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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 5 dicembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
    il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
    il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche protette e produzione biologica;
    il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
    in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
    sulla base dei dati dell'Agenzia europea per la sicurezza alimentare – Efsa – l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
    la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
    la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
    continuano a crescere le importazioni provenienti da Paesi, tra i quali la stessa Germania, in cui ci si basa su produzioni a basso costo, operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento, come quello suinicolo, non sostenibili e con gravi ripercussioni sulla salute dei consumatori legate all'eccessivo impiego di antibiotici;
    relativamente al settore zootecnico, si ricorda che gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
    il settore suinicolo rappresenta una voce importante dell'agroalimentare italiano. La suinicoltura italiana, infatti, occupa il 7o posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento: in Italia nel 2012 la consistenza è stata di 9,279 milioni di capi, preceduta da Germania (28,1 milioni), Spagna (25,2 milioni), Francia (13,7 milioni), Danimarca (12,4 milioni), Olanda (12,2 milioni) e Polonia (11,9 milioni di capi);
    secondo analisi ed elaborazioni ANAS (Associazione nazionale allevatori suini), riferiti al primo semestre 2013, il valore dell'allevamento riconosciuto nella fase della distribuzione è stato del 17,28 per cento. Sempre secondo la predetta ANAS, l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
    dalle stesse elaborazioni si rileva che il costo medio di produzione del suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è di 1,56 euro al chilogrammo;
    i medesimi dati evidenziano che il prezzo medio riconosciuto all'allevatore per il suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è stato di 1,4 euro al chilogrammo;
    articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che, dietro questo sistema, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
    molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
    l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine delle carni suine, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale – che assicurano, tra l'altro, elevati standards di sicurezza e qualità – ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore;
    l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento CE 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all'allegato XI del regolamento medesimo – tra le quali sono contemplate le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate – rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013;
    molti controlli operati sulle filiere del latte e dei prodotti lattiero-caseari, dei cereali con particolare riferimento al grano duro, dei pomidoro non destinati a passata e delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
    l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole;
    l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini», introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
    l'usurpazione del made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
    il Codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
    la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
    di fronte alle numerose problematicità sopra enunciate ed alla luce dei danni provocati all'economia agroalimentare nazione, alla tutela dei consumatori ed alla capacità competitiva del settore rurale nazionale, dai richiamati comportamenti sleali se non illeciti che si verificano nel campo commerciale delle produzioni agricole ed alimentari indicate come di origine italiana mentre non lo sono, sarebbe inderogabile attivare una organica politica di contrasto e di repressione;
    in particolare andrebbero intraprese misure adeguate per stroncare tali presunti comportamenti contrari alla trasparenza ed alle norme di tutela dei consumatori e delle produzioni agroalimentari aventi un'origine da cui traggono particolare reputazione e rinomanza, qual è l'indicazione made in Italy,

  impegna il Governo:

   ad intraprendere tutte le occorrenti iniziative volte a rafforzare la tutela della denominazione made in Italy nel campo delle produzioni agroalimentari, dando particolare priorità all'attivazione di misure dirette a contrastare l'utilizzo della stessa denominazione in maniera falsa o ingannevole relativamente alla provenienza, all'origine, alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti agroalimentari di origine italiana;
   per le medesime finalità di cui al comma precedente, ad adottare provvedimenti diretti a:
    a) prevedere l'adozione, anche per il latte ed suoi derivati, per le carni suine e per tutte le altre produzioni importate, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini, dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
    b) con specifico riferimento al settore del commercio nel settore delle carni suine, consentire la piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi, agli allevatori, palesemente inferiori ai costi di produzione medi da essi sostenuti;
    c) fare in modo di promuovere in sede di Unione europea, il rispetto del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento al latte ed ai prodotti lattiero-caseari, alle carni suine fresche, refrigerate o congelate ed altre produzioni interessate dal suddetto regolamento;
    d) rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati;
    e) fornire alle autorità di controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, indicazioni operative finalizzate a fare applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy.
(1-00276) «Mongiello, Oliverio, Realacci, Patriarca, Covello, Di Gioia, Cera, Scanu, Stumpo, Amendola, Folino, Marrocu, Antezza, Tentori, Piccione, Mognato, Ventricelli, Melilli, Mazzoli, Manzi, Moretti, Rubinato, Fauttilli, Palma, Montroni, Del Basso De Caro, Sberna, Iacono, Venittelli, Basso, Parisi, Marzano, Sannicandro, Blazina, Biondelli, Biasotti, Pastorelli, Censore, Manfredi, Taricco, Fitzgerald Nissoli, Grassi, D'Ottavio, Valiante, Nardella, Monaco, Mariano, Pagani, Petitti, Vezzali, Bruno Bossio, Marguerettaz, Bargero, Ghizzoni, Lodolini, Petrini, Terrosi, Ascani, Morani, Pelillo».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    i Fondi strutturali comunitari sono i principali strumenti finanziari della politica regionale dell'Unione europea che punta a equiparare i diversi livelli di sviluppo tra le regioni e tra gli Stati membri al fine di realizzare la «coesione economica e sociale», i Fondi strutturali sono organizzati per cicli di sette anni: la nuova programmazione inizierà a gennaio 2014 per concludersi alla fine del 2020. Sono sempre di più una importante leva per promuovere e orientare lo sviluppo del Paese;
    i finanziamenti previsti per l'Italia nei prossimi sette anni ammontano a quasi 30 miliardi di euro ai quali si deve aggiungere una cifra all'incirca dello stesso ammontare come cofinanziamento nazionale; va considerato, inoltre, anche il Fondo sviluppo e coesione con una dotazione prevista dalla legge di stabilità di circa 54 miliardi;
    la strategia e le priorità di intervento di ogni Stato membro viene definito in un documento chiamato accordo di partenariato, che dettaglia le modalità di impiego dei Fondi strutturali all'interno del Quadro strategico comune (QSC) con l'obiettivo di perseguire la strategia dell'Unione europea per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva;
    per la preparazione dell'Accordo di partenariato, il Ministro per la coesione territoriale ha elaborato il documento Metodi e obiettivi per un uso efficace dei Fondi Comunitari 2014-2020 del 12 dicembre 2012. Operativamente sono stati costituiti dei tavoli tecnici, uno per ciascuna delle 4 «missioni» individuate dal suddetto documento: lavoro, competitività dei sistemi produttivi e innovazione; valorizzazione, gestione e tutela dell'ambiente; qualità della vita e inclusione sociale; istruzione, formazione e competenze;
    la bozza preliminare dell'Accordo di partenariato scaturita dal lavoro dei tavoli tecnici e discussa durante l'incontro di aprile con la commissione europea contiene una prima illustrazione della strategia italiana, individua e valorizza tutti gli obiettivi tematici previsti dall'articolo 9 della proposta di regolamento generale dei Fondi Qsc e le linee di indirizzo strategiche da seguire per raggiungere gli obiettivi di sviluppo prefissati;
    si tratta di un documento importante nel contesto della gravissima crisi che da tempo colpisce l'Italia. Queste politiche svolgeranno un ruolo fondamentale per la crescita, per il rilancio del sistema produttivo, l'incremento dell'occupazione e il miglioramento della coesione sociale nel nostro paese, in tutte e sue regioni ed è dunque particolarmente importante definire le priorità nel loro utilizzo;
    dalla loro istituzione, i fondi strutturali europei sono stati indirizzati in maniera consistente sulla tutela ambientale sostenendo la definizione e l'adozione di interventi che hanno riguardato la messa in sicurezza dei siti, la manutenzione dei corsi d'acqua e la protezione delle coste, piani di sostegno dell'assetto idrogeologico;
    nei precedenti cicli di spesa, 2000-2006 e 2007-2013 si è registrato un assorbimento limitato delle risorse messe a disposizione, si è cioè riscontrato un rilevante problema di capacità di spesa con la difficoltà di completare gli interventi di rilievo in tempi compatibili con la possibilità di spendere i fondi a disposizione. Di tali ritardi hanno risentito, in particolar modo, i programmi operativi sui temi ambientali;
    all'avvio del nuovo ciclo di programmazione dei fondi appare necessario stabilire regole certe e rapide di progettazione e di controllo sull'attuazione degli interventi e in particolare misure specifiche di sostegno e accompagnamento alla progettazione in modo da porre rimedio a quelle debolezze progettuali, organizzative e amministrative che hanno caratterizzato l'azione dell'Italia fino ad ora;
    è di particolare rilievo individuare direttrici precise e prevalenti nell'utilizzo dei fondi a disposizione per la programmazione 2014-20 in modo da sostenere l'azione di riqualificazione territoriale, di messa in sicurezza del territorio, di promozione della green economy,

impegna il Governo:

   a dare centralità all'asse legato alla valorizzazione, gestione e tutela dell'ambiente tra gli indirizzi principali per l'utilizzo dei fondi strutturali nel nuovo ciclo di programmazione e nelle risorse a disposizione del Fondo coesione e sviluppo;
   a considerare prioritari gli interventi di messa in sicurezza del territorio per fare della prevenzione la chiave principale per affrontare il dissesto idrogeologico nel nostro Paese anche nel quadro della strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici;
   a destinare l'uso delle risorse anche per l'attuazione di un piano nazionale di bonifiche che riparta dalla effettiva caratterizzazione delle aree inquinate e proceda con tempi e risorse certe a partire dalla terra dei fuochi e dagli altri siti da bonificare;
   a indirizzare le risorse anche verso il sostegno della green economy e della riduzione dei consumi energetici nei cicli produttivi;
   a predisporre la definizione di regole ed indirizzi comuni per la coprogettazione, il sostegno tecnico e il monitoraggio di interventi e azioni per poter disporre di una tempistica di spesa più adatta a realizzazioni grandi e complesse sotto il profilo amministrativo e tecnico;
   a promuovere la definizione di linee di indirizzo omogenee per l'intero territorio pur nella necessaria condivisione con le amministrazioni locali per rafforzare la leva di sviluppo attivabile con le risorse a disposizione.
(7-00195) «Mariastella Bianchi, Bratti, Borghi, Mariani, Braga, Giovanna Sanna, Morassut, Cominelli, Zardini, Carrescia, Gadda».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    da un attento esame della filiera pioppicola italiana, emerge pienamente l'importanza del pioppo per la sua contemporanea valenza economica, produttiva ed ambientale;
    la pioppicoltura rappresenta per l'Italia la più significativa fonte interna di legname per l'industria, pur occupando una superficie minima rispetto a quella delle foreste (meno dell'1 per cento a livello nazionale): per un Paese che importa più dei tre/quarti del legno che consuma, ma che proprio nell'industria della trasformazione del legno in pannelli, mobili ed arredamenti ha uno dei suoi punti di forza nel mercato mondiale, la produzione di legno di pioppo assume un'importanza strategica;
    peraltro, la pioppicoltura praticata secondo metodi di coltivazione «sostenibile» non ha mai generato problematiche di impatto ambientale contribuendo, al contrario, al mantenimento della stabilità, fertilità e depurazione dei suoli e delle acque, di buoni livelli di biodiversità ed al conseguimento degli obiettivi sottoscritti dall'Italia con il Protocollo di Kyoto (1997), il trattato internazionale per la riduzione della C02 atmosferica, che riconosce esplicitamente il ruolo ambientale della gestione foreste e delle coltivazioni legnose;
    esaminando la filiera pioppicola italiana emerge l'importanza del pioppo per la sua valenza economica, produttiva ed ambientale. Nonostante la drastica diminuzione delle superfici coltivate a pioppo, il legname proveniente dai pioppeti coltivati continua a rappresenta oltre: un/terzo del tondo da industria di origine italiana lavorato dalle imprese operanti nella filiera legno arredo italiana;
    i dati ufficiali nazionali, infatti, stimano che la quantità legno tondo da industria, di origine italiana, sia pari a circa 2.415.000 m3, 1.138.000 dei quali di latifoglie (Fonte: elaborazioni su dati Eurostat (Romano, Cesaro, 2011). All'interno di questa categoria, il pioppo da arboricoltura da legno specializzato è stimato pari a circa 950.000 metri/cubi (FAO-ISTAT);
    nonostante il peso preponderante del legno di Pioppo sulla quota totale di legno da lavoro di origine italiana, le disponibilità attuali non sono in grado di soddisfare il fabbisogno dell'industria di trasformazione nazionale, che è costretta ad importarne notevoli quantitativi dall'Est Europa e dalla Francia, vanificando i benefici della filiera virtuosa del pioppo italiano;
    negli ultimi anni il problema della mancanza della materia prima disponibile, sta portando alcune aziende del settore a delocalizzare la produzione all'estero, dove la pioppicoltura viene maggiormente valorizzata, con la conseguente perdita di posti di lavoro in Italia sia nelle fasi della coltivazione che in quelle della trasformazione;
    emerge, pertanto, la pressante necessità di sostenere ed incentivare lo sviluppo della pioppicoltura, nell'ambito della politica di sviluppo prevista dalla nuova politica agricola comune, al fine di rendere vantaggiosa e redditizia oltre che competitiva questa forma digestione e conduzione dei terreni, ai proprietari. Infatti senza una politica di incentivi adeguati, i coltivatori preferiscono orientarsi verso colture annuali, anch'esse incentivate, ma con la differenza che l'investimento sarà per un solo anno con la certezza del reddito;
    i dati ottenuti dalle aziende del settore evidenziano che, nelle condizioni attuali, per poter rendere competitiva la coltivazione del pioppo rispetto ad altre forme di coltura nel caso peggiore all'abbandono della stessa, occorrono forme d'incentivazione in grado di sostenere i costi dell'impianto e di manutenzione oltreché di mancato reddito per un importo sufficiente a rendere concorrenziale la coltivazione del pioppeto;
    la pioppicoltura tradizionale a turno decennale è in grado di soddisfare i fabbisogni di tutta la filiera, rispetto alla superficie stimata di 50.000 ettari, è fondamentale incrementare la stessa di un valore pari a 65.000 ettari. Passando dagli attuali 50.000 ettari a 115.000 ha, si riuscirebbe a rendere autosufficiente la filiera del pioppo italiana, garantendo i benefici che questa è in grado di apportare in termini ambientali, ecologici, occupazionali ed economici per il nostro Paese;
    i benefici del rilancio della pioppicoltura nel nostro Paese sono compatibili con le esigenze richieste dall'attuale quadro delle sempre più pressanti e gravi problematiche ambientali (soprattutto in termini di dissesto idrogeologico, stabilità e depurazione del suolo e delle acque ed emissioni antropiche di gas clima alteranti o «ad effetto serra»);
    va inoltre considerato che la filiera legno-arredamento occupa circa 400.000 dipendenti a livello nazionale, pari all'8 per cento dei dipendenti del settore manifatturiero, ed interessa 75.000 imprese, pari a circa il 15 per cento sul totale nazionale. Il sistema legno-arredamento rappresenta così il terzo settore italiano per contributo alla bilancia commerciale, con un saldo attivo di circa 6 miliardi di euro;
    nel suo complesso tale sistema ha fatto registrare nel 2011 un fatturato alla produzione di oltre 32 miliardi di euro, nonostante la riduzione del 18 per cento rispetto all'anno precedente;
    la pioppicoltura italiana e l'industria di trasformazione ad essa collegata, continuano a rappresentare una delle eccellenze produttive ed ambientali del nostro Paese;
    nonostante la forte contrazione della superficie complessiva attualmente coltivata, si ritiene indispensabile valorizzare questo fondamentale bacino di fornitura di materia prima di elevata qualità;
    occorre operare nella concreta prospettiva di poter nuovamente individuare nel pioppo una materia prima strategica, promuovendone e supportandone la produzione e l'utilizzo a livello sia nazionale, che europeo; è improcrastinabile un pieno rilancio della pioppicoltura, soprattutto attraverso la massima riduzione degli ostacoli normativi e regolamentari che si frappongono alla necessaria interlocuzione diretta fra gli agricoltori/pioppicoltori e l'industria di trasformazione del pioppo;
    è necessario rilanciare i diversi settori ed invertire l'attuale tendenza, attraverso nuove strategie ed interventi con effetti strutturali e duraturi, capaci di coniugare le esigenze di tipo ambientale con quelle di tipo produttivo,

impegna il Governo:

   ad interagire, nel pieno rispetto delle proprie ed altrui competenze, con gli assessorati preposti degli enti regionali e l'autorità del bacino del fiume Po;
   ad assumere iniziative affinché si aumenti l'estensione delle aree interessate da arboricoltura da legno coltivate a pioppo dagli attuali 50.000 ettari ad una superficie di 115.000 ettari, posto che l'incremento di tale superficie, coltivata con la pioppicoltura specializzata a turno decennale, consentirebbe alla filiera di essere autosufficiente, riguardo le esigenze di materia prima, al livello attuale di produttività dell'industria nazionale del legno-arredo;
   ad incentivare la coltivazione del pioppo tradizionale nelle aree golenali e demaniali dello Stato, valorizzandone il contributo per la buona gestione delle aree stesse e il mantenimento della stabilità, fertilità e depurazione dei suoli e delle acque nonché il deflusso regolare delle acque in caso di piena dei fiumi;
   ad adoperarsi, di concerto con i diversi soggetti della filiera, per un'azione di riconoscimento degli aspetti ambientali e produttivi della pioppicoltura, favorendone il rilancio mediante un adeguato sostegno economico soprattutto in occasione della definizione di coerenti misure dei programmi di sviluppo rurale (PSR) 2014-2020;
   a prevedere l'opportunità di riconoscere le aree coltivate a pioppeto quali «aree di interesse ecologico» (o ecological focus area) e pertanto soggette a pagamenti ecologici (o greening) per il riconosciuto effetto di «carbon sink» (assorbimento della C02 da parte delle estensioni destinate a pioppeto, già esistenti e di nuova costituzione) e carbon stock (stoccaggio di C02 nei prodotti derivati del legno di pioppo, come pannelli compensati e truciolari per mobili, imballaggi ortofrutticoli).
(7-00196) «Oliverio, Antezza, Cova, Carra, Mongiello, Venittelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i dati contenuti nella relazione del Ministero dell'economia e delle finanze sul debito pubblico, inviata alla Corte dei conti all'inizio del 2013, metterebbero in evidenza l'esistenza di una potenziale perdita nei conti pubblici di almeno 8 miliardi di euro, pari ad oltre il 25 per cento degli strumenti di copertura di tassi e di cambio del debito che sono stati ristrutturati dal Ministero nel solo 2012. Si tratterebbe di derivati accesi negli anni ’90, anche per consentire anticipazioni di cassa che permisero al Governo italiano di farsi trovare pronto all'entrata in vigore della moneta unica europea;
   la lettura critica della magistratura contabile dei dati relativi alla «gestione delle passività e del rischio di tasso e di cambio» avrebbe addirittura condotto la Corte dei conti stessa ad inviare la Guardia di finanza presso la sede del Ministero con un mandato di esibizione di documenti in cerca delle confirmation letter, ovvero i contratti di stipula di quei derivati, che risalgono in buona parte agli anni ’90;
   da quanto si apprende da un articolo di «la Repubblica» del 26 giugno 2013 la relazione alla Corte dei conti spiega che le ristrutturazioni di contratti derivati sono circa una dozzina, tutte intercorse tra maggio e dicembre del 2012. Lo spirito con il quale si è ritenuto opportuno riscrivere quei contratti si collega all'esigenza delle banche specialiste in titoli di Stato (le tre principali banche italiane, le principali banche europee e le maggiori banche d'affari anglosassoni) di ridurre il rischio Italia, che altrimenti non avrebbe potuto sostenere in asta alle nuove emissioni del Ministero. Pertanto, come si evince dalla relazione, «Nel corso del primo semestre 2012 è stata portata avanti la strategia di ristrutturazione e semplificazione del portafoglio derivati, analogamente a quanto fatto nei semestri precedenti», poiché «Uno degli effetti della crisi, che ha investito sempre più anche i debiti sovrani, è stata la diffusione tra le controparti bancarie di modelli di analisi e valutazione che esprimono il rischio di default di una controparte priva di garanzia (...) ciò si traduce, per la Repubblica, in un maggior costo nell'esecuzione di una nuova operazione o di ristrutturazione di una esistente». «Rispetto alla struttura del portafoglio derivati dello stato, caratterizzato da scadenze lunghe e privo di collateralizzazione, quanto descritto ha prodotto l'affermarsi di una forte correlazione inversa (...) tra andamento del tratto a lunga della curva swap, valore di mercato del portafoglio e livello dei Cds italiani, con potenziali effetti negativi anche sul mercato primario e secondario dei titoli di Stato»;
   dai rilievi sembrerebbe emergere che la crisi ha portato le banche a presentare il conto dei vecchi derivati al Ministero, in forma di ristrutturazioni che farebbero emergere una perdita potenziale di 8 miliardi di euro a danno della finanza pubblica;
   la maggior parte delle operazioni ristrutturate riguarda interest rate swap, ovvero si tratta di derivati base, per trasformare oneri sul debito di tipo variabile in fissi, e per assicurare le casse pubbliche dal rischio di rialzo dei tassi. Si tratterebbe di una pratica normale e diffusa tra gli emittenti, tuttavia, tutti gli swap descritti sembrerebbero rinegoziati a un prezzo «off market», cioè non con una forte perdita iniziale per l'erario. Ciò deriva dal fatto che i contratti originari, poi revisionati, erano in realtà prestiti mascherati, che l'Italia è oggi costretta a rimborsare a caro prezzo;
   come ha avuto modo di sottolineare spesso la Corte dei conti, uno dei momenti di maggior criticità nell'utilizzo di strumenti finanziari è senza dubbio costituito dalla fase di rinegoziazione, sia per quanto concerne l'accentuazione del rischio nel contratto rimodulato sia per quanto attiene all'applicazione delle cosiddette commissioni implicite da parte degli intermediari negoziatori;
   per quanto risulta agli interroganti, gli strumenti derivati stipulati dalla Repubblica italiana «a copertura del debito» hanno un valore nozionale complessivo pari a circa 160 miliardi di euro a fronte di titoli in circolazione, al 31 gennaio 2012, per 1.624 miliardi. Il portafoglio degli swap del Ministero, dunque, ammonta a poco meno del 10 per cento dei titoli di Stato in essere. L'Istat ha certificato che nel 2011 queste operazioni hanno aumentato gli interessi sul debito pubblico di circa 2 miliardi di euro;
   il valore nazionale (cioè il valore della posizione di debito sottostante al derivato) pari a 160 miliardi di euro è suddiviso in circa 100 miliardi di interest rate swap, 36 miliardi di cross currency swap (sulle valute), 20 swaption e 3,5 miliardi di swap ex Infrastrutture Nel dettaglio, i 36 miliardi di swap sulle divise corrispondono «alla quasi totalità» dei bond emessi dal Ministero dell'economia e delle finanze nel corso degli anni in valuta estera (in passato gli Italy bond sono stati denominati spesso in dollari Usa, franchi svizzeri, sterline e yen);
   i derivati hanno un peso molto influente nel sistema economico mondiale: recenti dati dimostrano che la cifra lorda di tutti i derivati in circolazione nel mondo è di 637.000 miliardi di dollari, 9 volte il prodotto interno lordo dell'intero pianeta. E nel 2007, alla vigilia della crisi finanziaria, il valore dei derivati sui mercati era di 596 miliardi di dollari, rispetto ai 106.000 miliardi del 2002;
   stando a quanto pare emergere nell'ultima relazione semestrale inviata dal Ministero dell'economia e delle finanze alla Corte dei conti, una parte del portafoglio derivati (31 miliardi circa di valore nozionale su un totale di 160) sarebbe stata rimodulata, per soddisfare in parte esigenze di portafoglio delle banche controparti. Il mark-to-market dei derivati del Ministero, che sono stati fatti come protezione contro le oscillazioni dei tassi d'interesse e di cambio, riflette il valore di mercato delle posizioni in base ai tassi odierni proiettati sul futuro: nel caso di mark-to-market negativo, se il derivato venisse chiuso oggi, la controparte banca riceverebbe dal Ministero il pagamento dei flussi futuri in base ai tassi attuali;
   nel 1995 l'Italia aveva un budget deficit pari al 7,7 per cento, nel 1998 questo era sceso al 2,7 per cento, la discesa più rapida di tutte le altre economie dell'area euro a 11 Paesi. Questa discesa repentina però non appariva legata né ad un aumento massiccio delle entrate, né ad un taglio netto delle uscite. Potrebbero quindi essere stati usati contratti derivati sul debito sovrano con banche straniere per avere un anticipo in denaro e quindi migliorare i conti nel breve periodo;
   considerato altresì che in un articolo apparso il 4 febbraio 2012 su un blog de «Linkiesta» dal titolo: «Professor Monti, ci dica la verità sui derivati che abbiamo in pancia», si evidenzia che: «Secondo le stime più accurate, il Tesoro italiano ha in portafoglio circa 30 miliardi di euro in derivati. Questo fatto pone forti dubbi riguardo alla sostenibilità del debito - e infatti tutti i governi che si sono succeduti dal 1996 hanno accuratamente evitato di chiarire di quanto l'Italia sia effettivamente esposta, e se ci sia il rischio di dover pagare, nel futuro prossimo, gli investitori che decidano di liberarsene, spinti dal nuovo impianto regolatorio e dalla crisi dei debiti europei. Morgan Stanley ha recentemente ridotto la sua esposizione verso l'Italia per circa 3,4 miliardi di euro: una spesa imprevista per lo Stato che potrebbe aggirarsi attorno ai 2 miliardi. Ma nessuno ne parla. Interessantissimo articolo oggi su ifre.com, che getta luce su un importante aspetto della composizione del debito pubblico del nostro Paese – e quindi sulla sua sostenibilità. Si tratta di capire, infatti, quanti derivati possiede il Tesoro italiano nel suo portafoglio. Come riportato quasi un anno fa da Wall Street Italia, il New York Times ha sostenuto che, a partire dal 1996, l'Italia avrebbe «truccato» i propri conti utilizzando derivati grazie all'aiuto di JP Morgan. Su questo argomento tutti i governi succedutisi nel tempo hanno mantenuto uno scrupoloso silenzio (troppo scrupoloso?), anche quando, il 19 Dicembre del 2009, il Fatto Quotidiano aveva segnalato uno strano fenomeno: i tassi di interesse scendevano, ma lo Stato continuava a pagare sempre lo stesso tasso sullo stock di debito. Qualche mese fa, un articolo di Linkiesta ha articolato meglio la questione, citando i dati Eurostat, che rivelano che il Tesoro italiano ha utilizzato massicciamente i derivati, in particolare dal 1998 al 2008, utilizzando cross-currency swap e interest rate swap, ma anche cartolarizzazioni. Si tratta di strumenti largamente utilizzati da vari enti pubblici, come spiegato sempre da Linkiesta in un articolo successivo. Ciò che sappiamo dai dati Eurostat è che l'Italia ha guadagnato su questi strumenti almeno fino al 2006, anno in cui la tendenza ha iniziato ad invertirsi e le perdite hanno iniziato a materializzarsi. Per gli anni successivi non esistono dati accertati, a causa dell'assenza di informazioni provenienti da fonti ufficiali. Quanto è grande questo fenomeno oggi? E sta continuando? Quanti derivati ha in pancia il governo italiano? Queste non sono domande di poco conto. La maggior parte delle stime sostiene che i derivati del Tesoro abbiano un valore di circa 30 miliardi di euro, e molti banchieri sostengono che l'Italia sia il più grande utilizzatore sovrano di strumenti derivati. Il che non sarebbe un problema in sé, se non fosse che l'opacità informativa rischia di alimentare dubbi circa la sostenibilità di questo stock di contratti, in particolare in un momento in cui nessun Paese è bersagliato come l'Italia, con 29 miliardi di dollari di scommesse contrarie su oltre 7500 contratti di CDS, come riportato da Linkiesta già nell'Aprile scorso. La questione, insomma, è tutt'altro che irrilevante: l'articolo di IFRE prende l'esempio di Morgan Stanley, che ha recentemente ridotto la sua esposizione in swap verso l'Italia di circa 3,4 miliardi di dollari. Se questo interest rate swap fosse stato ristrutturato e assegnato a un'altra banca, allora l'Italia non sarebbe stata particolarmente toccata dalla vicenda. Ma se lo swap fosse stato chiuso – e molti ritengono sia andata così – allora l'Italia avrebbe dovuto pagare almeno 2 miliardi di euro. La European Bank Authority riporta che l'Italia è esposta per 5,1 miliardi di euro in swap verso le banche europee, e questo non include quelle statunitensi, quelle svizzere né quelle inglesi. Cosa succederebbe se gli investitori decidessero di chiudere queste posizioni, che sono peraltro più costose con il nuovo regime regolatorio? Semplice, l'Italia si troverebbe d'improvviso a dover pagare svariati miliardi di euro. Un'eventualità assolutamente infelice per i prospetti finanziari del nostro Paese e per gli investitori in titoli di stato, per lo più piccoli risparmiatori che hanno diritto di conoscere la reale esposizione italiana a questo rischio. Quindi (...) finiamola con l'opacità –:
   quale sia l'esatto ammontare dei contratti derivati sottoscritti dal Ministero dell'economia e delle finanze e quali condizioni di rischio abbiano creato per il debito pubblico;
   quali e quanti siano i contratti derivati sottoscritti dal Ministero dell'economia e delle finanze negli anni 1980-2013 e quali nel frattempo siano stati chiusi, ristrutturati o rinegoziati indicando specificatamente il relativo esborso per la casse pubbliche;
   a quale perdita prospettica possano dare luogo in caso di chiusura o di ristrutturazione;
   quali siano i promotori finanziari e le banche, nazionali ed internazionali, coinvolte nelle operazioni relative ai contratti derivati;
   se corrisponda al vero che l'Italia sia il più grande utilizzatore sovrano di strumenti derivati e quali siano le ragioni di un'opacità informativa, che rischia di alimentare dubbi circa la sostenibilità di questo stock di contratti;
   se possano essere suffragate le ipotesi già formulate dal «Der Spiegel» nel 2012 secondo cui Helmut Kohl sarebbe stato avvisato da esperti che l'Italia aveva usato contratti derivati per raggiungere i criteri imposti dalla creazione della moneta unica;
   quali iniziative si intendano adottare, anche a livello normativo, per aumentare al massimo la trasparenza in relazione agli strumenti finanziari derivati presenti nel portafoglio del Ministero. (5-01668)


