intervallo di tempo dell'anno precedente. Nello stesso periodo anche i sistemi di allerta europei epidemic intelligence di informazione per le malattie trasmesse da alimenti e acqua (Epis-Fwd) e il Centro europeo per il controllo delle malattie istituito dalla Commissione europea (Ewrs) hanno focalizzato l'attenzione su due focolai;
   l'incremento di casi di epatite A sono stati inizialmente correlati, come ipotesi, al consumo di frutti di bosco surgelati di importazione extra-UE;
   in tali circostanze, nel mese di maggio 2013, il Ministero della salute ha convocato un gruppo multidisciplinare cui sono affidati diversi compiti: dall'individuazione della fonte dell'infezione al controllo della diffusione della malattia;
   anche a seguito del verificarsi di alcuni casi di infezione con incriminazione dei frutti di bosco, il Ministero della salute ha attivato il sistema di allerta europeo diffondendo la notizia in rete dei casi riscontrati e dei prodotti incriminati. Risultava infatti che i frutti di bosco confezionati in Italia erano preparati con materia prima proveniente dalla Bulgaria, Polonia, Serbia e Canada;
   dai dati disponibili attualmente, secondo notizie riportate dai mezzi di comunicazione, tra cui «Il fatto alimentare» l'allerta per l'epidemia di epatite A causata dall'ingestione di frutti di bosco surgelati contaminati avrebbe coinvolto altri Paesi oltre l'Italia dove sono state distribuite le confezioni contaminate, si tratta del Belgio, della Svizzera, della Gran Bretagna, dell'Olanda, della Spagna e della Svizzera. Ciò emergerebbe dal sistema di allerta europeo Rasff che ha diramato un aggiornamento dell'avviso pubblicato in rete il 26 giugno 2013 relativi ai quattro dossier (2013.0880 - 2013.0756 - 2013-0757 - 2013.0694);
   la vicenda sembra ancora assai controversa e lontana dall'essere risolta, non essendo ancora state identificate le cause del focolaio;
   il Ministro della salute, anche a seguito delle sollecitazioni poste dal citato Il Fatto Alimentare, ha diramato un elenco di prodotti, preparati con frutti di bosco surgelati, e ritirati dal mercato consigliando di non consumare frutti di bosco surgelati crudi –:
   di quali informazioni aggiornate dispongano, ciascuno per le proprie competenze, in ordine alla presunta causa della contaminazione dei frutti di bosco surgelati provenienti da Paesi esteri, all'origine della diffusione del virus dell'epatite A;
   quali urgenti iniziative di competenza intendano adottare affinché siano resi evidenti ai consumatori, sia il pericolo cui vanno incontro in caso di contrazione del virus dell'epatite A sia l'elenco dei prodotti ritirati dal mercato, in quanto contenenti frutti di bosco surgelati presunto vettore del virus dell'epatite A. (4-01590)

  Risposta. — L'epatite A è una malattia infettiva acuta virale che colpisce il fegato, a trasmissione prevalentemente oro-fecale.
  In Italia si verificano epidemie o casi sporadici, legati al consumo di alimenti (ad esempio, frutti di mare crudi o poco cotti, vegetali e frutta) o acqua (ad esempio di pozzo) contaminati. Tale malattia è endemica soprattutto nelle regioni meridionali, dove è più diffusa la pratica di consumare frutti di mare crudi.
  In Italia, l'epatite A è una malattia soggetta a notifica obbligatoria con le modalità di classe II, secondo quanto previsto dal decreto ministeriale 15 dicembre 1990.
  Nel mese di aprile 2013 sono state segnalate, tramite il Sistema europeo di epidemic intelligence per le malattie trasmesse da alimenti e acqua (EPIS-FWD) ed il Sistema di allerta rapida della Commissione europea (EWRS), due «cluster» internazionali di epatite A: il primo in pazienti dei paesi nord-europei («cluster» legato al consumo di fragole surgelate, di importazione extra-U.E.-virus HAV genotipo IB); il secondo in turisti di rientro dall'Egitto (virus HAV genotipo IB diverso da quello coinvolto nel primo «cluster»).
  All'inizio di maggio, attraverso gli stessi Sistemi di vigilanza, sono stati segnalati 15 casi di epatite A in turisti stranieri, residenti in Germania, Olanda e Polonia, che avevano soggiornato nelle province autonome di Trento e Bolzano tra marzo ed aprile, periodo compatibile con l'incubazione della malattia.
  I due sopra citati focolai epidemici di epatite A, risultano essere privi di collegamento con il focolaio italiano, essendo provocati da virus di genotipo IB:
   1. nel primo focolaio, tra ottobre 2012 e aprile 2013, sono stati segnalati 71 casi, di cui 28 confermati (ceppo HAV genotipo IB) in 4 paesi del Nord Europa (Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia). La fonte di infezione è stata individuata epidemiologicamente in fragole surgelate di importazione extra-Ue;
   2. nel secondo focolaio, da novembre 2012 ad aprile 2013, si sono verificati 80 casi di epatite A, di cui 15 confermati (ceppo HAV genotipo IB, diverso da quello isolato nel focolaio precedente) in 6 paesi (Danimarca, Inghilterra, Germania, Olanda, Norvegia e Svezia) in turisti di rientro dall'Egitto. Nessuna fonte di infezione specifica è stata ancora individuata, ma tutti i pazienti hanno viaggiato in Egitto nel periodo di esposizione.

  Sulla base di tali risultanze, è stata costituita a fine maggio 2013 la task force interdisciplinare composta da personale del Ministero della salute, dell'Istituto superiore di sanità e dell'istituto zooprofilattico sperimentale (IZS) della Lombardia e dell'Emilia Romagna, a cui sono stati affidati i seguenti compiti:
   1. indagine epidemiologica sui casi umani (studio dell'epidemia e studio caso-controllo per valutare i possibili veicoli di infezione);
   2. analisi di laboratorio sui campioni umani per genotipizzare e sequenziare i virus, isolati dai casi, nel territorio nazionale, valutando la presenza di più fonti indipendenti di infezione;
   3. identificazione delle marche e lotti di frutti di bosco contaminati con HAV e/o potenzialmente associati a casi di epatite A ed indagini di tracciabilità sugli alimenti sospetti, in collaborazione con le regioni e con paesi terzi;
   4. analisi di laboratorio sui campioni di alimenti per l'identificazione della presenza del HAV, la sua genotipizzazione e sequenziamento, in collaborazione con gli IIZZSS situati nelle varie regioni italiane;
   5. ispezioni negli stabilimenti che confezionano frutti di bosco congelati che sono stati trovati positivi alla ricerca del HAV, al fine di identificare eventuali criticità nella catena produttiva e raccogliere informazioni fondamentali in merito alla formulazione di ipotesi sulla possibile contaminazione primaria;
   6. elaborazione e disseminazione di protocolli di campionamento delle matrici alimentari di origine vegetale, in particolare dei frutti di bosco;
   7. validazione e disseminazione del metodo ISO/TS 15216 per la ricerca del virus HAV nelle matrici alimentari.

  In applicazione dei citati punti 2 e 4, sono stati confrontati, mediante genotipizzazione e sequenziamento, i virus individuati negli alimenti e nei pazienti.
  Complessivamente è emerso che di 106 casi sequenziati, 49 presentano la stessa sequenza virale (definita sequenza «
outbreak»), di genotipo 1A.
  Tale sequenza è risultata identica a quella ottenuta da un campione di frutti di bosco positivo al rilevamento del virus dell'epatite A, suggerendo fortemente che tale alimento possa essere la fonte di infezione. Inoltre, 19 casi presentano una sequenza fortemente correlata alla sequenza «
outbreak». Pertanto, il 64 per cento dei casi analizzati (68/106) presentano una sequenza virale che indica fortemente una fonte comune di infezione.
  In applicazione del citato punto 3, le indagini condotte indicano come fonte più probabile della contaminazione i ribes rossi di provenienza polacca. Gli esiti delle indagini sono stati comunicati al punto di contatto dell'allerta in Polonia ed alla commissione Ue con la richiesta di effettuare le ulteriori indagini
in loco.
  In data 29 luglio 2013, questo Ministero ha inviato agli assessorati regionali alla sanità ed agli uffici ministeriali di sanità marittima e di frontiera una nota con cui sono state fornite informazioni ed indicazioni per il prelievo ai fini di controllo ufficiale di campioni presso gli stabilimenti che trattano frutti di bosco e presso la frontiera, con preghiera di diffusione della nota stessa alle associazioni di categoria ed agli altri enti interessati. Tali misure, proporzionali al livello di rischio evidenziato, risultano idonee ad individuare eventuali ulteriori lotti di prodotto non conforme. Le indicazioni rivolte agli operatori del settore alimentare sono utili alla predisposizione/revisione di programmi di autocontrollo aziendale, basati sull'analisi dei pericoli e punti critici di controllo.
  Le indagini sino ad oggi condotte nel nostro Paese hanno evidenziato un incremento di casi, prevalentemente concentrato in 7 regioni del nord Italia (province autonome di Trento e Bolzano, Emilia Romagna, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Veneto), dove si registra il 57 per cento dei casi del 2013. Un incremento importante è stato rilevato anche in Puglia dove, peraltro, regolarmente si verificano focolai epidemici, in genere associati al consumo di frutti di mare. Dal mese di giugno 2013 si rileva un progressivo decremento del numero dei casi rispetto ai mesi precedenti (il picco dell'epidemia si è avuto nel mese di maggio).
  Sui 752 casi di epatite A notificati dal 1o gennaio al 31 agosto 2013, hanno dichiarato di aver mangiato frutti di bosco 229 pazienti (30,4 per cento dei casi); di questi, 51 hanno mangiato anche frutti di mare.
  Al fine di descrivere meglio l'epidemia in corso ed individuare la fonte comune dell'infezione, l'Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha condotto uno studio epidemiologico analitico in alcune regioni particolarmente interessate dall'incremento dei casi (Friuli Venezia Giulia, provincia autonoma di Trento, provincia autonoma di Bolzano, Emilia Romagna, Puglia), che ha permesso di evidenziare che i frutti di bosco rappresentano il fattore di rischio più associato alla malattia durante l'epidemia. Il consumo di frutti di mare crudi ed i viaggi sono, invece, riconosciuti come fattori di rischio normalmente associati alla malattia in Italia.
  Inoltre, l'analisi dei campioni clinici di casi confermati di epatite A, inviati all'ISS dal 28 maggio 2013 all'8 agosto 2013, ha permesso di evidenziare che 103/150 (69 per cento dei casi) presentano la sequenza virale «
outbreak» o una sequenza altamente correlata, di genotipo IA. Ciò indica una fonte comune di infezione. La sequenza del virus isolato da un campione di frutti di bosco surgelati, identica a quella dei casi, suggerisce fortemente che tale alimento possa essere la fonte di infezione. Nei rimanenti 47/150 (31 per cento dei casi) si osserva la presenza di ceppi non correlati alla sequenza «outbreak» di genotipo IA e IB.
  Per quanto riguarda le indagini condotte sugli alimenti, in particolare sui frutti di bosco, in quanto risultano la più probabile fonte d'infezione, si è proceduto al ritiro dal mercato nazionale dei lotti di frutti di bosco contaminati ed al richiamo, a mezzo stampa e media, di quelli già acquistati, al fine di tutelare la popolazione ed informarla del rischio connesso al loro consumo.
  Infatti, allo scopo di minimizzare il rischio per il consumatore, dall'inizio di giugno 2013 sul sito internet del Ministero della salute sono state pubblicate pagine informative con le raccomandazioni per il consumo dei frutti di bosco e le informazioni riguardanti le caratteristiche del virus dell'epatite A, le modalità di trasmissione ed il decorso della malattia.
  Inoltre, per consentire un efficace richiamo delle confezioni eventualmente acquistate e ancora conservate nei congelatori domestici, è stato pubblicato nelle sezioni «avvisi di sicurezza» e «
News e Media» l'elenco dei prodotti oggetto di allerta, ritirati e richiamati dal mercato, identificati da: nome commerciale, ditta produttrice, numero di notifica, motivo delle misure di richiamo, lotto e termine minimo di conservazione. La pagina è costantemente aggiornata secondo i progressi delle indagini.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   NASTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato sul quotidiano «Il Sole-24 Ore», del 27 ottobre 2013 i centri di identificazione ed espulsione – Cie sono un modello ormai fallito, in considerazione del fatto che dai dati aggiornati qualche giorno fa, si rileva che per il numero degli immigrati clandestini 1.851 posti in tutta Italia, i migranti rinchiusi sono meno di un terzo;
   il medesimo articolo evidenzia inoltre, che la tale problematica, sotto l'osservazione del Sottosegretario per l'interno con la delega all'immigrazione Domenico Manzione, è inserita in una bozza del testo di revisione di alcune norme della legge cosiddetta «Bossi-Fini», stilato dal Ministro per l'integrazione Cecile Kyenge, in cui si ipotizza la riduzione della permanenza degli immigrati nei centri, il cui periodo andava da 6 a 18 mesi quando il titolare del Viminale era Roberto Maroni;
   i dati attuali, prosegue il suddetto quotidiano, evidenziano che, l'attuale periodo così lungo determina, secondo il parere del medesimo Sottosegretario, perdita di lucidità e di controllo degli immigrati clandestini; molti di essi peraltro sono già abituati a vivere dietro le sbarre da diversi anni; pertanto, occorre ridurre il periodo di permanenza all'interno dei centri di identificazione ed espulsione;
   i danni e la distruzione di numerose strutture, continua l'articolo del «Sole-24 Ore», quali Bari, Crotone, Modena, Bologna, Brindisi, Torino, Gorizia ed altre città dove la capienza si è ridotta della metà, a causa dei locali danneggiati e delle sedi inagibili per lavori, confermano come il periodo di permanenza all'interno dei centri di identificazione ed espulsione e la gestione di un fenomeno così complesso ed articolato come l'immigrazione clandestina nel nostro Paese impongono a giudizio dell'interrogante, un'analisi sociale ed economica rigorosa ed approfondita;
   a parere dell'interrogante, se il problema, delle condizioni drammatiche più volte denunciate negli ex Cpt, attuali centri di identificazione ed espulsione le cui strutture, seppure con nomi analoghi, sono presenti in tutti gli Stati d'Europa, risulta indubbiamente importante, appare altrettanto rilevante conoscere quale siano le eventuali nuove forme di organizzazione a livello nazionale e i tempi di permanenza, relativi ai centri di trattenimento degli stranieri sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera, nel caso in cui il provvedimento non sia immediatamente eseguibile, al fine della tutela e della sicurezza del territorio nazionale e della comunità non soltanto italiana –:
   se trovi conferma quanto esposto in premessa e come intenda delineare le nuove strutture dei centri di identificazione ed espulsione ed i tempi di permanenza, al fine di un'adeguata ed efficiente conciliazione con la tutela e la sicurezza del territorio e della comunità esistente in Italia. (4-02325)

