Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 6 settembre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    Taverna del Re è una frazione di Giugliano in Campania in provincia di Napoli dove sono depositate circa 7 milioni di eco balle occupanti una superficie equivalente quasi a 360 campi di calcio;
    il territorio del Giuglianese presenta un gravame di circa 35 discariche ed attualmente risulta incompatibile con qualsiasi altro tipo di impianto volto al trattamento dei rifiuti;
    in considerazione di tale grave condizione ambientale, secondo la vigente normativa, è fatto divieto, nel territorio del Giuglianese di costruire inceneritori o comunque altri siti di smaltimento finale dei rifiuti;
    in particolare l'articolo 3 del decreto-legge 11 maggio 2007, n. 61 recante «Interventi straordinari per superare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e per garantire l'esercizio dei propri poteri agli enti ordinariamente competenti», convertito con modificazioni dalla legge 5 luglio 2007, n. 87, rubricato «divieto di localizzazione di nuovi siti di smaltimento finale di rifiuti» stabilisce che: «1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto ed in assenza di interventi di riqualificazione o di opere di bonifica nel territorio dell'area “Flegrea” – ricompresa nei comuni di Giugliano in Campania, Villaricca, Qualiano e Quarto in provincia di Napoli, per il territorio contermine a quello della discarica “Masseria Riconta” – e nelle aree protette e nei siti di bonifica di interesse nazionale, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 1, non possono essere localizzati ulteriori siti di smaltimento finale di rifiuti»;
    nonostante tale perentoria disposizione normativa il 1o agosto 2013 il sito regioni.it dava notizia che l'assessore regionale all'ambiente in Campania, Giovanni Romano, aveva dichiarato: «Il sopralluogo di oggi ha confermato, caso mai ci fosse ancora bisogno, la assoluta necessità di eliminare i rifiuti imballati durante il periodo emergenziale che, lo ricordo, sono di circa 6 milioni di tonnellate allocati su tutto il territorio regionale. I due terzi sono stoccati tra Villa Literno e Giugliano. Resta quindi una priorità la realizzazione dell'impianto di incenerimento previsto dalle leggi statali e dal Piano Regionale. Il commissario straordinario Alberto Carotenuto pubblicherà il bando di gara entro questo mese»;
    in data 18 gennaio 2012 il quotidiano Repubblica nell'edizione di Napoli in un articolo a firma di Conchita Sannino scriveva: «la Protezione civile ha comprato quei suoli (Taverna del Re – Giugliano) per 2 milioni (di euro), a emergenza già chiusa. Perché, visto che sarebbe intervenuto il capitale del futuro impianto ? Non è tutto: i 4 milioni di balle sono ancora “patrimonio” di Impregilo. Vanno riscattate. Con quale denaro ? Un impianto che costerà non meno di 500 milioni. Un inceneritore che, stando alle buone intenzioni, dovrebbe essere pronto entro il 2015 per cominciare ad abbattere i primi 4 milioni di ecoballe che, pure, insistono al momento nel “patrimonio” della vecchia proprietà Impregilo»;
    in data 6 agosto 2013 è stato pubblicato un video nel quale l'assessore regionale della giunta Caldoro Giovanni Romano ha affermato che un inceneritore sarà costruito sul territorio di Giugliano così come previsto dalla legge, e il 12 agosto 2013 il Commissario delegato del Governo ha pubblicato il bando per la sua realizzazione;
    nello stesso video, l'assessore Romano ha affermato che: «Altre soluzioni non ce ne sono, abbiamo cercato di far cambiare la città destinata ad ospitare l'impianto ma non ci siamo riusciti». Sempre dalla parole dell'assessore risulta che nell'impianto non verranno solo bruciate le ecoballe di Taverna del Re ma quelle di tutta la regione. Inoltre, secondo Romano, sono stati effettuati dei carotaggi sulle ecoballe che sono risultate senza rifiuti speciali ma essenzialmente «secche» e quindi bruciabili;
    l'articolo 3 del decreto-legge n. 61 del 2007 subordina tuttavia in maniera chiara alla realizzazione di interventi di riqualificazione o ad opere di bonifica la possibilità di localizzare in tale area ulteriori impianti di smaltimento dei rifiuti: pertanto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, tale decisione amministrativa è in contrasto con quanto stabilito dal citato articolo 3 del decreto-legge n. 61 del 2007;
    ad oggi peraltro nessuna caratterizzazione è stata fatta delle ecoballe di Taverna del Re, pertanto risulta assolutamente sconosciuto l'effettivo contenuto delle stesse mentre il geologo Giovanni Balestri, consulente tecnico d'ufficio per conto della procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli, direzione distrettuale antimafia, per il procedimento n. 15968/08 innanzi al pubblico ministero dottor Alessandro Milita – in occasione della sua consulenza redatta a seguito del sequestro probatorio disposto dalla DDA di Napoli in data 17 agosto 2008 – ha denunciato un disastro ambientale vero e proprio nell'area del Giuglianese, sussistendo i presupposti di cui all'articolo 434 del codice penale. A detta del consulente tecnico d'ufficio infatti, nella piana Giuglianese, coesistono tutti i cinque fattori che determinano, secondo la giurisprudenza, la fattispecie del reato di disastro ambientale e vale a dire:
     a) ampiezza importante dell'inquinamento in termini spaziali;
     b) durata in termini temporali;
     c) danno (o pericolo di danno) ambientale di eccezionale gravità, non necessariamente irreversibile;
     d) danno non riparabile con normali opere/tecniche di bonifica;
     e) coinvolgimento (anche potenziale) di un numero imprecisato di persone;
    non risulta ad oggi ancora attuato e terminato l'impianto di compostaggio di San Tammaro, così come previsto dal piano regionale dei rifiuti;
    a tali considerazioni, che giustificherebbero, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, un intervento dello Stato alla luce della citata disposizione normativa, si possono aggiungere i rischi derivanti dall'impianto, in una zona nella quale sussiste già una tale situazione di degrado ambientale, che dimostrano anche la fondatezza sostanziale del divieto di cui alla citata disposizione normativa;
    esiste infatti una mirata quanto copiosa bibliografia italiana ed internazionale di testi e studi che mettono in guardia dagli effetti dannosi provocati sulla popolazione residente vicina alla zona di realizzazione di impianti di incenerimento;
    la letteratura medica segnala circa un centinaio di lavori scientifici a testimonianza dell'interesse che l'argomento riveste. Fra questi, diverse decine sono costituiti da studi epidemiologici condotti per indagare lo stato di salute delle popolazioni residenti intorno a tali impianti e/o dei lavoratori addetti e, nonostante le diverse metodologie di studio applicate ed i numerosi fattori di confondimento, sono segnalati numerosi effetti avversi sulla salute, sia neoplastici che non;
    nelle zone limitrofe o adiacenti agli impianti di incenerimento sono stati descritti presso la popolazione: alterazione nel metabolismo degli estrogeni, incremento dei parti gemellari, incremento di malformazioni congenite, ipofunzione tiroidea, disturbi nella pubertà, ed anche diabete, patologie cerebrovascolari, ischemiche cardiache, problemi comportamentali, tosse persistente, bronchiti, allergie;
    un ampio studio, condotto in Giappone, ha analizzato lo stato di salute di 450.807 bambini da 6 a 12 anni della prefettura di Osaka – ove sono attivi 37 impianti di incenerimento per rifiuti solidi urbani (RSU) – ed ha evidenziato una relazione statisticamente significativa fra vicinanza della scuola all'impianto di incenerimento e sintomi quali: difficoltà di respiro, mal di testa, disturbi di stomaco, stanchezza;
    l'indagine francese «Etude d'incidence des cancers à proximité des usines d'incenèration d'ordures ménagerer» dell'Invs – Departement Santè Environnement 2006 (32) ha esaminato 135.567 casi di cancro insorti negli anni 1990-99 su 25.000.000 persone/anno residenti in prossimità di inceneritori. In questo studio è stato considerato come indicatore l'esposizione alle diossine e passando dal minor al maggior grado di esposizione si registra un aumento statisticamente significativo (p<0.05) di rischio riferito al cancro nelle donne dal +2.8 per cento al +4 per cento, cancro alla mammella dal +4.8 per cento al +6.9 per cento, linfomi dal +1.9 per cento al +8.4, tumori al fegato dal +6.8 per cento al +9.7 per cento; per i sarcomi il rischio passa dal +9.1 per cento al +13 per cento (p=0.1); dunque, le neoplasie che più appaiono correlate all'esposizione ad inquinanti emessi da inceneritori sono i linfomi non Hodgkin (LNH), i tumori polmonari, le neoplasie infantili ed i sarcomi; gran parte del mondo scientifico afferma in modo unanime che gli inceneritori creano danni enormi alla salute ed all'ambiente;
    esistono peraltro soluzioni alternative all'inceneritore che consentirebbero di trasformare i rifiuti da problema a risorsa;
    la normativa europea prevede una scala di priorità strategica che non vede con favore la costruzione di tali impianti e favorisce e promuove invece soluzioni quali la raccolta differenziata, il riciclo e scomposizione di materiali e loro uso;
    l'Unione europea (UE) dispone misure intese a prevenire o ridurre l'inquinamento dell'atmosfera, dell'acqua e del terreno provocato dall'incenerimento e dal coincenerimento dei rifiuti e i relativi rischi per la salute umana. Tali misure impongono in particolare l'ottenimento di un'autorizzazione per gli impianti di incenerimento o di coincenerimento e limiti per le emissioni di taluni inquinanti scaricati nell'atmosfera e nell'acqua;
    con la Direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 dicembre 2000 sull'incenerimento dei rifiuti si stabilisce che «Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro un termine di due anni a decorrere dalla data della sua entrata in vigore. Essi ne informano immediatamente la Commissione. Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono decise dagli Stati membri»;
    gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva;
    nel 2012 il Parlamento Europeo ha approvato due rapporti su ambiente e biodiversità. Si tratta della relazione «sulla revisione del sesto programma d'azione in materia di ambiente e la definizione delle priorità per il settimo programma» (approvato a stragrande maggioranza) e di quella sulla «Strategia europea per la biodiversità 2020» (approvato con 414 favorevoli, 55 contrari e 64 astenuti);
    nell'ambito degli indirizzi della risoluzione del Parlamento europeo approvata il 24 maggio 2012 (Un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse) si legge, al punto 33, quanto segue: «invita la Commissione Europea a razionalizzare l’acquis in materia di rifiuti, tenendo conto della gerarchia dei rifiuti e della necessità di ridurre i rifiuti residui fino a raggiungere livelli prossimi allo zero; chiede pertanto alla Commissione di presentare proposte entro il 2014, allo scopo di introdurre gradualmente un divieto generale dello smaltimento in discarica a livello europeo e di abolire progressivamente, entro la fine di questo decennio, l'incenerimento dei rifiuti riciclabili e compostabili; ritiene che queste iniziative debbano essere accompagnate da idonee misure transitorie, tra cui l'ulteriore sviluppo di norme comuni basate sul concetto di ciclo di vita; invita la Commissione a rivedere gli obiettivi per il riciclaggio per il 2020 della direttiva quadro sui rifiuti»,

impegna il Governo

alla luce del citato articolo 3 del decreto legge 11 maggio 2007, n. 61 convertito con la legge 5 luglio 2007, n. 87, che vieta la costruzione di nuovi impianti di smaltimento nell'area del giuglianese, ad assumere ogni iniziativa di competenza, anche valutando la sussistenza dei presupposti per sollevare un conflitto di attribuzioni in merito alla decisione di realizzare un inceneritore nel citato territorio.
(1-00176) «Micillo, Agostinelli, Businarolo, Colonnese, Luigi Di Maio, Silvia Giordano, Mannino, Pisano, Sibilia, Tofalo».

