Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 4 novembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione (ex articolo 115, comma 3, del regolamento):


   La Camera,
   premesso che:
    un Ministro, soprattutto di un dicastero chiave come quello della giustizia, rappresenta la figura più alta della gerarchia amministrativa, deve, non solo essere, ma anche apparire terzo rispetto ai propri atti ed ai propri comportamenti;
    ogni Ministro, nell'espletamento della propria opera, dovrebbe spogliarsi da sentimenti di amicizia o restituzione di favori confliggenti con il proprio ruolo istituzionale, proprio perché ruolo preminentemente di garanzia verso i cittadini ed i propri dipendenti, nella piena attuazione dell'articolo 3 della Costituzione e del fondamentale principio della separazione dei poteri;
    da notizie di stampa de la Repubblica e de il Fatto Quotidiano del 31 ottobre 2013 risulta che la Procura di Torino, sia in possesso di tabulati telefonici che contengano diversi contatti tra la famiglia Ligresti ed il Ministro della giustizia Cancellieri, oltre al di lei figlio, fin dal giorno degli arresti della figlia Giulia;
    il 17 luglio del 2013 il Tribunale di Torino ha disposto gli arresti per Salvatore Ligresti, per i suoi tre figli e per tre manager della compagnia Fonsai per falso in bilancio aggravato e aggiotaggio;
    per Salvatore Ligresti e i tre manager veniva disposto il giudizio immediato;
    lo stesso giorno degli arresti, risulta che il Ministro abbia telefonato alla compagna dell'arrestato Salvatore Ligresti per esprimere solidarietà e vicinanza alla famiglia e specificando che «qualsiasi cosa io possa fare, conta su di me» e che «proprio qualsiasi cosa adesso serva, non fate complimenti, guarda. Non è giusto, guarda, non è giusto»;
    dalle intercettazioni telefoniche risulta che, a metà agosto, la compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni, abbia suggerito al cognato Antonio Ligresti «di contattare il ministro come ultimo tentativo, visto che la situazione della figlia Giulia non trovava soluzione»;
    risultano dai tabulati diverse telefonate del Ministro stesso con i fratelli della famiglia Ligresti e risultano chiamate telefoniche ai due vice capi del dipartimento per l'amministrazione penitenziaria (DAP), Francesco Cascini e Luigi Pagano, per «sensibilizzarli» sul fatto che la figlia dell'ingegnere, arrestata il 28 luglio, soffrisse di anoressia;
    risulta inoltre, intorno alla metà di agosto, con inconsueto zelo e tempestività, «un referto inviato dalle psicologhe dell'istituto penitenziario di detenzione della Ligresti in cui si segnalava lo stato di depressione della donna e si certificava l'incompatibilità del regime carcerario con le condizioni di salute della stessa»;
    il 28 agosto, undici giorni dopo la telefonata di Antonio Ligresti, fratello di Salvatore Ligresti, diretta al Ministro, venivano concessi gli arresti domiciliari a Giulia Maria Ligresti;
    risulta che l'interessamento del Ministro verso la situazione di Giulia Ligresti sia confermato anche nel verbale di interrogatorio del 22 agosto, durante il quale il Ministro dichiarava al procuratore aggiunto Vittorio Nessi che: «si è trattato di un intervento umanitario assolutamente doveroso in considerazione del rischio connesso con la detenzione»;
    solo a metà settembre, 20 giorni dopo la commutazione della custodia cautelare in carcere, in arresti domiciliari, Giulia Ligresti, coinvolta nell'inchiesta Fonsai, risulta l'unica, al momento, ad aver patteggiato: infatti il 19 settembre 2013 veniva condannata a due anni e otto mesi di reclusione;
    l'intervento del Ministro a favore della scarcerazione di Giulia Ligresti «per motivi legati all'anoressia» presenta aspetti molto discutibili e che devono essere chiariti sul piano politico e non solo su quello giudiziario, in quanto risulta grave che l'intervento in questione sia stato richiesto da una telefonata privata e che abbia riguardato una classica detenuta eccellente;
    il Ministro della giustizia nel corso del citato interrogatorio, ha ammesso di avere ricevuto la telefonata di Antonino Ligresti in cui questi le rappresentava preoccupazione per lo stato di salute della nipote Giulia sofferente di anoressia, e che, pare, «rifiutasse il cibo in carcere» e ha ammesso di aver «sensibilizzato i due vice capi del Dap, perché facessero quanto di loro stretta competenza per la tutela della salute dei carcerati»;
    «Cascini era al corrente della situazione perché lo aveva già letto sui giornali e si era già posto il problema. Dopo di allora non li ho più sentiti e non so se siano intervenuti, e eventualmente, in che termini», conclude il Ministro con una excusatio non petita, e chiarendo dunque che il suo interessamento era stato per un carcerato soltanto, Giulia Maria Ligresti;
    inoltre, la vicinanza tra il Ministro e la famiglia Ligresti, è di tutta evidenza in considerazioni del fatto che da notizie di stampa de Il Fatto Quotidiano del 2 novembre 2013 risulta che quando Anna Maria Cancellieri ricopriva l'incarico di capo ufficio stampa della prefettura di Milano, Ligresti nel 1986 fu travolto dal suo primo scandalo, quello delle «aree d'oro». Mentre era indagato, la già amica in prefettura lo assisteva, tanto da fare gli onori di casa, nel 1987, a un incontro tra un cronista del Giornale e Antonino Ligresti, che protestava per come il quotidiano diretto da Indro Montanelli stava trattando lo scandalo. Alla luce dei recenti avvenimenti, risulta alquanto strano come una capo ufficio stampa della prefettura, a tempo perso facesse le pubbliche relazioni di un costruttore sotto inchiesta per abusi edilizi;
    per completezza di informazioni, occorre altresì sottolineare che il figlio del Ministro, Piergiorgio Peluso, risulta aver lavorato in Fonsai dal maggio del 2011, dopo essere stato responsabile del Corporate & Investment banking di Unicredit per l'Italia, posizione dalla quale aveva trattato l'esposizione delle società della famiglia siciliana;
    il Peluso risulta aver incassato nel 2012 una buonuscita di 3,6 milioni di euro dopo un solo anno di lavoro come direttore generale della compagnia assicurativa Fondiaria Sai in virtù delle clausole contenute nel suo contratto che consentivano, in caso di cambio di controllo o di demansionamento, la possibilità di dimettersi con giusta causa e di incassare l'equivalente di tre annualità. Facoltà che Peluso ha deciso di esercitare dopo un anno, non rientrando una sua conferma nei programmi di Unipol, nel frattempo salita sulla plancia di comando dell'ex compagnia dei Ligresti;
    inoltre, secondo annotazioni della Guardia di finanza di Torino del 29 agosto 2013, il Peluso «continua a intrattenere rapporti con alcuni dirigenti del Gruppo, interessandosi sia alle vicende giudiziarie che quelle societarie»;
    è inoltre da ricordare che il signor Salvatore Ligresti negli unni ‘90 era stato già condannato, in via definitiva, per corruzione nell'ambito dello scandalo della Metropolitana di Milano e delle Ferrovie Nord;
    alla luce di ciò il comportamento del Ministro appare ancora più grave;
    in carcere si soffre e si muore: ogni giorno è emergenza umanitaria nelle nostre carceri;
    purtroppo, agli appelli quotidiani lanciati dai Garanti dei diritti dei detenuti, alle preoccupazioni dei parenti dei reclusi, ai casi conclamati di incompatibilità delle condizioni di salute con la penosa condizione degli istituti e dei servizi sanitari interni, al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria non sanno cosa rispondere, ma «si pongono il problema», – per usare le parole della Cancellieri riferite al vice capo Francesco Cascini, – guarda caso solo per una detenuta eccellente, mentre altri 70.000 continuano a soffrire ed a morire;
    è particolarmente grave che il Ministro si serva di figure di garanzia come i magistrati, vice capi del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per adempiere ai suoi debiti privati, attraverso presunti atti di deviazione delle funzioni pubbliche. Ed è ancor più grave se, di fronte ad una ingerenza interessata del Ministro, i magistrati che operano al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria possano essere stati servizievoli col potere Esecutivo e – anche a volere ritenere che non siano intervenuti (ma è difficile ritenerlo visto che «già si erano posti il problema») – comunque non abbiano preso le distanze da un simile comportamento; non abbiano riferito formalmente all'autorità giudiziaria dell'interessamento non ufficiale ricevuto da parte del Ministro, così venendo meno alla funzione di garanzia e di pari trattamento di tutti i detenuti;
    di fronte ad un'indagine ancora in corso, gli elementi a disposizione della magistratura richiedono un chiarimento su quanto sia davvero accaduto, e il solo sospetto che un Ministro della giustizia possa aver ricevuto ed esercitato pressioni, è un'ombra di cui un membro delle istituzioni non si può vestire;
    d'altra parte siamo memori di un caso, avvenuto nella scorsa legislatura, e riguardante un Presidente del Consiglio dei ministri e la questura di Milano che può sembrare molto simile alla situazione in questione;
    un Ministro della giustizia che si sia lasciato condizionare nel suo operato dai suoi rapporti personali con la famiglia Ligresti – e dai rapporti economici poco chiari del figlio – agendo, oltretutto, con una marcata disparità di trattamento verso gli altri detenuti «non eccellenti», ed utilizzando i magistrati che operano all'interno del Ministero, è un'ombra indelebile sulla sua figura istituzionale da un punto di vista etico, morale e politico;

per tutti i motivi esposti in premessa:

   visti gli articoli 94 della Costituzione e 115 del Regolamento della Camera dei deputati;
   esprime sfiducia al Ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri e lo impegna a rassegnare le dimissioni.
(1-00230) «Colletti, Businarolo, Sarti, Bonafede, Turco, Ferraresi, Micillo, Agostinelli, Villarosa, Nuti, D'Incà, Alberti, Artini, Barbanti, Basilio, Bechis, Massimiliano Bernini, Nicola Bianchi, Brugnerotto, Cancelleri, Carinelli, Castelli, Cecconi, Ciprini, Cominardi, Cozzolino, Currò, Dadone, Dall'Osso, De Lorenzis, Del Grosso, Dell'Orco, Di Benedetto, Manlio Di Stefano, Dieni, D'Uva, Fraccaro, Gagnarli, Luigi Gallo, Grande, Cristian Iannuzzi, Liuzzi, Lorefice, Baldassarre, Baroni, Battelli, Benedetti, Paolo Bernini, Brescia, Busto, Cariello, Caso, Catalano, Chimienti, Colonnese, Corda, Crippa, Da Villa, Daga, D'Ambrosio, De Rosa, Della Valle, Di Battista, Luigi Di Maio, Di Vita, Fantinati, Fico, Frusone, Gallinella, Silvia Giordano, Grillo, L'Abbate, Lombardi, Lupo, Mannino, Marzana, Nesci, Parentela, Petraroli, Prodani, Rizzo, Rostellato, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Tacconi, Tofalo, Tripiedi, Simone Valente, Vignaroli, Zolezzi, Mantero, Mucci, Pesco, Pisano, Rizzetto, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Segoni, Sorial, Spessotto, Terzoni, Toninelli, Vacca, Vallascas».

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il problema ambientale determinato dalla presenza dei siti inquinati di interesse nazionale (sin) ha assunto nel tempo dimensioni tali da generare una forte tensione tra i cittadini;
    le dichiarazioni del pentito di camorra Carmine Schiavone, ex cassiere del clan dei Casalesi, concernenti lo sversamento e l'interramento illegale di rifiuti di ogni genere, anche tossici e nocivi, nel territorio campano e nel basso Lazio, hanno suscitato timore e sconcerto nella popolazione, anche per il pericolo di contaminazione dei terreni agricoli e per la diffusione degli inquinanti carcerogeni nella catena alimentare e nei prodotti smistati e venduti su tutto il territorio nazionale;
    la locuzione «Terra dei fuochi» individua una vasta area situata nel Meridione, tra le province di Napoli e di Caserta, caratterizzata dalla presenza di roghi di rifiuti sversati illegalmente sul territorio e deriva dalla frase utilizzata da Roberto Saviano nel libro Gomorra, come titolo dell'XI ed ultimo capitolo;
    nei giorni del 1o e 2 novembre 2013, le notizie ampiamente diffuse dai mass media rivelano che, nell'ambito di un'indagine coordinata dai magistrati della procura della Repubblica di Napoli Nord, i carabinieri del nucleo radiomobile della compagnia di Casal di Principe hanno deferito in stato di libertà tredici persone per «sversamento illecito di rifiuti», mentre altre due persone sono state tratte in arresto in flagranza di reato per «incendio di rifiuti»;
    l'indagine, nel corso della quale sono state utilizzate telecamere investigative nascoste che riprendevano un sito nel comune di Casal di Principe interessato dal fenomeno dello sversamento illecito dei rifiuti e dai cosiddetti roghi tossici, ha permesso di individuare le persone dedite all'attività illecita di sversamento di rifiuti che sono dimostrati operai del settore edile che sversavano materiale di risulta, elettrotecnici che scaricavano sul sito apparati elettronici non funzionanti, operai che esercitavano abusivamente la raccolta dei rifiuti presso esercizi di ristorazione, ma anche due donne, madri di famiglia, che abbandonavano per strada rifiuti solidi urbani;
    tali notizie allarmanti, che non coinvolgono solo la criminalità organizzata ma anche normali cittadini, rivelano un fenomeno esteso radicato nel malcostume e nell'inconsapevolezza diffusa tra la popolazione di alcuni territori per i danni provocati alla salute pubblica;
    la tematica delle bonifiche dei siti inquinati di interesse nazionale costituisce senza dubbio una problematica complessa, sia per l'estensione dei siti di interesse nazionale (oltre il 3 per cento del territorio nazionale), sia per la gravità delle tipologie di contaminazione e la correlata necessità di investire notevoli risorse private e pubbliche per ripristinarne lo stato di sicurezza, sia per il fatto che si tratta spesso di contaminazioni avvenute in date «storiche» e quindi determinate spesso da attività e produttori non più presenti sui siti;
    i siti inquinati di interesse nazionale nel nostro Paese sono 57 e sono dislocati su tutto il territorio nazionale;
    con il decreto ministeriale n. 471 del 1999 e il decreto legislativo n. 152 del 2006 sono state individuate le aree da inserire nel «programma nazionale di bonifica» come «siti di bonifica di interesse nazionale», sulla base delle caratteristiche del sito inquinato, delle quantità e della pericolosità degli inquinanti presenti, dell'impatto in termini di rischio sanitario ed ecologico sull'ambiente circostante;
    molti siti di interesse nazionale sono stati definiti sulla base della presenza di grandi agglomerati industriali, che hanno avviato l'attività tra gli anni Cinquanta e Sessanta, molti dei quali situati nel Nord del Paese;
    lo studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento (Sentieri), iniziato nel 2007 e completato nel dicembre 2010, condotto e finanziato nell'ambito del programma strategico «ambiente e salute» del Ministero della salute, ha condotto un'analisi della mortalità delle popolazioni residenti in prossimità di una serie di grandi centri industriali attivi o dismessi, o di aree oggetto di smaltimento di rifiuti industriali e/o pericolosi, che presentano un quadro di contaminazione ambientale e di rischio sanitario tale da avere determinato il riconoscimento di «siti di interesse nazionale per le bonifiche»;
    lo studio ha preso in considerazione 44 dei 57 siti oggi compresi nel «programma nazionale di bonifica», che coincidono con i maggiori agglomerati industriali nazionali; la mortalità è stata studiata per ogni sito, nel periodo 1995-2002, attraverso i seguenti indicatori: tasso grezzo, tasso standardizzato, rapporto standardizzato di mortalità e rapporto standardizzato di mortalità corretto per un indice di deprivazione socioeconomica messo a punto ad hoc;
    gli indicatori di mortalità sono stati calcolati per 63 cause singole o gruppi di cause. Sulla base dei risultati compatibili con la presenza di un eccesso/difetto di rischio sanitario relativi alle principali cause di decesso elencate e alle cause per le quali vi è a priori un'evidenza sufficiente o limitata di associazione con le fonti di esposizioni ambientali del sito di interesse nazionale per le bonifiche, si rileva il seguente profilo di mortalità: eccesso tra il 10 per cento e il 15 per cento nella mortalità generale e per tutti i tumori in entrambi i generi; eccesso di circa il 30 per cento nella mortalità per tumore del polmone, per entrambi i generi; eccesso, in entrambi i generi, dei decessi per tumore della pleura: eccesso compreso tra il 50 per cento (uomini) e il 40 per cento (donne) di decessi per malattie respiratorie acute, eccesso di circa il 15 per cento tra gli uomini e il 40 per cento nelle donne della mortalità per malattie dell'apparato digerente, incremento di circa il 5 per cento dei decessi per malattie del sistema circolatorio, soprattutto tra gli uomini;
    gli interventi del legislatore nazionale sono stati orientati sia a sanzionare l'avvenuto inquinamento, sia a creare un contesto favorevole per l'avvio di una politica di ripristino delle aree. In tale ottica le azioni di trattamento dei rifiuti e di bonifica dei siti contaminati diventano strumentali non più esclusivamente alla tutela del territorio e della salute umana, ma assumono anche un ruolo di vettore dello sviluppo socio-economico, favorendo la trasformazione di intere aree, talvolta inserite nel tessuto urbano, da zone improduttive a zone di riqualificazione ambientale, urbana ed economica;
    nell'ambito di tale processo assume particolare importanza il coinvolgimento degli enti territoriali nelle procedure di bonifica dei siti di interesse nazionale, che avviene anche attraverso il frequente ricorso da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare allo strumento dell'accordo di programma, attraverso il quale vengono stanziate e programmate le risorse per il risanamento ambientale di aree demaniali o pubbliche e definiti, in accordo con gli enti locali, gli interventi da realizzare;
    i comuni e le regioni sono costretti ad affrontare quotidianamente problematiche legate a siti inquinati, che spesso non risultano perimetrati come di interesse nazionale, ma che recano ugualmente danni o pericoli di danno alla salute della popolazione, e spesso le amministrazioni sono costrette ad anticipare risorse o addirittura ad intervenire a favore della messa in sicurezza dei luoghi, a garanzia della popolazione, qualora i soggetti che hanno causato il danno ambientale non risultino più presenti nei siti;
    occorrono interventi urgenti indirizzati a portare a termine gli interventi di bonifica, a costi sostenibili e con criteri procedurali certi, a sbloccare i progetti di investimento, rilanciando le aree industriali, a porre a carico delle aziende responsabili dell'inquinamento i costi della riparazione del danno ambientale, valorizzando gli interventi di riparazione posti in essere;
    la scelta delle tecnologie di bonifica non è sempre semplice e deve essere orientata da valutazioni di natura tecnica, ma anche da considerazioni di tipo economico. L'offerta di tecnologie è oggi piuttosto ampia; tuttavia, le varie soluzioni presentano tempi di realizzazione, effetti secondari di impatto ambientale e costi fortemente differenziati. Tali elementi impongono un'attenzione particolare, in relazione agli interventi di bonifica da realizzare, sulla scelta delle migliori tecnologie disponibili in funzione delle caratteristiche del sito, della tipologia di contaminazione, dell'impatto ambientale e della valutazione economica;
    in tale ottica il passaggio dal modello tabellare (decreto legislativo n. 471 del 1999) al modello basato sull'analisi di rischio (decreto legislativo n. 152 del 2006) consente alle aziende italiane non solo di poter operare in modo più efficace nei confronti dell'ambiente, ma anche di allinearsi alle modalità operative (cioè analisi di rischio quale criterio decisionale) attuate al momento non solo in Europa ma anche in altri Paesi, quali Canada e Usa;
    i problemi più rilevanti attengono alla gestione della contaminazione delle falde e delle aree esterne al sito industriale, in quanto occorre individuare il soggetto o i soggetti responsabili dell'inquinamento, tenendo conto della storia del sito, nonché delle responsabilità e del coinvolgimento dei diversi operatori che negli anni hanno gestito il sito;
    la situazione si presenta alquanto critica per le imprese che, a causa di lunghissime procedure di autorizzazione, spesso vedono bloccati cospicui investimenti industriali, importantissimi per il rilancio industriale delle aree;
    gli interventi da realizzare devono tenere conto del rapporto costi/benefici, magari calcolando l'eventuale danno residuo ad intervento realizzato, alla luce del fatto che il costo medio di bonifica, in Italia sembrerebbe pari a 230 milioni di euro per sito, contro un costo medio dei siti paragonabili inclusi nel programma Superfund americano pari a 42,8-75 milioni di euro per sito. Spesso i costi sono poco giustificabili nei casi di terreni che comunque sono destinati ad ospitare attività industriali, pertanto la riparazione dovrebbe avvenire in conformità alla destinazione d'uso del sito, optando per incentivare il redevelopment dei siti inquinati in luogo dell'utilizzo di terreni vergini;
    a fianco a tali problematiche si pongono quelle dello smaltimento dei rifiuti, che si presentano come problematiche tipiche e quasi esclusive del Sud del Paese. In tale campo le regioni e i comuni del Nord hanno da sempre proposto ed attuato forme di gestione dei rifiuti che hanno raggiunto un'eccellenza riconosciuta a livello internazionale, basate sulla raccolta differenziata, sul riutilizzo della materia e sulla riduzione estrema dell'indifferenziato che diventa utile per la produzione di energia attraverso la termovalorizzazione;
    la cattiva amministrazione della gestione dei propri rifiuti da parte di alcune regioni del Centro-Sud ha danneggiato l'immagine dell'Italia a livello internazionale e ha esposto i contribuenti di tutto il Paese a messe in mora pesanti da parte della Commissione europea,

impegna il Governo:

   ad elaborare e attuare, attraverso una collaborazione sinergica tra i ministeri interessati, un piano nazionale per le bonifiche dei 57 siti di interesse nazionale dislocati sul territorio nazionale, con la tempistica cronologica degli interventi, che preveda puntuali investimenti produttivi con nuove infrastrutture ad alta sostenibilità ambientale;
   al di là dei proventi derivanti dalle transazioni con le imprese, a programmare e attivare finanziamenti pluriennali da parte dello Stato per i 57 siti di interesse nazionale, aumentando le risorse finanziarie pubbliche a disposizione e utilizzando i finanziamenti comunitari, per far decollare il piano nazionale delle bonifiche;
   a garantire la trasparenza e l'accessibilità ai dati delle transazioni e delle operazioni finanziarie stipulate e a fornire informazioni di dettaglio sui finanziamenti pubblici utilizzati;
   a garantire un approccio alla bonifica ambientale uniforme su tutto il territorio nazionale, assicurando il coordinamento tra le direttive delle istituzioni nazionali (Ministero, Ispra, Iss) e le amministrazioni locali, nonché Arpa e aziende sanitarie locali, con lo strumento delle conferenze di servizi e con quello degli accordi di programma;
   ad agevolare il riutilizzo per attività industriali dei siti inquinati, previa analisi del rischio in conformità alla destinazione d'uso del sito e previa sottoscrizione di accordi di programma con gli enti territoriali e le istituzioni locali, anche per poter utilizzare risorse private per le bonifiche, optando per incentivare il redevelopment dei siti inquinati in luogo dell'utilizzo di terreni vergini e tenendo conto della sostenibilità degli interventi, anche mediante analisi costi-benefici;
   a promuovere lo strumento della transazione globale per reperire ulteriori fonti di finanziamento da impiegare per le bonifiche e per gli interventi di risanamento da intraprendere nei siti ai quali si riferiscono le transazioni, sulla base di modelli già sperimentati nel Nord Italia (come, ad esempio, quello di Venezia-Porto Marghera);
   ad abbreviare i percorsi e le lungaggini amministrative per consentire la rapida utilizzabilità dei proventi derivanti dalle transazioni già concluse in favore degli interventi di risanamento ambientale dei siti di interesse nazionale, assicurando il mantenimento sul territorio delle risorse derivanti dalle transazioni;
   ad adeguare e semplificare la normativa ambientale in materia, anche alla luce dell'esperienza maturata;
   a sostenere gli enti locali e le regioni che con proprie risorse intervengono per la messa in sicurezza di territori e situazioni locali di inquinamento, anche diversi dai siti di interesse nazionale, prevedendo l'allentamento degli obblighi del patto di stabilità interno per gli investimenti locali utilizzati per la messa in sicurezza e riconversione industriale dei siti inquinati;
   a promuovere, d'intesa con gli enti territoriali competenti, linee guida per Arpa, aziende sanitarie locali ed enti locali per una continua ed effettiva sorveglianza e monitoraggio del proprio territorio;
   a procedere, anche attraverso una campagna pubblicitaria, alla sensibilizzazione della popolazione, a cominciare dall'età scolastica, sulla corretta gestione dei rifiuti e sui danni provocati alla salute pubblica dalla contaminazione del suolo e dagli incendi selvaggi dei rifiuti;
   ad intensificare i controlli da parte dello Stato sul traffico illecito dei rifiuti e sulla criminalità organizzata, evitando di disperdere le energie sul controllo a tappeto delle piccole quantità di rifiuti prodotti dalle piccole e medie imprese, come avvenuto negli ultimi anni attraverso l'utilizzo sbagliato del Sistri;
   a rispettare la gerarchia stabilita dalle direttive comunitarie nella gestione dei rifiuti, promuovendo la raccolta differenziata, il riutilizzo, il recupero di materia e il recupero di quello che resta per la produzione di energia, riducendo al massimo la quantità di rifiuti da conferire in discarica, sulla base di modelli di eccellenza, già sperimentati nel Nord del Paese;
   a rispettare le competenze regionali in materia di rifiuti anche in ordine all'approvazione e alla messa in sicurezza delle proprie discariche da parte di ciascuna regione.
(1-00231) «Grimoldi, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    con la legge n. 833 del 1978, il nostro Paese ha istituito il Servizio sanitario nazionale. A trentacinque anni esatti, dalla sua istituzione il servizio sanitario nazionale continua, nonostante tutto, a rappresentare un pilastro fondamentale del nostro sistema di welfare. Con tutti i suoi limiti e le iniquità, peraltro sempre più evidenti, la sanità pubblica ha finora garantito ai cittadini la necessaria assistenza sanitaria;
    per poter garantire l'universalità e l'equità, la sanità pubblica ha però bisogno di un profondo cambiamento. Un cambiamento che non si può affidare alle risposte del mercato e al maggiore ricorso al privato – che finirebbero per generare ulteriori elementi di disuguaglianze – ma che deve invece trovare gli indispensabili strumenti riformatori proprio avendo come stella polare la difesa di un servizio pubblico realmente accessibile e universale capace di garantire effettivamente a tutti il diritto alla salute e alle cure;
    in realtà si sta sempre più andando verso un sistema sanitario a due binari: uno pubblico sempre più inefficiente e non adeguato, e destinato alle fasce sociali medie e basse, e un sistema misto pubblico privato di sanità integrativa, finanziato con assicurazioni sanitarie private o di categoria, e con prestazioni spesso quali-quantitativamente migliori destinate ai cittadini con maggiori possibilità economiche. Le politiche del definanziamento al Servizio sanitario nazionale e dei ticket, stanno quindi, rendendo competitive le prestazioni private e mettono in crisi i diritti alle prestazioni sanitarie di larghe fasce di popolazione;
    evidentissimi sono i margini di miglioramento dell'offerta sanitaria pubblica: va recuperata efficienza ed efficacia, contrastando fortemente sprechi e illegalità, e colmando un divario inaccettabile e sempre più pesante tra le diverse aree del Paese che lede lo stesso principio di accesso universale alle cure e all'assistenza. A ciò si aggiungono altri problemi: il bisogno di potenziamento dell'assistenza territoriale (previsto, ma non finanziato); i tagli al sociale ed alla non autosufficienza; la mancata definizione dei nuovi LEA; i contratti di lavoro bloccati da anni e la precarietà nel comparto; le crescenti diseguaglianze in termini di accesso alle cure; la marginalizzazione della prevenzione;
    i dati presentati nei mesi scorsi dalla Conferenza delle regioni, indicano che per il periodo 2010-2015 si sono e saranno realizzati tagli rispetto alla spesa tendenziale che arrivano ad una cifra impressionante, intorno ai 30 miliardi di euro. Il serio pericolo è che in questo modo sono a rischio le prestazioni garantite dal Servizio sanitario nazionale. Nella scorsa legislatura, il Governo Berlusconi ha infatti previsto 20 miliardi di tagli, ai quali si aggiungono altri 10 miliardi di euro previsti dal successivo Governo Monti;
    a ciò si aggiunga il taglio del Fondo sanitario per il 2013 di circa 1 miliardo, rispetto al Fondo sanitario nazionale 2012 (FSN 2013: 106.824 milioni; FSN 2012: 107,880 milioni);
    a questi vanno sommati i tagli alle politiche socio-assistenziali, ai fondi per le non autosufficienze. Va quindi presa piena consapevolezza che il nostro Servizio sanitario in questi anni ha già dato, e non può sopportare ulteriori tagli e definanziamenti, pena l'impossibilità di garantire i livelli di assistenza e quindi l'equità nell'accesso alle prestazioni sanitarie;
    come riporta il «Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica» della Corte dei conti, «se da un lato sono sempre stringenti i vincoli per un superamento delle inefficienze, dall'altro sono forti le tensioni che si cominciano a manifestare sul fronte della garanzia di adeguati livelli di assistenza, mentre restano da chiarire le dimensioni di persistenti squilibri finanziari (...). Non mancano, infatti, segnali preoccupanti sul fronte della qualità dei servizi garantiti ai cittadini. Sono ancora previsti rilevanti tagli delle risorse destinate al settore mentre, cresciute le compartecipazioni alla spesa, sempre più limitate, appaiono le possibilità di ricorrere ad ulteriori entrate straordinarie e limitati sono i margini di flessibilità per tutte le realtà territoriali»;
    la prima immediata conseguenza è il costante peggioramento della qualità dell'assistenza e addirittura la mancata erogazione degli stessi LEA in particolare da parte delle regioni sottoposte a piani di rientro;
    peraltro gli incredibili livelli di disuguaglianza raggiunti nel nostro Paese, unitamente alle conseguenze della drammatica crisi economica che stiamo attraversando, stanno peggiorando le condizioni di vita di moltissime persone;
    una crisi economica iniziata nel 2007-2008, e che sta sempre più accentuando le criticità rispetto alla tenuta in termini di qualità, di accessibilità, e di differenziazione geografica del nostro sistema sanitario pubblico;
    se prima la crisi colpiva le famiglie, costringendole a fare a meno di alimenti, vestiario e generi di consumo, oggi è in difficoltà anche la capacità di procurarsi medicine;
    secondo un recente dossier realizzato dalla Fondazione banco farmaceutico Onlus, infatti, in Italia dal 2006 al 2013 è aumentata la povertà sanitaria. Sono raddoppiati i cittadini che hanno difficoltà ad acquistare medicinali, anche quelli con prescrizione medica. È uno scenario di eccezionale gravità che colpisce in modo profondo il diritto alla salute e l'accesso alla cura dei cittadini più deboli e bisognosi;
    a questo si aggiunge una politica miope che sta compromettendo seriamente il servizio sanitario pubblico, creando grandi disparità di accesso e di cure tra le persone. Soprattutto dal 2008 in poi, il Servizio sanitario nazionale ha subito tagli molto pesanti, con effetti negativi sulle prestazioni, erogate, sulla qualità dei servizi, sull'assistenza territoriale, sui finanziamenti all'edilizia sanitaria;
    in questi ultimi anni si è infatti assistito a politiche economiche basate prevalentemente sul contenimento e il definanziamento della spesa pubblica, e la sanità è il settore che ha subito i colpi più pesanti, laddove i tagli sono serviti, più che a rendere maggiormente efficiente il sistema e a ridurre i veri sprechi, a trovare con «facilità» risorse immediate per finanziare le manovre economiche che in questi anni si sono succedute;
    il ricorso allo strumento del ticket e della compartecipazione al costo in ambito sanitario, è da questo punto di vista esemplare. I dati, presentati il 9 maggio 2013 dall'Agenas, l'Agenzia nazionale per servizi sanitari regionali, nell'ambito del progetto Remolet (Rete di monitoraggio dei livelli essenziali tempestiva), hanno evidenziato il sostanziale fallimento del «superticket» sull'assistenza specialistica introdotto dal Governo Berlusconi, con la finanziaria per il 2011. Avrebbe dovuto compensare un mancato finanziamento al Servizio sanitario nazionale di 830 milioni, ma le stime dicono che complessivamente dovrebbe aver prodotto un gettito di soli 244 milioni di euro;
    uno degli effetti negativi evidenti, prodotti dall'introduzione del superticket, è individuabile nel fatto che i cittadini non esenti abbiano richiesto al Servizio sanitario nazionale il 17,1 per cento in meno di prestazioni specialistiche. Si tratta o di casi in cui si è rinunciato per ragioni economiche, o di prestazioni acquistate direttamente dal privato, che le offre a prezzi concorrenziali, ponendo anche problemi in termini di qualità e sicurezza;
    non c’è dubbio che, anche a causa di risorse insufficienti o di tempi di attesa molto lunghi, si sta diffondendo in maniera preoccupante un atteggiamento di rinuncia alle cure sanitarie da parte dei cittadini meno abbienti;
    è evidente che anche in conseguenza dei tagli alla sanità che vengono da anni costantemente inflitti, ormai senza più limiti, gli aumenti dei ticket – soprattutto per le regioni commissariate – diventano praticamente inevitabili. Questo fa sì, contemporaneamente alla decrescita rapida del livello di reddito delle persone, che anche quel ticket, che viene vista come una spesa sostanzialmente sostenibile, diventi qualcosa di insuperabile, e che mette molti cittadini nelle condizioni di non potersi curare;
    ricordiamo che il Servizio sanitario nazionale ha «beneficiato» di un incremento dei ticket che in ambito pubblico sono cresciuti di ben il 13,4 per cento rispetto al 2011, per l'effetto anche della reintroduzione della quota fissa, per ricetta o delle misure equivalenti introdotte dalle regioni;
    come ricorda la Corte dei conti, nel 2012 le entrate per le diverse forme di compartecipazione hanno subito una accelerazione. Nel complesso le entrate di tale tipologia son risultate superiori ai 2,9 miliardi, di cui 1,5 miliardi per la specialistica e altre prestazioni e 1,4 miliardi per la farmaceutica. L'aumento rispetto al 2011 è superiore al 9 per cento: +13,4 per cento per la specialistica e altre prestazioni e +5,2 per cento per i farmaci;
    il decreto-legge n. 158 del 2012, il cosiddetto decreto Balduzzi, aveva previsto il rilancio dell'assistenza territoriale per l'intero arco della giornata, adottando forme organizzative in grado di erogare prestazioni assistenziali tramite il coordinamento e l'integrazione dei professionisti delle cure primarie del sociale a rilevanza sanitaria, nei limiti però delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale assegnate alle regioni;
    attualmente le regioni dovrebbero privilegiare la costituzione di reti di poliambulatori territoriali aperti h24 e collegati telematicamente con gli ospedali. Un obiettivo condivisibile destinato a rimanere sostanzialmente sulla carta in assenza delle risorse necessarie;
    il costante aumento della vita media sta comportando inevitabilmente un aumento delle malattie croniche e degenerative, con una conseguente modifica dei bisogni sanitari. Va quindi rivisitato il sistema di protezione sociale, che dovrà essere rivolto sempre più alla persona, per soddisfare le esigenze non solo sanitarie ma anche quelle assistenziali;
    la sanità, soprattutto in relazione alle malattie croniche, deve essere sempre maggiormente programmabile, ed è indispensabile che le strutture pubbliche e private accreditate, operino sempre più in sinergia al fine di migliorare le politiche della salute territoriale e della qualità dei percorsi di cura. Sotto questo aspetto andrebbe sviluppata la cosiddetta «sanità di iniziativa», ossia strutture socio-sanitarie che operano per prevenire le diverse patologie e comunque in grado di gestirle al meglio e prevenirne le complicanze;
    nell'ambito della riorganizzazione della rete sanitaria territoriale andrebbe incentivata la diffusione delle «Case della Salute», un nuovo punto di riferimento per la salute dei cittadini, dove i servizi di assistenza primaria si integrano nel territorio con quelli specialistici, della sanità pubblica, della salute mentale e con i servizi sociali e le associazioni di volontariato, nonché per la presa in carico dei portatori di handicap alle cure per i malati cronici. In questo senso l'integrazione socio-sanitaria è essenziale, e la collaborazione con i comuni è indispensabile per portare avanti programmi multisettoriali;
    la realtà è che in ambiti quali la prevenzione, l'assistenza domiciliare e territoriale, la razionalizzazione delle reti ospedaliere, sarebbe necessario investire oggi per ottenere risparmi, complessivi per il Servizio sanitario nazionale domani;
    va peraltro sottolineato che a fronte di tagli pesantissimi volti a ridurre il peso della spesa sanitaria sul bilancio statale, il nostro servizio sanitario pubblico rimane tra i meno costosi al mondo. Nelle statistiche internazionali, l'Italia si presenta con una spesa più bassa della media OCSE e della media Unione europea;
    il 26 settembre scorso, è stato presentato il IX rapporto Ceis (Centre for economic and international studies) dell'università di Roma «Tor Vergata», dal titolo «Crisi economica e sanità»;
    i dati che emergono dal Rapporto parlano di un calo degli investimenti (ma solo nel pubblico), e di una spesa che si sposta sui cittadini, soprattutto nelle regioni in «rosso»;
    per quanto riguarda la spesa sanitaria italiana, il Rapporto conferma che, considerando, sia la componente pubblica che privata, è ormai tra le più basse d'Europa: quasi il 24 per cento in meno rispetto alla media dell'Europa a 15, in sostanza la «vecchia» Europa, dove sono compresi, oltre all'Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svezia;
    nel 2011 la spesa sanitaria complessiva (pubblica e privata) pro-capite in Italia è stata inferiore di circa il 23,9 per cento rispetto ai Paesi appartenenti all'EU 15. Con un'incidenza complessiva sul PIL che formai inferiore al 9 per cento (fonte OECD). Un quadro negativo che si ritrova, anche nella spesa pubblica per la protezione sociale;
    è necessario difendere le caratteristiche del nostro Servizio sanitario nazionale, e che sono la tutela della salute, l'equità, di accesso ai servizi sanitari, l'universalità e il finanziamento pubblico;
    nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2013, presentata dal Governo a settembre scorso, si legge, tra l'altro, che il sistema sanitario dovrà essere sempre più «selettivo», occorrendo in particolare «ridisegnare il perimetro dei LEA». Ovvero queste affermazioni rischiano di comportare inevitabilmente una rivisitazione delle prestazioni cui hanno diritto i cittadini;
    di fatto, prosegue il definanziamento della sanità pubblica per i prossimi anni, ma con in più, una probabile riduzione delle tutele;
    i dati presentati, dalla nota di aggiornamento al DEF 2013, parlano infatti di una spesa sanitaria a legislazione vigente per gli anni 2012/2017, che passa dal 7,1 per cento del PIL del 2013 e del 2014, al 6,8 per cento per il 2016, e al 6,7 per cento del PIL per il 2017;
    le necessarie risorse da «liberare» al fine di un finanziamento del nostro Servizio sanitario nazionale, devono infatti trovarsi in gran parte da una vera lotta alla corruzione, al controllo rigoroso degli accreditamenti, alle diseconomie e agli sprechi tutti interni alla sanità, piuttosto che con una riduzione dei diritti e dell'universalismo, e nei tagli lineari che da anni stanno interessando il Servizio sanitario nazionale;
    la legge n. 191 del 2009 e il decreto-legge n. 95 del 2012, hanno previsto che la prosecuzione ed il completamento da parte delle regioni interessate dal piano di rientro e non commissariate, sono le condizioni per l'attribuzione a dette regioni di una quota premiale annua, pari allo 0,25 per cento delle risorse ordinarie previste per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, qualora dette regioni abbiano adottato misure idonee per una corretta gestione dei bilanci sanitari;
    la necessità di «premiare» le regioni che hanno avviato un percorso virtuoso di rientro dal deficit sanitario, andrebbe rafforzato prevedendo che la suddetta quota premiale di riparto venga attribuita anche per quelle regioni sottoposte ai piani di rientro che avviino processi efficaci di riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali in grado di rispondere in modo appropriato ai bisogni di cura e di salute dei cittadini;
    vale peraltro la pena evidenziare che – come riporta la CGIL nel suo «Una sanità di tutti» del 22 gennaio 2013 – oltre a garantire il diritto alla salute e alle cure, la spesa, per il Servizio sanitario nazionale potrebbe invece rappresentare un eccellente investimento economico. Il valore aggiunto diretto e indotto derivante dalle attività della filiera della salute supera i 150 miliardi di euro, pari a circa il 12 per cento del PIL;
    negli ultimi dieci anni, accanto alla farmaceutica, vi è stata una notevole crescita, dei servizi professionali e di quelli, informatici, delle telecomunicazioni e dei dispositivi medici. Nei servizi sanitari l'intreccio tra il terziario avanzato e i settori ad alta tecnologia, ha impatti rilevanti sia in termini occupazionali che di remunerazione degli investimenti. Per ogni euro speso in sanità si generano 1,7 euro circa;
    la necessità di confermare e rafforzare l'universalità e l'equità del nostro Servizio sanitario nazionale, deve altresì passare anche attraverso un ampliamento del diritto alla salute anche per le persone senza fissa dimora, finora escluse. Una carenza da colmare attraverso una modifica della legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale. Le persone senza fissa dimora non patiscono solo il degrado delle condizioni di vita, dalla mancanza, d'alloggio alla sopravvivenza quotidiana, ma risultano anche «invisibili» dal punto di vista sociale e istituzionale e quindi fuori, da una rete formale e informale di sostegno che non sia quella caritativa. Uno degli elementi più evidenti di questa condizione è infatti che queste persone senza fissa, dimora non hanno il requisito della residenza anagrafica e questo gli impedisce, di accedere ai servizi del servizio sanitario pubblico;
   la legge n. 833 del 1978, individua infatti nella residenza il criterio normale di collegamento tra utente e azienda sanitaria locale (ASL) e in base all'articolo 19, tale criterio poggia sulla residenza anagrafica. Alla persona sprovvista di residenza è quindi di fatto precluso l'esercizio del diritto alla salute, poiché l'articolo citato stabilisce che per accedere alle prestazioni del Servizio sanitario nazionale occorre essere iscritti presso l'ASL nel cui territorio l'utente ha fissato la sua residenza. Questo comporta che le persone senza fissa, dimora, non potendo essere iscritte al Servizio sanitario nazionale, non possono esercitare la facoltà di scelta del medico di base. Per loro l'assistenza di base è garantita solo dagli, ambulatori gestiti da medici volontari e l'assistenza ospedaliera è limitata alla gestione delle situazioni di emergenza attraverso le prestazioni erogate dal servizio di pronto soccorso;
    va altresì evidenziato come le emergenze ambientali-sanitarie nel nostro Paese si fanno sempre più acute, interessando tantissime aree sia a vocazione industriale sia di pregio paesaggistico-agricolo. Basti pensare alla produzione chimica, metallurgica, e altro, sia nel nord che nel sud del Paese, a cui va aggiunto l'insostenibile inquinamento ambientale di vaste aree del nostro territorio: dai siti interessati da interventi di bonifica, alla «terra dei fuochi» in Campania con la presenza diffusa di materiali, nocivi e rifiuti tossici smaltiti illegalmente, e a fortissimo impatto di inquinamento e di danno alla salute pubblica. Tutto ciò suggerisce come la separazione tra problematiche ambientali e tutela della salute pubblica indebolisca fortemente le possibilità di monitorare e contrastare i rischi dell'inquinamento e i conseguenti, danni sanitari. Dovrebbero a tal fine, essere riconsiderati i rapporti tra attuale prevenzione collettiva e le attività svolte dalle Agenzie regionali per l'ambiente,

impegna il Governo:

   ad invertire la linea di riduzione drastica delle risorse del sistema di protezione sociale, a partire dai servizi sociosanitari, e interrompere la pericolosa spinta verso il secondo pilastro delle assicurazioni complementari o integrative per tutte le prestazioni comprese quelle previste dai LEA;
   ad attivare opportune ed efficaci iniziative, anche normative, volte a intensificare il contrasto alle frodi e alla corruzione, purtroppo troppo presente in questo settore, nonché alle diseconomie e agli sprechi tutti interni alla sanità, anche al fine di liberare risorse importanti per il finanziamento del nostro Servizio sanitario nazionale;
   a promuovere, per quanto di competenza, un sistema di accreditamento più rigoroso e di qualità all'interno della programmazione pubblica e con valutazione dei risultati;
   a rinnovare con adeguate risorse il sistema delle cure primarie, investendo sulla prevenzione, l'assistenza domiciliare e territoriale soprattutto ad alta integrazione sociale (anziani, salute mentale, disabilità), e sulla razionalizzazione delle reti ospedaliere salvaguardando piccoli presidi in zone disagiate, così come chiesto anche dall'Unione nazionale comuni comunità enti montani (UNCEM);
   ad assumere iniziative, unitamente alle regioni, affinché la razionalizzazione della rete ospedaliera sia contestualmente affiancata da un uno sviluppo dell'assistenza territoriale h24, in modo tale che l'eventuale riduzione/riconversione delle strutture ospedaliere avvenga solo in presenza di una contemporanea offerta a garanzia dei livelli di assistenza socio sanitaria distrettuale (centri h24, domiciliare integrata, residenziale e semiresidenziale);
   a rilanciare in particolare la sanità, territoriale per affrontare le novità, demografiche ed epidemiologiche attraverso un modello socio-bio-psico-sociale, e percorsi assistenziali condivisi tra clinici, e pazienti secondo il principio «niente che mi riguarda può essere fatto senza di me»;
   a promuovere e mettere a sistema la scelta delle «Case della Salute», strutture di base del sistema, luogo di partecipazione dei cittadini, programmazione e strutturazione dell'organizzazione sanitaria territoriale nell'ambito di politiche che assicurino continuità assistenziale: assistenza domiciliare integrata, ospedalizzazione domiciliare, cure intermedie;
   a rivedere radicalmente la politica dei ticket e quindi la compartecipazione alla spesa sanitaria, anche attraverso forme di compartecipazione che tengano conto della componente reddituale e patrimoniale delle famiglie, della eventuale presenza di patologie o invalidità, al fine di individuare forme più eque che garantiscano effettivamente l'universalità della sanità pubblica e il diritto alla salute e l'accesso alla cura dei cittadini a cominciare dalla parte più debole e bisognosa, con l'obiettivo di ridurre il loro peso complessivo e di evitare la sempre più frequente rinuncia «obbligata» di molti cittadini all'acquisto di farmaci o all'accesso alle prestazioni sanitarie pubbliche, e la spinta verso i sistemi privati soprattutto quelli «low cost»;
   ad avviare le opportune normative affinché la prevista quota premiale di riparto delle risorse previste per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale a favore delle regioni che abbiano adottato misure idonee per una corretta gestione dei bilanci sanitari, venga attribuita anche per quelle regioni sottoposte ai piani di rientro che avviino processi efficaci di riorganizzazione dei servizi sanitari, e assistenziali in grado di rispondere in modo appropriato ai bisogni di cura e di salute dei cittadini;
   ad invertire gradualmente la tendenza in atto in questi ultimi anni, prevedendo una ripresa dei finanziamenti al Servizio sanitario nazionale e alle politiche sociali, entrambi al di sotto della media Unione europea ed OCSE, lo sblocco del turn-over e la stabilizzazione dei precari – che spesso assicurano i LEA – al fine di consentire la riorganizzazione e riqualificazione della nostro Servizio sanitario nazionale e sociale;
   ad avviare una politica di maggiori investimenti e incentivi finalizzati ad estendere la ricerca (pubblica e privata) in campo medico e biologico, nelle biotecnologie e nella strumentazione medica, nei sistemi di cura e riabilitazione, per far crescere, anche in questo modo, nuove attività economiche e nuovi servizi pubblici, con ricadute importanti per il settore, per l'occupazione e per la nostra economia;
   a promuovere, nell'ambito delle proprie competenze e d'intesa con le regioni, una efficace politica di prevenzione volta ad un rafforzamento della collaborazione e delle sinergie tra le aziende sanitarie e le Arpa regionali, anche tramite la costituzione di nuove entità organizzative integrate ambientali-sanitarie, inserite nei servizi sanitari regionali, tra le Agenzie ambientali regionali e una parte degli, attuali servizi e attività presenti nei dipartimenti prevenzione delle Asl;
   ad assumere un'opportuna iniziativa normativa di modifica della legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale, al fine di consentire alle persone senza fissa dimora, prive della residenza, anagrafica, di poter essere iscritte negli elenchi, riportanti gli utenti del Servizio sanitario nazionale relativi al comune in cui si trovano, e poter così accedere alle prestazioni del Servizio sanitario nazionale.
(1-00232) «Nicchi, Piazzoni, Aiello, Migliore, Di Salvo, Lacquaniti, Melilla, Pannarale, Ricciatti, Sannicandro».