   TURCO, SEGONI, DE LORENZIS, DA VILLA, MANNINO, LOREFICE, BONAFEDE, TACCONI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Co.Mi, la Cooperativa militari, comincia la sua storia nel 1976, con articolazioni locali, costruisce una palazzina a Verona, una a Trieste, una a Udine e tre a Roma, raccogliendo in totale sottoscrizioni per 210 soci;
   la Cooperativa militari (Co.Mi.) nel 1984 edificò una residenza per membri dell'esercito, in particolare la palazzina sita in Verona Via Maddalena nel quartiere «Saval»;
   nell'atto di costituzione della cooperativa veniva stabilito che essa fosse finalizzata soltanto all'edificazione di alloggi residenziali;
   pur tuttavia, in spregio allo statuto fondativo, e senza che le sedi locali nelle altre città fossero informate, la Co.Mi. di Roma oltre agli edifici residenziali ha commissionato un appalto, per la somma complessiva di 5,4 milioni, all'impresa edile Edilcervialto Srl per la costruzione di negozi, centri commerciali e parcheggi (rivelatisi abusivi), ed ha successivamente venduto i locali e quindi, di fatto, diminuito i costi di costruzione e la richiesta di mutuo;
   il pagamento del prezzo dell'appalto tuttavia ha generato un contenzioso civile nei confronti della Co.Mi., su impulso della Edilcervialto S.r.l., provocando una prima sentenza favorevole per la società stessa nel 2001, e successivamente nel 2011 un secondo provvedimento favorevole alla stessa società appaltatrice, in forza della quale la CO.MI. dovrebbe pagare 5,4 milioni di euro alla Edilcervialto S.r.l.;
   i commissari che negli anni si sono succeduti nella direzione della cooperativa, tuttavia, non ritrovando nelle disponibilità della stessa tali somme accantonate, ritengono di dover imputare uniformemente su tutti i 210 soci tali partite passive chiedendo a ciascuno di essi una somma di circa euro 25.000,00 per far fronte a tali pendenze;
   ciò ha in realtà generato una serie di conseguenze decisamente preoccupanti in quanto, ad oggi, in Verona, sugli appartamenti di 36 famiglie di militari, residenti nella palazzina edificata dalla CO.Mi. in via Maddalena numeri 4 e 6, nel quartiere «Saval», pende un pignoramento, e potrebbero finire venduti all'asta se i soci non dovessero versare ciascuno la somma indicata di euro 25.000,00;
   ciò è ancor più incredibile se si considera che si tratta di abitazioni di proprietà, poiché i soci della cooperativa le hanno comprate avendo completamente estinto il mutuo da tempo, ed anzi ciascun socio vanterebbe un credito di circa euro 10.000,00 nei confronti dell'INPS;
   la vicenda assume altresì aspetti ben più inquietanti da momento che la gestione della stessa cooperativa è stato negli ultimi anni sotto il controllo di un commissario governativo, nominato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   inoltre, con decreto del direttore generale per le politiche abitative n. U. 6192 del 20 maggio 2013 sono stati sciolti gli organi sociali della cooperativa edilizia CO.MI. di Roma e l'avvocato Roberto Mantovano veniva nominato commissario governativo per la gestione della cooperativa fino al 31 ottobre 2013;
   il citato decreto n. U. 6192 del 20 maggio 2013 disponeva che il commissario riferisse:
    in ordine all'immediato passaggio di consegne e;
    nel termine di 60 giorni, alla possibilità di ottenere il concreto versamento nella contabilità della CO.Mi. delle somme necessarie all'intero ripianamento del debito;
    consultasse ogni soggetto utile che potesse contribuire alla soluzione della vertenza ovvero;
    riferisse sull'impossibilità di conseguire tale risultato dovendosi necessariamente procedere alla liquidazione della cooperativa;
   dopo la presa d'incarico il commissario governativo redigeva la relazione del 20 luglio 2013 nella quale riferiva in ordine alle problematiche relative ai versamenti effettuati dai soci per far fronte alla posizione debitoria verso la Edilcervialto S.r.l., alla disponibilità dei soci a versare le quote richieste dal commissario per avviare una transazione finalizzata al ripianamento complessivo del debito, alla utilizzazione dei crediti da parte dell'INPS, al contenzioso in essere con i soci esclusi dal consiglio di amministrazione, ai problemi inerenti la manutenzione straordinaria di alcuni immobili e la gestione ordinaria della Cooperativa in generale;
   il commissario governativo rispondendo alla nota prot. n. U. 9805 del 1o agosto 2013, con lettera del 6 agosto 2013 rilevava, tra l'altro, che le ulteriori eventuali iniziative mirate ad ottenere dai soci il versamento di quanto necessario per soddisfare la pretesa della Edilcervialto Srl avrebbero determinato solo ulteriore contenzioso, senza ottenere liquidità sufficiente per far fronte al debito ed eliminare la situazione di insolvenza della CO.Mi.;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, quindi, preso atto della situazione di insolvenza della Società CO.MI., che permane anche a seguito delle iniziative assunte dal commissario governativo nominato con il citato decreto n. U. 6192 del 20 maggio 2013, come da relazioni del 20 luglio e 6 agosto 2013 prodotte dallo stesso commissario, ha ritenuto che, ai sensi dell'articolo 198 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, dovesse disporsi la liquidazione coatta amministrativa del sodalizio e la nomina del commissario liquidatore;
   con decreto del 18 settembre 2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 228 del 28 settembre 2013, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, infine, ha posto in liquidazione coatta amministrativa ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 2545/XVII del codice civile e 194 e seguenti del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, la cooperativa edilizia «CO.MI.» con sede in Roma Largo Luigi Tenco 13, nominando l'avvocato Roberto Mantovano, già commissario governativo uscente, commissario liquidatore;
   nell'atto costitutivo della cooperativa veniva prevista, però, una clausola sulla scorta della quale, nell'ipotesi fossero insorti contenziosi con imprese costruttrici, nelle sedi locali, gli stessi avrebbero dovuto essere affrontati e risolti solo da ciascuna delle sedi locali direttamente coinvolte, senza riflessi sulle altre unità locali;
   ciò è accaduto con l'unità locale di Udine, infatti, un contenzioso lì è insorto ed è stato però risolto in loco;
   si auspicherebbe che in forza di tale previsione statutaria il ramo romano della Co.Mi. risolvesse autonomamente tale sopravvenienza passiva che essa stessa ha causato, così come prevede lo statuto della cooperativa –:
   se e quali provvedimenti intendano adottare per ovviare alla gravissima situazione debitoria venutasi a creare in seno alla cooperativa Co.Mi. in liquidazione coatta amministrativa;
   se e quali interventi intendano attuare per sottoporre ad un approfondito controllo di gestione i passati esercizi della cooperativa onde addivenire all'individuazione dei responsabili delle attività assunte in contrasto con le previsioni statutarie della cooperativa Co.Mi. che hanno provocato il grave disavanzo;
   se e quali verifiche, per quanto di competenza, intendano promuovere per verificare l'osservanza dei principi contabili nella redazione del bilancio sociale che non evidenziava riserve iscritte a copertura della possibile soccombenza poi, concretizzatasi, relativa al contenzioso in essere con la Edilcervialto S.r.l.;
   se e quali iniziative intendano porre in essere per garantire il rispetto delle norme statutarie che impedivano la speculazione edilizia, attuata nella sede locale romana, che ha causato il grave disavanzo indicato in premessa, e che vincolano ciascuna sede locale ad affrontare e risolvere autonomamente i contenziosi con i terzi, senza causare riflessi sulle altre unità locali;
   se e quali interventi concreti di competenza ritengano di poter assumere per assicurare il rispetto delle norme di diritto in merito al principio dell'affidamento nei confronti dei soci dell'unità locale di Verona, integralmente adempienti, residenti nella palazzina sita in Verona, Via Maddalena numeri 4 e 6 nel quartiere «Saval», onde ovviare al prossimo, paventato, ingiusto pignoramento degli alloggi stessi, ovvero al pagamento di ulteriori somme. (5-01669)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ABRIGNANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la società ADR Aeroporti di Roma Spa ha presentato una «sollecitazione all'invio di manifestazioni di interesse per la selezione di un operatore a cui affidare in regime di subconcessione pluriennale, a decorrere dal 1o gennaio 2014, l'attività di progettazione, sviluppo, gestione operativa e commerciale, degli spazi pubblicitari siti negli aeroporti internazionali «Leonardo da Vinci» di Fiumicino e «Giovan Battista Pastine» di Ciampino fissando nel 5 luglio 2013 il termine ultimo per la presentazione delle domande;
   a quella data, stanti i parametri indicati che l'interrogante giudica del tutto inappropriati, nessuna azienda ha mostrato interesse;
   successivamente ADR ha avviato «trattative privata» convocando due società estere decidendo poi di affidare la subconcessione ad un operatore extraeuropeo, escludendo qualsiasi azienda italiana;
   il nuovo subconcessionario, stando alla «sollecitazione» dovrebbe subentrare all'attuale il primo gennaio 2013, vale a dire prima della scadenza contrattuale di alcuni contratti in essere;
   la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato che respinge il ricorso 4755/2012 chiarisce che ADR, pur essendo azienda privata, in quanto concessionaria di servizio pubblico è soggetta al diritto amministrativo;
   la procedura seguita rivela in modo conclamato la volontà di escludere le aziende italiane, che avrebbero anche potuto riunirsi in consorzi oppure in associazioni temporanee d'impresa, e sembra ideata ad hoc per favorire determinati soggetti esteri, lasciando dubbi in tal modo sul rispetto se non alla lettera certamente dello spirito delle leggi vigenti e della volontà del legislatore;
   ad avviso dell'interrogante l'aver escluso le aziende italiane dalla procedura rappresenta un danno d'immagine per il Paese e un danno economico visto che i profitti finiranno all'estero, oltretutto in contemporanea con un notevole aumento delle tasse aeroportuali finalizzato (sebbene siano incerti controlli e sanzioni), al discusso sviluppo dell'aeroporto di Fiumicino –:
   quali controlli l'ENAC e i Ministri interrogati abbiano svolto sulla regolarità della procedura di subconcessione della pubblicità negli aeroporti romani;
   quali tutele il Governo intenda assumere per i lavoratori direttamente o indirettamente facenti capo all'attuale subconcessionaria della pubblicità e che perderanno il posto di lavoro;
   quali iniziative normative il Governo intenda proporre per evitare che le cosiddette privatizzazioni si trasformino in predazioni di beni pubblici trasferendo di fatto il regime monopolistico dallo Stato a gruppi familiari facoltosi che hanno dimostrato di avere come esclusivo obbiettivo il proprio profitto, anche a scapito dell'impoverimento di migliaia di cittadini/lavoratori, della devastazione ambientale e del rispetto sostanziale dell'ordinamento giuridico evitando che esso sia eluso o violato nella completa impunità. (4-02846)


   MANNINO, CATALANO, BALDASSARRE, DE LORENZIS, TOFALO, GRILLO, TERZONI, LOREFICE, COLONNESE, D'INCÀ e DE ROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 1999, la dichiarazione dello stato di emergenza nella regione siciliana in ordine alla situazione di crisi determinatasi nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi è stata estesa alle problematiche socio-economiche ed ambientali connesse al sistema dei rifiuti speciali, pericolosi e in materia di bonifica e risanamento ambientali;
   con successive proroghe, lo stato di emergenza in materia di bonifica e di risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati – oltre che in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cigli di depurazione – e la connessa gestione commissariale curata dai presidenti della regione in qualità di commissari delegati si sono protratti sino al 31 dicembre 2012;
   il decreto-legge del 15 maggio 2012, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2012, n. 100 – con il quale è stata sancito un limite temporale stringente, e non derogabile, rispetto alla possibilità di procedere alla proroga ovvero al rinnovo di una dichiarazione dello stato di emergenza, come è accaduto in Sicilia dal 16 dicembre 1999 fino al 31 dicembre 2012 – detta le norme da osservare per procedere a una regolare e ordinata transizione dal regime commissariale a quello ordinario;
   in conformità con le richiamate disposizioni contenute nel decreto-legge n. 59 del 2012, il capo dipartimento della protezione civile ha emanato un'apposita ordinanza di protezione civile, la n. 44 del 29 gennaio 2013, con la quale sono state disciplinate le modalità attraverso le quali la regione siciliana è subentrata al presidente della stessa regione, quale commissario delegato, nel coordinamento delle attività necessarie al completamento degli interventi da eseguirsi in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati;
   dalla lettura della «Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell'attuazione degli interventi e i profili di illegalità» approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti in data 12 dicembre 2012 emerge un quadro particolarmente critico, e dunque drammatico, dei risultati conseguiti dalle gestioni commissariali che si sono susseguite nell'ultimo decennio con specifico riferimento al sito di interesse nazionale di Gela;
   dal quadro aggiornato al mese di marzo 2012 fornito alla Commissione dalla struttura commissariale risulta, infatti, quanto segue:
    a) rispetto alla caratterizzazione dell'area marino-costiera, i risultati della fase prioritaria sono stati trasmessi al commissario delegato l'8 settembre 2008, le attività sono state oggetto di collaudo nel mese di dicembre 2011, ma «non vi sono allo stato informazioni in merito alla fase di completamento delle indagini di caratterizzazione»;
    b) rispetto alla discarica idrocarburi Biviere di Gela, l'intervento che prevede la realizzazione di indagini indirette di tipo geofisico, indagini geotecniche in situ, realizzazione di sondaggi per il prelievo di campioni di terreno e la realizzazione di piezometri per le analisi di acqua di falda, è stato approvato nel mese di aprile 2010, e i lavori, propedeutici alla definizione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza (MISE), sono iniziati nel novembre 2011;
    c) rispetto al piano di caratterizzazione ambientale del sito «Biviere di Gela» approvato nel luglio del 2009, l'intervento operativo che prevede l'esecuzione di sondaggi, il prelievo di campioni e l'esecuzione delle analisi sugli stessi campioni è stato approvato nel 2010, e i lavori sono in corso di esecuzione;
    d) rispetto al piano di caratterizzazione ambientale del sito «Discarica Cipolla, Piana del Signore», l'intervento finanziato con due successive ordinanze nel 2009 e nel 2011 è in corso di esecuzione;
    e) rispetto alla messa in sicurezza d'emergenza (MISE) della «Discarica Cipolla» in contrada Marabusca, i lavori, affidati in esecuzione nel 2011, sono in corso di esecuzione;
    f) rispetto al piano di caratterizzazione ambientale dei sedimenti dei fiumi Gela e Dirillo, del torrente Gattano e del canale Valle Priolo, finanziato nel 2008, è stata redatta ed approvata la valutazione di incidenza, con conclusione prevista nel febbraio 2012;
   nella stessa relazione, sono state riportate le informazioni trasmesse dalla procura della Repubblica di Gela l'11 giugno 2012, dalle quali risultava che:
    a) per quanto riguarda il progetto definitivo di bonifica con misure di sicurezza della vasca A zona 2 dell'area della vecchia discarica controllata dalla Raffineria di Gela s.p.a., approvato nel dicembre del 2004, i lavori previsti sono ancora in corso, il target raggiunto è lo svuotamento della vasca dal rifiuto palabile e sono in corso varianti al progetto relativamente al trattamento dei terreni contaminati al bordo e al fondo della stessa vasca;
    b) relativamente alla stessa bonifica con misure di sicurezza della vasca A zona 2, si sono concluse le indagini preliminari con la contestazione di diverse ipotesi di reato per gravi fatti di inquinamento da sostanze pericolose classificate tossico-nocive (H7-H14) «causati da ingiustificati gravi ritardi nell'esecuzione dei lavori di bonifica e messa in sicurezza della vasca A zona 2 dell'area della vecchia discarica controllata della raffineria di Gela»;
    c) per quanto riguarda il progetto definitivo di bonifica delle acque di falda dello stabilimento multisocietario di Gela e il progetto definitivo di bonifica delle acque di falda relativo all'impianto di trattamento acque di falda, alle bonifiche delle aree Syndial e Isaf, approvato nel dicembre del 2004, sono in corso accertamenti relativi all'effettiva funzionalità delle misure adottate per la bonifica della falda e al funzionamento delle barriere idrauliche e fisiche poste a protezione dell'ambiente marino, rispetto alle quali, durante gli accertamenti, sono stati rilevate delle criticità;
    d) per quanto riguarda il progetto definitivo di bonifica per la messa in sicurezza permanente della discarica fosfogessi, approvato nell'agosto del 2009, i lavori di capping sono stati ultimati e gli impianti di trattamento del percolato sono stati potenziati dopo l'intervento della procura della Repubblica di Gela;
    e) relativamente alla stessa bonifica per la messa in sicurezza permanente della discarica Fosfogessi, sono in via di definizione gli accertamenti relativi all'inquinamento causato del riversamento del percolato nelle aree adiacenti e circostanti alla discarica;
    f) per quanto riguarda i progetti operativi di bonifica dell'area nuova unità recupero zolfo 2, dell'area steam reforming, dell'Area novi serbatoi S-111 e S-112 presentati dalla Raffineria di Gela S.p.A. presentati dalla Raffineria di Gela S.p.A. e approvati nel febbraio del 2010, la corretta applicazione delle prescrizioni previste dal progetto è costantemente monitorata;
    g) per quanto riguarda gli interventi di bonifica delle discariche abusive di rifiuti «non può che registrarsi, quando non siano identificati i responsabili, la pressoché totale assenza e/o estrema difficoltà ad intervenire da parte degli enti territoriali»;
   nelle considerazioni finali della «Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell'attuazione degli interventi e i profili di illegalità» sull'esperienza siciliana in materia di bonifiche, è stato riportato il seguente giudizio: «è la prova lampante dell'assoluta inettitudine delle strutture commissariali ad affrontare le problematiche connesse alla bonifica dei siti inquinanti e, in generale, all'ambiente. Il territorio rientrante nel SIN di Gela è ben lontano dall'essere bonificato e la magistratura sta svolgendo un attento lavoro finalizzato alla verifica della liceità delle condotte tenute dagli enti interessati alla bonifica medesima» –:
   nelle stesse considerazioni finali della relazione si segnala l'esistenza di una situazione sanitaria molto preoccupante, riportando che Progetto SENTIERI (studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) per il sito di Gela ha evidenziato «un eccesso di tumori polmonari sia tra gli uomini sia tra le donne; tra gli uomini sono in eccesso anche il tumore dello stomaco e l'asma; tra le donne il tumore del colon-retto e l'asma»;
   la relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, e le iniziative della procura della Repubblica di Gela, richiamate in premessa, evidenziano a giudizio degli interroganti la totale inadeguatezza della presidenza della regione siciliana, in qualità di commissario delegato, ad assicurare sia un effettivo controllo sull'efficacia e sulla regolare esecuzione degli interventi a carico dei soggetti privati, sia una tempestiva realizzazione delle attività di bonifica delle aree comprese all'interno del perimetro del sito di interesse nazionale, non riferibili a soggetti privati;
   con l'ordinanza del capo dipartimento protezione civile n. 44 del 29 gennaio 2013, la gestione commissariale dell'emergenza affidata, fino al 31 dicembre 2012, al presidente della regione siciliana è stata sostituita con una gestione ordinaria della stessa problematica e delle stesse attività, da parte della regione siciliana, e dunque da parte della stessa struttura amministrativa chiamata, negli ultimi anni, a supportare l'attività del commissario delegato;
   la stessa ordinanza n. 44 del 2013 fa, comunque, salvi gli obblighi di rendicontazione stabiliti dalla legge n. 225 del 1992 ma il rendiconto relativo allo stato di emergenza in questione, contrariamente a quanto stabilito dall'articolo 5, comma 5-bis della stessa legge n. 225 del 1992, non risulta pubblicato nel sito internet del dipartimento della protezione civile;
   la stessa ordinanza n. 44 del 2013, pur prevedendo la trasmissione al dipartimento della protezione civile di una relazione sullo stato di avanzamento delle attività condotte per l'attuazione degli interventi finalizzati al definitivo superamento delle situazione di criticità in materia di bonifica e risanamento dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, non introduce un meccanismo, attivabile da parte dello stesso dipartimento della protezione civile nel caso in cui la prevista relazione non pervenga nei termini previsti, ovvero evidenzi il protrarsi, nel tempo, della gravissima situazione ambientale in essere, e l'oggettiva incapacità/inadeguatezza della regione siciliana ad assicurare una tempestiva e regolare realizzazione degli interventi necessari –:
   se il presidente della regione siciliana, in qualità di commissario delegato pro tempore – successivamente all'adozione della citata ordinanza n. 44 del 2013 – abbia inviato al dipartimento della protezione civile una relazione sulle attività svolte contenente l'elenco dei provvedimenti adottati, degli interventi conclusi e delle attività ancora in corso con relativo quadro economico;
   se lo stesso presidente della regione siciliana in qualità di commissario delegato abbia provveduto, con i tempi e le modalità stabiliti dalla legge n. 25 del 1992, a predisporre e a trasmettere il rendiconto di tutte le entrate e di tutte le spese riguardanti l'intervento delegato;
   se il direttore generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti dell'assessorato dell'energia e dei servizi di pubblica utilità della regione siciliana abbia trasmesso al dipartimento della protezione civile la relazione semestrale sullo stato di avanzamento delle attività condotte per l'attuazione degli interventi di cui all'ordinanza del capo dipartimento protezione civile n. 44/2013 con il relativo quadro economico e se non ritenga, necessario assumere iniziative normative per stabilire che il subentro della regione siciliana nelle iniziative finalizzate al superamento della situazione di criticità in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, preveda anche un controllo di efficacia, efficienza ed adeguatezza rispetto all'azione della regione siciliana, e non escluda – ove detto controllo dia un esito insoddisfacente – la possibilità di esercitare i poteri sostitutivi nelle forme previste dall'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. (4-02858)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   AMODDIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è oramai acclarata la presenza nelle aree pubbliche del sito di bonifica di interesse nazionale di «Priolo», di elevati livelli di contaminazione nei suoli, nella falda e nell'area marina;
   nell'accordo di programma sottoscritto nel mese di novembre 2008 tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il commissario delegato per l'emergenza bonifiche e la tutela delle acque della regione Sicilia, la regione Sicilia, la provincia di Siracusa, il comune di Siracusa, il comune di Priolo Gargallo, il comune di Augusta, il comune di Melilli, l'autorità portuale di Augusta e il consorzio della provincia di Siracusa per la zona sud dell'area di sviluppo industriale della Sicilia orientale erano previsti: 1) la messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda; 2) la bonifica dei suoli e delle falde delle aree pubbliche; 3) la bonifica degli arenili e dei sedimenti delle aree portuali e marino costiere; 4) la messa in sicurezza e bonifica dei suoli e delle falde delle aree private, in sostituzione e in danno dei soggetti obbligati inadempienti;
   il citato accordo di programma è stato integrato nel mese di marzo 2009;
   l'ammontare complessivo delle attività di bonifica era stimato nell'accordo di programma in euro 774.500.000,00;
   la Corte di giustizia nella sentenza del 9 marzo 2010 causa C-378/08 punto 56, ha statuito che in ipotesi di inquinamento ambientale come quello in esame, a carattere diffuso, la normativa di uno Stato membro può prevedere che l'autorità competente abbia facoltà di imporre misure di riparazione del danno ambientale presumendo l'esistenza di un nesso di causalità tra l'inquinamento accertato e le attività del singolo o dei diversi operatori, e ciò in base alla vicinanza degli impianti di questi ultimi con il menzionato inquinamento;
   il tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania n. 21/7/2012 ha statuito che: a) «in presenza di una situazione di contaminazione estesa come nel caso di specie, in relazione alla quale non è facile distinguere l'apporto individuale di ciascun operatore nella causazione del danno ambientale, anche in considerazione dell'ampio periodo di utilizzo produttivo del sito industriale durante il quale all'interno del sito stesso si sono avvicendati numerosi operatori, risultano soddisfatti, ad avviso del Collegio i presupposti indicati dalla Corte per l'accertamento presuntivo del nesso causale, vale a dire la vicinanza degli impianti e l'identità tra le sostanze rinvenute nelle matrici ambientali contaminate e quelle trattate, prodotte o stoccate, o comunque utilizzate dalle aziende»; b) «queste ultime, a loro volta, non hanno confutato incontrovertibilmente tale presunzione, poiché né la dimostrazione che l'inquinamento è risalente nel tempo (e sarebbe addebitabile alla Montedison ed alla marina civile e militare), né “la mancanza di correlazioni dirette tra le situazioni di contaminazione rilevate a mare ed a terra” come esposta nella relazione di C.T.U. (che ha specificato sul punto le incertezze del metodo di indagine, attesa la carenza di “una piezometria generale estesa all'intera area di intervento, che avrebbe fornito una serie di utili indicazioni sulle caratteristiche del deflusso idrico sotterraneo” e la mancanza, nella documentazione a disposizione dei periti, di informazioni idonee a comprendere i complessi meccanismi che governano il trasferimento dell'inquinante dal suolo alla falda, e da questa, eventualmente, al mare ed ai sedimenti — pagina 243) sono in grado, di per sé, di escludere che gli operatori attuali esercenti attività inquinanti abbiano contribuito alla contaminazione»; c) «la stessa C.T.U. disposta dalla Sezione riconduce le sorgenti inquinanti alle attività industriali presenti nel sito ed individua tra le dette fonti di inquinamento anche gli sversamenti diretti a mare, l'ultimo dei quali verificatosi a novembre 2008 (pagina 240 — la C.T.U. è stata depositata a febbraio 2009)»;
   risulta quindi accertata la riconducibilità delle sorgenti inquinanti alle attività industriali presenti nel sito –:
   se e quali atti abbia adottato il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nei confronti delle aziende per le quali sia stata accertata la riconducibilità delle sorgenti inquinanti alle attività industriali presenti nel sito, per recuperare i costi sostenuti dall'amministrazione per le attività di caratterizzazione, di progettazione e di esecuzione della bonifica dell'area SIN di Priolo, per imporre alle stesse il ripristino ambientale;
   se e quali atti abbia adottato il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nei confronti delle aziende per le quali è stata accertata la riconducibilità delle sorgenti inquinanti alle attività industriali presenti nel sito, per avviare l'azione risarcitoria in forma specifica o per equivalente prevista dall'articolo 311 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   quali immediati interventi intenda adottare in relazione a quanto rappresentato in premessa. (3-00504)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a Brescia l'inquinamento atmosferico fa più vittime degli incidenti stradali, la leonessa d'Italia ha infatti il triste e preoccupante primato di essere la città della Lombardia con l'aria più inquinata: secondo fonti di stampa, nel mese di ottobre 2013 con ben 55 giorni di aria malsana, ovvero con il livello di polveri sottili oltre il limite consentito, Brescia si è collocata al primo posto, ha superato una metropoli come Milano (50 giorni), e poi Monza (46 giorni), Bergamo e Lodi (45 giorni), Pavia (44 giorni), Mantova (41 giorni) e Pavia e Cremona (40 giorni);
   questi dati si rifanno ai rilevamenti delle centraline Arpa secondo i quali la regione Lombardia è in una situazione critica rispetto all'inquinamento atmosferico, nonostante le frequenti piogge che hanno caratterizzato il 2013: ad eccezione di Lecco, Como e Varese, già all'inizio della stagione dello smog, tutti i capoluoghi avevano abbondantemente superato il limite di 35 giorni l'anno con i livelli già oltre la soglia massima consentita di 50 mg di PM10;
   la pianura padana è stabilmente tra le cinque regioni più inquinate del pianeta: addirittura nel gennaio 2011 nelle città di Milano, Brescia, Verona, Padova, Treviso e Ferrara, l'inquinamento è stato così consistente da produrre un fenomeno di «neve chimica», ovvero una particolare forma di pioggia di ghiaccio causata dalla presenza massiccia di particolato nell'aria;
   il nostro Paese, e la Lombardia in particolare, ha in media più chilometri di autostrade che il resto d'Europa, mentre risulta nettamente arretrato nel settore delle reti ferroviarie, metropolitane e del servizio di trasporto pubblico in genere;
   l'inquinamento atmosferico nuoce all'ambiente e alla salute umana e, nelle zone più inquinate, riduce in media di due anni l'aspettativa di vita: secondo gli esiti di una ricerca condotta su 300 mila persone in 9 Paesi europei seguite nel corso di ben tredici anni, pubblicati dalla rivista Lancet Oncology, la presenza dei biossidi d'azoto, dell'ozono e degli idrocarburi volatili, presenti nell'aria delle città, fa aumentare drammaticamente il rischio di cancro polmonare, per non parlare delle pericolosissime polveri cosiddette ultra-fini, di cui si sa che incidono pesantemente anche su infarti e aritmie, ma di cui in effetti si conosce ancora troppo poco;
   l'Unione europea stima che l'aria avvelenata è causa di circa 500 mila morti premature ogni anno;
   nel 2011, in provincia di Brescia, i tumori infantili sono cresciuti dell'8 per cento rispetto all'anno precedente, nel bresciano si registrano ogni anno 25/30 nuovi casi e ad aumentare sono soprattutto i carcinomi nel primo anno di età, dato che conferma il rapporto tra tumore e inquinamento ambientale; l'aria respirata, con le polveri sottili continuamente fuori norma, sta facendo crescere in modo esponenziale anche il numero di bambini che presentano malattie allergiche e respiratorie;
   l'Associazione genitori antismog di Milano nel marzo 2013 ha promosso una petizione alla Commissione e al Parlamento europeo in cui si chiedeva di riaffermare il diritto dei cittadini italiani a respirare aria pulita e a promuovere una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per la violazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa, recepita con il decreto legislativo 13 agosto 2010 n. 155, come modificato dal decreto legislativo 24 dicembre 2012, n. 250, perseguendo l'obiettivo di cui all'articolo 1, lettera d), sull'esigenza di «mantenere la qualità dell'aria ambiente, laddove buona, e migliorarla negli altri casi»;
   con sentenza del 19 dicembre 2012 (causa C-68/11) la Corte di giustizia dell'Unione europea ha rilevato che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti avendo omesso di provvedere affinché le concentrazioni di PM10 nell'aria ambiente non superassero i valori limiti fissati dalla normativa dell'Unione europea sulla qualità dell'aria; questa sentenza riguarda 55 zone e agglomerati, dell'Italia dove l'aria è tra le più inquinate d'Europa;
   nel mese di gennaio 2013 la Commissione europea ha inviato una nuova lettera al Governo italiano, chiedendo di mettersi in regola con le norme europee sulla qualità dell'aria, visto che il nostro Paese viola costantemente quanto previsto dalla direttiva europea sulla qualità dell'aria e, infatti, in Lombardia si ritiene che i limiti previsti per PM10 e N02 non saranno rispettati per il 2015 e nemmeno per il 2020 –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti e non intendano verificare, per quanto di competenza, la situazione ambientale del territorio di Brescia per quanto riguarda la qualità dell'aria e la potenziale relazione tra agenti inquinanti dell'atmosfera e incidenza di malattie tumorali per fare luce sull'impatto delle contaminazioni sulla salute delle popolazioni residenti;
   quali siano le ragioni per le quali il Governo non abbia ancora provveduto a mettersi in regola con la normativa comunitaria in materia di qualità dell'aria e se non intenda avviare tutte le iniziative di propria competenza in questa direzione;
   se non si consideri necessario individuare una sede di confronto istituzionale tra il Ministero, gli enti territoriali e le associazioni portatrici degli interessi diffusi delle popolazioni coinvolte, con particolare riferimento al punto di vista della comunità scientifica, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti legati all'impatto sulla salute dell'inquinamento atmosferico;
   se non si intendano assumere iniziative normative per consentire per i comuni in condizioni di vera emergenza per i livelli di inquinamento dell'aria, l'allentamento del patto di stabilità, indispensabile con riferimento esclusivamente ai capitoli relativi alla realizzazione degli interventi necessari in ambito ambientale a monitorare la situazione, verificarne le cause e attuare una serie di azioni necessarie per migliorare la qualità dell'aria, come l'implementazione e l'ottimizzazione del trasporto pubblico. (4-02850)