ATTI DI CONTROLLO

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO, PARENTELA e CIPRINI. — Al Ministro per gli affari europei, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   per dumping si intende la vendita di un servizio o di un bene su di un mercato estero (mercato di importazione) ad un prezzo inferiore rispetto quello di vendita o, addirittura, a quello di produzione del medesimo prodotto sul mercato di origine (mercato di esportazione);
   fenomeni di dumping danneggiano le imprese comunitarie che hanno enormi costi di produzione che si riversano inevitabilmente sui costi finali, e per tali ragioni l'Unione europea ha inserito nel corso degli anni molte misure di difesa commerciale, definite dazi antidumping;
   i prodotti o servizi coinvolti nei fenomeni di dumping commerciale sono i più diversi e molto spesso mettono in pericolo settori di punta del mercato europeo e, più specificamente, del nostro made in Italy (vedi il settore manifatturiero, tessile, energetico o agroalimentare);
   ad esempio nel 2011 molte aziende europee leader nel settore del fotovoltaico hanno richiesto alla Commissione europea di avviare un'indagine volta a verificare se il Governo cinese conceda sussidi impropri ai produttori di pannelli solari destinati all'esportazione nell'area dell'Unione europea, la Commissione europea deciderà entro dicembre se prolungare l'applicazione di dazi anti-dumping provvisori all'importazione nel mercato comunitario di prodotti fotovoltaici cinesi per la durata di cinque anni;
   relativamente al settore agricolo, il valore dei prodotti italian sounding o del dumping agroalimentare, venduti sui mercati esteri, ma non di origine italiana, è pari a 60 miliardi di euro annui, a fronte di un'esportazione complessiva di prodotti agroalimentari realmente italiani che ammonta a 20 miliardi annui;
   il Comitato Antidumping della Commissione Europea ha approvato nel luglio 2013 la proroga per altri 5 anni dei dazi antidumping in vigore dal 2007 sul mais dolce in scatola importato nell'Unione europea dalla Tailandia;
   è attualmente in vigore un dazio antidumping specifico per l'importazione di agrumi dalla Cina, introdotto per la prima volta nel 2008 a seguito del ricorso da parte della Spagna;
   alcuni giorni fa la Commissione europea ha dichiarato di voler alleggerire le misure di difesa commerciale per agevolare la debole ripresa economica europea, ma ciò, a parere dell'interrogante, rischierebbe al contrario di danneggiare le imprese comunitarie;
   l'eliminazione del protezionismo sarebbe una valida soluzione in un mercato in cui tutti i concorrenti avessero le stesse regole, ma questa non è evidentemente la situazione attuale;
   oltre al dumping, un altro fenomeno che limita la possibilità di crescita dell'economia europea è quello della contraffazione o delle frodi agroalimentari, che riguardano i prodotti importati da Paesi terzi magari lavorati con prodotti vietati all'interno dell'Unione europea o addirittura con organismi geneticamente modificati;
   in considerazione della concorrenza sleale che le importazioni in dumping causano alle nostre aziende, sarebbe opportuna l'adozione di adeguate misure di compensazione al fine di salvaguardare i produttori comunitari –:
   di quali ulteriori elementi dispongano i Ministri interrogati con riferimento a quanto espresso in premessa e se non ritengano opportuno intervenire, presso le competenti sedi comunitarie, affinché l'Unione europea garantisca la leale competizione delle aziende europee ed italiane del settore agroalimentare e non solo, attraverso l'adozione di adeguate misure di difesa commerciale;
   se non ritengano opportuno aumentare i controlli sulle derrate alimentari considerati i casi di sofisticazione alimentare e commercializzazione di prodotti pericolosi per l'alimentazione difendendo così i prodotti europei, il cui costo è maggiore grazie anche al diritto ad un salario equo conquistato dalla stragrande maggioranza dei lavoratori europei. (4-01725)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA e ZAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   durante lo scorso luglio la ditta Stogit spa ha presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare gli elaborati prescritti per l'effettuazione della procedura di valutazione di impatto ambientale relativa al progetto per la realizzazione di una nuova centrale di stoccaggio di gas, nell'ambito della concessione Alfonsine Stoccaggio nei comuni di Alfonsine e Lugo (RA);
   il progetto presentato da Stogit spa è finalizzato alla conversione del giacimento esaurito nei territori dei suddetti comuni in un nuovo impianto di stoccaggio gas;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha attivato la procedura di VIA, fissando al 13 settembre la scadenza dei termini per la presentazione delle osservazioni da parte dei cittadini interessati;
   il progetto ha suscitato un forte allarme sociale, dati i rischi ambientali connessi, legati al maggior generico inquinamento atmosferico, all'insistenza in un territorio interessato da forti fenomeni di subsidenza, alle dimensioni dell'area di stoccaggio, pari a 11 ettari di terreno, alla distanza ravvicinata di impianti all'abitato;
   il progetto, stante l'attuale regime delle royalties e delle compensazioni, non avrebbe alcuna ricaduta positiva sui territori interessati, né è prevista alcuna opportunità lavorativa;
   l'unione dei comuni della Bassa Romagna, di cui fanno parte i comuni interessati di Lugo e Alfonsine, ha presentato un'istanza di proroga di 60 giorni dei termini di presentazione delle osservazioni, per garantire il diritto minimo dei cittadini di partecipare in modo informato alla formazione della decisione, diritto altrimenti negato da errori procedurali e di comunicazione, che hanno di fatto limitato a 15 giorni il tempo effettivo disponibile –:
   se non ritenga il Ministro interrogato, anche al fine di assumere fin da subito tutti gli elementi utili a valutare l'opportunità di realizzare una centrale di stoccaggio in un territorio potenzialmente privo dei requisiti minimi di fattibilità, di concedere immediatamente tale proroga, o in alternativa di sospendere la decadenza dei tempi. (4-01740)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel 2006, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali annunciò, con carattere di priorità, lo stanziamento di 250.000,00 euro per opere provvisionali di consolidamento e di restauro architettonico della chiesa rinascimentale della Santissima Pietà e San Lazzaro nel comune di Marigliano (Napoli): edificio di notevole interesse storico, artistico, architettonico, dichiarato inagibile con ordinanza n. 139 del 19 ottobre 2000 per un aggravamento del quadro statico complessivo, determinato dai dissesti provocati dagli eventi sismici del 1980/81 e dagli eventi alluvionali e meteorologici, registrati nel 1999/2000 e successivamente nel 2004 e nel 2006;
   i fondi assegnati dovevano essere utilizzati per il consolidamento delle strutture murarie verticali e degli ipogei, la manutenzione della cupola e delle capriate lignee del tetto, nonché per il restauro dell'interno della navata, ornata con stucchi e partiti decorativi settecenteschi;
   un ulteriore contributo di 50.000,00 euro, inoltre, veniva destinato dal Ministero per la messa in sicurezza e per interventi conservativi sul patrimonio storico-artistico della chiesa, in particolare per l'arredo ligneo barocco minacciato dall'umidità e dal massiccio attacco di insetti xilofagi: interventi immediati di conservazione dovevano essere approntati per gli stalli confraternali, le porte intagliate, la cantoria dipinta, l'urna di san Liberatore e l'antica suppellettile liturgica, che rischiavano di essere perduti per sempre;
   constatata la situazione di avanzato degrado, la soprintendenza per i beni architettonici e per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologico di Napoli e Provincia dispose – in attesa di provvedimenti e interventi risolutivi – la realizzazione di un impianto di raccolta e canalizzazione delle acque meteoriche dalle coperture, costato 25 mila euro e rivelatosi negli anni insufficiente e inadeguato a contrastare le abbondanti infiltrazioni d'acqua nelle strutture sottostanti; disattendendo però l'attività di indirizzo dell'amministrazione centrale, la direzione per i beni culturali e paesaggistici della Campania cancellò inspiegabilmente dalla programmazione 2007 le risorse annunciate e appostate per l'intervento, già segnalato come prioritario;
   in tempi recenti, il progetto di restauro dell'edificio monumentale è addirittura scomparso dalle proposte della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e per il patrimonio storico artistico e etnoantropologico di Napoli e provincia e dai piani annuali e pluriennali della direzione per i beni culturali e paesaggistici della Campania, ma anche dagli interventi straordinari finanziati con i proventi derivanti dal gioco del lotto, nonché dagli altri strumenti di programmazione relativi, ad esempio, alla valorizzazione del patrimonio culturale campano nell'ambito dei progetti comunitari 2007-2013;
   la mancata realizzazione delle previste opere di restauro ha accentuato le condizioni di degrado architettonico e di fatiscenza delle fabbriche monumentali;
   negli ultimi mesi, tra rimpalli di responsabilità, il pessimo stato di conservazione, già ampiamente noto all'amministrazione dei beni culturali attraverso ispezioni, relazioni, verbali e perizie di diversi funzionari, si è così aggravato da porre in pericolo l'esistenza stessa del bene culturale –:
   se intenda chiarire sui motivi delle disfunzioni e delle inefficienze relative al mancato recupero della chiesa rinascimentale della Santissima Pietà e San Lazzaro di Marigliano (Napoli);
   se ritenga ammissibile che un bene architettonico di valore inestimabile venga abbandonato al degrado e al disfacimento dalle stesse istituzioni statali preposte alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale;
   se intenda intervenire con urgenza ripristinando le risorse finanziarie cancellate allo scopo di salvaguardare tale importante monumento dalla distruzione a cui sembra inesorabilmente condannato. (4-01726)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Nola (Napoli), in località Saccaccio, a ridosso della necropoli occidentale dell'antica città romana, è ubicata una grande villa residenziale di epoca imperiale, individuata alla fine degli anni ’70 nel corso dei lavori realizzati dalla Cassa per il Mezzogiorno per la posa in opera di un collettore fognario;
   i successivi scavi archeologici misero in luce un grandioso complesso edilizio, costituito da oltre 35 ambienti e caratterizzato dalla sovrapposizione di varie fasi costruttive sviluppate lungo un arco cronologico piuttosto ampio, che va dal II secolo a.C. al VI secolo d.C.;
   per la complessità architettonica e la ricchezza degli elementi decorativi, la struttura di via Saccaccio a Nola fu considerata uno degli esempi più significativi di dimora aristocratica e di rappresentanza rispetto ad altri coevi della Campania romana;
   oggi, purtroppo, l'area archeologica di proprietà statale versa in condizioni di desolazione e abbandono totale;
   le scarpate laterali in tufo, innalzate nel 1987 per contenere i terreni agricoli circostanti allo scopo di evitare dilavamenti del terreno, si presentano intrise d'acqua con parti corrose, frantumate, sconnesse e lesionate: ampie zone delle pareti si mostrano erose e instabili a causa del pessimo drenaggio delle acque ruscellanti che stanno creando sovrapressioni idrostatiche e smottamenti;
   le recinzioni e le staccionate grecali in legno naturale a protezione dei precari percorsi di visita, posti da circa vent'anni su malfermi e provvisori tavolati di legno, risultano ammalorate, marcite, danneggiate e ricoperte di guano di volatili con conseguenti problemi igienico-sanitari;
   le inadeguate tettoie protettive, installate sulle strutture archeologiche nei primi anni Ottanta del Novecento, si mostrano deteriorate e con diffusi problemi d'infiltrazione: gli elementi metallici tubolari manifestano estesi fenomeni di ossidazione, il sistema di canalizzazione e smaltimento delle acque meteoriche è quasi completamente scomparso, le lamiere zincate di copertura, ormai prive di efficacia conservativa e di funzionalità museografica, sono corrose, divelte e costituiscono un gravissimo problema per i resti archeologici e per la pubblica e privata incolumità;
   la mancanza poi di un sistema di drenaggio e regimentazione delle acque di superficie ha accelerato i processi di deterioramento delle murature e degli apparati decorativi della villa romana;
   le murature in opus reticulatum, a causa della manutenzione inesistente, della forte umidità ascendente e delle infiltrazioni meteoriche, evidenziano una polverizzazione e una perdita di coesione delle malte con conseguenti distacchi e cedimenti di materiali lapidei;
   gli antichi intonaci appaiono decoesi, fratturati e distaccati mentre la decorazione dipinta sulle pareti esterne e interne del grande ambiente centrale è attaccata da muffe e licheni e, in alcuni casi, è quasi completamente dilavata e scomparsa;
   in condizioni di avanzato degrado sono anche i pavimenti musivi con motivi a squame, a rombi e a scacchi in tessere bianche/nere o bianche/rosse che, a causa degli agenti atmosferici e della microcapillarità di risalita veicolata dall'acqua, rivelano in superficie disgregazioni, scollamenti, distacchi, gonfiamenti, lacune, depositi superficiali coerenti e cristallizzazioni di solfati e cloruri;
   solo grazie all'intervento delle associazioni culturali locali è stato possibile effettuare, diversi anni fa, la ripulitura dal fango e dai detriti, lo sfalcio di erbacce e sterpaglie infestanti alte un metro che in breve tempo sono ricresciute in modo aggressivo;
   mentre questa importantissima area archeologica statale versa in condizioni di incuria e abbandono per la mancanza di risorse e personale, a quanto consta all'interrogante, la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei spende la considerevole cifra di euro 873.498,50 per la realizzazione di un inaccessibile centro visite con laboratori didattici a corollario di un parco con ricostruzioni virtuali posto sulla collina Montesano nel comune di San Paolo Belsito (Napoli) –:
   se non ritenga indispensabile chiarire sui motivi che hanno prodotto un tale degrado, intervenendo con opportune iniziative al fine di accertare eventuali responsabilità e inadempienze degli uffici della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei;
   quali misure immediate il Ministero intenda assumere per salvaguardare l'intera area archeologica di via Saccaccio a Nola (Napoli);
   quali misure si intendano predisporre per consentire la valorizzazione e la pubblica fruizione del sito archeologico;
   quali provvedimenti amministrativi siano stati messi in campo per assicurare la piena salvaguardia della villa romana dalle inondazioni, dagli incendi, dal degrado ambientale e dall'abusivismo che continua ad assediare il complesso storico-archeologico nel silenzio e nell'inerzia delle istituzioni preposte alla tutela.
(4-01735)


   CRIPPA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella frazione collinare di Dumera, in comune di Oggebbio (VCO), si sta procedendo all'erezione di un'antenna per telefonia mobile dell'altezza di ben 32 metri;
   gli estremi del cantiere sono i seguenti: «nuova arb Hub H3G nel comune di Oggebbio frazione Dumera Foglio 28 map. 166, committente Ericsson»;
   il sito individuato per la realizzazione dell'antenna, in riva al lago Maggiore, insiste in un comparto di grande pregio e rilevanza ambientale;
   appare quantomeno dannosa la costruzione di un'infrastruttura di tali dimensioni nelle immediate vicinanze di uno dei più bei borghi agro collinari dell'Alto Verbano, caratterizzato da un ancora ben identificabile impianto medioevale a borgo chiuso, con case in sasso circondate da prati arborati e da boschi con una magnifica vista sul lago;
   la frazione Dumera è stata inserita nel complesso dei centri storici e rurali tradizionali nel progetto «Verbano Cusio Ossola – un Paesaggio a colori», studio promosso e finanziato da Fondazione Cariplo, provincia del VCO, camera di commercio del VCO e distretto turistico dei laghi, avente come obiettivo generale «lo sviluppo di un sistema territoriale [...] volto alla valorizzazione del paesaggio culturale, storico e ambientale del VCO nel suo complesso»;
   la realizzazione di questa struttura altamente impattante stravolgerebbe in modo irreparabile la bellezza dei luoghi che andrebbe invece salvaguardata e valorizzata con un piano di restauro conservativo e di recupero della frazione. Ad oggi l'iniziativa conservativa è in mano ai turisti, principali attuatori di questa rivalorizzazione storica dell'abitato, che ne ricercano l'alto valore umano e sentimentale di voler soggiornare laddove secoli or sono la fatica umana ha realizzato queste costruzioni;
   è condivisibile l'azione intrapresa dai residenti di Dumera e da molti cittadini di Oggebbio e del VCO, che attraverso una serie di sit in ed una petizione chiedono «al Comune e alle imprese (Ericsson, H3G) di individuare un altro sito più rispettoso dei bisogni dell'uomo e del paesaggio»;
   la soprintendenza regionale ha provveduto a dare il benestare basandosi sulla valutazione della commissione locale del paesaggio per tale opera senza prima effettuare un approfondito sopralluogo, che verrà svolto solo postumo in data 10 settembre 2013;
   nelle immediate vicinanze, nella frazione abitata di Piazza, già sorge un'altra antenna di telefonia –:
   se i Ministri interrogati ritengano opportuno avviare le necessarie verifiche per valutare le conseguenze – in termini paesaggistici – della realizzazione dell'antenna per telefonia mobile di Dumera, che comporterebbe un'ulteriore deturpazione del paesaggio insieme a un'inaccettabile compromissione di un'area di straordinario pregio storico-culturale;
   se i Ministri interrogati ritengano opportuno e indifferibile costituire una commissione speciale di studio per verificare l'effettiva presenza ed ubicazione dei ripetitori di telefonia mobile sul territorio nazionale, la reale potenza prodotta, le effettive conseguenze che le radiazioni emesse possono avere sul corpo umano. (4-01741)


   LAVAGNO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nella frazione collinare di Dumera, nel comune di Oggebbio (VCO), a pochi metri dal borgo medioevale, si è installato un cantiere per la realizzazione di una stazione radio base delle società HRG ERICSSON e NOKIA, senza che la cittadinanza fosse stata minimamente informata;
   la frazione di Dumera è costituita da un borgo di tipo rurale collinare, fra i più pregevoli dell'Alto Verbano, caratterizzato da un ricco patrimonio storico, ambientale, agricolo e paesaggistico;
   la richiesta avanzata al sindaco di Oggebbio di visionare la documentazione completa del progetto, da parte del costituito comitato Pro Alto Verbano, risulta essere, ad oggi, quasi completamente priva di esito;
   la mancata possibilità di visionare tali documenti non permette di verificare se le procedure autorizzative siano state espletate nel rispetto di tutte le norme;
   la normativa, in particolare, sulla tutela dei beni paesaggistici è stata recentemente novellata dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che, sulla base della delega contenuta nell'articolo 10 della legge n. 137 del 2002, ha introdotto il «codice dei beni culturali e del paesaggio», meglio noto come «codice Urbani»;
   il «codice Urbani» si presenta, da un punto di vista sistematico, come la diretta attuazione dell'articolo 9 della Costituzione, ai sensi del quale la Repubblica Italiana «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione»;
   la centralità del paesaggio e la rilevanza della sua tutela tra i valori costituzionalmente garantiti sono princìpi da sempre riconosciuti nell'ordinamento giuridico della Repubblica;
   è accertato che le radiazioni elettromagnetiche, al di là di una certa dose, hanno affetti biologici negativi per l'uomo. L'impatto delle stazioni radio base è elevato in un raggio di 20-70 metri dalle antenne, sui luoghi abitati posti a quota prossima a quella delle antenne –:
   se sia stato informato dalle strutture competenti di tale installazione e se, alla luce di quanto sopra espresso, si intendano avviare procedure di controllo e salvaguardia, nel rispetto della tutela paesaggistica, anche garantendo per quanto di competenza la piena trasparenza degli atti amministrativi ed autorizzativi. (4-01742)