  Risposta. — Il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione (Cie) è necessario affinché le rappresentanze diplomatiche dei paesi terzi effettuino il riconoscimento dei loro connazionali privi di documenti e forniscano la documentazione per il rimpatrio. All'ingresso nel centro, lo straniero è tenuto a compilare un modulo con il quale viene informato che il periodo di trattenimento verrà ridotto al tempo strettamente necessario, qualora egli collabori alla propria identificazione (ad esempio, producendo originale o copia del passaporto, oppure un altro documento identificativo corredato di fotografia). Pertanto, se la persona trattenuta è collaborativa, la presenza nel centro di identificazione ed espulsione è di breve durata. Decorsi i primi 180 giorni, la proroga della misura per ulteriori 12 mesi è possibile solo nel caso in cui – nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo – il rimpatrio non sia stato ancora effettuato, a causa di una mancanza di collaborazione da parte dello straniero, ovvero di ritardi nel rilascio del lasciapassare da parte del Paese di origine.
  Peraltro, l'efficacia della misura è dimostrata dal fatto che, negli ultimi due anni, la percentuale di stranieri allontanati dall'Italia dopo il collocamento nei centri di identificazione ed espulsione è stata elevata (50,16 per cento nel 2011 e 50,54 per cento nel 2012); mentre quella delle persone dimesse dai centri perché non identificate è stata di poco più del 9 per cento nel 2011 e del 5 per cento nel 2012. Anche per il 2013 la percentuale degli allontanati continua a essere elevata (il 47 per cento circa), mentre quella dei dimessi per mancata identificazione resta sempre di poco superiore al 5 per cento.
  La normativa nazionale opera conformemente al regolamento (CE) n. 562 del 2006, che istituisce il codice comunitario Schengen relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, e alla direttiva 2008/115/CE, la cui finalità è di consentire l'effettivo allontanamento dello straniero che soggiorna illegalmente nel territorio di uno Stato membro attraverso una procedura equa e trasparente, con decisioni da adottare caso per caso, sulla base di criteri obiettivi e senza limitarsi a considerare il semplice fatto del soggiorno irregolare.
  La partenza volontaria dello straniero è preferita rispetto al rimpatrio coatto, a condizione che non vi sia motivo di ritenere che ciò possa compromettere il suo effettivo allontanamento, secondo un meccanismo di espulsione a intensità graduale crescente. Nel caso di un cittadino extracomunitario che si presume non lascerà mai volontariamente il territorio dell'Unione europea, invece, si procede all'effettivo allontanamento. Infatti, se si configura il rischio che lo straniero si renda irreperibile, oppure laddove sia pericoloso per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, o qualora abbia presentato una domanda di soggiorno rigettata in quanto manifestamente infondata o fraudolenta, egli viene immediatamente rimpatriato. In tale ipotesi, si procede all'accompagnamento forzato alla frontiera.
  Più in generale, con riferimento alle politiche in materia di immigrazione e asilo, si assicura che l'obiettivo del Governo è di garantire l'accoglienza materiale e giuridica degli stranieri che giungono nel nostro Paese, senza trascurare l'aspetto di sicurezza che deriva in termini di rischio dagli sbarchi. Inoltre, il Ministero dell'interno svolge un costante monitoraggio sulle condizioni di vita all'interno dei centri di identificazione ed espulsione, sia direttamente sia tramite le prefetture territorialmente competenti. In particolare, viene verificata la regolarità dei servizi appaltati, nonché l'effettiva erogazione dell'assistenza socio-sanitaria, psicologica e infermieristica, finalizzata a garantire la salute psico-fisica degli immigrati. In caso di accertato disservizio, le stesse prefetture applicano una penale e, in caso di grave inadempienza, hanno la facoltà di risolvere il contratto, come più volte avvenuto nei mesi scorsi.
  Proprio al fine di garantire il rispetto dei diritti umani e civili degli stranieri presenti all'interno dei centri di identificazione ed espulsione il Ministero dell'interno si avvale anche della collaborazione di organismi
ad hoc – come il Garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, la Croce rossa italiana, l'agenzia dell'ONU per i rifugiati e la Caritas – con i quali le singole prefetture stipulano apposite convenzioni. Inoltre, sono state istituite apposite commissioni presso ciascuno dei centri governativi, con il compito di svolgere opportune verifiche con cadenza periodica.
  Infine, gli episodi di tensione e i disordini che hanno recentemente interessato alcuni dei centri di identificazione ed espulsione dislocati sul territorio nazionale dimostrano chiaramente che sussiste l'esigenza di intraprendere iniziative finalizzate ad assicurare migliori standard di accoglienza e un maggiore livello di sicurezza, sia degli ospiti che degli operatori. In tal senso, senza arrivare a ipotizzare una soppressione di tali strutture – che appaiono ancora necessarie sotto diversi profili – si ritiene che possano essere riviste alcune modalità di funzionamento dei centri di identificazione ed espulsione. Al riguardo, si possono immaginare sia interventi in via amministrativa, sia iniziative normative.
  Sotto il primo profilo, compatibilmente con le risorse economiche disponibili, si potrà intervenire sui criteri posti a base d'asta per l'aggiudicazione degli appalti di gestione, anche modificando l'elenco dei servizi previsti dall'attuale capitolato unico. Ulteriori iniziative, come la necessità di rafforzare l'espletamento dell'attività di identificazione già in carcere – in considerazione del fatto che molti dei cittadini stranieri trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione provengono da istituti di detenzione – dovranno essere attentamente valutate con le altre amministrazioni coinvolte. Eventuali percorsi normativi di più ampio respiro – come la riduzione dei tempi di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione – necessitano invece di un sostanziale contributo parlamentare. Tutte le iniziative saranno comunque finalizzate a garantire il pieno rispetto dei diritti e della dignità degli stranieri che entrano nel nostro Paese, nonché la massima trasparenza ed efficienza da parte dei soggetti cui è affidata la gestione.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PIAZZONI, NICCHI, DI SALVO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, FRATOIANNI e PANNARALE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge del 25 marzo 2013, n. 24, così come convertito dalla legge 23 maggio 2013, n. 57, ha stabilito — al comma 1, lettera b), dell'articolo 1 — che la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari debba avvenire a partire dal 1° aprile 2014;
   a tal fine, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano avrebbero dovuto presentare entro il 15 maggio 2013 i programmi che consentissero il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, non solo mediante interventi strutturali, ma anche favorendo la cura e il reinserimento sociale dei degenti, con una loro effettiva presa in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale;
   in particolare, il comma 1, lettera c), dell'articolo citato, stabilisce che il programma regionale debba prevedere, oltre a interventi strutturali, attività volte a incrementare la realizzazione di percorsi terapeutico-riabilitativi, definendo prioritariamente tempi certi e impegni precisi per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, prevedendo inoltre la dimissione di tutte le persone internate per le quali l'autorità giudiziaria abbia già escluso o escluda la sussistenza della pericolosità sociale, con l'obbligo per le aziende sanitarie locali di presa in carico all'interno di progetti terapeutico-riabilitativi individuali che assicurino il diritto alle cure e al reinserimento sociale;
   nella norma è inoltre previsto che il programma regionale deve favorire il ricorso a misure di sicurezza alternative al ricovero in ospedali psichiatrici giudiziari o all'assegnazione a casa di cura e custodia;
   il comma 1, lettera e) del medesimo articolo prevede, altresì, che in caso di mancata presentazione del programma regionale o mancato completamento dello stesso nel termine stabilito, il Governo debba provvedere in via sostitutiva, nominando a tal fine un commissario unico per tutte le regioni per le quali si rendono necessari gli interventi sostitutivi;
   il dettato della norma prevede chiaramente che, alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, non debba far seguito una riproduzione su scala regionale degli stessi, né alcun tipo di soluzione manicomiale territoriale, bensì piccole residenze socio-sanitarie inserite nei contesti sociali, anche di natura transitoria, per un progressivo avvicinamento delle persone ai territori di provenienza, ma soprattutto che sia favorito il loro reinserimento sociale mediante programmi terapeutico-riabilitativi individuali e misure alternative all'internamento, attraverso la presa in carico dei servizi di salute mentale territoriali;
   considerata la mancata presentazione del programma sopra descritto entro il termine stabilito dalla legge di conversione del predetto decreto-legge, la 23 maggio 2013, n. 57, da parte della regione Veneto, la diversa articolazione dei programmi inviati dalle altre regioni al Ministero, nonché i tempi e gli impegni che la legge stessa impone per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, anche alla luce dello stanziamento di risorse in conto capitale, in deroga all'articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67, per la realizzazione delle finalità del decreto-legge n. 57 del 2013, sarebbe doveroso, ad avviso degli interroganti, un chiarimento al più presto del Ministro interrogato riguardo le iniziative da intraprendere in caso di presentazione di programmi inidonei –:
   se i programmi regionali inoltrati al Ministero contemplino l'utilizzo dei finanziamenti stanziati, non solo per edificare nuove strutture, ma anche per realizzare tutte le previsioni di reinserimento sociale dei degenti tramite potenziamento dei dipartimenti territoriali di salute mentale;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere nel caso in cui i programmi predetti non siano stati presentati o non risultino sufficientemente articolati e idonei a realizzare il complesso delle previsioni normative della legge 23 maggio 2013, n. 57. (4-01309)

