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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 17 ottobre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati in Italia si pone, per le caratteristiche e le dimensioni che ha assunto, come emblematico, con aspetti di drammatica urgenza. Diverse sono le fasce d'età ed i Paesi di provenienza, eterogenee le motivazioni che inducono a tentare l'avventura migratoria: minacce per la vita; dislocazioni territoriali forzate; condizioni di precarietà economica e sociale o di vero e proprio sfruttamento; maltrattamenti in ambito familiare; perdita dei parenti adulti; spirito di avventura che spinge all’«esplorazione» di contesti nuovi; volontà di accedere ai prodotti di un mercato che spesse volte dista solo poche decine di chilometri dal Paese d'origine; progetto condiviso con i genitori, come nel caso dei «messaggeri economici» o «anchor children»; istigazione o costrizione da parte di organizzazioni criminali. Altrettanto diversificati si presentano dunque i bisogni individuali della molteplicità di soggetti presenti all'interno del territorio nazionale;
    circa settemila persone (quasi due al giorno) sono morte negli ultimi dieci anni nell'attraversamento del canale di Sicilia, in cerca di asilo: tra le vittime, decine e decine di bambini morti in mare sui barconi della speranza. Le indagini sull'identità e sulla situazione del minore in Italia e nel Paese di origine costituiscono un aspetto centrale al fine del perseguimento del superiore interesse del minore, e in particolare ai fini di una valutazione in ordine all'interesse del minore a restare sul territorio italiano ovvero ad essere rimpatriato. È importante che le indagini siano efficaci e tempestive, in modo da consentire una decisione ben fondata in tempi rapidi, riducendo al minimo il periodo di incertezza sul proprio futuro che può provocare gravi danni al minore;
    è assolutamente necessario dare un concreto sostegno ai minori sbarcati a Lampedusa, sia quelli scampati al tragico naufragio del 3 ottobre 2013, che quelli arrivati sull'isola dopo altrettanto terribili viaggi: lo ha fortemente richiesto il Santo Padre, per dare un deciso segnale sulla necessità di concentrarsi sui più piccoli. Nella stessa direzione si muovono anche le principali associazioni umanitarie presenti nel nostro Paese, da Save the children, alla Carita e molte altre ancora;
    molti sono spesso minori non accompagnati e hanno in media dagli undici ai sedici anni. Le famiglie fanno sacrifici per il loro futuro, con i risparmi accumulati in una vita: agli scafisti senza scrupoli pagano 1800 dollari per ogni ragazzo affidato a quei barconi, strumenti delle mafie che lucrano sul traffico umano;
    il Parlamento e il Governo nel 1998 hanno apportato alcune modifiche sulla condizione giuridica del «minore straniero non accompagnato», per meglio disciplinare le diverse problematiche dell'affidamento, della tutela, dell'accoglienza del minore. Tra la normativa internazionale vale la pena tener presente: la convenzione ONU sui diritti del fanciullo fatta a New York nel 1989, la convenzione di Lussemburgo del 1980, la convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli 1996, la direttiva 2003/9/CE del Consiglio dell'Unione europea del 2003. La Costituzione prevede varie disposizioni che possono essere considerate una forma di tutela concreta per i minori stranieri non accompagnati: nello specifico, gli articoli 2, 3, 29, 30, 31, 37. A questi si aggiungono l'articolo 33 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, l'articolo 343 e l'articolo 403 del codice civile che dispongono interventi urgenti di protezione per i minori. A questa normativa vanno aggiunti la circolare del Ministero dell'interno del 1999, il decreto del Presidente del consiglio dei ministri 1999, n. 535, la circolare del Ministero dell'interno del 2000 e una nota del Comitato del 2002;
    a questi bambini, minorenni stranieri non accompagnati, va garantito il diritto all'istruzione, sia che siano titolari del permesso di soggiorno sia che non lo siano, perché, in base all'ordinamento vigente, sono anch'essi soggetti all'obbligo scolastico ed hanno il diritto di essere iscritti a scuola; a costoro va inoltre garantito il diritto alla salute e quindi alle cure necessarie per far fronte a tutte le patologie che dovessero contrarre;
    i bambini hanno una forte capacità di resistenza, ma bisogna guidarli con attenzione in un percorso di recupero, soprattutto in un contesto in cui sono privati dei luoghi e delle attività che, in quanto routinarie, rappresentano delle certezze. Hanno compiuto viaggi durissimi, alcuni di loro hanno perso i propri cari nel drammatico naufragio e ora sono costretti a vivere in un centro in condizioni disastrose;
    l'accoglienza in famiglia non è e non deve essere solo questione di generosità. La legge n. 149 del 2001 stabilisce che «il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell'ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i princìpi fondamentali dell'ordinamento»;
    la situazione a Lampedusa è al collasso, ed è chiaro che in simili circostanze, il primo obiettivo è trasferire i piccoli profughi in ambienti più idonei: si spiega così la scelta di queste ultime ore delle autorità competenti a inserire sei minori sotto i tre anni in comunità educative, anziché in famiglie che si erano rese disponibili;
    ma l'auspicio è che il soggiorno in tali strutture sia una soluzione tampone di brevissima durata, perché i danni che ne avrebbero i minori coinvolti sarebbero ulteriori traumi difficili da superare;
    sono proprio infatti costoro le vittime principali del dramma vissuto dai migranti. Ecco perché bisogna uscire dalla logica dell'emergenza e trasferirli in strutture meno precarie dei primi centri di accoglienza, in modo che possano ritrovare il sorriso e la voglia di giocare;
    a metà ottobre, su 1151 presenti nel centro di Lampedusa, 31 avevano tra uno e quattro anni, 78 tra i 5 e i 14 anni, 453 tra i 15 e i 24 anni. Secondo i dati di Save the children, tra i 30 mila migranti arrivati in Italia nei primi nove mesi dell'anno, ben 5800 erano minori,

impegna il Governo:

   a facilitare, per quanto di competenza, l'adozione di questi bambini da parte delle coppie dichiarate idonee all'adozione internazionale;
   ad assumere iniziative per introdurre l'istituto dell'affidamento familiare internazionale, finalizzato al compimento di uno specifico progetto di carattere familiare, umanitario, sanitario, di studio o di formazione professionale, tale da consentire il miglioramento delle condizioni di vita del minore straniero, nonché ad assicurare il suo diritto a vivere, crescere ed essere educato nell'ambito di una famiglia;
   a predisporre una banca dati nazionale con l'elenco delle famiglie pronte all'affido, nonché delle disponibilità delle case famiglia;
   ad istituire una task force in grado di coordinare e gestire lo sforzo delle associazioni, del volontariato e della società civile nell'emergenza attuale, coordinandosi con tutte le realtà territoriali italiane già attive;
   a monitorare i minori in stato di abbandono, al fine di evitare che diventino vittime della tratta, nonché a favorire il rimpatrio assistito nel Paese d'origine (ove sia scelto e possibile);
   a promuovere e a sostenere una rete di famiglie volontarie, pronte a offrire ospitalità e ad accogliere, ove possibile, in affido, i bambini orfani e quelli non accompagnati.
(1-00209) «Binetti, Adornato, Buttiglione, Capua, Caruso, Cera, Cesa, Antimo Cesaro, Cimmino, D'Agostino, Dambruoso, De Mita, Galgano, Gigli, Gitti, Marazziti, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Fitzgerald Nissoli, Oliaro, Piepoli, Sberna, Sottanelli, Schirò Planeta, Tinagli, Vargiu, Vitelli».


   La Camera,
   premesso che:
    l'elevata presenza di alunni stranieri nelle singole classi scolastiche della scuola dell'obbligo determina difficoltà oggettive d'insegnamento per i docenti e di apprendimento per gli studenti;
    il diverso grado di alfabetizzazione linguistica si rivela quindi un ostacolo per gli studenti stranieri che devono affrontare gli insegnamenti previsti nei programmi scolastici;
    gli alunni italiani assistono a una penalizzante riduzione dell'offerta didattica, a causa dei rallentamenti degli insegnamenti, dovuti alle specifiche esigenze di apprendimento degli studenti stranieri;
    dal rapporto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – Direzione Generale per gli Studi, la statistica e per i sistemi informativi, nell'anno scolastico 2011/2012, nelle scuole statali e non, il numero degli alunni con cittadinanza non italiana è pari a 755.93 unità. Il rapporto degli alunni stranieri sul totale degli alunni è in continua crescita per ciascun ordine di studio; nella scuola dell'obbligo ormai su 100 alunni 9 sono stranieri;
    la presenza degli alunni stranieri è disomogenea sia per quanto riguarda la provenienza sia per la distribuzione delle varie etnie sul territorio nazionale. La cittadinanza degli alunni non italiani conferma il quadro degli anni precedenti: il maggior flusso migratorio si registra dalla Romania che, con 141.050 unità, raggiunge una percentuale pari al 18,7 per cento dell'intera popolazione scolastica straniera, a seguire gli studenti provenienti dall'Albania (circa 103.000 pari al 13,6 per cento e dal Marocco (12,7 per cento);
    a livello regionale questo fenomeno è maggiormente rilevante in Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte; al contrario, Campania, Sardegna e Sicilia hanno tra il 40 e 46 per cento di scuole prive di alunni stranieri. Le regioni italiane più industrializzate e pertanto con la maggior offerta di lavoro, sono quelle con una maggior presenza di studenti con cittadinanza non italiana; si noti, ad esempio, come un quarto del totale degli studenti stranieri sia concentrato in Lombardia;
    i Paesi di provenienza degli alunni stranieri, sui 194 censiti dall'Istituto nazionale di statistica, sono ben 191. Nelle scuole della provincia di Bergamo, ad esempio si registrano circa 120 cittadinanze differenti;
    la maggior parte dei Paesi europei ha costruito luoghi d'apprendimento separati per i bambini immigrati, allo scopo di attuare un percorso breve o medio di alfabetizzazione culturale e linguistica del Paese accogliente. La presenza di bambini stranieri, ma anche nomadi o figli di genitori con lo status di rifugiati politici, implica l'aggiunta di finanziamenti e di docenti e l'organizzazione di classi di recupero successive o contemporanee all'orario normale, di classi bilingue, oppure con la presenza di assistenti assunti a tal fine;
    in Germania, ad esempio, prima dell'iscrizione alla scuola elementare i figli di immigrati devono sostenere un test di lingua tedesca e coloro che non lo superano devono seguire un corso di tedesco prima di essere accolti nelle classi normali. In Francia si adotta un modello di politica educativa per studenti stranieri che prevede l'inserimento nelle classi comuni, ma si ricorre a classi separate che durano al massimo due anni nei confronti dei cosiddetti alunni NSA, non scolarisés antérieurement cioè non precedentemente scolarizzati. In Catalogna sono stati istituiti dei centri speciali («Spazi di benvenuto educativo»), per minori stranieri tra gli otto e i diciotto anni, propedeutici all'ingresso nel sistema scolastico che affiancano, senza quindi sostituirlo, il sistema scolastico accogliendo gli alunni che giungono ad anno scolastico iniziato e sono molto deboli nella lingua. In Grecia si organizzano delle classi propedeutiche o delle sezioni preparatorie per l'insegnamento del greco, ma anche della lingua d'origine, per facilitare l'integrazione di questi bambini nel sistema educativo;
    le normative sull'immigrazione del 1998 e del 2002 (Testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 e legge n. 189 del 2002) contengono indicazioni utili sulla funzione e sull'uso dei cosiddetti «spazi dotati di strumenti appositamente dedicati», demandando alle scuole e agli enti locali l'iniziativa e la gestione di tali spazi e strumenti, mirati all'istituzione di percorsi specifici di alfabetizzazione linguistica, di durata variabile;
    l'osservazione sull'esito scolastico degli alunni italiani a confronto con quello degli alunni stranieri rivela che, nelle scuole dove sono presenti alunni con cittadinanza non italiana, si riscontra una maggiore selezione nei loro riguardi che finisce per incidere sui livelli generali di promozione. I dati forniti dal Ministero della pubblica istruzione, università e ricerca evidenziano come il problema dei ripetenti e della dispersione scolastica incida soprattutto sui ragazzi stranieri. Secondo tali dati, il numero degli studenti stranieri ripetenti è del 4 per cento nella scuola primaria, dell'8 per cento nella scuola secondaria di primo grado e arriva al 14 per cento nella scuola secondaria di secondo grado. In riferimento a quest'ultimo ciclo di istruzione si rilevano inoltre incongruenze tra la classe frequentata e l'età, incongruenze che riguardano circa il 75 per cento degli studenti stranieri; la dimensione della scuola, la quantità di stranieri rispetto alla popolazione scolastica e la quantità di cittadinanze concorrono al successo o all'insuccesso scolastico di tutti gli studenti; dai dati ministeriali si rileva che per i diversi ordini di scuola gli alunni stranieri sembrano ottenere maggiori risultati quando sono ridotti di numero;
    questa tipologia di alunni con cittadinanza non italiana consegue determinati esiti scolastici, in rapporto al livello di conoscenza della lingua italiana, alla dimensione temporale di scolarizzazione nel nostro Paese, alle misure di accompagnamento per la loro integrazione all'interno e all'esterno dell'ambito scolastico. Tali misure risultano infatti determinate sia dal numero degli studenti stranieri, sia dalle diverse nazionalità presenti nella stessa classe o scuola e dalle conseguenti differenti situazioni culturali e sociali che generano molteplici esigenze cui dare risposta;
    intervenendo in un dibattito il 24 settembre 2013 nella trasmissione Nel cuore dei giorni su Tv Sat 2000 il Ministro dell'Integrazione Cecile Kashetu Kyenge dopo aver sentito la proposta del vicesindaco leghista di Telgate (Bergamo), di inserire le classi ponte per i bambini che non parlano italiano si è espressa favorevolmente sulla proposta «anche – se – ha aggiunto – occorre reperire le risorse». Il tema della puntata era: «l'integrazione a scuola tra bambini figli di immigrati e italiani». Due ore al giorno per permettere ai bambini di imparare bene la lingua italiana necessaria per apprendere e socializzare;
    il Ministro Kyenge ha commentato: «Dovremmo considerare l'insegnamento della lingua italiana proprio come uno degli strumenti di integrazione. Ci sono diversi modelli per poter accompagnare l'integrazione delle persone all'interno delle scuole. La possibilità per rafforzare appunto la lingua italiana in alcune persone dipende anche delle risorse che abbiamo a disposizione»;
    al contrario, il ministro dell'istruzione Maria Chiara Carrozza, intervenendo il 7 ottobre 2013 nell'aula magna del liceo scientifico Lussana di Bergamo, si è espressa negativamente in merito all'istituzione delle «classi ponte», motivando il suo diniego asserendo che: «la scuola ha già la sua metodologia. L'integrazione è il valore di riferimento e, a distanza, il metodo scolastico attuale ha dimostrato che i risultati degli alunni immigrati sono i medesimi degli alunni italiani», quando invece dai dati statistici elaborati dal suo dicastero, si evince il contrario;
    al di là dei pregiudizi politici, infatti, la proposta delle classi ponte è valida: utile per i bambini che imparano la lingua necessaria poi per apprendere le altre materie, necessaria agli insegnanti che così possono seguire senza fatica il programma scolastico proposto dal Ministero e, infine, determinante perché permetterebbe quell'integrazione necessaria nelle nostre comunità dove spesso, purtroppo, si tendono a creare ghetti tra persone delle stessa nazionalità;
    il ministro Kyenge ha riconosciuto un metodo di lavoro che garantisce il processo di apprendimento degli studenti stranieri senza penalizzare gli italiani, cercando di evitare la fuga dalla scuola pubblica di questi ultimi, come sempre più spesso accade;
    le risorse è dovere dello Stato, e in questo caso del Ministro per l'integrazione – far sì che siano disponibili, non si può pensare che siano le amministrazioni comunali a farsene carico in toto,

impegna il Governo:

   ad un chiarimento politico sugli indirizzi in materia di integrazione scolastica degli alunni stranieri che non parlano l'italiano, al fine di rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado, autorizzando il loro ingresso previo superamento di test e specifiche prove di valutazione;
   ad assumere iniziative per l'istituzione di classi ponte, che consentano agli studenti stranieri che non superano le prove e i test sopra menzionati di frequentare corsi di apprendimento della lingua italiana, propedeutiche all'ingresso degli studenti stranieri nelle classi permanenti;
   a non consentire in ogni caso ingressi nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno, al fine di un razionale ed agevole inserimento degli studenti stranieri nelle nostre scuole e a prevedere, altresì, una distribuzione degli stessi proporzionata al numero complessivo degli alunni per classe, per favorirne la piena integrazione e scongiurare il rischio della formazione di classi di soli alunni stranieri;
   a favorire, all'interno delle predette classi ponte, l'attuazione di percorsi monodisciplinari e interdisciplinari, attraverso l'elaborazione di un curricolo formativo essenziale, che tenga conto di progetti interculturali, nonché dell'educazione alla legalità e alla cittadinanza: a) comprensione dei diritti e doveri (rispetto per gli altri, tolleranza, lealtà, rispetto della legge del Paese accogliente); b) sostegno alla vita democratica; c) interdipendenza mondiale; d) rispetto di tradizioni territoriali e regionali del Paese accogliente, senza etnocentrismi; e) rispetto per la diversità morale e cultura religiosa del Paese accogliente;
   a prevedere l'eventuale maggiore fabbisogno di personale docente da assegnare a tali classi, inserendolo nel prossimo programma delle assunzioni di personale docente, alla cui copertura finanziaria si provvede mediante finanziamenti da iscrivere annualmente nella legge finanziaria.
(1-00210) «Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    nel 2012, secondo il rapporto Ecomafia 2013 curato da Legambiente, il giro d'affari della «filiera criminale del ciclo dei rifiuti» viene stimato in 16,7 miliardi di euro e risulta essenzialmente in linea con il 2011, quando era stato di 16,6 miliardi. Nonostante i colpi assestati anche recentemente dalle direzioni distrettuali antimafia d'Italia la criminalità organizzata non accenna a mollare la presa sulla gestione dei rifiuti;
   sempre nel 2012 sono stati registrati 34.120 reati ambientali, 28.132 persone denunciate, 161 ordinanze di custodia cautelare per crimini di natura ambientale, 8.286 sequestri, per un giro di affari di 16,7 miliardi di euro gestito da numerosi clan: di cui 302 tra quelli censiti nel 2012;
    dall'entrata in vigore del delitto di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti (l'attuale articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006), le persone arrestate sono state ben 1.367, oltre 4.000 quelle denunciate e 698 le aziende coinvolte. Significativo è anche il numero relativo ai procedimenti penali aperti presso le direzioni distrettuali antimafia: 253, iscritti tra l'agosto del 2010 data in cui è entrata in vigore la norma che assegna la competenza delle indagini alle direzioni distrettuali antimafia) e il 31 dicembre 2012;
    la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti in Campania ha svolto un'indagine tout court sul tema che ha portato all'emersione di numerose ed inquietanti commistioni tra criminalità organizzata, imprenditoria non soltanto locale e politica;
    dalle indagini effettuate è emerso che lo strumento più congeniale affinché si potessero concretizzare tali intrecci era quello dei consorzi attraverso i quali era possibile aggirare tutti i meccanismi di controllo sulla filiera del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti;
    l'ennesimo ritrovamento di rifiuti tossici interrati è la riprova della devastazione ambientale provocata da organizzazioni malavitose senza scrupoli, e non solo, sul territorio della regione (in particolare, l'area compresa tra le province di Napoli e Caserta, ossia la cosiddetta «Terra dei Fuochi»): in particolar modo, i casalesi hanno fatto del «sistema rifiuti» una delle principali fonti di arricchimento per oltre trenta anni;
    questo fenomeno illegale interessa un territorio di alcuni milioni di abitanti ed è alimentato dal nocivo smaltimento criminale di materiali tossici, quasi sempre di natura industriale;
    tutte le analisi di sistema effettuate negli ultimi anni hanno fatto emergere, ancora una volta, il primato negativo della regione Campania sotto il profilo delle infrazioni ambientali accertate e delle conseguenti ormai strutturali patologizzazioni del territorio;
    il fatto che sia stato un pentito di camorra, Carmine Schiavone a rivelare la presenza dei fusti in un'area di Casal di Principe legittima il sospetto che si è di fronte ad un'azione sistematica di inquinamento causato dai clan criminali, la cui vastità è impossibile quantificare;
    sembra che l'ex boss dei casalesi e collaboratore di giustizia dal 1993 rivelò in audizione alla Commissione bicamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti nel 1997 i luoghi in cui la criminalità organizzata aveva interrato i veleni in Campania e nel basso Lazio e che gli atti della sua testimonianza erano stati secretati: ad oggi non risulta infatti possibile avere accesso allo stenografico e ai materiali depositati in sede di audizione;
    è intollerabile che zone estese e popolose della Campania debbano continuare ad essere esposte al rischio di veleni che la scienza ha abbondantemente dimostrato essere causa di patologie tumorali;
    senza avere una mappa particolareggiata di questo tipo di inquinamento sarà impossibile avviare le iniziative di bonifica integrale dell'area interessata;
    il tema ambientale in Campania è decisamente prioritario e pregiudiziale per ogni serio progetto di sviluppo del territorio;
    i rifiuti tossici intombati sono stati rinvenuti nelle immediate vicinanze di una ludoteca. Questa circostanza, per quanto casuale, rappresenta il paradigma delle contraddizioni tra lo Stato ideale e quello reale in tante zone della Campania: da una parte, gli sforzi per far crescere i bambini in ambienti pedagogicamente adeguati, dall'altra, una condizione igienico-sanitaria devastante, destinata a minare la loro salute lentamente e in modo occulto,

impegna il Governo:

   a verificare l'attendibilità di quanto dichiarato da Schiavone, in merito ai luoghi di smaltimento dei rifiuti tossici in Campania e nel Lazio;
   ad adottare le opportune iniziative di competenza, affinché, anche attraverso le rivelazioni dei pentiti venga scoperta tutta la verità sui rifiuti tossici occultati sul territorio campano;
   ad istituire quanto prima un tavolo interministeriale che si occupi delle questioni indicate in premessa, composto dai Ministri della giustizia, dell'interno, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute e delle politiche agricole alimentari e forestali, anche al fine di assumere ogni iniziativa economica e normativa utile, per assicurare – in tempi rapidi e certi – il rilancio dell'attività di bonifica dei suoli inquinati, ai fini del loro recupero e della loro riconversione.
(1-00211) «Antimo Cesaro, Rostan, Valiante, Caruso, Cimmino, D'Agostino, Mazziotti Di Celso, Monchiero, Oliaro, Rabino, Schirò Planeta, Sottanelli, Vitelli, Zanetti».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni III e VII,
   premesso che:
    in data 8 agosto 2013 il vice Ministro degli affari esteri, Marta Dassù, ha comunicato lo stato di avanzamento del processo di riorganizzazione della rete diplomatico-consolare alle Commissioni affari esteri di Camera e Senato sottolineando che «la revisione della Rete per motivi geopolitici e economici riguarderà anche gli Istituti di cultura e ambasciate»;
    il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 14 settembre 2011 in materia di stabilizzazione finanziaria e di sviluppo individua la «riorganizzazione della rete diplomatico-consolare» tra le misure essenziali della spending review. Questa impostazione è stata rafforzata nuovamente dal decreto-legge n. 95 del 2012 (la nuova normativa di spending review), che ha previsto che la Farnesina riorganizzi la propria rete, imponendo al Ministero degli affari esteri un impegno più rapido sotto questo profilo;
    gli Istituti di cultura all'estero (IIC), che pur dipendendo dalla Farnesina non sono parte integrante della rete diplomatico consolare, si occupano della promozione della cultura e della diffusione della lingua italiana. L'Italia, pur collocandosi al diciannovesimo posto nel mondo per numero di parlanti, si situa al quinto per corsi di lingua attivati. L'italiano conserva il ruolo di veicolo culturale privilegiato per l'accesso ad un universo artistico, letterario, filosofico, oltre che economico e commerciale. Gli Istituti di cultura hanno sempre avuto un ruolo di grande rilevanza nel dialogo culturale, rappresentando l'immagine, la lunga storia, il patrimonio culturale del nostro Paese. La loro attività influenza la percezione dell'identità e dell'immagine dell'Italia Paese anche nei settori non direttamente connessi con la cultura;
    l'Unesco ha reso noto un dato ormai ampiamente diffuso: la cultura può diventare il volano della ripresa economica. Porta, infatti, valore aggiunto al prodotto italiano e contribuisce alla crescita del Paese. La promozione culturale dovrebbe pertanto occupare un ruolo fondamentale nella politica estera del nostro Paese e dovrebbe costituire uno dei principali strumenti di proiezione esterna;
    l'attuale rete degli Istituti italiani di cultura conta novanta istituti nel mondo e copre 250 città. Con i corsi di lingua italiana, si raggiungono circa 70.000 alunni l'anno, spesso stranieri o oriundi;
    l'insegnamento della lingua e della cultura italiana nel mondo genera un consistente flusso di turisti e studenti stranieri verso l'Italia per circa 60 mila unità l'anno, producendo un ingente introito economico per il nostro Paese. I soli visitatori statunitensi soggiornano nel nostro Paese in media almeno 100 giorni con una spesa complessiva di circa 645 milioni di euro. Nel 2012 sono stati censiti circa 1200 eventi culturali italiani nel mondo;
    secondo i dati della Farnesina, gli Istituti italiani di cultura ricevono 12 milioni di euro dal bilancio dello Stato, ma generano circa 17 milioni con sponsorizzazioni e corsi. Ogni euro pubblico investito negli Istituti ne genera in media 1,4: 1,8 in Asia/Oceania o 2,32 in America latina, le aree geografiche dove si registra più profitto. A Lima per ogni euro attribuito all'Istituto se ne generano 10, a Rio 5, a Istanbul 3,3, a Beirut 2;
    è evidente che la strada maestra non è quella della chiusura dei nostri Istituti. Sono centri con bilanci in attivo e quindi non rappresentano un peso per i conti dello Stato;
    l'Italia deve cogliere la nuova rilevanza strategica della cultura per rafforzare influenza e ruolo politico del Paese nel contesto europeo ed internazionale. Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna hanno investito notevoli risorse nella promozione culturale all'estero e hanno operato una profonda revisione dei propri Istituti di cultura, rendendoli da una parte più efficienti in Europa e dall'altra investendo in nuove aree di interesse strategico, come l'Africa e il Medio Oriente;
    a fronte dei finanziamenti pubblici agli Istituti di cultura di cui sopra, la Francia mette a disposizione della sua rete di lingua e cultura risorse per 760 milioni di euro, di cui 135 per spese di gestione e personale e 625 milioni per azioni di promozione. Il British Council dispone di 826 milioni di euro annui in finanziamento pubblico, il Goethe Institut ha 156 sedi in 93 Paesi con 3.000 dipendenti di cui solo 250 distaccati dalla Germania e riceve complessivamente 218 milioni di contributi statali e 103 milioni da sponsorizzazioni. In Spagna la rete dei Cervantes è attiva in 150 Paesi con 1.100 dipendenti e un bilancio di 97 milioni di euro, di cui 80 milioni di contributi pubblici;
    il Presidente del Consiglio Enrico Letta, intervenendo all'assemblea generale dell'Onu, ha lanciato il piano «Destinazione Italia», una serie di interventi che puntano ad attrarre investimenti esteri per favorire il rilancio della competitività commentandolo come «un segnale forte che l'Italia lancia al mondo (...) perché l'Italia ha un drammatico bisogno di investimenti esteri, abbiamo scarsa capacità di attrazione»;
    va sottolineata l'importanza strategica della lingua e cultura italiana come volano della promozione del «Sistema Paese»;
    è auspicabile una riforma organica degli Istituti italiani di cultura,