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MUCCI, PRODANI, DA VILLA, CRIPPA, RIZZETTO, DELLA VALLE e VALLASCAS. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Ermanno Scervino, con sede a Bagno a Ripoli (Firenze), è un marchio italiano di moda che nonostante la crisi economica di anno in anno accresce i suoi fatturati, esporta all'estero con successo, che ha la peculiarità di produrre la maggior parte dei suoi capi nel Mezzogiorno d'Italia, dove vi sono maestranze abili e disponibili ad «eseguire anche lavorazioni complesse, che fanno poi la differenza fra i prodotti italiani e quelli stranieri»;
   i rappresentanti dell'azienda fiorentina hanno dichiarato che «il made in Italy della moda e del lusso può ripartire dal Mezzogiorno; ne siamo talmente convinti che stiamo aggregando con accordi di produzione tante piccole e medie imprese (...) che stanno resistendo alla crisi grazie al loro Know-how specializzato e di eccellenza, forse anche grazie a una più tenace volontà e intraprendenza dei suoi imprenditori»;
   l'imprenditore Scervino, a Cannes durante il 66° Festival del Cinema, ha affermato: «all'estero i consumatori richiedono prodotti made in Italy e noi imprenditori abbiamo il dovere di soddisfare questa domanda molto forte: non abbiamo mai creduto nella delocalizzazione all'estero delle produzioni, mantenendo sempre tutta la manifattura in Italia» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra riportato;
   se il Governo ritenga che il valore intrinseco della manifattura italiana e più in generale il tradizionale saper fare italiano delle piccole e medie imprese vadano tutelati e aiutati a svilupparsi;
   se il Ministro interrogato ritenga che la ripresa e lo sviluppo del nostro Paese dipenda in gran parte anche dallo sviluppo e dalla crescita del Mezzogiorno;
   se il Governo non ritenga di intervenire urgentemente con misure costanti e continue a sostegno dell'imprenditorialità, facilitando l'accesso al credito, introducendo fiscalità di vantaggio ed, in particolare, riconoscendo agevolazioni fiscali per incentivare l'occupazione giovanile e femminile;
   se il Ministro interrogato reputi, per quanto di sua competenza, di limitare l'emorragia di capitale umano meridionale che nella maggior parte dei casi è altamente specializzato tanto da trovare collocazione al Centro-Nord o all'estero, ponendo le premesse di una futura mancanza di classi dirigenti al sud e di opportunità di impresa;
   se il Governo non ritenga di intervenire urgentemente per favorire gli investimenti, per incentivare le esportazioni e l'innovazione, per utilizzare quanti più fondi comunitari possibili per rilanciare il Sud e per monitorare l'utilizzo dei fondi assegnati;
   se il Ministro interrogato, per quanto di sua competenza, intenda impegnarsi per rimuovere i diffusi fenomeni di corruzione e di attività criminali che ostacolano le relazioni economiche e la fruizione dei fondi comunitari e a rendere adeguata la qualità dei beni pubblici essenziali;
   se il Governo reputi di individuare ed avviare velocemente una politica industriale, energetica, logistica che tenga conto delle filiere della cultura, del patrimonio archeologico, artistico ed archivistico delle bellezze naturali, delle produzioni artigianali ed agricole del territorio, consapevole che la ripresa diventa possibile solo con la predisposizione di un ambiente e un territorio dove le condizioni di vita dei cittadini siano talmente soddisfacenti da desiderare di restare e lavorare nell'interesse della zona geografica alla quale si appartiene. (5-00951)

DIFESA

Interrogazione a risposta orale:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 settembre, autorevoli testate nazionali hanno dato notizia, nelle loro edizioni online, della partenza del cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria verso le acque del Mediterraneo Orientale, cui dovrebbe far seguito a breve termine quella per la medesima destinazione della fregata Maestrale;
   l'invio delle due unità verso le acque antistanti Siria e Libano lascia intuire un possibile coinvolgimento nazionale in attività militari connesse all'eventuale attacco contro il regime di Damasco da parte di una coalizione di Paesi guidata dagli Stati Uniti o, quanto meno, l'esistenza di notevoli preoccupazioni del Governo circa la sicurezza del contingente italiano partecipante all'Unifil II;
   il Libano è in effetti già adesso coinvolto nelle dinamiche della guerra civile siriana;
   anche in vista di possibili ritorsioni contro i propri militari dopo l'eventuale avvio di una campagna di bombardamenti sulla Siria, la Turchia intende rimpatriare il proprio contingente assegnato all'Unifil II –:
   quale sia l'esatta missione delle navi Andrea Doria e Maestrale, se sia stata preventivamente comunicata al Capo dello Stato e con quali fondi venga coperta, nonché quale sia l'opinione del Governo circa le possibili minacce gravanti sul contingente italiano di stanza in Libano e le ragioni che impedirebbero all'Italia di ritirarlo, come invece hanno appena fatto i turchi. (3-00286)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARTINI, BASILIO, RIZZO, FRUSONE, ALBERTI, CORDA e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   sul sito internet dell’Huffington Post in data 7 agosto 2013 è stato pubblicato un articolo dal titolo «Elicotteri delle forze armate pieni di amianto: in esclusiva il carteggio tra la Difesa e Agusta Westland». Nell'articolo si legge: «La flotta di elicotteri delle nostre forze armate è a rischio contaminazione: innumerevoli modelli attualmente in dotazione a Esercito, Marina, Aviazione e Carabinieri sarebbero in pratica scatole volanti piene di amianto»;
   questa situazione andrebbe avanti da oltre quindici anni, nel sostanziale silenzio delle autorità coinvolte. L'articolo parla di un vivace scambio di lettere tra il Ministero della difesa e l'azienda che li ha fabbricati, l'Agusta Westland. Compagnia che, per prima, li definisce testualmente «inquinati»;
   il carteggio sarebbe adesso in possesso dei magistrati delle procure militari di Roma e Napoli, anche in seguito alla opportuna segnalazione del «Partito per la Tutela dei Diritti dei Militari»;
   dopo il ’92 (anno della legge che bandisce l'impiego dell'amianto) la controllata di Finmeccanica ha provveduto a informare la difesa su quali e quanti modelli di velivoli da loro prodotti contenessero asbesto, in quali e quante parti delle rispettive carlinghe. «Sin dal 1996 abbiamo trasmesso l'elenco di tutti i materiali pericolosi presenti sui nostri elicotteri», scrivono dall'Agusta Westland nella loro lettera del 6 giugno scorso al Segretariato generale della difesa e direzione nazionale degli armamenti. Secondo l'azienda il Ministero era stato debitamente informato del problema come dimostrerebbe un dossier di oltre cinquanta pagine ricco di tabelle ed informazioni inviate alla difesa;
   secondo tali tabelle – su tutte citiamo quella datata 6 aprile 2006 – si legge che per quanto riguarda i modelli AB 206, AB 205, AB 212, AB 212 AS, AB 412: «L'amianto può essere contenuto in guarnizioni, condotti, tubi, nonché pastiglie dei freni». Negli elicotteri SH-3D; HH-3F: «L'amianto può essere contenuto nelle pastiglie dei freni, ruote e rotore, nella frizione e nell'APU». Nel CH47: «L'amianto può essere contenuto nelle pastiglie dei freni». Così per l'A129: «L'amianto è presente nelle guarnizioni delle paratie parafiamma», mentre per l'A109: «L'amianto può essere contenuto in guarnizioni, condotti, tubi, nonché pastiglie dei freni, rotore e ruote»;
   in un'altra tabella del 13 febbraio 1996 (dieci anni prima) viene indicata la presenza di amianto anche a bordo dell'AB204, dell'SH-3DTS e dell'HH 500;
   l'Agusta Westland avrebbe intrapreso sua sponte una prima bonifica su 14 di queste macchine in un cantiere presso la base di Grazzanise, in provincia di Caserta;
   gli equipaggi, non sarebbero stati informati della presenza dell'amianto a bordo di quello che è il loro luogo di lavoro: né dei rischi di salute nell'operarvi a stretto contatto, né delle misure di sicurezza che avrebbero dovuto prendere a titolo di prevenzione e a tutela della loro salute;
   l'articolo dell’Huffington Post riporta frasi virgolettate di due elicotteristi appartenenti a corpi diversi. «Sugli elicotteri è la prima volta che sento parlare di problematiche simili – racconta uno specialista della Marina Militare – noi non ne siamo certo stati informati. Qualche guarnizione la si sostituisce. Ma se il problema riguarda anche le tubazioni, queste non vengono cambiate quasi mai, e alcune si trovano in punti praticamente inaccessibili». «Neanche noi abbiamo mai avuto informazioni su questi rischi, né sulle precauzioni da adoperare nel maneggio e nell'ispezione di questi mezzi – conferma un elicotterista dell'Esercito – il pilota fa l'ispezione al mezzo, prima di salire a bordo. Ma lo specialista mette mano ai componenti, smonta e rimonta. E in tanti anni nessuno si è mai raccomandato perché usassimo cautela o precauzioni, entrando in contatto con questo materiale che sappiamo benissimo essere dannoso»;
   la legge 27 marzo 1992, n. 257, ha fissato le norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto –:
   se le notizie riportate nell'articolo citato in premessa corrispondano al vero e in caso affermativo quale sia la ragione per la quale non sono state assunte iniziative organiche di bonifica dall'amianto degli elicotteri e non si sia informato il personale dei rischi concernenti la presenza di asbesto su molte parti di materiale a bordo;
   se quali e quanti siano i velivoli che risultino ancora non completamente bonificati, se siano ancora impiegati, per quali attività e quali siano le misure di prevenzione adottate per tutelare la salute degli equipaggi di volo e del personale militare comunque imbarcato a bordo nonché dei meccanici adibiti alla manutenzione degli stessi;
   se il Ministero abbia provveduto, a partire dal marzo 1992, a monitorare i casi di malattia del personale civile e militare tipici da avvelenamento o contaminazione da amianto e quanti casi risultino tra il personale impiegato intorno agli elicotteri in questione;
   se il conclamarsi di diversi casi di malattie asbesto correlate tra il personale delle Forze amate ha comportato risarcimenti per gli stessi e le loro famiglie e se comunque intenda assumere iniziative in questa direzione per i casi che si dovessero conclamare in futuro. (5-00945)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228) non contempla risorse per la previsione contenuta nel 1o comma dell'articolo 4 della legge n. 236 del 1993 che permetteva ai lavoratori licenziati in forma individuale per «giustificato motivo oggettivo» da aziende con meno di 15 dipendenti, l'iscrizione nelle liste di mobilità; l'effetto più grave di tale mancata previsione è il mancato rifinanziamento degli sgravi contributivi connessi all'iscrizione nella lista con la conseguenza che dal 1o gennaio 2013 le aziende che assumeranno tali lavoratori non godranno di nessuna agevolazione contributiva; da tale data non è più possibile iscrivere nella lista di mobilità i lavoratori licenziati in forma individuale ex legge n. 236 del 1993, mentre continueranno ad essere iscritti i lavoratori coinvolti in procedure di licenziamento collettiva, ex legge n. 223 del 1991;
   gli incentivi all'assunzione o legati alla proroga o alla trasformazione a tempo indeterminato di contratti a termine in atto, non essendo stati rifinanziati, non saranno più applicabili ai lavoratori di cui alla legge n. 236 del 1993 iscritti regolarmente in mobilita negli anni precedenti al 2013 ed ancora inseriti in lista con conseguente sostanziale depotenziamento dell'iscrizione stessa. Tali incentivi, invece, continuano ad operare per gli iscritti ex legge n. 223 del 1991;
   questa mancata previsione comporta che i lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo (riduzione, cessazione o trasformazione di attività o di lavoro) da imprese con meno di 15 dipendenti è stata tagliata fuori da nuove possibili assunzioni. Di fatto a tali soggetti si è preclusa sia una nuova assunzione sia la proroga di contratti a termine o la trasformazione degli stessi in contratto a tempo indeterminato;
   gli incentivi che venivano riconosciuti alle imprese che assumevano erano sostanziosi e volti a facilitare il reinserimento lavorativo dei lavoratori stessi e prevedevano la riduzione dell'aliquota contributiva a carico del datore di lavoro nella misura del 10 per cento per gli apprendisti per i contratti a tempo determinato di 12 mesi e di altrettanto per i 12 successivi in caso di trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, oppure 18 mesi in caso di assunzione diretta con contratto a tempo indeterminato;
   tali agevolazioni sono in vigore solo per i lavoratori che sono stati licenziati da aziende che hanno effettuato la procedura ex legge n. 223 del 1991. Non può considerarsi soddisfacente la «compensazione» operata a marzo 2013, con il decreto del Ministro Fornero, che ha previsto il riconoscimento di un bonus capitario (riproporzionando per le assunzioni a tempo parziale) pari a 190 euro mensili, ai datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato o a termine, a tempo pieno o parziale anche a scopo di somministrazione, i lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo da aziende con meno di 15 dipendenti nei dodici mesi precedenti l'assunzione. Questo contributo avrà la durata di 12 mesi per le assunzioni a tempo indeterminato mentre per quelle a termine avrà la durata massima di 6 mesi. Di fatto tale provvedimento esclude tutti quei lavoratori licenziati da più di 12 mesi ma ancora iscritti alle liste di mobilità che non potranno perciò più godere della «protezione» degli sgravi contributivi riconosciuti all'azienda che li vuole assumere;
   nel corso del 2012 nei centri per l'impiego in tutta Italia si sono iscritte migliaia di persone (a titolo esemplificativo, nel solo centro per l'impiego di Senigallia si sono verificate ben 733 iscrizioni alla lista di mobilità e le iscrizioni ai sensi della legge n. 236 del 1993, sono state 632) che con il ripristino delle agevolazioni contributive alle imprese potrebbero trovare indubbie condizioni di inserimento lavorativo più favorevoli –:
   se il Governo intenda individuare e prevedere, nell'ambito delle misure per lo sviluppo che si è impegnato ad adottare, le risorse necessarie per ripristinare agevolazioni contributive anche per quei lavoratori licenziati da più di dodici mesi, ancora iscritti alle liste di mobilita, che attualmente non rientrano fra i destinatari del cosiddetto «decreto Fornero» del marzo 2013. (4-01729)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 1989 a Manerbio (Brescia), Monia Del Pero, diciannovenne di Offlaga (Brescia), venne uccisa dal suo ex fidanzato, Simone Scotuzzi;
   l'omicida, reo confesso del fatto, fu condannato alla pena della reclusione di undici anni e otto mesi, più tre mesi di libertà vigilata, questi ultimi eliminati in sede di processo di appello;
   successivamente, si è appreso, sia da media locali che nazionali, che i genitori di Monia, il signor Adriano e la signora Giliola, hanno ricevuto da Equitalia una richiesta di 2.000 euro per il deposito della sentenza con cui venne condannato l'assassino della figlia;
   il caso dei genitori di Monia sembrerebbe non essere la prima volta in cui la parte offesa si è trovata a dover corrispondere una somma di denaro per spese giudiziarie in spregio al gravissimo danno già subito;
   i genitori di Monia hanno denunciato l'assurdità della richiesta e preannunciato di voler ricorrere al Tar e alla Corte di giustizia europea, al fine di ricevere un trattamento equiparato, dal punto di vista dei risarcimenti, a quello delle vittime della mafia e del terrorismo;
   a giudizio della richiedente l'intera vicenda si connota come un'offesa alla dignità e alla pietà, oltreché una lesione dei princìpi garantiti dall'articolo 2 della nostra Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea –:
   se sia intenzione dei Ministri interrogati intervenire al fine di proporre modifiche all'attuale sistema – regolato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 – in base al quale l'ente di riscossione, per le spese di registrazione degli atti giudiziari, si può rivalere su entrambe le parti in causa, seguendo il criterio della solidarietà debitoria e non quello della soccombenza, come invece avviene per le spese di giudizio;
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative urgenti, ognuno per quanto di propria competenza, intendano adottare nel caso dei coniugi Del Pero, al fine di porre rimedio a questa paradossale vicenda. (4-01739)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSSOMANDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155, recante «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero», attuativo della delega di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148, è stata prevista la riorganizzazione degli uffici giudiziari sul territorio nazionale prevedendo, alla data del 13 settembre 2013, la soppressione di 31 tribunali, 31 procure e tutte le 220 sezioni distaccate di tribunale;
   in particolare, per quanto riguarda il territorio piemontese, è stata prevista, tra le tante disposizioni, la soppressione delle sedi distaccate di tribunale di Ciriè e Chivasso e il loro accorpamento al tribunale di Ivrea;
   in considerazione dell'approssimarsi del termine per l'entrata in vigore della citata riforma e a seguito di richiesta presentata dal presidente del tribunale di Ivrea, nelle scorse settimane è stato emanato un decreto ministeriale che, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 155 del 2012, proroga di due anni l'attività della sola sede di Cirié, alla quale verranno demandate le pratiche afferenti le «procedure relative alle esecuzioni coattive, alle procedure concorsuali, alla volontaria giurisdizione e alla famiglia», disponendo invece la chiusura della sede di Chivasso;
   questo provvedimento ha sollevato la ferma contrarietà dei sindaci della zona del chivassese che, il 22 agosto 2013 hanno indirizzato una lettera all'attenzione del Ministro della giustizia per sottolineare l'importanza di includere nel provvedimento di proroga anche la sede di Chivasso, considerate anche le recenti vicende giudiziarie di contrasto all'infiltrazione ’ndranghetista che hanno interessato il territorio (operazioni «Minotauro» e «Colpo di coda»);
   è stato quindi auspicato il mantenimento in funzione anche della sede di Chivasso, in attesa del completamento del tribunale di Ivrea per consentire agli amministratori del territorio di razionalizzare i servizi ed i trasporti per i cittadini;
   un aspetto non secondario appare inoltre la predisposizione della rete di comunicazione per il collegamento del territorio alla nuova sede: per la particolare conformazione geografica e territoriale della zona, infatti, la chiusura di una presidio accessibile e funzionale come la sede di Chivasso, potrà comportare un forte disagio per quei cittadini che dovranno raggiungere il tribunale di Ivrea da zone periferiche senza che vengano predisposti adeguate vie di comunicazione, e sui quali peseranno i maggiori disagi sociali ed economici;
   i provvedimenti, adottati in queste settimane, di «autorizzazione all'utilizzo» per un periodo determinato dei locali ospitanti alcuni tribunali e sedi distaccate che risulterebbero soppressi dalla riforma della geografia giudiziaria, confermano l'esigenza, nell'ambito di una riforma utile e necessaria per il migliore funzionamento della giustizia, di provvedimenti correttivi che la rendano più razionale in termini di efficienza ed economicità, così come sottolineato anche nei pareri approvati dalle commissioni giustizia di Camera e Senato e negli ordini del giorno recentemente approvati dal Parlamento –:
   se, in considerazione di quanto esposto in premessa, non ritenga opportuno prorogare l'attività della sede distaccata di Chivasso per consentire un adeguamento graduale e più razionale del territorio alla nuova disposizione degli uffici giudiziari e se non ritenga altresì opportuno mantenere comunque la sede del giudice di pace di Chivasso, posto che quest'ultima consentirebbe di mantenere una rete di servizi e presidi che nella diversificazione, nella gradualità e nella razionalità sarebbe pienamente attuativa della riforma della geografia giudiziaria. (5-00948)