Risoluzioni in Commissione:


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    con riferimento alla questione della bonifica del sito contaminato ex Pertusola ed ex Fosfotec di Crotone, ora di proprietà della società Syndial alla quale spetta l'onere di effettuare i lavori di messa in sicurezza e di bonifica dell'intera area su citata, era stata personalmente presentata a prima firma della sottoscritta del presente atto di indirizzo una apposita interrogazione a risposta in Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici (precisamente l'interrogazione n. 5/01030), allo scopo di sapere quando il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe fornito alla stessa società Syndial i necessari approfondimenti istruttori relativi ai progetti di risanamento presentati nel triennio 2008/2011;
    tali pareri del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare risultavano essere necessari per poter portare avanti e per attuare concretamente i già citati progetti di messa in sicurezza del sito contaminato;
    nel merito della questione della bonifica del sito di Crotone si ricorda in questa sede che, con sentenza passata in giudicato del tribunale di Milano, decima sezione civile n. 2536 del 28 febbraio 2012, la società Syndial veniva condannata a liquidare il danno derivante dall'inquinamento del sito di Crotone, determinando di conseguenza la somma da risarcire;
    ai sensi del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013, si apprende che per la progettazione e l'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza del sito di Crotone, su proposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è stato nominato un commissario straordinario ai sensi dell'articolo 20 della legge n. 185 del 2008;
    per l'attuazione del progetto di messa in sicurezza del sito contaminato di Crotone, tale commissario straordinario potrà avvalersi dell'intera somma liquidata per il risarcimento del danno a favore dell'amministrazione dello Stato dal tribunale di Milano con la su citata sentenza n. 2536 del 2012: tali somme affluiranno una apposita contabilità intestata al Commissario medesimo,

si impegna il Governo:

   ad utilizzare le risorse derivate dalla sentenza di condanna della società Syndial per l'area di Crotone interamente alla bonifica della stessa area, con particolare priorità al recupero dell'area archeologica denominata antica Kroton;
   a riferire, entro 6 mesi, sull'approvazione del progetto di intervento in conformità alla normativa vigente ed in attuazione dell'accordo di programma quadro.
(7-00154) «Dorina Bianchi, Latronico».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    l'area dello Stretto rappresenta una singolare realtà territoriale ed insediativa nazionale. Su di essa, infatti, si affacciano Messina, Reggio Calabria e Villa San Giovanni, nuclei urbani che per vicinanza, cultura e rapporti economici, costituiscono, di fatto, una vera e propria città metropolitana di oltre 400 mila abitanti (al settimo posto tra le città più popolose d'Italia) situata al centro del Mediterraneo;
    nei territori provinciali adiacenti all'Area medesima sono infatti distribuiti su 4,500 chilometri quadrati, 200 comuni, la cui densità abitativa raggiunge complessivamente, il numero di un milione e mezzo di abitanti, che danno vita di fatto all’«Area Metropolitana Integrata dello Stretto»;
    il sistema dei collegamenti marittimi, ferroviari e stradali fra gli insediamenti nell'area dello Stretto, nell'ambito del suesposto quadro geo-sociale, assume pertanto un ruolo fondamentale per lo sviluppo economico e territoriale, in considerazione del notevole flusso di spostamenti giornalieri di persone e di merci;
    la particolare conformazione territoriale (che costringe il tessuto urbano lungo strette fasce costiere) ostacola le comunicazioni e lo sviluppo, delle potenzialità dell'Area metropolitana e determina una serie di difficoltà nella mobilità sia per il trasporto di merci, sia per lo spostamento delle persone, in particolare per i pendolari, il cui numero, complice la crisi economica, è aumentato notevolmente negli ultimi anni;
    al flusso complessivo attuale di traffico passeggeri e merci su tutte le modalità di trasporto ad elevata frequenza non è corrisposto, nel corso degli anni, un adeguato e competitivo sistema di opere e di collegamenti infrastrutturali cui si sarebbe dovuto fare fronte attraverso politiche trasportistiche efficienti ed innovative, in grado di far assumere e riconoscere conseguentemente all'area dello Stretto, le funzioni di un nodo rilevante della rete di comunicazione nazionale, all'interno di un'area euro-mediterranea strategica per l'Italia nell'ottica del confronto con i Paesi del bacino del Mediterraneo;
    nell'ambito dei principali piani d'investimento di opere infrastrutturali e di trasporto strategiche, il progetto del ponte sullo Stretto ha indubbiamente rappresentato la più importante decisione di politica economica degli ultimi decenni, la cui realizzazione avrebbe consentito la riqualificazione delle aree urbane, una migliore integrazione e il potenziamento della rete di collegamento infrastrutturale esistente nell'area interessata;
    ai complessi e articolati rilievi di criticità – non soltanto di carattere finanziario – che hanno determinato la sospensione della realizzazione dell'opera, non è corrisposto, nel corso degli ultimi anni, un piano di offerta infrastrutturale alternativa, per incrementare i livelli di efficienza dei trasporti e dei collegamenti nell'Area dello Stretto, i cui ritardi e le cui carenze in termini di efficienza infrastrutturale e di competitività, hanno assunto livelli di allerta e di decadimento particolarmente gravi;
    il sistema attuale nell'area, infatti, si rivela essere inadeguato, sotto diversi profili: continui aumenti delle tariffe massime nei collegamenti marittimi con le isole minori; persistenti difficoltà finanziarie nell'assicurare un servizio di collegamento per il trasporto marittimo veloce in forma permanente; costante incremento dell'inefficienza qualitativa dei servizi ferroviari e marittimi resi agli utenti, in particolare pendolari (soppressione delle corse sia ferroviarie che marittime, continui ritardi dei treni e dei guasti ai locomotori);
    quanto sopra esposto rende evidente l'intenzione da parte del gruppo Ferrovie dello Stato di perseguire politiche di dismissione attraverso un ridimensionamento del piano industriale e degli investimenti nell'area dello Stretto;
    a causa dei suddetti rilievi critici si è determinato uno spostamento del flusso dei trasporti sulla rete stradale e autostradale siciliana e l'aumento del volume di circolazione di viaggiatori e di merci ha, negli ultimi anni, inciso negativamente sull'impatto ambientale con aumento delle emissioni inquinanti dei veicoli – acustiche ed atmosferiche – a carico soprattutto delle aree urbane di Messina e Villa San Giovanni (come hanno dimostrato i provvedimenti di proroga dello stato di emergenza del traffico a Messina, emanati nel corso degli ultimi anni);
    la qualità dell'offerta trasportistica dell'area dello Stretto appare, pertanto, in palese contrasto con il diritto alla continuità territoriale, che s'inserisce nell'ambito della garanzia dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e della coesione di natura economica e sociale, ovvero nella capacità di garantire un servizio di trasporto che non penalizzi cittadini residenti in territori meno favoriti;
    i numerosi atti di sindacato ispettivo e i conseguenti impegni assunti dal Governo nel corso della scorsa legislatura nell'ambito della tutela del principio di equità volto a garantire il diritto alla mobilità a tutti i cittadini – indipendentemente dalla loro dislocazione geografica ed, in particolare, di fronte allo svantaggio dell'insularità – attraverso un potenziamento dei sistemi di collegamento di trasporto, non hanno determinato un mutamento dello scenario trasportistico, la cui la costante riduzione di offerta in termini sia quantitativi che qualitativi, alimenta, invece, le più che evidenti disparità esistenti fra il Nord e il Sud del Paese;
    il gap infrastrutturale nell'Area dello stretto, nell'ambito dei servizi di collegamento di trasporto, si è reso più evidente nell'attuale fase di crisi economica – probabilmente la peggiore del dopoguerra – e sollecita una serie d'interventi urgenti volti ad invertire il trend negativo dei livelli di efficienza dei sistemi di collegamento dei trasporti nel territorio interessato;
    nell'ambito delle politiche di trasporto volte al potenziamento e allo sviluppo dell'intero sistema per il Mezzogiorno ed in particolare per la regione Sicilia, la realizzazione del ponte sullo Stretto, avrebbe dovuto essere considerata come una componente, all'interno di un più ampio processo di offerta di collegamento tra l'isola ed il resto del continente, i cui livelli di competitività nel corso degli anni, avrebbero dovuto garantire in modo contestuale e parallelo, un miglioramento complessivo dell'organizzazione e del livello di efficienza dei servizi per il trasporto in particolare nell'Area dello Stretto;
    risulta evidente, in considerazione di quanto esposto in precedenza, come nella programmazione generale delle opere prioritarie ritenute strategiche a livello nazionale, sia emersa una disparità di valutazione e di attenzione tra il progetto ferroviario della Tav, alta velocità Torino-Lione – la cui linea costituisce una porzione del Progetto prioritario 6 (Lione-Trieste-Budapest-confine ucraino) della rete ferroviaria trans-europea, che rientra all'intero del quadro di sviluppo infrastrutturale delle reti di trasporto trans-europee TEN-T – e la costruzione del ponte sullo Stretto, il cui verificarsi dell'evento caducatorio previsto dal decreto-legge n. 179 del 2012 stabilito dal precedente Governo, determinerà tra l'altro un contenzioso ed ulteriori oneri per effetto della mancata realizzazione;
    appare chiaro che la sospensione della realizzazione del ponte sullo stretto – avvenuta attraverso il decreto di liquidazione della società concessionaria «Stretto di Messina Spa», il 15 aprile 2013 da parte dell'ex Presidente del Consiglio Monti ed indicato dall'articolo 34-decies del suindicato decreto-legge – stia determinando una serie di gravi e penalizzanti conseguenze economico e finanziarie per l'Italia e, in particolare, per la regione Sicilia;
    gli oneri derivanti dagli investimenti effettuati per il progetto ed il mantenimento della società concessionaria – stimati attualmente in oltre 300 milioni di euro, a cui si aggiungerebbero le penali contrattuali valutate approssimativamente a circa 700 milioni di euro, in caso di mancata realizzazione – rischiano di rappresentare un dispendio paradossale di risorse pubbliche, se si considera che la mancata realizzazione del Ponte sullo Stretto comporterebbe una perdita che ha un valore economico pari a quello di un'infrastruttura realizzata, senza usufruirne nella realtà di alcuna opera;
    le condizioni complessive del sistema di trasporto nell'area dello Stretto, impongono, in definitiva, una profonda e radicale rivisitazione programmatica delle politiche d'intervento nel territorio siciliano, attraverso la definizione di un nuovo quadro prospettico di medio e lungo periodo, in grado di prevedere ingenti investimenti finanziari – anche attraverso il sostegno di project financing ed il partenariato pubblico e privato – volti all'ammodernamento dei servizi di collegamento marittimi, ferroviari e stradali, che consenta di rendere più efficiente lo spostamento del flusso complessivo del traffico dei pendolari e delle merci, attraverso lo sviluppo del trasporto intermodale e delle «autostrade del mare» in una logica di sistema,

impegna il Governo:

   ad avviare in tempi rapidi, iniziative volte ad accrescere i livelli di competitività ed efficienza dell'offerta di servizi disponibili per le diverse modalità di trasporto, nell'ambito della mobilità nell'area dello Stretto;
   a definire un quadro generale multimodale alternativo alla realizzazione del ponte sullo Stretto (dal momento che la decisione di sospendere la realizzazione dell'opera e di liquidare la società concessionaria dello Stretto di Messina, configura una probabile definitiva cessazione dell'esecuzione) in grado di potenziare, in particolare, i sistemi di collegamento marittimi, ferroviari e intermodali.
(7-00152) «Garofalo».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    nella scorsa legislatura, il Governo ha proposto un riordino organico del settore aeroportuale, sia sotto il profilo infrastrutturale che per quanto concerne i servizi e le relative gestioni;
    l'atto di indirizzo per la definizione del piano nazionale per lo sviluppo aeroportuale dello scorso 29 gennaio 2013 ha delineato una strategia di riordino basata sulla classificazione degli aeroporti di interesse nazionale e sul trasferimento alle regioni degli scali non di interesse nazionale;
    tale scelta gerarchica non facilita il necessario approccio di sistema richiesto per il riordino organico del settore aeroportuale, che da un lato dovrebbe garantire il soddisfacimento delle esigenze di carattere industriale del comparto per la competitività del sistema nel suo complesso, mentre dall'altro lato dovrebbe tutelare e assicurare, a tutti i territori nazionali, la continuità territoriale, garantendo situazioni di effettiva parità tra i cittadini in relazione al diritto alla mobilità;
    già nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul sistema aeroportuale italiano, svolta dalla Commissione trasporti nel 2010, è emersa, tra l'altro, la necessità di pervenire ad un riordino organico del settore aeroportuale che non solo disincentivi la parcellizzazione degli aeroporti e permetta di individuare quelli prioritari su cui concentrare le risorse, ma che individui anche profili di specializzazione (ad esempio trasporto merci o aviazione generale, traffico con Paesi vicini e altro) per gli aeroporti con bassa intensità di traffico, al fine di garantire agli stessi il raggiungimento di un equilibrio economico e gestionale, nell'ottica di una nuova prospettiva industriale in materia aeroportuale;
    il sistema della viabilità e del trasporto passeggeri e merci della Calabria sconta un pesantissimo quadro di perduranti ritardi ed inefficienze nei lavori di ammodernamento e sviluppo della rete infrastrutturale di trasporto regionale, con intere porzioni di territorio, come la provincia di Crotone, in condizioni di vero e proprio isolamento geografico e di estrema difficoltà nell'assicurare mobilità alle persone e ai soggetti economici della regione ed in particolare di Crotone;
    inoltre tale situazione si inserisce in un contesto, quello del Mezzogiorno d'Italia, già pesantemente penalizzato dalle politiche generali dei trasporti, che, in particolare, hanno previsto la messa in esercizio dei treni alta velocità Freccia Rossa nelle sole tratte del centro-nord e la cancellazione sulla tratta jonica di tutti i treni a lunga percorrenza, incrementando ulteriormente lo squilibrio degli standard di servizio con il Sud del Paese;
    in tale prospettiva sembrerebbe che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stia elaborando il Piano aeroporti con l'aiuto di un tavolo tecnico a cui partecipano i rappresentanti delle regioni, dell'ENAC e dello stesso Ministero con l'obiettivo di superare l'approccio basato sulle classificazioni del precedente Piano attraverso un sistema organizzato in bacini di traffico;
    il sistema degli aeroporti in Calabria è, ad oggi, strutturato su tre scali: lo scalo di Lamezia Terme che riveste un ruolo strategico per il trasporto aereo dell'intera Calabria, l'aeroporto di Reggio Calabria e l'aeroporto di Crotone che ad oggi è bassa attività volatile;
    tuttavia ciascuno dei suddetti scali presenta specifici aspetti di potenzialità e di funzionalità estremamente disuguali tra di loro, assolvendo a compiti diversi nell'ambito del sistema del trasporto aeroportuale del territorio; ad esempio è fuori dubbio che un valore fondamentale dell'aeroporto di Crotone è stato riconosciuto anche da parte dell'Unione europea e per la prima volta in considerazione di un aeroporto fuori dalle isole, la continuità territoriale in relazione all'assenza di adeguate reti stradali e di una rete ferroviaria che negli ultimi anni è andata addirittura peggiorando, rendendo oltremodo disagevole la possibilità per gli abitanti del territorio di spostarsi sia all'interno della regione che al di fuori di essa;
    sarebbe auspicabile che la regione Calabria, per favorire un più efficace sistema di collegamento interno ed anche al fine di estendere il bacino di utenza dell'area di Crotone, si adoperasse per la costituzione di un sistema di metropolitana leggera sulla fascia jonica che collega Sibari con Catanzaro Lido;
    la stessa Unione europea individua nella riduzione delle disparità regionali la condizione per la crescita e lo sviluppo dell'Unione intera e il poter contare su un'efficiente sistema infrastrutturale e di trasporto nel Sud Italia, nella Calabria ed in particolare a Crotone, rappresenta una priorità strategica fondamentale;
    pertanto risulta di estrema importanza per i cittadini di quel territorio che il Piano degli aeroporti in preparazione attribuisca allo scalo di Crotone uno specifico ruolo, in rete con gli altri aeroporti del medesimo bacino di traffico in una suddivisione dei compiti che realizzi per detto aeroporto una programmazione di bacino in cui siano soddisfatte sia le esigenze di carattere industriale del sistema sia l'attuazione del principio di continuità territoriale e di parità di trattamento rispetto agli altri territori nazionali, che hanno accesso ad un sistema di mobilità rispondente alle esigenze della vita moderna;
    non si può, inoltre, non tenere conto delle eventuali ricadute sociali che la soppressione dell'aeroporto di Crotone ha determinato, in quanto unico punto di trasporto, che attualmente serve un ampio bacino di utenza proveniente dalla intera fascia jonica ricompresa tra Sellia Marina e Sibari. Ciò comporta inoltre l'aggravarsi dello scarso sviluppo e competitività dell'area già penalizzata da un'insufficiente accessibilità ai poli di interesse turistico e alle aree interne, determinati dagli eccessivi tempi di viaggio e da un'inefficienza dei sistemi di trasporto, soprattutto in chiave di interscambio, che determinano una perdita di competitività delle imprese ed in generale dell'intera economia del territorio, anche in termini di attrattività turistica e commerciale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per non tagliare le risorse previste dalla legge n. 448 del 28 dicembre 2001 – articolo 52, comma 35;
   ad avviare la procedura prevista dall'articolo 14 del contratto di programma Stato-ENAV per procedere alla variazione della tipologia del servizio di navigazione aerea presso l'aeroporto di Crotone;
   ad inserire l'aeroporto di Crotone nell'ambito di un sistema organizzato in bacini di traffico in cui detto aeroporto possa assolvere, in rete con l'aeroporto di Lamezia Terme e quello di Reggio Calabria, a funzioni specifiche connesse alle esigenze agroindustriali di rilancio del settore e di pianificazione dell'offerta aeroportuale, riconoscendo il valore di questo aeroporto, così come già avviene in maniera consolidata per le rotte sociali di Lampedusa e di Pantelleria, nella realizzazione della continuità territoriale per il territorio crotonese già gravato da enormi deficit infrastrutturali sia viari, – la strada statale 106, unica arteria della costa jonica denominata la strada della morte, è particolarmente pericolosa pur essendo a lenta percorrenza – che ferroviari, causa di ritardo di sviluppo e di un isolamento pesante a cui occorre porre rimedio con urgenza.
(7-00153) «Tullo, Biasotti, Oliverio, Dorina Bianchi, Stumpo, Bruno Bossio».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Lombardia sono presenti numerosi itinerari ciclo-pedonali, molti dei quali con elevato interesse paesaggistico e naturalistico;
   gran parte di questi itinerari attraversano parchi regionali o parchi locali di interesse sovra comunale;
   nel 2015 a Milano ed in Lombardia si svolgerà l'Expo;
   il turismo eco-sostenibile e l'interesse per la salvaguardia degli itinerari eco-sostenibili stanno prendendo sempre più importanza e necessitano di maggiore attenzione –:
   se i Ministri intendano assumere iniziative per valorizzare gli itinerari ciclopedonali in vista dell'Expo 2015 e come intendano coinvolgere gli enti che si occupano della gestione dei suddetti parchi. (4-02376)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come riportano il quotidiano La Repubblica e l'agenzia di stampa aeronautica Avionews in merito agli stanziamenti da parte degli aeroporti, e riprendendo un refrain «calcistico», Ryanair batte Alitalia 100 a 75;
   le polemiche emerse nei giorni scorsi dopo la decisione di Poste italiane spa di partecipare alla compagine azionaria della nostra compagnia di bandiera hanno fatto passare in secondo piano quanto accade nei nostri aeroporti da decenni e con la complicità, questa sì colpevole, degli amministratori locali nostrani;
   sull'argomento degli aiuti di Stato ai vettori cosiddetti low-cost e low-fares è intervenuta numerose volte e in maniera puntuale l'Anpac, l'associazione che rappresenta la maggioranza dei piloti italiani, denunciando il danno intrinseco subito dalle compagnie italiane: Meridiana Fly, Alitalia ed altre;
   fra i vettori low-cost che partecipano al banchetto dei contributi pubblici rientra a gran diritto l'irlandese Ryanair che, a dispetto dei 75 milioni di euro «una-tantum» e legittimi pagati da Poste italiane spa, ha goduto, gode e, godrà in futuro di contributi pubblici pari a circa 100 milioni annui (l'interrogante auspica che ciò non avvenga);
   questi contributi le giungono attraverso i cosiddetti «fondi sviluppo rotte e marketing» stanziati dagli aeroporti di casa nostra per riuscire ad attirare il traffico low-cost;
   pagano le regioni, le province ed i comuni per salvare mini-aeroporti dove non vuole atterrare più nessuno;
   spesso la scommessa si è rivelata un boomerang che ha comportato perdite di bilancio milionarie (vedi il caso della società di gestione dell'aeroporto di Verona e quella di Rimini) e ne ha trasformati altri, Alghero e Trapani, in ostaggi costretti a pagare ingenti somme pur di non perdere i servizi di Ryanair;
   il meccanismo di questi sussidi è semplice: se si intende mettere su una base Ryanair in un aeroporto locale occorre pagare in quanto il traffico garantito dalla compagnia sarebbe un volano per lo sviluppo locale. E allora è guerra di tutti contro tutti per non perdere l'occasione;
   il risultato è questo: l'aeroporto di Verona è arrivato sull'orlo del crac (a un certo punto perdeva 26 milioni su 34 di ricavi) dopo aver garantito a Dublino la bellezza di 24 euro a passeggero. Trapani ha staccato un assegno di 20 milioni in cinque anni alla Airport marketing limited di Dublino, una controllata Ryanair, per la co-promozione pubblicitaria sul suo sito facendo decollare i passeggeri dai 533 mila del 2008 agli 1,6 milioni del 2012, ma perdendo nello stesso periodo 10 milioni. E ora che l'intesa è a scadenza, l'aerolinea vuole tre milioni di euro in più e ha costretto la regione siciliana a correre in aiuto dello scalo di Birgi. Rimini – oggi in concordato preventivo – ha speso 12 milioni per le low-cost (Ryanair compresa) inclusi 922,73 euro a volo per la defunta Windjet;
   come riporta il sito di Repubblica, la formula «Ryanair» qualche volta funziona. Le società di gestione degli aeroporti di Bergamo (dove Ryanair è indagata per evasione fiscale) e di Pisa – che per il co-marketing con le compagnie a basso costo spendono rispettivamente 20 e 11 milioni l'anno – hanno i bilanci in utile. A Bergamo sono passati, ad agosto 2013, il 40 per cento in più di passeggeri di Linate. La società di gestione degli aeroporti pugliesi, che finanzia le low-cost con 5 euro di incentivo a passeggero e 35 milioni in 5 anni, sostiene di aver fatto volare così in zona 7 milioni di passeggeri. Ma la distorsione alla concorrenza e lo spreco, in qualche caso, di soldi pubblici restano. Parma, nonostante i milioni di euro spesi in tal senso è rimasto un aeroporto fantasma, Alghero ha sborsato 41 milioni di euro in 10 anni (20 solo nel 2011-2012) solo per finire nel mirino dell'Unione europea e per rischiare ora un clamoroso dietro-front di Ryanair;
   dal canto suo Ryanair replica che i suoi contratti con gli aeroporti locali non costituiscono aiuti di Stato, come stabilito dalla sentenza della Corte europea del 2008 relativa al caso Charleroi (il secondo aeroporto di Bruxelles) e l'Unione europea non ha mai fatto appello contro questa sentenza;
   a giudizio dell'interrogante non si può consentire che una tale quantità di denaro pubblico venga sborsato dai nostri enti locali per finanziare una diretta concorrente delle compagnie aeree italiane, in maniera così sfacciata, alterando pesantemente i termini di una leale competizione sul nostro territorio;
   e non traggano in inganno le promesse di contribuire all'occupazione nel nostro Paese come sbandierato più volte attraverso i media; a quanto risulta all'interrogante oltre il 50 per cento del personale che lavora in Italia è straniero e non è tutto: il vettore low cost impiega in modo diretto meno del 30 per cento dei suoi dipendenti con un contratto irlandese mentre la restante parte, facente capo a diverse società con modalità tutte da esplorare, con una varietà di contratti che, relativamente ai contributi previdenziali, non sono aderenti né alle norme italiane e neanche ai regolamenti UE sul personale navigante;
   un intervento normativo e a livello comunitario (c’è in atto un'azione a livello di Unione europea), sono necessari e devono essere compiuti in tempi brevi pena l'inutilità, nel caso Alitalia, del salvataggio compiuto da Poste italiane spa e, nel caso di altre compagnie nazionali, di complesse ristrutturazioni in atto minate all'origine da condizioni di svantaggio competitivo –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-02383)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOGHERINI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Turchia è interessata da diverse settimane da un ampio movimento di protesta nei confronti del Governo del Primo Ministro Erdogan, contestazione nata da una specifica mobilitazione sul futuro di Gezi Park ad Istanbul e sulla contrarietà a progetti di speculazione edilizia che avrebbero dovuto coinvolgere quell'area, e ben presto sviluppatasi in un moto ben più generalizzato per rivendicare il rispetto da parte delle autorità nazionali dei principi di libertà, di laicità e di partecipazione democratica nella vita dello Stato turco;
   i movimenti di protesta hanno registrato una larga adesione popolare, in particolare nelle grandi città come Istanbul e Ankara, e una grande attenzione dei media internazionali, circostanze che tuttavia non hanno impedito il verificarsi di numerosi e gravi episodi di scontri e di violenze tra manifestanti e forze dell'ordine;
   nel prossimo anno accademico 2013/2014, secondo dati forniti dalla Commissione europea, circa 4.000 studenti provenienti da tutta Europa si recheranno in Turchia per svolgere il programma LLP ERASMUS (Lifelong Learning Programme – Erasmus), tra cui anche un centinaio di studenti italiani;
   in questi giorni, a seguito degli avvenimenti citati che stanno interessando la Turchia, molte università italiane si trovano in una condizione di incertezza in merito alla decisione di rilasciare o meno ai propri studenti i contratti finanziari e le relative cartelle Erasmus necessarie per l'effettivo svolgimento del periodo di studio nello Stato turco;
   le stesse università italiane, secondo quanto riferito da diversi rappresentanti degli studenti, rivolgerebbero informalmente a coloro che saranno coinvolti nella partecipazione al programma Erasmus l'invito ad attivarsi autonomamente per verificare le reali condizioni di praticabilità per la loro partenza e di sicurezza per il periodo di loro permanenza in Turchia –:
   quali siano le valutazioni del Ministero degli affari esteri e dell'Agenzia nazionale Lifelong Learning Programme Italia – ufficio Erasmus sulle reali condizioni di sicurezza, di ordine pubblico, di incolumità e di piena libertà di movimento da assicurare agli studenti italiani che abbiano in programma di svolgere nei prossimi mesi un periodo di permanenza presso un ateneo turco nell'ambito del programma europeo Erasmus, se effettivamente sussistano o meno tali condizioni e se intendano dare specifiche indicazioni alle università italiane per il rilascio o il diniego di tutte le autorizzazioni necessarie a riguardo. (4-02374)


