Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 10 dicembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni, una particolare attenzione è stata rivolta alle malattie rare da parte della scienza medica e giuridica;
    sul concetto di malattia rara non ci sono posizioni condivise, ma può comunque accettarsi la definizione di malattia rara quale quella che colpisce non più di 5 persone ogni 10.000 abitanti;
    la ridotta prevalenza nella popolazione non equivale ad affermare che le malattie rare siano poche, al contrario è un fenomeno che sfortunatamente colpisce milioni di persone in Italia e in Europa;
    il numero delle malattie rare è preoccupante ed oscilla tra le 7.000 e le 8.000. Le comuni problematiche assistenziali costringono a progettare interventi di sanità mirati e non frammentati; gli interventi già intrapresi a livello legislativo e ministeriale mostrano lo sviluppo di una particolare sensibilità delle istituzioni nei confronti di una problematica la cui gravità chiama in causa azioni coordinate, responsabili e non più procrastinabili, al fine dell'approntamento di idonee dotazioni di strutture di supporto e servizi principali e complementari, servizi di emergenza e di diagnostica, formazione specialistica di personale dedicato;
    accanto alla rete nazionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e terapia delle malattie rare, a mezzo dei presidi di riferimento, il coordinamento interregionale per lo scambio di informazioni e il riscontro di protocolli, altre concrete iniziative sono state finora intraprese per un approccio risolutivo; dal Reg. 141/2000 al decreto ministeriale n. 279 del 2001, la decisione 1295/99 CE (PE e Consiglio);
    nella finalità degli strumenti adottati si conviene sulla necessità di garantire il coordinamento e l'operatività in rete dei presidi regionali incaricati per la diagnosi e cura delle malattie rare, sviluppare percorsi diagnostico-terapeutici condivisi per orientare e supportare gli operatori e le strutture sanitarie, assicurare la collaborazione con le associazioni dei malati e i loro familiari per agevolare l'avvio e la prosecuzione dei percorsi assistenziali. In Italia si stima che ci siano circa 2 milioni di malati, moltissimi dei quali in età pediatrica;
    l'80 per cento di queste malattie è di origine genetica, pertanto il problema si presenta dalla nascita. Per il restante 20 per cento dei casi si tratta di malattie acquisite;
    per la quasi totalità, le malattie rare sono anche croniche ed invalidanti, e V individuo che ne è affetto deve convivere con i sintomi e le difficoltà che ne conseguono per tutta la vita, spesso fin dalla nascita: in molti casi si tratta di patologie che mettono ripetutamente in pericolo la sopravvivenza, che limitano la durata e qualità di vita e che determinano gravi deficit;
    durante il decorso della malattia il paziente si trova spesso a soffrire l'isolamento o l'indifferenza della comunità in cui vive, a causa della mancanza di informazione e di conoscenza sulla patologia e sulle sue manifestazioni, su tutti gli aspetti problematici sotto il profilo psico-fisico;
    l'esperienza della patologia rara è un'esperienza fortemente destabilizzante soprattutto per il bambino e per le famiglie: l'obiettivo è quello di fornire strumenti previdenziali assistenziali a sostegno dei genitori affidatari, garanti del bambino affetto da malattia rara con disabilità grave, fornendo il massimo supporto al nucleo familiare;
    spesso, le famiglie si trovano ad affrontare spese molto onerose per raggiungere i centri specializzati di cura e sono costrette a devolvere cure personali in assenza di personale dedicato reperibile, con conseguente diminuzione dell'attività lavorativa da cui necessariamente sono distolti per attendere alle incombenze continue che l'assistenza assidua al malato impone;
    appare indispensabile integrare le famiglie nel percorso assistenziale attraverso la più profonda «alleanza terapeutica» tra medici, personale sanitario e genitori, altri affidatari del malato, specie se minore: solo attraverso il coordinamento e l'integrazione tra servizi e professionalità distinte si può costruire un'assistenza rispondente e adeguata alle esigenze del bambino portatore di malattia rara e della sua famiglia che ne soffre le dolorose conseguenze di stress, di sovraccarico di impegno fisico e morale,

impegna il Governo:

   ad agire affinché si ottenga il riconoscimento della particolarità delle malattie rare pediatriche, al fine di tutelare il più possibile i diretti interessati e le famiglie che si trovano ad affrontare la problematica quotidianità che tali patologie comportano;
   ad assumere iniziative normative che consentano alle lavoratrici ed ai lavoratori che si dedicano a minori affetti da malattie rare pediatriche aventi una percentuale di invalidità pari al 100 per cento, che assume connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e che necessitano di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, ai sensi di quanto previsto nella tabella di cui al decreto del Ministro della sanità 5 febbraio 1992, pubblicato nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale n. 47 del 26 febbraio 1992, di ottenere il diritto all'erogazione anticipata del trattamento pensionistico, indipendentemente dall'età anagrafica del genitore beneficiario, a seguito del versamento di almeno venticinque anni di contributi previdenziali, con decorrenza immediata nel momento in cui il bambino viene dichiarato disabile grave dalle commissioni mediche preposte;
   ad istituire un fondo per il sostegno delle famiglie con bambini affetti da malattie rare, allo scopo di alleviare i disagi che lavoratori e lavoratrici devono subire per seguire con le dovute attenzioni i bambini malati, con relative gravi ricadute sulle loro attività professionali.
(1-00281) «Dorina Bianchi, Calabrò, Bosco, Saltamartini, Alli».


   La Camera,
   premesse che:
    i disturbi mentali colpiscono con diversa gravità 17 milioni di italiani. Ma solo 1 su 3 riceve cure. Nella lista dei disturbi che coinvolgono la psiche, al primo posto c’è l'ansia (otto milioni di italiani), al secondo la depressione e l'insonnia (entrambe quattro milioni) e poi i disturbi post-traumatici da stress (oltre un milione). L'Europa non è da meno: 164 sono i milioni di europei con queste patologie (il 38,2 per cento della popolazione);
    la malattia mentale contribuisce circa al 26,6 per cento della disabilita totale. È legata anche ad un problema socio-economico a causa dei costi molto elevati: 798 miliardi di euro è la stima dell'impatto economico annuo in Europa per le malattie che colpiscono il cervello. Di questi il 37 per cento è rappresentato da costi diretti connessi alle cure, il 23 per cento da costi diretti non medicali ed il 40 per cento copre i costi indiretti (perdita di produttività sociale, mortalità prematura, perdita di produttività dei familiari e altro). Un peso economico notevole che non esaurisce l'impatto devastante di queste patologie, vera sfida del 21o secolo poiché principale causa di morte e disabilità;
    secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, a livello mondiale la schizofrenia ha una prevalenza di circa il 7 per mille della popolazione adulta (circa 24 milioni di persone), soprattutto nella fascia di età 15-35 anni. In Italia, si può stimare che 245.000 persone siano o siano state affette da disturbi di tipo schizofrenico. È fra le patologie che hanno un impatto maggiore sulla vita di chi ne è colpito e dei suoi familiari; è infatti inclusa tra le prime 10 cause di grave disabilità cronica e tra le prime 20 patologie per numero di anni vissuti in condizioni di disabilità;
    le demenze colpiscono 1,1 milioni di italiani. Solo per l'Alzheimer la spesa è di 60.000 euro l'anno a paziente. Cresce il numero delle persone affette da demenza è in Italia. Il documento dell'Organizzazione mondiale della sanità «Demenza: una priorità di sanità pubblica» stima che entro il 2030 il numero di pazienti è destinato quasi a raddoppiare e, entro il 2050, a superare il triplo, raggiungendo i 115,4 milioni. L'Italia è già oggi l'ottava tra i Paesi col maggior numero di persone affette, con 1,1 milioni di pazienti, in una classifica che vede al primo posto la Cina (5,4 milioni di pazienti), al secondo gli Stati Uniti (3,9) e al terzo l'India (3,7);
    nello specifico, convive con la demenza l'80 per cento degli anziani nelle case di riposo. La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza, che colpisce circa 36 milioni di persone nel mondo – un numero che toccherà i 66 milioni entro il 2030 – e in Italia circa 600 mila persone, rappresentando il 50-60 per cento dei casi di demenza;
    il costo globale dell'assistenza per l'Alzheimer supera i 600 miliardi, di dollari, ovvero circa l'1 per cento del prodotto interno lordo mondiale. A riportarlo è il «rapporto mondiale Alzheimer 2013», recentemente presentato dalla Federazione Alzheimer Italia – rappresentante per l'Italia di Adi (Alzheimer's Disease International). In Italia la spesa annua per un anziano affetto da Alzheimer è di 60.000 euro, di cui circa il 70 per cento a carico della famiglia e il 30 per cento a carico
del sistema sanitario nazionale;
    tuttavia, i disturbi del cervello, come la schizofrenia, l'Alzheimer e altre demenze, purtroppo sono ancora poco conosciuti e molto stigmatizzati. Tutto ciò crea un problema che allontana il paziente dalle cure, rendendo ancora più critiche le loro condizioni di salute di vita e più complicata la gestione dei malati da parte dei familiari e del sistema. Per cercare di mettere a tacere la paura, i pregiudizi e la sfiducia nei confronti delle possibilità di cura, serve un filo diretto tra medico e paziente in grado di migliorare l'accesso e la gestione delle cure;
    nonostante il progresso e l'innovazione delle neuroscienze ci sono ancora tanti bisogni insoddisfatti a cui solo la ricerca può dare una risposta. E non a caso il 2014 è stato proclamato «anno del cervello» dal Parlamento europeo;
    nei disturbi di quest'organo rientrano due classi di patologie molto differenti tra loro: la prima è quella dei disturbi mentali e la seconda è quella delle malattie neurologiche. I primi sono disturbi psichici, che possono riguardare la sfera cognitiva, affettiva, comportamentale o relazionale, e comprendono malattie psicologiche e psichiatriche, come la schizofrenia; mentre le malattie neurologiche sono patologie, differenti da quelle psichiatriche, che colpiscono il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso periferico: una delle più invalidanti è l'Alzheimer. Le malattie neurologiche, inoltre, possono coinvolgere anche o essere associate a malattie psichiatriche;
    per tutte queste malattie, un'arma importante è rappresentata dall'informazione sulla ricerca e sui nuovi studi scientifici. La ricerca ha portato allo sviluppo di tecniche che permettono una diagnosi precoce della malattia. Altrettanti progressi sono in corso nel campo delle terapie farmacologiche, dove si studiano nuove soluzioni;
    riguardo alle malattie psichiatriche si è diffusa la convinzione che siano spesso incurabili. I disturbi mentali sono oggi diagnosticabili precocemente e tutti curabili, a volte anche guaribili, attraverso terapie farmacologiche, tecniche psicoterapeutiche o con una combinazione di uno o più farmaci ed una psicoterapia. E saranno sempre più curabili in futuro, grazie soprattutto alla tempestività del trattamento, permettendo a molti malati di avere una buona qualità di vita e un buon inserimento sociale;
    i limiti attuali nell'approccio alla malattia di Alzheimer sono spesso legati ai tempi, della diagnosi, che in genere avviene quando è ormai compromesso più del 70 per cento del corredo neuronale, riducendo al minimo i margini di successo della terapia. Oggi la ricerca sul cervello può beneficiare di tecnologie avanzate come l’imaging e l'identificazione di biomarcatori in grado di rilevare la malattia in una fase pre-clinica. La ricerca farmacologica si è orientata negli ultimi anni proprio verso lo sviluppo di molecole efficaci nella fase prodromica della malattia di Alzheimer;
    in ogni caso, in tutti i disturbi del cervello, sia quelli, psichiatrici che quelli neurologici, è fondamentale l'importanza dell'informazione ai famigliari del paziente. I progressi scientifici, opportunamente comunicati, oltre ad offrire speranze di cura ai malati, contribuiscono a rafforzare la consapevolezza dei familiari, su cui nella maggior parte dei casi grava il peso dell'assistenza,

impegna il Governo:

   a programmare una strategia sanitaria nazionale che tenga conto dei problemi legati all'Alzheimer e alla demenza in generale, e in grado di accompagnare malati e famiglie fin dall'inizio per evitare situazioni che possono avere conseguenze negative e spesso economicamente pesanti per tutti gli interessati;
   a promuovere, in concomitanza con il prossimo 2014, proclamato «anno del cervello» dal Parlamento europeo, idonee iniziative in termini di ricerca, di assistenza e di informazione concreta alle famiglie, tenendo conto che la seconda metà del 2014 coincide anche con il semestre italiano alla guida dell'Europa;
   a prevedere un sistema stabile di monitoraggio epidemiologico, adottando ogni iniziativa necessaria e omogenea su tutto il territorio nazionale, in grado di fornire diagnosi tempestive e terapie farmacologiche appropriate, fondamentali per il controllo delle malattie;  
   a definire, attraverso una puntuale revisione dei livelli essenziali di assistenza, apposite linee guida per la prevenzione, la diagnosi precoce e il trattamento terapeutico e assistenziale dei pazienti affetti dal morbo di Alzheimer, al fine di migliorare la qualità delle prestazioni e uniformarne l'efficacia e l'efficienza su tutto il territorio nazionale;
   a sostenere campagne di educazione sanitaria rivolte alla popolazione e atte a migliorare la consapevolezza e le corrette modalità di approccio alle strutture del servizio sanitario nazionale e agli operatori, da parte di malati e famiglie, che tenga adeguatamente conto delle malattie che interessano i disturbi del cervello, come la schizofrenia, l'Alzheimer e altre demenze, purtroppo ancora poco conosciuti e molto stigmatizzati;
   ad assumere iniziative per rifinanziare il fondo per le non autosufficienze per interventi in favore delle patologie croniche invalidanti, destinando parte delle risorse per le malattie cronico-degenerative, le demenze senili e l'Alzheimer.
(1-00282) «Binetti, Fitzgerald Nissoli, Giuseppe Guerini, Formisano, Capelli, Piepoli, Sberna, Buttiglione, Marti, Galgano, Dellai, Cera, Fauttilli, Cicu, Gigli, Molea, Adornato, Rabino, Giuditta Pini, Fucci, Laffranco, Calabrò, Dambruoso, Monchiero, Scanu, Causin, Scuvera, Piccione».


   La Camera,
   premesso che:
    anche a seguito delle più recenti pronunce del tribunale dell'Unione europea in materia di autorizzazioni alle coltivazioni Ogm, si conferma l'urgenza di conciliare maggiormente la normativa comunitaria con le esigenze e le diverse sensibilità dei contesti nazionali;
    a tal fine la Commissione europea ha presentato nel luglio del 2010 una proposta di regolamento recante modifiche alla direttiva 2001/18/CE finalizzata a garantire una base giuridica agli Stati membri in sede di decisione sulla coltivazione di Ogm per motivi diversi da quelli fondati sulla valutazione scientifica dei rischi per la salute e l'ambiente;
    l’iter legislativo della suddetta proposta si è interrotto nel 2011 con l'adozione da parte del Parlamento europeo del parere in prima lettura poiché in seno al Consiglio; nonostante gli sforzi della Presidenze che si sono susseguite, in particolare la presidenza danese, non è stato possibile raggiungere alcun accordo a causa di una minoranza di Stati membri che ha di fatto impedito, nel corso del Consiglio ambiente del marzo 2012, un compromesso sul testo in parola;
    posto che la questione Ogm è molto controversa non soltanto con riguardo ai vuoti normativi esistenti sia a livello comunitario che nazionale, ma anche e soprattutto con riferimento alle diverse posizioni che animano un tema scientifico che ha un fortissimo impatto sulla società e sul sistema agricolo convenzionale, è estremamente importante che l'Unione europea conceda agli Stati membri maggiore sussidiarietà in materia di coltivazioni Ogm al fine di consentire agli stessi di affrontare l'innovazione anche tenendo nella dovuta considerazione motivazioni sociali o politiche,

impegna il Governo

ad includere nel programma della Presidenza italiana di turno dell'Unione europea, prevista per il secondo semestre del 2014, la ripresa dell’iter legislativo della «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di Ogm sul loro territorio», intraprendendo ogni azione utile a pervenire ad un accordo politico su tale fascicolo al fine di superare la minoranza di blocco contraria alla proposta di compromesso avanzata dalla Presidenza di turno danese nel giugno 2012.
(1-00283) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Prodani, Rizzetto, Crippa».


   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 194 del 15 maggio 1986, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 116 del 21 maggio 1986, contiene disposizioni sull'Ordine cavalleresco al merito del lavoro;
    a norma dell'articolo 1, comma 1, della suddetta legge, l'Ordine cavalleresco al merito del lavoro, istituito con regio decreto il 9 maggio 1901, n. 168, conferisce il titolo di cavaliere del lavoro ed è concesso ai cittadini benemeriti nelle sottoindicate attività per aver creato o ampliato le stesse: a) nell'agricoltura (...); b) nell'industria (...); c) nel commercio, nel turismo (...); d) nell'artigianato; e) nell'attività creditizia e assicurativa;
    a norma dell'articolo 3, i requisiti per ottenere la decorazione sono i seguenti: a) aver ottenuto una specchiata condotta civile e sociale; b) aver operato nel settore per il quale la decorazione è proposta in via continuativa e per almeno vent'anni con autonoma responsabilità; c) aver adempiuto agli obblighi tributari ed aver soddisfatto ogni obbligo previdenziale e assistenziale a favore dei lavoratori; d) non aver svolto né in Italia, né all'estero attività economiche e commerciali lesive dell'economia nazionale;
    a norma dell'articolo 11, comma 1, il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, tenuto conto delle risultanze istruttorie e dell'esito delle votazioni del consiglio, sceglie i candidati da proporre al Presidente della Repubblica per il conferimento della onorificenza;
    l'articolo 13, comma 1, contempla il caso di perdita dell'onorificenza per l'insignito in caso di indegnità. In base al comma 3, poi, sono vincolanti per il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato le richieste di revoca indirizzategli dai Ministri già proponenti. In base al comma 4, infine, previo parere del consiglio dell'Ordine e su proposta motivata del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, la revoca è disposta con decreto del Presidente della Repubblica;
    con brevetto n. 1879 Silvio Berlusconi, il 2 giugno 1977, è stato insignito dall'allora Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, del titolo di «cavaliere del lavoro» per la categoria «industria, edile e telecomunicazioni»;
    la sezione feriale della Corte di Cassazione, il 1° agosto 2013, ha rigettato il ricorso del cavaliere del lavoro nonché senatore Silvio Berlusconi contro la sentenza che, nel procedimento penale numero 27.884-2013, lo aveva dichiarato colpevole del reato di frode fiscale, confermando, quindi, le sentenze del 26 ottobre 2012 del tribunale di Milano e dell'8 maggio 2013 della corte d'appello di Milano, seconda sezione penale;
    come già affermato in una mozione presentata al Senato dal gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle l'8 agosto 2013 nella seduta n. 93 (atto n. 1-00127), «in primo e secondo grado l'imputato era stato giudicato responsabile dei reati di cui agli articoli 81, capoverso, e 110 del codice penale nonché 4, lettera f), della legge n. 516 del 1982 in relazione all'articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000. La Corte d'appello di Milano aveva peraltro posto a carico dell'imputato sia «la pacifica diretta riferibilità della ideazione, creazione e sviluppo del sistema che consentiva la disponibilità di denaro separato da Fininvest e occulto», che la identificazione di «un preciso progetto di evasione, esplicato in un arco temporale molto ampio e con modalità molto sofisticate»;
    il 19 ottobre 2013 la corte di appello di Milano, alla quale la Cassazione aveva disposto il rinvio ai fini della rideterminazione dell'interdizione dai pubblici uffici ex articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, ha stabilito in due anni la durata della suddetta pena accessoria a carico del cavaliere del lavoro nonché senatore Silvio Berlusconi;
    il 27 novembre 2013 è stata esaminata in Senato la «Relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari sull'elezione contestata nella regione Molise» del cavaliere del lavoro nonché senatore Silvio Berlusconi, condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione, ed è stata accolta, divenendo immediatamente esecutiva, la proposta della Giunta delle elezioni ovvero la mancata convalida dell'elezione dello stesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235;
    la condanna definitiva per frode fiscale, insieme all'interdizione dai pubblici uffici e alla decadenza dalla carica di senatore, è di una gravità tale da integrare gli estremi per la perdita dell'onorificenza per indegnità, contemplata dall'articolo 13, comma 1, della legge n. 194 del 15 maggio 1986, come avvenuto, tra l'altro, per Callisto Tanzi in relazione al crac Parmalat,

impegna il Governo

il Governo ad attivare quanto prima, a norma dell'articolo 13 della legge n. 194 del 15 maggio 1986, le procedure di revoca del titolo di cavaliere del lavoro a Silvio Berlusconi.
(1-00284) «Sibilia, Micillo, Colletti, Luigi Di Maio, Cecconi, Fraccaro, Nuti, Busto, Vacca, Brescia, Marzana, Battelli, Simone Valente, Corda, Gallinella, Villarosa».

Risoluzione in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    il sistema tangenziale di Bologna raccorda quattro tronchi autostradali nevralgici per il Paese, la Bologna-Milano (A1), la Bologna-Firenze (A1), la Bologna-Padova (A13) e la Bologna-Ancona (A14);
    il potenziamento del sistema autostradale/tangenziale di Bologna è stato inserito tra gli interventi strategici e di preminente interesse nazionale;
    la realizzazione dell'infrastruttura «passante nord di Bologna» è stata prevista dall'accordo dell'8 agosto 2002 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Emilia Romagna, la provincia di Bologna ed il comune di Bologna, nonché dall'intesa generale quadro, sottoscritta il 19 dicembre 2003, tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Emilia-Romagna;
    l'intervento è inserito, se pur non espressamente nominato, nella previsione di spesa riconducibile alla voce «altri investimenti» di cui alla convenzione unica stipulata in data 12 ottobre 2007 tra ANAS spa ed Autostrade per l'Italia spa, per un importo di 1.300 milioni di euro, al netto di eventuali ribassi d'asta; secondo quanto convenzionalmente previsto, l'intervento non genera tariffa;
    dalla risposta del Governo all'interrogazione 5-00694, in Commissione VIII, si rileva che sulla realizzazione dell'opera era in atto una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea in merito all'affidamento diretto senza gara dell'opera alla Concessionaria, successivamente archiviata a seguito di precisi impegni del Governo italiano sulla base dei quali sono stati individuati, da parte dell'Unione europea, alcuni elementi specifici comunicati con nota del 15 luglio 2010, e precisamente:
     il nuovo progetto verrà realizzato come strumento ausiliario per l'autostrada A14 (Bologna-Taranto), la cui sede e la cui natura rimangono immutate;
     la tariffa applicata sarà la stessa attualmente utilizzata dal concessionario su questa autostrada;
     la totalità delle attività necessarie alla realizzazione del Passante sarà oggetto di procedure di aggiudicazione di appalti pubblici conformi alle regole europee applicabili;
     la data finale di efficacia della concessione attualmente in vigore non verrà modificata (31 dicembre 2038);
    con nota del 6 febbraio 2013 la Commissione europea ha richiesto notizie e sviluppi sulla questione, ribadendo la necessità che la realizzazione del passante avvenga nel pieno rispetto di tutti gli elementi indicati nella citata nota del 15 luglio 2010;
    al fine di superare le problematiche connesse alla individuazione del tracciato da porre a base di concessione, è stato sottoscritto, nel luglio del 2012, un verbale d'intesa che prevedeva, pena la revoca dell'assegnazione dell'iniziativa: l'impegno di Autostrade per l'Italia a redigere uno studio di fattibilità entro il 31 luglio 2012; l'importo massimo, pari a 1.300 milioni di euro netti; l'impegno a costituire, entro il 31 luglio 2012, un comitato per la valutazione del progetto; l'impegno a definire la soluzione progettuale entro il 30 novembre 2012 e la successiva sottoscrizione, entro il 31 dicembre 2012, di un ulteriore atto tra le parti per disciplinare i reciproci impegni nella realizzazione dell'iniziativa; un verbale tra ANAS e Autostrade per l'Italia per l'inserimento del passante nord di Bologna tra gli impegni di investimento della concessionaria;
    Autostrade per l'Italia ha consegnato lo studio di fattibilità del passante entro i termini previsti; tale studio è stato oggetto di analisi da parte del comitato tecnico che si è conclusa nel novembre 2012 senza, però, il raggiungimento di un'intesa;
    contestualmente alla chiusura dei lavori del comitato, gli enti locali hanno consegnato un'ipotesi di tracciato alternativa che sostanzialmente ricalca il tracciato dell'ipotesi del 2004 sulla quale l'Unione europea aveva aperto la procedura di infrazione, giudicata successivamente da ASPI non idonea a garantire la fattibilità tecnico-economica dell'iniziativa;
   nell'ambito del tavolo di confronto apertosi tra la struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali, la regione, la provincia, il comune e la concessionaria, all'esito di un incontro svoltosi presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si è stabilito che Autostrade per l'Italia avrebbe sviluppato il progetto preliminare su una ulteriore alternativa di tracciato;
    pertanto, secondo quanto riferito dal Governo in Commissione ambiente, ad oggi sono ancora in corso approfondimenti sul tracciato, al fine di individuare una soluzione di tracciato condivisa. Inoltre, la struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali ha precisato di essere a conoscenza di studi predisposti da Autostrade per l'Italia spa, ma questi hanno unicamente ad oggetto gli aspetti trasportistici; dagli stessi, peraltro, emerge che più ci si allontana dal tracciato dell'attuale tangenziale, minori sono i benefici, sempre sotto il profilo trasportistico, sulla tangenziale stessa;
    prosegue ancora l'esame di tutte le possibili soluzioni ivi compresa la cosiddetta «opzione 0», ovverosia la possibilità di non realizzare l'opera, e la valutazione di tutte le posizioni espresse sulla questione, ivi compreso lo studio del progetto alternativo «Comitato per l'alternativa passante nord», fatto salvo il confronto degli impatti delle alternative progettuali nell'ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale;
    dalla risposta del Governo all'interrogazione 5-00694 si evince secondo i firmatari del presente atto la volontà per un effettivo confronto tra le varie soluzioni prospettate piuttosto che per un incondizionato appoggio al progetto presentato nel 2002;
    tuttavia il 22 novembre 2013, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, in visita a Bologna, ha rilasciato una dichiarazione a giudizio dei firmatari del presente atto contraddittoria, che manifesta la volontà di andare avanti in tempi brevissimi con la realizzazione del passante nord, ricorrendo ad un project financing nel caso in cui società Autostrade non fosse più interessata all'iniziativa;
    il passante nord nell'ultima versione proposta dagli enti locali è una bretella autostradale a sole due corsie invece delle tre del progetto originario, con una lunghezza di 38 chilometri, al costo stimato di oltre 1.800 milioni di euro che manterrà il tratto di autostrada A14 al centro della tangenziale di Bologna, contrariamente a quanto previsto nel progetto originario del 2002 che considerava la sua eliminazione il punto più qualificante;
    anche nell'ultima versione il progetto avrebbe un impatto ambientale devastante su un territorio agricolo estremamente pregiato, in quanto distruggerebbe fisicamente oltre 700 ettari e danneggerebbe circa 8.000 ulteriori ettari inibendoli all'agricoltura di qualità; altri importanti punti negativi del progetto sono un maggior consumo energetico per l'aumentato percorso quantificabile in circa 100.000 TEP (tonnellate petrolio equivalenti) ogni anno, e l'obbligo di introdurre un pedaggio aggiuntivo sulla tangenziale per far funzionare il sistema;
    peraltro, il traffico allontanato dalla città ad un costo economico ed ambientale esorbitante risulta di appena il 20 per cento di quello che transita sull'attuale asse della tangenziale;
    infine è da sottolineare che il cambiamento del progetto originario è stato escogitato per rispondere alle osservazioni della Commissione europea sulla violazione della libera concorrenza, a causa dell'affidamento diretto dell'opera alla società Autostrade. Questo motivo, accompagnato alla carenza di fondi disponibili, ha di fatto bloccato fino ad ora la realizzazione dell'opera;
    fin dal 2004 esiste un progetto alternativo presentato dal «Comitato per l'alternativa passante nord», giudicato tecnicamente attuabile in un convegno alla facoltà di ingegneria di Bologna, che prevede per la soluzione definitiva della congestione di traffico sul nodo bolognese un potenziamento in sede;
    tale potenziamento consisterebbe nell'aggiunta di una corsia per ogni senso di marcia, sia per la tangenziale che per l'autostrada, sfruttando le scarpate laterali con un sistema originale ed innovativo basato sulla tecnica dei diaframmi; l'esecuzione dei lavori avvenendo dall'esterno non comporterebbe né interruzione né pesanti interferenze sul traffico;
    tale progetto supererebbe anche le osservazioni della Commissione europea, e l'ASPI potrebbe iniziare i lavori in qualsiasi momento, in quanto si tratterebbe di un effettivo potenziamento di un'arteria già in concessione all'ASPI stessa;
    tale soluzione comporterebbe l'azzeramento del consumo di territorio e dell'impatto ambientale aggiuntivo su un terreno vergine e provocherebbe un risparmio energetico e un minore inquinamento ambientale dovuto all'aumentata scorrevolezza del traffico a parità di percorso;
    il costo dell'opera ed i tempi di realizzazione sono di circa un terzo rispetto a quelli del passante nord, ivi comprese le opere di mitigazione degli impatti in tutti i punti a ridosso delle zone abitate;
    ulteriori valori aggiunti della proposta sono la possibilità della realizzazione dell'opera per stralci funzionali, a limitato impatto economico, ed i due tunnel, uno per ogni senso di marcia, costruiti con la tecnica dei diaframmi al posto delle scarpate laterali che, oltre a sostenere sulla loro sommità le corsie aggiuntive, potrebbero essere usati per molteplici scopi a vantaggio della città;
    inoltre, usando opportuni accorgimenti costruttivi, si potrebbe lasciare aperta la possibilità in futuro di arrivare gradatamente alla sostituzione dell'intera massicciata dell'asse tangenziale-autostradale con volumi utilizzabili fino a circa 1.500.000 metri cubi senza aumentare minimamente il consumo di suolo, ed aprire nuovi varchi di attraversamento del semianello stradale che circonda a nord la città, riducendo drasticamente l'effetto barriera che condiziona pesantemente la viabilità radiale bolognese;
    infine, le gallerie artificiali di mitigazione previste nei punti a ridosso delle zone abitate potrebbero ospitare importanti superfici di pannelli fotovoltaici non competitivi con le colture agricole che permetterebbero l'autosufficienza energetica completa dell'asse viario;
    nel suo complesso l'opera sarebbe ispirata alla filosofia di «intervenire sull'esistente» senza consumo di territorio, trasformando un problema in una risorsa per la città, risparmiando risorse finanziare e limitando il consumo energetico, temi oggi più che mai di attualità in tutto il mondo;
    il progetto attuale del passante nord, come evidenziato dagli studi trasportistici prodotti, non alleggerirebbe in modo significativo i volumi di traffico della città di Bologna, in quanto allontanerebbe dalla città appena il 20 per cento dell'attuale traffico sulla tangenziale, funzionando piuttosto come raccordo autostradale per il traffico esterno di passaggio;
    studi statistici dimostrano un significativo calo del traffico registrato sulle tratte autostradali ed una flessione di domanda a lungo termine che non giustificherebbero un investimento simile per la creazione del passante nord, anche alla luce dell'attuale congiuntura economica;
    ai fini del decongestionamento del traffico della cintura bolognese occorre improrogabilmente completare una serie di opere viarie di dimensioni minori, rimaste incompiute da anni nel territorio della provincia di Bologna, che produrrebbero grandi benefici alla scorrevolezza del traffico sull'intero comprensorio di pianura;
    tali opere minori richiederebbero una piccola parte dei 1.300 milioni di euro promessi da società Autostrade per il passante nord e decongestionerebbero in maniera molto significativa la tangenziale di Bologna, sulla quale restano seri problemi di traffico, diversamente dall'asse autostradale che dopo la realizzazione della terza corsia dinamica non presenta più grosse criticità;
    tali opere sono chiamate nella proposta del «Comitato per l'alternativa passante nord» «piccole opere utili e veloci»;
    sommando l'impegno finanziario richiesto per le «piccole opere utili e veloci» con quello per il progetto alternativo dei comitati locali, si arriverebbe a meno della metà del costo del passante nord, anche nella sua versione più recente a due corsie, («Passantino»),

impegna il Governo

in vista della prosecuzione dell’iter di approvazione del progetto del passante nord di Bologna, ad adottare le opportune iniziative per promuovere un tavolo d'incontro tra le amministrazioni dello Stato, la regione Emilia Romagna, gli enti locali, l'ANAS spa e Autostrade per l'Italia spa, per poter rivedere il tracciato dell'opera, optando per il potenziamento in sede della tangenziale nord di Bologna, come da progetto presentato dai comitati locali, ivi comprese efficaci opere di mitigazione di eventuali impatti in tutti i punti a ridosso delle zone abitate, dirottando i fondi resisi disponibili dal progetto passante nord al completamento di opere di dimensioni minori rimaste incompiute da anni nel territorio della provincia di Bologna.
(7-00200) «Grimoldi, Caparini, Gianluca Pini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   in data 20 novembre 2013 si è tenuto a Roma, presso Villa Madama, il vertice bilaterale italo-francese al quale hanno preso parte il Presidente del Consiglio Enrico Letta e il Presidente François Hollande;
   in tale sede i Governi di Italia e Francia hanno dichiarato, per voce del Presidente Letta, di considerare la costruzione della nuova linea ferroviaria Lione-Torino un cantiere aperto, sottolineando il carattere prioritario della realizzazione;
   accanto alle chiare prese di posizione in favore di una grande opera come il TAV, il Presidente Letta ha altresì dichiarato che entrambi i Governi vogliono spingere anche per la realizzazione della Torino-Cuneo-Ventimiglia-Nizza per rendere i due Paesi ancora più «osmotici» ed ha concluso la conferenza stampa, tenutasi al termine del vertice, affermando che: «I due Governi ai impegnano a proseguire i negoziati sull'attualizzazione della Convenzione franco-italiana del 1970 relativa alla linea ferroviaria e a stabilire un meccanismo istituzionale di condivisione delle responsabilità ben equilibrato, riguardante il futuro della linea, sia dal punto di vista operativo che del finanziamento;
   è stato confermato l'impegno da parte di Italia e Francia ad adottare il prima possibile le misure necessarie per ottenere il cofinanziamento comunitario all'inizio dei lavori. Parità infatti nel 2014 la presentazione alla Commissione europea di una domanda congiunta per avere il massimo sostegno finanziario nel periodo 2014-2020 (finanziamenti già in parte promossi a Bruxelles il 17 ottobre 2013);
   contrariamente alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio sulla necessità di preservare la linea Torino-Cuneo-Ventimiglia-Nizza perché ritenuta «strategica», dal 15 dicembre 2013, a seguito di una riduzione ulteriore delle corse, si passerà a 4 transiti al giorno, lasciando presumere che i tempi per la dismissione di suddetta linea ferroviaria siano molto prossimi;
   in data 28 novembre 2013 il Ministro Lupi è intervenuto sul caso, tramite una lettera pubblicata su La Stampa e indirizzata al professor Andrea Carandini, ribadendo il massimo impegno del Governo e annunciando un emendamento alla legge di stabilità 2014, all'interno del quale verranno destinati 29 milioni di euro per il mantenimento, la gestione e la modernizzazione della Cuneo-Nizza;
   il MoVimento 5 Stelle ha sottoscritto una mozione finalizzata a impegnare il Governo ad abbandonare la costruzione del TAV Torino-Lione e a investire le somme necessarie per la realizzazione di tale opera nelle linee locali già esistenti, quali ad esempio la Cuneo-Nizza ma essa è stata respinta dalla maggioranza;
   il MoVimento 5 Stelle ha proposto una risoluzione in Commissione trasporti (n. 7-00130) in favore della linea Cuneo-Nizza non ancora calendarizzata;
   la prima firmataria del presente atto ha presentato già una interrogazione (n. 4-01009) sulla medesima linea alla quale non ha fatto seguito alcuna risposta –:
   quale sia la ragione per la quale il Governo ha ritenuto di fissare il vertice bilaterale con la Francia in data 20 novembre 2013, data in cui si era approvato il disegno di legge di ratifica dell'accordo Italia-Francia sul TAV solo in uno dei due rami del Parlamento e dunque vi era un iter di ratifica incompleto;
   quale sia il motivo per il quale a tali affermazioni non corrisponde un lavoro apposito nelle sedi di Governo opportune;
   quale sia la ragione per la quale il Ministro interpellato ha dichiarato che presenterà un emendamento alla legge di stabilità, sperando nell'approvazione dello stesso da parte della maggioranza, piuttosto che agire con un diverso atto del Governo, visto che ad oggi risulta presentato un solo emendamento a firma Olivero e risulta essere stato respinto;
   quali siano le linee programmatiche del Governo in tema di trasporti, con specifico riguardo, al rapporto di priorità tra costruzione di grandi opere e mantenimento delle linee di trasporto già esistenti;
   quali siano le iniziative concrete che il Ministro intende assumere per scongiurare la chiusura di una linea storica quale la Cuneo-Nizza, oltre all'auspicio dell'approvazione di un emendamento alla legge di stabilità (emendamento peraltro già respinto);
   se infine non ritenesse opportuno, laddove non vi fossero coperture finanziarie adeguate, destinare le somme stornate dalle grandi opere in favore della manutenzione, del mantenimento, della valorizzazione e del riammodernamento delle linee ferroviarie già esistenti.
(2-00332) «Dadone, Nuti, Della Valle, Castelli, Bechis, Busto, Chimienti, Crippa, Paolo Nicolò Romano».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per l'integrazione, per sapere – premesso che:
   dalle informazioni raccolte dal Coordinamento delle associazioni familiari e affidatarie in rete (CARE), il 27 settembre la direzione nazionale delle migrazioni della Repubblica democratica del Congo ha informato le Ambasciate dei Paesi di accoglienza dei bambini dati in adozione della sospensione per 12 mesi, a partire dal 25 settembre 2013, delle operazioni per il rilascio dei permessi di uscita per i bambini adottati dalle famiglie straniere;
   tale decisione ha toccato le vite di numerose coppie italiane già arrivate in Congo o in procinto di partire. Moltissime sono infatti le famiglie già abbinate, ai fini dell'adozione, a bambini congolesi e molte sono le sentenze di tribunali congolesi che riconoscono tali bambini come figli adottivi di cittadini italiani tanto da avere assunto il cognome dei genitori adottivi;
   parrebbe che in ottobre 2013, le autorità della Repubblica democratica del Congo hanno permesso di stilare una lista di coppie, con documentazione già conclusa entro il 25 settembre, che avrebbero avuto il permesso di recarsi nel Paese per portare a compimento l'adozione dei bambini loro assegnati;
   il 4 novembre il Ministro per l'integrazione Cécile Kyenge, presidente della commissione adozioni internazionali, si è recata a Kinshasa per incontrare le autorità competenti, a seguito dell'incontro, ha riferito che la direzione generale per la migrazione congolese avrebbe confrontato con l'ambasciata italiana la lista delle adozioni considerate «in regola» e per le quali quindi sarebbe sfata rilasciata l'autorizzazione alla partenza; 
   le famiglie si sono quindi recate in Repubblica democratica del Congo dove hanno potuto abbracciare i propri figli adottivi, ma l'iter si è nuovamente bloccato e le coppie arrivate in Repubblica democratica del Congo ormai più di un mese fa non sono state ancora autorizzate a ripartire con i piccoli. La direzione generale delle migrazioni infatti si è dimostrata disponibile a restituire i passaporti dei genitori senza però concedere i permessi di uscita per i minori;
   a Kinshasa, in questo momento, sono bloccate 26 famiglie, regolarmente autorizzate alla partenza alla luce di dossier validati dalle competenti autorità italiane e congolesi. Molte di queste famiglie vivono ora in condizione di precarietà, sia economica che sanitaria;
   è molto grave che bambini tanto provati dall'assenza di una madre e un padre, spesso già spostati da istituti periferici a quelli della capitale della Repubblica democratica del Congo, rischino ora nuovamente di essere lasciati da soli, senza assicurazione alcuna di una pronta soluzione della situazione –:
   in quale modo il Governo intenda assicurare il sostegno economico e logistico alle famiglie presenti a Kinshasa e come intenda garantire la regolare prosecuzione dell'iter adottivo ovvero, nei casi in cui questo si è concluso, assicurare il rientro delle famiglie e dei loro figli adottivi.

