Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 26 novembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito delle conseguenze sociali generate dall'alluvionale dilagare in Italia della crisi economica e finanziaria iniziata negli Stati Uniti nel 2007 proprio con l'esplosione della «bolla immobiliare», con la vanificazione dei mutui subprime e con la nazionalizzazione forzosa di Fannie Mae e Freddie Mac, si è diffusa anche in Italia una condizione di tensione abitativa relativa non solo alle fasce della popolazione che sono già colpite o sono comunque lambite dalla povertà o da stringenti ristrettezze, ma anche a segmenti di ceto medio tradizionale per la prima volta sospinti dagli effetti laceranti di una recessione tanto protratta ai margini o dentro la palude del disagio;
    tale tensione abitativa, in un Paese che in ogni caso svetta nelle statistiche europee per il tasso di abitazioni in proprietà (secondo le stime più prudenti, il 68,4 per cento contro, per esempio, il 44,2 per cento della Germania), appare tanto più insidiosa quanto più concentrata geograficamente in alcune grandi città a marcato tasso di stagnazione economica, a cominciare da Roma;
    tale tensione abitativa non trova risposta, nemmeno prospettica, in una situazione generale di persistente penuria delle risorse pubbliche destinabili a supportare lo sviluppo o anche solo la continuazione degli investimenti in edilizia popolare, il cui ammontare produce ormai solo una quota del 4 per cento sul totale dell'edilizia residenziale contro il 20 per cento della media comunitaria;
    tale tensione può degenerare, giacché si inserisce su una piattaforma reddituale oggettivamente deterioratasi negli ultimi anni, solo che si pensi come, dall'inizio degli anni ’90, l'incidenza dell'affitto tra le spese delle famiglie italiane che la debbono sostenere è aumentata del 74 per cento, a fronte di una crescita in valori assoluti di questa voce del 105 per cento;
    in particolare, appare di tutta evidenza la condensazione di una condizione abitativa critica fra gli inquilini delle residenze di proprietà degli enti previdenziali pubblici o privatizzati, non solo per le sue significative connotazioni di urgenza sociale, ma anche perché oggetto di una serie ininterrotta, e non sempre coerente e limpida, di interventi sia di natura normativa (si sono succeduti nell'ultimo ventennio ben sei provvedimenti di legge), sia di natura giurisprudenziale (si rammenti, fra i moltissimi, la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione del 22 giugno 2006),

impegna il Governo:

   ad adottare, in coerenza con la previsione costituzionale dell'articolo 47, secondo comma, tutte le iniziative normative, non escluse quelle di necessità e urgenza, per riattivare, in un quadro di chiarezza regolatoria e di affidabilità normativa, il percorso della cessione a condizioni agevolate delle abitazioni a uso domestico di proprietà degli enti previdenziali pubblici e privatizzati a favore degli attuali inquilini;
   ad adottare iniziative a tutela di tali inquilini, laddove affetti da condizioni di precarietà reddituale o di disagio sociale, non già attraverso l'abusato ricorso alla proroga degli sfratti, già censurata dalle stesse istituzioni nazionali ed europee di garanzia, bensì attraverso procedure modulate e flessibili di cessione della proprietà, che, per esempio, senza determinare traumatiche interruzioni nella continuità contrattuale dell'utilizzo dell'abitazione, consentano di imputare la somme, precedentemente versate a titolo di canone, a titolo di acconti sul corrispettivo di vendita;
   a garantire la più ampia trasparenza informativa, nonché l'adozione di controlli amministrativi semplici e affidabili sui criteri di vendita e sui prezzi praticati, al fine di evitare l'insorgenza di successivi contenziosi defatiganti e destabilizzanti;
   a risolvere tramite una conclusiva iniziativa normativa, basata sulle più recenti statuizioni giurisprudenziali in materia, quali la recente sentenza della Corte di cassazione del 20 settembre 2013, la vexata quaestio dei cosiddetti immobili di pregio.
(1-00261) «Costa, Saltamartini, Leone, Misuraca, Dorina Bianchi, Piso, Garofalo, Bernardo, Bosco».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VI e X,
   premesso che:
    il settore della birra artigianale mostra importanti segnali di crescita grazie all'alto livello di attenzione del mercato birrario internazionale nei confronti dei prodotti italiani;
    tale interesse fa sperare nel superamento del divario competitivo che ha caratterizzato le imprese nazionali nei confronti dei concorrenti internazionali operanti nel settore birraio;
    l'articolo 2, comma 11, del decreto-legge n. 16 del 2012, convertito dalla legge n. 44 del 2012 ha introdotto metodi semplificati di accertamento per i microbirrifici con produzione annua non superiore ai 10.000 ettolitri;
    in tale ambito normativo è previsto l'obbligo di confezionare il prodotto finito nella stessa fabbrica di produzione e di detenzione dello stesso ad accisa assolta;
    le associazioni del settore rimarcano che tale disposizione rappresenta una significativa criticità per i piccoli stabilimenti, in quanto limiterebbe fortemente l'operatività del singolo produttore, creando un contrasto con analoghe situazioni produttive presenti in tutta Europa, ed ostacola anche processi di aggregazione di filiera;
    a causa di tale disposizione infatti i piccoli produttori di birra non possono mettere in atto economie di scala, derivanti ad esempio dalla condivisione di impianti di imbottigliamento o infustamento fra più birrifici, né possono realizzare ricette particolari come blend fra birre di diversa provenienza, pratica estremamente diffusa in tutto il mondo birrario artigianale europeo,

impegna il Governo

ad assumere iniziative normative che escludano l'attuale obbligo di confezionare il prodotto finito nella stessa fabbrica di produzione e di detenzione dello stesso ad accisa assolta, tenuto anche conto che alla luce degli assetti dei depositi fiscali stabiliti dalla determinazione del direttore dell'Agenzia delle dogane, ex articolo 2, comma 12, decreto-legge n. 16 del 2012, tale obbligo non ha più alcun rilievo fiscale.
(7-00186) «Benamati, Bargero, Bini, Cani, Del Basso De Caro, Donati, Folino, Galperti, Ginefra, Mariano, Montroni, Nardella, Peluffo, Petitti, Portas, Senaldi, Taranto».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    i Fondi strutturali sono strumenti finanziari gestiti dalla Commissione europea per riequilibrare e ridistribuire le risorse all'interno del territorio europeo. La loro evoluzione è andata di pari passo con l'evoluzione e lo sviluppo delle priorità e degli obiettivi prefissati a livello comunitario. Nel corso degli anni i fondi sono stati oggetto di riforme, anche rilevanti, hanno visto definiti sempre più dettagliatamente gli obiettivi da conseguire, ma lo scopo ultimo del loro ruolo è, con le dovute specificazioni, rimasto sempre lo stesso: il raggiungimento della coesione economica e sociale di tutte le regioni dell'Unione e la riduzione del divario tra quelle più avanzate e quelle in ritardo di sviluppo;
    una gestione corretta delle risorse, una migliore governance dei progetti e un più efficace coordinamento nazionale sono decisivi per far sì che le risorse investite portino i reali benefici previsti. Le nuove regole varate dall'Unione europea mirano a favorire una migliore gestione delle risorse. A partire dal prossimo anno, infatti, l'utilizzo dei fondi europei sarà regolato da precordi di partenariato concordati con Bruxelles dalle singole capitali nazionali. Gli Stati membri, insieme alle autorità locali, alle parti sociali e ai rappresentanti della società civile, dovranno definire priorità e modalità di impiego dei fondi e sottoporle al vaglio della Commissione;
    l'accordo di partenariato è lo strumento previsto dalla proposta di regolamento della Commissione europea per stabilire la strategia – risultati attesi, priorità, metodi di intervento – di impiego dei fondi comunitari per il periodo di programmazione 2014-2020;
    l'accordo finale, predisposto dallo Stato membro e condiviso al suo interno, sarà approvato dalla Commissione Europea;
    l'accordo di partenariato rappresenta il documento strategico per i fondi del quadro strategico comune (QSC), secondo quanto previsto dalla proposta di regolamento recante disposizioni comuni per la programmazione e la gestione dei fondi strutturali COM(2011)615, in via di approvazione definitiva da parte del Parlamento europeo: Fondo sociale europeo (FSE), Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) Fondo di coesione (FC), Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP); nell'ambito dell'accordo sulla programmazione delle risorse finanziarie definite per tutti i Paesi dell'Unione europea dalla Commissione europea, lo scorso febbraio, in un apposito documento denominato «Linee guida sui contenuti dell'Accordo di partenariato», per il periodo 2014-2020, gli interventi di programmazione per lo sviluppo rurale sono rivolti in forma innovativa a beneficio dell'integrazione con altre azioni sostenute dall'Unione europea;
    il quadro strategico comune, declinato a livello degli Stati membri in un contratto di partenariato (CP) con la Commissione, mira a riunire gli interventi dei cinque fondi comunitari al fine di realizzare un forte coordinamento di tutte le politiche europee, indispensabile per l'attuazione della Strategia Europa 2020; il nuovo approccio per l'utilizzo dei fondi del quadro strategico comune è volto a garantire impatti economici, ambientali e sociali di lunga durata. Infatti, il forte allineamento con le priorità politiche dell'Agenda Europa 2020, le condizionalità macroeconomiche ed ex ante, la concentrazione tematica e gli incentivi legati al conseguimento di risultati attuano principi che si traducono concretamente in una spesa più efficace. I fondi del quadro strategico comune costituiranno quindi un'importante fonte d'investimento pubblico e fungeranno da catalizzatore per la crescita sostenibile e l'occupazione supportando gli investimenti in capitale fisico e umano; l'identificazione dei bisogni di sviluppo deve tener debitamente conto, tra l'altro, delle raccomandazioni specifiche per Paese formulate dal Consiglio europeo al termine del cosiddetto semestre europeo, che intervengono sulle criticità strutturali del sistema economico italiano, della distanza del Paese e dei suoi territori dai traguardi fissati nell'ambito della strategia Europa 2020 e della lettura in termini di contesto macroeconomico e risposte di policy offerta dal Programma nazionale di riforma;
    l'obiettivo tematico numero 6 della bozza di Accordo di partenariato per l'Italia prevede la tutela dell'ambiente e la valorizzazione delle risorse culturali e ambientali, tramite alcune questioni molto urgenti soprattutto nel nostro Paese come la gestione dei rifiuti urbani, con l'obiettivo di ridurne quantità e pericolosità, nell'ottica di una separazione tra le fasi di produzione, consumo e creazione di rifiuti. Risultati e azioni proposte seguono una gerarchia d'intervento che considera prioritaria la prevenzione, conseguibile attraverso una trasformazione delle filiere produttive e delle abitudini di consumo, cui seguono la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero, e solo come residuale lo smaltimento. L'impegno richiesto, che investe ambiti ampi e complessi, richiede un sostegno mirato da un lato a favorire l'innovazione dei processi produttivi, al fine di generare meno rifiuti durante tutta la vita del prodotto e dall'altro a promuovere modalità di consumo che minimizzano l'utilizzo degli imballaggi;
    con riferimento ai rifiuti speciali la politica di coesione può sostenere la loro riduzione sia in termini quantitativi sia di pericolosità, avendo come obiettivi principali il recupero dei materiali e la diminuzione dell'estrazione e dello sfruttamento di materie prime, attraverso il sostegno alla creazione di reti di riutilizzo e di riparazione e di impianti a servizio di sistemi di imprese;
    la strategia per la valorizzazione delle risorse culturali e naturali, è fondata su una scelta di necessaria discontinuità rispetto alle modalità di attuazione sperimentate con il ciclo di programmazione 2007-2013 (cooperazione istituzionale e tecnica inefficace, forte frammentazione degli interventi, carenza generalizzata di progetti di qualità, difficoltà ed eccessiva lentezza nelle realizzazioni, mancata pianificazione, sin dall'inizio, della puntuale destinazione d'uso del patrimonio oggetto di intervento e del necessario corredo di piani di gestione e manutenzione in termini di costi e responsabilità) e adotta gli stessi criteri di selezione stringenti che hanno guidato la costruzione del Piano d'azione per la coesione: rigore e rapidità nella programmazione e messa in opera, concentrazione, chiarezza degli obiettivi, cooperazione attiva fra i diversi attori coinvolti nel processo, modalità di realizzazione improntate alla tutela di valori di legalità e trasparenza;
    ma tutto questo non può realizzarsi se tali fondi non verranno primariamente indirizzati a bonificare e riqualificare i siti di interesse nazionale ed in particolare tutta l'area tristemente nota come terra dei fuochi, sito di interesse nazionale devastato da più di vent'anni di sversamenti illeciti e da una gestione sconsiderata del territorio, connotata da una bassa concezione della vita umana che sta avendo pesantissime conseguenze sulla salute di migliaia e migliaia di persone;
    la programmazione dei fondi pluriennali 2014-2020 non è ancora chiusa poiché il Governo italiano rientra tra quei sette paesi dell'Unione europea che ancora non hanno fatto pervenire alla Commissione europea l'accordo di partenariato che contiene i progetti di cui si richiede il finanziamento;
    i siti di interesse nazionale per le bonifiche erano 57, poi ridotti a 39 con il discutibile declassamento di 18 a siti di interesse regionale (decreto ministeriale 11 gennaio 2013), aree per le quali lo Stato non ha garantito di fatto la risoluzione delle problematiche di forte contaminazione;
    per una valutazione complessiva sullo stato dei SIN dal momento dell'approvazione del decreto ministeriale n. 471 del 1999 e dalla individuazione dei SIN avvenuta pochi anni dopo, si richiama la Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, del 12 dicembre 2012 che evidenzia un sostanziale fallimento dell'azione di risanamento di queste aree che pure rappresentano il 3 per cento del territorio nazionale e che sono abitate da alcuni milioni di concittadini esposti a gravi rischi sanitari;
    lo studio SENTIERI dell'istituto superiore di sanità ha messo in risalto, infatti, l'aumento di numerose patologie, da malformazioni a forme tumorali, con conseguente aumento della mortalità delle popolazioni esposte, con stime di diverse migliaia di morti in eccesso all'anno;
    tale situazione – comporta gravi oneri sociali, anche per le casse dello Stato non solo per via dei trattamenti sanitari per i cittadini che si ammalano ma anche per le attività che spesso devono essere attuate in via emergenziale, sia per quanto riguarda la prevenzione di ulteriori sversamenti (si pensi alle attività delle forze dell'ordine e delle procure che devono essere impegnate costantemente) e le operazioni di mitigazione dei danni (si pensi all'azione del Corpo dei Vigili del fuoco nella cosiddetta terra dei fuochi);
    in tale contesto ai costi sociali si aggiungono quelli economici, la cui entità non è ancora stata quantificata ma che sicuramente assommano a diversi miliardi di euro l'anno. Si va dal crollo della competizione nel settore turistico di interi territori (come Taranto, Brindisi e altro) ai problemi nella commercializzazione dei prodotti agricoli, vanificando peraltro importanti investimenti pubblici e privati in quei settori (come i progetti inseriti e finanziati proprio dai PSR delle varie regioni a supporto del marketing dei prodotti agricoli);
    in realtà i SIN sono solo la punta dell’iceberg di una situazione ormai fuori controllo, con oltre 15.000 siti potenzialmente inquinati censiti a livello nazionale e classificati dalle regioni;
    a tale situazione disastrosa dal punto ambientale e sanitario si aggiunge anche la crisi economica che spesso ha fatto diventare questa aree dei veri e propri deserti industriali con le comunità che subiscono, oltre al danno ambientale e a quello alla salute, anche quello della perdita del lavoro,

impegna il Governo:

   a garantire che le priorità strategiche indicate nell'Accordo di partenariato si traducano in azioni concrete per l'impiego efficace delle risorse finanziarie disponibili segnatamente sotto i seguenti profili:
    a) la redazione del piano nazionale delle bonifiche, da costruire attraverso la partecipazione attiva delle comunità interessate dai gravissimi fenomeni di inquinamento e il supporto dei vari enti di ricerca e delle università;
    b) la promozione di specifiche azioni di formazione, informazione, sia per quanto riguarda i percorsi formativi sia per il reinserimento lavorativo, da inserire nei vari programmi del Fondo sociale europeo, anche per mitigare il «danno sociale» subito dalle comunità interessate;
    c) il finanziamento, tramite i fondi strutturali europei della bonifica e riqualificazione di tutti i siti SIN da individuare quali aree prioritarie nell'ambito dei programmi comunitari, a partire dalla tristemente nota «terra dei fuochi», fino ad arrivare ad aree altrettanto pesantemente contaminate presenti in tutte le regioni, da Priolo a Bussi, da Brindisi a La Spezia, dal Sulcis a Taranto e altro;
    d) l'attuazione, nell'ambito dei fondi comunitari, di specifiche azioni di comunicazione e accesso alle informazioni da parte dei cittadini, con la realizzazione di portali WEB nazionali e regionali sullo stato ambientale e sanitario delle aree dei SIN e dei SIR;
    e) la promozione di reti d'impresa specializzate nella bonifica, anche per la promozione dei posti di lavoro nel campo della bonifica, con il sostegno alla ricerca nel campo ambientale e chimico connesso alle bonifiche, anche per creare spin-off e «cantieri sperimentali» per le bonifiche dove ideare ed attivare nuove tecniche anche per la richiesta di brevetti nel campo ambientale;
    f) l'introduzione del tema delle bonifiche e della prevenzione di nuove situazioni di inquinamento come elemento trasversale a tutte le politiche di cui all'accordo di partnenariato e in particolare quali aree prioritarie per le varie azioni e misure previste;
   a tenere costantemente informato il Parlamento sugli sviluppi dei negoziati a livello europeo, nonché sul processo di attuazione delle linee strategiche, delle priorità e delle azioni indicate nella bozza di accordo e sui progressi ottenuti.
(7-00185) «Daga, Zolezzi, Busto, De Rosa, Mannino, Segoni, Terzoni».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    nell'ultima settimana, la Calabria è stata investita da fenomeni alluvionali di particolare violenza come la tromba d'aria che ha investito il 15 novembre 2013 la costa ionica tra i comuni di Rossano e di Corigliano Calabro, determinando l'allagamento del borgo marinaro di Schiavonea, e le piogge torrenziali che il 19 novembre si sono abbattute sulla costa ionica catanzarese e crotonese e che hanno causato un vero e proprio black-out determinando la chiusura delle scuole, la rottura delle condotte idriche, danneggiamenti ingenti alle colture, alle strade provinciali e alle ferrovie;
    le amministrazioni provinciali di Catanzaro e di Crotone e la regione Calabria hanno chiesto al Governo la dichiarazione dello stato di calamità naturale in relazione agli eventi alluvionali del 19 novembre, poiché è impossibile per la Calabria far fronte da sola ai costi dei danni subìti;
    i danni, benché ancora da quantificare, sarebbero davvero ingenti con riferimento alle infrastrutture viarie in diversi comuni, alle attività produttive ed al comparto agricolo; in particolare, nelle campagne si contano danni consistenti, soprattutto nelle zone di pianura con le colture orticole di stagione che sono state spazzate via, con i seminativi autunno vernini che irrimediabilmente dovranno essere riseminati e con le strade poderali e interpoderali completamente andate distrutte e che ora devono essere ripristinate. Conseguenze negative si registrano anche tra gli allevamenti e i produttori olivicoli, vitivinicoli e del settore agrumicolo;
    l'esondazione dei fiumi Neto, Tacina e Vitravo ha provocato, oltre a danni all'agricoltura e alle attività produttive, la chiusura della strada statale 106 e della linea ferroviaria ionica; strade invase da fango e detriti, paesi isolati, un villaggio evacuato è lo scenario che appare nelle province di Catanzaro, Vibo Valentia e Crotone, dopo il violento nubifragio durato sei ore;
    secondo autorevoli studiosi, manifestazioni temporalesche brevi ma molto intense, alluvioni e «bombe d'acqua» sono eventi sempre più frequenti in conseguenza dei cambiamenti climatici;
    il rischio idrogeologico in Italia coinvolge il 10 per cento circa della superficie nazionale (29.500 chilometri quadrati) per un totale di 6.633 comuni; in sostanza, quasi un cittadino su dieci si trova in aree esposte al pericolo di alluvioni e valanghe;
    la Calabria vive ormai da tempo e quotidianamente problemi legati al dissesto idrogeologico ed è una delle zone del territorio italiano a più elevato rischio, con una diffusa fragilità del territorio soggetto a rischio frane;
    la regione Calabria ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno sottoscritto nel novembre 2010 un accordo di programma destinato all'attuazione di interventi di difesa del suolo urgenti e prioritari finalizzati alla mitigazione del rischio idrogeologico, da effettuare nel territorio della regione Calabria, con priorità agli interventi «volti alla salvaguardia della vita umana attraverso la riduzione del rischio idraulico e di frana, sia mediante la realizzazione di nuove opere, sia con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria»;
    tuttavia, ad oggi, la realizzazione delle opere previste nell'accordo di programma quadro è ancora bloccata, mentre risulterebbe che nei mesi scorsi la Presidenza del Consiglio dei ministri abbia proceduto al cambio del commissario straordinario delegato e successivamente alla revoca del proprio deliberato per effetto di chiarimenti richiesti dalla Corte dei conti;
    inoltre, come dichiarato da consiglieri regionali calabresi, una relazione prodotta all'inizio del 2013 dall'unità di verifica del dipartimento della coesione territoriale ha evidenziato una serie di criticità più complessive collegate alla realizzazione di tutti gli interventi relativi alla difesa del suolo e di interesse della regione Calabria. Nello specifico, la relazione evidenzia un ritardo elevato sulla progettazione e sull'impegno delle risorse europee entro il 30 giugno 2013;
    non essendo possibile fronteggiare con risorse ordinarie gli ingentissimi danni provocati nei territori della regione Calabria dalle esondazioni, allagamenti, smottamenti registrati nel mese di novembre,

impegna il Governo:

   a riconoscere lo stato di calamità naturale, richiesto dalla regione Calabria, per i territori colpiti in questi giorni da eventi eccezionali, velocizzando i tempi medi di trasferimento delle risorse;
   ad assumere iniziative per assegnare, in tempi rapidi, attraverso le amministrazioni territoriali competenti, la concessione di contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione della rete infrastrutturale primaria e secondaria;
   ad assumere iniziative dirette a fronteggiare i danni all'agricoltura e alla zootecnia integrando con le opportune risorse gli strumenti di intervento previsti dal decreto legislativo n. 102 del 2004, in primo luogo rifinanziando il fondo di solidarietà nazionale;
   ad assumere le opportune iniziative, nelle sedi competenti, al fine di consentire l'esclusione dal patto di stabilità delle risorse destinate alle opere finalizzate alla difesa idrogeologica e quelle relative al concorso degli enti territoriali all'attuazione del piano contro il rischio idrogeologico;
   a monitorare e a vigilare sull'attuazione dell'accordo di programma quadro siglato tra la regione Calabria e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la piena realizzazione del piano organico di interventi di difesa del suolo urgenti e prioritari finalizzati alla mitigazione del rischio idrogeologico con l'obiettivo di affrontare nella maniera più efficace le emergenze alluvionali ed il rischio idrogeologico del territorio calabrese;
   ad assumere tutte le iniziative di propria competenza affinché siano utilizzati nella regione Calabria i fondi strutturali disponibili per programmi ambientali e per la messa in sicurezza delle aree a rischio nei tempi e nei modi utili ad evitarne la revoca da parte dell'Unione europea;
   ad adottare politiche, che, contrastando il fenomeno dell'abbandono dei terreni, del disboscamento e quindi dell'improduttività del terreno stesso, riconoscano il valore strategico dell'agricoltura come presidio del territorio.
(7-00187) «Tino Iannuzzi, Oliverio, Covello, Magorno, Bruno Bossio».