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che, Ahmed Deeb, fotografo dell'Agenzia Foto-giornalistica NurPhoto, con sede a L'Aquila, sarebbe stato aggredito mentre seguiva il rilascio a Gaza dei 26 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane;
   il reporter avrebbe attraversato il valico di Erez Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza per coprire la liberazione dei prigionieri passando il confine tramite la porta come tutti i giornalisti internazionali;
   mentre svolgeva le riprese, un poliziotto avrebbe aggredito il fotografo asserendo che lo stesso avrebbe saltato il muro senza utilizzare l'accesso indicato per la stampa accreditata;
   successivamente sarebbe intervenuta un'altra guardia e insieme avrebbero picchiato brutalmente e in modo indiscriminato il fotoreporter. Ad aggravare ulteriormente la situazione sarebbero intervenuti altri cinque poliziotti che avrebbero picchiato su tutto il corpo il giovane tacciandolo di essere un «criminale e un assassino»;
   successivamente trasportato all'ospedale di Kamal Adwan nel nord della striscia di Gaza, per essere curato il referto medico afferma «che ci sono state lesioni muscolari alla schiena, lividi e gonfiori al basso ventre, alla spalla e alla mano, e una ferita all'orecchio»;
   numerosi sono i giornalisti che ogni anno vengono arrestati o uccisi: nel 2012 sono 88 i giornalisti uccisi per garantire la libertà di stampa, mentre nel 2013, si contano circa 43 reporter assassinati e 184 arrestati –:
   se non intenda immediatamente prendere contatti con il Governo israeliano per chiarire la gravissima vicenda accaduta e sincerarsi della attuali condizioni di salute del fotoreporter Ahmed Deeb. (4-02386)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il fiume Lambro, la cui sorgente si trova in provincia di Como presso l'Alpe del Piano Rancio, è uno dei corsi d'acqua più inquinati del mondo ed attraversa, lungo i suoi 130 chilometri circa 400 comuni (tra cui tutta l'area della Brianza, Monza, il territorio milanese e lodigiano), in un'area tra le più dense ed industrializzate d'Europa;
   il fiume, che ha una portata di 40 mc/s e che raccoglie anche le acque del Seveso e dell'Olona, scarica nel Po (e quindi nell'Adriatico) i due terzi degli scarichi civili ed industriali della Lombardia, l'equivalente del liquame prodotto da undici milioni di abitanti e si può quindi considerare come il simbolo del degrado ambientale ed etico del nostro Paese;
   in particolare, il Lambro inietta nel Po il 60 per cento di tutto l'azoto in arrivo dagli scarichi civili, il 40 per cento dei metalli tossici come piombo e cadmio, il 20 per cento di rame e zinco, il 15 per cento di cromo, nichel e arsenio;
   nei pressi della foce, ad Orio Litta (Lo), è possibile notare come il carico di veleni impieghi quasi 20 chilometri per essere assorbito dal fiume Po quasi fino a Piacenza;
   numerosi sforzi sono stati compiuti, già a partire dagli anni 70, senza grandi risultati tantoché il corso d'acqua è comunemente visto come una «fogna a cielo aperto»;
   ancora oggi il fiume raccoglie acque non trattate di circa 8 milioni di abitanti lombardi, tra cui quelle della zona di Monza, il cui depuratore non è adeguato;
   altri fiumi europei fortemente inquinati, come il Tamigi, sono rinati grazie alle opere di depurazione e controllo degli scarichi civili ed industriali;
   nel 2015 a Milano ed in Lombardia si terrà l'Expo che, tra gli obiettivi, ha anche a riqualificazione delle vie d'acqua;
   è pertanto impensabile che quest'importantissimo evento abbia successo se non si riuscirà a risanare questo fiume –:
   se il Ministro sia informato della grave situazione di inquinamento ambientale che colpisce il fiume Lambro ed il territorio che attraversa e se non ritenga opportuno intervenire per quanto di competenza quanto prima, anche ai fini dell'Expo, affinché il corso d'acqua possa essere risanato. (4-02375)


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   tra le attività antropiche con rilascio di inquinanti in atmosfera si annoverano le combustioni in genere (dai motori a scoppio degli autoveicoli alle centrali termoelettriche), le lavorazioni meccaniche (ad esempio le laminazioni), i processi di evaporazione (esempio le verniciature) e i processi chimici;
   il principio di conservazione della massa, comunemente conosciuta come legge di Lavoiser, prevede in parole semplici che «in una reazione chimica nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma»;
   i principali inquinanti prodotti dalla combustione sono: CO2, NOx, SO2, CO, metalli pesanti, polveri sottili (PM10, 2, 5, 1 e 0,1), composti complessi come IPA, diossine, e altro;
   i sistemi naturali si basano su un continuo riciclo della materia senza produzione di rifiuti e senza combustioni;
   con sentenza del 19 dicembre 2012 (causa C-68/11) la Corte di giustizia dell'Unione europea ha rilevato che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti avendo omesso di provvedere affinché le concentrazioni di PM10 nell'aria ambiente non superassero i valori limite fissati dalla normativa dell'Unione europea sulla qualità dell'aria. Questa sentenza riguarda 55 zone e agglomerati, tra cui diverse zone nel nord-est dell'Italia dove l'aria è tra le più inquinate d'Europa;
   nel 2011 nella pianura padana, in città come Milano, Brescia, Verona, Padova, Treviso e Ferrara, l'inquinamento è stato così consistente da produrre in gennaio il fenomeno della «neve chimica», una pioggia di ghiaccio causata dalla condensazione del vapore acqueo sul particolato presente nell'aria;
   nel mese di gennaio 2013 la Commissione europea ha inviato una nuova lettera al Governo italiano, chiedendo di mettersi in regola con le norme europee sulla qualità dell'aria;
   sulla rivista Lancet Oncology sono stati pubblicati gli esiti della maxiricerca condotta su 300 mila persone in 9 Paesi europei, seguite nel corso di ben tredici anni: la presenza delle polveri sottili tossiche nell'aria delle città fa aumentare drammaticamente il rischio di cancro polmonare;
   l'Unione europea stima che l'aria avvelenata è causa di circa 500 mila morti premature ogni anno;
   molte sostanze inquinanti atmosferiche in Veneto si trovano in concentrazioni sovrabbondanti e pericolose, con un trend stabile o incerto e non in via di miglioramento;
   ricerche dell'Istituto sull'inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche hanno rilevato che la combustione domestica di legna da ardere arriva a costituire fino al 60 per cento della concentrazione di massa del materiale particellare (particolato organico) sospeso in atmosfera e che la combustione di legna produce notevoli quantità di specie tossiche, quali, ma non solo, gli idrocarburi policiclici aromatici;
   nella campagna veneta si rilevano di frequente roghi di scarti agricoli (ramaglie, sterpaglie, frasche, cumuli di foglie, e altro) effettuati per liberarsi dei rifiuti agricoli, senza alcun legame con la produzione di energia o calore; i fuochi vengono altresì appiccati per sgomberare argini, sentieri e campi agricoli da piante erbacee ed arbustive, spesso dopo aver effettuato uno sfalcio grossolano;
   interpellando le forze dell'ordine emergono pareri discordanti circa la gravità di bruciare materiali di ogni sorta, e ciò, il più delle volte, vanifica le segnalazioni dei cittadini che avvistano un fuoco in campo agricolo;
   secondo la procura di Avellino bruciare residui agricoli è reato di smaltimento illegale di rifiuti e violazione dell'articolo 674 del codice penale;
   le «linee guida dell'attività operativa 2013 dell'Ispettorato generale del Corpo forestale dello Stato» dispongono che «...paglia, sfalci e potature nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso, se non utilizzato in agricoltura o per la produzione di energia mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana, devono essere considerati rifiuti e come tali devono essere trattati: pertanto la combustione sul campo dei residui vegetali configura il reato di illecito smaltimento dei rifiuti, sanzionato penalmente dall'articolo 256, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006»;
   principi esposti in pronunce della Corte costituzionale sottolineano che: «la disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva dello Stato ...viene a funzionare come un limite alla disciplina che le regioni e le province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato»;
   la corte di Cassazione penale, sezione III, con sentenza del 4 aprile 2013, n. 15641 dice che l'abbruciamento a terra di rifiuti – anche occasionale – integra un'attività di «smaltimento illecito di rifiuti» ex articolo 256, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 che può essere commesso anche da soggetto privato;
   ai fini dell'applicazione della disciplina dettata dalla parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 si intende per «rifiuto»: qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi (articolo 183, comma 1, lettera a)). Premesso ciò si può sostenere che il comportamento di bruciare i residui vegetali manifesti la volontà di «disfarsi» di detto materiale, che per effetto di tale azione deve essere necessariamente considerato un «rifiuto» –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze, per contrastare il fenomeno dei roghi in ambiente agricolo, come l'abbruciamento di stoppie e altri vegetali residui da parte di agricoltori e altri soggetti, nell'ottica della tutela della salute pubblica, del contrasto all'inquinamento atmosferico e della preservazione ambientale e climatica;
   se non ritenga necessario assumere iniziative anche normative per limitare la possibilità di procedere all'autonomo smaltimento dei residui agricoli esclusivamente per modeste quantità e per situazioni in cui non sia presente, nell'ambito territoriale di pertinenza, adeguata impiantistica per il compostaggio aerobico e con esclusivo riferimento a zone di montagna o aree comunque svantaggiate, non rientranti in zone ad elevata criticità in merito alla qualità dell'aria, permettendo il ricorso alla combustione dei residui esclusivamente ai casi conclamati di rischio fitosanitario determinato dalla presenza di parassiti;
   quali siano le ragioni per le quali lo Stato italiano non abbia ancora provveduto a mettersi in regola con la normativa comunitaria in materia di qualità dell'aria e se non intenda avviare tutte le iniziative di propria competenza in questa direzione;
   per fugare ogni dubbio ed eliminare le dispute, se si intendano assumere iniziative volte a fare chiarezza sulla normativa vigente in materia di smaltimento dei rifiuti agricoli agevolando la conoscenza delle relative disposizioni da parte degli enti nazionali e locali, delle organizzazioni degli imprenditori agricoli, delle forze dell'ordine e dei cittadini. (4-02380)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANZI, CARRESCIA e LODOLINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il museo tattile statale Omero è stato istituito con lo scopo di colmare un vuoto nel panorama dei servizi culturali per non vedenti, ma anche per offrire uno spazio innovativo dove la percezione artistica passa attraverso suggestioni plurisensoriali extra visive;
   oggi a distanza di più di dieci anni dalla sua nascita rappresenta un'eccellenza nel panorama museale nazionale e uno dei pochi esperimenti a livello europeo volto a promuovere la crescita e l'integrazione culturale dei minorati della vista e a diffondere tra essi la conoscenza della realtà;
   per tali caratteristiche è diventato meta di migliaia di visitatori ogni anno, nonché punto di riferimento per la ricerca scientifica sull'estetica della tattilità e, in collaborazione con l'ENEA e importanti imprese, per l'innovazione tecnologica finalizzata all'autonomia di ciechi e ipovedenti;
   proprio a causa dell'alto valore scientifico e sociale riconosciuto a tale struttura museale, per garantirne il funzionamento, con la recente approvazione della legge 7 ottobre 2013, n. 112, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, recante disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo, è stata autorizzata la spesa di 500.000 euro annui per il triennio 2013-2015;
   tuttavia la legge n. 78 del 2010 all'articolo 9, comma 28, impone alle amministrazioni pubbliche un tetto di spesa per il personale a tempo determinato pari al 50 per cento di quanto speso per questa voce nel 2009 ed il museo Omero che nel 2009 poteva contare soltanto su contratti CoCoCo a tempo parziale, con una spesa complessiva veramente modesta, si trova in virtù di tale normativa, nelle condizioni di poter rinnovare soltanto un contratto a fronte dei cinque in scadenza il prossimo 31 dicembre, tutti a tempo determinato;
   in sintesi nonostante il finanziamento ricevuto, dal prossimo 1o gennaio 2014, il Museo potrebbe essere costretto a dover interrompere le proprie attività, non potendo utilizzare le somme ricevute a copertura del personale attualmente impiegato;
   la questione è stata già in passato oggetto di un'interlocuzione tra la dirigenza del Museo, il comune di Ancona, e la direzione della funzione pubblica del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, all'esito della quale, pur avendo convenuto che la configurazione giuridica del museo Omero avrebbe consentito a quest'ultimo di derogare dai limiti imposti dalla norma sopracitata, in realtà nulla è stato fatto fino ad ora in proposito, nonostante le molteplici sollecitazioni degli interessati –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di assicurare la continuità operativa del museo tattile statale Omero e la possibilità di poter utilizzare i finanziamenti ricevuti senza vincoli burocratici che mettano in discussione la permanenza nell'impiego di personale altamente specializzato e fondamentale per il funzionamento di tale struttura. (5-01364)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   le mura di Magliano in Toscana (Grosseto) sono una delle perle della Maremma, un patrimonio storico e culturale di assoluto rilievo;
   una prima cinta muraria fu costruita in epoca tardo medievale attorno ad una rocca, fatta costruire verso l'anno Mille dagli Aldobrandeschi, della quale si è persa, oggi, ogni traccia; attorno alla metà del Quattrocento il centro era controllato dai senesi che, per potenziare i dispositivi difensivi, incaricarono l'architetto Bibbiena di riqualificare la vecchia cerchia muraria, rafforzandola e rendendola più efficiente;
   le mura di Magliano in Toscana sono, quindi, pervenute quasi intatte fino ai giorni nostri; un attento intervento di restauro avvenuto negli anni a cavallo tra la fine del secolo scorso e gli inizi del nuovo millennio ha permesso di riportare agli antichi splendori il monumento nella sua complessità, dopo un periodo di degrado che si era osservato precedentemente;
   negli scorsi anni due edifici artigianali, una serie di capannoni anch'essi artigianali (prima abusivi poi condonati) ed una cabina dell'Enel giacevano in stato di abbandono non essendoci più interesse né possibilità di utilizzarli per la loro destinazione d'uso;
   gli immobili artigianali erano stati offerti al comune che però non li volle comprare; ciò avrebbe permesso di abbattere l'esistente per dare risalto alle mura;
   in contrasto ad ogni logica di valorizzazione del patrimonio storico e culturale, l'amministrazione locale, con un atto politico, ha concesso il cambio di destinazione d'uso per trasformare quelle volumetrie in abitazioni civili, in un'area del paese peraltro già molto congestionata;
   la soprintendenza competente ha semplicemente richiesto una fascia di rispetto di un metro dalle mura stesse;
   dopo un paio di passaggi di proprietà l'attuale azienda sta portando avanti il lavoro con progetti esecutivi già avviati, andando di fatto a costruire un «ecomostro» ad un solo metro dalle mura –:
   se il Ministro sia informato relativamente al grave scempio ambientale che si sta perpetuando a Magliano in Toscana e se non intenda intervenire per quanto di competenza quanto prima per evitare che un patrimonio storico e culturale come quello delle mura di Magliano possa essere nascosto e compromesso da una serie di abitazioni civili. (4-02384)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con la Risoluzione A5-0283/2001 assunta il 20 settembre 2001, il Parlamento europeo evidenzia come il mobbing costituisca un grave problema nel contesto della vita professionale, e che gli studi e l'esperienza empirica convergono nel rilevare un chiaro nesso fra il fenomeno del mobbing nella vita professionale e lo stress o il lavoro ad elevato grado di tensione, e gli effetti devastanti sulla salute fisica e psichica delle vittime, nonché delle loro famiglie;
   con stessa risoluzione si raccomanda agli Stati membri di imporre alle imprese, ai pubblici poteri nonché alle parti sociali l'attuazione di politiche di prevenzione efficaci, l'introduzione di un sistema di procedure atte a risolvere il problema e ad evitare le eventuali recrudescenze, e si ricorda, in merito, la possibilità della nomina sul posto di lavoro di una persona di fiducia alla quale i lavoratori possono eventualmente rivolgersi;
   sulla base di tali indicazioni i CCNL per il personale dirigente dell'area I e per personale del comparto Ministeri, in relazione al quadriennio normativo 2002-2005, determinarono agli articoli 6 e 11 la costituzione del «Comitato paritetico sul fenomeno del mobbing» con il compito, tra gli altri, di formulare proposte da presentare alla Amministrazione per gli adempimenti relativi alla nascita ed al funzionamento di sportelli di ascolto, per l'istituzione del consigliere di fiducia nonché per la definizione di specifici codici di condotta;
   il «Comitato paritetico sul fenomeno del mobbing», istituito con decreto ministeriale del 18 gennaio 2008, ha approvato il testo del «Codice di condotta per la prevenzione e il contrasto del mobbing» con riunione del 29 aprile 2010. La rilevanza di tale Codice si riscontra, oltre che per la puntuale definizione delle caratteristiche principali del fenomeno, nella disciplina delle funzioni di figure organizzative fondamentali come appunto lo «Sportello per l'attività di ascolto» e il «Consigliere di fiducia», preposte alla risoluzione di casi concreti di mobbing o di conflitti ad esso riconducibili; il «Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni» istituito con decreto ministeriale del 27 luglio 2011 (che sulla base del disposto di cui all'articolo 21 della legge n. 183 del 2010 ha integrato in se le competenze dei comitati sul fenomeno del mobbing e sulle pari opportunità), nella riunione del 28 febbraio 2012 ha nuovamente approvato, con aggiornamenti negli aspetti normativi di riferimento, il testo già elaborato del citato «Codice di condotta», provvedendo poi a trasmetterlo al gabinetto del Ministero della difesa per i successivi adempimenti di competenza;
   ad oggi, due lettere di sollecito sono state presentate dal presidente del Comitato unico di garanzia all'ufficio di gabinetto della Difesa, per avere conoscenza dello stato di avanzamento dei lavori –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione sopra esposta, e quali iniziative intenda assumere per sbloccare la situazione di stallo creatasi. (5-01365)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA, DE LORENZIS, PARENTELA, TERZONI, MANNINO, MASSIMILIANO BERNINI, SORIAL, L'ABBATE, TOFALO, BUSINAROLO, LOREFICE, BECHIS e BALDASSARRE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la possibilità di produrre energia tramite processi di fissione piezonucleare è confermata da numerosi esperimenti condotti nel nostro Paese fin dal 2005 grazie alla sperimentazione eseguita dal Consiglio nazionale delle ricerche, in collaborazione con le Forze armate e la società Ansaldo nucleare;
   il progetto della macchina ad ultrasuoni, chiamata cavitatore, fu realizzato da un team di tecnici italiani molto qualificati e il primo collaudo effettuato dalla forze armate risale al 2005;
   i primi esperimenti vennero eseguiti in laboratorio con risultati sorprendenti; la macchina funzionò correttamente e, dopo 50-60 minuti di ultrasuoni, i rivelatori termodinamici iniziarono a registrare segnali significativi fino allo scadere del tempo previsto; seguirono poi esperimenti con altri metalli quali l'alluminio e il torio;
   nel 2006 gli esperimenti vennero eseguiti nei laboratori del CNR a Roma, per verificare la completa ripetibilità del fenomeno e la possibilità di controllare la produzione dei neutroni variando il rapporto geometrico tra punta del sonotrodo e camera di reazione, nonché la costante assenza di radiazioni alfa, beta e gamma durante l'intero processo;
   l'allora Presidente del CNR, dopo aver personalmente supervisionato i risultati, peraltro già ampiamente pubblicati nel volume «Deformed Spacetime», diede vita ad un esperimento di confronto tra la produzione di neutroni con gli ultrasuoni e la produzione di uno dei reattori nucleari ad uranio in funzione presso i laboratori dell'ENEA, ottenendo, per la prima volta, una misura comparativa della produzione di neutroni con ultrasuoni rispetto ad una sorgente nota di neutroni per uso industriale;
   nel 2007 l'Ansaldo Nucleare, di concerto con il dipartimento di progettazione molecolare del CNR responsabile dei brevetti, chiese ed ottenne l'esecuzione di ulteriori esperimenti presso i laboratori del Centro tecnico logistico interforze — nucleare batteriologico chimico delle forze armate con l'uso di un rivelatore elettronico di neutroni fornito dall'ARPA; queste misure permisero di evidenziare in modo inequivocabile l'emissione ad impulsi dei neutroni;
   a quanto si apprende, la società Ansaldo nucleare sta conducendo ulteriori ricerche volte a «trasformare» l'innovazione in materia di fissione piezonucleare in un prototipo industriale che consenta la realizzazione di un impianto pilota;
   in considerazione della titolarità sia dei brevetti, in capo al CNR, che della macchina, di proprietà del Ministero della difesa, sarebbe opportuno che il processo di produzione di energia tramite fissione piezonucleare rimanesse di proprietà dello Stato italiano –:
   quali aggiornamenti possa fornire in merito ai progressi della sperimentazione e allo stato dell'arte dei lavori condotti da Ansaldo nucleare, e se non ritenga, in considerazione dell'importanza dell'innovazione e delle sue applicazioni, che il processo e la realizzazione di eventuali prototipi debbano continuare ad essere di proprietà dello Stato italiano, in quanto eccellenza scientifica della ricerca nazionale. (4-02381)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 della Costituzione sancendo che «Ogni cittadino può circolare ...liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale», salvo deroga imputabile a motivi di sanità e sicurezza, configura il diritto alla mobilità ponendo conseguentemente in capo allo Stato l'onere di costituire le condizioni di diritto e di fatto ad esso conseguenti;
   un sistema di mobilità pubblica moderna ed efficiente rappresenta un obiettivo strategico per la costruzione di politiche tese a promuovere sviluppo sostenibile, strategie di crescita economica e di progresso sociale, migliori condizioni di tutela della salute dei cittadini;
   sono 2 milioni e 903 mila, i pendolari che utilizzano quotidianamente in Italia i servizi su rotaia: a dirlo è il rapporto «Pendolaria 2012» di Legambiente, che dal 2007 a oggi ha registrato un incremento del 20 per cento del numero dei viaggiatori giornalieri italiani;
   in particolare il servizio dei treni intercity rappresenta, per una ampia e diversificata fascia di utenza, su tutto il territorio nazionale, un mezzo di trasporto pubblico fondamentale per garantire il diritto alla mobilità ai cittadini che sono costretti quotidianamente ad affrontare spostamenti per motivi di lavoro, studio o salute;
   l'offerta di servizi per i pendolari è infatti basata essenzialmente sul trasporto pubblico regionale su ferro, finanziato dalle regioni, e dall'interazione con i treni intercity che, sulle lunghe percorrenze di carattere interregionale, rappresentano, per altro, l'unico mezzo disponibile presso molte stazioni capoluogo di provincia o con un bacino di area vasta anch'esso interregionale;
   il Contratto di servizio pubblico – si legge sul sito internet di Trenitalia – è un atto stipulato tra l'autorità pubblica (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dell'economia e finanze) e Trenitalia allo scopo di garantire il diritto alla mobilità, tramite servizi di trasporto effettuati per soddisfare esigenze sociali, ambientali e di assetto del territorio, e per far fronte all'esigenza di garantire particolari condizioni e tariffe a specifiche categorie di passeggeri. Nella misura in cui tali servizi siano in contrasto con l'interesse commerciale dell'impresa, l'autorità pubblica, a fronte dell'obbligo di produzione di detti servizi, è tenuta a corrispondere a Trenitalia un'adeguata compensazione economica;
   con il contratto di servizio pubblico l'azienda è impegnata a garantire:
    l'adozione di una politica di prezzi, legata al raggiungimento degli obiettivi fissati nel contratto;
    la manutenzione ordinaria e straordinaria del materiale rotabile, che deve rispondere a caratteristiche di sicurezza, pulizia ed efficienza;
   il Contratto di servizio segnala inoltre che «Trenitalia monitora costantemente la performance erogata per questi servizi, comunicando trimestralmente all'Autorità competente i risultati di questa analisi. Sono oggetto del Contratto di Servizio pubblico tutti i Treni notte e la maggior parte dei treni intercity»;
   nonostante ciò si è verificato, negli ultimi anni, un progressivo ed inequivocabile ridimensionamento dei servizi ferroviari interregionali e nazionali (soprattutto nei treni intercity) non rientranti nell'alta velocità che ha penalizzato soprattutto gli utenti pendolari italiani che devono quotidianamente raggiungere le regioni limitrofe;
   tali riduzioni si sommano ai già molti disservizi a cui sono sottoposti giornalmente i passeggeri che viaggiano sui treni Intercity tra cui: lunghi tempi di percorrenza; mancanza di puntualità; soppressione senza preavviso delle corse; carenza di informazione, non garanzia di partenza delle coincidenze; guasti tecnici; carrozze non adeguate e poco pulite; sovraffollamento dei convogli; condizioni precarie delle infrastrutture ferroviarie; aumenti delle tariffe non giustificati dalla bassa qualità e riduzione dei servizi offerti;
   tali disfunzioni e inefficienze inducono quindi spesso i passeggeri a ricorrere al trasporto regionale, che risulta però scadente per ciò che concerne la qualità del materiale rotabile, decoro di viaggio, disponibilità di convogli, affollamento, riduzione delle corse, aumento dei tempi di percorrenza, ritardi molto pesanti e sistematici, guasti alle locomotrici e alle vetture;
   va inoltre sottolineato che a causa dell'inadeguatezza infrastrutturale delle ferrovie italiane, la frequenza dei treni ad alta capacità che viaggiano sulle linee ad alta velocità ha creato ulteriori problemi al trasporto locale, dal momento che, in molte tratte, il transito degli intercity, soprattutto nelle fasce orarie di maggiore affluenza, è stato spostato sulle linee lente già sature per la presenza dei treni regionali;
   da quanto è emerso, nei giorni scorsi, da organi di informazione Trenitalia avrebbe avanzato l'ipotesi di sopprimere 12 treni interregionali Intercity, che riguardano l'utenza di 9 regioni;
   i Presidenti delle regioni interessate (Toscana, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria e Campania) hanno inviato il 24 ottobre 2013 una lettera al Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta, al Ministro dell'economia e delle finanze Fabrizio Saccomanni, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi, ed all'amministratore delegato di Trenitalia, Vincenzo Soprano, per esprimere la totale contrarietà delle nove regioni interessate all'ipotesi avanzata da Trenitalia di sopprimere 12 treni interregionali Intercity: «Con sempre maggior insistenza – riporta la lettera – ci giungono segnali sulla definitiva soppressione di ogni ormai residuo servizio Intercity sulla linea dorsale che collega capoluoghi ed importanti centri di Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio e Campania. Il danno che ne deriverebbe per i cittadini delle nostre regioni, e per i pendolari in particolare, sarebbe di assoluta gravità. Chiediamo di dissipare ogni dubbio sul mantenimento del servizio e comunque di convocare un incontro con la presenza dei vertici Trenitalia;
   sempre secondo fonti di informazione il presidente della regione Toscana Enrico Rossi e l'assessore regionale ai trasporti Vincenzo Ceccarelli hanno incontrato, il 24 ottobre 2013, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi ottenendo «rassicurazioni sulla sua volontà di affrontare al più presto la questione». «Non è accettabile – ha spiegato dopo la riunione l'assessore Vincenzo Ceccarelli – ed è del tutto contraddittorio che da un lato si emani un decreto per fare sconti agli operatori dell'alta velocità, che genereranno minori introiti per 70 milioni a Rete ferroviaria Italiana e risparmi per 50 e 20 milioni a Trenitalia ed al gestore privato, mentre dall'altro lato si procede al taglio di servizi essenziali ed irrinunciabili per i cittadini»;
   risulta quindi evidente che, qualora fosse attuata una ulteriore riduzione dei treni Intercity da parte di Trenitalia, verrebbero a mancare non solo il principio stesso del diritto alla mobilità, ma anche i contenuti del Contratto di servizio sopracitato –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza delle reali intenzioni di Trenitalia di sopprimere collegamenti intercity e nello specifico in quali tratte e quali bacini di utenza coinvolgono tali riduzioni di servizio;
   se i Ministri interpellati non ritengano conseguentemente necessario assumere iniziative urgenti per evitare tali riduzioni di servizio insostenibili per garantire il diritto alla mobilità a milioni di cittadini a partire da una revisione ed aggiornamento del contratto nazionale di servizio con Trenitalia, per vincolare la società al rispetto di standard qualitativi effettivamente adeguati e promuovere un effettivo ottenimento di miglioramenti nel trasporto ferroviario pubblico.
(2-00276) «Dallai, Donati, Parrini, Faraone, Marco Di Maio, Gelli, Biffoni, Bini, Lotti, Magorno, Ermini, Bonafè, Cenni, Carrescia, Anzaldi, Boschi, Mariani, Braga, Richetti, Malpezzi, De Menech, Bratti, Fontanelli, Coppola, Terrosi, Nardella, Zanin, Ventricelli, Manzi, Carra, Sani, Senaldi».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la legge n. 311 del 2004 (Legge finanziaria per il 2005), al comma 180 dell'articolo unico, prevede in capo alle regioni in squilibrio economico la necessità di procedere ad una ricognizione delle cause che lo determinano ed alla elaborazione di un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio sanitario regionale, di durata non superiore al triennio;
   l'articolo 22, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2009, data la necessità ed urgenza di assicurare l'erogazione delle prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali di assistenza ed il risanamento, il riequilibrio economico-finanziario e la riorganizzazione del sistema sanitario nella regione Calabria, ha stabilito che la regione medesima predisponga un Piano di rientro contenente misure di riorganizzazione e di riqualificazione del servizio sanitario regionale, e che il relativo Piano è stato approvato con delibera di giunta regionale n. 845 del 16 dicembre 2009;
   l'articolo 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007, prevede e disciplina la nomina, da parte del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, di un commissario ad acta per l'intero periodo di vigenza del singolo Piano di rientro;
   la disposizione appena richiamata consente anche la nomina, con le stesse modalità, anche dopo l'inizio della gestione commissariale, al fine di assicurare la puntuale attuazione del Piano di rientro, di uno o più subcommissari di qualificate e comprovate professionalità ed esperienza in materia di gestione sanitaria, con il compito di affiancare il commissario ad acta nella predisposizione dei provvedimenti da assumere in esecuzione dell'incarico commissariale;
   essa prevede anche che il commissario possa avvalersi dei subcommissari anche quali soggetti attuatori e che possa motivatamente disporre, nei confronti dei direttori generali delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e delle aziende ospedaliere universitarie, fermo restando il trattamento economico in godimento, la sospensione dalle funzioni in atto, che possono essere affidate a un soggetto attuatore, e l'assegnazione ad altro incarico fino alla durata massima del commissariamento ovvero alla naturale scadenza del rapporto con l'ente del servizio sanitario;
   con deliberazione del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2010 il presidente pro tempore della regione Calabria è stato nominato commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro, ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge n. 159 del 2007;
   con deliberazioni del Consiglio dei ministri del 4 agosto 2010 e 31 maggio 2011 sono stati conferiti gli incarichi di sub-commissari al dottor Luciano Pezzi e al dottor Luigi d'Elia;
   il nuovo Piano operativo per il triennio 2013-2015 prevede, con riferimento al programma 1 «Governance del P.O.», approvato esclusivamente dal commissario ad acta, che «Il Dipartimento tutela della salute e politiche sanitarie sovraintende all'attuazione del P.O. con il supporto della struttura commissariale», vale a dire che i due commissari sono funzionalmente sottordinati al dipartimento regionale tutela della salute e politiche sanitarie;
   a seguito di tale previsione, in data 16 ottobre 2013 i due sub-commissari si sono autosospesi, con effetto immediato, dall'esercizio delle loro funzioni, ritenendo le previsioni stesse in contrasto, oltre che con i princìpi di sana amministrazione – l'organo commissariale dello Stato non può essere di supporto agli uffici amministrativi del dipartimento ma dovrebbe verificarsi il contrario –, anche con le citate delibere consiliari di conferimento dei relativi incarichi nonché con il disposto normativo di cui al citato articolo 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007;
   successivamente il subcommissario dottor Luigi D'Elia si è dimesso ed è stato immediatamente sostituito con il dottor Andrea Urbani;
   il Rapporto ministeriale sui risultati della verifica degli adempimenti ha accertato che in Calabria non sono garantiti i livelli essenziali di assistenza (LEA) e che per tale inadempienza le quote finanziarie destinate alla Calabria dal Fondo sanitario nazionale saranno ridotte del 3 per cento;
   i dati (Fonte informativa SDO – mortalità intraospedaliere) fanno registrare un sensibile aumento dei decessi in Calabria: nell'anno 2012 i decessi sono 4866 a fronte dei 4266 del 2010 con un incremento di circa il 15 per cento e pari, quindi, a 600 decessi in più;
   nonostante il piano di rientro abbia determinato una riduzione del numero dei posti letto per acuzie rispetto allo standard nazionale con una previsione del 2,5 per cento ogni 1000 abitanti in Calabria a fronte della media nazionale del 3,2 per cento i posti effettivamente attivati risultano essere solo dell'1,8 per cento con percentuali altissime di non attivazione nonostante le determinazioni dei decreti commissariali negli ospedali Spoke e Hub. Esemplificativo è il caso dell'ospedale Spoke di Castrovillari che a fronte di 223 posti letto assegnati con D.P.R.C n. 103 del 2012 risultano essere attivi solo 114 posti letto;
   il protrarsi del blocco del turn over, come sanzionamento dovuto per il mancato raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano di rientro ha comportato una diffusa e sensibile riduzione del numero degli operatori sanitari con la conseguenza che molti reparti e presidi ospedalieri sono privi dei requisiti di legge previsti a garanzia dei livelli di qualità e sicurezza delle prestazioni sanitarie;
   nonostante siano stati chiusi e dismessi 17 ospedali non si è provveduto all'attivazione di nessuna delle 13 «Casa della Salute» o Centri di assistenza primaria territoriale previsti dalla programmazione commissariale –:
   se i Ministri interpellati, nel rispetto delle competenze regionali in materia, intendano verificare la regolarità delle procedure seguite in relazione al programma 1 del Piano operativo per il triennio 2013-2015 per la regione Calabria, approvato esclusivamente dal commissario ad acta, nella parte in cui prevede che il dipartimento tutela della salute sovrintenda all'attuazione del Piano con il supporto della struttura commissariale;
   se i Ministri interpellati, anche in considerazione del livello di ingovernabilità e di fallimento degli obiettivi di risanamento e riorganizzazione sanitaria, ritengano che questo programma risponda alle esigenze della drammatica condizione della sanità calabrese ed in particolare della tutela della salute dei cittadini e dei livelli essenziali di assistenza (come più volte evidenziato anche con numerosi atti di sindacato ispettivo) e quali iniziative intendano assumere per porre fine alla lunga ed infruttuosa esperienza commissariale della sanità in Calabria, incapace di assicurare efficaci percorsi strutturali di riforma.
(2-00278) «Oliverio, Battaglia, Bruno Bossio, Bindi, Censore, Covello, D'Attorre, Magorno, Mongiello, Iacono, Lauricella, Antezza, Amendola, Stumpo, Carbone, Burtone, Gelli, Fregolent, Famiglietti, Sani, Marrocu, Losacco, Lattuca, Lodolini, Peluffo, Pelillo, Salvatore Piccolo, Monaco, Pagani, Patriarca, Marzano, Miccoli, Gullo».