(2-00334) «Quartapelle Procopio, Binetti, Sberna, Gigli, Zampa, Del Grosso, Scuvera, Tacconi, Manciulli, Patriarca, Piccoli Nardelli, Chaouki, Manlio Di Stefano, Nicoletti, Monaco, Santerini, Cassano, Lenzi, Bonafè, Sibilia, Spadoni, Mogherini, Mosca, Marazziti, Preziosi, Gentiloni Silveri, Gadda, Alli, Casellato, Scotto, Fregolent, Casati, Boschi, Marantelli, Sereni, Scagliusi, Ascani, Rotta, Giorgis, Lauricella, Verini, Giuditta Pini, Rocchi, Rostan».

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   ben ventisei coppie italiane sono rimaste bloccate dal 25 settembre nella Repubblica democratica del Congo, dove erano andate per ultimare le pratiche adottive di trentadue bambini;
   dalle informazioni raccolte dal coordinamento dell'organizzazione umanitaria Care, il Governo di Kinshasa ha deciso di bloccare per un anno tutte le adozioni, non concedendo agli italiani il visto per l'espatrio dei piccoli congolesi;
   il Ministro per l'integrazione si è recata a Kinshasa per incontrare le autorità locali e ha ricevuto rassicurazioni sulla considerazione e sulla reputazione di cui gode il sistema italiano delle adozioni e la conferma che sarebbero state ripristinate immediatamente tutte le pratiche che avevano già ottenuto l'approvazione definitiva;
   dal Ministero parlano di azione diplomatica, ma le autorità italiane che operano in loco dicono che questo tipo di attività è ormai terminata e non ha purtroppo prodotto i frutti sperati;
   nonostante il diretto intervento del Ministro Kyenge, ad oggi numerose famiglie che sono ancora in Congo denunciano che le operazioni di rilascio dei permessi d'uscita per i bambini sono ancora ferme, impedendo di fatto la conclusione dell’iter adottivo e il loro rientro in Italia con i figli;
   l'ambasciatore italiano a Kinshasa, dal canto suo, continua a contattare quotidianamente le massime autorità congolesi che avevano garantito la partenza, entro metà novembre 2013, dei ventisei bambini con le famiglie adottive non appena avessero sbrigato un piccolo cavillo, quello di verificare che la lista dei nomi dei nuovi genitori in possesso del Ministero degli interni locale coincidesse con l'elenco in mano alle autorità italiane;
   a quanto consta all'interrogante l'ambasciatore Mariani non riesce ad avere questo breve e risolutivo incontro. Nessuno dal Governo congolese gli concede udienza e anche i contatti telefonici si stanno complicando;
   da oltre un mese, le ventisei coppie sono sparse per Kinshasa, ostaggio del loro sogno di tornare a casa. Esauste per le condizioni di disagio in cui affrontano questo calvario, quelle cinquantadue persone continuano, nonostante tutto, a rimanere vicino ai figli: i nostri connazionali dormono sul pavimento di una stanza dell'orfanotrofio del capoluogo, sono senza acqua corrente ed elettricità, si lavano con quella piovana e alcuni hanno terminato le scorte dei medicinali salva-vita. Anche la profilassi per la malaria è al limite dell'efficacia;
   tutti stanno attraversando enormi sacrifici economici e per molti c’è il problema di aver esaurito le ferie e permessi: chi aveva preso un paio di settimane di ferie per andare a prendere il proprio bambino è stato licenziato. L'assenza si sarebbe protratta oltre i limiti, secondo alcuni datori di lavoro, e l'impiego è sfumato –:
   se non intendano attivarsi nuovamente per capire a che punto sono le procedure avviate con i contatti diplomatici per risolvere il caso, ponendo così fine alla estenuante attesa dei genitori e dando finalmente soddisfazione al loro desiderio di poter offrire il calore di una famiglia a bambini che non hanno avuto la fortuna di averne una propria. (3-00512)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il cosiddetto Movimento dei forconi, ha indetto per lunedì 9 dicembre 2013 uno sciopero e delle manifestazioni in tutte le maggiori città italiane, scioperi e manifestazioni che con ogni probabilità dovrebbero durare fino al 13, anche se non c’è una data precisa per la fine;
   in alcune città la protesta è iniziata la domenica precedente già alle ore 22 dell'8 dicembre, come a Brescia, a Gorizia, a Udine e a Trieste;
   dalle ore 8 di lunedì sono previste le prime manifestazioni: presidi, blocchi e manifestazioni coinvolgeranno quasi tutte le città italiane con evidenti e prevedibili disagi;
   a giudizio dell'interrogante è giusto che venga garantito il diritto di manifestare per il proprio lavoro ma ancora di più deve essere assicurata la possibilità di continuare a garantire il lavoro e il progresso di una intera Nazione e di coloro che la mattina, a prezzo di enormi sacrifici, continuano ad alzare una saracinesca, dando lavoro a sé stessi e a tante altre famiglie;
   le forze dell'ordine devono garantire, anche attraverso la repressione, i diritti dei cittadini. È necessario garantire l'ordine pubblico e la libertà dei cittadini nel territorio nazionale perché possano muoversi e fruire dei servizi;
   il modo irresponsabile con cui si è permesso di trasformare delle manifestazioni di protesta in azioni che hanno finito, in passato, con il paralizzare ogni tipo di attività, modificando forzatamente la quotidianità dei cittadini italiani è inaccettabile;
   la forza pubblica, che ha la capacità e certamente la volontà di tutelare i cittadini, deve essere messa nella condizione di operare nell'interesse pubblico e di perseguire ed eventualmente reprimere blocchi stradali o, come pare sia accaduto in passato, picchettaggi che hanno comportato la chiusura delle attività, pare persino con pressioni da vario tipo. È imprescindibile che vengano garantiti i diritti dei cittadini, anche con l'uso della forza, perché non prevalga l'arroganza e la prepotenza di pochi a discapito di tutti gli altri;
   già l'anno scorso molti commercianti ed artigiani sono stati costretti a chiudere le loro attività e non si è indagato a fondo sulla natura delle minacce cui sono stati oggetto –:
   quali provvedimenti intenda adottare il Governo per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-02893)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 30 ottobre 2013, n. 125, sono state introdotte «disposizioni urgenti in tema di immissione in servizio di idonei e vincitori di concorsi, nonché di limitazioni e proroghe di contratti e all'uso del lavoro flessibile nel pubblico impiego»;
   l'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede che le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione;
   il cosiddetto «decreto D'Alia» recepisce e codifica un principio giurisprudenziale ormai consolidato e fatto proprio dal Consiglio di Stato che, in Adunanza plenaria, con la sentenza n. 14 del 28 luglio 2011, ha stabilito che «in presenza di graduatorie concorsuali valide ed efficaci, l'amministrazione, se stabilisce di provvedere alla copertura dei posti vacanti, deve motivare la determinazione riguardante le modalità di reclutamento del personale, anche qualora scelga l'indizione di un nuovo concorso, in luogo dello scorrimento delle graduatorie vigenti»;
   la disposizione sullo scorrimento della graduatorie sarebbe, in linea teorica, inapplicabile alle procedure di accesso per le forze armate e per il comparto sicurezza in quanto si tratta di una procedura concorsuale riservata a posizioni specifiche ed in proporzioni predeterminate (55 per cento VFP1 e 45 per cento VFP4). Ed è evidente come l'assunzione degli idonei VFP1 dell'ultima selezione andrebbe a detrimento dei VFP4 oltre a bloccare i successivi concorsi con il conseguente blocco dell'alimentazione delle Forze armate;
   però, nel corso degli anni appena trascorsi sono stati approvati dei tagli agli organici delle Forze di Polizia con una diminuzione del turn-over che dal 100 per cento passerà al 20 per cento). In poche parole, per ogni 100 poliziotti che lasceranno il servizio, soltanto 20 verranno rimpiazzati;
   il mancato turn-over previsto dalla recente «spending-review» ha portato ad una perdita di almeno 6 mila poliziotti, che si aggiunge all'attuale carenza di circa 15 mila unità, come dichiarato dallo stesso Capo della polizia;
   alla luce dei pressanti carichi di lavoro e dei turni già sfiancanti che gravano sulle spalle di persone che operano in un contesto particolarmente delicato, a giudizio dell'odierno interrogante, sarà impossibile riuscire ad assicurare alla collettività uno standard di sicurezza accettabile;
   la situazione descritta, denuncia il segretario della Fns-Cisl Pompeo Mannone, è quella che investe anche il Corpo della polizia penitenziaria, il Corpo forestale dello Stato ed il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, settori, questi, chiamati a rispondere continuamente alla crescente richiesta di soccorso e di sicurezza dei cittadini;
   a ciò si aggiunge l'urgenza di affrontare il problema dei giovani VFP4 che, già vincitori di concorso, stanno invecchiando nell'esercito in attesa di indossare la divisa del poliziotto –:
   quali provvedimenti intenda adottare il Governo per risolvere le problematiche esposte premessa. (4-02894)


   COLONNESE, DA VILLA, TOFALO, SILVIA GIORDANO, MICILLO, SIBILIA, MANNINO, TONINELLI, LOREFICE, DE LORENZIS e BECHIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta agli interroganti, nel comune di Ravello (Salerno), a seguito dell'inchiesta «Casa Brunetta» della trasmissione televisiva Report andata in onda su Rai Tre il 18 novembre, sono emersi una serie di fatti inerenti ad alcune nomine nell'ambito della pubblica amministrazione da parte dell'ex Ministro Renato Brunetta;
   questi, infatti, a partire dall'acquisto di un immobile a Ravello ha intrecciato una serie di relazioni, in particolare con l'allora sindaco Secondo Amalfitano la cui carriera è venuta alla luce proprio in virtù dell'inchiesta giornalistica. Ai tempi della ristrutturazione dell'abitazione, infatti, costui ricopriva tale carica e il Ministro Brunetta lo ha nominato consulente al Ministero, nonostante fosse formalmente iscritto ad un partito politico avverso rispetto a quello che esprimeva il Ministro e che in Parlamento svolgeva l'opposizione;
   inoltre, a luglio 2009 Secondo Amalfitano è stato nominato presidente di Formez Italia spa, società creata proprio in quel momento con le stesse funzioni del Formez, la cui funzione è quella di organizzare concorsi nella pubblica amministrazione. Tale società, dopo solo due anni è stata nuovamente accorpata al Formez mediante una fusione e Secondo Amalfitano è divenuto dirigente a tempo determinato con le stesse mansioni e la medesima retribuzione;
   gli interroganti ritengono inusuale e inspiegabile l'operazione svoltasi con la creazione di Formez Italia spa che solo due anni dopo è stata fusa con la società originaria, che andrebbero verificate le motivazioni economico-funzionali che hanno determinato tale scelta la cui durata è stata palesemente breve, e che andrebbero verificati i criteri che hanno determinato la selezione di Secondo Amalfitano come presidente e poi dirigente, in virtù dei rapporti con l'allora Ministro posto al vertice della struttura –:
   quali siano le iniziative di competenza che il Governo intende adottare in merito. (4-02906)

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta scritta:


   COLONNESE, CATALANO, DA VILLA, LOREFICE, BRUGNEROTTO, SIBILIA, FICO, SEGONI, MANNINO, DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI, TOFALO e BECHIS. — Al Ministro per gli affari europei, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il testo attuale della proposta di COM(2011) 896 definitivo, direttiva per gli appalti pubblici nel settore dei servizi attualmente in discussione al Parlamento europeo, prevede all'articolo 76 la possibilità di riservare degli appalti per attività specifiche di cui all'articolo 74, che appartengono a settori determinati come quello sanitario, sociale e culturale alle organizzazioni indicate all'articolo 76, comma 2;
   una prima formulazione della direttiva prevedeva il riferimento all'assunzione di ex dipendenti pubblici presso enti privati coerentemente a quanto sta accadendo in Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord, dove è iniziato un processo di privatizzazione dei servizi pubblici essenziali;
   le carenze contrattuali e l'inefficienza delle strutture pubbliche hanno spinto un numero crescente di enti locali a manifestare la tendenza a privatizzare diversi servizi e contestualmente nel Regno Unito sono state inserite nuove disposizioni normative rispetto agli appalti pubblici (regolamento del 2006) applicabili già dai primi mesi del 2014 –:
   quali iniziative concrete intenda immediatamente assumere il Governo al fine di contrastare una proposta di direttiva che nella sua attuale formulazione apre la strada a procedure ristrette di public procurement volte a privatizzare i servizi pubblici essenziali come la sanità, l'assistenza sociale e la gestione del patrimonio culturale. (4-02903)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI, DA VILLA, RIZZETTO e MUCCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza n. 335 del 15 ottobre 2008 della Corte costituzionale ha dichiarato illegittime le disposizioni in materia di risorse idriche previste dalla legge n. 36 del 1994 (e successive modificazioni) e dal codice ambientale (decreto legislativo n. 152 del 2006), nella parte in cui prevedono che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti «anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi»;
   la restituzione di quanto indebitamente versato dagli utenti è stata disposta dall'articolo 8-sexies del decreto-legge n. 208 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 13 del 2009 relativo all'adozione di «misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente»;
   quest'ultimo provvedimento al comma 4 dell'articolo 8-sexies rinvia a un decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il compito di definire i criteri e i parametri per la restituzione agli utenti della quota di tariffa non dovuta riferita al servizio di depurazione;
   il Ministero summenzionato, con il decreto ministeriale 30 settembre 2009 – pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale serie generale n. 31 dell'8 febbraio 2010 – ha stabilito i criteri e i parametri necessari, prevedendo per la procedura delle restituzioni (articolo 7, comma 3) che «per le gestioni in via diretta, all'individuazione dell'importo da restituire provvedono i Comuni, deliberando la restituzione anche in forma rateizzata e mediante compensazione»;
   il comune di Pordenone sul proprio portale internet (www.comune.pordenone.it/it/servizi-online/rimborsi-depurazione) ha pubblicato le modalità del rimborso della tariffa di depurazione, facendo presente che «è possibile presentare l'istanza, in marca da bollo, utilizzando l'apposito modello con gli allegati necessari»;
   è paradossale che gli utenti debbano presentare una istanza di rimborso per la restituzione di somme indebitamente versate pagando contestualmente la marca da bollo;
   sulla questione è intervenuta l'Agenzia delle entrate – direzione centrale normativa e contenzioso con la risoluzione n. 98/E del 7 aprile 2009 relativa a un interpello sul trattamento tributario applicabile, ai fini dell'imposta di bollo, alle istanze di rimborso dei canoni versati e non dovuti per la depurazione delle acque;
   l'Agenzia ha stabilito che non è applicabile l'esenzione dall'imposta di bollo prevista dall'articolo 5, comma 5, della tabella annessa al decreto del Presidente della Repubblica n. 642 del 1972 (atti, documenti e registri esenti dall'imposta di bollo in modo assoluto) per le «istanze di rimborso e di sospensione dal pagamento di qualsiasi tributo, nonché documenti allegati alle istanze medesime»;
   secondo l'Agenzia «tenuto conto della natura di corrispettivo della tariffa dovuta per il servizio di depurazione delle acque deve ritenersi che l'istanza di rimborso presentata per ottenere la restituzione di quanto indebitamente versato non rientra nella previsione esentativa del predetto articolo 5, comma 5, della tabella annessa al decreto del Presidente della Repubblica n. 642 del 1972 e, pertanto, la stessa, ai sensi dell'articolo 3 della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica n. 642 del 1972, è soggetta all'imposta di bollo fin dall'origine nella misura di euro 14,62» –:
   se s'intendano adottare iniziative normative urgenti per esentare dal pagamento della marca da bollo le richieste di restituzione della quota di tariffa non dovuta, riferita al servizio di depurazione, in modo da evitare agli utenti oltre al danno anche la beffa di dover pagare per riottenere le somme indebitamente versate. (5-01686)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   COLONNESE, DA VILLA, LOREFICE, SIBILIA, FICO, MANNINO, DE LORENZIS, TOFALO e BECHIS. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta agli interroganti, nel comune di Maiori (Salerno), l'area ex cava dismessa della frazione di Erchie è stata oggetto nel 2009 di una richiesta di permesso di «costruire in sanatoria, immobili di pertinenza dell'area cava dismessa denominata Cava di Erchie» per cui il 14 aprile 2009 il comune aveva rilasciato alla società proprietaria della cava, l'autorizzazione paesaggistica per interventi edilizi sulla cava. Con decreto del 9 novembre 2009 la sopraintendenza di Salerno ha respinto la richiesta negando l'autorizzazione;
   il Piano regolatore generale del comune di Maiori nel 2010 la definiva zona 1A E3, «di tutela dell'ambiente naturale» era impossibile la realizzazione di nuovi edifici, ogni trasformazione del suolo, le opere di rimboschimento in contrasto con la vegetazione esistente, l'attraversamento di strade, elettrodotti, acquedotti, funivie e altre opere che non siano quelle indicate dal Piano urbanistico territoriale e ogni altra prescrizione prevista all'articolo 17 della legge n. 35 del 1987;
   andrebbe considerato il ripristino della sicurezza con risanamento ambientale o riuso naturalistico e paesaggistico dell'area (oasi naturalistiche, aree naturali di pregio) come prescritto dall'articolo 68 del piano regionale attività estrattive della Campania del 2006 e avviato un monitoraggio con gli enti locali per la salvaguardia dell'area della costiera amalfitana rientrante nelle zone SIC (siti di interesse comunitario) e riconosciuta dall'UNESCO patrimonio dell'umanità;
   la questione necessita da parte del Ministero la massima attenzione alla luce della vicenda relativa all'Hotel Fuenti, noto come Mostro di Fuenti, sorto negli anni ’70 in un'area, soggetta a vincolo ambientale per cui la proprietà dell'albergo ottenne licenza edilizia dal comune di Vietri sul mare e il nulla-osta paesaggistico regionale. L'edificio composto di 7 piani e lungo 150 metri fu definito dal giornalista Antonio Caderna «un misfatto ecologico esemplare». Gli abusi furono segnalati da una fitta schiera di ambientalisti e cittadini e i conseguenti sopralluoghi rilevarono notevoli differenze tra il progetto depositato e l'effettiva costruzione tali da costituire addirittura un rischio per la stabilità della scogliera;
   l'area, distante circa 6 chilometri dalla cava in questione, fu oggetto di un contenzioso trentennale fra la proprietà e gli enti partecipanti al provvedimento e a tutt'oggi la struttura risulta solo in parte demolita –:
   nell'ambito delle rispettive competenze quali iniziative intendano intraprendere al fine di evitare la compromissione dei valori paesaggistici tenendo conto del pregresso e, quindi, non duplicando un nuovo Mostro di Fuenti;
   se sussistano situazioni di pericolosità tali da mettere a repentaglio l'incolumità delle persone causate dalla mancata messa in sicurezza della zona;
   quali iniziative intendano assumere al fine di acquisire elementi, per quanto di competenza, in merito all'utilizzo dei fondi FESR-POR previsti dal gennaio 2014 che potrebbero essere destinati alla riqualificazione o risanamento ambientale dell'area oggetto dell'interrogazione. (4-02902)

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   l'11 ottobre 2013 a 113 chilometri da Lampedusa e a 218 da Malta una nave peschereccio, carica di profughi siriani tra i quali circa 150 bambini, è affondata in mare rendendo ancora più drammatica e pesante la lista dei morti nel Mediterraneo tra le persone che sfuggono dalla guerra e dalla fame;
   i dati di massima – essendo una nave che trasportava illegalmente profughi purtroppo la contabilità dei passeggeri non può che essere approssimativa – dicono di almeno 268 annegati, solo 26 corpi recuperati, 212 sopravvissuti. Insomma ci si trova di fronte ad una delle più gravi tragedie nel Mediterraneo degli ultimi decenni;
   nell'inchiesta del giornalista Fabrizio Gatti pubblicata dal settimanale L'Espresso in edicola il 5 dicembre 2013, si ricostruiscono gli eventi che, qualora confermati, metterebbero in luce l'inefficacia del sistema di soccorso e gravi responsabilità nel ritardo con cui si è risposto alla richiesta di aiuto pervenuta a più riprese dall'imbarcazione dei profughi;
   secondo la ricostruzione de L'Espresso infatti già alle ore 11 dal dottor Mohanad Jammo, primario del reparto di terapia intensiva dell'ospedale di Aleppo, parte una prima telefonata alla centrale del coordinamento di Roma del comando generale della capitaneria di porto, una struttura della Marina, inquadrata nel Ministero delle infrastrutture e dei trasporti della Guardia costiera. Questa è l'unica chiamata la cui esistenza è smentita dall'ammiraglio Felicio Angrisano e sulla quale le ricostruzioni dei fatti non coincidono con le dichiarazioni del dottor Jammo;
   secondo l'ammiraglio Angrisano infatti solo alle 12,26 dell'11 ottobre «giunge da apparato telefonico satellitare alla centrale operativa una chiamata fortemente disturbata e a tratti incomprensibile. Dopo cinque minuti di tentativi di comunicare la linea cade. L'esperienza maturata induce comunque a contattare, come già fatto in centinaia e centinaia di casi analoghi, il gestore della rete Thuraya, che ha sede negli Emirati arabi»;
   otto minuti dopo, alle 12,39, il dottor Jammo richiama e la telefonata prosegue fino alle 12 e 56. La voce è più comprensibile «tanto da permettere – scrive l'ammiraglio Angrisano – di acquisire alcuni elementi, numero e nazionalità delle persone a bordo, luogo di partenza, la presenza di due bambini bisognosi di cure, fornendo per ultimo la posizione dell'unità che con motore fermo, imbarca acqua»;
   a bordo ci sono infatti diversi feriti da raffiche di mitra sparate da una motovedetta libica che per tutta la notte aveva inseguito la nave dei profughi. Le pallottole hanno forato lo scafo, alcuni passeggeri sono gravemente feriti e il peschereccio comincia a imbarcare acqua;
   i profughi siriani erano stati tenuti prigionieri dal 7 al 10 ottobre in un casolare di Zuwara, in Libia e da quel porto obbligati a salire a bordo del peschereccio dei fratelli Khaled e Mohamed, noti trafficanti di esseri umani che si sono arricchiti con l'emergenza profughi;
   anche ignorando la chiamata delle 11, non confermata dall'ammiraglio Angrisano, alle ore 13,00 c’è ancora tutto il tempo per far partire le motovedette e i pattugliatori da Lampedusa e per interessare la nave Libra della Marina militare italiana – sui cui radar la nave dei profughi è visibile – che, secondo la ricostruzione giornalistica si trovava tra le 27 e le 10 miglia, mezz'ora di navigazione o poco più dalla nave in difficoltà. Né l'Italia né Malta chiedono il suo intervento. La Marina militare contesta questa ricostruzione sostenendo che alle 13 e 34 la nave Libra si trovasse a 27 miglia dal punto di richiesta del soccorso, insomma 50 chilometri. Alla velocità massima della nave, 20 nodi, 37 chilometri orari, con il  mare calmo di quel giorno, essa avrebbe comunque potuto raggiungere i profughi intorno alle 15.00, in una ora e mezzo di viaggio;
   la Libra arriverà invece solo alle ore 18.00 perché soltanto dopo l'affondamento della nave dei profughi il coordinamento di Malta chiede alla centrale operativa di Roma il concorso degli italiani;
   la cosa più imbarazzante sarebbe però la confusione su chi doveva intervenire tra Malta e l'Italia. Alle 13 dell'11 ottobre era ancora possibile salvare tutti i naufraghi, ma la centrale operativa di Roma rinunciava all'intervento diretto e passava la richiesta di soccorso a Malta nonostante la distanza tra l'isola di Lampedusa e la nave dei profughi sia la metà della distanza tra la stessa e l'isola di Malta;
   nel suo resoconto scritto l'ammiraglio Angrisano sostiene «l'unità si trova nell'area di responsabilità di Malta e quella centrale di coordinamento viene pertanto interessata alle 13 dalla centrale operativa della Guardia costiera che comunica di aver anche individuato nella zona due navi mercantili, più prossime alle unità dei migranti, rispettivamente a 25 e 70 miglia»;
   secondo L'Espresso alle 13,34 di quel pomeriggio si nasconderebbe un altro retroscena incredibile. È il momento in cui l'avviso ai naviganti del centro operativo di Roma viene diramato a tutto il mondo: la nota «hydrolant 2545» chiede alle navi in transito di assistere se possibile, il peschereccio dei profughi. Alle navi in transito ma non alla nave Libra;
   alle 16,22 l'autorità di Malta informa Roma che un proprio aereo ha individuato il peschereccio alla deriva. Alle 17,07 sempre dalla Valletta avvertono che si è capovolto e chiedono aiuto all'Italia. Soltanto alle 17,51 arriva sul posto la prima nave soccorso, il pattugliatore maltese P61. Verso le 18 si unisce la Libra ma ormai è troppo tardo –:
   se non ritenga che l'applicazione pedissequa della convenzione di Amburgo nel caso in questione fosse inopportuna vista la maggiore vicinanza della nave dei profughi all'isola di Lampedusa e le vicinanza della nave Libra che è dotata anche di elicottero a bordo;
   perché non siano state impartite – anche alla luce delle ripetute emergenze in quel tratto di mare in quei drammatici giorni – precise istruzioni al coordinamento di Roma del comando generale delle capitanerie di porto, struttura della Marina, inquadrata nel Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da cui dipende l'attività della Guardia costiera affinché le richieste di soccorso fossero immediatamente diramate alle unità dislocate a Lampedusa e in pattugliamento in quel tratto di mare;
   quali siano le ragioni per le quali nella nota «hydrolant 2545» si sia richiesto il soccorso alle navi in transito e non si sia più opportunamente ordinato alla nave Libra di recarsi immediatamente su luogo;
   se si sia riscontrata una prassi della Marina libica di usare le armi contro le navi che trasportano profughi e quali istruzioni siano state impartite ai marinai libici – attesi i vari trattati di addestramento e cooperazione militare ancora in vigore tra le forze armate italiane e quelle libiche – in merito al soccorso in mare dei migranti in difficoltà e nei campi di «smistamento» degli stessi collocati in terraferma.
(2-00330) «Artini, Corda, Rizzo, Frusone, Tofalo, Basilio, Paolo Bernini, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, Grande, Tacconi, Del Grosso, Sibilia, Scagliusi, Nicola Bianchi, Cristian Iannuzzi, Paolo Nicolò Romano, Liuzzi, Dell'Orco, Catalano, De Lorenzis, Castelli, Caso, Cariello, D'Incà, Currò, Brugnerotto, Sorial, D'Ambrosio».