impegna il Governo:

   ad espugnare dalla riorganizzazione e dalle misure contenitive previste per la rete diplomatico consolare il sistema degli Istituti italiani di cultura;
   ad individuare ipotesi di crescita e di valorizzazione della rete degli Istituti di cultura, al fine di garantire la presenza nel mondo, anche alla luce degli esiti dell'indagine conoscitiva sulla promozione della lingua e cultura italiana, avviata congiuntamente nel corso della XVI legislatura dalle Commissioni esteri ed istruzione della Camera.
(7-00137) «Garavini, Bergamini, Amendola, Picchi, Caruso, Marazziti, Scotto, Fava, Tacconi, La Marca, Fedi, Porta, Quartapelle Procopio, Antimo Cesaro, Capua, Cimmino, D'Agostino, Fitzgerald Nissoli, Vezzali, Vargiu».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    la sindrome di Rett è una patologia progressiva dello sviluppo neurologico che colpisce quasi esclusivamente le bambine;
    è oggi riconosciuta come la seconda causa di ritardo mentale nelle bambine, con un'incidenza stimata di circa una ogni 10.000 neonate. Nella forma classica, le pazienti presentano uno sviluppo prenatale e perinatale normale. Dopo un periodo compreso tra i 6 e i 24 mesi, però, le bambine presentano un arresto dello sviluppo seguito da una regressione. In tale fase le pazienti perdono le abilità precedentemente acquisite come l'uso finalistico delle mani e il linguaggio verbale. Diventa evidente una riduzione delle capacità comunicative e compaiono tratti autistici. Inoltre, le bambine cominciano a manifestare i movimenti stereotipati delle mani (tipo lavaggio) e spesso sono presenti segni come digrignamento dei denti e sospensione del respiro. Si manifesta un rallentamento della crescita della circonferenza cranica che risulta una microcefalia. Nello stadio successivo, si assiste ad una diminuzione delle sintomatologia autistica e ad un miglioramento nelle interazioni sociali, ma l'incapacità di parlare, l'aprassia e le stereotipie manuali persistono, la deambulazione molte volte non è più autonoma, si evidenzia l'incapacità di controllo dei movimenti. Diventano più evidenti l'iposviluppo somatico e la scoliosi e spesso compaiono crisi convulsive. Caratteristiche presenti sono inoltre stipsi ed estremità fredde. L'ultimo stadio si manifesta solitamente dopo i 10 anni;
    dal punto di vista genetico, dopo il 1999, anno in cui è stato identificato il gene MECP2 come causa della forma classica, sono stati fatti numerosi passi avanti. Attualmente sono stati scoperti altri due geni responsabili della sindrome di Rett CDKL5 e FOXG1;
    nel 2000 il reparto di genetica medica del policlinico di Siena ha dimostrato che anche la variante con conservazione del linguaggio è causata da mutazioni in MECP2. Più recentemente ha contribuito all'identificazione di un secondo gene localizzato sempre sul cromosoma X, CDKL5, coinvolto nella variante Rett con convulsioni ad esordio precoce. Si tratta dell'identificazione di un terzo gene responsabile della variante congenita della sindrome: il gene FOXG1;
    la scoperta è stata resa possibile grazie alla combinazione di tre elementi chiave: l'intensa attività assistenziale offerta dall'azienda ospedaliera universitaria senese attraverso la neuropsichiatria infantile (circa 200 pazienti all'anno), l'avanzamento tecnologico (piattaforma array-CGH) e l'attività di ricerca del reparto di genetica medica sostenuta sia dall'università di Siena che da Telethon,

impegna il Governo:

   ad individuare risorse da destinare alla ricerca con l'obiettivo fondamentale, da una parte, di promuovere e finanziare la ricerca genetica per arrivare quanto prima ad una cura della sindrome di Rett e dall'altra, di sostenere la ricerca clinico-riabilitativa, per individuare soluzioni alle numerose problematiche che un soggetto affetto da sindrome di Rett si trova quotidianamente ad affrontare;
   a supportare, per quanto di competenza, la formazione di medici e terapisti;
   ad assumere iniziative per creare centri di riferimento specializzati nella sindrome di Rett per la diagnosi, il check up e la stesura di un adeguato programma di riabilitazione e cura della sintomatologia.
(7-00136) «Biondelli, Amato, Ascani, Arlotti, Bazoli, Antezza, Amoddio, Bargero, Baruffi, Basso».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    è da un po’ di mesi che il Governo inglese insiste giustamente nel voler migliorare la salute dei suoi cittadini, in data 19 giugno il dipartimento della salute britannico ha annunciato l'introduzione di un nuovo sistema volontario di etichettatura nutrizionale basato sulla colorazione semaforica (verde-giallo-rosso) del packaging dei prodotti alimentari; l'Inghilterra ha deciso di far diminuire l'introito di alcuni nutrienti: grassi, sale e zuccheri, presenti negli alimenti. Il Ministro della salute inglese, Anna Soubry, ha invitato la grande distribuzione e i supermercati del suo Paese a utilizzare, da quest'anno, i colori del semaforo per le indicazioni nutrizionali. Il sistema escogitato risulta il seguente: il colore rosso indica pericolo, il giallo mediamente pericoloso, il verde buono. L'iniziativa britannica ha suscitato non poche preoccupazioni nell'industria agroalimentare italiana, basti pensare che l'olio extravergine, per esempio, si ritroverebbe un grosso bollino rosso di pericolo. La stessa cosa accadrebbe a formaggi, salumi, dolciumi e altro. E gli eccellenti prodotti italiani e quelli dell'Europa meridionale si ritrovano così col semaforo rosso. Sulle etichette però non sono affatto suggerite le quantità giornaliere. Inoltre, le porzioni consigliate dovrebbero indicare il valore delle calorie e dei nutrienti riferiti al fabbisogno giornaliero. In altre parole, le indicazioni troppo generiche dovrebbero essere comprese e applicate da normali persone prive delle conoscenze nutrizionali specialistiche. Per alcuni prodotti, in corrispondenza dei numeri indicanti le quantità di ingredienti sono previste parole come «alto», «medio» e «basso» per segnalare in modo intuitivo se un cibo è ricco di grassi e sale. Questo sistema penalizzante per una sola parte di prodotti era già stato «bocciato» non solo dall'Italia, ma anche dall'intera Unione europea che, saggiamente aveva suggerito di mettere in atto una campagna di educazione alimentare per i cittadini, specialmente nei confronti dei bambini. A partire dal 2016 diventerà obbligatoria in tutta Europa l'etichettatura nutrizionale, vale a dire l'indicazione corretta dei principi nutritivi e del relativo apporto calorico riportata sull'etichetta di ogni prodotto alimentare. L'iniziativa britannica appare avere a giudizio dei firmatari del presente atto, elementi di pressapochismo normativo tali da svantaggiare il made in Italy; infatti sulla base del conteggio dei grassi e degli zuccheri gli alimenti sono etichettati con bollino rosso. Si specifica che la dieta italiana è conosciuta come dieta mediterranea, il cui valore come «patrimonio immateriale dell'umanità» è stato ufficialmente riconosciuto dall'Unesco nel 2010. Oltretutto il sistema a semafori non tiene conto ad esempio del fatto che in un alimento vi siano organismi geneticamente modificati e che nella filiera complessiva agroalimentare siano stati utilizzati mangimi ogm;
    la normativa relativa all'etichetta negli alimenti OGM è contenuta nel Regolamento 1830/2003 e nel Regolamento 1829/2003 direttamente applicabili nel nostro ordinamento;
    quanto alla normativa nazionale, il decreto legislativo n. 224 del 2003 ha dato attuazione in Italia alla direttiva 2001/18/CE;
    in base a ciò quanto contenuto nel sistema a semafori adottato dall'Inghilterra appare carente e penalizzante rispetto ai prodotti agroalimentari italiani;
    sarebbe opportuno assumere iniziative affinché i prodotti contengano comunque sull'etichetta la dicitura «free ogm»;
    questo permetterebbe di modificare positivamente per il made in Italy, il solo criterio della quantità di grassi e zuccheri presente nell'etichettatura volontaria semaforica, criterio alquanto discutibile se non combinato alle caratteristiche dei regimi alimentari differenti. La tracciabilità nella filiera dell'assenza di ogm valorizzerebbe in tal modo il made in Italy, preservandolo da fini distorsivi del mercato prodotti da etichettature volontarie, là dove sia completamente genuino e garantisca la salute dei consumatori e incentivando, altresì, tutte le imprese agricole e agroalimentari italiane, che producono prodotti locali e allo stesso tempo, non attingendo da derrate alimentari di altri continenti (in particolare, per la mangimistica OGM), salvaguardano la filiera italiana in modo completo,

impegna il Governo:

   ad intervenire presso la Commissione europea per una rapida verifica sia sulla compatibilità del suddetto sistema di etichettatura inglese con la normativa europea relativa alle indicazioni nutrizionali degli alimenti, sia sul rispetto da parte del Governo britannico dell'obbligo di previa notifica previsto per l'introduzione di nuove regolamentazioni in materia di etichettatura;
   a dare mandato alla rappresentanza permanente italiana a Bruxelles affinché i prodotti contengano sull'etichetta la dicitura «Free Ogm», dicitura ottenuta solo se in tutti i passaggi della filiera alimentare, non siano stati utilizzati organismi geneticamente modificati.
(7-00135) «Zaccagnini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per gli affari europei, per sapere – premesso che:
   la procedura di infrazione comunitaria n. 2008/4908 relativa al regime normativo vigente nei nostro Paese in materia di concessioni balneari è stata avviata, nel febbraio 2009, dalla Commissione europea in relazione all'incompatibilità del sistema di attribuzione delle concessioni demaniali marittime per finalità ricreative, con il cosiddetto diritto di stabilimento protetto allora dall'articolo 43 del Trattato della Comunità europea (ora articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea);
   nella procedura di infrazione venivano contestati, in modo particolare, l'articolo 37 del codice della navigazione e le disposizioni della legge n. 493 del 1994, allora vigenti, che riconoscevano il cosiddetto diritto di insistenza ossia un sistema di preferenza per il concessionario uscente e, a seguito delle modifiche introdotte con la legge 16 marzo 2001, n. 88, il rinnovo automatico delle concessioni della durata di 6 anni;
   l'Italia è intervenuta a rimuovere le cause all'origine della procedura di infrazione inserendo all'articolo 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 2009 una disposizione con la quale è stata abrogata la parte dell'articolo 37 del codice della navigazione che riconosceva il diritto di insistenza, e nello stesso tempo è stato stabilito che le concessioni in essere alla data in vigore del decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 fossero prorogate fino a quella data;
   in sede di conversione dello stesso decreto-legge n. 194 del 2009, è stato modificato l'articolo 1 comma 18 stabilendo che erano fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 03 comma 4-bis della citata legge n. 493 del 1993 e dunque richiamando, indirettamente, l'articolo 01, comma 2, della stessa legge, che fissava in 6 anni la durata delle concessioni e ne prevedeva il rinnovo automatico alla loro scadenza;
   alla luce di questa disposizione, la Commissione ha provveduto, in data 5 maggio 2010, a inviare una lettera di messa in mora complementare con la quale, oltre a mantenere aperta la procedura di infrazione – in considerazione al fatto che l'ordinamento italiano conservava ancora una norma che autorizzava il rinnovo automatico delle concessioni demaniali – rilevava come l'ordinamento italiano in materia si ponesse in contrasto con l'articolo 12 della direttiva servizi n. 2006/123/CE (la cosiddetta direttiva Bolkestein), che era entrata in vigore a partire dal 28 dicembre 2009;
   l'articolo 12 della direttiva servizi prevede, infatti, che «qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un'adeguata pubblicità all'avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento» e che «l'autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico, né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami»;
   l'Italia è intervenuta di nuovo, per rimuovere le cause alla base della procedura di infrazione n. 2008/4908 approvando all'interno della legge comunitaria 2010 (legge 15 dicembre 2011, n. 217, articolo 11) alcune modifiche alla citata legge n. 494 del 1993 e nello specifico abrogando il già richiamato comma 2 dell'articolo 01 e tutti i richiami a quest'ultimo comma, contenuti all'interno della stessa legge;
   con il comma 2 del citato articolo 11 della legge n. 217 del 2011, il Governo e stato delegato ad adottare un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime secondo principi e criteri direttivi elencati nello stesso comma 2;
   tra, i principi e i criteri direttivi elencati nell'articolo 11 comma 2 della legge n. 217 del 2011, ai quali il Governo doveva conformare il decreto legislativo delegato, sono stati inseriti, tra gli altri, i principi di concorrenza e di libertà di stabilimento;
   a seguito dell'approvazione e dell'entrata in vigore della legge 15 dicembre 2011, n. 217, la Commissione europea, in data 27 febbraio 2012, ha chiuso la procedura di infrazione n. 2008/4908;
   in base al decreto legislativo 28 maggio 2010 n. 85, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42, è stata disciplinata l'attribuzione dei beni statali, ai comuni, alle province, alle città metropolitane e alle regioni, stabilendo, all'articolo 3, il trasferimento alle regioni dei beni del demanio marittimo;
   in base all'articolo 4 comma 1 del citato decreto legislativo n. 85 del 2010, e stato stabilito che i beni appartenenti al demanio marittimo non entrano a far parte del patrimonio disponibile delle regioni e che restano assoggettati alle disposizioni del codice civile, del codice della navigazione, dalle leggi statali regionali e dalle norme comunitarie di settore con particolare riferimento a quelle di tutela della concorrenza;
   da notizie di stampa si apprende che il Sottosegretario all'economia e alle finanze Baretta ha incontrato, in diverse occasioni, le organizzazioni di categoria interessate a un riordino della materia e in particolare alla risoluzione dei problemi discendenti dall'approssimarsi del termine di scadenza delle concessioni demaniali in essere – fissato al 31 dicembre 2015 – dall'impossibilità di procedere al rinnovo automatico delle stesse concessioni, dall'obbligo di procedere all'assegnazione delle stesse concessioni con procedure ad evidenza pubblica e dall'assenza di un quadro normativo che regoli la situazione giuridica dei soggetti che attualmente sono titolari di concessioni demaniali in scadenza;
   negli incontri con le organizzazioni sindacali, anche in occasioni di manifestazioni pubbliche, il Sottosegretario all'economia e alle finanze Baretta ha reso note le linee guida di un riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime, che prevedono:
    a) la sdemanializzazione delle aree frontali delle spiagge dove insistono gli immobili dello stabilimento e la loro cessione a un prezzo calmierato – da definirsi a livello nazionale – con diritto di prelazione a beneficio del concessionario uscente;
    b) l'assegnazione della parte restante dell'area demaniale con meccanismo che riconosca un diritto di prelazione ai soggetti che acquistano la parte della spiaggia retrostante «sdemanializzata»;
   la procedura di infrazione comunitaria n. 2008/4908 è stata avviata per violazione del principio della libertà di stabilimento delle imprese comunitarie protetto dall'articolo 43 del Trattato della Comunità europea (articolo 49 TFUE);
   il citato articolo 49 vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro e dunque ogni disposizione con la quale uno Stato, entro i proprio confini nazionali, limiti e/o restringa la possibilità, per gli imprenditori provenienti da un altro stato dell'Unione, di accedere alle attività autonome e al loro esercizio e di costituire e gestire imprese e società –:
   se ritengano che la cessione, a prezzi – inferiori a quelli di mercato, di beni statali per giunta già trasferiti alle regioni in base al decreto legislativo n. 85 del 2010 – con procedure preordinate ad assicurare, in virtù del riconoscimento del diritto di prelazione, l'acquisizione degli stessi beni da parte di soggetti che, attualmente, vi conducono un'attività economica in forza di concessione demaniale, non reintroduca sotto altra forma il diritto di insistenza – già abrogato dall'Italia al fine di chiudere la procedura di infrazione n. 2008/4908 – esponendo l'Italia all'ennesima procedura di infrazione da parte delle autorità comunitarie;
   se ritengano che la preannunciata assegnazione della parte restante delle aree demaniali con diritto di prelazione a favore dei soggetti che diventeranno proprietari delle aree sdemanializzate non introduca una nuova fattispecie incompatibile con le disposizioni della direttiva 2006/123/CE e con l'articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
(2-00257) «Mannino, Lupo, Carinelli, Cozzolino, Nesci, Spessotto, D'Uva, De Lorenzis, Paolo Nicolò Romano, Parentela, Grillo, Lorefice, Turco».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con la legge delega n. 148 del 2011, il Governo, anche ai fini del perseguimento delle finalità di cui all'articolo 9 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è stato delegato a riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento d'efficienza;
   tale legge n. 148 del 2011 prevede appunto la revisione delle circoscrizioni giudiziarie; in forza della stessa legge sono stati emanati due decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 7 settembre 2012 rispettivamente titolati «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», e «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie - Uffici dei giudici di pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148»;
   i citati decreti legislativi non seguono, a sommesso parere dell'interrogante, le indicazioni contenute nei pareri delle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato, che rilevavano come i criteri contenuti nell'articolo 1, comma 2, della delega prevista dalla legge n. 148 del 2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 138 del 2011, fossero stati recepiti solo in parte, non tenendo conto dell'estensione del territorio nonché della sua specificità, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro, della situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata;
   tali norme, contenute in particolare nel decreto legislativo n. 155 del 2012, prevedono la soppressione del tribunale di Bassano del Grappa in provincia di Vicenza;
   il tribunale di Bassano del Grappa è uno degli otto tribunali attualmente presenti nella regione del Veneto (distretto della corte di appello di Venezia); giova ricordare che la regione del Veneto è quella con il peggior rapporto cittadini/magistrati (ultima posizione) e con il peggior rapporto cittadini/tribunali (con la Lombardia);
   il comprensorio di Bassano del Grappa è sede d'uffici giudiziari a partire dall'antica dominazione della Repubblica Veneta, e dal 1871 il Regno d'Italia assegnò definitivamente il tribunale a Bassano, con ciò istituzionalizzando una funzione radicata da tempo e necessaria per servire giustizia a un territorio vastissimo e prevalentemente montano, che si è sempre distinto per la sua rapidità ed efficienza;
   il tribunale di Bassano del Grappa, infatti, è un tribunale efficiente ed efficace, secondo costanti analisi ha sempre dato prova di raggiungere lusinghieri obiettivi ottenendo numeri d'assoluta eccellenza;
   i dati socio-economici lo pongono al 54mo posto dei tribunali italiani, in riferimento alla realtà industriale, e al 15mo posto tra quelli non sede di provincia, in riferimento ai cittadini presenti nel circondario;
   in ragione della sua efficace risposta di giustizia, ogni anno genera un gettito erariale che supera i 3 milioni di euro; nell'anno 2010, a fronte di una spesa per lo Stato, necessaria a mantenere la sua struttura organizzativa, di soli euro 849.217,61, il gettito da contributo unificato, campione penale e registrazione dei provvedimenti resi è stato di oltre 3.374.000 euro, con un utile netto di euro 2.524.782 che lo collocano tra i tribunali più virtuosi d'Italia;
   per quanto riguarda i tempi della giustizia, poi, la sentenza in una causa civile ordinaria a Bassano si ottiene mediamente in 2,5 anni, con rinvii d'udienza di 3-4 mesi, tali virtuosi indicatori lo mantengono perfettamente in linea con la norma dell'articolo 111, secondo comma, Costituzione, secondo la quale «la legge assicura la ragionevole durata» di ogni processo, deposizione che si integra con l'articolo 6 della CEDU, il quale dispone che «ogni persona ha diritto ad una udienza [...] entro un termine ragionevole»;
   in entrambe tali disposizioni normative il bene tutelato è, infatti, il medesimo: la durata ragionevole del processo. Il tribunale Bassanese, pertanto, è un evidente esempio d'efficienza e di garanzia dei diritti del cittadino;
   se si considera che in base alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo chiamata a pronunciarsi in merito all'illegittima durata dei processi, si riconosce che la durata ragionevole del processo di primo grado è di due-tre anni, il tribunale di Bassano è da considerarsi un raro esempio d'efficienza e di rispetto del diritto del cittadino ad ottenere dallo Stato la risposta di giustizia in linea con i tempi di ragionevole durata del processo stabiliti dall'ordinamento dell'Unione europea;
   se il tribunale di Bassano dovesse essere soppresso definitivamente le cause giudiziarie del suo bacino d'utenza verrebbero ad essere riversate sul tribunale di Vicenza (tribunale provinciale di riferimento), il quale, al contrario, necessita di tempi molto più lunghi per giungere a sentenza in una causa civile ordinaria, cioè, richiede 6 anni, con rinvii d'udienza di 11-12 mesi (dati Consiglio superiore della magistratura, ottobre 2011 - nel settore civile);
   in conseguenza della storia e della realtà fortemente funzionale ed efficace del tribunale di Bassano del Grappa, il Governo nell'anno 2007 ha avviato, con l'obiettivo di dotare gli uffici giudiziari bassanesi di migliori strutture per operare al meglio, i lavori per la costruzione di una nuovissima cittadella di giustizia sostenendo costi oltre i 12 milioni di euro;
   si ritiene illogico non mettere a frutto tali nuove strutture recentemente finanziate e completamente realizzate che assicurano un servizio efficientissimo per tempi e modi di lavoro quale il tribunale di Bassano del Grappa;
   il gettito erariale del tribunale di Bassano, inoltre, al netto del costo di mantenimento della sua struttura organizzativa, per la sua consistenza è idoneo a ripagare interamente l'investimento di 12 milioni d'euro impiegati per la realizzazione della nuova cittadella della giustizia, in tempi sicuramente rapidi, cioè un periodo di circa 4 anni, potendo così continuare ad operare con l'efficienza ed economicità che lo hanno sempre contraddistinto e potendo, far ottenere, inoltre, un consistente gettito annuo in favore del Ministero della giustizia;
   la soppressione del tribunale di Bassano del Grappa ed il suo accorpamento al tribunale di Vicenza, alla luce dei ragguardevoli traguardi numerici raggiunti ed alle fattive competenze dimostrate appare all'interrogante un provvedimento privo di senso logico perché:
    penalizzerebbe gravemente l'intero comprensorio Bassanese;
    causerebbe gravi disagi con conseguenti aumenti di costi a carico della collettività e a un comparto economico del suo circondario costituito da 31 comuni, quasi 190.000 abitanti ed oltre 20.000 attività economiche;
    creerebbe un ingiusto inutilizzo del nuovissimo edificio realizzato per la cittadella della giustizia, il quale se non venisse utilizzato costituirebbe un gravissimo sperpero di denari pubblici;
    comporterebbe un'inevitabile dilazione dei tempi dei processi, tenuto conto dell'enorme carico di lavoro già gravante sul tribunale di Vicenza, il quale già oggi impiega il doppio del tempo rispetto a Bassano del Grappa per rendere risposte alle istanze di giustizia dei cittadini ed imprese della provincia di Vicenza;
   il provvedimento soppressivo del tribunale Bassanese, quindi, lungi dal realizzare l'obiettivo di una giustizia in tempi ragionevoli, costituirebbe una vera ingiustizia sia sul piano socio-economico sia su quello funzionale e dell'efficienza, oltre a porsi in stridente contrasto con il principio di «buon andamento» della pubblica amministrazione sancito dall'articolo 97 della Costituzione;
   l'eventuale soppressione del tribunale di Bassano del Grappa appare all'interrogante un provvedimento non coerente con i requisiti della delega sopra citata in termini d'estensione territoriale, numero d'abitanti, carichi di lavoro, indice delle sopravvenienze e specificità territoriale del bacino di utenza;
   l'eventuale citata soppressione appare un provvedimento non rispettoso dei dettami dell'articolo 97 Costituzione in relazione al principio di buon andamento della pubblica amministrazione –:
   se, per quanto di competenza, ritengano che la riorganizzazione degli uffici giudiziari sul territorio, al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento d'efficienza, debba prevedere di accorpare i tribunali minori ai maggiori, ovvero se sia preferibile garantire anche una maggiore efficienza del sistema giudiziario mediante l'analisi di parametri di valutazione oggettivi per ciascun singolo tribunale;
   se abbiano già individuato da quali fonti possa provenire un gettito erariale corrispondente per consistenza, a quello prodotto dal sopprimendo tribunale di Bassano del Grappa, ed eventualmente in quali modi intendano sopperire a tale mancato introito;
   se abbiano piena conoscenza di quali siano stati i criteri oggettivi seguiti per la valutazione effettuata al fine di garantire prognosticamente il medesimo livello di redditività in previsione della soppressione del tribunale di Bassano;
   se ritengano che la soppressione del tribunale di Bassano del Grappa sia in sintonia con la cosiddetta «spending review», non solo con riferimento all'efficiente rapporto annuo tra spesa e gettito erariale, ma anche in considerazione dei costi sostenuti per la costruzione della nuova cittadella della giustizia di Bassano del Grappa, che rischiano di trasformarsi in un emblematico esempio di cattivo utilizzo di fondi pubblici;
   se non ritengano, alla luce degli eccellenti parametri economici citati in premessa, di valutare la possibilità di assumere ogni iniziativa di competenza per evitare il provvedimento soppressivo del tribunale di Bassano del Grappa.
(5-01245)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GOZI, COSTANTINO, CESA, RIGONI, BRATTI, MANLIO DI STEFANO e CIMBRO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i ricorsi pendenti contro l'Italia davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo sono oltre 14.500, ciò che pone l'Italia al secondo posto (dopo la Russia) nella classifica dei ricorsi contro gli Stati membri del Consiglio d'Europa;
   il 50 per cento contenzioso (circa 7.000 ricorsi) ha ad oggetto la violazione dell'articolo 6, § 1 CEDU (violazione del diritto al rispetto del termine ragionevole di durata del processo), per inefficienza del rimedio interno di natura risarcitoria introdotto dal legislatore nel 2001 (cosiddetta legge Pinto);
   in base alla legge Pinto, chi lamenta una durata eccessiva del processo di cui è stato parte può agire davanti alla corte d'appello per domandare un indennizzo per il danno (anche solo morale) che ha subito in conseguenza del ritardo nella conclusione del processo;
   la legge Pinto dà piena attuazione al principio di sussidiarietà (su cui si fonda il sistema di tutela della Convenzione europea dei diritti dell'uomo), perché consente di rivolgersi direttamente ad un giudice italiano per far valere la violazione dell'articolo 6, § 1 CEDU, senza costringere la parte lesa a ricorrere alla Corte di Strasburgo;
   il rimedio previsto dalla legge Pinto (reso ancora più veloce dalle recenti modifiche introdotte con il decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012) risulta essere – di fatto – poco efficiente per mancanza di fondi sufficienti a pagare l'intero ammontare degli indennizzi riconosciuti ogni anno dalle corti d'appello italiane;
   lo Stato italiano risulta attualmente debitore – a titolo di indennizzo ai sensi della legge Pinto per violazione del termine ragionevole di durata del processo – per un importo di circa 500 milioni di euro (somma che comprende il capitale liquidato dalle corti d'appello, gli interessi fino ad oggi maturati sulle somme non pagate e gli onorari spettanti agli avvocati che hanno difeso la parte nel giudizio promosso per ottenere l'indennizzo);
   a fronte di questo debito, lo Stato finanzia il capitolo di bilancio del Ministero della giustizia (responsabile per questo tipo di pagamenti) con un importo annuale di 50 milioni di euro;
   l'evidente sproporzione tra le risorse investite (50 milioni l'anno) e il debito complessivo che attualmente grava sul Ministero della giustizia (500 milioni l'anno) rende di fatto inefficiente il rimedio previsto dalla legge Pinto, inducendo i creditori insoddisfatti a rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell'uomo per lamentare il mancato o tardivo pagamento degli indennizzi riconosciuti dalle corti d'appello;
   tale fenomeno – oltre ad esporre lo Stato italiano a violazione degli obblighi internazionali sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo – comporta una evidente duplicazione di costi per lo Stato. Infatti, oltre alle somme riconosciute a titolo di indennizzo dalle corti d'appello, lo Stato è costretto a sopportare ulteriori costi, come il costo degli interessi che maturano ogni anno su queste somme, i costi di esecuzione del provvedimenti delle corti d'appello (sempre più spesso i ricorrenti si rivolgono per l'esecuzione di tali provvedimenti al TAR, chiedendo la nomina di un commissario ad acta per procedere ai pagamenti; i costi del commissario ad acta sono a carico dello Stato inadempiente, che viene spesso condannato anche al pagamento di una penalità di mora, che può arrivare fino a 100 euro per ogni mese di ritardo nel pagamento delle somme dovute), i costi derivanti dalle condanne rese dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per il mancato o tardivo pagamento degli indennizzi dovuti ai sensi della legge Pinto;
   questo circolo vizioso può essere spezzato solo mediante un adeguato finanziamento del capitolo destinato ai pagamenti degli indennizzi ex lege Pinto, come ripetutamente richiesto dal Consiglio d'Europa;
   un maggiore sforzo finanziario da parte del Ministero dell'economia e delle finanze consentirebbe di aggredire anche le ulteriori ipotesi di contenzioso seriale pendente davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo (diverse da quelle derivanti dalla violazioni dell'articolo 6, § 1 CEDU), consentendo di realizzare economie di scala nell'interesse finanziario del Paese;
   andrebbe infine incentivato il ricorso agli strumenti del regolamento amichevole (che consente la cancellazione della causa dal ruolo della Corte quando le parti hanno raggiunto un accordo per la la definizione della controversia) e della dichiarazione unilaterale ai sensi dell'articolo 62A del regolamento della Corte (che consente ugualmente la cancellazione della causa dal ruolo – anche in assenza di accordo tra il ricorrente e lo Stato convenuto – quando la Corte ritenga adeguato il riconoscimento della propria responsabilità da parte dello Stato e congrua l'offerta che lo Stato faccia per riparare la violazione commessa);
   entrambi questi strumenti consentono infatti allo Stato:
    di ridurre il carico di ricorsi pendenti davanti alla Corte;
    di evitare sentenze di condanna (fonte, come noto, di responsabilità internazionale per violazione degli obblighi nascenti dalla Convenzione);
    di risparmiare sui costi degli indennizzi (gli indennizzi riconosciuti dalla Corte a titolo di equa riparazione con la sentenza che decide il ricorso sono infatti maggiori rispetto a quelli derivanti da un accordo amichevole o da una dichiarazione unilaterale accettata dalla Corte) –:
   se non ritengano necessario, ciascuno per le proprie competenze, assumere iniziative per assicurare un adeguato finanziamento del capitolo destinato ai pagamenti degli indennizzi ex lege Pinto;
   se si intenda valorizzare e potenziare il ricorso allo strumento del regolamento amichevole e il ricorso allo strumento della dichiarazione unilaterale ai sensi dell'articolo 62A del regolamento della Corte. (4-02204)