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PIAZZONI e PILOZZI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il tema dell'esercizio della professione di avvocato in seguito al superamento dell'esame di stato e alla conseguente iscrizione presso l'Ordine degli avvocati competente per territorio, ha generato negli ultimi anni dibattiti e polemiche all'indomani dell'apertura delle frontiere nazionali, come conseguenza dei Trattati istitutivi dell'Unione europea;
   la possibilità di svolgere l'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione forense al di fuori del territorio nazionale, in altri Stati comunitari, per poi, una volta superato l'esame, chiedere l'iscrizione all'Ordine degli avvocati in Italia, ha comportato che migliaia di praticanti italiani optassero per la soluzione di sostenere l'esame di abilitazione in altri Stati dell'Unione;
   questo fenomeno ha comportato, da un lato, lo svilupparsi di una economia legata al fenomeno appena descritto e, dall'altro, polemiche roventi da parte dell'Ordine degli avvocati per la presunta «facilità» con la quale vengono ottenute le abilitazioni in altri Paesi comunitari, polemiche che oggi possono ritenersi superate con l'apertura ufficiale delle frontiere tra gli Stati membri e la progressiva liberalizzazione dei servizi, compresi quelli professionali;
   la Romania è uno degli Stati comunitari che negli ultimissimi anni ha visto crescere esponenzialmente la presenza di praticanti avvocati provenienti dall'Italia per sostenere l'esame di abilitazione;
   in Romania, dal momento della caduta del regime comunista, operano in parallelo due Ordini degli avvocati: l'Ordine tradizionale, costituito presso il Ministero di giustizia rumeno, e l'Ordine costituzionale il quale, approfittando di un vuoto normativo conseguente alla caduta del regime, ha costituito propri Ordini su tutto il territorio nazionale;
   negli ultimi mesi, numerosi cittadini italiani, praticanti avvocati, hanno sostenuto in Romania l'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense iscrivendosi all'Ordine costituzionale citato;
   l’iter seguito dai nostri concittadini è stato quello richiesto dalle rispettive leggi nazionali: iscrizione all'Albo in Romania, sostegno e superamento dell'esame, iscrizione all'Albo in Italia nel registro speciale degli Avvocati «stabiliti»;
   nel mese di febbraio del 2013, l'Ordine degli avvocati di Tivoli solleva dubbi sulla legittimità dell'Ordine costituzionale e della conseguente iscrizione degli avvocati italiani iscritti in quell'albo, seguito poi dall'Ordine degli avvocati di Roma coinvolgendo altresì il CNF, Consiglio nazionale forense e, a quanto risulta, lo stesso Ministero della giustizia;
   al termine di tale attività istruttoria, il Consiglio nazionale forense italiano dirama una circolare nella quale si sostiene la illegittimità dell'Ordine costituzionale e chiede ai vari COA d'Italia di non procedere all'iscrizione degli avvocati provenienti da quell'Ordine e di cancellare quelli già iscritti;
   nella stessa Romania in realtà, il dibattito sulla legittimità dell'Ordine costituzionale di poter esercitare la professione forense non è affatto definito. Numerose sentenze della giustizia rumena, hanno affermato il diritto degli iscritti a quell'ordine di poter esercitare la professione tanto che, a quanto risulta agli scriventi, l'Ordine costituzionale non è stato oggetto di provvedimenti di scioglimento e gli iscritti a quell'ordine continuano tutt'oggi ad esercitare la professione di avvocato;
   se ciò corrispondesse a verità, verrebbe meno il presupposto che ha portato il Consiglio nazionale forense a richiedere la cancellazione degli avvocati iscritti all'Ordine costituzionale rumeno e operanti in Italia;
   le decisioni del Consiglio nazionale forense italiano, e le conseguenti decisioni degli Ordini degli avvocati di Roma e Tivoli di cancellazione degli avvocati provenienti dall'Ordine costituzionale, intervenute anche dopo molti mesi l'iscrizione all'Albo italiano e dunque nel pieno delle attività svolte dai nostri concittadini, stanno inevitabilmente creando pesanti difficoltà non solo per i diretti destinatari ma anche per le centinaia di cause che nel frattempo questi soggetti hanno intrapreso in piena legittimità;
   a causa probabilmente di quella che gli interroganti giudicano un'errata interpretazione di un funzionario del Ministero rumeno, oggi numerosi concittadini vivono il dramma della cancellazione dall'Albo e dunque della impossibilità a svolgere la professione di avvocato in Italia e questo dopo aver investito tempo e danaro per aprire studi legali, acquistare i beni strumentali necessari, affermarsi sul mercato;
   tale incresciosa situazione colpisce, come detto, anche le centinaia di persone che si sono affidate agli avvocati colpiti dai provvedimento di cancellazione per la tutela dei propri diritti con ciò provocando danni difficilmente calcolabili –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire affinché venga definitivamente chiarita la legittimità dell'Ordine costituzionale degli avvocati di Romania (UNBR) e dunque la legittimità ad operare da parte degli avvocati cittadini italiani, iscritti all'Ordine costituzionale degli avvocati in Romania ma operanti sul territorio nazionale. (4-02378)


   PLACIDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   pende dinanzi al Ministro della giustizia domanda per la proroga quinquennale dell'attività della sezione distaccata di Pisticci del tribunale di Matera a norma dell'articolo 8 del decreto n. 155 del 2012;
   sono stati espressi pareri ampiamente positivi e dal Consiglio dell'ordine degli avvocati e dalla Commissione di manutenzione, e dal sindaco di Matera e da quello di Pisticci;
   anche i complessi edilizi posti a disposizione sono due, e cioè anche quello di via Cantisano, ultimato due anni fa, e di cui i lavori si sono svolti sotto il controllo del presidente del tribunale che ovviamente agiva con la piena contezza del Ministro, e quindi pacificamente progettato, appaltato e realizzato con la destinazione a sezione distaccata di tribunale;
   allo stato vi sono ben due complessi edilizi inutilizzati, mentre la sede centrale di Matera soffre di criticità;
   l'unico parere contrario è stato quello del Consiglio giudiziario di Potenza, viziato secondo l'interrogante per la illegittima composizione dell'organo e nel merito falsato dalla erroneità dei presupposti per cui era inverosimile il parere della Commissione di manutenzione, in ordine alle criticità lamentate ed evidenziate della sede accorpante;
   alla fine di settembre si sono verificati fatti nuovi, che dimostrano la veridicità dell'assunto della Commissione di manutenzione, e l'erroneità della valutazione del consiglio giudiziario;
   si rileva ampiamente dalla lettera del 26 settembre del presidente del tribunale Attimonelli al Consiglio dell'ordine degli Avvocati di Matera, in ordine alla necessità di reperire altre aule in seguito alla soppressione della sezione distaccata di Pisiticci ed all'urgenza dei lavori per assicurare l'ordinaria attività giudiziaria;
   altro fatto nuovo che va evidenziato è il messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica per il recupero di immobili per l'edilizia carceraria, a fronte del fatto che nel territorio della sezione distaccato di Pisticci vi sono ben due complessi carcerari, realizzati con la migliore tecnica dell'edilizia penitenziaria, e cioè il carcere di Tinchi di Pisticci, con ben 54 posti e quello di Rotondella, che rimangono inutilizzati, con gravi danni per le finanze pubbliche, mentre le esigenze nazionali sono quelle della istituzione di nuovi carceri –:
   se non intenda riaprire la questione relativa alla soppressione della sezione distaccata di Pisticci, ponendo fine al difetto di istruttoria, e soprattutto alla ingiustizia manifesta;
   se non intenda ascoltare direttamente il sindaco di Matera e quello di Pisticci sul contenuto della lettera presidenziale nonché il Presidente del tribunale;
   se non intenda prendere iniziative per rimettere in attività le carceri di Pisticci e di Rotondella, e quindi dare, almeno per un quinquennio, un ruolo positivo alla sezione di distaccata di Pisticci, nell'interesse non certo di avvocati, ma di parti e testimoni, e per evitare un ulteriore degrado dell'intero comprensorio del Metapontino e di Pisticci in particolare che soffrirà della contrazione degli affari, del commercio dei consumi conseguenza diretta della sede distaccata del tribunale della non utilizzabilità delle carceri, che si aggiungerebbero al ridimensionamento drastico dell'ospedale di Tinchi. (4-02387)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in conformità con il parere istruttorio formulato dalla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell'Umbria e dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Umbria, ha espresso, in data 18 dicembre 2012, parere negativo alla richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale e di approvazione del progetto definitivo relativo alla realizzazione dello svincolo Menotre ricadente in località Scopoli, frazione di Foligno;
   si è appreso in questi giorni che lo svincolo suddetto non potrà essere inserito tra le opere finanziate dal Cipe secondo quanto previsto dal progetto definitivo presentato dalla società Quadrilatero Spa nell'ambito del Maxi Lotto n. 1 – lavori di completamento della direttrice strada statale 77 «Val di Chienti» Civitanova Marche-Foligno del sistema di viabilità «Asse viario Marche-Umbria e quadrilatero di penetrazione interna»;
   all'indomani del parere negativo del Ministero per i beni e le attività culturali immediata fu la mobilitazione delle popolazioni residenti nella Valle del Menotre e netta la presa di posizione dell'amministrazione comunale di Foligno che ribadì, con una mozione approvata dal consiglio comunale nel febbraio scorso, l'importanza e l'assoluta necessità dell'opera ritenendo lo svincolo indispensabile per la fruibilità della nuova arteria da parte dei residenti nei territori attraversati dalla Valdichienti anche considerando che la nuova strada rappresenta una concreta occasione di crescita e di sviluppo per la valle del Menotre e per il suo tessuto produttivo già fortemente provati dal disastroso sisma del 1997;
   alla notizia del mancato finanziamento dell'opera da parte del Cipe le popolazioni, di nuovo affiancate e sostenute dalle amministrazioni locali e dalla regione Umbria, hanno ripreso in questi giorni una massiccia mobilitazione, consapevoli del totale isolamento a cui sarebbero condannate se lo svincolo non dovesse essere realizzato e di aver peraltro subito gli enormi disagi legati alla realizzazione di un'infrastruttura di cui rischiano di non poter neanche usufruire;
   inoltre lo svincolo in questione è necessario anche per motivi di sicurezza perché la sua mancata realizzazione significherebbe avere diciotto chilometri di viadotti e gallerie senza la possibilità di un ingresso intermedio con ovvie ripercussioni anche sulla tempestività dei mezzi di soccorso, qualora se ne presentasse la necessità;
   in particolare la regione Umbria si è impegnata a convocare immediatamente un tavolo con tutti i soggetti interessati per trovare una soluzione ed evitare che una strada, che dovrebbe essere un elemento di unione, diventi invece motivo di isolamento di un intero territorio –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se abbia ulteriori elementi che consentano di comprendere precisamente quali siano i motivi che sembrano oggi ostacolare la realizzazione dello svincolo suddetto;
   se intenda costruire le condizioni per una soluzione sostenibile dal punto di vista ambientale ma che al tempo stesso corrisponda alle esigenze rappresentate dalle popolazioni del territorio e dalle amministrazioni locali;
   se, in particolare, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sia disponibile, alla luce di eventuali modifiche del progetto, a rivedere il parere negativo espresso in data 18 dicembre 2012.
(2-00275) «Sereni, Ascani, Giulietti, Verini, Galgano, Laffranco, Gasparini, Incerti, Cinzia Maria Fontana, Faraone, Misiani, Bolognesi, Bratti, Bellanova, Boccuzzi, Casellato, Lodolini, Casati, Carella, Miotto, Scalfarotto, Garofani, Tullo, Fragomeli, Manfredi, Zampa, Marchi, Benamati, Melilli, Amendola, Causi, Luciano Agostini, Mauri, Mariani».

Interrogazioni a risposta orale:


   CANCELLERI, NUTI, MANNINO, VILLAROSA, GRILLO, DI BENEDETTO, MARZANA, LOREFICE, D'UVA, RIZZO, LUPO, DI VITA e CURRÒ. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema delle strade provinciali è parte rilevante del trasporto in Sicilia e spesso è l'unico sistema di collegamento tra comuni della stessa provincia e tra province diverse svolgendo un ruolo decisivo di interconnessione soprattutto nell'entroterra;
   la zona del Vallone e in particolare Mussomeli ha sempre avuto una precaria viabilità soprattutto provinciale. Vero è che l'orografia del territorio e la natura dei terreni non aiuta, ma proprio perché così particolarmente vulnerabile, gli interventi manutentivi dovrebbero essere svolti costantemente e la realizzazione di nuove opere dovrebbe tenere conto della natura argillosa dei terreni predisponendo opere d'arte di contenimento e salvaguardia;
   la zona nord della provincia di Caltanissetta, ad oggi, risulta completamente abbandonata per quanto riguarda la viabilità: la strada Mussomeli-Cordovese-Bivio Valle, per esempio, è chiusa al transito così come la vecchia strada provinciale 23 che nel tratto tra il Bivio Valle e Bompensiere non è transitabile per problemi statici ai ponti sui torrenti ed inoltre è interessata da frane, rendendo il fondo stradale in diversi punti completamente andato;
   anche la strada provinciale 38 dal Bivio Valle al Bivio Miniere Bosco è interessata in alcuni tratti da restringimenti di carreggiata molto pericolosi e deviazioni in loco su viabilità laterale per la presenza di vere e proprie voragini apertesi nel manto stradale;
   per quanto riguarda il confine della provincia nissena con la provincia di Agrigento, le cose non sono migliori: da poco è stata aperta una nuova strada veloce di proprietà della provincia di Agrigento, che congiunge la strada provinciale n. 16 Mussomeli-Acquaviva Platani in contrada Salina con la strada statale n. 189 ma che sta per essere chiusa al transito perché vi sono due zone di frana molto pericolose con cedimenti che interessano la quasi totalità della carreggiata stradale;
   anche dalla parte del confine sempre della provincia nissena con la provincia di Palermo, vi è un'altra grossa frana che interessa la strada provinciale che prosegue da via Salvatore Quasimodo a Mussomeli;
   anche la provincia agrigentina risente del grave problema della viabilità secondaria. A titolo di esempio riporto la situazione della strada provinciale 26 che, insieme alla strada statale 189, rappresenta un importante collegamento viario dei paesi della comunità montana in cui è stata rilevata l'insufficienza delle opere di protezione che rappresentano situazioni di pericolo per il transito veicolare e la carenza di segnaletica orizzontale segna-limiti. L'intero tratto risulta avere una serie di danni causati dalla carenza di manufatti per mantenere l'integrità delle scarpate;
   il rischio di rimanere isolati è veramente elevato, non solo sulla viabilità da e per Caltanissetta ma anche per quella da e verso Palermo e da e verso Agrigento; inoltre, tali paesaggi sono già stati più volte teatro di numerosi incidenti, anche mortali;
   con la legge n. 29 del 2006, sono stati stanziati dei fondi, in tre annualità (2007-2009), per un piano straordinario per l'ammodernamento ed il potenziamento della viabilità secondaria esistente in Sicilia, ma il decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, ha destinato tali fondi ad altre finalità –:
   se non si ritenga opportuno assumere un'iniziativa normativa che, come già previsto dalla legge n. 296 del 2006, preveda un piano straordinario per l'ammodernamento e il potenziamento della viabilità secondaria esistente in Sicilia. (3-00412)


   BARBANTI, LIUZZI, DE LORENZIS, CATALANO e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto affermato da Pietro Ciucci, presidente dell'ANAS, nella recente audizione presso la Commissione ambiente della Camera dei deputati in merito alla situazione relativa all'autostrada Salerno-Reggio Calabria:
    a) al 30 settembre 2013 gli stanziamenti disponibili per la nuova autostrada Sa-Rc sono risultati di 7,4 miliardi di euro ed hanno garantito il finanziamento di tutti gli interventi finora attivati;
    b) ad oggi ai finanziamenti già disponibili vanno aggiunti ulteriori 217 milioni di euro relativi al Piano per il Sud;
    c) per la realizzazione degli interventi in fase di progettazione ed acquisizione pareri, per un'estesa complessiva di circa 58 chilometri, sono ad oggi ancora necessari 3,1 miliardi di euro;
    d) in sintesi, a tutto il 30 settembre 2013, dei 443 chilometri dell'intero tracciato dell'Auto strada Sa-Rc, circa 385 chilometri, pari a circa l'87 per cento, risultano caratterizzati da lavori ultimati o in fase di esecuzione; di questi, circa 322 chilometri risultano fruibili (il 73 per cento dell'intero tracciato), circa 43 chilometri in fase di esecuzione e circa 20 chilometri appaltati e non cantierati (intervento con progettazione esecutiva in corso); i restanti 58 chilometri (13 per cento del tracciato) riguardano interventi in fase di progettazione e/o di acquisizione pareri;
   allo stato attuale, alcuni tratti del tracciato non sono stati ancora progettati: come, ad esempio, il tratto in provincia di Cosenza compreso tra gli svincoli di Rogliano ed Altilia Grimaldi nonché il tratto tra gli svincoli di Pizzo e S. Onofrio in provincia di Vibo Valentia –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanti tratti del tracciato totale dell'autostrada SA-RC siano stati completati alla data odierna, quanti si prevede saranno effettivamente consegnati entro la fine dell'anno in corso, quanti saranno in corso di realizzazione dopo quella data, quanti debbano ancora essere progettati o affidati alle ditte per la realizzazione, quale sia lo stato di avanzamento dei rispettivi procedimenti ed infine quale sia l'importo totale della copertura finanziaria necessaria per il completamento dell'opera e quanta parte di essa sia oggi nelle disponibilità dell'ANAS per il completamento della porzione del tracciato totale ancora non ultimato alla data odierna;
   se allo stato attuale l'ANAS non sia in condizione di bandire alcuna gara per la sola mancanza dei fondi necessari ancora da impegnare per l'effettuazione dei lavori;
   se sia previsto che il tracciato dell'autostrada SA-RC si estenda in direzione sud oltre lo svincolo di Campo Calabro in provincia di Reggio Calabria e fino a dove eventualmente dovrebbe arrivare il tracciato nonché quale sia lo stato di avanzamento della relativa procedura di progettazione o di affidamento con il dettaglio delle coperture finanziarie già stanziate rispetto al totale necessario allo scopo;
   se sia previsto un collegamento oltre o all'interno dell'area metropolitana di Reggio Calabria con la nuova strada statale 106 Jonica ancora in corso di realizzazione e in che area dovrebbe realizzarsi questo collegamento nonché quale sia lo stato della copertura finanziaria necessaria per la realizzazione dell'eventuale collegamento;
   quale sia, in dettaglio, lo stato di avanzamento della realizzazione della nuova strada statale 106 Jonica e quali siano le coperture finanziarie necessarie per il totale completamento del tracciato nonché quelle effettivamente a disposizione dell'ANAS per il varo dei procedimenti di affidamento dei lavori ancora da completare. (3-00414)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   FORMISANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la sera del 29 ottobre 2013 il sindaco del comune di Torre Annunziata, in provincia di Napoli, Giosuè Astarita, veniva minacciato con una pistola da un pregiudicato di 34 anni, Antonio Uliano;
   l'Uliano è figlio di Michele Uliano, detto «O Pastore», che fu autista della moglie del boss Valentino Gionta;
   il sindaco di Torre Annunziata ha riferito ai poliziotti intervenuti per fermare Uliano, che costui lo aveva avvicinato in un bar della città a poca distanza dal commissariato e dopo aver pronunciato parole sconnesse si è rivolto allo stesso sindaco apostrofandolo: «stasera c’è anche il sindaco. A voi piace sempre parlare della malavita: io appartengo ai Gionta»;
   dopo l'episodio il sindaco Starita si è allontanato dal bar ma è stato raggiunto dall'Uliano che ha estratto una pistola minacciandolo;
   Uliano ha puntato l'arma, una Beretta calibro 9 parabellum con colpo in canna punzonata e con quindici pallottole nel caricatore, contro il sindaco, rinfacciandogli le dichiarazioni rese relative alla liberazione del figlio del boss Valentino Gionta, Aldo;
   l'intervento prima di un cittadino, che ha preso le parti del sindaco, e poi della polizia, che ha fermato l'Uliano, accusato ora di detenzione di arma da guerra clandestina, resistenze, minacce aggravate e ricettazione, hanno evitato che le cose degenerassero ulteriormente –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo per garantire la sicurezza di sindaci ed amministratori che operano in un territorio come quello di Torre Annunziata, dove la linea di demarcazione tra legalità ed illegalità appare sempre più labile, e dove sono considerati dai cittadini i terminali per la risoluzione di ogni problematica. (4-02385)