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, il cui disegno di legge di conversione è stato esaminato, in sede referente, dalla Commissione Finanze congiuntamente con la Commissione Bilancio, interviene sulla disciplina della cosiddetta golden share, riformulando le condizioni e l'ambito di esercizio dei poteri speciali dello Stato sulle società operanti nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in taluni ambiti di attività definiti di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni;
   in particolare, l'articolo 1 individua e disciplina i poteri speciali che possono essere esercitati in relazione alle imprese che svolgono attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, prevedendo che essi possono consistere anche nell'imposizione di specifiche condizioni alle operazioni di acquisto di partecipazioni nelle imprese che svolgono tali attività, nonché all'adozione di determinate delibere dell'assemblea o degli organi di amministrazione; l'articolo 2, con disposizioni simili a quelle previste dall'articolo 1, reca la disciplina dei poteri speciali nei comparti dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni;
   il decreto-legge n. 21 del 2012 definisce, anche mediante il rinvio ad atti di normazione secondaria (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e regolamenti), l'ambito oggettivo e soggettivo, la tipologia, le condizioni e le procedure di esercizio dei poteri speciali, quali la facoltà di dettare specifiche condizioni all'acquisto di partecipazioni, di porre il veto all'adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all'acquisto di partecipazioni;
   in attuazione di quanto disposto dall'articolo 1 del predetto decreto-legge è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 novembre 2012, n. 253, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 29 del 4 febbraio 2013, che individua le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale;
   non sono stati invece, fino ad oggi, emanati i regolamenti di cui all'articolo 2 del decreto-legge per quanto riguarda l'individuazione delle reti e degli impianti – compresi quelli necessari per assicurare l'approvvigionamento minimo e l'operatività dei servizi pubblici essenziali – dei beni e dei rapporti da considerare come aventi rilevanza strategica per l'interesse nazionale nel settore dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni ai fini dell'attivazione dei poteri speciali; questa lacuna appare oggi particolarmente grave, poiché la norma di chiusura del decreto-legge n. 21 del 2012 condiziona l'applicazione del golden power a questi settori alla pubblicazione di tali regolamenti;
   tuttavia, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 2 ottobre 2013, n. 129, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 266 del 13 novembre 2013, è stato emanato il regolamento recante modifiche al citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 novembre 2012, n. 253, che ha inserito negli attivi di rilevanza strategica nel settore delle comunicazioni, ai fini dell'esercizio dei poteri speciali di cui al citato articolo 1 del decreto-legge n. 21 del 2012, le reti e gli impianti utilizzati per la fornitura dell'accesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale e dei servizi a banda larga e ultralarga;
   in relazione al citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 129 del 2013 la Commissione europea ha chiesto chiarimenti sulla connessione tra gli asset del settore comunicazioni citati nel decreto e gli interessi di sicurezza nazionali che possono essere messi a rischio;
   il paragrafo 1 dell'articolo 346 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) consente agli Stati membri di adottare le misure ritenute necessarie per tutelare gli interessi essenziali della propria sicurezza; la deroga dalle regole del Trattato prevedono la possibilità di restrizione alla libera circolazione dei capitali solo in casi chiari e definiti e deve essere rispettata comunque la proporzionalità con l'obiettivo della sicurezza nazionale;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 129 del 2013 sembra creare criticità, non solo sul piano della sua compatibilità con il TFUE, ma anche di una possibile violazione del decreto-legge n. 21 del 2012, il quale distingue infatti nettamente i comparti della difesa e sicurezza da un lato, e delle comunicazioni (nonché dell'energia e dei trasporti) dall'altro, prevedendo, nelle rispettive fattispecie, poteri speciali diversi e diverse modalità per il loro esercizio: la previsione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che inserisce le reti di comunicazione tra le infrastrutture strategiche per la difesa e la sicurezza pone pertanto più di un dubbio di legittimità;
   in tale contesto è quanto mai necessario che, in sede di emanazione dei regolamenti attuativi della normativa recata dal decreto-legge n. 21, siano inseriti criteri volti a prevedere, nel caso di acquisizione di reti e di impianti utilizzati per la fornitura dell'accesso agli utenti finali dei servizi rientranti negli obblighi del servizio universale nel settore delle comunicazioni, che sia garantita una adeguata manutenzione dell'infrastruttura –:
   quali misure intenda adottare al fine di assicurare la piena e tempestiva applicazione delle norme in materia di esercizio dei poteri speciali di cui agli articoli 1 e 2 del decreto-legge n. 21 del 2012, assumendo a tal fine iniziative per l'emanazione, in tempi brevi, dei regolamenti attuativi previsti dal medesimo l'articolo 2 del decreto-legge, e prevedendo in tale ambito l'indicazione dei criteri segnalati, da ultimo, in premessa. (5-01690)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo una rilevazione della Banca d'Italia nel nostro Paese il valore annuale dell'evasione fiscale ammonta a circa 180 miliardi di euro;
   nei primi mesi del 2013, con un'evasione fiscale crescita del 3,1 per cento, l'Italia si conferma al primo posto in Europa, con un economia sommersa del 21 per cento del prodotto interno lordo, pari a 340 miliardi di euro l'anno;
   nel solo 2012 lo Stato, attraverso le misure di accertamento e di contrasto, ne ha recuperati, incassandoli, circa 12,7 miliardi un risultato pari al doppio rispetto al 2008, valore al quale però vanno sottratti 5,5 miliardi incassati per compensazione, arrivando ad un totale di 7,2 miliardi di euro, tutte cifre che rappresentano appena il 4 per cento del totale;
   secondo quanto sostenuto nell'ottobre 2012 presso la Commissione Finanze del Senato dal Presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, citando i dati Ocse, l'Italia sarebbe anche ai primissimi posti della graduatoria internazionale per evasione fiscale, terza solo dopo Turchia e Messico;
   da una nuova indagine effettuata per conto dell'Associazione contribuenti italiani e pubblicata sul sito internet «Contribuenti.it Magazine», condotta attraverso l'elaborazione di una serie di dati ministeriali, delle banche centrali, degli istituti di statistica e delle Polizie tributarie dei singoli Stati europei, emerge che l'economia sommersa italiana è risultata circa il doppio di quelle di Francia e Germania inoltre, in tale speciale classifica l'Italia è seguita dalla Grecia con il 20,8 per cento; dalla Romania con il 19,1 per cento dalla Bulgaria con il 18, dalla Slovacchia con il 17,1 per cento da Cipro con il 17,1 per cento;
   sempre secondo lo stesso studio, in Italia i principali evasori sono gli industriali (32,7 per cento) seguiti da bancari e assicurativi (32,2 per cento), commercianti (10,8 per cento) artigiani (9,4 per cento), professionisti (7,5 per cento) e lavoratori dipendenti (7,4 per cento);
   a fronte dei suddetti dati, quelli relativi alla contribuzione del 2012 vedono i lavoratori dipendenti dichiarare una media di 20.680 euro, contro i 20.649 euro dei titolari d'impresa;
   lavoratori dipendenti e pensionati presentano abitualmente la dichiarazione dei redditi tramite un CAF, inserendo così, a garanzia della veridicità dei dati, una verifica intermedia attuata da un soggetto terzo;
   rispetto a queste ultime dichiarazioni, l'Agenzia delle entrate esplica un'ulteriore attività di controllo, finalizzata alla verifica dei dati indicati dagli stessi nelle dichiarazioni presentate, controllo che è di due tipi: uno «automatico» effettuato su tutte le dichiarazioni presentate che consiste in una procedura automatizzata di liquidazione delle imposte, dei contributi, dei premi e dei rimborsi, sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle stesse dichiarazioni e di quelli risultanti dall'anagrafe tributaria, un altro, «formale», effettuato sulle dichiarazioni selezionate secondo criteri fissati dal direttore dell'Agenzia, che consiste in un riscontro dei dati indicati con i documenti nella dichiarazione;
   un'analoga attività di controllo è eseguita sui versamenti delle imposte che il contribuente è chiamato ad effettuare direttamente, senza in pratica la necessità di compilare una dichiarazione (come accade, ad esempio, per l'imposta di registro, l'imposta di bollo, le tasse automobilistiche –:
   quale sia la dimensione, in termini di volume e di tempo, degli accertamenti rivolti ogni anno da parte dell'Agenzia delle entrate spa alla dichiarazione dei redditi che i contribuenti presentano attraverso il cosiddetto modello 730, con quale percentuale tale attività di controllo incida rispetto alle altre, e quali risultati restituisca riguardo alle incongruenze riscontrate o alle maggiori imposte riscosse.
(5-01691)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO, NUTI, VILLAROSA, BARBANTI, DE ROSA e VALLASCAS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i tragici fatti che hanno colpito la regione Sardegna ricollocano al centro del dibattito politico nazionale la questione, irrisolta, del consumo del suolo. Il governo del territorio ed i rispettivi aspetti fisici, geologici, culturali, sociali ed economici sono il cuore di un modello di sviluppo sostenibile;
   il nostro Paese ha trascurato le inderogabili esigenze della corretta pianificazione territoriale, contribuendo a creare un sistema sclerotizzato che finisce per crollare quando viene messo sotto sforzo;
   nel 2006, sotto la presidenza di Renato Soru, la regione Sardegna ha varato un piano paesaggistico che rappresenta l'eccellenza della pianificazione territoriale, il miglior piano d'Italia, tra i più innovativi d'Europa. L'elemento più avanzato di tutta la programmazione urbanistica regionale poggia sulla seguente considerazione: l'intera fascia costiera è un bene unitario unico al mondo inteso come bene ecologico, antropologico, storico e culturale. Tale ineccepibile impostazione è stata irrimediabilmente compromessa da una recente delibera della giunta Cappellacci che smonta la tutela del paesaggio attraverso le deroghe prevista dal cosiddetto «piano casa». Si abbandona l'eccellenza per aprire la strada al cemento selvaggio con una previsione di 50 milioni di metri cubi di case;
   secondo l'ordine dei geologi sardi, «306 comuni (l'81 per cento del totale) possiedono porzioni del proprio territorio ad elevato rischio idrogeologico. L'attuazione di scrupolose politiche di difesa del suolo e delle opere di mitigazione, deve divenire prioritaria e supportata da risorse economiche certe, sulle quali basare una adeguata pianificazione e programmazione»;
   occorre, inoltre, considerare che in una recente audizione presso l'VIII Commissione (Ambiente) della Camera dei deputati, il capo del dipartimento della protezione civile, dottor Franco Gabrielli, ha ricordato che eventi meteoidrologici intensi non determinano esclusivamente la distruzione e/o il danneggiamento di insediamenti, infrastrutture, colture agricole, beni mobili e, in taluni casi, la perdita di vite umane, ma causano anche un sensibile peggioramento delle condizioni di vulnerabilità del territorio, ovvero della sua propensione al dissesto a seguito di fenomeni meteorologici e idrologici anche di intensità inferiore. Tale aumento della vulnerabilità diventa significativamente maggiore in assenza di interventi di ripristino delle opere di difesa danneggiate dagli eventi alluvionali, come ormai si verifica di sovente. Infatti, a causa della mancanza di adeguate disponibilità economiche vengono finanziati solo interventi di somma urgenza, lasciando, nel prosieguo, il territorio più vulnerato di prima;
   dalla stessa audizione si evince che: il nostro Paese si è dotato di una rete di strutture denominate «centri funzionali» il cui scopo è valutare gli scenari di rischio, nonché svolgere funzioni di supporto tecnico agli enti competenti per la gestione delle emergenze. Tuttavia, l'attivazione dei centri funzionali decentrati è in fase di ultimazione: il Dipartimento della protezione civile, assicurando comunque forme di sostegno e di collaborazione, ha recentemente perentoriamente sollecitato le amministrazioni regionali che allo stato non hanno attivato il proprio centro funzionale nonostante, dalla direttiva 24 febbraio 2004, che ne ha previsto l'istituzione, siano passati quasi dieci anni. Tali regioni sono 6: Friuli-Venezia Giulia, Abruzzo, Basilicata, Puglia, Sicilia e Sardegna;
   si evidenzia, inoltre, che nel documento finale sulla comunicazione della Commissione europea relativa alla modernizzazione degli aiuti di Stato (COM(2012)209), approvato dalla X Commissione (Attività produttive) il 28 novembre 2012 della Camera dei deputati, si chiedeva di definire a livello europeo un elenco esaustivo delle tipologie di intervento qualificabili come aiuti in modo da assicurare certezza del diritto e ridurre il rischio di contenzioso. A tal fine, si riteneva necessario che tra gli aiuti dispensati dall'obbligo di notifica ex ante, in quanto ritenuti compatibili con il mercato, fossero inclusi quelli concessi in presenza di gravi calamità naturali, quali in particolare i terremoti particolarmente frequenti in Italia;
   tale raccomandazione, condivisa dal Governo, si è tradotta nell'inserimento, nel testo definitivo dell'articolo 1 del regolamento (UE) n. 733 del 2013, di una disposizione in forza della quale la Commissione europea può dichiarare compatibili con il mercato comune, e non soggetti all'obbligo di notifica – tra gli altri – «gli aiuti della riparazione dei danni arrecati dalle calamità naturali»;
   la legge 24 dicembre 2012, n. 243, reca disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio, ai sensi del nuovo sesto comma dell'articolo 81 della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1;
   l'articolo 6 della legge n. 243 del 2012 consente il ricorso all'indebitamento al verificarsi di eventi eccezionali, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti;
   in tale ambito viene specificato che per eventi eccezionali si intendono i periodi di grave recessione economica relativi anche dell'area dell'euro o all'intera Unione europea e gli eventi straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, ivi incluse le gravi crisi finanziarie, nonché le gravi calamità naturali, con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale del Paese; inoltre, l'articolo 3 del cosiddetto Fiscal compact impegna le Parti contraenti ad applicare e ad introdurre, entro un anno dall'entrata in vigore del trattato, con norme vincolanti e a carattere permanente, preferibilmente di tipo costituzionale, la regola per cui il bilancio deve essere in pareggio o in attivo;
   tuttavia, il medesimo articolo 3 prevede che gli Stati contraenti potranno temporaneamente deviare dall'obiettivo a medio termine o dal percorso di aggiustamento in presenza di circostanze eccezionali, ovvero eventi inusuali che sfuggono al controllo dello Stato interessato e che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppure in periodi di grave recessione, a patto che tale disavanzo non infici la sostenibilità di bilancio a medio termine –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di doversi attivare nelle sedi opportune, affinché gli strumenti elencati nelle premesse possano tradursi in efficaci misure economiche a sostegno della messa in sicurezza del nostro Paese. (4-02905)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   lo  scorso 8 dicembre la giornalista Lucia Annunziata ha intervistato, all'interno dei programma di RaiTre «In mezz'ora», il procuratore capo della Repubblica di Caltanissetta Sergio Lari;
   nel corso dell'intervista, il dottor Lari ha diffusamente affrontato le problematiche legate alla lotta alla mafia e alle nuove minacce di alcuni boss mafiosi, discutendo anche della cosiddetta «trattativa Stato-mafia»;
   il procuratore, sollecitato dalla conduttrice, ha espresso delle considerazioni politiche molto gravi e assolutamente di parte affermando, in sintesi, che con la nascita di un nuovo partito di centro destra, la mafia sembrerebbe aver perso un asse politico di riferimento;
   il magistrato ha analizzato l'attuale contesto politico nato dalla scissione del Popolo delle libertà, che, pur essendo ancora incerto e confuso, è contrassegnato da alcune novità a cui Cosa Nostra guarda con grande attenzione. Il riferimento è alla creazione di un nuovo partito che ha spaccato lo schieramento tradizionale di centrodestra, guidato dal Ministro dell'interno e vicepremier alleato con il centrosinistra che «viene in Sicilia per presiedere il comitato per l'ordine e la sicurezza manifestando – continua Lari – la sua vicinanza ai magistrati che promette di tutelare con ogni mezzo, ed esprime una linea in forte contrasto» con la criminalità organizzata. «Questi fatti – conclude il procuratore – hanno un significato ben preciso. La linea del centrodestra non è stata mai così vicina ai pm antimafia»;
   dall'estratto dell'intervista si evince, in modo manifesto, come il procuratore di Caltanissetta abbia espresso valutazioni puramente politiche, di parte e assolutamente false che esulano completamente dal proprio incarico, a danno di una intera parte politica;
   a parere dell'interpellante, inoltre, il dialogo tra la giornalista e il procuratore è stato chiaramente finalizzato a sminuire e denigrare l'operato dei governi di centrodestra, per quanto riguarda i risultati concreti ottenuti nella lotta alla mafia; l'impegno di governo del centrodestra nel corso degli ultimi anni è stato ufficialmente riconosciuto da tutti i livelli istituzionali, anche da parte di personalità appartenenti alla magistratura, come l'attuale Presidente del Senato Pietro Grasso, all'epoca Procuratore Nazionale antimafia;
   il comportamento del dottor Lari, che ha svolto considerazioni politiche impegnative su partiti, scissioni e antimafia, è certamente in contrasto con la disposizione del codice deontologico della magistratura associata che impone al magistrato, nei rapporti con la stampa e con gli altri mezzi di comunicazione «di garantire la corretta informazione dei cittadini e l'esercizio del diritto di cronaca, ovvero di tutelare l'onore e la reputazione dei cittadini, evitando la costituzione o l'utilizzazione di canali informativi personali riservati o privilegiati». Fermo il principio di piena libertà di manifestazione del pensiero, il magistrato «si ispira a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare dichiarazioni ed interviste ai giornali e agli altri mezzi di comunicazione di massa» (articolo 8 del codice deontologico);
   a giudizio dell'interpellante siffatte dichiarazioni, pronunciamenti, prese di posizione e partecipazioni a programmi televisivi, non sono compatibili con lo status di appartenente all'ordine giudiziario ed ancora di più di magistrato investito di funzioni inquirenti;
   le supposte rivelazioni del magistrato sembrano all'interpellante poco compatibili con un corretto rapporto tra magistratura e informazione, in particolare nell'ambito del servizio pubblico radiotelevisivo –:
   quali determinazioni abbia assunto o intenda assumere il Ministro interpellato in merito a quanto esposto in premessa, e se il Ministro non intenda disporre iniziative al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per la promozione di un'azione disciplinare nei confronti del procuratore della Repubblica di Caltanisetta.
(2-00335) «Brunetta».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BIFFONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'organico della polizia penitenziaria risulta sottodimensionato rispetto alla pianta organica stabilita dal Ministero;
   in particolare, le carenze sono individuabili nei ruoli di sovrintendenti e ispettori; ad oggi infatti risultano in forza alla polizia penitenziaria 2.369 sovrintendenti rispetto ai 4.500 stabiliti dalla pianta organica e 2.246 ispettori rispetto ai 4.358 stabiliti dalla pianta organica;
   risulterebbe, per le informazioni in possesso, possibile procedere allo scorrimento della graduatoria degli idonei non vincitori di un nuovo corso per la nomina alla qualifica di vice sovrintendente di polizia penitenziaria attingendo dalla graduatoria utile di cui ai PP.DD.GG. datati 27 e 30 marzo 2009, ultimo concorso effettuato nel ruolo;
   alla stregua di altre procedure concorsuali recenti, per le quali amministrazioni pubbliche hanno l'obbligo di procedere alla riapertura dei termini scorrendo i posti messi a bando attingendo dalle graduatorie degli idonei non vincitori già esistenti purché approvate non oltre il 1o gennaio 2008, si potrebbe dunque ipotizzare di proporre di utilizzare il corso-concorso in argomento, essendo stata approvata la graduatoria di questo ultimo concorso nel 2009, al fine di provvedere alla almeno parziale copertura dei ruoli vacanti –:
   se quanto sopra descritto sia possibile e, in caso positivo, se sia intenzione del Ministro di avvalersi di tale opportunità. (5-01700)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la legge istitutiva delle autorità portuali in Italia (legge n. 84 del 28 gennaio 1994), definisce le autorità come enti «con personalità giuridica di diritto pubblico»;
   la natura giuridica delle autorità portuali, a seguito di ampio dibattito giurisprudenziale che ne confermava a più riprese la natura di enti pubblici, è stata definita anche attraverso un'esplicita disposizione interpretativa del legislatore che con l'articolo 1, comma 993 della legge n. 296 del 27 dicembre 2006, che acclarava definitivamente per legge la natura giuridica di enti pubblici (non economici) delle autorità portuali;
   essendo quindi definita in maniera incontrovertibile la natura di ente pubblico, in materia di selezione e reclutamento di personale, risultava pacifico come le autorità portuali dovessero rispettare l'articolo 97 della Costituzione e il disposto di cui al decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001 «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»;
   tale impostazione era più volte confermata dai tribunali amministrativi, che ribadivano come per il reclutamento del personale, le autorità portuali avrebbero dovuto rispettare le disposizioni di cui all'articolo 35 e seguenti del decreto legislativo n. 165 del 2001 (si veda TAR Catania, Reg. Sent. N. 02251/2009 del 28 dicembre 2009; Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, Reg. Sent. N. 134/11 del 16 febbraio 2011);
   numerose autorità portuali procedevano quindi a selezionare e reclutare il personale secondo le procedure di «pubblica e trasparente selezione» prescritte dall'articolo 97 della Costituzione e dall'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   l'associazione delle autorità portuali (Assoporti) presieduta dal dottor Pasqualino Monti (Presidente dell'autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta) pubblicava sul proprio sito internet le procedure di selezione e reclutamento del personale delle singole autorità portuali aderenti all'Associazione. La stessa Assoporti, in una nota dell'agosto 2010, comunicava all'autorità portuale di Genova che la stabilizzazione di un proprio dipendente assunto a tempo determinato non era possibile perché l'assunzione a tempo determinato non era avvenuta tramite procedura di concorso pubblico e a supporto di tale tesi allegava il parere formulato dall'avvocatura dello Stato, reso nel 2009 a un'autorità portuale italiana che chiedeva proprio la possibilità di stabilizzare la posizione di un proprio dipendente assunto a tempo determinato;
   con nota prot. Ministero trasporti/porti dell'8 novembre 2011 a firma del direttore generale dei porti dottor Caliendo fu autorizzato all'autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino, Gaeta un aumento della pianta organica da 85 a 114 unità, (il comitato portuale aveva richiesto di ampliare la pianta da 85 a 138 unità più 3 ulteriori dirigenti). La nota altresì raccomandava di espletare «procedure concorsuali selettive ad evidenza pubblica nel rispetto del principio della trasparenza e delle vigenti norme in materia»;
   l'autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta procedeva, a seguito dell'ampliamento della propria pianta organica, ad alcune decine di assunzioni per le quali non si ha traccia di procedure «ad evidenza pubblica» o comunque di selezioni che, nel rispetto della legge, garantissero alla stessa autorità l'individuazione delle migliori professionalità disponibili;
   si registravano nel comprensorio enormi polemiche sugli organi di informazione e nell'ambito del dibattito politico poiché numerosi assunti risulterebbero essere legati finanche da legami di parentela rispetto a diversi esponenti politici locali e a dipendenti dell'autorità portuale di Civitavecchia (molti degli assunti hanno lo stesso cognome di personale dipendente già in servizio);
   le assunzioni avvenivano tutte a chiamata diretta (circa 24/28 unità) pur in vigenza delle leggi richiamate e in violazione dell'articolo 97 della Costituzione che imponeva tutti gli enti pubblici le assunzioni tramite concorso, nonostante il consolidato orientamento giurisprudenziale richiamato sinteticamente; elementi che pertanto non potevano essere ignorati dai responsabili dell'autorità portuale di Civitavecchia, se non a causa di gravissima negligenza ed incompetenza professionale;
   l'incremento della spesa per il personale dipendente, a seguito delle assunzioni (senza selezione pubblica) può essere stimato in alcuni milioni di euro –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri in merito ai fatti accaduti;
   se i Ministri, verificate le procedure per la selezione ed il reclutamento del personale dipendente presso l'autorità portuale di Civitavecchia, non ritengano opportuno:
    a) inoltrare gli eventuali esiti di tali verifiche alla procura regionale per il Lazio della Corte dei conti per poter accertare l'eventuale danno erariale in merito all'irregolare selezione e reclutamento del personale;
    b) avviare un'indagine amministrativa interna per individuare i motivi della condotta dell'autorità portuale di Civitavecchia, informando dell'esito, ove necessario, le autorità competenti;
    c) imporre all'autorità portuale di Civitavecchia l'adozione di strumenti e di procedure in grado di permettere il rispetto della disciplina vigente in materia di reclutamento e selezione del personale dipendente.
(2-00333) «Tidei, Iori, Cinzia Maria Fontana, Roberta Agostini, Gregori, Giuliani, Bolognesi, La Marca, Impegno, Amendola, Carlo Galli, Zampa, Manzi, Rampi, Brandolin, Carrescia, D'Incecco, Lauricella, Rughetti, Carella, Ferro, Gasparini, Donati, Ferrari, Incerti, Giampaolo Galli, Lattuca, Argentin, Paola Bragantini, Pierdomenico Martino, Rostan, Rigoni, Porta, Patriarca, Pelillo, Miccoli, Manfredi».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il 15 febbraio 2012, in conformità alla decisione n. 661/2010/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010, sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti, il Piano nazionale aeroporti indica come azione prioritaria quella di migliorare «L'uso delle infrastrutture aeroportuali esistenti che deve essere ottimizzato prima di procedere ad ampliamenti e prima di realizzare nuove infrastrutture... i vincoli economici ed ambientali e i lunghi tempi necessari per la realizzazione di nuove infrastrutture obbligano a dare priorità all'uso ottimale della capacità esistente»;
   nel medesimo mese dello stesso anno con un'inversione di tendenza rispetto agli obiettivi ed alle strategie del Piano nazionale aeroporti, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed ENAC viene presentato il Sistema aeroportuale della regione Lazio, in cui si delinea il futuro assetto del «Nuovo Aeroporto Leonardo Da Vinci» strutturato su due centralità: l'attuale aeroporto, definito «Fiumicino Sud» che prevede interventi di completamento e riorganizzazione, ed il nuovo aeroporto definito «Fiumicino Nord» che si estenderà a Nord dell'attuale aeroporto per una estensione di circa 1.300 ettari, (comportando il raddoppio dell'aeroporto in questione);
   il 26 luglio del 2012 la società Aeroporti di Roma spa (A.d.R. Spa) presenta il master plan, del progetto finale del «Nuovo Aeroporto Leonardo Da Vinci», delineando un complesso aeroportuale destinato a soddisfare una crescita di traffico che dovrebbe passare dai circa 36 milioni a circa 100 milioni di passeggeri/annui entro il 2044;
   l'intero progetto si basa su previsioni della crescita del traffico aeroportuale (Contratto di programma – Allegato 11) sovrastimate: i grafici forniti da ADR mostrano una curva della crescita ipotizzata fortemente accentuata nel lungo periodo (un aumento di 23 milioni passeggeri/anno (+45 per cento), solo tra il 2025 e il 2026, e di 18 milioni (+20 per cento), solo tra il 2037 ed il 2038), mentre per gli anni più prossimi alle rilevazioni, in cui la previsione può basarsi su dati più attendibili e aggiornati, viene previsto un incremento di traffico modesto (10 milioni di passeggeri nell'intero decennio dal 2014 al 2023). La previsioni di traffico risultano smentite anche nel breve periodo dal confronto con il dato reale, infatti per gli anni 2012-2013 il dato reale mostra un evidente scostamento rispetto alla stima di ADR basata sul PIL (nel 2012 si è verificata, infatti, una flessione della domanda di trasporto aereo pari a –2,4 per cento rispetto a quella stimata da ADR in positivo + 0,3 e per il 2013 pari a –1 per cento rispetto allo stimato +0,5 di ADR). Inoltre, le previsioni dei passeggeri/anno redatte da ADR non prendono mai in considerazione le evoluzioni tecnologiche che nel prossimo futuro riguarderanno sia gli aeromobili che il controllo del traffico aereo aumentando così la capacità del singolo slot e diminuendo al tempo stesso i tempi di coda;
   in data 25 ottobre 2012 viene stipulato tra l'Ente Nazionale per l'aviazione civile (ENAC) e la società Aeroportuale di Roma Spa, (A.d.R. Spa) l'Atto unico, comprendente la concessione per la gestione totale fino al 2044, del sistema aeroportuale romano;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 2012, firmato dal Governo dimissionario di Mario Monti, approva tale Atto unico di Convenzione-contratto di programma ENAC-AdR e gli allegati annessi. La durata della Convenzione-contratto di programma è la stessa della Concessione (scadenza 2044). La Convenzione di programma traccia la pianificazione e lo sviluppo delle infrastrutture e servizi del nuovo sistema aeroportuale della capitale, da realizzarsi in due fasi:
    dal 2012 al 2021 sono previsti interventi di completamento e di adeguamento delle infrastrutture per incrementare la capacità da 37 a 50 milioni di passeggeri/anno. Le attività coinvolgeranno l'area di sedime dell'attuale aeroporto (circa 1400 ettari) denominata «Fiumicino Sud»;
    dal 2021 al 2044 è predisposta la creazione del nuovo aeroporto denominato «Fiumicino Nord» che sarà strutturato per accogliere 50 milioni di passeggeri/anno entro il 2044. Si estenderà a Nord dell'attuale aeroporto per una estensione di circa 1.300 ettari (quasi il doppio dell'attuale sedime), tra le piste di volo 16R/34L e 16L/34R. Tra gli interventi airside sono previsti: due nuove piste di volo, piazzali, vie di rullaggio, aree di rampa, area deposito logistica carburanti, nonché le infrastrutture complementari di supporto alle attività aeroportuali e di servizio al passeggero (hotel, uffici e altri). Inoltre, sarà dotato di un livello per impianti tecnologici, costituito da una stazione per il trasporto automatizzato GRTS, una stazione ferroviaria integrata, un livello arrivi, costituito da nastri di riconsegna bagagli, uffici handlers, lost & found, uffici enti di Stato, servizi landside (tour operator, NCC, e altri), aree commerciali e relativa viabilità di accesso, un livello partenze, costituito da un'area accettazione passeggeri, controlli di sicurezza e passaporti, aree commerciali e relativa viabilità di accesso, un livello di imbarco e sbarco passeggeri all'interno di una vasta area equivalente ad una superficie di circa 1.000.000 metri quadrati a destinazione commerciale. Le connessioni esterne verranno garantite attraverso un People mover di collegamento con l'aeroporto Fiumicino Sud e con il futuro porto crocieristico di Fiumicino, nonché da un nuovo ramo ferroviario di accesso da nord, mediante la riqualificazione ed il potenziamento delle ferrovie regionali (FR1 e FR5), e la realizzazione di una bretella di collegamento in prossimità della stazione di Maccarese che giunge fino al nuovo terminal nord in galleria, connettendosi alla rete del GRTS. Inoltre, sono previste nuove infrastrutture di accesso su gomma a supporto dei nodi intermodali;
   sotto l'aspetto finanziario, nel complesso il progetto Fiumicino Sud prevede un investimento di circa 3 miliardi di euro; il progetto Fiumicino Nord prevede un investimento di circa 9,5 miliardi di euro. Tali finanziamenti come prestabilito dagli accordi devono essere coperti dagli aumenti tariffari a carico dei passeggeri. Le strutture di connessione all'aeroporto (strade, autostrade, ferrovie) richiedono investimenti per 5,5 miliardi di euro e sono a carico degli enti pubblici. La regolazione tariffaria per Fiumicino Sud (volta a finanziare il progetto in questione) è suddivisa in due sottoperiodi quinquennali, autonomi e distinti. Per il primo quinquennio è stato approvato l'aumento di 10 euro in media di diritto di imbarco, mentre per i periodi successivi gli aumenti saranno determinati di volta in volta. La realizzazione delle infrastrutture del secondo quinquennio e dei periodi successivi al 2021 va di pari passo con i volumi di traffico ipotizzato in modo da evitare ad Adr di anticipare i capitali;
   l'aeroporto è situato al centro di una lunga fascia costiera che confina a Nord con vaste aree agricole e con l'Oasi WWF di Macchiagrande (coincidente in gran parte con il Sito di importanza comunitaria Macchia Grande di Focene e Macchia dello Sfagneto), è localizzato all'interno della Riserva naturale statale dei litorale Romano nella quale vi sono aree di alto valore naturalistico ed archeologico (sito preistorico di Le Cerquete-Fianello). Nel mese di agosto 2013, gli enti territoriali interessati alla gestione della Riserva hanno sottoscritto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una nuova perimetrazione, inserendo in Zona 1 i terreni umidi di Maccarese – ex lago Salino – dove secondo il progetto dovrebbe svilupparsi Fiumicino Nord, sottoponendo a un vincolo di massima tutela i terreni suddetti. Il territorio è, interessato da quattro siti Natura 2000: il SIC Macchia Grande di Focene e Macchia dello Sfagneto (IT6030023); il SIC coincidente con la ZPS Lago di Traiano (IT6030026), il SIC Isola Sacra (IT6030024) e il SIC Macchia Grande di Ponte Galeria (IT6030025). Il sedime del nuovo aeroporto interferisce in modo diretto con il SIC Macchia Grande di Focene e Macchia dello Sfagneto;
   il sito è inoltre interessato da tre Habitat Natura 2000 (Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia (cod. 9340); Dune costiere con Juniperus spp. (cod. 2250); Matorral arborescente con Laurus nobilis (cod. 5230)). I sistemi idrici, le connessioni ecologiche, le risorse trofiche, le specie presenti (animali e vegetali) sono elementi in continua interazione e vitale connessione tra il SIC, la ZPS e la Riserva naturale statale del litorale Romano, i quali svolgono un ruolo di fondamentale importanza per le specie che si trovano in questo ambito territoriale nelle loro diverse fasi del ciclo biologico. Oltre ai pregiudizi derivanti alla fauna occorre considerare gli effetti sulla sicurezza aerea connessa all'incremento delle probabilità di bird strike. Infatti, occorre tener presente che l'aeroporto di Fiumicino è situato a meno di 9 chilometri dalla discarica di Malagrotta. Si tratta di un'area di circa 50 chilometri quadrati che attrae un gran numero di volatili provenienti dal litorale che quotidianamente attraversano le rotte di atterraggio e di decollo degli aerei per approvvigionarsi di cibo;
   lo stesso Piano territoriale paesaggistico regionale (PTPR), esclude tassativamente «ogni attività comportante trasformazione dell'uso del suolo diverso dalla sua naturale vocazione per l'utilizzazione agricola». Le stesse norme contenute nel PTGP (Piano territoriale generale provinciale) prevedono che il territorio debba essere utilizzato per le attività agricole. Il territorio circostante l'attuale aeroporto è attraversato da una serie di corsi d'acqua, in parte sottoposti a vincolo di tutela con fasce di rispetto ex lege n. 431 del 1985;
   inoltre l'area di sedime dell'intero progetto che coinvolge l'aeroporto della capitale, coincide con il territorio oggetto della «bonifica di Maccarese», iniziata nel 1926 nella preesistente terra paludosa che copriva l'area di Fiumicino. I terreni sono in parte sotto il livello del mare e, prima della bonifica idraulica risalente alla fine dei 1800, erano ricoperti da un lago. Le nuove infrastrutture aeroportuali sono destinate ad un terreno permeabile alle acque, sia salmastre che dolci, che formano ampie lenti acquifere già ad un paio di metri sotto il livello del mare. Infatti il territorio circostante l'attuale aeroporto è attraversato da una serie di corsi d'acqua, in parte sottoposti a vincolo di tutela con fasce di rispetto ex lege n. 431 del 1985. A dimostrazione della grande complessità del sottosuolo in questione, si ricordano i tre fenomeni di fuori uscita di gas e polveri (geyser naturali) avvenuti a fine agosto e a settembre, ampliamente documentati da diverse fonti giornalistiche e scientifiche;
   si ricorda, infatti, che i terreni interessati dalle nuove infrastrutture aeroportuali presentano notevoli problemi di natura geologica già rilevate dalla Commissione parlamentare d'inchiesta istituita con legge 5 maggio 1961, n. 325, con il compito di indagare sulle vicende collegate alla costruzione dell'aeroporto «Leonardo da Vinci». Le indagini evidenziavano seri e motivati dubbi sulla scelta dei terreni, soprattutto in relazione a problemi di «tenuta» dei suoli e dei sottosuoli, che tendono a sprofondare e a creare fenomeni di ristagno. La forte compressibilità dei terreni è tale da determinare cedimenti differenziali con conseguenti danni alle infrastrutture. La presenza di tali criticità è confermata dal progetto di adeguamento di Fiumicino Sud che prevede una serie di opere da realizzarsi nel periodo 2012-2016, rese necessarie «dalla constatazione che il fenomeno di subsidenza comporta il progressivo abbassamento della pavimentazione rispetto al piano di campagna. Tutto questo è accentuato dai numerosi interventi di ricarica di strati di pavimentazioni che, appesantendo il rilevato, hanno fatto sì che lo stesso “sprofondi” sempre più ad ogni intervento di manutenzione». Analoghi problemi si sono ripetutamente verificati per la pista 16L/34R (Pista di atterraggio n. 3), a partire dal 1970, anno della sua realizzazione, che corre parallela a quelle previste nel Progetto Fiumicino Nord. Sebbene i processi di subsidenza siano attivi (come peraltro evidenziano i dati satellitari e la necessità di sottoporre a manutenzione ricorrente le attuali piste), dagli elaborati progettuali non si evince un adeguato studio geologico che analizzi tali criticità in relazione alla realizzazione delle nuove infrastrutture;
   inoltre, in data 21 ottobre 2013 durante un convegno, sono stati resi pubblici dall'ARPA Lazio i preoccupanti dati ambientali che conferma l'aumento dell'inquinamento acustico e le possibili ricadute sanitarie causate dall'attività aeroportuale;
   nel Piano nazionale aeroporti, sopra menzionato, viene indicato che i piani e programmi di livello nazionale riguardanti il settore dei trasporti che possono avere effetti sull'ambiente, devono essere subordinati alla procedura di Valutazione Ambientale Strategica, avviata dall'Autorità procedente, contestualmente al processo di formazione del piano o programma e che pertanto «è necessario che ENAC dia immediatamente avvio alla redazione degli studi di base connessi con la procedura di VAS»;
   nel progetto finale del Master Plan, presentato il 26 luglio 2012, si afferma che la regione Lazio ha approvato «l'avvio della Valutazione Ambientale Strategica e il successivo inserimento delle opere intermodali e dello sviluppo di Fiumicino a stralcio del redigendo Piano di Mobilità e dei Trasporti”. Ad oggi non è stato rinvenuto alcun riscontro concreto in merito all'avvio della procedura di VAS;
   inoltre nonostante il piano nazionale disponga testualmente che nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria in materia di valutazioni ambientali, i Master Plan dei singoli aeroporti debbano essere sottoposti a VIA. Il piano di sviluppo dell'aeroporto di Fiumicino Nord non risulta sottoposto alla valutazione di impatto ambientale, né risulta elaborato uno studio di impatto ambientale che verifichi l'esistenza di eventuali elementi di incompatibilità dell'opera, anche con riferimento alla localizzazione prevista dal progetto stesso e alle principali alternative. La procedura di VIA documentata negli allegati al contratto di programma riguarda solo il progetto di completamento di «Fiumicino Sud»;
   nonostante l'intera procedura, fino a qui esaminata, presenti evidenti irregolarità che si traducono in difformità rispetto alle disposizioni giuridiche nazionali ed internazionali, di fatto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 2012 autorizza AdR ad avviare gli espropri a partire già da gennaio del 2014 e a terminarle entro il 2019, cioè ben prima non solo di aver presentato il progetto definitivo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed aver acquisito tutte le necessarie autorizzazioni e pareri previsti dalle normative nazionali ed europee, ma addirittura ancora prima di sapere se la condizione stabilita dal contratto di programma sarà stata raggiunta. Infatti l'avvio del progetto Fiumicino Nord è intrinsecamente vincolata al raggiungimento nel 2021 (con possibilità di posticipare fino al 2024) del volume di traffico di 51 milioni di passeggeri/anno (volume questo di utenti, altamente improbabile come evidenziato dai dati sopra riportati). Inoltre il calcolo sull'incremento dei passeggeri redatto da AdR è stato fatto dal 2010 con proiezione al 2019, anziché al 2021 come previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Alla procedura di esproprio per Fiumicino Nord sono soggette circa 300 famiglie tra aziende ed immobili. Le occupazioni, le espropriazioni e le acquisizioni dei terreni e dei beni immobiliari necessari per l'adeguamento infrastrutturale dell'aeroporto possono essere effettuati direttamente dalla concessionaria (cioè da AdR); per le suddette occupazioni, espropriazioni e acquisizioni dei terreni e dei beni immobiliari, sono già stati previsti i relativi fondi che AdR recupererà successivamente;
   nella Conferenza Stato-regioni del 5 settembre 2013 il Ministro ha proposto il nuovo Piano nazionale degli aeroporto che per il Lazio prevede il trasferimento di tutti i voli low cost da Ciampino a Fiumicino (tentando così di favorire l'incremento dei passeggeri, ma ancora poco probabile dalla lontana ipotesi di incremento che dovrebbe portare nel 2019 a 51 milioni di passeggeri/anno);
   inoltre non prevedendo un aeroporto dedicato esclusivamente ai voli low cost, come avviene in tutto il mondo, il sistema del Lazio si ridurrà a un unico scalo: Fiumicino, declassando di fatto l'aeroporto da intercontinentale (hub) a un mega low cost;
   il comune di Fiumicino con delibera di indirizzo si è dichiarato nettamente contrario al raddoppio dell'aeroporto e alla presenza attuale e futura dei voli low cost;
   il progetto è inoltre fortemente avversato dalla cittadinanza e dai comitati locali che hanno presentato un esposto alla Commissione europea per segnalare la violazione e non corretta applicazione da parte dello Stato italiano della normativa comunitaria in materia di protezione dell'ambiente (Direttiva 2001/42/CE, Direttiva 2011/92/UE, Direttiva 92/43/CEE, Direttiva 2009/147/CE, nonché Regolamento CE n. 1008/2008 e della Decisione n. 661/2010/UE);
   il 30 giugno 2013 (secondo quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri) AdR ha consegnato ad ENAC il Piano di sviluppo relativo al sottoperiodo 2017-2021, con proiezione al 2044. Tale Piano non è stato ancora reso pubblico –:
   se i Ministri alla luce delle numerose criticità, dei dubbi di regolarità procedurale e di possibili violazioni del quadro normativo vigente, di cui in premessa, con particolare attenzione all'inidoneità del sito dal punto di vista della sicurezza idrogeologica, e tenendo in debito conto l'enorme costo economico che verrebbe trasferito sulla collettività, e quindi sui contribuenti – non ritengano opportuno rivedere la discutibile scelta strategica, dell'opera in questione, che appare in forte contrasto sia con i dispositivi programmatici europei e nazionali, sia con il reale interesse della collettività e con l'acclarata esigenza di trasferire le poche risorse disponibili sugli interventi di messa in sicurezza dei territorio;
   se i Ministri non reputino di dover avviare urgentemente, come la normativa nazionale ed europea prevedono una procedura di VAS;
   se i Ministri intendano avviare immediatamente azioni concrete che possano tutelare, oltre alla sicurezza ambientale, naturale, idrogeologica del contesto, anche le molte famiglie che da gennaio del 2014 saranno costrette a subire una sorta di esproprio di dubbia legittimità.
(2-00331) «Daga, Busto, De Rosa, Mannino, Segoni, Terzoni, Zolezzi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DELL'ORCO, CRISTIAN IANNUZZI e SIBILIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 28 luglio 2013 si è verificato un incidente sull'autostrada A16, in cui hanno perso la vita 39 persone che viaggiavano su un autobus granturismo. La dinamica dell'incidente e le cause sono ancora al vaglio della procura ma, secondo le prime ricostruzioni riportate dalla stampa, l'autobus avrebbe impattato contro una barriera di contenimento, all'altezza del chilometro 32 in carreggiata Ovest, che ha ceduto, lasciando precipitare il veicolo dal viadotto Acqualonga;
   la vicenda ha scosso l'opinione pubblica configurandosi forse come la più grande sciagura stradale mai avvenuta nel nostro Paese e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Lupi è intervenuto sui media lasciando intendere che i Ministero stava avviando un'indagine amministrativa per accertare i fatti ma, ad oltre quattro mesi dall'accaduto, non risulta essere stato preso alcun tipo di provvedimento né diffusa alcuna informazione a riguardo;
   risulta inoltre agli interroganti che il Ministro non abbia neppure avviato una Commissione di indagine ministeriale sebbene l'accaduto possa aver posto gravi dubbi sul livello di sicurezza delle barriere di contenimento stradale italiano e sebbene la sicurezza della infrastruttura stradale ricada tra le priorità di azione del Ministro, come si rileva dal documento sulle linee programmatiche 2014;
   nelle prime dichiarazioni pubbliche l'attenzione del Ministro sembrerebbe essersi concentrata sullo stato dell'autobus mentre non sembra essere stata presa adeguatamente in considerazione la volontà di accertare i motivi della ceduta dei guardrail, che avrebbero forse potuto evitare la tragedia, sebbene l'articolo 2 del decreto ministeriale n. 2367 del 2004, in materia di sicurezza stradale, attribuisca al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il compito di svolgere attività di studio, di ricerca e di monitoraggio sui dispositivi di ritenuta nelle costruzioni stradali, anche avvalendosi del supporto di soggetti esterni di comprovata esperienza nel settore;
   nelle dichiarazioni rese durante i primi sopralluoghi sul luogo dell'incidente, il Ministro ha dichiarato (vedi intervista a Rainews 24 del 29 luglio 2013) di essere stato accompagnato dall'architetto Coletta, direttore della struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali, che dunque si suppone sia stato incaricato di relazionare al Ministro anche su eventuali inadempienze di Autostrade per l'Italia e di Anas a cui, prima del 1o ottobre 2012, erano in capo le attività di vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e di controllo della gestione delle autostrade. Rimane però da considerare che a partire dal 1o ottobre 2012, ai sensi dell'articolo 11, comma 5, del decreto-legge n. 216 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2012 e successive modificazioni ed integrazioni, sono state trasferite al Ministero non solo le competenze ma anche le stesse risorse umane dell'Ispettorato di vigilanza concessioni autostradali dell'Anas compreso il suddetto architetto Coletta che quindi ora, nelle vesti di direttore della struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si è trovato nella posizione di dover relazionare sulle sue stesse eventuali precedenti inadempienze in ANAS;
   in data 8 agosto 2013 il Sottosegretario di Stato Rocco Girlanda, intervenendo in Commissione ambiente e territorio alla Camera in sede di risposta ad una interrogazione ha fatto presente che quelle barriere erano state realizzate e poste in opera durante i lavori di ripristino eseguiti in conseguenza dei danni provocati dal sisma del 1980 e che gli interventi erano stati conclusi in data 1o settembre 1989, montando new jersey in calcestruzzo della tipologia inserita al punto C.3.1 del catalogo generale del Ministero dei lavori pubblici approvato con voto n. 321 del 26 maggio 1998 dalla Commissione di studio presso la V sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici;
   non è chiaro se la barriera risulti attualmente omologata e dunque tali barriere potrebbero non rispondere ai requisiti previsti dalle successive istruzioni ministeriali di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici n. 223 del 18 febbraio 1992 e successive modificazioni e integrazioni, che prevede l'utilizzo di barriere protettive progettate, sottoposte a test dal vero ed omologate;
   i tirafondi metallici di ancoraggio della barriera e le parti in cemento sono logorati dal tempo. Risulta quindi estremamente grave la mancanza di una adeguata vigilanza sulla manutenzione ordinaria, ma ancor più grave il fatto che, seppur non previsto espressamente dalla normativa, non si sia provveduto alla sostituzione delle barriere installate prima del 1992, ovvero a ricomprendere tale opera sostitutiva tra gli interventi prioritari di ammodernamento e messa in sicurezza dell'infrastruttura autostradale disciplinati nella convenzione firmata con Anas nel 1997, nel IV Atto aggiuntivo integrativo della Convenzione firmato nel 2004 e nella Convenzione unica del 2008;
   si è lasciato dunque decidere al gestore quante risorse, all'interno dei fondi per la sicurezza, destinare a questa misura ed è la stessa società Autostrade ad informarci sul suo sito web di aver iniziato una riqualificazione sull'intera rete autostradale di 2200 chilometri di barriere laterali e di aver avviato nel 2006 un programma attualmente in fase di completamento per l'adeguamento di 900 chilometri di barriere spartitraffico, ovvero sul 30 per cento della rete, senza però definire i criteri adottati nella scelta dei siti dove intervenire. A parere dell'interrogante si tratta comunque di una percentuale di adeguamento eccessivamente bassa dovuta non solo ad una carenza della normativa sulle barriere e della convenzione ma anche alla normativa sui pedaggi autostradali. Infatti quest'ultima privilegia i potenziamenti degli assetti infrastrutturali piuttosto che la messa in sicurezza dell'infrastruttura esistente considerato che nella formula che determina gli aumenti dei pedaggi non c’è dunque un indicatore che misuri specificatamente gli investimenti in sicurezza;
   per quanto riguarda nello specifico le barriere oggetto dell'incidente, secondo un'attenta ricostruzione de Il Sole 24 ore e come sta anche verificando la procura di Avellino, le barriere avrebbero dovuto essere state adeguate almeno in due occasioni: nella primavera 2009, in occasione di importanti lavori per la sostituzione di due campate del viadotto Acqualonga e tra il 2010 e il 2011 quando Autostrade per l'Italia ha avviato la sostituzione delle barriere per i primi 50 chilometri dell'A16, quindi teoricamente comprendenti anche il viadotto;
   secondo quanto è stato asserito dalla stampa la mancata sostituzione delle barriere potrebbe essere dovuta ad una questione di costi ma, stando alle dichiarazioni di Autostrade per l'Italia, l'azienda avrebbe consapevolmente scelto di non installare le barriere del tipo H3 o H4 con barre di ferro adeguate ai mezzi pesanti e previste dalla norma per i tratti di strade con oltre mille transiti giornalieri di media annua, di cui oltre il 15 per cento di mezzi pesanti, in quanto le ha ritenute un pericolo per gli automobilisti;
   i lavori per la sostituzione delle barriere sui primi 50 chilometri dell'A16 sono stati affidati da Aspi alla sua controllata Pavimental spa che a sua volta ha subappaltato i lavori per ottenere ribassi rispetto alle risorse che figurano nel bilancio di autostrade;
   tale fatto genera preoccupazione alla luce delle indagini partite nel 2011 da Milano ed estese a tutta Italia dalla direzione investigativa antimafia sulla sicurezza autostradale. L'indagine partita da una serie di cedimenti strutturali ha visto coinvolte una serie di società fornitrici della Pavimental e di Autostrade per l'Italia e secondo fonti stampa avrebbe visto indagati anche alcuni funzionari delle stesse. Secondo la direzione investigativa antimafia si sarebbe trattato di una rete di imprese legate alla famiglia Vuolo sospettata di avere rapporti con i clan camorristi;
   secondo quanto riportato su Il Sole 24 ore la barriera non sarebbe stata montata secondo le prescrizioni che il Consiglio Superiore dei lavori pubblici (adunanza del 12 giugno 2002 n. prot. 147) aveva prescritto per quella barriera ed in particolare senza l'adeguato spazio laterale necessario a contenere il suo spostamento;
   il primo agosto 2013 l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (Avcp) ha fatto sapere di aver avviato un'attività istruttoria e di indagine della durata di 90 giorni in merito ai lavori eseguiti sull'Autostrada A16 per verificare la presenza di eventuali carenze sulla corretta manutenzione della tratta autostradale interessata dall'incidente. L'Avcp ha chiesto alla società Autostrade per l'Italia S.p.A, di fornire entro 30 giorni una documentata relazione sui lavori di manutenzione eseguiti negli ultimi 5 anni e in particolare sul viadotto al chilometro 32 tra Monteforte Irpino e Baiano e di specificare, tra l'altro, se siano state effettuate verifiche sull'idoneità delle strutture preposte alla funzionalità ed alla sicurezza dell'opera, come giunti, guardrail, il loro stato di efficienza e se siano state oggetto di sostituzione o manutenzione nel periodo di riferimento –:
   se sia vero che le barriere del viadotto Acqualonga non siano state sostituite dal 1989 o se invece siano state sostituite con barriere non a norma e per quale motivo questo sia avvenuto;
   se esistano relazioni rese ai sensi dell'articolo 7 del decreto ministeriale 18 febbraio 1992, n. 223 da parte di Anas, dalle società concessionarie di autostrade e da altri enti locali inerenti il tipo di barriera montata sul luogo dell'incidente;
   se sia vero che non sia stata formata una commissione di indagine ministeriale sull'accaduto e chi, all'interno del Ministero, sia stato incaricato di relazionare al Ministro sull'accaduto e di collaborare con le indagini della procura e se non si ritenga che l'architetto Coletta, che ha accompagnato il Ministro durante il primo sopralluogo sull'incidente, possa in qualche modo essere in conflitto di interessi e possa dunque non essere del tutto affidabile nel fornire dati utili in merito all'accaduto;
   quali misure a favore della prevenzione e della sicurezza stradale siano state prese dal Ministro subito dopo l'incidente ed in particolare: se siano stati fermati tutti gli autobus con telaio Volvo della stessa serie per verificare se sussistono anomale usure a freni e trasmissione; se sia stata disposta una revisione presso un centro terzo di tutti gli autobus certificati nella stessa officina del mezzo coinvolto nell'incidente; se sia stata disposta un'immediata verifica tecnica sul viadotto dell'incidente; se sia stata attivata un'ispezione generale sulla rete autostradale dotata di barriere analoghe;
   se il Ministro sia a conoscenza dell'indagine della Direzione investigativa antimafia sulla sicurezza autostradale e se risulti che società indagate o in qualche modo coinvolte in quell'indagine abbiano ottenuto appalti o subappalti per lavori sull'A16, in particolare legati alla fornitura e messa in opera di guardrail;
   se il Ministro non ritenga opportuno destinare una quota delle risorse già stanziate ad Anas per appalti in manutenzione straordinaria ad un programma di messa a norma dei guardrail sui tratti a più alta incidentalità e se non si ritenga opportuno emettere una direttiva affinché le società concessionarie autostradali prevedano nel piano di manutenzione annuale una quota adeguata alle sostituzione di guardrail adeguati agli standard attuali;
   quali siano state le risorse nazionali destinate all'adeguamento dei guardrail a partire dal 1992 sul piano nazionale per la sicurezza stradale;
   se il Ministro sia a conoscenza e voglia rendere note le risultanze dell'indagine dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici;
   se il Ministro non ritenga opportuno rivedere la normativa del 2004 che permette di non adeguare le installazioni eseguite prima del 30 dicembre 2010, seppure non omologate, fino ad una prossima sostituzione, che dovrà avvenire con elementi certificati CE;
   se il Ministro non ritenga che Autostrade per l'Italia sia venuta meno ad una direttiva del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (prot. 3065 del 25 agosto 2004) che, nelle more dell'obbligo di installare dispositivi di ritenuta omologati previsti dall'articolo 3 del decreto ministeriale n. 223 del 1992, richiamava comunque gli enti proprietari e gestori a programmare gli adeguamenti alla luce dei compiti assegnati dall'articolo 14 del codice della strada;
   se non si ritenga opportuno obbligare enti proprietari e gestori a tenere aggiornato un registro dei guardrail, ad adeguare tutti i sistemi di ritenuta stradale agli standard più recenti con una programmazione pluriennale graduale e se non si ritenga opportuno prevedere un adeguato sistema sanzionatorio per gli enti inadempienti. (5-01689)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 15 dicembre 2013 entrerà in vigore il nuovo orario ferroviario di Trenitalia, che rimodulerà l'offerta di collegamenti interregionali;
   fatte salve le preoccupazioni sui collegamenti a lunga percorrenza manifestate nell'interrogazione 5/01305 – che si richiama in questa sede integralmente –, da notizie di stampa è emersa l'intenzione di Trenitalia di attuare un disimpegno anche nei collegamenti a breve percorrenza, in particolare tra la stazione di Venezia Mestre e di Trieste centrale;
   l'attuale offerta serale dopo le ore 23 è composta di due collegamenti Regionali via Cervignano-Aquileia-Grado in partenza rispettivamente alle 23,12 e alle 00,32 (regionale 11043 e regionale veloce 2219);
   il nuovo orario di Trenitalia, invece, non prevedrebbe – dopo le ore 23 – alcun collegamento tra le due stazioni: l'ultimo convoglio in partenza dalla stazione di Venezia Mestre per Trieste centrale sarebbe il regionale via Cervignano-Aquileia-Grado in partenza alle 22,53;
   si fa presente che la precedente offerta garantiva non solo un numero più cospicuo di collegamenti nella fascia serale (dalle ore 21 in poi), ma copriva una fascia oraria – quella dalle 23 in poi – che con il nuovo orario appare completamente scoperta nonostante sia di particolare interesse;
   sono molti i treni Freccia provenienti da Milano, Roma e Napoli che raggiungono lo snodo ferroviario dopo le ore 23: a titolo esemplificativo, gli utenti del Frecciabianca in partenza da Milano centrale alle ore 21,05 (arrivo a Mestre alle 23,28) non potranno, d'ora in poi, proseguire il tragitto verso i comuni del basso Friuli o verso Trieste centrale; i viaggiatori del Frecciargento in partenza da Roma Termini alle 19,50, arrivati a Venezia Mestre alle 23,23, non potranno proseguire il loro viaggio fino a destinazione, in assenza di collegamenti ferroviari regionali;
   ad essere colpita sarà anche l'utenza pendolare, in quanto il nuovo orario prevede la cancellazione degli ultimi collegamenti della giornata tra le stazioni della provincia di Venezia, del basso Friuli e della Venezia Giulia: una tratta ad alta frequentazione;
   l'anticipo, di oltre un'ora e mezza, dell'ultimo collegamento serale sarà di sicuro impatto negativo anche per il resto del sistema dei trasporti del Triveneto, comportando una riduzione del flusso d'utenza sulla rete ferroviaria (una riduzione dell'utenza sulle ultime Frecce in direzione Venezia Mestre) e disagi per l'utenza dei vicini aeroporti di Venezia e Treviso;
   si ribadisce, quindi, la necessità di mantenere varia l'offerta dei collegamenti regionali anche nelle fasce serali, e soprattutto di garantire almeno un collegamento tra Venezia Mestre e Trieste centrale che consenta di raccogliere l'intero flusso d'utenza delle ultime Frecce provenienti dalle principali città italiane e provenienti dai vicini aeroporti di Venezia e Treviso –:
   quali  iniziative, per quanto di competenza, il Ministro abbia avviato o intenda promuovere con urgenza nel breve e lungo periodo, per salvaguardare gli attuali collegamenti serali tra lo snodo ferroviario di Venezia Mestre e la stazione di Trieste centrale, e garantire la prosecuzione del servizio anche in futuro.
(4-02898)

INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SPADONI, SIBILIA, TACCONI, DEL GROSSO e GRANDE. — Al Ministro per l'integrazione, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 settembre 2013, la direzione nazionale delle migrazioni (DGM), presso il Ministero dell'interno e della sicurezza della Repubblica Democratica del Congo, ha informato tutte le ambasciate dei Paesi di accoglienza della sospensione per 12 mesi, a partire dal 25 settembre 2013, delle operazioni per il rilascio dei permessi di uscita per i bambini adottati dalle famiglie straniere;
   in ottobre, le autorità della Repubblica Democratica del Congo, hanno però permesso la delineazione di una lista di coppie, con documentazione già conclusa entro il 25 settembre 2013, che avrebbero avuto il permesso di recarsi nel Paese per portare a compimento l'adozione dei figli;
   durante i primi di novembre, dopo essersi recata a Kinshasa per un incontro con le autorità competenti, la Ministra per l'integrazione, Cécile Kyenge, anche Presidente della Commissione adozioni internazionali, ha riportato che in tale occasione le è stata sottolineata l'ottima reputazione di cui godeva il sistema italiano e che le era stato assicurato che sarebbero state ripristinate immediatamente tutte le pratiche di adozione che avevano già ottenuto l'approvazione definitiva delle autorità locali;
   il coordinamento CARE (Coordinamento delle associazioni familiari adottive e affidatarie in rete), segue con estrema attenzione la situazione delle coppie Italiane attualmente in Repubblica Democratica del Congo per adottare i propri figli;
   al coordinamento CARE risulta che le coppie siano in questo momento in Repubblica Democratica del Congo, che la DGM non stia comunque procedendo con le operazioni di rilascio dei permessi di uscita per i bambini, interrompendo di fatto la conclusione dell'iter adottivo e il rientro in Italia delle famiglie con i loro figli;
   il 4 novembre scorso, il Ministro Kyenge dichiarava di aver raggiunto una conclusione positiva per 26 adozioni bloccate da un cavillo burocratico avendo fatto «ripristinare tutte le pratiche di adozione che avevano già ricevuto l'approvazione definitiva delle autorità locali»;
   il Congo attualmente vive un periodo di disordini legato a una guerra civile;
   da oltre un mese 26 coppie di genitori nostri connazionali, per rimanere vicine ai figli, dormono sul pavimento di una stanza dell'orfanotrofio del capoluogo, sono senza acqua corrente, si lavano con quella piovana, sono senza elettricità e alcuni hanno terminato le scorte dei medicinali salva-vita. La profilassi per la malaria è al limite dell'efficacia e chi aveva chiesto un paio di settimane di ferie rischia il licenziamento –:
   quali azioni il Governo stia mettendo in atto per far tornare i nostri 52 connazionali in Italia con i loro figli;
   se sia al corrente delle condizioni in cui versano le 26 coppie, se sia in contatto con le stesse e di quali ulteriori aggiornate informazioni disponga in ordine a quanto esposto in premessa;
   come mai sia stato permesso alle coppie di genitori di partire alla volta di Kinshasa senza prima aver accuratamente verificato la situazione delicata in Congo, dopo il blocco del 25 settembre. (5-01698)

* * * 

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   in questi giorni i cittadini di Savona, come quelli di altre città della Liguria e del Paese, hanno subìto la paralisi di molte attività ed il blocco della città, hanno assistito a gravissimi episodi di prepotenza ed intimidazione da parte di gruppi di persone che hanno agito in nome dell'iniziativa nazionale cosiddetta «dei forconi»;
   questi gruppi hanno utilizzato in modo strumentale anche la presenza di ragazzi e ragazze, la loro voglia anche genuina di partecipare e di contestare, che è stata sfruttata in una logica di totale disprezzo delle regole democratiche e del rispetto per le persone e la collettività. Non infiltrati in una manifestazione democratica, dunque, ma ad avviso degli interpellanti organizzatori con intenti torbidi che hanno usato il disagio delle persone per scopi che sconfinano nell'eversivo;
   abbiamo assistito ad azioni segnate dal rifiuto e dal disconoscimento delle forme democratiche della rappresentanza e delle forme civili delle protesta, e che nulla hanno a che fare con l'espressione delle protesta per condizioni di vita molto difficili in cui tanta parte delle popolazione versa;
   le forze politiche democratiche, le forze sociali e l'associazionismo hanno risposto con nettezza a toni, scopi e strumenti utilizzati;
   i cittadini e le cittadine hanno assistito con grande inquietudine e con profonda angoscia ad episodi in sé e nel loro complesso molto gravi ed hanno percepito una risposta debole, qualche volta assente, dello Stato, delle forze dell'ordine; a parere degli interpellanti nei confronti delle forze dell'ordine i «manifestanti» hanno intenzionalmente costruito una immagine di complicità che può essere smentita solo da fatti concreti ed evidenti;
   mentre si dovrà contrastare con grande nettezza obiettivi e qualità delle azioni «dei forconi» e di chi realizza la regia politica di tutto ciò, si conferma la necessità che il disagio e le condizioni di difficoltà di tanta parte della popolazione siano affrontate con misure adeguate di politica economica e sociale –:
   se il Governo abbia la consapevolezza della gravità di ciò che è accaduto e sta accadendo, del carattere gravemente antidemocratico e potenzialmente eversivo delle iniziative messe in atto in questi giorni nelle nostre città, tutt'affatto diverse dalle manifestazioni che cittadini e lavoratori sono soliti realizzare, anche in momenti di tensione sociale, sempre rispettosi delle istituzioni e della vita della comunità;
   quali iniziative siano state adottate e si intendano adottare per fornire alle forze dell'ordine i mezzi necessari e le indicazioni operative corrette, rispondenti al livello di qualità del fenomeno che si sta manifestando.
(2-00336) «Giacobbe, Basso, Carocci, Marco Meloni, Pastorino, Tullo, Vazio, Rosato, Martella».

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 18 novembre 2013 una violenta alluvione si è abbattuta sulla Sardegna; precipitazioni a carattere torrenziale, molto intense e persistenti hanno investito la parte orientate dell'isola, e, in particolare, le province di Olbia-Tempio e Nuoro e, in rapida successione, le province di Oristano, Cagliari, Medio Campidano e Ogliastra;
   sono 60 i comuni colpiti – 11 in Gallura, la zona più colpita, 16 nel Nuorese, 10 nell'Oristanese, 8 nel Cagliaritano, 8 nel Medio Campidano, 7 in Ogliastra;
   nell'arco di circa 12 ore sono state registrate, per la prima volta in Sardegna, precipitazioni superiori a 450 millimetri (il valore medio annuo è pari a circa 1.000 millimetri); l'evento alluvionale – eccezionale per intensità – ha provocato esondazioni diffuse, allagamenti, rottura di argini e il collasso del sistema idrogeologico e idraulico; ondate di piena hanno travolto i bacini idrografici del Flumendosa, del Fluminimanno, del Cedrino e di Posada;
   i vigili del fuoco hanno immediatamente messo in campo 350 uomini che hanno lavorato in doppio turno tanto che nel corso della giornata del 18 novembre 2013 e della nottata successiva hanno compiuto oltre 600 interventi, mentre altre centinaia di interventi si sono succeduti nei giorni successivi;
   nelle zone colpite dall'alluvione per soccorrere le molte persone che si sono trovate in difficoltà e per fronteggiare nelle primissime ore i danni ingentissimi provocati dell'eccezionale evento atmosferico i comandi provinciali dei vigili del fuoco sono stati costretti a richiedere l'intervento di effettivi dei vigili del fuoco da altre regioni del continente;
   i vigili del fuoco permanenti sardi che operano fuori dal territorio isolano sono circa 300, ma questi non sono stati richiamati nell'isola;
   la carenza di organico che si riscontra nei comandi provinciali in Sardegna sarebbe ben al di sopra di quella registrata nelle altre regioni d'Italia, come dimostrato in occasione dei recenti eventi alluvionali dove è stata la necessità di richiamare non solo i vigili di altre regioni ma anche ricorrere alla massima razionalizzazione dei turni dei vigili effettivi, al fine di garantire la copertura dei turni nei comandi isolani;
   alla carenza del personale consegue la mancanza di sicurezza in Sardegna, aggravata da altre problematiche, per esempio legate alla condizione di insularità, alla scarsa capillarità dei presidi rispetto al resto d'Italia, alla permanenza di pericolosità di stabilimenti petrolchimici non affiancati da presidi di vigili del fuoco (vedi i casi di Porto Torres e Sarroch), al mancato riconoscimento dello status di «zona disagiata» ai tanti centri urbani e aree in Sardegna che spesso sono presidiate da volontari e dove la media dei tempi d'intervento supera di gran lunga quella italiana (l'inadeguatezza della viabilità e le peculiarità orografiche del territorio sardo allungano notevolmente i tempi di azione, tanto che non si possono garantire tempi di intervento immediati o comunque celeri, previsti nel tempo massimo di trenta minuti per situazioni di urgenza come le alluvioni e i frequenti incendi estivi);
   le problematiche sopra esposte sono già state richiamare nell'atto di sindacato ispettivo n. 2/00123 con riferimento alla carenza di organico del comando di Olbia che costringeva i vigili del fuoco a turni particolari al fine di assicurare il soccorso tecnico urgente in caso di eventi calamitosi e rispetto a cui il Sottosegretario all'interno ha ribadito «la disponibilità da parte del dipartimento di fare un incontro per vedere tutte le fattispecie (...) –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere anche alla luce della convenzione siglata il 12 luglio 2012 fra il Ministero dell'interno e la regione autonoma della Sardegna in materia di interventi di protezione civile, al fine di assicurare il rispetto della normativa vigente in materia di mobilità per tutti i vigili del fuoco del territorio italiano, quindi anche per quelli sardi, aggiungendo questo contingente di 300 unità a quelli già operanti nel territorio per potenziare una presenza che, come esposto in premessa, non garantisce la sicurezza dei residenti. (4-02890)


   SIBILIA, MICILLO, SCAGLIUSI, DEL GROSSO, DELL'ORCO, CRISTIAN IANNUZZI, CARINELLI e COLONNESE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 244 del 2007, all'articolo 2, commi dal 17 al 22, ha assegnato alle regioni a statuto ordinario l'obiettivo di finanza pubblica di diminuzione delle spese delle comunità montane mediante l'adozione di leggi di riordino finalizzate ad una riduzione del numero di amministrazioni e del numero di comuni partecipanti;
   con legge regionale n. 12 del 2008 la regione Campania ha ottemperato a quanto disposto dalla legge 244 del 2007, individuando venti ambiti territoriali: Monte Santa Croce, Matese, Monte Maggiore, Titerno e Alto Tammaro, Taburno, Fortore, Partenio – Vallo di Lauro, Ufita, Alta Irpinia, Terminio Cervialto, Irno – Solofrana, Monti Picentini, Tanagro – Alto e Medio Sele, Alburni, Calore Salernitano, Vallo di Diano, Gelbison e Cervati, Alento e Monte Stella, Bussento – Lambro e Mingardo, Monti Lattari;
   in base all'articolo 4 della legge regionale n. 12 del 2008, «la comunità montana svolge funzioni di difesa del suolo e dell'ambiente. A tal fine realizza opere pubbliche e di bonifica montana atte a prevenire fenomeni di alterazione naturale del suolo e danni al patrimonio boschivo. La comunità montana, altresì (...) promuove lo sviluppo socio-economico del proprio territorio, persegue l'armonico riequilibrio delle condizioni di esistenza delle popolazioni montane, anche garantendo, d'intesa con altri enti operanti sul territorio, adeguati servizi capaci di incidere positivamente sulla qualità della vita. La comunità montana inoltre concorre, nell'ambito della legislazione vigente, alla valorizzazione della cultura locale e favorisce l'elevazione culturale e professionale delle popolazioni montane»;
   i lavoratori delle comunità montane campane sono circa 4.000, di cui 1.700 assunti con contratto a tempo determinato. La maggior parte di essi non percepisce lo stipendio da più di sei mesi e, in diversi casi, da oltre un anno, con conseguente danno alla qualità della vita dei singoli e delle rispettive famiglie;
   i lavoratori a tempo determinato attendono inoltre di vedersi riconosciuto il diritto alla stabilizzazione ex articolo 16 del C.I.R.L. Campania del 1o gennaio 2006;
   tale grave situazione si è determinata a partire dal 2010, quando, cioè, la regione Campania ha smesso di contrarre il mutuo triennale che pagava le spettanze e, al tempo stesso, non ha posizionato risorse sul capitolo della forestazione nel bilancio ordinario. Per cui tutta la relativa spesa, che ammonterebbe annualmente a circa 85 milioni di euro, oggi è assicurata attraverso i progetti europei, fondi ex FAS, FSC, e PAC, garantiti dall'accordo di programma quadro firmato con il Ministero della coesione per il 2012-13 e 2014 per un massimo, però, di 60 milioni di euro l'anno;
   la mancata corresponsione delle mensilità ha suscitato, negli ultimi mesi, proteste ed uno stato di malessere crescente culminato, il 15 novembre, nel suicidio di un lavoratore della comunità montana «Irno-Solofrana», che non percepiva lo stipendio da 17 mesi;
   considerati, quindi, i risvolti drammatici che sta assumendo la questione, di questa preoccupante situazione sono stati investiti i prefetti di Avellino e Salerno in qualità di massimi rappresentanti del Governo sui territori, a garanzia dell'ordine pubblico e in funzione di intermediazione tra la regione Campania, le comunità montane ed i sindacati di categoria;
   anche se lo Stato, ai sensi dell'articolo 2, comma 187, della legge n. 191 del 2009, ha cessato di concorrere al finanziamento delle comunità montane, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 326 del 3 novembre 2010, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo periodo del suddetto articolo, nella parte in cui, nel richiamare l'articolo 34 del decreto legislativo n. 504 del 1992, ha soppresso il concorso dello Stato al finanziamento delle comunità montane con il fondo nazionale ordinario per gli investimenti, nonché nell'inciso «e dalle altre disposizioni di legge relative alle comunità montane» –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di mediazione abbiano svolto i prefetti di Avellino e Salerno, per quanto di competenza, anche alla luce del recente grave fatto di cronaca, al fine di una positiva conclusione della vertenza. (4-02897)


   DAGA, COLLETTI, BUSINAROLO e SARTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la società Acque Albule spa, attiva in Tivoli Terme (Roma), è stata fondata nel 1938 dal comune di Tivoli, che ne ha detenuto l'intero pacchetto azionario fino al 2001 anno nel quale ha ceduto il 40 per cento ad un gruppo privato la Sirio Hotel srl, che fa capo all'imprenditore Bartolomeo Terranova;
   lo  statuto della Acque Albule spa prevede esclusivamente l'esercizio dell'attività termale. Nel 2006, con la delibera di consiglio comunale n. 39 del 19 luglio, il comune di Tivoli ha conferito alla Acque Albule spa la proprietà di un fabbricato e di un terreno di metri quadrati 10.809 di sito in Tivoli Terme, ricompreso in un elenco di beni demaniali destinato a piazza pubblica; nella delibera si dava atto che il conferimento avveniva a titolo di aumento di capitale sociale e per favorire il potenziamento dell'offerta ricettiva turistica termale;
   la Acque Albule su quel terreno, in contrasto con la predetta destinazione d'uso, ha, invece, realizzato una palazzina per civile abitazione avanzando, nel contempo, istanza – prot. N. 61329 del 22 novembre 2010 – di concessione edilizia per un secondo edificio su lotto B. Il tutto per complessivi circa settanta appartamenti;
   nel giugno 2011 e nel maggio 2012, l'architetto Ercole Lupi, dirigente pro tempore dell'ufficio urbanistica del comune di Tivoli, ha esposto, in due relazioni, che il permesso di costruire era stato ottenuto dalla Acque Albule mediante «un ’erronea rappresentazione della situazione di fatto» delle finalità delle costruzioni stesse;
   in dette relazioni, si dà anche conto della destinazione ad uso pubblico del terreno e si sottolinea l'illegittimità dell'attività edilizia posta in essere dalla società Acque Albule, sia in quanto società termale, sia in quanto partecipata da Ente Pubblico;
   un esposto ufficiale del consigliere comunale di Tivoli Carlo Centani ha segnalato che non è stata posta in essere alcuna procedura ad evidenza pubblica, né nella fase di elaborazione, affidamento ed esecuzione dei lavori di costruzione, né nella fase di commercializzazione degli appartamenti. Non pochi degli appartamenti realizzati sono stati, infatti, esitati;
   stando al medesimo esposto del consigliere Centani, la vendita sarebbe stata basata su una «... perizia ... fornita dalla società TecnoCasa...». La palazzina completata, sarebbe stata affidata, per trattativa diretta, ad una società riconducibile all'amministratore della Acque Albule spa, Bartolomeo Terranova, al quale fa capo il gruppo Sirio Hotel srl che, come detto, nel 2001 si è assicurato il 40 per cento delle azioni della Acque Albule spa;
   gli interroganti osservano che le procedure ad evidenza pubblica sarebbero state in ogni caso obbligatorie, essendo la Acque Albule spa società partecipata da ente pubblico, per di più in quota maggioritaria assoluta;
   il principio della correlazione tra attività dell'ente ed i propri fini istituzionali è stato sancito dal legislatore nazionale nell'articolo 3, comma 27, della legge n. 244 del 2007, seguendo la linea prefigurata dall'articolo 13 della legge n. 248 del 2006, in base al quale le amministrazioni pubbliche possono costituire o assumere partecipazioni solo in società che abbiano per oggetto attività strettamente necessarie al perseguimento delle proprie finalità istituzionali;
   la legge n. 244 del 2007 traduce il principio generale secondo cui la costituzione di società o il mantenimento di partecipazioni in esse da parte degli enti locali richiede come presupposto la funzionalizzazione pubblica delle attività realizzate dai soggetti partecipati;
   gli ultimi due sindaci del comune di Tivoli, Giuseppe Baisi-PD e Sandro Gallotti-PDL, hanno consentito le predette attività di costruzione e di vendita di unità immobiliari, ad uso e destinazione privati, sebbene fosse stato stilato, da un consulente appositamente incaricato dal comune, l'avvocato Gianluca Piccinni, un motivato parere che rilevava la illegittimità delle attività di costruzione e vendita di unità immobiliari da parte della società Acque Albule;
   detto parere, di data 5 gennaio 2012, nel dare atto fra l'altro della nota del Dirigente dell'Ufficio Urbanistica ...che ha ravvisato irregolarità urbanistiche ...e numerosi esposti alla Procura della repubblica..., consiglia al sindaco Gallotti «...di dissociarsi dall'attività compiuta dalla società ... di revocare le autorizzazioni alla vendita anche degli immobili già compromessi e di procedere in via di autotutela all'annullamento di tutti gli atti del procedimento adottati dal Comune in maniera illegittima...». Rammenta, infine, che «...le uniche attività edilizie ... ammesse ... non possono che essere strumentali al perseguimento dell'interesse pubblico indicato nell'oggetto sociale e non certamente attività edilizie per fini speculativi di natura privata...»;
   il  24 giugno scorso l'attuale commissario straordinario del comune di Tivoli, dottoressa Alessandra de Notaristefani, ha autorizzato la formalizzazione per atti notarili di alcune delle unità immobiliari de quo, compromesse in vendita dall'amministratore della Acque Albule spa Bartolomeo Terranova (come riportato nei verbali del Consiglio di Amministrazione Acque Albule spa del 9 settembre 2011 e del 10 novembre 2011);
   nemmeno la dottoressa Alessandra de Notaristefani ha imposto alcuna procedura ad evidenza pubblica;
   sebbene almeno dal 2011 la procura presso il Tribunale di Tivoli abbia avuto conoscenza della vicenda, come riportato anche nel parere dell'avvocato Piccinni innanzi citato, non risulta aver assunto, a tutt'oggi, alcun provvedimento atto ad interdire l'attività illegittima ed illecita denunciata e ad evitarne e/o comunque limitarne i conseguenti danni erariali e all'immagine delle Istituzioni oltre a quelli propri della specifica condotta illecita –:
   se siano a conoscenza della vicenda descritta e quali iniziative i Ministri interrogati per quanto di competenza e anche per mezzo del commissario straordinario, intendano assumere, per riportare a correttezza e trasparenza l'azione amministrativa del comune. (4-02901)


   FERRO, CARELLA, GASBARRA, MARCO DI STEFANO e MANFREDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel maggio del 2012 Pietro Tidei, esponente del Partito Democratico, al secondo turno viene eletto sindaco di Civitavecchia alla guida della coalizione di Centrosinistra a seguito di una campagna elettorale violenta e spesso fuori dalle righe, a riprova di ciò l'imprenditore Giuseppe Sarnella e l'ex sindaco Gianni Moscherini risultano oggetto di un'indagine e di una della magistratura con l'accusa di aver messo in piedi un sistema di dossieraggio e diffamazione sistematica del succitato candidato, poi risultato vincitore, Pietro Tidei;
   il 25 novembre 2013, dopo circa 18 mesi di amministrazione comunale, con le firme di tutti i consiglieri della minoranza e di otto della maggioranza l'amministrazione comunale di Civitavecchia è stata sfiduciata;
   è nata una feroce polemica sugli organi di informazione locale sulle ragioni della sfiducia e sulla loro natura più o meno politica, soprattutto legate alla firma congiunta dell'ex vicesindaco (leader del circolo locale di Sinistra Ecologia e Libertà e presidente della compagnia portuale) e l'ex sindaco Gianni Moscherini (ex presidente dell'autorità portuale di Civitavecchia, Popolo della Libertà, poi candidato alle scorse elezioni regionali con la lista Fratelli d'Italia ed ora in Forza Italia), asse inedito commentato anche da testate giornalistiche nazionali;
   l'ormai ex sindaco Pietro Tidei nel corso di un'assemblea pubblica tenuta il 29 novembre presso la casa comunale di Civitavecchia ha annunciato pubblicamente la volontà di ricandidarsi alla carica di primo cittadino;
   il giorno mercoledì 4 dicembre 2013 tra la scocca e la pedana del motorino il nipote di Pietro Tidei, un ragazzo di 17 anni, trovava una lettera a chiaro scopo intimidatorio che è stata oggetto di una immediata denuncia al commissariato di Civitavecchia con la scritta seguente: «Carissimo nipote del sindaco Pietro Tidei, sappiamo chi sei, quello che fai, chi frequenti, (...). Sappiamo che abiti a (...), tuo padre (...), tua madre (....), la tua bella sorellina (...) (carina) so anche che se tuo nonno non la fa finita di mettere mani in affari non suoi e di parlare di certe organizzazioni in una certa maniera allora lì non ci capiamo. Sai siamo disposti a fare cose che non vorremmo, cose che ti segnano una vita. Allora riferisci questo al tuo caro sindaco protetto dalla sacra famiglia che se non la smette di fare quello che fa la sacra famiglia potrebbe diventare l'eterna. Oggi ti manderemo un segno della conferma di chi siamo si ritirasse è finita» –:
   di quali elementi disponga il Ministro sui fatti riportati in premessa e qual siano i suoi orientamenti al riguardo;
   se non ritenga, alla luce di quanto premesso che si renda necessario un severissimo controllo, per quanto di competenza, su quello che sarà il percorso che porterà alle prossime elezioni amministrative nel comune di Civitavecchia, affinché la democrazia e la legalità non possano in alcun modo essere eclissate dalla violenza e dalle minacce. (4-02904)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIULIETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5, comma 8, del decreto legge n. 95 del 2012 convertito dalla legge n. 135 del 2012 e la nota del Ministero dell'economia e delle finanze n. 72696 del 4 settembre 2013, prevedono che dal 1o settembre 2013 non siano più monetizzate le ferie non godute, anche in caso di contratti scaduti o terminati ai precari della scuola;
   vedersi attribuire, in questo periodo dell'anno, il corrispettivo in denaro di 2,6 giorni di ferie maturati di diritto ogni mese, non ha mai rappresentato per i precari un «regalo autunnale» concesso dallo Stato, piuttosto un modo per sanare in parte – almeno da un punto di vista economico – una situazione tipicamente scolastica e profondamente ingiusta: quella, cioè, di insegnanti che pur lavorando da anni nella scuola su dei posti vacanti, vengono tenuti in condizione di precarietà, pur svolgendo pari mansioni rispetto a quelle dei colleghi assunti a tempo indeterminato;
   non consentire al personale assunto a tempo determinato di godere del diritto alle ferie (gli insegnanti per contratto non possono usufruire delle ferie dovute nel corso dell'attività didattica, se non per soli 6 giorni previo reperimento dei propri sostituti) e, per giunta, non monetizzarne la mancata fruizione è un provvedimento fortemente iniquo e discriminatorio rispetto al personale a tempo indeterminato, lede un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione e dallo statuto dei lavoratori (il diritto alle ferie per chiunque svolga un lavoro) e comporta un grave danno a livello economico (in media ogni lavoratore precario con cattedra da 18 ore perderà circa 1100 euro) per lavoratori già penalizzati dall'inadempienza colpevole dello Stato, lasciati a casa a giugno e ripresi, se va bene, a settembre (ulteriori tagli di cattedre permettendo). Sottrarre il pagamento delle ferie non godute ai precari della scuola appare come un gesto drammaticamente simbolico della politica attuata negli ultimi anni sulla scuola pubblica; è un inaccettabile attacco al contratto nazionale e alla Costituzione –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per garantire ai precari della scuola pari dignità rispetto a tutti i lavoratori in relazione al mancato pagamento delle ferie non godute relativamente all'anno scolastico 2012/2013 e quali iniziative il Governo intenda portare avanti affinché il contratto nazionale non venga messo in discussione e sia posto rimedio a quanto previsto dall'articolo 5, comma 8, della legge n. 135 del 2012. (4-02891)


   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ad Avezzano (AQ) vi sarebbero dei docenti che impartirebbero lezioni di greco e latino ricevendo quotidianamente in casa studenti e studentesse;
   l'istruzione in tal modo impartita sarebbe retribuita «in nero», aggiungendo all'illecito un grave malcostume fiscale;
   il decreto legislativo n. 297 del 16 aprile 1994 vieta in modo esplicito tali circostanze in quanto si configura uno stato di grave incompatibilità;
   se ciò fosse accertato ad avviso dell'interrogante sarebbero inficiate anche le valutazioni e gli esami effettuati dai docenti coinvolti in pratiche evidentemente illecite –:
   se non ritenga di disporre procedure di rapido accertamento della situazione ipotizzata;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per reprimere eventuali illeciti e salvaguardare la dignità professionale dei tanti docenti onesti e la serietà degli studenti che non ricorrono a tali pratiche;
   se non ritenga di sensibilizzare tutti gli istituti scolastici italiani al fine di prevenire tali pratiche illecite nella salvaguardia della serietà della scuola italiana pubblica. (4-02892)