ATTI DI CONTROLLO

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 23 febbraio 2013 sono stati arrestati in Tunisia due cittadini italiani, nati a Torre del Greco e residenti a Bizerte;
   il 5 marzo 2013, è avvenuto un terzo arresto in Tunisia, relativo ad un altro cittadino italiano nato a Trapani e residente anch'egli a Bizerte;
   i tre italiani in questione sono:
    a) Magliulo Nicola, nato a Torre del Greco il 13 febbraio 1983 e residente a Bizerte (Tunisia) in me Saada;
    b) Magliulo Michele, nato a Torre del Greco l'11 marzo 1949 e residente a Bizerte (Tunisia) in rue Saada;
    c) Danese Giacomo, nato a Trapani il 6 settembre 1941 e residente a Bizerte (Tunisia) in rue Muhammed;
   i tre si occupavano di esportazione di corallo dalla Tunisia all'Italia;
   le accuse a loro carico vanno dall'associazione a delinquere al contrabbando, e se confermate sarebbero di estrema gravità;
   alle famiglie degli arrestati non è stata notificata alcuna documentazione, e gran parte del materiale risulta essere in possesso dell'ambasciata italiana in Tunisia;
   le uniche informazioni in possesso dei familiari sono il numero del fascicolo pendente presso l'autorità giudiziaria tunisina (13/7022) e l'indicazione della prigione di Momaguia come luogo di detenzione dei tre cittadini italiani;
   le notizie in questione sono state riportate direttamente dalle famiglie dei soggetti coinvolti;
   esse vivono uno stato di drammatica disinformazione in merito ai loro cari –:
   quali iniziative si intendano assumere per far sì che le famiglie degli arrestati possano avere al più presto notizie certe sullo stato di salute e giudiziario dei loro congiunti;
   se non si ritenga opportuno verificare il rispetto dei diritti umani di difesa dei cittadini italiani in questione. (5-01559)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 21 novembre 2013 è detenuto nel carcere di Bergamo lo storico, giornalista e militante per la pace Bahar Kimyongür, di origine turca ma nato in Belgio, dove vive;
   egli era appena arrivato in Italia per partecipare a una conferenza internazionale sulla Siria, quando è stato fermato ed arrestato all'aeroporto di Milano;
   Kimyongür è stato arrestato sulla base di un mandato dell'Interpol richiesto dal Governo di Ankara;
   l'accusa è di aver minacciato un Ministro del Governo turco e di aver fiancheggiato l'organizzazione terroristica turca Dhkpc;
   come spiega l'avvocato penalista fiorentino Federico Romoli, nominato dalla famiglia e membro dell'ong Fair Trials International, che si batte per un sistema penale più giusto, «lunedì la Corte d'appello di Brescia gli chiederà se vuole essere estradato in Turchia»;
   la risposta di Kimyongür a tale richiesta è già stata annunciata essere negativa;
   per la stessa accusa in precedenza Kimyongür era stato già assolto in Belgio e nei Paesi Bassi;
   risale a un fatto del 2000 l’«accanimento del Governo turco sulla base di un dossier vuoto», per usare le parole dello stesso Bahar, che da tempo collabora con il sito Investig'action del giornalista belga Michel Collon e con l'istituto internazionale per la pace la giustizia e i diritti umani (Iipjhr), accreditato presso l'Onu a Ginevra;
   all'epoca diversi prigionieri politici in Turchia erano in sciopero della fame per protesta, e durante una visita dell'allora Ministro degli Esteri turco al Parlamento europeo Bahar lo interruppe pubblicamente denunciando le violenze e le persecuzioni, e gettando volantini;
   nei giorni immediatamente successivi la stampa turca lo descrisse come amico di terroristi e nemico della nazione, ed in seguito la Turchia ne chiese l'estradizione accusandolo anche di far parte dell'associazione terroristica;
   arrestato nei Paesi Bassi, sia la giustizia olandese che quella belga hanno in seguito dichiarato infondate le accuse;
   ciò non ha fatto tuttavia venir meno il mandato di cattura internazionale;
   nel 2012 Bahar Kimyongür si è attirato nuovamente le ire turche denunciando pubblicamente, con articoli, conferenze e il libro «Syriana. La conquete continue», il ruolo diretto del Governo Erdogan nell'addestramento, nel finanziamento e nel transito delle formazioni estremiste e jihadiste attive in Siria;
   egli aiuta anche le famiglie belghe a reclamare i figli partiti a combattere;
   mesi fa egli era anche stato arrestato in Spagna, dove era in vacanza;
   in tale occasione è stato liberato su cauzione, mentre il processo è attualmente in corso;
   in Italia si sta già preparando una mobilitazione in suo sostegno a più livelli;
   i fatti narrati sono riportati anche nell'articolo pubblicato in data 23 novembre 2013 dal quotidiano Il Manifesto ed intitolato «Perseguitato da Erdogan per le accuse sulla Siria» –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative siano già state prese, per quanto di competenza, in merito;
   quali iniziative si intendano assumere per garantire, per quanto di competenza, il rispetto dei diritti di Bahar Kimyongür in una situazione che, allo stato dei fatti, desta più di una perplessità. (4-02681)

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta immediata:


   PALESE. — Al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   l'Eurogruppo straordinario, dedicato all'esame delle opinioni della Commissione europea sulle bozze di bilancio dei Paesi membri, ha ribadito che le misure che consentiranno all'Italia di assicurare il rispetto delle regole del patto di stabilità nel 2014, in particolare quelle sul debito pubblico, sono nel processo di attuazione;
   il patto di stabilità da alcuni mesi è sede di trattativa in sede europea, necessaria per consentire una riforma in grado di rilanciare gli investimenti produttivi ed interventi per il rilancio della crescita, in particolare per quei Paesi che hanno il deficit sotto il 3 per cento del prodotto interno lordo e che tendono al pareggio di bilancio;
   per l'Italia il rientro definitivo della procedura per disavanzo eccessivo è risultato un obiettivo fondamentale, poiché solo in questo modo è stato possibile collocarsi nella cosiddetta «parte preventiva» del patto di stabilità e azionare, pertanto, anche quei preziosi margini di flessibilità sul fronte degli investimenti produttivi;
   il documento finale dell'Eurogruppo straordinario ha, altresì, invitato gli Stati membri, i cui piani di bilancio sono a rischio di non rispetto delle regole del patto di stabilità, ad adottare misure appropriate entro, o in parallelo, ai processi di approvazione di bilancio per assicurare che il bilancio 2014 rispetti pienamente le regole del patto di stabilità;
   nell'ambito del quadro finanziario europeo 2014-2020 delle risorse attribuite agli Stati membri l'Italia beneficerà di oltre cento miliardi di euro, quali fondi strutturali d'investimento europei;
   le regioni italiane e gli enti locali, quali soggetti attuatori, hanno avuto rilevanti problemi, per l'utilizzo dei precedenti fondi 2007-2013, causati dal rispetto dei vincoli previsti dal patto di stabilità interno –:
   quali iniziative in sede europea il Governo intenda adottare, nell'ambito dell'utilizzo dei fondi strutturali europei 2014-2020, al fine di nettizzare l'utilizzo dei fondi strutturali, rispetto ai vincoli del patto di stabilità interno, onde consentire l'utilizzo delle risorse citate in premessa nei tempi previsti, fondamentali per l'economia nazionale. (3-00474)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che il progetto proposto da Alpe Adria Energia spa per la realizzazione dell'elettrodotto Wurmlach-Somplago in Camia è stato inserito da parte della Commissione europea nella lista dei progetti di interesse comune (PIC), che consente ai promotori di beneficiare di eventuali finanziamenti e di una più celere procedura autorizzativa;
   si mette in evidenza che, nel corso degli anni, i cittadini e le autorità carniche e carinziane hanno manifestato la loro contrarietà a questo progetto di elettrodotto aereo considerato di forte impatto ambientale;
   si fa presente che sulla tratta Wurmlach-Paluzza è già stato autorizzato per la società cooperativa Secab un elettrodotto interrato, e che sarebbe opportuno disporre l'interramento anche del predetto elettrodotto Wurmlach-Somplago proposto da Alpe Adria Energia spa per una ottimizzazione delle risorse e per ridurre l'impatto paesaggistico e ambientale;
   altresì, si evidenzia che la Burgo Group s.p.a. aveva presentato per la tratta Wurmlach-Somplago, un progetto di elettrodotto interrato, che da quanto è dato sapere, sembra sia stato successivamente ritirato –:
   quale sia la posizione del Ministro interrogato in merito al progetto di elettrodotto aereo Wurmlach-Somplago proposto da Alpe Adria Energia s.p.a.;
   se sia a conoscenza della fase in cui si trova l’iter autorizzativo del progetto in questione;
   se intenda assumere una qualche iniziativa, affinché si giunga alla modifica dell'attuale progetto, prevedendo soluzioni di minore impatto ambientale come l'interramento dell'elettrodotto;
   se ritenga, con urgenza, di convocare un tavolo di confronto presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, coinvolgendo la società Alpe Adria Energia spa e le autorità amministrative locali, per affrontare ogni possibile ed immediata soluzione relativa alla realizzazione del progetto, considerando che a parere dell'interrogante potrebbe avere ripercussioni negative sull'ambiente;
   se sia a conoscenza dei motivi per i quali sia stato ritirato il progetto di elettrodotto interrato della società Burgo Group s.p.a. per la medesima tratta Wurmlach-Somplago, la cui realizzazione avrebbe avuto quanto meno un minore impatto ambientale trattandosi di elettrodotto interrato. (4-02674)


   TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la realizzazione della discarica di Sant'Arcangelo Trimonte (BN) è stata, come noto, disposta ai sensi dell'articolo 9, comma 1, del decreto-legge n. 90 del 2008 legge 14 luglio 2008 n. 123;
   il 18 marzo del 2011, il Nucleo investigativo di polizia ambientale e forestale (NIPAF) del Corpo forestale dello Stato di Benevento dava esecuzione al provvedimento di sequestro preventivo della discarica commissariale di Sant'Arcangelo Trimonte, emesso dal giudice delle indagini preliminari, presso il tribunale di Benevento. Un'azione scaturita a causa dell'inquinamento causato dall'illecito smaltimento del percolato prodotto all'interno della discarica, il pericolo di frane e di disastro ambientale poiché non sono stati eseguiti i lavori richiesti dalle prescrizioni contenute nelle relative autorizzazioni, il tutto a danno della popolazione locale che vive in zona;
   con delibera della giunta regionale Campania n. 604/11, si prevede una spesa di 10 milioni di euro tramite l'utilizzo di fondi ex FAS, nell'ottica di un intervento infrastrutturale per la discarica di Sant'Arcangelo, ma i lavori non hanno mai preso il via;
   i fondi ex FAS, di cui si tratta, sono fondi istituiti con la legge finanziaria 2003; le risorse ex FAS si aggiungono a quelle ordinarie e a quelle comunitarie e nazionali di cofinanziamento; risulta dunque che la regione Campania ha utilizzato fondi, totalmente o in parte, statali per l'intervento infrastrutturale presso la discarica;
   le risorse FAS per la discarica sono state rese disponibili con la 604 del 29 ottobre 2011;
   il 20 gennaio 2012 il C.I.P.E. (Comitato interministeriale per la programmazione economica), con la deliberazione n. 8, giudicava finanziabili alla regione Campania 57 interventi per un costo totale pari a 204 milioni di euro; tra i 57 interventi il n. 13 era destinato ad un «Contributo straordinario per il dissesto idrogeologico del sito in territorio del Comune di Sant'Arcangelo Trimonte», pari a 10 milioni di euro (dunque successive a quelle FAS);
   a tutt'oggi la discarica non è iniziato alcun lavoro per la messa in sicurezza e lo smaltimento controllato di percolato o altri agenti inquinanti –:
   se il Governo intenda inviare il Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente per verificare la situazione dell'area di cui in premessa. (4-02682)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'UVA, FRUSONE e CORDA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461, riguardante il «Regolamento per la semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio» dispone, a norma dell'articolo 10, la costituzione di un comitato di verifica per le cause di servizio;
   tale comitato è formato da un numero variabile di soggetti comunque scelti tra gli esperti della materia, provenienti dalle diverse magistrature, dall'Avvocatura dello Stato e dal ruolo dei dirigenti delle amministrazioni dello Stato, nonché tra gli ufficiali superiori medici delle Forze armate e qualifiche equiparate delle Forze di polizia di Stato a ordinamento civile e militare e, infine, tra funzionari medici delle amministrazioni dello Stato preferibilmente specialisti in medicina legale e delle assicurazioni;
   la nomina dei componenti del comitato di verifica per le cause di servizio avviene con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, per un periodo di quattro anni, prorogabili per non più di una volta, secondo quanto disposto dall'articolo 10 comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461;
   il Ministero dell'economia e delle finanze costituisce, con proprio decreto, in data 14 marzo 2003, il comitato di verifica per le cause di servizio per il quadriennio 2003-2007;
   decaduti i termini previsti dalla normativa del decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre, n. 461, il Ministero dell'economia e delle finanze provvede alla proroga della composizione del comitato di verifica per le cause di servizio anche per il quadriennio 2007-2011, in armonia con il dettato dell'articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica;
   il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito dalla legge 26 febbraio 2011, n.10, ha disposto all'articolo 2, comma 1-octies, la proroga della composizione del comitato di verifica per le cause di servizio, con scadenza in data 31 dicembre 2013, intervenendo così in maniera poco comprensibile sulla durata delle cariche;
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», ha introdotto, all'articolo 1, il comma 8-quinques, il quale dispone una ulteriore proroga della composizione del comitato di verifica, a norma dell'articolo 1, rinviando per l'ennesima volta il termine previsto per la decadenza dei suoi membri, fino al 31 dicembre 2015;
   la composizione del comitato di verifica per le cause di servizio, nonostante l'iniziale previsione legislativa che stabiliva un termine massimo complessivo di 8 anni, è stata, di fatto, confermata per un ulteriore quadriennio, attraverso tempestivi provvedimenti legislativi che hanno, di fatto, impedito la naturale decadenza dei suoi membri, senza alcuna apparente giustificazione e senza nessun evidente beneficio né economico né funzionale –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se intenda assumere iniziative per l'immediato ripristino del previgente termine per la decadenza dei membri facenti parte del comitato di verifica per le cause di servizio, così come disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461, evitando così che ai suoi membri sia assicurato il godimento dei benefici derivanti dalla partecipazione al comitato per un più esteso periodo. (5-01561)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la legge 6 novembre 2012, n. 190, introducendo norme in materia di prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione;
   tra le tante deleghe ivi contenute, ve ne è una all'articolo 1, comma 49, con la quale si incarica il Governo di emanare uno o più decreti legislativi di modifica delle norme in materia di attribuzione di incarichi dirigenziali e di incarichi di responsabilità amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto privato;
   a tale delega ha fatto seguito il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, recante norme in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli entiprivati in controllo pubblico. In particolare, questo decreto stabilisce che tra le figure disciplinate e soggette ai vincoli di inconferibilità ed incompatibilità risultano, all'articolo 1, comma 2, lettera j), anche gli «incarichi dirigenziali interni», cioè «gli incarichi di funzione dirigenziale, comunque denominati, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione;
   in un articolo del «Corriere della Sera» dell'11 novembre 2013 di Sergio Rizzo si fa riferimento ad una circolare, firmata dal capo dell'ufficio legislativo del Ministero dell'economia e delle finanze, interpretativa del citato decreto legislativo, con cui si stabilisce che i direttori delle agenzie fiscali non ricoprono ruoli dirigenziali bensì amministrativi, al pari dei loro vice-direttori, sottraendoli quindi agli obblighi imposti dalla legge;
   in altre parole, si è deciso di consentire ai direttori delle agenzie fiscali di assumere incarichi all'interno degli organi di indirizzo e controllo, come ad esempio i comitati di gestione, i quali svolgono una funzione fondamentale per il corretto funzionamento dell'agenzia e contribuiscono a delinearne le linee strategiche, e quindi creando una sorta di conflitto di interessi tra controllati e controllanti;
   l'articolo 2095 del codice civile, relativo alle «categorie di prestatori di lavoro», al primo comma stabilisce che «i prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e operai», definendo in modo chiaro e preciso quali sono le uniche posizioni che i lavoratori subordinati possono ricoprire, senza lasciare spazio a interpretazioni discrezionali;
   negli ultimi mesi, a causa delle vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi, la legge 6 novembre 2012, n. 190, a cui il decreto legislativo citato è legato, è stata richiamata numerose volte direttamente o indirettamente ed è stata strenuamente difesa dal Partito Democratico di cui il Ministro dell'economia e delle finanze Fabrizio Saccomanni, il suo vice-Ministro Stefano Fassina, e il suo sottosegretario Pier Paolo Baretta, fanno parte;
   va ricordato, inoltre, che questa estate, durante l’iter legislativo che ha accompagnato l'approvazione del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, meglio conosciuto come «decreto del fare», è stato approvato al Senato un articolo aggiuntivo, il 29-ter, presentato dal relatore di maggioranza, Paolo Guerrieri Paleotti del Partito Democratico, con il quale si è deciso di rinviare, forse non casualmente, l'applicazione delle norme relative proprio agli incarichi dirigenziali, vanificando ad avviso degli interpellanti il grande sforzo legislativo compiuto sino ad allora in tema di anticorruzione;
   pare agli interpellanti quantomeno incoerente, quindi, difendere una legge, che giustamente costituisce un importante insieme di regole a garanzia del corretto processo democratico, e successivamente introdurre una nuova norma che ne ritarda fortemente l'applicazione, sostanzialmente inibendola, sino ad arrivare a stabilire, tramite uno strumento non soggetto al controllo democratico del Parlamento, che alcuni soggetti non saranno comunque sottoposti alla legge –:
   se i fatti esposti in premessa, con particolare riferimento alla notizia degli organi della stampa sull'interpretazione adottata dalla pubblica amministrazione indicata, corrispondano al vero e, qualora tali si rivelassero, se non intenda attivarsi, per quanto di competenza, per il ritiro della suddetta circolare del 24 ottobre 2013, fornendo al contempo i dati relativi alle situazioni di incompatibilità ed inconferibilità di cui al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 139, che interessano le agenzie fiscali e all'inquadramento del personale «di vertice amministrativo».
(2-00317) «Nuti, Luigi Di Maio».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   ZANETTI, SOTTANELLI e SBERNA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   già nel 2011, il TAR del Lazio, con sentenza n. 07636, aveva bloccato le nomine a dirigenti, presso diversi uffici delle Agenzie delle entrate, nei confronti di numerosi funzionari che, però, non avevano svolto il concorso previsto per legge e, quindi, erano privi dei relativi titoli a dirigenti: in pratica, secondo il TAR del Lazio, ben 767 funzionari su 1.143 totali (più della metà) erano stati nominati in modo illegittimo;
   la paventata illegittimità della nomina, oltre ad evidenziare la deprecabile violazione delle norme in materia di pubblico impiego e pari opportunità nelle progressioni di carriera dei funzionari, metterebbe a rischio anche il gettito erariale, posto che gran parte degli avvisi inviati dall'Agenzia delle entrate e, a cascata, delle cartelle esattoriali notificate da Equitalia potrebbero risultare nulli, ove i primi risultassero firmati da dirigenti privi della relativa qualifica in quanto illegittimamente nominati;
   con l'articolo 8, comma 24, della legge 26 aprile 2012, n. 44, è stata nella sostanza disposta una sanatoria ex post di questi incarichi affidati senza concorso pubblico e, in attesa dell'espletamento delle nuove procedure concorsuali, è stata pure autorizzata l'attribuzione «diretta» di ulteriori incarichi dirigenziali a funzionari delle stesse Agenzie;
   nei giorni scorsi, segnatamente il 18 novembre 2013, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5451, ha disposto il rinvio alla Corte costituzionale della norma di cui alla legge n. 44 del 2012, ritenendo non infondate le eccezioni di costituzionalità eccepite in relazione alla medesima;
   quanto precede, oltre che mantenere in bilico la legittimità di numerosi atti amministrativi di accertamento, con conseguenti rischi per il gettito erariale, determina senza dubbio un rilevante danno di immagine per un ente istituzionale come l'Agenzia delle entrate che, in quanto chiamato a controllare la correttezza dell'operato dei contribuenti, dovrebbe in ogni modo evitare di seguire procedure non conformi alla legge, tanto da necessitare di interventi normativi di sanatoria ex post, costituzionali o meno che siano; inoltre, quanto precede evidenzia come la vicenda abbia generato procedimenti giudiziali complessi e prolungati, idonei a determinare costi diretti e indiretti a carico dello Stato, che non avrebbero avuto luogo ove le procedure di nomina dei dirigenti dell'Agenzia delle entrate avessero avuto luogo con modalità conformi alla legge, al di là di norme ad hoc introdotte con la legge n. 44 del 2012 –:
   di quali elementi disponga, e quali siano i suoi orientamenti, in merito alle ragioni che hanno portato all'effettuazione delle nomine in assenza del rispetto delle procedure di legge che impongono il concorso pubblico, alla loro effettiva imprescindibilità rispetto ad esigenze operative, oppure all'esistenza di ingiustificate sottovalutazioni del quadro normativo e dei possibili risvolti negativi per l'interesse pubblico, tenuto anche conto dell'arco temporale intercorso tra le prime nomine contestate come illegittime e l'avvio delle contestazioni formali, di cui si chiede di conoscere l'ampiezza. (5-01563)


   CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha introdotto l'aiuto alla crescita economica – ACE – consentendo di dedurre, dal reddito imponibile dei soggetti Ires e dei soggetti Irpef in contabilità ordinaria (persone fisiche e società di persone), la componente derivante dal rendimento nozionale di nuovo capitale proprio fissato al 3 per cento nei primi tre anni di applicazione della normativa (2011-2013);
   tali disposizioni sono state introdotte in considerazione della esigenza di rilanciare lo sviluppo economico del Paese e fornire un aiuto alla crescita, mediante una riduzione dell'imposizione sui redditi derivanti dal finanziamento con capitale di rischio, nonché per ridurre lo squilibrio del trattamento fiscale tra imprese che si finanziano con debito ed imprese che si finanziano con capitale proprio, e rafforzare, quindi, la struttura patrimoniale delle imprese e del sistema produttivo italiano;
   secondo i dati forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze nel mese di giugno, riguardanti i soli soggetti Irpef – unici dati disponibili –, tipicamente piccole e medie imprese, si evidenzia che circa 230.000 persone fisiche hanno usufruito dell'agevolazione ACE per un ammontare di circa 890 milioni di euro dedotti dal reddito, di cui 720 milioni provenienti da partecipazioni in società di persone e 170 milioni da coloro che svolgono direttamente l'attività d'impresa; le società di persone che hanno utilizzato tale agevolazione sono più di 80.000;
   gli elementi per una prima valutazione d'impatto sulla reale efficacia della norma, appaiono tuttavia frammentati ed incompleti in quanto non sono stati resi noti i dati riguardanti gli effetti prodotti sui soggetti Ires;
   sarebbe in particolare determinante, al fine di comprendere la reale efficacia dell'agevolazione e di rafforzarla, sapere come abbia influito l'aiuto alla crescita economica sulla composizione del passivo (leverage) e sulla composizione dell'attivo (investimenti reali vs finanziari) dei soggetti interessati;
   sarebbe altresì utile conoscere il numero di società che hanno utilizzato l'agevolazione in almeno un periodo di imposta e la ripartizione di tali società sulla base dimensionale (classe di fatturato o di valore della produzione ai fini Irap), settoriale e geografica;
   sempre ai medesimi fini, con riguardo alle citate società che hanno usufruito dell'agevolazione almeno per un periodo d'imposta, sarebbe necessario conoscere i valori complessivi delle varie poste di bilancio relative in particolare ai debiti, al capitale sociale e al patrimonio netto, al passivo, agli investimenti in beni materiali, agli investimenti in beni immateriali, alle attività finanziarie, al capitale circolante e all'attivo –:
   se sia possibile mettere a disposizione, anche a beneficio della comunità scientifica, i dati citati in premessa, affinché si possano costruire valutazioni, sia ai fini di una policy evalutation, sia ai fini dell'impatto strutturale a lungo termine, atte a consolidare, ed eventualmente migliorare, l'utilizzo di questo strumento all'interno della complessiva valutazione di soluzioni per uscire dalla crisi economica. (5-01564)


   BARBANTI, PESCO, VILLAROSA, CANCELLERI, RUOCCO, PISANO e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da notizie stampa l'intenzione del Governo di attivare la «clausola di salvaguardia» prevista dal decreto-legge n. 102 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 124 del 2013, con il conseguente aumento di due punti percentuali degli acconti IRES ed IRAP per le imprese e, dal 1o gennaio 2014, con l'aumento di circa due punti percentuali delle accise sui carburanti;
   il decreto-legge n. 102 del 2013 prevede l'attivazione della clausola di salvaguardia in caso in cui non sia raggiunto il maggior gettito, previsto per 600 milioni di euro, derivante dalla definizione agevolata nei confronti dei concessionari dei giochi di cui all'articolo 14 del medesimo decreto-legge n. 102, e il maggior gettito, previsto in 925 milioni di euro, connesso ai versamenti IVA derivanti dall'accelerazione dei pagamenti dei crediti delle imprese vantati nei confronti della pubblica amministrazione disposta dall'articolo 13 dello stesso decreto-legge n. 102;
   da alcune fonti stampa risulta un mancato introito di circa 300 milioni di euro dall'applicazione del citato articolo 14 e che il Governo sia in procinto di attivare la predetta clausola di salvaguardia per 600 milioni di euro;
   le entrate a cui fa riferimento la clausola di salvaguardia del citato decreto-legge n. 102 sono riferite al bilancio di previsione per l'anno 2013, motivo per il quale non si comprende perché il Governo intenda disporre l'aumento delle accise a decorrere da gennaio 2014 –:
   quali siano le clausole di salvaguardia attualmente previste da disposizioni normative, che implichino aumenti di aliquote di imposte e tasse ovvero degli acconti, attivate o da attivare, e la valutazione complessiva dei maggiori oneri da coprire con le suddette clausole. (5-01565)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale dei minori di Bologna ha disposto l'affidamento temporaneo di una bimba di tre anni ad una coppia omosessuale di uomini di mezza età;
   la decisione è stata assunta nonostante l'opposizione espressa in merito dalla procura minorile, che aveva ritenuto la coppia non all'altezza del compito;
   la procura dei minori di Bologna ha impugnato il provvedimento del tribunale definendolo «poco trasparente», posto che la legge sull'affidamento prevede, all'articolo 2, che si dia preferenza a famiglie che hanno figli minori, e che, a detta della procura, «riguardo al caso di cui stiamo discutendo, non si capisce se questa possibilità sia stata valutata o meno»;
   inoltre, la Procura avrebbe ravvisato anche un vizio formale, quale il fatto che i due uomini risultano avere due residenze diverse, e quindi non appare chiaro se siano davvero una coppia o no;
   i servizi sociali si erano espressi positivamente sull'affido alla coppia omosessuale, ritenendo che ci fossero tutte le condizioni di serenità e benessere richieste dalla legge, sulla base delle considerazioni che i due uomini convivrebbero da tempo e avrebbero un lavoro e un buon reddito, costituendo quindi, a loro giudizio, una coppia «stabile e affidabile»;
   in Italia ci sono centinaia di migliaia di coppie eterosessuali stabili e affidabili, con un buon reddito ed una buona posizione lavorativa, in grado di garantire a un bambino i diritti inalienabili di avere una famiglia accogliente e sicura e di ricevere l'amore contestuale di un padre e di una madre –:
   di quali elementi disponga sulla vicenda e se non intenda adottare ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo, al fine di evitare che in una materia così delicata venga in vario modo aggirato il dettato costituzionale che tutela la famiglia come nucleo fondamentale della nostra società. (4-02679)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il settore valutazione di impatto ambientale/valutazione ambientale strategica della direzione tecnica ARPAT (azienda regionale per la protezione ambientale della Toscana) ha recentemente elaborato una nota, riferita alla valutazione dei dati e dei report di monitoraggio idrogeologico trasmessi da Italferr relativi al periodo 1o gennaio 2012 – 31 marzo 2013 ed inerente all'attività dei cantieri per il nodo ferroviario alta velocità di Firenze;
   la citata nota denuncia una condizione particolarmente allarmante sotto il profilo della sostenibilità idrogeologica dei cantieri certificando che, pur in presenza di lavori sostanzialmente fermi e con le sole poche opere realizzate, non si riesca a ripristinare a valle il livello della falda acquifera precedente allo scavo del tunnel, registrando in particolare che tale falda si sia alzata risentendo dell'effetto barriera dei diaframmi, che i pozzi non funzionano sufficientemente e che la stessa acqua di falda risulta contaminata;
   nello specifico, ARPAT valuta che «Sulla base delle elaborazioni, si evincono alcuni dati anomali, in taluni casi localizzati e quindi presumibilmente riconducibili ad attività di cantiere» come, ad esempio, «un aumento di torbidità che appare decisamente localizzato nelle vicinanze del cantiere passante AV» o altresì, che «per quanto riguarda i livelli piezometrici, presso la zona di Campo di Marte (area del cantiere) si conferma un sostanziale aumento del dislivello piezometrico fra monte e valle dell'opera» ed ancora, «per quanto riguarda l'area della stazione, viene evidenziata la difficoltà dell'attuale sistema di continuità della falda a raggiungere una effettiva mitigazione dell'effetto barriera dovuto alla realizzazione dei diaframmi della nuova stazione AV»;
   secondo uno studio della facoltà di architettura dell'università di Firenze, le anomalie oggi riscontrate da ARPAT connesse alla falda acquifera che incrocia i lavori per lo scavo del tunnel in questione, ove l'opera venisse condotta sino al suo compimento, potrebbero configurare un rischio strutturale per la città dalle incalcolabili conseguenze sulla stabilità di interi quartieri ed isolati, per via di un possibile sprofondamento del terreno ed un generalizzato innalzamento del rischio sismico;
   a fronte delle riportate valutazioni formulate, la stessa ARPAT segnala all'Osservatorio ambientale del nodo alta velocità di Firenze di procedere celermente al nuovo dimensionamento della batteria di pompe di presa e resa facenti parti del sistema di continuità, nonché di operare una complessiva rivalutazione dei sistemi di continuità della falda;
   i lavori per il passante Tav, oltre ad aver subito un innalzamento incontrollato dei costi di realizzazione dell'opera passando dai 685 milioni di euro nel 2007 agli oltre 1,7 miliardi di euro attualmente stimati, presentano, a monte, gravi carenze autorizzative legate al progetto, come la mancanza totale di valutazione di impatto ambientale per la nuova stazione alta velocità o l'assenza di nulla osta paesaggistico ed, a valle, numerose problematicità che si assommano agli allarmanti esiti dei rilevamenti idrogeologici conseguenti allo scavo del tunnel ricordati in premessa, come ad esempio, la questione delle terre di scavo prodotte dalla fresa, le quali per essere dichiarate «non rifiuti» dovrebbero per legge essere sottoposte ad analisi specifiche e aggiornate le quali tuttavia non risultano previste nei lavori in questione;
   gli stessi lavori, sotto il profilo politico-amministrativo sono stati nel mese di settembre 2013, oggetto di un vasto scandalo dai risvolti giudiziari che ha visto coinvolti nelle indagini, ben trentuno soggetti fra i quali la presidente di Italferr ed ex presidente della regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti, posta ai domiciliari con altri cinque accusati di associazione a delinquere finalizzata a corruzione e abuso d'ufficio; il geologo siciliano già dirigente Ds poi Pd a Palermo Gualtiero (detto Walter) Bellomo, membro della commissione Via (valutazione impatto ambientale) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; Furio Saraceno, presidente di Nodavia; Valerio Lombardi, ingegnere di Italferr; Alessandro Coletta, consulente, ex membro dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture Aristodemo Busillo, della società Seli di Roma che gestisce la grande fresa sotterranea per realizzare il tunnel Tav a Firenze e che venne posta sotto sequestro dalla magistratura. Gli indagati, secondo il gip di Firenze, «grazie al ruolo» di presidente di Italferr e «alle entrature politiche» di Maria Rita Lorenzetti perseguivano «obiettivi precisi di comune interesse che diventano per ciò stesso le finalità dell'organizzazione criminale», come in occasione delle pressioni volte ad ottenere un decreto che mutasse la qualifica giuridica delle terre di scavo da rifiuti, da smaltire in discariche apposite, a «sottoprodotti» da poter trattare come normali inerti; oppure per conseguire un'autorizzazione paesaggistica dell'opera, in scadenza, oltreché «ottenere il massimo riconoscimento possibile delle riserve contrattuali poste dagli appaltatori per una maggiorazione delle spettanze per centinaia di milioni» –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle allarmanti considerazioni formulate dall'ARPAT della regione Toscana riferite alla valutazione dei dati e dei report di monitoraggio idrogeologico – relativi al periodo 1o gennaio 2012-31 marzo 2013 – inerenti all'attività dei cantieri per il nodo ferroviario alta velocità di Firenze e quali siano i suoi orientamenti in merito;
   quali opportune misure intenda adottare volte al tempestivo e duraturo ripristino della sicurezza strutturale dell'area della città di Firenze interessata dai lavori per il tunnel del sottoattraversamento ferroviario dell'alta velocità;
   se, alla luce di quanto premesso, non ritenga di dover abbandonare il progetto del sottoattraversamento ferroviario dell'alta velocità della città di Firenze, dirottando altresì le risorse destinate a tale opera allo sviluppo del trasporto regionale e dell'intero nodo fiorentino di superficie.
(2-00316) «Bonafede, Segoni, Artini, Nuti».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   l'indagine Istat «Reddito e condizioni di vita» (Eu-Silc), condotta nell'ultimo trimestre del 2012, evidenzia un grave peggioramento degli indicatori di deprivazione e disagio economico delle famiglie, dopo aver registrato, già nel 2011, un forte deterioramento in decisa discontinuità rispetto agli anni precedenti;
   il 2013 rappresenta un anno di profonda crisi economica che si rispecchia nella riduzione dei consumi del cittadino per quanto riguarda l'uso del proprio veicolo a favore del trasporto pubblico: cresce il bisogno di forme alternative e più economiche di trasporto per far fronte alle esigenze lavorative e di studio della maggior parte della popolazione italiana. L'offerta di servizi per i pendolari è basata essenzialmente sul trasporto pubblico regionale e interregionale (attraverso treni Intercity) su ferro. I treni rappresentano spesso l'unico mezzo di spostamento disponibile presso molti capoluoghi provinciali;
   a fronte di quanto detto sopra, relativamente alle esigenze della famiglia media italiana di ridurre le spese, non corrisponde una riduzione dei costi dei mezzi di trasporto ferroviario. Secondo i dati del rapporto «Pendolaria» di Legambiente 2012, il costo del biglietto ferroviario è aumentato in media del 10 per cento in tutte le regioni italiane. Sono circa 3 milioni i pendolari, clienti delle linee e servizi di Trenitalia, in forti difficoltà quotidiane perché impossibilitati a raggiungere puntualmente il luogo di lavoro a causa degli innumerevoli ritardi e delle continue interruzioni che subiscono i treni in servizio; la qualità del servizio offerto da Trenitalia risulta diminuita così come la tutela degli utenti, in assoluto contrasto sia con la legislazione nazionale che con il diritto comunitario. Il 2012 ha rappresentato l'apice del disastro del trasporto locale a causa dei ripetuti tagli ai servizi che già nel 2011 avevano riguardato tutte le regioni, ad esclusione di Lombardia e Calabria, a fronte di aumenti tariffari applicati in 19 regioni su 20 (Elaborazione Legambiente su dati di regione e Trenitalia). Per la precisione, nel Lazio, il taglio al servizio pubblico per i lavoratori pendolari è stato del 3,7 per cento nel 2011, mentre il costo dei biglietti è salito del 15 per cento;
   le spese per il trasporto pubblico locale sono prestazioni sociali essenziali. Quello della mobilità, infatti, è un settore che incide sulla vita quotidiana di milioni di italiani: lavoratori, studenti, anziani, cui dovrebbe essere garantito il diritto di circolare attraverso servizi pubblici adeguati e funzionali. La mobilità rappresenta un essenziale diritto di cittadinanza tutelato e promosso dai principi della Costituzione italiana; un sistema di mobilità pubblica moderna ed efficiente rappresenta un obiettivo strategico per la costruzione di politiche tese a promuovere lo sviluppo sostenibile, strategie di crescita economica e di progresso sociale, migliori condizioni di tutela della salute dei cittadini, nell'ottica e nel rispetto degli accordi del protocollo di Kyoto e del programma di riduzione dei gas dannosi previsto dall'Unione europea. Il trasporto su rotaia produce infatti il 92 per cento in meno di anidride carbonica rispetto al trasporto su ruota, e l'88 per cento in meno rispetto al trasporto aereo;
   sono evidenti le ragioni che inducono i pendolari a lamentarsi dei servizi: affollamento delle vetture, ritardi, parziale o nulla informazione circa le ragioni dei disagi. Eppure se si guarda ai valori di crescita della domanda pendolare su alcune linee, si evince che ci possano essere prospettive di guadagno per l'azienda, badando ad attente politiche di fidelizzazione, attraverso abbonamenti, fidelity card e scontistiche sui servizi: una eventuale rivisitazione della politica commerciale di Trenitalia, quanto mai opportuna, attesa e necessaria, se mossa in direzione dell'efficienza e dell'innalzamento della qualità del servizio, potrà orientarsi su esclusive logiche di mercato allorquando i servizi soppressi, in ragione delle perdite riportate, saranno sostituiti dalle regioni in cooperazione fra di loro;
   la disponibilità, nel breve periodo, di nuove infrastrutture dedicate esclusivamente all'alta velocità consentirà di liberare binari sui quali collocare servizi regionali ed interregionali, sostitutivi degli intercity che Trenitalia intende sopprimere. In assenza di tali servizi, stazioni come Arezzo, Chiusi, Siena, Grosseto, Livorno, Massa, Prato saranno fortemente penalizzate;
   secondo le notizie riportate a mezzo stampa e riferite dai comitati pendolari sarebbe in atto da parte di Trenitalia, la prossima cancellazione di ben 12 convogli che percorrono tratte di media/lunga percorrenza toccando i capoluoghi sopra citati; la soppressione di tali treni si ripercuoterebbe inevitabilmente sulla viabilità dell'intero Centro-Italia;
   molte tratte e stazioni interessate dai tagli rivestono, infatti, un ruolo decisivo nei collegamenti nei confronti di un ampio e diversificato bacino territoriale che interessa le regioni Umbria, Lazio, Toscana ed Emilia Romagna;
   bacini di utenza di notevole consistenza costituiti da pendolari, viaggiatori occasionali e turisti, verrebbero di fatto a trovarsi, a fronte dei sempre più lunghi tempi di percorrenza e sempre più disagevoli condizioni di viaggio dei treni regionali, completamente tagliati fuori dai collegamenti ferroviari nazionali;
   in questi ultimi anni si è assistito a un progressivo e inesorabile depauperamento del trasporto ferroviario sulla tratta Roma-Firenze;
   periodicamente, a scadenze regolari coincidenti con i mesi in cui avviene il passaggio dall'orario invernale a quello estivo e viceversa, i comitati pendolari sono costretti a mobilitarsi per difendere un servizio, un diritto sempre più esiguo attaccato di volta in volta ora da aumenti dei tempi di percorrenza, ora da soppressione temporanea dei convogli o ancora da soppressione delle linee;
   il contratto di servizio pubblico 2012-2014 – come si può leggere sul sito Trenitalia – è un atto stipulato tra l'autorità pubblica (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dell'economia e delle finanze) e Trenitalia allo scopo di garantire il diritto alla mobilità, tramite servizi di trasporto effettuati per soddisfare esigenze sociali. Nella misura in cui tali servizi siano in contrasto con l'interesse commerciale dell'impresa, l'autorità pubblica, a fronte dell'obbligo di produzione di detti servizi, è tenuta a corrispondere a Trenitalia un'adeguata compensazione economica; con il contratto di servizio pubblico l'azienda è impegnata a garantire:
    l'adozione di una politica di prezzi, legata al raggiungimento degli obiettivi fissati nel contratto;
    la manutenzione ordinaria e straordinaria del materiale rotabile, che deve rispondere a caratteristiche di sicurezza, pulizia ed efficienza;
   si segnala, inoltre, che Trenitalia monitora costantemente la performance erogata per questi servizi, comunicando trimestralmente all'autorità competente i risultati di questa analisi. Sono oggetto del contratto di servizio pubblico tutti i treni notte e la maggior parte dei treni intercity. Gli articoli 3 e 5 del contratto di servizio pubblico riguardano specificatamente l'oggetto del contratto e obblighi dei contraenti –:
   nel caso in cui il Governo confermasse la veridicità della soppressione dei 12 intercity, quali siano le iniziative urgenti che intende intraprendere per evitarla, garantendo altresì il diritto alla mobilità ai cittadini e a tutti i pendolari interessati in termini di impegno a lungo termine, senza cioè che periodicamente vengano ingenerate ulteriori incertezze e che si determini possibili discontinuità nel servizio.
(2-00318) «Terrosi, De Maria, Mazzoli, Dallai».