   COVA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata di mercoledì 16 ottobre 2013 si è svolta l'udienza preliminare del processo su vicende delle «quote latte» che interessano anche responsabili del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
   risulta all'interrogante che le relazioni del Generale Lecca e del Tenente Colonello Mantile segnalano degli errori nella quantificazione delle produzioni di latte bovino in Italia;
   potrebbe configurarsi un danno a carico dello Stato italiano per una errata comunicazione del quantitativo di latte prodotto nelle aziende agricole italiane –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri, e il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali in rappresentanza dello Stato italiano intendano costituirsi parte civile in tale processo;
   se la mancata presenza dello Stato italiano come parte civile all'udienza preliminare sia da intendersi come una rinuncia;
   quale sia la motivazione della eventuale rinuncia. (4-02210)


   CRISTIAN IANNUZZI, CATALANO, SPESSOTTO, D'UVA, DE LORENZIS, VIGNAROLI, LOREFICE, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DE ROSA, NICOLA BIANCHI e PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la ditta Pontinia Rinnovabili srl, in data 27 aprile 2007, ha presentato domanda di autorizzazione integrata ambientale, acquisita agli atti della provincia di Latina con prot. n. 27553 del 3 maggio 2007, ai sensi del decreto legislativo n. 59 del 2005 per la realizzazione di una centrale elettrica alimentata a biomasse della potenza di 20 megawatt elettrici, da realizzarsi a Mazzocchio, località del comune di Pontinia in provincia di Latina;
   durante il procedimento per ottenere l'autorizzazione integrata ambientale, il comune di Pontinia ha più volte espresso il suo parere contrario al progetto, affermando la necessità di «ridurre ad un limite accettabile il rischio per la salute, un tale tipo impianto a combustione diretta a biomassa non può avere una potenzialità superiore a 1 megawatt per il grave nocumento alla salute pubblica che la realizzazione di una centrale di questa grandezza e tipologia comporta», come riporta il verbale della Conferenza servizi del 13 dicembre del 2012 tenutasi presso la regione Lazio;
   dato il diniego del comune di Pontinia, la provincia di Latina appellandosi all'articolo 14-quater della legge n. 241 del 1990 ha chiuso i lavori rimandando la decisione alla Conferenza permanente tra Stato e Regioni. A seguito dell'intervenuta modifica del comma 3 dell'articolo 14-quater della legge n. 241 del 1990, la relativa competenza è stata trasferita e quindi trasmessa dalla regione Lazio, con una nota pervenuta il 29 maggio 2012, al coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, chiedendo la rimessione al Consiglio dei ministri della decisione per il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale. La Presidenza del Consiglio con deliberazione del 5 luglio 2013 approva l'autorizzazione integrata ambientale per la centrale elettrica alimentata a biomasse della potenza di 20 megawatt elettrici;
   il dipartimento di prevenzione U.o.c. igiene e sanità di Latina fa presente che «le emissioni generate, dirette e indirette, anche all'interno dei limiti di legge, da tali tipologie d'impianto comporteranno una modificazione della qualità dell'aria e dell'esposizione della popolazione della zona», come riportato nel parere trasmesso al dipartimento istituzionale territorio della regione Lazio, protocollo n. 525328/02/10 del 3 dicembre 2012;
   la società Pontinia Rinnovabili srl non risulterebbe aver effettuato studi sull'impatto ambientale che la centrale comporterà sulle due aree Sic e Zps presenti nelle vicinanze della centrale, i laghi dei Gricilli e Fontana di Muro, non avrebbe compiuto analisi sulla qualità dell'aria e non risulta all'interrogante sia stato emesso il parere di compatibilità territoriale previsto per le zone interessate da rischio di incidente rilevante;
   nella nota del 1o febbraio 2013 della direzione regionale ambiente con prot. n. 043305 si scrive: «l'assetto impiantistico prevede sia emissioni diffuse, prodotte dall'erosione eolica del materiale stoccato, transito camion e operazioni di carico e scarico del materiale combustibile, sia emissioni convogliate dalle lavorazioni effettuate in capannoni e quelle prodotte dalle caldaie»;
   l'area dove sorgerà la centrale è indisponibile in quanto la facoltà di utilizzazione del sito industriale dell'agglomerato di Mazzocchio per la società Pontinia Rinnovabili srl, di cui alla delibera n. 82/07 del consiglio di amministrazione del Consorzio per lo sviluppo industriale Roma Latina, è decaduta il 31 dicembre 2008;
   non sono stati stipulati accordi di filiera per la produzione di biomasse nell'area di 70 chilometri dall'ubicazione dell'impianto ed inoltre, nelle note tecniche di costruzione della centrale, depositate presso il registro elenco progetti della regione Lazio con il numero 221/2007, si prevede che il 70-75 per cento del combustibile sarà formato da cippato disposto per essere bruciato, la cui provenienza risulta all'interrogante ignota, noti essendoci, nell'area, alcuna industria del legno che potrebbe fornire il cippato già pronto;
   le centrali a biomasse con una potenza così alta non riescono ad alimentarsi grazie alla sola disponibilità dei combustibili nel territorio e la prassi italiana negli anni ha voluto che si importasse il combustibile dalle altre regioni se non addirittura dall'estero a basso costo;
   l'avvio della centrale a biomassa di Mazzocchio determinerebbe una insostenibile e sproporzionata concentrazione di centrali elettriche nella regione considerando inoltre che ad Aprilia, nella medesima provincia, è attiva una centrale turbogas –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se risulti quali siano le ragioni per le quali sia stata concessa l'AIA nonostante rilevate le ambiguità e carenze progettuali;
   se nel concedere l'AIA sia stato valutato che la centrale elettrica da bruciatore di biomasse si possa trasformare in un inceneritore di rifiuti considerando che l'impianto ha un fabbisogno annuo di 275.000 tonnellate di combustibile, che l'energia è prodotta dalla combustione diretta delle biomasse, che c’è la perenne emergenza rifiuti riguardante sia il Lazio che la Campania e che è stabile la presenza della malavita organizzata in tutto il basso Lazio nel ciclo dei rifiuti;
   se disponga di elementi in merito agli effetti sulla salute dei cittadini con riferimento a questo ulteriore impianto fortemente impattante sull'ambiente che si aggiunge peraltro alla vicina centrale elettrica a turbogas di Aprilia. (4-02211)


   MATARRESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   gli eventi metereologici avversi e di eccezionale intensità che hanno colpito duramente il comune di Ginosa e la frazione di Ginosa Marina in provincia di Taranto, hanno causato il crollo del ponte Sierro delle Vigne e danni ai tratti stradali limitrofi per circa tre chilometri della ex S.S. 580 che è l'unico collegamento viario diretto tra Ginosa e Taranto e che costituisce l'accesso alla viabilità che porta a Reggio Calabria tramite la S.S. 106;
   da quanto si evince dal documento redatto dal Coordinatore del Comitato «7 ottobre – Ginosa», le aree prospicienti al crollo del ponte e della strada non sono adeguatamente messe in sicurezza e, pertanto, non è in alcun modo impedito il libero accesso ai cittadini nonché ai proprietari dei fondi agricoli che insistono sul tratto di strada interessato dai danni da dissesto idrogeologico che sono stati visti transitare più volte in quell'area, anche per la necessità di accedere ai fondi di proprietà per la coltivazione degli stessi;
   in particolare, così come descritto nel predetto documento, la S.S. 580 è stata interrotta al traffico veicolare tramite l'installazione di transenne poste nei tratti di strada che precedono il ponte;
   le transenne poste sulla S.S. 580 non risulterebbero, però, adeguate ad impedire l'accesso pedonale e soprattutto ai proprietari dei fondi agricoli che, così come affermato dai membri del Comitato, sono stati più volte avvistati in quelle zone intenti, evidentemente, a perlustrare le loro terre di proprietà colpite dal dissesto idrogeologico, non curanti del pericolo a cui potrebbero andare incontro;
   la suddetta strada consente l'accesso al depuratore comunale la cui viabilità di collegamento è stata distrutta dall'evento calamitoso;
   l'area colpita dal dissesto idrogeologico, quindi, non risulterebbe adeguatamente messa in sicurezza e potrebbe essere causa di ulteriori e seri rischi per l'incolumità delle persone;
   l'intero traffico veicolare è stato deviato sull'unica arteria stradale che consenta a cittadini, trasporto pubblico e trasporto merci di raggiungere la città di Taranto;
   in particolare, la strada sulla quale è stato deviato il traffico è la S.P. 7, 8 e 9 che risulterebbe non adeguata al volume di traffico che, quotidianamente, si crea e quindi non sicura per chi è alla guida, soprattutto in considerazione del fatto che su quella strada transitano non solo le automobili ma anche i mezzi del trasporto pubblico e quelli pesanti utilizzati per il trasporto merci. Infatti, la strada non è adeguatamente manutenuta, non dispone di illuminazione e non consente, quindi, di garantire a coloro che la percorrono gli standard minimi di sicurezza stradale in relazione al nuovo e diverso volume di traffico cui è assoggettata;
   in data 9 ottobre 2013, l'interrogante ha inoltrato alla Presidenza del Consiglio dei ministri un'interrogazione, la n. 4-02123 pubblicata in data 10 ottobre 2013 con la quale ha chiesto il riconoscimento dello stato di calamità naturale per i territori del comune di Ginosa colpiti dal nubifragio. Allo stato attuale, nessuna risposta è ancora pervenuta;
   ad oggi, non solo non è ancora stato deliberato lo stato di emergenza dalla Presidenza del Consiglio dei ministri ma, così come confermato dai membri delimitato «7 ottobre – Ginosa», nessun tipo di intervento da parte di altre autorità competenti è stato ancora posto in essere, malgrado continuino a sussistere delle evidenti situazioni di grave danno per le comunità colpite e per le pubbliche infrastrutture e vi siano state delle vittime;
   sarebbe necessario un immediato intervento dello Stato che possa garantire lo stanziamento di fondi certi e adeguati per garantire la sicurezza della cittadinanza, ripristinare la funzionalità delle infrastrutture pubbliche gravemente danneggiate se non distrutte e per risarcire i danni subiti dai proprietari dei fondi agricoli che, secondo quanto si evince dai dati di Coldiretti Puglia, ammontano a 50 milioni di euro di prodotti agricoli distrutti, pari a circa il 10 per cento della produzione lorda vendibile del territorio;
   a conferma della volontà del Parlamento di impegnare il Governo ad intervenire per programmare investimenti che consentano l'operatività immediata di un piano strategico nazionale per la messa in sicurezza dei territori italiani interessati dal pericoloso fenomeno, vi è la risoluzione n. 8-00016, approvata in VIII Commissione alla Camera dei deputati, che prevede, nel prossimo disegno di legge di stabilità per il 2014, stanziamenti pluriennali certi, pari ad almeno 500 milioni annui per la realizzazione, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i soggetti istituzionali territorialmente preposti, di un piano organico con obiettivi a breve e medio termine per la difesa del suolo nel nostro Paese;
   sarebbe, quindi, auspicabile che, nell'ambito dell'impegno economico previsto dalla predetta risoluzione n. 8-00016, siano reperite risorse per realizzare quelle opere di regimentazione idraulica e di messa in sicurezza indispensabili e necessarie per scongiurare il ripetersi di ulteriori tragici eventi a Ginosa e in tutto il territorio della provincia di Taranto che negli ultimi anni sono state più volte interessate da eventi calamitosi di eccezionale gravità –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare con particolare riferimento alla necessità di porre immediatamente in sicurezza l'area interessata dal dissesto idrogeologico in attesa del riconoscimento dello stato di calamità naturale per il comune di Ginosa da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri e dell'auspicabile e celere stanziamento di fondi necessari al completo ripristino degli standard minimi di sicurezza per l'intera cittadinanza.
(4-02212)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TIDEI e AMENDOLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 23 dicembre 2010 è entrata in vigore la convenzione internazionale per la protezione dalle sparizioni forzate (International Convention for the Protection of All Persons from Enforced Disappearance), adottata dall'assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2006. La convenzione è stata aperta alla firma il 6 febbraio 2007 a Parigi e ha raccolto sinora 92 sottoscrizioni;
   l'Italia ha aderito alla convenzione il 3 luglio 2007, ma non l'ha ancora ratificata, mentre già altri 39 Paesi hanno proceduto alla ratifica, tra cui, in Europa, Spagna, Francia, Germania, Olanda e Austria;
   la convenzione ha colmato una lacuna del diritto internazionale ed è stata giudicata da molti giuristi come uno dei più efficaci strumenti in materia di diritti umani mai adottati dall'Onu. È infatti una delle nove convenzioni centrali dell'ONU sulla protezione dei diritti dell'uomo e prevede per gli Stati Parte l'espresso divieto di effettuare «sparizioni forzate», di garantire il diritto alla riparazione per le vittime di tale reato, di istituire garanzie rigorose a tutela delle persone private della libertà, compreso il divieto assoluto di detenzione segreta, di istituire in seno alle Nazione Unite un comitato di esperti col compito di controllare l'applicazione della convenzione e di intraprendere azioni sui casi individuali;
   la sparizione forzata è stata riconosciuta crimine contro l'umanità dall'articolo 7 dello statuto di Roma del 17 luglio 1998 per la costituzione del tribunale penale internazionale e dalla risoluzione delle Nazioni Unite numero 47/133 del 18 dicembre 1992;
   il fenomeno delle sparizioni forzate è universale e «ferisce» non soltanto le vittime dirette ma anche le loro famiglie, gli amici e l'intera società; al gruppo di lavoro competente delle Nazioni Unite per la lotta contro la sparizione forzata, attivo dal 1980, sono stati sottoposti oltre 52.000 casi accaduti in 90 Paesi. Fino ad oggi più di 42.000 non sono stati chiariti;
   la ratio della convenzione rispecchia la convinzione dell'Italia che si debba fare tutto il possibile per impedire questo grave crimine; l'ordinamento giuridico italiano risulta già conforme in molti punti agli obblighi sanciti dalla convenzione, ma richiede alcune modifiche di legge perché sia applicata integralmente, tra cui la creazione di un nuovo reato che sanzioni la sparizione forzata come fattispecie a sé stante;
   come illustrato nella relazione tecnica al progetto di legge di ratifica ed esecuzione della convenzione depositato in Parlamento il 18 luglio 2013, l'entrata in vigore del nuovo accordo non comporta oneri finanziari, non prevede oneri organizzativi a carico di regioni o enti locali ne organizzativi e burocratici a carico dei cittadini e delle imprese –:
   per quali ragioni il Governo non sia ancora pervenuto alla presentazione di un disegno di legge recante ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale per la protezione dalle sparizioni forzate, firmata dall'Italia oltre 6 anni fa e se intenda farlo prima della fine di quest'anno. (5-01246)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ARPA (Agenzia regionale per la protezione ambientale) della regione Friuli Venezia Giulia nel mese di giugno 2013 ha pubblicato il «Biometraggio dell'inquinamento da gas fitotossici nella Regione Friuli Venezia Giulia tramite licheni come bioindicatori»;
   questo studio – basato sull'analisi della biodiversità dei licheni che vivono sulla scorza degli alberi, organismi sensibili ai diversi gas tossici – si basa sul campionamento eseguito in 72 stazioni, distribuite in tutta la regione, tra marzo 2011 e ottobre 2012;
   i valori peggiori, sostiene il documento, si concentrano in prossimità della centrale termoelettrica di Monfalcone (Gorizia), presso la Ferriera di Trieste e Muggia (Trieste);
   i dati, infatti, non lasciano adito a dubbi: lo studio riporta sette classi di alterazione dei licheni, l'ultima equivale al cosiddetto «deserto lichenico», cioè un'anomalia molto alta indice di un fortissimo inquinamento. Monfalcone è nella classe 6 «alterazione alta» mentre Trieste con la Ferriera è nella classe 5, «alterazione media»;
   secondo i tecnici dell'ARPA l'origine delle alterazioni ambientali registrate a Monfalcone è legata alle emissioni della centrale a carbone del gruppo A2A, ubicata lungo la sponda orientale del Canale Valentinis su di un area di circa 20 ettari e costituita da quattro gruppi termoelettrici indipendenti con potenza complessiva di 976 megawatt (MW);
   la gravità dell'inquinamento presente a Monfalcone è testimoniata dal fatto che le rilevazioni dell'ARPA si riferiscono solo ad alcuni parametri – anidride solforosa, ossidi di azoto, monossido di carbonio, polveri – mentre «scarseggiano le informazioni su molti inquinanti come i metalli», che sicuramente sono presenti e su cui non si hanno dati recenti specifici;
   nel 1999 l'Enel, che gestiva l'impianto a carbone, ha commissionato uno studio di biomonitoraggio lichenico sui metalli pesanti concluso nel 2001, depositato al comune di Monfalcone. Già all'epoca i rilevamenti di questo studio hanno segnalato la presenza di arsenico e cadmio al limite delle concentrazioni naturali oltre ad altre sostanze estremamente pericolose –:
   se il Ministro sia al corrente dello studio lichenico condotto da Enel del 2001 che sembrerebbe essere stato inviato ai diversi Ministeri già a suo tempo e quali iniziative di competenza siano state intraprese di conseguenza;
   se, alla luce delle novità emerse, il Ministro interrogato ritenga di dover valutare la possibilità di revocare l'autorizzazione integrata ambientale (AIA) della centrale termoelettrica di Monfalcone;
   quali misure urgenti saranno adottate a salvaguardia della salute dei lavoratori e della popolazione locale. (5-01242)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che i 50 milioni destinati alla bonifica dell'ex Polo chimico di Bussi sul Tirino (PE) e delle aree limitrofe potrebbero essere utilizzati solo per queste ultime, rendendo di fatto inutilizzabile il sito per un nuovo intervento industriale;
   la cifra stanziata è largamente insufficiente data la gravità della situazione, se la notizia fosse vera, e la bonifica interesserebbe solo i siti limitrofi, non ci sarebbe più possibilità di nuovi insediamenti industriali, nonostante ci siano già degli imprenditori interessati, come dimostrano le istanze pervenute al comune di Bussi a seguito di un avviso pubblico;
   anche l'ipotesi opposta, che si risani cioè solo il sito industriale di proprietà della Solvay — che attualmente porta avanti il piano di smantellamento delle attività produttive — tralasciando le aree circostanti che sono le più inquinate e pericolose, sarebbe altrettanto inaccettabile;
   attualmente non si conoscono gli effetti prodotti dagli interventi di messa in sicurezza finora realizzati sulla mega discarica di Tremonti dal commissario Adriano Goio, prima con il «cupping» — il telo con il quale si è coperta l'area della discarica per impedire filtrazioni delle acque meteoriche e il trascinamento di inquinanti negli stati sottostanti — poi con i diaframmi metallici lungo la sponda sinistra del fiume Pescara per isolarlo dal sito inquinato ed affrancarlo dai contatti superficiali con il terreno contaminato;
   il decreto n. 225 del 2010 impone il risanamento sia del sito industriale che delle aree limitrofe ma a tutt'oggi le operazioni di bonifica non sono partite e questa situazione di stallo va a precludere qualunque ipotesi di re-industrializzazione e di rilancio lavorativo ed occupazionale del sito di Bussi (PE) –:
   se intenda operare per rispettare il decreto n. 225 del 2010 che impone il risanamento sia del sito industriale che delle aree limitrofe garantendo così la salute per i 300.000 abitanti in vario modo interessati dalle conseguenze degli inquinanti e un'ipotesi di re-industrializzazione e di rilancio occupazionale;
   quali saranno le modalità di intervento di bonifica ed i tempi di attuazione della stessa. (4-02203)