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni 20 e 21 ottobre 2013 la regione Toscana è stata colpita da un violento nubifragio che ha colpito 9 province su 10: l'intensa perturbazione atmosferica ha provocato numerosi danni principalmente a causa del rapido ingrossamento del reticolo idrografico minore che ha determinato la maggior parte delle esondazioni sulle viabilità provinciali e comunali; gli allagamenti hanno provocato gravi danni ad attività commerciali, privati ed all'attività agricola regionale;
   il presidente della regione Toscana, con decreto n. 169 del 22 ottobre 2013, ha già dichiarato lo stato di emergenza regionale, ai sensi dell'articolo 11, comma 2, lettera A della legge regionale n. 67 del 2003 per gli eventi verificatisi nei giorni 20 e 21 ottobre in tutte le 10 province; da fonti stampa on line si apprende che la regione intende provvedere anche all'attivazione dello Stato di emergenza nazionale;
   è necessaria ed urgente, ormai da anni, una seria politiche di gestione del territorio con investimenti sulla prevenzione e sulla manutenzione, per non dover ritrovarsi ogni anno in uno stato di emergenza dovuto al dissesto idrogeologico, ormai cronico, che vede la regione Toscana tra le regioni più ad alto rischio, con almeno il 90 per cento dei comuni a rischio idrogeologico;
   nei giorni successivi agli eventi calamitosi, prontamente affrontati grazie alla rete della protezione civile ed alla solidarietà dei cittadini, i comuni colpiti si sono attivati per prestare i primi soccorsi a cui sono seguite le prime stime sommarie dei danni che, ad oggi, dovrebbero essere già state trasmesse alle rispettive province;
   a titolo di esempio, in data 29 ottobre 2013 la provincia di Arezzo – provincia di provenienza della interrogante – ha inviato alla regione Toscana una relazione in cui si ricostruisce l'evento, fornendo una prima sommaria e parziale stima dei danni: ben 23 sui 39 complessivi i comuni che hanno subito danni, e circa 10 milioni di euro – tra privati e imprese – le spese provvisorie preventivate;
   nel corso di un incontro convocato a Firenze venerdì 25 ottobre, dal Sottosegretario alle infrastrutture e trasporti Erasmo D'Angelis, per fare il punto della situazione danni e problematiche create dal maltempo in Toscana è emerso che – solo negli ultimi due anni – i danni causati dalle alluvioni in Toscana ammontano ad oltre 500 milioni di euro, dei quali lo Stato ne ha riconosciuti 150 e versati solo 50;
   Nicola Casagli – docente di Geologia applicata presso l'università di Firenze – in un articolo pubblicato su greenreport.it ricorda che la legge di stabilità, in questi giorni in discussione, prevede uno stanziamento per la difesa del suolo di 30 milioni di euro, pari a un centesimo del fabbisogno annuo, poco più di un milione di euro per regione che verrà presumibilmente utilizzato per interventi sporadici, scoordinati e sostanzialmente inutili perché, lo abbiamo imparato, il territorio si mette in sicurezza con la pianificazione di bacino e non con gli interventi «spot» che hanno l'unico effetto di scaricare il rischio da una zona a un'altra;
   anche le aziende agricole – come si apprende dal report di Cia Toscana sui danni provocati, provincia per provincia – lamentano gravi danni soprattutto alla produzione agricola, ma anche ai terreni agrari e alle strutture aziendali: si va dalle semine da rifare, ai raccolti tardo-estivi e autunnali compromessi (per interramento o asfissia), erosione del suolo, scarpate e argini completamente da rifare, alla distruzione di recinzioni, fienili e addirittura di ponti interpoderali –:
   se il Governo abbia già ricevuto, ovvero sappia di dover ricevere a breve, dalla regione Toscana la documentazione a supporto della richiesta dello stato di emergenza nazionale, ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992 e se ritenga che le risorse finanziarie disponibili nel Fondo per le emergenze nazionali siano sufficienti rispetto agli interventi da porre in essere;
   se il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali abbia già ricevuto, ovvero sappia di dover ricevere a breve, dalla regione Toscana la documentazione a supporto della richiesta dello stato di calamità naturale per far fronte ai danni all'agricoltura ed alla zootecnia, ai sensi del decreto legislativo n. 102 del 2004 e se ritenga che le risorse finanziarie disponibili nel Fondo di solidarietà nazionale siano sufficienti rispetto agli interventi da porre in essere;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga opportuno, vista la gravità della danni che puntualmente si ripresentano e vista l'esiguità dello stanziamento a difesa del suolo nella legge di stabilità, fare pressioni affinché vengano stanziate somme più congrue alle esigenze della problematica del dissesto idrogeologico e per l'approvazione del Piano straordinario per il rischio idrogeologico, che risulta essere già pronto da almeno 43 anni (dalla conclusione dei lavori della Commissione De Marchi, istituita all'indomani dell'alluvione di Firenze) ma mai finanziato. (4-02388)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro ordinamento, il diritto all'educazione e all'istruzione per i soggetti affetti da disabilità è tutelato: dalla legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate n. 104 del 1992; dalla legge del 3 marzo 2009, n. 18, che ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006, impegnando gli Stati a riconoscere il diritto delle persone con disabilità all'istruzione; dall'articolo 38, comma 3, della Costituzione, che sancisce che gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale;
   l'articolo 2, commi 413 e 414, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), prevedeva un tetto al numero di insegnanti di sostegno legato a criteri economico/organizzativi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   la Corte costituzionale, con la sentenza n. 80 del 2010 dichiarava l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 413, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, «nella parte in cui fissa un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno»; e dell'articolo 2, comma 414, della legge n. 244 del 2007, «nella parte in cui esclude la possibilità, già contemplata dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449, di assumere insegnanti di sostegno in deroga, in presenza nelle classi di studenti con disabilità grave, una volta esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente»;
   a seguito di tale pronuncia, numerosi tribunali amministrativi regionali, si sono pronunciati nello stesso solco ribadendo l'illegittimità della riduzione delle ore di sostegno, con la quale l'amministrazione scolastica adotta per gli alunni con disabilità grave un rapporto di ore inferiore ad 1/1 (cfr. per tutti TAR Sicilia n. 1850 del 14 ottobre 2013, TAR Sardegna n. 616 del 17 giugno 2011 e n. 1102 del 17 novembre del 2011);
   nonostante tali pronunce, ad oggi, numerosi uffici scolastici su gran parte del territorio nazionale, non si uniformano alla legge, garantendo un numero di ore settimanali ben al di sotto delle previsioni del legislatore;
   la legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), nel fissare i principi della piena integrazione delle persone disabili, agli articoli 12 e 13 garantisce loro il necessario sostegno per mezzo di docenti specializzati, al fine della loro integrazione scolastica;
   a causa della non autosufficienza del servizio erogato dagli uffici scolastici, in molti casi si ricorre a cooperative finanziate dalle amministrazioni locali, non sempre in grado di garantire gli standard di specializzazione richiesti dalla normativa vigente;
   in molte aree del Paese, a causa della crisi economica che colpisce anche i bilanci delle pubbliche amministrazioni, sta venendo meno anche il suddetto supporto (parziale) delle amministrazioni locali;
   nonostante l'immissione in ruolo di 26 docenti di sostegno in tre anni, così come stabilito dal decreto-legge n. 104 del 2013 recante «Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca», i dati della Flc Cgil nazionale, relativi all'anno scolastico 2012/2013, evidenziano una situazione di squilibrio tra le cattedre di sostegno messe a disposizione dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il numero degli alunni disabili, ben lontano da essere risolto con il recente decreto-legge;
   i dati della Flc Cgil riportano un divario del 2,4 nel Lazio dove 23.405 alunni disabili un anno fa erano seguiti da 9.889 insegnanti, 2,3 in Lombardia (31.327 studenti e solo 13.675 posti di sostegno), 2,2 in Veneto (15.479/6.908), 2,2 in Umbria (2790/1245), 2,2 in Abruzzo (5.842/2.639), 2,1 in Toscana (10.729/5.092), 2,1 in Liguria (5.102/2.434) e nelle Marche (5.827/2.718), 2,0 in Emilia Romagna (13.098/6.430), Piemonte (13.943/6.839), e Friuli (2.861/1.402). Al Sud la situazione è di poco migliore, ma non scende sotto il rapporto di 1,6 di Molise, Basilicata e Calabria (Campania, Puglia, Sardegna sono a 1,7, Sicilia a 1,8) –:
   quali misure intenda adottare per ripristinare la piena garanzia dei diritti delle persone disabili, così come previsto dal nostro ordinamento e ribadito dalle recenti pronunce della Corte costituzionale e dei TAR;
   se esistono strumenti di premialità economico/retributiva in favore dei dirigenti scolastici che razionalizzano la spesa pubblica, anche riducendo le ore per l'insegnamento di sostegno. (5-01366)

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA, MELILLA, ZAN, COSTANTINO e NICCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 luglio 2012 con proprio decreto direttoriale 391/ric il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca emanava un avviso per la presentazione di idee progettuali per Smart cities and Communities and social innovation;
   il bando interveniva su settori vitali per lo sviluppo e l'aggiornamento del sistema Italia, quali sicurezza del territorio, invecchiamento della società, tecnologie welfare inclusione, domotica, giustizia, scuola, waste management, tecnologie del mare, salute, trasporti e mobilità, logistica last mile, smart grids, architettura sostenibile, cultural heritage, gestione risorse idriche, cloud computing per smart government;
   il bando prevedeva due diverse modalità di partecipazione, rivolte a soggetti distinti capacità economica, ovvero le idee progettuali, con budget fra i 12 e i 22 milioni di euro e i progetti di innovazione sociale, con budget fino a 1 milione di euro;
   fra le due categorie veniva prevista una relazione del tipo workpackage, senza tuttavia che questa venisse chiarita nei suoi termini, data l'assenza di collegamento ex ante fra i progetti presentati nei due ambiti, e lasciando prevedere forme di rapporto funzionale ex post stabilite dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   per le idee progettuali si prevedeva una quota di finanziamento pari per almeno il 50 per cento a carico del partner industriale proponente, ed un'altra pari al 20 per cento a carico di università e istituti universitari statali e/o da enti e istituzioni pubbliche nazionali di ricerca vigilati dall'amministrazione pubblica centrale, con il restante 30 per cento erogato ai progetti selezionati come contributo o credito d'imposta;
   per i progetti di innovazione sociale, proposti da giovani under 30 non costituiti in organizzazione d'impresa, si prevedeva un contributo fino all'80 per cento dei costi previsti e sostenuti;
   si prevede come tempo limite di realizzazione delle attività il 30 dicembre 2015;
   per la realizzazione dei progetti il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca prevedeva risorse a valere sul Fondo per le agevolazioni alle risorse (FAR) pari a complessivi 655,5 milioni di euro, di cui 170 nella forma del contributo nella spesa, fra cui 25 per i Progetti di innovazione sociale, e 485,5 nella forma del credito agevolato;
   a partire dal febbraio 2013 è stato reso disponibile l'elenco dei Progetto di innovazione sociale giudicati ammissibili, corredato di finanziamento concesso, e che di tale ammissione sono stati informati i soggetti interessati;
   da allora non è più stato possibile ottenere alcuna informazione sui tempi di effettiva erogazione dei contributi, genericamente rimandati al momento di completamento della graduatoria anche per le Idee progettuali, cui funzionalmente dovrebbero essere connessi;
   alcuni progetti, anche in rispetto dovuto delle scadenze poste dal bando di gara, risultano essere già stati attivati, facendo leva sul 20 per cento del budget di competenza dei proponenti –:
   quale sia lo stato effettivo della procedura di gara, con particolare riferimento alla definizione della graduatoria per le idee progettuali;
   se non si ritenga di dover dare immediata esecuzione al finanziamento dei progetti di innovazione sociale, data l'evidente assenza di un nesso funzionale diretto fra idee progettuali e progetti di innovazione sociale, dovuta ad un bando che, pur prevedendo la modalità del workpackage, nulla faceva per renderlo effettivo fin dalla fase di elaborazione e presentazione dei progetti, al punto da prevedere un doppio canale di valutazione;
   se i Fondi previsti a copertura del bando siano ancora nella disponibilità piena del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con la finalità inizialmente prevista, o siano stati piuttosto destinati ad altre esigenze. (4-02379)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIGONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come noto, la riforma in materia pensionistica attuata dall'articolo 24 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 — il cosiddetto decreto SalvaItalia — convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha prodotto alcune storture all'interno del sistema previdenziale italiano, generando il fenomeno comunemente definito degli «esodati»;
   particolare attenzione merita la condizione in cui versano i contributori volontari, decine di migliaia di lavoratori estromessi dal mercato del lavoro, i quali rappresentano una delle categorie maggiormente penalizzate dalla riforma del Governo Monti;
   tale platea è costituita da persone espulse dal mondo del lavoro, disoccupati che per coprire i periodi di mancato impiego lavorativo versano all'INPS i contributi volontari, facendo ricorso ai risparmi di una vita lavorativa, al fine di raggiungere il diritto alla pensione che ora viene negato o differito nel tempo;
   sebbene il citato articolo 24 avesse inserito tra i beneficiari delle salvaguardie — utili a usufruire della normativa, più favorevole, vigente prima dell'entrata in vigore della riforma — i lavoratori che, antecedentemente alla data del 4 dicembre 2011, fossero stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione, le disposizioni contenute nei decreti attuativi del decreto SalvaItalia e dei successivi provvedimenti legislativi che si sono occupati della materia, hanno invece apportato ulteriori penalizzanti condizioni;
   per poter usufruire di tali deroghe, infatti, occorre: che si maturi il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico entro 36 mesi dalla data di approvazione della legge (tale termine era inizialmente di 24 mesi); che sia accreditato od accreditabile almeno un contributo per i periodi precedenti il 6 dicembre 2011; non avere lavorato successivamente alla data dell'autorizzazione al versamento dei contributi da parte dell'INPS;
   tale ultima condizione — la cui portata è stata attenuata dalla legge di stabilità 2013, che ha ampliato la salvaguardia anche ai soggetti che abbiano lavorato nel periodo intercorrente tra la data di autorizzazione e il 4 dicembre 2011 e mantenuto il vincolo solo oltre quella data in caso di compensi lordi annui superiori ai 7.500 euro — è estremamente sfavorente poiché non tutela coloro che hanno trovato un'occupazione lavorativa regolare dopo l'autorizzazione mentre favorisce i soggetti che abbiano fatto ricorso al lavoro nero;
   particolarmente colpiti dalle modifiche in materia previdenziale sono stati i contributori volontari autorizzati prima del 2007, i quali avevano già acquisito il diritto al trattamento pensionistico con specifiche norme del 2004 e del 2007 — provviste di copertura finanziaria — a loro destinate; tale anomalia è stata ribadita dalle Commissioni speciali del Parlamento istituite per il controllo degli atti del Governo, mediante parere espresso nella seduta dell'11 aprile 2013;
   nel complesso le condizioni successivamente inserite dai decreti attuativi hanno escluso dalla salvaguardia circa il 90 per cento dei contributori volontari, condannandoli a un lungo periodo di sopravvivenza non supportato da reddito o trattamento pensionistico;
   nella scorsa legislatura, era stato approvato unitariamente in Commissione lavoro della Camera il progetto di legge n. 5103, a prima firma Damiano, volto a sanare le distorsioni — riconosciute anche dall'allora Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero — provocate dalla riforma previdenziale;
   l’iter del provvedimento è stato interrotto dalla fine della legislatura, ma i contenuti sono stati ripresi dall'AC 727, a prima firma Damiano, e da altri attualmente all'esame della Commissione lavoro; il testo prevede la salvaguardia per i lavoratori che siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione e che abbiano presentato la relativa domanda alla data del 31 gennaio 2012, a condizione che perfezionino i requisiti utili alla decorrenza del trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2018. La proposta di legge dispone altresì, che ai fini della fruizione dei benefici non rilevano l'eventuale prestazione lavorativa successiva all'autorizzazione alla prosecuzione volontaria della contribuzione né l'eventuale mancato versamento, alla data di entrata in vigore del decreto SalvaItalia, di almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile;
   l'interrogante ritiene improcrastinabile l'adozione di misure volte a garantire i diritti acquisiti dai contributori volontari prima dell'entrata in vigore del decreto SalvaItalia –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare allo scopo di sanare la condizione in cui versano decine di migliaia di contributori volontari ingiustamente penalizzati dalla riforma previdenziale del 2011, anche mediante iniziative normative che riprendano i contenuti delle disposizioni previste in tale materia dall'AC 727.
(5-01362)


   BOBBA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la cessazione dell'attività commerciale e la conseguente cancellazione dal registro delle imprese presso la camera di commercio, cosiddetta «rottamazione delle licenze commerciali», prevedeva un indennizzo stabilito dalla legge, a partire dal 1996 percepito sino alla decorrenza della pensione di vecchiaia;
   la prestazione funziona come un ammortizzatore sociale, il cui scopo è accompagnare fino alla pensione coloro che cessano definitivamente l'attività commerciale, riconsegnando ai comuni le licenze e cancellando le loro posizioni in camera di commercio e presso l'Agenzia delle entrate. Non si tratta comunque di assistenza a carico dello Stato, ma di autogestione in quanto la concessione dell'indennizzo è finanziata – fino al 31 dicembre 2013 – tramite la maggiorazione dello 0,09 per cento dell'aliquota contributiva a carico dei commercianti in attività iscritti all'Inps;
   con messaggio Inps n. 000219 del 4 gennaio 2013 e successiva rettifica fornita con messaggio Inps n. 0001183 del 21 gennaio 2013, l'istituto – nell'attesa che i Ministeri vigilanti sciogliessero la riserva in materia – autorizzava le proprie sedi a prorogare l'erogazione dell'indennizzo per cessazione dell'attività commerciale fino ad un massimo di 18 mesi dal compimento dell'età pensionabile prevista dalla normativa previgente alla Riforma Monti-Fornero e cioè fino a 61 anni e 6 mesi per la richiedente donna e fino a 66 anni e 6 mesi per il richiedente uomo;
   con il messaggio n. 9656 del 13 giugno 2013 l'Inps ha comunicato che, a seguito del parere reso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'indennizzo in parola non può essere prorogato oltre l'età massima di 66 anni e 6 mesi per gli uomini e 61 anni e 6 mesi per le donne;
   a parere dell'interrogante la posizione assunta suscita notevoli perplessità in quanto penalizzante per molte donne che, confidando nell'accompagnamento dell'indennizzo fino alla data del pensionamento, hanno cessato la loro attività di commercianti; nessun problema dovrebbe invece porsi per gli uomini che hanno avuto accesso all'indennizzo;
   sono in corso verifiche circa la legittimità della posizione assunta dall'istituto e la eventuale proponibilità di azioni giudiziarie contro lo stesso Istituto a tutela delle assistite che, a causa della decisione assunta dall'Inps, resteranno escluse dall'indennizzo –:
   quali urgenti misure si intendano porre in essere per chiarire la posizione dei soggetti di cui in premessa e garantire l'accesso all'indennizzo anche per coloro che ne risultano esclusi a seguito della riforma normativa. (5-01363)