Interrogazioni a risposta immediata:


   DI GIOIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i lavori per il prolungamento della pista dell'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia, che, dopo tanti anni di attesa, finalmente stavano per iniziare, sono stati nuovamente bloccati;
   da notizie di stampa ciò sarebbe dovuto a problemi riguardanti l'interpretazione dei regolamenti comunitari in materia di libera concorrenza;
   stante questa situazione vi è il rischio concreto che vadano perduti i 14 milioni di euro degli ex fondi per le aree sottoutilizzate, previsti per tale opera;
   tutto ciò sembrerebbe essersi determinato in seguito ad un'informativa avviata da Bruxelles sui lavori previsti per i quattro aeroporti della Puglia;
   i risultati di questa informativa, però, sarebbero stati positivi per il nostro Paese già dall'estate del 2012, come ebbe modo di affermare la stessa delegazione permanente italiana presso il Parlamento europeo;
   qualora fosse vera questa ipotesi, tutto ciò sarebbe ancora più incomprensibile, visto che, almeno sino ad ora, non vi è stata apertura, da parte dell'Unione europea, di una qualsivoglia procedura d'infrazione nei confronti dello Stato italiano per gli interventi infrastrutturali negli aeroporti di Bari, Brindisi e Foggia ed avendo, la stessa Commissione europea, autorizzato, sin dal 2007, gli interventi in questione;
   l'attuale blocco dei lavori rischia di mandare in fumo un progetto fondamentale per il territorio interessato, che aspetta la realizzazione di tale opera sin da quando la Puglia ha ottenuto 80 milioni di euro, da Bruxelles, per riqualificare i suoi scali aeroportuali;
   in questo modo, per l'ennesima volta, si deluderebbero le speranze degli abitanti di un territorio che provano con tenacia, nonostante le ben note difficoltà economiche e strutturali, a emergere rilanciando il settore turistico e produttivo locale –:
   di quali informazioni disponga il Governo in merito a quanto sopra esposto, con particolare riguardo alla compatibilità del progetto con la normativa europea, e quali iniziative si intendano assumere, per quanto di competenza e in concorso con la regione Puglia, affinché Aeroporti di Puglia riapra, con la dovuta urgenza, il bando per l'espletamento della gara per il prolungamento della pista dell'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia e si concluda la realizzazione di un'opera infrastrutturale strategica per l'intero territorio. (3-00475)


   PIRAS, MIGLIORE, PIAZZONI, NARDI, ZAN, PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 18 novembre 2013 molti comuni della regione Sardegna sono stati colpiti da un violentissimo nubifragio, che ha causato la morte di 16 persone, un disperso e circa novecento sfollati. Territori devastati da frane, ponti crollati, quartieri sommersi, con voragini nelle strade e strade rurali spazzate via da torrenti in piena, nonché danni ingentissimi alle infrastrutture, alle abitazioni private, alle attività produttive e alle aziende agricole con centinaia di animali morti;
   a seguito dell'alluvione, il 19 novembre 2013 il Consiglio dei ministri ha, quindi, deliberato lo «stato di emergenza» per la regione Sardegna. E in queste ore sono state stanziate le prime risorse finanziarie a favore della regione, seppur va rilevata la loro complessiva esiguità e inadeguatezza, laddove da una prima stima, e per la sola Gallura, è plausibile parlare di 500 milioni di euro di danni;
   ancora una volta si è di fronte all'ennesima «tragedia annunciata». L'ennesimo evento meteorologico che costringe, purtroppo, a contare i morti e gli ingentissimi danni alle infrastrutture e alle popolazioni colpite. Nel nostro Paese sono più di 5 milioni i cittadini italiani che ogni giorno vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio idrogeologico e oltre 6.600 i comuni che hanno all'interno del territorio aree ad elevato rischio di frana o alluvione;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sulla base dei dati dell'Ispra, ha valutato che il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi ed alluvionali, dal 1951 al 2009, risulta di oltre 52 miliardi di euro, ossia circa 1 miliardo di euro all'anno. Più di quanto servirebbe per realizzare l'insieme delle opere di messa in sicurezza del rischio idrogeologico sull'intero territorio nazionale, individuate nei piani stralcio per l'assetto idrogeologico e quantificate in 40 miliardi di euro;
   i sempre più frequenti e intensi fenomeni alluvionali e calamitosi, che colpiscono il nostro Paese, mettono in luce drammaticamente, e ancora una volta, l'estrema fragilità del territorio italiano;
   una fragilità del territorio che viene acuita da politiche urbanistiche scellerate. Si ricordi che uno dei comuni più colpiti dal nubifragio in Sardegna è quello di Olbia, con buona parte della città completamente sommersa dall'acqua. Ma Olbia è anche la città che, in meno di 40 anni, ha visto susseguirsi 21 «piani di risanamento», che tradotto vuol dire condoni edilizi;
   i passati condoni edilizi, sotto questo aspetto, hanno contribuito fortemente ad alimentare la convinzione diffusa che sul territorio si possa compiere qualsiasi azione, anche senza avere l'autorizzazione di legge;
   in Sardegna ci si trova di fronte a una molteplicità di problemi del territorio, incancreniti ed irrisolti, che, oltre a mettere in luce l'incapacità dell'uomo di concepire un rapporto armonico con i fattori naturali, indicano un'idea di un'economia di «rapina», fondata su un profitto senza coscienza che ha urbanizzato ovunque, senza in alcun modo tenere in considerazione i rischi idrogeologici e la struttura del territorio;
   interi quartieri realizzati sul letto di fiumi, corsi d'acqua deviati in ossequio a esigenze urbanistiche, opere di manutenzione e minimizzazione del rischio mai realizzate, dighe mai completate a causa di infiniti contenziosi e procedure burocratiche inconciliabili con alcun elemento minimo di ragionevolezza e tutela della sicurezza;
   Onanì è un paese di 400 anime tuttora isolato da una settimana a questa parte; Torpè vive con l'incubo di una diga mai terminata, e che il 18 novembre 2013 ha subito seri danni strutturali; Bitti è un paese dove le infrastrutture sono letteralmente collassate; Uras convive con due corsi d'acqua che segnano il perimetro del paese e che hanno prodotto l'onda di piena che ha travolto cose e persone;
   le economie locali, in una regione già sconquassata dalla crisi economica e da tassi di disoccupazione tra i più alti del Paese, sono letteralmente scomparse: intere aziende agricole hanno perso l'intero raccolto di un anno, gli allevamenti ovini cancellati, le vigne di pregio rase al suolo, centinaia di persone senza più un elettrodomestico, né un bene che non sia una casa ancora da verificare nella sua tenuta strutturale;
   in Sardegna si registra un vero e proprio bollettino di guerra, che non può cadere sotto silenzio nel momento in cui, da qui a breve, si spegneranno i riflettori;
   i vincoli del patto di stabilità impediscono nei fatti ai comuni di adempiere alle funzioni di prevenzione e manutenzione del territorio loro consegnate dalle norme vigenti ed insistono persino sulle risorse ferme nelle casse comunali, risorse che spesso, se sbloccate, consentirebbero agli enti locali di mettere in campo una serie di azioni che potrebbero anche rivelarsi decisive nel limitare i danni alle cose ed alle persone;
   è ormai improcrastinabile un adeguato impegno del Governo al fine di poter finalmente finanziare con adeguate risorse finanziarie non solamente la ricostruzione dei territori sardi colpiti dall'alluvione, ma un piano pluriennale di interventi per il contrasto al dissesto idrogeologico nel nostro Paese, consentendo contestualmente la loro effettiva spendibilità, troppo spesso impedita a causa dell'obbligo del rispetto del patto di stabilità interno da parte delle regioni e degli enti locali. Peraltro, laddove si concede un allentamento dal patto di stabilità, questo avviene solamente per gli interventi di riparazione e non per le indispensabili opere di prevenzione per la messa in sicurezza del territorio e delle infrastrutture –:
   quali iniziative immediate si intendano avviare per aumentare le risorse finanziarie a favore delle popolazioni e dei territori colpiti, al fine di ripristinare rapidamente le infrastrutture andate distrutte e avviare una seria politica di prevenzione attraverso la messa in sicurezza delle infrastrutture esistenti, nonché per favorire la delocalizzazione degli insediamenti ubicati nelle aree a maggior rischio idrogeologico. (3-00476)


   CAUSIN, ZANETTI e CAPUA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo «stop» del Governo alle grandi navi nel porto di Venezia rischia di avere pesanti ripercussioni non solo sull'economia lagunare, ma anche sugli altri scali adriatici e italiani;
   la decisione presa dal Governo di far passare le navi attraverso il Canale Contorta – S.Angelo, previo dragaggio del fondale, oltre al divieto del passaggio dei traghetti da gennaio 2014, che già ridurrà i transiti nel Bacino di San Marco e nel Canale della Giudecca, prevede la riduzione fino al 20 per cento, rispetto al 2012, del numero di navi di oltre 40 mila tonnellate di stazza e da novembre 2014 il totale divieto alle navi superiori a 96 mila tonnellate;
   ciò potrebbe comportare per il 2014 una perdita di 48 approdi, corrispondenti a 323.107 passeggeri (quindi –19 per cento rispetto alle previsioni di traffico del 2014), e dal 2015 una perdita di 174 approdi corrispondenti a 1.037.397 passeggeri (quindi –60 per cento rispetto alle previsioni per il 2014);
   il capoluogo veneto è il principale porto crociere dell'Adriatico, con oltre il 35 per cento dei passeggeri, e il 91,3 per cento del mercato della regione Veneto è costituito da navi sopra le 40 mila tonnellate;
   in conseguenza della decisione del Governo, Venezia perderà la leadership nel Mediterraneo, con un impatto economico e occupazionale molto forte;
   occorre sottolineare che a rimetterci sarà tutta l'industria crocieristica nazionale; infatti, i passeggeri potranno calare in Italia del 18-20 per cento, perdendo circa 2 milioni di crocieristi, e le compagnie americane, ad esempio, non potendo fare scalo a Venezia, si rivolgeranno a Paesi come la Spagna (Barcellona) o la Grecia –:
   se non ritenga opportuno la convocazione di un tavolo tecnico con i rappresentati delle categorie interessate, al fine di un confronto approfondito sulle decisioni prese durante la riunione del 5 novembre 2013 e in vista dell'ordinanza che la capitaneria di porto dovrà presentare per la messa in opera di quanto stabilito dal Governo. (3-00477)


   GRIMOLDI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 ottobre 2008 ha definito le opere connesse all'evento della manifestazione universale di Expo 2015, includendo tra le opere da finanziare il prolungamento delle linee metropolitane M2 e M3 di Milano e, in particolare, il prolungamento della M2 Cologno Nord-Vimercate per 9,75 chilometri e il prolungamento della M3 San Donato-Paullo est per 14,86 chilometri;
   il progetto definitivo risulta in fase di completamento già dall'ottobre 2008 e l'avvio dei lavori è previsto per il 2015;
   nell'ambito della risposta all'interrogazione 5-00337 in Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici, il Governo ha riferito che, a seguito della ricusazione del visto della delibera Cipe di approvazione del progetto preliminare del prolungamento delle linee M2 e M3, da parte della sezione centrale della Corte dei conti nell'adunanza del 24 luglio 2008 – delibera n. 9/2008/P, sono stati presentati nuovi progetti da parte del comune di Milano. Successivamente, l'articolazione dei finanziamenti è stata ulteriormente rimodulata al tavolo istituzionale per il governo complessivo degli interventi regionali e sovraregionali (cosiddetto tavolo Lombardia – Expo 2015) del 25 maggio 2009;
   da quanto previsto nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o marzo 2010 il finanziamento per le due opere risulta pari a 316,20 milioni di euro a carico degli enti locali e a 210,80 milioni di euro a carico dello Stato, per il prolungamento della M2, e a 473,54 milioni di euro a carico degli enti locali e 315,76 milioni di euro a carico dello Stato, per il prolungamento della M3;
   nella seduta del 13 maggio 2010 il Cipe ha approvato i nuovi progetti preliminari di entrambe le opere, ma la sezione centrale della Corte dei conti, nell'adunanza del 9 dicembre 2010, con delibere del 29 dicembre 2010, ha ricusato nuovamente il visto alle delibere Cipe, per la mancanza della copertura finanziaria dell'intera realizzazione delle opere;
   le due opere sono importantissime per il trasporto collettivo della Lombardia e, in particolare, per il collegamento della Fiera, anche dopo l'evento dell'Expo 2015;
   infatti, l'area metropolitana milanese e la provincia di Monza e Brianza sono tra le aree più popolate ed urbanizzate d'Europa e soffrono di gravissimi problemi di inquinamento dovuti all'eccessivo utilizzo di autovetture ed alla mancanza cronica di mezzi di spostamento alternativi;
   la zona è fortemente industrializzata ed è sede di numerose multinazionali;
   proprio per l'importanza che rivestono le due opere per l'area milanese, l’«Accordo di programma per le realizzazione della tangenziale est esterna di Milano e il potenziamento del sistema della mobilità dell'est milanese e del nord lodigiano», sottoscritto in data 5 novembre 2007, prevede anche il prolungamento delle linee metropolitane M2 e M3, nell'ambito del potenziamento del trasporto pubblico collettivo;
   il progetto definitivo della tangenziale est esterna di Milano è stato approvato dal Cipe, con delibera n. 51 del 2011, e, da quanto riportato dal Governo nella sopra citata risposta all'interrogazione 5-00337, la società Concessioni autostradali lombarde ha provveduto, come previsto dall'articolo 25 dell'accordo di programma, a inserire nel piano economico finanziario della convenzione unica di concessione un accantonamento annuo di 2.000.000 di euro da parte del futuro concessionario della tangenziale est esterna di Milano, da utilizzarsi per gli interventi (tipologia C) di cui agli articoli 7 e 8, nonché come contributo per la realizzazione delle linee metropolitane di cui all'articolo 9 dell'accordo medesimo;
   il Governo ha assicurato di voler seguire con la massima attenzione l’iter procedurale di tali opere, considerandole infrastrutture fondamentali per il territorio lombardo, oltre che volano di sviluppo economico –:
   quale sia lo stato di avanzamento della progettazione e dell'approvazione da parte delle autorità competenti delle due opere di prolungamento delle metropolitane milanesi, M2 Cologno Nord-Vimercate e M3 San Donato-Paullo est, e quale sia la quota di risorse già finanziata o in via di finanziamento da parte dello Stato.
(3-00478)


   DELL'ORCO, CATALANO, NICOLA BIANCHI, LIUZZI, DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10 della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri», sancisce che i Sottosegretari di Stato sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro che il Sottosegretario è chiamato a coadiuvare, sentito il Consiglio dei ministri;
   il dottor Vincenzo De Luca ricopre la carica di sindaco di Salerno dal 20 maggio 2011. Con decreto del Presidente della Repubblica del 3 maggio 2013, è stato nominato Sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti. Nel comunicato stampa del Consiglio dei ministri n. 2 del 2 maggio 2013 risulta, altresì, essere stato avviato il procedimento di nomina del Sottosegretario di Stato De Luca a Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti, ai sensi dell'articolo 10, comma 3, della legge n. 400 del 1988;
   ai sensi dell'articolo 13, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, le cariche di Governo di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 20 luglio 2004, n. 215 (Presidente del Consiglio dei ministri, Ministri, Viceministri, Sottosegretari di Stato e commissari straordinari del Governo), sono incompatibili con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali, aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti;
   l'articolo 68 del testo unico degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, stabilisce che le cause di incompatibilità, sia che esistano al momento della elezione sia che sopravvengano ad essa, comportano la decadenza dalle predette cariche. Al comma 4, viene fissato il breve termine di 10 giorni tra il momento in cui si concretizza la causa di incompatibilità e la cessazione dalle funzioni dell'amministratore che in tale condizione si sia venuto a trovare, quale strumento atto a rimuovere le cause di ineleggibilità sopravvenute alle elezioni ovvero le cause di incompatibilità;
   diversamente da quanto è stato già fatto dagli attuali Ministri dello sviluppo economico e per gli affari regionali e le autonomie locali, il Sottosegretario De Luca non ha finora inteso dimettersi dalla carica di sindaco, lamentando persino di non aver ancora ricevuto le deleghe operative dal Ministro;
   in data 20 novembre 2013, i carabinieri del comando provinciale di Salerno hanno notificato una trentina di avvisi di garanzia e sequestrato l'intero cantiere edile che si affaccia sul lungomare del capoluogo per la realizzazione del complesso Crescent, un'enorme struttura privata progettata dall'architetto Ricardo Bofil, alta 28 metri e lunga quasi 300, che abbraccia, a mezzaluna, Piazza della Libertà, a pochi passi dalla spiaggia di Santa Teresa. L'opera, del valore di 100 milioni di euro, dovrebbe ospitare negozi, parcheggi e appartamenti;
   tra gli indagati per reati di abuso d'ufficio, falso in atto pubblico e lottizzazione abusiva ci sarebbe anche il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Vincenzo De Luca, che, in veste di sindaco di Salerno, avrebbe portato avanti l'approvazione della delibera del piano urbanistico attuativo, che portò all'acquisizione dell'area demaniale e, secondo la procura, a delle procedure amministrative viziate da varie irregolarità;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha, tra le altre competenze, anche quella sul demanio marittimo. Alla luce di ciò, suddetta procedura di sdemanializzazione relativa ad aree della spiaggia di Santa Teresa di Salerno, che risulta essere ancora non completata, pone ulteriormente il Viceministro De Luca in chiaro conflitto di interessi;
   in data 13 agosto 2013, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha invitato il dottor De Luca a risolvere, nel termine di 30 giorni, la situazione di incompatibilità pendente connessa alla coesistenza delle cariche di sindaco di Salerno e di Sottosegretario di Stato, termine inutilmente decorso in quanto il Sottosegretario non ha provveduto a risolvere l'incompatibilità. L'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha, pertanto, deliberato, nell'adunanza del 18 settembre 2013, l'avvio del procedimento, ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 215 del 2004 e dell'articolo 8 del regolamento concernente «Criteri di accertamento e procedure istruttorie relativi all'applicazione della legge 20 luglio 2004, n. 215, recante norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi», nei confronti del dottor Vincenzo De Luca, per violazione dell'articolo 2, comma 1, lettera a), della legge n. 215 del 2004 e dell'articolo 13, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, con riferimento alla carica di sindaco di Salerno;
   alla luce di quanto esposto, il comportamento assunto dal Sottosegretario De Luca non appare, a giudizio degli interroganti, consono al sereno e corretto esercizio di tale funzione, anche per il solo fatto di aver incautamente esposto se stesso, la sua carica ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al rischio di inopportune e censurabili iniziative di aggiramento di una normativa chiara ed inequivocabile in materia di incompatibilità; sono, pertanto, venute meno le condizioni per la permanenza serena del dottor De Luca alla carica e alle funzioni di Sottosegretario di Stato, o per il conferimento allo stesso della carica di Viceministro, con conseguente attribuzione di deleghe –:
   se il Ministro interrogato, stante quanto in premessa, non ravvisi conflitto di interessi e incompatibilità nella posizione del Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti De Luca, nonché nocumento all'attività specifica che il medesimo è chiamato a svolgere, e dunque se non ritenga urgente agire presso le sedi opportune per tutelare l'attività del dicastero presieduto, in considerazione dell'importante ruolo di indirizzo, di supporto e di supplenza dell'attività di Governo cui dovrebbe adempiere un Viceministro.
(3-00479)


   TULLO, MOGNATO, MAURI, VELO, BONACCORSI, BRANDOLIN, BRUNO BOSSIO, CARDINALE, CARELLA, CASTRICONE, COPPOLA, CRIVELLARI, CULOTTA, FERRO, GANDOLFI, PIERDOMENICO MARTINO, META, MURA, PAGANI, PAOLUCCI, ROTTA, BASSO, CAROCCI, PASTORINO, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dopo i disagi e la tensione per lo sciopero di quattro giorni dei lavoratori dell'Amt di Genova contro l'ipotesi di privatizzazione dell'azienda di trasporto pubblico locale in crisi, concluso con un positivo accordo che prevede la costituzione di un'unica azienda di trasporto pubblico a livello regionale e nuovi apporti di capitale per investimenti, si ripropone l'urgenza di garantire congrue risorse al trasporto pubblico locale e la priorità di rafforzare le aziende di trasporto mediante processi di concentrazione – che portino all'aumento dimensionale – e ad accrescerne l'efficienza e la competitività in un quadro di liberalizzazione del mercato;
   negli ultimi anni le risorse per il trasporto pubblico locale si sono drasticamente ridimensionate: nel 2010 il settore poteva contare su un apporto – dal bilancio dello Stato – di 6,4 miliardi di euro; nel 2013 – nonostante i 500 milioni di euro previsti dalla legge di stabilità per il rinnovo parco mezzi – gli stanziamenti non vanno oltre i 4,92 milioni di euro, con una riduzione di risorse superiore al 23 per cento in meno di tre anni;
   né le regioni – in difficoltà per le pressanti esigenze della sanità, a fronte di sempre più elevati tagli di bilancio – né i comuni – con poche risorse, bloccate dai forti vincoli del patto di stabilità – possono compensare i tagli dei contributi statali;
   molte società di trasporto sono in gravi difficoltà finanziarie e, secondo dati Asstra, in due anni sono aumentate del 28 per cento le aziende con i consuntivi chiusi in perdita; a Roma, l'Atac ha perso oltre 700 milioni di euro in tre anni;
   i tagli alle risorse per il trasporto pubblico hanno reso necessari anche forti incrementi delle tariffe di trasporto, che negli ultimi dodici anni sono aumentate, in media, del 64 per cento (2,5 volte l'inflazione del periodo);
   in Italia il settore del trasporto pubblico locale è molto frammentato: la quota di mercato delle prime tre aziende è pari al 26 per cento; nel Regno Unito è il 56 per cento, il 77 per cento in Francia e il 40 per cento in Svezia; l'88 per cento delle aziende, in particolare private, ha un numero di addetti inferiore alle 100 unità;
   le prime 9 società italiane di trasporto pubblico locale non raggiungono un quinto del fatturato della prima società francese del comparto (pur avendo i 4/5 dei dipendenti della medesima società); appare, pertanto, non più rinviabile un serio riassetto del settore, anche mediante incentivi alle fusioni societarie;
   il consolidamento delle aziende e il finanziamento del servizio di trasporto pubblico locale appare come un'assoluta priorità, in una fase – come quella attuale – in cui, nonostante la riduzione del servizio, si registra un costante incremento del ricorso ad autobus e metropolitane, anche per il netto rincaro dei carburanti per autotrazione;
   l'esigenza di potenziare il trasporto pubblico si impone anche per la necessità di contenere l'inquinamento e le emissioni, che alterano l'equilibrio climatico, e per i benefici che porterebbe a comparti strategici dell'industria nazionale;
   si prospetta – per l'insieme di questi fattori – un'occasione storica per modificare – con adeguate politiche e congrue risorse – le abitudini di mobilità della popolazione, anche mediante integrazione modale tra trasporto pubblico locale su ferro e su gomma –:
   quali risorse per le politiche di trasporto pubblico locale siano disponibili nel prossimo triennio, per migliorare l'efficienza e la qualità del servizio, anche mediante processi di concentrazione e fusioni societarie finalizzate a definire un nuovo assetto, moderno e sostenibile, del trasporto pubblico locale. (3-00480)


   COSTA, PISO, GAROFALO, DORINA BIANCHI e BOSCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 e 16 novembre 2013, la regione Sardegna è stata colpita da un evento alluvionale di portata eccezionale, coinvolgendo soprattutto le zone della Gallura, del Medio Campidano e della provincia di Olbia-Tempio, che ha causato la morte di ben 16 persone, migliaia di evacuazioni e danni incalcolabili ad abitazioni, coltivazioni e reti di comunicazione –:
   quali azioni il Governo intenda adottare nell'immediato e nel medio periodo per superare le criticità della regione Sardegna ampiamente devastata dai recenti eventi alluvionali, con particolare riferimento alla riprogrammazione degli interventi già previsti nel territorio e destinati ad una migliore e più efficace azione di intervento e di assetto di tutte le infrastrutture, sia idriche che territoriali, destinate alla salvaguardia delle condizioni idrogeologiche. (3-00481)


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'eccezionale ondata di maltempo che ha colpito il nostro Paese la scorsa settimana ha interessato con particolare violenza alcune zone della Sardegna, che sono state completamente allagate;
   i comuni interessati dal disastro sono sessanta e si sta attendendo una stima precisa dei danni riscontrati, a seguito della quale dovranno essere integrati i fondi già stanziati per la prima emergenza;
   con l'alluvione sono state seriamente danneggiate, quando non completamente distrutte, anche le infrastrutture presenti sul territorio, quali principalmente strade, ponti e tratte ferroviarie, e questo proprio in una regione nella quale, a causa della carenza infrastrutturale, si registravano già notevoli difficoltà;
   una buona dotazione infrastrutturale riveste un ruolo strategicamente basilare per lo sviluppo dell'economia locale, imperniata sul binomio infrastrutture/competitività –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere nella gestione della fase emergenziale, e nella fase successiva ad essa, in particolare per garantire alla Sardegna un'adeguata dotazione infrastrutturale, anche al fine del rilancio dell'economia dei suoi territori. (3-00482)

INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO e PILOZZI. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   quattro ragazzi di origine straniera, ma cresciuti in Italia, hanno presentato ricorso contro il bando di concorso del servizio civile 2013, a cui non potevano partecipare perché non cittadini italiani;
   l'ordinanza della sezione lavoro del tribunale ordinario di Milano n. 14219/2013 ha affermato che il termine «cittadino» va costituzionalmente interpretato e si riferisce a colui che fa stabilmente parte della comunità italiana, e che il servizio civile è un'attività finalizzata a scopi ulteriori rispetto alla difesa della Patria, venuti meno i presupposti della sua equiparazione come prestazione sostitutiva svolta dagli obiettori di coscienza da quando non risulta più obbligatorio il servizio militare;
   per questi motivi le persone che possono partecipare al bando perseguendo principi di solidarietà e cooperazione a livello nazionale ed internazionale non possono essere i soli cittadini italiani, e di conseguenza il tribunale di Milano ha dato ragione ai ricorrenti;
   il giudice ha ordinato all'ufficio nazionale per il servizio civile presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di riaprire per ulteriori dieci giorni il termine per l'accesso al bando, a partire dalla data di comunicazione dell'ordinanza, ovvero il 19 novembre 2013;
   già nell'edizione 2012 un tribunale milanese aveva bocciato il requisito della cittadinanza, ma allora la decisione del giudice era arrivata a gennaio, quando le selezioni erano già state ultimate;
   in tale occasione l'unico effetto prodotto dalla decisione del giudice era stato quello di bloccare tutti i progetti, e per farli ripartire il ricorrente (un giovane ragazzo pachistano) aveva accettato la sospensione dell'esecutività della sentenza;
   nonostante le promesse di politici ed istituzioni il bando 2013, uscito il 4 ottobre, aveva ribadito l'illegittimo sbarramento;
   i fatti narrati sono riportati, tra gli altri, dall'articolo pubblicato dall'edizione on line milanese de Il Corriere della Sera il 20 novembre 2013 ed intitolato «La battaglia (vinta) di Naoual e Maryana per il servizio civile» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali misure siano già state prese in merito;
   quali iniziative si intendano intraprendere per garantire che nelle prossime edizioni del bando di concorso per il servizio civile non venga riproposto l'illegittimo requisito della cittadinanza italiana. (4-02680)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI e VACCA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'8 dicembre del 2011 la polizia municipale di Pescara elevava un verbale di contravvenzione a carico del questore Paolo Passamonti la cui autovettura era posteggiata nello spazio riservato alla fermata dell'autobus in una via del centro della città; la vettura di proprietà del questore veniva rimossa assieme ad altre tre parcheggiate in divieto nella stessa via e veniva trasportata presso il deposito della polizia municipale pescarese;
   successivamente, però, lo stesso questore veniva autorizzato a riprendere possesso della propria vettura senza corrispondere alcun importo né a titolo di sanzione amministrativa né per le spese di rimozione e custodia/deposito del mezzo. La contravvenzione a suo carico, peraltro, non risulterebbe ad oggi essere mai stata riportata nel libro mastro dei verbali dei vigili urbani di Pescara;
   anche ponendo il caso che la violazione del codice della strada fosse avvenuta per ragioni di servizio, ben avrebbe potuto il questore presentare ricorso al prefetto contro il verbale di accertamento – così come è nella facoltà di tutti i cittadini – e vederselo accogliere con ogni probabilità;
   vi è il grave sospetto che al questore Passamonti sia stato invece riservato un trattamento di ingiustificato privilegio (i proprietari delle altre tre vetture in contravvenzione hanno pagato tutti la multa e le spese accessorie, come da verbale) che ha suscitato l'indignazione dei cittadini pescaresi i quali hanno presentato nel marzo del 2013 un esposto-denuncia ai carabinieri censurando l'operato della polizia municipale e del questore; la presentazione dell'esposto ha indotto il sindaco di Pescara Luigi Albore Mascia e l'assessore con delega alla polizia municipale Giovanni Santilli a richiedere un chiarimento ufficiale al comandante dei vigili urbani, colonnello Carlo Maggitti;
   detto chiarimento, ad oggi, non è stato ancora formalizzato e, mentre il questore Passamonti tace, le istituzioni (tanto la polizia municipale quanto il comune di Pescara) sembrano essere inerti a dispetto dei diritti dei cittadini e del principio di uguaglianza costituzionalmente garantito;
   per di più — e qui si arriva all'epilogo più assurdo della vicenda – in data 4 aprile 2013 la procura della Repubblica di Pescara ha disposto la perquisizione dell'abitazione e dell'ufficio di Marco Patricelli, giornalista del quotidiano Il Tempo ed autore dell'inchiesta sulla «multa fantasma» di cui sopra. A suo carico la procura ha ipotizzato il reato di violazione del segreto investigativo (articoli 114 e 329 del codice di procedura penale); agli interroganti tale iniziativa appare assolutamente impropria considerata la necessità ai garantire adeguatamente la piena manifestazione della libertà di stampa, della libertà di espressione e del diritto di cronaca;
   sulla vicenda erano già stati pubblicati articoli di stampa e non è escluso che la documentazione acquisita nella perquisizione fosse la stessa di cui la procura era già in possesso in quanto oggetto di esposto-denuncia;
   il giornalista di fronte agli ufficiali di polizia giudiziaria si è avvalso del segreto professionale a tutela della fonte;
   le istituzioni, che appaiono poco operative quando si tratta di tutelare i diritti dei cittadini tutti uguali di fronte alla legge, ad avviso degli interroganti hanno di fatto finito per limitare la libertà di stampa e la ricerca della verità, imprescindibili baluardi della democrazia;
   in data 6 maggio 2013 è già stata depositata una interrogazione in materia a cui, dopo 7 mesi, non è stata ancora data risposta;
   in data 31 ottobre 2013 l'autore degli articoli Marco Patricelli è stato identificato dalla Digos di Pescara su mandato della procura di Roma dove pende una querela per diffamazione a mezzo stampa inoltrata dal questore Paolo Passamonti per gli articoli pubblicati su il Tempo il 31 marzo, il 2, il 3 e il 4 aprile, e specificamente solo quelli a firma del giornalista e non gli altri successivamente pubblicati sulla vicenda (5, 6, 7, 8, 12 e 13 aprile);
   all'interrogante sembra che siano stati travalicati i limiti dell'obbligatorietà dell'azione penale, disponendo un decreto di perquisizione e sequestro nella redazione del Tempo e domiciliare nei confronti del caposervizio dottor Marco Patricelli di documenti pubblicati e già in possesso dei magistrati in quanto oggetto di un esposto-denuncia, e in quanto riferiti al questore e al comandante della municipale, perquisizione e sequestro che risultano vietati dalla Corte di Strasburgo con numerose e reiterate pronunce in tal senso, poiché configurabili, a giudizio dell'interrogante, come limitazione del diritto di cronaca e come tali già considerati nel caso specifico dall'Ordine nazionale dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) –:
   se il Ministro dell'interno intenda convocare il questore di Pescara Paolo Passamonti per ottenere un formale e definitivo chiarimento dei fatti sopra esposti;
   se il Ministro della giustizia ritenga di promuovere iniziative ispettive presso la procura di Pescara ai fini dell'esercizio di tutti i poteri di propria competenza.
(5-01567)

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   non passa giorno senza che dal territorio comasco giungano notizie, puntualmente raccolte e pubblicate dalla stampa locale, che attestano il degrado della sicurezza ed il moltiplicarsi dei reati contro la proprietà ed il patrimonio;
   ultime località, in ordine di tempo, ad essere investite dall'ondata criminale sono i comuni di Albavilla, Albese con Cassano, Lurago Marinone, Montorfano, Tavernerio e Veniamo;
   furti sono stati recentemente segnalati anche a Bregnano e Rovellasca, nella Bassa Comasca;
   l'emergenza è tale che a Tavernerio lo stesso sindaco ha ritenuto di dover raccomandare alla cittadinanza, ricorrendo ad un popolare social media, di chiudere porte e finestre ed attivare gli allarmi disponibili, dopo aver dato notizia della presenza di alcune effrazioni compiute da quattro malviventi armati di coltello, non identificati ma segnalati alle forze di polizia;
   il sindaco di Tavernerio ha altresì dichiarato alla stampa di essere sul punto di promuovere l'attivazione di un servizio di vigilanza volontaria del territorio, secondo le previsioni delle leggi vigenti;
   anche a Lugano Marinone e Veniamo, stante l'insufficienza dei presidi delle forze dell'ordine, i sindaci stanno provvedendo ad organizzare in proprio servizi di vigilanza del territorio, per tutelare abitazioni private e siti produttivi colpiti sempre più frequentemente dai ladri;
   tali iniziative attestano lo stato di elevato allarme sociale e di emergenza in cui versano i territori della provincia comasca –:
   quali misure il Governo intenda assumere per proteggere e rassicurare cittadini ed imprenditori residenti nella provincia comasca, in particolare fornendo ai sindaci dell'area le risorse, i mezzi e gli strumenti di cui necessitano per assicurare la legalità e la sicurezza compromessa dall'accrescersi della pressione criminale. (4-02676)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BELLANOVA e CAPONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il contenuto del decreto ministeriale «Decreto criteri e contingenze assunzionale delle Università statali per l'anno 2013» approvato il 12 settembre 2013 e pubblicato il 17 ottobre con allegata tabella di distribuzione dei punti organico 2013, ha determinato notevole allarme e un profondo senso di sgomento, disorientamento e protesta nelle università meridionali, in particolare pugliesi e lucane;
   i rettori delle università meridionali a seguito di quanto riportato dal decreto ministeriale hanno contestato pubblicamente e fortemente, nel corso di conferenze stampa congiunte, in successivi momenti pubblici, e in un documento unitario, i criteri di distribuzione dei punti-organico, sottolineando una evidente disparità di trattamento fra gli atenei italiani, ed evidenziando il rischio di una «chiusura» degli atenei da loro guidati. Dalle tabelle in allegato al decreto, infatti, emergerebbe una grande sperequazione nella distribuzione dei punti organico, e dunque delle possibilità concrete di assunzioni consentite, che oscilla dal 6,84 per cento dell'ateneo barese al 213 per cento della scuola superiore pisana;
   il decreto sopra citato secondo i rettori darebbe luogo ad una violazione dei principi costituzionali di eguaglianza, autonomia universitaria e sussidiarietà, poiché gli indicatori utilizzati per il computo dei punti organico – ottenuti dal rapporto tra le entrate complessive delle università e i costi fissi – sono fortemente condizionati dal contesto socio-economico di ubicazione degli atenei;
   la ripartizione dei punti organico 2013 a giudizio dei rappresentanti delle università meridionali favorirebbe in modo considerevole gli atenei che godono già di una situazione economica e finanziaria solida e penalizzerebbe fortemente altri atenei che si trovano in aree del Paese più difficili, vale a dire laddove vi sono anche un elevato numero di studenti in condizioni di disagio e che usufruiscono di esenzioni o riduzioni di tassazione, un parametro questo che non viene assolutamente preso in considerazione;
   la drastica riduzione dei punti organico darebbe luogo ad un effetto domino teso ad indebolire gli atenei, poiché ciò concretamente vorrebbe dire non poter effettuare assunzioni, di conseguenza non poter garantire la didattica e l'offerta formativa con il rischio di perdere iscrizioni e di determinare un collasso dell'università pubblica;
   gli stessi rettori sottolineano le ricadute che il decreto avrà, se non opportunamente modificato da adeguati correttivi, sugli studenti e le loro famiglie, alle quali le università pur di sopravvivere potrebbero richiedere un incremento delle tasse, nonostante l'effettivo taglio dei servizi ascrivibile al mancato turn over del personale;
   è evidente il rischio della penalizzazione in vastissime aree del Meridione della formazione superiore, elemento viceversa strategico e indiscusso volano per la ripresa economica ed occupazionale dell'intero Mezzogiorno, tenuto conto degli enormi sacrifici compiuti in questi anni, nei quali si è dato avvio a cospicui tagli al fondo per il finanziamento ordinario, e della indiscussa eccellenza di quegli stessi poli universitari fortemente penalizzati dal decreto;
   una penalizzazione che peraltro si ripercuoterebbe inevitabilmente sulle fasce più giovani della popolazione, «costrette» a scegliere di formarsi altrove, oppure a dover rinunciare alla formazione universitaria;
   nel frattempo lo stesso Ministro interrogato ha riconosciuto l'esigenza di apportare correttivi al decreto, e annunciato per il 28 novembre 2013, a Napoli, un incontro con i rettori delle università meridionali per giungere ad una soluzione condivisa;
   nel documento elaborato dai rettori si chiede, tra l'altro, l'immediato ripristino, della cosiddetta clausola di salvaguardia, presente nel Decreto sui punti organico dello scorso anno, ma completamente svanita in quello di quest'anno e che fissa il limite nella percentuale di punti organico che, a livello nazionale, non può superare il 50 per cento. Non superando un certo limite si garantisce automaticamente maggiore equità tra gli atenei, senza che ci siano università con punti organico superiori ai pensionamenti ed altre, invece, con una possibilità di assunzione pari quasi allo zero. E ancora si chiede di inserire nel calcolo dei punti organico anche il parametro legato agli studenti esonerati, e l'immediata emanazione del Decreto ministeriale per fissare il costo standard unitario di formazione per studente, da determinarsi anche in riferimento ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera ogni singolo ateneo. Tale da assicurare l'effettiva fruizione del diritto allo studio costituzionalmente sancito;
   non sfugge il rischio che, attraverso l'attuazione sic et simpliciter del decreto, si possa determinare una fase di preagonia dei poli universitari meridionali, con un forte accentramento delle risorse verso le università settentrionali grazie a parametri, capacità di attrazione delle risorse esterne e media delle tasse universitarie, non strettamente rapportabili alla qualità e all'eccellenza dei poli formativi, bensì alla ricchezza del territorio di riferimento –:
   quali correttivi il Ministro intenda apportare al decreto per evitare che le disparità denunciate dai rettori si traducano in una formazione universitaria di serie a e in una di serie b residuale e minore, o in una morte certa degli atenei del Sud e se non si ritenga viceversa di dover sostenere convintamente le eccellenze della formazione e della ricerca soprattutto se ubicate in aree socio-economiche deboli, poiché snodi strategici della qualità e dello sviluppo territoriali. (5-01562)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Inps non versa parte del salario dei contratti di solidarietà ai lavoratori della Marsica Innovation&Technology di Avezzano (AQ);
   in base a quanto previsto dall'accordo sindacale siglato ad agosto scorso l'azienda si era impegnata ad anticipare i soldi dovuti dall'Inps per pagare gli stipendi fino a quando il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non avesse dato il via libera;
   secondo quanto previsto dai contratti di solidarietà una parte del compenso viene pagata ai lavoratori dall'azienda e una parte dall'Inps. L'accordo siglato dall'azienda e dalle parti sociali, sottoposto poi al vaglio del Mistero del lavoro e delle politiche sociali, aveva rassicurato i lavoratori;
   in realtà, però, le cose poi sono andate diversamente: durante un incontro avvenuto alcuni giorni fa l'azienda ha ribadito ai rappresentanti sindacali di stabilimento che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non ha ancora firmato il decreto che autorizza l'Inps a pagare la parte degli stipendi. Di conseguenza i rappresentanti della Marsica Innovation&Technology hanno comunicato che non sono più disposti ad anticipare i fondi lasciando così 1400 dipendenti a dicembre senza la copertura salariale prevista;
   il termine massimo per la firma del decreto è mercoledì 27 novembre 2013 –:
   se non intenda intervenire con urgenza per sbloccare il pagamento dei contratti di solidarietà dei 1400 dipendenti della Marsica Innovation&Technology.
(3-00473)

Interrogazione a risposta scritta:


   SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO, DI VITA, BARONI, CECCONI, COLONNESE, TOFALO e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il signor Emanuele Lambiase è un lavoratore, dipendente del consorzio comuni bacino Salerno 2 per lo smaltimento RR. SS. UU., che ha svolto sempre il proprio dovere nella mansione di «addetto alla raccolta»;
   dall'anno duemiladodici il suddetto ha subito l'amputazione di un piede e per tale motivo si è reso necessario un adeguamento a mansione diversa, idonea alla sua nuova condizione di disabilità;
   in data 8 giugno 2012 si riunirono la direzione aziendale, il dipendente Lambiase, il rappresentante sindacale indicato dal dipendente, l'Avvocato del foro di Salerno, per verificare la possibilità di mantenere in servizio il detto dipendente con mansioni equivalenti a quella precedentemente svolta, ovvero, in mancanza, con mansioni inferiori;
   in quell'incontro la direzione aziendale, nella persona della signora Perfetto Alfonsina, assistita dalla dottoressa Luigia Mastrangelo e dall'avvocato Salvatore Crisci, avrebbe assunto, a seguito della visita del 14 maggio 2012 ricevuta dal competente medico del Check-up day Syrgey s.r.l. il giudizio di «inidoneità permanente» alla mansione di «addetto alla raccolta»;
   tuttavia, nella stessa seduta, la stessa direzione aziendale, visto il referto medico della visita del 14 maggio 2012, avrebbe ritenuto idoneo il dipendente Lambiase a svolgere servizi di pulizia e raccolta rifiuti negli uffici della sede legale e delle sedi operative della stessa amministrazione;
   tale nuovo inquadramento, I livello professionale dell'area spazzamento, raccolta, tutela e decoro del territorio prevista dall'articolo 15 del CCNL Federambiente, pur essendo inferiore al precedente sarebbe stato accettato da tutte le parti coinvolte e, soprattutto, dal dipendente Lambiase;
   il 18 novembre 2013, improvvisamente, è arrivata la convocazione al dipendente Lambiase, da parte dell'azienda, «al fine di discutere in ordine alla posizione di inidoneità lavorativa del dipendente de quo»;
   l'incontro assumerebbe secondo gli interroganti connotati di violazione dei principi di rispetto e dignità dei lavoratori, soprattutto di coloro che sono in posizioni di maggiore difficoltà, colpiti da disabilità;
   nel verbale che ne consegue, infatti, si legge che, dopo la comunicazione da parte della rappresentanza dell'ente consortile di sospensione per mancanza di posti vacanti per riallocare il dipendente, i rappresentanti delle organizzazioni sindacali, in opposizione alla comunicazione di sospensione, hanno chiesto una relazione sull'attività svolta dal dipendente dall'8 giugno 2012 ad oggi e la pianta organica del personale attualmente in servizio presso il consorzio;
   inoltre, si legge nel verbale, le rappresentanze eccepiscono che il signor Lambiase risultò idoneo in virtù di una certificazione medica; non si capisce, pertanto, come mai l'azienda intende esaminare una sopraggiunta inidonietà temporanea senza alcuna documentazione medica prodotta che ne giustifichi l'azione;
   nel comunicato dell'organizzazione sindacale USB del 18 novembre 2013 si apprende che il commissario del consorzio, il signor Corona, non volendo più interloquire con chi si opponeva fermamente al provvedimento di sospensione della retribuzione del lavoratore, non ha trovato altra strada che quella di chiamale la polizia che è intervenuta senza poter rilevare null'altro che la presenza delle parti, legittimamente convocate con lettera del 4 novembre 2013, prot. 7567 –:
   se intenda attivare ogni possibile azione che possa far chiarezza sui fatti descritti in premessa e se e quali iniziative di competenza possa assumere in relazione alla vicenda di un lavoratore che, di fatto, viene leso nei suoi diritti di lavoratore di cittadino da un grave atteggiamento di chiusura rispetto ad ogni discussione che le organizzazioni sindacali avanzano a tutela dei lavoratori. (4-02684)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   FRANCO BORDO, PALAZZOTTO, MIGLIORE, SCOTTO, RAGOSTA, GIANCARLO GIORDANO e AIELLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   gli agricoltori, allevatori di bufale e componenti della filiera agricola di base dell'allevamento bufalino dell'area di produzione della mozzarella di bufala campana DOP, sono stremati e continuano a denunciare, purtroppo senza esiti positivi di riscontro, la gravissima situazione di emergenza che si è determinata nel comparto a danno essenzialmente del settore primario;
   a parere degli interroganti appare inquietante quanto gli allevatori di bufale stanno subendo e denunciando alle istituzioni e alle autorità competenti in merito a disdette contrattuali repentine e, talvolta, senza preavviso per le quali il loro latte viene lasciato negli allevamenti, seppure, come noto, il latte di bufala prodotto in Italia, e destinato alla trasformazione di mozzarella di bufala campana DOP, sia nettamente inferiore ai quantitativi di mozzarella di bufala, sia DOP e sia non DOP, commercializzata dai caseifici;
   con decreto ministeriale del 14 gennaio 2010 il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, aveva istituito un «Comitato di garanzia avente il compito di coordinare e supervisionare l'attività di tutela, promozione, valorizzazione e informazione del consumatore e cura generale degli interessi relativi alla mozzarella DOP di bufala campana», commissariando di fatto il citato consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana DOP;
   il comitato di Garanzia, coordinato dal colonnello Marco Paolo Mantile del nucleo antifrodi dei carabinieri, NAC, accertava che, in dispregio alle norme di tutela buona parte della mozzarella di bufala campana DOP veniva prodotta anche con il concentrato di latte di bufala o cagliata congelata di latte di bufala o latte di bufala in polvere o ricostruito, così come evidenziato con una puntuale attività di controllo e di verifica durata 6 mesi, dal 21 gennaio al 14 giugno 2010, conclusa con un'articolata relazione consegnata il 7 luglio 2010 al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali pro tempore e alla direzione distrettuale antimafia della procura Napoli;
   in data 30 giugno 2011 presso la «Commissione Parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale», nel corso dell'audizione il colonnello Marco Paolo Mantile, esponeva, dettagliatamente, le attività ispettive espletate che si concludevano con 31 ispezioni e 31 sequestri di cui 21 per violazioni amministrative e 10 per violazioni penali, con il conseguente sequestro di circa 12.000 tonnellate di latte concentrato e cagliata di latte di bufala, essenzialmente di provenienza estera, per un valore complessivo di 17 milioni di euro;
   su tali sequestri, a seguito di ricorsi opposti dagli inquisiti, sia il Tar Campania che il Consiglio di Stato hanno dato pienamente ragione agli operatori della giustizia. Non solo, anche in sede penale, si è arrivati fino al ricorso in Corte di Cassazione da parte della controparte, ma l'attività ispettiva è stata considerata legittima e, quindi, non ci sono state osservazioni di sorta. Anzi, la direzione distrettuale antimafia di Napoli ha chiesto ed ottenuto copia dell'intera relazione al colonnello Marco Paolo Mantile;
   il rapporto del «comitato di garanzia», coordinato dal colonnello Marco Paolo Mantile, è stato recentemente riconsegnato al Ministro interrogato, la quale dichiarava di non conoscere le conclusioni dell'indagine effettuata sul consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana DOP dando l'impressione di non sapere di come la cagliata congelata e/o il latte di bufala fresco, concentrato o ricostruito venissero acquistati sui mercati nazionali e internazionali a prezzi irrisori, ossia con un costo della pasta congelata di circa 2 euro al chilogrammo;
   tale vicenda è stata altresì resa pubblica nella puntata del 20 giugno 2013 dal programma televisivo «Servizio Pubblico Più – Una Vera Bufala» andato in rete su You Tube. La registrazione, fatta nel maggio 2013 presso la «Fiera internazionale Tutto Food» di Milano, ha messo in evidenza le modalità, i tempi e il prezzo della presunta frode commerciale unitamente alla «turbativa di mercato ed al reato di sistema» che, purtroppo, perdura da molti anni e, nonostante la gravità dei fatti, i reati consumati rimangono a tutt'oggi impuniti;
   di recente, i mezzi d'informazione hanno divulgato ampi stralci degli esiti dell'indagine durata due anni a seguito della quale la procura della Repubblica di Napoli ha chiesto l'arresto di un «gruppo criminale» che per anni avrebbe violato il disciplinare tecnico di produzione, grazie a un accordo fraudolento tra controllori e controllati. In tale indagine emergono numerose telefonate in cui gli indagati discutono delle loro trasgressioni al disciplinare tecnico di produzione, dell'uso di materia prima proveniente dalla Lituania, dall'Estonia e dalla Polonia (si accenna, in alcuni casi, persino a latte in polvere proveniente dall'India) e della necessità di utilizzare decine di migliaia di quintali di latte congelato e stoccato nei depositi, del valore di milioni di euro, senza il quale, «lamentano», i costi si moltiplicherebbero e il fatturato si dimezzerebbe;
   a seguito di tale vicenda, la procura della Repubblica di Napoli ha chiesto l'arresto in carcere di 38 persone di cui gran parte titolari di caseifici ed il sequestro di una trentina di strutture casearie, il giudice per le indagini preliminari, ad ogni modo, ha negato le misure cautelari;
   a tal proposito il settimanale l'Espresso del 29 ottobre 2012 pubblicava uno sconcertante articolo che riportava tratti dell'ordinanza del tribunale di Napoli che ha chiarito come quasi nessuno ottemperava alle regole scritte che venivano continuamente violate. E, allora, la preoccupazione di tutti, di fronte ai controlli sempre più stringenti dei NAS, sembra essere quella di «uscire dall'illegalità». Non certo, però, cominciando finalmente a utilizzare solo latte fresco prodotto nell'area DOP: «...bisogna modificare il disciplinare e consentire ai caseifici di utilizzare una percentuale di latte congelato o cagliata congelata – si legge in un'intercettazione – sono 20 anni che lo facciamo tutti quanti. Questa è la posizione. E la stessa posizione l'avrà Assolatte, l'avrà l'Unione industriali, l'avranno tutti quanti...». In un'altra conversazione si legge che: «...siamo in difficoltà, questi qua ci fanno chiudere: noi facciamo tutti quanti delle frodi...»; ed ancora: «... se non utilizziamo il latte congelato il fatturato scende del 50 per cento». «Il problema è che negli anni tutti hanno ammassato enormi quantità di latte congelato». Il titolare di un caseificio, ammette di avere «...10 mila quintali stoccati...» con valore di mercato di 1,3 milioni di euro, un altro ancora parla di «...un milione e 750 mila litri nelle celle...»;
   al riguardo è alquanto singolare, come recentemente in sede di audizioni parlamentari presso la XIII Commissione agricoltura della Camera dei deputati, che il «Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana DOP» e l'unione industriale «Assolatte», abbiano rappresentato la necessità di modificare il disciplinare tecnico di produzione della mozzarella di bufala DOP, come già aveva proposto il predetto Consorzio di tutela con una delibera approvata il 27 giugno 2012, approvando una procedura per la modifica del disciplinare tecnico volta a consentire l'utilizzo dei meccanismi della concertazione agricola del «tavolo verde» presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali al fine di ottenere il decreto di approvazione di modifica del disciplinare tecnico;
   nel caso in cui una tale modifica fosse assentita, gli effetti che genererebbe sarebbero distruttivi per il settore della mozzarella di bufala DOP campana. A tal riguardo, gli allevatori bufalini si stanno opponendo con decisione alla manomissione del disciplinare tecnico a fronte del fatto, ulteriore, che il prezzo del latte pagato alle stalle è irrisorio e in tali frangenti si aggiunge il timore che precipiti ancora di più;
   bisogna ricordare che per poter utilizzare la denominazione d'origine protetta, la mozzarella di bufala campana deve essere prodotta solo con latte fresco proveniente dalle province di Caserta e Salerno e di altri comuni ricompresi tra le province di Napoli, Benevento, Isernia, Frosinone, Latina, Foggia, Roma. Ci sono delle prescrizioni tecnico-qualitative che regolamentano in maniera dettagliata il processo di trasformazione del latte di bufala, ossia: il latte deve essere trasformato entro le 60 ore dalla mungitura, acidificato con siero naturale e coagulato con caglio di vitello;
   appare sconcertante, altresì, la notizia del 21 settembre 2013, riguardante il sequestro di mozzarella di bufala campana in cui sono state rinvenute tracce di furosina (indicatore-rivelatore che conferma la presenza di polvere di latte di bufala per la trasformazione in mozzarelle);
   i casi di adulterazione della mozzarella di bufala campana DOP, assurti alla massima visibilità nazionale ed internazionale, richiedono un immediato e deciso intervento del Governo che riaffermi la volontà delle istituzioni preposte di tutelare un patrimonio alimentare nazionale d'indubbio valore culturale e identitario del territorio, oltreché l'apprezzamento delle proprietà organolettiche che rendono la mozzarella di bufala campana DOP un prodotto invidiato in tutto il mondo;
   va ricordato che in passato, al fine di incrementare l'azione di controllo e di tutela sulla mozzarella di bufala campana DOP, e stato attivato uno specifico percorso normativo parlamentare che ha condotto all'approvazione della legge del 30 dicembre 2008, n. 205, che ha convertito il decreto-legge del 3 novembre 2008, n 171, recante «Misure urgenti per il lancio competitivo del settore agroalimentare». Nella legge e contenuta una disposizione specifica (articolo 4-quinquiesdecies), recante «Disposizioni per la produzione della mozzarella di bufala campana DOP» che prevede che «a decorrere dal 1o gennaio 2013 la produzione della mozzarella di bufala campana, registrata come denominazione di origine protetta (DOP) ai sensi del regolamento CE n. 1107/96 della Commissione del 12 giugno 1996, deve essere effettuata in stabilimenti separati da quelli in cui ha luogo la produzione di altri tipi di formaggi o preparati alimentari», imponendo così nuovi principi per la gestione dei controlli e prevedendo una maggiore tutela dei diritti dei consumatori;
   le problematiche della filiera, nonostante provvedimenti legislativi come il summenzionato, sono ancora enormi e di vario tipo ed è indispensabile, pertanto, che il Ministro si attivi il prima possibile al fine di dare attuazione agli obiettivi previsti dalla legge del 30 dicembre 2008, n. 205, e, specificatamente, da quanto previsto dall'articolo 4-quinquiesdecies;
   per contrastare le sofisticazioni e le problematiche connesse e consequenziali a esse, sono necessarie da parte delle Asl e dei nuclei antisofisticazione dei carabinieri – fornendo, ovviamente tutti gli strumenti necessari per consentire controlli costanti e a tappeto – azioni permanenti di controllo della filiera della mozzarella di bufala DOP e del sistema di produzione e di commercializzazione dei latticini di latte di bufala non DOP, confrontando, per esempio, il latte munto alla stalla con i volumi di formaggi prodotti, in quanto, come denunciato, si rileva l'immissione sul mercato a prezzi irrisori di mozzarella di bufala in imballaggi recanti la denominazione DOP, seppur viene fatturata come latticino generico e ciò in ragione dell'ipotizzato, ma si potrebbe tranquillamente dire accertato, utilizzo di materie prime a basso costo, di latte liquido e di latte concentrato di bufala importati, oppure di cagliata congelata nazionale o estera;
   appare inderogabile tracciare tutta la filiera di latte di bufala prodotto in Italia, unitamente a quello proveniente dall'estero, verificando con opportuni controlli incrociati i volumi di produzione di latte alla stalla e la conseguente trasformazione in mozzarella di bufala DOP e non DOP, così come viene realizzata nei caseifici autorizzati;
   i controlli dovrebbero essere eseguiti in maniera costante e all'improvviso, in modo da tutelare sia i produttori di latte, sia i caseifici che hanno lavorato e continuano a lavorare onestamente, ma principalmente per garantire al consumatore la sicurezza e la qualità di ciò che acquista, all'allevatore e al trasformatore onesto, il giusto ritorno della redditività delle loro imprese e ai lavoratori del settore di vedersi tutelato il posto di lavoro all'interno di un comporto di filiera che se bonificato radicalmente, potrebbe creare ulteriori posti di lavoro –:
   se non si ritenga urgente avviare una immediata tracciatura di tutto il latte di bufala prodotto in Italia, nonché il latte fresco di bufala importato, il concentrato di latte e le cagliate di latte di bufala congelato proveniente da Paesi esteri;
   se corrisponda al vero la notizia secondo cui gli uffici preposti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali starebbero valutando l'approvazione della modifica del disciplinare tecnico della mozzarella di bufala campana DOP nella direzione di ammettere la pratica del congelamento del latte o della cagliata congelata di latte di bufala, al fine di permetterne il relativo uso differito nella produzione della mozzarella DOP e, in caso affermativo, se al verificarsi di tali assurde circostanze non si intenda fermamente rigettare una tale richiesta a giudizio degli interroganti irresponsabile o qualunque altra istanza che avesse come fine la modifica, peggiorativa, del disciplinare tecnico di produzione della mozzarella di bufala campana DOP;
   se il Ministro intenda provvedere all'attuazione senza proroghe della normativa relativa alla separazione dei luoghi di produzione della mozzarella di bufala campana DOP e della mozzarella non DOP, il cui termine è slittato di oltre due anni da quanto previsto dalla legge richiamata;
   se non si ritenga necessario emanare un'iniziativa urgente che preveda in capo al «Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana DOP» e agli altri enti interessati l'attività obbligatoria di controllo e di verifica mensile incrociata tra la produzione di latte, di ciascuno allevamento bufalino dell'area DOP, e l'effettiva trasformazione e resa quantitativa nei caseifici che ritirano per la produzione di mozzarella di bufala campana DOP e la mozzarella di bufala italiana non DOP, definendo, inoltre, misure dissuasive, integrative e aggiuntive, a quelle ordinarie già previste a carico delle strutture casearie che violano i vincoli normativi di riferimento, al fine di scoraggiare le frodi commerciali;
   se non sia utile e necessario adottare iniziative in favore degli allevatori di bufale dell'area DOP della mozzarella di bufala campana, volte a permettere una più ampia e diffusa applicazione della tecnica della destagionalizzazione dei parti delle bufale. (3-00471)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta oltre il 17 per cento del prodotto interno lordo, di cui oltre 53 miliardi di euro provengono dal settore agricolo;
   il successo dell'agroalimentare italiano nel mondo e l'accreditamento attribuito al marchio «Italia» non conoscono arretramenti, come dimostra la crescita costante dell’export, ma anche la diffusione dei fenomeni di imitazione e pirateria commerciale;
   il made in Italy agroalimentare è la leva esclusiva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese, grazie ai suoi primati in termini di qualità, livello di sicurezza e sistema dei controlli degli alimenti, riconoscimento di denominazioni geografiche e protette e produzione biologica;
   il settore agricolo ha una particolare importanza non solo per l'economia nazionale – considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore – ma, altresì, come naturale custode del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   gli allevamenti italiani di suini, presenti prevalentemente in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Umbria e Sardegna, sono oltre 26.200 e la produzione di carni suine è stimata in 1.299.000 tonnellate l'anno;
   la suinicoltura italiana occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti e offre occupazione, lungo l'intera filiera, a circa 105 mila addetti, di cui 50 mila nel solo comparto dell'allevamento;
   sulla base dei dati elaborati dall'Associazione nazionale allevatori di suini (ANAS), l'Italia, nel 2012, ha importato complessivamente 1.020.425 tonnellate di suini vivi e carni suine, di cui il 52 per cento dalla Germania, pari a 535.309 tonnellate;
   articoli di stampa europei hanno recentemente messo in luce che l'industria della carne suina tedesca è efficiente ed è basata su prodotti a basso costo, ma che, dietro questo sistema, ci sono operai sottopagati, falde acquifere inquinate e tecniche di allevamento che usano enormi quantità di antibiotici;
   molti controlli operati sul settore delle carni suine hanno evidenziato la violazione della disciplina in materia di presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari e condotte poste in essere in maniera ingannevole, fraudolenta e scorretta, allo specifico scopo di far intendere al consumatore che i prodotti acquistati sono di origine e di tradizione italiana;
   l'usurpazione del made in Italy minaccia la solidità e provoca gravi danni alle imprese agricole insediate sul territorio, violando il diritto dei consumatori ad alimenti sicuri, di qualità e di origine certa;
   il codice del consumo, recependo la disciplina comunitaria in materia, attribuisce ai consumatori ed agli utenti i diritti alla tutela della salute; alla sicurezza ed alla qualità dei prodotti; ad un'adeguata informazione e ad una pubblicità veritiera; all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all'educazione al consumo; alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali;
   la disciplina a tutela dei prodotti di origine italiani introduce norme specifiche per contrastare la contraffazione ed evitare qualunque fraintendimento nell'indagine di provenienza falsa e fallace;
   la circolazione di alimenti che evocano una origine ed una fattura italiana che non possiedono costituisce una vera e propria aggressione ed arreca danno al patrimonio agroalimentare nazionale che, come espressione dell'identità culturale dei territori, rappresenta un bene collettivo da tutelare ed uno strumento di valorizzazione e di sostegno allo sviluppo rurale –:
   quali determinazioni il Ministro interrogato intenda promulgare alle autorità di controllo e, in particolare, al Corpo forestale dello Stato, per applicare la definizione precisa dell'effettiva origine degli alimenti, secondo quanto stabilito dall'articolo 4, commi 49 e 49-bis, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 sulla tutela del made in Italy. (5-01556)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza del settore agricolo per l'economia nazionale va riconosciuta con riferimento alla produzione agroalimentare, ma anche alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio culturale ed ambientale ed attingente numero di lavoratori occupati;
   l'agroalimentare made in Italy rappresenta più del 17 per cento del PIL e provengono dal settore agricolo oltre 53 miliardi di euro;
   il made in Italy agroalimentare è la leva per una competitività «ad alto valore aggiunto» e per lo sviluppo sostenibile del Paese;
   il settore agricolo, considerati la percentuale di superficie coltivata, il più elevato valore aggiunto per ettaro in Europa ed il maggior numero di lavoratori occupati nel settore, riveste una particolare importanza per l'economia nazionale ed assume un ruolo fondamentale nella custodia del patrimonio paesaggistico, ambientale e sociale;
   in agricoltura sono presenti circa 820 mila imprese, vale a dire il 15 per cento del totale di quelle attive in Italia;
   sulla base dei dati Efsa, l'Italia risulta prima, nel mondo, in termini di sicurezza alimentare, con oltre 1 milione di controlli l'anno, il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3 per cento), con un valore inferiore di cinque volte rispetto a quelli della media europea (1,5 per cento di irregolarità) e addirittura di 26 volte rispetto a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità);
   il settore suinicolo rappresenta una voce importante dell'agroalimentare, italiano. La suinicoltura italiana, infatti, occupa il settimo posto in Europa per numero di capi mediamente presenti: in Italia nel 2012 la consistenza è stata di 9,279 milioni di capi, preceduta da Germania (28,1 milioni), Spagna (25,2 milioni), Francia (13,7 milioni), Danimarca (12,4 milioni), Olanda (12,2 milioni) e Polonia (11,9 milioni di capi);
   i dati del censimento dell'agricoltura 2010 indicano in 26.197 il numero delle aziende suinicole in Italia (74,1 per cento rispetto al 2007), 4.900 delle quali allevano più di 50 suini;
   le regioni maggiormente vocate per l'allevamento di suini sono Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte, ma anche Calabria, Umbria e Sardegna;
   rispetto a 73,5 milioni di cosce suine consumate in Italia, 57,3 milioni sono di importazione, 24,5 milioni sono di produzione nazionale e 8,3 milioni vengono avviate all'esportazione;
   dai medesimi dati emerge che i principali Paesi fornitori di carne suina in Italia sono la Germania, l'Olanda, la Francia, la Spagna e la Danimarca;
   dai dati elaborati da ISMEA nel rapporto «La competitività dell'agroalimentare italiano» del 2012, emerge che la fase agricola è fortemente penalizzata dalle repentine e intense variazioni dei prezzi alla produzione, variazioni che invece non si trasmettono immediatamente sui prezzi nelle fasi più a valle, né per tempistica, né per intensità;
   sulla base dei risultati definitivi pubblicati dall'Istat e secondo quanto certificato dal 6o censimento generale dell'agricoltura, la bassa remunerazione dell'imprenditore agricolo, in diminuzione nell'ultimo decennio, è uno degli elementi a cui viene collegata la fuoriuscita dal settore di quasi 800 mila aziende agricole;
   nel mercato del settore suinicolo, l'andamento dei prezzi riconosciuti agli allevatori mostra valori inferiori ai costi di produzione;
   secondo analisi ed elaborazioni ANAS (Associazione nazionale allevatori suini), riferiti al primo semestre 2013, il valore dell'allevamento riconosciuto nella fase della distribuzione è stato del 17,28 per cento;
   dalle stesse elaborazioni si rileva che il costo medio di produzione del suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è di 1,56 euro al chilogrammo;
   i medesimi dati evidenziano che il prezzo medio riconosciuto all'allevatore per il suino pesante (peso medio 160/170 chilogrammi) è stato di 1,4 euro al chilogrammo;
   l'attuale situazione del mercato risulta complicata dalla mancanza di trasparenza sull'indicazione di origine delle carni suine, che rischia di creare confusione tra i prodotti di provenienza nazionale – che assicurano, tra l'altro, elevati standards di sicurezza e qualità – ed i prodotti di importazione che invece, spesso, presentano minori garanzie per il consumatore;
   l'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nel disciplinare le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli ed agroalimentari, vieta condotte commerciali sleali al fine di impedire che un contraente con maggiore forza commerciale possa abusarne, imponendo condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per la controparte più debole –:
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al settore del commercio nel settore delle carni suine, al fine di dare piena attuazione all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cui vieta pratiche commerciali sleali che possano determinare, in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza, il riconoscimento di prezzi, agli allevatori, palesemente inferiori ai costi di produzione medi da essi sostenuti;
   quali azioni il Ministro intenda promuovere, con specifico riferimento al commercio delle carni suine, al fine di contrastare pratiche commerciali sleali poste in essere, ai danni degli allevatori, in violazione della disciplina di cui all'articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ed al relativo regolamento di attuazione (decreto ministeriale 19 ottobre 2012, n. 199). (5-01557)


   CARRA, OLIVERIO, COVA, VALIANTE, LUCIANO AGOSTINI, CENNI, TERROSI, COVELLO e ANTEZZA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le organizzazioni del mondo agricolo lanciano l'allarme sul futuro del settore suinicolo italiano uno dei comparti di punta della produzione agroalimentare nazionale prostrato da un incremento esponenziale delle importazioni di carne suina straniera;
   nel 2013 sono stati allevati meno di 8,7 milioni di maiali, erano 9,3 milioni nel 2012, destinati per il 70 per cento alla produzione dei 36 salumi che hanno ottenuto dall'Unione europea il riconoscimento di denominazione di origine dop e igp;
   solo nell'ultimo anno la produzione in Italia è diminuita di 615.000 capi sostituiti dalle importazioni di carne dall'estero per realizzare falsi salumi italiani di bassa qualità, con il concreto rischio di estinzione per i prelibati prodotti dal culatello di Zibello, alla coppa piacentina, dal prosciutto di San Daniele a quello di Parma;
   a causa di questa notevole importazione due prosciutti su tre prodotti in Italia vengono lavorati con carne di maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania, Spagna, con il rischio di compromettere molti marchi dop;
   la chiusura forzata degli allevamenti è stata causata dall'impossibilità di coprire i costi di produzione per i bassi prezzi provocati dalle importazioni dall'estero di carne di bassa qualità per ottenere prosciutti da «spacciare» come made in Italy per la mancanza dell'obbligo di indicare in modo chiaro in etichetta la provenienza;
   gli allevatori che si attengono alle rigide regole del disciplinare dop per la qualità delle proprie carni hanno visto aumentare considerevolmente i costi di produzione con la conseguenza paradossale di essere fuori dal mercato con una produzione che da mesi non viene neanche più quotata;
   senza un prezzo di riferimento le aziende non sanno come muoversi ed il rischio per gli allevatori è quello di rimanere incastrati nel gioco al ribasso dei mediatori che sottopagano il prodotto e spingono alla chiusura degli allevamenti;
   gli allevatori mettono sotto accusa anche gli insostenibili squilibri nella distribuzione del valore dalla stalla alla tavola: per ogni 100 euro spesi dai cittadini in salumi ben 48 euro restano in tasca alla distribuzione commerciale, 22,5 al trasformatore industriale, 11 al macellatore e solo 18,5 euro all'allevatore: mentre in media all'allevatore i maiali allevati sono pagati circa 1,4 euro al chilo il consumatore spende oltre 23 euro al chilo, per il prosciutto dop, una forbice troppo larga che danneggia cittadini e allevatori italiani;
   il settore della produzione di salumi e carne di maiale in Italia, dalla stalla alla distribuzione, vale 20 miliardi di euro e attualmente da lavoro ad oltre 105.000 addetti –:
   se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere con la massima urgenza per tutelare il settore suinicolo italiano contrastando le importazioni dall'estero di prodotti di bassa qualità e le relative speculazioni degli intermediari, assicurando trasparenza ad una delle filiere chiave dell'agroalimentare nazionale.
(5-01558)