   CATALANO, DA VILLA, LOREFICE e SEGONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il polo chimico dell'area cosiddetta dell'ex Montedison figura nell'elenco dei siti contaminati sul territorio lombardo per «sversamenti e scarico abusivo di rifiuti nel suolo e nel sottosuolo»;
   la zona della valle dell'Olona al suo interno presenta quindi forti criticità in termini di inquinamento delle falde acquifere, dell'aria e del suolo;
   in particolare, le acque del fiume Olona sono caratterizzate da un'alta concentrazione di liquami e rifiuti industriali: risulterebbe agli interroganti che le industrie oltrepasserebbero i relativi limiti per lo scarico fissati per legge grazie a deroghe concesse dalla provincia di Varese;
   il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), anche in recepimento della direttiva quadro 2000/60/CE in materia di acque, norma la classificazione dello stato ecologico dei corpi idrici (già stato ecologico dei corsi d'acqua – SECA – ex decreto legislativo n. 152 del 1999) e pone i traguardi e gli obiettivi di tutela delle acque per il territorio nazionale;
   il risanamento del bacino idrico del fiume Olona, e dell'intera area in questione, è fondamentale per la tutela della salute dei cittadini, lo sviluppo economico, imprenditoriale, agricolo e sociale;
   l'Olona è inserito nella rete di monitoraggio operativo per i corpi idrici a rischio e l'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente ha classificato il suo stato ecologico come «pessimo»;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 febbraio 2013 «Approvazione del Piano di gestione del distretto idrografico Padano» ha stabilito le date del 21 dicembre 2008 come termine ultimo per il raggiungimento dello stato «sufficiente» e del 2027 per il raggiungimento dello stato «buono»;
   la Commissione europea, in forza dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ha aperto nei confronti dell'Italia la procedura di infrazione n. 2009/2034 per l'applicazione degli articoli 3, 4, 5 e 10 della direttiva del Consiglio 91/271/CEE, del 21 maggio 1991, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, ai cui obblighi avrebbe dovuto ottemperare entro il 31 dicembre 1998;
   è necessario conseguire la classificazione di corpo idrico «buono» entro il 2027, anche in considerazione della procedura di infrazione in itinere;
   la commissione regionale Lombardia per la valutazione di impatto ambientale ha espresso parere sfavorevole in ordine alla compatibilità ambientale del «progetto di impianto di trattamento chimico, fisico e biologico di rifiuti speciali liquidi pericolosi e non pericolosi» proposto dalla società Eicon Italy S.r.l. nel comune di Castellanza –:
   se non intenda assumere ogni iniziativa di competenza, in collaborazione con gli enti territoriali interessati, ai fini dell'adempimento degli obblighi contenuti nella direttiva succitata. (4-02855)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA, DIENI, NESCI e BARBANTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il sito archeologico di Kaulonia, colonia della Magna Grecia, sorge nei pressi di Punta Stilo, nel territorio del comune di Monasterace, in provincia di Reggio Calabria;
   fondata da coloni achei intorno all'VIII secolo a.C., così come attestato dal ritrovamento di protokotylai e kotylai Aetos 666. La colonia raggiunse il suo massimo splendore nel corso del VI secolo a.C., sotto influenza della città di Kroton;
   il centro urbano principale a livello del mare, era cinto da mura ed era provvisto di area sacra caratterizzata dalla presenza di un tempio dorico, di cui oggi restano visibili le fondamenta. Alla realizzazione del tempio parteciparono persino maestranze provenienti da Siracusa, come dimostrato dall'alta qualità di calcare siceliota utilizzato nelle strutture. Antistante al tempio, e dunque all'area sacra, si trovava il centro abitato; oggi l'area è coperta dal mare, fenomeno che testimonia la progressiva erosione della costa;
   l'area di scavo, attualmente si estende tra il mar Ionio ad est e la ferrovia Taranto-Reggio Calabria ad ovest, mentre a nord è delimitata dal torrente Assi e l'area di casamatta a sud. Durante gli scavi del 2003 sono stati riportati alla luce i resti della cosiddetta «Casa del Personaggio Grotesco» ed una strada di 6,65 metri; databili tra il VII ed il IV secolo a.C.. di III secolo a.C. sono invece i resti di un ampio edificio, il cui perimetro non può essere stabilito in quanto sottostante all'attuale strada statale 106;
   la vita del sito è attestata ancora fino al VI-VII secolo d.C. dai ritrovamenti di una necropoli. Nel 2013 il professor Francesco A. Cuteri e la sua équipe riportarono alla luce un mosaico pavimentale di circa 35 metri quadrati, un mosaico policromo si articola in 9 quadrati e una rosetta posta in corrispondenza dell'ingresso dell'ambiente. La datazione del mosaico, al momento il più grande dell'Italia meridionale è da ritrovarsi intorno al IV secolo a.C., e doveva decorare il piano di calpestio di uno degli ambienti del complesso termale. È sempre nel 2013 che durante la sistemazione di alcuni materiali provenienti dagli scavi viene ritrovata una tavoletta bronzea databile al V secolo a.C. in alfabeto acheo composta di ben 18 linee, ad oggi il più lungo testo mai ritrovato in Magna Grecia;
   in concomitanza con la mareggiata che ha investito la costa ionica calabrese tra i giorni 1 e 2 dicembre 2013, la Soprintendenza per i beni archeologici della Calabria, in data 2 dicembre, ha constatato l'aggravarsi dell'erosione del litorale prospiciente il Parco archeologico dell'antica Kaulonia, odierna Monasterace Marina, in particolare nelle zone del tempio dorico e del complesso termale ellenistico, il cui famoso mosaico rende unico il sito di Monasterace nell'Italia meridionale;
   nella stessa giornata, la Soprintendenza ha chiesto alla professoressa Maria Pia Bernasconi del Dipartimento di ecologia, biologia e scienza della terra dell'università della Calabria, che in precedenza si è occupata dello studio geologico dell'antica Kauloh e di altri siti magnogreci costieri calabresi, di eseguire un sopralluogo per valutare i danni arrecati dall'evento di burrasca e per proporre eventuali rimedi d'emergenza;
   l'esperto, lo stesso 2 dicembre 2013; ha eseguito il sopralluogo richiesto, e contestualmente, ha redatto una relazione inviata alla Soprintendenza e al commissario del comune, nella quale si conferma la gravità della situazione e si rileva che l'erosione si è manifestata con il distacco di una parte del deposito terrazzato che ha lasciato un sottile diaframma di terreno tra i resti archeologici ed il mare; anche più a nord, in particolare tra l'area del tempio e la casamatta si sono rilevati altre frane molto gravi; pertanto il protrarsi della mareggiata, o un'altra successiva potrebbe comportare la perdita dell'area termale;
   infine, la professoressa Bernasconi suggerisce un primo intervento, in emergenza, con la messa in posto di grossi blocchi a ridosso del deposito terrazzato su cui insiste l'antico insediamento, nel tratto compreso tra la casamatta ed il tempio dorico;
   per quanto sopra esposto e considerando che si è solo all'inizio della stagione invernale, durante la quale episodi di forti mareggiate possono facilmente ripetersi, a parere degli interroganti, sarebbe necessario l'accoglimento della richiesta a salvaguardia di un patrimonio storico-culturale di rilevante importanza;
   il sindaco di Monasterace Maria Carmela Lanzettain, in data 3 dicembre 2013, lancia un appello al Ministero dei beni culturali e del turismo, alla prefettura di Reggio Calabria, alla regione Calabria assessorato ai beni culturali, alla provincia di Reggio Calabria assessorato ai beni culturali, per segnalare con urgenza che l'area archeologica sta franando sotto i colpi delle fortissime piogge e delle mareggiate, con lo scivolamento a mare dell'area del tempio e dell'abitato, proprio nel momento in cui sono stati portati alla luce importanti scoperte grazie alla campagna scavi che, da quindici anni, stanno conducendo la Normale e l'Università di Pisa, il gruppo di archeologi guidati sul campo dal professor Francesco Cuteri e l'università di Firenze. Nell'appello è stato detto che la provincia di Reggio Calabria dispone di un finanziamento di circa euro 2.000.000 (duemilionieuro) proprio per la protezione dell'area archeologica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se non ritenga opportuno intervenire con estrema urgenza affinché sia salvaguardato un patrimonio storico-culturale di rilevante importanza;
   se risulti la motivazione per la quale non vengano spesi i due milioni di euro per la protezione dell'area archeologica e cosa intenda fare affinché sia protetta e valorizzata l'area archeologica di cui in premessa, nel rispetto dell'articolo 9 della Costituzione italiana. (4-02848)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   con una nota recentemente diffusa, l'agenzia statunitense Standard & Poor's ha comunicato la propria decisione di mettere sotto osservazione, il merito di credito del gruppo assicurativo italiano Generali assieme ad altre otto compagnie di assicurazione in Europa e Africa;
   la comunicazione di Standard & Poor's appare sostanzialmente neutra: l'agenzia precisa infatti che il 19 novembre 2013 ha proceduto a una rivisitazione dei criteri utilizzati ai fini della valutazione del giudizio del merito del credito delle società e di aver pertanto avviato degli stress test legati alla nuova metodologia. A seguito di questo aggiornamento della metodologia di assegnazione del giudizio di rating, alcune compagnie assicurative sono state pertanto poste sotto osservazione;
   tra i nuovi parametri di valutazione adottati da Standard & Poor's è stata esaminata l'esposizione delle società al suddetto Paese, inclusa quella verso il debito sovrano degli Stati. Tali nuovi parametri si applicano a tutte le società alle quali è stato attributo un rating superiore a quello del proprio Paese di appartenenza, nel caso in cui abbiano un'esposizione complessiva a tale Paese pari o superiore al 25 per cento del totale investimenti, o anche inferiore, nei casi in cui l'agenzia ritenga che la società possa non superare lo stress test –:
   il superamento degli stress test è legato alla capacità di reazione delle imprese ad un eventuale default del Paese di riferimento, e, relativamente al settore assicurativo, alla dotazione di capitale sufficiente a superare il default. L'esito negativo degli stress test comporterebbe il declassamento del rating della società al livello di quello del Paese di appartenenza;
   nonostante la parvenza di oggettività l'esito della comunicazione di Standard & Poor's ha implicazioni negative per Generali, in quanto va ad incidere sulla sua credibilità sui mercati; correttamente il Presidente della commissione finanze del Senato, senatore Mucchetti ha osservato che «si tratta di una manovra gravissima, perché ingiustificata, contro la prima compagnia assicurativa del Paese, ma anche e soprattutto contro la Repubblica italiana; in tal senso il sottosegretario allo sviluppo economico, senatore Simona Vicari, ha osservato che si registra «...un attacco ingiustificato al principale gruppo assicurativo italiano...»;
   il gruppo Generali è il primo operatore assicurativo italiano ed è uno dei più importanti investitori istituzionali del Paese, con circa 55 miliardi di euro di titoli di Stato italiani nel proprio portafoglio di investimenti; l'amministratore delegato del gruppo, a seguito della nota di S&P ha osservato che essa perviene «proprio ora che l'Italia sta uscendo dalla crisi, lo spread è sceso ai minimi degli ultimi anni e il Pil ricomincia a salire e proprio quando Generali non ha più problemi di capitale e ha ottenuto negli ultimi nove mesi il risultato più alto degli ultimi cinque anni...»; un eventuale declassamento comporterebbe per il gruppo un forte svantaggio competitivo nei confronti dei principali competitor europei, legato a fattori esogeni alla gestione delle proprie attività, con possibili riflessi occupazionali, in un contesto globale di crisi economica;
   l'abbassamento del rating di un operatore di primo piano anche sulla scena internazionale avrebbe gravi conseguenze su tutto il sistema Paese, causando inevitabilmente una perdita di fiducia da parte degli investitori istituzionali italiani ed esteri, con ripercussioni sulla capacità di finanziamento del debito pubblico attraverso il collocamento di titoli di Stato;
   in considerazione degli effetti «impropri» che le valutazioni delle agenzie di rating hanno avuto sulla fiducia degli investitori internazionali riguardo il debito sovrano degli Stati e sulla solidità delle più importanti istituzioni finanziarie ed assicurative, la Unione europea è intervenuta più volte nella materia;
   la direttiva 2013/14/CE impone agli investitori istituzionali l'obbligo di non affidarsi esclusivamente o meccanicamente ai rating del credito o di non utilizzarli come unico parametro ai fini della valutazione del rischio insito negli investimenti da essi realizzati;
   l'articolo 4 del disegno di legge di delegazione europea 2013 presentato il 22 novembre (AC 1836), reca i princìpi e i criteri direttivi specifici per il recepimento della nuova disciplina europea in materia di agenzie di rating del credito, contenuta nella citata direttiva 2013/14/UE e nel regolamento (UE) n. 462/2013: il legislatore, all'atto del recepimento, dovrà introdurre strumenti per ridurre l'affidamento esclusivo o meccanico ai rating emessi da tali agenzie, garantendo un appropriato grado di protezione dell'investitore e di tutela della stabilità finanziaria;
   in tal senso la Consob, la Banca d'Italia e l'IVASS in data 22 luglio 2013, hanno chiarito con apposito comunicato congiunto, che esplicita taluni obblighi di comportamento già esistenti, che i gestori collettivi devono limitare «l'utilizzo esclusivo o meccanicistico dei giudizi di rating nelle decisioni di investimento e disinvestimento»;
   in un articolo pubblicato il 3 dicembre dal Wall Street Journal, si dà conto del fatto che in un rapporto pubblicato il 2 dicembre, l'European Securities and Markets Authority (Esma), (cioè l'Autorità di vigilanza finanziaria dell'Unione europea), ha riscontrato vizi nelle modalità con cui le tre maggiori agenzie di rating Moody's, Standard and Poor's e Fitch, valutano i titoli di Stato dei Paesi dell'Unione, ponendo seri dubbi circa l'indipendenza e l'accuratezza delle tre agenzie. L'Esma avrebbe minacciato di reagire alle presunte irregolarità ricorrendo a severi provvedimenti esecutivi, che includono sanzioni pecuniarie e addirittura la revoca della licenza –:
   quali iniziative i Ministri interpellati intendano adottare al fine di tutelare il sistema economico-finanziario italiano da possibili fenomeni di speculazione finanziaria o di alterazione iniqua degli equilibri di mercato, che potrebbero compromettere il percorso di ripresa economica del Paese;
   se i Ministri interpellati non ritengano opportuno intervenire in sede comunitaria al fine di accelerare la costituzione dell'europea rating platform, tramite la quale saranno dettati più stringenti criteri di neutralità e trasparenza e nella quale confluiranno e saranno ponderati, tutti i rating prodotti dalla 28 agenzie registrate presso l'ESMA.
(2-00329) «Costa».

Interrogazioni a risposta scritta:


   MICILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   AnsaldoBreda è la società Finmeccanica specializzata nella costruzione di materiale rotabile tecnologicamente avanzato;
   vanta ad oggi 160 anni di esperienza nel settore derivando dalla fusione industriale intervenuta nel 2001 tra Ansaldo Trasporti e Breda Costruzioni Ferroviarie, due aziende eredi della tradizione italiana nel settore dei veicoli su rotaia. Tale fusione ha consentito l'integrazione della competenza elettrica con quella meccanica, rendendo AnsaldoBreda capace di progettare e costruire in autonomia un prodotto completo;
   l'azienda, è oggi articolata negli stabilimenti di Pistoia, Napoli, Reggio Calabria e Palermo ed è presente anche in Spagna e negli Stati Uniti;
   innovazione e versatilità caratterizzano i veicoli AnsaldoBreda: i tram Sirio, le metropolitane driverless, i treni regionali e quelli ad alta velocità (tra cui il nuovissimo Frecciarossa1000, capace di raggiungere 400 km/h e di essere il mezzo più veloce in Europa);
   ogni giorno si progetta e produce veicoli che corrono sui binari che attraversano tante città del mondo;
   al momento si contano circa 2.400 dipendenti;
   in data 28 novembre 2013 sul sole24ore.com è apparsa la notizia che «Si chiama Inmove Italia la già costituita newco che dovrà accogliere le attività in bonis di AnsaldoBreda, controllata Finmeccanica dell'industria ferroviaria che da dieci anni accumula perdite trascinando in basso le performance dell'intero gruppo. Il dossier dell'azienda in vendita dal 2011, che in tutto questo tempo non ha trovato partner o compratori, viaggia a fari spenti, insieme “ma non per forza insieme” con quello di Ansaldo Sts, gioiellino del segnalamento ferroviario che invece i pretendenti ce li avrebbe. La scorsa settimana l'ad di Finmeccanica Alessandro Pansa è tornato a sottoporlo al Governo, nell'incontro che ha avuto a Palazzo Chigi. Perché in casa Finmeccanica ci sono idee su come si potrebbe intervenire per arginare perdite e focolai di crisi, ma nella partita della newco la prima mossa spetta comunque all'azionista pubblico. Breda al momento, negli stabilimenti di Pistoia, Napoli, Reggio Calabria e Palermo, dà lavoro a 2.400 dipendenti. L'ipotesi più accreditata è che in Inmove Italia ci finiscano Pistoia e Napoli, con rispettive mission di produzione e componentistica. Voci non confermate fanno riferimento a 60 esuberi per sito. Inmove dovrebbe concentrarsi su prodotti come l'Etr 1000 ma anche le commesse più redditizie di tram e metro»;
   tale operazione denominata dai quotidiani «spacchettamento» ha messo in stato di agitazione gli operai e dipendenti dell'azienda, preoccupati comprensibilmente per il proprio futuro occupazionale –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione economico-produttiva dell'Ansaldobreda;
   quali misure intenda porre in essere per scongiurare gli esuberi annunciati dal citato articolo;
   se non ritenga opportuno promuovere iniziative al fine di assicurare l'attività produttiva di un settore importante dell'economia italiana e, come, intenda tutelare i lavoratori in particolare degli stabilimenti di Napoli e Pistoia. (4-02831)


   SALTAMARTINI, MISURACA e LEONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con una nota recentemente diffusa, l'agenzia statunitense Standard & Poor's ha comunicato la propria decisione di mettere sotto osservazione, con implicazioni negative, il merito di credito di nove compagnie di assicurazione in Europa e Africa, a seguito di un aggiornamento della metodologia di assegnazione del giudizio di rating. Tra queste figura anche il gruppo Generali, unico operatore italiano;
   l'agenzia precisa infatti che il 19 novembre 2013 ha proceduto a una rivisitazione dei criteri utilizzati ai fini della valutazione del giudizio del merito del credito delle società e di aver pertanto avviato degli stress test legati alla nuova metodologia. In attesa di queste valutazioni, alcune compagnie assicurative sono state pertanto poste sotto osservazione;
   tra i nuovi parametri di valutazione adottati da Standard & Poor's – che si applicano a tutte le società alle quali è stato attributo un rating superiore a quello del proprio Paese di appartenenza, nel caso in cui abbiano un'esposizione complessiva a tale Paese pari o superiore al 25 per cento del totale investimenti, o anche inferiore, nei casi in cui l'agenzia ritenga che la società possa non superare lo stress test – è attentamente esaminata l'esposizione delle società al suddetto Paese, inclusa quella al debito sovrano;
   il superamento degli stress test è legato alla capacità di reazione delle imprese ad un eventuale default del Paese di riferimento, e, relativamente al settore assicurativo, alla dotazione di capitale sufficiente a superare il default;
   l'esito negativo degli stress test comporterebbe il declassamento del rating della società al livello di quello del Paese di appartenenza;
   il gruppo Generali è il primo operatore assicurativo italiano ed è uno dei più importanti investitori istituzionali del Paese, con circa 55 miliardi di euro di titoli di Stato italiani nel proprio portafoglio di investimenti; 
   un eventuale declassamento comporterebbe per il gruppo un forte svantaggio competitivo nei confronti dei principali competitor europei, legato a fattori esogeni alla gestione delle proprie attività, con possibili riflessi occupazionali, in un contesto globale di crisi economica;
   l'abbassamento del rating di un operatore di primo piano anche sulla scena internazionale avrebbe gravi conseguenze su tutto il sistema Paese, causando inevitabilmente una perdita di fiducia da parte degli investitori istituzionali italiani ed esteri, con ripercussioni sulla capacità di finanziamento del debito pubblico attraverso il collocamento di titoli di Stato –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di tutelare il sistema economico-finanziario italiano da possibili fenomeni di speculazione finanziaria o di alterazione iniqua degli equilibri di mercato, che potrebbero compromettere il percorso di ripresa economica del Paese. (4-02839)


SIMONE VALENTE, VACCA, BRESCIA, LUIGI GALLO, CASTELLI, D'INCÀ, BATTELLI, CHIMIENTI, MARZANA e D'UVA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con legge 24 dicembre 1957, n. 1295, è stato istituito l'Istituto per il credito sportivo;
   l'ICS è un ente di diritto pubblico con gestione autonoma, ai sensi dell'articolo 151 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385;
   la banca svolge le sue funzioni nel settore del credito sportivo e dei beni culturali;
   come si evince dall'articolo 3, comma 1, dello statuto dell'ICS, il capitale, suddiviso in quote dal valore unitario di un euro, ammonta a 9.554.452 euro ed è suddiviso tra:
    CONI Servizi SpA – 5,405 per cento;
    Cassa Depositi e Prestiti SpA – 21,622 per cento;
    Banca Nazionale del Lavoro SpA – 10,811 per cento;
    Dexia Crediop SpA – 21,622 per cento;
    Assicurazioni Generali SpA – 5,405 per cento;
    Banca Monte dei Paschi di Siena SpA – 10,811 per cento;
    San Paolo IMI SpA – 10,811 per cento;
    Banco di Sicilia SpA – 10,811 per cento;
    Banco di Sardegna SpA – 2,702 per cento;
   con la legge 27 dicembre 2002, n. 289 e come recita lo statuto dell'Istituto, è istituito un fondo di garanzia pari a 10.170.168,63 euro apportato dal CONI;
   con la legge 18 febbraio 1983, n. 50, è istituito un fondo, che come si evince dall'articolo 3, comma 4, dello statuto dell'Istituto, è conferito dallo Stato;
   il consiglio di amministrazione è composto da:
    presidente, nominato con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il CONI;
    un membro designato dal Ministro per i beni e le attività culturali;
    un membro designato dal Ministro dell'economia e delle finanze;
    un membro designato dalla Conferenza Stato-regioni;
    un membro designato dalla Giunta nazionale del CONI;
    un membro designato dalla Cassa depositi e prestiti spa;
    quattro membri designati dagli altri azionisti, con quota di partecipazione non inferiore al 10,811 per cento alla data di entrata in vigore dell'ultima versione dello Statuto;
   all'articolo 31 dello statuto è disciplinata la distribuzione degli utili netti:
    un 20 per cento è destinato alla riserva ordinaria;
    un 20 per cento è destinato all'incremento del fondo ex legge n. 50 del 1983;
    un 10 per cento è destinato dal consiglio di amministrazione a fondi di riserva straordinari, a CONI Servizi spa (riconoscimento di una commissione sul fondo di garanzia), ad un fondo da destinare a finalità culturali e sociali (secondo le modalità fissate dal consiglio di amministrazione), ad un fondo avente lo scopo di finanziare prestiti e contributi assistenziali al personale;
    il restante 50 per cento è assegnato ai partecipanti come dividendo;
   l'articolo 4, comma 191, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, recita che «l'istituto può concedere contributi per interessi sui mutui anche se accordati da altre aziende di credito e dalla Cassa depositi e prestiti per le finalità istituzionali, con le disponibilità di un fondo speciale costituito presso l'istituto medesimo e alimentato con il versamento da parte dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato dell'aliquota ad esso spettante a norma dell'articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 19 giugno 2003, n. 179, nonché con l'importo dei premi riservati al CONI a norma dell'articolo 6 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, colpiti da decadenza per i quali resta salvo il disposto dell'articolo 90, comma 16, della legge 27 dicembre 2002, n. 289». In sostanza, il fondo speciale è alimentato da una quota del 2,45 per cento calcolata sugli incassi lordi dei concorsi a pronostici;
   nel 2011 l'Istituto è stato commissariato dalla Banca d'Italia;
   un articolo uscito su Repubblica denuncia un'indagine della Corte dei conti per presunto danno erariale;
   l'indagine si riferisce alla redistribuzione degli utili che, secondo statuto, avrebbe avvantaggiato gli istituti privati azionisti, a scapito dello Stato;
   secondo quanto riportato dai media, gli azionisti privati avrebbero guadagnato 80 milioni di euro nel periodo 2005-2010 a fronte di un investimento iniziale di 9 milioni di euro circa. Nello stesso periodo, lo Stato, a fronte di un conferimento di 60 milioni di 7 euro, ha ricevuto 2 milioni e 800 mila euro;
   la tesi dei magistrati contabili è che non sia stata una svista: sono stati infatti ritrovati appunti e comunicazioni dei protagonisti di questa vicenda che evidenziano «come fossero consapevoli di questo errore» in cui prevedevano quello che poi è successo;
   i commissari straordinari in carica si accorgono dell'anomalia: sollevano il problema al Ministro, che si rende conto della gravità del problema e sollecita un provvedimento al segretariato della Presidenza del Consiglio che avverte Mario Monti, primo ministro allora in carica. Si chiede un parere all'avvocatura dello Stato che decide poi sull'illegittimità del cambiamento dello statuto dell'ICS. L'avvocatura come soluzione offre quella di annullare la direttiva e il decreto di approvazione dello statuto con un provvedimento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 9 aprile del 2013, «Annullamento d'ufficio della direttiva 14 dicembre 2004 e del decreto 4 agosto 2005 di approvazione dello Statuto dell'Istituto per il Credito Sportivo». Il decreto è stato impugnato dalle banche davanti al tribunale amministrativo regionale;
   in data 8 agosto 2013, un comunicato sul sito dell'ufficio per lo sport, a firma del Ministro Delrio, conferma l'adozione di una nuova direttiva relativa all'Istituto, sottoscritta in mattinata dallo stesso Ministro per gli affari regionali e le autonomie con delega allo sport e dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Massimo Bray, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze Fabrizio Saccomanni;
    la direttiva contiene linee di indirizzo per l'adozione del nuovo statuto dell'ICS, per evitare il ripetersi delle situazioni esposte in premessa –:
   quale sia la posizione del Governo in merito alla faccenda che, al momento, lascia intravedere all'orizzonte un'azione dolosa da parte di alcuni dirigenti pubblici, per favorire ai danni dello Stato degli istituti privati, quali siano i dirigenti pubblici implicati nella vicenda, anche quelli cessati dalla carica, e se il Governo intenda assumere iniziative in via cautelativa verso tali dirigenti;
   come intenda muoversi il Governo nel caso la magistratura contabile accerti il danno erariale e condanni al risarcimento le persone sotto inchiesta;
   quali azioni concrete preveda la nuova direttiva per restituire la piena prevalenza pubblica dell'Istituto;
   a quanto ammonti attualmente il fondo ex legge n. 50 del 1983 e in quali condizioni economico-finanziarie si trovi l'Istituto;
   se i mutui accesi dagli enti locali presso l'Istituto di credito sportivo, rientrino nei limiti del patto di stabilità e, in caso affermativo, se il Governo non ritenga di assumere iniziative affinché in futuro possa non essere più così, anche per incentivare lo sviluppo di nuovi impianti. (4-02849)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   per mitigare le conseguenze di gravi incidenti stradali nell'Unione europea la Commissione europea ha adottato il 13 giugno 2013 due proposte volte a garantire che, entro ottobre 2015, le auto siano in grado di chiamare automaticamente i servizi di emergenza in caso di incidente grave;
   al fine di istituire e realizzare tale sistema, la Commissione propone du strumenti normativi: un regolamento sulle specifiche di omologazione per la diffusione del sistema eCall (che modifica la connessa direttiva 2007/46/CE), rendendo il veicolo idoneo per il sistema, ed una decisione sull'introduzione della chiamata di emergenza (eCall) interoperabile per rendere le infrastrutture pubbliche idonee ad interagire col sistema eCall;
   una volta che Consiglio e Parlamento europeo avranno approvato le proposte formulate il 13 giugno, la Commissione intende fare in modo che il servizio eCall sia pienamente operativo in tutta l'Unione europea (nonché Islanda, Norvegia e Svizzera) entro il 2015;
   i sistemi eCall raccolgono dati sull'incidente (detti «MDS», minimum data set) e creano un collegamento telefonico con centrali operative pubbliche o private cui inviano anche il MDS. Esistono due diverse modalità per l'implementazione del servizio di eCall a bordo dei veicoli; il cosiddetto «eCall 112», grazie al quale, in caso di incidente, il MDS e la chiamata vengono indirizzate alle autorità di pubblica sicurezza (detti «PSAP», Public safety answering point) ed il cosiddetto «TPS eCall» che, in caso di incidente, invia MDS e chiamata a centrali operative private che valutano l'entità e la tipologia di incidente e smistano la chiamata all'autorità (polizia, ambulanza, e altro) o al servizio più opportuno (Carro attrezzi, e altro);
   nelle proposte finora adottate dalla Commissione europea non è previsto il TPS eCall come alternativa all’eCall 112;
   il sistema eCall 112 ha il vantaggio di creare un collegamento diretto tra il veicolo incidentato e le autorità di pubblica sicurezza, ma alla prova dei fatti ha dimostrato di comportare svantaggi quali: circa 70 per cento di chiamate «false» (dati dichiarati da Bosch e autorità francesi); sovraccarico dei centralini delle autorità di pubblica sicurezza per incidenti che non avrebbero necessitato dell'intervento di dette autorità; necessità di dotare tutti i centralini delle autorità di pubblica sicurezza della strumentazione necessaria a leggere il MDS inviato dai veicoli e necessità della presenza di personale multilingua presso i centralini dell'autorità di pubblica sicurezza;
   in Italia emergerebbe poi l'ulteriore difficoltà legata al fatto che l’eCall 112 invia la chiamata alla numerazione 112 che nel nostro Paese corrisponde al numero d'emergenza dei Carabinieri, che non hanno competenza specifica sulla sicurezza stradale e non possono intervenire su incidenti avvenuti lungo la rete autostradale che è di competenza dell'apposito corpo della Polizia di Stato;
   il sistema TPS eCall è invece già sperimentato ed operativo da circa dieci anni ed è oggi quello adottato dalla quasi totalità delle case automobilistiche europee così come da compagnie assicurative e di servizi –:
   se non ritenga di dover avviare un tavolo di confronto con le autorità ed i principali operatori del settore in Italia, quali la polizia di Stato, le case automobilistiche, l'Automobile club d'Italia, produttori di tecnologia e fornitori di servizi ecall per verificare quanto sia realistica la possibilità che nel nostro Paese possa trovare implementazione la tecnologia eCall 112, stimare i costi che essa comporterebbe e assumere le opportune iniziative per rappresentare in sede di Unione europea la posizione italiana rispetto alle tematiche sopra esposte.
(5-01656)