  Risposta. — A partire dal 1o aprile 2014, le persone nei cui confronti sono state applicate misure di sicurezza (ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario; assegnazione a casa di cura e custodia) non potranno più essere ospitate negli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) presenti nel territorio nazionale (Castiglione delle Stiviere, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino, Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto).
  Per l'attuazione di quanto previsto nella normativa vigente in merito al percorso di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari ed all'utilizzo dei fondi in conto capitale e di parte corrente allo scopo stanziati, è stato attivato presso il Ministero della salute un gruppo di lavoro che esamina e valuta tutti i programmi che provengono dalle regioni.
  Tutte le regioni hanno inviato il programma previsto per l'assegnazione dei 173 milioni di euro in conto capitale nei tempi stabiliti (15 maggio 2013), ad eccezione della regione Veneto per la quale, pertanto, è stata avviata la procedura di commissariamento indicata dall'articolo 1, comma 1, lettera e), del decreto-legge 25 marzo 2013, n. 24, recante «Disposizioni urgenti in materia sanitaria» come convertito dalla legge 23 maggio 2013, n. 57.
  Tutti gli altri programmi valutati hanno richiesto alcune integrazioni per essere considerati pienamente rispondenti ai requisiti stabiliti, inclusa la parte relativa alla descrizione di percorsi terapeutico/riabilitativi personalizzati per ogni detenuto sottoposto a misura di sicurezza detentiva in ospedali psichiatrici giudiziari. Ovviamente attenta analisi è stata fatta per la parte strutturale delle nuove residenze previste (definite Rems-Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza), a valenza sanitaria, con al massimo 20 p.l. ciascuna, e con sola vigilanza perimetrale.
  Ogni programma valutato positivamente è stato inviato al Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) per il necessario concerto, che consente il trasferimento effettivo dei fondi assegnati a ciascuna regione. Ad oggi sono ritornati già approvati anche dal Ministero dell'economia e delle finanze i piani delle regioni Emilia-Romagna, Marche, Sardegna, Liguria, Lazio, Campania, Calabria, Friuli Venezia Giulia.
  Sono in fase di concerto i piani delle regioni Piemonte. Toscana ed Umbria consorziate, Sicilia, Puglia.
  Per quanto riguarda le regioni Lombardia e Valle d'Aosta consorziate, questo Ministero è in attesa della delibera di giunta della regione Lombardia di approvazione del programma definitivo. Analoga delibera si attende dalla legione Basilicata. Per le regioni Abruzzo e Molise consorziate si è in attesa del provvedimento di approvazione del relativo Accordo interregionale siglato il 18 settembre 2013.
  Si segnala anche che le previsioni per la realizzazione delle Rems indicano tempi che vanno dai 18 ai 24 mesi dall'approvazione dei progetti esecutivi.
  Le due province autonome di Trento e Bolzano non ricevono fondi, ma gli uffici del Ministero della salute verificheranno ugualmente quali misure siano state prese per garantire una adeguata presa in carico dei propri pazienti.
  In alcuni casi, le cifre stanziate non sono state destinate dalle regioni interamente alle esigenze strutturali, ma in parte utilizzate per il potenziamento dei dipartimenti di salute mentale (DSM), e quindi per misure alternative alla detenzione. Per l'utilizzo di questa specifica quota le regioni invieranno i programmi di dettaglio.
  Per quanto riguarda i fondi della parte corrente (38 milioni per il 2012 e 55 milioni per il 2013, assegnati con delibere CIPE), i programmi di utilizzo da parte delle regioni non sono sottoposti ad esplicita scadenza di legge, e la destinazione, in linea di massima, è legata al funzionamento delle citate Rems. Tuttavia, si prevede che saranno inseriti ulteriori elementi sul potenziamento dei percorsi riabilitativi territoriali alternativi alla detenzione.
  Preciso che il 9 ottobre 2013 ho firmato i decreti di approvazione dei Programmi presentati dalle regioni Campania, Calabria, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Sardegna, per la realizzazione delle strutture sostitutive ai fini di garantire il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari.
  Il 10 ottobre 2013, inoltre, sono stati convocati gli assessori regionali alla salute e i loro delegati presso il Ministero della salute.
  Nel corso dell'incontro, i rappresentanti delle diverse regioni hanno potuto illustrare i propri progetti, le relative difficoltà di realizzazione, le iniziative conseguenti per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari.
  A seguito dell'incontro, è stata inviata una lettera agli stessi assessori, con la quale si sollecita l'invio agli uffici competenti del Ministero dei programmi concernenti lo stato di attuazione di quanto nel dettaglio disposto dalla legge n. 57 del 2013.
  L'acquisizione di questi programmi consentirà al Ministero di avere un quadro complessivo delle iniziative e degli interventi previsti per garantire il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. Anche in vista della predisposizione della Relazione da presentare in Parlamento entro il prossimo 30 novembre.
Si ricorda, inoltre, che quanto previsto dalla normativa in merito alle dimissioni di tutti coloro che, già internati in ospedali psichiatrici giudiziari, possono proseguire il proprio percorso in ambiente esterno ed in carico ai DSM competenti per territorio, viene progressivamente e costantemente attuato dalle regioni.
  Prosegue, infatti, la dimissione di coloro ai quali questo procedimento può essere applicato, con presa in carico da parte dei servizi territoriali della regione di provenienza della persona.
  Di fatto, questo comporta la riduzione del numero di persone ancora in ospedali psichiatrici giudiziari, che nell'arco degli ultimi anni è sceso con ritmo costante.
  A supporto di questo processo, questo Ministero ha anche finanziato, con fondi del centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, un progetto di ricerca che sta promuovendo la formazione del personale degli ospedali psichiatrici giudiziari all'uso di strumenti validati e standardizzati per migliorare la qualità della valutazione psichiatrica e psicologica dei pazienti.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di marzo e aprile 2013 numerosi cinghiali presenti nella zona montana della Val Sesia e della Val d'Ossola, in Piemonte, hanno mostrato segni di avvelenamento da radiazioni legate al cesio 137;
   quest'isotopo ha contaminato buona parte del vecchio continente 27 anni fa, a seguito dell'incidente avvenuto nella centrale nucleare di Chernobyl (Ucraina) il 26 aprile del 1986, durante il quale si è sprigionata una nube radioattiva che, anche a seguito delle ripetute precipitazioni, ha determinato un fall out non trascurabile soprattutto nelle regioni dell'arco alpino del nostro Paese;
   secondo recenti studi dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA) del Piemonte, la contaminazione dei cinghiali non può essere legata alla presenza di scorie nucleare nei due siti di Trino e Saluggia, in provincia di Vercelli;
   segni di contaminazione da cesio 137 sono presenti anche negli animali selvatici che vivono nel territorio austriaco, come riportato dall'articolo, pubblicato il 23 maggio 2013, del quotidiano Il Piccolo di Trieste dal titolo «Cinghiali radioattivi a ventisette anni da Chernobyl». Come si apprende dal giornale, il Ministro austriaco della salute Alois Stöger ha recentemente risposto a un'interpellanza parlamentare affermando che negli ultimi cinque anni su 350 esami effettuati dall'Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza alimentare (Ages) per verificare la presenza di cesio 137 su cervi e cinghiali, in due circostanze sono stati riscontrati valori superiori ai 600 becquerel per chilogrammo, una soglia oltre la quale la carne non può più essere consumata;
   nella vicina Baviera, in Germania, tre anni fa l'ufficio per la salute e la sicurezza alimentare ha riscontrato la presenza di cesio 137 in 9 dei 56 esemplari presi in esame e in alcuni campioni è stata rilevata la concentrazione di 1300 becquerel per chilogrammo, una quantità molto superiore ai 600 becquerel consentiti per gli alimenti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della presenza, nel territorio nazionale, di animali selvatici contaminati da radiazioni nucleari e se intendano avviare, di concerto con le regioni, tutti gli accertamenti del caso per comprendere l'estensione e l'origine di detta contaminazione, a tutela della salute dei cittadini. (4-00596)

  Risposta. — Il Ministero della salute, non appena venuto a conoscenza della problematica delineata nell'interrogazione parlamentare in esame, ha immediatamente indetto una riunione di coordinamento con i carabinieri dei nuclei antisofisticazioni e sanità (NAS) e del nucleo operativo ecologico (NOE) che, in seguito, si sono coordinati con la procura della Repubblica di Vercelli.
  Inoltre, il Ministero ha convocato una riunione con le regioni e province autonome (assessorati alla Salute), l'istituto superiore di sanità (ISS), gli istituti zooprofilattici sperimentali e le altre amministrazioni ed enti facenti parte delle reti di monitoraggio della radioattività (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, agenzie regionali per la protezione ambientale).
  Dalle informazioni acquisite, risulta che le regioni dell'arco alpino, area maggiormente esposta alla nube radioattiva legata all'incidente di Chernobyl del 1986, effettuano specifici piani di monitoraggio sulla contaminazione radioattiva da Cesio, sia in selvaggina che in altri prodotti di raccolta spontanei.
  Questo Ministero ha ritenuto necessario costituire un gruppo di lavoro ristretto con tutti i soggetti istituzionali coinvolti nella tematica della radioattività ambientale ed alimentare, al fine di:
   raccogliere tutti i dati disponibili, sia su campioni ambientali che alimentari;
   valutare i dati a disposizione, compresi i dati sulla distribuzione territoriale del Cesio, individuando, in particolare, le zone dell'arco alpino in cui si è verificato il maggiore «fall-out» di radionuclidi;
   valutare i diversi fattori di rischio per la popolazione (per esempio consumo di carne di selvaggina o prodotti spontanei nella dieta, altitudine, densità della popolazione, presenza di insediamenti zootecnici ed attività agricole, comportamenti della popolazione selvatica), nonché individuare l'eventuale dose assorbita di radiazione.

