Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 2 agosto 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la chimica è un comparto produttivo essenziale per il sistema industriale del Paese. Non vi è settore industriale che non sia fortemente legato alla chimica, e tra questi spiccano proprio quei settori del made in Italy: dall'agro-alimentare, all'industria tessile, delle calzatura e della moda, al settore del mobile e dell'arredamento, al settore della meccanica di precisione, al bio-medicale, senza peraltro dimenticare i settori più tradizionali e radicati quali ad esempio l'industria automobilistica, edile, dell'elettrodomestico, della ceramica, della carta, agli imballaggi, all'agricoltura;
    l'Italia, è tra i Paesi europei più industrializzati, quello con il più elevato deficit della bilancia commerciale sia nell'insieme del settore chimico, nel 2012 circa 10 miliardi di euro, sia della chimica di base, 12,5 miliardi di euro (a livello europeo la chimica e la chimica di base registrano, invece, surplus pari, rispettivamente a 44 miliardi e 12 miliardi di euro). I comparti delle pitture e dei detergenti e cosmetici sono quelli che registrano il maggior surplus (circa 2,5 miliardi di euro) che attenua il disavanzo registrato dall'intero comparto;
    da un punto di vista dell’export, l'industria chimica Italiana, pur registrando un deficit nella bilancia commerciale, mostra una propensione al commercio con l'estero; nel periodo 1990-2009 il rapporto tra export e produzione totale è passato dal 18 per cento al 40 per cento, e la sua incidenza sul totale dell’export dell'industria manifatturiera italiana è cresciuta da poco più del 6 per cento nel 2000, fino a sfiorare il 10 per cento nel 2011;
    il processo di dismissioni, attuato dall'Eni negli ultimi decenni, ha provocato gravi conseguenze non soltanto dal punto di vista occupazionale e per la bilancia commerciale di settore, ma anche per la competitività del comparto e dell'intero sistema produttivo del Paese;
    la chimica italiana rappresenta una parte rilevante del panorama della ricerca e dell'innovazione: in assenza di grandi investimenti, il settore produce oltre il 20 per cento dei brevetti dell'industria manifatturiera ed impiega oltre 4.000 addetti in ricerca e sviluppo;
    la ridotta presenza di investimenti in ricerca e innovazione si concretizza nell'annunciato taglio al Centro ricerche G. Natta di Ferrara e nella ridefinizione del cracker di Marghera. Il piano Versalis sui territori da essa presidiati (Sicilia, Mantova, Ravenna, Ferrara) si inserisce in questo quadro strutturale, reso più urgente dalle novità che nel settore della chimica, dei materiali plastici e delle specialties, si stanno orientando le attenzioni e la ricerca dei grandi gruppi europei, che non rinunciano alla petrolchimica e contemporaneamente guardano ai possibili terreni competitivi dei prossimi anni;
    l'importanza dell'industria chimica in Italia dal punto di vista dell'occupazione è fortemente diminuita, passando dal 4,5 per cento del 1971 al 2,6 per cento del 2009 dell'intero sistema industriale italiano;
    la piccola e media impresa chimica (localizzata prevalentemente a nord del Paese), continua a mostrare segni di vitalità (surplus commerciali, crescente orientamento ai mercati esteri). Nel 1971 la PMI impiegava il 29 per cento degli addetti, nel 2009 tale percentuale è passata al 69 per cento del totale degli addetti della chimica in Italia. La maggiore incidenza delle PMI è attribuibile in realtà alle dismissioni della grande impresa: dall'81 al 96 la grande impresa chimica ha perso il 43 per cento degli addetti, la piccola e media circa il 9 per cento. L'industria chimica italiana riducendosi il peso dei colossi industriali della cosiddetta chimica di base e intermedia (ENI, Mossi & Ghisolfi, LyondellBasell, Solvay), si va configurando come un sistema di imprese di piccole e medie dimensioni, fortemente orientate all'innovazione e ai prodotti speciali;
    il costo dell'energia, tra i più alti in Europa, incide fortemente sull'economia della chimica di base mentre gioca un ruolo meno importante per i cosiddetti prodotti speciali dove il livello di scala ottimale non è molto elevato e giocano un ruolo assai più importante i cosiddetti aspetti «intangibili» di know-how, che non i grandi investimenti fissi;