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'iniziativa del cielo unico europeo (SES) ha come obiettivo il miglioramento dell'efficienza complessiva dell'organizzazione e la gestione dello spazio aereo europeo, mediante una riforma del settore della fornitura dei servizi di navigazione aerea. Lo sviluppo di tale iniziativa si è concretizzato in due pacchetti legislativi organici – SES I e SES II –, composti dai regolamenti CE n. 549/2004; 550/2004; n. 551/2004; 552/2004;
   il quadro normativo è correlato allo sviluppo della legislazione relativa alla sicurezza aerea in Europa affidata all'Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA), e all'avvio di un progetto organico per la modernizzazione delle apparecchiature e dei sistemi di navigazione aerea (SESAR);
   si sono registrati significativi ritardi nella realizzazione dell'iniziativa. Pertanto, la Commissione europea ha proposto, nel giugno 2013, un aggiornamento del regolamento SES, denominato SES 2+, volto ad accelerare l'attuazione della riforma dei servizi di navigazione aerea;
   studi comparatistici evidenziano la scarsa efficienza nella fornitura dei servizi di navigazione aerea (ANS): negli Stati Uniti, lo spazio aereo «en-route» è controllato da un unico prestatore di servizi, mentre in Europa operano 38 fornitori di servizi. Il prestatore di servizi, inoltre, controlla quasi il 70 per cento dei voli in più con il 38 per cento del personale in meno;
   ciò ha imposto un'accentuazione, da parte della Commissione europea, del programma sulla riduzione dei costi per i servizi del settore, con il passaggio dal cost recovery al cost efficiency;
   il nuovo criterio imporrà a tutti i provider europei, e quindi anche ad ENAV, una drastica riduzione dei costi operativi, anche attraverso la possibilità di disarticolare l'attività per la fornitura dei vari servizi;
   tale contesto conferirà agli operatori una libertà di azione che dovrà essere monitorata ed espressamente orientata, per evitare che aziende controllate dallo Stato scelgano facili scorciatoie per ridurre i costi, quali il taglio degli investimenti per la formazione professionale, la riduzione degli organici, l'utilizzo di tecniche di turnazione non rispettose dei contratti e della specificità e delicatezza del servizio, come per esempio per i controllori del traffico aereo (CTA), lo spin-off di attività senza garanzie per i lavoratori;
   tagli indiscriminati potrebbero avere gravi conseguenze in termini di sicurezza delle strutture;
   per tali ragioni, prima della formalizzazione della proposta SES 2+, i governi francese e tedesco hanno inviato una lettera al Commissario europeo per i trasporti, Siim Kallas, auspicando che fosse considerata prioritaria l'implementazione di quanto già previsto per l’European Aviation Safet Agency (EASA), piuttosto che l'emanazione di un nuovo «pacchetto» SES;
   anche il Comitato Air Traffic Management dell’European Transport Workers’ Federation (ETF) ha espresso una posizione contraria a riguardo, con specifiche iniziative di contrasto: il 12 giugno, in seguito ad un incontro con i rappresentanti di FILT-CGIL, FIT-CISL e UIL-T, ha organizzato un action day per sottolineare contro la proposta SES 2+, «utilizzata dalla Commissione Europea per introdurre sottobanco processi di liberalizzazione, privatizzazione, esternalizzazione e concorrenza nel sistema ATM, senza tenere nella giusta considerazione la safety e la stabilità economica del provider»;
   l'elevata pressione sulla riduzione dei costi potrebbe avere gravi conseguenze in termini occupazionali e sulla qualità del lavoro;
   in particolare, risulterebbe all'interrogante che ENAV non avrebbe raggiunto gli obiettivi pianificati di riduzione di sprechi ed inefficienze secondo i nuovi criteri stabiliti a livello europeo. Ciò avrebbe comportato:
    a) l'inserimento, per la prima volta nella storia aziendale, dell'istituto della cassa integrazione;
    b) la riduzione di retribuzioni e garanzie per il personale per effetto dell'eventuale unbundling (scorporo delle attività not core);
   risulterebbe all'interrogante che la gestione del personale in Enav avrebbe privilegiato l'assunzione dall'esterno di controllori del traffico aereo nonostante il numeroso personale «esperto di assistenza al volo» già in servizio da anni in azienda, stia aspettando da più di tre anni un corso di formazione interno;
   inoltre, risulterebbe all'interrogante che dal 2012 i risparmi gestionali agirebbero anche su incrementi della turnazione dei controllori del traffico aereo (CTA); la considerazione della delicatezza del lavoro dei controllori di volo, e le potenziali conseguenze in termini di sicurezza delle strutture, consiglierebbero turnazioni diverse;
   nel 2011 ENAC spa, sempre per quanto consta all'interrogante, avrebbe imposto ad ENAV S.p.A. di attribuire e consegnare al numeroso personale interessato le licenze FISO e di tecnico meteorologico aeronautico. Obbligo non ancora adempiuto da ENAV;
   in caso di esternalizzazione delle attività, la mancanza delle licenze succitate potrebbe esporre il personale in questione a forti penalizzazioni, anche retributive, a favore degli acquirenti –:
   quale sia la posizione di Enav S.p.A. in merito ai punti specifici succitati che, se confermati, appaiono particolarmente gravi e preoccupanti;
   quale sia la posizione del Governo rispetto all'iniziativa denominata SES 2+;
   quale sia il piano d'azione predisposto da Enav per ottemperare a quanto richiesto dal nuovo regolamento SES 2+ ;
   quali siano le politiche di conservazione e qualificazione delle risorse, con particolare riguardo alla formazione ed upgrading interno e l'eventuale acquisizione di risorse dal mercato;
   quali forme di unbundling siano in fase di valutazione e quali i momenti di condivisione di queste scelte con i principali stakeholder. (5-01659)


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha proposto, nel giugno 2013, un aggiornamento del regolamento SES, denominato SES 2+, volto ad accelerare l'attuazione della riforma dei servizi di navigazione aerea;
   tale aggiornamento imporrà a tutti i provider europei, e quindi anche ad ENAV, una drastica riduzione dei costi operativi, anche attraverso la possibilità di disarticolare l'attività per la fornitura dei vari servizi;
   gli operatori godranno quindi di una libertà di azione che dovrà essere monitorata ed espressamente orientata al fine di evitare che aziende controllate dallo Stato scelgano facili scorciatoie per ridurre i costi quali il taglio degli investimenti per la formazione professionale, la riduzione degli organici, l'utilizzo di tecniche di turnazione non rispettose dei contratti e della specificità e delicatezza del servizio, come per esempio per i controllori del traffico aereo (CTA), lo spin-off di attività senza garanzie per i lavoratori;
   l'elevata pressione sulla riduzione dei costi potrebbe avere gravi conseguenze in termini occupazionali e sulla qualità del lavoro nonché sulla sicurezza delle strutture;
   risulterebbe all'interrogante che ENAV non avrebbe raggiunto gli obiettivi pianificati di riduzione di sprechi ed inefficienze secondo i nuovi criteri stabiliti a livello europeo. Ciò avrebbe comportato:
    l'inserimento, per la prima volta nella storia aziendale, dell'istituto della cassa integrazione;
    la riduzione di retribuzioni e garanzie per il personale per effetto dell'eventuale unbundling (scorporo delle attività not core);
   risulterebbe all'interrogante che la gestione del personale in Enav avrebbe privilegiato l'assunzione dall'esterno di controllori del traffico aereo nonostante il numeroso personale «esperto di assistenza al volo» già in servizio da anni in azienda, stia aspettando da più di tre anni un corso di formazione interno;
   nel 2010 una selezione ad hoc ha individuato 60 giovani risorse interne da formare;
   il corso di formazione delle sopracitate risorse è stato continuamente rinviato e nello stesso periodo si sono registrate assunzioni dall'esterno;
   nell'ambito del generale processo di riorganizzazione dell'Aeronautica sono stati individuati 15 aeroporti militari (Ancona Falconara, Comiso, Napoli Capodichino, Treviso Sant'Angelo, Brescia Montichiari, Catania Fontanarossa, Rimini Miramare, Palermo Boccadifalco, Vicenza, Verona Villafranca, Udine Campoformido, Roma Ciampino, Brindisi «Papola», Cagliari Elmas, Capua) che movimentavano milioni di passeggeri all'anno e che dunque ricoprivano un importante ruolo nel piano nazionale dei trasporti civili;
   il Ministero della difesa ha dichiarato che per i 15 aeroporti italiani di cui sopra non sussisteva più l'interesse ad uso militare, autorizzando, quindi a precedere per un cambio di status da aeroporto militare a civile, previa cessione delle attività militari e il conferimento delle strutture e relativi servizi all'aviazione civile;
   dalla cessazione delle attività militari di cui sopra ne è derivato il trasferimento della gestione dei servizi di navigazione aerea (gestione delle piste, della torre di controllo, delle radioassistenze alla navigazione e del radar del controllo di avvicinamento) all'Enav, comportando non poche difficoltà in luce dell'elevata sofisticazione tecnologica dei sistemi d'arma aerei e in ragione dell'elevato livello di complessità del supporto tecnico e logistico, nonché di specializzazione dei sedimi e delle infrastrutture aeroportuali dedicate –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati al fine di garantire la reale riqualificazione del personale già operativo presso Enav prima di procedere all'assunzione di nuove unità di personale. (5-01660)


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa che il 28 settembre, intorno alle 21, si è verificato un incidente nell'aeroporto di Roma Fiumicino;
   l'Airbus A320 Alitalia, proveniente da Madrid e diretto a Fiumicino, ha subito un'avaria al carrello principale destro;
   a causa della mancata fuoriuscita dello stesso, il comandante ha dovuto effettuare l'atterraggio solo con i carrelli anteriore e sinistro;
   toccata la pista, l'aereo si è inclinato sull'ala destra. Si è poi proceduto all'evacuazione con gli scivoli dei 151 passeggeri e dei 5 membri dell'equipaggio, tutti incolumi;
   l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo ha disposto l'apertura di un'inchiesta;
   l'Airbus è stato costruito nel 2010;
   la responsabilità è, ad avviso dell'interrogante, pienamente imputabile alla compagnia nazionale ma, sempre ad avviso dell'interrogante anche l'Ente nazionale per l'aviazione civile avrebbe dovuto effettuare dei controlli tali da evitare eventi di tal genere –:
   se non intenda intervenire presso ENAC ai fini dell'accertamento del rispetto di tutte le normative sulla sicurezza e dello stato dei controlli e della manutenzione degli aeromobili della Compagnia.
(5-01661)


   CATALANO, DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI, TERZONI, NICOLA BIANCHI, MANNINO e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   risulterebbe agli interroganti che vi sarebbero forti disservizi all'interno del dipartimento per i trasporti terrestri (motorizzazione civile) in Sardegna;
   gli uffici provinciali di Oristano, Nuoro, Sassari e Cagliari, che servono l'intero territorio regionale, registrerebbero, negli ultimi anni, un calo di personale;
   i disagi sarebbero stati in parte compensati avvalendosi della collaborazione di tecnici abilitati ad eseguire operazioni quali esami patenti, operazioni di collaudo e revisioni;
   risulterebbe agli interroganti che, in occasione degli incontri tra lavoratori e direttori provinciali, sarebbe stato dichiarato che la spending review ha imposto un blocco delle assunzioni e dei concorsi interni per abilitare personale;
   in particolare, risulterebbe agli interroganti che in provincia di Nuoro, a partire dal mese di febbraio non sarà garantito l'espletamento degli esami patenti;
   il pubblico registro automobilistico, istituito con regio decreto n. 439 del 1927, costituisce una voce di costo considerevole, motivo per il quale è stata valutata, negli anni, una possibile abrogazione con proposta di referendum nel 1995, dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale, e in seguito con decreto-legge n. 7 del 2007;
   la motorizzazione civile ed il pubblico registro automobilistico sono preposti, sostanzialmente, alle medesime funzioni, con conseguente dispendio di risorse;
   è necessario eliminare le duplicazioni esistenti nella documentazione e nelle procedure automobilistiche con la fissazione di un unico archivio automobilistico (archivio nazionale veicoli) tenuto dal CED del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   a fronte dei disservizi negli uffici del dipartimento per i trasporti terrestri succitati si registra, in quelli presenti in altre parti di Italia, personale in esubero –:
   se ciò corrisponda al vero;
   se non intenda intervenire per colmare il divario occupazionale succitato;
   se non si intenda valutare un trasferimento di personale dal pubblico registro automobilistico alla motorizzazione civile. (5-01663)


   PILOZZI e PIAZZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il trasporto pubblico locale (TPL) oggi rappresenta uno degli indicatori più importanti ai fini della valutazione del grado di sviluppo di un Paese;
   nell'ambito del TPL, il trasporto pubblico ferroviario (che rappresenta circa il 4 per cento del TPL) è quello che, negli ultimi anni, ha conosciuto uno degli indici di crescita più importanti a causa soprattutto della gravissima crisi economica e occupazionale che ha colpito l'Italia e che ha spinto numerosi cittadini ad abbandonare il mezzo privato per rivolgersi al trasporto ferroviario per giungere quotidianamente suo luogo di lavoro;
   secondo i dati del rapporto «Pendolaria 2013» dell'associazione Legambiente, quest'anno il numero dei cittadini italiani che fruirà dei servizi offerti dalle imprese che operano nel trasporto pubblico ferroviario, arriverà ai 2,9 milioni di persone al giorno su tutto il territorio nazionale;
   il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario, disciplinato dal decreto legislativo 8 luglio 2003, n.188, e dalla successiva normativa relativa ad infrastrutture, interoperabilità e trasporti ferroviari, ha determinato, anche grazie ad un mercato nazionale in rapida evoluzione, significativi cambiamenti nel settore, insieme all'ingresso di nuovi operatori privati che però nel settore del trasporto pubblico ferroviario non si è ancora sviluppato nella giusta maniera se non in alcune regioni del nord Italia;
   mentre il numero degli utenti cresceva, la qualità e la quantità dei servizi offerti dalle istituzioni pubbliche e le imprese nel settore, ha conosciuto un progressivo indebolimento a causa della drastica riduzione degli investimenti pubblici in manutenzione delle infrastrutture e acquisto di nuovi treni;
   mentre lo Stato investiva miliardi di euro nell'alta velocità ferroviaria, il trasporto ferroviario locale veniva progressivamente ridimensionato anche attraverso la chiusura di decine di tratte locali, giudicate da RFI non più redditizie, provocando gravissimi disagi per decine di migliaia di utenti;
   le Regioni, deputate a bandire le gare pubbliche per l'assegnazione dei servizi ferroviari regionali, non sono oggi nelle condizioni di garantire un livello di investimenti tale da soddisfare i bisogni crescenti degli utenti per un trasporto efficiente ed efficace, in grado di ridurre i tempi di spostamento nel tragitto casa-lavoro a livelli degni di un Paese civile;
   di contro, fondo nazionale per il contributo dello Stato al trasporto pubblico ferroviario, istituito con la legge di stabilità per il 2013 (la cui legittimità costituzionale è stata contestata dalla regione Veneto presso la Corte Costituzionale) oggi dispone di una somma pari a 4,9 miliardi di euro per tutto il territorio nazionale, fondi assolutamente insufficienti a coprire le difficoltà finanziarie delle regioni;
   nel corso degli ultimi mesi, si sono susseguiti gli annunci da parte di numero e regioni di nuovi tagli ai fondi destinati al trasporto ferroviario regionale: ad ottobre la regione Piemonte ha annunciato il taglio di 18 treni che la collegano alla Liguria; la Calabria, Toscana, Friuli e Campania sono le altre regioni in cui Trenitalia ha negli ultimi tempi annunciato il taglio di numerosi treni locali;
   mentre Trenitalia e le regioni compivano questi ulteriori tagli, il Governo decideva di investire nuove risorse nell'alta velocità non solo insistendo nella costruzione della discussa tratta Torino-Lione ma approvando, con il decreto del Ministero delle e dei trasporti del 10 settembre 2013, uno sconto del 15 per cento sul pedaggio a carico dei soggetti operanti su diverse linee dell'alta velocità;
   solo pochi mesi prima, il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, aveva introdotto «un sovrapprezzo al canone dovuto per l'esercizio dei servizi di trasporto di passeggeri a media e a lunga percorrenza, non forniti nell'ambito di contratti di servizio pubblico, per la parte espletata su linee appositamente costruite o adattate per l'alta velocità, attrezzate per velocità pari o superiori a 250 chilometri orari»;
   tale «sovrapprezzo» avrebbe dovuto essere definito e approvato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti mediante apposito decreto entro il 31 dicembre 2011 ed essere interamente destinato «al finanziamento degli oneri dei servizi universali di trasporto ferroviario di interesse nazionale oggetto di contratti di servizio pubblico di cui al citato comma 11-ter» e cioè al trasporto ferroviario locale oggetto di contratto tra le regioni e le società appaltatrici;
   ad oggi, dopo oltre due anni dall'approvazione della legge n. 111 del 2011, non risulta agli interroganti che tale decreto ministeriale di fissazione di un sovrapprezzo al canone sia stato approntato ed approvato dai competenti uffici;
   la mancata individuazione di tale «sovrapprezzo» costituisce un gravissimo nocumento a tutto il sistema del trasporto ferroviario locale, privato di quelle risorse economiche necessarie al suo necessario consolidamento e miglioramento –:
   quali motivi abbiano impedito ad oggi l'approvazione del decreto ministeriale di cui al comma 11-quater dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 188 del 2003, introdotto con decreto legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 111 del 15 luglio 2011;
   se non ritenga necessario disporre immediata approvazione del suddetto decreto ministeriale, già previsto entro il termine del 31 dicembre 2011, e provvedere in tal modo alla definizione del sovrapprezzo al canone dovuto per l'esercizio dei servizi di trasporto di passeggeri a media e a lunga percorrenza, non forniti nell'ambito di contratti di servizio pubblico, per la parte espletata su linee appositamente costruite o adattate per l'alta velocità, attrezzate per velocità pari o superiori a 250 chilometri orari. (5-01665)


   FERRANTI e VELO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la CO.MI. SOCIETÀ A.R.L. è una cooperativa edilizia che ha come scopo la costruzione o l'acquisto di case economiche e popolari da assegnare ai propri soci in proprietà divisa e/o indivisa: a norma degli articoli 7 e 8 del proprio statuto essa può annoverare, tra i propri soci, soltanto appartenenti alle Forze di polizia ed Armate dello Stato, in servizio, in quiescenza o comunque cessati dal servizio, che siano cittadini italiani e che siano in possesso dei requisiti per essere assegnatari di alloggi ai sensi della legislazione sull'edilizia economica e popolare;
   la CO.MI. amministra, allo stato, sette iniziative edilizie, di cui tre a Roma, due ad Udine, una a Verona ed una a Trieste, avendo negli anni realizzato delle unità immobiliari, a proprietà indivisa, di edilizia economica e popolare: tutte le iniziative edilizie sono state da tempo completate e per alcune, ci si riferisce a quelle di Verona, Trieste, Udine, è già stato rilasciato il nulla osta per la trasformazione in cooperativa a proprietà individuale, ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 136 del 1999 (si è in attesa, ormai da anni, dell'autorizzazione alla stipula del mutuo edilizio individuale);
   la citata società è stata più volte commissariata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a causa dei dissidi intercorsi tra i soci di alcune iniziative edilizie, per una durata complessiva del periodo di commissariamento di oltre dieci anni degli ultimi venti trascorsi;
   solamente nel corso del 2012, però, i soci della CO.MI venivano messi a conoscenza di alcune problematiche scaturenti dall'attività edilizia dei soci CO.MI., quella relativa alla cosiddetta «iniziativa Roma 2», che erano state oggetto di contenzioso giudiziale tra CO.MI, Edilcervialto S.r.l. e Parti Seconda S.r.l. Si apprendeva così che il tribunale di Roma aveva condannato «... CO.MI coop. r.l. al pagamento, in favore di Edilcervialto S.r.l. delle somme di lire 4.135.990.000 e di lire 4.000.000 oltre interessi legali dalla sentenza al saldo; condanna inoltre Parti Seconda S.r.l. a tenere indenne CO.MI coop. S.r.l. di quanto fosse tenuta a pagare a Edilcervialto S.r.l.»;
   la sentenza è stata confermata in seguito dalla Corte di Appello di Roma; avverso la sentenza della corte di appello di Roma CO.MI. ha in seguito proposto ricorso in Cassazione, giudizio tuttora pendente;
   in forza della suddetta sentenza sono stati sottoposti a pignoramento immobiliare 54 appartamenti, tutti situati a Roma, e cioè esattamente tutti quelli relativi all'iniziativa di Roma 2;
   il debito che ha condotto alla condanna riguarda una iniziativa edilizia del 1989 riconducibile esclusivamente ai soci dell'Iniziativa edilizia di Roma 2, che aveva ad oggetto la realizzazione di alcuni locali commerciali nell'edificio sociale: essa andava a benefìcio dei soli soci dell'Iniziativa di Roma 2, come evidenziato chiaramente dal preliminare di vendita sottoscritto dalle parti;
   non è dato a sapere se nella fattispecie siano state rispettate le forme di cui agli articoli 8-9 del testo unico del 1938 e se, dunque, la società CO.MI. fosse realmente in possesso di tutte le necessarie autorizzazioni di legge, considerato che le assemblee del 7 novembre 1989 e del 26 ottobre del 1990 furono convocate e partecipate dai soli soci della CO.MI. dell'Iniziativa di Roma 2;
   appare, però, abbastanza evidente e oggettivo che le finalità alla base della costruzione degli immobili afferenti all'iniziativa di Roma 2 siano state di tipo speculativo, finalità ovviamente in contrasto con la stessa natura di una società cooperativa, la cui caratteristica funzionale precipua è il perseguimento dello scopo mutualistico;
   inoltre, un'assemblea ordinaria CO.MI., e per la precisione quella del 27 aprile 1985, aveva deliberato che i vari condomini, una volta realizzati e completati e una volta definiti il contributo e la consistenza del mutuo, dovessero essere gestiti in maniera del tutto autonoma, oltre che essere dotati di uno stato patrimoniale proprio, tutto ciò per evitare che, in caso di difficoltà o di insolvenza per altre iniziative, il patrimonio di tutti i condomini venisse «inglobato» nel patrimonio generale e utilizzato per concorrere al salvataggio delle cooperative, e cioè esattamente quello che sta accadendo ora;
   già dal 25 novembre 2002 il provveditorato aveva rilasciato l'autorizzazione al passaggio a proprietà individuale delle unità abitative di cui sopra, ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 136 del 1999, precisando, però, di rimanere in attesa di richiesta dalla CO.MI. del nulla osta all'effettivo frazionamento ai sensi dell'articolo 139 del testo unico 1938, ed il 10 maggio 2006 i servizi integrati infrastrutture e trasporti presso il Magistrato alle acque di Venezia, richiamando la richiesta della CO.MI. del 13 novembre 2002, rilasciavano il nulla osta alla trasformazione ai sensi della nuova normativa, con la precisazione che, in caso di mancata consegna di tutti gli alloggi, gli stessi avrebbero dovuto essere comunque tutti assegnati, eventualmente con riserva di consegna;
   ad oggi, nonostante siano trascorsi ben undici anni dalla prima autorizzazione, la pratica non si è mai perfezionata, e non si è giunti alla intestazione degli immobili in proprietà ai soci, mentre è intervenuto, in data 18 settembre 2013, il decreto di liquidazione coatta amministrativa della CO.MI;
   il Ministero ha per molti anni controllato attraverso il commissariamento l'attività della CO.MI., ciononostante non è mai stata evidenziata ai soci delle altre iniziative la problematica relativa al debito verso Edilcervialto, e lo stesso figura, per la prima volta, solo nel bilancio del 2012;
   le case realizzate da CO.MI. rappresentano la unica e sola abitazione per le famiglie dei soci, molti dei quali, tra l'altro, sono anziani e pensionati, oppure vedove di militari in pensione, e che vi abitano ormai da moltissimi anni, risalendo l'assegnazione al 1984;
   i soci dell'iniziativa di Verona, in particolare, pur avendo pagato per intero l'immobile dove vivono, anzi avendo addirittura maturato un credito di circa 10.000 euro a testa per avere rimborsato somme maggiori di mutuo all'INPDAP, oggi INPS, corrono il rischio di vedersi revocata l'assegnazione e venduta coattivamente la loro casa, casa dove abitano e che loro hanno già, come appena detto, pagato interamente, fino all'eccedenza –:
   se, anche in virtù dei prolungati commissariamenti ai quali il Ministero ha sottoposto per lungo tempo la CO.MI a.s.r.l., risulti che, per quanto concerne l'iniziativa di Roma 2, dei soci CO.MI, che ha dato origine al contenzioso con la società Edilcervialto, le forme di cui agli articoli 8 e 9 del testo unico del 1938 in materia di edilizia popolare ed economica, siano state effettivamente rispettate e se la stessa società fosse realmente in possesso delle necessarie autorizzazioni previste dalla legge e se, eventualmente, siano state avviate dal Ministero azioni giudiziarie volte a far valere l'estraneità dei soci della CO.MI che non hanno partecipato all'operazione Iniziativa Roma 2;
   quale tipo di controllo il Ministero abbia in concreto esercitato sulla CO.MI, considerato che a quanto consta alle interroganti nessuno dei commissari nominati ha mai evidenziato, sino al bilancio del 2012, il rilevante debito che essa aveva nei confronti della Edilcervialto, e questo nonostante il fatto che è del 2001 la sentenza del tribunale di Roma che ha condannato la CO.MI, nonché quali siano le ragioni per cui, nonostante l'intervenuto e comprovato integrale pagamento da parte dei soci CO.MI di Verona delle somme dovute in relazione al mutuo ipotecario iscritto sul complesso di alloggi facenti parte dell'iniziativa immobiliare di Verona e malgrado già dal 25 novembre del 2002 il provveditorato avesse rilasciato l'autorizzazione al passaggio a proprietà individuale, rinnovata nel 2006, non si è mai giunti alla trasformazione e alla assegnazione degli immobili in proprietà ai soci;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere a tutela dei soci della CO.MI nonché quali iniziative di competenza intenda adottare nei confronti dei responsabili dei fatti che hanno condotto negli anni a tale incresciosa situazione, per cui incolpevoli soci, quali quelli di CO.MI di Verona, corrono il rischio di vedersi venduta coattivamente la casa dove abitano da circa trent'anni e che hanno, inoltre, integralmente pagato. (5-01670)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI, CARIELLO, MUCCI, CATALANO, PETRAROLI e VALLASCAS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il «car pooling» (auto di gruppo) è una pratica in base alla quale delle persone decidono di condividere le spese di viaggio legate all'utilizzo di un'auto privata;
   questo strumento, largamente promosso nei Paesi del Nord Europa, si è diffuso rapidamente anche in Italia, grazie alla normativa vigente e alle finalità conseguite, come il risparmio sul caro carburante, la diminuzione delle emissioni di CO2 nell'atmosfera e la riduzione della congestione del traffico veicolare;
   il decreto interministeriale sulla mobilità sostenibile nelle aree urbane del 27 marzo del 1998, infatti, all'articolo 4, comma 1, prevede che i comuni incentivino «associazioni o imprese ad organizzare servizi di uso collettivo ottimale delle autovetture, nonché a promuovere e sostenere forme di multiproprietà delle autovetture destinate ad essere utilizzate da più persone, dietro pagamento di una quota proporzionale al tempo d'uso ed ai chilometri percorsi»;
   inoltre, la legge di semplificazione 1999 (n. 340 del 2000) all'articolo 22 ha istituito i PUM – Piani urbani per la mobilità – da parte dei comuni, con compiti di progettazione di sistemi per la mobilità urbana per ridurre l'uso individuale dell'auto assicurando l'abbattimento dei livelli di inquinamento atmosferico e acustico, la riduzione dei consumi energetici e l'aumento dei livelli di sicurezza del trasporto;
   attualmente sono attive in Italia numerose piattaforme on-line che favoriscono il ricorso all'auto di gruppo. L'utente, previa registrazione, può decidere di condividere un viaggio con altre persone che devono raggiungere la stessa località, o può chiedere un passaggio, contribuendo alle spese di utilizzo;
   le offerte di car pooling, soprattutto quelle sulle piattaforme virtuali, sembrano essere organizzate per il pagamento di un corrispettivo piuttosto che per la divisione dei costi di un viaggio in auto;
   in base alla normativa vigente, l'offerta di passaggi a fini di lucro è legata a tutti gli effetti a un'attività imprenditoriale, ai sensi dell'articolo 2082 del codice civile ed è quindi soggetta ad iva –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto;
   quali siano state le eventuali misure adottate al fine di specificare la natura senza fine di lucro del car pooling;
   se sia intenzione del Ministro interrogato porre in essere, qualora non sia già stato fatto, iniziative a salvaguardia della natura gratuita del car pooling provvedendo ad assumere iniziative per introdurre eventuali ed idonee procedure sanzionatorie. (4-02829)