  Sulla base di quanto è emerso dal gruppo di lavoro, sono state definite delle procedure operative per approfondire la conoscenza del livello regionale di radioattività ambientale da Cesio degli ecosistemi naturali e semi-naturali, quali foreste e superfici boschive, attraverso l'utilizzo di indicatori biologici, quali funghi, bacche e cinghiali selvatici.
  Tali procedure, concordate con le regioni e le province autonome dell'arco alpino, hanno come punto di partenza l'individuazione di aree territoriali presumibilmente a maggiore contaminazione da radiocesio, a seguito dell'incidente di Chernobyl del 1986, in cui eseguire il prelievo, accuratamente georeferenziato, di cinghiali, funghi ipogei ed epigei e frutti di bosco.
  Il monitoraggio dei prodotti coinvolge, in primis, le aree dell'arco alpino, ad altitudini variabili dai 400 metri ai 1.600 metri.
  Campionamenti supplementari sono lasciati alla discrezionalità delle autorità regionali e provinciali, quali attività di sorveglianza a lungo termine, da programmare nell'ambito del piano nazionale integrato.
  Per gli aspetti di rilievo regionale, la prefettura di Trieste ha segnalato che, nella regione Friuli Venezia Giulia, dal 2007 nel piano regionale di campionamento alimenti per il controllo della radioattività ambientale è stata inserita la matrice «prodotti di raccolta spontanea e selvaggina».
  Tale piano prevede il campionamento da parte delle aziende di matrici alimentari al consumo.
  Il piano prevede il prelievo di 2 campioni a trimestre per ciascuna delle 6 aziende sanitarie presenti nel territorio regionale (in totale 48 campioni all'anno).
  Le misure di questi campioni alimentari di prodotti di raccolta spontanea e selvaggina prelevati al consumo non hanno mai fornito risultati superiori al limite di commercializzazione di 600 Bq/Kg.
  La presenza di cesio-137, dell'ordine al massimo di qualche decina di Bq/Kg, è stata riscontrata, oltre che nella carne di cinghiale, anche nella carne di altra selvaggina, quale per esempio il capriolo.
  Oltre alle misure sulle matrici alimentari al consumo, l'azienda regionale per la Protezione dell'Ambiente del Friuli Venezia Giulia effettua da anni campionamenti su varie matrici ambientali, al fine di avere una fotografia aggiornata dell'impatto che la ricaduta, avvenuta a seguito dell'incidente di Chernobyl, ha ancora sul territorio.
  In particolare, vengono misurati annualmente un centinaio di campioni di funghi, commestibili e non, prelevati in una decina di stazioni sparse nel territorio regionale.
  Ad anni alterni, vengono prelevati in una decina di stazioni campioni di suoli indisturbati, sia boschivi che di prato, al fine di determinare la concentrazione superficiale di cesio 137 e la sua migrazione in profondità.
  Tutti questi campionamenti nel corso degli anni hanno permesso di avere un quadro realistico ed aggiornato della contaminazione da cesio 137 del territorio regionale, evidenziando alcune zone con contrazione ancora elevata.
  A seguito del rinvenimento di cinghiali contaminati da cesio 137 in Val Sesia, l'ARPA ha proceduto immediatamente, in collaborazione con gli assessorati caccia e pesca, al reperimento di campioni di cinghiali locali.
  I risultati delle misure effettuate su questi campioni sono contenuti nella tabella che si allega alla risposta (disponibile presso il Servizio Assemblea) due campioni superano il valore di 600 Bq/Kg.
  Tuttavia, nonostante le elevate concentrazioni riscontrate in uno dei due campioni risultati superiori al limite, dal punto di vista dell'impatto dosimetrico la situazione non desta eccessive preoccupazioni per la popolazione. Infatti, per raggiungere il limite di legge anche ipotizzando il caso peggiore, cioè una contaminazione di 5000 Bq/Kg, sarebbe necessario consumare un quantitativo annuale di 10-15 Kg di carne, corrispondente a circa 50-70 porzioni: una circostanza decisamente improbabile per la popolazione.
  Inoltre, in aggiunta a quanto già previsto dal piano regionale di campionamento alimenti per il controllo della radioattività ambientale, è stato chiesto alle aziende sanitarie di consegnare 2 ulteriori campioni di selvaggina prelevati sempre al consumo.
  Per quanto riguarda la situazione in Piemonte, la prefettura di Torino ha comunicato che, ad integrazione di quello previsto dalla programmazione annuale, l'agenzia regionale per la protezione ambientale del Piemonte ha promosso una campagna di monitoraggio straordinario per acquisire una migliore conoscenza della sussistenza dell'isopo radioattivo Cs 137.
  I risultati completi della campagna, tuttora in corso, saranno disponibili entro la fine del 2013: sono stati presi in esame campioni ambientali (suolo ed acqua) ed alimentari (latte di alpeggio, funghi, frutti di bosco). Al momento attuale, peraltro, non sono stati rilevati dati anomali rispetto ai valori di contaminazione già noti.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   REALACCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sulla stampa nazionale, sui media della rete e in particolare da due articoli pubblicati da «Il Fatto Quotidiano» e «La Stampa» rispettivamente il 7 e l'8 marzo 2013, si apprende che tracce di Cesio 137, oltre la soglia prevista dal regolamento in caso di incidente nucleare, sono stati trovati nella lingua e nel diaframma di 27 cinghiali del comprensorio alpino della Valsesia, in provincia di Vercelli;
   le analisi sono state compiute su campioni di capi abbattuti nel 2012/2013. Dopo i risultati il Ministro della salute ha attivato i carabinieri del Nas e del Noe;
   i campioni erano stati prelevati per essere sottoposti ad una indagine sulla trichinellosi, una malattia parassitaria che colpisce prevalentemente suini e cinghiali. In seguito gli stessi campioni sono stati sottoposti a un test di screening per la ricerca del radionuclide Cesio 137, così come previsto dalla raccomandazione della Commissione europea (2003/274/CE). I risultati hanno però evidenziato la presenza di un numero consistente di campioni con livelli di Cesio 137 superiori a 600 Becquerel per Kilo;
   come sostiene, Aldo Grasselli – segretario nazionale del Sindacato italiano veterinari medicina pubblica, è importante ricordare che: «i cinghiali sono degli animali sentinella delle condizioni di inquinamento dei territori in cui vivono, perché ci forniscono delle informazioni precise grazie ad un certo modo si sfruttare l'ambiente. Quindi una contaminazione degli animali deve richiedere approfondimenti e analisi del contesto ambientale, meteorologico e idrogeologico in cui vivono» –:
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati per indagare sulla vicenda dei cinghiali contaminati dal Cesio 137 e se intendano estendere i controlli a tutte le regioni italiane ed altresì verificare se i reparti specializzati dei carabinieri e dei veterinari di sanità pubblica abbiano gli strumenti adeguati e le risorse utili ad un'analisi approfondita per un puntuale monitoraggio della fauna e dell'ambiente, stante anche il fatto che nei pressi della Valsesia insistono due siti nucleari: la centrale di Trino Vercellese smantellata nel 1987 e il sito sperimentale dell'Enea a Saluggia (VC). (4-00017)

  Risposta. — Il Ministero della salute, non appena venuto a conoscenza della problematica, ha immediatamente indetto una riunione di coordinamento con i carabinieri dei nuclei antisofisticazioni e sanità (NAS) e del Nucleo Operativo Ecologico (NOE) che, in seguito, si sono coordinati con la procura della Repubblica di Vercelli.
  Inoltre, il Ministero ha convocato una riunione con le regioni e province autonome (assessorati alla salute), l'ISS, gli Istituti zooprofilattici sperimentali e le altre amministrazioni ed enti facenti parte delle reti di monitoraggio della radioattività (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, agenzie regionali per la protezione ambientale).
  Dalle informazioni acquisite risulta che le regioni dell'arco alpino, area maggiormente esposta alla nube radioattiva legata all'incidente di Chernobyl del 1986, effettuano specifici piani di monitoraggio sulla contaminazione radioattiva da Cesio sia in selvaggina che in altri prodotti di raccolta spontanei.
  Questo Ministero ha ritenuto necessario costituire un gruppo di lavoro ristretto con tutti i soggetti istituzionali coinvolti nella tematica della radioattività ambientale ed alimentare al fine di:
   raccogliere tutti i dati disponibili, sia su campioni ambientali che alimentari;
   valutare i dati a disposizione, compresi i dati sulla distribuzione territoriale del Cesio, individuando in particolare le zone dell'arco alpino in cui si è verificato il maggiore fall-out di radionuclidi;
   valutare i diversi fattori di rischio per la popolazione (per esempio consumo di carne di selvaggina o prodotti spontanei nella dieta, altitudine, densità della popolazione, presenza di insediamenti zootecnici ed attività agricole, comportamenti della popolazione selvatica) nonché individuare l'eventuale dose assorbita di radiazione.

  Sulla base di quanto è emerso dal gruppo di lavoro sono state definite delle procedure operative per approfondire la conoscenza del livello regionale di radioattività ambientale da cesio degli ecosistemi naturali e semi-naturali, quali foreste e superfici boschive, attraverso l'utilizzo di indicatori biologici, quali funghi, bacche e cinghiali selvatici.
  Tali procedure, concordate con le regioni e le province autonome dell'arco alpino, hanno come punto di partenza l'individuazione di aree territoriali presumibilmente a maggiore contaminazione da radiocesio, a seguito dell'incidente di Chernobyl del 1986, in cui eseguire il prelievo, accuratamente georeferenziato, di cinghiali, funghi ipogei ed epigei e frutti di bosco.
  Il monitoraggio dei suddetti prodotti provenienti coinvolge, in primis, le aree dell'arco alpino, ad altitudini dai 400 metri ai 1.600 metri.
  Campionamenti supplementari sono lasciati alla discrezionalità delle autorità regionali e provinciali, quali attività di sorveglianza a lungo termine, da programmare nell'ambito del piano nazionale integrato.
  Il Servizio veterinario effettua il prelievo di muscolo, presso centri di raccolta e/o di lavorazione selvaggina, sui cinghiali cacciati nell'ambito di piani di abbattimento selettivo. Pertanto, tale attività non comporta alcun carico aggiuntivo alle normali attività di controllo ufficiale tese a garantire la tutela della salute pubblica, ad esempio, i controlli ufficiali relativi alla presenza di trichine nelle carni.
  Anche nel caso di cinghiali abbattuti durante l'attività di caccia di selezione, i Servizi veterinari hanno la piena e fattiva collaborazione di cacciatori formati, che provvedono ad inviare il muscolo prelevato al servizio veterinario dell'Asl (per l'inoltro al laboratorio deputato) o direttamente all'I.Z.S. competente per territorio.
  Per quanto riguarda la situazione in Piemonte, la prefettura di Torino ha comunicato che, ad integrazione di quanto già previsto dalla programmazione annuale, l'agenzia regionale per la protezione ambientale del Piemonte ha promosso una campagna di monitoraggio straordinario, per acquisire una migliore conoscenza della sussistenza dell'isopo radioattivo Cs 137.
  I risultati completi della campagna, tuttora in corso, saranno disponibili entro la fine del 2013: sono stati presi in esame campioni ambientali (suolo ed acqua) ed alimentari (latte di alpeggio, funghi, frutti di bosco). Al momento attuale, peraltro, non sono stati rilevati dati anomali rispetto ai valori di contaminazione già noti.
Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   ROSATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 41 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, sull'ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, prevede per l'accesso ai ruoli direttivi il requisito della laurea magistrale in ingegneria o architettura, mentre lascia alla discrezionalità della commissione la valutazione del titolo di laurea per il conseguimento dei relativi punteggi nei concorsi interni per la progressione di carriera;
   in particolare, nelle procedure concorsuali interne, i titoli di studio vengono valutati con punteggio pieno ovvero dimezzato a seconda dell'attinenza dell'area didattica in cui è stata conseguita la laurea alla qualifica e alle funzioni rivestite nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   tale apprezzamento viene svolto dal presidente della commissione giudicante di turno sulla base di considerazioni personali, senza che sia stata prodotta in questi anni una uniformità di comportamento tra concorsi e tra aree geografiche;
   preme segnalare la variegata casistica relativa alla laurea in scienze geologiche, la quale è stata valutata attinente alle funzioni del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, con conseguente assegnazione del punteggio pieno, solo in isolate e sporadiche occasioni;
   all'interrogante risulta che il Ministero dell'interno abbia condiviso con il Consiglio nazionale dei geologi il sicuro interesse del Corpo nazionale dei vigili del fuoco per le competenze proprie della figura professionale del geologo, peraltro, in considerazione del sempre maggiore coinvolgimento dei vigili del fuoco in scenari di dissesto idrogeologico;
   l'interrogante segnala che diversi atenei italiani indicano nel manifesto degli studi del corso di laurea in scienze geologiche, quale sbocco professionale possibile anche il lavoro presso amministrazioni pubbliche responsabili della sicurezza e della prevenzione delle emergenze; anche a parere dell'interrogante, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, quale componente fondamentale del servizio di protezione civile, può trarre vantaggio dall'impiego di figure professionali esperte di processi geologici, capaci di rilevare le pericolosità geologiche e di analizzarne il rischio. Un tale arricchimento delle competenze del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco consentirebbe di implementare l'attività di prevenzione delle emergenze, soprattutto di quelle che con sempre maggiore frequenza si susseguono nel Paese –:
   se il Ministro intenda promuovere iniziative proprie atte ad uniformare su tutto il territorio nazionale la valutazione circa l'attinenza del titolo di studio con le funzioni del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   se, nell'ambito dell'intervento appena richiamato, il Ministro ravveda la necessità di sottolineare l'importanza che vi siano all'interno del Corpo nazionale dei vigili del fuoco figure professionali esperte in processi geologici, e tal fine valuti pienamente attinente la laurea in scienze geologiche con le funzioni proprie del Corpo. (4-01017)