   D'UVA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 settembre 2013, presso l'aula del Senato, è stata illustrata la mozione n. 29 circa i rischi derivanti da dissesto idrogeologico, attraverso la quale si chiedeva l'impegno del Governo per una rinnovata azione politica basata sulla logica della prevenzione, che predisponesse una seria strategia nazionale per la riqualificazione ecologica dei fiumi e, allo stesso tempo, che venisse individuato un meccanismo finanziario capace di generare risorse certe e promuovendo un piano straordinario di manutenzione diffusa del territorio nell'ambito di una revisione del patto di stabilità interno;
   nella stessa data l'assemblea approvava, al termine della discussione che ha seguito l'illustrazione della mozione n. 29, un ordine del giorno unitario, l'ordine del giorno G1, che impegna il Governo a prevedere, nell'ambito della legge di stabilità, risorse aggiuntive da destinare alla prevenzione e alla manutenzione del territorio ovvero ad assumere iniziative perché l'utilizzo di risorse destinate alla prevenzione del rischio idrogeologico sia escluso dal saldo finanziario rilevante per il rispetto del patto di stabilità e prevedendo l'istituzione di un Fondo nazionale per la difesa del suolo;
   lo stesso ordine del giorno G1 del 4 settembre 2013, così come accolto dal Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare Cirillo, prevedeva l'impegno del Governo ad effettuare interventi finalizzati a una maggiore integrazione della pianificazione urbanistica con le opere di difesa del suolo e dando celere esecuzione al piano straordinario previsto nella scorsa legislatura per il quale era stata stanziata la cifra di 2,5 miliardi di euro;
   un'azione politica diretta alla difesa del suolo, ovvero l'insieme dei provvedimenti e delle normative che cercano di prevenire le cause che conducono ad un dissesto idrogeologia di un determinato territorio o di una determinata zona, non può non prendere in considerazione il fenomeno naturale dell'erosione costiera;
   il fenomeno dell'erosione costiera, ai quali l'Italia è particolarmente soggetta dati i suoi 7.569 chilometri di litorale costiero, interessa attualmente il 42 per cento dei comuni e può avere conseguenze di notevole entità dal momento che un'erosione lenta e costante di un tratto di costa può determinare una situazione di instabilità che, in occasione di un evento traumatico e di notevole intensità, potrebbe manifestarsi in maniera particolarmente distruttiva;
   tale fenomeno, secondo uno studio condotto da Legambiente, raggiunge punti di particolare intensità nella regione siciliana, la quale rappresenta una delle regioni più colpite dal fenomeno con circa il 28 per cento di costa soggetta a erosione che i numerosi interventi tampone approvati dai comuni nel corso degli ultimi anni non hanno fatto che indebolire ulteriormente;
   sempre secondo l'associazione Legambiente in questi anni sono stati utilizzati decine di milioni di euro di fondi europei destinati alla messa in sicurezza delle coste senza mai intervenire sulle cause dell'erosione, tentando di difendere case e strade realizzati dove non potevano sorgere e con spese di milioni di euro per interventi non solo inutili, ma spesso dannosi, come la realizzazione di barriere frangiflutti piuttosto che provvedere, quando non possono risolversi le cause che hanno causato il fenomeno erosivo, al ripascimento delle coste;
   tali interventi di ripascimento del litorale siciliano sono già stati positivamente valutati dallo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dal momento che, per combattere il fenomeno erosivo nel tratto di costa tra i comuni di Donnalucata e Cava d'Aliga (Ragusa), ha provveduto al finanziamento di 1,5 milioni di euro, secondo quanto riportato dal quotidiano Il Giornale di Sicilia, per la costruzione di n. 17 pennelli trasversali da inserire lungo il tratto di costa congiuntamente a un'operazione di ripascimento delle spiagge attraverso l'utilizzo di sabbie naturali prelevate da cave autorizzate;
   tra i litorali della regione siciliana più interessati dal processo erosivo si trovano i comuni di Gioiosa Marea, Brolo e Capo d'Orlando, le cui coste hanno visto una sostanziale riduzione degli apporti solidi fluviali, incremento delle erosioni nelle zone sottoflutto delle opera di difesa eseguite per far fronte in via temporanea a situazioni di emergenze locale e costruzione di infrastrutture a ridosso e finanche sopra il tratto di spiaggia;
   il tratto di litorale siciliano ricadente nel comune di Gioiosa Marea (Messina), in località S. Giorgio, è stato interessato nel corso degli ultimi anni da intensi fenomeni di erosione costiera, i quali hanno costretto le amministrazioni locali a urgenti provvedimenti a difesa del tratto di costa soggetta ad evidente stato di arretramento costiero;
   a tale scopo, nell'ambito del programma operativo regionale Sicilia 2000/2006 per la tutela integrata delle aree costiere, è stato ammesso a finanziamento il «Progetto dei lavori urgenti a difesa costiera del litorale ricadente in località San Giorgio, nel Comune di Gioiosa Marea (Messina)» per un importo complessivo pari a quasi 4 milioni di euro, e approvato ufficialmente nell'anno 2002;
   il primo lotto del progetto viene ultimato nell'agosto 2005 con la relativa messa in sicurezza solamente di una parte del tratto di costa soggetto a fenomeni erosivi e sottoposto a intervento di tutela, con interventi di ricostruzione del tratto di spiaggia attraverso il metodo del ripascimento, già favorevolmente accolto da importanti studi sulle erosioni costiere e dalla stessa Legambiente, al termine del già citato studio, che lo indicava quale soluzione possibile del fenomeno erosivo in Italia;
   l'intervento realizzato e completato nell'agosto 2005, per la ricostruzione del tratto di spiaggia della costa in località San Giorgio, nel comune di Gioiosa Marea (ME), associava alla tecnica del ripascimento l'apposizione di limitate scogliere stabilizzatrici in massi naturali, intervento che con efficacia non solamente si limitava a riportare la linea di costa alla sua posizione originaria, ma riusciva a raggiungere un raggio ancor più ampio, con eccellenti risultati facilmente riscontrabili;
   il primo lotto correttamente realizzato ha interessato, come già evidenziato, il solo tratto ovest del litorale eroso, mentre per la prosecuzione del tratto est della spiaggia è stato predisposto il secondo lotto dei lavori di difesa costiera, progetto che si sarebbe così inserito nella richiesta di finanziamento nel POR.;
   il progetto del secondo lotto di estensione della linea di costa è analogo a quello conclusosi nell'agosto 2005 e prevede la costruzione di due nuovi pennelli di scogliera, il ripascimento della spiaggia attraverso l'utilizzo di inerti provenienti dalla cava di prestito e la conseguente posa di setti sommersi stabilizzatori dei fondali e della linea di riva;
   attraverso l'attuazione del secondo progetto, attualmente non attivabile data l'assenza di finanziamenti sia a livello locale che regionale, si consentirebbe il ripristino dell'originaria linea di costa, finanche alla possibilità di ottenere attraverso l'intervento porzioni ulteriori di litorale sabbioso, assicurando positivo impulso alle attrattive turistico-balneari del comune di Gioiosa Marea e dei comuni limitrofi, riqualificando l'assetto ambientale e paesaggistico dell'area con conseguente aumento della porzione fruibile della fascia di litorale;
   alcune porzioni di litorale in località San Giorgio, nel Comune di Gioiosa Marea (ME), risultano a un livello di pericolosità P3 e P4, pericolosità classificabile quindi come elevata o molto elevata, con corrispondente livello di rischio R3 e R4, rispettivamente elevato e molto elevato;
   in caso di mancato ovvero non urgente intervento non si andrebbero a intaccare solamente i livelli di fruibilità delle spiagge, con grave danno socio-economico causato della perdita di una importante area di interesse turistico, ma si andrebbe ad alterare gravemente l'equilibrio biologico-ambientale del tratto di costa, con rischi ancora più elevati se si considera che l'area interessata dal progetto è già inquadrata in livello di pericolosità elevato o molto elevato e in evidente stato di dissesto;
   la parziale distruzione di alcune strutture costruite in prossimità del tratto di costa in esame, quali il campo sportivo comunale nonché il tratto di strada ad esso adiacente, divenute non ulteriormente utilizzabili in quanto esposte direttamente all'azione delle mareggiate, e la contemporanea presenza di numerose abitazioni civili, data la completa erosione della porzione di costa, presentano un grave rischio per la sicurezza dei luoghi e delle persone;
   in base alla planimetria dei luoghi, in caso di mancato intervento, altre strutture potrebbero essere interessate dal fenomeno e soggette quindi agli stessi rischi di inagibilità e pericolo, andando altresì ad aumentare il costo finale del progetto di messa in sicurezza del territorio;
   attualmente le amministrazioni dei comuni interessati stanno valutando la possibilità di interventi temporanei attraverso l'utilizzo di scogliere frangiflutti, soluzioni che, secondo lo stesso studio effettuato da Legambiente, nonché secondo il parere di numerosi studiosi del settore della sicurezza e tutela dei territori, non possono rappresentare una soluzione al fenomeno dell'erosione costiera, divenendo soluzione inutilmente costosa dal punto di vista economico e del tutto inefficiente dato il carattere temporaneo, rinviando comunque un necessario intervento organico per evitare la completa distruzione del tratto di costa soggetto a erosione;
   il documento di valutazione di impatto ambientale relativo al progetto rileva come lo stesso non comporti modificazioni negative dell'area in esame, negatività che si avrebbero in caso di mancato intervento, con effetti gravemente dannosi dati i continui arretramenti della linea di costa –:
   se il Ministro intenda intervenire, attraverso la concessione del relativo finanziamento analogamente a quanto già accaduto a Scigli a fronte di una richiesta in tal senso affinché venga data attuazione piena al progetto di estensione della linea di costa in località San Giorgio, nel comune di Gioiosa Marea (Messina);
   in che modo il Ministro intenda assumere iniziative per pervenire alla messa in sicurezza delle coste della regione siciliana, nel pieno rispetto dell'impegno assunto dal Governo attraverso l'ordine del giorno accolto nella seduta dell'Assemblea del Senato della Repubblica in data 4 settembre 2013, ripristinando così la fruibilità e la sicurezza sia delle aree attualmente soggette a dissesto idrogeologico, sia di quelle classificabili come ad elevato livello di pericolosità. (4-02215)


   DELL'ORCO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPADONI e FERRARESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 16 settembre 2013, nell'ambito dell'inchiesta sul passante ferroviario di Firenze dell'alta velocità, i carabinieri del Ros, coordinati dai pubblici ministeri fiorentini Giulio Monferini e Gianni Tei, hanno posto agli arresti domiciliari, tra gli altri, il dottor Gualtiero Bellomo, geologo e membro della commissione di valutazione di impatto ambientale del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'accusa è di associazione a delinquere finalizzata a corruzione e abuso d'ufficio;
   secondo la procura, Bellomo era a «disposizione per stilare pareri compiacenti utilizzando documenti forniti dagli stessi interessati», in cambio di «plurime utilità»;
   secondo il giudice per le indagini preliminari, Angelo Antonio Pezzuti, che ha firmato l'ordinanza di custodia cautelare, Bellomo avrebbe ricevuto, come favori, più incarichi, compresa la conferma del ruolo nella commissione ministeriale di valutazione dell'impatto ambientale (Via) «come contropartita per l'apporto fornito» in una serie di approvazioni urbanistiche e paesaggistiche, «nonché per il rapido e positivo esame da parte del gruppo istruttore Via del progetto per la realizzazione dell'autostrada Cispadana appaltata ad un'ATI, partecipata dalla cooperativa reggiana Coopsette»;
   giova sottolineare che, attraverso una sua controllata, la Nodavia S.c.p.A. di Castelnuovo di Sotto (RE), sta costruendo proprio l'alta velocità di Firenze;
   l'autostrada regionale Cispadana, che dovrebbe unire il casello di Reggiolo con Ferrara ha sollevato, fin dalla nascita del progetto, forti malumori e contrarietà da parte dei cittadini residenti nelle aree interessate dall'opera, che si sono organizzati in comitati e hanno raccolto migliaia di firme al fine di impedire la realizzazione di questa grande infrastruttura che non solo recherebbe un danno all'ambiente, ma soprattutto per la salute di migliaia di cittadini che, residenti in una zona pianeggiante, già subiscono un persistente inquinamento e una pessima qualità dell'aria;
   il dottor Gualtiero Bellomo è ancora membro della commissione di valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare –:
   considerati i fatti emersi nell'inchiesta ed esposti in premessa, se il Ministro interrogato non ritenga di dover rimuovere immediatamente dall'incarico il dottor Bellomo, avviando contemporaneamente un'indagine ministeriale per capire quali procedure di valutazione di impatto ambientale in corso presso il Ministero possano essere state compromesse dall'operato dello stesso Bellomo e se, in attesa della chiusura delle indagine, non si ritenga comunque necessario sospendere ambientale in corso per l'autostrada regionale Cispadana. (4-02217)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   ALBERTI, CORDA, RIZZO, PAOLO BERNINI, FRUSONE e BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la grave crisi economica in cui versa il Paese impone di rivedere le scelte e le strategie anche nel comparto della difesa;
   dai mass-media si apprende che alle Frecce Tricolori, pattuglia acrobatica nazionale (PAN) dell'Aeronautica militare, costituente il 313o gruppo addestramento acrobatico saranno sostituiti, entro il 2017, l'attuale velivolo MB-339 con il nuovo M-345 HET;
   Alenia Aermacchi e il segretariato generale della difesa/direzione nazionale degli armamenti del Ministero della difesa hanno siglato nel giugno 2013 un accordo per definire congiuntamente le specifiche operative e per collaborare allo sviluppo di un nuovo velivolo da addestramento basico-avanzato, denominato M-345 HET, High Efficiency Trainer, la cui disponibilità per l'adozione in servizio è prevista per il 2017-2020;
   l'accordo, annunciato al salone aeronautico di Le Bourget prevede la costituzione di un gruppo di lavoro congiunto tra l'amministrazione della difesa e l'industria per la definizione delle specifiche tecniche della nuova macchina e definire i passi necessari per lo studio preliminare e il suo successivo sviluppo, adottando principi di costo/efficacia ed economicità in grado di soddisfare i potenziali requisiti del mercato internazionale;
   tra quattro anni la flotta di addestratori dell'Aeronautica militare sarà composta da ben tre velivoli diversi: gli MB-339 in fase di progressiva dismissione, i nuovi M-345 in fase di acquisizione in un numero non ancora precisato e 6 M-346 acquistati negli ultimi anni soprattutto per fare da traino all’export del velivolo finora adottato da Israele e Singapore;
   secondo il libro bianco della difesa 2002, un'ora di volo del velivolo in dotazione alle Frecce Tricolori nel 2002 costava 7,495 milioni di lire. Calcolando un venti per cento di incremento dei costi in undici anni e facendo la conversione all'euro, un'ora di volo di questo aereo oggi corrisponderebbe a circa 4800 euro –:
   quali risparmi intenda il Ministro della difesa proporre in merito alla gestione delle Frecce Tricolori ed al loro impiego di rappresentanza;
   a quanto ammonti la spesa prevista per l'acquisto dei nuovi velivoli per la pattuglia acrobatica nazionale e se reputai razionale tenere in vita, ad acquisizione conclusa, contemporaneamente i velivoli delle classi MB-339, M-345 e M-346. (4-02202)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   su diverse testate di informazione nazionali ed internazionali, tra cui l'autorevole Wall Street Journal ed il quotidiano greco Imerisia, per fare solo degli esempi, è riportata la notizia dell'esistenza di un report del Fondo monetario internazionale dal titolo «Monitor delle finanze pubbliche» contenente la proposta alle autorità europee di un prelievo forzoso del 10 per cento sui conti correnti di 15 Paesi dell'area euro considerando il prelievo medesimo strumento migliore rispetto a politiche inflazionistiche;
   una simile proposta del FMI all'Unione europea ed alla BCE ha già un precedente: nel marzo di quest'anno la Troika ha imposto a Cipro un prelievo coattivo del 38 per cento sui depositi sopra i 100 mila euro;
   eppure, in quell'occasione, erano state date rassicurazioni che il «caso Cipro» non sarebbe divenuto un modello da estendere analogicamente;
   a confermare la notizia vi è, poi, anche un'intervista a Joerg Asmussen, membro di punta del Comitato esecutivo della Banca centrale europea, rilasciata questa mattina ad un importante network televisivo che si occupa proprio di finanza: l'alto funzionario della BCE ha ammesso candidamente che, in caso di necessità, potrebbero essere adottate misure che intaccano i depositi dei correntisti. Tale manovra avrebbe lo scopo di riportare il debito sovrano dei 15 Stati membri colpiti dalla misura ai livelli pre-crisi, così evitando l'ulteriore innalzamento della pressione fiscale (questa, in ultima analisi, la ratio della misura);
   saremmo in presenza di una manovra suicida, produttiva di conseguenze nefaste, sia sul piano economico che sul piano sociale;
   sul piano economico, la prima scontata conseguenza della misura in parola, sarebbe la fuga dei capitali all'estero, con l'ulteriore aggravamento della crisi;
   soprattutto, però, le conseguenze sarebbero gravissime sul piano sociale: ove la proposta del Fondo monetario internazionale venisse accolta, verrebbero colpiti pesantemente i risparmi dei nuclei familiari, sicché sarebbero ancora una volta i già vessati cittadini, a pagare di propria tasca gli effetti di una simile decisione;
   ad oggi, sebbene siano apparse sulla stampa smentite di quanto sopra indicato, le stesse appaiono generiche e senza indicazione della fonte se non per il tramite di un «portavoce» –:
   se sia a conoscenza dell'esistenza del citato report del Fondo monetario internazionale e quale sia la posizione ufficiale in merito, in particolare per quanto concerne l'affermazione relativa al considerare il prelievo forzoso misura migliore rispetto a politiche inflazionistiche in quanto tutto ciò’ è un chiaro indirizzo di politica economica. (4-02213)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere, premesso che:
   il 25 settembre scorso la polizia stradale di Reggio Emilia ha arrestato 4 persone, 3 funzionari dipendenti della motorizzazione civile di Reggio e il titolare di un'officina meccanica, i quali sono accusati di reati, in concorso e alternativamente, di falsità ideologica, truffa e corruzione. Agli arresti domiciliari sono stati posti anche due rappresentanti di scuole guida della provincia. L'operazione «Easy Service» è nata da accertamenti inerenti esami di guida e le attività di collaudo e revisioni di veicoli. Al centro delle indagini coordinate dalla polizia stradale reggiana ci sono esami di guida truccati e revisioni di automobili e camion con esito concordato. I 3 funzionari della motorizzazione civile finiti nei guai sono Ivan Savazza (62 anni residente a Reggio), Antonino Barone (59 anni di Albinea) e Pietro Veneruso (52 anni residente a Reggio). Il quarto arrestato è il titolare di un'officina meccanica. Agli arresti domiciliari sono stati posti anche i titolari di due autoscuole di Reggio Emilia;
   secondo gli inquirenti i tre funzionari erano coinvolti in una doppia veste: quella di esaminatori e quella di responsabili delle revisioni periodiche dei veicoli. I dipendenti della motorizzazione avrebbero percepito denaro dal titolare dell'officina e da personale delle due scuole guida per dare parere positivo sui controlli dei mezzi e per promuovere aspiranti neopatentati. Sempre secondo gli inquirenti questi illeciti andavano avanti da anni;
   i fatti accaduti ledono in modo grave la credibilità e l'operatività della motorizzazione civile di Reggio Emilia –:
   quali provvedimenti intenda prendere il Ministero per garantire il normale funzionamento della motorizzazione civile di Reggio Emilia e restituire efficienza e correttezza nell'erogazione dei servizi assegnati a tale ufficio.
(2-00258) «Gandolfi, Incerti, Marchi, Iori».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   per mitigare le conseguenze di gravi incidenti stradali nella Unione europea la Commissione europea ha adottato il 13 giugno 2013 due proposte volte a garantire che, entro ottobre 2015, le auto siano in grado di chiamare automaticamente i servizi di emergenza in caso di incidente grave;
   al fine di istituire e realizzare tale sistema, la Commissione propone due strumenti normativi: un regolamento sulle specifiche di omologazione per la diffusione del sistema eCall (che modifica la connessa direttiva 2007/46/CE), rendendo il veicolo idoneo per il sistema, ed una decisione sull'introduzione della chiamata di emergenza (eCall) interoperabile per rendere le infrastrutture pubbliche idonee ad interagire col sistema eCall;
   una volta che Consiglio e Parlamento europeo avranno approvato le proposte formulate il 13 giugno, la Commissione intende fare in modo che il servizio eCall sia pienamente operativo in tutta l'Unione europea (nonché Islanda, Norvegia e Svizzera) entro il 2015;
   i sistemi eCall raccolgono dati sull'incidente (detti «MDS», minimum data set) e creano un collegamento telefonico con centrali operative pubbliche o private cui inviano anche il MDS. Esistono due diverse modalità per l'implementazione del servizio di eCall a bordo dei veicoli: il cosiddetto «eCall 112», grazie al quale, in caso di incidente, il MDS e la chiamata vengono indirizzate alle autorità di pubblica sicurezza (detti «PSAP», Public safety answering point) ed il cosiddetto «TPS eCall» che, in caso di incidente, invia MDS e chiamata a centrali operative private che valutano l'entità e la tipologia di incidente e smistano la chiamata all'autorità (polizia, ambulanza, e altro) o al servizio più opportuno (Carro attrezzi, e altro);
   nelle proposte finora adottate dalla Commissione europea non è previsto il TPS eCall come alternativa all’eCall 112;
   il sistema eCall 112 ha il vantaggio di creare un collegamento diretto tra il veicolo incidentato e le autorità di pubblica sicurezza, ma alla prova dei fatti ha dimostrato di comportare svantaggi quali: circa 70 per cento di chiamate «false» (dati dichiarati da Bosch e Autorità francesi); sovraccarico dei centralini delle autorità di pubblica sicurezza per incidenti che non avrebbero necessitato dell'intervento di dette autorità; necessità di dotare tutti i centralini delle autorità di pubblica sicurezza della strumentazione necessaria a leggere il MDS inviato dai veicoli e necessità della presenza di personale multilingua presso i centralini dell'autorità di pubblica sicurezza;
   in Italia emergerebbe poi l'ulteriore difficoltà legata al fatto che l’eCall 112 invia la chiamata alla numerazione 112 che nel nostro Paese corrisponde al numero d'emergenza dei Carabinieri, che non hanno competenza specifica sulla sicurezza stradale e non possono intervenire su incidenti avvenuti lungo la rete autostradale che è di competenza dell'apposito corpo della Polizia di Stato;
   il sistema TPS eCall è invece già sperimentato ed operativo da circa dieci anni ed è oggi quello adottato dalla quasi totalità delle case automobilistiche europee così come da compagnie assicurative e di servizi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza, per quanto di competenza dei rispettivi dicasteri, delle tematiche sopra esposte;
   se non ritengano di dover avviare un tavolo di confronto con le autorità ed i principali operatori del mercato in Italia, quali la polizia di Stato, le case automobilistiche, l'Automobile club d'Italia, produttori di tecnologia e fornitori di servizi eCall per verificare quanto sia realistica la possibilità che nel nostro Paese possa trovare implementazione la tecnologia eCall 112;
   se sia mai stata fatta una stima dell'investimento richiesto all'Italia per dotare i centralini delle autorità di pubblica sicurezza delle necessarie attrezzature tecniche e del personale multilingua;
   se non ritengano opportuno attivarsi quanto prima per rappresentare in sede comunitaria la posizione italiana rispetto alle tematiche sopra esposte. (5-01240)