    l'industria chimica italiana (che sta operando importanti processi di riconversione di impianti industriali non competitivi, in bioraffinerie dedicate alla produzione di chemicals da fonti rinnovabili) può creare le condizioni per ricadute positive a livello di occupazione, dell'ambiente, della redditività dei prodotti e dell'integrazione con la chimica tradizionale, dando nuove opportunità anche a settori maturi dell'economia;
    a supporto delle forti potenzialità offerte da una maggiore integrazione tra prodotti chimici da fonti rinnovabili e tradizionali il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha promosso un cluster sulla chimica verde a seguito del bando del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) sui cluster tecnologici. Una volta operativo, il cluster, al quale hanno aderito più di 100 soggetti (imprese, istituzioni di ricerca, regioni, università associazioni), diventerà un interessante soggetto per le istituzioni italiane ed europee con elevate potenzialità nella creazione di sinergie tra le imprese e tra gli strumenti di ricerca pubblica e privata nel campo della bioeconomia e della chimica verde;
    la realtà economica espressa dal comparto delle materie plastiche e gomma in Italia è assai complessa ed articolata e va ben oltre la semplice produzione dei materiali;
    l'industria di produzione delle materie plastiche è tipicamente un'industria «capital intensive», che richiede ingenti investimenti miliardari, anche se pochi addetti diretti;
    in Italia ci sono circa 5.000 aziende di trasformazione di plastica e gomma, che occupano oltre 600 mila addetti, mentre l'industria di produzione delle materie plastiche e gomma impiega 10 mila-12 mila addetti (circa 5.000 Versalis, 2.300 M&G, 1.200 LyondellBasell, più quelli rappresentati dalle realtà minori Radici Chimica, Solvay Specialty Polymers, Novamont, altri);
    la sproporzione tra il numero di addetti alla produzione, ed il numero di addetti alla trasformazione, in un rapporto 1:50-1:60. Se si aggiungono i dati del settore della produzione di macchine e ausili alla trasformazione delle materie plastiche, settore che contribuisce al PIL italiano per 4 miliardi di euro e con un saldo commerciale import-export positivo per l'Italia di circa 2 miliardi di euro, si comprende che la produzione di materie plastiche costituisce un volano formidabile per l'occupazione e per la bilancia commerciale italiana;
    il mercato italiano consuma annualmente all'incirca 7 milioni di tonnellate di materie plastiche e gomma (secondo paese in Europa dopo la Germania) e ne produce 3 milioni di tonnellate (fonte: PlasticsEurope). Questo dato costituisce motivo di preoccupazione, sia per la bilancia commerciale italiana, sia per la competitività delle nostre aziende di trasformazione, già penalizzate dal costo dell'energia (il più alto in Europa) e dal costo del lavoro (cuneo fiscale). Se a ciò aggiungiamo la grave crisi dei produttori di materie plastiche, si comprende come tutto ciò rischia di compromettere il lavoro non di 10 mila, bensì di più di 600 mila persone;
    considerando i soli polimeri di largo impiego, in Italia si producono polietilene (ENI-Versalis), polipropilene (LyondellBasell), PET (Mossi&Ghisolfi), Poliammide (Radici Chimica), polistirene (ENI-Versalis). Polietilene, polipropilene e pvc rappresentano in termini di fatturato, la prima, la seconda e la terza materia plastica al mondo;
    è completamente scomparsa invece è la produzione di PVC, di cui peraltro l'Italia è forte consumatrice. L'industria italiana, in periodi di congiuntura economica sfavorevole come quello attuale, consuma circa 800.000 tonnellate all'anno di pvc e, dopo il triste epilogo delle vicende di Vinyls Italia, non ne produce più;
    nel 2012 l'Italia ha registrato un deficit della bilancia commerciale pari, per il polietilene, a circa 900.000 tonnellate (1 miliardo di euro), per il polipropilene, a oltre 700.000 tonnellate (circa 762 milioni di euro);
    l'industria delle materie plastiche in Italia è afflitta da decenni di immobilismo (da oltre 20 anni non si realizzano nuovi impianti di poliolefine, né di poliestere) e gli impianti esistenti sono ampiamente sottodimensionati rispetto agli impianti che vengono avviati oggigiorno nel resto del mondo. In più, la produzione italiana delle poliolefine (le materie plastiche più utilizzate) è basata sugli impianti di cracking di Marghera, Priolo e Brindisi, impianti sui quali da anni si dibatte sul mantenimento o la chiusura, provocando continue fibrillazioni nelle aziende e nei lavoratori che da tali produzioni dipendono;