   GAROFALO, PISO, SAMMARCO, ROCCELLA, PIZZOLANTE, PAGANO, BOSCO, SALTAMARTINI, VIGNALI, TANCREDI, ALLI e CALABRÒ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   per quanto concerne l'accesso alle professioni sanitarie l'articolo 3, comma 1, lettera a), della legge 2 agosto 1999, n. 264, prevede il cosiddetto «numero programmato» allo scopo di garantire la necessaria qualità dell'insegnamento in relazione alle potenzialità organizzative delle varie sedi universitarie e alla reale fabbisogno di professionisti della sanità nel nostro territorio;
   per quanto concerne il riconoscimento dei diplomi di laurea rilasciati all'estero, la normativa italiana prevede che per quanto riguarda i Paesi non appartenenti alla Unione europea le procedure di riconoscimento per le professioni sanitarie sono svolte dal Ministero della salute ai sensi dell'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999. In riferimento invece ai diplomi di laurea rilasciati dalle istituzioni universitarie dei Paesi appartenenti all'Unione europea, la procedura più semplificata di riconoscimento è sempre svolta dal nostro Ministero della salute ai sensi della direttiva comunitaria 2005/36/CE. Tale procedura riconosce il principio della libera circolazione dei professionisti nel territorio comunitario;
   di fronte a questi dati normativi apparentemente chiari ed univoci si devono riscontrare continue sostanziali, gravissime violazioni della legge: è notizia recente già evidenziata in precedenti interrogazioni parlamentari, la vicenda della convenzione tra l'Università «Nostra Signora del Buon Consiglio» con sede in Tirana e l'Università di Roma «Tor Vergata» per la realizzazione di corsi di laurea in medicina e in odontoiatria e protesi dentaria e per altre professioni sanitarie con laurea triennale presso la predetta Nostra Signora del Buon Consiglio attivati attraverso la cooperazione nei settori della didattica e delle altre attività istituzionali della Università di Roma Tor Vergata. L'accordo sembra risalire addirittura al 2005 ed è stato probabilmente varie volte integrato e modificato. Questa convenzione sarebbe nata con il nobile scopo di aiutare un Paese in grave difficoltà economiche come l'Albania con svariate problematiche di ordine sociale per garantire una formazione universitaria adeguata ai propri studenti in discipline molto delicate come quelle concernenti i corsi di laurea nelle professioni sanitarie. Purtroppo, come è stato ampiamente dimostrato anche attraverso svariate notizie di stampa, nei giorni scorsi si è assistito allo spettacolo poco dignitoso di tanti studenti italiani che, non avendo superato i test di accesso ai corsi di laurea in medicina e chirurgia e/o odontoiatria e protesi dentaria previsti dal nostro ordinamento didattico, si sono messi in viaggio e successivamente «in coda» davanti all'università albanese in modo massiccio per ottenere l'iscrizione ai corsi di laurea presso l'Università Nostra Signora del Buon Consiglio;
   è necessario sottolineare poi che, dalle scarse informazioni che si possono reperire dal sito dell'Università Nostra Signora del Buon Consiglio, si trae comunque la conclusione che il numero degli studenti ammessi ai corsi di laurea non è concordato con l'Università di Tor Vergata, ma sembra deciso solo dagli organi accademici dell'università albanese.
   per l'anno accademico in corso si ipotizza, solo per il corso di laurea in odontoiatria, l'accesso di oltre 100 studenti Italiani;
   per garantire i percorsi formativi, con tutte le perplessità legittime riguardanti le capacità strutturali e tecnologiche presenti in sede di Tirana, contribuirebbero docenti provenienti dalla predetta università italiana con un impegno non solo economico (non è noto a carico di chi) che pone a rischio le procedure, per carenza di docenti, normalmente garantite in termini di insegnamento, ricerca e assistenza a Tor Vergata;
   è evidente che questo costituisce la dimostrazione della violazione del principio della programmazione degli accessi considerato che viene richiesto per l'ammissione ai corsi soltanto il diploma di scuola secondaria sia agli studenti albanesi che a quelli italiani;
   risulta poi che una volta ottenuto il diploma di laurea chiedono l'iscrizione agli ordini italiani sia gli studenti del nostro Paese sia gli studenti albanesi a dimostrazione che questa operazione non è coerente con il principio di garantire in Albania una migliore assistenza sanitaria;
   la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi ed odontoiatri ha chiesto formalmente, un incontro con le competenti autorità ministeriali per affrontare queste tematiche senza peraltro aver ricevuto alcuna risposta mentre la situazione generale dell'accesso ai corsi di laurea continua ad aggravarsi. Sono notizie recenti quelle relative alla sanatoria derivante da una modifica in corso d'opera dei termini previsti per il superamento dei test di ingresso reintroducendo, dopo averlo eliminato, il criterio del voto del diploma di maturità. È evidente che nessuna logica programmatoria è alla base di queste decisioni che sono assunte troppo spesso in modo incoerente sulla spinta dell'emotività dei momenti e sulla base di continui ricorsi alla magistratura;
   ancora più recente è, infatti, la notizia che il Consiglio di Stato avrebbe annullato le procedure concorsuali per i test di accesso svolti presso la facoltà di medicina e chirurgia di Messina in quanto non sarebbe stato rispettato il criterio dell'anonimato con la conseguenza di un'ammissione in sovrannumero al corso di laurea degli studenti precedentemente esclusi dalla graduatoria –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda relativa alla convenzione fra l'Università Nostra Signora del Buon Consiglio e l'Università di Roma Tor Vergata e se tale iniziativa sia stata formalmente approvata dalle nostre competenti autorità e se si corra il rischio che questa convenzione si trasformi in un surrettizio superamento della normativa italiana che prevede l'accesso ai corsi di laurea delle professioni sanitarie attraverso il meccanismo dei test di ingresso;
   se sia noto a chi siano imputabili gli oneri economici derivanti dalla convenzione stessa e quale sia il meccanismo retributivo per i professori universitari italiani che svolgono le lezioni presso l'Università Nostra Signora del Buon Consiglio;
   quali iniziative si intendano finalmente assumere per riportare logica e coerenza nel vigente sistema di accesso ai corsi di laurea per le professioni sanitarie evitando il triste spettacolo di decisioni assunte e poi smentite sulla pelle e a detrimento di tanti studenti che vedono il concetto di «merito» come quello più trascurato nel consentire il proseguimento dei loro studi;
   quali ambiti di responsabilità giuridica siano eventualmente ravvisabili nei confronti degli ordini che allo stato attuale sono obbligati ad iscrivere questi professionisti sulla base di una semplice e burocratica verifica del possesso dei titoli: diploma di laurea e diploma di abilitazione professionale rilasciati entrambi, come è ampiamente noto, a breve distanza di tempo dalla stessa istituzione universitaria e che costituiscono per le professioni sanitarie una inutile duplicazione.
(4-02899)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Irplast, ex Bimo, sita ad Atessa (Chieti) è una fabbrica che produce nastri adesivi stampati, etichette e pellicole in polipropilene e che occupa circa 180 dipendenti;
   la fabbrica è il risultato di una fusione tra la Bimo (con sede ad Atessa) e la Irplast di Empoli. Lo stabilimento della Val di Sangro, dopo una forte crisi iniziale, continua ad avere problemi tanto da aver fatto ricorso da 4 anni alla cassa integrazione ordinaria realizzando solo un terzo dei volumi produttivi iniziali e impegnando due impianti su tre;
   l'azienda, con sede legale a Empoli, ha da poco annunciato che 8 dipendenti amministrativi saranno licenziati a gennaio 2014;
   la nuova società Irplast per motivi di semplice organizzazione del lavoro vuole trasferire tutto il lavoro commerciale e pezzi importanti di lavoro amministrativo, dalla sede di Atessa alla sede di Empoli, generando esuberi strutturali e irreversibili in Val di Sangro;
   ad alcune unità, per evitare il licenziamento, la direzione ha solo prospettato la scelta del trasferimento a Empoli, altrimenti saranno licenziate a fine gennaio, per altri invece non c’è spazio di scelta, quindi saranno semplicemente licenziati a fine gennaio;
   per i lavoratori della produzione, questo significa sempre più allontanare le possibilità di ripresa prospettate nell'iniziale piano di rilancio dell'azienda, sia a causa di un assottigliamento di ruoli e professionalità medio-alte che non vengono rimpiazzate, che per una scarsa evoluzione verso nuovi prodotti più competitivi;
   i sindacati sottolineano il timore di uno smantellamento della fabbrica. Inoltre chiedono alla direzione aziendale di scegliere altre modalità condivise per affrontare la crisi aziendale, evitando di ricorrere ai licenziamenti. Infine, alle istituzioni locali chiedono di intervenire affinché alcune attività restino inderogabilmente ad Atessa –:
   se non intenda assumere una iniziativa, per quanto di competenza, per scongiurare lo spostamento delle attività produttive ed evitare esuberi strutturali e irreversibili in Val di Sangro. (3-00513)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Las Mobili è stata fondata nel 1976 ed è una delle maggiori imprese italiane nel settore del mobile per l'ufficio. La sede principale è situata a Tortoreto Lido (Teramo) in Abruzzo ed ha dodici unità operative in Italia: l'azienda esporta in ben 76 Paesi nel mondo;
   a luglio 2013 la fabbrica ha iniziato un pesantissimo piano di riorganizzazione aziendale: è stata aperta la procedura di mobilità per quaranta operai, la maggior parte dei quali in situazione di pre-pensionamento, mentre dal 2 dicembre 2013, altri quaranta verranno espulsi dal ciclo produttivo, messi in cassa a zero ore e mandati in mobilità;
   tutto ciò in base ad un accordo interno tra le parti che non chiarisce nel concreto i termini della situazione e l'aspetto e la forma di questa presunta crisi aziendale;
   per il 2014 è inoltre previsto il ricorso ad un contratto di solidarietà per cercare di evitare una nuova espulsione di lavoratori nel numero compreso tra le 40 e le 60 maestranze. Espulsione peraltro assolutamente certa, visto e considerato il processo di esternalizzazione in atto di interi settori della lavorazione, come il reparto carico;
   uno strano silenzio da parte dell'azienda non lascia intravedere quale sarà il vero destino produttivo per la Las Mobili: i lavoratori temono la chiusura definitiva nel giro di qualche anno, o una ristrutturazione aziendale che preveda una esternalizzazione consistente di lavorazioni, restringendo sempre più l'azienda e mantenendo un'attività unica con un ristretto numero di operai –:
   se non intenda promuovere una iniziativa coinvolgendo l'azienda, i sindacati, la regione Abruzzo e gli enti locali al fine di salvaguardare il futuro produttivo e occupazionale della Las Mobili. (4-02895)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Ad Manifatture sita a Corropoli (Teramo) era un'azienda che occupava circa 80 persone;
   a seguito delle vicende societarie della Sixty, che era il committente principale, sono finite le commesse ed è iniziata una crisi finanziaria, che ha avuto come epilogo il concordato preventivo;
   attualmente in cassa integrazione sono rimaste 19 operaie, il resto in mobilità;
   il consistente esubero è stato gestito in questi anni con la Cassa integrazioni guadagni straordinaria ammortizzatore sociale pagato dai lavoratori e dalle aziende, che è stato sottoscritto con verbale al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. È stato fatto un primo anno per cessazione dell'attività, ma poi è intervenuto il concordato preventivo, per cui è stato sottoscritto un nuovo accordo cambiando la motivazione del pagamento;
   attualmente la pratica è bloccata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali a cui spetta la firma del decreto di assegnazione dell'ammortizzatore sociale, un fatto burocratico che ha però di fatto bloccato tutti i pagamenti da circa 10 mesi;
   un problema, peraltro che nella provincia di Teramo riguarda almeno un migliaio di lavoratori, di cui la metà proprio nel settore tessile-abbigliamento;
   c’è inoltre da considerare che se la modulistica per i pagamenti delle indennità da ammortizzatori sociali, che senza il decreto del Ministero non può essere presentata, viene inviata all'Inps dopo la prima decade di dicembre essa verrà acquisita a gennaio: di conseguenza i lavoratori potrebbero ricevere le indennità tra altri due mesi;
   in una nota le lavoratrici insieme ai sindacati hanno annunciato che nei prossimi giorni ci sarà una forte mobilitazione davanti alla prefettura per chiedere di sbloccare i pagamenti –:
   se non intenda procedere con urgenza a firmare il decreto di assegnazione dell'ammortizzatore sociale e sbloccare i pagamenti alle lavoratrici dell'Ad Manifatture. (4-02896)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 18 ottobre 2013 presso l'azienda ospedaliera «istituti ospitalieri di Cremona» è in atto lo «stato di agitazione» proclamato dai sindacati e dalle rappresentanze sindacali unitarie dei dipendenti che reclamano il pagamento sul lavoro garantito nel 2012 oltre l'orario di servizio per 16.000 ore su un totale di oltre 126.000 per un ammontare di circa 250.000 euro;
   le organizzazioni sindacali evidenziano che le ore di straordinario nell'anno 2012 equivalgono al lavoro a tempo pieno di 75 dipendenti, e che quindi si rende evidente una situazione di organico insufficiente a fronte del servizio erogato dall'azienda ospedaliera di Cremona;
   le rappresentanze sindacali unitarie aziendali da tempo lamentano uno stato di sovraccarico lavorativo da parte dei dipendenti chiamati a svolgere turni di lavoro straordinario, spesso costretti a rinunciare ai turni di riposo e/o soggetti a rientri anticipati;
   la condizione sopradescritta, oltre che mettere a rischio la salute dei lavoratori, rischia di incidere negativamente sulla qualità del servizio erogato ai pazienti;
   le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie aziendali contestano il mancato rispetto dell'accordo sottoscritto dall'azienda ospedaliera in data 3 giugno 2013, con il quale si impegnava a saldare con la mensilità di ottobre dell'anno in corso gli straordinari 2012 ancora non retribuiti;
   in conseguenza dello stato di agitazione il personale ha svolto assemblee sindacali e presidi di protesta davanti ai due poli ospedalieri facenti parte dell'azienda ospedaliera sopraccitata;
   le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie hanno denunciato che alcuni dipendenti che hanno partecipato alle assemblee regolarmente proclamate in occasione dei presidi del 6 e 8 novembre 2013 sono stati sottoposti a colloqui individuali da cui sono discesi formali richiami e forme di pressione da parte dell'azienda ospedaliera;
   le organizzazioni sindacali denunciano quindi un comportamento intimidatorio e antisindacale da parte dell'azienda «Istituti Ospitalieri di Cremona»;
   le organizzazioni sindacali annunciano un nuovo presidio di protesta per il 13 dicembre 2013;
   è assolutamente necessario addivenire al corretto pagamento degli straordinari dovuti ai lavoratori da parte dell'Azienda ospedaliera per l'anno 2012 e sarebbe opportuno verificare l'adeguatezza dell'organico degli «Istituti Ospitalieri di Cremona» per garantire la corretta erogazione di un servizio sanitario –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per garantire l'agibilità dei diritti sindacali e per porre fine allo stato di tensione in essere tra dipendenti e direzione dell'azienda ospedaliera di Cremona. (4-02900)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da quanto emerge dai dati dello «Studio per l'individuazione di possibili interventi di contenimento della spesa sanitaria» elaborato dal Centro studi SIC sanità in cifre di FederFarma, «Le regioni volatilizzano 1,4 miliardi di euro l'anno tra sprechi e inefficienze». SIC, come è noto, nasce con l'intento di offrire un supporto informativo e decisionale ai decisori politici, attraverso un'analisi omogenea e dettagliata della sanità italiana, evidenziando i fenomeni legati ai dati principali, sia nazionali sia suddivisi per regione, che caratterizzano la sanità in Italia;
   gli sprechi e le inefficienze evidenziati da SIC riguardano in particolare la rete dei servizi che caratterizzano la qualità di vita degli anziani nelle diverse strutture in cui sono accolti; si tratta di risorse che potrebbero essere impiegate a migliore tutela del loro diritto alla salute. Pulizie e lavanderia, mensa, riscaldamento, premio assicurativo e spese telefoniche sono costi giornalieri obbligatori che ammontano ad un totale di quasi 70 euro per giorno di degenza, di cui 27,4 euro solo per pulizia e lavanderia;
   i dati emersi mostrano come alcune regioni abbiano costi di spesa raddoppiati e in certi casi addirittura triplicati sulla stessa tipologia di servizio: le Marche, ad esempio, spendono per dare da mangiare ai propri pazienti una media di 8,3 euro al giorno, in Campania esattamente il doppio, 16,6, con una media nazionale di 11,6 euro;
   gli sprechi, e la cattiva gestione delle pur limitate risorse, quando riguardano i servizi per gli anziani stanno creando la falsa e ingiusta convinzione che si possa risparmiare tagliando anche sul piano della qualità dell'assistenza. Ma tutti i cittadini, inclusi gli anziani, sono uguali e hanno pari diritto di accesso alla diagnosi e alle cure e devono potervi accedere sempre;
   non si possono accettare discriminazioni nelle cure in base all'età, qualunque sia la patologia presentata dall'anziano, a cominciare dalla prevenzione vaccinale. È un diritto irrinunciabile e deve essere omogenea su tutto il territorio, per questo sprechi e cattiva gestione vanno assolutamente eliminati –:
   quali urgenti iniziative per quanto di competenza intenda porre in essere al fine di monitorare e vigilare puntualmente il rispetto dei principi di efficienza ed efficacia, principi cardine per il buon funzionamento del servizio sanitario nazionale, contrastando fortemente sprechi e illegalità, e rendendo omogeneo un divario inaccettabile e sempre più pesante tra le diverse aree del Paese a grave danno della tutela del diritto alla salute dei cittadini. (5-01693)


   GRILLO, CECCONI, BARONI, DALL'OSSO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con decreto-legge del 25 marzo 2013, n. 24, recante disposizioni urgenti in materia di sanità, successivamente convertito, con modificazioni, dalla legge n. 57 del 23 maggio 2013, al fine di accertare la validità della metodica, è stata prevista una sperimentazione clinica concernente terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali, sul presupposto documentato dell'assenza di gravi effetti collaterali sui pazienti in cura presso gli spedali civili di Brescia come da protocollo della «Stamina Foundation». In particolare, in base al suddetto decreto la sperimentazione doveva durare 18 mesi e proprio per assicurare il suo svolgimento furono stanziati 3 milioni di euro; il 10 ottobre 2013 il Ministro interrogato ha comunicato la decisione di non proseguire la sperimentazione del metodo Stamina a seguito del parere negativo emesso dal comitato scientifico istituito dal decreto ministeriale 18 giugno 2013;
   il metodo scientifico per definizione consiste nella raccolta di dati tramite l'osservazione e l'esperimento. Tale giudizio appare viziato ab origine alla luce del fatto che tra i componenti del comitato scientifico solo un componente sembra esperto di staminali e altri hanno formulato giudizi negativi sui metodo Stamina già in periodi precedenti l'insediamento del comitato medesimo; il decreto ministeriale del 18 giugno 2013 aveva statuito che i compiti del comitato scientifico erano limitati alla: 1) identificazione delle patologie da includere nella sperimentazione; 2) definizione dei protocolli clinici per ciascuna delle patologie sottoposte a sperimentazione; 3) identificazione delle officine di produzione da coinvolgere nella sperimentazione tra quelle autorizzate dall'AIFA a produrre prodotti per terapie cellulari e degli sperimentatori e delle strutture ospedaliere pubbliche e private nelle quali trattare i pazienti;
   tale normativa dunque non ha in alcun modo attribuito al comitato scientifico il potere di esprimere le suddette valutazioni. Tra l'altro, il decreto n. 24 del 2013 aveva già previsto un preciso iter di avvio e conclusione della sperimentazione stessa. È, dunque, ad avviso degli interroganti palese il contrasto con una legge approvata dal Parlamento;
   invero, il Ministro interrogato nel decretare il blocco di una sperimentazione prevista per legge si è posta secondi gli interroganti al di sopra della legislazione dello Stato e ha assunto determinazioni che potevano essere prese solo dal Parlamento. Infatti se mediante una legge è stato possibile autorizzare la sperimentazione, ogni modifica al riguardo deve essere apportata con una legge successiva e non a seguito di un atto ministeriale supportato da un parere non vincolante e viziato di imparzialità ab origine;
   solo successivamente al giudizio emesso dal comitato scientifico il Ministero «fuori tempo massimo» la disposto l'acquisizione delle cartelle cliniche dell'ospedale di Brescia; pare irrituale che il Ministro decida unilateralmente una diversa destinazione dell'ingente somma indicata nella sua autonomia dal Parlamento in base al decreto n. 24 (3 milioni di euro per la sperimentazione) –:
   se non ritenga opportuno nominare nuovi membri esperti della materia e super partes con nominativi espressi anche dalle associazioni dei cittadini coinvolti, e tenuto conto di ciò, non ritenga necessario proseguire e concludere la sperimentazione per i pazienti che hanno già ricevuto uno o più cicli di terapia staminale acquisendo contestualmente le cartelle cliniche in possesso degli Spedali Civili di Brescia e di altri ospedali e specialisti, visitando e valutando tutti i pazienti già trattati con il metodo stamina. (5-01694)


   MIOTTO, LENZI, AMATO, ARGENTIN, BENI, BIONDELLI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, GRASSI, IORI, MURER, PATRIARCA, PICCIONE, SBROLLINI e SCUVERA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi tempi l'attenzione dell'opinione pubblica e degli organi di informazione si è andata fortemente ridimensionando nei confronti dell'Hiv, tuttavia, a 30 anni dalla prima epidemia, torna il rischio contagio anche nei paesi economicamente più avanzati. Come evidenziato dai dati diffusi dal Centro di controllo e prevenzione europeo (Ecdc) e dall'Oms in occasione della Giornata mondiale contro l'Aids, nel 2012 le infezioni da Hiv diagnosticate in Europa sono aumentate dell'8 per cento, con 29 mila nuovi casi nell'Unione europea e nei paesi dello spazio economico europeo. Il 40 per cento delle diagnosi è stata fatta in persone omosessuali, ma la trasmissione eterosessuale è quasi altrettanto frequente (33 per cento), mentre nel 18 per cento dei casi l'origine dell'infezione è sconosciuta;
   nel mondo, a fine 2012 erano 35,3 milioni le persone affette dal virus e nell'ultimo anno ci sono stati più di 2 milioni di nuove infezioni. In Italia, i nuovi casi ogni anno sono poco meno di 4 mila, una cifra che è rimasta costante nell'ultimo periodo, di cui circa il 25 per cento delle diagnosi viene effettuata troppo tardi. Un problema che si verifica in tutt'Europa. «Il 49 per cento delle persone che ricevono la diagnosi – sottolinea Marc Sprenger, direttore dell'Ecdc – scopre troppo tardi di essere sieropositivi, quando ormai il sistema immunitario ha cominciato a cedere. Questo dimostra che dobbiamo rendere il test più disponibile in tutta Europa per assicurarci diagnosi precoci e quindi trattamenti più efficaci»;
   negli ultimi dieci anni è cresciuto di un terzo il numero degli adolescenti che ha contratto il virus. Oggi sono 2 milioni i ragazzi sieropositivi nel mondo. Spesso hanno meno possibilità degli adulti di accedere alle terapie e alle informazioni necessarie per curarsi;
   come noto, gli esperti ribadiscono l'importanza dei test periodici, proprio per non incorrere nel rischio di intervenire in una fase già acuta e più difficile da trattare. «Per quanto riguarda le possibilità di trattamento con le attuali terapie antiretrovirali, si rischia maggiormente una resistenza farmacologica, l'insorgenza di ceppi virali che sono insensibili ai farmaci – spiega Andra Savarini, ricercatore dell'Iss, che sta lavorando a un vaccino –. Una diagnosi tardiva, inoltre, rischia almeno teoricamente di rendere più difficili possibili future terapie mirate ad indurre una vera e propria cura. Queste strategie, ancora molto sperimentali, puntano ad abbattere i serbatoi dove il virus si nasconde. Dal momento che questi serbatoi si espandono con il progredire dell'infezione, il paziente diagnosticato tardivamente rischia di non essere un buon candidato alla sperimentazione»;
   secondo un allarme lanciato dalla Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids e da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato, che hanno esaminato gli atti deliberativi regionali per la Linea progettuale 3, denominata Diagnosi di infezione da HIV di 10 regioni «Una quota di risorse del nostro Fondo sanitario nazionale, ammontante a 15 milioni di euro e destinato a 16 progetti regionali da diagnosi della HIV, non è stata spesa nel modo migliore da parte delle regioni;
   sedici erano le regioni che avevano la possibilità di presentare progetti sulla diagnosi di infezione da HIV: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto;
   nello specifico sanitario dei progetti presentati, 3 regioni indicano attività di carattere formativo al personale già coperte annualmente con 18 milioni di euro del fondo della legge n. 135 del 1990; una regione include nei costi il computo economico di esami che sono lo standard nella cura dell'HIV e quindi garantiti dai LEA; una regione include più azioni realizzate con altri finanziamenti precedentemente ricevuti. Quattro progetti (Veneto, Toscana, Marche e Puglia) su 10 propongono attività non riconducibili agli obiettivi indicati nel documento licenziato dal CIPE è quindi non congrue. Una regione, la Liguria, propone una attività basata su una strategia di offerta del test HIV considerata non costo efficace e non socialmente accettabile sia dalla comunità scientifica nazionale che internazionale;
   secondo le due organizzazioni globalmente la totalità dei 10 progetti analizzati ha almeno un indice di non congruità, 8 progetti su 10 contengono almeno 2 indici di non congruità e 2 progetti su 10 hanno ben 5 elementi di non congruità»;
   sulla base di queste considerazioni la Lila e Cittadinanzattiva hanno indirizzato una lettera aperta al Presidente del Consiglio, al Ministro della salute, alla Corte dei conti e altri referenti istituzionali, perché sia avviata ogni doverosa verifica in merito all'utilizzo dei 15 milioni di euro –:
   quali misure urgenti, nei limiti delle competenze statali in materia sanitaria, intenda adottare per fare piena chiarezza sull'utilizzo dei Fondi assegnati alle regioni secondo l'Accordo del 22 novembre 2012, ai fini del conseguimento della massima efficacia delle campagne di prevenzione contro la diffusione dell'Hiv adottate nel nostro Paese. (5-01695)


   PIAZZONI, NICCHI e AIELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultimo mese si sono rincorse diverse voci sugli organi di stampa in merito alla nomina del subcommissario alla sanità della regione Lazio;
   stando a quanto riportato dall'edizione online del quotidiano La Repubblica, in due diversi articoli datati 8 e 9 novembre 2013 e da II Fatto quotidiano, in data 10 novembre 2013, sarebbe stato individuato come possibile subcommissario alla sanità del Lazio Renato Botti, manager di spicco della sanità lombarda, la cui carriera è stata per anni legata a quella del faccendiere milanese Pierangelo Daccò;
   seppur assolutamente estraneo ai procedimenti giudiziari che hanno investito Pierangelo Daccò, sull'eventuale nomina di Renato Botti permangono, a parere degli interroganti, forti perplessità per apporti intercorrenti con gli ambienti imprenditoriali della sanità privata, considerando il peso rilevante di questi ultimi sulle vicende che hanno investito la sanità del Lazio;
   alla luce delle indiscrezioni di stampa la candidatura in questione sarebbe scaturita all'interno di uno scontro tra diverse componenti politiche della maggioranza, senza essere chiaro il ruolo svolto in merito dal Ministro interrogato, che ricopre una funzione decisiva nella designazione dell'incarico in questione;
   stando alle notizie apparse successivamente sul quotidiano Il Tempo, in data 19 novembre 2013, la nomina del sub commissario alla sanità della regione Lazio vivrebbe una fase di stallo per sostanziale disaccordo sul candidato tra la regione interessata ed il Governo, producendo ciò ritardi ed incertezze sull'attuazione delle importantissime decisioni e scadenze che investono il piano di rientro dal deficit e la gestione della sanità laziale;
   allo stato attuale, sono trascorsi ben nove mesi dall'insediamento della nuova giunta regionale del Lazio, senza che l'Esecutivo abbia formalizzato alcuna nomina per l'incarico di subcommissario alla sanità del Lazio e, a quanto pare, senza che il dicastero della salute abbia espresso un chiaro orientamento a riguardo;
   questa situazione di attesa sta rinviando una serie di importantissime decisioni inerenti alla sanità laziale e legate alle ultime determinazioni assunte e programmate dall'ex commissario Bondi, tra cui il taglio di centinaia di posti letto, la riconversione di 24 ospedali di provincia, la riorganizzazione della rete ospedaliera, dell'assistenza domiciliare, dei posti per i degenti nelle strutture di Rsa, la determinazione dei costi dei ticket. Decisioni che avranno un peso rilevante sul mantenimento dei livelli essenziali di assistenza nella regione Lazio;
   appare quantomeno inopportuno che il ritardo maturato nella nomina del subcommissario alla sanità del Lazio sia da imputarsi a presunte divergenze di natura politica interne alla maggioranza, l'ennesima brutta impressione dell'esistenza di un disdicevole binomio tra politica e posti chiave della sanità, che, tra l'altro, non produce risultati e rischia di paralizzare una nomina di importanza fondamentale per una Regione costretta a rientrare da un pesante deficit economico a livello sanitario –:
   se ritenga opportuna, per le ragioni sopra citate, la candidatura a subcommissario alla sanità della regione Lazio prospettata in premessa e se non ritenga urgente giungere in tempi rapidi e secondo un orientamento chiaro e trasparente alla nomina del nuovo subcommissario alla sanità del Lazio. (5-01696)


   RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dal recente pronunciamento del TAR del Lazio concernente la sperimentazione del cosiddetto «metodo Stamina» si evince che i giudici ritengono «che prima di esprimere il parere negativo all'inizio della sperimentazione, il comitato avrebbe dovuto esaminare le cartelle cliniche dei pazienti che erano stati sottoposti alla cura presso l'ospedale civile di Brescia. Pazienti che, dai certificati medici versati in atti, non risultano aver subito effetti negativi collaterali;
   secondo i giudici, è necessario che i lavori del Comitato scientifico che deve valutare l'opportunità di avviare una sperimentazione «partecipano esperti, eventualmente anche stranieri, che sulla questione non hanno già preso posizione o, se ciò non è possibile, che siano chiamati in seno al Comitato, anche coloro che si sono espressi in favore del metodo»;
   i giudici concludono che «non è stata garantita l'obiettività e l'imparziabilità del giudizio, con grave nocumento per il lavoro dell'intero organo collegiale» –:
   alla luce di quanto sopra esposto quali siano i tempi per la nomina di un nuovo Comitato scientifico che risponda ai requisiti indicati nel pronunciamento del TAR. (5-01697)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   L'ABBATE, SCAGLIUSI, CARIELLO, CECCONI, DALL'OSSO, BARONI, MANLIO DI STEFANO, ZOLEZZI, DE ROSA, BUSTO, MANNINO, DAGA, TERZONI, D'AMBROSIO, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GAGNARLI, PARENTELA, TOFALO, LIUZZI, GRILLO, LOREFICE, DI VITA e BRESCIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogazione a risposta scritta 4-00762 del 6 giugno 2013 trasformata in interrogazione a risposta in commissione 5-00813 il 1o agosto 2013 riguardante la discarica presente in contrada Martucci a Conversano (Bari), il Sottosegretario all'ambiente Marco Flavio Cirillo ha risposto dichiarando che «La situazione del sito, come delle aree agricole limitrofe, è altresì oggetto di una approfondita indagine dell'Arpa Puglia. Nel gennaio 2013, infatti, la suddetta Agenzia ha condotto uno studio di tipo descrittivo con l'obiettivo di fornire, separatamente per causa e genere, un profilo di mortalità della popolazione residente nei Comuni di Mola di Bari e Conversano e di evidenziare eventuali eccessi negli indicatori di mortalità specifici per causa di morte rispetto agli indicatori regionali e provinciali;
   in data 23 maggio 2013, il consiglio comunale di Mola di Bari (Bari) ha deliberato di impegnare l'amministrazione comunale «a fare eseguire, anche con il concorso dell'ATO Bari 5 e in stretto rapporto con il Comune di Conversano, uno studio epidemiologico sulla popolazione residente nei due Comuni (Mola di Bari e Conversano) nonché sui lavoratori addetti agli impianti che trattano rifiuti e a tutti i lavoratori che operano in contrada Martucci»;
   sulla base dei dati epidemiologici fermi al periodo 2000-2005 pubblicati nel 2006 dall'OER (Osservatorio epidemiologico regionale) della Puglia, Legambiente Conversano ha pubblicato un rapporto (focalizzato sui comuni di Conversano, Castellana Grotte, Rutigliano, Polignano a Mare, Noci, Turi, Mola di Bari e Monopoli), in collaborazione con i medici di base del comune di Conversano, in cui emerge come «i tumori che colpiscono il sistema nervoso centrale e gli organi dei sensi», «le neoplasie all'apparato uro-genitale», «i tumori ematologici», quelli al «pancreas», al «fegato», i «melanomi» siano superiori alla media regionale (Fonte: Fax Polignano 26 ottobre 2013, pag. 9). Il rapporto è stato depositato in procura dal comune di Conversano nel processo in corso sulla megadiscarica Martucci anche se questi dati non dimostrano una diretta correlazione con il presunto disastro ambientale (Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno 28 ottobre 2013, pag. 8);
   in data 15 ottobre 2013, dopo l'approvazione del PRGRU, è stato approvato l'ordine del giorno a firma dei consiglieri regionali Lanzilotta e Pastore «Contrada Martucci – Conversano – Linee di indirizzo per l'avvio del risanamento ambientale dell'area» in cui si impegna il Governo regionale della Puglia ad «individuare le risorse finanziarie, quantificabili in 500 mila euro da assegnare ai Comuni di Conversano, Mola di Bari e Polignano sollevandoli dai vincoli del Patto di Stabilità, ed assumere ogni utile iniziativa finalizzata a coordinare tutte le attività ricognitive che consentano una più dettagliata conoscenza dei dati ambientali relativi a suolo, sottosuolo e falda nell'area vasta, che permettano l'individuazione dei responsabili dell'inquinamento e quindi l'avvio di interventi per la bonifica e la riqualificazione ambientale dell'area». Un procedimento da «concludersi entro sei mesi dall'approvazione» dell'ordine del giorno. Nell'odg si sottolinea che «qualora dallo studio dovessero emergere compromissioni dei livelli di inquinamento il Consiglio Regionale impegna la Giunta regionale a prevedere, nel bilancio di previsione per l'anno 2014, apposito capitolo di spesa a favore dei comuni di Conversano, Mola di Bari e Polignano (in forma associata fra di loro). Medesimo capitolo sarà poi incrementato, con la manovra di assestamento, per le risorse necessarie risultanti dallo studio stesso. Si impegna altresì la Giunta ad adottare ogni provvedimento utile alla messa in sicurezza, bonifica, e risanamento ambientale. Qualora l'Autorità competente dovesse ritenere il sussistere di situazioni di cui al titolo VI del decreto legislativo 152/2006 e s.m.i., ovvero di danno ambientale, tutta l'attività dovrà essere orientata a favorire l'applicazione delle norme di precauzione e prevenzione di cui agli articoli 240 e seguenti del decreto legislativo 152/2006 e s.m.i. anche pensando alla adozione di poteri di ordinanza di cui all'articolo 244 e provvedendo allo stralcio dell'impianto così come individuato dal presente Piano, sostituendo le necessità derivanti dal suo utilizzo con altri impianti siti ed in esercizio sull'intero territorio regionale, qualora ed auspicabilmente una diversa organizzazione amministrativa degli ATO (unico) renda possibile il loro utilizzo» –:
   se il Ministro interrogato intenda, nell'ambito delle proprie funzioni, attivarsi presso l'istituto superiore della sanità affinché vengano definitivamente aggiornati i dati epidemiologici pubblicati nel 2006 dall'OER della Puglia e venga dato avvio ad uno studio epidemiologico approfondito e dettagliato, che analizzi anche lo stato di salute dei dipendenti che lavorano, o abbiano lavorato in passato, in contrada Martucci. (5-01688)


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la schizofrenia, l'Alzheimer e altre demenze sono tutti disturbi del cervello, ancora poco conosciuti e molto stigmatizzati. Un problema che allontana il paziente dalle cure, rendendo ancora più critiche le loro condizioni di salute di vita e più complicata la gestione dei malati da parte dei familiari e del sistema. Per cercare di mettere a tacere la paura, i pregiudizi e la sfiducia nei confronti delle possibilità di cura, serve un filo diretto tra medico e paziente in grado di migliorare l'accesso e la gestione delle cure;
   nonostante il progresso e l'innovazione delle neuroscienze ci sono ancora tanti bisogni insoddisfatti a cui solo la ricerca può dare una risposta. E non a caso il 2014 è stato proclamato «anno del cervello» dal Parlamento europeo;
   nei disturbi di quest'organo rientrano due classi di patologie molto differenti tra loro: la prima è quella dei disturbi mentali e la seconda è quella delle malattie neurologiche. I primi sono disturbi psichici, che possono riguardare la sfera cognitiva, affettiva, comportamentale o relazionale, e comprendono malattie psicologiche e psichiatriche, come la schizofrenia; mentre le malattie neurologiche sono patologie, differenti da quelle psichiatriche, che colpiscono il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso periferico: una delle più invalidanti è l'Alzheimer. Le malattie neurologiche, inoltre, possono coinvolgere anche o essere associate a malattie psichiatriche;
   i disturbi mentali colpiscono con diversa gravità 17 milioni di italiani. Ma solo 1 su 3 riceve cure. Nella lista dei disturbi che coinvolgono la psiche, al primo posto c’è l'ansia (otto milioni di italiani), al secondo la depressione e l'insonnia (entrambe quattro milioni) e poi i disturbi post-traumatici da stress (oltre un milione). L'Europa non è da meno: 164 sono i milioni di europei con queste patologie (il 38,2 per cento della popolazione);
   la malattia mentale contribuisce circa al 26,6 per cento della disabilità totale. E comporta anche un problema socio-economico a causa dei costi molto elevati: 798 miliardi di euro è la stima dell'impatto economico annuo in Europa per le malattie che colpiscono il cervello. Di questi il 37 per cento rappresentato da costi diretti connessi alle cure, il 23 per cento da costi diretti non medicali ed il 40 per cento copre i costi indiretti (perdita di produttività sociale, mortalità prematura, perdita di produttività dei familiari, e altro). Un peso economico notevole che non esaurisce l'impatto devastante di queste patologie, vera sfida del 21o secolo poiché principale causa di morte e disabilità;
   secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, a livello mondiale la schizofrenia ha una prevalenza di circa il 7 per mille della popolazione adulta (circa 24 milioni di persone), soprattutto nella fascia di età 15-35 anni. In Italia, si può stimare che 245.000 persone siano o siano state affette da disturbi di tipo schizofrenico. È fra le patologie che hanno un impatto maggiore sulla vita di chi ne è colpito e dei suoi familiari; è infatti inclusa tra le prime 10 cause di grave disabilità cronica e tra le prime 20 patologie per numero di anni vissuti in condizioni di disabilità;
   le demenze colpiscono 1,1 milioni di italiani. Solo per l'Alzheimer la spesa è di 60.000 euro l'anno a paziente. Cresce il numero delle persone affette da demenza è in Italia. Il documento dell'Oms «Demenza: una priorità di sanità pubblica» stima che entro il 2030 il numero di pazienti è destinato quasi a raddoppiare ed entro il 2050 a superare il triplo, raggiungendo i 115,4 milioni. L'Italia è già oggi ottava tra i Paesi col maggior numero di persone affette, con 1,1 milioni di pazienti, in una classifica che vede al primo posto la Cina (5,4 milioni di pazienti), al secondo gli Stati Uniti (3,9) e al terzo l'india (3,7);
   nello specifico, convive con la demenza l'80 per cento degli anziani nelle case di riposo. La Malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza, che colpisce circa 36 milioni di persone nel mondo – un numero che toccherà i 66 milioni entro il 2030 – e in Italia circa 600 mila persone, rappresentando il 50-60 per cento dei casi di demenza;
   il costo globale dell'assistenza per l'Alzheimer supera i 600 miliardi di dollari, ovvero circa l'1 per cento del prodotto interno lordo mondiale. A riportarlo è il «rapporto mondiale Alzheimer 2013», recentemente presentato dalla Federazione Alzheimer Italia - rappresentante per l'Italia di Adi (Alzheimer's Disease International). In Italia la spesa annua per un anziano affetto da Alzheimer è di 60.000 euro, di cui circa il 70 per cento a carico della famiglia e il 30 per cento a carico del Sistema Sanitario Nazionale. Se la demenza fosse una nazione sarebbe la 18esima economia mondiale;
   per tutte queste malattie, un'arma importante è rappresentata dall'informazione sulla ricerca e sui nuovi studi scientifici. La ricerca ha portato allo sviluppo di tecniche che permettono una diagnosi precoce della malattia. Altrettanti progressi sono in corso nel campo delle terapie farmacologiche, dove si studiano nuove soluzioni;
   in tutti i disturbi del cervello, sia quelli psichiatrici che quelli neurologici, è fondamentale l'importanza dell'informazione ai famigliari del paziente. I progressi scientifici, opportunamente comunicati, oltre ad offrire speranze di cura ai malati, contribuiscono a rafforzare la consapevolezza dei familiari, su cui nella maggior parte dei casi grava il peso dell'assistenza –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere in prossimità del 2014, proclamato «anno del cervello» dal Parlamento europeo, in termini di ricerca, di assistenza e di informazione concreta alle famiglie e se non ritenga necessario promuovere strategie nazionali concrete in grado di fornire ai malati e alle loro famiglie diagnosi tempestive e terapie farmacologiche appropriate e fondamentali per il controllo delle malattie del cervello. (5-01692)


   BIONDELLI. —Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la sclerosi multipla, o sclerosi a placche, è una grave malattia del sistema nervoso centrale, cronica e spesso progressivamente invalidante;
   tale malattia può presentarsi durante quasi tutto l'arco della vita, tra i 15 e i 50 anni, anche se si manifesta soprattutto tra i giovani adulti, tra i 20 e i 30 anni, e tra le donne, in un rapporto di due a uno rispetto agli uomini;
   ogni anno, in Italia, si verificano 1800 nuovi casi (1 ogni 5 ore) ed oggi è possibile formulare una rapida diagnosi della malattia, ma la strada per trovare una cura risolutiva è ancora lunga;
   le persone malate di sclerosi multipla sono circa 2,5 milioni nel mondo, 520.000 in Europa e 400.000 negli Stati Uniti. In Italia i malati sono 58.500, 1 ogni 1026 abitanti, con picchi di 1 ogni 700 in Sardegna.
   la sclerosi multipla oltre che per l'invalidità fisica vera e propria, lo stress derivante dalla malattia e dal fatto che i sintomi cambiano nel tempo spinge il 64 per cento dei malati a modificare la propria attività lavorativa e il 38 per cento la propria vita di relazione;
   alcuni dati relativi allo stile di vita dei disabili di sclerosi multipla evidenziano che:
    il 95 per cento dei malati vive con la famiglia, il 5 per cento da solo.
    il 44 per cento degli individui con difficoltà di deambulazione e il 12,5 per cento di quelli in carrozzina continua ad uscire ogni giorno. Tra i disabili più gravi, il 17 per cento esce qualche volta al mese e il 23 per cento alcune volte l'anno;
    il 70-80 per cento dei malati con disabilità minore continua ad usare gli stessi mezzi di trasporto, ma all'aumentare della disabilità solo il 30-40 per cento mantiene le proprie abitudini;
    il 61 per cento presenta serie difficoltà di movimento all'esterno dovute alle barriere architettoniche: 36 per cento per marciapiedi impraticabili, 29 per cento per rampe d'accesso troppo ripide, 22 per cento per ascensori non accessibili;
    il 43 per cento dei malati, anche in caso di disabilità minima, ha dovuto modificare le proprie abitudini in tema di vacanze, sia per questioni economiche sia per problemi di mobilita –:
   quanti siano effettivamente i malati di sclerosi multipla in Italia e quale sia la loro percentuale nelle singole regioni ed in particolare a quanti di loro è stata riconosciuta la disabilità grave così come prevista dall'articolo 3, comma 3 della legge 104 del 1992;
   se il Ministro sia a conoscenza del fatto che molti malati di sclerosi multipla incontrano difficoltà a farsi riconoscere i benefici previsti dalla legge 104 dalle commissioni mediche dell'Inps e che anzi pur essendo la sclerosi multipla una malattia la cui diagnosi è chiaramente riconducibile a una patologia cronico-degenerative, che non può quindi che peggiorare nel tempo, accentuando lo stato di disabilità e di non autosufficienza alcuni di loro siano stati chiamati a visita di controllo all'interno dei piani di revisioni nei confronti dei titolari di pensione sociale. (5-01699)