   TINO IANNUZZI e BONAVITACOLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal prossimo 13 settembre 2013 è destinato ad entrare in vigore il decreto legislativo n. 155 del 2012 sulla cosiddetta riforma della geografia degli uffici giudiziari;
   fra l'altro ne deriverebbero – con una scelta fin dal primo momento motivatamente avversata dagli interroganti, anche con precedente atto di sindacato ispettivo n. 5-00322 del 12 giugno 2013 – la soppressione del tribunale di Sala Consilina ed il suo accorpamento con il tribunale di Lagonegro, benché trattasi di uffici giudiziari ricadenti in due province, in due regioni ed in due corti di appello differenti;
   per consentire tale accorpamento sono stati previsti, con fondi della regione Basilicata, lavori di ristrutturazione e di adeguamento dell'immobile, già sede del municipio di Lagonegro;
   tale edificio è stato realizzato in epoca antecedente al novembre 1980 e sarebbe, come tale, assoggettato alla normativa antisismica;
   detta normativa, introdotta dall'O.P.C.M. 3274/2003 e successivo decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della protezione civile 21 ottobre 2003, obbliga ad effettuare le verifiche sismiche sui seguenti edifici:
    a) edifici di interesse strategico e opere infrastrutturali, la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile;
    b) edifici e opere infrastrutturali che possono assumere rilevanza in caso di eventuale «collasso»;
   concretamente, tali edifici sono individuati a livello statale, nell'allegato 1 (elenchi A e B) al citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 ottobre 2003;
   ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del citato O.P.C.M. 3274/2003 è fatto obbligo di procedere a verifica, da effettuarsi a cura dei rispettivi proprietari, sia degli edifici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, sia degli edifici e delle opere infrastrutturali che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale «collasso»;
   nell'allegato 1 al citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 ottobre 2003 sono indicati nell'elenco B le Categorie di edifici ed opere infrastrutturali di competenza statale che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale «collasso»;
   al punto 1 dell'elenco B sono indicati gli edifici pubblici o comunque destinati allo svolgimento di funzioni pubbliche nell'ambito dei quali siano normalmente presenti comunità di dimensioni significative, nonché edifici e strutture aperti al pubblico suscettibili di grande affollamento, il cui collasso può comportare gravi conseguenze in termini di perdite di vite umane;
   non vi è dubbio che all'interno di tale categoria debbano farsi rientrare gli edifici adibiti ad uffici giudiziari;
   invece l'immobile destinato all'ampliato tribunale di Lagonegro, alla luce delle informazioni assunte dagli interroganti e ribadite dagli amministratori locali di Sala Consilina e del Vallo di Diano, non sarebbe stato adeguato alla normativa per la tutela e per la prevenzione sismica, come impone la legislazione statale e regionale vigente; inoltre il progetto dei relativi lavori di ristrutturazione non sarebbe stato sottoposto alla verifica preventiva da parte del genio civile competente;
   tale situazione è ancor più grave, non avendo il tribunale di Lagonegro ritenuto di richiedere al Ministero di giustizia l'utilizzazione per alcuni anni, ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 155 del 2011, degli immobili attualmente sede del tribunale di Sala Consilina per lo svolgimento delle attività processuali, complessivamente intese; decisione questa che gli interroganti non condividono e che considerano assolutamente sbagliata e destinata a determinare conseguenze fortemente negative nel funzionamento della giustizia in quel territorio;
   la conservazione del tribunale di Sala Consilina è ancora più utile per il funzionamento del servizio giustizia, avendo il Ministero della giustizia (l'ultimo provvedimento ministeriale, è addirittura del luglio 2012) autorizzato proprio in quel tribunale l'attivazione del processo civile telematico, una innovazione di grande significato, che ha prodotto a Sala Consilina una esperienza assolutamente positiva –:
   alla luce di queste considerazioni se il Ministro non ritenga di differire, con adeguata iniziativa normativa, l'entrata in vigore del provvedimento di soppressione del tribunale di Sala Consilina o, quantomeno, di sospenderne l'applicazione, nelle more di controlli ed ispezioni indispensabili per accertare l'osservanza della normativa sulla sicurezza nelle zone sismiche e la intervenuta verifica preventiva da parte del genio civile competente;
   se non ritenga, comunque, in questa situazione così pregiudizievole per il funzionamento del servizio giustizia di attivare il procedimento di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 155 del 2012, considerato che in data 5 settembre 2013 tale potere è stato attivato per numerose altre sedi in ambito nazionale, alle quali doverosamente va aggiunto il tribunale di Sala Consilina per le rilevanti considerazioni e motivazioni su esposte, anche per consentire la prosecuzione dell'esperienza così significativa del processo civile telematico, già autorizzata dal Ministero nel tribunale di Sala Consilina. (5-00952)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel novembre del 2011 ha avuto inizio un percorso riservato a lavoratori collocati nelle liste di mobilità della regione Abruzzo che nel loro passato avevano lavorato in ambito industriale, commerciale, nei servizi sperimentando un percorso virtuoso di mobilità lavorativa attraverso un bando della regione Abruzzo – assessorato alle politiche del lavoro;
   questo percorso costruito sulle esigenze degli uffici giudiziari dell'Abruzzo ha portato 210 persone in contesti lavorativi mai visti prima ma nei quali hanno trovato accoglienza, possibilità di apprendere con il tirocinio formativo e di svolgere un lavoro socialmente utile nel più profondo senso della parola, con l'utilizzo di ore retribuite con l'assegno di mobilità per catalogare atti giudiziari, sistemare archivi, svolgere un servizio per un'utenza specifica e a dare una mano in generale al «servizio giustizia» dell'Abruzzo;
   nella considerazione del positivo e lusinghiero risultato raggiunto, rappresentato in più sedi dai magistrati, capi degli uffici giudiziari e dai dirigenti amministrativi dell'Abruzzo, la regione Abruzzo ha posto in essere tutte le attività per consentire la proroga del percorso per un anno, dando un'opportunità lavorativa e possibilità di sostegno economico alle famiglie dei lavoratori, tale proroga si intersecherà con un progetto di tirocinio del Ministero della giustizia di 210 ore circa, che dovrà concludersi nel novembre 2013;
   va evidenziato che gli uffici giudiziari dell'Abruzzo hanno sofferto negli ultimi anni gravi carenze di personale e la presenza dei lavoratori in mobilità ha rappresentato un aiuto e un sostegno non di poco conto. Purtroppo la prospettiva per il prossimo anno, al momento non si intravede, le conoscenze e le competenze acquisite finora negli uffici giudiziari andranno sostanzialmente perse e persone di un'età media tra 40 e 55 anni e le loro famiglie torneranno a fare i conti con una precarietà o meglio disoccupazione, e, dato che si tratta di lavoratori con mobilità in deroga, non potranno più beneficiare neanche degli ammortizzatori sociali;
   la situazione di tirocini presso il Ministero della giustizia è sostanzialmente la stessa anche in altre regioni ed il numero di tirocinanti è di circa tremilaquattrocento persone in tutta Italia, e ci sono state varie proposte all'esame del Parlamento per poter trovare una soluzione a gravi carenze di organico, e nel contempo salvare un'acquisizione di conoscenze e competenze utili al funzionamento degli uffici giudiziari, e naturalmente dare un sostegno economico seppure minimo che possa rappresentare una speranza per tante famiglie –:
   quali soluzioni intendano assumere per risolvere anche questa vicenda specifica riferita, nel quadro generale dei precari della pubblica amministrazione, alla suddetta tipologia di personale – tirocinanti nel Ministero della giustizia, nelle diverse articolazioni territoriali delle amministrazioni dello Stato, in particolare gli dell'Abruzzo e anche delle altre regioni italiane. (4-01731)


   POLVERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5 della legge n. 395 del 1990, individua i compiti istituzionali del Corpo di polizia penitenziaria, attribuendo ad esso il servizio delle traduzioni e dei piantonamenti dei detenuti e degli internati ospitati presso gli Istituti Penitenziari Italiani;
   l'assetto normativo del servizio traduzioni e piantonamenti del Corpo di polizia penitenziaria è stato profondamente rivisto con il decreto ministeriale 8 febbraio 2012, istitutivo dell'ufficio centrale della sicurezza e delle traduzioni nell'ambito degli uffici di diretta collaborazione del capo del DAP e poi con la circolare DAP 14 marzo 2013, n. 3643/6093, recante il nuovo modello operativo delle traduzioni la cui entrata in vigore comporta anche la contestuale abrogazione del vecchio modello (circolare DAP 30 luglio 1998, n. 3433/5933) e di tutte le disposizioni in materia, incompatibili con il nuovo modello operativo;
   quotidianamente il Corpo di polizia penitenziaria trasporta migliaia di detenuti conducendoli dagli istituti di pena alle aule di giustizia dei tribunali per espletare le ordinarie attività giudiziarie, ovvero presso le strutture sanitarie extramoenia per tutelarne il diritto alla salute, oppure presso altre sedi penitenziarie per effetto dei provvedimenti di trasferimento adottati dalle autorità competenti;
   il servizio delle traduzioni viene espletato con automezzi del Corpo di polizia penitenziaria, sovente immatricolati anche dieci o quindici anni fa e che annualmente «macinano» centinaia di migliaia di chilometri con la conseguenza che il servizio viene espletato in condizioni inconcepibili, ponendo a rischio la vita degli stessi agenti e dell'utenza detenuta;
   il parco automezzi dell'Amministrazione penitenziaria è caratterizzato da numerosissimi mezzi guasti in autoparco o in officina, a loro volta vetusti e contraddistinti dalla necessità di continui interventi di manutenzione;
   a titolo esemplificativo, è sufficiente esaminare la condizione del parco automezzi delle regioni Puglia ed Emilia Romagna;
   con riferimento alla regione Puglia, l'amministrazione penitenziaria in data 25 luglio 2013 (nota Prap Puglia prot. n. 23119/2013) ha segnalato la seguente situazione, evidenziando che la maggior parte dei mezzi inutilizzabili sono proprio quelli da utilizzare per il trasporto detenuti:
    a) totale mezzi n. 176;
    b) mezzi guasti in autoparco. n. 39;
    c) mezzi guasti in officina n. 27;
    d) mezzi destinati al fuori uso (rottamazione), n. 10;
    e) mezzi attivi in autoparco n. 100;
   con riferimento alla regione Emilia Romagna in data 23 maggio 2013, l'Amministrazione penitenziaria (nota Prap Emilia Romagna 15241/2013), invece, ha evidenziato che:
    a) su 62 automezzi allestiti per il trasporto dei detenuti assegnati per le esigenze dei 10 Istituti Penitenziari della regione, solamente 33 attualmente sono funzionanti;
    b) l'età media dell'autoparco emiliano è di oltre 10 anni di vita;
    c) la percorrenza media dei veicoli è pari a 241.703 chilometri;
   l'UGL Polizia penitenziaria ha più volte sollecitato l'attenzione dell'amministrazione penitenziaria in ordine alle condizioni inumane e degradanti nelle quali è costretto operare sia il personale di polizia penitenziaria, che attende al servizio delle traduzioni dei detenuti e degli internati, sia gli stessi detenuti, tutti trasportati in veicoli dove spesso addirittura manca l'aria condizionata o il riscaldamento, poiché inesistenti sono i fondi per la manutenzione ordinaria e straordinaria e quindi non v’è la possibilità di effettuare le ricariche di gas refrigerante agli impianti degli automezzi;
    tali condizioni di viaggio sono fattore stressogeno per il personale e determinano attriti notevoli con la stessa utenza detenuta, a rischio di malore per le condizioni di viaggio, specie quando le percorrenze chilometriche sono elevate, come in occasione dei trasferimenti dal Sud al Nord e viceversa;
    l'UGL Polizia penitenziaria ha segnalato, altresì, che vari provveditorati hanno più volte evidenziato (invano) le predette condizioni al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, definendo allarmante la situazione del relativo parco automezzi, quantitativamente e qualitativamente non in grado di assicurare i servizi disposti dalle autorità giudiziarie, sanitarie e dalla stessa amministrazione penitenziaria, mettendo a rischio la sicurezza extracarceraria poiché alcune traduzioni sono effettuate con autovetture e non con furgoni dedicati al trasporto detenuti (v. nota PRAP Emilia Romagna 23 maggio 2013, protocollo n. 15241), ovvero poiché sono indisponibili i cosiddetti furgoni protetti, necessari per trasportare i detenuti più pericolosi (cioè quelli appartenenti al circuito alta sicurezza o 41-bis);
   v’è il rischio, quindi, che l'utilizzo intensivo dei pochi mezzi idonei al servizio determini un rapido peggioramento della condizione complessiva con una probabile implosione del servizio delle traduzioni;
   appare indispensabile che il Governo provveda al più presto ad integrare i fondi relativi alla manutenzione ordinaria e straordinaria, più volte richiesti dai provveditorati (vedere ad esempio nota PRAP Puglia 13824/2013), nonché ad accantonare con urgenza ulteriori fondi che consentano l'acquisto di nuovi mezzi efficienti da assegnare agli Istituti (vedere ad esempio nota PRAP Puglia 23119/2013, allegato 2);
   i Provveditorati Regionali non riescono addirittura a far fronte alle richieste di assegnazione temporanea di furgoni per trasporto detenuti avanzate dai nuclei traduzione dei singoli istituti, ponendo a rischio l'espletamento delle stesse attività giudiziarie per carenza di automezzi, situazioni a loro volta segnalate alle stesse autorità giudiziarie procedenti per opportuna conoscenza;
   l'UGL Polizia penitenziaria ha segnalato che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria pare stia provvedendo alla distribuzione di circa 100 nuovi automezzi su tutto il territorio nazionale, assegnandoli ai provveditorati, affinché, a loro volta, provvedano ad attribuirli agli istituti col parco automezzi maggiormente compromesso, senza avvedersi del fatto, però, che si tratta di una goccia nell'oceano, visto che in Italia esistono oltre 200 istituti penitenziari, 9 scuole di formazione, 16 provveditorati regionali, e numerosi altri servizi (si pensi agli uffici di esecuzione penale esterna, ovvero ai nuclei regionali dei cinofili) che hanno necessità di avere un parco automezzi decente (comprensivo anche di autovetture in servizio radiomobile), quindi è probabile che questi nuovi furgoni, potranno eventualmente al massimo sostituire autoveicoli collocati in «fuori uso», senza migliorare una situazione quasi irrimediabilmente conpromessa;
   il trasporto dei detenuti, specie per i trasferimenti Nord-Sud e viceversa, sovente avviene anche con mezzi aerei civili di linea e non sarebbe peregrina l'idea di utilizzare aerei militari, in considerazione del fatto che i piloti hanno comunque l'obbligo di effettuare un certo numero di ore di volo per conservare il brevetto, ovvero riattivare il trasporto dei detenuti su rotaia (con le cosiddette tradotte), specie per effettuare i cosiddetti sfollamenti, conseguendo probabilmente un enorme vantaggio contabile;
   l'UGL Polizia penitenziaria ha segnalato, altresì, il rischio di dismissione delle autovetture in leasing, utilizzate per i cosiddetti servizi esterni (esempio servizio posta dell'istituto), ovvero altre attività importanti come l'accompagnamento delle autorità giudiziarie (GIP-GUP) dal tribunale agli istituti penitenziari e viceversa (come accade presso gli Istituti Penali di Trani) per l'espletamento delle udienze di convalida –:
   quali iniziative il Ministro della giustizia intenda adottare per:
    a) impedire l'implosione del sistema delle traduzioni affidato al Corpo della polizia penitenziaria;
    b) assicurare gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria necessari per consentire agli automezzi del Corpo di polizia penitenziaria di viaggiare in assoluta sicurezza;
    c) garantire un robusto svecchiamento del parco automezzi dei nuclei traduzione e piantonamenti del Corpo di polizia penitenziaria, mediante acquisto di un congruo numero di furgoni per trasporto detenuti;
    d) assicurare la permanenza in uso delle autovetture in leasing presso gli istituti;
    e) verificare la praticabilità di una convenzione nazionale con Poste italiane spa che assicuri il ritiro e la consegna della posta in arrivo e in partenza direttamente presso gli istituti penitenziari;
    f) verificare la possibilità di affidare in modo stabile le traduzioni a mezzo aereo ad aeromobili dell'Aeronautica militare, ovvero a mezzo ferroviario, specie nel caso di sfollamenti dal Nord a Sud. (4-01737)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GHIZZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dei mesi estivi e con particolare recrudescenza in agosto, sulla tratta Modena-Mantova si sono registrate frequentissime cancellazioni di corse e numerosissimi ritardi nel trasporto, con gravi ripercussioni sui tempi di vita e di lavoro degli utenti, a causa dell'insufficiente dotazione di personale e di mezzi che interessa Trenitalia da tempo, con un trend decisamente preoccupante;
   questo contesto di evidente disagio non è estraneo alla strategia, più volte esplicitamente dichiarata dai vertici del Gruppo Ferrovie dello Stato, di potenziare l'Alta Velocità e di ridurre il trasporto locale e regionale, con particolare riferimento al trasporto pendolari, in quanto meno remunerativo rispetto a quello «a mercato»;
   stando agli ultimi dati resi noti, il bilancio del Gruppo Ferrovie dello Stato ha riportato 381 milioni di euro di utile, a testimonianza di una politica aziendale che ha perseguito il conseguimento del mero profitto a detrimento della propria natura di società pubblica: bilanci sani conseguiti mediante efficientamento e miglioramento della spesa – con beneficio per il Ministero dell'economia e delle finanze, azionista unico del Gruppo – devono infatti essere coniugati con l'offerta di un servizio pubblico a favore delle esigenze degli utenti;
   nella politica di Ferrovie dello Stato, al contrario, a fronte di cospicui ricavi si registra un costante disimpegno nel traffico locale e nei servizi offerti, in particolare per i pendolari. L'esito, nefasto, è testimoniato dai numeri: dal 2010 al 2011, a fronte di un aumento 3,4 per cento dei viaggiatori-km del segmento «a mercato» (cioè AV), si è avuto un calo del 13,3 per cento dei viaggiatori-km del segmento «universale contribuito» (cioè treni media e lunga percorrenza del servizio nazionale) e dello 0,8 per cento dei viaggiatori-km del «trasporto regionale». Tuttavia, a fronte dei problemi e delle carenze del servizio erogato e del depauperamento del trasporto per pendolari, il Gruppo FS preferisce investire risorse e competenze in varie attività internazionali: in Europa (Germania, Repubblica Ceca, Romania, Serbia e Montenegro, Polonia), in Africa (Egitto, Algeria, Marocco, Libia), Asia (Turchia, Siria, Iraq, India, Kazakistan) e in America del sud (Venezuela, Uruguay) –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere in qualità di azionista, anche in termini di indirizzi strategici, per garantire un servizio adeguato ai viaggiatori e lavoratori che, per scelta o per necessità, utilizzano quotidianamente – anche nel periodo estivo – il trasporto pubblico senza che ne derivi una penalizzazione nell'organizzazione dei propri tempi di vita e di lavoro e, in particolare, quali siano le previsioni di intervento nella tratta Modena-Mantova, che è di fondamentale importanza per la mobilità nell'ambito provinciale modenese e in quello interregionale lombardo-emiliano. (5-00947)


   FRACCARO, NICOLA BIANCHI, CATALANO e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in base all'articolo 46 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada), come modificato dall'articolo 8 della legge 29 luglio 2010, n. 120, si intendono per veicoli tutte le macchine di qualsiasi specie, che circolano sulle strade guidate dall'uomo, ma da tale nozione sono espressamente escluse «le macchine per uso di invalidi, rientranti tra gli ausili medici secondo le vigenti disposizioni comunitarie, anche se asservite da motore»;
   l'articolo 196 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 (regolamento del codice della strada) elenca le caratteristiche costruttive dei veicoli per uso di invalidi. Fissa cioè i limiti al di sopra dei quali le «carrozzine» debbano essere considerate veicoli. Il superamento anche di uno solo dei limiti indicati comporta l'automatica inclusione della macchina per invalidi nella nozione di veicolo rilevante ai fini del codice della strada;
   il superamento anche di uno solo dei limiti indicati nell'articolo 196 del regolamento del codice della strada determina quindi in capo al disabile non solo la soggezione alle norme del codice della strada relative alla circolazione dei veicoli, ma anche l'insorgenza dell'obbligo di assicurazione della responsabilità civile verso terzi, qualora si tratti di veicoli a motore;
   le macchine per uso di invalidi che, al contrario, non sono considerate veicoli, possono circolare unicamente nelle aree riservate ai pedoni;
   ciò impedisce a tali carrozzine e scooter elettrici ad uso di invalidi di circolare liberamente su strade urbane che non siano dotate di marciapiede in quanto non dotati di targa e assicurazione, nonché sulle piste ciclabili in quanto dotati di motore, così limitando la mobilità dei soggetti disabili;
   inoltre ciò non basta ad escludere la responsabilità per danni materiali arrecati a terzi da parte di chi si trova nella posizione di dovere guidare un mezzo quale può essere una carrozzina elettrica o uno scooter elettrico ancorché questo non rientri nella definizione di veicolo fornita dal codice della strada –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa; se il Governo ritenga di intervenire adottando le urgenti iniziative di competenza volte a consentire la mobilità funzionale dei soggetti disabili forniti di macchine per uso di invalidi. (5-00950)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LODOLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il porto di Ancona costituisce una delle attività economiche e produttive più importanti della regione Marche, ed è un importante nodo della competitività e dell'efficienza logistica all'interno delle reti di trasporto transeuropee;
   con azioni bipartisan condotte dalla regione Marche al Parlamento europeo, la Commissione trasporti di Strasburgo ha approvato un emendamento per il prolungamento del corridoio baltico-adriatico da Ravenna ad Ancona, voto che attende la conferma dell'Aula;
   sono stati ottenuti altri risultati significativi per la valorizzazione del porto quali la diramazione Bologna-Ancona del corridoio Helsinki-La Valletta e l'inserimento nel cosiddetto «core network» della rete europea;
   per il porto esistono strumenti di pianificazione e di governo specifici, come il Piano regolatore del porto, ma anche il Piano della logistica e delle infrastrutture che la regione Marche ha approvato nel luglio dello scorso anno;
   come previsto poi dal piano regolatore portuale, vanno realizzate opere a mare, in particolare, il completamento della banchina Marche – oggi realizzata per un terzo – consentirebbe lo spostamento di molte attività dalla parte storica del porto a quella mercantile;
   il fronte mare, soprattutto la sua parte storica, può rappresentare da parte sua un aspetto significativo dell'accoglienza, della ricettività, della cultura, per non parlare poi della Mole Vanvitelliana che può essere il Palazzo Grassi o il Palazzo dei Diamanti dell'Italia centrale;
   il mondo del lavoro del porto, da quello dipendente a quello autonomo e imprenditoriale, e nello stesso comitato portuale, ha sempre dimostrato sensibilità e attenzione alla valorizzazione del patrimonio storico e del potenziale turistico e commerciale della città di Ancona; anzi, è stato proprio il settore dell'economia e del lavoro a restituire dieci anni fa alla città e alla regione la Loggia dei Mercanti finalmente restaurata;
   fondamentale, e non più rinviabile, è il collegamento con la grande viabilità, non si può correre il rischio di allontanare traffici (sia di merci che di persone), commerci, attività dal porto internazionale di Ancona, tanto più oggi che sta partendo la Macroregione con le opportunità che questo significa;
   è necessario sollecitare il Governo per la nomina del nuovo presidente dell'autorità portuale al fine di garantire quanto prima la piena operatività della stessa –:
   se sia intenzione del Governo agire per la piena valorizzazione del porto di Ancona e per il potenziamento delle attività connesse, in tutta la sua complessità, anche all'interno della imminente costituzione della macroregione Adriatico-Jonica.
(4-01734)


   CARRESCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autorità portuale, disciplinata dalla legge n. 84 del 1994, ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia amministrativa di bilancio e finanziaria. L'Autorità ha tra l'altro compiti di indirizzo, controllo e programmazione delle operazioni portuali, di manutenzione delle parti comuni e di mantenimento dei fondali del porto, nonché di affidamento e controllo delle attività dirette alla fornitura di servizi di interesse generale agli utenti portuali;
   l'articolo 8, commi 1 e 1-bis, della legge n. 84 del 1994 stabilisce che il presidente dell'Autorità portuale è nominato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti previa intesa con la regione interessata, nell'ambito di una terna di esperti designati rispettivamente da provincia, comuni e camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura territorialmente competenti. La terna è comunicata al Ministro tre mesi prima della scadenza del mandato ed egli, con atto motivato, può richiedere, entro trenta giorni dalla richiesta, una seconda terna di candidati nell'ambito della quale effettuare la nomina;
   la scelta deve cadere su nominativi all'interno di una terna di esperti di comprovata competenza nel settore dell'economia dei trasporti e di quella portuale;
   nel novembre 2012 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, considerato che il 23 marzo 2013 sarebbe scaduto il mandato del presidente dell'autorità portuale di Ancona, ha chiesto agli enti interessati di voler comunicare le proprie designazioni;
   gli enti suindicati hanno provveduto a comunicare le designazioni e il Ministro competente non ha richiesto, entro i trenta giorni previsti dalla legge, una seconda tema di nomi;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con proprio decreto in data 7 maggio 2013 ha invece nominato l'avvocato Luciano Canepa commissario straordinario dell'autorità portuale di Ancona fino alla nomina del presidente e comunque per un periodo non superiore a sei mesi decorrenti dall'8 maggio 2013;
   il porto internazionale di Ancona ha un ruolo fondamentale per lo sviluppo della regione Marche e strategico nel contesto dei rapporti con i Paesi dei Balcani e di tutta la regione macro Adriatica;
   è sempre più necessario un governo dell'autorità portuale non più affidato alla gestione commissariale bensì agli ordinari organi previsti dalla legge;
   è importante che la scelta cada su persona inserita nella realtà socio-economica locale per definire sinergicamente con regione, provincia e comuni i progetti strategici per il rilancio del porto e per realizzare le indispensabili opere già avviate o programmate e quelle nuove per renderlo sempre più competitivo –:
   quali siano i motivi del ritardo della nomina del presidente dell'autorità portuale di Ancona e quando il Ministro competente intenda porre fine alla gestione commissariale e procedere, ai sensi della vigente legge n. 84 del 1994, alla nomina del presidente dell'autorità portuale di Ancona. (4-01736)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 15 giugno 2013, nella città di Milano, si è svolto un raduno di organizzazioni neonaziste all'insaputa dell'amministrazione locale;
   per i giorni 12, 13 e 14 settembre 2013 è annunciata una iniziativa analoga denominata «Festival Boreal» nella quale è prevista la presenza di esponenti del British National Party, del raggruppamento spagnolo Democracia Nacional, del Croato Hesp e di numerose altre forze europee note per le posizioni politiche di matrice neonazista;
   tale iniziativa si svolgerà in luogo ad oggi non pubblicizzato, ma verosimilmente nella provincia di Milano o di Monza Brianza, senza che nessun amministratore locale ne abbia avuto, anche in questo caso, notizia;
   numerose sono le prese di posizione di associazioni, sindaci, a partire da quello di Milano, affinché tale iniziativa non abbia svolgimento in quanto contraria, nei contenuti, alle leggi e lesiva dei principi della nostra Costituzione repubblicana;
   una richiesta di vietare tale raduno è stata anche formalizzata dall'Associazione nazionale partigiani d'Italia al prefetto e al questore di Milano –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza dello svolgimento dell'iniziativa «Festival Boreal» e se non ritenga opportuno aderire alla richiesta di vietare il raduno avanzata dall'Anpi, nonché di molte associazioni, sindaci e privati cittadini.
(2-00197) «Migliore, Daniele Farina».

Interrogazione a risposta orale:


   BIANCONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ad Arezzo, città toscana di circa 100.000 abitanti, si verificano da tempo ed in sistematica progressione gravissimi atti di delinquenza e di teppismo (rapine, aggressioni, danneggiamenti di beni pubblici e privati) nella ristretta cerchia territoriale del centro urbano, come una ancorché sommaria lettura delle cronache locali evidenzia;
   prefettura, questura, carabinieri, vigili urbani e altri corpi di polizia ad avviso dell'interrogante si dimostrano incapaci di fronteggiare, una situazione sul piano della difesa della legalità elementare che non oggettivamente particolarmente complicata: la città è a rete sociale orizzontale, non vi sono significative infiltrazioni malavitose, il senso civico è tradizionalmente sviluppato, non vi sono aree di disagio grave e diffuso, dovendosi fronteggiare solo un'imponente immigrazione non particolarmente connotata per tendenze delinquenziali;
   tuttavia il problema permane e si aggrava come dimostrano recentissimi episodi che viva impressione hanno generato, rendendo, attese le dimensioni e le abitudini cittadine pressoché impossibile una serena vita sociale e di relazione in pieno centro urbano –:
   quali siano le cause delle inerzie che a questi punti hanno condotto e le cause del mancato controllo del territorio che tanto devastanti conseguenze stanno provocando nel contesto sociale urbano e quali urgenti provvedimenti intenda prendere in proposito. (3-00285)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANNI FARINA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un altro contenzioso tra l'Italia e la Svizzera rischia di accrescere le frizioni tra i due Paesi confinanti. Da oramai alcuni anni le autorità doganali italiane delle frontiere tra il Ticino e la Lombardia, ricorrono al sequestro di auto con targa elvetica guidate da cittadini residenti in Italia;
   di questi casi si sono occupati i giornali del Canton Ticino, i quali hanno riportato testimonianze di automobilisti che si sono visti sequestrare l'auto. Addirittura è successo ad un giovane studente ticinese, iscritto all'università degli studi dell'Insubria, che aveva trasferito la residenza nella città di Varese. Essere figlio del proprietario dell'auto, e con delega a guidarla non è stato sufficiente per la Guardia di finanza italiana in dogana: guidare un'auto svizzera da parte di un residente in Italia senza un documento firmato da un notaio è da considerarsi contrabbando d'auto, secondo le norme comunitarie in materia di Passaggio alla frontiera di persone residenti nella Unione europea alla guida di autovetture immatricolate in paesi terzi per uso privato (si vedano: legge 26 ottobre 1995, n. 479 – Ratifica ed esecuzione della convenzione di Istanbul del 26 giugno 1990, sulla ammissione temporanea; articolo 216 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale; articoli 137 e seguenti del regolamento (CEE) del 12 ottobre 1992 n. 2913 del Consiglio che istituisce un codice doganale comunitario; articoli 559, 560 e 561 del Regolamento (CEE) del 2 luglio 1993 n. 2454, che fissa talune disposizioni d'applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario);
   ai sensi della normativa sopra riportata, è consentito il passaggio di persone con residenza nella Unione europea alla guida di autovetture immatricolate in Paesi terzi (es. Svizzera), in esonero dal pagamento dei dazi all'importazione (e di conseguenza dell'IVA, ai sensi dell'articolo 70 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 nr. 633), secondo le specifiche di seguito evidenziate:
    a) nel caso di uso a titolo occasionale e temporaneo, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 559 del regolamento (CEE) n. 2454/93, è previsto il beneficio dell'esonero totale dai dazi all'importazione in caso di emergenza. Tale fattispecie consente l'utilizzo dell'autoveicolo immatricolato all'estero da parte dei soggetti residenti nella Comunità, e non determina alcuna contestazione a carico dei medesimi, purché sia resa dichiarazione all'atto della introduzione nella Unione europea. Ovviamente il motivo di urgenza, che giustifica il possesso episodico dell'autoveicolo, deve essere debitamente comprovato dalla parte, soprattutto al fine del riscontro del periodo massimo di utilizzo (5 giorni);
    b) nel caso di locazione di mezzo di trasporto, con contratto stipulato con azienda estera, avente per oggetto sociale la locazione di autoveicoli per uso privato, ai sensi dell'articolo 560 del regolamento (CEE) n. 2454/93, è previsto l'esonero purché, all'atto dell'ingresso nella Unione europea, il soggetto esibisca copia del medesimo contratto all'autorità doganale, in quanto l'utilizzo di detto mezzo è consentito per un termine massimo di otto giorni dalla data di stipulazione del contratto;
    c) nel caso di utilizzo sistematico per motivi di lavoro, prevista dall'articolo 561, l'esonero è, invece, concesso su regolare e formale istanza, da presentare preventivamente, a cura dell'interessato (lavoratore frontaliero), all'autorità doganale competente, al fine dell'ottenimento dell'autorizzazione alla guida con validità biennale. A partire dal 15 gennaio 2011, per il rilascio delle autorizzazioni di cui sopra da parte degli uffici delle dogane di Como, Varese e Tirano, il soggetto interessato può presentare un'istanza documentata, ovvero un'istanza autocertificata, redatta ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, in cui, in particolare dichiari:
   a) di essere dipendente della ditta svizzera;
   b) di essere in possesso del permesso di lavoro e/o titolare di un contratto di lavoro stipulato con la ditta svizzera in cui è prevista l'utilizzazione, per motivi di lavoro, di veicoli aziendali;
   c) la mancanza di precedenti penali e amministrativi in campo doganale e fiscale;

   è l'articolo 207 del Codice della strada relativa ai veicoli immatricolati all'estero o muniti di Targa EE, a permettere il sequestro agli agenti della Guardia di finanza:
    a) quando con un veicolo immatricolato all'estero o munito di targa EE viene violata una disposizione del presente codice da cui consegue una sanzione amministrativa pecuniaria, il trasgressore è ammesso ad effettuare immediatamente, nelle mani dell'agente accertatore, il pagamento in misura ridotta previsto dall'articolo 202. L'agente trasmette al proprio comando od ufficio il verbale e la somma riscossa e ne rilascia ricevuta al trasgressore, facendo menzione del pagamento nella copia del verbale che consegna al trasgressore medesimo;
    b) qualora il trasgressore non si avvalga, per qualsiasi motivo, della facoltà prevista del pagamento di misura ridotta, egli deve versare all'agente accertatore, a titolo di cauzione, una somma pari alla metà del massimo della sanzione pecuniaria prevista per la violazione. Del versamento della cauzione è fatta menzione nel verbale di contestazione della violazione. La cauzione è versata al comando od ufficio da cui l'accertatore dipende. 2-bis. Qualora il veicolo sia immatricolato in uno Stato membro dell'Unione europea o aderente all'Accordo sullo spazio economico europeo, la somma da versare a titolo di cauzione, di cui al comma 2, è pari alla somma richiesta per il pagamento in misura ridotta previsto dall'articolo 202;
    c) in mancanza del versamento della cauzione di cui ai commi 2 e 2-bis viene disposto il fermo amministrativo del veicolo fino a quando non sia stato adempiuto il predetto onere e, comunque, per un periodo non superiore a sessanta giorni;

   questi casi molto diffusi in Italia, non si sono verificati per gli svizzeri che guidano auto italiane in Svizzera. Il divieto italiano applicato dalla Guardia di finanza sembra all'interrogante avere delle sanzioni sproporzionate –:
   se il Ministro intenda assumere le iniziative di competenza affinché:
    a) si persegua, anche nei casi in questione, il massimo di collaborazione tra le autorità istituzionali italiane e svizzere;
    b) si verifichi il numero dei casi di sequestro avvenuti secondo la tipologia di cui sopra;