    si stima che 200 mila tonnellate in più di poliolefine producono 12.000 addetti diretti, più i servizi, più le attività a valle e a monte, è vero anche il contrario: la scomparsa delle 220.000 tonnellate del sito di Terni di proprietà della LyondellBasell non ha coinvolto solo i 70 addetti del sito produttivo, ma ha compromesso o messo a rischio oltre 12.000 posti di lavoro. Stessa cosa avverrebbe a Brindisi ed analogo discorso si può fare per Ferrara, Ravenna o qualsiasi altro polo chimico;
    la difesa dei siti produttivi abbraccia un campo economico, sociale e politico enorme, di cui si è finora sottovalutata la vastità e l'importanza per il nostro sistema paese. Per le migliaia di imprese trasformatrici a valle, la presenza di un fornitore sul territorio nazionale costituisce rilevante fattore di competitività. La competitività delle aziende italiane, costrette in misura sempre maggiore ad approvvigionarsi all'estero, sarebbe sempre più compromessa. Basti pensare che il 40 per cento delle materie plastiche (quasi 3 milioni di tonnellate) va nell'imballaggio, quindi nel comparto agro-alimentare, come anche nella moda e abbigliamento;
    in questo quadro non roseo riguardante la produzione italiana delle materie plastiche, una nota positiva è rappresentata dalla cosiddetta «chimica verde» e dalla bioeconomia, con particolare riguardo ai vantaggi e al potenziale per l'Italia della conversione di siti non competitivi in bioraffinerie integrate nel territorio, funzionali alla produzione delle cosiddette bioplastiche e di altri prodotti ad alto valore aggiunto quali gli intermedi chimici bio, i biolubrificanti e altro;
    nel merito, la Commissione Europea ha lanciato, il 13 febbraio 2012, la prima strategia dedicata alla Bioeconomia «Innovating for Sustainable Growth: A Bioeconomy for Europe» (COM(2012) 60 final). Il peso economico del settore viene stimato dalla UE con un fatturato di circa 2.000 miliardi di euro ed oltre 22 milioni di persone impiegate, che rappresentano il 9 per cento dell'occupazione complessiva della Comunità Europea. Viene inoltre stimato che per ogni euro investito in ricerca e innovazione nella bioeconomia, con adeguate politiche di sostegno a livello nazionale ed europeo, la ricaduta in valore aggiunto nei settori di comparti quali quello dei prodotti bio based sarà pari a dieci euro entro il 2025. In base a tale strategia, per mantenere la propria competitività l'Unione europea dovrà trasformarsi in una società caratterizzata da basse emissioni di carbonio, nella quale la crescita sostenibile e la competitività stessa siano alimentate sinergicamente da industrie che usano in modo efficiente le risorse e dal ricorso a prodotti biobased;
    in tale settore la Novamont, realtà industriale attiva dal 1989, è oggi tra i leader mondiali dei biopolimeri e degli intermedi chimici da fonte rinnovabile. Nel 2012 il fatturato di Novamont s.p.a. ha superato i 160 milioni di euro, a fronte di un organico di 270 addetti, il 23 per cento dei quali impiegato in attività di Ricerca e Sviluppo, investendo il 6,5 per cento del proprio fatturato. È impegnata in progetti di riconversione di siti chimici dismessi e non più competitivi quali Terni, Porto Torres, Bottrighe. L'obiettivo è agire in zone fortemente intaccate dalla crisi, valorizzando le risorse e le competenze locali attraverso investimenti in bioraffinerie dedicate alla produzione di prodotti ad alto valore aggiunto, con benefici per l'intera filiera e la collettività: dal mondo agricolo, alla trasformazione in prodotti, con ricadute su diversi settori applicativi (bioplastiche, biolubrificanti, e altro), alla produzione di compost di qualità dalla frazione organica del rifiuto, fino alla ricerca e alla formazione delle nuove generazioni;
    Versalis dal 2011 opera nel settore della «chimica verde» attraverso Matrìca (Joint Venture 50/50 con Novamont). Versalis punta a trasformare assieme a Novamont il sito di Porto Torres in un polo di chimica verde per la produzione di bio-intermedi, bio-lubrificanti, bio-additivi e bio-plastiche, con un investimento di 500 milioni di euro. Eni-Versalis ha avviato anche nuovi progetti di sviluppo nel settore delle gomme da fonte rinnovabile;
    iniziative analoghe sono in corso anche da parte del gruppo Mossi & Ghisolfi, che tramite Beta Renewables, una joint venture tra Chemtex, società di ingegneria e R&D del Gruppo Mossi & Ghisolfi, e il fondo TPG (Texas Pacific Group) ha investito oltre 140 milioni di euro nello sviluppo della tecnologia Proesa®. La società ha costruito a Crescentino (VC), il più grande impianto al mondo (40 mila ton/anno) per la produzione di bioetanolo di seconda generazione, che è entrato in funzione alla fine del 2012;