* * * 

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   L'ABBATE, BRESCIA, GALLINELLA, GAGNARLI, D'AMBROSIO, LUPO, MASSIMILIANO BERNINI, DE LORENZIS, CATALANO, SCAGLIUSI e PARENTELA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la deliberazione della giunta regionale 11 dicembre 2007 n. 2147 sancisce l'accordo di programma ai sensi dell'articolo 34, del decreto legislativo n. 267 del 2000 per la realizzazione del «Polo Integrato per lo Sviluppo Economico» grazie all'accesso, entro il termine del 31 dicembre 2007, ai fondi F.A.S. (fondi aree sottosviluppate) assegnati dal Ministero dell'economia e delle finanze alla regione Puglia (Por Puglia 2000/2006), successivamente trasferiti al comune di Foggia e alla camera di commercio di Foggia. Il «polo integrato per lo sviluppo economico» dispone, dunque, di un contenitore di risorse per la sua realizzazione di circa 50 milioni di euro;
   il piano prevede la suddivisione dell'area impegnata in quattro lotti minimi di intervento: in particolare nei lotti 2 e 3 la camera di commercio allocherà nei suoi immobili la nuova sede camerale nonché la cittadella dell'economia mentre il comune di Foggia allocherà gli uffici direzionali del comune, servizi a sostegno dell'attività dell'amministrazione, un centro servizi del distretto agroalimentare del tavoliere ed una sala riunioni. La consegna è inizialmente prevista per fine 2011;
   come riportato nel «PIT 1 Tavoliere», la misura 4.2 «Interventi di completamento e miglioramento delle infrastrutture di supporto e qualificazione dei bacini logistici dei sistemi produttivi locali» POR Puglia, completamento di programmazione – asse IV prevede due azioni. Azione a – «Completamento e miglioramento infrastrutturale degli insediamenti produttivi nell'area del Comune di Foggia (Centro servizi DAT). Contributo finanziario complessivo 800.000 euro. Con questa misura si finanziano le opere di urbanizzazione del Centro servizi di Foggia (le altre due sedi sono localizzate a San Severo e a Cerignola). Il Centro sorgerà all'interno del Polo integrato di servizi della città di Foggia in una zona a ridosso dell'Ente Fiera. All'interno del polo, oltre al Centro servizi DAT, troveranno posto la cittadella dell'economia (CCIAA), uffici dell'Ente Fiera, la sede dello Sviluppo Economico del Comune di Foggia, il tutto realizzato coi fondi FAS (Fondi per le Aree Sottosviluppate)». Azione b – «Infrastrutture fisiche ed immateriali a supporto delle attività produttive e delle attività di servizio comuni. Contributo finanziario complessivo 4.270.000 euro. Appalto pubblico di forniture con procedura aperta, ai sensi degli artt. 3 e 5 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – scadenza 22 dicembre 2006. Con questa misura si finanzia la fornitura della Rete Telematica del Centro Servizi del Distretto Agroalimentare del Tavoliere (rete intranet ed internet, della rete di telecomunicazioni e della rete di telecontrollo del Centro Servizi) relativo al progetto di realizzazione del network infotelematico del DAT. Il Patto territoriale di Foggia, su impulso dell'Ufficio Unico, ha rimodulato i suoi interventi in favore delle infrastrutture per il PIT n. 1. Per la costruzione della palazzina del centro servizi di Foggia e la ristrutturazione dei centri di San Severo e Cerignola ha destinato i fondi rinvenienti dalle economie del patto territoriale per un importo di 3.251.170,56 euro (Progetto approvato dal Ministero delle attività produttive (sviluppo economico) decreto ministeriale n. 5853 del 22 settembre 2006). Soggetto attuatore del progetto è l'Amministrazione Provinciale di Foggia»;
   la Camera di Commercio di Foggia nel 2008 indice bando di gara di circa euro 22 milioni per la realizzazione della «Cittadella dell'Economia di Capitanata» per la sua nuova sede (GURI del 12 maggio 2008 punto III.1.2 «Principali modalità di finanziamento e di pagamento e/o riferimenti alle disposizioni applicabili in materia: fondi propri e fondo Regione Puglia come da delibera CIPE n. 20/2004»). La gara viene vinta dal Consorzio CCC di Bologna il quale concorre in fase di gara per i lavori edili OG1 per la ditta «Mucafer Scarl» di Manfredonia (Foggia) e tutti i lavori di OS28 ed OS30 per il «CAT Consorzio Alta Tecnologia soc. coop. cons.» di Ravenna.
   nel marzo 2010, tramite un suo responsabile, il CAT contatta la «Dema Impianti S.r.l.» per formulare un'offerta per i lavori da realizzare presso il cantiere «cittadella dell'economia» di Capitanata, nuova sede della Camera di Commercio di Foggia, che la stessa produce puntualmente sulla scorta del progetto di gara e del computo metrico ricevuto dal CAT. La Dema aderisce al CAT ma subito dopo viene modificato il progetto di gara che prevede una mole di lavoro maggiore. La Dema continua ad operare in cantiere; a seguito dei mancati pagamenti da parte del consorzio CAT, incomincia una diatriba sino alla estromissione dai lavori di Dema il 25 ottobre 2012 nonostante le opere presso la «cittadella dell'economia» non siano concluse; 
   con sentenza n. 19 del 03 aprile 2013, il tribunale civile di Ravenna dichiara il fallimento del Consorzio Alta Tecnologia Soc. Coop. Cons.;
   in data 29 luglio 2013, il consigliere regionale Michele Ventricelli presenta un'interrogazione all'assessorato regionale allo sviluppo economico per portare a conoscenza delle vicende la giunta pugliese senza ricevere, ad oggi, risposta;
   la «Dema Impianti S.r.l.», piccola azienda altamurana composta da 16 dipendenti, fornendo al CAT materiali tecnologici di vario genere e posa in opera, a ministero di maestranze altamente specializzate, presso la «Cittadella dell'economia» di Capitanata fino al 23 ottobre 2012, ha maturato un consistente credito;
   a distanza di molti anni dall'indizione della gara per la realizzazione del Polo integrato per lo sviluppo economico e della Cittadella dell'economia, le relative opere non sono ancora state completate nonostante l'erogazione di cospicui fondi statali –:
   di quali elementi disponga il Governo circa i motivi per i quali il «Polo integrato per lo sviluppo economico» e l'annessa «cittadella dell'economia», a più di tre anni dall'inizio dei lavori, non abbiano ancora aperto i battenti, alla luce dei corposi fondi statali utilizzati per la costruzione dei medesimi;
   se il Governo intenda assumere iniziative, anche normative, per evitare che si ripetano casi come quello di cui in premessa. (5-01687)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Gnecchi e altri n. 1-00258, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carra.

  La mozione Mongiello e altri n. 1-00276, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carra.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cenni e altri n. 5-01339, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pes.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Grillo n. 4-02588 del 20 novembre 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2 del Regolamento).

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-02307 del 25 ottobre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01687;
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e altri n. 4-02369 del 31 ottobre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01688.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Biondelli n. 4-01351 del 19 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01699;
   interrogazione a risposta orale Biffoni n. 3-00424 del 6 novembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01700.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la crescita della domanda di sicurezza, sebbene con le ovvie differenze da luogo a luogo, riguarda molte realtà urbane del nostro Paese;
   nel territorio di Pistoia, un tempo considerato tra le «isole felici» in quanto a sicurezza per i cittadini, si è, negli ultimi tempi, assistito ad una vera e propria impennata della criminalità;
   si è, infatti, registrato un significativo aumento di diverse tipologie di reato, aggressioni, scippi, moltissimi furti, rapine, borseggi, furti d'auto, ma anche gravi episodi di efferata violenza, come quello dell'omicidio del parroco di Quarrata, don Mario Del Becaro, soffocato con il nastro adesivo messo sulla bocca, dopo essere stato legato e percosso violentemente, ucciso nella canonica della chiesa di San Bartolomeo;
   la gravissima crisi che sta investendo il Paese ha ovviamente, come era ampiamente prevedibile, avuto ripercussioni sul territorio e sulla tenuta dell'apparato della sicurezza, come testimoniato anche dai fatti di cronaca occorsi nella provincia di Pistoia;
   tutto ciò va a sommarsi ai tagli ripetuti che il comparto sicurezza ha subito a livello nazionale, fornendo terreno fertile alla criminalità;
   nonostante la grave carenza di organico delle forze di polizia, carenza che va inoltre incrementandosi (nella provincia di Pistoia solo nell'ultimo semestre circa 10 poliziotti sono stati posti in quiescenza e, per il 2013, è previsto che altre 10 persone siano poste in congedo permanente) la loro attività di contrasto alla criminalità è incessante e meritoria;
   l'interrogante ha appreso (sono state numerose le sollecitazioni ricevute sul tema, tra le quali una comunicazione del sindacato di polizia S.a.p pubblicata sulla stampa locale), inoltre, che, in pratica, nel 2013, nella provincia di Pistoia, potranno essere impiegati in servizio circa 18 poliziotti in meno rispetto al 2012: se si considera che allo stato alla pianta organica mancano all'appello 41 poliziotti e se si aggiungono i citati 18, si può constatare che nel 2013 si avrà una carenza di circa 60 unità in meno rispetto a quanto previsto dal piano ministeriale del 1989;
   il tema della sicurezza, in particolare quello delle realtà urbane, non coincide sic et simpliciter sempre con quello dell'ordine e della sicurezza pubblica, pur però comprendendolo in sé, bensì riguarda più complessivamente la qualità della vita delle persone residenti in un territorio, alla cui base vi è la rete dei valori e dei servizi che contribuiscono a definire l'identità nella quale la comunità locale si riconosce: investire, in controtendenza ai tagli, sul comparto sicurezza è dunque fondamentale –:
   se il Ministro non ritenga urgente, al fine di fronteggiare in maniera tempestiva ed efficace il preoccupante accrescersi della criminalità nella provincia di Pistoia, di dover adottare le necessarie iniziative volte ad incrementare gli organici delle forze di polizia, nonché a reperire le risorse economiche necessarie alle forze dell'ordine per garantire la sicurezza per i cittadini del territorio di Pistoia. (4-00456)

  Risposta. — Nella provincia di Pistoia i reparti della polizia di Stato sono dotati di una forza effettiva di 319 unità e di 20 appartenenti ai ruoli tecnici. Concorrono al dispositivo di controllo del territorio anche 343 militari dell'arma dei Carabinieri e 120 militari della guardia di finanza.
  Nella provincia la situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica, dopo aver fatto registrare un lieve incremento (+0,6 per cento) dell'indice di delittuosità nel corso del 2012, nei primi quattro mesi dell'anno corrente ha registrato una notevole diminuzione (-16,6 per cento) rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
  Si tratta di dati provvisori che devono essere ancora consolidati c che in ogni caso non possono influire sul livello di attenzione che le Forze di polizia devono mantenere per garantire al meglio la sicurezza dei cittadini e la tutela dell'ordine pubblico.
  In questa prospettiva, pur nel quadro di una generale carenza di risorse umane, il dipartimento della pubblica sicurezza ha disposto, nel mese di ottobre, l'assegnazione alla provincia di Pistoia di 14 unità, di cui 10 alla questura e 4 alla Sezione polizia stradale.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   BURTONE e BATTAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   premesso che l'articolo 24 – commi 14 e 15 – del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 2011 consente ai lavoratori esodati di potere accedere alla pensione sulla base della normativa vigente prima della riforma del sistema pensionistico del 2011;
   alla data odierna, l'INPS non ha ancora provveduto a liquidare una sola pensione ai soggetti interessati, espressamente contemplati nella citata legge;
   nonostante le diverse e ripetute sollecitazioni poste in essere dai patronati confederali «INCA CGIL – INAS CISL – IT AL UIL» in ordine alla materia pensionistica specifica, la dirigenza nazionale INPS tende tuttora ad eludere l'importante e delicata questione, con atteggiamenti dilatatori e quindi, fortemente lesivi dei diritti dei lavoratori interessati –:
   quali interventi il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intenda adottare, con la massima urgenza, nei confronti dell'INPS nazionale, per l'integrale attuazione dell'articolo 24 del citato decreto-legge n. 201 del 2011, e dare concrete risposte alle giuste esigenze dei lavoratori esodati. (4-00082)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la mancata liquidazione dei trattamenti pensionistici nei confronti dei cosiddetti «lavoratori salvaguardati» ai sensi dell'articolo 24, commi 14 e 15, del decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 22 dicembre 2011 (cosiddetto «salva Italia»), si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente si ritiene opportuno precisare la distinzione tra i lavoratori cosiddetti «esodati» e quelli cosiddetti «bloccati». I primi sono coloro che ri- sultano espulsi dal sistema produttivo e sono bisognosi di misure di salvaguardia in termini di requisiti e di accompagnamento alla pensione, qualora gli strumenti di sostegno al reddito non consentano di garantire loro una tutela anche minima, fino al raggiungimento del diritto a pensione entro un termine ragionevole (generalmente 24–48 mesi). I secondi sono coinvolti da processi di ristrutturazione, ma non sono ancora espulsi dal mercato del lavoro.
  Inoltre, nel dibattito comune vi è spesso associata la categoria dei lavoratori cosiddetti «esodati all'entrata in vigore della riforma pensionistica». In realtà, l'esodo dei lavoratori dal mondo lavorativo è un dato strettamente collegato alle dinamiche economiche e alle scelte delle imprese e non necessariamente alle norme in materia pensionistica.
  La normativa pensionistica interviene, tuttavia, sulla posizione di tali lavoratori quando decide, con misure più o meno incisive, di farsi carico, per un periodo di tempo più o meno lungo, del periodo di transizione di tali lavoratori dal mondo del lavoro allo stato pensionistico attraverso apposite misure di salvaguardia.
  La complessità del fenomeno è stata acuita dal fatto che la riforma pensionistica del 2011 non ha previsto meccanismi di transizione verso il nuovo regime e che ciò ha determinato viva preoccupazione in importanti e larghe fasce di lavoratori.
  Per confermare la rapidità di intervento del Governo su questi aspetti, si fa presente che è in fase avanzata l'attuazione e il monitoraggio dei primi due decreti. In data 8 maggio 2013 l'Inps, su richiesta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e in un'ottica di massima trasparenza istituzionale, ha pubblicato sul sito internet i dati relativi all'attuazione dei primi decreti.
  Con riferimento al decreto del 1° giugno 2012, si precisa che l'INPS ha esaminato 90.000 posizioni di soggetti potenzialmente interessati con conseguente riconoscimento del diritto di accesso al beneficio per circa 63.000 lavoratori. L'Istituto ha fatto presente che i soggetti esclusi sono prevalentemente i prosecutori volontari e coloro che sono cessati in virtù di accordi individuali o collettivi che maturano i requisiti dal 2014 e che hanno ripreso l'attività lavorativa successivamente all'autorizzazione alla prosecuzione volontaria o alla cessazione del rapporto di lavoro.
  Allo stato attuale sono in via di completamento le operazioni di inoltro delle comunicazioni di accesso alla salvaguardia per tutte le categorie di aventi titolo. I soggetti con pensione con decorrenza fino a giugno 2013 hanno già ricevuto, inoltre, una seconda lettera recante l'informazione precisa sulla data di accesso al pensionamento.

Il primo intervento di salvaguardia.
  Sulla base delle previsioni normative dei decreti «Salva Italia» e «Milleproroghe» e nei limiti delle risorse in essi stanziate, la platea dei salvaguardati è stata inizialmente stimata in 65.000 soggetti in possesso dei requisiti indicati nel decreto interministeriale in data 1° giugno 2012 (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e finanze) per ciascuna delle categorie individuate dalle norme di riferimento.
  Inizialmente, in considerazione del vincolo stringente delle risorse disponibili, si è reso necessario procedere secondo una scala di priorità, individuando nelle situazioni di immediata criticità quelle più meritevoli di tutela; a tal fine, ad esempio, l'intervento nei confronti della platea dei «collocati in mobilità lunga» è stato circoscritto a coloro che fossero già cessati dal lavoro alla data di entrata in vigore del «Salva Italia».
  Le tipologie di lavoratori ed i criteri di ammissione al beneficio sono:

Categorie Criteri di ammissione alla salvaguardia
a) n. 25.590 lavoratori collocati in mobilità ordinaria ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e s.m.i. Accordi sindacali stipulati anteriormente il 4 dicembre 2011;
Data cessazione attività entro il 4 dicembre 2011;
Perfezionamento requisiti entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità (articolo 7, commi 1 e 2, legge 223 del 1991):
b) n. 3.460 lavoratori collocati in mobilità lunga ai sensi dell'articolo 7, commi 6 e 7, della legge 23 luglio 1991, n. 223, e s.m.i. Accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre 2011;
Data cessazione attività entro il 4 dicembre 2011
c) n. 17.710 titolari di prestazione straordinaria a carico dei Fondi di solidarietà di settore di cui all'articolo 2, comma 28, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Titolari di assegno straordinario alla data del 4 dicembre 2011;
NONCHÉ
Titolari di assegno straordinario da data successiva al 4 dicembre 2011, con accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre 2011, se l'accesso alla prestazione risulta autorizzato dall'INPS, fermo restando che gli interessati rimangono a carico dei Fondi fino al compimento di almeno 62 anni di età
d) n. 10.250 lavoratori che, prima del 4 dicembre 2011 sono stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione. Autorizzazione antecedente alla data del 4 dicembre 2011;
non rioccupati dopo l'autorizzazione;
almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile al 6 dicembre 2011;
decorrenza massima pensione entro il 6 dicembre 2013
e) n. 950 lavoratori che alla data del 4 dicembre 2011 hanno in corso l'istituto dell'esonero dal servizio di cui all'articolo 72, comma 1, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni con legge 6 agosto 2008, n. 133. Esonero in corso al 4 dicembre 2011 ovvero provvedimento di concessione emesso ante 4 dicembre 2011
f) n. 150 lavoratori che alla data del 31 ottobre 2011 risultano essere in congedo per assistere figli con disabilità grave ai sensi dell'articolo 42, comma 5, del testo unico di cui al DL 26 marzo 2001, n. 151. In congedo al 31/10/2011;
beneficio solo per pensione con 40 anni di contribuzione;
perfezionamento requisito contributivo di 40 anni entro 24 mesi dalla data di inizio del congedo
g) n. 6890 lavoratori il cui rapporto di lavoro si è risolto entro il 31 dicembre 2011:
in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articoli 410, 411 e 412-ter del codice di procedura civile;
in applicazione di accordi collettivi di incentivo all'esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Data cessazione entro il 3/l2/2011;
non rioccupati in qualsiasi altra attività lavorativa dopo la cessazione del rapporto di lavoro;
decorrenza massima pensione entro il 6 dicembre 2013

  Nel contempo si ponevano le basi per ampliare, attraverso l'adozione di successivi interventi normativi, la platea dei salvaguardati e le corrispondenti risorse.
  L'8 maggio 2013 sono stati pubblicati sul sito dell'INPS, su indicazione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in un'ottica di massima trasparenza istituzionale, i dati relativi alla prima salvaguardia.
  Dai dati a consuntivo resi noti dall'Inps emerge che, in relazione alla prima platea di 65 mila lavoratori, il totale di certificazioni rilasciate dai competenti uffici ammonti a circa 62 mila, con una riduzione del 4,6 per cento rispetto al dato inizialmente stimato.
  Gli scostamenti più significativi (in riduzione) riguardano, in particolare:
   a) i cosiddetti «prosecutori volontari» (con una platea stimata di 10.250 a fronte di 7.960 certificazioni effettivamente rilasciate);
   b) i cosiddetti «cessati» in base ad accordi di incentivo all'esodo (con una platea stimata di 6.890 a fronte di 3.888 certificazioni rilasciate).
  Nella tabella sotto riportata vengono sintetizzati i dati forniti dall'Inps, aggiornati al 10 giugno 2013:

Tipologia salvaguardati Platea prevista Certificazioni Variazione %
delle certificazioni
rispetto al previsto
a) lavoratori in mobilità ordinaria 25.590 26.181*  
b) lavoratori in mobilità lunga 3.460 2.565  
c) titolari di prestazione straordinaria 17.710 17.143  
d) prosecutori volontari 10.250 7.960  
e) lavoratori pubblici esonerati dal servizio 950 1.226*  
f) lavoratori in congedo per assistere figli disabili gravi 150 87  
g) lavoratori cessati in base ad accordi individuali o collettivi di incentivo all'esodo 6.890 3.888  
Non classificabili   2.950**  
Totale
65.000 62.000 -4,6%

* Il superamento del contingente previsto nel decreto per questa categoria è stato possibile per la disponibilità di posti nelle altre categorie e comunque nel rispetto del limite dei 65 mila beneficiari.
** Certificazioni in corso di definizione o postalizzazione.

Il secondo intervento di salvaguardia.

  Con il decreto-legge n. 95 del 2012, denominato «Spending review», si è aumentato di 55.000 unità il numero dei salvaguardati (il relativo decreto interministeriale, sottoscritto l'8 ottobre 2012, è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 21 gennaio 2013). L'ampliamento della platea si è realizzato attraverso una serie di misure di diversa portata a seconda della categoria di riferimento. Così ai fini della salvaguardia dei lavoratori in mobilità è stato fissato al 31 dicembre 2011 il termine per la sottoscrizione degli accordi in sede governativa; è stato aumentato di 1.600 unità il numero dei possibili salvaguardati tra i beneficiari di prestazioni a carico dei fondi di solidarietà; è stato elevato di un anno il termine entro il quale la maturazione dei requisiti per la pensione consentiva l'applicazione delle vecchie regole nei confronti dei prosecutori volontari e dei destinatari di accordi di esodo.
  Il termine per la presentazione delle istanze di ammissione al beneficio scadeva il 21 maggio 2013.

  Le tipologie di lavoratori ed i criteri di ammissione al beneficio sono:

Categorie Criteri di ammissione alla salvaguardia
a) n. 40.000 lavoratori per i quali le imprese hanno stipulato in sede governativa accordi finalizzati alla gestione delle eccedenze occupazionali con utilizzo di ammortizzatori sociali Accordi stipulati in sede governativa entro il 31 dicembre 2011;
cessazione dall'attività lavorativa e collocamento in mobilità ai sensi degli artt. 4 e 24 della legge m-223 del 1991 in data precedente, pari o successiva al 4 dicembre 2011;
perfezionamento dei requisiti pensionistici entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità ai sensi dell'articolo 7, commi 1 e 2, della legge n. 223 del 1991, ovvero, ove prevista, della mobilità lunga ai sensi dell'articolo 7, commi 6 e 7, della legge n. 223 del 1991.
b) n. 1600 lavoratori per i quali era previsto da accordi l'accesso ai Fondi di solidarietà di settore di cui all'articolo 2, comma 28, della legge n. 662 del 1996 Accordi stipulati alla data del 4 dicembre 2011;
titolari di prestazione straordinaria a carico dei Fondi di solidarietà di settore di cui all'articolo 2, gomma 28, della legge n. 662 del 1996 da data successiva al 4 dicembre 2011;
permanenza a carico dei Fondi di solidarietà di settore fino a 62 anni di età
c) n. 7.400 lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione Autorizzazione antecedente alla data del 4 dicembre 2011;
non rioccupati dopo l'autorizzazione; con almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile alla data del 6 dicembre 2011;
decorrenza della pensione entro il 6 gennaio 2015.
d) n. 6.000 lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro:
in ragione di accordi individuali sottoscritti anche ai sensi degli articolo 410, 411 e 412-ter del codice di procedura civile;
in applicazione di accordi collettivi di incentivo all'esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Data di risoluzione del rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2011;
non rioccupati in qualsiasi altra attività lavorativa successivamente alla data di risoluzione; del rapporto di lavoro;
decorrenza della pensione entro il 6 gennaio 2015

Il terzo intervento di salvaguardia
  Nell'ambito della «Legge di Stabilità per il 2013» è stata prevista una terza salvaguardia, a tutela di un ulteriore numero di soggetti rientranti tra i lavoratori in mobilità, i prosecutori volontari e i destinatari di accordi di esodo, secondo una progressione di spesa che prevede stanziamenti di risorse fino al 2020.
  In particolare, per i lavoratori collocati in mobilità è stata inclusa la fattispecie della mobilità in deroga; per i prosecutori volontari e per i destinatari di accordi di esodo è stata considerata l'ammissibilità della «rioccupazione» a determinate condizioni; è stata introdotta la categoria dei prosecutori volontari collocati in mobilità alla data del 4 dicembre 2011.
  Il decreto ministeriale 22 aprile 2013, pubblicato nella gazzetta ufficiale n. 123 del 28 maggio 2013, ha fissato in n. 10.130 il limite massimo numerico dei beneficiari di detta salvaguardia, nonché le relative modalità di attuazione.
  Le istruzioni relative alle modalità di presentazione delle domande all'Inps (il cui termine è fissato al 25 settembre 2013) sono contenute nel messaggio dell'Istituto n. 8824 del 30 maggio 2013.

  Le tipologie di lavoratori ed i criteri di ammissione al beneficio sono:

Categorie Criteri di ammissione alla salvaguardia
a) Lavoratori cessati dal rapporto di lavoro entro il 30 settembre 2012 e collocati in mobilità ordinaria o in deroga a seguito di accordi governativi o non governativi, stipulati entro il 31 dicembre 2011.
perfezionamento dei requisiti utili al trattamento pensionistico entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità ordinaria o in deroga, e in ogni caso entro il 31 dicembre 2014.
b) Lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011 con almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile alla data del 6 dicembre 2011 ancorché abbiano svolto, successivamente al 4 dicembre 2011, qualsiasi attività, non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato dopo l'autorizzazione alla prosecuzione volontaria. conseguimento successivamente alla data del 4 dicembre 2011 di un reddito annuo lordo complessivo riferito a tali attività non superiore a euro 7.500;
perfezionamento dei requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011 (6 gennaio 2015)
c) Lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 30 giugno 2012, in ragione di accordi individuali ovvero di accordi collettivi di incentivo all'ESODO stipulati entro il 31 dicembre 2011, ancorché abbiano svolto, dopo la cessazione, qualsiasi attività non riconducibile a rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato. conseguimento successivamente alla data del 30 giugno 2012 di un reddito annuo lordo complessivo riferito a tali attività non superiore a euro 7.500;
perfezionamento dei requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011 (06 gennaio 2015).
d) Lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011 e collocati in mobilità ordinaria alla predetta data, i quali, in quanto fruitori della relativa indennità, devono attendere il termine della fruizione della stessa per poter effettuare il versamento volontario. perfezionamento dei requisiti utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico entro il trentaseiesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011 (6 gennaio 2015).

Il numero complessivo dei salvaguardati si attesta, attualmente, su 130.000 unità.
  Nella stessa «Legge di Stabilità», con l'intento di garantire il finanziamento di ulteriori misure in favore delle categorie di lavoratori da salvaguardare, è stato istituito un apposito fondo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le cui modalità di utilizzo saranno stabilite con decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i ministri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze.
  Nel fondo in questione, la cui dotazione, per l'anno 2013, ammonta a 36 milioni di euro, confluiranno anche le eventuali economie accertate a consuntivo e aventi carattere pluriennale rispetto agli oneri programmati a legislazione vigente per l'attuazione dei decreti interministeriali del 1° giugno 2012, 8 ottobre 2012 e 22 aprile 2013.
  In tal modo verrà assicurata una ri-destinazione stabile nel tempo delle risorse finanziarie appostate ai fini della risoluzione del problema, con integrale ri-utilizzo degli eventuali risparmi per le medesime finalità.
  Nel contempo, si precisa che sono state avviate le attività di liquidazione delle prime pensioni di salvaguardia. Alla data del 29 maggio 2013 risultano liquidate 9.994 pensioni di soggetti ricompresi nelle categorie di lavoratori di cui al decreto interministeriale del 1° giugno 2012.
  Da ultimo, per completezza di informazione, si segnala che il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze del 22 aprile 2013, con il quale si definisce il terzo contingente di lavoratori «salvaguardati», ai quali, cioè, verrà applicata la normativa in materia di requisiti e decorrenze del trattamento pensionistico vigente prima della data di entrata in vigore del cosiddetto decreto «salva Italia», è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 123 del 28 maggio 2013.
  Il decreto prevede, in particolare, la salvaguardia per un numero complessivo di 10.130 lavoratori, che si aggiungono alle platee di lavoratori già individuati dai due precedenti decreti del 1° giugno 2012 e dell'8 ottobre 2012.
  Il contingente numerico contemplato nel provvedimento comprende, nello specifico: 2.560 lavoratori in mobilità ordinaria o in deroga; 1.590 autorizzati prosecuzione volontaria del versamento dei contributi previdenziali; 5.130 cessati, che hanno cioè risolto il rapporto di lavoro in ragione di accordi individuali o collettivi di incentivo all'esodo; 850 prosecutori volontari in attesa di concludere la mobilità.
  Il decreto prevede inoltre, per tutte le categorie di lavoratori, la presentazione di una apposita istanza per accedere al beneficio da presentarsi: all'Inps nel caso di lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria e alle direzioni territoriali del lavoro (Dtl) competenti per territorio nel caso di lavoratori «cessati» e in mobilità.
  Per tutti il termine di presentazione è di 120 giorni dalla data di pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale.
  Infine (e con notazione di non minore importanza) segnalo che di recente il Governo ha introdotto una ulteriore, importante misura di salvaguardia per un cospicuo numero di lavoratori: mi riferisco alla previsione di cui all'articolo 11 del decreto-legge 102 del 2013, il quale ha esteso la salvaguardia pensionistica in favore di ulteriori 6.500 lavoratori colpiti da atti di licenziamento prima di aver potuto conseguire i nuovi requisiti pensionistici. Si tratta di un'ulteriore dimostrazione del costante impegno del Governo a rinvenire soluzioni stabili e complete a fronte della grave problematica segnalata dall'Onorevole Interrogante.
  In definitiva, si conferma che la questione segnalata dall'Interrogante riveste assoluta centralità per l'esecutivo in quanto coinvolge interessi e valori vitali per l'individuo ed evidenzia una situazione di forte disagio e allarme sociale.
  La necessità di una soluzione di tipo strutturale al problema dei lavoratori cosiddetti salvaguardati o ancora da salvaguardare, d'altronde, è stata indicata come prioritaria dal gruppo di lavoro nominato dal Capo dello Stato e, in seguito, dal Presidente del Consiglio nel suo discorso per la fiducia al Parlamento.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   BURTONE. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, ha stabilito l'obbligo, per ogni amministrazione, di dotarsi di un organismo indipendente di valutazione della performance (OIV) da nominare sentita la commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT), istituita a norma dell'articolo 13 del medesimo decreto legislativo;
   il comma 11 dell'articolo 14 sopra menzionato stabilisce che agli oneri derivanti dalla costituzione e dal funzionamento dell'OIV debba provvedersi «nei limiti delle risorse attualmente destinate ai servizi di controllo interno»;
   la lettera g) del comma 5 dell'articolo 13 del decreto legislativo citato affida alla CIVIT il compito di definire i requisiti per la nomina dell'OIV;
   il comma 3 dell'articolo 14 del decreto legislativo citato stabilisce che l'OIV è nominato «sentita» la CIVIT;
   la delibera CIVIT n. 12 del 2013, al punto 14, pretende, come condizione per l'espressione del parere, una ragguardevole mole di adempimenti procedurali burocratici a carico delle amministrazioni che ad avviso dell'interrogante – con il pretesto della trasparenza – appesantiscono e rallentano notevolmente l’iter della nomina:
    a)  trasmissione degli atti del procedimento di selezione comprensivo dei curricula di tutti i candidati;
    b) relazione motivata sulle ragioni della scelta con riferimento ai requisiti posti dalla CIVIT, nonché sugli esiti della procedura comparativa espletata;
    c)  previsione di un termine di trenta giorni per la formulazione del parere da parte della CIVIT, salva la facoltà discrezionale e inoppugnabile di sospendere indefinitamente tale termine per esigenze istruttorie;
    d) obbligo della pubblicazione sul sito dell'amministrazione di tutti gli atti sopra citati;
   una siffatta serie di adempimenti meramente formali e burocratici, mentre rende oneroso il percorso della nomina e discutibile il vantaggio in termini di controllo, interpone inutili ostacoli in termini di speditezza amministrativa;
   i compiti dell'OIV, definiti dai commi 4 e 5 dell'articolo 14 del decreto legislativo citato, sono di alta complessità tecnica e presuppongono elevate competenza e professionalità, notevolmente più impegnative di quelle occorrenti ai nuclei di valutazione per il controllo interno;
   la CIVIT, con delibera n. 4 del 2010 in data 16 febbraio 2010, ha definito criteri e requisiti per la nomina dell'OIV, senza dettare alcun indirizzo in merito al compenso da corrispondere per l'esercizio della relativa funzione;
   la medesima CIVIT, con successiva delibera n. 12 del 2013 in data 27 febbraio 2013, ha definito nuovi criteri per la nomina dell'OIV, stabilendo altresì che gli importi da corrispondere per l'esercizio della funzione debbano essere «adeguati alla complessità organizzativa delle amministrazioni»;
   mancano indirizzi, requisiti e criteri per individuare la complessità organizzativa delle amministrazioni, in rapporto alla definita notevole complessità tecnica della funzione dell'OIV –:
   se non intenda promuovere iniziative normative per semplificare e snellire l’iter della nomina dell'Organismo indipendente di valutazione, eliminando gli adempimenti preventivi alla nomina stessa e concedendo poteri di controllo e di intervento in fase successiva;
   se non intenda promuovere le iniziative di competenza, anche normative volte a precisare indirizzi, requisiti e criteri per individuare e definire la soglia adeguata dei compensi da corrispondere ai componenti dell'Organismo indipendente di valutazione – distinguendo in particolare i casi di organo collegiale o monocratico – in modo da consentire una adeguata partecipazione dei candidati, sotto il profilo sia quantitativo che qualitativo, alle procedure di selezione dei medesimi. (4-02231)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con il quale sono stati chiesti chiarimenti in merito alla costituzione e al funzionamento, all'interno delle pubbliche amministrazioni, degli organismi di valutazione indipendenti della performance, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 ha stabilito l'obbligo, per ogni amministrazione pubblica, di dotarsi di un organismo indipendente di valutazione sostitutivo dei servizi di controllo interno previsti dal decreto legislativo n. 286 del 1999.
  Tale organismo è nominato dall'organo di indirizzo politico-amministrativo, sentita la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (trasformata in Autorità nazionale anticorruzione – Anac dall'articolo 5 del decreto-legge n. 101 del 2013) che, ai sensi dell'articolo 13, comma 5, lettera g), definisce, altresì, i requisiti per la nomina dei componenti dell'organismo stesso.
  Con delibera n. 12 del 2013, l'autorità ha, pertanto, individuato una serie di requisiti necessari ai fini della candidabilità a componente dell'organismo: alcuni di carattere generale, altri attinenti all'area della conoscenza ed altri ancora legati alla professionalità e all'esperienza maturata.
  Tra i primi, sono espressamente richieste la cittadinanza (italiana o dell'Unione europea) e un'anzianità idonea ad assicurare all'organismo in questione comprovata esperienza e capacità di innovazione; vengono inoltre individuati divieti, ipotesi di conflitto di interessi e cause ostative alla nomina.
  Quanto ai requisiti dell'area della conoscenza, sono indicati specifici titoli di studio e favorevolmente valutate eventuali esperienze all'estero. È inoltre richiesta un'esperienza almeno triennale in posizioni di responsabilità, anche presso aziende private, nel campo del management, della pianificazione e del controllo di gestione, dell'organizzazione e della gestione del personale, della misurazione e valutazione della performance e dei risultati, ovvero nel campo giuridico-amministrativo.
  Quanto infine alle capacità attitudinali, è necessario che il candidato possieda adeguate competenze e capacità manageriali e relazionali, finalizzate alla promozione e al miglioramento continuo della performance e della qualità del servizio, nonché della trasparenza e della integrità.
  Da ultimo, vengono fissati gli adempimenti procedurali a carico delle amministrazioni con riferimento alla fase di comunicazione dei nominativi dei candidati; entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta la Commissione esprime il proprio parere, salvo sospensione del termine in caso di carenze della richiesta e della relativa documentazione, da sanare mediante specifica istruttoria.
  Quanto, infine, alla richiesta di individuare e definire una soglia adeguata per i compensi da corrispondere ai componenti dell'organismo, si fa presente che l'articolo 14, comma 11, del decreto legislativo n. 150 del 2009 ha opportunamente stabilito che «agli oneri derivanti dalla costituzione e dal funzionamento degli organismi di cui al presente articolo si provvede nei limiti delle risorse attualmente destinate ai servizi di controllo interno.
  Al riguardo, nella citata delibera n. 12, si stabilisce espressamente che «la determinazione del compenso è rimessa all'autonoma decisione dell'amministrazione, nel rispetto del principio, desumibile dai principi fondamentali sottesi al decreto legislativo n. 150 del 2009, secondo cui devono essere stabiliti importi adeguati alle dimensioni e alla complessità organizzativa dell'amministrazione stessa, salvaguardando, nel contempo, il profilo della economicità della gestione e del costo opportunità delle risorse, che assume particolare rilievo negli enti di piccole dimensioni».
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   CANCELLERI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dalla pubblicazione della legge di stabilità sono trascorsi quasi sette mesi e dalla pubblicazione del terzo decreto di salvaguardia («10.130 esodati», datato 22 aprile 2013 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 28 maggio 2013) sono passati oltre 40 giorni, ma della circolare operativa dell'INPS, preannunciata nel messaggio INPS n. 8824 del 30 maggio 2013, relativa all'articolo 2 punto 1 lettera b) (contributori volontari), non vi è ancora nessuna traccia;
   il «Comitato Autorizzati alla Contribuzione Volontaria», ha appreso da notizie certe provenienti dall'INPS che, nel corso della riunione congiunta INPS-Ministero, tenutasi venerdì 28 giugno presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è stata discussa la bozza di circolare operativa, e che, prima di emettere la predetta circolare, l'ufficio normativo INPS attende le conclusive determinazioni in merito da parte del Ministro Professor Giovannini per il tramite dell'ufficio legislativo del Ministero diretto dal dottor Contessa;
   purtroppo, dobbiamo registrare in questi giorni la pubblicazione da parte dell'INPS di messaggi e circolari su questioni di minore importanza (elenco delle strutture per cure termali, eccetera), ma per la disposizione normativa citata, fondamentale per la vita di migliaia di persone e famiglie, continua a permanere un assordante e preoccupante silenzio;
   questo inspiegabile silenzio dell'ufficio legislativo ministeriale diretto dal dottor Contessa, fa temere che si possa consumare un ulteriore danno nei confronti della categoria più debole degli esodati: i contributori volontari, già più volte fortemente e arbitrariamente penalizzati con i precedenti decreti attuativi dell'articolo 24, comma 14, e 15 della legge n. 214 del 2011;
   il danno è stato perpetrato, in particolare, nei confronti dei contributori volontari che non avevano stipulato alcun accordo all'esodo, ma che bensì hanno visto interrompersi bruscamente l'attività lavorativa, già diversi anni fa, ben prima della Legge Fornero, per fine di contratti a termine, per fallimenti aziendali, professioni stagionali;
   si tratta di ex lavoratori che, in gran parte, dopo l'autorizzazione alla contribuzione volontaria hanno avuto la ventura di accettare lavori a termine per mandare avanti la famiglia, pur nel pieno rispetto delle leggi vigenti sulla contribuzione volontaria che, come Voi ben sapete, non vieta la ripresa lavorativa dopo l'autorizzazione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che dopo 7 mesi si debbano avere risposte certe da Ministero e INPS su che fine ha fatto la circolare operativa Inps riguardante il terzo decreto di salvaguardia pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 28 maggio 2013 relativa all'articolo 2, punto 1, lettera b) o che venga emessa con una circolare al più presto e che soprattutto, sia rispondente alla corretta interpretazione della legge di stabilità contenuta nel parere delle Commissioni speciali parlamentari. (4-01649)