  Risposta. — Si premette che l'articolo 9 della legge 27 dicembre 1941, n. 1570, istitutiva del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ha previsto il reclutamento degli «ufficiali» del Corpo, ora costituenti il ruolo dei direttivi e dirigenti, tra i soli possessori della laurea in ingegneria.
  La legge 5 dicembre 1988, n. 521, al comma 12 dell'articolo 11, aveva previsto, in via transitoria, per un solo concorso pubblico bandito all'epoca, una quota di riserva, pari al 20 per cento dei posti, in favore del personale interno in possesso della laurea in architettura o in scienze geologiche. Il decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, al Titolo II, capo I, comma d) dell'articolo 41, ha ribadito, tra i requisiti per l'accesso al ruolo dei direttivi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il possesso della laurea in ingegneria o architettura e ciò in linea con la legge delega n. 252 del 30 settembre 2004. In particolare, nelle procedure di riqualificazione interne, il relativo bando di concorso stabilisce il valore specifico da attribuire ai titoli di studio ovvero i criteri di valutazione degli stessi titoli che possono essere «ridotti della metà nel caso non siano coerenti con l'attività professionale della qualifica messa a concorso».
  Il suddetto inciso è stato interpretato non avendo riguardo solo ai complessivi fini istituzionali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, bensì all'attività propria del profilo a concorso.
  Tale giudizio, infatti, spetta alla singola commissione esaminatrice che, in piena discrezionalità, determina nel merito come debba intendersi la pertinenza dei titoli e la coerenza con l'attività professionale della qualifica messa a concorso.
  Su questi rilievi, è stato adottato il criterio valutativo di ritenere coerenti esclusivamente i diplomi di istruzione secondaria superiore ad indirizzo tecnico scientifico quali titoli di studio idonei a consentire l'accesso alla qualifica di vice ispettore antincendi, nonché, in analogia, le lauree (ingegneria ed architettura) per l'accesso al ruolo dei direttivi, quale percorso logicamente e funzionalmente connesso con i ruoli dei capi squadra, dei capi reparto, degli ispettori e sostituti direttori antincendi.
  In tali qualifiche si articola il personale non direttivo e non dirigente che espleta funzioni tecnico-operative.
  Alla luce delle disposizioni richiamate, l'inclusione della laurea in scienze geologiche tra i titoli di accesso al ruolo dei direttivi e dirigenti del Corpo potrà essere riconsiderata in occasione di modifica del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   ROSATO e BLAZINA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che sabato 13 luglio un convoglio della società «Inrail» di Genova, proveniente dall'est Europa e contenente materiale ferroso, è risultato essere positivo al test anti-radioattività svolto a norma di legge, alla stazione ferroviaria di Opicina (Trieste);
   secondo le prime indiscrezioni, il vagone avrebbe superato di poco il valore di radioattività naturale, pur rimanendo al di sotto della soglia posta come limite dalle direttive europee, ma in via cautelativa sarebbe stato temporaneamente parcheggiato ad un binario a distanza di sicurezza;
   non è nota ancora la fonte di tale radioattività potendosi trattare di un piccolo elemento del materiale trasportato o finanche una parte del carro stesso;
   l'Arpa, l'agenzia per la protezione dell'ambiente del Friuli Venezia Giulia, sarebbe al lavoro per redigere il verbale da consegnare alla prefettura di Trieste per le valutazioni necessarie alla ricerca di una soluzione per la vicenda –:
   al termine degli approfondimenti del caso, quale sia risultata la fonte di radioattività;
   quali iniziative sono state assunte dalle autorità competenti per la sicurezza e tutela della salute delle popolazioni e dei lavoratori, nel rispetto della normativa e delle direttive europee. (4-01308)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riguardante la pericolosa vicenda di un convoglio della società Inrail di Genova proveniente dall'Est Europa, risultato positivo al test anti radioattività alla stazione ferroviaria di Opicina (Trieste), si fa presente quanto segue.
  In data 13 luglio 2013 la polizia ferroviaria in servizio presso lo scalo ferroviario di Villa Opicina riceveva una segnalazione dal personale della Protezione Aziendale R.F.I. sulla presenza di un carro trasportante materiale ferroso, che superava i limiti di radioattività.
  Il carro in questione proveniva dalla Romania ed era diretto alle Ferriere Nord di Osoppo (UD); quest'ultimo, a seguito del controllo radiometrico operato dal personale della ditta Multiproject s.r.l. di Gorizia, incaricata dall'impresa ferroviaria Inrail S.p.a., organizzatrice del convoglio, veniva scartato poiché i valori di radiazione risultavano superiori ai limiti di legge, non rappresentando, tuttavia, un pericolo per il personale impiegato nella movimentazione.
  Il personale del locale nucleo NBCR dei vigili del fuoco effettuava un nuovo controllo sulla radioattività, che confermava quanto rilevato dalla ditta Multiproject. Veniva, pertanto, allertato il personale dell'A.R.P.A. Friuli Venezia Giulia di Udine, che in data 15 luglio 2013 effettuava ulteriori controlli sulla contaminazione radioattiva; tali verifiche rilevavano la presenza di radio 226 quale contaminate, confermando valori di radioattività superiori al limite di legge, ma tali da non costituire pericolo alla movimentazione del carro, temporaneamente parcheggiato in sicurezza al binario 43.
  L'A.R.P.A. Friuli Venezia Giulia indicava nella relazione tecnica conclusiva dei controlli radiometrici la possibilità d'inviare a destinazione il carro, dove sarebbe stato bonificato a carico della ditta acquirente, Ferriere Nord di Osoppo, e sottoposto ad ulteriori accertamenti atti a stabilire se la radioattività riscontrata fosse da attribuire al carico trasportato, o al materiale rotabile.
  In data 1o agosto 2013, la prefettura di Trieste autorizzava la movimentazione del materiale rotabile fino alla suddetta destinazione con la prescrizione per il destinatario di effettuare lo scarico controllato di tutta la merce e di porre in essere ulteriori controlli radiometrici.
  Pertanto, il giorno 7 agosto 2013 l'impresa ferroviaria Inrail provvedeva a trasferire il carro fino a destinazione. Il giorno successivo veniva effettuato lo scarico controllato del materiale alla presenza del personale qualificato dell'A.R.P.A. e sulla merce scaricata non venivano rilevati valori di irraggiamento diversi dal fondo naturale di radiazione.
  Dopo la pulizia del pavimento del carro, sullo stesso veniva evidenziata una debole anomalia radioattiva, caratterizzata dagli stessi valori di attività di irraggiamento riscontrati in precedenza; pertanto, l'origine dell'anomalia veniva attribuita allo stesso materiale ferroviario, come incrostazioni o deposito di polveri accumulatesi in qualche cavità della struttura, ovvero in una parte del carro ferroviario realizzata con metallo contaminato.
  A seguito di ulteriore intervento di pulizia il materiale veniva sottoposto a controllo radiometrico automatizzato (portale), che non rilevava alcuna situazione di allarme, confermando ulteriormente l'intensità estremamente debole dell'anomalia riscontrata.
  Ad ogni buon conto, si trasmette in allegato la relazione conclusiva degli accertamenti effettuati dall'A.R.P.A. (disponibile presso il Servizio Assemblea).
Il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mareMarco Flavio Cirillo.


   SCHULLIAN, ALFREIDER, GEBHARD, PLANGGER e OTTOBRE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le borse di studio per la scuola primaria e secondaria e per la formazione professionale sono soggette all'imposta sul reddito;
   ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 476 del 1984, «sono esenti dall'imposta locale sui redditi e da quelle sul reddito delle persone fisiche le borse di studio cui all'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, e gli assegni di studio corrisposti dallo Stato ai sensi della legge 14 febbraio 1963, n. 80, e successive modificazioni, dalle regioni a statuto ordinario, in dipendenza del trasferimento alle stesse della materia concernente l'assistenza scolastica nell'ambito universitario, nonché dalle regioni a statuto speciale e dalle province autonome di Trento e Bolzano allo stesso titolo»;
   le borse di studio per la frequenza dei corsi di perfezionamento e di specializzazione post laurea (master di primo e secondo livello) nel resto d'Italia vengono concesse dalle università e queste per legge, come indicato sopra, sono già escluse dalla tassazione; non sono, invece, esentate le borse di studio per la formazione post laurea concesse dalle pubbliche amministrazioni e nella provincia autonoma di Bolzano è l'amministrazione provinciale competente a erogare tutte le forme di borse di studio;
   ne deriva che gli studenti della provincia di Bolzano risultano penalizzati rispetto al resto d'Italia poiché possono godere di un importo ridotto della borsa di studio a causa della tassazione ad essi applicata –:
   se il Governo intenda equiparare il trattamento fiscale di tutte le borse di studio erogate dagli enti pubblici di qualsiasi natura e dagli organismi di ricerca, in modo da renderle esenti dall'imposta locale sui redditi e da quella sul reddito delle persone fisiche e consentire così agli studenti di poter usufruire dell'intero importo della borsa di studio. (4-02332)

  Risposta. — Rispondo all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede di sapere se il Governo intenda equiparare il trattamento fiscale di tutte le borse di studio erogate dagli enti pubblici e dagli organismi di ricerca e renderle esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche.
  La questione riguarda il regime fiscale delle borse di studio, che è oggetto di norme di legge e, quindi, rientra nella disponibilità del legislatore piuttosto che dell'amministrazione. Espongo quindi sinteticamente la disciplina vigente, con particolare riferimento al caso della provincia di Bolzano, alla quale fa specifico riferimento l'interrogazione.
  Il regime fiscale delle borse di studio è effettivamente caratterizzato da diversità di trattamento, derivanti dalla coesistenza del regime generale di imponibilità e di ipotesi di esenzione.
  L'articolo 50, comma 1, lettera c), del Testo unico delle imposte sui redditi (adottato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) assimila ai redditi da lavoro dipendente «le somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario non è legato da rapporti di lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante», così prevedendo una generale assoggettabilità all'imposta sul reddito delle somme corrisposte a fini di studio e formazione professionale.
  Fermo restando tale principio, per quanto riguarda le borse di studio per la formazione universitaria e post-universitaria, la legislazione fiscale contempla anche una serie di esenzioni dalla suddetta imposta. In particolare, per quanto interessa in questa sede, ne risultano esenti, tra le altre, le borse di studio corrisposte:
   dalle regioni a statuto ordinario e speciale e dalle province autonome di Trento e Bolzano agli studenti universitari (articolo 4 della legge 13 agosto 1984, n. 476);
   dalle università e dagli istituti di istruzione universitaria a ordinamento speciale per la frequenza dei corsi di perfezionamento e delle scuole di specializzazione, per i corsi di dottorato di ricerca, per lo svolgimento di attività di ricerca dopo il dottorato e per i corsi di perfezionamento all'estero (articolo 6 della legge 30 novembre 1989, n. 398; articolo 4 della legge 3 luglio 1998, n. 210).

  Non è invece prevista, in termini generali, un'esenzione per le borse di studio destinate alla formazione post laurea, concesse dalle pubbliche amministrazioni.
  Lo speciale ordinamento della provincia autonoma di Bolzano prevede che sia l'amministrazione provinciale a erogare le borse di studio di qualsiasi tipo, con la conseguenza che le borse per la formazione post laurea, diversamente da quanto avviene nel caso in cui le stesse siano erogate dalle università, risultano effettivamente soggette a tassazione.
  Per quanto concerne l'ambito scolastico, con risoluzione 25 novembre 2009 dell'Agenzia delle entrate è stato chiarito che non rientrano nell'ambito applicativo del citato articolo 50, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi gli incentivi all'eccellenza previsti dal decreto legislativo 29 dicembre 2007, n. 262, erogati allo scopo di stimolare gli studenti delle scuole a conseguire una formazione culturale e professionale di livello più elevato.
  Tutto ciò premesso, ritengo che l'introduzione di un regime di esenzione dall'imposta sul reddito per tutte le borse di studio erogate dagli enti pubblici o dagli organismi di ricerca, anche all'interno di una più generale sistematizzazione del trattamento fiscale delle borse di studio, sia astrattamente auspicabile, ma comporti necessariamente la ponderazione di diverse esigenze, anche in relazione agli eventuali riflessi sulla finanza pubblica.
  La questione potrà essere oggetto di attenzione in sede parlamentare nell'ambito della riflessione attualmente in corso sulla rivisitazione dei regimi fiscali agevolati prevista dal disegno di legge recante «delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e mirato alla crescita», attualmente in discussione al Senato della Repubblica. In considerazione della natura legislativa delle fonti normative che regolano la materia, spetterà innanzitutto al Parlamento la valutazione di interventi al riguardo.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricercaMaria Chiara Carrozza.