   MIGLIORE e SCOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la mattina del 4 dicembre 2013 sull'autostrada A3 Napoli-Pompei-Salerno, si è formata una fila lunga 12 chilometri a causa di un cantiere aperto alle 7.00 del mattino sulle corsie in direzione Napoli per lavori riguardanti il rifacimento del fondo stradale;
   tale circostanza a quell'ora ha comportato un tempo di percorrenza dell'autostrada superiore alle 4 ore considerando che all'orario predetto l'autostrada è percorsa prevalentemente da lavoratori pendolari;
   ciò ha comportato ritardi e difficoltà al raggiungimento del posto di lavoro per migliaia di lavoratori della provincia di Napoli determinando indubbiamente un danno economico rilevante agli stessi e all'economia dell'ente locale;
   lo stato del trasporto pubblico in Campania è da più di un anno in condizioni estreme di difficoltà e la linea Circumvesuviana operante in quella zona, versa in condizioni di disagio economico e funzionale rendendola ormai inefficace ad una corretta funzionalità –:
   se sia prassi ordinaria che lavori di rifacimento del fondo stradale vengano effettuati dalla società Autostrade meridionali in orari diurni e di massimo transito;
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative al fine di rivalersi sulla stessa società per i danni subiti dalla economia locale in seguito al disservizio arrecato;
   quali iniziative intenda intraprendere per assicurare il diritto alla mobilità sul territorio delle popolazioni della provincia di Napoli. (4-02830)


   DI LELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Ammiraglio Luciano Dassatti dal 2008 al febbraio 2009 ha ricoperto l'incarico di Commissario dell'autorità portuale di Napoli, quindi fino al 2013 quello di presidente dell'autorità portuale e infine a tutt'oggi, su proposta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, svolge l'incarico di commissario straordinario con la proroga di sei mesi delle funzioni ricoperte in attesa della nomina del nuovo presidente;
   secondo le indicazioni del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il candidato alla successione dell'Ammiraglio Dassatti alla Presidenza dell'Autorità portuale di Napoli avrebbe dovuto essere Riccardo Villari, la cui proposta di nomina seppure in un primo tempo avesse ricevuto il via libera della commissione trasporti del Senato, al contrario ha poi dovuto registrare il parere negativo dell'analoga commissione della Camera. Parere tale da portare la situazione in una fase di stallo, consentendo così all'Ammiraglio Dassatti di proseguire nel suo mandato al vertice dell'Autorità portuale;
   a seguito all'intervista resa al quotidiano Il Mattino il 23 novembre 2013 dall'Ammiraglio Dassatti i lavoratori hanno intensificato le azioni di protesta ritenendo particolarmente gravi le sue affermazioni che a giudizio dell'interrogante hanno leso la dignità dell'intera autorità portuale accusando di incapacità e inefficienza 91 lavoratori su 96, dipendenti che hanno sempre dato dimostrazione di impegno e dedizione e soprattutto di lealtà nei confronti dell'Ente;
   con il comunicato del 25 novembre 2013, l'assemblea dei dipendenti dell'autorità portuale, all'unanimità, ha chiesto al commissario straordinario dell'Ente di smentire le affermazioni gravemente lesive dell'integrità dell'amministrazione e della dignità dei lavoratori sui quali si vogliono far ricadere inefficienze altrui;
   l'assemblea straordinaria delle lavoratrici e dei lavoratori dell'Autorità portuale di Napoli riunitasi il 27 novembre 2013, a quanto consta all'interrogante, avrebbe chiesto al rappresentante legale dell'Ente di promuovere un'azione civile risarcitoria nell'interesse dello stesso ed un'azione penale laddove vi siano i presupposti di legge necessari;
   i dipendenti ritengono ormai insanabile la frattura prodottasi tra il commissario straordinario dell'Autorità portuale e la Segreteria tecnico operativa e venuto meno il rapporto di fiducia e di rispetto tra i dipendenti ed il medesimo Commissario;
   per tali motivi i suddetti dipendenti chiedono al commissario Dassatti di prendere atto della gravissima situazione e di rassegnare le dimissioni dall'incarico di commissario straordinario dell'autorità portuale di Napoli, soprattutto al fine di favorire la serena ripresa dell'attività lavorativa ordinaria dell'amministrazione;
   dal quotidiano Il Mattino del 3 dicembre 2013 il Ministro interrogato, lascia trasparire quello che all'interrogante appare un timido orientamento a non procedere ad ulteriori proroghe del commissariamento dell'Ente e a ricercare una soluzione adeguata nei tempi e nei modi dovuti alla straordinarietà della situazione –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di procedere alla nomina del nuovo presidente dell'autorità portuale di Napoli nei tempi più rapidi possibili, così da porre fine alla paralisi operativa che comporta pesanti riflessi sul piano economico e sociale sull'intera comunità napoletana. (4-02851)


   BOSSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di ricorso straordinario al Capo dello Stato è stato deciso l'annullamento dell'articolo 107, comma 2, dell'articolo 85, comma 1, lettera b), n. 2 e 3, e dell'Allegato A del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010 — regolamento del codice degli appalti;
   a seguito della sentenza di cui sopra si è proceduto, in quanto atto dovuto, al recepimento, con decreto del Presidente della Repubblica, del suddetto parere del Consiglio di Stato;
   con l'annullamento degli articoli sopra menzionati del codice degli appalti, ci saranno pesanti ricadute sull'attività edile in Italia, e in particolare sulla complessità di alcuni lavori sul patrimonio culturale;
   tra le conseguenze, c’è quella che le imprese generali, qualificate nella categoria prevalente, potranno partecipare a gare di lavori complessi nelle quali siano previste lavorazioni scorporabili e riconducibili alle categorie che richiedono una particolare specializzazione e professionalità, ivi comprese le lavorazioni inerenti il restauro specialistico (OS 2 A – OS 2 B) e lo scavo archeologico (OS 25);
   si tratta di un grave arretramento rispetto alla necessità di garantire un'adeguata qualificazione professionale a imprese che dovranno procedere a lavori di estrema delicatezza sul patrimonio culturale italiano;
   si rende necessaria, a parere della interrogante, una iniziativa normativa che intervenga sul tema per tutelare la qualificazione professionale di alcuni lavori, e l'esistenza stessa di numerose piccole e medie imprese del settore specialistico delle costruzioni, tra cui le imprese di restauro specialistico;
   l'iniziativa si rende necessaria anche al fine di evitare danni alla collettività derivanti da una repentina e ingiustificata caduta del livello qualitativo delle imprese, delle attrezzature ed installazioni specialistiche per le costruzioni –:
   se siano a conoscenza di quanto sopra esposto e se non ritengano necessaria un'iniziativa del Governo nella direzione indicata in premessa. (4-02857)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZACCAGNINI, LABRIOLA, LOCATELLI e PASTORELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia sta diventando sempre più una realtà globalizzata, un Paese multirazziale e multiculturale. I dati sono evidenti, gli stranieri regolari ammontano a circa 5 milioni, di questi solo circa la metà sono occupati (con regolare contratto e versamenti all'Inps), e rappresentano intorno al 10 per cento della forza lavoro;
   in una situazione in cui sono andati aumentando, nel corso del tempo, gli scenari di guerra e le carestie, il fenomeno della migrazione ha subito una forte ascesa con la conseguenza che, pur di trovare una situazione migliore per sè e le proprie famiglie, migliaia di persone si sono riversate nei Paesi occidentali spesso rischiando la propria vita pur di provare a raggiungere un'esistenza migliore;
   in questa situazione è andato aumentando il fenomeno della clandestinità che ha portato ad un forte incremento della violenza nei confronti degli immigrati che si trovano così a diventare facile preda della criminalità con il rischio che gli stessi, vivendo ai margini, vadano a rafforzare le truppe del malaffare e della delinquenza. Questa condizione persiste nonostante le regole stabilite dalla direttiva dell'Unione Europea n. 52/09 che introduce «norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare», e il recepimento di tale normativa del decreto legislativo n. 109/12 conosciuto come testo unico sull'immigrazione «Attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare» che, attuando la direttiva CEE, si occupa di regolarizzare il lavoro sommerso prevedendo pene sia pecuniarie che giudiziali nei confronti dei datori di lavoro che la disattendono;
   persistendo in Italia il reato di clandestinità, si hanno in ogni caso, l'aumento della prostituzione delle giovani donne ma anche, in alcuni casi, dei minori di sesso maschile, sia l'incremento dello sfruttamento di questa massa di lavoratori a nero che spesso svolgono le loro mansioni in condizioni di lavoro inumane, soprattutto in quelle aree dove la grande criminalità organizzata gestisce vaste fasce del mercato del lavoro sommerso, che ha numeri considerevoli, tutto questo favorito dalla stessa vita clandestina, che porta a nascondere e non ad evidenziare. In Italia il sommerso ammonta a circa 500 mila unità sottopagate e in condizioni insalubri e precarie e nonostante il decreto legislativo n. 109 del 2012 questo sommerso difficilmente viene a galla;
   questo fenomeno incentiva l'evasione del pagamento dei contributi di legge per questi lavoratori, creando danno anche all'Inps; si calcola che i rapporti di lavoro fittizio ammontano a circa 70 mila unità per le quali, ovviamente, si elude qualsiasi versamento alle casse dello Stato;
   tutto ciò, nonostante si sia cercato di intervenire in materia attraverso l'articolo 12 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo) convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 che ha introdotto il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro con pene previste per i cosiddetti «caporali» come la reclusione da cinque a otto anni e una multa di 1.000 e 2.000 euro per ogni lavoratore stagionale e in ultimo con il decreto legislativo n. 109 del 2012;
   in ultimo è innegabile che questo comporti l'espulsione di molti di loro, perché in Italia senza lavoro, e favorisce la clandestinità che rende disponibile manodopera a bassissimo costo. Nel 2011 non sono stati rinnovati 263 mila permessi di soggiorno, e così per ogni anno;
   appare, conseguentemente, necessario intervenire in maniera più incisiva per stroncare il fenomeno del «caporalato» non solo perché rimane una piaga vergognosa per il nostro Paese ma anche perché è soprattutto attraverso di esso che si rafforza il potere della grande criminalità organizzata che a sua volta gestisce, di fatto, un mercato nero parallelo che è spesso molto più efficace dei canali istituzionali;
   allarmanti arrivano le accuse di alcuni Paesi del nord Europa che definiscono il nostro sud, in particolare la regione Puglia, un mercato di nuovi schiavi, minacciando campagne di boicottaggio dei prodotti agricoli nazionali provenienti da quelle regioni. La Flai CGIL pugliese in parte conferma i dati in possesso dell'Europa (in particolare Norvegia, Inghilterra e Francia, ma anche Svezia), nei quali si fa presente che esiste una differenza notevole tra le cifre che i datori di lavoro dichiarano come compenso e i compensi reali erogati. Vengono denunciate inoltre le condizioni di vita in cui i braccianti migranti sono costretti a vivere, spesso in baraccopoli. Un dossier racconta che l'80 per cento dei contratti non sia rispettato. Queste accuse sono documentate da filmati e da dossier –:
   quali siano le informazioni attuali in merito al fenomeno del «caporalato» e alle accuse riportate dalla Norvegia, Svezia, Inghilterra e Francia, e se non si ritenga indispensabile assumere iniziative anche normative per prevedere misure più incisive ed efficaci quali: equiparazione del caporale al ruolo di datore di lavoro, rilascio del permesso di soggiorno immediatamente conseguente alla denuncia da parte degli sfruttati affinché gli stessi siano maggiormente stimolati a denunziare che li sfrutta (come la protezione per il fenomeno del racket), modificare la legge «Bossi-Fini» e abolire il reato di clandestinità, introdurre le aggravanti per violenza e sfruttamento su donne e minori con l'accezione di «particolare sfruttamento» in modo da mettere in condizione la magistratura di agire efficacemente prima che sia constatato lo sfruttamento grave ovvero il pericolo di vita; riconoscimento delle organizzazioni sindacali (previsto nella direttiva dell'Unione Europea n. 52/09 ma cancellato nel decreto legislativo n. 109 del 2012) per tutelare e supportare l'immigrato in fase di denuncia; revisione del trattato Dublino 1;
   se non si ritenga necessario, per quanto di competenza, incrementare l'azione preventiva e repressiva nei confronti di quelle bande di criminali che sfruttano e usano violenza nei confronti, soprattutto, di donne e minori immigrati prevedendo anche in questo caso maggiori tutele per chi trova il coraggio di denunciare i propri «carnefici»;
   se non si ritenga necessario promuovere un adeguamento del decreto legislativo n. 109 del 2012 per un recepimento maggiormente conforme alla direttiva 52/09, senza disattenderla nelle misure specificatamente varate per contrastare il fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori clandestini. (4-02838)


   PLACIDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ANPI di Lavello ha segnalato alle autorità locali la ripresa dell'attività di imbrattamento di molti spazi pubblici, ovvero di molti muri, con vergognose scritte a carattere nazi-fascista;
   tali fatti seguono a segnalazioni precedenti in cui già si stigmatizzava l'attività imbrattatoria durante la scorsa campagna elettorale;
   l'organizzazione che emerge dalle scritte è «Militia» di cui già un articolo del quotidiano La Repubblica del 14 dicembre 2011 si era occupato evidenziando la pericolosità di tale organizzazione;
   anche Il Messaggero si è occupato del caso il 31 marzo 2013 «Neonazisti, torna Militia e arruola sul web: pronto il congresso a Roma. La formazione di estrema destra lancia un sito per il reclutamento e organizza un congresso a Roma» di Mastro Pasqua in cui si approfondisce l'attività svolta dal gruppo che attraverso pagine di social network e siti dedicati inneggia all'apologia del fascismo e del nazismo;
   alcune scritte che sembrano riconducibili a «Militia» rappresentano una chiara minaccia e motivo di pericolo per l'incolumità e la sicurezza dei soci dell'ANPI di Lavello come ad esempio quella prodotta sul muro dell'asilo «Farina» riportante la seguente frase: «ANPI ci rivogliono i campi» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga di intraprendere iniziative stringenti per impedire che attraverso le manifestazioni organizzate si diffonda e si faccia proselitismo di organizzazioni di ispirazione fascista e nazista che di fatto violano la Costituzione repubblicana. (4-02840)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LAURICELLA e BURTONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 2 agosto 1999, n. 264, ha istituito l'accesso ai corsi di laurea universitari a numero programmato, con lo scopo di equilibrare il rapporto tra il numero di studenti e la qualità delle strutture universitarie, anche al fine di regolare l'offerta di professionalità richiesta dal mercato del lavoro;
   negli ultimi anni note vicende hanno dimostrato come tale modalità sia stata spesso caratterizzata da irregolarità, tanto da produrre più inchieste giudiziarie ed una diffusa insoddisfazione negli studenti;
   nelle discussioni parlamentari è più volte emersa la necessità di rivedere l'accesso programmato e garantire i necessari livelli qualitativi degli studenti che intendono iscriversi ai corsi universitari, in ragione del diritto allo studio, consacrato come fondamentale dalla Costituzione;
   sulla base delle suddette motivazione è stato accolto come raccomandazione – in sede di conversione del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, cosiddetto decreto istruzione, un ordine del giorno (9/1574-A/82) nel quale il Governo si è impegnato a valutare l'opportunità di prevedere per l'immatricolazione in medicina e chirurgia, in medicina veterinaria, in odontoiatria e protesi dentaria, architettura e scienze infermieristiche, di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 2 agosto 1999, n. 264, prove d'ingresso selettive che abbiano ad oggetto esclusivamente elementi generali inerenti ai corsi di laurea prescelti; di affidare l'organizzazione dei corsi di preparazione alle prove selettive d'ingresso agli uffici scolastici provinciali di concerto con le università, le scuole e i relativi ordini professionali; per gli ulteriori corsi di laurea, l'eventuale abrogazione delle prove di ammissione, contemplando meccanismi selettivi per gli studenti iscritti, consistenti nella fissazione di quote minime di esami di profitto da superare, nel massimo di tre, per i diversi corsi di laurea, nel primo anno di corso, e prevedendo la decadenza dall'iscrizione dello studente inadempiente; la fissazione della data delle prove selettive d'ingresso nel mese di settembre per consentire un adeguato completamento del corso di studi nell'ultimo anno scolastico –:
   in che tempi e con quale modalità il Ministro interrogato intenda dare seguito all'impegno assunto con l'accoglimento come raccomandazione dell'ordine del giorno citato in premessa, con il quale sono stati individuati precisi interventi di modifica alla legge 2 agosto 1999, n. 264;
   se non intenda adottare immediatamente un'iniziativa che stabilisca certezza di tempi e di criteri per gli studenti;
   se non ritenga di dover fissare per il mese di settembre la data per l'espletamento delle prove di ingresso selettive per l'iscrizione universitaria, al fine di non turbare il completamento del corso di studi della scuola media superiore, evitando evidenti distrazioni, che producono un abbassamento del livello qualitativo della preparazione scolastica, atteso l'impegno che sono chiamati ad affrontare nel pieno degli studi scolastici, per partecipare ad una selezione universitaria senza ancora conoscere, peraltro, l'esito del corso di studi scolastico. (5-01657)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROTTA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   risulta da numerosi articoli di stampa (La Repubblica, 25 novembre 2013) che il Ministro interrogato abbia presentato un decreto, ai sensi dell'articolo 11 del decreto Presidente della Repubblica n. 275 del 1999 sui progetti di innovazione scolastica e in risposta alle richieste, pervenute al Ministero, di alcuni istituti scolastici parificati e pubblici per aderire a una sperimentazione per dei progetti di innovazione metodologico-didattica che prevedano l'abbreviazione del percorso di studi da 5 a 4 annualità (articolo 1);
   l'articolo 11, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999 stabilisce che i progetti di innovazione metodologico-didattica, come quello autorizzato dal decreto summenzionato, siano accompagnati dal parere del Consiglio nazionale della pubblica istruzione; risulta all'interrogante che il Consiglio, anche perché non più attivo dopo la scadenza dell'ultima proroga nel dicembre 2012 (adunanza del CNPI del 20 dicembre 2012), non abbia rilasciato il parere obbligatorio esponendo il decreto al rischio di illegittimità –:
   se non ritenga, viste anche le preoccupazioni espresse dalle parti sociali in merito all'illegittimità formale e alle perplessità sui contenuti dei progetti approvati e ai criteri di accesso per i diplomati delle medie inferiori, di interrompere le sperimentazioni e avviare un'interlocuzione con il mondo della scuola. (4-02828)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CATALANO, PARENTELA, TERZONI e DE LORENZIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 23 marzo 2009, a seguito di accordo sindacale del 13 gennaio 2009, punto 2, la signora M.F. è stata assunta a tempo indeterminato in Poste spa con mansioni di portalettere e luogo di lavoro Monza;
   suo figlio, P.P. dell'età di 7 anni, residente a Foggia, è portatore di handicap ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge n. 104 del 1992;
   le condizioni del bambino sono ampiamente documentate da verbale Asl/FG ai sensi della legge n. 104 del 1992, verbale commissione medica per l'invalidità, e certificazione medico-specialistica, e notificate all'azienda;
   diversi verbali medici attestano che la presenza costante e duratura della figura materna è fondamentale per il trattamento psicoeducativo;
   la signora ha usufruito del diritto di aspettativa senza retribuzione ai sensi dell'articolo 37 del contratto collettivo nazionale del lavoro (C.C.N.L.) dal 10 febbraio 2010 al 9 maggio 2010; dal 10 novembre 2010 al 9 febbraio 2011; dal 29 giugno 2011 al 28 settembre 2011; dal 3 ottobre 2011 al 2 aprile 2012 e dal 21 maggio 2012 al 20 febbraio 2013;
   l'azienda unità sanitaria locale di San Severo, con verbale del 24 gennaio 2011, considerato che la lontananza della madre dal comune di residenza non si concilia con i bisogni del bambino, attesta che sarebbe opportuno che la serenità del figlio riscontrata durante il periodo di aspettativa, «non dovrebbe essere interrotta ulteriormente, al fine di evitare sintomatologia più marcata»;
   già nel 2009, la signora M.F. ha richiesto all'azienda il trasferimento temporaneo per motivi di famiglia ai sensi dell'articolo 33 comma 5, della legge 104 del 1992;
   il 13 febbraio 2012 ha richiesto di essere applicata, anche provvisoriamente, a proprie spese e con le stesse mansioni, presso CPD/CSD/PDD della provincia di Foggia, facendo riferimento alla sede più vicina al domicilio della persona da assistere (Apricena);
   sono stati inviati solleciti il 23 ottobre 2012 e il 28 gennaio 2013;
   l'11 aprile 2013 la signora ha richiesto, per i problemi familiari e a decorrere dal 1o maggio 2013, per un periodo di 2 anni, la trasformazione del proprio rapporto di lavoro da full time in part-time con tipologia verticale con mesi e orario di lavoro da novembre ad aprile dalle ore 7,30-15.00, dal lunedì al venerdì e mesi non lavorativi da maggio a ottobre 2013;
   Poste, con lettera del 22 aprile 2013, non ha accolto la richiesta «per motivi tecnici ed organizzativi», e ha ribadito l'impossibilità di accettazione della richiesta in seguito alla richiesta di riesame della domanda presentata dalla signora il 21 maggio 2013;
   la tutela dei soggetti portatori di handicap, ratio della legge, giustifica la deroga al normale svolgimento della prestazione lavorativa ed ai criteri ordinari che disciplinano i trasferimenti della categoria di personale di appartenenza;
   non è accettabile che l'azienda abbia inizialmente respinto le reiterate richieste della signora di un periodo di aspettativa, riconosciutole per diritto, «per motivi tecnici ed organizzativi»;
   l'indisponibilità al trasferimento mostrato dall'azienda ad avviso degli interroganti nega un preciso diritto al lavoratore e danneggia ulteriormente una situazione familiare già delicata;
   il servizio rapporti con la società civile del segretariato generale della presidenza della Repubblica ha inviato alla signora una missiva in cui ha dichiarato di aver richiamato l'attenzione di Poste spa sulla questione –:
   se si intenda intervenire presso Poste spa per sollecitarla ad una maggiore sensibilità per le problematiche su esposte. (5-01662)


   CANCELLERI, MICILLO, ROSTELLATO, COMINARDI, BECHIS, BALDASSARRE, RIZZETTO, CIPRINI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi decreto legislativo n. 165 del 2001, le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, risultanti dai documenti di programmazione previsti all'articolo 6, possono utilizzare in assegnazione temporanea, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre amministrazioni;
   dal rendiconto generale 2011 presentato dall'INPS, emerge che «nel corso del 2011 si è registrata una progressiva diminuzione del personale in servizio, da 27.640 a 26.706 unità, pari a –3,38 per cento. L'ulteriore diminuzione della consistenza del personale ha determinato una carenza dell'8,73 per cento»;
   nel corso degli anni gli Istituti Inps ed ex Inpdap, al fine di sopperire alle predette carenze di organico e garantire il regolare svolgimento delle attività istituzionali, hanno fatto spesso ricorso all'utilizzo di personale in posizione di comando grazie al quale sono stati raggiunti gli obiettivi di produzione e sono stati assicurate alla collettività l'erogazione delle pensioni pubbliche e private, le prestazioni a sostegno del reddito e le attività di welfare per giovani e anziani;
   che da sempre l'orientamento dei suddetti Istituti è stato quello di stabilizzare il personale in comando, mentre adesso – dopo aver sfruttato per anni il lavoro di queste persone che hanno dato un contributo notevole al raggiungimento degli attuali standard quantitativi e qualitativi nell'erogazione dei servizi al cittadino e, proprio in un momento così critico per la vita dell'istituto a causa dell'integrazione con l'ex INPDAP e l'ex ENPALS – mortificano le aspettative di stabilizzazione di questi lavoratori in tutta Italia e li «rispedisce» alle loro amministrazioni, in alcuni casi distanti migliaia di chilometri, disperdendo le professionalità acquisite e creando un ulteriore vuoto in termini di risorse umane che sarà aggravato nel futuro dai prossimi pensionamenti;
   il personale in questione ha ormai raggiunto un elevato grado di professionalità anche grazie ai corsi di formazione e specializzazione a carico di INPS ed INPDAP, ormai da considerarsi inutili e improduttivi, con conseguente spreco di risorse pubbliche;
   secondo i dati forniti dall'INPS, per effetto della spending review le posizioni soprannumerarie ammontano a 2380 unità e, in ottemperanza al decreto legge n. 101 del 2013 che applica al pensionamento i requisiti antecedenti alla riforma Fornero fino al 2014, sono state certificata ad oggi n. 2748 collocamenti a riposo, numero destinato peraltro ad aumentare sia perché sono ancora in corso di definizione altri 500 collocamenti a riposo lavoratori ex INPDAP, sia perché in forza di quanto previsto dalla legge di conversione, devono ancora essere certificati i pensionamenti con uscita nel 2015 e nel 2016. Questo significa che il rientro dal soprannumero è definitivamente scongiurato con i collocamenti a riposo previsti nell'anno 2014 e che l'operazione di cessazione dei comandi non ha alcuna ragione di essere portata avanti;
   che il mancato rinnovo delle circa 700 unità di comandati, in concomitanza alle migliaia di collocamenti a riposo in corso, provocherà nelle sedi Inps, già in carenza di personale, il collasso dell'erogazione dei servizi in un momento in cui, a causa della grave crisi economica ed occupazionale che attraversa il nostro Paese, si assiste alla crescita esponenziale delle domande di prestazioni a sostegno del reddito (disoccupazione, cassa integrazione, mobilità e altro) con gravissimi disagi per l'utenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione illustrata in premessa e se intenda assumere iniziative affinché l'INPS provveda al rinnovo dei comandi in scadenza e alla revoca dei comandi cessati, fino a quando non verrà ridefinita la dotazione organica dell'Istituto a seguito dei collocamenti a riposo in deroga alla «legge Fornero» in corso di definizione. (5-01664)


   BALDASSARRE, ARTINI, BECHIS, COMINARDI, ROSTELLATO, RIZZETTO, BARBANTI, CANCELLERI, CHIMIENTI, BATTELLI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come emerge da un articolo a firma di Marco Palombi, pubblicato su «Il Fatto Quotidiano», in data 4 dicembre 2013, il Presidente INPS Antonio Mastrapasqua sta tentando di far approvare all'istituto che dirige, un affare immobiliare molto costoso e dal dubbio vantaggio economico;
   dal suddetto articolo emerge della trattativa – definita con un accordo quadro lo scorso 31 luglio – che intercorre tra il Mastrapasqua e il costruttore Luca Parnasi e la sua «Parsitalia»;

dall'articolo emerge che «l'affare» comporterà che un palazzo nel centro di Roma in via Panciani di proprietà INPS, valutato 65 milioni di euro, verrà ceduto a Parnasi con l'aggiunta di una ingente somma di denaro e nel frattempo la società Sgr che gestisce il patrimonio immobiliare INPS – la Idea FIMIT – diventerà socia di Parsitalia in un progetto che si chiama «Ecovillage»;
   il palazzo in questione è attualmente in affitto alla provincia e per tale ragione genera un reddito;
   l'affittuario del palazzo suddetto ha un diritto di prelazione per l'acquisizione dell'immobile entro il 2014 al prezzo di 70 milioni di euro;
   emerge altresì che il direttore generale dell'INPS, Mauro Nori, non sembra convinto della bontà dell'accordo e non avrebbe ancora comunicato al consiglio di Idea Fimit la volontà di INPS di proseguire nel progetto stesso;
   il presidente dell'INPS Antonio Mastrapasqua qualche tempo fa ha comunicato al Ministro dell'economia e delle finanze e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, che i conti hanno delle problematicità e che l'istituto può sopportare solo ulteriori tre anni di deficit;
   a fronte di tali dichiarazioni e della ormai nota criticità dovuta all'accorpamento di Inpdap ed Enpals – rilevata con interrogazione in Commissione lavoro n. 5-00960 – l'interrogante si chiede come sia possibile che il presidente Mastrapasqua ritenga necessario mettere a repentaglio i soldi di milioni di lavoratori in affari immobiliari dal dubbio esito e senza le dovute accortezze che dovrebbero essere usate per scelte di tale rilevanza;
   dalle dichiarazioni intercorse tra il Presidente INPS e i Ministri competenti emergono opinioni molto discordanti sulla tenuta dei conti dell'istituto previdenziale che necessiterebbero di ulteriori chiarimenti a causa delle possibili tragiche ricadute sul sistema pensionistico italiano che coinvolge milioni di lavoratori e pensionati –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, siano a conoscenza dei fatti suddetti e, in tal caso, quali interventi urgenti intendano intraprendere anche al fine di valutare l'effettiva bontà di tali operazioni immobiliari e le possibili ricadute sui bilanci INPS;
   se e quali iniziative, i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, intendano assumere al fine di chiarire in maniera univoca la situazione dei conti INPS, data la divergenza di vedute espresse in varie sedi dal Presidente INPS e dai Ministri stessi;
   se i Ministri interrogati, non ritengano di dover valutare con più attenzione la situazione dell'attuale Presidente Inps, Antonio Mastrapasqua, al fine di scongiurare eventuali possibili conflitti di interessi nello svolgimento del delicato e importante incarico assegnato allo stesso. (5-01666)