  Risposta. — L'interrogazione in esame, presentata in data 8 agosto 2013, concerne la presunta inerzia del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in ordine al rilascio del nulla-osta necessario alla pubblicazione, da parte dell'Inps, della «circolare operativa» (si tratta, in realtà, di un «messaggio operativo») con la quale vengono impartite alle direzioni centrali le istruzioni necessarie a rendere operative le disposizioni di salvaguardia previste dall'articolo 1, commi 231 e seguenti della legge n. 228 del 2012) (legge di stabilità 2013).
  L'interrogante riferisce di aver appreso «da notizie certe provenienti dall'Inps» che la mancata emanazione delle istruzioni operative da parte dell'Istituto sarebbe dipesa dalla mancata adozione delle «conclusive determinazioni» da parte degli uffici ministeriali.
  Si precisa, preliminarmente, che l'istituto ha fornito le indicazione operative relative alla salvaguardia di cui all'articolo 1, commi 231 e 233, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, con il messaggio n. 12577 pubblicato il 2 agosto 2013 (si tratta, appunto, del messaggio che sarebbe stato emanato con ritardo).
  Pertanto, emerge dagli atti che, alla data di presentazione dell'interrogazione in esame (8 agosto 2013), la questione segnalata era ormai risolta.
  Per completezza di informazione in ordine alla delicata questione della cosiddetta «terza salvaguardia», si ritiene di fornire alcune informazioni aggiuntive sulle complesse questioni sottese all'emanazione della circolare (rectius: messaggio operativo) in questione e sull'attività istruttoria che ne ha preceduto la pubblicazione.
  Va premesso al riguardo che la questione segnalata attiene all'interpretazione dell'articolo 1, comma 231, lettera b) della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità per il 2013) in tema di salvaguardia dall'applicazione della recente riforma pensionistica nei confronti di coloro che avessero ripreso l'attività lavorativa prima del 4 dicembre 2011.
  Va altresì premesso che la disposizione appena richiamata richiedeva l'emanazione di un decreto attuativo, da adottarsi previa acquisizione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari.
  Ebbene, nella prima stesura del testo del decreto (sottoposto all'esame delle Commissioni parlamentari), esso aderiva a una lettura restrittiva del comma 31, lettera b), con la conseguenza di assoggettare a requisiti più stringenti la possibilità di accesso al pensionamento con requisiti «ante riforma» per i prosecutori volontari che avessero ripreso l'attività lavorativa prima del 4 dicembre 2011.
  Le Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica avevano, quindi, chiesto con forza che il testo del decreto venisse modificato e che venisse ripristinata una formulazione più aderente alla legge di stabilità 2013 (ossia, una formulazione più favorevole alla richiamata platea di lavoratori).
  Il Governo si è, quindi, uniformato alle richieste del Parlamento, emanando il decreto 22 aprile 2013, il quale risulta sotto questo aspetto pienamente rispettoso della legge e complessivamente tutelante per questa platea di prosecutori volontari.
  Ebbene, nella prima bozza di messaggio inviata all'ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali il 7 giugno 2013, l'INPS aveva impostato la questione continuando a propendere per l'interpretazione – per così dire – restrittiva (ossia, quella censurata dalle Commissioni parlamentari e che il Governo aveva superato in sede di stesura finale del decreto).
  Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, pertanto, ha rappresentato all'Istituto la necessità di ripristinare una interpretazione del tutto conforme alla lettera della legge nonché aderente ai pareri espressi dalle Commissioni parlamentari.
  Quindi, l'ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell'esprimere il proprio nulla-osta alla pubblicazione del messaggio, ha fornito puntuali indicazioni in ordine alle modifiche da apportare alla bozza medesima. In tale occasione si è espressamente data indicazione all'istituto affinché venisse riformulato il testo del messaggio nel senso di chiarire che possono accedere al beneficio della salvaguardia i soggetti autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione entro il 4 dicembre 2011, con almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011.
  È stato proprio grazie all'approfondito lavoro istruttorio condotto dagli uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che è stato possibile assicurare ai prosecutori volontari quelle ampie tutele che essi non avrebbero avuto se il messaggio fosse stato pubblicato nella versione originaria predisposta dall'INPS.
  Da ultimo, a conferma del massimo interesse del Governo sulla vicenda, si segnala che nella legge di stabilità per il 2014 è stata introdotta una disposizione volta a prevedere con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2014 l'incremento del contingente numerico dei lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione di cui all'articolo 1, comma 231, lettera b), della legge n. 228 del 2012 come indicato nell'articolo 9 del decreto interministeriale del 22 aprile 2013. Il predetto incremento del contingente numerico, pari a 6.000 unità, consente di dare attuazione all'interpretazione estensiva della disposizione esplicitata in sede di approvazione del decreto attuativo, con particolare riferimento ai soggetti che hanno ripreso l'attività lavorativa anche prima del 4 dicembre 2011.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   CAPARINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 30 aprile 2013 l'Inps, con una comunicazione interna, ha sospeso le visite fiscali di controllo d'ufficio per le assenze per malattia dei lavoratori del settore privato;
   tale decisione viene giustificata con la necessità di raggiungere l'obiettivo di 500 milioni di euro di risparmio nel bilancio 2013 sulla base di quanto previsto dalla legge di stabilità;
   il provvedimento, che dovrebbe tagliare la spesa di circa 50 milioni di euro l'anno per queste prestazioni, non tiene conto delle conseguenze che determineranno per l'Inps un incremento delle spese (indennizzo di malattia, azzeramento delle sanzioni per assenze non giustificate e mancata chiusura delle prognosi) di gran lunga superiore al risparmio ottenibile dalla sospensione del servizio;
   questo errore, ad avviso dell'interrogante grossolano, deriva dalla mancata valutazione (o dalla ancor più grave mancata conoscenza) delle modalità di svolgimento dell'attività della medicina fiscale (come si evidenzia purtroppo dall'inadeguatezza della strutturazione della nuova procedura telematica), ma soprattutto dalla mancata valutazione delle finalità del servizio stesso;
   come tutti sanno (o dovrebbero sapere), gli obiettivi delle visite fiscali di controllo sono essenzialmente tre: azione deterrente sull'assenteismo; sanzioni per assenze non giustificate e conseguente riduzione dell'indennizzo di malattia erogato dall'Inps; riduzione dei giorni di prognosi e/o chiusura a termine della malattia con impossibilità di continuazione della malattia da parte del lavoratore;
   è facilmente intuibile che la sospensione dei controlli determinerà un aumento spropositato dell'assenteismo con conseguente incremento del costo per l'indennità di malattia per le casse pubbliche ben superiore al costo del servizio. Secondo il coordinatore nazionale della FIMMG Inps, dottor Alfredo Petrone, ogni aumento dell'assenteismo tra 0,1 per cento e lo 0,2 per cento produrrà un costo di 100 milioni di euro in più;
   la sospensione delle visite fiscali comporterà l'azzeramento delle sanzioni per assenza non giustificata e la portata del danno economico per l'Inps è facilmente deducibile dai dati della sede Inps di Brescia;
   infatti, nella sede di Brescia nell'anno 2012 sono state effettuate 13.850 visite fiscali che hanno determinato un totale di 2.240 sanzioni (assenza, indirizzo errato e non reperibilità) con una media mensile di 1.154 visite ed una media mensile di 187 sanzioni. Nei primi quattro mesi del 2013, a causa della riduzione delle visite richiesta dall'Inps di Roma, sono state effettuate
3.600 visite fiscali che hanno determinato un totale di 470 sanzioni con una media mensile di 900 visite ed una media mensile di 117 sanzioni. Da questi dati si evince chiaramente che maggiore è il numero di visite effettuate e maggiore è il risparmio dell'Inps e che una semplice diminuzione delle visite (-254 al mese) ha determinato la diminuzione delle sanzioni (-70 al mese);
   riveste una finalità altrettanto importante (forse la più importante ed efficace) sia la chiusura anticipata della prognosi che la chiusura a termine della prognosi, che impediscono al lavoratore di continuare la malattia (qualora il lavoratore si recasse dal medico curante, quest'ultimo ignaro del giudizio di idoneità emesso dal medico fiscale) con conseguente blocco automatico dell'indennizzo di malattia;
   il controllo fiscale ed il giudizio di idoneità (nella sede di Brescia la percentuale di idoneità al lavoro si è attestata nell'ultimo periodo tra il 25 per cento ed il 45 per cento per quasi tutti i medici) sono il meccanismo più efficace non solo per contrastare l'abuso di assenteismo ma soprattutto per stroncare quel sistema poco visibile di sottrazione ai danni dell'istituto che si perpetua quotidianamente;
   sempre, più frequentemente nello svolgimento delle visite fiscali, i medici di controllo si trovano di fronte a prognosi di 2-4-6 mesi, o per patologie croniche (l'indennizzo di malattia è previsto per le fasi acute di malattia con limitazioni funzionali), o per pazienti in attesa di interventi chirurgici (ad esempio: una lesione del corno posteriore del menisco mediale del ginocchio non compromette le normali funzioni di vita quotidiana come non costituisce una limitazione per la maggior parte delle mansioni lavorative), o per pazienti asintomatici (in sostanziale stato di benessere psico-fisico) con diagnosi generiche come lombalgia o sindrome depressiva che in realtà sono in attesa della vicina pensione o sono in attesa di un cambio di lavoro magari perché non più idonei alla mansione lavorativa (e nel frattempo svolgono attività in nero), o peggio ancora, nell'edilizia, per lavoratori che si mettono in malattia per svolgere lavori a turno a casa propria o dei parenti;
   un'altra situazione paradossale, emersa in questo periodo di crisi, è l'indicazione sempre più insistente che soprattutto le aziende o gli artigiani, che non possono usufruire della cassa integrazione, danno ai propri dipendenti di mettersi in malattia al fine di ridurre il personale ovviamente a spese dell'Inps. La percentuale delle visite richieste dai datori di lavoro è inferiore al 25 per cento e soprattutto le aziende che traggono un vantaggio dalla malattia dei propri dipendenti non chiederanno mai una visita di controllo che determinerebbe la fine della malattia ed il rientro al lavoro del dipendente;
   dopo aver evidenziato le finalità e l'efficacia dell'attività della medicina fiscale non si può evitare di sottolineare che questo provvedimento porterà di fatto al licenziamento di più di mille medici che collaborano da decenni con l'Inps;
   non si può altresì evitare di rimarcare la mancanza di riconoscenza da un punto di vista morale e professionale da parte della dirigenza dell'Inps di Roma che forse dimentica che, all'atto della firma dell'accettazione dell'incarico, è stato imposto ai medici fiscali un rapporto di collaborazione esclusiva con l'istituto, dettata dalle incompatibilità previste praticamente per qualsiasi altra attività medica –:
   se non ritenga opportuno intervenire presso l'Inps affinché trovi strade alternative, per raggiungere l'obiettivo di 500 milioni di euro di risparmio, in quanto, come esposto in premessa, con la sospensione delle visite fiscali si rischia un aumento delle spese, quindi un fittizio risparmio, in controtendenza con le politiche di contenimento della spesa pubblica, rinunciando, altresì, all'apporto di professionisti. (4-00376)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente alla sospensione, disposta dall'Inps, delle visite fiscali d'ufficio per le assenze per malattia dei lavoratori del settore privato e le conseguenze di tale scelta sull'attività lavorativa dei medici che finora hanno svolto la funzione di accertamento per conto dell'istituto, sulla base delle informazioni dallo stesso fornite, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente è opportuno ricordare che le recenti disposizioni normative concernenti la riduzione della spesa pubblica hanno comportato per l'Inps la necessità di conseguire, a partire dal 2013, risparmi aggiuntivi. Da ultimo, l'articolo 1, comma 108, della legge n. 228 del 2012, ha imposto all'Inps tagli alle proprie spese di funzionamento tali da conseguire risparmi non inferiori a 300 milioni di euro annui.
  L'istituto ha, pertanto, determinato le risorse finanziarie destinate alle visite mediche di controllo d'ufficio passando da un budget preventivo per il 2013 pari a circa 50 milioni di euro ad un budget aggiornato di 22.300.000 euro. Sul piano gestionale, inoltre, è stato necessario procedere all'adeguamento delle procedure informatiche per consentire la distribuzione delle visite nei limiti del budget disponibile che alla data del 29 maggio 2013 risultava essere di 4.190.624,39 euro.
  Dal 1° gennaio di quest'anno, infatti, erano già state assegnate d'ufficio visite mediche di controllo per una spesa pari a 18.109.375,61 euro.
  In conseguenza della esiguità di risorse finanziarie disponibili, l'istituto ha inizialmente sospeso, per un brevissimo periodo, la procedura per il conferimento ai medici cosiddetti «di lista» degli incarichi per le visite d'ufficio lasciando invariata, invece, la procedura per le visite su richiesta dei datori di lavoro.
  Successivamente, con messaggio n. 9939 del 19 giugno 2013, l'Inps ha ripristinato la procedura introducendo, tuttavia, una proporzionale riduzione delle visite d'ufficio.
  In conseguenza di tale riduzione, i medici iscritti nelle liste dell'istituto hanno registrato una consistente diminuzione del numero di visite loro assegnate. Si è passati, infatti, da circa 78.700 visite mediche d'ufficio effettuate mensilmente nel 2012 a circa 10.000 visite mensili disposte per i mesi di luglio e agosto 2013, ulteriormente ridotte a 5.000 visite per il mese di settembre.
  L'istituto ha inoltre comunicato che i nuovi criteri di assegnazione delle visite mediche hanno formato oggetto di confronto con le organizzazioni sindacali dei medici di lista (Cisl Medici, Uil-Fpl Medici, Fimmgi, Sinmedico, Nidil Cgil) in occasione di un tavolo tecnico nazionale.
  L'Inps ha evidenziato, inoltre, che la programmazione della spesa per le visite fiscali in argomento presenta un particolare elemento di complessità a causa della natura variabile di una parte del compenso corrisposto ai medici che, com’è noto, dipende anche dai rimborsi chilometrici.
  A tal proposito, l'istituto ha reso noto che, al 30 settembre 2013, la disponibilità di somme sul relativo capitolo di spesa risultava sufficiente a consentire il pagamento del solo compenso forfettario e dei rimborsi per formazione di cui all'articolo 3, comma 5, del decreto ministeriale 8 maggio 2008. Pertanto, con messaggio n. 15644 del 1° ottobre 2013, l'istituto ha sospeso le visite fiscali in parola dandone tempestiva comunicazione alle citate organizzazioni sindacali di categoria.
  L'Inps ha fatto sapere, inoltre, che le visite di controllo disposte dai datori di lavoro non hanno subito alcuna modifica e che tale tipologia di visite concorre, comunque, a determinare i carichi di lavoro dei singoli medici, alimentandone il reddito con una media mensile di circa 25.667 visite.
  L'istituto ha altresì rappresentato che la decisione di contingentare le visite mediche disposte d'ufficio, assunta il 19 giugno 2013 con il messaggio predetto, è stata, in alcuni casi, oggetto di contenzioso giudiziario. In particolare, il tribunale di Brescia e quello di Messina hanno adottato ordinanze favorevoli alle ragioni dell'istituto, statuendo tra l'altro che: «non esiste alcun obbligo in capo all'Ente previdenziale di garantire ai medici un numero minimo di visite giornaliere e/o settimanali e, dunque, un minimo reddito o compenso mensile».
  In ogni caso si rappresenta che, al fine di trovare una possibile soluzione alla riduzione dei carichi di lavoro per i suddetti professionisti, l'Inps sta valutando, congiuntamente al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, l'adozione di una disposizione tendente alla costituzione di un polo unico per l'effettuazione delle visite di accertamento medico legale nei confronti di tutti i lavoratori pubblici e privati.
  Tale polo, da istituire presso l'Inps, dovrebbe portare al superamento degli attuali problemi di budget.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   CAPELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel 1984 i vertici dell'Arma dei carabinieri, a seguito di una attenta valutazione del territorio e delle esigenze socio economiche che ne sarebbero derivate, hanno deciso di trasferire il comando della tenenza di Nulvi a Valledoria in provincia di Sassari;
   per le esigenze di cui sopra, nel successivo 1985 il comando venne elevato a rango di compagnia e, da allora, ha alle sue dipendenze sette stazioni operando come unico presidio di polizia in un'area geografica che comprende ben 12 comuni, 27 frazioni ed una superficie complessiva di 80 chilometri;
   la locazione del comando venne scelta in modo strategico, al fine di un miglior coordinamento delle attività di prevenzione e di sicurezza, in quanto la città di Villadoria è equidistante dai paesi dell'entroterra (Chiaramonti, Martis e Nulvi) e facilmente raggiungibile dalle località costiere che vanno da Punta Tramontana fino a Vignola;
   la notizia, che risale al mese di luglio 2013 del declassamento a tenenza della compagnia dei carabinieri di Valledoria, per motivi di razionalizzazione delle spese e ripartizione delle competenze territoriali è stata ufficializzata dal comandante provinciale dei carabinieri;
   l'annunciato declassamento da compagnia a tenenza comporterebbe la riduzione del numero effettivo dei militari in servizio che passerebbe da 45 a 22 unità;
   questa drastica riduzione del contingente esporrebbe questo territorio, a forte impatto turistico, al rischio concreto di peggioramento delle condizioni di sicurezza, dal momento che non esiste alcun presidio di polizia, né della Guardia di finanza né della polizia di Stato;
   il territorio su cui insiste il comando di Villadoria comprende tutta l'estensione di costa del Golfo dell'Asinara la quale, essendo sottoposta a vincoli paesaggistici necessita di una continua sorveglianza in quanto mira di interessi urbanistici e tentativi di abusiva espansione edilizia; sempre nella stessa area insistono due porti turistici quello di Castelsardo e Isola Rossa; inoltre la zona è costellata di case, ville di lusso e stabilimenti che necessitano di continua sorveglianza. Di conseguenza, i presidi costanti effettuati dal comando dei carabinieri verrebbero inevitabilmente a contrarsi con grave pregiudizio della sicurezza per l'intera area;
   a fronte poi della nuova apertura delle due nuove strutture carcerarie di Bancali e Nulcis, cui sono destinati carcerati in regime di 41-bis, il pericolo di infiltrazioni mafiose, in un territorio che sino ad ora è ne è rimasto immune, cresce notevolmente; di conseguenza un presidio costante ed un monitoraggio da parte delle forze dell'ordine diventa di primaria importanza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle notizie riportate in premessa e se non ritenga opportuno assumere tutte le iniziative necessarie per evitare il declassamento della compagnia dei carabinieri di Valledoria a tenenza, alla luce delle esigenze di sicurezza di questo vasto territorio e della necessità di valutare tali esigenze non guardando solo alla popolazione stabilmente residente ma anche alla rilevanza locale dei fenomeni turistici, che pongono delicati e specifici problemi di tutela della legalità e di prevenzione e repressione dei reati. (4-01829)

  Risposta. — L'Arma dei Carabinieri, pur in un momento storico contraddistinto da particolari difficoltà congiunturali, continua a perseguire l'obiettivo di garantire sicurezza ed efficienza, investendo, prioritariamente, sulla riconfigurazione del dispositivo, con particolare attenzione alle strutture logistiche, amministrative e di comando.
  Per il perseguimento di tale obiettivo, l'Arma:
   potenzia i reparti preposti alle investigazioni e valorizza le capacità operative dell'organizzazione territoriale, con specifico riferimento alle stazioni e alle tenenze Carabinieri, che restano tra le più concrete e immediate espressioni di vicinanza ai cittadini;
   sottopone a sistematici adeguamenti la distribuzione dei presidi sul territorio, attraverso un'analisi che tiene conto di parametri riferiti alla popolazione, alla delittuosità, agli aspetti di carattere infrastrutturale/logistico e alla mobilità, in piena sintonia con le altre Forze di polizia e d'intesa con gli orientamenti dei prefetti.
  In quest'ottica, osservo che, sebbene venga soppressa la compagnia Carabinieri di Valledoria, con il passaggio a Tenenza e la diversa collocazione delle restanti stazioni, si continuerà a:
   garantire, nel territorio di competenza, la presenza e l'operatività dell'Arma dei Carabinieri con un assetto in grado di esprimere un'attività di vigilanza continuativa nell'arco delle 24 ore, accompagnata da una qualificata azione investigativa;
   assicurare un rapporto Carabinieri/abitanti pari a 1/406, di gran lunga più favorevole rispetto al dato provinciale (1/501) e nazionale (1/798);
   consentire una distribuzione bilanciata e omogenea sia delle stazioni Carabinieri operanti nell'area che dei rispettivi carichi operativi, tra le confinanti compagnie di Porto Torres, Sassari e Tempio Pausania;
   conferire all'intero dispositivo una ripartizione equilibrata del territorio e della popolazione residente, tenendo soprattutto conto delle condizioni dell'ordine e della sicurezza pubblica locali.
Il Ministro della difesaMario Mauro.


   CIVATI e CAUSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la necessità crescente di contenere i costi e valutare se vi siano sprechi o inefficienze della pubblica amministrazione — e di quale entità — impone di approfondire la conoscenza della struttura più profonda della spesa pubblica italiana;
   tale premessa è tanto più importante in un Paese, come l'Italia, in cui il debito pubblico è elevatissimo e dunque i margini di manovra per modulare lo stato sociale risultano stretti, poiché è sempre più necessario che gli interventi siano mirati ed efficienti nonché che l'azione dell'apparato statale sia efficace nel suo complesso;
   a questa ineludibile necessità si affianca il bisogno di possedere dati disaggregati relativi alle spese del comparto pubblico ovvero dati conoscibili e rielaborati in maniera organica, in modo da consentire ai cittadini e al Parlamento di apprezzare la reale entità delle spese;
   sotto quest'ultimo profilo infatti, è necessario potenziare la funzione di controllo del Parlamento stesso rendendolo in grado di richiedere e ottenere dei dati che gli consentano, in generale, di valutare l'azione del Governo e l'implementazione delle politiche pubbliche, nonché, in specifico nel nostro caso, l'impiego delle risorse nei diversi comparti della pubblica amministrazione –:
   al fine di approfondire la struttura profonda della spesa a carico della pubblica amministrazione italiana, se intenda rendere noti i dati relativi all'ammontare e alle distribuzioni delle frequenze percentuali — prodotti a livello dei singoli comparti individuati sotto, organizzati per adeguati intervalli riferiti ai livelli assoluti e, se possibile, ai singoli percentili — delle retribuzioni o emolumenti a carico delle pubbliche finanze di tutte le persone fisiche che li ricevano in ragione di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo con i seguenti comparti della pubblica amministrazione individuati nella conto annuale della ragioneria generale dello Stato: Ministeri; Agenzie fiscali; Presidenza del Consiglio dei ministri; Corte costituzionale, Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro; vigili del fuoco; scuola; Istituzioni di alta formazione artistica e musicale (AFAM); Corpi di polizia; Forze armate; magistratura; diplomatici; carriera prefettizia; carriera penitenziaria; servizio sanitario nazionale; enti pubblici non economici; enti di ricerca; regioni, nel rispetto della loro autonomia organizzativa; enti locali; regioni a statuto speciale e province autonome, nel rispetto della, loro autonomia organizzativa; università; autorità indipendenti; enti ex articolo 70 decreto legislativo n. 165 del 2001; enti ex articolo 60, terzo comma, decreto legislativo n. 165 del 2001. (4-01987)

  Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione in esame con cui l'interrogante chiede di rendere noti i dati raccolti, attraverso il conto annuale della ragioneria generale dello Stato, relativi all'ammontare e alle distribuzioni delle frequenze percentuali delle retribuzioni delle persone fisiche – che ricevono emolumenti in ragione di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo nei comparti della pubblica amministrazione – organizzate per adeguati intervalli riferiti ai livelli assoluti e, se possibile, ai singoli percentili.
  Al riguardo sulla base degli elementi forniti dal dipartimento della ragioneria dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze, amministrazione a cui è attribuita la competenza primaria sulla materia, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si osserva che con la rilevazione del conto annuale vengono raccolti per ogni amministrazione pubblica dati riferiti alla qualifica e non al livello di singolo dipendente.
  Tali dati sono poi elaborati e pubblicati sul sito www.contoannuale.tesoro.it dove nella sezione «Spese» vengono presentati i valori assoluti medi annui delle retribuzioni lorde per dipendente. La pubblicazione riguarda tutti i comparti citati nel conto annuale, ad eccezione della Corte costituzionale che non fa parte dell'universo di rilevazione; per ciascun comparto è possibile altresì consultare i dati relativi a livelli progressivamente più analitici fino a giungere alle retribuzioni medie delle diverse categorie di personale presenti in ciascuna amministrazione.
  In molti casi, trattandosi di valori medi riferiti ad una singola amministrazione o ad un numero molto ristretto di amministrazioni (ad esempio carriere prefettizia e penitenziaria, diplomatici, magistrati, vigili del fuoco, corpi di polizia e forze armate, scuola, alta formazione artistica e musicale, agenzie fiscali, presidenza del consiglio dei ministri) i dati rilevati non sono collegabili a singoli dipendenti, né è possibile calcolare percentili e distribuzioni di frequenza.
  Diversamente per i comparti costituiti da un numero apprezzabile di enti, le retribuzioni medie assolute dei singoli enti possono essere visualizzate in un unico elenco esportabile in formato elettronico, attraverso il quale è possibile, in concreto, calcolare le distribuzioni di frequenza e i percentili.
  Si segnala, infine, che il citato sito web è stato completamente rinnovato ed ora è possibile la consultazione pressoché integrale delle informazioni raccolte a partire dal 2001, relative a ciascuna amministrazione. Con iterazioni successive sono poi previste ulteriori implementazioni finalizzate a rendere fruibili anche informazioni al momento non ancora disponibili, come ad esempio quelle relative alla contrattazione integrativa; è inoltre programmata l'introduzione di indicatori specifici e dedicati alle retribuzioni, allo scopo di facilitare le operazioni di confronto dell'ammontare delle stesse fra enti diversi.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si trascina oramai da troppo tempo l’affaire «esodati», creatosi all'indomani del varo del cosiddetto decreto salva-Italia e divenuto nel frattempo una vera e propria emergenza sociale;
   i successivi interventi legislativi hanno assunto una connotazione di misure «tampone», semplici palliativi, piuttosto che risolutivi della problematica;
   a giudizio dell'interrogante, costante del Governo Monti, infatti, è stata quella di porre rimedio agli errori commessi ingarbugliando ancor di più la situazione già complessa, con l'indicazione di dati discordanti circa le cifre degli interessati dalle misure di salvaguardia;
   l'attuale Premier Letta ha inserito l'intento di risolvere la questione esodati nel discorso programmatico, tuttavia non è ancora chiaro come intenda affrontare la problematica;
   il Ministro si è limitato ad esplicitare la stesura prossima di un decreto che permetterebbe un'uscita graduale e la necessità di essere più rigorosi nelle valutazioni future;
   purtroppo, però, è ancora tutto troppo nebuloso ed alla drammatica situazione di difficoltà che gli esodati stanno vivendo si aggiunge anche quella di forte disagio per i potenziali salvaguardati;
   risulta, infatti, all'interrogante che nessuna risposta è stata ancora data a chi potenzialmente dovrebbe rientrare nella platea dei 55 mila ed ha presentato istanza a fine gennaio, inizi febbraio 2013 –:
   se l'attuale Governo sia in grado di fornire l'esatto numero degli esodati ed il relativo costo per consentire loro l'accesso alla pensione;
   se, in che termini ed entro quali tempi, il Governo intenda assumere iniziative per estendere il periodo di salvaguardia per gli esodati a dopo il 2014;
   se e come il Governo intenda accelerare le attività di Inps e direzione territoriali del lavoro ai 3 decreti attuativi della salvaguardia, al fine di ridurre al minimo i disagi dei beneficiari.
(4-00812)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la vicenda dei salvaguardati, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente si evidenzia che alla data del 10 luglio 2013 le pensioni liquidate sulla base delle disposizioni di cui all'articolo 24 del decreto-legge cosiddetto «salva Italia» e delle successive disposizioni di salvaguardia emanate fra il 2011 e il 2012 sono n. 15.210.
  Si ritiene opportuno evidenziare che gli aspetti problematici di questa vicenda sono almeno in parte riconducibili alla confusione che si è venuta a creare nell'ambito dei soggetti da salvaguardare tra esodati e lavoratori bloccati.
  Gli esodati sono lavoratori espulsi dal sistema produttivo e bisognosi di misure di salvaguardia dei requisiti/accompagnamento a pensione, qualora gli strumenti di sostegno al reddito non consentano di garantire una tutela anche minima, fino al raggiungimento del diritto alla pensione entro un tempo ragionevole (generalmente 24-48 mesi).
  I lavoratori bloccati sono lavoratori coinvolti in processi di ristrutturazioni aziendali ed in corso di espulsione, ma non ancora espulsi dal mercato del lavoro. Questi soggetti sono lavoratori a tutti gli effetti, nel senso che continuano a svolgere la propria attività di lavoro, ancorché per l'azienda rappresentino talora un peso economico.
  Le polemiche di questi mesi hanno associato talvolta in modo improprio queste due tipologie di soggetti, in tutto e per tutto diverse fra loro.
  Gli esodati sono soggetti già espulsi dal mercato del lavoro prima della riforma, che, per effetto dell'innalzamento dei requisiti per il conseguimento a pensione (anzianità o vecchiaia), non raggiungono, entro un limite ragionevole, tale diritto. Questi lavoratori necessitano di una salvaguardia in virtù del patto implicito che lo Stato ha stipulato con loro. Peraltro, cosa di non poco conto, questi lavoratori sono categorie circoscritte, censite ed identificate dall'Inps (disoccupati, cassaintegrati, lavoratori in mobilità o cessati a pochi mesi dall'età di pensionamento) e, pertanto, facilmente stimati o stimabili, se non proprio personalmente identificati.
  Al contrario, il problema dei lavoratori bloccati è, più in generale, un problema del sistema produttivo, nel senso che l'innalzamento repentino dei requisiti pensionistici, in particolare quelli di anzianità, ha limitato o eliminato lo strumento principale utilizzato per le ristrutturazioni aziendali, vale a dire la pensione (talora utilizzata quale impropria forma di ammortizzatore sociale). Questi soggetti, peraltro, sono, a tutti gli effetti, lavoratori attivi e, pertanto, di difficile se non impossibile stima qualora, come nel caso di specie, i programmi di ristrutturazione aziendale abbiano durate pluriennali (è il caso degli accordi per la mobilità che prevedono cessazioni dal lavoro negli anni futuri).
  Pertanto, in merito alla individuazione e alla quantificazione di tali soggetti, non può che farsi riferimento a quanto previsto dalle vigenti norme:
   l'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità, e il consolidamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, ha introdotto dal 1° gennaio 2012, con riferimento ai soggetti che, nei regimi misto e contributivo, maturano i requisiti a partire dalla medesima data, nuove regole in materia di trattamenti pensionistici modificando, tra l'altro, i requisiti per il diritto ai trattamenti medesimi;
   il comma 14 del richiamato articolo 24 ha stabilito che le disposizioni in materia di requisiti di accesso e di regime delle decorrenze vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto 201 del 2011 continuano ad applicarsi:
    1. ai soggetti che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2011;
    2. ai soggetti di cui all'articolo 1, comma 9 della legge n. 243 del 2004;
    3. a varie categorie di lavoratori, elencate nel comma 14 stesso, ancorché maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento successivamente al 31 dicembre 2011.
  Tale ultima salvaguardia si applica entro i limiti delle risorse stabilite, fino al 2019, dal comma 15 del richiamato articolo 24.
  Il decreto interministeriale 1° giugno 2012, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 171 del 24 luglio 2012, ha determinato in 65.000 unità il limite massimo numerico dei beneficiari di detta salvaguardia, nonché le relative modalità di attuazione.
  L'articolo 22, comma 1, del decreto legge 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012, ha esteso a ulteriori 55.000 soggetti appartenenti alle categorie ivi indicate il beneficio di avvalersi dei requisiti di accesso e del regime delle decorrenze, vigenti prima del 6 dicembre 2011.
  Per tale salvaguardia, il successivo articolo 24 ha previsto, per gli anni 2012, 2013 ed a decorrere dal 2014, la copertura finanziaria annuale dei relativi oneri, mentre il decreto interministeriale 8 ottobre 2012, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 17 del 21 gennaio 2013, ha definito le relative modalità di attuazione.
  Con riferimento a tale categoria di lavoratori salvaguardati, si fa presente che l'istituto con messaggio n. 6645 del 22 aprile 2013 e n. 10012 del 20 giugno 2013 ha fornito le indicazioni operative per la gestione delle domande di pensione.
  Da ultimo, l'articolo 1, commi 231 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) ha esteso, a determinate condizioni, le disposizioni in tema di salvaguardia a varie categorie di lavoratori, elencate nel suddetto comma 231, prevedendo al successivo comma 234 la relativa copertura finanziaria fino al 2020.
  Il decreto interministeriale 22 aprile 2013, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 123 del 28 maggio 2013, ha fissato in n. 10.130 il limite massimo numerico dei beneficiari di detta salvaguardia, nonché le relative modalità di attuazione.
  Infine (e con notazione di non minore importanza) segnalo che di recente il Governo ha introdotto una ulteriore, importante misura di salvaguardia per un cospicuo numero di lavoratori: mi riferisco alla previsione di cui all'articolo 11 del decreto-legge 102 del 2013, il quale ha esteso la salvaguardia pensionistica in favore di ulteriori 6.500 lavoratori colpiti da atti di licenziamento prima di aver potuto conseguire i nuovi requisiti pensionistici. Si tratta di un'ulteriore dimostrazione del costante impegno del Governo a rinvenire soluzioni stabili e complete a fronte della grave problematica segnalata dall'interrogante.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   GIUSEPPE GUERINI e MISIANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in Italia Brembo spa (realtà di eccellenza tra i produttori mondiali di sistemi frenanti per auto e moto) occupa 2.889 addetti in 3 siti produttivi, tutti situati in provincia di Bergamo (Curno, Mapello e Stezzano);
   la società nel primo trimestre 2013 ha registrato una crescita dei ricavi del 6,3 per cento e margini in crescita sia per quanto riguarda l'EBITDA (+10,2 per cento) che l'EBIT (+9,3 per cento);
   il 9 maggio 2013, la società ha comunicato alle organizzazioni sindacali la decisione di delocalizzare nei propri stabilimenti in Polonia e in Cecoslovacchia importanti produzioni di pinze in alluminio per i clienti Mercedes e Porsche;
   questa decisione comporta 200 esuberi, di cui 170 dello stabilimento di Curno e 30 di quello di Mapello, con la previsione di una tempistica compresa tra gli ultimi mesi 2013 e la primavera 2014. Gran parte degli esuberi (circa 150 su 200) sono lavoratori che hanno lavorato in Brembo con contratti a termine (alcuni anche per 28/30 mesi) e che stanno aspettando di essere richiamati e che a seguito di questa scelta non rientreranno più in azienda;
   le organizzazioni sindacali (Fiom, Fim e Uilm) unitariamente hanno espresso all'azienda la preoccupazione, sostenendo che tale scelta oltre all'impatto occupazionale potrebbe prefigurare un minore interesse nei confronti degli stabilimenti italiani della società;
   questa delocalizzazione si inserisce nel contesto di una crisi che ha portato, in provincia di Bergamo, alla chiusura di numerose aziende ed alla perdita di migliaia di posti di lavoro –:
   quali iniziative si intendano assumere per favorire la tutela dei livelli occupazionali degli stabilimenti italiani di Brembo spa. (4-00799)

  Risposta. — Con l'interrogazione parlamentare in esame si pone all'attenzione del Governo la questione concernente la tutela dei livelli occupazionali degli stabilimenti italiani di Brembo s.p.a. a seguito dell'annunciata delocalizzazione di alcune produzioni all'estero.
  A conclusione delle verifiche condotte in data 9 settembre 2013, nei confronti della Freni Brembo s.p.a., dalle dichiarazioni delle Rappresentanze sindacali unitarie e dalla documentazione visionata in azienda da parte del personale ispettivo di questa Amministrazione, è emerso che la società in questione, agli inizi di maggio, ha comunicato alle Rappresentanze sindacali unitarie il trasferimento di alcune produzioni in Polonia e in Repubblica Ceca a causa di problemi con alcuni clienti (tra essi, è emerso, il gruppo Volkswagen-Audi-Porsche e Mercedes, anch'essi con siti produttivi in Polonia e Repubblica Ceca e con nuove strategie di sviluppo), nonché la conseguente contrazione di personale nei siti produttivi di Curno (Bergamo) e di Mapello (Bergamo).
  Le organizzazioni sindacali hanno visionato il programma con cui l'azienda aveva intenzione di procedere e il 16 maggio 2013 vi è stato un incontro presso la Confindustria di Bergamo per l'informativa annuale, in tale sede l'azienda ha presentato la situazione generale del gruppo, esplicitando la prospettiva degli esuberi.
  Agli inizi di giugno la società ha presentato alle organizzazioni sindacali un piano di ristrutturazione. Il sindacato ha presentato una controproposta, orientata alla riduzione dei costi, nei siti di attuale produzione, al fine di mantenere il livello occupazionale. A seguito del rifiuto della società, sono stati proclamati due giorni di sciopero generale cui ha aderito gran parte del personale.
  In data 23 luglio 2013 è stata sottoscritta dalle organizzazioni sindacali e dai vertici della società, un'ipotesi di accordo, che attenua l'impatto sulla attuale forza lavoro occupata.
  Per la ratifica dell'accordo, la Rappresentanza sindacale unitaria, in data 2 agosto 2013, ha promosso un referendum, dal quale è emersa la volontà della maggioranza dei lavoratori di approvare tale accordo.
  Gli impianti che saranno oggetto di trasferimento, riguardano la «divisione sistemi», dello stabilimento di Curno (Bergamo) e la «divisione sistemi», fonderia di alluminio, di Mapello (BG).
  Tale delocalizzazione avrà inizio nel secondo semestre dell'anno corrente, per concludersi nel primo semestre 2014 e comporterà un esubero di 200 dipendenti.
  Nell'arco del 2013 e del 2014 il piano aziendale, frutto dell'accordo in sede sindacale, dovrebbe consentire il riassorbimento di circa 160 occupati, tramite la rimodulazione della flessibilità ed il turn-over fisiologico. L'impatto per il 2013 riguarderà un quarto degli esuberi previsti, per poi proseguire nel 2014 per i restanti. La gestione delle circa 40 posizioni, non riassorbite nel periodo considerato, potrà avvenire attraverso l'incentivazione/agevolazione all'accesso al trattamento pensionistico, così come prospettato nell'accordo con le organizzazioni sindacali.
  Le parti sociali, alla data dell'11 ottobre 2013, non hanno richiesto alcun incontro a questa amministrazione per l'esame della situazione occupazionale, né è pervenuta altra segnalazione al riguardo.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiCarlo Dell'Aringa.