   OLIVERIO e MONGIELLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   gli interroganti sono stati interpellati dal personale dell'associazione regionale allevatori della Calabria in quanto da oltre 15 mesi non percepiscono lo stipendio. Questa loro situazione di incertezza e di ritardi salariali si ripete da almeno tre anni;
   l'Associazione regionale allevatori (ARA) della Calabria si è costituita da tre anni e da allora è incappata nella incresciosa situazione di non garantire le retribuzioni al proprio personale e non solo a causa della crisi finanziaria che ha colpito il nostro paese;
   l'ARA Calabria offre assistenza tecnica agrozootecnica e veterinaria, oltre la tenuta dei libri genealogici delle varie razze con finanziamento dello Stato, mentre per l'assistenza tecnica dispone di un progetto, SATA (Servizio assistenza tecnica allevatori), con delibera di circa 5,5 milioni di euro poi ridotti nei tre anni a 2 milioni di euro;
   in tale progetto sono attive, oltre l'ARA Calabria, anche le organizzazioni di produttori (OP) cui è assegnato il 40 per cento delle risorse sopra indicate. In tali circostanze si è dovuto ridurre le risorse per gli stipendi dell'associazione a 1,2 milioni di euro;
   si tratta di circa 100 persone, di cui il 50 per cento assunta a tempo indeterminato, mentre i restanti lavoratori sono regolati con prestazioni pagate su fattura (lavoratori utilizzati a partita IVA, tramite convenzione);
   l'ARA Calabria è stata costituita il 14 aprile 1976 ed ha ottenuto il riconoscimento dalla Regione Calabria con la legge regionale n. 54 del 5 maggio 1990, per lo svolgimento di attività di coordinamento tecnico ed organizzativo delle associazioni provinciali allevatori e delle organizzazione dei produttori;
   dal 1o gennaio 2011, a seguito del riordinamento nazionale del sistema allevatoriale, l'ARA Calabria si è trasformata da organismo di II grado ad organismo di I grado, assumendo direttamente le funzioni ed i compiti della gestione delle attività, affidate fino al 2010 alle associazioni provinciali ed interprovinciali allevatori;
   l'ARA non ha fine di lucro ed è socia dell'Associazione italiana allevatori (AIA), opera nel quadro della politica generale e delle direttive organizzative dell'AIA in armonia con la programmazione agricola regionale;
   l'ARA svolge la sua attività di valorizzazione delle produzioni zootecniche regionali tramite le Organizzazioni produttori socie e legalmente riconosciute dalla Regione Calabria ed operanti nel territorio regionale;
   essa si propone di attuare tutte le iniziative che possono utilmente contribuire ad un più rapido miglioramento del bestiame allevato e ad una più efficiente valorizzazione del bestiame stesso e dei prodotti da questo derivati;
   possono far parte dell'Associazione regionale allevatori gli allevatori singoli o associati senza distinzione di specie e razze di bestiame allevato e di specializzazioni produttive;
   in merito alle criticità di finanziamento da parte dello Stato in favore della associazioni regionali allevatori, è da ultimo intervenuto anche il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro-tempore dottor Catania, il quale, il 4 ottobre 2012, in risposta ad una specifica interrogazione (all'interrogazione 4-16337) vertente sul mancato finanziamento per gli anni 2011 e 2012 delle attività svolte dalle associazioni regionali allevatori, faceva sapere che l'amministrazione del dicastero agricolo, al fine di mantenere una struttura unitaria del sistema delle associazioni allevatori sul territorio nazionale (presupposto fondamentale di competitività della zootecnica italiana) aveva già avanzato una proposta di rimodulazione finanziaria delle disponibilità recate dai capitoli 7637 e 7638 del proprio bilancio di previsione, risorse finalizzate all'attuazione delle funzioni amministrative trasferite alle regioni, destinate però alle sole regioni a statuto speciale;
   tale proposta di rimodulazione (che avrebbe consentito di destinare la somma complessiva di euro 25 milioni alle attività di miglioramento genetico per tutte le regioni), seppur approvata dal comitato tecnico permanente di coordinamento in materia di agricoltura nella seduta del 23 giugno 2011, non aveva ottenuto il parere favorevole del Ministero dell'economia e delle finanze, in quanto non compatibile con la normativa di bilancio. A fronte di tale parere lo «schema d'intesa» fu rimodulato, lasciando inalterata la dotazione finanziaria di ciascun capitolo, in modo da destinare alle attività di miglioramento genetico del bestiame tutti i fondi recati dal capitolo 7637 (pari a 9 milioni di euro) e parte dei fondi recati dal capitolo 7638 (nella misura di 16 milioni di euro) rientrando, tali attività, tra quelle trasferite alle regioni ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 maggio 2001;
   a seguito del parere favorevole del Ministero dell'economia e delle finanze, e acquisito un nuovo parere positivo dal comitato permanente agricoltura nella seduta del 21 luglio 2011, la suddetta proposta fu quindi trasmessa alla Conferenza Stato Regioni che si dichiarava favorevole e così le fu inoltrato il programma annuale dei controlli funzionali concernente i criteri e gli indirizzi unitari in conformità all'articolo 2 della legge n. 280 del 1999;
   il programma in questione, aveva previsto, per il 2011, la riorganizzazione del sistema degli allevatori, con l'attivazione di un sistema operativo regionale (cioè, basato su associazioni regionali di allevatori) a fronte delle associazioni provinciali. L'implementazione di tale sistema (che in alcune regioni è ancora in fase di realizzazione) avrebbe permesso una riduzione del costo dell'attività di un ulteriore 10 per cento rispetto all'anno precedente, con una spesa prevedibile di 69 milioni e un contributo massimo concedibile di 55,2 milioni. Il programma in oggetto, oltre ad indicare le «linee di indirizzo tecnico per la riorganizzazione dei sistemi dei controlli» (in modo da mantenere dei buoni livelli qualitativi del servizio e, al contempo, di perseguire ulteriori economie), proponeva la ripartizione fra le regioni della disponibilità finanziaria di 25 milioni considerati nella predetta intesa;
   riguardo l'attività per l'anno 2012, il Ministro interrogato avrebbe provveduto a predisporre una nuova proposta di programma in cui sono stati ridefiniti sia i parametri tecnici che economici utilizzando la metodologia e i criteri previsti dal «Manuale per il finanziamento dell'attività di tenuta dei libri genealogici e dei controlli funzionali delle associazioni provinciali allevatori», denominato «manuale del forfait»;
   il predetto programma, esaminato e condiviso, con modifiche, dal Comitato monitoraggio di cui al decreto ministeriale 23485 del 13 novembre 2006 sarebbe stato trasmesso alle regioni e alle associazioni degli allevatori per acquisire eventuali osservazioni, prima di sottoporlo alla conferenza Stato regioni per la prevista intesa. Il documento avrebbe previsto, per province e per regione, la spesa ammessa e il relativo contributo nazionale per l'anno 2012 (pari, rispettivamente, ad euro 64.033.969 e ad euro 50.191.322,98) nonché gli indirizzi per l'elaborazione delle linee guida per la riorganizzazione del sistema della selezione animale –:
   se sia a conoscenza del mancato pagamento degli stipendi dei lavoratori dell'associazione regionale allevatori della Calabria ed in tale ambito quali iniziative intenda intraprendere per risolvere tali criticità;
   in riferimento a quanto descritto in premessa, quale sia lo stato dei fatti relativo al trasferimento delle risorse finanziarie, e non solo per il 2012, ma anche per gli anni successivi, in favore delle associazioni regionali allevatori ed in particolare dell'associazione regionale allevatori della Calabria. (5-01560)


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è largamente nota la vicenda che ha interessato nel corso degli anni la Federazione italiana dei consorzi agrari – Federconsorzi – ennesimo e riprovevole caso di una gestione principalmente intesa al mantenimento del consenso politico ed elettorale ed articolata intorno ad una fitta rete di rapporti tra politica, banche ed industria che, nonostante il crescente indebitamento della struttura, avrebbe consentito alla dirigenza di provvedere alla redistribuzione degli utili ai propri soci fino al suo completo fallimento;
   le responsabilità di tale cattiva gestione sono ascrivibili anche alle maggiori organizzazioni di categoria, tra cui Coldiretti e confagricoltura, che, in linea con gli orientamenti del partito di cui erano espressione fin dal dopoguerra, trasformarono di fatto lo scopo mutualistico della Federconsorzi in quello che appare mero assistenzialismo volto ad erogare fondi ai soci consorziati in cambio del loro sostegno politico e a prezzo del depauperamento della casa madre;
   tra le cause indicate dai giudici fallimentari nella sentenza di omologazione del concordato preventivo adottata nel 1992, figurano infatti l'erogazione di crediti ai consorzi senza alcuna valutazione del rischio insolvenza e quindi gli oneri derivanti dalla eccessiva esposizione bancaria, oltre alla utilizzazione antieconomica del patrimonio con conseguenti implicazioni sia sul reddito di esercizio che su valore di scambio;
   ad oltre 20 anni dal disfacimento, è ancora pendente nei confronti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali il contenzioso relativo ai crediti derivanti dalla rendicontazione della gestione degli ammassi dei prodotti agricoli, funzione che Federconsorzi svolgeva per conto dello Stato;
   la corte di appello di Roma nel 2010 ha provveduto a definire le modalità di calcolo degli interessi sui suddetti crediti, già decretati esigibili;
   si sono diffuse indiscrezioni circa un'iniziativa volta a rendere Federconsorzi unico creditore dei circa 400 milioni di euro che lo Stato deve ai consorzi agrari per le gestioni di ammasso obbligatorio e commercializzazione dei prodotti agricoli nazionali nonostante tale somma possa essere destinata ad altri utilizzi più necessari al comparto primario –:
   di quale ulteriore elemento disponga il Ministro in relazione a quanto espresso in premessa e se non ritenga di dover escludere qualsiasi iniziativa atta a favorire la ripresa delle attività di Federconsorzi. (5-01568)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con delibera del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2010 il presidente della regione Calabria Scopelliti è stato nominato commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro della regione;
   il punto b) di tale delibera affida l'incarico al commissario ad acta di «sospendere eventuali nuove iniziative regionali in corso per la realizzazione o l'apertura di nuove strutture sanitarie pubbliche ovvero per l'autorizzazione e l'accreditamento di strutture sanitarie private fino all'avvenuta adozione del piano di riassetto della rete ospedaliera, della rete laboratoristica e della rete di assistenza specialistica ambulatoriale, tranne quelle necessarie all'attuazione del piano di rientro»;
   con il DPGR n. 29 del 7 marzo 2013 la regione, contrariamente al succitato disposto, ha riaperto la concessione delle autorizzazioni alla realizzazione ed all'esercizio sanitario di nuove strutture ancorché in carenza di presupposto (definizione dei piani di riassetto delle reti);
   con parere n. 213 del 29 maggio 2013 i Ministeri della salute e dell'economia e delle finanze hanno espresso un puntuale ed articolato parere negativo sul DPGR n. 29 del 7 marzo 2013;
   a seguito di tale parere il rappresentante del Governo (il sub commissario dell'epoca, dottore D'Elia), con nota del 10 ottobre 2013, invitava il dipartimento tutela della salute a «predisporre, qualora non già predisposta, una proposta di decreto con cui venivano sospesi i provvedimenti amministrativi regionali per il rilascio delle autorizzazioni sanitarie all'esercizio per le strutture sanitarie private, fino all'avvenuta realizzazione del piano di riassetto della rete ospedaliera, laboratoristica e di specialistica ambulatoriale»;
   ad oggi di tale decreto, richiesto dai Ministeri, non solo non esiste traccia, ma il presidente/commissario ad acta Scopelliti ha, in data 9 novembre 2013, inaugurato, insieme alla vice presidente della giunta regionale, architetto Antonella Stasi il «Marrelli hospital», struttura sanitaria di 80 posti letto, di proprietà del dottore Marrelli, coniuge della vice presidente della regione;
   in tale nuova struttura non è possibile effettuare alcuna attività, nemmeno a pagamento, proprio per mancanza di autorizzazione all'esercizio sanitario;
   in seguito al grave conflitto interno all'organo commissariale il dottore D'Elia ha inteso rassegnare le proprie dimissioni e il Governo ha ritenuto di sostituirlo immediatamente nelle 24 ore successive a differenza di quanto accade, ad esempio, nella regione Lazio dove da oltre sette mesi non si riesce ad individuare il nominativo per l'incarico vacante di sub commissario –:
   se il conflitto all'interno dell'organo commissariale, che ha originato le dimissioni e la istantanea sostituzione del dottore D'Elia, abbia qualche attinenza con la vicenda sopra descritta;
   se il Governo sia a conoscenza dell'attuale situazione con riferimento al rilascio di nuove autorizzazioni per l'esercizio sanitario in mancanza dei presupposti (definizione reti);
   se il nuovo sub commissario, dottore Urbani, ritenga di eseguire pienamente il mandato del Governo in merito al blocco delle autorizzazioni fino alla definizione delle reti;
   se i Ministri non ritengano di dover verificare, nel breve, la correttezza dei comportamenti descritti e se la condotta del commissario ad acta sia conforme alle norme di legge. (5-01566)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI, BARONI, FRUSONE, BARBANTI, SPESSOTTO, LOMBARDI, ROSTELLATO, PARENTELA, SIBILIA, CECCONI, DE LORENZIS e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sono molti, in tutta Italia, i casi di edifici di proprietà di enti e organi che fanno capo al Ministero della salute che seppur agibili non vengono utilizzati, è il caso ad esempio del policlinico universitario di Germaneto a Catanzaro o dell'ospedale del Carmine a Pescara;
   enti e organi del Ministero utilizzano, sempre troppo spesso, edifici, sia di area sanitaria che di area non sanitaria, presi in locazione o in affitto da terzi, come testimonia la deliberazione dell'azienda sanitaria locale Viterbo, U.O.C. gestioni attività tecniche presidi extra ospedalieri n. 397 del 3 maggio 2013 relativa alla liquidazione, per l'anno 2013, dei canoni delle locazioni passive per gli immobili gestiti dalla ASL, che solo per la provincia di Viterbo attesta una spesa pari a 2.595.520,36 euro;
   utilizzare gli edifici già proprietà del Ministero della salute, anziché edifici presi in locazione o affitto da parti terze, comporterebbe, a parere degli interroganti, una razionalizzazione e un forte risparmio della spesa pubblica –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, non intenda fornire e diffondere i dati catastali degli edifici di area sanitaria e area non sanitaria, sull'intero territorio nazionale relativi a:
    a) locali presi in locazione o affitto dai vari enti ed organi che fanno capo al Ministero della salute;
    b) locali agibili, in fase di ristrutturazione o ammodernamento, nonché inagibili di proprietà dei vari enti ed organi che fanno capo al Ministero della salute;
    c) locali agibili di proprietà dei vari enti e organi che fanno capo al Ministero della salute che risultano interamente o in parte non utilizzati;
   quali misure urgenti intenda avviare, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di porre fine ai contratti di locazione o affitto laddove risulti la possibilità di poter disporre di edifici di proprietà di enti o organi del Ministero della salute;
   se intenda assumere iniziative per la destinazione dell'eventuale risparmio ricavato con la razionalizzazione dell'uso degli edifici ad interventi per la valorizzazione e il miglioramento delle condizioni del servizio sanitario nazionale, quali ad esempio l'acquisto di nuovi macchinari, la formazione di nuovo personale sanitario e l'assunzione a tempo indeterminato del personale precario, l'ammodernamento o ristrutturazione di quegli edifici che seppur agibili, versano in condizioni di scarsa sicurezza per gli operatori sanitari e i pazienti. (4-02675)


   LABRIOLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultimo decennio relativamente alla situazione di Taranto numerosi studi di epidemiologia e monitoraggio ambientale sono stati finanziati dal Ministero della salute in collaborazione con l'istituto superiore di sanità;
   il sito di Taranto è stato incluso nel progetto SENTIERI (studio epidemiologico nazionale dei territori e insediamenti esposti a rischio da inquinamento), finanziato dal Ministero della salute nell'ambito della ricerca finalizzata 2006, e condotto sotto il coordinamento dell'Istituto superiore di sanità dipartimento ambiente e prevenzione primaria. Il progetto SENTIERI iniziato nel 2007 si è concluso nel dicembre 2010 ed i risultati sono stati pubblicati in un supplemento della rivista epidemiologia e prevenzione nel dicembre 2011;
   un altro studio «Residential proximity to industrial sites in the area of Taranto. A case-control cancer incidence study» in cui l'Istituto superiore di sanità ha collaborato con il dipartimento di prevenzione della ASL di Taranto, pubblicato negli annali dell'Iss (volume 47, n. 2), ha indagato l'associazione tra incidenza dei tumori e residenza in prossimità di siti inquinanti tramite uno studio caso controllo condotto nell'area industriale di Taranto;
   nell'ambito del programma strategico «ambiente e salute» finanziato dal Ministero della salute, l'Istituto superiore di sanità ha condotto uno studio esplorativo di monitoraggio biologico umano che ha riguardato circa 50 persone, che hanno lavorato come allevatori presso masserie dislocate nella provincia di Taranto. L'obiettivo di questo studio è stato quello di valutare la concentrazione di inquinanti persistenti (quali metalli pesanti e diossine) nel corpo degli allevatori mediante l'analisi dei campioni ematici. Durante lo studio sono state raccolte le informazioni sulle caratteristiche delle aziende zootecniche (anche la distanza dall'impianto siderurgico) e sulle caratteristiche personali dei lavoratori, come il trascorso lavorativo e residenziale, le abitudini alimentari, il consumo di alcool e il fumo di sigaretta. Lo studio è stato ideato e disegnato prendendo spunto da precedenti indagini della ASL di Taranto sulla presenza di diossine e PCB negli animali e negli alimenti prodotti dalle aziende zootecniche;
   queste indagini hanno portato in alcuni casi al sequestro e all'abbattimento di animali che presentavano livelli di contaminanti al di sopra dei livelli consentiti;
   i risultati delle analisi di Sentieri mostrano un quadro della mortalità per la popolazione residente nel sito di Taranto che testimonia la presenza di un ambiente di vita insalubre;
   complessivamente, il profilo di mortalità della popolazione residente nell'area di Taranto mostra un andamento temporale e una distribuzione geografica che sono in linea con la cronologia e la distribuzione spaziale dei processi produttivi ed emissivi che caratterizzano l'area industriale di questo sito di interesse nazionale da molti decenni;
   le principali cause di decesso mostrano un eccesso tra il 10 per cento e il 15 per cento nella mortalità generale e per tutti i tumori in entrambi i generi; un eccesso di circa il 30 per cento nella mortalità per tumore del polmone, per entrambi i generi; un eccesso, in entrambi i generi, dei decessi per tumore della pleura; un eccesso compreso tra il 50 per cento (uomini) e il 40 per cento (donne) di decessi per malattie respiratorie acute associato ad un aumento di circa il 10 per cento nella mortalità per tutte le malattie dell'apparato respiratorio; un eccesso di circa il 15 per cento tra gli uomini e 40 per cento nelle donne della mortalità per malattie dell'apparato digerente, infine un incremento di circa il 5 per cento dei decessi per malattie del sistema circolatorio soprattutto tra gli uomini;
   i risultati di Sentieri evidenziano inoltre un eccesso per la mortalità per condizioni morbose di origine perinatale (0-1 anno), e un eccesso di circa il 15 per cento per la mortalità legata alle malformazioni congenite;
   tra i lavoratori e gli abitanti di Taranto emerge un senso di rassegnazione e di accettazione di questa realtà. Una realtà che impone la scelta tra il lavoro e la paga, a discapito della salute, e la disoccupazione, disoccupazione, che colpirebbe tutte le famiglie che dall'Ilva traggono le fonti di sostentamento;
   è allarmante sapere che queste persone preferiscono andare incontro a delle malattie quasi date per certe, visto tutti gli studi in materia, e probabilmente anche alla morte prematura, piuttosto che rimanere senza lavoro e senza retribuzione;
   è compito del Governo non solo cercare compromessi tra le parti, ma soprattutto preservare il diritto al lavoro assieme al diritto alla salute, come da costituzione;
   in tal senso il 5 novembre 2013 la Camera ha approvato una mozione concernente i siti di interesse nazionale nella quale si impegna il Governo ad adottare un «piano di sorveglianza sanitaria»;
   il 7 novembre il Ministro della salute nel corso della sua visita a Taranto, ha voluto visitare il reparto di oncologia al fine anche di verificare cosa si sta facendo nella pratica con i fondi stanziati dal Ministero della salute per la salute dei cittadini di Taranto;
   in questi mesi, infatti, il dicastero ha stanziato 10 milioni di euro di cui 3,7 milioni riguardano la deroga al turn over del personale e gli altri per garantire i Livelli essenziali di assistenza –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di verificare l'utilizzo delle risorse destinate per rispondere all'emergenza salute a Taranto sino ad oggi;
   quali iniziative, anche alla luce del recente impegno assunto dal Governo in ordine all'adozione di un piano di sorveglianza sanitaria, abbia intenzione di assumere al fine di adottare un piano di monitoraggio e di prevenzione specifico per la tutela della salute dei lavoratori e degli abitanti di Taranto che fornisca agli operatore del settore e ai cittadini dati sempre aggiornati. (4-02678)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il prosciuttificio «Gran Sasso» sito in Colledara (TE) a fine anno cesserà l'attività produttiva;
   lo stabilimento che occupa 82 lavoratori, ha una superficie coperta di 14 mila metri quadri e possiede una capacità produttiva di 16.500 prosciutti a settimana. Inaugurato nel duemila è completamente automatizzato e robotizzato ed è un'eccellenza del sistema produttivo teramano;
   l'azienda fa parte di un grande gruppo specializzato nella produzione di prosciutti di Parma, la Crudi d'Italia. Si tratta di un gruppo che ha altri due stabilimenti: uno a San Vitale Baganza, proprio nel cuore della zona tipica di produzione del prosciutto di Parma, acquistato dall'Aba prosciutti nel 1986 e la Luppi Alimentari, sempre nella stessa località, acquisito nel 2005. In totale il gruppo ha una capacità produttiva di più di un milione di prosciutti all'anno ed esporta oltre che in Europa, anche in Cina, Australia, Giappone, Stati Uniti e Brasile;
   il fermo del moderno stabilimento avverrà alla fine dell'anno, ma già è stato firmato un accordo per la messa in cassa integrazione straordinaria degli 82 dipendenti e per una mobilità solo su base volontaria, a cui hanno aderito per ora solo un paio di persone;
   in una nota i sindacati sottolineano che il gruppo è entrato in crisi esclusivamente per difficoltà di carattere finanziario dato che le banche pongono condizioni insostenibili. Il gruppo non ha problemi di mercato, a parte un lieve ed ininfluente calo dei consumi. La medesima situazione si è creata anche negli altri due stabilimenti in Emilia Romagna dove si è fatto già ricorso alla cassa integrazione straordinaria;
   i sindacati hanno lanciato un appello alle istituzioni regionali e provinciali e al Mistero del lavoro e delle politiche sociali chiedendo l'apertura di un tavolo istituzionale a seguito del perdurare di questa grave crisi finanziaria e per evitare il precipitare degli eventi che, per ammissione dei vertici aziendali, condurranno alla chiusura dello stabilimento, con la conseguente perdita di 82 posti di lavoro, oltre ad un indotto di difficile quantificazione –:
   se non si intenda promuovere un tavolo istituzionale con l'azienda, i sindacati e gli enti locali al fine di individuare un'alternativa industriale solida e credibile che possa scongiurare la chiusura del sito produttivo e possa garantire la salvaguardia dei livelli occupazionali. (3-00472)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi che, a livello europeo, ha colpito il settore della raffinazione ha avuto ricadute importanti sull'industria di raffinazione in Italia, generando gravi ricadute sul fronte dell'occupazione;
   rispetto ai principali competitor mondiali, il sistema della raffinazione in Italia appare estremamente debole e poco competitivo. L'industria presenta costi di produzione notevolmente alti a causa degli oneri connessi alle normative in favore dell'ambiente e della tutela del lavoro ed è sottoposta ad elevati carichi fiscali e a pesanti oneri legati all'obsolescenza degli impianti, al trasporto, e alla complessità del sistema amministrativo;
   il settore è da tempo sottoposto alla forte concorrenza delle raffinerie statunitensi, mediorientali ed asiatiche, quest'ultime sempre più competitive perché prive di obblighi e vincoli ambientali, sottoposte a minori costi del lavoro e sussidiate direttamente dallo Stato;
   negli ultimi dieci anni, dal 2002 al 2012, i consumi di prodotti petroliferi italiani sono scesi di più del 30 per cento; contemporaneamente, sono aumentate le importazioni di prodotti petroliferi finiti e diminuite le esportazioni, soprattutto verso gli Stati Uniti dove sembra siano in costruzione nuove raffinerie;
   l'Unione europea non ha adottato una strategia in merito alla salvaguardia del settore della raffinazione, limitandosi ad introdurre dazi all'importazione di biodiesel prodotto in Argentina ed in Indonesia per dumping;
   in questo scenario, molte raffinerie in Italia sono ormai prossime alla chiusura. È notizia di questi giorni dell'imminente chiusura dell'impianto IES di Mantova, che dal 1o gennaio 2014 si trasformerà in deposito petrolifero. I lavoratori occupati presso l'impianto sono circa 390 e secondo le prime stime, nel passaggio a deposito, si perderebbero circa 350 posti di lavoro;
   il sistema della raffinazione italiano è costituito da 16 raffinerie presenti sull'intero territorio nazionale per una capacità complessiva di poco superiore ai 100 milioni di tonnellate/anno. Da anni i profitti delle aziende che operano nel settore della raffinazione e distribuzione si sono notevolmente ridotti con gravi conseguenze per l'occupazione;
   l'industria della raffinazione in Italia impiega 100 mila addetti. Come confermato dal Ministro interrogato, in Italia gli impianti a rischio di chiusura sono quattro o cinque con il pericolo imminente di lasciare senza lavoro circa 8 mila addetti;
   le aziende di raffinazione rappresentano un punto di riferimento importante per l'economia locale dei territori che le ospitano e la loro chiusura avrebbe ripercussioni su tutto il territorio nazionale, privandolo di ricchezza e di occupazione;
   dall'indagine conoscitiva sulla crisi del settore della raffinazione in Italia, condotta nella scorsa legislatura, è emerso che il settore presenta un eccesso di capacità produttiva pari a circa 15-20 milioni di tonnellate che il mercato interno non riesce ad assorbire; da qui la proposta di un intervento che miri, da un lato a preservare un settore strategico dell'industria nazionale (connesso a molteplici comparti produttivi) e dall'altro a salvaguardare l'occupazione;
   la crisi dell'industria della raffinazione, senza l'adozione di efficaci interventi, potrebbe degenerare in un quadro ancora più drammatico, con conseguenze disastrose per il futuro dei lavoratori impiegati nel settore e delle loro famiglie;
   i processi di riconversione di impianti industriali non più competitivi potrebbero aprire la strada alla realizzazione di importanti progetti industriali ed occupazionali di grande impatto per l'economia del Paese;
   alcune regioni hanno sperimentato con successo l'adozione di accordi di sviluppo territoriale per favorire l'insediamento di nuove attività di impresa nelle aree industriali dismesse, realizzando diversi interventi, sia di carattere finanziario che di semplificazione amministrativa, per attrarre e mantenere sul territorio le attività e le risorse necessarie alla crescita e allo sviluppo dello stesso –:
   quali sia la strategia che il Governo intenda perseguire ai fini dell'adozione di un'organica politica, industriale di rilancio della raffineria italiana, in primo luogo a garanzia del mantenimento dei livelli occupazionali nel settore;
   se intenda concordare con le regioni e gli enti locali l'adozione di specifici percorsi, da attuare anche attraverso lo strumento dell'accordo di programma, per la riconversione industriale delle aree inquinate collegata con le attività di bonifica o messa in sicurezza delle stesse. (4-02677)