   BALDASSARRE, RIZZETTO, CIPRINI, BECHIS, ROSTELLATO, CHIMIENTI e BATTELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 9 marzo 1989, n. 88, all'articolo 20 comma 2, ha previsto che l'istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) possa «costruire o partecipare a società cui affidare la gestione del patrimonio immobiliare nel rispetto dei criteri di economicità ed efficienza»;
   il consiglio di Amministrazione, avvalendosi di tale facoltà, ha costituito con atto 12 febbraio 1992, la società «INPS Gestione Immobiliare – I.GE..I. – S.p.a» con una partecipazione privata pari al 49 per cento ripartita in parti uguali in misura del 9,6 per cento tra: Vianini Lavori S.p.a, Cagisa S.p.a ora Pirelli & C. S.p.a, Fisia S.p.a ora Gefi S.p.a., Sistemi Urbani S.p.a ora Sogivest S.p.a, CMC Soc. Coop. a.r.l e 1 per cento BNL S.p.a.;
   la I.GE.I S.p.a è stata costituita al fine di conseguire la più efficiente ed efficace utilizzazione possibile di tutti i beni immobili da reddito del portafoglio Inps;
   a partire dall'anno 1993 l'istituto ha affidato alla suddetta società la gestione degli immobili da reddito detenuti in proprietà, regolando i rapporti con una convenzione sottoscritta in data 18 maggio 1992;
   il decreto legislativo 104 del 1996, all'articolo 14, ha disposto la messa in liquidazione della società I.GE.I. S.p.a dal 31 dicembre 1996;
   l'assemblea straordinaria dei soci del 17 dicembre 1996, ha deliberato lo scioglimento anticipato della suddetta società e la nomina dei liquidatori, i quali si sono attivati al fine di facilitare la prosecuzione, da parte della I.GE.I., delle attività gestionali;
   in data 5 dicembre 2000, l'istituto ha chiesto al Ministro del lavoro e della previdenza sociale di poter mantenere operativa l'I.GE.I. S.p.a per il tempo «strettamente indispensabile» alla dismissione del patrimonio da reddito di Inps;
   il Ministro suddetto acconsentiva alla richiesta dell'istituto con nota prot. n. 81051/E/5 dell'11 maggio 2001 indicando il mantenimento operativo della I.GE.I. per «il tempo strettamente indispensabile»;
   a seguito della operazioni di cartolarizzazione (SCIP1 e SCIP2), l'istituto ha prospettato di mantenere operativa l'I.GE.I. S.p.a per la gestione del patrimonio da reddito, cartolarizzato e residuo, ricevendo parere favorevole da parte del Ministro dell'economia e delle finanze con nota prot. n. 003010 del 10 gennaio 2002;
   la società I.GE.I. S.p.a in liquidazione, sta continuando a gestire gli immobili da reddito già cartolarizzati e quelli residui di proprietà dell'Inps;
   l'I.GE.I continua quindi a introitare danaro da parte dei cittadini inquilini, avvantaggiando al contempo i soci privati detentori del 49 per cento del capitale sociale;
   a seguito di pubblico incanto indetto con bando pubblicato sulla GURI del 26 giugno 2000 e sulla GUCE del 30 giugno 2000, l'istituto ha aggiudicato l'appalto alla società Romeo Gestioni Spa, con nota prot. n. 3008366 del 27 ottobre 2000, con mansioni di attività di assistenza, consulenza e predisposizione di tutti i documenti necessari per la vendita degli immobili cartolarizzati –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di propria competenza, sia a conoscenza dei fatti suddetti e, in tal caso, quali interventi urgenti intenda intraprendere;
   se e quali iniziative, il Ministro interrogato, per quanto di propria competenza, intenda assumere al fine di porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a garantire l'osservanza delle previsioni normative relative alla soppressione della società I.GE.I. S.p.a.;
   se il Ministro interrogato, non ritenga eccessivi 17 anni come «tempo strettamente indispensabile» alla dismissione del patrimonio immobiliare da reddito di Inps;
   se il Ministro interrogato, per quanto di propria competenza, non ritenga di dover intervenire urgentemente al fine di verificare l'attività svolta dalla I.GE.I S.p.a con particolare riguardo alle simili mansioni svolte dalla società Romeo Gestioni, S.p.a. (5-01667)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MIGLIORE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Soriano Ceccanti vive ammirevolmente su una carrozzella dal Capodanno del 1969, quando, sedicenne, fu colpito da un proiettile sparato dalle forze dell'ordine durante una manifestazione. Disabile al 100 per cento, Soriano è titolare di una pensione di invalidità. Una decina di giorni fa gli viene comunicato dall'Inps, a firma ragioniere Giacomo Tognini, che la pensione gli è stata sospesa, perché «da accertamenti risulta che la persona abita in Marocco»;
   Ceccanti abita a Pisa, e in Marocco ha trascorso lunghi periodi di recente per le migliori ragioni personali. Una funzionaria dell'Inps pisano gli comunica che «la pensione viene sospesa se il beneficiario soggiorna all'estero per più di un mese». E che l'Inps, se sospetta che questo avvenga, può richiedere il passaporto dell'interessato;
   Ceccanti chiede parere a una esperta legislativa sulle invalidità (sito Handylex) che spiega: «Se lei mantiene la residenza in Italia non perde la provvidenza economica. Se trasferisce la residenza all'estero, perde il diritto». Soriano ha la residenza in Italia;
   l'Inps l'ha chiamato l'anno scorso a una visita di controllo ma Ceccanti è appunto in Marocco, e manda un fax chiedendo di essere preavvisato con un certo anticipo. La cosa si ripete per una visita fissata allo scorso 15 gennaio, lui è via e al ritorno, a fine gennaio, fa domanda per la visita medico legale;
   la pensione è stata «eliminata in via cautelativa». A fine marzo viene visitato da una dottoressa coetanea che «si ricorda il fatto», e gli chiede se abbia avuto un indennizzo... Passa un altro mese e l'Inps per raccomandata conferma che è disabile e ha diritto alla pensione. Va a ripresentare la domanda all'Inps e si infila in un battibecco con le impiegate cui spiega quanti gli costi tutta quella burocrazia: gli rispondono che se va tanto in giro tanto male non sta. (Ceccanti, male come sta, è salito per quattro volte sul podio delle paralimpiadi per la scherma italiana, in posti distanti come Tokyo o Sidney). E ammoniscono di togliergli di nuovo la pensione perché sta troppo tempo all'estero, e gli chiederanno il passaporto;
   alla sua protesta cercano invano la norma pertinente, dicono che gliela manderanno per mail, e non succede, perché la norma non esiste. In cambio gli arriva la lettera sugli «accertamenti». La sua pensione è sospesa da febbraio. Ha messo le cose in mano a un avvocato, passaporto compreso. Per sbloccare l’«annullamento temporaneo della pensione», e per tutte le eventuali ulteriori azioni legali –:
   quali iniziative intenda intraprendere per garantire il diritto alla pensione per l'invalidità permanente senza interruzioni arbitrarie da parte dell'Inps;
   quali iniziative intenda attivare per verificare il corretto operato dell'ufficio Inps di Pisa. (4-02833)


   CRIPPA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Mottarone, gruppo montuoso delle Alpi Cusiane che interessa le province di Novara e del Verbano Cusio Ossola, è una zona di importante rilievo turistico;
   la vera grande attrazione locale è rappresentata dagli impianti sciistici, sviluppati lungo 21 chilometri distribuiti su 21 piste (8 blu, 10 rosse e 3 nere) e serviti da 7 skilift;
   come riportato nell'interrogazione regionale n. 1906, presentata in data 29 novembre 2013 dal consigliere Davide Bono (M5S) della regione Piemonte, «Gli impianti sciistici del Mottarone generano un indotto turistico sul territorio dovuto alla presenza media di circa 50.000 sciatori per ciascuna stagione invernale»;
   l'articolo della testata giornalistica locale «L'Ecorisveglio» del 4 dicembre 2013 a firma di Tommaso Nencioni riporta che sono stati finanziati i lavori per il rinnovamento della funivia del Mottarone, strettamente collegata all'afflusso degli sciatori nel periodo invernale, e aggiunge che «la giunta regionale ha deliberato negli scorsi giorni la messa a bilancio di un milione e 750 mila euro per i lavori di ammodernamento dell'impianto, mentre un altro milione arriverà in dieci anni dal Comune di Stresa»;
   secondo fonti di stampa nella mattinata di ieri, martedì 3 dicembre l'ufficiale giudiziario ha eseguito lo sfratto richiesto dalla famiglia Borromeo, proprietaria dell'area sulla quale sorgono gli impianti di risalita della pista Baby, nei confronti della società S4, titolare della concessione, che recependo una direttiva regionale sull'interesse pubblico di questo tipo di aree aveva smesso, nel 2010, di versare i canoni di affitto;
   secondo l'articolo di Luca Gemelli pubblicato sul sito del quotidiano nazionale «La Stampa» del 2 dicembre 2013, «l'area sulla quale saranno posti i sigilli è di 545 mila metri quadri, nella zona dove sorge la pista Baby, un tracciato centrale e senza il quale non è possibile per i gestori proseguire l'attività»;
   il titolare di S4, Stefano Sappa, sempre dalle colonne del numero del 4 dicembre 2013 de «L'Ecorisveglio» sottolinea che «[...] questa stazione è forse l'unica in Italia a esser cresciuta senza alcun finanziamento pubblico, ma solamente con i fondi dei privati, e che attualmente dà lavoro, oltre alle persone coinvolte in vetta, anche a un centinaio di lavoratori dell'indotto (maestri di sci, albergatori e ristoratori, ndr), oltre a esser fondamentale per le attività economiche della cima» –:
   se e quali iniziative di competenza, di concerto con la regione Piemonte e il comune di Stresa, il Governo intenda adottare al fine di evitare la chiusura dell'importante attrazione turistica invernale sita sul monte Mottarone in modo da salvaguardare gli attuali livelli occupazionali. (4-02847)


   BOCCUZZI, ZAPPULLA, ALBANELLA, CARRA, GNECCHI, BARUFFI, SIMONI, GIACOBBE, BELLANOVA, D'OTTAVIO, GRIBAUDO, PARIS e INCERTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia risultano non assicurate all'INAIL circa 8.000.000 di persone che lavorano, pari a circa il 25 per cento del totale, come emerge dalla congiunta lettura dei dati INAIL, ISTAT e INPS, presentati nel Convegno «Mi impegno per la prevenzione» organizzato dalla CIIP (Consulta interassociativa italiana prevenzione) al Senato il 25 ottobre 2013:
    a) la mancata prevenzione in Italia costa 60 miliardi di euro/anno;
    b) circa 5 milioni sono persone che lavorano non in nero ma non sono assicurate INAIL e quindi non sono computate nel numero di morti e infortuni sul lavoro (esempio partite IVA, commercianti, forze armate, e altro) e naturalmente nemmeno nei numeri di malattie professionali; i dati ISTAT indicano circa 22/23 milioni di occupati contro i circa 18 milioni di assicurati INAIL;
    c) circa altri 3,5 milioni sono lavoratori che lavorano «in nero»;
   è nota la vicenda dell'incendio di Prato –:
   quali siano le cause scatenanti l'incendio di Prato e se siano emerse delle responsabilità;
   quanti e quali controlli sono stati effettuati negli ultimi cinque anni nella area di Prato e in Toscana dagli organi di vigilanza competenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro e lotta antincendio e gli esiti di detti controlli e dagli organi di vigilanza competenti in materia di legalità e regolarità del lavoro e applicazione delle normative di legge e contrattuali e gli esiti di detti controlli, in riferimento agli infortuni e alle autorizzazioni a svolgere l'attività di impresa; degli organi di vigilanza competenti in materia di legalità del lavoro e applicazione delle normative di legge e contrattuali e gli esiti di detti controlli e degli altri organi preposti alla sicurezza: carabinieri, polizia di Stato e municipale, guardia di finanza;
   quale sia il numero e la qualificazione degli ispettori del lavoro di direzione provinciale del lavoro, vigili del fuoco, INPS, INAIL e il loro rapporto percentuale con le piante organiche previste;
   quale sia l'andamento infortunistico e di malattie professionali degli ultimi dieci anni nell'area di Prato e in Toscana;
   quale siano l'andamento e gli esiti degli accertamenti giudiziari in materia di legalità e sicurezza sul lavoro degli ultimi dieci anni nella area di Prato e in Toscana e, in particolare in applicazione del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231;
   quale siano le verifiche effettuate sulla formazione e addestramento sul lavoro, ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e in particolare, rispetto alla lingua veicolare utilizzata ai sensi del comma 13, dell'articolo 37 del decreto legislativo n. 81 del 2008;
   come si sia modificato il «tessuto produttivo» (numero dipendenti e nazionalità dei datori di lavoro) degli ultimi dieci anni nella area di Prato e in Toscana;
   quanti decreti attuativi del decreto legislativo n. 81 del 2008 non siano ancora stati approvati a cinque anni dall'entrata in vigore del suddetto decreto e, in particolare, se siano stati predisposti i decreti e i tempi di entrata in vigore, in particolare di:
    a) decreto di modifica e integrazione delle normative di prevenzione degli incendi, ai sensi dell'articolo 46, comma 3, del decreto legislativo n. 81 del 2008 e decreto sul SINP (Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro) ai sensi dell'articolo 8, comma 4;
    b) decreto legislativo n. 81 del 2008 e se in esso sia prevista la presenza di tutti gli enti pubblici interessati, ad esempio INPS;
    c) decreto sulla «qualificazione delle imprese» (cosiddetta «patente a punti», ai sensi dell'articolo 27 del decreto legislativo n. 81 del 2008;
    d) decreto sulla «selezione della idoneità tecnico professionale delle imprese», ai sensi dell'articolo 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008;
    e) decreto di regolamentazione e istituzione del «fondo» per i RLST (Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza), ai sensi dell'articolo 48, comma 2 del decreto legislativo n. 81 del 2008;
   se il Governo, d'intesa con le regioni, intenda verificare il rispetto degli obblighi di formazione ai sensi del decreto legislativo n. 81 del 2008, relativamente a:
    a) concessione di crediti formativi per RSPP e ASPP (responsabili e addetti dei servizi di prevenzione e di protezione aziendali) rilasciati in convegni con la presenza anche di 100, 200, 300 persone che appaiono in violazione dell'articolo 32, che impone la concessione di detti crediti solo per corsi (quindi con verifica di apprendimento e numero massimo di presenti);
    b) concessione di crediti formativi rilasciati da soggetti non idonei ai sensi dell'articolo 37, ad esempio associazioni imprenditoriali e sindacali ed organismi paritetici ed enti bilaterali, che non hanno i requisiti della maggiore rappresentatività nazionale;
   se il Governo, d'intesa con le regioni, intenda promuovere l'attivazione di «registri» – come già vigenti per i medici competenti di cui all'articolo 38 di pubblica conoscenza relativi ai seguenti soggetti previsti dal decreto legislativo n. 81 del 2008:
    a) RSPP e ASPP (responsabili e addetti dei servizi di prevenzione e di protezione aziendali), di cui agli articoli 32 e 34;
    b) formatori qualificati, di cui all'articolo 6, comma 8, lettera m-bis;
    c) coordinatori, di cui all'articolo 98;
    d) soggetti formatori autorizzati, di cui agli articoli 32, 34, 37 e 98. (4-02852)


   BOCCUZZI, ZAPPULLA, ALBANELLA, INCERTI, CARRA, MICCOLI, GNECCHI, D'OTTAVIO, GIACOBBE e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in materia di tutela del lavoratore, il sistema normativo prevede che sul datore di lavoro gravano sia il generale obbligo di neminem laedere, espresso dall'articolo 2043 del codice civile, la cui violazione è fonte di responsabilità extra-contrattuale, sia il più specifico obbligo di protezione dell'integrità psico-fisica del lavoratore sancito dall'articolo 2087 del codice civile ad integrazione ex lege delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro, la cui violazione è fonte di responsabilità contrattuale;
   l'integrità psicofisica e morale dell'individuo trova riconoscimento giuridico non solo quale interesse tutelato da leggi ordinarie (si pensi agli articoli 581, 582, 590 e 185 del codice penale o all'articolo 5 del codice civile) e da leggi speciali (come l'articolo 9 dello statuto dei lavoratori), ma finanche da norme di rango costituzionale, quali quelle contenute nell'articolo 32 della Costituzione che garantisce la salute come fondamentale diritto dell'individuo, nell'articolo 41 che pone precisi limiti alla esplicazione dell'iniziativa economica privata stabilendo, peraltro, che la stessa non può svolgersi «in modo da arrecare danno alla dignità umana», e nell'articolo 2 che tutela i diritti inviolabili dell'uomo anche «nelle formazioni sociali, ove si svolge la sua personalità» e richiede l'adempimento dei doveri di solidarietà sociale. L'articolo 2087 del codice civile è «cristallino e preciso» nell'intimare all'imprenditore un impegno per la sicurezza del lavoratore. Inoltre all'uopo è utile ricordare il principio giuridico dell'adempimento dell'obbligo datoriale di sicurezza della prestazione di lavoro (Cass. Civ. sezioni unite 5163/09);
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con il decreto interministeriale n. 19 del 24 gennaio 2011, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ha emanato il regolamento sulle modalità di applicazione del pronto soccorso aziendale in ambito ferroviario. Tale regolamento dà attuazione a quanto disposto dal decreto legislativo n. 81 del 2008, che, con l'articolo 45, al comma 3, definisce le modalità di applicazione in ambito ferroviario del decreto ministeriale 15 luglio 2003, n. 388 e successive modificazioni;
   il decreto interministeriale n. 19 del 2011 nel tentare di regolamentare la materia del soccorso in ambito ferroviario ha trasformato tout court circa 20.000 ferrovieri in lavoratori isolati, cancellando inspiegabilmente le precedenti tutele di prevenzione in tema di sicurezza sino ad oggi riconosciute; solo qualche mese fa l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria (ANSF) aveva lanciato l'allarme. Nel 2012 sono avvenuti in Italia 108 incidenti «gravi»: lo stesso numero del 2011, il più alto dal 2008;
   in ambito ferroviario le aziende esercenti il trasporto utilizzano un equipaggio di condotta ad agente solo, ovvero un solo macchinista abilitato alla condotta dei treni finanche su quelli merci;
   tale organizzazione del lavoro, che incide pesantemente sulla sicurezza ferroviaria in stretta correlazione con la sicurezza del lavoro, non può essere aderente ai contenuti del decreto interministeriale n. 19 del 2011 nella parte in cui si esplicita che si debba garantire un «soccorso qualificato per ciascun punto della rete ferroviaria nei tempi più rapidi possibili» (articolo 4);
   ciò in analogia ai contenuti del comunicato n. 87 della Presidenza del Consiglio dei ministri del 30 maggio 1992;
   a tal proposito risulta agli interroganti che anche il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in una nota così si sia espresso:
  «tutto quanto premesso, sarà obbligo del datore di lavoro (imprese ferroviarie sia pubbliche che private n.d.a.) predisporre e attivare un'organizzazione del lavoro che consenta di fornire corretto adempimento sia ai principi generali di cui alla normativa antinfortunistica che a quelli – individuati dal decreto interministeriale n. 19/2011, appena illustrato – riferiti specificatamente al primo soccorso in ambito ferroviario;
   ad oggi numerose denunce di una organizzazione sindacale, in tutto il territorio nazionale, e denunce di numerosissimi RLS/RSU, ritengono assolutamente inesigibile tale determinazione del soccorso, configurando grave nocumento per la sicurezza dei lavoratori e dei passeggeri;
   a tali denunce sono seguite delle «simulazioni» delle aziende ferroviarie che hanno confermato la preoccupazione dei rappresentanti dei lavoratori; il soccorso ai lavoratori ed ai viaggiatori, infatti, in caso di malore dell'unico macchinista alla guida, non rispetta minimamente tali limiti imposti dai decreti attestando i soccorsi a 60 minuti circa;
   è di qualche settimana fa la notizia che la procura di Roma ha aperto un'inchiesta nei confronti dei dirigenti di Trenitalia sulla «potenziale pericolosità» dell'organizzazione del lavoro dei treni condotti dal macchinista solo;
   il procuratore Raffaele Guariniello ha delegato 4 ASL piemontesi per indagare sempre in materia di primo soccorso in ambito ferroviario, mentre nella regione Marche insiste da tempo senza risposta una prescrizione di un'ASL sulle criticità denunciate riguardo all'oggettiva intempestività del primo soccorso in relazione alla suddetta organizzazione del lavoro;
   quando a bordo di un convoglio ferroviario è previsto un unico lavoratore (cosiddetto macchinista solo), nel caso questi fosse colto da malore/infortunio improvvisi tali da inibire il proseguimento del treno, l'attuale organizzazione del lavoro non prevede che vi sia sul treno un altro operatore ferroviario adeguatamente formato alla condotta del treno;
   in siffatta situazione non si potrà garantire un soccorso tempestivo quando il malore del «macchinista solo» si manifesta in una galleria, su un viadotto e su linee ferroviarie lontane dalla strada;
   le involuzioni normative in ambito ferroviario, ad avviso degli interroganti, hanno certamente forzato le regole di prevenzione e tutela dei lavoratori, e con essi dei viaggiatori, consentendo appunto di scaricare ai lavoratori le responsabilità di eventuali incidenti/infortuni ferroviari, il cosiddetto «errore umano»;
   le aziende ferroviarie, ad oggi, persistono ad utilizzare alla guida dei treni, nel territorio italiano, un solo agente di condotta omettendo sostanzialmente le predette sicurezze e di fatto contravvenendo al rispetto dei decreti ministeriali menzionati, condizione reale di rischio per molti lavoratori e utenti del trasporto ferroviario –:
   quali iniziative si intendano assumere affinché venga comunque assicurato anche al personale viaggiante e agli equipaggi dei treni un «soccorso qualificato» in analogia, per quanto riguarda i termini e i tempi, a quanto previsto per la generalità dei cittadini e dei lavoratori;
   se si ritenga che l'organizzazione del lavoro con un solo agente alla guida dei treni assicuri concretamente una piena tutela della salute e dell'integrità dei lavoratori, così come previsto dall'articolo 2087 del codice civile, rappresentando un potenziale motivo di rischio anche per i viaggiatori/utenti delle Ferrovie italiane.
(4-02856)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta orale:


   BOSCO, DORINA BIANCHI, PAGANO, GAROFALO, PICCONE e SAMMARCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma anche per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   il made in Italy agroalimentare costituisce la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazione geografiche, protette e di produzioni biologiche;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   sulla base dei dati EFSA, l'Italia risulta prima nel mondo in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici eccedenti il limite consentito (0,3 per cento), con un valore inferiore cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) ed addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   il settore suinicolo rappresenta una voce importante dell'agroalimentare italiano. La suinicoltura italiana, infatti, occupa il 7o posto in Europa per numero di capi mediamente presenti: in Italia nel 2012 la consistenza è stata di 9,279 milioni di capi, preceduta da Germania (28,1 milioni), Spagna (25,2 milioni), Francia (13,7 milioni), Danimarca (12,4 milioni, Olanda (12,2 milioni) e Polonia (11,9 milioni di capi);
   i dati del censimento dell'agricoltura 2010 indicano in 26.197 il numero delle aziende suinicole in Italia (74,1 per cento rispetto al 2007), 4.900 delle quali allevano più di 50 suini;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale degli allevatori di suini (ANAS), nel 2012 l'Italia ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   dai dati elaborati da ISMEA nel rapporto «la competitività dell'agroalimentare italiano» del 2012, emerge che la fase agricola è fortemente penalizzata dalle repentine ed intense variazioni dei prezzi alla produzione, variazioni dei prezzi alla produzione, variazioni che invece non si trasmettono immediatamente sui prezzi nelle fasi più a valle, né per tempistica, né per intensità;
   sulla base dei risultati definitivi pubblicati dall'ISTAT e secondo quanto certificato dal 6o censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo, in diminuzione nell'ultimo decennio, è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   nel mercato del settore suinicolo, l'andamento dei prezzi riconosciuti agli allevatori mostra valori inferiori ai costi di produzione;
   secondo analisi ed elaborazione ANAS riferiti al primo semestre 2013, il valore dell'allevamento riconosciuto nella fase di distribuzione è stato del 17,28 per cento;
   l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine delle carni suine, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale — che assicurano, tra l'altro, elevati standards di sicurezza e qualità — ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in evidenza che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che dietro questo sistema ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine italiana;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del Regolamento CE 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria per le carni dei codici della nomenclatura combinata (NC) elencati all'allegato XI del regolamento medesimo — tra le quali sono contemplate le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate — rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013 –:
   quali azioni si intendano promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio nel settore delle carni suine, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi, agli allevatori, palesemente inferiori ai costi di produzione medi da essi sostenuti;
   quali azioni si intenda promuovere, con specifico riferimento al commercio delle carni suine, al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere, ai danni degli allevatori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo regolamento di attuazione (decreto ministeriale 19 ottobre 2012, n. 199);
   se non sia opportuno adottare, anche per le carni suine, un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9/2013, onde assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative si stiano approntando, o che siano già state previste, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati. (3-00502)


   FAUTTILLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale — considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore — ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che, dietro questo sistema, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   quali determinazioni intenda assumere alle autorità di controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy. (3-00505)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI, MARIANI, CASTRICONE, OLIVERIO, TERROSI, ROBERTA AGOSTINI, DAL MORO, BLAZINA, ZANIN, TENTORI, ANTEZZA e TARICCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agro alimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del PIL nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, è fondamentale per garantire la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
   in questo contesto, la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno, con oltre 26.000 allevamenti diffusi in tutta Italia;
   dai dati ANAS (Associazione nazionale allevatori di suini) emerge che nel 2012 l'Italia ha importato dalla Germania più di 500.000 tonnellata tra suini vivi e carni suine, che rappresentano oltre il 50 per cento del totale delle importazioni di tali prodotti;
   nel territorio nazionale un grande sforzo è stato compiuto da numerosi allevatori per il recupero dell'allevamento di razze autoctone, quali la cinta senese, il maiale grigio, la mora romagnola, il nero siciliano, la casertana, la calabrese, che rappresentano oggi produzioni di grande qualità, ottenute nel rispetto di disciplinari molto rigidi, e con potenzialità interessanti sul mercato;
   recentemente, la stampa europea ha diffuso alcuni dati da cui emerge che l'industria della carne suina tedesca, efficiente e con prodotti a basso costo, è, di fatto, basata su tecniche produttive e di allevamento non sostenibili, in quanto pregiudizievoli per l'ambiente, la salute e la tutela del lavoro, con conseguenze sull'inquinamento delle falde acquifere e anche sulla salute, considerato l'impiego di eccessive quantità di antibiotici;
   nel settore delle carni suine i controlli effettuati hanno portato alla luce molteplici episodi di contraffazione e frode, spesso legati all'abusivo impiego, nella fase della pubblicità o della presentazione dei prodotti, di denominazioni, o simboli, o immagini evocative di prodotti e territori italiani;
   il mercato interno deve prevenire e contrastare l'utilizzo improprio del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   l'omissione delle informazioni sull'origine di un prodotto agroalimentare ed una pubblicità che suggerisca un legame inesistente tra un prodotto ed un territorio aumentano in modo significativo il rischio di confusione;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono pregiudica l'immagine del patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del regolamento CE 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, impone come obbligatoria l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza per una serie di prodotti, tra cui le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate, fissando alla Commissione il termine del 13 dicembre 2013 per adottare le disposizioni di attuazione dell'obbligo –:
   quali azioni i Ministri interrogati intendano promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio con l'estero nel settore delle carni suine, al fine di prevenire le pratiche fraudolente o ingannevoli, ai danni del made in Italy o, comunque, ogni altro tipo di operazione o attività commerciali in grado di indurre in errore i consumatori e, ancora, la più ampia trasparenza delle informazioni relative ai prodotti alimentari ed ai relativi processi produttivi e l'effettiva rintracciabilità degli alimenti nazionali;
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio nel settore delle carni suine, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi, agli allevatori, palesemente inferiori ai costi di produzione medi da essi sostenuti;
   quali azioni Ministri interrogati intendano adottare al fine di promuovere il rispetto, in sede comunitaria del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento n. 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine;
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al commercio delle carni suine, al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere, ai danni degli allevatori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo regolamento di attuazione (decreto ministeriale 19 ottobre 2012, n. 199);
   quali azioni il Ministro intenda attivare a sostegno delle azioni utili per il miglioramento genetico e le attività profuse dagli allevatori per la riproduzione delle razze autoctone;
   se i Ministri interrogati non intendano, nelle more dell'approvazione, a livello comunitario, dei suddetti provvedimenti di attuazione, ed avviare opportune campagne di informazione per gli organi di controllo e per i consumatori;
   se i Ministri interrogati non intendano assicurare l'adozione, anche per le carni suine, di un sistema analogo a quello previsto dall'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine, nonché assicurare l'accesso ai relativi documenti da parte dei consumatori, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche. (5-01658)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale va riconosciuta con riferimento alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   l'agroalimentare made in Italy, che registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo ed è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese;
   la crescita costante dell’export testimonia l'indiscutibile ruolo dell'agroalimentare nazionale e del valore attribuito al marchio Italia, con un territorio ed una, produzione ammirati ed imitati nel mondo;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) ed addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   il settore suinicolo rappresenta una voce importante dell'agroalimentare italiano: in Italia, la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno e sono oltre 26.200 gli allevamenti di suini, concentrati, prevalentemente, in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna;
   in Italia, nel 2012, la produzione nazionale di suini è stata stimata in 245.620 tonnellate, le importazioni in 572.987,42 tonnellate ed il consumo di cosce in 734.749,31 tonnellate;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), risulta che l'Italia nel 2012 ha importato, solo dalla Germania, il 52 per cento di suini vivi e carni suine, per un totale di 535.309 tonnellate;
   da articoli apparsi sulla stampa europea è emerso che l'efficienza dell'industria della carne suina in Germania è basata su prodotti a basso costo, operai sottopagati, falde acquifere inquinate, tecniche di allevamento non sostenibili e con gravi ripercussioni sulla salute dei consumatori legate all'eccessivo impiego di antibiotici;
   attraverso specifici strumenti di legge, ISA spa supporta le imprese operanti nella fase di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, zootecnici e silvicoli;
   il volume delle produzioni e delle movimentazioni attese nell'ambito dell'iniziativa indicata, se confrontato con i dati delle produzioni nazionali e delle importazioni, sembra dimostrare che i prodotti dello stabilimento non possano essere garantiti come di effettiva origine italiana;
   molti controlli operati nel settore delle carni suine hanno già evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del made in Italy provoca gravi distorsioni della concorrenza, condiziona il funzionamento del mercato e viola il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   attualmente, nel mercato del settore suinicolo, l'andamento dei prezzi riconosciuti agli allevatori mostra valori inferiori ai costi di produzione;
   secondo quanto certificato dal 6o censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   secondo analisi ed elaborazioni ANAS (Associazione nazionale allevatori suini), riferiti al primo semestre 2013, il valore dell'allevamento riconosciuto nella fase della distribuzione è stato del 17,28 per cento;
   dalle stesse elaborazioni si rileva che il costo medio di produzione del suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è di 1,56 euro al chilogrammo a fronte di un prezzo medio riconosciuto all'allevatore, per la stessa categoria, di 1,4 euro al chilogrammo;
   l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine delle carni suine, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale — che assicurano, tra l'altro, elevati standards di sicurezza e qualità — ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole –:
   quali controlli vengano effettuati da ISA spa prima di assicurare il supporto alle imprese o la partecipazione in specifiche iniziative con riferimento agli obiettivi sociali ed alla garanzia di perseguimento di finalità non contrastanti con la tutela e la valorizzazione dei prodotti e delle imprese nazionali;
   se ISA spa partecipi o abbia concesso investimenti ad imprese coinvolte nel mondo nella produzione di finto made in Italy, alimentare e non, introducendo fattori di concorrenza sleale per le imprese italiane e pregiudicando gli interessi dei cittadini e dei consumatori;
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio nel settore delle carni suine, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi, agli allevatori, palesemente inferiori ai costi di produzione medi da essi sostenuti;
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al commercio delle carni suine, al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere, ai danni degli allevatori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo Regolamento di attuazione (decreto ministeriale 19 ottobre 2012, n. 199). (4-02834)


   REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale è legato non solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti;
   in questo contesto, la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno, con oltre 26.000 allevamenti diffusi in tutta Italia;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti ed offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   dai dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS) risulta che l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente oltre 1 milione di tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania;
   articoli recentemente apparsi sulla stampa europea hanno rivelato che l'industria tedesca della carne suina è a basso costo ed apparentemente efficiente, in quanto, alla base del modello produttivo, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici, con gravi rischi per l'ambiente e per la salute dei consumatori;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiane;
   la circolazione di alimenti ingannevoli rispetto all'origine costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
   il Codice del consumo e la disciplina comunitaria in materia, attribuiscono ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   va assicurata una adeguata azione di prevenzione e di contrasto contro l'usurpazione del made in Italy, ed il mercato interno deve essere garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del regolamento CE 25 ottobre 2011, n.1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, impone come obbligatoria l'indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza per una serie di prodotti, tra cui le carni di animali della specie suina, fresche, refrigerate o congelate, fissando alla Commissione il termine del 13 dicembre 2013 per adottare le disposizioni di attuazione dell'obbligo;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n.9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema finalizzato a rendere accessibili agli organi di controllo ed alle Amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   quali azioni i Ministri interrogati intendano promuovere, a tutela del vero made in Italy, al fine di prevenire, nello specifico settore del commercio con l'estero nel settore delle carni suine, pratiche fraudolente o ingannevoli, poste in essere ai danni delle imprese nazionali ed al fine di contrastare ogni altro tipo di attività che possa indurre in errore i consumatori;
   quali azioni i Ministri interrogati intendano adottare per garantire la più ampia trasparenza delle informazioni relative ai prodotti alimentari ed ai relativi processi produttivi, l'effettiva rintracciabilità degli alimenti nazionali e promuovere il rispetto nelle sedi comunitarie, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento n. 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine;
   cosa intendano fare i Ministri interrogati per assicurare, nelle more dell'approvazione dei suddetti provvedimenti comunitari, una corretta informazione degli organi di controllo e dei consumatori;
   quali azioni i Ministri interrogati intendano adottare al fine di assicurare l'applicazione, da parte delle competenti autorità di controllo, della definizione dell'effettiva origine degli alimenti, sulla base di quanto disposto dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy;
   se i Ministri interrogati non intendano assicurare l'adozione, anche per le carni suine, di un sistema analogo a quello previsto per la filiera degli oli di oliva vergini, per garantire la completa accessibilità delle informazioni sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine, eventualmente prevedendo la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche.
(4-02835)


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale va riconosciuta con riferimento alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta «terra dei fuochi», suscita, pertanto, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo smaltimento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella Regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta più del 17 per cento del prodotto interno lordo e provengono dal settore agricolo oltre 53 miliardi di euro;
   il made in Italy agroalimentare è la leva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese;
   il settore agricolo, considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore, riveste una particolare importanza per l'economia nazionale ed assume un ruolo fondamentale nella custodia del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   dai dati elaborati da ISMEA nel rapporto «La competitività dell'agroalimentare italiano» del 2012, emerge che la fase agricola è fortemente penalizzata dalle repentine e intense variazioni dei prezzi alla produzione, variazioni che invece non si trasmettono immediatamente sui prezzi nelle fasi più a valle, né per tempistica, né per intensità;
   sulla base dei risultati definitivi pubblicati dall'Istat e secondo quanto certificato dal 6° censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo, in diminuzione nell'ultimo decennio, è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine di diversi prodotti, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale – che assicurano, tra l'altro, elevati standards di sicurezza e qualità – ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore  –:
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi palesemente inferiori ai costi di produzione medi sostenuti;
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda promuovere al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere ai danni degli agricoltori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo regolamento di attuazione (decreto ministeriale 19 ottobre 2012, n. 199), anche al fine di ripristinare la fiducia dei consumatori nei confronti della qualità e della sicurezza dei prodotti agroalimentari.
(4-02841)


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella Regione;
   il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
   deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e sopra tutto, alla produzione della regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del prodotto interno lordo nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre, allora, ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   il mercato interno deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   l'omissione delle informazioni sull'origine di un prodotto agroalimentare ed una pubblicità che suggerisca un legame inesistente tra un prodotto ed un territorio aumentano in modo significativo il rischio di confusione;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono pregiudica l'immagine del patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169 del 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, impone come obbligatoria l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza per una serie di prodotti, fissando alla Commissione il termine del 13 dicembre 2013 per adottare le disposizioni di attuazione dell'obbligo –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio con l'estero al fine di prevenire le pratiche fraudolente o ingannevoli, ai danni del made in Italy o, comunque, ogni altro tipo di operazione o attività commerciali in grado di indurre in errore i consumatori e, ancora, la più ampia trasparenza delle informazioni relative ai prodotti alimentari ed ai relativi processi produttivi e l'effettiva rintracciabilità degli alimenti nazionali;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare in sede europea al fine di promuovere il rispetto del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal regolamento n. 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative per l'adozione di un sistema analogo a quello previsto dall'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine dei prodotti, nonché assicurare l'accesso ai relativi documenti da parte dei consumatori, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche. (4-02843)


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare, universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva «ad alto valore aggiunto» per lo sviluppo del Paese;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltre modo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   il fenomeno dell'inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque, che interessa le zone comprese nella terra dei fuochi dovrà essere affrontato con azioni strategiche miranti, oltre che a sanare le situazioni di emergenza ambientale in agricoltura, anche a superare le criticità che hanno fatto crollare il mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, nel tentativo di recuperare il danno di immagine e di reputazione che l'intero settore ha accusato a livello campano;
   deve essere ricordato, infatti, che l'agroalimentare made in Italy registra un fatturato nazionale superiore ai 266 miliardi di euro, anche grazie e sopra tutto, alla produzione della regione Campania, e rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo;
   l'agricoltura italiana, con un totale di circa 820 mila aziende, rappresenta circa il 15 per cento del totale delle imprese attive italiane;
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale non è legato solo alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed all'ingente numero di lavoratori occupati;
   nonostante le difficoltà in cui versa l'intera economia italiana ed il deciso rallentamento del prodotto interno lordo nazionale registrato nel corso degli ultimi anni, secondo i dati Istat relativi ai primi sette mesi dell'anno, nel 2013 l'Italia ha fatto segnare il record nel valore delle esportazioni agroalimentari, arrivato a 34 miliardi di euro;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari, la contraffazione e la pirateria, garantisce la solidità delle imprese agricole italiane e tutela l'immagine ed il valore del made in Italy;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   il mercato interno, deve prevenire e contrastare l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy, ponendosi come garante della qualità, della salubrità, delle caratteristiche e dell'origine dei prodotti alimentari italiani, in quanto elementi funzionali a garantire la salute ed il benessere dei consumatori ed il loro diritto ad una alimentazione sana, corretta e fondata su scelte di acquisto e di consumo consapevoli;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale — considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore — ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   l'usurpazione e la denigrazione del made in Italy minacciano la solidità e provocano gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   quali determinazioni si intendano assumere in particolare, tramite il Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis della legge 24 dicembre 2003, n. 350, sulla tutela del made in Italy, tenuto anche conto della necessità di ripristinare un dialogo di fiducia con i consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari. (4-02844)


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita, pertanto, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale — considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore — ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   occorre ristabilire la fiducia tra i consumatori, reprimendo quegli atteggiamenti discriminatori ed egoistici che rischiano di compromettere l'immagine di un Paese compatto e determinato a spegnere quei focolai della illegalità che contribuiscono a diffondere la criminalità organizzata, a gettare discredito sulla produzione italiana e a creare confusione e diffidenza nella collettività;
   l'articolo 26, comma 2, lettera b) del regolamento (CE) 25 ottobre 2011, n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, prevede che l'indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria, rinviando l'applicazione della norma a successivi atti di esecuzione da adottare entro il 13 dicembre 2013 –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare in sede europea al fine di promuovere il rispetto, del termine del 13 dicembre 2013, imposto dal Regolamento 1169/2011/CE, per l'attuazione dell'obbligo di indicazione del Paese d'origine o del luogo di provenienza con riferimento alle carne suine;
   quali azioni il Ministro intenda intraprendere per provvedere alla tutela del vero «made in Italy» agroalimentare, con il fine di ristabilire la fiducia dei consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari locali.
(4-02845)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   AMODDIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è nota la pendenza di centinaia di giudizi innanzi all'autorità giudiziaria aventi ad oggetto risarcimento danno alla salute derivato dal contagio del virus dell'HCV o HIV post-trasfusionale;
   a fronte di questa vicenda di «malasanità», il legislatore è intervenuto già nell'anno 2003 con la legge 20 giugno 2003 n. 141 recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto 23 aprile 2003 n. 89» con la quale è stata autorizzata la transazione dei giudizi aventi ad oggetto il risarcimento danno da trasfusioni di sangue o emoderivati;
   l'articolo 3, dispone che «Per le transazioni da stipulare con soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o emoderivati infetti, che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti, è autorizzata la spesa di novantotto milioni e cinquecentomila euro per l'anno 2003 e centonovantotto milioni e cinquecentomila euro, per ciascuno degli anni 2004 e 2005. Al relativo onere si provvede mediante riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, dell'unità revisionale di base di parte corrente «Fondo Speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativa al Ministero della salute. Il ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio;
   con decreto del Ministero della salute, di concerto con il ministero dell'economia e delle finanze, sono stati fissati i criteri in base ai quali sono definite le transazioni di cui al comma 1 e, comunque, nell'ambito delle predette autorizzazioni, anche sulla base delle conclusioni cui è pervenuto il gruppo tecnico istituito con decreto del Ministero della salute 13 marzo 2002;
   successivamente, con decreto ministeriale 3 novembre 2003 sono stati fissati i criteri da utilizzare per la definizione delle transazioni da stipulare solo con i soggetti emofiliaci danneggiati da emoderivati infetti, e non anche con gli altri soggetti ugualmente contagiati e tutelati dalla predetta previsione legislativa;
   il decreto ha tenuto conto delle risultanze del lavoro svolto dal citato gruppo tecnico, le quali infatti rilevano solo i criteri di quantificazione delle possibili pretese creditorie ed eventuali prospettive di definizione transattive delle vertenze in atto, esclusivamente con 740 emofiliaci danneggiati a causa di emoderivati infetti;
   la predetta legge del 20 giugno 2003 n. 141 ha previsto all'articolo 3 il finanziamento anche per gli anni 2004 e 2005 e che in virtù dell'articolo 2 del decreto interministeriale la relativa somma, già stanziata, deve gravare sul capitolo 3300 dell'unità revisionale di base 3.1.2.1.» indennizzi alle vittime di trattamenti da emoderivati dello stato di previsione del Ministero della salute per l'anno 2003 e corrispondenti capitoli per sii anni successivi;
   l'articolo 3 infatti comprende tra i soggetti da risarcire «soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o emoderivati infetti» senza distinzione alcuna;
   il Ministero della salute riconosciuta la carenza nella previsione normativa in seno al primo decreto interministeriale, il Ministero della salute, così come si evince dalla comunicazione dell'8 giugno 2004, ha predisposto uno schema di decreto interministeriale con cui venivano ammessi a partecipare alla procedura transattiva anche i talassemici ed altri;
   dopo anni di silenzio del Ministero, solo con la legge 29 novembre 2007 n. 222 (articolo 33) e la legge 31 dicembre 2007 n. 244 (articolo 2, commi 361 e 362), il legislatore ha autorizzato il Ministero della salute a concludere transazioni con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o affetti da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali, danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie «che hanno instaurato, anteriormente al 1° gennaio 2008, azioni di risarcimento danni e che siano tuttora pendenti», stabilendo apposito capitolo di bilancio per euro 150 milioni per il 2007 ed euro 180 milioni per ciascuno degli anni successivi;
   la menzionata legge ha demandato al Ministero della Salute, di concerto con il Ministero dell'economia e delle Finanze, il regolamento per procedere alle suddette transazioni;
   il regolamento, in attuazione delle suddette leggi, è stato adottato con decreto ministeriale del 28 aprile 2009 n. 132 – regolamento di esecuzione – contenente la procedura per l'acquisizione delle domande di adesione alla procedura transattiva;
   con successiva circolare del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 20 ottobre 2009 n. 28, sono state fissate le modalità di presentazione delle predette domande di adesione alle transazioni;
   la normativa sopra menzionata, per quanto interessa la presente interrogazione, ha in particolare previsto, che i presupposti per la stipula delle transazioni sono: a) l'esistenza di un danno ascrivibile alle categorie di cui alla Tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981 n. 834, accertato dalla CMO o da sentenza; b) l'esistenza del nesso causale tra il predetto danno e la trasfusione del sangue infetto, accertata dalla Commissione o da sentenza;
   per i soggetti talassemici ed i soggetti emofiliaci si adottano i medesimi criteri e corrispondenti moduli transattivi già fissati per i soggetti emofiliaci dall'articolo 1, comma 1, del decreto ministeriale 3 novembre 2003, ivi compresi gli importi fissati;
   i soggetti interessati alla stipula della transazione devono presentare domanda di adesione al Ministero entro la data del 19 gennaio 2010 (90 giorni dalla data di pubblicazione della circolare applicativa);
   la domanda costituisce manifestazione di interesse ed ha valore di istanza per l'accesso alla successiva fase di stipula delle singole transazioni;
   a seguito dell'esame delle singole domande e quindi dell'ammissione alla successiva fase, il Ministero adotta decreto di natura non regolamentare per la definizione dei singoli moduli transattivi;
   numerosi ricorrenti, quindi, attraverso la procedura RIDAB, prevista dalla citata circolare per l'invio telematico delle domande di adesione, hanno rivolto istanza di partecipazione alla transazione, attenendosi pedissequamente a tutte le modalità e prescrizioni fissate dal Ministero della salute con le disposizioni menzionate;
   tuttavia, il Ministero della salute dal 19 gennaio 2010, acquisite le suddette istanze, ritardava l'emissione del decreto previsto dall'articolo 5 del decreto ministeriale n. 132 del 2009 per la definizione dell’iter amministrativo prodromico alla stipula della transazione;
   le Associazioni a tutela dei diritti e/o interessi diffusi dei contagiati, hanno diffidato ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 198 del 2009 le Amministrazioni coinvolte ad assumere nel termine di giorni 90 dalla notifica tutte le iniziative utili alla definizione dell'iter amministrativo prodromico alla definizione delle transazioni previste dalla legge;
   con nota del 15 giugno 2011 il direttore generale dell'ufficio VIII del Ministero della salute in risposta alla predetta diffida, evidenziava la necessità dell'adozione di apposito decreto da concertare con il Ministero dell'economia e delle finanze ai fini della definizione del procedimento, confermando in sostanza come lo stesso, a distanza di oltre un anno dell'avvio, si trovasse ben lungi dall'essere definito, e precisando che la stipula degli atti transattivi resta subordinata ad una valutazione di opportunità dell'amministrazione ed è comunque un contratto di natura privata tra le parti;
   di fronte al perdurare di tale inerzia da parte della Pubblica Amministrazione, quindi, è stata promossa una Class Action ex articolo decreto legislativo del 20 dicembre 2009, n. 198, iscritta con N. 6241/2011 R.G, definito con accoglimento delle istanze ivi formulate ed in conformità con le pronunce del Tar di Lecce e del Consiglio di Stato, che hanno qualificato la natura del procedimento stesso, la cui pronuncia è stata impugnata dal Ministero della salute soccombente, avanti al Consiglio di Stato;
   nelle more con il decreto del 4 maggio 2012, è stata disposta la Definizione dei moduli transattivi in applicazione dell'articolo 5 del decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze 28 aprile 2009, n. 132;
   nel succedersi di questi atti e di questa annosa questione, tuttavia, ancora ad oggi non risulterebbe essere stata sottoscritta nessuna transazione –:
   se il Ministro della Salute sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se sia vero che ad oggi non è stata sottoscritta nessuna transazione;
   quali iniziative intende assumere il Ministro per i soggetti esclusi a seguito della modifica del termine prescrizionale, in seguito alla sentenza della Suprema corte ha portato da 10 anni a 5 configurando la fattispecie di reato da epidemia colposa a lesioni;
   quali iniziative intendi adottare il Ministro per definire in tempi brevi il procedimento per la sottoscrizione delle transazioni con i soggetti per i quali ricorrono i presupposti. (3-00503)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   tutti i medicinali omeopatici in commercio in Italia godono delle disposizioni transitorie previste dall'articolo 20 del decreto legislativo, n. 219 del 2006. Sono i medicinali omeopatici già in commercio in Italia alla data del 6 giugno 1995 per i quali il responsabile dell'immissione in commercio ha documentato tale presenza al Ministero della salute entro i limiti previsti della norma (decreto legislativo n. 185 del 1995 e successive modificazioni);
   nessuno dei medicinali omeopatici in commercio ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 219 del 2006 è in possesso di un numero AIC rilasciato successivamente alla valutazione del dossier tecnico da parte dell'Aifa. Tutti i medicinali omeopatici in commercio godono di un'autorizzazione open legis, come è noto la legge n. 17 del 2007 ha prorogato il termine delle disposizioni transitorie al 31 dicembre 2015. Dopo il 31 dicembre 2015 solo i medicinali omeopatici in possesso di un numero AIC e di un formale provvedimento autorizzativo potranno continuare ad essere commercializzati sul territorio italiano. Le disposizioni transitorie previste dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 219 del 2006 come modificato dall'articolo 13, comma 1, del decreto-legge n. 158 del 2012 convertito dalla legge n. 189 del 2012 prevedono che tali prodotti sono soggetti alla procedura semplificata di registrazione prevista dagli articoli 16 e 17 del decreto legislativo n. 219 del 2006 anche quando in possesso di tutti i requisiti previsti dall'articolo 16 tutti i medicinali in commercio devono seguire l’iter registrativo fornendo la documentazione necessaria a dimostrare la qualità e la sicurezza del farmaco omeopatico. La procedura di rinnovo prevede che i dossier dei medicinali dovranno essere presentati entro 6 mesi dalla data di scadenza dell'autorizzazione, 25.000 dossier che le aziende dovranno presentare entro il 30 giugno 2015;
   in data 7 ottobre, sul sito del «Ilsole24ore» sezione Sanità, si paventa: «Cure omeopatiche a rischio, se non si interverrà riducendo la nuova tassa per la registrazione dei farmaci “naturali”»; per ottenere l'autorizzazione per l'immissione in commercio (AIE) di prodotti omeopatici, la normativa prevista dal decreto Balduzzi richiede a produttori e importatori, il pagamento di una somma che, secondo stime delle associazioni, sarebbe di circa 20.000 euro a farmaco a fronte dei 31 euro precedenti, con un rincaro di circa 700 volte. «Le imprese parlano di una tassa spropositata rispetto alla realtà economica del settore che dimezzerà il fatturato e metterà a rischio oltre a migliaia di posti di lavoro, anche la produzione di alcuni farmaci meno utilizzati, quelli per i quali gli oneri di autorizzazione alla commercializzazione saranno maggiori dei guadagni derivanti dalle vendite. La risposta delle aziende è stata un ricorso al Tar mentre il comitato “Difendiamo l'Omeopatia” ha avviato una raccolta firme per chiedere di cambiare le norme attualmente in vigore, riducendo costi e procedure burocratiche. La registrazione secondo i nuovi canoni Ue andrà completata entro fine 2015 ma, a mettere ancor più in agitazione il settore, la decisione dell'Agenzia del farmaco (Aifa) di richiedere l'invio delle schede relative a ciascun prodotto, entro il mese di ottobre 2013»;
   le associazioni di categoria dichiarano l'AIC, l'Autorizzazione all'immissione in commercio, costerà 3.062,40 euro a farmaco fino a 10 diluizioni. Le associazioni di categoria hanno denunciato come le tariffe di registrazione dei prodotti omeopatici hanno avuto, di punto in bianco, un aumento di 700 volte rispetto alle tariffe precedenti. Qualcosa senza precedenti. «L'AIFA ci impone burocrazia e costi tali che ci costringeranno a chiudere bottega dopo trent'anni di attività sempre in crescita (più 12 per cento nel 2013)» denuncia Alessandro Pizzoccaro patron della Guna, un colosso italiano, che in piena crisi fattura 160 milioni l'anno e dà lavoro a 1.200 addetti. «Oggi la super tassa del governo rischia di distruggere tutto». Anche, Silvia Barbieri, della ditta Iride 2000, non lascia spazio a molti dubbi: «Il costo altissimo richiesto dal Ministero per la registrazione ed i tempi tecnici per la presentazione dei documenti, impossibili da rispettare, faranno sì che molti omeopatici non potranno essere registrati e quindi non saranno più reperibili in Italia, mentre lo saranno negli altri paesi della comunità europea. Le aziende italiane si vedranno ridurre notevolmente il fatturato a favore di società oltre confine, saranno costrette a ridimensionare il numero dei loro dipendenti, tutto l'indotto perderà lavoro e personale (grossisti, informatori scientifici, ecc.) con gravissimi danni per le aziende, i medici omeopati ed i pazienti. Sottolineo infine che nella maggior parte dei paesi della Comunità europea, il costo delle visite del medico omeopata e/o dell'Heilpraktiker (naturopata) e il costo dei medicinali omeopatici prescritti, così come dei prodotti erboristici, sono a carico del Servizio sanitario nazionale, mentre in Italia sono a carico del paziente». La scadenza data in precedenza per la presentazione dei documenti per la registrazione dei farmaci era il 31 dicembre 2015. Invece il 10 settembre 2013 l'AIFA ha convocato le aziende che producono e distribuiscono omeopatici a Roma annunciando che, visto l'elevato numero di domande di registrazione da valutare (25.000), ha previsto due fasi per la consegna dei documenti. La prima fase da ottobre 2013 a luglio 2014, la seconda da settembre 2014 a giugno 2015. Nonostante questo, il 17 settembre di quest'anno le aziende hanno ricevuto il calendario di presentazione dei documenti. Questa manovra fa comprendere appieno la volontà di eliminare l'omeopatia e distruggere le aziende. Infatti, moltissime aziende dovrebbero presentare la documentazione ad esempio per 20/30 omeopatici a partire dal 30 ottobre 2013 e questo è praticamente impossibile: non ci sono i tempi tecnici per compilare i moltissimi documenti richiesti per ogni diluizione;
   il Comitato Difendiamo l'Omeopatia sta raccogliendo migliaia di firme con una petizione che chiede di cambiare immediatamente le norme vigenti. – «Se non cambiano le regole, se non blocchiamo tale vergognoso attacco, molti medicinali omeopatici non saranno più in vendita in Italia, e quindi sarà tolto ai cittadini il diritto, la libertà di cura, un principio sacrosanto, sancito dalla nostra Costituzione. Si può anche non essere favorevoli all'omeopatia in quanto tale, ma è un dovere morale di tutti difendere il diritto delle persone di potersi curarsi come meglio credono. Il diritto di una persona di usare prodotti fitoterapici e omeopatici. La libertà di scelta terapeutica è un diritto inviolabile e fondamentale in una società che si autodefinisce democratica e libera» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati e quali azioni intenda intraprendere affinché il comparto della medicina omeopatica non venga svantaggiato dalle nuove disposizioni normative;
   se non reputi di farsi da intermediario affinché l'Agenzia italiana del farmaco favorisca l'effettiva registrazione semplificata dei medicinali omeopatici attualmente presenti sul mercato, tutelando in tal modo un settore che registra una continua crescita offrendo anche opportunità lavorative;
   se non reputi di fare proprie le istanze delle associazioni di categoria che denunciano l'imposizione di regole inadeguate e costi spropositati che limiterebbero ed escluderebbero moltissimi farmaci, impedendo ai cittadini la libera scelta terapeutica sancita dall'articolo 32 della costituzione italiana, che prevede sia la tutela dello Stato sia il diritto alla salute del cittadino sia il diritto della libertà di terapeutica;
   se abbia previsto provvedimenti in merito alla materia esposta e se e come intenda eventualmente intervenire.
(4-02827)


   D'AGOSTINO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'allarmismo mediatico sollevato di recente intorno all'annosa vicenda della così detta terra dei fuochi, suscita, pertanto, una serie di preoccupazioni per i gravi danni d'immagine che esso provoca sul nostro ricco e pregiato made in Italy e, in particolare, su quello agroalimentare;
   la terra dei fuochi individua un'area della Campania che comprende 57 comuni (di cui 33 in provincia di Napoli e 24 in provincia di Caserta), con una popolazione residente di 2.405.754 abitanti, che rappresenta il 42 per cento dell'intera popolazione regionale, e una superficie territoriale pari a 1.071 chilometri quadrati, equivalente all'8 per cento di quella regionale (13.595 chilometri quadrati);
   in poco più di un anno, la zona è stata interessata da 6.034 roghi di rifiuti (materiali plastici, pneumatici fuori uso, scarti di lavorazione del pellame, stracci) e dall'intensificarsi di forme di inquinamento ambientale dovute all'abusivo smaltimento e all'abbandono incontrollato di rifiuti solidi urbani, di rifiuti speciali, pericolosi e non;
   lo sversamento illegale dei rifiuti da parte delle organizzazioni criminali non solo aumenta esponenzialmente il rischio di danni alla salute e alla sicurezza delle persone, ma lede in maniera ingiusta e sproporzionata anche l'immagine commerciale dell'intero settore agroalimentare regionale, ingenerando sfiducia e preoccupazioni, oltremodo amplificate sull'onda mediatica;
   l'inquinamento deve e può essere risolto con azioni di presidio e di isolamento delle terre compromesse, evitando che l'immagine negativa riservata al quadrilatero compreso tra il litorale domitio, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, possa procurare ulteriori danni economici alle imprese agricole presenti nella regione;
   altrettanto pregiudizievoli e preoccupanti per l'immagine e la ripresa economica del nostro Paese, sono le recenti iniziative assunte da alcune imprese italiane dirette a screditare la produzione campana attraverso campagne pubblicitarie chiaramente denigratorie e svilenti ai danni di tutti quegli imprenditori agricoli che per generazioni hanno contribuito a rendere la mozzarella di bufala campana, il pomodoro San Marzano dell'agro sarnese-nocerino, i limoni della costiera amalfitana o i vini prodotti in diverse province e comuni campani, vere e proprie opere d'arte esportate in tutto il mondo;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, con un contributo di 53 miliardi di euro che proviene dal settore agricolo;
   in agricoltura sono presenti quasi un milione di imprese, ossia il 15 per cento del totale delle imprese italiane;
   il mercato agricolo ha una rilevante importanza non solo per l'economia nazionale, ma, altresì, per il patrimonio culturale ed ambientale, se si considera la percentuale di superficie coltivata, nonché l'ingente numero di lavoratori occupati nel settore;
   la tutela dell'identità dei prodotti nazionali contro le frodi alimentari garantisce la solidità delle imprese agricole italiane;
   la libera circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale del mercato interno, ma, sempre più spesso, la salute dei consumatori e la corretta e sana alimentazione appaiono compromesse da cibi anonimi, con scarse qualità nutrizionali, o addizionati e di origine per lo più sconosciuta;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiane che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale;
   l'articolo 10 della legge 14 gennaio 2013, n. 9, norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini, introduce un sistema al fine di rendere accessibili a tutti gli organi di controllo ed alle Amministrazioni interessate le informazioni ed i dati sulle importazioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine degli oli di oliva vergini, anche attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per l'adozione, anche per gli altri prodotti agroalimentari, di un sistema analogo a quello previsto per gli oli di oliva vergini dalla legge n. 9 del 2013 citata, per assicurare l'accessibilità delle informazioni e dei dati sulle imposizioni e sui relativi controlli, concernenti l'origine delle carni suine e promuovere, a tale scopo, la creazione di collegamenti a sistemi informativi ed a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di rendere noti e pubblici i riferimenti delle società eventualmente coinvolte in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente, o scorrette finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy ed i dati dei traffici illeciti accertati;
   quali iniziative il Governo intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di ristabilire la fiducia dei consumatori rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari. (4-02842)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   agli inizi degli anni 2000, nella provincia di Catania, si è realizzato un sistema industriale dalle tecnologie avanzate, avente come attore principale la ST Microelectronics. Secondo il piano iniziale, il polo avrebbe occupato più di 4.000 persone, prevedendo la costruzione di ulteriori moduli;
   oggi si assiste ad un lento, ma costante, depotenziamento dell'insediamento industriale di ST Microelectronics a Catania. Tale situazione è determinata da una politica industriale del gruppo ST Microelectronics, che sceglie strategicamente di ridurre gli investimenti sul polo siciliano;
   un'analoga situazione si è verificata, negli anni scorsi, in Francia, dove, piuttosto che licenziare e/o peggiorare le condizioni dei lavoratori, si è deciso di cogliere l'opportunità, offerta dall'Unione europea, che ha individuato nell'industria dei semiconduttori un settore strategico da rilanciare e sostenere, portando, proprio in Francia, la produzione di microchip al 20 per cento della produzione mondiale;
   il Governo intende mettere in vendita le quote in suo possesso della ST Microelectronics. Tale decisione inciderebbe fortemente sulla produttività del sito catanese, già fortemente pregiudicato, e andrebbe a colpire ulteriormente il tessuto produttivo siciliano, che versa in un grave stato di depressione, oltre all'aver già causato un forte peggioramento dell'andamento in borsa della stessa società –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che la eventuale cessione delle quote in possesso dello Stato italiano possa favorire la produzione francese, creando le condizioni affinché ST Microelectronics possa ritenere non più conveniente la produzione in Italia;
   se non intenda promuovere azioni volte al rilancio dello stabilimento catanese di ST Microelectronics, piuttosto che procedere alla dismissione delle quote statali, creando, invece, le condizioni per ulteriori investimenti che salvaguarderebbero la produttività della società e tutelando i livelli occupazionali esistenti.
(4-02832)