   CIMBRO e CASATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 28 luglio 2006 si è stipulata la convenzione tra la provincia di Milano e la Milano Serravalle-Milano Tangenziali spa per la progettazione preliminare del potenziamento della SP46 Rho-Monza al fine di riqualificarla e trasformarla in autostrada, dall'attuale tangenziale nord (A52) all'altezza di Paderno Dugnano, all'autostrada A8 Milano-Laghi all'altezza dello svincolo di Rho-Fiera;
   il progetto prevede la trasformazione dell'attuale arteria stradale che collega Rho a Monza in un'autostrada urbana, per un tratto totale di 9,2 chilometri, suddiviso in tre lotti funzionali: i primi due realizzati da Milano Serravalle (e collegano l'interconnessione con l'A52 in corrispondenza della Milano-Meda fino allo scavalco della ferrovia Milano-Varese) per un costo di 202 milioni di euro, di cui 177 disponibili. Il terzo lotto è realizzato da Autostrade per l'Italia e collega lo scavalco della ferrovia Milano-Varese con lo svincolo della ex strada statale n. 233, per un costo di 104 milioni di euro, di cui 55 disponibili;
   con provvedimento n. 0014445-P del 2 febbraio 2009 ANAS spa (ora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali) ha approvato il progetto preliminare, redatto congiuntamente da Milano Serravalle-Milano Tangenziali spa e Autostrade per l'Italia spa, relativo ai tre lotti funzionali e le concessionarie hanno successivamente avviato la progettazione definitiva con tempi e modi diversi (con convenzione n. 9 del maggio 2009 Milano Serravalle ha affidato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti-provveditorato interregionale alle opere pubbliche Lombardia e Liguria le funzioni e le connesse responsabilità di stazione appaltante per la progettazione definitiva ed esecutiva e la realizzazione dell'opera, con firma del dottor ingegner Errichiello);
   il progetto preliminare prevede l'affiancamento della SP46 all'attuale superstrada, ex SS35, a distanze non consentite, anche 10 metri da residenze centri per anziani, scuole e addirittura a 10 metri da un centro pediatrico che visita circa 6.000 bambini all'anno; il nastro principale viaggerà ad un'altezza media dal suolo di 10/12 metri, scavalcando la Milano-Meda con un mega ponte ad arco lungo 250 metri e alto 80 metri;
   nei 5 comuni interessati dalla nuova infrastruttura nascono comitati spontanei di cittadini che propongono progetti alternativi al preliminare, come quello dell'interramento proposto dal CCIRM (Comitato Cittadini per l'Interramento della Rho-Monza) per buona parte del tratto di attraversamento del comune di Pademo Dugnano, circa 1,8 chilometri, progetto accompagnato da 3.000 firme di cittadini e che offre una soluzione alle criticità sulla salute dei cittadini, ambientali e di mobilita moderna;
   nel febbraio 2009 Milano Serravalle presenta il progetto preliminare nella sala consiliare del comune di Paderno Dugnano e, in quella sede, i comitati e le associazioni locali richiedono l'apertura di un tavolo tecnico aperto ad istituzioni, cittadini e associazioni per ri-discutere il progetto e valutare le varianti migliorative, tavolo istituito poi con delibera provinciale (DGP n. 469) nel maggio del 2009. Tavolo che inizierà i lavori solo nel novembre 2009 e terminerà nel marzo 2010, con una presentazione in assemblea pubblica nella quale Milano Serravalle, con i tecnici partecipanti al tavolo tecnico, presentano i risultati della variante interramento, valutando anche tre diverse ipotesi di fattibilità e i relativi vantaggi e svantaggio;
   nel maggio 2010 viene effettuato, da mamme residenti nelle zone in prossimità dell'intervento, un censimento dei bambini (su base volontaria) che potranno subire danni alla loro salute a causa del passaggio a poche decine di metri dalle abitazioni di oltre 80 milioni di veicoli all'anno e i bambini censiti risultano ben 773;
   nel mese di dicembre 2010 provincia di Milano e Milano Serravalle fanno recapitare a 397 cittadini la comunicazione di avvio della pratica di esproprio delle loro proprietà e, ancora in questi giorni, continuano a giungere ai cittadini dei comuni interessati dall'infrastruttura comunicazioni di avvii di procedimenti di espropriazione delle proprietà private per pubblica utilità/asservimento e occupazione temporanea;
   le scelte progettuali delle concessionarie, a quanto consta all'interrogante, non hanno tenuto conto delle osservazioni presentate dagli enti locali e dai diversi comitati e associazioni in tema di impatto ambientale ma soprattutto di salute pubblica e nemmeno delle varianti emerse dal tavolo tecnico;
   permangono tuttora evidenti criticità quali: gli effetti dannosi sulla salute dei cittadini, sia sotto l'aspetto dell'inquinamento acustico che per quello atmosferico, connesso all'aumento di emissioni di agenti pericolosi legati al traffico veicolare, l'eccessivo consumo di suolo in particolare nell'area del PLIS (parco locale di interesse sovracomunale) della Balossa, la sostanziale non conformità con gli strumenti urbanistici vigenti, anche per quarto riguarda le aree verdi, il potenziamento di una mobilità su ruota a discapito dell'investimento in mobilità su ferro (mobilità del secolo scorso);
   le previsioni di traffico non trovano riscontro nella odierna realtà dei fatti: l'ultima edizione del bollettino AISCAT dimostra che nel primo semestre 2012 il traffico pagante sulle autostrade è diminuito di oltre il 7 per cento, dopo che erano già avvenute altre riduzioni negli anni precedenti;
   il documento «Richiesta integrazioni» Rif. Silvia N171, redatto dalla struttura VIA regione Lombardia del settembre 2012, evidenzia numerose criticità dell'infrastruttura in termini di: connessione tra parchi, studi di traffico, interferenze con infrastrutture esistenti reti tecnologiche esistenti e aspetti viabilistici, piste ciclabili e collegamenti pedonali, incremento inquinamento atmosferico e idrico, salute pubblica, rumori e vibrazioni, suolo, di siti contaminati (area ex Tonolli oggi EcoBat e Sitindustrie) bilancio terre, piano di monitoraggio ambientale (PMA), sensibilità e attività comunali interferite dalle fasce di pertinenza e dalle pressioni generate dalla nuova infrastruttura, cantiere, aspetti ecologici, impatto sulle aree agricole, opere di mitigazione ambientale;
   le motivazioni sollevate per non accettare le proposte alternative al progetto preliminare riguardano la necessità di realizzare l'opera con urgenza in vista dell'Expo 2015 (nonostante sia a giudizio dell'interrogante opera accessoria e non essenziale), quando invece i tempi di realizzazione dell'opera sono in contrasto con il programma iniziale e, da oggi, è prevista l'ultimazione dei lavori ad aprile 2015, con la possibilità di avere i lavori in corso anche durante il già avviato Expo 2015;
   la presidenza della conferenza servizi ha rifiutato la richiesta congiunta delle amministrazioni di ottenere il crono-programma dei lavori;
   il 13 giugno il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha convocato regione Lombardia, la provincia di Milano, l'amministratore delegato di Autostrade, il presidente della Milano Serravalle spa e i sindaci di Novate, Paderno Dugnano, Cormano, Baranzate e Bollate, per trattare il tema SP46 Rho-Monza;
   la conferenza dei servizi del 30 settembre 2013 ha messo nuovamente in luce i limiti oggettivi della gestione del progetto di quest'opera;
   il progetto non tiene conto delle richieste degli enti locali, della mozione n. 55 presentata in data 6 giugno 2013 e approvata nella seduta del consiglio regionale lombardo del 19 giugno 2013, e dalla mozione ugualmente approvata all'unanimità dal consiglio provinciale milanese nella seduta del 24 settembre;
   in data 3 settembre 2013, a seguito dell'incontro avvenuto con gli onorevoli Cimbro e Casati, il prefetto di Milano dottor Francesco Paolo Tronca ha assicurato il suo impegno nell'approfondimento del tema;
   in data 2 ottobre 2013 i medesimi deputati hanno, in analogo incontro, sottoposto la questione all'attenzione del Ministro dell'ambiente Orlando –:
   se il Ministro intenda reperire gli ulteriori fondi necessari per la certa realizzazione del tratto su Paderno Dugnano, con opera completamente interrata;
   se intenda realizzare il sottopasso nel tratto tra Novate e Bollate, utilizzando da subito i 55 milioni stanziati nel «decreto del fare», ed il collegamento in trincea del tratto Baranzate – Paderno Dugnano anche a salvaguardia del PLIS Balossa;
   se intenda, nel tratto di Baranzate, assicurare l'interramento della Rho-Monza, consentendo alla strada provinciale Varesina di proseguire a raso come attualmente. (5-01241)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOSCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 3 ottobre 2013 un barcone carico di migranti è naufragato a Lampedusa nei pressi dell'isola dei Conigli. Le vittime accertate sono sinora 302. Giusi Nicolini, il sindaco della città, ha spiegato che questa «è la più grande tragedia che Lampedusa ricordi»;
   da notizie a mezzo stampa, il Governo italiano avrebbe chiesto nelle opportune sedi europee una risposta più adeguata, ottenendo di inserire fra le priorità del prossimo Consiglio europeo la questione di una più efficace gestione in comune delle politiche migratorie;
   lo stesso Presidente della Commissione europea Barroso ha affermato, in occasione della sua visita a Lampedusa, che «l'UE deve intensificare gli sforzi per prevenire tragedie del genere e insieme agli Stati membri prendere importanti decisioni e mostrarsi solidale con i migranti e con i paesi più esposti ai flussi migratori, anche perché le tragedie dell'immigrazione devono essere considerate problema di tutta l'Europa»;
   il Commissario europeo agli affari interni Cecilia Malmstrom, ha annunciato la creazione di una task-force che pattuglierà le acque del Mediterraneo, da Cipro alla Spagna, allo scopo di salvare più vite umane, identificando le barche e rilevandone la presenza;
   il 9 ottobre 2013 il Parlamento europeo ha dato via libera al progetto Eurosur — un nuovo sistema di sorveglianza — che partirà il 2 dicembre 2013, con l'obiettivo di proteggere le frontiere esterne e aiutare quanti rischiano la vita pur di raggiungere le coste italiane, grazie a migliori strumenti tecnologici e nuove infrastrutture, ma soprattutto attraverso la condivisione delle informazioni tra gli Stati membri, e tra questi e l'Agenzia per le frontiere dell'Unione Frontex), anche avviando una collaborazione con i Paesi terzi, in particolare quelli dell'Africa settentrionale;
   è stato da più parti sollecitato un intervento più efficace e fattivo di Frontex, l'agenzia europea creata nel 2005 che assiste gli Stati membri nel controllo delle frontiere esterne, che però attualmente dispone di un budget molto limitato di soli 80 milioni di euro annui, di circa 220 unità e utilizza mezzi, anche navali, che devono essere messi a disposizione degli Stati membri su base volontaria;
   la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento attualmente in discussione — 2013/0106 (COD) — diretta a potenziare Frontex, che prevede che gli Stati membri mettano a disposizione dell'agenzia più attrezzature e più personale e che quest'ultima diriga le operazioni di pattugliamento alle frontiere insieme ai Paesi dell'Unione. Frontex avrà inoltre la facoltà di prestare assistenza tecnica ai Paesi terzi ed inviare funzionari di collegamento;
   da notizie a mezzo stampa sembrerebbe che sulla proposta della Commissione europea che delinea un ruolo più forte di Frontex sui salvataggi in mare siano state avanzate obiezioni e riserve da parte spagnola, greca, maltese e del Governo italiano;
   queste obiezioni sembrerebbero rispondere a un indirizzo governativo e a una linea politica, a giudizio dell'interrogante, oramai superata, appartenente ad altre fasi, tese a limitare il ruolo di Frontex al pattugliamento e ai respingimenti, e a lasciare il salvataggio in mare alla regolamentazione nazionale e internazionale, consentendo così mani più libere ai singoli Governi –:
   se quanto riportato corrisponda al vero e, in caso affermativo, se e come il Governo intenda modificare la posizione italiana in merito alle obiezioni mosse alla proposta di regolamento della Commissione europea — 2013/0106 (COD) — al fine di facilitare una rapida approvazione della stessa. (5-01243)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PANNARALE, FRATOIANNI, COSTANTINO, PILOZZI e DURANTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   gli ultimi dati ufficiali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al 28 febbraio 2013, indicano 7.066 minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio nazionale, di cui 1.465 sarebbero irreperibili e almeno 3.000 non usufruirebbero dell'ospitalità presso strutture idonee all'accoglienza di soggetti minorenni;
   l'articolo 28, comma 3, del Testo unico sull'immigrazione stabilisce che in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali «deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo», in conformità con quanto previsto dalla convenzione dei diritti del fanciullo, ratificata con legge n. 176 del 1991 e, in particolare, dall'articolo 3, comma 1: «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente»;
   la normativa italiana, ai sensi del Testo unico n. 286 del 1998, nonché dell'articolo 403 del codice civile, prevede che il minore non accompagnato sia inespellibile, che sia collocato dalla pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia «in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione»;
   il tribunale dei minori di Bari, in data 14 ottobre 2013, con lettera indirizzata al prefetto di Foggia, alla direzione generale per l'immigrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al presidente della provincia di Foggia, alla Garante per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza della regione Puglia, e per conoscenza al sindaco di Foggia, ha segnalato la gravissima situazione in cui versano sette stranieri minori non accompagnati che, nonostante la condizione di minore età, si trovano tuttora presso il CARA di Foggia;
   nella medesima lettera il tribunale dei minorenni di Bari sollecita le autorità in indirizzo ad intraprendere le iniziative di rispettiva competenza, per fare in modo che i minori vedano affermati i propri diritti, riservandosi la trasmissione degli atti al titolare dell'azione penale, qualora la grave situazione di illegalità dovesse protrarsi;
   le procedure ordinarie riguardanti i sistemi di protezione dei minori stranieri non accompagnati e dei minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo, come espresso in una nota pubblicata sul sito istituzionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali il 14 gennaio 2013, e precisato nella circolare congiunta del 24 aprile 2013 del Ministero dell'interno e di quello del lavoro e delle politiche sociali, stabiliscono che «nel caso in cui la presenza di un minore straniero non accompagnato venga rilevata sul territorio nazionale, i pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio e gli enti, in particolare quelli che svolgono attività sanitarie o di assistenza, sono responsabili per il collocamento del minore in luogo sicuro. Il collocamento del minore in una struttura di accoglienza autorizzata/accreditata comporta la sua presa in carico da parte dei servizi sociali del Comune nel cui territorio la struttura è presente e la richiesta di apertura della tutela nei suoi confronti";
   il comune di Foggia, in data 9 luglio 2013, con lettera dell'assessorato alle politiche sociali, ha comunicato l'indisponibilità dell'amministrazione a prendere in carico le numerose richieste di collocamento di «sedicenti minori» presenti nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Borgo Mezzanone, in ragione della condizione di insostenibilità finanziaria derivante dalla situazione economica dell'ente e ha ribadito alla prefettura la richiesta di un criterio di più equa ripartizione e presa in carico dei minori stranieri non accompagnati tra i comuni dell'intero territorio provinciale;
   le procedure seguite per l'accertamento dell'età sono imprecise e scarsamente attendibili. Si continua a segnalare che, in caso di dubbio rispetto alla maggiore o minore età, non venga data la possibilità di produrre documenti anagrafici anche attraverso il contatto con le Autorità consolari competenti (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 535 del 1999, articolo 5, comma 3) e si preferisca invece ricorrere ad esami medici non idonei, quale quello radiografico del polso, in assenza peraltro di professionalità e strumentazioni adeguate;
   nel tentativo di uniformare le procedure nazionali per l'accertamento dell'età, nel 2009, a livello interministeriale, è stato prodotto il cosiddetto «protocollo Ascone», che prevede un approccio multidisciplinare per l'accertamento medico dell'età, con la garanzia di personale specializzato, dell'assistenza del tutore e del consenso dello stesso minore agli esami medici, protocollo ad oggi non ancora applicato, con grave lesione dei diritti dei minori stranieri non accompagnati;
   il Governo in questi anni è stato più volte condannato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, a causa del mancato rispetto dei diritti dei migranti e delle condizioni degradanti e disumane dei centri che ospitano gli stessi;
   le diffuse e gravi condizioni di sovraffollamento dei CARA, cui sono soggetti quotidianamente i migranti ivi ospitati, se vissute dai minori, non possono che rappresentare un'ulteriore violazione di diritti, in quanto costituiscono un chiaro ostacolo alla necessità di spazi di accoglienza dedicati e determinano condizioni igienico-sanitarie precarie, oltre che un disagio sociale e un rischio elevato in termini di potenziale coinvolgimento in situazioni di conflittualità;
   nonostante la normativa italiana stabilisca che per i minori la nomina del tutore deve avvenire in tempi particolarmente rapidi e, nel caso di minori richiedenti protezione internazionale, entro un termine di 48 ore dalla manifestazione della volontà, nella prassi tale tempistica stringente è puntualmente disattesa, e tutto ciò a discapito dei diritti dei minori –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione che ha luogo nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Foggia, rispetto a quanto illustrato in premessa, nonché, più in generale, della prassi non conforme alla normativa vigente di collocare i minori stranieri non accompagnati nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo;
   quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere per trovare soluzioni immediate e durature alle problematiche descritte;
   quali soluzioni strutturali il Governo ritenga di porre in essere per monitorare e riorganizzare il sistema dell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e per affrontare la complessa questione degli oneri finanziari dell'accoglienza, a partire dal fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, pregiudicato da risorse inadeguate e incerte;
   se i Ministri interrogati, anche alla luce delle ultime tragedie nel Mediterraneo, non ritengano urgente procedere al ripensamento dell'intero sistema dell'accoglienza e della protezione internazionale. (4-02207)


   ZARATTI, PIAZZONI, STUMPO e CARELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 15 ottobre 2013 il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro su richiesta della famiglia del ex capitano delle Ss Erich Priebke, condannato all'ergastolo per l'eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944, rappresentata dall'avvocato Paolo Giachini, autorizzava il trasferimento della salma dell'ex gerarca nazista nel convento della Fraternità sacerdotale San Pio X di Albano Laziale, per la celebrazione delle esequie;
   il sindaco di Albano Laziale, dopo aver appreso la notizia da fonti giornalistiche, con ordinanza n. 231, «Ritenuto che tale evenienza, qualora confermata, contrasterebbe in maniera eclatante con il contributo reso dalla nostra città e dai nostri cittadini alla lotta di liberazione nazionale ed alla lotta partigiana; in particolare nel rispetto della memoria morale e civile dovuta ai caduti nel barbaro eccidio delle Fosse Ardeatine, tra i quali sono da annoverare anche persone molto vicine alla nostra comunità considerato che, contrariamente a quanto previsto dal Regolamento di polizia Mortuaria (decreto del Presidente della Repubblica n. 285 del 1990) alle ore 15.00, non è pervenuta a questo Comune alcuna autorizzazione o comunicazione circa il transito della salma di Priebke sul territorio comunale.... considerato che tale notizia, qualora confermata, potrebbe determinare seri pericoli per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana...», vietava il transito di salme sul territorio comunale, per la giornata del 15 ottobre, onde evitare eventi pregiudizievoli per l'incolumità pubblica e sicurezza della civica comunità;
   il prefetto di Roma, considerato il divieto da parte del Questore di Roma allo svolgimento di funzioni relative alle esequie ed al trasporto della salma di Erich Priebke, in forma pubblica e solenne, nonché qualunque manifestazione pubblica, nel territorio della provincia di Roma, tenuto conto delle vibranti contestazioni in atto da parte di movimenti ed associazioni che si richiamano ad ideologie fortemente contrapposte e comunque della volontà dei familiari di Priebke che avesse luogo un rito funebre, ordinava che il rito funebre avesse luogo in forma privata presso la confraternita S. Pio X, incaricando sindaco di Albano dell'esecuzione dell'atto;
   un esponente della Fraternità sacerdotale San Pio X che in Italia ha sede ad Albano Laziale, ha pubblicamente espresso in passato e in più occasioni tesi antisemite e negazioniste sulla Shoah, che ancora oggi trovano nella comunità lefebvriana diretti sostenitori;
   fin dal primo pomeriggio del 15 ottobre un presidio di cittadini e rappresentanti delle amministrazioni locali di Albano Laziale, Castel Gandolfo e Genzano di Roma formatosi davanti la sede della Fraternità San Pio X manifestava la propria forte indignazione per la scelta assunta da prefetto di far svolgere l'esequie di Priebke nella città di Albano Laziale, già insignita di medaglia d'argento della Resistenza, in spregio alla memoria morale e civile delle vittime della strage delle Fosse Ardeatine, per la quale Priebke è stato condannato all'ergastolo; il livello di tensione è giunto al culmine al passaggio del feretro e dopo l'ingresso nella sede della Fraternità per lo svolgimento del rito;
   nelle stesse ore, gruppi organizzati di estrema destra e inneggianti al movimento neonazista, da ore attivi sui social network, giungevano in prossimità del luogo indicato dal prefetto di Roma per l'esecuzione del rito e venivano tenuti a distanza dai reparti delle forze dell'ordine che presidiavano l'ingresso della struttura, con forti momenti di tensione culminati poi in violenti scontri e tafferugli; ciò nonostante il leader del gruppo di estrema destra Militia Maurizio Boccacci riusciva ad entrare nella struttura della Fraternità per partecipare alle esequie;
   dalle dichiarazioni rilasciate dal legale della famiglia Priebke, Paolo Giachini il rito non avrebbe avuto inizio data l'impossibilità di molti dei cento invitati, tenuti lontani dalle forze di polizia, di convenire nella struttura; lo stesso prefetto di Roma avrebbe successivamente deciso il trasferimento, per motivi di ordine pubblico, della salma di Priebke in un'area a giurisdizione militare lontana da Roma, nello specifico nei pressi dell'aeroporto militare di Pratica di Mare –:
   se il Ministro sia stato messo a conoscenza preventivamente delle decisioni assunte dal Prefetto di Roma e se è stato informato dell'evoluzione degli eventi accaduti nel pomeriggio del 15 ottobre 2013 nella città di Albano Laziale;
   se la decisione del prefetto di Roma, motivata tra l'altro dall'unica disponibilità resa dalla Fraternità San Pio X ad ospitare il rito in forma privata e riservata, cui erano stati invitati cento persone, senza alcuna preventiva informazione né coinvolgimento dell'amministrazione comunale di Albano, sia stata assunta tenendo in debito conto dei rischi per la sicurezza e l'ordine pubblico, che avevano peraltro già portato il questore di Roma ad emettere Ordinanza del 14 ottobre 2013. (4-02216)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MALISANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio scolastico provinciale di Udine, in data 17 dicembre 2012, ha sottoscritto con l'ASS n. 4 «Medio Friuli» un accordo nel quale si afferma che gli alunni, di cui all'articolo 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992, sono suddivisi in alunni in situazione di «straordinaria gravità e di eccezionale gravità»;
   viene riconosciuto ai primi un intervento di sostegno superiore a 1:2 (cioè da 12 a 18 ore settimanali nella scuola dell'infanzia e primaria, da 9 a 13,5 ore settimanali nella scuola secondaria di 1o e 2o grado). Agli alunni in situazione di eccezionale gravità (considerati «non altrimenti gestibili dalla scuola nell'ambito di tutte le risorse disponibili e degli operatori dedicati, individuati sulla base del piano educativo individualizzato») un intervento di sostegno 1:1;
   nell'ambito della stessa disabilità certificata con lo stesso comma della legge n. 104 del 1992 si sono introdotte due diverse tipologie di interventi;
   in data 18 giugno 2013 sono state comunicate ai dirigenti scolastici di ogni ordine e grado della provincia di Pordenone e di Udine da parte dei dirigenti dell'ufficio scolastico provinciale le indicazioni operative pervenute dalla direzione generale del Friuli Venezia Giulia in merito all'integrazione degli alunni disabili;
   i sindacati scuola regionali CGIL-CISL e UIL del FVG chiedevano il 24 luglio 2013 un incontro urgente alla direzione generale per avere chiarimenti in merito e successivamente richiedevano l'immediato ritiro della circolare contenente le indicazioni operative emanata dall'Usr;
   molte famiglie della provincia di Udine hanno manifestato la loro volontà di ricorrere al TAR del Friuli Venezia Giulia –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale situazione, a quanto è dato sapere, specifica della regione Friuli Venezia Giulia, in particolare della provincia di Udine;
   se consideri accettabili le motivazioni della distinzione introdotta tra alunni riconosciuti in situazione di gravità;
   se non ritenga che la differenziazione introdotta, nel momento in cui risulta avvenire soltanto in una provincia, non rischi di introdurre una disparità di trattamento sia tra i diversi alunni, pur ricompresi nella medesima disabilità, che tra le scuole per l'assegnazione delle ore di sostegno;
   se conseguentemente non ritenga utile valutare l'opportunità di una interpretazione univoca, unitamente al Ministero alla sanità, delle norme applicative della legge n. 104 del 1992 relativamente al riconoscimento delle situazioni di gravità. (5-01239)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDASSARRE, BECHIS, CIPRINI, COMINARDI, RIZZETTO, ROSTELLATO, TRIPIEDI e LIUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'INPS è un istituto enorme che assicura 20 milioni di lavoratori ed eroga 18 milioni di pensioni che gestisce altresì entrate ed uscite annuali per una cifra di 760 miliardi di euro circa;
   le procedure di gara per l'assegnazione degli appalti avranno seguito un corretto iter che non si vuole in questa sede mettere in dubbio;
   il 21 dicembre 2011 è stato indetto un bando di gara, con scadenza 22 febbraio 2012, con oggetto «Fornitura dei servizi di sviluppo, reingegnerizzazione e manutenzione del software applicativo dell'INPS, suddivisa in 7 lotti»;
   il suddetto bando di gara appare uno dei più sostanziosi mai transitati per l'ente previdenziale con un valore finale dell'appalto di circa 170 milioni di euro;
   la gara è stata suddivisa in 7 lotti e al momento dell'aggiudicazione ogni singolo lotto è stato assegnato a un singolo raggruppamento di impresa;
   dal dettaglio di aggiudicazione, inviato in data 5 marzo 2013, si evince che i lotti sono stati così spartiti:
    a) lotto n. 1 aggiudicato da: RTI Engineering spa, Innovare 24 Spa, Inmatica Spa, Eustema Spa per un valore finale totale dell'appalto di 35.643.131 euro;
    b) lotto n. 2 aggiudicato da: RTI Accenture spa, Avenade Italy srl, Data Management Soluzioni IT per il settore pubblico spa, Indra Italiana spa per un valore finale dell'appalto di 33.883.163 euro;
    c) lotto n. 3 aggiudicato da: RTI IBM Spa, Sopra Group Spa, E&Y Spa, Sistemi Informativi Srl per un valore finale dell'appalto di 21.735.368 euro;
    d) lotto n. 4 aggiudicato da: RTI Selex Elsag Spa, HP Enterprise Services Italia Srl, E-Security Srl, Deloitte Consulting Spa per un valore finale dell'appalto di 29.792.124 euro;
    e) lotto n. 5 aggiudicato da: RTI Telecom Italia Spa, NTT Data Italia Spa (già Value Team Spa), Atos Italia Spa, Wizards Progetti Srl per un valore finale dell'appalto di 24.037.951 euro;
    f) lotto n. 6 aggiudicato da: RTI KPMG Spa, Consorzio Reply Public Sector, Exprivia Spa, Sintel Italia Spa per un valore finale dell'appalto di 23.000.249 euro;
    g) lotto n. 7 aggiudicato da: BIP Business Integration per un valore finale dell'appalto di 987.895 euro;
   il lotto n. 1 vede al suo interno Eustema spa, società informatica riconducibile alla Confederazione italiana sindacati lavoratori (CISL) nonché Innovare 24 Spa (adesso 24 Ore software) che altro non è se non la società informatica del Sole 24 Ore e quindi appartenente al sistema Confindustria;
   il lotto n. 2 vede al suo interno un gruppo folto all'interno del quale si segnala la presenza degli spagnoli Indra Sistemas (attraverso la Indra Italia), nonché della multinazionale Accenture spa con sede in Dublino e la Avenade Italy, ossia la sussidiaria italiana della joint venture che la vede assieme a Microsoft;
   il lotto n. 3 vede al suo interno gli americani di IBM e i francesi di Sopra Group Spa e della multinazionale della consulenza Ernst & Young;
   il lotto n. 4 vede al suo interno svariate imprese fra cui spicca Selex Elsag, del gruppo Finmeccanica nonché la HP Enterprise Services che fa capo al colosso americano dell'informatica Hewlett Packard e la multinazionale della consulenza Deloitte;
   il lotto n. 5 vede al suo interno Telecom Italia, il gruppo guidato da Franco Bernabè che è spesso coinvolto in grosse commesse di Stato;
   il lotto n. 6 vede al suo interno la Kpmg, impresa più volte presente nella gestione di INPS, non solo per quanto concerne il settore informatico ma anche nella formazione, nella vigilanza e negli altri settori strategici dell'Istituto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati e quali iniziative intenda eventualmente attuare al fine di garantire che nell'attività dell'ente previdenziale sia perseguita una separazione funzionale fra le società che operano nel ruolo di controllore e di controllato, eliminando possibili incompatibilità;
   se il Ministro interrogato intenda intraprendere un'analisi sulla gestione del bando di gara suddetto al fine di garantire che i soggetti vincitori di tali appalti raggiungano gli obiettivi prefissati, viste anche le recenti difficoltà di Telecom Italia;
   se il Ministro interrogato ritenga che i servizi informatici forniti dall'INPS, sia in termini di servizi al cittadino sia in termini di trasparenza delle pratiche, siano idonei e proporzionati al valore finale del suddetto appalto di circa 170 milioni di euro. (4-02205)


   CHIARELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dallo scorso aprile, 123 lavoratori della industria tessile Nardelli di Martina Franca, colpiti dalla decisione aziendale del 2011, di cessare l'attività produttiva, sono in attesa di percepire l'indennità di cassa integrazione straordinaria, ancora non autorizzata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   tanto si inserisce in un contesto generale di crisi che, in particolare, ha colpito l'intera provincia ionica, e nello specifico il settore tessile, una volta punta di diamante della economia martinese;
   l'assenza di qualunque alternativa occupazionale e la mancanza di sostegno al reddito, pone le famiglie dei lavoratori interessati in condizioni di assoluta indigenza;
   sul territorio ionico si registrano quotidianamente nuove emergenze come, ad esempio, la recente vertenza VESTAS, azienda che ha dichiarato di voler chiudere lo stabilimento di Taranto, o la crisi dell'appalto ENI, oggetto negli ultimi giorni di forti tensioni sfociate nella protesta degli autotrasportatori del settore;
   fermo restando l'esigenza di individuare soluzioni più strutturali che determinino le condizioni per un rilancio complessivo della economia ionica, notoriamente afflitta da una notevole quantità di vertenze, tra cui quella che attiene all'Ilva, con le conseguenze nefaste sulla occupazione che tale vertenza ha comportato negli ultimi tempi (si stima una perdita di circa 13.000 posti di lavoro nell'indotto), è assoluta priorità garantire ai lavoratori che possono beneficiare ancora di strumenti di sostegno straordinario, l'erogazione delle provvidenze previste –:
   se ritenga di accelerare l’iter di autorizzazione del riconoscimento della cassa integrazione straordinaria a favore dei 123 lavoratori della ITN di Martina Franca;
   se, inoltre, intenda promuovere un provvedimento che affronti in modo complessivo l'emergenza occupazionale del territorio ionico, ogni giorno colpito da nuove crisi, come quella dell'azienda VESTAS che ha deciso di chiudere lo stabilimento di Taranto, o dell'appalto ENI in forte crisi, e di altre piccole e medie realtà produttive. (4-02208)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la firma del Ministro del lavoro e delle politiche sociali per l'assegnazione della cassa integrazione guadagni ai 120 ex lavoratori Finmek spa di Sulmona (AQ), è indispensabile per sbloccare tale indennità e purtroppo, ad aggravare la situazione, è il fatto che gli stessi 120 ex operai Finmek devono restituire l'indennità di mobilità, circa 4 mila e 300 euro lordi a testa, richiesti dall'INPS perché erroneamente corrisposti ad ottobre 2012 e solo per tre mesi, perché all'epoca i 120 operai ex Finmek spa di Sulmona erano ancora in regime di cassa integrazione e dunque spettava loro la cassa integrazione guadagni, scaduta però a maggio 2012 e non ancora assegnata;
   la vidimazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per sbloccare la cassa integrazione straordinaria, è necessaria ed è possibile solo a condizione che sia presentata una relazione del commissario straordinario della società Finmek, Guanluca Vidal, mai giunta però agli uffici del Ministero, almeno per il resoconto che riguardava la Finmek spa di Sulmona, l'atto infatti è ancora atteso dagli uffici ministeriali per poter procedere alla vidimazione e all'assegnazione della cassa integrazione guadagni ai 120 disoccupati;
   bisogna porre in essere tutte le misure possibili e necessarie per porre fine al problema che sta recando serie difficoltà a 120 famiglie di un comprensorio sin troppo devastato dalla crisi e dalla chiusura delle aziende. Occorre rintracciare e sollecitare il commissario straordinario Gianluca Vidal, attualmente irreperibile, affinché invii al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al più presto, il resoconto sulla Finmek spa di Sulmona liquidata nel 2011. È stato verificato che il ritardo nella corresponsione dell'indennità è dovuto solo all'azienda che purtroppo ancora non ha presentato la relazione richiesta dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonostante i vertici Finmek abbiano inviato, negli stabilimenti di Sulmona, gli ispettori per i dovuti sopralluoghi per redigere la suddetta relazione –:
   se sia possibile una procedura ad hoc per detrarre, alla stregua di una compensazione, quanto i lavoratori devono restituire all'INPS al credito che gli stessi 120 disoccupati hanno maturato come diritto alla cassa integrazione straordinaria, scaduta a maggio;
   se la richiesta di riconsegna delle somme, già assegnate a titolo di mobilità da parte dell'INPS, non sia perentoria, in modo che lo stesso istituto possa reclamare la restituzione della mobilità solo nel momento in cui la cassa integrazione guadagni venga riconosciuta e corrisposta ai 120 lavoratori sempre se ci sarà 1'erogazione della cassa integrazione guadagni da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   se, in alternativa, sia possibile riconoscere una rateizzazione delle somme che i lavoratori devono restituire all'INPS, a titolo di mobilità, ricevute per alcuni mesi e da rendere, solo dopo l'erogazione della Cig da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e sempre a rate.
(4-02209)

SALUTE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro per gli affari europei, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   in data 15 giugno 2013 dal sito del Il gazzettino.it si apprendeva che: – «La seminatrice che oggi Giorgio Fidenato attaccherà al suo trattore sarà carica di semi Mon 810: mais Ogm. Per l'imprenditore agricolo di Arba “è giunto il momento di far rispettare le sentenze”. Come? Seminando mais transgenico autorizzato dall'Unione europea nel campo di Vivaro» ed ancora nel pezzo, dichiara Giorgio Fidenato – “Con la mia battaglia io ho ribadito la libertà di seminare mais Ogm autorizzato – continua Fidenato – Ho dimostrato che il potere politico è il tiranno che ci impedisce di essere liberi, dopodiché ognuno è padrone del proprio destino economico. Con il Movimento libertario ho messo in evidenza la presunta democraticità dello Stato, spetta ora agli agricoltori prendere in mano questo strumento”;
   in data 24 maggio 2013 sul sito del gazzettino.it viene riportata la sentenza della corte europea alla quale Fidenato fa riferimenti: «Il diritto dell'Unione Europea – dice l'ordinanza della Corte – dev'essere interpretato nel senso che la messa in coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais Mon 810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (CE) n1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, e dette varietà sono state iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, come modificata dal regolamento n. 1829/2003». Per i giudici comunitari, inoltre, la normativa europea «non consente a uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura sul suo territorio di detti organismi geneticamente modificati per il fatto che l'ottenimento di un'autorizzazione nazionale costituirebbe una misura di coesistenza volta a evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altre colture»;
   in data 12 luglio 2013 dal sito del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali il Ministro De Girolamo diramava il seguente comunicato: «Ogm, De Girolamo: firmato decreto che vieta la coltivazione del mais MON810 in Italia (12 luglio 2013)» Con i Ministri Lorenzin e Orlando avevamo preso un impegno preciso sugli Ogm, considerate anche le posizioni unitarie del Parlamento e delle Regioni. Con il decreto che abbiamo firmato oggi vietiamo la sola coltivazione del mais Mon810 in Italia, colmando un vuoto normativo dovuto alle recenti sentenze della Corte di Giustizia europea. È un provvedimento che tutela la nostra specificità, che salvaguardia l'Italia dall'omologazione. La nostra agricoltura si basa sulla biodiversità, sulla qualità e su queste dobbiamo continuare a puntare, senza avventure che anche dal punto di vista economico non ci vedrebbero competitivi. Il decreto di oggi è solo il primo elemento, quello più urgente, di una serie di ulteriori iniziative, con le quali definiremo un nuovo assetto nella materia della coltivazione di Ogm nel nostro Paese» sempre dal sito del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali – «Questo il commento del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Nunzia De Girolamo sulla firma del decreto interministeriale con i Ministri della salute, Beatrice Lorenzin e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Andrea Orlando, che vieta in modo esclusivo la coltivazione di mais geneticamente modificato appartenente alla varietà MON810 sul territorio italiano. Il divieto è così in vigore fino all'adozione delle misure previste dal regolamento comunitario 178/2002 e comunque per un periodo di massimo diciotto mesi. Il provvedimento sarà immediatamente notificato alla Commissione europea e agli altri 27 Stati membri dell'Unione europea. Il divieto di coltivazione del mais MON810 è motivato dalla preoccupazione sollevata da uno studio del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, consolidata da un recentissimo approfondimento tecnico scientifico dell'Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che ne evidenzia l'impatto negativo sulla biodiversità, non escludendo rischi su organismi acquatici, peraltro già evidenziati da un parere dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare reso nel dicembre 2011. Il decreto giunge a conclusione della procedura di emergenza attivata dal nostro Governo nell'aprile 2013, ed è giuridicamente sostenuto anche dal precedente provvedimento di divieto di coltivazione di Organismi geneticamente modificati, fondato su analoghe motivazioni, adottato il 16 marzo 2012 dal Governo francese e tuttora in vigore. Le sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione europea, cui l'Italia si conforma, ribadiscono la legittimità di misure di coesistenza che salvaguardino le colture tradizionali e biologiche, e che dovranno essere adottate dalle Regioni conformemente alla sentenza n. 116 del 2006 della Corte costituzionale, nel quadro di una organica e condivisa disciplina statale che definirà principi comuni al fine di garantire il rispetto della libera concorrenza e della libertà di iniziativa economica, a parità di condizioni sull'intero territorio nazionale»;
   in data 27 agosto 2013 l'agenzia stampa Ansa riportava il seguente lancio – «Ogm: Fvg; associazioni, semine mais anche ad aprile (ANSA) – UDINE, 27 AGO – Semine, di mais Mon 810 Ogm sono state effettuate in Friuli Venezia Giulia nel mese di aprile, oltre a quelle già note del mese di giugno. È quanto denunciano oggi le associazioni Aiab, Aprobio, Legambiente, Isde e Wwf, lamentando anomalie nella tenuta del registro pubblico delle notifiche di semina. Le associazioni sollecitano la regione Friuli Venezia Giulia «affinché non si lasci imbrigliare dai lacciuoli giuridici paventati dai pro-Ogm, né sia impaurita dalla loro aggressività, ma faccia tutto ciò che serve, ed in tempi utili, affinché il Friuli Venezia Giulia rimanga davvero libero da Ogm»;
   sempre in data 27 agosto l'agenzia stampa Agi riportava il seguente lancio DALL'ITALIA) OGM: ASSOCIAZIONI FVG, REGIONE TUTELI BIODIVERSITÀ (AGI) – Fagagna (Udine), 27 ago. – «È tempo che la Regione agisca e non si nasconda dietro una norma ambigua». Lo affermano in una nota Aiab-Fvg, Aprobio, Isde, Legambiente e Wwf che in materia di Ogm sollecitano un intervento «a tutela della biodiversità regionale e dei prodotti agroalimentari biologici e tradizionali». «Gli animi di cittadini e agricoltori – si precisa – sono esasperati per il “non fare” delle istituzioni. Ultimo episodio alcune anomalie nella tenuta del pubblico registro delle notifiche di semina di mais Mon810». La normativa, spiega Emilio Gottardo di Legambiente, «prevede che l'albo sia pubblico e abbia la massima divulgazione in modo da permettere agli agricoltori di semina di tentare di minimizzare le contaminazioni». Invece, precisa Roberto Pizzutti di Wwf, «solo ora, dopo aver fatto richiesta di accesso al registro pubblico, siamo venuti a conoscenza di semine Ogm effettuate già ad aprile (oltre a quelle più note di giugno), verso le quali ormai non si può mettere in pratica nessuna misura di tutela. A ciò si aggiunge il fatto che ora si stanno iniziando le raccolte di tutti i produttori della zona di Vivaro e di Mereto di Tomba che vogliono qualificare le proprie produzioni come non-Ogm»;
   in data 28 agosto 2013 l'agenzia stampa Dire riportava il seguente lancio-OGM. IN FRIULI SCOPERTI NUOVI TERRENI COLTIVATI A MAIS MON 810-2;
   (DIRE) Roma, 28 ago. – Per Zanoni è «strano che la Regione non abbia reso noto che oltre ai terreni del Fidenato vi fossero anche quelli di Dalla Libera per ben 11.300 metri quadri». Per questo motivo, «domani-rende noto l'europarlamentare – andrò sul posto per vedere da vicino queste coltivazioni illegali, ma temo che il mais di Dalla Libera sia già fiorito con tutte le conseguenze negative del caso. Ho già scritto al presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, chiedendo, a fronte dell'entrata in vigore del decreto del Ministero della salute del 12 luglio 2013, la distruzione immediata delle coltivazioni e di attivare tutte le autorità competenti al fine di controllare e monitorare eventuali e potenziali contaminazioni in atto e future causate da queste coltivazioni tramite polline ma anche tramite i tessuti vegetali che rimarranno nel terreno»;
   secondo Zanoni «la diffusione degli Ogm sarebbe una condanna a morte per l'agricoltura, perché metterebbe in ginocchio le aziende agricole biologiche e tradizionali portando al monopolio delle coltivazioni transgeniche. Gli effetti sugli ecosistemi sarebbero irreversibili: gli Ogm sono organismi viventi e possono riprodursi e moltiplicarsi, sfuggendo a qualsiasi controllo. È necessario fermare subito queste coltivazioni per proteggere la biodiversità, i campi e la nostra sicurezza alimentare»;
   in seguito a varie ricerche e colloqui il quadro che emerge per la mancata bonifica dei campi Ogm in Friuli Venezia Giulia consta dei seguenti elementi: La presunta «non retroattività» del decreto adotta dalla autorità del Friuli Venezia Giulia e nazionali non tiene in conto che al momento della semina Ogm esisteva già un quadro giuridico e normativo che vietava la semina per come è stata messa in pratica da Fidenato per due elementi sostanziali: articolo 1 del decreto legislativo n. 212 del 2001 principio di precauzione salute umana e ambiente; decreto interministeriale Clini-Balduzzi-Catania per il caso simile Dalla Libera. La mancanza, nell'attuale decreto, di alcun riferimento ai rischi apportati dal mais mon 810 alla salute umana che impedirebbe ogni intervento della regione Friuli Venezia Giulia è una lacuna reale e dovuta alla «preoccupazione» di non attivare un'argomentazione che andrebbe a incidere anche sulle importazione di OGM, è però chiaramente citato e documentato un rischio per l'ambiente e la biodiversità, coerentemente con quanto richiesto dagli articoli 34 del Regolamento 1829/2003 e 53 del regolamento 178/2002. Il divieto di coltivazione istituito dal decreto interministeriale è limitato al mais mon 810 e secondo le autorità del Friuli Venezia Giulia non ci sarebbe invece certezza della varietà di mais OGM realmente seminata da Fidenato. Questa motivazione ci è stata presentata come una delle motivazioni principali che impedirebbero alla regione Friuli Venezia Giulia di emettere alcuna ordinanza per la bonifica del campo seminato da Fidenato (dovremmo dire «campi» seminati, includendo anche quello di Mereto di Tromba). Però, da controlli effettuati sul registro europeo http://ec.europa.eu/food/dyna/gm register index–en.cfm la notizia sembrerebbe infondata. Pubblicamente Fidenato ha sempre dichiarato l'intenzione di seminare mais resistente alla piralide e specificamente della varietà Mon 810;
   inoltre anche a seguito dell'entrata in vigore del decreto interministeriale che ne vieta la coltivazione in Italia per altri 18 mesi a partire da agosto 2013, in Friuli coltivano Mais OGM, dal sito Agronotizie in data 2 ottobre 2013 si legge – «Per la prima volta in Italia un ente pubblico riconosce il diritto di seminare prodotti biotech autorizzati. Silvano Dalla Libera, Futuragra: «Siamo molto soddisfatti, è una vittoria del diritto e della libertà d'impresa» «La messa in coltura di varietà di mais iscritto nel catalogo comune europeo è da considerarsi libera». È quanto afferma la regione Friuli nella lettera della direzione del servizio del Corpo forestale dello Stato indirizzata a Silvano Dalla Libera, maiscoltore e vicepresidente di Futuragra, l'associazione che si batte per l'introduzione delle biotecnologie nell'agricoltura italiana;
   Silvano Dalla Libera aveva seminato mais Ogm nel suo campo di Vivaro, in provincia di Pordenone appellandosi al diritto vigente e alle pronunce delle corti di giustizia che si sono susseguite degli ultimi anni. Nella lettera, arrivata ieri, la regione riconosce che la normativa «consente l'impiego di prodotti geneticamente modificati» e che «la messa in coltura di varietà di mais Ogm autorizzate e iscritte al catalogo comune non può essere assoggettata ad una procedura nazionale di autorizzazione»;
   la Conferenza Stato-regioni ha da tempo presentato richiesta d'applicazione della clausola di salvaguardia, prevista dalla direttiva 2001/18/CE per vietare la coltivazione di OGM sul territorio italiano, per i pericoli ambientali e sanitari accertati ed in applicazione del principio di precauzione, così come hanno fatto altri paesi Europei, ma siamo ancora in attesa di inoltro da parte del Governo alla Commissione europea;
   da recenti ricerche indipendenti, pubblicate su riviste scientifiche accreditate (Seralini), sono dimostrati danni biologici con pericolo grave per la salute umana ed animale, nella fattispecie causati dal Mais MON 810 in questione e dal disseccante collegato, Glifosate (quali concause aggravanti), tenendo conto del precedente giuridico della sentenza sull'amianto e degli accertati danni da pesticidi ed altri inquinanti che hanno indotto l'Unione europea ad emanare, ad esempio, il Regolamento Reache e la direttiva sull'uso sostenibile degli agrofarmaci che intendono sostituire pesticidi chimici di sintesi e altre sostanze tossiche;
   oggi che l'Italia ha il record mondiale dei tumori dell'infanzia (OMS) e l'aspettativa di vita sana è crollata nell'ultimo decennio di oltre 10 anni (Eurostat) è obbligo morale applicare il principio di precauzione riducendo le concause aggravanti di pericolo per la salute umana ed animale, che moltiplicano i loro effetti negativi a danno del genoma umano, cumulandosi tra loro nell'ambiente, nell'aria, nelle acque, negli alimenti;
   l'Italia, Paese con la più grande biodiversità e tradizione agroalimentare, deve rappresentare il modello per il Bando degli organismi geneticamente modificati in tutta l'Unione europea, sulla base del principio di sussidiarietà del Trattato dell'Unione europea, al quale non è stata delegata la sovranità nazionale in materia di salute ed ambiente (diritti costituzionali inviolabili), adoperandosi in tal senso anche nelle sedi istituzionali a livello Mondiale, per la pericolosità sanitaria, ambientale, agroecologica e sociale degli organismi geneticamente modificati che mettono a rischio la biodiversità, la sicurezza e la sovranità alimentare dei popoli di tutto il pianeta;
   la battaglia contro gli organismi geneticamente modificati ha dato vita in Germania ad una associazione chiamata «Coordination gegen BAYER-Gefahren – CBG7», «Coalizione contro pericoli derivanti dalla Bayer» con sede a Solingen, formata da illustri personalità, professori, ricercatori, da anni combatte e denuncia l'uso dei pesticidi e di organismi geneticamente modificati da parte della Bayer ed in occasione del dibattito sviluppato attorno alla Monsanto e la questione degli Ogm, in data 10 ottobre, 2013 dirama il seguente comunicato, reperibile sul sito, http://ww.cbgnetwork.de dal titolo «Brevetti OGM anche per BAYER e BASF Non solo MONSANTO» – Nel comunicato viene specificato come: «La discussione sui semi geneticamente modificati è dominata dalle critiche rivolte alla MONSANTO. Sulla scia della MONSANTO la compagnia tedesca BAYER è diventata una delle più grandi multinazionali dell'agricoltura nel mondo. La BAYER è già oggi uno dei principali fornitori di pesticidi e di semi. Una recente indagine all'Ufficio Europeo dei Brevetti mostra che, in termini di numero di brevetti sugli OGM, la BAYER è addirittura la prima» Sempre dal sito della CBG-BREVETTI-OGM – «Mais, frumento, riso, orzo, soia, cotone, barbabietola da zucchero, rape, patate, tabacco, pomodori, uva: la lista delle piante transgeniche di cui la BAYER CROPSCIENCE detiene il brevetto, è lunga. La multinazionale ha brevettato anche alberi geneticamente modificati, come per esempio, pioppi, pini ed eucalipti. Questo è il risultato di una recente indagine presso l'Ufficio Europeo dei Brevetti di Monaco, in Germania, condotta dalla Coalizione contro i pericoli derivanti dalla Bayer (Germania) assieme a No Patents on Seeds! (No ai brevetti sui semi!). A questo scopo, l'iniziativa ha esaminato tutte le richieste di brevetto presentate dalla BAYER negli ultimi 20 anni. Secondo i risultati dell'indagine, la Compagnia possiede 206 dei 2000 brevetti concessi in totale in Europa su piante transgeniche. Questo mette la BAYER al primo posto, davanti a PIONEER (179), BASF (144), SYNGENTA (135) e MONSANTO (119)» – «Crescente concentrazione del mercato. Con una fetta di mercato del 20 per cento, la BAYER CROPSCIENCE, una sussidiaria posseduta interamente dalla BAYER AG, è la seconda maggior produttrice al mondo di pesticidi, (dopo SYNGENTA). Riguardo ai semi la Compagnia è al settimo posto con una fetta di mercato del 3 per cento. Il processo di concentrazione del mercato agricolturale sta procedendo da decenni. Nel settore semi e pesticidi, le dieci più grandi multinazionali possiedono una fetta di mercato di oltre il 70 per cento. L'obiettivo di questo oligopolio è quello di spartirsi il mercato, stabilire i prezzi, indirizzare le politiche e, alla fine, controllare il modo in cui l'umanità produce il cibo e quindi controllare le sorti dell'intero pianeta. «Chi controlla i semi, comanda il mondo» ha detto una volta l'ex Segretario di Stato statunitense Henry Kissinger. E, a tal fine, i brevetti su piante e animali sono mezzi essenziali. Già nel 2008 lo studio International assessment of agricultural science and technology for development (valutazione internazionale della scienza agricola e della tecnologia per lo Sviluppo, IAASTD), avviato dalle Nazioni unite e dalla Banca mondiale, ha espresso preoccupazione per il fatto che la ricerca e la diffusione delle conoscenze vengono limitate dalla crescente registrazione di brevetti. Specialmente nei Paesi in via di sviluppo, ciò rende più difficile l'adozione di pratiche agricole adattate alla situazione locale, che contribuirebbero alla sicurezza alimentare e alla sostenibilità economica»;
   in Francia, in data 31 gennaio 2012, Nathalie Kosciusko-Morizet, Ministro dell'ecologia, dello sviluppo sostenibile, dei trasporti e delle abitazioni, François Baroin, Ministro dell'economia, delle finanze e dell'industria, Bruno Le Maire, Ministro dell'agricoltura, dell'alimentazione, della pesca, delle questioni rurali e della pianificazione territoriale e Frédéric Lefebvre, Segretario di Stato per il commercio, artigianato, piccole e medie imprese, turismo, servizi, professioni e consumo hanno firmato un decreto décret relatif à l’étiquetage des denrées alimentaires issues de filières qualifiées «sans organismes génétiquement modifiés», paru au Journal officiel du 31 janvier 2012. «Decreto in materia di etichettatura dei prodotti alimentari derivati da canali qualificati “OGM-free”, il decreto, voluto dalle associazioni dei consumatori, definisce le regole di etichettatura per gli operatori che desiderano aumentare la produzione senza OGM. L'indicazione dell'assenza di OGM nel cibo consentirà ai consumatori di esercitare pienamente la loro scelta, il decreto, che si basa sul parere del Consiglio superiore di Biotecnologia nel novembre 2009 e gennaio 2011, fornisce criteri diversi a seconda della natura degli ingredienti dell'alimento: Gli ingredienti di origine vegetale (ad esempio, farina, amido o lecitina) possono essere etichettati» senza OGM «se sono da materie prime contenenti più dello 0,1 per cento di OGM; l'etichettatura degli ingredienti di origine animale (ad esempio, latte, carne, pesce o uova) specificare «alimentato OGM (<0,1 per cento)» o «OGM – fed (<0,9 per cento)»; gli ingredienti ape-derivati (come il miele o polline) possono essere etichettati «OGM in un raggio di 3 chilometri»;
   inerente il dibattito sugli Ogm in data 26 settembre 2013, come riportato dai maggiori organi di stampa, arriva anche la posizione assunta da Efsa, l'autorità europea per la sicurezza alimentare, che dichiara il decreto italiano sul Mon 810 senza fondamento. Circa L'Efsa ed il suo asset aziendale l'interpellante ha depositato, già, un'interrogazione a risposta scritta in data 25 settembre 2013  dell'Efsa arriva in un momento di acceso dibattito, in Europa, circa i rischi di organismi geneticamente modificati come il Mon 810, appare quindi un parere sbilanciato che esclude il lavoro delle ricerche indipendenti come quelle del «Coordination gegen BAYER-Gefahren» CBG», «Coalizione contro pericoli derivanti dalla Bayer» e molte altre associazioni sia in Italia che in Europa –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se non reputino opportune, considerando che l'inquinamento dei terreni italiani è già in atto, con la liberazione di tossine BT e il trasferimento genico orizzontale (TGO) dei frammenti di DNA modificato, opere di distruzione delle coltivazioni transgeniche, isolamento e bonifica, con costi a carico delle ditte che hanno seminato e/o prodotto OGM;
   se non reputino opportuno assumere immediatamente iniziative normative che bandiscano tutte le coltivazioni ed importazioni di OGM e/o derivati ed ogni ipotesi di «coesistenza» con gli OGM, sottoponendo la materia, alla consultazione popolare preliminare (referendum consultivo), obbligatoria ai sensi della Dir 2001/18/CE, atta a far esprimere tutti i cittadini, in quanto trattasi di una decisione dagli effetti irreversibili;
   se vista la particolare situazione nella regione del Friuli Venezia Giulia non reputino valutare i presupposti per presentare immediata istanza per un provvedimento d'urgenza «cautelare» (codice di procedura civile, articolo 700), per il pericolo grave, attuale ed irreparabile verso un «diritto precedente», ovvero l'irreversibile contaminazione del territorio e delle attività agricole preesistenti, oggi libere da OGM, con pregiudizio della libertà di iniziativa economica dei produttori convenzionali e biologici (articolo 41 della Costituzione italiana) e per il pericolo per la salute e l'ambiente, non essendo accertata l'innocuità degli OGM;
   se vista la particolare situazione del Friuli Venezia Giulia non reputino opportuno fare proprie le istanze delle associazioni come Aiab, Aprobio, Legambiente, Isde e Wwf, ed Associazione NOGM che come riportato sopra hanno da subito denunciato la semina di Mon 810 in agosto 2013;
   se non reputino opportuno applicare immediatamente la clausola di salvaguardia nazionale, ribadendo il divieto di seminare OGM in Italia e la tolleranza zero OGM nelle sementi e vietando tutte le importazioni per qualsiasi uso del Mais Mon 810 (OGM) e suoi derivati, dimostratosi pericoloso per la salute umana ed animale da recenti ricerche indipendenti;
   se non reputino opportuno valutare gli studi di associazioni come «Coordination gegen BAYER-Gefahren – CBG, “Coalizione contro pericoli derivanti dalla Bayer” sul monopolio dei brevetti sui dei semi in Europa da parte di multinazionali come la Monsanto e la Bayer»;
   se non reputino opportuno dare vita ad una campagna di informazione al pari di altri Paesi europei come la Francia, il cui Ministero dell'agricoltura ha emesso decreto sull'etichettatura degli alimenti tale da rendere informato il consumatore circa la tracciabilità del prodotto acquistato;
   se non reputino opportuno assumere iniziative per colmare il vuoto legislativo e rendere le varie regioni in grado di applicare la normativa nazionale ed europea, includendo fra l'altro l'intervento immediato del corpo di polizia forestale;
   se non reputino opportuno prendere in considerazioni nelle analisi di valutazione dei rischi Ogm anche il parere di associazioni, coordinamenti, fondazioni ed osservatori indipendenti, in grado di valutare insieme agli organi istituzionali come Efsa il reale rischio in materia di sementi.
(2-00256) «Zaccagnini».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Camera dei deputati, in data 11 giugno 2013, ha approvato, tra le altre, la mozione n. 1-00074 a prima firma Lenzi, sul tema dell'attuazione della legge n. 194 del 1978 in relazione anche alla questione dell'obiezione di coscienza dei medici;
   la mozione sopra citata evidenziava che dalle relazioni annuali sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, questa, nei suoi ormai trentacinque anni di attuazione, ha dato buoni risultati visto che il nostro Paese ha conosciuto una progressiva riduzione del ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza;
   la mozione rilevava che l'applicazione della legge ha, però, trovato recentemente un ostacolo nel sempre maggior ricorso all'obiezione di coscienza del personale sanitario;
   «Infatti – si legge nella mozione –, dall'ultima relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, presentata al Parlamento dal Ministro della salute il 9 ottobre 2012, si evince che: »a livello nazionale, per i ginecologi, si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008, al 70,7 per cento del 2009 e al 69,3 per cento nel 2010; per gli anestesisti, negli stessi anni, dal 45,7 per cento al 50,8 per cento. Per personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,7 per cento nel 2010. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi si osservano principalmente al sud: 85,7 per cento in Molise; 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 81,3 per cento a Bolzano e 80,6 per cento in Sicilia. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al sud (con un massimo di più del 75 per cento in Molise e Campania e 78,1 per cento in Sicilia) e i più bassi in Toscana (27,7 per cento) e in Valle d'Aosta (26,3 per cento). Per il personale non medico i valori sono più bassi e presentano una maggiore variabilità, con un massimo di 86,9 per cento in Sicilia e 79,4 per cento in Calabria”;
   la mozione denunciava che tre regioni (Campania, Molise e Basilicata) hanno segnalato la riduzione dei servizi effettivi relativi all'interruzione volontaria di gravidanza; una tale situazione porta a ritenere che il clima lavorativo non sia favorevole al medico non obiettore e, sui pochi che non obiettano, gravino carichi pesanti di lavoro tali da favorire una sempre maggior tendenza all'obiezione, fino alla definitiva chiusura del servizio con la grave conseguenza che le donne si devono rivolgere a strutture estere, all'uso dei farmaci non legali e all'aborto clandestino con grave pregiudizio per la loro salute;
   a fronte di tali, e altre considerazioni, per le quali si rimanda alla lettura integrale della mozione, la Camera dei deputati, in data 11 giugno, ha impegnato il Governo a dare piena attuazione alla legge n. 194 del 1978, pur nel rispetto del diritto del singolo all'obiezione di coscienza;
   ha impegnato, inoltre, il Governo a predisporre, nei limiti delle proprie competenze, tutte le iniziative necessarie affinché nell'organizzazione dei sistemi sanitari regionali si attui il quarto comma dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, nella parte in cui si prevede l'obbligo di controllare e garantire l'attuazione del diritto della donna alla scelta libera e consapevole, anche attraverso una diversa gestione e mobilità del personale, garantendo la presenza di un'adeguata rete di servizi sul territorio in ogni regione;
   ha impegnato, altresì, il Governo a promuovere un'equa diffusione della presenza sul territorio nazionale dei consultori familiari quale struttura socio-sanitaria in grado di aiutare la donna nella sua difficile scelta e strumento essenziale per le politiche di prevenzione e di promozione della maternità/paternità libera e consapevole, tenendo conto della necessità di rivolgersi anche alle donne immigrate da altri Paesi; e ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia proposta come opzione alle donne, che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, devono poter scegliere quale percorso intraprendere;
   infine ha fissato l'impegno per il Governo a promuovere, d'intesa con le autorità scolastiche, attività di informazione ed educazione alla salute nelle scuole, con particolare riferimento alle problematiche connesse alla tutela della salute sessuale e riproduttiva anche in collaborazione con la rete dei consultori; e a presentare al più presto la relazione annuale al Parlamento così come prevista dalla legge n. 194 del 1978 –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia assunto o intenda assumere, d'intesa con le regioni, affinché venga assicurata su tutto il territorio nazionale la piena attuazione della legge n. 194 del 1978 con riferimento in particolare alla questioni dell'obiezione di coscienza e dell'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, così come da impegni assunti dalla Camera dei deputati con il voto favorevole alla mozione n. 1-00074. (5-01244)