   MAZZOLI e TERROSI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i consiglieri di minoranza del comune di Farnese, Francesco Alloro e Simone Sabatini, hanno promosso un'azione popolare, insieme a diversi cittadini utenti del demanio pubblico, e presentato una memoria di costituzione nel procedimento presso il tribunale amministrativo regionale del Lazio per ottenere l'annullamento della determina del direttore generale agricoltura n. A08934/2012 della regione Lazio con la quale, a «chiusura di istruttoria», non venivano omologate le transazioni stragiudiziali avviate con le delibere di consiglio comunale n. 36 e 37 del 2010, attraverso le quali si procedeva alla vendita a basso costo di porzioni di terreni di uso civico ad occupatori abusivi, in violazione degli articoli 9, 10 e 29, della legge n. 1766 del 1927 in virtù della incontestata natura demaniale civica;
   in conseguenza di tale iniziativa è stata contestata dal consiglio comunale di Farnese «l'incompatibilità dei consiglieri comunali di minoranza Alloro Francesco e Sabatini Simone, ai sensi dell'articolo 63, comma 1, numero 4) del testo unico degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267/2000» poiché si è ritenuto che la loro azione concretizzi la fattispecie di lite pendente tra i consiglieri ed il comune da cui si mirerebbe a far discendere la condizione di incompatibilità a ricoprire la carica;
   i citati consiglieri di minoranza hanno agito a tutela di interessi pubblici generali della collettività degli utenti di Farnese, specificatamente per il mantenimento e la conservazione della proprietà collettiva e per la tutela e l'integrità dell'ambiente, e nello specifico espiamento delle loro funzioni di consiglieri comunali, così come dettato dal comma 3 dello stesso articolo 63 dove si legge: «l'ipotesi di cui al n. 4 del comma 1 non si applica agli amministratori per fatto connesso con l'esercizio del mandato»;
   pertanto ben difficilmente è configurabile la fattispecie di cui all'articolo 63, comma 1, n. 4) del testo unico degli enti locali, poiché non si è di fronte ad una lite riguardante interessi personali degli amministratori di minoranza che hanno proposto un'azione contro l'attività della maggioranza in questione, ma piuttosto di un'attività pienamente rientrante nell'esercizio della funzione di consigliere comunale, in specie di minoranza, volta a controllare – financo a contestare nelle sedi più opportune – l'attività della giunta in carica –:
   se il Ministro sia al corrente di tale situazione e quale sia l'interpretazione corretta del citato articolo 63, comma 1 n. 4) del testo unico degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, al fine di evitare che possibili interpretazioni estensive restringano eccessivamente la funzione di controllo e di interlocuzione, tramite una compressione irragionevole dei loro poteri di iniziativa, dei consiglieri comunali nell'esercizio del mandato.
(4-00288)

  Risposta. — Il testo unico degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL), in conformità al principio generale secondo il quale ogni organo collegiale delibera sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei componenti, all'articolo 69 attribuisce al consiglio comunale, che ne è responsabile, l'esame delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità dei consiglieri, secondo una procedura che garantisce il contraddittorio ed assicura il diritto di difesa nonché la possibilità di rimuovere, entro un congruo termine, la causa di incompatibilità contestata.
  Nel caso oggetto dell'interrogazione parlamentare, la prefettura di Viterbo ha reso noto che il consiglio comunale di Farnese, con deliberazione del 20 maggio 2013, ha concluso la procedura di contestazione della causa di incompatibilità di cui all'articolo 63, comma 1, punto 4) del Tuel, dichiarando decaduto uno dei due consiglieri interessati, in particolare non ritenendo configurata l'ipotesi esimente di cui al comma 3 del citato articolo 63.
  In ordine alla questione, allo stato, pende giudizio per effetto del ricorso presentato dal consigliere decaduto.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   NACCARATO e ZOGGIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 2 giugno 2013 quattro cittadini di nazionalità tedesca hanno subito un controllo da parte della polizia locale di Jesolo perché trovati a guidare contromano nella via principale della nota località turistica, hanno ricevuto contravvenzione per guida in stato di ebbrezza e hanno aggredito la pattuglia coinvolgendo gli agenti in una colluttazione sedata a fatica dagli agenti stessi;
   uno di loro è stato fermato per resistenza a pubblico ufficiale e portato al pronto soccorso: ritrovata la calma i suoi connazionali, credendolo al comando di Polizia di Stato hanno fatto irruzione armati di una spranga nel comando locale ove hanno incontrato l'unico agente in servizio che è rimasto per qualche tempo barricato negli uffici attendendo l'arrivo dei rinforzi che hanno potuto fermare e denunciare i tre ragazzi;
   il comando in questione si trova nella difficile situazione di far fronte alle crescenti emergenze potendo contare su un personale decisamente sotto organico, tanto che, nei primi 13 giorni del mese di giugno 2013, solo una giornata ha visto coprire 3 dei 4 turni previsti per le volanti, per quattro giorni sono stati coperti 2 turni su 4 e i restanti 8 giorni soltanto 1 turno su 4;
   dopo i fatti del 2 giugno è stato disposto un turno di sorveglianza al comando di polizia di due guardie al posto del solo agente aggredito ma tale provvedimento è stato applicato solo in 6 dei 30 turni previsti per la drammatica carenza di personale;
   è noto che a partire dalla seconda metà del mese di maggio le località di villeggiatura sono meta di un numero crescente di turisti che si aggiungono ai residenti e ai lavoratori stagionali: tale crescita di popolazione aumenta più che proporzionalmente il fabbisogno di vigilanza e di sicurezza;
   a riprova di questa affermazione è utile ricordare che soltanto nella prima settimana di giugno si sono registrati furti per oltre 160.000 euro nel solo territorio di competenza del commissariato di Jesolo;
   nella vicina Caorle nella notte del 14 di giugno 2013 sono stati dati alle fiamme quattro mezzi della polizia locale: all'origine dell'incendio doloso pare si possa indicare una ritorsione per l'attività svolta dai vigili urbani contro il commercio abusivo in spiaggia, altro fenomeno in forte crescita nei mesi estivi;
   l'incendio ha coinvolto anche parte del magazzino dove era custodita la merce sequestrata, fortunatamente senza conseguenze, ma questo fatto dà la dimensione della pericolosità dell'attentato incendiario che costituisce solo l'ultimo gesto gravissimo di una serie di atti che è destinata a crescere se non si destinano le risorse e il personale adeguato ad un territorio soggetto a forte densità turistica in questo periodo dell'anno;
   il personale attualmente in servizio non riesce a garantire l'ordinaria amministrazione, né i turni previsti con conseguente inefficacia dell'attività di prevenzione e contrasto degli atti illeciti e delle emergenze;
   le organizzazioni sindacali hanno più volte fatto presente la situazione senza ottenere il distaccamento di uomini e mezzi sufficienti a far fronte quantomeno ai turni previsti dalla normale attività di controllo del territorio –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra descritti;
   quali provvedimenti intenda assumere per garantire un numero congruo di agenti a disposizione del commissariato di Jesolo tale da far fronte alle crescenti necessità di presidio del territorio da parte delle forze dell'ordine. (4-00919)

  Risposta. — In relazione all'episodio citato dall'interrogante, si rappresenta che nella tarda serata dello scorso 2 giugno tre cittadini di nazionalità tedesca, in stato di alterazione alcolica, hanno forzato le misure esterne di sicurezza del commissariato di Jesolo, ritenendo che presso la struttura fosse custodito un loro connazionale.
  Il pronto intervento di operatori di polizia ha impedito più gravi danneggiamenti e ha consentito l'identificazione degli aggressori e la loro successiva denuncia all'autorità giudiziaria anche per il reato di resistenza a pubblico ufficiale.
  Si è provveduto inoltre ad una riorganizzazione interna del servizi, grazie alla quale è stato potenziato il servizio di vigilanza anche in tale struttura.
  Pur nel rispetto delle limitazioni imposte dalla «spending review», questo Ministero riserva la massima attenzione alla situazione generale delle articolazioni operanti a Jesolo, affinché venga sempre garantita l'operatività dei presidi per il mantenimento della sicurezza e dell'ordine pubblico a tutela di tutti i cittadini.
  Gli organici della polizia di Stato presso il commissariato di pubblica sicurezza di Jesolo, in provincia di Venezia, presentano, effettivamente, una carenza di sette unità operative rispetto alla dotazione prevista in organico.
  Anche in considerazione del fatto che il citato commissariato estende la propria attività operativa su di un vasta area turistica, durante la precorsa stagione estiva è stato assicurato il rinforzo di equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine, infatti, sono stati messi a disposizione della questura di Venezia 24 unità, di cui 15 nella sola città di Jesolo.
  Nonostante la ristrettezza di risorse disponibili, nel mese di ottobre è stata disposta l'assegnazione di 7 unità proprio in favore di detto commissariato.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PARISI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 25 luglio nel corso dello svolgimento dell'ordine dei lavori del consiglio comunale di Pisa, l'attività consiliare è stata inizialmente interrotta e poi definitivamente sospesa, a causa delle proteste inscenate da un gruppo di sedicenti appartenenti al cosiddetto movimento «No Tav»;
   tali rimostranze, secondo quanto confermato dai presenti, si sono svolte in modo molto turbolento tanto che le azioni di disturbo da parte dei manifestanti si sono concluse con l'occupazione della sala consiliare del comune, il tutto accompagnato da gesti intimidatori, minacce ed ingiurie nei confronti dei consiglieri presenti che sono tra l'altro successivamente proseguite;
   a giudizio dell'interrogante appare evidente in considerazione di quanto esposto, come non sia accettabile che una esigua minoranza di facinorosi determini nella città di Pisa, un clima di intimidazione e d'intolleranza nel tentativo di impedire le manifestazioni di pensiero e lo svolgimento del confronto democratico anche all'interno delle istituzioni locali;
   l'interrogante rileva inoltre, come nel corso dei tentativi di aggressione e di molestie da parte delle suddette frange, del suddetto movimento «No Tav», vi sia stata una presenza insufficiente da parte delle forze dell'ordine e delle autorità preposte alla sicurezza, in grado sia di garantire il regolare andamento dell'ordine dei lavori del consiglio comunale, che di fronteggiare gli interventi violenti e minacciosi degli appartenenti al suindicato movimento di protesta –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali siano i motivi per i quali le forze dell'ordine presenti all'interno del palazzo del comune di Pisa, non sono intervenute per ripristinare il regolare svolgimento dei lavori del consiglio comunale, né tantomeno per allontanare i facinorosi soggetti;
   se non ritenga infine urgente ed opportuno, che siano individuati i soggetti responsabili dei gravissimi atti intimidatori esposti in premessa, al fine di evitare che episodi violenti di tale gravità, che hanno determinato addirittura la sospensione dell'attività democratica ed istituzionale dell'ordine dei lavori del consiglio comunale di Pisa, possano in futuro ripetersi.
(4-01527)

  Risposta. — Lo scorso 25 luglio, a Pisa, durante lo svolgimento del consiglio comunale, ha avuto luogo in Piazza XX Settembre un presidio di protesta del movimento «Spazio Antagonista Newroz» di protesta contro la TAV, gli arresti avvenuti a Torino (Clarea di Chiomonte) il precedente 20 luglio, nonché contro asserite violenze subite da una militante pisana da parte delle forze dell'ordine e presunti abusi commessi dalla polizia nel corso di una perquisizione domiciliare a carico di un altro militante pisano.
  Poiché nel corso della suddetta seduta non veniva votata la mozione finalizzata ad esprimere solidarietà nei confronti della giovane pisana appartenente al movimento No Tav, i dimostranti assumevano atteggiamenti tali da determinare la sospensione della seduta consiliare.
  La polizia municipale, presente all'interno della sala consiliare, nell'ambito delle sue esclusive funzioni di polizia d'aula, curava la prima attività d'indagine avvalendosi del supporto delle riprese filmate girate da personale della polizia scientifica.
  La Digos della questura di Pisa, a conclusione delle indagini esperite, denunciava all'autorità giudiziaria 11 aderenti a movimenti antagonisti pisani per i reati di violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario e per il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico.
  La strategia di evitare l'immediato ricorso all'uso della forza pubblica, condivisa con il Presidente del consiglio comunale, si è rivelata determinante, vista l'assoluta regolarità con la quale si è tenuta la seduta del consiglio comunale del 1o agosto 2013.
  In quella sede, infatti, sono state affrontate le tematiche che erano state oggetto di dissenso il 25 luglio 2013 e, nonostante la presenza nell'aula consiliare degli aderenti ai movimenti antagonisti, l'assemblea consiliare si è svolta senza la benché minima turbativa per l'ordine pubblico.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   TRIPIEDI, COMINARDI, ROSTELLATO, BALDASSARRE, CIPRINI, RIZZETTO e BECHIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'INPS è depositaria sin dal 2001 del sistema che raccoglie ogni informazione relativa a ciascuna cassa previdenziale, essendo divenuta, di fatto, una vera e propria banca dati centrale che fornisce dati, statistiche, parametri ed accorpamenti per fasce di reddito pensionistico;
   ad avviso dell'interrogante appare singolare che i dati aggregati forniti dall'INPS in relazione alla suddivisione per fasce di reddito, sono individuati «al dettaglio» fino al valore di reddito mensile pari ad euro 2.000 per poi presentare una ulteriore ma unica fascia per i redditi superiori ad euro 2000 (range 2.000 ed oltre);
   tale metodo di classificazione adottato da INPS ad avviso degli interroganti non consente di avere adeguate informazioni proprio sulle fasce di reddito più alte e dunque di maggior interesse ai fini delle valutazioni in merito alla distribuzione del reddito pensionistico del nostro Paese –:
   se il Ministro non ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, al fine di rendere più trasparente e meglio classificato il sistema informativo sui redditi pensionistici. (4-00951)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente il sistema informativo sui redditi pensionistici, si rappresenta che le informazioni di tipo statistico sui redditi pensionistici pubblicate sul sito dell'Inps, effettuate a partire dai dati presenti nell'archivio centrale dei pensionati, hanno lo scopo di rappresentare la distribuzione dei redditi pensionistici tra i pensionati presenti in Italia.
  Le distribuzioni per classi di importo mensile della pensione presentano come ultima classe aperta quella relativa agli importi delle pensioni pari o superiori ai 3.000 euro mensili e tale classe comprende, nel complesso, circa il 3 per cento delle pensioni erogate in Italia (fonte casellario centrale pensionati). Se l'analisi statistica avesse evidenziato una percentuale più alta di pensioni presenti in tale classe di importo si sarebbe provveduto a dettagliarla maggiormente, ma si è ritenuto che, per un'adeguata rappresentazione del fenomeno, un numero di unità pari a circa il 3 per cento della collettività potesse essere accorpato in un'unica classe.
  Le distribuzioni per classi di reddito pensionistico mensile richiamate nell'interrogazione, inoltre, evidenziano nella medesima ultima classe una percentuale di pensionati (pari a circa il 5 per cento), ritenuta anch'essa sufficientemente bassa perché potesse essere accorpata in un'unica classe, non inficiando la rappresentazione statistica del fenomeno.
  Inoltre, le statistiche per classe di reddito pensionistico contengono il dettaglio di alcune variabili, quali sesso e territorio che contribuiscono ad una maggiore disaggregazione dei dati. Il dettaglio maggiore delle classi di reddito potrebbe comportare la non garanzia dell'anonimato, e, quindi, non rispondere ai requisiti di cui all'articolo 5 dell'allegato A.4. – codice di deontologia e buona condotta per i trattamenti di dati personali per scopi statistici e scientifici (provvedimento del garante n. 2 del 16 giugno 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 agosto 2004, n. 190).
  Infine, relativamente alla distribuzione dei redditi dei pensionati, le analisi statistiche pubblicate sono arricchite da informazioni relative ai valori dei decili, dall'indice di concentrazione del coefficiente Gini e da rappresentazioni grafiche. L'istituto valuterà, comunque, la possibilità di inserire nel proprio sito web – nel rispetto dei criteri per la valutazione del rischio di identificazione – elementi di maggiore dettaglio delle informazioni.
  Per quanto concerne l'adeguatezza delle informazioni ai fini delle valutazioni in merito alla distribuzione del reddito pensionistico del Paese, l'istituto è costantemente impegnato a fornire agli organi costituzionali idoneo supporto statistico attuariale, attraverso i consueti canali istituzionali e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e successive modifiche e delle direttive dell'autorità garante, in particolare per quanto concerne le misure di sicurezza dei dati e la loro comunicazione.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   VALERIA VALENTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   numerosi dipendenti civili del Ministero della difesa hanno presentato l'istanza per il riconoscimento dei benefici per gli esposti all'amianto ai sensi dell'articolo 47 (Benefici previdenziali per i lavoratori esposti all'amianto), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326;
   la direzione generale per il personale civile PERSOCIV ha rilasciato ad ogni dipendente richiedente il curriculum lavorativo, nel quale ove riscontrata, veniva riconosciuta l'esposizione all'amianto;
   il curriculum dei suddetti lavoratori risulterebbe essere stato depositato all'Inail nel cui territorio è situato il comando ente ove il lavoratore ha prestato l'attività di servizio e dove è stata presentata la domanda dell'interessato di certificazione dell'esposizione all'amianto;
   l'Inail ha costituito un organismo tecnico CONTARP (consulenza tecnica accertamento rischi professionali), con sede centrale a Roma e sedi regionali, preposto a verificare che l'esposizione seppur certificata positivamente dal datore di lavoro (PERSOCIV) sia superiore ai limiti previsti dalla norma sopracitata, in relazione al fatto che: «i benefici ...sono concessi esclusivamente ai lavoratori che, per un periodo non inferiore a dieci anni, sono stati esposti all'amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno»;
   l'INAIL ha avviato le procedure di accertamento tecnico dell'esposizione all'amianto, per coloro che hanno ricevuto un curriculum positivo dopo l'esamina della Commissione all'uopo istituita presso il Segretariato Generale della Difesa – 1o reparto – Via XX Settembre 123/A – 00187 Roma, eseguendo visite ispettive presso i siti interessati dal problema amianto, acquisendo varia documentazione ed ha effettuato incontri tecnici con i referenti in materia designati dal Ministero della difesa;
   le richieste del dicastero della difesa per il riconoscimento esposti all'amianto, provenienti da tutte le regioni, sono state inviate alla CONTARP;
   fino ad oggi non risulta che sia stato espresso dalla CONTARP nessun giudizio al riguardo –:
   se il Ministro ritenga opportuno chiarire i motivi di questo ritardo e sollecitare i riconoscimenti dei benefici per esposizione all'amianto. (4-01202)

  Risposta. — Con riferimento alla interrogazione in esame, concernente il riconoscimento dei benefici previdenziali per il lavoratori del Ministero della difesa esposti all'amianto, sulla base delle informazioni acquisite presso i competenti uffici dell'Inail, si rappresenta quanto segue.
  I procedimenti amministrativi per il riconoscimento di tali benefici previdenziali hanno avuto inizio a seguito della presentazione all'Inail – ai sensi dell'articolo 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 – della prescritta domanda.
  La necessaria istruttoria da parte dell'Inail ha subito, tuttavia, una battuta d'arresto fino al 2009 allorquando il personale del Ministero della difesa che ne aveva fatto richiesta ha iniziato la consegna alle sedi territoriali dell'istituto dei curricula rilasciati dal datore di lavoro.
  Al fine del rilascio della certificazione prevista dalla legge, l'Inail ha demandato i necessari accertamenti tecnici alla sola sede centrale della Contarp (Consulenza tecnica accertamento rischi e prevenzione), accogliendo, in tal modo, una specifica richiesta avanzata dal Ministero della difesa.
  L'istituto ha fatto sapere che, in conseguenza di tale richiesta, i tempi dell'istruttoria sono stati più articolati rispetto alle ordinarie modalità di espletamento degli accertamenti, che per altre tipologie di datori di lavoro vengono effettuati direttamente dalle sedi regionali della Contarp.
  L'Inail ha, inoltre, reso noto che, dato il maggior numero di domande presentate dal «personale imbarcato» appartenente allo Stato Maggiore della marina, l'attività di ricognizione tecnica, in accordo con il predetto ministero, si è concentrata preliminarmente su tali lavoratori rispetto a quelli, civili e militari, degli altri Stati Maggiori.
  L'istituto ha comunicato che la sede centrale della Contarp, dal 2009 all'aprile 2013, ha esaminato una mole considerevole di documenti concernenti quasi mille natanti impiegati dallo Stato Maggiore della marina nell'arco di un secolo.
  Il rilascio delle previste certificazioni ha avuto inizio nello stesso mese di aprile 2013.
  L'Inail ha, inoltre, comunicato che in breve tempo verrà reso anche il parere relativo al personale militare e civile della Marina in forza presso gli arsenali marittimi.
  Con riferimento al personale appartenente agli ulteriori Stati Maggiori della difesa, l'Inail ha reso noto che la consulenza tecnica dell'istituto ha già effettuato diversi sopralluoghi di alcuni siti produttivi e operativi.
  L'Inail ha evidenziato, tuttavia, che i documenti e le informazioni sin ora raccolte sono ancora incompleti e insufficienti e che l'analisi valutativa è di particolare complessità sia per il rilevante numero e varietà di casi da trattare sia per la molteplicità dei siti da valutare.
  L'istituto ha lamentato, inoltre, la difficoltà di accesso nelle cosiddette zone militari (peraltro sedi di lavoro anche del personale civile della difesa) nonché la difficoltà legata alla necessità di esaminare documenti coperti da segreto.
  Secondo l'Inail, inoltre, tali siti non rientrano nelle «esperienze/conoscenze» di accertamento della Contarp in quanto sono stati oggetto, per la prima volta, di indagini specifiche e valutazioni analitiche da parte dei tecnici dell'istituto. A tal proposito, infatti, è stato necessario un periodo di preparazione e apprendimento volto alla conoscenza complessiva dei siti lavorativi, delle attività e delle mansioni espletate dai lavoratori.
  I tecnici dell'istituto hanno, comunque, iniziato ad esaminare la documentazione pervenuta che, tuttavia, non è ancora sufficiente a consentire l'adozione del parere tecnico richiesto. Per poter acquisire sufficienti elementi di valutazione si sono resi necessari ulteriori sopralluoghi tecnici e incontri con la struttura operativa degli Stati Maggiori della difesa.
  Da ultimo si rappresenta che l'Inail ha assicurato essere obiettivo prioritario dell'istituto il rilascio della certificazione per il personale in parola non appena saranno completati gli accertamenti tecnici necessari.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   VARGIU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la situazione dei circa 1300 medici fiscali INPS presenta criticità composite ed eterogenee, alcune delle quali già affrontate dal sottoscritto nell'interrogazione n. 4-00472 del 16 maggio 2013;
   dal 30 aprile 2013 l'INPS, in modo unilaterale ed improvviso, ha significativamente ridotto il numero delle visite fiscali d'ufficio, determinando una conseguente riduzione del novanta per cento del carico di lavoro dei medici fiscali;
   i medici fiscali INPS prestano da anni la propria opera professionale per l'Istituto, spesso in modo esclusivo, con rapporti di lavoro atipico (collaborazione fiduciaria);
   il compenso dei medici fiscali INPS è corrisposto «a prestazione», con la conseguenza che ad una riduzione del numero delle visite corrisponde una contrazione proporzionale della fonte di reddito dei medesimi;
   molti dei sanitari INPS hanno un'età «critica», compresa tra i quaranta ed i cinquanta anni, sono difficilmente ricollocabili, lontani dall'età pensionabile, con famiglie a carico e con onerose contribuzioni ENPAM da versare;
   risulta all'interrogante che, nel corso del 2012, l'INPS avrebbe effettuato importanti investimenti per dotare ciascuno dei 1300 medici fiscali di presidi informatici portatili e finanziato, per loro e per il personale amministrativo dell'Istituto, corsi di formazione e aggiornamento riconducibili al progetto di digitalizzazione ed informatizzazione dei certificati e delle visite di controllo;
   le visite medico-legali perseguono la duplice finalità di far emergere eventuali comportamenti illeciti da parte dei lavoratori, ma soprattutto di agire come deterrente dell'assenteismo ingiustificato, fenomeno che lo Stato – specie nell'attuale sforzo di contenimento degli sprechi – è impegnato a contrastare con ogni mezzo;
   la dirigenza INPS, in un recente incontro con i rappresentanti della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurgici e degli odontoiatri, avrebbe manifestato la propria determinazione di voler far decadere tutti gli incarichi dei medici fiscali attualmente in essere, venendo meno, in tal modo, agli impegni contenuti nel decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 8 maggio 2008 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 7 luglio 2008, n. 157 che cristallizza la consistenza numerica dei sanitari iscritti nelle liste alla data del 31 dicembre 2007, in attesa di una generale rivisitazione del quadro normativo –:
   se sia in grado di smentire le notizie circa la determinazione della dirigenza INPS di voler far decadere gli incarichi attualmente in essere dei medici fiscali INPS;
   se non ritenga di dover esercitare ogni possibile iniziativa nei confronti dell'INPS affinché non si proceda al depotenziamento dell'attività di verifica fiscale cosa che determinerebbe pesanti ricadute sui livelli di occupazione dei medici incaricati, ma soprattutto sull'attività di prevenzione di fenomeni inappropriati di assenteismo. (4-00739)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente alla sospensione, disposta dall'Inps, delle visite fiscali d'ufficio per le assenze per malattia dei lavoratori del settore privato e le conseguenze di tale scelta sull'attività lavorativa dei medici che finora hanno svolto la funzione di accertamento per conto dell'istituto, sulla base delle informazioni dallo stesso fornite, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente è opportuno ricordare che le recenti disposizioni normative concernenti la riduzione della spesa pubblica hanno comportato per l'Inps la necessità di conseguire, a partire dal 2013, risparmi aggiuntivi. Da ultimo, l'articolo 1, comma 108, della legge n. 228 del 2012, ha imposto all'Inps tagli alle proprie spese di funzionamento tali da conseguire risparmi non inferiori a 300 milioni di euro annui.
  L'Istituto ha, pertanto, rideterminato le risorse finanziarie destinate alle visite mediche di controllo d'ufficio passando da un budget preventivo per il 2013 pari a circa 50 milioni di euro ad un budget aggiornato di 22.300.000 euro. Sul piano gestionale, inoltre, è stato necessario procedere all'adeguamento delle procedure informatiche per consentire la distribuzione delle visite nei limiti del budget disponibile che alla data del 29 maggio 2013 risultava essere di 4.190.624,39 euro. Dal 1o gennaio di quest'anno, infatti, erano già state assegnate d'ufficio visite mediche di controllo per una spesa pari a 18.109.375,61 euro.
  In conseguenze della esiguità di risorse finanziarie disponibili, l'istituto ha sospeso, per un brevissimo periodo, la procedura per il conferimento ai medici cosiddetti «di lista» degli incarichi per le visite d'ufficio lasciando invariata, invece, la procedura per le visite su richiesta dei datori di lavoro.
  Successivamente, con messaggio n. 9939 del 19 giugno 2013, l'Inps ha ripristinato la procedura introducendo, tuttavia, una proporzionale riduzione delle visite d'ufficio. In conseguenza di tale riduzione, i medici iscritti nelle liste dell'istituto hanno registrato una consistente diminuzione del numero di visite loro assegnate. Si è passati, infatti, da circa 78.700 visite mediche d'ufficio effettuate mensilmente nel 2012 a circa 10.000 visite mensili disposte per i mesi di luglio e agosto 2013, ulteriormente ridotte a 5.000 visite per il mese di settembre.
  L'istituto ha inoltre comunicato che i nuovi criteri di assegnazione delle visite mediche hanno formato oggetto di confronto con le organizzazioni sindacali dei medici di lista (CISL Medici, UIL-FPL Medici, FIMMGI, SINMEDICO, NIDIL CGIL) in occasione di un tavolo tecnico nazionale.
  L'Inps ha evidenziato, inoltre, che la programmazione della spesa per le visite fiscali in argomento presenta un particolare elemento di complessità a causa della natura variabile di una parte del compenso corrisposto ai medici che, com’è noto, dipende anche dai rimborsi chilometrici.
  A tal proposito, l'istituto ha reso noto che, al 30 settembre 2013, la disponibilità di somme sul relativo capitolo di spesa risultava sufficiente a consentire il pagamento del solo compenso forfettario e dei rimborsi per formazione di cui all'articolo 3, comma 5, del decreto ministeriale 8 maggio 2008. Pertanto, con messaggio n. 15644 dello scorso 1o ottobre, l'istituto ha sospeso le visite fiscali in parola dandone tempestiva comunicazione alle citate organizzazioni sindacali di categoria.
  L'Inps ha fatto sapere, inoltre, che le visite di contro disposte dai datori di lavoro non hanno subito alcuna modifica e che tale tipologia di visite concorre, comunque, a determinare i carichi di lavoro dei singoli medici, alimentandone il reddito con una media mensile di circa 25.667 visite.
  L'Istituto ha altresì rappresentato che la decisione di contingentare le visite mediche disposte d'ufficio, assunta il 19 giugno scorso con il messaggio predetto, è stata, in alcuni casi, oggetto di contenzioso giudiziario. In particolare, il tribunale di Brescia e quello di Messina hanno adottato ordinanze favorevoli alle ragioni dell'istituto, statuendo tra l'altro che: «non esiste alcun obbligo in capo all'Ente previdenziale di garantire ai medici un numero minimo di visite giornaliere e/o settimanali e, dunque, un minimo reddito o compenso mensile».
  Per quanto concerne, invece, la ridefinizione dell'attuale tipologia di rapporto di lavoro intercorrente tra l'Inps e i medici fiscali, secondo una prospettiva di stabilizzazione di questi ultimi, l'istituto ha precisato che – con i decreti ministeriali del 15 luglio 1986 e del 18 aprile 1996, emanati in attuazione del decreto-legge n. 463 del 1983, viene confermata «la natura di attività libero professionale del rapporto di collaborazione fiduciaria che si instaura con l'istituto e la piena autonomia professionale al di fuori di qualsiasi vincolo gerarchico».
  Pertanto, una ridefinizione della collaborazione improntata ai canoni di stabilità e certezza non può prescindere da un'analisi dei vincoli imposti dalla vigente normativa in materia di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione e, più in generale, dal dettato dell'articolo 97 della Costituzione che impone la regola del concorso pubblico.
  Da ultimo si rappresenta che, al fine di trovare una possibile soluzione alla riduzione dei carichi di lavoro per i suddetti professionisti, l'Inps sta valutando, congiuntamente al dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, l'adozione di una disposizione tendente alla costituzione di un polo unico per l'effettuazione delle visite di accertamento medico legale nei confronti di tutti i lavoratori pubblici e privati. Tale polo, da istituire presso l'Inps, dovrebbe portare al superamento degli attuali problemi di budget.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.


   ZARDINI e ROTTA. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto nazionale della previdenza sociale per le attività che svolge e per i servizi che eroga possiede ed accumula dati e informazioni, organizzati in banca dati, molto importanti e strategiche per il sistema in rapporto agli obiettivi che le articolazioni dello Stato perseguono;
   i dati e le informazioni dell'Inps se organizzati, integrati ed elaborati assumono rilevanza e facilitano l'attività dello Stato e degli enti pubblici al fine di verificare l'autenticità delle dichiarazioni effettuate dai cittadini. Molti problemi gestionali (velocità del processo e veridicità delle dichiarazioni) potrebbero essere risolti se le informazioni elaborate dall'Inps potessero essere condivise dal sistema delle pubbliche amministrazioni;
   l'Inps ha realizzato una molteplicità di accordi con i comuni allo scopo di integrare i servizi previdenziali con altri tipi di servizi nei punti cliente costituiti dagli enti locali, realizzando così, insieme ai comuni ed altri enti, una strategia integrata e condivisa di erogazione dei servizi, la quale si è rilevata efficiente, efficace e diffusa nel territorio con un'elevata soddisfazione da parte dei cittadini, i quali recandosi in un unico ufficio possono usufruire dei servizi erogati da enti diversi;
   la politica descritta di integrazione e condivisione dei dati e delle informazioni non è prevista per tutti gli enti che hanno finalità pubbliche. Infatti, le Aziende territoriali per l'edilizia residenziale pubblica (ATER) di Verona e delle altre province venete non sono autorizzate ad accedere a tali informazioni allo scopo di verificare la veridicità delle autocertificazioni presentate dai cittadini;
   le Ater, istituite con legge della Regione Veneto 9 marzo 1995, n. 10 e sostitutive degli Istituti autonomi case popolari (IACP), sono enti pubblici economici dotati di personalità giuridica e di autonomia organizzativa, patrimoniale e contabile, hanno sede nel capoluogo di ogni provincia veneta ed operano nel territorio della stessa nel settore dell'edilizia residenziale pubblica;
   l'accesso alle banche dati dell'Inps è utile per contrastare le eventuali dichiarazioni mendaci e le eventuali azioni di corruzione da parte dei cittadini interessati al fine di ottenere l'assegnazione degli appartamenti di proprietà delle Ater e stabilire una congrua corresponsione del canone di locazione parametrato alla capacità contributiva e reddituale. Il medesimo problema potrebbe riguardare le altre regioni in rapporto al modello organizzativo scelto;
   le informazioni di cui necessitano le Ater riguardano l'attività lavorativa dei lavoratori dipendenti ed autonomi e precisamente la contribuzione ed i relativi redditi derivanti da lavoro dipendente, da lavoro agricolo dipendente, da lavoro autonomo (artigiani, commercianti e coltivatori diretti) e dall'indennità di cassa integrazione guadagni e di disoccupazione allo scopo di verificare i redditi dichiarati nelle autocertificazioni per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e per l'attribuzione del canone di locazione –:
   se non ritengano necessario realizzare un processo di condivisione delle informazioni in possesso dell'Inps a favore delle altre Pubbliche amministrazioni per il buon andamento dei servizi pubblici erogati dalle Pubbliche amministrazioni stesse e per contrastare le dichiarazioni mendaci eventualmente rilasciate dai cittadini interessati, considerato il controllo delle autocertificazioni disposto per legge;
   se non reputino urgente mettere in condizioni le Ater di Verona e le province venete di effettuare i controlli sulle autocertificazioni, previsti dalle attuali disposizioni di legge, attraverso l'accesso alle Banche dati dell'Inps e la consultazione delle contribuzioni, dei redditi e delle prestazioni di cassa integrazione guadagni e di disoccupazione dei lavoratori dipendenti ed autonomi per contrastare eventuali tentativi di corruzione allo scopo di usufruire illegittimamente dell'erogazione di servizi (assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e attribuzione del canone di locazione rapportato al reddito). (4-00896)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si pone all'attenzione del Governo la questione concernente la possibilità di accesso alla banca dati dell'Inps da parte delle aziende territoriali per l'edilizia residenziale pubblica (Ater) di Verona e delle altre province venete, al fine di effettuare controlli sulle dichiarazioni sostitutive.
  L'articolo 58, comma 2, del decreto legislativo n. 82 del 2005, prevede che le modalità di accesso diretto alle banche dati dell'amministrazione certificante per il controllo sulle dichiarazioni sostitutive siano disciplinate da apposite convenzioni, predisposte sulla base di linee guida redatte dalla DigitPA, sentito il Garante per la protezione dei dati personali. In tal senso, risulta che sono state già avviate le attività tra l'Inps e l'Ater per la definizione di una convenzione quadro il cui testo è all'esame del Garante il quale esprimerà le valutazioni di competenza. In caso di esito positivo l'Inps potrà sottoscrivere le convenzioni con le aziende che ne faranno richiesta.
  A ciò si aggiunga che con decreto 8 marzo 2013 questa amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ha definito le modalità di rafforzamento dei sistema dei controlli Isee, ai sensi dell'articolo 5 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Tale decreto prevede l'istituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate che raccolga informazioni utili al fine di rafforzare i controlli connessi all'erogazione di prestazioni sociali agevolate condizionate dall'Isee. Alla banca dati accedono, per finalità di controllo, l'Inps, l'agenzia delle entrate e la guardia di finanza, realizzando un processo di condivisione delle informazioni e di trasparenza, come misura di contrasto al rilascio di dichiarazioni mendaci finalizzate alla fruizione di prestazioni sociali agevolate.
  L'Ater potrebbe rientrare nell'applicabilità del suddetto decreto in quanto azienda pubblica economica che opera nel settore dell'edilizia sociale e quindi con possibilità di erogare prestazioni sociali agevolate, come anche l'assegnazione di alloggi potrebbe rientrare tra le prestazioni sociali agevolate condizionate dall'Isee, definite nell'elenco della tabella 1 del decreto succitato.
  Inoltre, in linea di continuità con la banca dati su esposta, ma con un raggio di azione più ampio, estendendosi anche alle prestazioni sociali non agevolate, è in via di definizione un decreto interministeriale per l'istituzione di un «Casellario dell'Assistenza» presso l'Inps che costituirà l'anagrafe generale delle posizioni assistenziali con compiti di raccolta, conservazione e gestione dei dati relativi alle caratteristiche delle prestazioni sociali erogate, nonché delle informazioni utili alla presa in carico dei soggetti aventi titolo alle medesime prestazioni, incluse le informazioni sulle caratteristiche personali e familiari e sulla valutazione del bisogno.
  Le informazioni contenute nel casellario, in forma individuale ma prive di ogni riferimento che ne permetta il collegamento con gli interessati e comunque secondo modalità che rendono questi ultimi non identificabili, saranno rese disponibili dall'Inps al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ai fini di monitoraggio della spesa sociale e valutazione dell'efficienza e dell'efficacia degli interventi ed anche per elaborazioni a fini statistici, nonché alle regioni, province autonome e comuni e altri enti pubblici responsabili della programmazione di prestazioni e di servizi sociali e socio-sanitari, con riferimento al ambito territoriale di azione, per fini di programmazione delle medesime prestazioni.
Il Ministro del lavoro e delle politiche socialiEnrico Giovannini.