    la chimica verde va fortemente sostenuta, ma non può essere considerata sostitutiva della chimica tradizionale;
    la chimica verde, e con essa tutta la ricerca, rappresenta comunque un investimento per il futuro nel medio e lungo termine. Non possiamo però chiedere ad essa di risolvere i problemi attuali della chimica italiana, ma può dar un importante contributo,

impegna il Governo:

   ad avviare una politica industriale finalizzata a riqualificare e reindustrializzare i poli chimici concordando i percorsi con le amministrazioni locali e regionali dando come priorità la bonifica dei siti contaminati;
   a mettere in campo strumenti di sostegno per la tenuta della chimica nazionale, evitando, ove possibile, ulteriori chiusure di impianti e promuovendo la realizzazione degli investimenti necessari a riportare a livello competitivo le produzioni presenti in Italia;
   a promuovere l'avvio di processi di reindustrializzazione e sviluppo in una logica di filiera e nei settori della chimica fine, delle specialità e della chimica verde, avviando tal fine iniziative per favorire i rapporti tra grandi imprese e piccole e medie imprese;
   a sviluppare una nuova politica di sostegno all'innovazione che tenga in considerazione i legami tra le varie filiere industriali, supportando la diffusione dell'innovazione in tutto il sistema industriale italiano, favorendo le aggregazioni tra piccole e medie imprese per accelerare il trasferimento di know-how all'interno di ciascuna filiera;
   a ridurre il differenziale del costo dell'energia con gli altri Paesi concorrenti adottando in tempi certi un Piano energetico nazionale modificando l'attuale SEN;
   ad accelerare le bonifiche dei siti chimici di interesse nazionale, promuovendo la rivisitazione dei processi produttivi in chiave di sostenibilità ambientale, e favorendo l'insediamento all'interno di tali siti (o nelle loro immediate vicinanze) di piccole e medie aziende, creando un anello virtuoso di crescita sia per la PMI, grazie alla presenza di centri ricerche, servizi, energia, disponibilità di personale altamente specializzato, sia per la grande industria, grazie alla riduzione dei costi di logistica, alla produzione mirata al servizio del territorio ed a una maggiore stabilità del mercato;
   a favorire l'insediamento di PMI nei poli chimici, chiedendo all'Eni di agevolare l'acquisto delle proprie aree per i potenziali acquirenti così come è avvenuto nel comprensorio del petrolchimico di Priolo;
   a semplificare le procedure burocratiche di autorizzazione per nuove imprese, al fine di facilitare gli investimenti e attrarre nuovi capitali italiani ed esteri nel settore;
   a battersi in sede europea per interventi normativi a sostegno di imprese e di poli chimici che rispettino le norme ambientali, evitando delocalizzazioni e trasferimenti in Paesi meno rigorosi nella regolamentazione ambientale e favorendo forme di agevolazione fiscale mirate alle imprese che hanno deciso di insediarsi nel nostro Paese;
   a sviluppare una politica nazionale di sostegno alla bioeconomia che tenga in considerazione il ruolo chiave delle bioraffinerie nel generare valore a livello locale, attraverso filiere corte che coinvolgono il mondo agricolo e le collettività, e che permetta lo sviluppo di processi di innovazione incrementale indotta lungo tutta la filiera, favorendo le aggregazioni tra piccole e medie imprese per accelerare il trasferimento di know-how all'interno di ciascuna filiera;
   a focalizzare le politiche italiane nel campo della gestione integrata dei rifiuti solidi urbani, mettendo al centro la trasformazione in compost di qualità della frazione organica in una logica di risorse per altre filiere e non come un problema (vedi organico e produzione di compost);
   a fissare target per incentivare, mediante apposite normative e standard, la sostituzione di prodotti critici per l'ambiente, derivanti da fonti fossili, con prodotti bio perseguendo gli obiettivi comunitari per un'economia «low carbon» 2050;