   se risultino casi di cui sopra verificatisi in territorio elvetico riguardanti cittadini residenti in Svizzera alla guida di auto immatricolate in Italia;
   se intenda emanare disposizioni ai comandi della Guardia di finanza operanti presso le dogane tra l'Italia e la Svizzera per concordare il coordinamento delle informazioni tra gli agenti italiani e svizzeri in servizio nelle zone di confine al fine di ottenere uniformità di trattamento nei confronti di automobilisti che infrangono la normativa del codice della strada nei casi di cui sopra. (4-01727)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la chiesa monumentale di Santa Chiara edificata su Corso Tommaso Vitale a Nola (Na) nei primi decenni del XVIII secolo su progetto di Ferdinando Sanfelice è chiusa dal terremoto del 1980 per le lesioni e i gravissimi dissesti statici riportati dalle fabbriche a seguito del sisma;
   l'edificio di grande interesse storico-artistico è di proprietà del Fondo Edifici di Culto (FEC) sotto il controllo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell'interno che dovrebbe provvedere con le cospicue risorse a disposizione del Fondo stesso a finanziare interventi di restauro, conservazione, manutenzione delle strutture architettoniche e promuovere, altresì, la conoscenza e il rispetto dei suoi eccezionali beni mobili attraverso adeguati atti tecnici, normativi e amministrativi nonché mediante progetti di studio e ricerca a supporto delle attività di tutela e valorizzazione;
   oltre alla chiesa di Santa Chiara che costituisce un immenso patrimonio culturale, sotto la responsabilità del FEC sono, infatti, le centinaia di opere d'arte di inestimabile valore, i manufatti di arte applicata e gli arredi ecclesiastici provenienti dall'edificio monumentale che costituiscono splendidi esempi di artigianato artistico orafo, ligneo e tessile;
   contravvenendo però alle esigenze di protezione, tutela, gestione e fruizione pubblica dei beni culturali di un organo personificato dello Stato, la direzione centrale per l'amministrazione dei Fondo edifici di culto non ha mai provveduto a individuare, riconoscere e catalogare questi straordinari tesori d'arte del demanio culturale;
   a seguito del terremoto, pregevoli tele insieme a sculture policrome, intagli dorati, marmi intarsiati, strumenti musicali, mobili, suppellettile claustrale, ceramiche, libri antichi e preziosi materiali archivistici sono stati trasferiti dalla chiesa di Santa Chiara e abbandonati, senza alcun tipo di inventariazione o catalogazione, nei depositi della soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei, dove soffocano – secondo fonti giornalistiche – in locali malsani e insicuri a Cimitile (Na) e nelle rimesse del Museo delle Canossiane in via Senatore Cocozza a Nola (Na);
   non censiti sono importanti dipinti e preziosi paramenti della chiesa di Santa Chiara, trasportati e ammassati nei magazzini della chiesa di «Santa Croce e San Francesco» a Nola, anch'essa di proprietà del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'interno (cod. CH00407);
   senza adeguate forme di conoscenza e protezione sono decine di sculture lignee settecentesche con scarabattoli, cassettiere e manufatti liturgici, ammucchiati nella sagrestia della chiesa monumentale il cui unico accesso, peraltro, è stato inopportunamente murato, pregiudicando in modo irreversibile le condizioni di conservazione dei beni alloggiati;
   non inventariato o classificato è anche un importante nucleo sei-settecentesco di dipinti a carattere sacro, di medio formato, di proprietà demaniale secondo la documentazione del Ministero dell'interno, trasferito senza alcuna autorizzazione dalla chiesa all'attiguo istituto scolastico;
   peraltro dalla documentazione in possesso della prefettura di Napoli e della soprintendenza speciale per il PSAE e per il polo museale della città di Napoli risulta inoltre che antiche oreficerie e preziosi argenti di proprietà demaniale, provenienti dalla chiesa di Santa Chiara, siano stati assegnati in comodato d'uso a istituzioni locali ma, inspiegabilmente, non sono stati né recuperati né schedati né catalogati come manufatti del demanio culturale, arrecando colpevoli ammanchi al patrimonio dello Stato;
   i ritardi e le inadempienze amministrative oltre a creare un danno di immagine al Ministero, incapace di gestire il suo stesso patrimonio, stanno provocando gravissimi guasti conservativi oltre che economici alle opere d'arte di proprietà statale che, in una situazione di estrema confusione e incertezza, continuano ad essere oggetto di dispersioni e delle attenzioni dei predatori;
   da anni le associazioni culturali del territorio stanno sollecitando la direzione centrale per l'amministrazione del Fondo edifici di culto (in particolare le aree I, II, III Servizio I) affinché avvii un accertamento e una ricognizione completa dei beni custoditi o di pertinenza della chiesa allo scopo di determinarne l'esatta consistenza patrimoniale e il valore culturale, non ricevendo però alcun tipo di riscontro –:
   quali provvedimenti urgenti il Ministero dell'interno, come ente proprietario della chiesa di Santa Chiara di Nola (Na), intenda adottare per la conoscenza, la catalogazione, la conservazione e la valorizzazione dei beni mobili dell'edificio monumentale;
   quali interventi di verifica e controllo il Ministero dell'interno intenda intraprendere per accertare in base alla documentazione cartacea e fotografica la presenza e l'ubicazione di tutti i beni al fine di poter riscontrare e segnalare, quanto prima, i numerosi ammanchi al Nucleo di tutela del patrimonio artistico e alla competente autorità giudiziaria;
   quali obblighi o prescrizioni il comune di Nola (Na), come ente comodatario della chiesa di Santa Chiara, sia tenuto ad osservare per la consegna, la custodia e la conservazione dell'intero patrimonio culturale mobile dell'edificio sacro;
   quali siano i nomi dei consegnatari del patrimonio culturale mobile e immobile della chiesa di Santa Chiara, se siano sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, se debbano rendere il conto giudiziale della loro gestione alla Corte dei conti alla fine di ogni anno finanziario;
   quali siano state le modalità operative intraprese dal Ministero della difesa per avviare le attività di controllo sulla scomparsa e sui trafugamenti delle opere d'arte di proprietà statale dalla chiesa di Santa Chiara di Nola (Na). (4-01730)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   facendo seguito all'appello ANCI Umbria che da anni si batte per mantenere la scuola sui territori, chiediamo che venga garantita un'istruzione di qualità;
   nonostante l'azione forte e determinata ci si trova alla vigilia del nuovo anno scolastico con situazioni di emergenza scolastica, con comuni che presentano scuole in sofferenza o che rischiano di scomparire, soprattutto perché l'aumento delle pluriclassi fa aumentare l'esodo verso i grandi centri;
   essendo documentato che la chiusura di una scuola fa aumentare la marginalità dei territori, scelta gravissima per l'Umbria, è necessario che il Governo si impegni ad assegnare organico per gestire almeno le situazioni di sofferenza segnalate;
   ormai non si contano le sezioni chiuse negli scorsi due anni e le situazioni di difficoltà;
   le pluriclassi attualmente sono circa 90 in Umbria e necessitano di organico aggiuntivo per garantire una didattica di qualità, non vanno comunque misconosciute le capacità di quegli insegnanti che hanno saputo «fare scuola» anche nelle pluriclassi, ma c’è una tendenza negativa che porta i genitori a trasferire in altra scuola, senza pluriclasse, i propri figli;
   altra questione riguarda le liste d'attesa nelle scuole dell'infanzia dei piccoli centri, che non possono essere trattate alla stessa stregua delle liste di attesa dei grandi comuni: pur non trattandosi di scuola dell'obbligo, se le richieste non vengono evase, si favorisce la fuga delle future iscrizioni alla scuola primaria;
   i comuni chiedono che la scuola resti sui territori, che venga potenziata, assicurando il diritto allo studio a tutti i cittadini, indipendentemente dal luogo in cui si vive;
   è necessario che lo Stato garantisca l'istruzione capillare e uniforme sul territorio nazionale; ad oggi le risposte e le scelte hanno privilegiato un accentramento che non produce alcun beneficio a nessuno dei soggetti interessati, ma che impoverisce il sistema scolastico dentro uno schema in cui le responsabilità vengono rimpallate e in cui non si fa il benché minimo sforzo per garantire quella protezione territoriale che diventa anche protezione sociale. Anche quando si potrebbe fare qualcosa, anche quando si tratta di scegliere, seppur in una condizione difficile e complessa si privilegia l'accentramento nella logica dei grandi numeri;
   c’è bisogno di un azione sistemica, ma c’è bisogno anche di interventi puntuali e minimali, concreti immediatamente programmabili e realizzabili che produrrebbero benefici immediati su tutto il sistema, scelte che possono essere compiute e che fanno riferimento a precise responsabilità politiche;
   salvare le scuole dei piccoli comuni significa lasciare presidi territoriali, evitare congestioni a livello centrale, garantire una didattica ricca perché proporzionata e pluricentrica, salvaguardare gli investimenti fatti dai piccoli e grandi comuni in termini di sicurezza e messa a norma degli edifici e di garanzia di servizi di qualità connessi al sistema scolastico. In questo caso la sordità produrrebbe ulteriori danni ad un organismo che già ha bisogno di cure, non possiamo consentirci di svegliarci tra qualche anno con un sistema scolastico disintegrato fondato sullo spreco. Sullo spreco perché per risparmiare attraverso tagli indiscriminati si perdono eccellenze e riferimenti importanti per garantire appunto pluralità e valorizzazione dei territori minori obiettivi da più parti richiamati come fondamentali nella prossima programmazione europea;
   la scuola dei piccoli centri non deve essere trattata come deroga ma con leggi e risorse specifiche, con una strategia di tutela e valorizzazione della permanenza delle popolazioni su territori definiti marginali, ma di grande importanza in merito alla gestione delle risorse naturali, alla qualità territoriale e alla coesione sociale –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto per:
    a) considerare le scuole dei comuni montani con una normativa specifica, e non più come deroga, assicurando nella dotazione organica assegnata dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca la copertura per le scuole montane, stabilendo priorità nella assegnazione dell'organico a cura degli uffici scolastici regionali;
    b) abbassare il parametro di costituzione della pluriclasse nelle scuole di comuni montani, che al momento è fissato in un massimo 18 alunni, per evitare la creazione di pluriclassi comprendenti più gruppi di alunni di età diverse, anche non contigue;
    c) abbassare il numero minimo di alunni per classe attualmente a 10 per i comuni montani, portandolo almeno a 6-8 alunni;
    d) valutare l'attivazione di sezioni per la scuola dell'infanzia con numero di 10 alunni nei comuni montani come previsto dal decreto ministeriale n. 176 del 1997;
    e) affrontare il problema delle liste di attesa alla scuola dell'infanzia anche nei piccoli comuni, spesso privi di altri servizi per l'infanzia:
    f) definire l’«ottimale dimensionamento» della rete scolastica attraverso criteri e parametri e non solo il numero degli alunni cercando di coniugare le istanze degli enti locali con l'esigenza di una qualità del servizio;
    g) investire nella formazione degli insegnanti che lavorano nelle pluriclassi, al fine di garantire un insegnamento di qualità e condizioni adeguate per l'innovazione didattica;
    h) garantire la «continuità» pluriennale degli insegnanti nelle scuole di montagna, legando la concessione di punteggi aggiuntivi ad una effettiva continuità di servizio, secondo criteri da concordare tra le parti sociali;
    i) impegnare le regioni, come già avviene in alcune parti di Italia, a sostenere progetti innovativi volti a superare le «sofferenze» di organico (docente e personale ATA) nelle piccole scuole nell'ottica di sostenere, potenziare e valorizzare questi presidi educativi, strettamente legati al loro territorio;
   se il Governo ritenga opportuno istituire un gruppo di lavoro interistituzionale per «la scuola di montagna e la montanità» che potrebbe rivelarsi opportuno strumento per la programmazione educativa del territorio.
(2-00196) «Giulietti».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a partire dall'anno accademico 2001/02, in occasione della riforma dei corsi di studio universitari, la facoltà di agraria dell'università Mediterranea di Reggio Calabria si è stabilmente insediata nell'area di Lamezia Terme presso il Centro servizi avanzati ricerca, formazione, sviluppo agro-alimentare della Calabria spa ora fondazione di ricerca mediterranea «Terina», nell'intento di ampliare, anche mediante una progettazione didattica mirata, il proprio bacino d'utenza e di attività in direzione delle aree centro-settentrionali della regione;
   a seguito del riordino della proposta didattica, intervenuto ai sensi del decreto ministeriale n. 270 del 2004, la facoltà ha ritenuto di finalizzare la propria presenza sull'area con il corso di laurea in produzioni agrarie in ambiente Mediterraneo, ridefinendo allo stesso tempo la sede e la strutturazione delle attività didattiche, ai sensi di un protocollo d'intesa a tre, siglato con il comune di Lamezia Terme e la fondazione Mediterranea Terina;
   a partire dal secondo semestre dell'anno accademico 2009/10 le lezioni frontali sono state trasferite presso lo storico palazzo Blasco, nuova sede del corso di laurea, al centro di Lamezia Terme messo a disposizione dal comune, mentre presso la Fondazione Terina avrà luogo l'espansione delle attività di supporto, con laboratori didattici e campi sperimentali, nonché la localizzazione delle attività seminariali e di formazione post-universitaria (master di primo secondo livello);
   la Fondazione Terina è sede del laboratorio tecnologico regionale sulla qualità e sicurezza degli alimenti e le nuove tecnologie (QuaSicaTec), afferente al DiStafa dell'università di Reggio Calabria e concorre al dottorato di ricerca in chimica e tossicologia degli alimenti con sede amministrativa presso l'università di Perugia. È inoltre sede di attività di alta formazione per il settore agro-alimentare e del Laboratorio fitopatologico. In tale ambito ospita la scuola di fisiopatologia della società italiana di patologia vegetale;
   in un contesto di sviluppo di sinergie su base territoriale, dall'anno accademico 2009/10, sono state rafforzate mediante apposite convenzioni, le attività di tirocinio e stage, al fine di dare maggior peso alle attività di formazione degli studenti in azienda. In tal senso è significativa la convenzione siglata con la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Crotone che, nell'ambito del proprio programma di difesa integrata in viticoltura e allo scopo di avviare un percorso formativo specialistico per tecnici del settore vitivinicolo, finanzia periodi di stage residenziali presso aziende vitivinicole del comprensorio dei vini DOC Cirò e Melissa, rivolti agli studenti del polo didattico di Lamezia Terme, con l'assistenza di tutor agronomi ed in collaborazione con i docenti della facoltà;
   da notizie di stampa (www.lamezianuova.it «Lamezia Terme, chiude la Facoltà di agraria: la protesta degli studenti») si apprende che la sede distaccata della facoltà di agraria dell'università di Reggio Calabria potrebbe essere chiusa. L'articolo riferisce che «La decisione di chiudere il polo lametino sembra essere legata, così almeno trapela dall'Ateneo reggino, a quel programma di riorganizzazione universitaria determinato dalla riforma Gelmini, poi divenuta legge, che prevede la cancellazione o, nella migliore delle ipotesi, l'accorpamento di tutte quelle facoltà che non raggiungono requisiti sufficienti in termini di numero di iscritti, strutture e personale. Al momento la facoltà di Agraria conta 130 studenti, eterogenei per provenienza in quanto trattasi di ragazzi provenienti da diverse province della Calabria, e lo stesso corso di laurea, paradossalmente, stava registrando una crescita in quanto ad iscrizioni e persone interessate. Non esistono al momento certezze che facciano propendere verso una chiusura inevitabile piuttosto che nel senso contrario, ma gli stessi studenti che frequentano il polo lametino hanno informato che per il prossimo anno accademico non è stata inviata al Ministero un'offerta formativa relativa a questo corso di laurea, per cui, ad oggi, nessuno potrà iscriversi per il prossimo anno»;
   l'eventuale chiusura della facoltà di Lamezia Terme sarebbe pertanto del tutto ingiustificata considerato il numero degli iscritti, superiore ad altre facoltà che fanno capo alla sede di Reggio Calabria, per non parlare poi della rilevanza strategica che può vantare Lamezia Tenne: innanzitutto da un punto di vista geografico, essendo una città facilmente raggiungibile da diverse zone della Calabria; ma soprattutto da un punto di vista lavorativo e produttivo. Lamezia è infatti una realtà particolarmente florida per ciò che concerne la presenza di aziende agricole, contesti ideali per offrire stage o tirocini, con passibilità di lavoro, per chi ha appena concluso un percorso di studi come quello in produzioni agrarie in ambiente mediterraneo;
   il sindaco di Lamezia Terme, Gianni Speranza, intervenendo con un comunicato stampa pubblicato il 5 settembre 2013 dall'Ansa contro la chiusura della facoltà, ha dichiarato che: «Queste scelte, se non verranno cambiate nei prossimi mesi e nei prossimi anni bloccheranno tutto il lavoro fatto dall'Amministrazione comunale che ha portato nel centro storico della città la facoltà di Agraria. (...) La sede lametina della facoltà di Agraria dell'Università Mediterranea di Reggio Calabria è nata infatti grazie agli accordi di fattiva collaborazione promossi e sottoscritti dal Comune di Lamezia Terme con la facoltà di Agraria di Reggio e con la Fondazione Terina. Il comune ha messo subito a disposizione uno dei palazzi storici della città: il Palazzo Blasco, in via Ginnasio nel centro storico. Questi accordi, frutto anche dell'impegno della professoressa Giovanna De Sensi Sestito, in tempi diventati sempre più critici per l'Università, hanno consentito non solo di mantenere nel territorio lametino un'esperienza di formazione universitaria importante, ma di trasformarla in un corso di laurea specifico del Polo. (...) Si trattava infatti di un corso di studio che ha la capacità di formare le professionalità necessarie a far fare un salto di qualità all'economia agricola calabrese, a sostenere le imprese di punta del settore che operano nella piana lametina, a realizzare compiutamente quel polo scientifico di eccellenza sulla filiera agroalimentare che la Regione ha assegnato a questo territorio riconoscendone la specifica vocazione storica e la prospettiva occupazionale e di sviluppo che esso rappresenta. (...) Il comune si è impegnato in questi anni per consolidare la presenza dell'Università che ha ottenuto riscontri positivi e un numero di iscrizioni in linea con quello degli altri corsi di laurea della facoltà (...) e ha fatto di tutto per evitare la chiusura del corso di laurea. (...) Ma è evidente fin da ora, che se non cambieranno le norme sull'accreditamento attualmente in vigore nell'Università, se non ci sarà un significativo intervento finanziario da parte della Regione che integri e sostenga gli sforzi già portati avanti dal comune e dall'Università e se non ci sarà una programmazione di medio-lungo periodo dell'Università Mediterranea per un suo radicamento, a partire dall'esperienza fin qui condotta, nel territorio lametino, difficilmente le cose potranno cambiare» –:
   se sia confermata la notizia relativa alla chiusura della facoltà di agraria di Lamezia Terme e, in particolare, la notizia che non sia stata inviata al Ministero un'offerta formativa relativa al corso di laurea in agraria e, in tal caso, se, nell'ambito delle proprie competenze, intenda intraprendere iniziative urgenti per evitare la penalizzazione non solo del territorio lametino e della provincia di Catanzaro, ma dell'intera Calabria che, nel settore dell'agricoltura, anche per merito di tale facoltà universitaria, ha saputo rappresentare un punto di eccellenza, soprattutto per alcune colture quali il florovivaismo, l'olivicoltura, la vitivinicoltura e l'agrumicoltura. (5-00953)

Interrogazione a risposta scritta:


   PISICCHIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 240 del 2010 (la cosiddetta «Gelmini») incentivava la mobilità dei professori universitari (articolo 7, comma 3) mediante l'istituto dello «scambio contestuale» tra docenti in possesso della stessa qualifica, scambio incoraggiato anche per rispondere alle esigenze didattiche degli atenei in un momento in cui le procedure di reclutamento dei docenti attraverso i concorsi risultavano ferme dal 2008;
   la legge n. 35 del 2012 (articolo 49, comma 1, lettera c) ha cassato quella norma che prevedeva lo scambio contestuale, per motivi, in verità, incomprensibili;
   la CRUI (Conferenza dei rettori delle università italiane) ha più volte ribadito la necessità di ripristinare quella previsione contemplata dalla legge «Gelmini», formalizzando anche documenti in cui si sottolinea che la possibilità dello scambio contestuale tra docenti rappresenta una priorità assoluta per le politiche di reclutamento dei docenti –:
   quali urgenti interventi intenda adottare al fine di consentire il ripristino dell'istituto dello scambio contestuale tra docenti, per venire incontro ad una esigenza particolarmente avverata dalle università italiane. (4-01728)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la cipolla rossa di Tropea Calabria è stata iscritta all'elenco europeo delle «Denominazioni di origine e indicazioni geografiche protette» il 28 marzo 2008 con Reg. CE n. 284/2008 della Commissione;
   la certificazione ha l'obiettivo di tutelare il consumatore, essendo attribuita agli alimenti che per qualità e caratteristiche sono dipendenti dal luogo di produzione; ciò implica da parte degli operatori particolari prescrizioni previste dal piano dei controlli e dalle disposizioni del Disciplinare di Produzione il quale riporta l'area ad indicazione geografica protetta, la storia e le tecniche colturali del prodotto, detta nella fattispecie quelle che sono le regole da seguire, da parte delle imprese produttrici e confezionatrici, nella fase produttiva e di confezionamento della cipolla rossa di Tropea Calabria indicazione geografica protetta;
   la cipolla rossa di Tropea è coltivata da più di duemila anni lungo la fascia tirrenica della Calabria, nella zona tra le province di Vibo Valentia e Cosenza, in particolare nel territorio dei comuni che vanno da Amantea, Campora San Giovanni fino a Briatico, Tropea e Capo Vaticano e Nicotera; tale prodotto risulta particolarmente utile per prevenire malattie legate alla circolazione sanguigna;
   alcune agenzie di stampa locali riportano una preoccupante situazione, in particolare nelle provincia di Vibo Valentia e zone limitrofe, in cui una tipologia di cipolla rossa viene, in maniera fraudolenta, etichettata ed esportata come «cipolla rossa di Tropea»;
   risulta, pertanto, particolarmente importante il controllo svolto dai nuclei antifrodi nei confronti della contraffazione e commercializzazione di prodotti venduti come «cipolla rossa di Tropea a marchio IGP», ma che nulla hanno a che fare con questa produzione di eccellenza calabrese;
   a supporto di quanto riferito si riportano i dati diffusi dalla Coldiretti che evidenziano come, a fronte di una produzione in Calabria di «cipolla rossa di Tropea» di circa 200 mila quintali, venga immessa sul mercato una quantità di prodotto superiore al milione di quintali;
   questo surplus di commercializzazione si può spiegare esclusivamente attraverso l'esistenza di reati di frode alimentare che, naturalmente, devono essere in ogni modo perseguiti;
   interventi tempestivi e maggiori controlli potrebbero portare a sanzionare e debellare queste attività criminali che stanno causando un grave danno ai produttori onesti. Infatti, la filiera della cipolla rossa di Tropea svolge un ruolo positivo nell'economia regionale della Calabria che ha giustamente ritenuto necessario basare la sua politica economica anche sulle grandi opportunità che può offrire, in un momento di difficile congiuntura economica, il settore reale per eccellenza: l'agricoltura;
   i fatti esposti sono ad avviso dell'interrogante preoccupanti e richiedono una immediata verifica al fine di salvaguardare il prodotto di eccellenza a marchio IGP «cipolla rossa di Tropea» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda promuovere per contrastare il fenomeno della contraffazione dei prodotti agroalimentari e, in particolare, della cipolla rossa di Tropea a marchio Igp;
   se non ritenga opportuno costituire un tavolo di crisi che coinvolga gli attori della filiera di produzione della «cipolla rossa di Tropea», la regione Calabria e gli enti locali interessati al fine di concordare iniziative di sostegno al settore. (5-00946)


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   sul Sole 24 ore del 17 agosto 2013 è stato pubblicato un articolo in cui veniva evidenziato il mancato utilizzo di ben 16 milioni di euro di fondi comunitari sui 102 stanziati per l'anno in corso in merito alla promozione del vino;
   alla luce di un continuo calo dei consumi interni e con un settore sempre più dipendente dalle esportazioni la mancata valorizzazione e promozione di una nostra eccellenza, come quella del vino, diventa una occasione sprecata anche in termini di sviluppo;
   esiste una precisa responsabilità delle regioni in quanto le risorse impegnate per il piano nazionale sono state interamente utilizzate mentre dei 71 milioni previsti per le regioni quasi un quarto rimane ancora giacente;
   per l'Unione italiana vini si è parlato senza mezzi termini di un «flop annunciato» anche perché già l'anno scorso le regioni avevano mostrato difficoltà ad utilizzare le risorse finanziarie a disposizione;
   Puglia, Sicilia, Basilicata e Calabria hanno ancora a disposizione risorse da poter impiegare nella promozione del vino;
   anche in vista di una annata qualitativamente straordinaria che si sta per avviare diventa fondamentale cercare di migliorare le capacità di impiego delle risorse a disposizione soprattutto in una fase di crisi come quella che stiamo attraversando –:
   se e quali iniziative intenda promuovere per rafforzare le capacità di impiego dei fondi dell'Unione europea per la promozione del vino al fine di non sprecare opportunità di sviluppo in un settore di eccellenza della nostra agricoltura.
(5-00949)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 22 luglio il peschereccio «Zeus» della marineria di Scoglitti, in provincia di Ragusa, sarebbe stato fermato in acque internazionali da una motovedetta maltese, sotto la minaccia dei mitra e avrebbe poi subìto una perquisizione a bordo da parte di autorità maltesi;
   appaiono essere di particolare gravità sia l'utilizzo della minaccia armata, sia il fatto che il controllo sia stato effettuato in acque internazionali, e quindi in difetto di competenza da parte delle autorità maltesi;
   l'episodio che ha interessato il peschereccio Zeus ha, purtroppo, una lunga serie di precedenti uno dei quali, particolarmente delicato, aveva interessato il sequestro del peschereccio «Sparviero» di Portopalo di Capo Passero, avvenuto ad opera delle autorità di Malta nei primi giorni di luglio, con tre unità d'equipaggio (compreso il capitano) costrette in stato di fermo sulla loro imbarcazione nel Porto dell'isola, e che, nel processo ivi condotto per direttissima ha visto la condanna del comandante a pagare 32.000 euro, suscettibili di aumentare a 116.000 se non pagati in tempo, perché l'imbarcazione avrebbe sconfinato per due miglia;
   ancora, alla fine del mese di luglio, sono state sequestrate sia l'imbarcazione di Licata «Principessa Prima», sia la motopesca «La Madonnina» di Scoglitti, il cui comandante ha dichiarato di non trovarsi nelle acque territoriali maltesi al momento del sequestro e l'intenzione di presentare un ricorso alla Corte europea, entrambe rientrate in Italia solo dopo il pagamento di una multa;
   i nostri pescatori già vivono un momento di fortissima crisi, dovuta non solo alla congiuntura economica ma anche alla proclamazione della zone economica esclusiva di Malta grazie alla quale i suoi pescatori hanno a disposizione esclusiva ben 25 miglia di acque;
   la distanza fra Sicilia e Malta è di appena 43 miglia, e la flotta dei pescherecci maltesi è costituita da poche decina di unità, a fronte delle migliaia di pescherecci siciliani, ed appare, quindi, di tutta evidenza come lo spazio marino a disposizione delle nostre imbarcazioni sia assolutamente incongruo;
   i nostri pescatori, infatti, possono navigare e pescare solo in spazi ristretti, pari a 18 miglia (12 miglia di acque territoriali italiane e 6 di acque internazionali) rispetto ai maltesi, che hanno a disposizione ben 31 miglia (25 di ZEE e 6 di acque internazionali) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa, e quali opportuni ed urgenti provvedimenti intendano assumere al fine di garantire sia la sicurezza dei nostri pescherecci e dei nostri pescatori, sia il rispetto delle norme che regolano il traffico marittimo, tutelando le imbarcazioni dei nostri pescatori da eventuali abusi perpetrati ai loro danni nelle acque internazionali;
   se non ritengano di avviare gli opportuni contatti nelle competenti sedi internazionali, al fine di addivenire ad una compiuta regolamentazione degli spazi marittimi nell'Adriatico, e affinché ai nostri pescherecci sia consentito uno spazio per la pesca adeguato alle nostre flotte, sanando eventuali disparità di trattamento attualmente in essere. (4-01738)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   SILVIA GIORDANO, MANTERO, LOREFICE, DI VITA, CECCONI, GRILLO, DALL'OSSO, LUIGI GALLO, FICO, LUIGI DI MAIO, COLONNESE, TOFALO, SIBILIA, MICILLO, PISANO e SORIAL. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   alle ore 13:40 di martedì 3 settembre presso il Pronto Soccorso dell'ospedale Ruggi d'Aragona di Salerno si è spenta la vita di un uomo quarantaduenne, senza tetto, affetto da HIV;
   potrebbe sembrare l'ennesimo caso di malato che giunge al termine di un percorso di sofferenze che altra soluzione non trova se non la morte;
   purtroppo stavolta la sanità pubblica potrebbe avere delle grosse responsabilità in merito perché quell'uomo era stato portato al Pronto Soccorso del suddetto Ospedale la sera di lunedì 2 settembre alle ore 20:22, fortemente disidratato e con febbre alta;
   il quadro clinico del paziente si era presentato subito molto delicato e complesso e necessitava di un ricovero, tra l'altro, in isolamento;
   invece è rimasto negli angusti spazi di quel pronto soccorso fino al raggiungimento della morte;
   oltre diciassette ore senza trovare un posto letto libero in una regione in cui la sanità pubblica ha raggiunto livelli assistenziali a dir poco indecenti;
   non c'erano posti letto per poterlo ricoverare, non solo nel reparto salernitano di «Infettivi», ma anche al «Moscati» di Avellino e al «Cotugno» di Napoli. Paradossalmente in quest'ultimo, la disponibilità sarebbe arrivata mezz'ora dopo il decesso;
   il primario del reparto «Infettivi» all'ospedale «Ruggi d'Aragona» aveva ripetutamente sollecitato la direzione generale sia verbalmente che per iscritto, nell'ultimo anno, affinché potesse essere riaperto il secondo piano della divisione, chiuso per lavori di restyling che avrebbero dovuto partire quasi due anni fa. In questo reparto, a fronte dei 42 posti letto iniziali e dei 35 previsti dal piano regionale, ne sono rimasti solo 16, per un'azienda ospedaliera che resta il punto di riferimento non solo per la provincia di Salerno;
   la direzione generale risponde, dopo l'accaduto, che non avendo personale a disposizione, nessun posto letto può essere attivato;
   è necessario attivarsi affinché non restino impunite eventuali responsabilità –:
   di quali elementi disponga in merito a quanto riportato in premessa e quali iniziative di competenza si intendano adottare al fine di fare chiarezza in merito a quanto descritto in premessa anche con riferimento a possibili rischi di contagio per altri pazienti;
   se sia stato fatto tutto il possibile per aiutare una persona malata a non morire nel Pronto Soccorso di un Ospedale dopo diciassette ore di inutile attesa per un ricovero che la Sanità Pubblica non riesce più a garantire in Campania;
   se non ritenga che il continuo e a volte incomprensibile taglio dei posti letto e delle risorse da devolvere al sistema sanitario nazionale possa essere tra le cause che determinano fatti drammatici e inaccettabili come quello accaduto a Salerno. (4-01743)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società americana Forest-Cmi S.p.A, filiale della Forest Oil Corporation ha presentato un progetto che interessa l'area del comune di Bomba (CH) in Abruzzo;
   esso prevede lo sviluppo del campo gas Monte Pallano, tramite la perforazione e la messa in produzione di cinque pozzi e la realizzazione di un impianto per il trattamento del gas estratto;
   l'area interessata dalla Forest Oil, oltre ad essere vicinissima a 2 importanti zone di interesse comunitario è totalmente ricompresa in un'area di interesse archeologico, in cui è stato portato alla luce un inestimabile patrimonio di resti di epoca ellenistico romanica;
   la proposta della multinazionale americana, dopo un'analisi attenta e circostanziata, aveva ottenuto la netta e motivata opposizione dei cittadini dei comuni della Val di Sangro, riunitisi nel comitato di gestione partecipata del territorio, e la ferma contrarietà dei rappresentanti istituzionali del territorio (la provincia di Chieti e 19 comuni del Sangro-Aventino);
   lo scorso aprile anche il Comitato di coordinamento regionale per la valutazione di impatto ambientale aveva dato parere contrario al progetto ma con una relazione eccessivamente succinta che non teneva in considerazione le numerose osservazioni tecniche (raccolte in un documento di circa 100 pagine) prodotte dai membri del comitato. A seguito di tale relazione la Forest Oil ha avuto gioco facile nel demolire la decisione del comitato regionale e, allo stato attuale, si rischia che l'ultima parola passi direttamente al Ministero dello sviluppo economico, negando in tal modo alle comunità locali la possibilità di scegliere quale futuro dare al proprio territorio –:
   se intenda convocare ad un tavolo nazionale una delegazione del comitato di gestione partecipata del territorio e delle associazioni ambientaliste che hanno dato parere contrario alla realizzazione del progetto;
   come intenda procedere per evitare che tale progetto comprometta le prospettive di un percorso di crescita equilibrato che può determinare il benessere delle comunità locali nel rispetto della storia, della cultura, delle tradizioni e del patrimonio naturalistico del territorio con una spiccata vocazione turistica. (4-01732)


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane al centro di smistamento di Fiumicino (RM) sono stati fermi per vari giorni circa 11 mila quintali di posta: 5 milioni di lettere e 3 mila quintali di raccomandate;
   a denunciare la gravissima situazione è stata una organizzazione sindacale che lo scorso febbraio non ha firmato con Poste italiane il piano di riorganizzazione che prevede, dal 10 giugno scorso ed entro il 7 ottobre, il taglio di quasi seimila portalettere, di 4.600 zone di recapito – che vengono unite alle altre – e di 1.407 centri di meccanizzazione e la consegna a giorni alterni nei centri con meno di 20 mila abitanti;
   il risultato di questo grave disservizio è stato che interi quartieri di Roma non hanno ricevuto corrispondenza, e sono stati registrati numerosi ritardi nelle città italiane;
   enormi i disagi creati a singoli cittadini da pubbliche amministrazioni che minacciano ora azioni legali nei confronti di Poste italiane per i danni creati da questi ritardi –:
   se non intenda assumere iniziative al fine di promuovere una revisione del piano di riorganizzazione di Poste italiane che ha provocato gravissimi danni a singoli cittadini, aziende pubbliche e private per evitare che disservizi di questo tipo si ripetano in futuro. (4-01733)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Lenzi n. 4-01248, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Miotto.

  L'interrogazione a risposta scritta Daniele Farina n. 4-01626, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 agosto 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Migliore.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo e cambio del presentatore.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Basilio e altri n. 4-01654 dell'8 agosto 2013 in interrogazione a risposta in Commissione Artini e altri n. 5-00945.