   PANNARALE, QUARANTA, NARDI, AIRAUDO, DI SALVO e PLACIDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2004 il gruppo Telecom Italia spa conferisce, con una cessione di ramo, 433 lavoratori addetti alle attività di facility management all'azienda Manutencoop private sector solution spa (MPSS) ed una relativa commessa con contratto di servizi di 7 anni, prorogata nel 2011 di ulteriori 2 anni, con scadenza al 31 ottobre 2013;
   l'azienda MPSS, che ha come socio unico Manutencoop facility management spa gruppo leader nazionale della gestione dei servizi per immobili, ha aperto, in data 26 settembre 2013, una procedura di licenziamento collettivo per riduzione di personale ex legge n. 223 del 1991 per 133 unità su tutto il territorio nazionale, pari oggi all'intero complesso dei lavoratori operanti sulle citate attività per Telecom Italia;
   i 133 lavoratori colpiti dalle procedure di licenziamento costituiscono la parte «superstite» degli originari 433 già dipendenti di MPSS che nel tempo o sono stati utilizzati su altre commesse o sono usciti dall'azienda dopo varie operazioni di riorganizzazione aziendale sostenute dagli ammortizzatori sociali previsti dalla legge;
   l'apertura della procedura di licenziamento da parte di MPSS, in anticipo rispetto alla conclusione della gara di rinnovo indetta da Telecom Italia per il 31 ottobre 2013, manifesta palese la volontà di MPSS di disfarsi dell'intero perimetro aziendale di lavoratori a prescindere dall'esito della gara;
   il 31 ottobre 2013, a nove anni dalla cessione, Telecom ridimensiona di circa l'80 per cento la commessa assegnata ad MPSS sia per volumi che per regioni, in tal modo determinando i presupposti per una crisi occupazionale gravissima che rischia di mettere definitivamente la parola fine alla sciagurata cessione del 2004;
   le organizzazioni sindacali (SLC-CGIL, FISTel-CISL, UILCOM-UIL) nell'aprile 2013, allo scadere di 24 mesi di cassa integrazione guadagni straordinaria per riorganizzazione aziendale, avevano sottoscritto con MPSS un accordo per contratti di solidarietà con scadenza dicembre 2013 che di fatto esaurisce la strumentazione di ammortizzatori disponibili;
   anche alla luce dell'impossibilità di ricorrere ad ulteriori ammortizzatori di legge, le suddette organizzazioni sindacali, fortemente preoccupate, chiedono il 14 ottobre 2013 al Ministero dello sviluppo economico, dipartimento per l'impresa e l'internazionalizzazione, divisione VII – crisi di impresa, di indire un tavolo urgente di crisi cui convocare le società MPSS e Telecom Italia;
   il 5 novembre 2013 al tavolo indetto dal Ministero, cui partecipano le organizzazioni sindacali, Telecom Italia e MPPS, quest'ultima ha confermato ancora una volta l'intenzione di procedere al licenziamento di tutti i 133 lavoratori impegnati sulla commessa Telecom fino al 31 ottobre scorso, dichiarando per essi non vi sarebbero attività da svolgere nell'ambito del contratto, che pure la stessa azienda MPSS si è aggiudicata con Telecom per un valore di circa 28 milioni di euro. Dal canto suo, Telecom Italia si è dichiarata completamente libera da qualsiasi «obbligo» che non sia una generica disponibilità a facilitare l'assorbimento del personale nelle nuove aggiudicatarie, cui ad oggi non ha fatto seguito alcuna azione concreta, salvo un paio di offerte, al di sotto delle professionalità dei lavoratori, neppure in quelle regioni dove Telecom Italia ha tolto completamente l'appalto a Manutencoop, e quindi ai suoi ex dipendenti;
   dal 2004 in poi, a seguito dei ricorsi legali presentati dai lavoratori, oltre l'80 per cento dei casi di cessione di ramo d'azienda da parte di Telecom Italia è stato giudicato illegittimo con almeno 30 sentenze di corte d'appello di varie sedi d'Italia (Milano, Roma, Venezia, Napoli, Ancona, L'Aquila, Bari eccetera) e con una sentenza di Corte di cassazione;
   la compagnia spagnola Telefonica ha recentemente rilevato il controllo di Telco, la holding che detiene il 22,5 per cento di Telecom e che è una società partecipata da Telefonica con il 46,18 per cento, da Intesa Sanpaolo e Mediobanca con l'11,62 per cento ciascuna e da Generali con il 30,58 per cento –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione e quali elementi intenda fornire in merito alle vicende esposte in premessa, con particolare riguardo agli esiti cui è pervenuto l'incontro svoltosi il 5 novembre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico, a cui hanno preso parte le organizzazioni sindacali, Telecom Italia e MPPS;
   se non ritenga opportuno attivare quanto prima un tavolo permanente di trattativa tra le parti al fine di pervenire ad una soluzione che garantisca la salvaguardia occupazionale e la piena tutela di tutti i diritti dei lavoratori della società Mpss;
   quali iniziative di competenza intenda porre in essere a garanzia delle commesse a Mpss e dei diritti dei lavoratori addetti, considerate le rassicurazioni manifestate da parte del presidente di Telefonica Cesar Alierta in occasione dell'incontro svoltosi con il Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta lo scorso 29 ottobre 2013, circa la piena tutela e valorizzazione dell'occupazione e del patrimonio di conoscenze e competenze di Telecom Italia. (4-02683)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Colletti e altri n. 1-00239, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ruocco.

  La mozione Gnecchi e altri n. 1-00258, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Taricco.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Vezzali n. 5-01377, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fitzgerald Nissoli.

  L'interrogazione a risposta scritta Tofalo e altri n. 4-02615, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 novembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Colonnese, Nesci.

Pubblicazione di un testo riformulato, cambio di presentatore, ritiro di firme, apposizione di firme e modifica dell'ordine dei firmatari ad una mozione.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione n. 1-00201, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta il 91 del 4 ottobre 2013 a prima firma Guidesi, che deve intendersi presentata dal deputato Giancarlo Giorgetti e sottoscritta anche dai deputati Speranza, Brunetta, Dellai, Migliore, Costa e Pisicchio. Contestualmente l'ordine dei firmatari deve intendersi così modificato: Giancarlo Giorgetti, Speranza, Brunetta, Dellai, Migliore, Costa, Pisicchio, Guidesi. Si intendono conseguentemente ritirate le ulteriori firme poste sulla mozione n. 1-00201 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 91 del 4 ottobre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    la finanza regionale e locale è stata caratterizzata, nel corso di questi ultimi anni, da un importante processo di riforma diretto a dare attuazione al principio dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali sancito nel titolo V della Costituzione;
    il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie, incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale, è stato individuato dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, di attuazione del federalismo fiscale, e dai successivi decreti legislativi approvati nel corso della XVI legislatura;
    il processo, tuttavia, è ancora lontano dall'essere compiuto: rimangono, infatti, indeterminati degli elementi essenziali per la ridefinizione degli assetti e delle potestà fiscali tra amministrazione centrale ed autonomie territoriali, come l'individuazione, con legge, dei livelli essenziali delle prestazioni nei settori diversi dalla sanità;
    la legislazione delegata, inoltre, non ha risolto alcune delle questioni normative poste dalla legge delega, ovvero presenta problemi di coordinamento sia tra i vari decreti (quali quello sul fisco municipale e quello sulla fiscalità regionale), sia tra i decreti e la legislazione generale in vigore nella materia (ad esempio, per il federalismo demaniale e per gli interventi speciali);
    i provvedimenti attuativi, ancora, prevedevano il rinvio a numerosi altri decreti e regolamenti, anche relativamente ad elementi cruciali per la funzionalità del nuovo assetto, che, in molti casi, non sono stati adottati;
    solo nell'ottobre 2013, con un ritardo di due anni, è stata insediata la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, pensata come sede istituzionale di confronto tra Stato e autonomie territoriali per tutte le questioni finanziarie, quali il riparto delle manovre di aggiustamento, la verifica dei risultati raggiunti, il funzionamento della perequazione e la premialità;
    pesa sull'interruzione del processo anche il mancato insediamento, ad oggi, della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, cui spetta il compito di valutare la situazione complessiva del processo di riforma avviato dalla legge n. 42 del 2009 e i suoi possibili sviluppi;
    la gravità dell'attuale condizione economica e sociale impone di proseguire con determinazione l'inazione di riequilibrio dei conti pubblici, accompagnandola con il perseguimento dell'equità e della crescita, obiettivi assolutamente prioritari per il Paese;
    con le manovre economiche adottate con decreto-legge tra il luglio e il dicembre 2011 (decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011; decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011; decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011) si è intervenuti con tagli alle risorse di regioni ed enti locali, con inasprimenti del patto di stabilità interno e con modifiche strutturali all'assetto tributario, in particolare dei comuni, che hanno prodotto un aumento della pressione fiscale e un ulteriore riduzione della spesa per investimenti, invece che una riduzione della spesa corrente e l'adozione di modelli più efficienti di produzione dei servizi locali;
    gli enti locali e territoriali, a causa dei tagli ai trasferimenti statali di competenza, si trovano ad operare con equilibri di bilancio sempre più precari, tanto che talvolta non riescono neanche più a coprire le funzioni fondamentali se non attraverso un aumento della pressione fiscale, sia per le spese indistinte che per quelle a domanda individuale, come le rette degli asili o i costi delle mense e della raccolta rifiuti;
    tutto ciò avviene a danno delle fasce più deboli della popolazione, che, a causa della crisi economica, devono affrontare disoccupazione, cassa integrazione e diminuzione dei salari e della qualità del lavoro; la crisi occupazionale si è trasformata in crisi sociale, alla quale occorre rispondere mediante un rafforzamento dei servizi sociali comunali, con conseguente aumento della spesa per gli enti locali;
    l'approccio al risanamento dei conti pubblici che è stato adottato ha comportato un inasprimento senza precedenti della pressione fiscale, per cui è urgente avviare una sistematica attività di revisione della spesa pubblica (spending review), destinando le risorse ricavate, insieme a quelle derivanti dal contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, alle politiche per la crescita e l'equità sociale, a partire dalla riduzione della pressione fiscale sui redditi da lavoro e da impresa, ridefinendo, nell'ambito della riforma fiscale, un nuovo patto tra fisco e contribuenti;
    in questo contesto, profondamente cambiato rispetto al momento in cui fu approvata, acquista ancor più importanza la piena e completa attuazione della legge 5 maggio 2009. n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione»; la responsabilità e l'autonomia dei governi locali e regionali in campo fiscale risultano ora ancora più fondamentali per attivare il circuito di controllo dei cittadini sulle prestazioni delle amministrazioni e per renderle, di conseguenza, più efficienti e più capaci anche di razionalizzare la spesa e ridurre gli sprechi, anche in relazione al completamento del disegno dei fondi perequativi e al loro corretto dimensionamento in termini di copertura dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali a costi efficienti;
    è indispensabile superare rapidamente la separazione finora operata tra il federalismo fiscale e il processo di riallocazione e riorganizzazione delle funzioni tra i diversi livelli di governo, il quale di per sé potrebbe consentire una riduzione della spesa corrente e una conseguente riduzione della tassazione a livello substatale;
    il meccanismo dei costi e dei fabbisogni standard per regioni ed enti locali relativo ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali rappresenta il modo per effettuare un efficace spending review nel sistema delle autonomie territoriali, e come tale può e deve procedere se possibile accelerando le scadenze previste, estendendone comunque principi e strumenti attuativi anche all'apparato centrale dello Stato, vero centro di spesa pubblica;
    vista l'urgenza imposta dalla crisi si rende necessaria un'accelerazione nell'attuazione della legge delega attraverso il suo completamento entro la fine della XVII legislatura, nei termini espressi anche dal Ministro Delrio, che più volte ha ribadito che è necessario far ripartire il federalismo basato sui principi della perequazione e della responsabilità, in quanto il centralismo ha fallito e non ha risolto i problemi, mentre appare ineludibile un nuovo patto con le autonomie locali;
    è necessario, pertanto, adottare in tempi rapidi tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili, consentendo così l'avvio della transizione verso il nuovo assetto in tutti i suoi aspetti, che sono complementari tra di loro e non possono essere affrontati in modo separato;
    si tratta di colmare i vuoti ancora esistenti rispetto alla legge delega, di verificare lo stato di attuazione degli atti amministrativi previsti dai decreti legislativi già approvati e di coordinare, con appositi decreti legislativi, le nuove norme che sono nel frattempo entrate in vigore, come quelle relative all'assetto tributario dei comuni, con i meccanismi previsti dalla legge delega e dai relativi decreti legislativi,

impegna il Governo:

   a dare piena e completa attuazione alla legge delega sul federalismo fiscale, adottando tutti i decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive che saranno ritenuti utili;
   a garantire agli enti locali che non verranno ulteriormente ridotte le risorse per loro programmate nel bilancio pluriennale e che non sia a loro carico l'abolizione dell'imu sulla prima casa nel 2013;
   a garantire che la nuova Service tax sia una vera tassa federale, meno onerosa della somma di imu e tares, creando così un'unica imposta articolata in due componenti, più leggera e più equa con aliquote e detrazioni modulabili da parte degli amministratori, con l'obiettivo di creare un sistema fiscale federale;
   a dare effettiva operatività alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, prevista dall'articolo 5 della legge delega, considerato che la Conferenza concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento, alla verifica periodica del nuovo ordinamento finanziario, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti del sistema, anche in relazione alla nuova disciplina europea del processo di bilancio;
   a verificare prioritariamente l'attuazione della procedura per l'individuazione dei costi e dei fabbisogni standard e degli obiettivi di servizio, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, e dall'articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, e ad adottare, nel termine ineludibile di tre mesi dall'approvazione del presente atto di indirizzo, tutti gli atti conseguenti e necessari ai fini della loro compiuta determinazione;
   nel percorso di completamento dell'attuazione del federalismo fiscale, ad agire con la massima urgenza per rendere operativo il criterio dei costi standard relativi al servizio sanitario e dei fabbisogni standard per comuni e province, dopo che la Conferenza Stato-regioni avrà individuato le tre regioni benchmark, affinché sia consentito agli enti territoriali di contenere le addizionali regionali e locali, inducendo tutti gli amministratori alla massima responsabilizzazione;
   ad adottare tutte le iniziative necessarie per definire e implementare i sistemi perequativi regionali e comunali;
   ad adottare tutti i provvedimenti per il coordinamento dinamico della finanza pubblica previsti dalla legge delega e dai decreti legislativi approvati, a partire dal percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione (articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68) e dall'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva, nel rispetto dell'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali (articolo 18 della legge delega);
   a realizzare il sistema di finanziamento della spesa in conto capitale degli enti territoriali, in particolare per quanto riguarda la perequazione infrastrutturale;
   ad assumere iniziative per eliminare da subito tutte le norme che bloccano oggi l'autonomia dei comuni e che non hanno effetti sui saldi di finanza pubblica e, in generale, a verificare l'attuazione delle regole del patto di stabilità interno e di quelle introdotte dal decreto legislativo n. 149 del 2011, in materia di meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, con l'obiettivo di semplificare le regole ridondanti e mantenere e migliorare quelle che inducono con certezza una modifica dei comportamenti amministrativi nella direzione della responsabilità e della virtuosità;
   a pianificare una riforma strutturale e stabile nel tempo del patto di stabilità interno, in coerenza con il quadro delle regole di disciplina fiscale disegnato dalla legge 24 dicembre 2012, n. 243, che preveda l'equilibrio di bilancio come unico vincolo, la possibilità di escludere, compatibilmente con i vincoli aggregati di finanza pubblica, dal computo delle spese di investimento quelle realizzate senza ricorrere al debito e con risorse autonome, per favorire gli enti virtuosi, e l'adozione, anche tra più regioni, del patto di stabilità integrato, al fine di migliorare il coordinamento della finanza territoriale;
   a completare il processo di riforma federalista, superando definitivamente il sistema di finanza derivata in ragione di una piena autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali, senza aumentare la pressione fiscale complessiva, garantendo certezza di risorse e promuovendo lo sviluppo economico locale, anche attraverso l'implementazione di nuovi ed appositi strumenti in grado di supportare le amministrazioni locali nel processo di acquisto dei beni e dei servizi, al fine di attuare efficienti revisioni di spesa;
   a verificare il motivo della mancata emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che completano il percorso del federalismo demaniale previsto dal decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, relativo all'attribuzione alle autonomie territoriali di un proprio patrimonio, alla luce della priorità che va assegnata ad una decisa azione di riduzione del debito pubblico;
   ad adottare, nell'ambito delle riforme concernenti la disciplina di bilancio delle pubbliche amministrazioni, ogni utile iniziativa volta ad implementare le procedure telematiche di comunicazione annuale dei dati, finalizzate alla creazione di un'anagrafe telematica della spesa, dei debiti e dei contratti di ogni genere e tipo, ivi compresi quelli di consulenza e di lavoro subordinato;
   a coordinare la facoltà di introdurre addizionali all'irpef da parte di regioni e comuni, in particolare modo per quanto riguarda la struttura delle addizionali per scaglioni e aliquote, nonché la facoltà di introdurre detrazioni, con l'obiettivo, da un lato, di non pregiudicare l'autonomia finanziaria di regioni e comuni e, dall'altro, di semplificare gli adempimenti da parte dei sostituti d'imposta, nonché di riportare le addizionali a funzioni allocative, riducendone l'impatto sulla progressività del sistema tributario, anche in relazione a quanto previsto dal disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale;
   ad assumere iniziative per ripristinare il dettato del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), con particolare riferimento alla compartecipazione regionale all'iva, le cui modalità di attribuzione siano stabilite in conformità con il principio di territorialità dei consumi;
   ad attuare i principi del federalismo fiscale nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome, così come previsto dall'articolo 27 della legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, nel rispetto dei singoli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione;
   a verificare lo stato di attuazione di tutti i decreti legislativi approvati, comprensivi degli atti amministrativi previsti, al fine di definire un percorso per la loro reale definitiva entrata in vigore.
(1-00201)
(Nuova formulazione) «Giancarlo Giorgetti, Speranza, Brunetta, Dellai, Migliore, Costa, Pisicchio, Guidesi».

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Palese n. 1-00235 dell'11 novembre 2013;
   mozione Causi n. 1-00236 dell'11 novembre 2013;
   mozione Paglia n. 1-00237 dell'11 novembre 2013;
   mozione Zanetti n. 1-00238 dell'11 novembre 2013.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Causin n. 3-00453 del 15 novembre 2013;
   interrogazione a risposta scritta Bonafede n. 4-02578 del 19 novembre 2013;
   interrogazione a risposta scritta Di Gioia n. 4-02616 del 21 novembre 2013.