   SERENI, ASCANI, GIULIETTI, VERINI, GALGANO, LAFFRANCO, GASPARINI, INCERTI, CINZIA MARIA FONTANA, FARAONE, MISIANI, BOLOGNESI, BRATTI, BELLANOVA, BOCCUZZI, CASELLATO, LODOLINI, CASATI, CARELLA, MIOTTO, SCALFAROTTO, GAROFANI, TULLO, FRAGOMELI, MANFREDI, ZAMPA, MARCHI, BENAMATI, MELILLI, AMENDOLA, CAUSI, LUCIANO AGOSTINI, MAURI e MARIANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in conformità con il parere istruttorio formulato dalla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell'Umbria e dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Umbria, ha espresso, in data 18 dicembre 2012, parere negativo alla richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale e di approvazione del progetto definitivo relativo alla realizzazione dello svincolo Menotre ricadente in località Scopoli, frazione di Foligno;
   si è appreso in questi giorni che lo svincolo suddetto non potrà essere inserito tra le opere finanziate dal Cipe secondo quanto previsto dal progetto definitivo presentato dalla società Quadrilatero Spa nell'ambito del Maxi Lotto n. 1 – lavori di completamento della direttrice strada statale 77 «Val di Chienti» Civitanova Marche-Foligno del sistema di viabilità «Asse viario Marche-Umbria e quadrilatero di penetrazione interna»;
   all'indomani del parere negativo del Ministero per i beni e le attività culturali immediata fu la mobilitazione delle popolazioni residenti nella Valle del Menotre e netta la presa di posizione dell'amministrazione comunale di Foligno che ribadì, con una mozione approvata dal consiglio comunale nel febbraio scorso, l'importanza e l'assoluta necessità dell'opera ritenendo lo svincolo indispensabile per la fruibilità della nuova arteria da parte dei residenti nei territori attraversati dalla Valdichienti anche considerando che la nuova strada rappresenta una concreta occasione di crescita e di sviluppo per la valle del Menotre e per il suo tessuto produttivo già fortemente provati dal disastroso sisma del 1997;
   alla notizia del mancato finanziamento dell'opera da parte del Cipe le popolazioni, di nuovo affiancate e sostenute dalle amministrazioni locali e dalla regione Umbria, hanno ripreso in questi giorni una massiccia mobilitazione, consapevoli del totale isolamento a cui sarebbero condannate se lo svincolo non dovesse essere realizzato e di aver peraltro subito gli enormi disagi legati alla realizzazione di un'infrastruttura di cui rischiano di non poter neanche usufruire;
   inoltre lo svincolo in questione è necessario anche per motivi di sicurezza perché la sua mancata realizzazione significherebbe avere diciotto chilometri di viadotti e gallerie senza la possibilità di un ingresso intermedio con ovvie ripercussioni anche sulla tempestività dei mezzi di soccorso, qualora se ne presentasse la necessità;
   in particolare la regione Umbria si è impegnata a convocare immediatamente un tavolo con tutti i soggetti interessati per trovare una soluzione ed evitare che una strada, che dovrebbe essere un elemento di unione, diventi invece motivo di isolamento di un intero territorio –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se abbia ulteriori elementi che consentano di comprendere precisamente quali siano i motivi che sembrano oggi ostacolare la realizzazione dello svincolo suddetto;
   se intenda costruire le condizioni per una soluzione sostenibile dal punto di vista ambientale ma che al tempo stesso corrisponda alle esigenze rappresentate dalle popolazioni del territorio e dalle amministrazioni locali;
   se, in particolare, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sia disponibile, alla luce di eventuali modifiche del progetto, a rivedere il parere negativo espresso in data 18 dicembre 2012. (4-02512)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si ritiene opportuno delineare sinteticamente le principali fasi dell'iter approvativo del progetto dello svincolo di Val Menotre (località Scopoli), nell'ambito dei lavori in corso sull'asse strada statale 77 «Val di Chienti» Foligno-Pontelatrave, il cui soggetto aggiudicatore è la società Quadrilatero Marche Umbria.
  La delibera del CIPE n. 13 del 2004 approvava il progetto preliminare della strada statale 77 Foligno-Pontelatrave con prescrizioni riguardanti il tracciato dell'asse nel tratto che interessa la Val Menotre. Con motivazioni di impatto archeologico, il CIPE in particolare richiedeva di spostare detto tratto più a est, verso Scopoli. La riprogettazione doveva prevedere la realizzazione di un collegamento alla strada statale 77 esistente «almeno per necessità di interventi di soccorso.
  Tenuto conto delle suddette prescrizioni, nell'ambito del progetto definitivo redatto dal contraente generale «Val di Chienti», il tracciato è stato riprogettato più ad est prevedendo un semisvincolo con rampe adeguate per il collegamento alla viabilità stradale in esercizio, al fine di garantire la fruibilità dell'infrastruttura al traffico locale in direzione da e per Foligno.
  Tuttavia, in sede di approvazione di tale progetto definitivo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rilevava che, non essendo stata effettuata la pubblicazione ai fini della valutazione di impatto ambientale, la procedura amministrativa non era stata perfezionata e pertanto, pur non ravvisando motivi ostativi dal punto di vista ambientale, richiese di stralciare il semisvincolo dalla approvazione rinviandolo a successiva procedura.
  Pertanto, con la delibera n. 83 del 2008 il CIPE ha approvato il progetto definitivo della strada statale 77 Foligno-Pontelatrave con lo stralcio del semisvincolo in oggetto riprogettato come sopra descritto. Con la citata delibera, il CIPE ha infatti disposto l'aggiornamento dello Studio di impatto Ambientale (SIA) ed una nuova pubblicazione, limitatamente a tale parte del progetto, ai fini della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera.
  Il contraente generale, su indicazione della società Quadrilatero, ha pertanto sviluppato il nuovo SIA dell'opera implementando il progetto del suddetto semisvincolo con ottimizzazioni finalizzate a migliorare e minimizzare l'impatto ambientale e paesaggistico dell'opera.
  Il nuovo Progetto definitivo del semisvincolo è stato ripubblicato al fine di pervenire all'approvazione da parte del CIPE. Tra luglio e settembre 2012 sono state avviate le procedure, ai sensi dell'articolo 166, comma 2 del decreto legislativo n. 163 del 2006, per l'ottenimento della pubblica utilità sulle aree interessate dall'opera e, ai sensi dell'articolo 167, comma 5 del medesimo decreto legislativo, per l'approvazione del progetto da parte del CIPE, con l'accertamento della compatibilità ambientale e della localizzazione dell'opera.
  In sede di conferenza di servizi, tenutasi il 18 dicembre 2012, sono stati acquisiti i pareri favorevoli degli enti e delle amministrazioni coinvolte. Unico parere negativo è pervenuto dal Ministero dei beni e delle attività culturali.
  In particolare, detto Ministero, sulla base del parere reso dalla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell'Umbria, ha espresso parere contrario «valutato l'impatto negativo molto rilevante e irreversibile dell'opera sul paesaggio e considerato che si tratta esclusivamente di uno svincolo posto a breve distanza da altri accessi, del quale si può quindi evitare la realizzazione senza compromettere la funzionalità della nuova infrastruttura viaria».
  La soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell'Umbria ha ritenuto, in definitiva, «che possa sussistere un rischio concreto di compromissione irreparabile dei valori paesaggistici, nonché un rischio per il delicato equilibrio dell'ecosistema montano di un paesaggio unico quale è quello della valle del fiume Menotre ...».
  Sulla base della presentazione di un nuovo progetto che superasse le criticità rilevate, il Ministero dei beni e le attività culturali ha comunque dichiarato la propria disponibilità a valutare la nuova proposta.
  Al riguardo, si fa presente che il 7 novembre 2013 la regione Umbria ha promosso un incontro, cui ha partecipato la medesima società Quadrilatero, al fine di esaminare l'iter progettuale dell'opera in argomento, presente tra gli altri la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell'Umbria.
  Nel corso della riunione sono state approfondite le motivazioni che hanno portato il Ministero dei beni e delle attività culturali ad esprimere parere negativo in merito al progetto, con lo scopo di individuare le eventuali azioni necessarie per rimuovere il veto e consentire la realizzazione dell'opera.
  In particolare, da parte della Soprintendenza regionale è stata espressa la disponibilità ad effettuare approfondimenti progettuali. In tale contesto la Quadrilatero ha offerto piena collaborazione nel procedere ad approfondimenti accogliendo eventualmente, ove richiesto, ulteriori modifiche progettuali da condividere con le autorità competenti.
  Nel concludere, questo Ministero, d'intesa con la regione Umbria, si è già attivato per l'istituzione di apposito tavolo tecnico con il Ministero dei beni e delle attività culturali e con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'individuazione di una definitiva soluzione condivisa della problematica.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiMaurizio Lupi.


   VECCHIO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Repubblica italiana, così come recita l'articolo 1 della nostra Costituzione, è «fondata sul lavoro»;
   il 31 luglio 2013 scadranno i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in proroga (come previsto dall'articolo 1, comma 400, della dalla legge n. 228 del 24 dicembre 2012) di circa 150.000 tra lavoratrici e lavoratori con posizioni contrattuali anomale nelle pubbliche amministrazioni. Si tratta, solo a titolo di esempio, di addetti agli sportelli per l'immigrazione di questure e prefetture, medici e infermieri del pronto soccorso ospedaliero, educatrici di asilo nido;
   è ormai indispensabile l'avvio di una seria riorganizzazione strutturale di tutta la pubblica amministrazione (precaria e no), che vagli competenze, capacità e resa dei dipendenti e che aiuti a determinare nuovi criteri di contrattualizzazione;
   ogni intervento dello Stato che sia solo sintomatico, tratta il problema in superficie senza risolverlo –:
   quali criteri il Governo abbia individuato o stia individuando per affrontare il tema complesso e dagli importanti risvolti sociali dei dipendenti precari nella pubblica amministrazione. (4-02491)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la scadenza dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato nella pubblica amministrazione, si evidenzia che sulla materia è intervenuto il decreto-legge 21 maggio 2013 n. 54 recante «Interventi urgenti in tema di sospensione dell'imposta municipale propria, di rifinanziamento di ammortizzatori sociali in deroga, di proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le pubbliche amministrazioni e di eliminazione degli stipendi dei parlamentari membri del Governo».
  In particolare, l'articolo 4, comma 4, del citato decreto dispone la proroga, sino al 31 dicembre 2013, dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, in essere di proroghe e rinnovi.
  Si fa inoltre presente che il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, all'articolo 4 contiene disposizioni dirette a rafforzare il principio secondo il quale nelle pubbliche amministrazioni il ricorso al lavoro flessibile è consentito esclusivamente per rispondere ad esigenze temporanee o eccezionali.
  A tal fine, il comma 6 dell'articolo in questione prevede la possibilità per le pubbliche amministrazioni – fino al 31 dicembre 2016 e comunque garantendo l'adeguato accesso dall'esterno, nonché il rispetto dei vincoli assunzionali previsti dalla normativa vigente –, di bandire procedure concorsuali, per titoli ed esami, per assunzioni a tempo indeterminato di personale non dirigenziale; tali procedure sono riservate esclusivamente a favore di coloro che, alla data di entrata in vigore del decreto, hanno maturato, negli ultimi cinque anni, almeno tre anni di servizio con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato alle dipendenze dell'amministrazione che emana il bando. Le procedure selettive possono essere avviate solo a valere sulle risorse assunzionali relative agli anni 2013, 2014, 2015 e 2016 anche complessivamente considerate, in misura non superiore al 50 per cento. Le graduatorie definite all'esito di tali procedure sono utilizzabili per assunzioni nel quadriennio 2013-2016.
  Inoltre, il comma 6-
quater prevede, per le regioni e i comuni che, per gli anni 2013, 2014, 2015 e 2016, hanno proceduto a indire procedure selettive pubbliche per titoli ed esami, la possibilità di procedere alla stabilizzazione, a domanda, del personale non dirigenziale assunto con contratto di lavoro a tempo determinato, sottoscritto a conclusione delle procedure indicate; il suddetto personale deve comunque aver maturato, alla data di entrata in vigore del decreto stesso, almeno tre anni di servizio alle dipendenze degli enti stessi negli ultimi cinque anni. Nelle more delle procedure di stabilizzazione i contratti di lavoro possono essere prorogati sino a conclusione delle procedure stesse e comunque non oltre il 31 dicembre 2016.
  Le citate disposizioni, nel favorire una maggiore valorizzazione della professionalità acquisita dal personale assunto a tempo determinato, rappresentano quindi un efficace strumento di riduzione del fenomeno dei «contratti a termine».

Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   ZACCAGNINI, L'ABBATE, MICILLO, MANLIO DI STEFANO, GALLINELLA, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DE ROSA, SIBILIA, SPADONI, MANTERO, DE LORENZIS, BONAFEDE, BIANCONI, SIMONE VALENTE, PARENTELA, D'AMBROSIO, MARZANA, ZOLEZZI, VALLASCAS e BENEDETTI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni gli enti pubblici responsabili della gestione della viabilità, come ANAS e province, tendono ad utilizzare per la pulizia delle strade erbicidi in modo massiccio e spesso incontrollato, piuttosto che metodi più tradizionali di falciatura manuale o meccanica;
   la motivazione di questa diffusa tendenza risiede, con tutta probabilità, sia in un risparmio economico sia in un'ottimizzazione del tempo da parte degli enti, tuttavia i rischi, derivanti dall'uso di diserbanti, per l'ambiente e per la salute umana non vengono, a parere dell'interrogante, adeguatamente tenuti in considerazione;
   diversi sono stati i casi segnalati dalle regioni italiane per l'uso e l'abuso di diserbanti utilizzati nella pulizia dei bordi delle strade;
   solo qualche giorno fa, ad esempio, la regione Sardegna, per voce dell'assessore all'ambiente Andrea Biancareddu ha chiesto all'ANAS di sospendere immediatamente il trattamento a base di diserbanti e di ritornare ai metodi più tradizionali per la pulizia dei bordi delle strade e delle cunette;
   l'utilizzo dei diserbanti, secondo quanto si legge nella nota della giunta sarda, produce conseguenze che appaiono lesive e mette in pericolo diritti fondamentali e costituzionalmente garantiti ovvero quelli alla «salute» e alla necessità di dover vivere in un ambiente sano;
   in particolare, sempre secondo quanto riferito da Biancareddu, il prodotto usato sembra essere un erbicida disseccante a base di glyphosate, che è la materia prima di numerose sostanze usate anche in agricoltura;
   il più diffuso erbicida a base di glyphosate è il Roundup, prodotto dalla multinazionale americana Monsanto e sul quale pesano molti dubbi circa la biodegradabilità e la capacità di non lasciare residui tossici dopo la sua applicazione. Proprio su questo prodotto, da alcune autorità sanitarie regionali è stato più volte disapprovato;
   Biancareddu afferma inoltre che l'uso di simili prodotti in aree che ricadono all'interno delle zone Siti di Importanza Comunitaria (Sic) e Zone Speciali di Conservazione (Zps) può produrre effetti nocivi a specie animali e vegetali poste sotto tutela specifica e, più in generale, possa arrecare danni gravi a insetti come le api, con il rischio di alterare la biodiversità e la funzionalità degli ecosistemi;
   pericoli vengono riscontrati anche per ciò che riguarda la salubrità delle acque e la sopravvivenza degli organismi acquatici, considerando che il diserbante rilasciato ai bordi delle strade va a mischiarsi con le acque che defluiscono dall'asfalto verso le cunette e attraverso queste può arrivare alle falde acquifere. L'irrorazione del glyphosate, infatti, è, secondo quanto affermato dal professor Fabio Taffetani, ordinario di botanica sistematica dell'università politecnica delle Marche «altamente vietata nei pressi dei corsi d'acqua e delle zone umide a causa della sua accertata tossicità, anche a basse concentrazioni, sugli organismi acquatici»;
   non possiamo dimenticare, inoltre, che distruggere completamente le piante ai bordi delle strade comprometterebbe anche la sicurezza del territorio, in quanto le radici, che con una falciatura tradizionale resterebbero intatte nel terreno vengono completamente distrutte dall'uso del diserbante, alzando il rischio di frane o smottamenti;
   diversi studi negli ultimi anni hanno dimostrato la nocività a tutto tondo degli erbicidi a base di glyphosate. In particolare, i prodotti a base di glyphosate sono biodegradabili solo in piccole percentuali – come si legge nella scheda informativa in materia di sicurezza del glyphosate; la sostanza non è prontamente biodegradabile e nell'ambiente e negli impianti di trattamento dei reflui viene degradato lentamente;
   secondo il rapporto ISPRA del 2013, glyphosate e il suo metabolita AMP sono tra gli inquinanti più abbondanti nelle acque superficiali; il glyphosate è devastante per la vegetazione in quanto tossico per tutte le piante verdi;
   infine, il glyphosate è riconosciuto da diversi studi come possibile causa di malformazioni fetali e fortemente sospettato di correlazione con l'insorgenza di tumori del tipo linfoma non-Hodgkin's (vedi rivista Cancer, 15 marzo 1999, studio svedese di Hardell e Eriksonn sulla connessione tra glifosate e linfoma non-Hodgkin);
   l'uso che viene fatto dall'ANAS e da numerose province del diserbante è spesso sistematico e copre superfici contigue lungo numerose strade nazionali e regionali, anche in aree protette o di elevato interesse paesaggistico, naturalistico e ambientale –:
   se, in base a quanto esposto in premessa il Ministro interrogato non intenda, nell'ambito delle proprie competenze e a tutela della salute e del nostro ecosistema, chiedere ai responsabili della gestione della viabilità, come ANAS e province, di attivarsi al fine di limitare il ricorso ad erbicidi altamente tossici, come il glyphosate per la manutenzione della viabilità;
   se non intenda, in ogni caso, escludere dalle aree protette o di particolare interesse naturalistico l'uso dei diserbanti, in modo da evitare danni alla salute per le popolazioni, nonché alla biodiversità animale e vegetale. (4-00227)

  Risposta. — In merito all'utilizzo della sostanza attiva glifosate (N-fosfonometil glicina) in prodotti destinati all'uso non agricolo ma civile, e pertanto impiegati nel diserbo di strade, canali di scolo, traversine ferroviarie ed aree non agricole, si fa presente che la sostanza attiva diserbante glifosate è inclusa nella lista comunitaria di sostanze ammesse all'impiego per l'utilizzo sia agricolo che civile.
  Esistono in commercio oltre 60 prodotti contenenti glifosate. Del prodotto «Roundup» esistono varie formulazioni basate su sali di glifosate diversi.
  I dati disponibili indicano che il glifosate è moderatamente persistente nel suolo, con un tempo di dimezzamento variabile fra 4 e 180 giorni. Il suo metabolita Ampa (acido aminometilfosfonico) è dotato di un'attività biologica di potenza paragonabile a quella del prodotto fitosanitario di provenienza. Pertanto, gli effetti tossici su organismi bersaglio si protraggono nel tempo e l'AMPA è più persistente del glifosate, in quanto ha un tempo di dimezzamento compreso tra 76 e 240 giorni.
  Con una media di oltre 1.500 tonnellate all'anno nel periodo 2004-2008, il glifosate è una delle sostanze più vendute a livello nazionale e la sua presenza nelle acque è confermata dai dati di monitoraggio nazionali e internazionali.
  In Francia, dove il monitoraggio viene effettuato da più lungo tempo e in tutta la rete nazionale, glifosate e AMPA sono tra le sostanze più rinvenute nelle acque superficiali. Le sostanze sono presenti anche nelle acque sotterranee, sebbene con frequenze più basse.
  Pertanto, i dati di monitoraggio disponibili dimostrano che glifosate e Ampa sono contaminanti accertati delle acque superficiali e sotterranee.
  Trattandosi di sostanze pericolose per l'ambiente acquatico, è necessaria una particolare cautela nell'utilizzo.
  Secondo quanto previsto nel documento di orientamento «Misure di mitigazione del rischio per la riduzione della contaminazione dei corpi idrici superficiali da deriva e ruscellamento», elaborato nel 2009 dal gruppo di lavoro
ad hoc della commissione consultiva per i prodotti fitosanitari del Ministero della salute, per proteggere i corpi idrici superficiali si dovrebbero interporre opportune aree di rispetto non trattate.
  I rischi per l'ambiente e per la salute umana derivanti dall'uso del glifosate sono stati attentamente valutati in fase di inclusione della sostanze attiva in allegato I alla direttiva 91/414/CEE del 15 luglio 1991, relativa all'immissione in commercio dei prodotti fitosanitari, che ne prevede anche l'utilizzo per il diserbo in ambito non agricolo.
  Tale valutazione è stata condotta secondo quanto previsto dai criteri comunitari, riportati nel decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, che ha recepito la citata direttiva. In particolare, la valutazione ha identificato diversi scenari di esposizione accettabili per operatori, astanti e lavoratori.
  La sostanza attiva glifosate si trova attualmente nella fase di nuova registrazione, essendo scaduti i termini di dieci anni dalla prima autorizzazione e la sua rivalutazione è a carico di una
task force composta da n. 27 aziende. Gli Stati membri che hanno in carico la valutazione sono Germania e Slovacchia.
  A livello nazionale, il Ministero della salute ha autorizzato l'immissione in commercio di diversi prodotti fitosanitari a base di glifosate, per ciascuno dei quali è stato valutato l'impatto sulla salute umana in base ai princìpi uniformi per la valutazione e l'autorizzazione dei prodotti secondo i criteri comunitari citati e, successivamente, in applicazione a quanto richiesto dal nuovo regolamento (CE) n. 1107/2009.
  Le valutazioni hanno preso in esame l'impiego del glifosate come diserbante su diverse colture agricole (frutticole, orticole, ornamentali), ma anche per l'utilizzo in aree non destinate alle colture agrarie (aree rurali ed industriali, aree ed opere civili, sedi ferroviarie).
  Sulla base di tali valutazioni, sviluppate attraverso procedure armonizzate che applicano principi uniformi, il rischio per la salute umana di operatori ed astanti alle condizioni di uso ed impiego indicate in etichetta è stato considerato accettabile.
  Inoltre, sulla base del regolamento (CE) n. 1272/2008 in materia di classificazione ed etichettatura delle sostanze e miscele, la sostanza attiva glifosate risulta classificata esclusivamente per eventuali effetti acuti (gravemente irritante per gli occhi –
eye damage H318) e per eventuali effetti a lungo termine sull'ambiente acquatico in categoria 2 (aquatic chronic 2, H411).
  In merito ad eventuali insorgenze tumorali, l'istituto superiore di sanità (ISS) fa presente che una pubblicazione di Séralini et al., del 2012, descrive uno studio di 2 anni nel ratto, prendendo in esame l'indagine sui possibili effetti sulla salute del mais NK603 geneticamente modificato con e senza l'aggiunta dei prodotti fitosanitari WeatherMAX Roundup® e Roundup® GT (entrambi contenenti glifosate).
  Come richiesto dalla Commissione europea, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha recentemente valutato questa pubblicazione, prendendo in considerazione anche le precedenti valutazioni effettuate dagli Stati membri. Le valutazioni degli Stati membri e dell'EFSA, che sono giunti ad identiche conclusioni, hanno dimostrato che lo studio in questione ha fornito esclusivamente una quantità limitata di informazioni supplementari a quanto già noto.
  Secondo Efsa, lo studio descritto da Séralini et al. non permette di trarre conclusioni certe sulla differenza di incidenza di tumori tra i gruppi di trattamento ed i controlli, ritenendo lo studio di scarsa qualità scientifica e concludendo che le prove attualmente disponibili non influiscono sulla rivalutazione in corso della sostanza.
  La direttiva 2009/128/CE del 21 ottobre 2009 sull'uso sostenibile dei pesticidi ed il decreto legislativo attuativo del 14 agosto 2012, n. 150, hanno istituito un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei prodotti fitosanitari, che prevede la redazione di piani di azione nazionali (Pan) per la sensibilizzazione degli Stati membri sulla tutela dell'ambiente, attraverso la riduzione dell'utilizzo di prodotti a possibile impatto ambientale.
  L'Istituto superiore di sanità, ritiene che le problematiche segnalate possano essere ampiamente garantite attraverso l'applicazione di adeguati piani di attuazione nazionale, che prevedano adeguate restrizioni, in maniera da soddisfare quanto richiesto dalla direttiva 2009/128/CE.
  A tale proposito, in applicazione dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 150 del 2012 di recepimento, è stata predisposta una prima bozza del piano di azione nazionale (PAN) per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e, per la sua elaborazione, è stato istituito un apposito tavolo tecnico, di cui hanno fatto parte rappresentanti del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministero della salute, delle Regioni e Province autonome, nonché di altri enti, tra cui il Centro nazionale sostanze chimiche dell'Istituto superiore di sanità, ed istituzioni competenti per le diverse materie.
  Per gli aspetti di propria competenza, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha segnalato che la manutenzione del verde e la pulizia delle pertinenze lungo le strade statali vengono affidate dall'Anas, in base ad uno specifico capitolato tecnico nazionale, a ditte specializzate che eseguono lo sfalcio erba mediante manodopera e attrezzature idonee e, solo in alcuni casi, attraverso l'uso di diserbanti.
  Come stabilito dal suddetto capitolato d'appalto, i diserbanti non devono lasciare residui tossici dopo la loro applicazione, che deve avvenire in ottemperanza all'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 236 del 1988.
  I prodotti citati devono, inoltre, essere usati in percentuali e con modalità tali da non risultare nocivi, né per l'uomo né per l'ambiente circostante.
  Le imprese specializzate, incaricate della manutenzione, prima di utilizzare i diserbanti, devono fornire alle Asl competenti per territorio, l'elenco dei prodotti ed il calendario degli interventi programmati: devono, altresì, ottenere, ove previsto, il nulla osta da parte delle autorità sanitarie locali.
  Inoltre, l'Anas, in qualità di stazione appaltante, provvede periodicamente a controllare il lavoro svolto dalle imprese esecutrici, allo scopo di individuare l'eventuale uso dei prodotti in violazione delle regole contenute nel capitolato d'appalto, che prevede l'impiego dei diserbanti esclusivamente lungo i bordi laterali e lo spartitraffico centrale delle strade.

Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.


   ZACCAGNINI, MASSIMILIANO BERNINI, L'ABBATE, GALLINELLA, GAGNARLI, BENEDETTI e LUPO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la qualità dell'acqua potabile destinata al consumo umano è disciplinata dalla direttiva dell'Unione europea 98/83/CE che ha fissato 48 parametri microbiologici, chimici e organolettici per assicurare la sicurezza e la qualità dell'acqua potabile;
   ogni Stato membro ha il dovere, in base alla direttiva suddetta di monitorare questi parametri, informare la cittadinanza ed inviare alla Commissione dell'Unione europea una relazione, ogni tre anni, sullo stato delle cose, facendo riferimento agli obblighi previsti dalla direttiva stessa;
   tra questi rientrano i parametri massimi dell'arsenico, per i quali l'Italia ha già ottenuto due deroghe alla direttiva, poiché 128 comuni italiani presentano livelli di arsenico ben oltre il limite consentito dall'Unione europea, causando concreti rischi per la salute umana;
   in particolare la Commissione europea ha respinto la terza richiesta di deroga da parte del nostro Paese poiché secondo l'Organizzazione mondiale della sanità e il comitato scientifico dei rischi sanitari e ambientali possono essere consentite «deroghe temporanee fino a 20 microgrammi per litro, mentre valori di 30, 40 e 50 microgrammi per litro determinerebbero rischi sanitari superiori, in particolare talune forme di cancro. Pertanto occorre autorizzare unicamente deroghe per valori di arsenico fino a 20 microgrammi per litro;
   i limiti di arsenico, fissati dalla Unione europea in 10 microgrammi per litro, vengono superati dai comuni italiani «incriminati» raggiungendo anche i 50 microgrammi;
   la situazione più grave è, senza dubbio quella della regione Lazio che vede coinvolti ben 50 comuni nelle province di Roma, Viterbo e Latina, superando anche i 50 microgrammi nel comune di Velletri, alle porte di Roma;
   secondo l'ultimo studio dell'Istituto superiore di sanità che ha preso in esame 269 cittadini (da 1 a 88 anni di età) residenti a Viterbo ed in 16 comuni della provincia, la concentrazione della sostanza nell'organismo dei viterbesi è oltre il doppio rispetto a quella nella popolazione generale, ed alte concentrazioni sono state rilevate anche nei bambini;
   in particolare, nei viterbesi la concentrazione della sostanza nelle unghie è risultata pari a 200 nanogrammi per grammo contro gli 82 nanogrammi di un gruppo di controllo nella popolazione generale;
   sempre secondo i risultati dello studio Istituto superiore di sanità, nei comuni del Lazio interessati all'emergenza arsenico, sarebbe in pericolo anche la catena alimentare. In particolare alte concentrazioni di arsenico sono state riscontrate nel pane viterbese, mentre gli ortaggi sono al vaglio di un ulteriore approfondimento;
   ciò è preoccupante poiché dimostra che i cittadini delle aree interessate sono esposti ad una duplice minaccia da parte dell'arsenico: l'acqua che bevono ed il cibo che mangiano, contaminato a sua volta a causa dell'acqua usata per lavorarlo, produrlo o coltivarlo;
   in molti comuni diverse ordinanze sindacali proibiscono l'uso dell'acqua per bere, cucinare, lavarsi o lavare gli alimenti, ma, a parere dell'interrogante è necessaria un'azione più concreta ed incisiva – e soprattutto trasparente nei confronti dei cittadini, che spesso sono ignari della gravità della situazione e dei concreti rischi che, loro malgrado, corrono ogni giorno – da parte della regione Lazio. Ad oggi, infatti, sono pochissimi gli impianti in funzione per rendere potabile l'acqua, non più di cinque in tutta la provincia di Viterbo;
   la regione Lazio nell'ottobre 2012 aveva previsto la realizzazione di 33 potabilizzatori in 16 comuni per la prima fase (quella con concentrazioni di arsenico oltre i 20 microgrammi), di cui 20 da ultimare entro il 31 dicembre 2012 e 13 al 31 marzo 2013; ad oggi però non si è ancora ultimata questa prima fase della potabilizzazione;
   a proposito degli effetti dell'arsenico sulla salute umana, l'ISDE – Associazione dei medici per l'ambiente, per voce della referente viterbese Antonella Litta, ha affermato che «nella fase della gravidanza, l'esposizione all'arsenico aumenta i rischi legati all'autismo e ai tumori cerebrali dei nascituri», inoltre «i limiti imposti dall'Unione europea sono stati calcolati basandosi solo su individui adulti sani e questo è molto grave: i bambini hanno infatti un metabolismo diverso, bevono maggiori quantitativi di acqua e quindi sono più esposti. Servirebbero norme di estrema cautela. Non a caso l'Unione europea ha concesso le deroghe a patto che per donne in stato di gravidanza e bambini al di sotto dei 3 anni il limite fosse da subito sotto i 10 microgrammi per litro». Sempre secondo l'ISDE, inoltre, l'arsenico potrebbe influire negativamente «nella fase evolutiva, ovvero nello sviluppo della persona» –:
   se non intenda, nell'ambito delle proprie competenze, assumere con urgenza ogni iniziativa per garantire a tutti i cittadini dei comuni interessati dall'emergenza arsenico l'uso di un'acqua incontaminata, al fine di garantire a tutti il diritto alla salute sancito dalla nostra Costituzione. (4-00258)

  Risposta. — In merito alla problematica delineata nell'interrogazione in esame, la prefettura – ufficio territoriale del Governo di Viterbo ha segnalato che, in previsione della scadenza (31 dicembre 2012) della deroga, decisa dalla Commissione europea, che ha consentito il consumo dell'acqua in presenza di concentrazione di arsenico al valore massimo ammissibile (V.M.A.) di 20 mg/l e di fluoruro al valore massimo ammissibile di 2.5 mg/l, con ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri del 28 gennaio 2011, n. 3921, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza nella Regione Lazio, sono stati definiti gli interventi da attuare con risorse economiche regionali.
  L'ordinanza ha individuato due distinte fasi per fronteggiare il problema: la prima (fase 1) relativa a quei comuni con parametri di arsenico superiori alla soglia di 20 mg/l; la seconda (fase 2) per tutti gli altri con valori compresi tra 10 e 20 mg/l.
  Al fine di monitorare l'andamento dei lavori, negli ultimi anni la regione Lazio ha organizzato tavoli tecnici informativi a cui hanno partecipato tutti i soggetti coinvolti (ambito territoriale ottimale – ATO, gestori, Asl e comuni), per acquisire e sollecitare l'attuazione dei piani necessari per sostenere le istanze di deroga per i parametri arsenico e fluoruro.
  Nonostante l'impegno delle autorità regionali per fronteggiare le difficoltà relative all'emergenza, alla data del 31 dicembre 2012, in 43 comuni della provincia di Viterbo, per un totale di 227.200 abitanti, non è stato possibile distribuire acqua conforme per il parametro arsenico e in 18 comuni, in parte compresi nei complessivi 43, corrispondenti a circa 128.000 abitanti, non è stato possibile distribuire acqua conforme per il parametro fluoruro.
  Il rientro nei limiti di legge dei suddetti parametri verrà completato progressivamente nei diversi comuni a partire dai primi mesi del 2013 e fino a tutto il 2014.
  Dal 1o gennaio 2013 la prefettura di Viterbo ha attentamente monitorato la situazione in ordine ai successivi adempimenti posti in essere dagli enti locali, dall'A.t.o. n. 1 Lazio Nord – Viterbo e dagli enti gestori del Servizi idrico integrato per la salvaguardia della salute pubblica.
  Nel sito ufficiale dell'AUSL di Viterbo sono pubblicati ed aggiornati periodicamente i risultati dei controlli gestionali sulle acque, distinti per comuni. In quelli dove si sono registrati parametri di arsenico e di fluoruro oltre il V.m.a. consentito, i sindaci hanno emanato apposite ordinanze di non potabilità, provvedendo, altresì, ad informare adeguatamente la popolazione e gli esercizi commerciali relativamente all'utilizzo delle acque.
  Inoltre, sono stati adottati interventi mirati, come l'installazione delle cosiddette «cassette dell'acqua» o fontanelle pubbliche che erogano acqua conforme al decreto legislativo n. 31 del 2001, ed alcuni enti si sono dotati di piccoli impianti di dearsenificazione da utilizzare presso edifici sensibili, come scuole o centri per disabili.
  Particolare attenzione è stata posta alla casa circondariale di Viterbo; la Prefettura è intervenuta in merito all'approvvigionamento di acqua con valori inferiori a 10 μg/l di arsenico per tutta la popolazione carceraria, consistente in 720 detenuti e 78 agenti.
  Al riguardo, si segnala che il presidente della Società Talete s.p.a. ente gestore del servizio idrico, ha richiesto ed ottenuto un apposito sovvenzionamento da parte della regione Lazio, che ha consentito l'installazione di un dearsenificatore.
  In ambito provinciale, al fine di migliorare la qualità dell'acqua distribuita per il consumo umano, la Società Talete S.p.A. ha eseguito e sta eseguendo interventi di miscelazione ed ottimizzazione della risorsa idrica, proveniente da altre fonti locali, con acqua avente concentrazioni minori di arsenico, riuscendo ad ottenere, in alcuni comuni, l'erogazione di acqua con una concentrazione di arsenico inferiore a 10 μg/l.
  Per le fonti aventi una concentrazione di arsenico compresa tra 20 μg/litro e 50 μg/litro, è in fase di conclusione l'appalto gestito dalla regione Lazio per la realizzazione di dearsenificatori.
  Per le fonti aventi una concentrazione di arsenico compresa tra 10 μg/litro e 20, nel mese di febbraio 2013 hanno avuto inizio le procedure di gara per l'affidamento dell'appalto. L'ultimazione e la messa in funzione di tutti gli impianti oggetto dell'appalto regionale sarà progressiva e dovrebbe concludersi entro 365 giorni dall'aggiudicazione dell'appalto.
  Più in generale, si segnala che l'Istituto superiore di sanità (ISS), tra le attività realizzate nell'ambito della corretta gestione dei rischi correlati all'utilizzo delle acque destinate al consumo umano, sta conducendo lo «Studio per valutare l'esposizione alimentare all'arsenico in popolazioni residenti nelle aree del Lazio caratterizzate dalla presenza di arsenico di origine geologica nelle acque destinate al consumo umano».
  Tale studio mira a fornire adeguati elementi scientifici per valutare e caratterizzare il possibile rischio per la salute associato alla contaminazione da arsenico degli alimenti ed ha, come specifici obiettivi, l'identificazione delle fonti e dell'entità dell'esposizione alimentare all'arsenico nella sua forma tossica (arsenico inorganico), la valutazione dell'effetto della cottura degli alimenti con acque contenenti arsenico, nonché la caratterizzazione dell'efficienza del metabolismo dell'arsenico nelle popolazioni esposte per evidenziare eventuali sottogruppi più suscettibili.
  Lo studio è condotto in collaborazione con gli ordini dei medici delle «Province interessate della regione Lazio e i risultati preliminari sono stati pubblicati nel 2012: informazioni aggiornate sugli obiettivi e l'andamento dello studio sono contenute nell'articolo «Esposizione ad arsenico attraverso acqua e alimenti in aree a rischio: il caso del Lazio», pubblicato nel Notiziario dell'Istituto Superiore di Sanità, febbraio 2013, ad ampia diffusione e liberamente disponibile in rete.
  I risultati preliminari della ricerca evidenziano uno scenario complesso, che richiede ulteriori approfondimenti, ai fini di una tutela della sicurezza degli alimenti e della salute della popolazione basata su solide ed aggiornate basi scientifiche.
  Le evidenze preliminari circa l'ingresso dell'arsenico inorganico nelle catene alimentari indicano l'opportunità di proseguire con ulteriori ricerche per valutare l'esistenza di eventuali rischi per specifici settori della popolazione, in particolare coloro che fanno uso esclusivo o prevalente di prodotti locali nella propria alimentazione.
  I risultati dello studio, misurando l'esposizione attuale della popolazione all'arsenico inorganico, forniscono una base di dati di riferimento rispetto a cui potrà essere valutata l'efficacia nel tempo degli interventi già intrapresi e di quelli che eventualmente si renderanno necessari, volti a ridurre l'esposizione stessa.

Il Sottosegretario di Stato per la salutePaolo Fadda.