Interrogazione a risposta scritta:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, RIZZETTO, ROSTELLATO, BALDASSARRE, TURCO, ALBERTI, PAOLO BERNINI, BECHIS, CRIPPA, PRODANI, MANLIO DI STEFANO, DA VILLA, MICILLO, PESCO, CURRÒ e CASO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Maimeri spa con sede a Bettolino di Mediglia (MI), storica fabbrica di colori fondata nel 1923, fin dalla sua nascita all'avanguardia delle tecnologie di produzione, ha posto il massimo degli sforzi nella scelta di materie prime di qualità eliminando tutte quelle sostanze che l'esperienza ha dimostrato essere nocive;
   Maimeri spa oltre ai prodotti standard, fabbrica colori per belle arti e restauri conservativi, rappresentando un'eccellenza italiana per qualità;
   da due anni i dipendenti della Maimeri spa sono in cassa integrazione guadagni a rotazione;
   in data 24 settembre 2013, i lavoratori della Maimeri spa hanno proclamato uno sciopero di 8 ore nel corso del quale si sono tenuti due incontri fra la proprietà, i sindacati e gli amministratori locali, alla fine dei quali l'attuale amministratore delegato Gianni Carlo Antonio Maimeri ha parlato di persona ai dipendenti in agitazione;
   in data 9 ottobre 2013, per gli attuali 84 dipendenti della Maimeri spa si esaurirà la cassa integrazione guadagni;
   la maggioranza degli 84 dipendenti della Maimeri spa sono di età superiore ai 35 anni e quindi con oggettive difficoltà di ricollocazione nel mondo del lavoro;
   in due anni di cassa integrazione non è stato prodotto alcun piano industriale di rilancio dell'azienda da parte della proprietà –:
   se i Ministri, ciascuno secondo le proprie competenze, siano a conoscenza della grave situazione che stanno vivendo i lavoratori della Maimeri spa;
   se i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, intendano assumere provvedimenti e quali a tutela dell'occupazione e degli effetti sociali degli annunciati licenziamenti;
   se i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, intendano assumere provvedimenti per promuovere il dialogo con le parti sociali allo scopo di predisporre un piano industriale per salvaguardare il livello occupazionale sull'area industriale in questione. (4-02377)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BENEDETTI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza 4755/2013 del Consiglio di Stato — relativa ad un ricorso presentato dalla Federazione Coldiretti del Veneto concernente l'autorizzazione alla costruzione di un impianto fotovoltaico su un'area di circa 120 ettari, insistente su z.t.o. agricola E2 nel comune di Canaro (RO) — stabilisce che gli impianti fotovoltaici in area agricola possono essere realizzati anche se le norme urbanistiche regionali non lo prevedono;
   in particolare, la sentenza ha spiegato che sulla normativa locale prevale il principio comunitario dello sviluppo delle energie rinnovabili di cui alla Direttiva 2001/77/CE, recepita nel nostro ordinamento con decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che esplicitamente ammette la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili anche nelle zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, in deroga agli stessi;
   la motivazione dei ricorrenti verteva proprio su una delibera con cui la regione Veneto autorizzava la realizzazione dell'impianto fotovoltaico suddetto, consentendo a coloro che non sono riconosciuti come imprenditori agricoli, l'edificazione su terreni a destinazione agricola; in questo modo, inoltre, l'impianto — normalmente da localizzare in zona industriale — interferirebbe con lo sviluppo agricolo dell'area contravvenendo, in qualche modo, allo stesso articolo 12, comma 7, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che nel secondo paragrafo esplicita: «nell'ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale...»;
   la sentenza del Consiglio di Stato chiarisce come sia rimessa all'autorità regionale ed agli enti competenti, nell'ambito della conferenza di servizi, ogni valutazione di opportunità di inserimento di un impianto in area agricola; le procedure autorizzative dovrebbero quindi essere analizzate nel dettaglio specie per le ricadute dell'impianto non soltanto sul piano paesaggistico, ma anche sul contesto socio economico e sullo sviluppo rurale;
   il settore primario è l'unico nel nostro Paese che, ancorché in piena crisi economica, registra segnali positivi sia in termini di occupazione che di export di prodotti agroalimentari; nonostante ciò nessun provvedimento a livello centrale è stato sinora attuato al fine di promuovere e valorizzare il settore, ma anzi, attraverso una normativa quale quella ricordata in premessa, a parere degli interroganti, si tende a penalizzare l'agricoltura a favore di impianti per la produzione di energia che potrebbero senza dubbio essere collocati in altri contesti;
   una tale tipologia di intervento, a parere dell'interrogante, contribuirebbe certamente al fenomeno del «consumo di suolo» in agricoltura, posto che è noto che negli ultimi 20 anni, la cementificazione e l'abbandono hanno sottratto all'agricoltura nazionale circa 5 milioni di ettari (passando da 18 a 13) pari al 28 per cento delle aree coltivate — e cioè la riduzione di superficie agricola per effetto di interventi di impermeabilizzazione, urbanizzazione ed edificazione non connessi all'attività agricola –:
   se sia conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze e non intaccando l'autonomia di regioni e amministrazioni locali, tutelare il patrimonio agricolo o a destinazione agricola in Italia dal consumo di suolo, in particolare da quello causato dalla realizzazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile, garantendo che la loro installazione, nel rispetto di quanto previsto dalla normativa comunitaria, non pregiudichi la produzione agricola locale e nazionale;
   se non ritenga comunque opportuno valutare la possibilità di predisporre una iniziativa normativa di revisione dell'articolo 12, comma 7, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che appare lesiva del patrimonio agricolo italiano.
(5-01361)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   in materia di tutela sanitaria delle attività sportive non agonistiche e amatoriali si sono succeduti negli ultimi mesi diversi provvedimenti:
    l'articolo 7, comma 11, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, prevede che «al fine di salvaguardare la salute dei cittadini che praticano un'attività sportiva non agonistica o amatoriale, che il Ministro della salute, con decreto adottato di concerto con il Ministro delegato al turismo ed allo sport, disponga garanzie sanitarie mediante l'obbligo d'idonea certificazione medica, nonché linee guida per l'effettuazione di controlli sanitari sui praticanti»;
    il conseguente decreto ministeriale 24 aprile 2013 prevedeva la distinzione tra attività:
     a) ludico motoria, con certificazione medica salvo alcune ipotesi elencate all'articolo 2;
     b) sportiva non agonistica, con certificazione medica ed elettrocardiogramma a riposo (articolo 3);
     c) sportiva non agonistica ad alto impatto cardiovascolare patrocinata da soggetti riconosciuti dal CONI ma diretta a non tesserati, con certificato medico e particolari accertamenti;
    il decreto-legge 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013, ha modificato, con l'articolo 42-bis, il decreto 24 aprile 2013 prevedendo che: «1. Al fine di salvaguardare la salute dei cittadini promuovendo la pratica sportiva, per non gravare cittadini e Servizio sanitario nazionale di ulteriori onerosi accertamenti e certificazioni, è soppresso l'obbligo di certificazione per l'attività ludico-motoria e amatoriale previsto dall'articolo 7, comma 11, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, e dal decreto del Ministro della salute 24 aprile 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 169 del 20 luglio 2013.
    2. Rimane l'obbligo di certificazione presso il medico o il pediatra di base per l'attività sportiva non agonistica. Sono i medici o pediatri di base annualmente a stabilire, dopo anamnesi e visita, se i pazienti necessitano di ulteriori accertamenti come l'elettrocardiogramma;
    sulla materia sono intervenute anche le circolari del Ministero della salute n. 4608 e n. 4609, datate entrambe 11 settembre 2013 che chiariscono come:
     a) rimanga obbligatorio il certificato del medico sportivo per le attività agonistiche (decreto ministeriale 18 febbraio 1982), che siano svolte da tesserati o da non tesserati. Nulla è infatti cambiato in materia;
     b) sia sempre richiesto il certificato medico per le attività sportive non agonistiche organizzate da associazioni e società sportive affiliate ad enti di promozione sportiva, federazioni e discipline sportive associate (articolo 3 del decreto ministeriale 23 aprile 2013). Non è però più previsto come obbligatorio l'elettrocardiogramma a riposo, a meno che non sia il medico a ritenerlo opportuno;
     c) le attività caratterizzate da un particolare ed elevato impegno cardiovascolare (a titolo meramente esemplificativo manifestazioni podistiche di lunghezza superiore ai 20 chilometri granfondo di ciclismo, di nuoto, di sci di fondo o altre tipologie analoghe), realizzate nell'ambito di una iniziativa patrocinata da federazioni-enti di promozione sportiva o discipline sportive associative ed aperta a non tesserati che non abbia natura agonistica sia subordinata all'acquisizione di un certificato medico che richiede la rilevazione della pressione arteriosa, elettrocardiogramma basale, step test o test ergometrico con monitoraggio dell'attività cardiaca e altri accertamenti che il medico certificatore riterrà il necessario per i singoli casi (articolo 4 del decreto ministeriale 23 aprile 2013);
     d) non sia più dovuto il certificato medico per le attività ludico-motorie a seguito di quanto previsto dal decreto-legge 69 del 2013 (cosiddetto «decreto del fare»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013;
     e) sia soppresso l'intero disposto contenuto nell'articolo 2 e quindi anche la definizione di attività ludico motorie;
    in sede di conversione in legge del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni è stata rovesciata l'impostazione del Senato e si è inciso sulla portata del decreto 24 aprile 2013 nei seguenti termini «2. I certificati per l'attività sportiva non agonistica di cui all'articolo 3 del citato decreto del Ministro della salute 24 aprile 2013 sono rilasciati dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta, relativamente ai propri assistiti, o dal medico specialista in medicina dello sport ovvero dai medici della Federazione medico-sportiva italiana del Comitato olimpico nazionale italiano. Ai fini del rilascio di tali certificati, i predetti medici si avvalgono dell'esame clinico degli accertamenti incluso l'elettrocardiogramma, secondo linee guida approvate con decreto del Ministro della salute, su proposta della Federazione nazionale degli ordini dei medici-chirurghi e degli odontoiatri, sentito il Consiglio superiore di sanità. Dall'attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;
   queste disposizioni, incidendo sulla portata del già controverso decreto 24 aprile 2013, in modo secondo gli interpellanti parziale e contraddittorio, hanno ingenerato gravi dubbi interpretativi negli operatori sanitari e dello sport. In particolare hanno creato:
    a) disparità di trattamento per attività identiche tra soggetti riconosciuti o meno come sportivi dal CONI: ad oggi un'attività ad alto impatto cardiovascolare se organizzata da un soggetto non riconosciuto dal CONI non è subordinata ad alcuna valutazione da parte del medico, se organizzata da un'associazione sportiva necessita invece per il praticante una certificazione corredata da accertamenti diagnostici vari e approfonditi; ciò vale anche per le attività a basso impatto cardiovascolare, come i gruppi di cammino e la ginnastica per anziani, che sono libere da ogni preventivo controllo medico se organizzate da soggetti non riconosciuti mentre diventano subordinate all'acquisizione del certificato medico per attività non agonistica quando organizzate da soggetti riconosciuti dal CONI;
    b) incertezze rispetto al rilascio dei certificati medici. Pediatri e medici di medicina generale, soprattutto nelle regioni che hanno normato la materia, non rilasciano il certificato medico per la partecipazione ad attività sportive non (agonistiche) continuative anche se organizzate da soggetti riconosciuti dal CONI ritenendo di poter qualificare l'attività come attività ludico-motoria o amatoriale o ricreativa;
    c) incertezza rispetto alla obbligatorietà dell'elettrocardiogramma a riposo a corredo delle certificazioni, della validità di quelle che non lo hanno previsto e delle condizioni per la sua eventuale entrata in vigore definitiva;
    d) ulteriori difficoltà per le famiglie a causa degli oneri previsti per accertamenti e certificati che stanno allontanando dall'attività sportiva minori e adulti con grave danno rispetto alla prevenzione sanitaria e alla diffusione di sani stili di vita;
    e) ulteriori difficoltà per i tempi di attesa per gli accertamenti che rimanderebbero a tempi non utili il rilascio dei certificati;
    f) aggravio indiretto per il sistema sanitario per le prevedibili ricadute economiche e organizzative anche su di esso;
   come intenda procedere per avviare con urgenza una revisione complessiva dei contenuti del decreto ministeriale 24 aprile 2013 in modo da ristabilire chiarezza e coerenza delle norme e rispondere al disagio di operatori e cittadini;
   come intenda procedere nel corso della revisione per affermare i principi di:
    a) pari tutela sanitaria per i praticanti le attività motorie e sportive a prescindere dal soggetto che le organizza;
    b) distinzione tra attività agonistiche e non agonistiche, all'interno delle quali comprendere tutte le attività anche di natura didattica, psico-motoria e ludico motoria sulla base della definizione ampia di sport ormai impostasi nella normativa europea di riferimento;
    c) differenziazione delle tutele sanitarie esclusivamente in ragione dell'impatto cardiovascolare delle attività svolte e delle condizioni fisiche del singolo praticante;
    d) massima diffusione della pratica sportiva come fattore di prevenzione sanitaria per tutti i cittadini;
    e) ulteriori difficoltà per i tempi di attesa per gli accertamenti che rimanderebbero a tempi non utili il rilascio dei certificati;
    f) aggravio indiretto per il sistema sanitario per le prevedibili ricadute economiche e organizzative su di esso;
   come intenda assicurare il pieno coinvolgimento dei soggetti, dell'ordinamento sportivo – CONI, Federazioni sportive nazionali, discipline sportive associate ed enti di promozione sportiva e i sanitari interessati pediatri di libera scelta e medici di medicina generale – nella definizione di linee guida tese a garantire la tutela sanitaria dei praticanti.
(2-00277) «Fossati, Coccia, Giuditta Pini, Rampi, Lenzi, Gregori, Patriarca, Pelillo, Molea, Murer, Schirò Planeta, Manciulli, Baruffi, Petitti, Miotto, Bindi, Iori, Roberta Agostini, Bossa, Bellanova, Scuvera, Rocchi, Paola Bragantini, Capone, Capozzolo, Amato, Beni, Biondelli, Ginoble, Portas, Prodani, Rizzetto, Paris, Rossomando».

Interrogazione a risposta orale:


   CANCELLERI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la paventata chiusura del punto nascite sembrerebbe essere in dirittura d'arrivo, tenuto conto che il punto nascite di Licata non arriverebbe ai 500 parti l'anno;
   solo nei comuni di Licata e Palma di Montechiaro (comune che afferisce per prestazioni sanitarie all'ospedale di Licata), nel 2012, ci sono stati circa 700 nuovi nati, senza contare gli altri comuni limitrofi, le cui gestanti, avrebbero potuto partorire nello stesso ospedale licatese. Il punto nascita, invece, ha contato solo 440 parti con una «fuga» stimata di almeno circa 250-300 nati presso nosocomi più lontani;
   bisogna altresì dire che il punto nascita licatese riesce a fornire prestazioni ostetriche di buona qualità; negli ultimi dieci anni infatti la mortalità e la morbilità materne e fetali sono state assolutamente in linea con la migliore sanità italiana. Inoltre, la percentuale di tagli cesarei è stata ottimale e allineata agli obbiettivi dell'assessorato alla salute siciliano. Nel 2013 infatti c’è stata una percentuale pari al 19 per cento, che in un punto nascita sfornito di adeguate risorse umane e strumentali, non solo rasenta l'eccellenza ma si pone tra i primi posti nel quadro dell'ostetricia siciliana e non solo;
   per raggiungere i presidi ospedalieri di Agrigento, Canicattì e Gela, in situazioni ottimali di traffico automobilistico, i tempi di percorrenza sono di un'ora circa, il che metterebbe in serio pericolo le partorienti ed i nascituri (si omettono, per il solo rispetto degli interessati, gravi casi recentemente accaduti);
   in caso di emergenza con necessità di trasporto in ambulanza verso altri presidi ospedalieri si metterebbero a serio rischio le mamme ed i nascituri: basta evidenziare il fatto che l'ambulanza per partire da Agrigento, arrivare a Licata e ripartire per Agrigento impiegherebbe almeno due ore senza considerare i tempi di preparazione ed il probabile traffico automobilistico;
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, reca disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini;
   la stessa condizione è vissuta da altri comuni siciliani – come Barcellona pozzo di Gotto – e italiani, creando forti e giustificati malumori tra i cittadini delle relative comunità –:
   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per evitare la chiusura del punto nascita minori del comune di Licata (AG) considerato che sussiste il concreto rischio che siano compromessi i livelli essenziali di assistenza e se, in generale per tutti i comuni italiani interessati dallo stesso problema, intenda dirottare i tagli della spending review in altri settori che nulla comportano per la salute dei cittadini. (3-00413)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOBBA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 luglio scorso, presso il Senato della Repubblica, il sottosegretario alla Salute, onorevole Fadda, rispondeva alle interrogazioni 3-00074 e 3-00137, rispettivamente delle senatrici Rizzotti – e altri – e Padua, entrambe riguardanti l'accesso alle nuove terapie contro il diabete;
   l'onorevole Fadda nella sede citata, Resoconto sommario n. 35, faceva presente che «il diabete di tipo 2 riveste un rilevante impatto epidemiologico e gravi implicazioni clinico-assistenziali nell'ambito delle malattie croniche» e che diabete Italia, SID e AMD siano state «coinvolte» nel processo decisionale dell'AIFA sulla rimborsabilità delle incretine da parte del SSN;
   relativamente al coinvolgimento delle associazioni di riferimento di cui al citato resoconto, AMD, SID e Diabete Italia, precisavano di essere state coinvolte, da parte della Commissione tecnico scientifico, CTS, dell'AIFA, il 5 giugno 2013, solo «dopo una vibrante protesta con le Istituzioni tramite una nota congiunta diffusa dai mezzi di informazione»;
   durante l'audizione presso la CTS dell'AIFA, dette associazioni chiedevano di elaborare una proposta alternativa per i criteri di rimborsabilità;
   la CTS poneva come termine per la ricezione della proposta una tempistica di non oltre 14 giorni, in modo tale da poter riconvocare le tre Associazioni per la successiva riunione prevista per luglio 2013;
   il termine per la consegna è stato rispettato, tuttavia la CTS non ha fornito alcun riscontro, non rispettando gli accordi presi durante l'audizione, né ha risposto al successivo sollecito, inviato in data 11 luglio 2013, dalle citate associazioni;
   l'AIFA ha reso pubblici nel gennaio 2011 i risultati della prima fase del monitoraggio, nel quale si evidenziavano su una popolazione di 75349 persone con diabete trattata con incretine e monitorizzata dal 12 febbraio 2008 al 10 agosto 2010, 10 casi di pancreatite acuta, 1 caso di pancreatite e 1 caso di pancreatite dovuta ad ostruzione biliare, per un totale di 12 casi;
   i dati emersi risultavano conformi alla normale incidenza di pancreatite nella popolazione diabetica e mostravano una significativa riduzione del rischio di pancreatite;
   secondo le associazioni citate, nei mesi successivi l'AIFA, in più occasioni, attraverso propri rappresentanti in sedi istituzionali o scientifiche, ha lanciato messaggi capaci di creare allarme sulla comparsa di nuovi casi di pancreatite, senza avvalorare tale tesi con elementi pertinenti, non essendo stati prodotti dati aggiornati sul proseguimento del monitoraggio rispetto al gennaio 2011 che giustificassero questo allarme crescente, nonostante il dissenso di tutto il mondo diabetologico italiano;
   nell'unica pubblicazione scientifica finora prodotta dall'AIFA, in occasione del 18mo Congresso ISPOR, svoltosi a New Orleans dal 18 al 22 maggio 2013, non è stato presentato alcun dato sull'incidenza di pancreatite su una popolazione cresciuta nel frattempo a 84476 casi fino ad aprile 2012;
   gli unici dati ufficiali successivi sono stati resi noti dall'onorevole Fadda, nel rispondere alle interrogazioni citate in premessa, secondo il quale i casi di pancreatite sono 12, per cui si evincerebbero due ipotesi, la prima relativa all'assenza di nuovi casi da agosto 2010 ad aprile 2012, la seconda che, a distanza di oltre un anno dalla fine del monitoraggio, l'AIFA non sia ancora in grado di fornire dati aggiornati;
   qualora entrambi i casi prospettati fossero reali, a parere dell'interrogante non si giustificherebbe la posizione, seppur non ufficiale, diffusa dall'AIFA negli ultimi mesi secondo quanto riportato dalle associazioni citate;
   in una lettera inviata al Ministro della salute e ai presidenti delle Commissioni igiene e sanità del Senato e affari sociali della Camera, il Presidente di FAND-ASSOCIAZIONE Italiana Diabetici, Egidio Archero, chiedeva un «autorevole intervento che dissuada l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) dal mettere in atto un provvedimento fortemente lesivo dei diritti delle persone con diabete ad usufruire delle migliori cure disponibili per curare una malattia grave come il diabete», precisando che «Il provvedimento cui mi riferisco riguarda l'uso delle incretine come cardine della terapia delle persone con diabete di tipo 2, che potrebbero giovarsi di questi farmaci innovativi per stabilizzare la propria terapia e ritardare il passaggio alla terapia insulinica multi-iniettiva» –:
   se non si ritenga urgente e doveroso verificare quanto in premessa e, nel caso, prevedere un tavolo in cui coinvolgere le associazioni diabete Italia, SID e AMD, al fine di valutare la possibilità di accesso all'innovazione terapeutica per i pazienti diabetici, in modo scevro rispetto ai costi che comporterebbe tale scelta. (5-01367)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   CRIPPA, DA VILLA, MUCCI, PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come si evince dall'agenzia ASCA, in data 29 ottobre 2013, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell'Eni Green Data Center a Ferrera Erbognone (PV) si è assistito ad uno scambio di battute fra l'amministratore delegato di ENI spa Paolo Scaroni e il Ministro dello sviluppo economico (MISE) Flavio Zanonato sul tema dell'affidabilità tecnologica degli impianti fotovoltaici;
   secondo il dottor Scaroni «il fotovoltaico è tutto tranne che una nuova tecnologia. Risale alla II Guerra mondiale, è vecchia come mio nonno. [...] ci crediamo poco in questo fotovoltaico. Crediamo nel fotovoltaico del futuro ed è per questo che stiamo investendo grandi risorse in ricerca»;
   allo stesso incontro, il Ministro Zanonato ha replicato: «Non sono d'accordo con Scaroni il sole è una risorsa strategica già oggi»;
   secondo il rapporto 2011 «Renewables Global Status Report» redatto da REN21, il network mondiale per le politiche energetiche del 21esimo secolo, l'Italia nel 2011 è stato il più grande mercato mondiale di riferimento per quanto riguarda il fotovoltaico, con 18.500 occupati diretti, che arrivano a oltre 100.000 unità includendo l'indotto;
   pare paradossale come una società che, anche se privatizzata, resta di fatto controllata dallo Stato (con una quota azionaria superiore al 30 per cento considerando i pacchetti del Ministero dell'economia e delle finanze e della Cassa depositi e prestiti) possa dichiarare pubblicamente una posizione antitetica a quella «ufficiale» del Ministero dello sviluppo economico su un comparto strategico come quello fotovoltaico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di cosa sia il «fotovoltaico del futuro» prospettato da ENI;
   quali siano i progetti sul fotovoltaico in cui ENI avrebbe investito grandi risorse in ricerca, rendendo noti anche finanziamenti e risultati conseguiti;
   in quali termini e in che misura il Ministro interrogato ritenga l'energia prodotta da impianti fotovoltaici una risorsa strategica già oggi e come il Ministero dello sviluppo economico intenda proseguire su questa strada. (4-02382)