   BARGERO, TULLO, CAROCCI, BASSO, PASTORINO, ZANIN e DAL MORO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi il management della Bundy Refrigeration s.r.l. di Borghetto Borbera (Alessandria), produttrice di tubi per frigoriferi, ha annunciato di voler dar corso a una ristrutturazione aziendale che porterebbe la forza lavoro dagli attuali 180 a 60-70 occupati, già per la seconda metà del 2012. Una decisione motivata con gli imponenti processi di delocalizzazione della produzione di frigoriferi verso i Paesi dell'est europeo o extraeuropei. Considerando la rilevanza che l'industria del «freddo» riveste nel panorama manifatturiero della provincia di Alessandria e del Paese, si chiede di conoscere quali siano le azioni cui il Ministero dello sviluppo economico intende mettere mano per preservare e rilanciare la presenza di tale settore nel sistema produttivo italiano. Il Piano industriale presentato lo scorso 28 di novembre ai rappresentanti dei lavoratori dalla Bundy srl di proprietà del fondo di investimenti statunitense Sun Capital, si fonda su una relazione circa le prospettive di mercato collegate ai processi di delocalizzazione che stanno coinvolgendo i principali clienti, acquirenti della componentistica (Electrolux, Whirlpool, Indesit);
   tra le ragioni addotte, vengono inoltre particolarmente sottolineati i fattori di costo legati all'energia, al trasporto e alla logistica, alla pressione fiscale sul lavoro, che renderebbero non più competitivo il mantenimento dell'attuale assetto produttivo nel sito di Borghetto Borbera (Alessandria);
   il Piano industriale prevede perciò una drastica ridefinizione delle linee produttive e una forte contrazione quantitativa. Oltre allo spostamento del «quartier generale» dell'azienda. L'intenzione della proprietà e del management è di avviare da subito (dicembre 2013) l’iter e le procedure necessarie per l'attuazione della ristrutturazione, il cui completamento viene collocato all'orizzonte della seconda metà del 2013;
   sull'altro fronte, i lavoratori e le rappresentanze sindacali, contestano radicalmente il piano industriale, che per le caratteristiche quantitative e qualitative leggono solo come la prima tappa di avvicinamento alla totale e repentina dismissione del sito produttivo;
   sottolineano, inoltre, quelle che giudicano le anomalie del comportamento dell'azienda, la quale, nei mesi scorsi, dopo aver sottoscritto un accordo con le rappresentanze sindacali, che ha portato alla definizione di un contratto di solidarietà il cui vigore è stabilito fino al 2014 inoltrato, e dopo aver ribadito in quella occasione la «centralità strategica» del sito produttivo di Borghetto Borbera, è approdata ora a una posizione sostanzialmente capovolta;
   i lavoratori e i loro rappresentanti, nel corso di un paio di incontri svoltisi presso la sede dell'amministrazione provinciale di Alessandria, hanno inoltre segnalato come, sempre nei mesi scorsi e immediatamente dopo la sottoscrizione del contratto di solidarietà, sia stato chiesto loro di far fronte a uno sforzo produttivo straordinario, per assolvere una commessa di quantità del tutto eccezionale rispetto al nomale ritmo della produzione;
   al tempo stesso, essi segnalano l'ottimo livello qualitativo dei tubi per frigoriferi prodotti dallo stabilimento borberino e, altra anomalia, la costanza del ritmo produttivo mantenutasi pressoché inalterata fino all'avvio dello stato di agitazione, sfociato ora in un presidio permanente, che vede i lavoratori letteralmente «accampati», ormai da alcuni giorni, sotto una tenda collocata all'esterno della fabbrica;
   a fronte di una situazione già da tempo molto tesa, la presentazione di quello che essi si rifiutano di considerare come un Piano Industriale ma vedono, invece, come un vero e proprio piano di «smobilitazione», ha innescato ulteriore conflittualità, che le stesse organizzazioni sindacali faticano a governare;
   non va dimenticato, poi, come giustamente sottolineano i sindaci della zona, tra la provincia di Alessandria e quella di Genova, che la Bundy srl è ormai rimasta uno dei pochissimi riferimenti produttivi per una plaga territoriale preappenninica, che rischia, qualora la fabbrica dovesse chiudere, un'ulteriore depauperamento economico, sociale e demografico, in un contesto già di per sé molto difficile;
   d'altro canto, la crisi della Bundy di Borghetto Borbera, non può essere vista disgiuntamente dalle prospettive più generali dell'industria del freddo italiana;
   che risulta effettivamente investita dalle pesanti delocalizzazioni, cui pure il piano industriale più volte richiamato fa cenno, e che ha a lungo costituito per taluni territori italiani uno dei punti di forza del sistema manifatturiero;
   vi è il caso della stessa provincia di Alessandria, che oltre alla presenza specifica della Bundy s.r.l. in Borghetto Borbera, ospita tra Casale Monferrato e i comuni limitrofi un importante distretto del freddo, anch'esso investito da intensi «venti di crisi»;
   il comparto del «bianco e del freddo è triale. L'arretramento dipende dalla crisi, dipende pure dalla delocalizzazione delle fabbriche soprattutto di frigoriferi, che, con un fatturato cumulato di circa 12 miliardi di euro, ha una quota di export superiore al  imprese grandi e soprattutto medie e piccole che danno lavoro a 130 mila dipendenti diretti e indiretti. Tutti numeri già da prima del 2008, perché i germi di una radicale trasformazione erano attivi in anticipo rispetto alla Grande Crisi. La fine della crescita delle vendite è arrivata già nel 2004, il solo mercato italiano è sceso di oltre 20 punti rispetto al 2007. I volumi produttivi a fine 2012 sono stati stimati in circa 14 milioni di pezzi, livello inferiore a quello del 1987, meno di metà della punta raggiunta a quota 30 milioni nel 2002 si tratta di un distretto storico, con mille ramificazioni che vanno dalla fabbrica madre a una miriade di subfornitori, ossia fabbricatori di una componentistica che costituisce parte integrante del profilo tecnologico e di prezzo del prodotto finale –:
   se tale settore produttivo sia ritenuto dal Ministro dello sviluppo economico come un settore sul quale vale la pena investire, in termini di ricerca e innovazione, al fine di conservare e rilanciare, seppur secondo diverse connotazioni e dimensioni rispetto al passato, le presenze produttive e il know how diffuso in diversi punti del territorio nazionale, dando così certezze e prospettiva ai lavoratori, anche attraverso gli eventuali processi di formazione e riqualificazione;
   nel caso la risposta fosse affermativa, quali siano le azioni che in tal senso il Ministro ritenga di adottare, anche a partire dai riscontri eventualmente già misurabili, ottenuti dalle misure incentivanti del cosiddetto «decreto ecobonus», per aggredire i fattori di costo (energia, logistica, costo del lavoro) che penalizzano la competitività delle nostre imprese;
   quali siano, anche attraverso l'attivazione degli opportuni strumenti di concertazione e programmazione, le strade utili per affrontare i processi di riconversione produttiva necessari per assorbire e valorizzare, eventualmente anche in altri ambiti produttivi, tanto le strutture e gli impianti collocati sul territorio, tanto il lavoro e il patrimonio di competenze ad esso collegate. (4-02836)


   MARROCU, GIOVANNA SANNA, VELLA, CICU, SCANU, MARCO MELONI, CANI, PIRAS, MURA, VARGIU, DI GIOIA e CAPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la regione Sardegna ha potestà legislativa definita piena o «primaria» in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» (articolo 3, comma 1, lettera b), dello Statuto Sardegna);
   tale specialità della regione Sardegna è riconosciuta dalla stessa legislazione statale sugli enti locali le cui «disposizioni (...) non si applicano alle regioni a statuto speciale (...) se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione» (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267);
   con legge regionale 25 luglio 2008, n. 10, la regione Sardegna ha trasferito ai comuni specifiche «funzioni amministrative» per le «aree industriali di dimensione comunale», specificando che le stesse funzioni «nelle aree a dimensione sovracomunale sono esercitate dai consorzi industriali» di nuova istituzione (articolo 2, comma 1 e comma 3, della legge regionale n. 10 del 2008), istituiti su base provinciale e pertanto denominati consorzi industriali provinciali;
   infatti, «in ciascun ambito provinciale la gestione delle aree industriali aventi dimensione sovracomunale, di cui alla tabella A, è affidata ad un consorzio costituito ai sensi dell'articolo 31 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (...) fra la provincia e i comuni nel cui territorio insistono le aree interessate» (articolo 3, comma 1, della legge regionale n. 10 del 2008). In questo modo il legislatore sardo prevede l'istituzione di consorzi obbligatori la quale s'afferma per l'esercizio delle indicate funzioni e per ragioni d'interesse pubblico;
   tali consorzi obbligatori della legge sarda si distinguono dal tipo generale dei consorzi volontari o facoltativi previsto dall'articolo 31, del decreto legislativo n. 267 del 2000, secondo cui «gli enti locali per la gestione associata di uno o più servizi, e l'esercizio associato di funzioni possono costituire un consorzio» e ciò trova conferma nella stessa giurisprudenza amministrativa e contabile (T.A.R. Sardegna, Corte dei conti);
   l'istituzione dei consorzi obbligatori è prevista e disciplinata dalla legge regionale sarda, e costituisce un esercizio della corrispondente potestà legislativa primaria della regione Sardegna;
   la legge regionale sarda infatti sopprime i vecchi consorzi industriali o di sviluppo industriale, disciplinando la loro liquidazione, e istituisce gli 8 nuovi consorzi industriali provinciali aventi come soci solo la provincia e i comuni, costituiti ex lege quali consorzi obbligatori esclusivamente fra enti locali, sono per loro natura amministrazioni pubbliche ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001 che cita appunto anche «le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni» (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001);
   le normative che si sono succedute per incentivare la produzione di energia da fonte solare fotovoltaica, hanno previsto un'attenzione particolare per gli impianti fotovoltaici realizzati su terreni e immobili delle amministrazioni pubbliche, al fine di valorizzarne il patrimonio immobiliare e favorirne la sostenibilità energetica;
   in particolare, sia il decreto ministeriale 5 luglio 2012 (articolo 1, comma 4, lettera c), sia la legge n. 228 del 2012 (articolo 1, comma 425) richiamano espressamente la definizione di «amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001»;
   non vi è dubbio alcuno che ai consorzi industriali provinciali sardi debbano essere riconosciuti da parte del Gestore dei servizi energetici (GSE) i benefici previsti dal legislatore a favore delle amministrazioni pubbliche;
   risulta agli interroganti che il GSE abbia applicato gli incentivi previsti per le amministrazioni pubbliche a 7 impianti fotovoltaici costruiti su terreni dei consorzi industriali provinciali sardi;
   a quanto consta agli interroganti più recentemente, inspiegabilmente, il GSE avrebbe invece negato gli incentivi (o inviato un preavviso di diniego) ad altri analoghi impianti fotovoltaici costruiti su terreni dei consorzi industriali provinciali sardi non riconoscendo la natura di amministrazione pubblica di tali consorzi, circostanza che appare in palese contrasto con le norme di legge richiamate e con la manifesta volontà del legislatore di agevolare le amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
   tutto questo sta generando problemi rilevanti sia ai consorzi industriali provinciali che hanno realizzato in proprio gli impianti sia ai privati che hanno realizzato gli impianti su terreni concessi in uso a tale scopo dai consorzi provinciali industriali, facendo affidamento sulla chiara legislazione in materia e quindi proprio in virtù della indiscutibile natura di amministrazione pubblica dei consorzi, e che si trovano ora senza incentivi;
   ciò sta comportando un contenzioso con il GSE per il mancato riconoscimento degli incentivi che se non risolto rapidamente e positivamente potrà portare rilevante danni ai consorzi industriali e alla crisi se non al possibile fallimento dei privati e delle imprese che hanno investito sul territorio sardo, che avvieranno a loro volta un contenzioso nei confronti dei consorzi, con evidente danno patrimoniale per i consorzi industriali provinciali ed a cascata per i comuni e le province che ne sono soci e che sono chiamati a ripianarne le perdite di esercizio;
   considerato che le norme in materia di incentivazione delle energie rinnovabili (decreto ministeriale 5 luglio 2012, articolo 1, comma 4, lettera c); legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 425) richiamano espressamente, dunque inequivocabilmente, la definizione di «amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001», ne consegue che il GSE deve limitarsi ad accertare se l'ente in esame rientri o no in una delle tipologie di enti considerati «amministrazioni pubbliche», senza alcuna possibilità di libera interpretazione, e nel caso di specie, essendo questi dei consorzi tra enti locali e per di più obbligatori ex lege, che il GSE debba certamente riconoscere gli incentivi previsti per le amministrazioni pubbliche;
   la grave situazione economica, lavorativa ed imprenditoriale della Sardegna, peraltro recentemente colpita da pesanti calamità naturali, impone di intervenire immediatamente per la correzione di questi errori da parte del GSE, errori che minano il già labile rapporto di fiducia tra privati e istituzioni centrali e locali e causano la perdita di posti di lavoro –:
   se il Ministro sia informato della grave situazione esposta e se non ritenga di dover adottare iniziative urgenti, per quanto di competenza, volte a sanare la questione relativa al riconoscimento a favore dei consorzi industriali provinciali sardi degli incentivi previsti per le amministrazioni pubbliche nel fotovoltaico. (4-02837)


   BOCCUZZI, D'OTTAVIO, BONOMO, ROSSOMANDO e GIORGIS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Manital nasce ad Ivrea nel 1993;
   inizialmente la società si avvale di pochi dipendenti;
   il gruppo è specializzato nella progettazione ed erogazione di servizi di facility management;
   una realtà imprenditoriale focalizzata sulle attività «no core» di aziende pubbliche o private;
   il nome Manital deriva dall'unione di due parole: mani e Italia;
   oggi dopo vent'anni conta 3.000 dipendenti e annovera clienti del calibro di Fiat Group, Siemens, Banca d'Italia, Anas, Ministero delle infrastrutture e altri;
   il 18 ottobre 2013 poco più di un mese fa il Corriere della sera (sportello lavoro) pubblicava un articolo dal titolo: «una sola azienda per 1.500 opportunità», nel quale venivano annunciate millecinquecento nuove assunzioni da qui al 2015 in Piemonte, Sicilia e a Roma. Le figure ricercate sono ingegneri, termotecnici, manutentori e pulitori. Nell'articolo il direttore del personale sottolinea «le persone sono il volto dell'azienda. Le giovani generazioni a causa della crisi economica è come se fossero uscite da una guerra. Bisogna ridare loro fiducia e rivalutare la manualità e i mestieri»;
   l'azienda, che gestisce tra l'altro alcuni servizi come posta, pulizia a Mirafiori e all'Iveco nei giorni scorsi ha avviato la procedura di licenziamento per 121 lavoratori su 150 complessivi ex Fiat;
   molti di questi lavoratori sono soggetti con ridotte capacità lavorative –:
   quali iniziative si intendano assumere dal momento che l'eventuale licenziamento è sicuramente un grave problema dal punto di vista sociale in una situazione di grave crisi produttiva nell'area piemontese. (4-02853)


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'11 aprile 2011 l'ispettore Alessandro Carollo inviava comunicazione alla struttura di tutela aziendale – atta sud 1; il giorno successivo riceveva comunicazione di trasferimento di sede ed a seguito di tale provvedimento fruiva di un periodo di riposo;
   risulta all'interrogante che il 14 aprile il referente ATTA, Salvatore Malerba, contattava il nominato ispettore convocandolo per il giorno 20, alle ore 11:30, in Palermo; peraltro sembrerebbe che in tale occasione fosse stata esclusa l'effettuazione del controllo domiciliare INPS;
   risulta all'interrogante che, al rientro a casa, dopo che a Palermo il signor Malerba comunicò in quella giornata il trasferimento di sede «per gravi motivi di tutela dell'incolumità», l'ispettore trovò nella cassetta della posta il referto del medico fiscale;
   risulta all'interrogante che l'ispettore prontamente ha comunicato l'accaduto giustificando i fatti e rimettendole alle valutazioni della struttura di risorse umane;
   il 21 aprile 2011, l'ispettore veniva nuovamente sottoposto a controllo fiscale ed al rientro dal riposo medico, prese servizio nella nuova sede di via Roma; nessun procedimento disciplinare è stato aperto nei suoi riguardi;
   il Malerba durante l'interrogatorio testimoniale innanzi il tribunale di Palermo, il 26 settembre 2013, ha negato che i fatti sopra esposti, come documentati, siano mai avvenuti dichiarando: «io non ricordo di un incontro avvenuto nell'aprile 2011 in cui... il ricorrente fece presente una grave situazione di pericolo per la sua persona, propendo dunque per escludere che ciò sia mai accaduto...»;
   durante la testimonianza riferiva inoltre di avere appreso dal dipendente Antonino Vallone, collega dell'ispettore, che il Carollo «era stato visto vagare per Palermo in stato confusionale e successivamente ricoverato. Tale episodio in particolare, mi fece dubitare della sua serenità psicologica»;
   il citato dipendente Vallone inviò la seguente comunicazione: «Contattato dal telefono di Alessandro da una persona... mi ha detto di andare all'entrata principale del porto per accompagnarlo in Ospedale. Lo vado a prendere»;
   l'ospedale pubblico ove è stato accompagnato l'ispettore non ravvisò alcuna necessità di ricovero: il controllo medico durò appena 15 minuti, con l'emissione della seguente diagnosi: «in seguito a tensione sul posto di lavoro, ha avvertito pulsazione alle tempie con malessere»;
   anche in ragione della testimonianza del Malerba, è stata emessa l'ordinanza del 5 novembre 2013 che nega la sospensione in via cautelare del trasferimento;
   a seguito dell'estromissione dalla funzione ispettiva, l'ispettore fu oggetto di frasi diffamatorie propagate da Riccardo D'Amico, attualmente dirigente della filiale di Trapani, indagato nell'ambito del procedimento penale n. 8615/2013 per il reato di cui all'articolo 595 del codice penale: fatti rappresentati con le interrogazioni n. 4/01963 del 25 settembre 2013, sollecitata il 12 novembre 2013, e n. 4/02295 del 24 ottobre 2013;
   nonostante la gravità dell'evento non sembrerebbe essere stato attivato alcun procedimento disciplinare a carico del predetto Riccardo D'Amico, ai sensi e per gli effetti della legge n. 300 del 1970;
   dall'inerzia della società pubblica Poste sono derivati, ancora in danno dell'ispettore, ulteriori gravi accadimenti di natura, presuntivamente, sempre diffamatoria per opera di altri dipendenti sparsi sul territorio provinciale di Palermo: fatti denunciati alle competenti autorità;
   il 12 settembre 2013, l'ispettore è stato convocato dalla polizia giudiziaria, in conseguenza di una denuncia formalizzata dall'attuale referente della funzione fraud management di ATTA sud 1, Eduardo Sorrentino, collaboratore del referente di ATTA sud 1, Salvatore Malerba;
   i fatti per i quali l'ispettore è stato sentito dalla polizia giudiziaria risalirebbero all'anno 2008 come da formale comunicazione datata 14 giugno 2013 inviata da Eduardo Sorrentino poi riscontrata dall'ispettore;
   il 14 settembre 2013 denunciava i fatti sopra detti anche in considerazione di ulteriori presunte attività diffamatorie consumate da altri dipendenti;
   nei confronti di Eduardo Sorrentino nel mese di giugno 2013 è stata sporta querela da altro impiegato postale per fatti e comportamenti, riconducibili al medesimo Sorrentino, dai quali sono derivate conseguenze traumatiche e una lunga assenza dal servizio del dipendente;
   anche in questo caso, nel contesto di una vicenda non in alcun modo ricollegabile all'ispettore, pur tuttavia risulta essere stata proferita una frase diffamatoria verosimilmente riferita all'ispettore Carollo –:
   se i fatti in premessa corrispondono al vero;
   se il Governo sia a conoscenza di quali urgenti iniziative si intendano adottare affinché la società Poste, coerentemente alle linee guida eventi illeciti, diramate dal vertice societario il 4 settembre 2009, accerti la dinamica degli accadimenti narrati fatti salvi gli, eventuali, sviluppi giudiziari;
   se il Governo sia a conoscenza di quali urgenti iniziative si intendano adottare affinché non abbiano più a verificarsi tali sconcertanti situazioni;
   se il Governo sia a conoscenza di quali urgenti iniziative si intendano adottare al fine di verificare se la gestione della funzione di ATTA sud 1 di tutela aziendale sia coerente con le norme regolamentari interne ed in primis di legge che tutelano la dignità dei lavoratori anche sul posto di lavoro;
   se il Governo sia a conoscenza di quale sia l'esito degli accertamenti esperiti a seguito della relazione inviata dall'ispettore per i fatti del giorno 20 aprile 2011. (4-02854)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Tabacci e altri n. 1-00265, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Palese, Mazzoli.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02731, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati De Menech, Marco Di Maio, Donati.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02732, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati De Menech, Marco Di Maio, Donati.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02733, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati De Menech, Marco Di Maio, Donati, Moretti.

  L'interrogazione a risposta scritta Mongiello e altri n. 4-02734, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Moretti, De Menech, Marco Di Maio, Donati.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Valiante e Del Basso De Caro n. 5-01639, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palma.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Valiante e Del Basso De Caro n. 5-01643, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palma.

  L'interrogazione a risposta scritta Cova e altri n. 4-02821, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Berlinghieri.

  L'interrogazione a risposta scritta Cova e altri n. 4-02822, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Berlinghieri.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Morassut n. 1-00011, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 5 del 27 marzo 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    l'emergenza abitativa costituisce, nell'attuale crisi economica che colpisce il Paese, uno dei fattori di maggiore e crescente tensione sociale che interessa larghi strati della popolazione appartenenti, oltre che alle tradizionali categorie a rischio, anche a fasce di ceto medio, professionisti e famiglie con doppio reddito;
    tale situazione è resa particolarmente acuta dai caratteri del mercato immobiliare italiano dove l'offerta di abitazioni private – con costi molto alti ed inaccessibili per un numero sempre maggiore di famiglie e di giovani coppie – supera largamente l'offerta pubblica scesa progressivamente, negli ultimi anni, ad una quota pari a circa l'1 per cento della produzione edilizia totale;
    occorre prendere atto di un'assenza di iniziativa delle autorità pubbliche che, nonostante la crescita della crisi abitativa, gli interventi delle forze sociali e di vari organismi parlamentari non sono stati in grado, negli ultimi anni, di varare un'organica politica per la casa che, intrecciata con innovative politiche di governo del territorio, fosse in grado di rilanciare la produzione di edilizia a fini sociali o di carattere pubblico con il recupero urbano ed il contenimento del consumo di suolo nelle città;
    la Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti dell'uomo hanno, in questo quadro, segnalato l'inopportunità di provvedimenti «tampone» – soprattutto in materia di proroga delle ordinanze di sfratto – che ledono il libero dispiegarsi del diritto alla proprietà, in assenza di azioni organiche e complessive capaci di dare una risposta d'insieme ai vari aspetti che riguardano il problema dell'emergenza abitativa in Italia e, d'altro canto, si deve tenere presente che il diritto alla casa e l'accesso alla proprietà della stessa sono sanciti dall'articolo 47 della Costituzione;
    parte rilevante della crisi abitativa, specie in alcuni ambiti territoriali e segnatamente nella città di Roma, è legata alla dismissione del patrimonio abitativo degli enti previdenziali pubblici e privatizzati; processo che ancora oggi – dopo le alienazioni concluse negli anni precedenti – riguarda circa 100 mila famiglie;
    in questo ambito, gli affittuari degli immobili degli enti previdenziali privatizzati vivono una condizione di preoccupazione circa gli eventuali aumenti dei canoni di affitto per il rinnovo dei contratti di locazione e per le conseguenze connesse con i possibili processi di dismissione del patrimonio immobiliare;
    per quanto riguarda i conduttori degli immobili degli enti previdenziali pubblici, la preoccupazione deriva dall'interruzione del processo di alienazione e dalla scadenza dei contratti che mette sia i conduttori con titolo che le tante famiglie di occupanti sine titulo in una condizione di angoscia e incertezza tanto più assurda in presenza di una legge – la n. 410 del 2001 – che ha fissato con chiarezza le condizioni e le prerogative con cui agire per la vendita del patrimonio degli enti previdenziali pubblici;
    in questo specifico caso, va ricordato che già il 90 per cento del patrimonio abitativo è stato alienato ai conduttori con le prerogative della suddetta legge e attraverso l'azione di specifici soggetti societari all'uopo costituiti – Scip 1 e Scip 2 –, dopo lo scioglimento dei quali il patrimonio residuo è entrato integralmente in possesso dell'Inps;
    l'Inps stesso, più volte sollecitato sul tema ha inviato, anche con specifica lettera del presidente Mastrapasqua, ai Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali – vigilanti sull'Istituto – richiesta di chiarimento sul da farsi, in ragione anche della sopravvenuta norma sulla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico presente all'articolo 27 del cosiddetto «decreto Salva Italia», decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;
    appare, pertanto, urgente un pronunciamento degli organi parlamentari e del Governo sulle modalità con cui affrontare, in un quadro di sostenibilità economica dello Stato e degli enti sopra richiamati, ma anche e soprattutto di tutela e garanzia sociale delle famiglie interessate, il processo di alienazione degli immobili del patrimonio abitativo degli enti pubblici e privatizzati, evitando il rischio di accentuare l'emergenza abitativa,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, nel più breve tempo possibile, per chiarire il quadro normativo che regola il processo di alienazione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici, in particolare precisando che, in ogni caso, al processo di alienazione si applica la disciplina della legge n. 410 del 2001, con riferimento al regime delle tutele degli inquilini, al prezzo e alle garanzie, contemperando le esigenze di redditività per la finanza pubblica dei processi di alienazione con quelle sociali, coerenti con quelle che ispirano la missione istituzionale di tali enti, quali protagonisti del sistema del welfare;
   ad intervenire per garantire, comunque, agli inquilini tutele e garanzie di controllo sui prezzi di vendita da parte dei predetti enti pubblici e sull'entità dei canoni di affitto in rinnovo di locazione, traendo prioritario riferimento da quanto stabilito dalla legge n. 410 del 2001 e dagli accordi sindacali in materia, in modo che i diritti in essa stabiliti siano effettivamente praticabili;
   ad aprire in ogni caso da subito, sempre relativamente al patrimonio immobiliare degli enti pubblici, una sede di confronto tecnico e sindacale con le organizzazioni sindacali, dell'inquilinato e con gli enti locali interessati, per individuare le soluzioni più rapide e socialmente efficaci per raggiungere gli obbiettivi sopra richiamati e per la regolarizzazione dei sine titulo o delle assegnazioni irregolari negli alloggi dei predetti enti previdenziali pubblici, anche al fine di prevenire situazioni esplosive di disagio sociale e per favorire l'accesso al credito delle famiglie con reddito medio basso, con mutui sostenibili e finalizzati all'acquisto, anche avvalendosi delle recenti misure proposte in tal senso dal Governo;
   ad impartire disposizioni affinché, nelle more dei provvedimenti da assumere, venga valutata la possibilità di differire l'esecuzione degli sfratti o degli sgomberi pendenti nelle aree urbane e sospendere le aste riguardanti le unità immobiliari ad uso residenziale che non risultino effettivamente libere per i conduttori di alloggi sia di enti previdenziali pubblici che privati;
   ad intervenire, anche mediante precise disposizioni normative, per risolvere l'annosa vicenda del contenzioso giudiziario dei cosiddetti immobili di pregio;
   a farsi promotore, quanto al patrimonio degli enti privatizzati, di una decisa iniziativa presso i medesimi enti che, nel richiamarli alle responsabilità che anche essi rivestono quali attori del sistema sociale, sia volta a favorire, nel rispetto e nell'ambito della loro autonomia gestionale, organizzativa e contabile – avvalendosi anche di apposite procedure di negoziazione con le organizzazioni sindacali degli inquilini – politiche di gestione del mercato delle locazioni e dei processi di dismissione immobiliare (prevedendo anche l'alienazione in favore dei conduttori delle unità abitate). Le politiche in questione dovranno ispirarsi a criteri di tutela e salvaguardia, in ogni caso, dei nuclei familiari che presentino condizioni di maggiore svantaggio e disagio economico, ovvero che siano a rischio di esclusione sociale, così come individuati dal decreto-legge 20 ottobre 2008, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2008, n. 19. Le medesime politiche dovranno, più in generale, ispirarsi a criteri che, nel rispetto della funzione di garanzia economico-finanziaria che il loro patrimonio assume per le rispettive gestioni previdenziali, siano quanto più aderenti a quelli di carattere sociale previsti per la dismissione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici di previdenza;
   a monitorare che i processi di dismissione immobiliare degli enti previdenziali pubblici e privatizzati, ispirati ai principi sociali di cui alla presente mozione, siano conformi ai criteri di piena trasparenza, conoscibilità e rendicontazione.
(1-00011)
(Ulteriore nuova formulazione) «Morassut, Saltamartini, Antimo Cesaro, Di Gioia, Santerini, Argentin, Braga, Villecco Calipari, Martella, Meta, Coscia, Realacci, Peluffo, Lenzi, Brandolin, Costa, Leone, Misuraca, Dorina Bianchi, Piso, Garofalo, Bernardo, Bosco, Tinagli, Zanetti, D'Agostino, Sottanelli, Cimmino, Binetti, Rabino, Causin, Fitzgerald Nissoli, Monchiero, Schirò, Dellai, Marazziti».

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Catalano n. 4-01588 del 5 agosto 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01659;
   interrogazione a risposta scritta Catalano n. 4-01601 del 6 agosto 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01660;
   interrogazione a risposta scritta Catalano n. 4-02018 del 1o ottobre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01661;
   interrogazione a risposta scritta Catalano e altri n. 4-02292 del 24 ottobre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01662;
   interrogazione a risposta scritta Catalano e altri n. 4-02716 del 28 novembre 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01663.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Rampi e altri n. 4-02597 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 122 del 20 novembre 2013. Alla pagina 7073, prima colonna, dalla riga quarantatreesima alla riga quarantaquattresima deve leggersi: «e Currò. – Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:» e non «e Currò. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. – Per sapere – premesso che:», come stampato.