Interrogazioni a risposta scritta:


   AGOSTINELLI, CECCONI e TERZONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i registri tumori sono stati previsti dall’«Atto di Intesa tra Stato e Regioni per la definizione del Piano Sanitario Nazionale relativo al triennio 1998-2000 (Gazzetta Ufficiale 1994-1996» (Gazzetta Ufficiale n. 8, 12 gennaio 1994)», ripreso poi dal decreto del Presidente della Repubblica 1o marzo 1994 «Approvazione del Piano Sanitario Nazionale per il triennio 1994-1996», entrambi includenti tra le «Azioni programmate in materia di prevenzione e cura delle malattie oncologiche» il «completamento dell'istituzione dei Registri Tumori su tutto il territorio nazionale»;
   i registri tumori si inquadrano nell'ambito delle funzioni speciali dei cosiddetti «Registri di patologia»;
   i registri tumori si possono definire come una organizzazione per la raccolta, l'analisi, lo studio e l'interpretazione dei dati che si riferiscono a persone con diagnosi di tumore; essi costituiscono una risorsa insostituibile per la ricerca statistica, clinica ed epidemiologica e, ciò, sia ai fini della prevenzione che della cura dei tumori (nelle varie fasi della profilassi, della anamnesi, della diagnosi, della prognosi, nonché della individuazione di una terapia);
   attraverso l'elaborazione statistica della storia individuale di tutti i casi insorti in una popolazione, è infatti possibile individuare i potenziali fattori patogeni, nonché mettere in relazione gli interventi con gli esiti e, quindi, quantificare le possibilità di successo delle terapie ed i relativi rischi;
   mediante l'elaborazione delle informazioni statistiche raccolte dai registri tumori è, cioè, possibile quantificare il rischio di tumore dell'intera popolazione residente o di particolari sottogruppi, al fine di ricavarne ipotesi per la ricerca sulle possibili cause e sui possibili interventi, in modo da facilitare la profilassi, la diagnosi, la somministrazione di una terapia, la prognosi;
   tali registri, consentono di individuare dati statistici essenziali quali le tipologie tumorali maggiormente frequenti, le aree territoriali con maggiore incidenza tumorale, le fasce di popolazione più colpite, i possibili fattori eziologici (mediante l'individuazione delle correlazioni tra la malattia ed i presunti fattori cancerogeni attraverso il calcolo delle probabilità), le possibilità di successo delle terapie e così via;
   si tratta, quindi, di un ausilio statistico di cui non si può fare a meno, anche alla luce del principio di precauzione;
   ad oggi le Marche sono una delle tre regioni italiane prive di un registro tumori, strumento, come si è detto, indispensabile per avere una mappatura esauriente dell'incidenza nella popolazione delle malattie tumorali;
   il 10 aprile 2012 il consiglio regionale delle Marche ha approvato la legge regionale n. 6 che ha disposto l'istituzione del «registro regionale delle cause di morte e di registri di patologia»; si tratta, tuttavia, di un provvedimento che, finora, non è divenuto esecutivo a causa della mancata emanazione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di un regolamento dei registri di patologia, così come previsto dall'articolo 12 del decreto-legge n. 179 del 2012, commi 10 e 11;
   la necessità che la regione Marche si doti di un proprio registro tumori è resa ancor più urgente dalle aree come quella limitrofa alla raffineria API di Falconara (Ancona) ove insistono gravi fattori di criticità sanitaria ed ambientale;
   nel luglio 2003 è stata stipulata tra l'istituto Nazionale dei Tumori per lo studio e la cura dei tumori e l'Agenzia regionale sanitaria (ARS) della regione Marche (da qui, anche committente) una convenzione per uno «Studio di fattibilità per un'indagine epidemiologica presso la Raffineria API di Falconara»;
   nel marzo 2004 lo studio è arrivato alla conclusione che un'indagine epidemiologica era, nelle condizioni analizzate, «fattibile»;
   a seguito dello studio di fattibilità, la regione Marche ha promulgato una delibera (n. 218 del 15 giugno 2004) in cui venivano approvati i risultati raggiunti ed adottati i provvedimenti necessari per l'effettuazione di un'indagine epidemiologica presso la popolazione residente nei dintorni della raffineria API;
   tale indagine è stata affidata al servizio di epidemiologia ambientale del dipartimento di Ancona dell'agenzia regionale protezione ambientale Marche (ARPAM) sotto la direzione scientifica dell'unità di epidemiologia descrittiva e programmazione sanitaria della fondazione IRCCS «Istituto Nazionale dei Tumori» (INT);
   l'azienda API è una raffineria di prodotti petroliferi insediatasi dal 1950 nel comune di Falconara Marittima in provincia di Ancona che, per la natura della produzione svolta, determina esposizione a sostanze irritanti, tossiche, nocive e indicate o sospettate di potere cancerogeno;
   Falconara è da tempo oggetto di monitoraggio per la valutazione dei rischi atmosferici connessi alla presenza della raffineria;
   il rischio in popolazione legato alla presenza della raffineria è riferibile sia alla possibile esposizione di tipo acuto, sia a rischi d'esposizione di tipo cronico a benzolo e altri poli-idrocarburi aromatici di riconosciuta azione oncologica;
   gli effetti d'esposizione cronica tendono spesso a comparire dopo un lungo periodo di tempo (sino a 30-40 anni) dall'occorrenza, rendendo difficile lo studio della relazione tra esposizione e danno;
   i dati di mortalità analizzati nello studio di fattibilità erano relativi al ventennio 1980-2000, anni in cui dovrebbero indicativamente manifestarsi gli effetti d'esposizione del periodo 1950-1970, il periodo in cui la raffineria ha vissuto la fase di sviluppo;
   a Falconara i tassi di mortalità per leucemia e per tumori del sistema emolinfopoietico sono in aumento nell'ultimo ventennio. Un tempo a Falconara i tassi erano su livelli inferiori a quelli della provincia di Ancona, mentre ora sono su livelli generalmente superiori. D'altra parte, in altre aree della regione si è osservato un fenomeno di incremento del rischio simile a quello osservato a Falconara, di cui sarebbe importante interpretarne le cause. A Falconara, la mortalità per malattie del sistema respiratorio non diminuisce nel corso del tempo, come invece accade, spesso significativamente, nella maggior parte degli altri comuni marchigiani;
   il 29 settembre 2011 l'istituto nazionale tumori di Milano ha consegnato alla
regione Marche, alla provincia di Ancona e ai comuni di Falconara Marittima, Chiaravalle e Montemarciano i risultati finali dell'indagine epidemiologica, presso la popolazione residente a Falconara Marittima e comuni limitrofi, riguardante il periodo dal 1994 al 2003;
   l'indagine, con uno studio analitico del tipo caso-controllo, è la prima ed unica indagine che ha ricostruito l'esposizione dei vari soggetti tramite intervista ai familiari dei deceduti;
   il 29 marzo del 2012, su invito e organizzazione delle associazioni dei cittadini falconaresi, i risultati finali dell'indagine venivano divulgati dall'istituto nazionale tumori di Milano in un'assemblea pubblica;
   in quell'incontro si concludeva che: «le evidenze raccolte indicano in sintesi che nell'area è esistito un problema di esposizione alla raffineria associato ad eccesso di rischio di morte per leucemia e linfoma non Hodgkin, patologie relativamente rare»; l'indagine ha potuto assumere che «il rischio sia stato particolarmente evidente per i soggetti che avevano domiciliato per più tempo entro i 4 km dalla sorgente inquinante»;
   l'indagine sui decessi per leucemie e linfomi non Hodgkin ha anche evidenziato che «tali eventi possono essere però anche interpretati come il segno di fatti sanitari importanti che hanno interessato fasce ben più ampie di popolazione; non si esclude infatti che se si fosse potuto indagare l'occorrenza di malattia piuttosto che la mortalità allora gli esiti avrebbero potuto coinvolgere altre fasce di popolazione ora non segnalate dall'indagine»;
   le conclusioni dell'indagine dell'Istituto nazionale tumori di Milano, nonché i risultati della nota epidemiologica del servizio epidemiologia dell'ARPA Marche del giugno 2011, sono stati consegnati da associazioni di Falconara Marittima e da singoli cittadini alla procura della Repubblica presso il tribunale di Ancona per la proposizione di un esposto;
   nell'esposto i cittadini di Falconara hanno chiesto la riapertura delle indagini già avviate nel 2001, quando si tentò di capire se e per quali motivi i residenti fossero più a rischio per alcune patologie tumorali e, per questo, la procura incaricò l'ARPA Marche e l'ARPA Piemonte di eseguire l’«Analisi epidemiologica geografica di Mortalità e Ricovero ospedaliero per causa su Falconara Marittima e i Comuni entro 30 km»;
   secondo i cittadini e le associazioni falconaresi le conclusioni a cui sono giunti gli epidemiologi dell'INT di Milano e dell'ARPA Marche (notevole aumento del rischio leucemia in relazione alla vicinanza residenziale alla raffineria API) rappresentano la risposta ad alcuni dei quesiti sanitari sollevati dalla precedente inchiesta avviata dalla procura nel 2001, relativamente ad alcune patologie che interessavano ed interessano la popolazione di Falconara Marittima (leucemia, linfoma non Hodgkin, mieloma);
   nell'esposto le associazioni falconanesi hanno pertanto chiesto alla procura la riapertura dell'indagine, al fine di accertare l'eventuale esistenza di responsabilità penali;
   con la consegna dell'indagine dell'INT e della nota epidemiologica dell'ARPAM alla procura della Repubblica i cittadini hanno fatto ciò che sarebbe invece spettato alla regione Marche ed ai sindaci dei comuni di Falconara Marittima, Chiaravalle e Montemarcia, già dall'ottobre 2011, data di ricevimento delle conclusioni dell'Istituto nazionale tumori di Milano –:
   se la regione Marche, la provincia di Ancona o gli altri comuni oggetto della ricerca abbiano consegnato indagine epidemiologica al Ministero della salute o all'istituto superiore di sanità o se li abbiano informati in altro modo delle conclusioni emerse dall'indagine epidemiologica esposta in premessa e, in caso negativo, se abbia intenzione il Ministro interrogato di acquisire tale indagine direttamente dall'istituto nazionale dei tumori di Milano;
   se non intenda promuovere aggiornamento da parte dell'Istituto superiore di sanità sullo studio di mortalità sulla corte degli occupati nella raffineria API di cui in premessa;
   quali siano i tempi di emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 12 del decreto-legge 179 del 2012 per dare attuazione ai registri mortalità, tumore e di altre patologie. (4-02206)


   BRAMBILLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, n. 39053 del 9 aprile 2013, pubblicata il 23 settembre 2013, di condanna definitiva di Imperiale Pierluigi iscritto all'ordine provinciale dei medici veterinari dell'Aquila con n. 70 e Ponziani Mauro, iscritto allo stesso ordine con n. 128, a 2 mesi e 10 giorni di reclusione per violazione dell'articolo 544-bis del codice penale (uccisione di animali), tale ordine non risulta – nonostante le richieste delle associazioni denuncianti i fatti conclamati in sede giudiziaria – aver attivato la procedura prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 1950, n. 221;
   questo sta avvenendo, nonostante la FNOVI – Federazione nazionale degli ordini veterinari italiani abbia informato che nell'aprile 2013 aveva «già condiviso con l'organismo ordinistico provinciale l'auspicio che lo stesso voglia avviare – senza indugi – le attività di competenza per valutare le circostanze accertate sotto il profilo della rilevanza deontologica»;
   con la loro condotta, condannata in sede giudiziaria, i due medici veterinari asl si sono resi «colpevoli di abusi nell'esercizio della professione» (articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950 citato), «con la loro condotta hanno compromesso gravemente la loro reputazione e la dignità della classe sanitaria» (articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica n. 221 del 1950 citato), anche alla luce della sentenza della Corte di cassazione n. 30790 del 30 dicembre 2011, pubblicata da «30 giorni» organo della FNOVI, riguardo alla perdita della «buona condotta» e, quindi, del requisito, ineludibile principio di carattere generale dell'ordinamento di essere iscritti all'albo professionale;
   agli atti vi è la dichiarazione dei condannati per i quali la pratica dell'uccisione di cani per motivi non previsti dalle normative, era abituale e consolidata e perfino dopo l'ultima e recentissima decisione della Corte di cassazione, l'Imperiale Pierluigi, nonostante la condanna definitiva, ha pubblicamente rivendicato, anche sui media, la bontà della propria azione animalicida su animali sani e non di comprovata pericolosità, come mezzo per contrastare il randagismo, senza dunque mostrare alcun ravvedimento. Dato, quest'ultimo, quanto mai preoccupante viste le pubbliche funzioni che riveste –:
   se intenda valutare i presupposti per promuovere il procedimento disciplinare in relazione al caso dei due veterinari condannati in via definitiva per un reato così grave. (4-02214)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   nel gennaio 2005 la società Snam Rete Gas Spa ha presentato un progetto relativo alla realizzazione un metanodotto denominato «Rete Adriatica» da Massafra (Taranto) a Minerbio (Bologna), di 687 chilometri e il cui percorso interessa 10 regioni;
   l'infrastruttura energetica ha una condotta di un metro e 20 centimetri di diametro, pressione di esercizio di 75 bar, e dovrebbe essere interrata a 5 metri di profondità;
   il metanodotto è suddiviso in 5 lotti: Massafra-Biccari; Biccari-Campochiaro; Sulmona-Foligno; Foligno-Sestino e Sestino-Minerbio;
   nel lotto Sulmona-Foligno, di 167,7 chilometri, definito dalla stessa Snam «uno dei tratti più sensibili dell'intero progetto» è prevista anche la costruzione di una centrale di compressione e spinta, da ubicarsi a Sulmona, in località Case Pente nei pressi del cimitero;
   la centrale di compressione e spinta dovrebbe occupare una superficie di circa 12 ettari, con una previsione di spazi per ulteriori ampliamenti; sono previsti tre turbo compressori alimentati a gas di 11 megawatt ciascuno, per complessivi 99 megawatt termici; è previsto un camino di 14 metri e tre caldaie con camino di 6,5 metri; è inoltre prevista, la realizzazione di quattro fabbricati, strade asfaltate, parcheggi di automezzi, basamenti di calcestruzzo armato per le apparecchiature, una strada esterna carrabile di larghezza commisurata al transito di autoarticolati;
   l'opera, oltre che della centrale, consiste anche di quattro gasdotti di collegamento con la rete esistente di Snam Rete Gas (metanodotto Campochiaro-Sulmona). Le quattro condotte hanno una lunghezza complessiva pari a 1,880 chilometri e diametro DN 1200 ciascuna;
   nella sintesi non tecnica dello studio di impatto ambientale, al capitolo «motivazioni dell'intervento» si legge che la realizzazione della nuova centrale di compressione a Sulmona è «a supporto» del nuovo metanodotto «Rete Adriatica»;
   l'opera (centrale di compressione e quattro linee di collegamento alla rete esistente) presenta un impatto molto elevato sul territorio, non solo sotto il profilo ambientale ma anche dal punto di vista della salute, della sicurezza dei cittadini e delle conseguenze negative sull'economia locale;
   al pari del metanodotto, che corre lungo l'intera dorsale appenninica, la centrale di compressione con annesse linee di collegamento è collocata in un territorio altamente sismico. Il sito scelto, in zona sismica di primo grado, è nei pressi della faglia attiva di Monte Morrone, dormiente da circa 1900 anni e, secondo gli esperti, prossima al risveglio. Infatti l'ultimo evento di attivazione di faglie risale al IIo secolo d.C. L'area della catena appenninica in cui si trova il bacino di Sulmona è unanimemente ritenuta un'area con elevata probabilità di occorrenza di un forte terremoto, con una magnitudo attesa che può arrivare a 6.7 della scala Richter. I sismologi pongono particolare attenzione sull'origine geologica della Conca Peligna (piana con depositi alluvionali come quella dell'Aquila) che, in caso di terremoto, amplifica notevolmente l'onda sismica per effetto dell'accelerazione. Nella zona dove dovrebbe sorgere la centrale, tra Sulmona e Cansano, il 29 marzo 2009 (pochi giorni prima del sisma dell'Aquila) si è avuto un evento tellurico di forte intensità;
   il sito individuato dalla Snam appare incompatibile con il PRG del comune di Sulmona che classifica l'area a verde agricolo e non consente, pertanto, insediamenti di tipo industriale, per i quali esiste una zona appositamente destinata e attrezzata;
   la centrale, unitamente alle quattro linee di collegamento con la rete Snam esistente, è inoltre in contrasto con il vincolo di rispetto cimiteriale: la realizzazione dell'infrastruttura energetica rappresenterebbe un pericolo per i visitatori del luogo sacro in quanto non risulterebbero rispettate le distanze di sicurezza previste per legge. Inoltre sarebbe impedito in futuro l'ampliamento del cimitero stesso;
   un ulteriore vincolo esistente è quello idrogeologico essendo la zona (vallone Rascito) interessata da fenomeni alluvionali che possono raggiungere anche notevole intensità, fino ad interessare, come è avvenuto in passato, il vicino cimitero;
   il sito individuato dalla Snam parrebbe incompatibile con la normativa regionale relativa all'adeguamento del piano regionale per la tutela della qualità dell'aria (deliberazione del C.R. n. 74/4 del 25 settembre 2007). Tale normativa sancisce espressamente il divieto di insediamento di nuove attività industriali e artigianali con emissioni in atmosfera in aree esterne alle aree industriali infrastrutturate nell'ambito delle procedure autorizzative ai sensi del decreto-legge 3 aprile 2006, n. 152;
   l'impianto è collocato in un contesto ambientale e paesaggistico di pregio, su una delle porte di accesso al Parco nazionale della Majella, in un'area limitrofa e circondata da quattro siti della Rete Natura 2000. Il territorio in cui ricadrebbe l'insediamento è al centro del sistema delle aree protette abruzzesi comprendente tre parchi nazionali, un, parco regionale e diverse riserve naturali e oasi; esso inoltre è crocevia per raggiungere alcuni dei borghi più belli d'Italia, caratterizzati da elevati valori storici, monumentali e culturali (su 21 esistenti in regione ben 7 sono nel comprensorio peligno); il percorso del metanodotto, lungo la dorsale appenninica, interferisce pesantemente con l'elevata qualità ambientale dei territori attraversati e sostanzialmente coincide con il tracciato del progetto APE (Appennino Parco d'Europa), considerato il più importante progetto di sistema avviato nel nostro Paese finalizzato alla conservazione della natura;
   l'area di Case Pente, sede dell'intervento, è considerata dalla sovrintendenza per i beni archeologici dell'Abruzzo «un complesso archeologico tra i più importanti ed inediti dell'area peligna». Essa è infatti interessata da strutture, reperti e stratificazioni che documentano un insediamento italico-romano. Nella zona fu rinvenuta la nota iscrizione detta «dei Callitani» e il sarcofago di età romana contenente le spoglie di Numisia. Nelle vicinanze sono presenti le strutture della chiesetta rupestre di S. Angelo in Vetulis;
   desta molta preoccupazione l'inquinamento dell'aria in conseguenza delle emissioni previste dalla centrale (monossido di carbonio, ossidi di azoto, PM10,PM2,5 e altro). Ciò a causa della specifica conformazione della Conca Peligna, circondata da rilievi alti anche 2000 metri e caratterizzata da particolari condizioni meteo-climatiche, con scarsa ventilazione e bassa piovosità, aggravate dal fenomeno dell'inversione termica. Tutto ciò fa sì che le sostanze inquinanti emesse dalla centrale ristagnino, costituendo così un grave fattore di rischio sanitario sia per gli esseri umani che per l'ambiente circostante. Al riguardo è stato lanciato un allarme attraverso un documento sottoscritto da circa 200 operatori tra medici, biologi e veterinari della Valle Peligna. Anche l'inquinamento acustico e luminoso prodotti dalla centrale costituirebbero elemento di forte disturbo non solo per un luogo sacro come il cimitero ma anche per le specie animali (in particolari uccelli migratori e mammiferi) dal momento che la zona funge da corridoio faunistico;
   la realizzazione dell'opera avrebbe una incidenza molto negativa anche sulla già molto debole economia locale, in particolare sull'agricoltura e sul turismo, due settori in forte sofferenza che però per questo territorio rappresentano la speranza della ripresa economica per il futuro. La ulteriore sottrazione di terreno agricolo rappresenterebbe una grave penalizzazione trattandosi di terreni che sono tra i più fertili della vallata e in cui sono presenti coltivazioni di pregio come uliveti, vigneti, frutteti e il famoso aglio rosso di Sulmona. Ad essere colpite, anche a causa dell'inquinamento (fenomeno delle piogge acide) non sarebbe però solo l'agricoltura ma anche diverse altre attività del comparto alimentare esistenti nella zona come caseifici, apicoltura e allevamenti. Un grave danno verrebbe arrecato al turismo in quanto l'irreversibile manomissione dell'ambiente e del paesaggio (si richiama qui la Convenzione europea del paesaggio, ratificata dall'Italia nel 2006) si ripercuoterebbe negativamente sull'intero settore, a cominciare dalle attività ricettive e di ristorazione presenti nell'area e più in generale nell'intero territorio. Un ulteriore elemento di impoverimento del tessuto economico e sociale è dato dal deprezzamento del patrimonio immobiliare come conseguenza dell'insediamento della centrale e del metanodotto. C’è da considerare, infine, che la trasformazione dell'area da agricola in industriale rappresenterebbe un fattore di attrazione per ulteriori insediamenti peggiorando così ancora di più la situazione
   da quanto fin qui rappresentato si deduce che l'opera – essendo di mero attraversamento territoriale in quanto finalizzata al disegno perseguito da SNAM e ENI di diventare l’«hub» del gas per il sud Europa – se da un lato porterà notevoli vantaggi economici alle società multinazionali coinvolte nel progetto, dall'altro produrrà solo danni e rischi per i territori interessati e in particolare per Sulmona e la Valle Peligna;
   i due decreti ministeriali relativi all'opera (di pubblica utilità del dicembre 2010 e di compatibilità ambientale del marzo 2011) appaiono all'interpellante fortemente irragionevoli; infatti non si comprende come possa essere considerato di utilità pubblica un progetto destinato a procurare enormi profitti a privati mentre nello stesso tempo espone i territori e le comunità che in essi vivono a così gravi pericoli e limitazioni; né come lo stesso progetto possa essere ritenuto «compatibile» sotto l'aspetto ambientale dal momento che esso, anziché essere sottoposto ad una VIA unica, è stato suddiviso in cinque parti e conseguentemente assoggettato a cinque diverse e separate VIA; è stata elusa la valutazione ambientale strategica (VAS) necessaria per i piani o programmi che possono avere effetti sensibili sull'ambiente; non risulta se sia stata fornita una spiegazione documentata sotto il profilo tecnico del perché il tracciato della «Rete Adriatica», inizialmente previsto appunto lungo la fascia Adriatica, sia stato invece dirottato lungo la dorsale appenninica, con criticità sicuramente maggiori rispetto alla costa; non sono mai state prese in considerazione valide alternative come ad esempio quella del passaggio in mare; l'opera è stata licenziata positivamente pur in presenza di evidenti carenze progettuali rilevate dalla stessa Commissione nazionale VIA, come la mancanza degli studi di dettaglio sulla sismicità e quelli sulla qualità dell'aria;
   su richiesta della società proponente, nell'agosto del 2011, è stato operato uno sdoppiamento delle procedure autorizzative, dando priorità alla procedura relativa alla centrale di compressione e perfino attribuendo alla stessa una finalità prioritaria (ovvero il pompaggio del gas di stoccaggio di San Salvo) che è diversa da quella prevista negli atti progettuali prodotti dalla Snam. Tale sdoppiamento procedurale ad avviso dell'interpellante è illegittimo dal momento che l'intero iter autorizzativo, compresi i due decreti ministeriali, ha sempre riguardato l'opera unitaria denominata «Metanodotto Sulmona-Foligno DN 1200 mm (48”) P=75 bar e Centrale di compressione di Sulmona»;
   nel luglio scorso il Governo ha impugnato davanti alla Corte costituzionale la legge della regione Abruzzo n. 14 del 7 giugno 2013 relativa alla installazione di centrali di compressione a gas in aree sismiche. Secondo il Governo la legge regionale sarebbe incostituzionale perché prescrive che per la collocazione e realizzazione delle centrali è necessario effettuare uno «studio particolareggiato della risposta sismica locale attraverso specifiche indagini geofisiche, sismiche e geologiche di dettaglio». La posizione assunta dal Governo appare assurda perché arriva a sostenere che studiare il territorio sotto il profilo del rischio sismico sarebbe addirittura contro la nostra Costituzione. Non esiste nessuna norma nazionale che vieti tali studi; anzi, i disastrosi i terremoti dell'Aquila e dell'Emilia-Romagna, hanno posto in evidenza come una sempre più precisa conoscenza del territorio sia condizione essenziale per l'adozione di efficaci misure di prevenzione a tutela della pubblica incolumità. La norma della regione Abruzzo, impugnata in maniera secondo l'interpellante irragionevole dal Governo, va in questa direzione, avendo come finalità quella di garantire diritti costituzionali fondamentali quali quelli alla salute e alla sicurezza dei cittadini. La posizione del Governo, inoltre, appare ancora più illogica ed incomprensibile perché la regione Abruzzo non ha fatto altro che recepire ed inserire in un propria legge, utilizzando addirittura gli stessi termini, una precisa prescrizione contenuta nel parere della Commissione nazionale VIA relativo proprio al progetto della Snam «Metanodotto Sulmona-Foligno e centrale di compressione di Sulmona», parere che è stato recepito integralmente dal Governo con il decreto di compatibilità ambientale. La situazione francamente paradossale perché il Governo, impugnando la legge regionale, è come se avesse impugnato il proprio decreto;
   proprio per i motivi fin qui sommariamente riassunti, l'opera ha incontrato ed incontra una decisa opposizione non solo da parte dei cittadini ma anche delle istituzioni locali (comune di Sulmona, provincia dell'Aquila e regione Abruzzo) i cui rispettivi consigli hanno più volte espresso la loro formale e motivata contrarietà. In particolare il consiglio regionale d'Abruzzo ha approvato al riguardo, con voti unanimi, due leggi e due risoluzioni;
   l'opera nel suo complesso (metanodotto e centrale) è fortemente contestata lungo l'intera area appenninica, tanto che contro di essa hanno espresso il loro motivato «no», oltre al consiglio regionale d'Abruzzo, anche quelli dell'Umbria e delle Marche, nonché le province dell'Aquila, di Perugia e di Pesaro-Urbino e molti comuni tra cui spiccano, oltre a Sulmona, L'Aquila e Foligno;
   recependo la volontà espressa dai cittadini e dalle istituzioni dei territori interessati dall'opera, la Commissione ambiente della Camera dei deputati ha approvato, alla unanimità, in data 26 ottobre 2011, una risoluzione (n. 7-00518) che, «impegna il Governo ad assumere tutte le iniziative di competenza, anche dopo un necessario approfondimento attraverso un tavolo tecnico, e in accordo con le amministrazioni interessate, per disporre la modifica del tracciato ed escludere la fascia appenninica al fine di evitare, sia gli alti costi ambientali che ne deriverebbero, sia l'elevato pericolo per la sicurezza dei cittadini dovuto al rischio sismico che metterebbe a dura prova la vulnerabilità del metanodotto»;
   finora, da parte del Governo, non è stata data alcuna attuazione alla risoluzione della Commissione ambiente della Camera dei deputati né è stato convocato il tavolo, con tutti i soggetti interessati, per la individuazione di una soluzione alternativa al progetto presentato dalla Snam –:
   1) se non intendano revocare i due decreti ministeriali relativi all'opera, stante la «palese violazione delle disposizioni comunitarie e nazionali che impongono la valutazione complessiva degli interventi proposti come interpretato dalla giurisprudenza comunitaria e da quella amministrativa nazionale» così come opportunamente rilevato dalla Commissione ambiente della Camera dei deputati;
   2) se non intendano revocare l'impugnazione da parte del Governo della legge della regione Abruzzo n. 14 del 7 giugno 2013 per l'assoluta irragionevolezza di tale impugnazione e anche perché la regione, attraverso la sua legge, non fa altro che recepire una prescrizione della Commissione nazionale VIA in merito alla necessità di studi sismici di dettaglio, prescrizione che a sua volta è stata fatta propria dal Governo, attraverso l'emanazione del decreto di compatibilità ambientale relativo all'opera;
   3) se non intendano fermare ogni procedura autorizzativa in atto e disporre – come deliberato dalla Commissione ambiente della Camera – la modifica del tracciato escludendo la dorsale appenninica, anche attraverso la convocazione di un apposito tavolo che veda la partecipazione di tutte le parti interessate (rappresentanti istituzionali, società proponente ed espressioni della società civile).
(2-00259) «Melilla».

Interrogazione a risposta orale:


   POLIDORI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   RetItalia Internazionale spa è una società a partecipazione pubblica, il cui capitale è dal dicembre 2008 interamente posseduto dall'ex Istituto nazionale per il commercio con l'estero (Ice), attualmente Ice – Agenzia per la promozione all'estero e per l'internazionalizzazione delle imprese italiane, che svolge compiti di analisi di fabbisogni, progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture, servizi e sistemi informativi a supporto dell'internazionalizzazione e dei processi gestionali interni all'Ice, consentendo la loro integrazione e interconnessione con sistemi esterni, nonché di fornitura di assistenza qualificata al personale dell'Ice e alle piccole e medie imprese italiane;
   ai sensi dell'articolo 22, comma 6 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 la proprietà di RetItalia Internazionale è stata, altresì, trasferita anche al Ministero dello sviluppo economico, il quale però non ha mostrato alcun interesse in merito all'indirizzo strategico della società;
   gli impiegati di RetItalia internazionale Spa svolgono da più di trentacinque anni funzioni a supporto del ruolo istituzionale dell'ICE: analisi di fabbisogni, progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture, servizi e sistemi informativi a supporto dell'internazionalizzazione e dei processi gestionali interni all'ICE, consentendo la loro integrazione e interconnessione con sistemi esterni, fornitura di assistenza qualificata al personale dell'ICE e alle piccole e medie imprese (PMI) italiane;
   il carattere strategico delle funzioni e del coinvolgimento operativo di RetItalia nel comparto estero, sono stati ulteriormente confermati dall'assegnazione da parte del Ministero dello sviluppo economico, nel giugno 2011, del progetto del portale «Made in Italy», un sistema di commercio elettronico dei prodotti italiani sul mercato internazionale, e, nell'aprile 2012, del progetto «International trade hub-Italia», un portale sponsorizzato dal «Tavolo strategico nazionale per la trade facilitation» che consente alle imprese italiane di accedere da un unico punto a tutti i processi relativi all'internazionalizzazione;
   a seguito della «Spending review» (decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135) il Ministero dello sviluppo economico, ha dato indicazione di provvedere all'alienazione di RetItalia internazionale Spa, ponendo come prerequisito una severa ristrutturazione della Società al fine di renderla appetibile al mercato;
   in relazione alla natura «in house» di RetItalia internazionale Spa e delle limitate risorse rese disponibili alla «Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane», le professionalità e lo stesso patrimonio informatico, in gestione a RetItalia internazionale Spa, rischiano di andare dispersi in conseguenza dell'alienazione della società;
   sarebbe auspicabile, al fine di salvaguardare gli investimenti fatti, capitalizzare le risorse e le conoscenze professionali disponibili, valutare ipotesi di integrazione di RetItalia internazionale Spa nella struttura della pubblica amministrazione, intese come soluzioni più economiche e meno rischiose per l'integrità del patrimonio informatico messo a disposizione della ex-ICE nel corso degli anni;
   si rileva che la legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013) ha previsto un incremento delle risorse destinate al funzionamento dell'Ice – Agenzia pari a dieci milioni di euro per l'anno 2013;
   in data 13 dicembre 2012, nell'ambito della discussione del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, è stato accolto alla Camera dei deputati l'ordine del giorno 9/5626/33 che impegnava il Governo a valutare, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, l'opportunità «di procedere all'integrazione del personale a tempo indeterminato appartenente alla società RetItalia Internazionale S.p.a. nei ruoli dell'Agenzia per l'Italia digitale previa procedura selettiva, finalizzata al collocamento del personale all'interno dell'Agenzia»;
   tale impegno veniva rinnovato dal Governo, in data 21 dicembre 2012, nell'ambito della discussione della legge di stabilità per il 2013, con l'accoglimento e l'approvazione dell'ordine del giorno 9/5534-bis B/36, in cui veniva evidenziato che, alla luce degli incrementi previsti dalla legge di stabilità per il 2013 alle risorse dell'Ice-Agenzia, «sarebbe ipotizzabile che parte di quelle risorse potesse essere utilizzata al fine di garantire il mantenimento di quel patrimonio di know how ed expertise rappresentato dalla società RetItalia Internazionale Spa e messo al servizio della pubblica amministrazione»;
   il 30 aprile 2013, in seguito al mancato accordo con le parti sociali, in merito all'attuazione della Cassa integrazione straordinaria, l'amministrazione di RetItalia internazionale non ha anticipato al personale il contributo INPS relativo, con gravissime conseguenze sugli emolumenti percepiti dai lavoratori;
   il 6 maggio 2013 la totalità del personale di RetItalia internazionale Spa è stata posta in Cassa integrazione straordinaria a zero ore, con la clausola – di assoluto favore per la proprietà – che il personale sarebbe stato richiamato in relazione alla necessità del momento;
   nel luglio 2013, a seguito di uno sciopero di tutti i lavoratori, sono stati sbloccati dei fondi dal Ministero dello sviluppo economico per i progetti «Made in Italy» e «International Trade Hub – Italia» e in generale per lo sviluppo di altre piattaforme in gestione a RetItalia internazionale, il che ha consentito l'erogazione dell'anticipo del contributo INPS e l'alleggerimento nel periodo settembre-dicembre 2013 – della cassa integrazione straordinaria dal 60 per cento al 20 per cento;
   tuttavia da gennaio 2014 la situazione precipiterà nuovamente e la cassa integrazione straordinaria tornerà di nuovo al 60 per cento;
   secondo notizie in possesso dell'interogante, l'Agenzia ICE e il Ministero dello sviluppo economico, negli incontri svoltisi da maggio a luglio 2013 hanno assicurato che, prima della pubblicazione del bando di gara, avrebbero comunicato alle parti sociali le eventuali eccedenze emerse dalla Due diligence su RetItalia internazionale, allo scopo di individuare soluzioni per la piena collocazione di tutti i lavoratori non trascurando anche soluzioni alternative alla vendita;
   nonostante queste rassicurazioni le parti sociali non risulta sia stata informata né su quanto è emerso dalla analisi effettuata, né sulle strategie da adottare per la salvaguardia dei posti di lavoro dei sessantacinque lavoratori di RetItalia internazionale;
   le informazioni inerenti la tutela dei livelli occupazionali, presenti nei documenti per l'alienazione, non possono essere ormai più divulgate prima che il Bando di Gara sia pubblicato, poiché a settembre 2013, l'Agenzia ICE ha inoltrato rispettivamente all'Agenzia per l'Italia Digitale e all'Autorità vigilanza contratti pubblici (AVCP) il contratto e il bando di gara, prevedendo la pubblicazione del Bando entro la metà di ottobre, per completare la procedura di vendita entro fine dicembre 2013;
   in relazione alla vendita di RetItalia internazionale Spa, sarebbero trapelate le seguenti notizie:
    la società sarà venduta con una cassa integrazione straordinaria in atto (prevista da maggio 2013 a maggio 2014);
    il contratto con Ice-Agenzia sarà quinquennale e avrà un valore economico pari a 3 milioni di euro annui inclusa IVA, vale a dire circa 2,3 milioni, una cifra che risulta insufficiente per la garanzia dei livelli occupazionali;
    sono stati «inspiegabilmente» esclusi dal bando di gara e dal Contratto i due progetti di rilievo e di carattere strategico sopra menzionati, il portale made in Italy e l’International Trade Hub;
    nel bando di gara non è stata inserita la piena tutela dei posti di lavoro;
   attualmente la maggiore fonte di preoccupazione nella vicenda suesposta è costituita dalla mancanza di serie garanzie sui livelli occupazionali nonché dall'assenza di soluzioni alternative, che l'Agenzia ICE e il Ministero dello sviluppo economico avrebbero dovuto individuare prima dell'ufficializzazione del bando di gara;
   ulteriori timori riguardano, come già detto, l'entità del contratto con Ice-Agenzia, il quale garantisce l'occupazione di meno della metà dei sessantacinque dipendenti di RetItalia internazionale spa il che di fatto costituisce una sorta di delega all'Acquirente in relazione alla ristrutturazione e alla riorganizzazione della società –:
   se non ritenga opportuno:
    a) disporre in termini chiari nel bando di gara per la vendita di RetItalia internazionale Spa l'Ice-Agenzia individui il mantenimento dei livelli occupazionali come precondizione imprescindibile;
    b) in alternativa, se del caso anche attraverso interventi normativi, intraprendere ogni iniziativa finalizzata all'eventuale integrazione del personale di RetItalia internazionale spa nelle strutture della pubblica amministrazione salvaguardando in tal modo le conoscenze professionali specializzate maturate e la tenuta dei progetti avviati nonché la continuità operativa segnatamente sul versante della integrazione ed interconnessione dei servizi e dei sistemi informativi con i sistemi esterni. (3-00388)

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Terzoni e altri n. 7-00084, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 agosto 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zaratti, Zan, Pellegrino.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

   L'interrogazione a risposta in Commissione Civati e Mattiello n. 5-01219, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Giuseppe Guerini, Tentori, Pastorino.
   L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Marchi n. 5-01232, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Scuvera, Ferrari, Guerra.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta orale Tidei n. 3-00234 del 25 luglio 2013.

ERRATA CORRIGE

  Interpellanza urgente Giancarlo Giorgetti e altri n. 2-00253 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 97 del 15 ottobre 2013. Alla pagina 5799, seconda colonna, alla riga quattordicesima, deve leggersi: «delle regioni e province autonome il quadro delle» e non «delle regioni autonome il quadro delle» come stampato.