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Luigi Di Maio n. 1-00150, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 56 del 19 luglio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    lo studio «Sentieri» (studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento, finanziato dal Ministero della salute e svoltosi tra il 2007 e il 2010) inserisce ben 77 comuni del litorale domizio flegreo e agro-aversano (Acerra, Arienzo, Aversa, Bacoli, Brusciano, Caivano, Camposano, Cancello ed Arnone, Capodrise, Capua, Carinaro, Carinola, Casagiove, Casal di Principe, Casaluce, Casamarciano, Casapesenna, Casapulla, Caserta, Castel Volturno, Castello di Cisterna, Cellole, Cervino, Cesa, Cicciano, Cimitile, Comiziano, Curti, Falciano del Massico, Francolise, Frignano, Giugliano in Campania, Grazzanise, Gricignano di Aversa, Lusciano, Macerata Campania, Maddaloni, Marcianise, Mariglianella, Marigliano, Melito di Napoli, Mondragone, Monte di Procida, Nola, Orta di Atella, Parete, Pomigliano d'Arco, Portico di Caserta, Pozzuoli, Qualiano, Quarto, Recale, Roccarainola, San Cipriano d'Aversa, San Felice a Cancello, San Marcellino, San Marco Evangelista, San Nicola la Strada, San Paolo Bel Sito, San Prisco, San Tammaro, San Vitaliano, Santa Maria a Vico, Santa Maria Capua Vetere, Santa Maria la Fossa, Sant'Arpino, Saviano, Scisciano, Sessa Aurunca, Succivo, Teverola, Trentola-Ducenta, Tufino, Villa di Briano, Villa Literno, Villaricca, Visciano) e ben 11 comuni dell'area del litorale vesuviano (Boscoreale, Boscotrecase, Castellammare di Stabia, Ercolano, Pompei, Portici, San Giorgio a Cremano, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco e Trecase) tra i siti di interesse nazionale, ovvero siti di interesse che necessitano con urgenza di un piano di bonifica;
    l'articolo 36-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto una serie di disposizioni in materia di criteri di individuazione dei siti inquinati di interesse nazionale (sin). Il comma 1, alla lettera a), novella il comma 2 dell'articolo 252 del codice dell'ambiente di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006, con l'inserimento, dopo la lettera f), di una lettera f-bis), al fine di aggiungere, ai principi e criteri direttivi da seguire per l'individuazione dei siti di interesse nazionale, un nuovo criterio che tiene conto dei siti interessati, attualmente o in passato, da attività di raffinerie, impianti chimici integrati, acciaierie; in osservanza del comma 2 dell'articolo 36-bis della citata legge di conversione del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, cosiddetto «Crescitalia», è stato emanato il decreto 11 gennaio 2013 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, recante «Approvazione dell'elenco dei siti che non soddisfano i requisiti di cui ai commi 2 e 2-bis dell'articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e che non sono più ricompresi tra i siti di bonifica di interesse nazionale» (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 60 del 12 marzo 2013), in ragione del quale per la regione Campania sono stati esclusi i seguenti siti di interesse nazionale: litorale domizio-flegreo e agro aversano (individuato come sito di interesse nazionale dalla legge 9 dicembre 1998, n. 426); Pianura (dichiarato sito di interesse nazionale con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dell'11 aprile 2008); bacino idrografico del fiume Sarno (dichiarato sito di interesse nazionale con legge 23 dicembre 2005, n. 266) e aree del litorale vesuviano (individuato sito di interesse nazionale con legge 31 luglio 2002, n. 179);
    gran parte di questi siti sono collocati nella cosiddetta Terra dei fuochi, dove da anni si consuma uno dei delitti ambientali più atroci: lo sversamento illegale, incessante e continuo di rifiuti industriali pericolosi e tossici, che, dopo aver colmato ogni buca e ogni cava presenti su questo territorio, hanno dato vita a delle piramidi di morte diffuse un po’ in tutta la Campania e poi invaso ogni angolo di campagna fino a lambire i centri abitati, laddove i consueti roghi dolosi, oltre ad amplificare l'effetto inquinante, cancellano le prove che potrebbero inchiodare parecchi responsabili che alimentano questo fenomeno. Fenomeno, quello dei roghi appunto, che in quelle macabre colonne nere che si stagliano nei cieli della terra dei fuochi annuncia la morte dello Stato, il trionfo dell'illegalità, una condanna per gli abitanti, per l'economia, la terra, l'acqua e l'aria;
    tutto questo è la cosiddetta Terra dei fuochi: quell'area compresa tra il litorale domizio flegreo, l'agro aversano-atellano, l'agro acerrano-nolano e vesuviano e la città di Napoli, dove ogni giorno, più volte il giorno, tonnellate di rifiuti industriali, urbani e speciali sono abbandonati incontrollatamente ai margini delle strade o nelle campagne e poi dati alle fiamme. Uno smaltimento a basso costo per chi compie questi atti illeciti, che ha, però, un costo altissimo in termini di salute per chi lo subisce;
    la combustione di materiali eterogenei e pericolosi, infatti, sprigiona una quantità enorme di fumi tossici che, oltre ad avvelenare l'aria di tutta la zona e dei territori limitrofi, ricadendo al suolo compromette irrimediabilmente le colture e gli allevamenti presenti, immettendo, attraverso la catena alimentare, un'enorme quantità d'inquinanti tossici, incontrollati e incontrollabili, fortemente nocivi per la salute umana. Molti di questi prodotti alimentari, sottoposti a controlli insufficienti, sono poi commercializzati su tutto il territorio nazionale, con conseguenze nocive per la salute di chi li mangia e per le economie sane della Campania;
    gli abitanti dell'intera area, una delle più densamente popolate d'Europa, in molti casi senza percepire il reale pericolo, sono costretti a vivere in un luogo altamente inquinato da sostanze molto tossiche (diossine, policlorobifenili, policlorobifenili dioxin like e altro) e ad altissime percentuali;
    tali sostanze procurano una serie di malattie a partire dalla semplice «depressione» fino a quelle più gravi e serie, come le malattie tumorali, la sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi, lupus e altro. L'inquinamento ambientale, infatti, procura uno stress ossidativo cellulare e mitocondriale che, a sua volta, produce una serie di danni seri ed irreversibili all'organismo umano;
    recenti studi statunitensi del professore Martin Pall della Washington State University avrebbero accertato che gli agenti inquinanti innestano un circolo vizioso in cui le sostanze tossiche, con le quali si viene in contatto a livello «locale» (attraverso la cute, gli occhi, nel tratto delle alte vie respiratorie o anche di quello gastrico-intestinale), e cioè molte sostanze chimiche o anche altri fattori stressogeni di tipo «naturale» come i virus o i batteri e le muffe, attivando a più livelli i recettori NMDA (molecola N-Metil-D-Aspartato), molecole presenti in diversi organi, portano alla trasformazione continua ossido nitrico in perossinitrito. Tale trasformazione – sempre secondo il professore Pall – una volta «cronicizzatasi», genera, poi, processi di tipo infiammatorio e ossidativo e la diminuzione delle capacità «detossificante» negli organi deputati allo smaltimento delle scorie metaboliche, processi difficili da fermare e che scatenano meccanismi di sensibilizzazione locale che agiscono, di fatto, «aprendo la porta» a pesanti patologie di tipo sistemico;
    in altre parole, tali reazioni – denominate ciclo dell'ossido nitrico-perossinitrito – rovinerebbero la membrana cellulare che da impermeabile diventa permeabile permettendo, in questo modo, di far entrare nella cellula sostanze che non dovrebbero esserci, alterando il funzionamento della cellula stessa, formando mutazioni epigenetiche e bloccando il funzionamento di alcuni geni. Tali mutazioni epigenetiche si trasformerebbero in mutazioni genetiche per le future generazioni, causando nascite di bambini già ammalati o predisposti ad una serie di terribili malattie;
    sono pochissime le famiglie della zona risparmiate da malattie e, soprattutto, le percentuali di tumori, cancri, leucemie e linfomi sono aumentate in maniera considerevole: è sufficiente controllare le percentuali di casi in tutto il territorio per rendersi conto che nella zona c’è il più alto tasso di questi tipi di malattie e una riduzione della vita media rispetto al resto dell'Italia;
    alla luce di quanto esposto, è di tutta evidenza come sia urgentissimo procedere ad interventi di bonifica del territorio, che però non possono prescindere da una preventiva e immediata messa in sicurezza dello stesso, anche perché la situazione dei danni genetici, che aumenteranno di padre in figlio, causerà un «genocidio»: è stato, infatti, stimato che rebus sic stantibus restano circa 5 generazioni prima che il «genocidio» si compia;
    peraltro, l'ultima stima sui tempi di eventuali bonifiche fatta dal Ministro della salute pro tempore, Renato Balduzzi, ha rilevato che, partendo subito, ci vorranno circa 50 anni per decontaminare il territorio in oggetto e che, comunque, il carico tossico maggiore, pur eliminando da subito tutte le cause, ci sarà nei prossimi 25-35 anni: un'intera generazione, pur non colpevole, dovrà pagare un conto salatissimo per gli errori fatti dalle istituzioni e da chi ha permesso questo orribile scempio;
    a conferma di quanto esposto, si segnalano gli studi che la Nato di prassi svolge sulla condizione ambientale dei luoghi dove risiedono e lavorano i suoi dipendenti civili e militari. Da tali studi, che rappresentano uno dei pochi rapporti pubblici sulla condizione ambientale campana, emerge che molti comuni della zona sono indicati come luoghi nei quali è assolutamente sconsigliabile vivere e che il famoso «triangolo della morte» è diventato una figura geometrica molto più complessa. Questi controlli hanno riguardato l'acqua utilizzata dalle 130 famiglie prese a campione. In ben 30 casi, i risultati hanno costretto le famiglie a lasciare il proprio alloggio per gravi rischi accertati. Le zone altamente tossiche sono aumentate a dismisura negli ultimi decenni e sono molto vicine tra di loro: tutta la provincia di Napoli, la zona del vesuviano, del casertano fino al confine con il Lazio risultano essere territori fortemente contaminati da sostanze tossiche;
    nelle scorse legislature, e da ultimo la XVI, è stata istituita una commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti che ha consentito di accertare in modo univoco la gravità esponenziale rispetto al trascorrere del tempo, del disastro ambientale in atto in questi territori;
    nella relazione approvata in Commissione in data 5 febbraio 2013, nella parte relativa alla regione Campania, si legge nelle conclusioni, al punto 1.3.3 «Terra dei fuochi», che «a fronte della piena consapevolezza del problema, deve osservarsi come nessuna attività efficace sia stata messa in atto per tamponare un fenomeno di una gravità inaudita. È come se fosse operativo 24 ore su 24 un inceneritore a cielo aperto nel quale viene bruciato qualsiasi materiale. Le forze dell'ordine interpellate hanno evidenziato l'obiettiva difficoltà di intervento. È possibile tamponare infatti singoli episodi, ma non il fenomeno che continua a persistere alimentando un'economia illegale dello smaltimento dei rifiuti che è inaccettabile in una regione già ampiamente provata dagli inquinamenti imponenti che si sono consumati in passato e continuano a devastare il territorio»;
    in tale gravissimo contesto, con decreto del Ministro dell'interno del 26 novembre 2012 è stato nominato «commissario ai roghi» il viceprefetto Donato Cafagna, per supportare e coordinare le azioni intraprese nel perseguimento dell'obiettivo di contrasto a questo fenomeno delittuoso; nell'ambito delle attività condotte dai soggetti coinvolti (viceprefetto, prefetture di Napoli e Caserta, forze di polizia, regione, province, comuni, Arpac, asl, associazioni ambientaliste e comitati di cittadini), è stato sottoscritto un patto per la Terra dei fuochi che prevede una serie di azioni finalizzate al contrasto del fenomeno. Tra le misure adottate si segnalano: l'attivazione presso le prefetture di Napoli e Caserta di gruppi operativi interforze di contrasto alle condotte e alle attività illecite; la costituzione di una cabina di regia presso la prefettura di Napoli per l'attivazione degli interventi amministrativi d'integrazione e il necessario corollario all'azione di contrasto delle forze dell'ordine (tale cabina di regia ha stabilito di avviare alcune pratiche per supportare i comuni, quali la predisposizione di linee guida elaborate dall'Arpac per la rimozione dei rifiuti abbandonati e la prevenzione dei roghi); l'attivazione sul sito della prefettura del portale «Prometeo» per la trasparenza sull'operato e per la comunicazione e le segnalazioni da parte dei cittadini; l'avvio di corsi di formazione per comandanti e operatori di polizia municipale; l'attivazione di finanziamenti regionali per implementare la videosorveglianza e il telecontrollo; l'esclusione dal calcolo delle percentuali di differenziata raggiunta dai comuni dei rifiuti abbandonati raccolti; l'impegno ad attivare un comitato di coordinamento dei flussi per il trattamento e il conferimento della frazione combusta, per fornire tempestivamente indicazioni ai comuni interessati;
    purtroppo le attività intraprese, da oltre un anno ormai, non rappresentano una risposta efficace e strutturale al problema. Si tratta ancora una volta di una struttura commissariale ed eccezionale, di per sé costosa, che non muta la gestione ordinaria del monitoraggio e del controllo, non ha espresso risultati significativi e non è garanzia di un cambiamento strutturale nell'approccio al problema;
    è necessario che dette attività siano, invece, accompagnate da importanti azioni complementari, così da dimostrare la ferrea volontà di sconfiggere una volta per tutte la criminalità e l'illegalità che genera questo fenomeno;
    relativamente al patto che è stato sottoscritto nel mese di maggio 2013, questo prevede l'impegno da parte dei comuni interessati al monitoraggio e alla rimozione dei rifiuti illecitamente abbandonati. È predisposto da parte dell'Arpac un manuale di linee guida delle procedure per la rimozione ma, come noto, il problema principale non è stabilire come fare, ma è la volontà delle istituzioni locali di provvedere agli interventi;
    non essendo previsti nel patto tempi certi e sanzioni forti per i comuni e gli amministratori, che non provvedano a intervenire repentinamente a seguito di segnalazioni, da parte delle forze dell'ordine o dei cittadini, nei siti di rifiuti illecitamente abbandonati, l'impegno assunto in linea teorica si traduce sostanzialmente in un nulla di fatto. Stando così le cose, risultano inefficaci le azioni volte a prevenire i roghi, i traffici illeciti dei rifiuti industriali pericolosi e non e dei rifiuti urbani e speciali;
    peraltro, gli interventi destinati alla prevenzione dei roghi e dei traffici illeciti di rifiuti urbani e speciali non sarà possibile fino a quando non si consentirà ai comuni l'allentamento del patto di stabilità, per il capitolo relativo alla realizzazione di tali interventi in ambito ambientale (monitoraggio, rimozione dei rifiuti abbandonati e loro corretto smaltimento);
    come se quanto sopra esposto non dovesse bastare per mettere seriamente in pericolo la salute degli abitanti del luogo ed a generare in questi ultimi una legittima aspettativa ad ottenere dalle istituzioni una seria, ponderata e sistematica tutela della propria persona e salute, a rendere ancora più pericolosa di quello che già è l'area de quo per la salute umana, quasi a voler commettere un ultimo scempio ambientale all'interno di un territorio considerato ormai dalle istituzioni senza speranza, nel bel mezzo dell'estate è stato pubblicato un bando di gara avente ad oggetto la concessione per la realizzazione di un impianto, quasi ironicamente chiamato termovalorizzatore, per lo smaltimento delle balle stoccate nei siti della regione Campania stimabili in più di cinque milioni e mezzo di tonnellate e da realizzarsi all'interno del comune di Giugliano in Campania, comune nella provincia di Napoli che si trova nel bel mezzo del territorio di cui la presente mozione è oggetto. Come se non bastassero le fiamme che quotidianamente sono appiccate all'interno del territorio per cancellare ogni traccia dei rifiuti illegalmente sversati, adesso le istituzioni intendono anche esse dare alle fiamme i rifiuti (che vengono però chiamate «balle») della regione Campania, quasi a voler prendere a modello la pratica illegale denunciata e presente sul territorio. Infatti, la composizione delle balle da smaltire è del tutto eterogenea, in quanto trattasi di rifiuti del tipo cosiddetto «tal quale» e rispetto ai quali mai è stata fatta alcuna caratterizzazione o analisi del contenuto,

impegna il Governo:

   alla luce dell'atroce situazione delineata in premessa:
    a) a farsi promotore di una modifica dell'articolo 36-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, affinché sia ripristinata la classificazione da sito di interesse regionale (sir) a sito di interesse nazionale (sin) dei siti campani declassificati in base alla citata norma;
    b) a porre in essere tutte le forme di controllo incisivo del territorio campano atte a far cessare il criminale e illecito sversamento di rifiuti tossici in zone agricole e ad alta densità abitativa;
    c) a bloccare, in particolare, ogni tipo di sversamento illecito o di combustione dei rifiuti attraverso un importante piano di finanziamento della videosorveglianza (affidata ai comuni e alla polizia locale) e l'utilizzo dell'esercito;
    d) a fare in modo che non si proceda alla realizzazione di qualunque ulteriore impianto impattante su quei territori, alla luce dell'articolo 3 della legge n. 87 del 2007, seppur derogato dall'articolo 18 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, essendo venuti meno i presupposti per tale deroga;
    e) ad intraprendere gli improrogabili interventi di messa in sicurezza delle aree che possono essere recuperate e alla conseguente bonifica del territorio campano, al fine di cercare almeno di limitare i danni di decenni di scellerate politiche di gestione ambientale del territorio, ivi compreso ogni atto e provvedimento volto a formalizzare l'inopportunità di realizzare impianti di trattamento termico dei rifiuti nei territori de quo in assenza della valutazione di soluzioni alternative e largamente più sostenibili, nonché degli interventi di riqualificazione e delle dette opere di bonifica;
    f) ad avviare, con un adeguato coinvolgimento del Ministero della salute, una massiccia campagna di indagini epidemiologiche di approfondimento invocate da precedenti studi come il «Sebiorec» piuttosto che lo studio dell'Organizzazione mondiale della sanità presentato dall'allora Ministro Balduzzi nel mese di febbraio 2013, finalizzate a fare luce sull'impatto delle contaminazioni sulla salute delle popolazioni residenti, anche dando ampia pubblicità ai risultati, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla nocività di certi comportamenti criminali, non essendo concepibile che gli unici dati a disposizione siano quelli forniti dalla Nato;
    g) ad adottare ogni iniziativa di competenza affinché, venute meno le cause ostative che hanno portato alla bocciatura da parte della Corte costituzionale della legge regionale n. 19 del 2012, il cosiddetto registro tumori regionale sia adottato e operi quale strumento imprescindibile per definire in maniera chiara e ufficiale il grave stato di salute del territorio;
    h) ad istituire un tavolo tecnico permanente, che funga da cabina di regia, presso il Ministero dell'ambiente e la tutela del territorio e del mare, nel quale siano coinvolte le associazioni e i comitati di cittadini da anni impegnati nelle lotte a difesa del territorio, personalità del mondo scientifico competenti in materia e rappresentanti di regione ed enti locali, al fine di monitorare la ingravescente situazione sopra illustrata e valutare le soluzioni più adatte alla risoluzione dei disastrosi problemi, facendo sì che, in particolare, tale tavolo tecnico permanente sia finalizzato:
     1) a svolgere attività di impulso, promozione e definizione di strumenti volti alla bonifica e al risanamento dei territori contaminati, nonché al monitoraggio e al controllo sull'esecuzione di tali strumenti;
     2) ad individuare una sede di confronto istituzionale tra il Ministero, gli enti territoriali e le associazioni portatrici degli interessi diffusi delle popolazioni coinvolte, con particolare riferimento al punto di vista della comunità scientifica, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti legati all'impatto sulla salute;
     3) a promuovere le sopra citate indagini epidemiologiche volte a fare luce sull'impatto delle contaminazioni sulla salute delle popolazioni residenti;
    i) ad assumere iniziative normative per consentire ai comuni interessati l'allentamento del patto di stabilità, indispensabile con riferimento esclusivamente ai capitoli relativi alla realizzazione di tali interventi in ambito ambientale (monitoraggio, rimozione dei rifiuti abbandonati e loro corretto smaltimento).
(1-00150)
(Nuova formulazione) «Luigi Di Maio, Nuti, Agostinelli, Artini, Alberti, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Benedetti, Paolo Bernini, Massimiliano Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Catalano, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Tacconi, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Antimo Cesaro n. 1-00211, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 99 del 17 ottobre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    nel 2012, secondo il rapporto Ecomafia 2013 curato da Legambiente, il giro d'affari della «filiera criminale del ciclo dei rifiuti» è stato stimato in 16,7 miliardi di euro. Da ciò appare evidente che, nonostante i successi colti negli anni dalle direzioni distrettuali antimafia d'Italia, la criminalità organizzata, attraverso numerosi clan e lobby affaristico-criminali, risulta «strutturalmente presente» nel ciclo della gestione dei rifiuti;
    la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti in Campania ha svolto un'indagine sul tema che ha portato all'emersione di numerose ed inquietanti commistioni tra criminalità organizzata, imprenditoria e politica;
    tutte le analisi di sistema effettuate negli ultimi anni hanno fatto emergere il primato negativo della regione Campania sotto il profilo delle infrazioni ambientali accertate e delle conseguenti ormai strutturali ricadute patologiche (malattie tumorali, respiratorie e malformazioni congenite) sulla popolazione residente;
    lo «Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento» (in acronimo «Sentieri»), promosso e finanziato dal Ministero della salute tra il 2007 e il 2010, ha stabilito che in Italia i siti contaminati di interesse nazionale (sin) sono 57; di questi ben 20 sono situati al Sud: si tratta di aree in cui l'analisi della mortalità delle popolazioni residenti supera l'atteso nella misura di circa il 15 per cento, per una causalità riconducibile con evidenza alle condizioni ambientali presenti;
    con il decreto ministeriale n. 471 del 1999 e il decreto legislativo n. 152 del 2006 sono stati individuati i «siti di bonifica di interesse nazionale» da inserire nel «programma nazionale di bonifica», in considerazione delle caratteristiche del sito inquinato, delle quantità e della pericolosità degli agenti inquinanti, nonché della ricaduta in termini di rischio sanitario ed ecologico sull'ambiente;
    lo studio «Sentieri» ha incluso nei siti di interesse nazionale per i quali occorre predisporre urgenti piani di bonifica una popolazione residente di circa 9 milioni di abitanti distribuita in oltre 300 comuni. Di questi, circa 90 comuni sono in Campania (dall'area vesuviana al litorale domizio, dall'agro aversano al litorale flegreo, dall'agro nolano al territorio atellano);
    gran parte di questi siti sono collocati nella cosiddetta Terra dei fuochi, un triste marchio di infamia che rende a tutti icasticamente evidente lo scempio di un territorio violentato dalla combustione criminale di materiali eterogenei e potenzialmente pericolosi (vernici, solventi, manufatti che contengono amianto, scorie e scoli di attività industriali, fanghi e schiume). Incendi che sprigionano una quantità enorme di fumi tossici (impregnati di diossine e nanoparticelle), che, oltre ad ammorbare l'aria rendendola quasi irrespirabile, ricadendo al suolo, compromettono la salubrità delle colture, immettendo nella catena alimentare un'enorme quantità di inquinanti nocivi per la salute;
    la «Terra dei fuochi» rappresenta, dunque, un vasto territorio (abitato da svariate centinaia di migliaia di persone) in cui da anni è stato perpetrato e, ancor oggi si consuma, lo sversamento illegale e a basso costo (ma altissimo in termini di vite umane) di rifiuti industriali pericolosi e tossici, spesso dati alle fiamme da criminali senza scrupoli per occultare le prove del delitto commesso;
    un aspetto particolarmente pericoloso del fenomeno in questione concerne, in particolare, lo smaltimento illegale degli pneumatici. Una problematica, questa, affrontata anche di recente dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (decreto ministeriale n. 82 del 2011), promuovendo la costituzione di società consortili col compito precipuo dello smaltimento di pneumatici fuori uso;
    una variante dell'occultamento dei rifiuti tossici è il loro «intombamento», con grave pericolo di inquinamento delle falde acquifere e delle acque sotterranee, con conseguente contaminazione dei prodotti della filiera agroalimentare, ove queste acque siano utilizzate a scopo irriguo;
    la «Terra dei fuochi» rappresenta la sintesi metaforica di uno scempio del territorio che giunge a delineare scenari talmente inquietanti che non è azzardato definire «apocalittici». Si pensi, per limitarsi ad un solo esempio, al deposito di Taverna del Re, un sito al confine tra le province di Napoli e Caserta, dove sono accatastate oltre sei milioni di tonnellate di ecoballe, con conseguente modifica del paesaggio e contestazione da parte dell'Unione europea, che ha avviato nei confronti dell'Italia una procedura d'infrazione;
    la «Terra dei fuochi» rappresenta, perciò, un territorio esteso della Campania, la cui numerosa popolazione è tristemente afflitta da una sensibile riduzione della qualità e della durata della vita media rispetto al resto d'Italia; un territorio caratterizzato da un'altissima incidenza di patologie tumorali e in cui sono potenzialmente in atto mutazioni epigenetiche in grado di incidere sul genoma delle popolazioni ora residenti e sulle future generazioni;
    con decreto del Ministro dell'interno del 26 novembre 2012 è stato nominato un «commissario ai roghi», che, coadiuvato dalle prefetture di Napoli e Caserta, dalle forze di polizia, dagli Enti locali, Arpac, aziende sanitarie locali, associazioni e comitati ambientalisti, ha promosso la sottoscrizione di un patto per la «Terra dei fuochi», con la previsione di una serie di azioni finalizzate al contrasto del fenomeno;
    purtroppo le attività intraprese – pur meritorie – non possono rappresentare una risposta efficace al problema, perpetuando la pratica del ricorso a strutture di tipo commissariale che non costituiscono garanzia di un cambiamento strutturale nell'approccio al problema;
    la stima sui tempi di eventuali bonifiche avanzata dall'ex Ministro della salute Renato Balduzzi ha prospettato un arco temporale di circa 50 anni per la decontaminazione del territorio in oggetto;
    sulla base delle dichiarazioni dei pentiti alcuni fusti di rifiuti tossici intombati sono stati recentemente rinvenuti nelle immediate vicinanze di una ludoteca nel territorio di Casal di Principe. Questa circostanza, per quanto casuale, rappresenta il paradigma delle contraddizioni di un territorio martoriato e, pur tuttavia, in cerca di riscatto: da una parte, gli sforzi per far crescere i bambini in ambienti pedagogicamente adeguati, dall'altra, una condizione igienico-sanitaria devastante, destinata a minare la loro salute lentamente e in modo subdolo e occulto;
    l'ex boss dei casalesi (e collaboratore di giustizia dal 1993), Carmine Schiavone, ha rivelato in audizione alla Commissione bicamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti nel 1997 i luoghi in cui – a suo dire – la criminalità organizzata aveva interrato i veleni in Campania e nel basso Lazio; ad oggi, dopo la recentissima desecretazione dei materiali depositati in sede di audizione, occorre riscontrare le dichiarazioni a suo tempo rese con l'effettivo inquinamento dei territori per l'avvio di un definitivo programma di bonifica;
    senza avere una mappa particolareggiata dei siti, della vastità e della tipologia di inquinamento sarà impossibile avviare le iniziative di bonifica integrale delle aree interessate;
    in quest'ottica, non è pensabile prescindere da uno stringente rapporto con gli enti locali, e in primis i comuni, che, organi territoriali di prossimità, sono costretti quotidianamente a far fronte alle emergenze. Peraltro, gli interventi destinati alla prevenzione dei roghi e dei traffici illeciti di rifiuti non sarà possibile fino a quando non si consentirà ai comuni di destinare risorse economiche adeguate per interventi in ambito ambientale che potranno, nel medio periodo, favorire l'uscita dall'emergenza anche attraverso politiche di gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti;
    il tema ambientale è assolutamente prioritario e pregiudiziale per ogni serio progetto di sviluppo del territorio,

impegna il Governo:

   a rendere operativo un tavolo interministeriale, aperto ai contributi delle associazioni e dei comitati di cittadini, di personalità indipendenti del mondo scientifico e dei rappresentanti della regione e degli enti locali, che si occupi delle questioni indicate in premessa, fungendo da cabina di regia, anche al fine di assumere ogni iniziativa economica e normativa utile, per assicurare – in tempi rapidi e certi – il varo delle attività di bonifica;
   a procedere rapidamente a un programma di completa bonifica dei siti di interesse nazionale, riservando particolare attenzione e priorità ai territori campani ricompresi nella cosiddetta «Terra dei fuochi»;
   a predisporre – utilizzando ogni strumento normativo che garantisca la massima celerità dell'intervento – adeguate risorse finanziarie pubbliche per dare inizio, concretamente, ad un piano nazionale per le bonifiche che, in base a un cronoprogramma anche pluriennale, determini la puntuale tempistica degli interventi;
   a vigilare, attivando all'uopo le forze di polizia e di intelligence, per scongiurare il pericolo che gli improcrastinabili interventi di bonifica non siano eventualmente affidati a ditte in alcun modo riconducibili, direttamente e indirettamente, a persone o ambienti legati alla criminalità organizzata;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza perché si pervenga alla celere istituzione di registri utili al monitoraggio dell'incidenza patologica dell'inquinamento, coordinando e rendendo omogenee in tutto il territorio nazionale le procedure di acquisizione e di lettura dei dati;
   ad avviare ogni utile iniziativa di competenza finalizzata a svolgere attività di informazione e sensibilizzazione nei confronti della cittadinanza, circa le cause e gli effetti nocivi sulla popolazione dell'inquinamento ambientale in generale e dei roghi tossici in particolare, onde prevenire l'insorgere di patologie;
   a completare la mappatura dei terreni inquinati al fine di consentire la conversione in aree «no food» dei siti contaminati, non escludendo la loro destinazione ad aree produttive ad alta sostenibilità ambientale, in una prospettiva di sviluppo fondata sulla green economy;
   ad assumere iniziative finalizzate a dare rapido e puntuale riscontro alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (anche alla luce della recente desecretazione di alcune loro deposizioni), ciò anche al fine di prevenire allarmismi generalizzati che possano danneggiare il settore agroalimentare campano, che, rappresentando uno dei pilastri dell'economia regionale, va tutelato e protetto con adeguate azione di marketing dallo scandalo provocato tra i consumatori, in Italia e nel mondo, dallo scempio ambientale perpetrato nella «Terra dei fuochi»;
   ad intensificare e potenziare i controlli sul territorio campano, in modo da far cessare il criminale e illecito sversamento di rifiuti tossici in zone agricole e ad alta densità abitativa, adottando, da un lato, una politica di inasprimento delle pene per i reati ambientali (tendenzialmente da assimilarsi, a tutti gli effetti, sostanziali e processuali, a quelli di stampo mafioso e/o terroristico), dall'altro, attivando l'Avvocatura dello Stato per il procedimento di costituzione di parte civile nei processi in corso per il relativo risarcimento dei danni;
   ad assumere iniziative normative per consentire ai comuni l'allentamento del patto di stabilità in riferimento esclusivo ai capitoli relativi alla realizzazione di interventi in ambito ambientale, per un'uscita dall'emergenza mediante politiche virtuose sul ciclo dei rifiuti (implementazione del telecontrollo e della videosorveglianza, rimozione dei rifiuti abbandonati e loro corretto smaltimento, politiche di educazione ambientale).
(1-00211)
(Nuova formulazione) «Antimo Cesaro, Matarrese, Causin, D'Agostino, Galgano, Caruso, Cimmino, Mazziotti Di Celso, Monchiero, Oliaro, Rabino, Schirò Planeta, Sottanelli, Vitelli, Zanetti».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Lacquaniti n. 5-00967 del 10 settembre 2013;
   interrogazione a risposta scritta Benedetti n. 4-01956 del 25 settembre 2013;
   interrogazione a risposta scritta Attaguile n. 4-02302 del 25 ottobre 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Cancelleri e altri n. 4-00693 del 4 giugno 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-00412;
   interrogazione a risposta orale Mogherini n. 3-00175 del 3 luglio 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-02374;
   interrogazione a risposta scritta Cancelleri n. 4-02348 del 30 ottobre 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-00413.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Catalano n. 5-01359 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 109 del 31 ottobre 2013.
  Alla pagina 6366, prima colonna, alla riga trentasettesima deve leggersi: «e direzione aziendale di NSN (Nokia Solutions Network) alla presenza» e non «e direzione aziendale di NSN alla presenza», come stampato.
  Alla pagina 6367, prima colonna, alla riga quindicesima deve leggersi: «mozione urgente n. 122/2013, che impegna l'assessore» e non «mozione urgente che impegna l'assessore», come stampato.