   ad attivare misure di incentivo alla domanda (a partire dal rafforzamento del GPP) di prodotti biobased di nicchia quali biolubrificanti, bioerbicidi, pacciamatura agricola, mutuando in azioni le raccomandazioni formulate dall’Ad Hoc Advisory Group sulle Lead Market Initiative della Commissione europea, per permettere di trainare lo sviluppo nel mercato finale di prodotti ad alto valore aggiunto con alte performance e ridotto impatto ambientale, sulla base di standard adeguati;
   a sostenere fortemente l'attivazione e l'attuazione del cluster chimica verde, in quanto strumento chiave per permettere sviluppi su settori prioritari per l'Italia nel settore;
   ad attivare un tavolo di alto livello tra stakeholder chiave sul tema chimica verde, mutuando il panel di alto livello sulla bioeconomia da poco lanciato dalla Commissione Europea, coinvolgendo i diversi Ministeri competenti per assistere il Governo all'elaborazione di una strategia nazionale sulla bioeconomia;
   a sostenere a livello europeo la PPP (partnership pubblica-privata) BIO BASED chiamata anche BRIDGE il cui obiettivo è quello di aiutare le industrie europee a colmare il «divario di innovazione» tra lo sviluppo tecnologico e la commercializzazione di prodotti ad alto valore aggiunto e cercare in questo ambito di valorizzare le azioni del cluster chimica verde al fine di permettere un'allineamento di azioni a livello nazionale ed europeo;
   a riattivare presso il Mise l'Osservatorio chimico nazionale soppresso dai precedenti Governi come strumento di monitoraggio, valutazione e di proposte per l'intera filiera della chimica valorizzando e potenziando le competenze tecniche già presenti in modo da elaborare ed attuare una politica industriale di filiera in ottica di medio lungo periodo, posto che è utile avere una regia pubblica che superi l'attuale approccio dove ogni emergenza viene gestita esclusivamente per il singolo sito che la subisce.
(1-00162) «Speranza, Bratti, Colaninno, Valiante, Benamati, Borghi, Mariani, Braga, Fregolent, Sereni, Realacci, Dallai, Mariastella Bianchi, Carrescia, Montroni, Basso, Mariano, Moretto, Folino, Giovanna Sanna, Manfredi, Cassano, Cominelli, Zardini, Gadda, Senaldi, Cenni, Martella».

Risoluzioni in Commissione:


   La VIII e la IX Commissione,
   premesso che:
    nell'anno 1987 la provincia di Modena fece realizzare un importante studio di fattibilità per la realizzazione della cosiddetta bretella di Campogalliano Sassuolo, un raccordo autostradale di intersezione tra la A22 («autostrada del Brennero») e la A1 («autostrada del Sole»), nei pressi di Campogalliano, collegata a Sud alla S.S. 467 «Pedemontana», nei pressi dell'abitato di Sassuolo;
    lo studio rilevò che l'opera, sul lato sud della pedemontana, avrebbe interessato un'area definita, nello scenario di impatto ambientale, sezione idrogeologia e idraulica in considerazione della presenza di pozzi acquedottistici e relative aree di rispetto, nonché avrebbe previsto l'attraversamento di tratti di falda affiorante;
    oltre alle problematiche relative all'assetto idrogeologico e geologico del terreno, il tracciato rischia di minacciare l'integrità di numerosi beni storico-archeologici, soprattutto nel tratto compreso tra Colombarone-Marzaglia;
    seppure non le investa completamente, il percorso lambisce aree di emergenza di ecosistemi e di diversità biologica, complessi arborei e arbustivi, individui arborei con carattere di monumentalità o pregio, come pure aree di protezione di pozzi ad uso acquedottistico idropotabile e di alveo del Secchia soggetto a regimazione, che si troverebbero così ad essere a una distanza estremamente ridotta da una infrastruttura di tali dimensioni;
    tale vicinanza dell'infrastruttura alle aree di cui sopra rischierebbe di avere forti ricadute sulle stesse e si registrerebbe un concreto pericolo di inquinamento;
    l'impatto ambientale derivante dalla realizzazione della suddetta opera rischia di essere ancora più dirompente poiché verrebbero interessate tutte le aree di escavazione degli ultimi 30 anni previsti dai PAE, con orografia trasformata e livelli che vanno da quota 0 a -15/20 metri e che, solo negli ultimi anni, a seguito di particolari e importanti scelte da parte delle amministrazioni comunali, stanno riacquistando parte del loro naturale ecosistema;
    tale opera servirebbe principalmente il distretto ceramico di Sassuolo che, ormai da anni per scelte industriali e per evoluzioni del mercato, presenta un trend negativo di produzione, come testimoniato anche dalla stessa confindustria ceramica che, sulla sua pagina web, riporta dati relativi al comparto ceramico nazionale nel 2012, estremamente indicativi anche per l'andamento del distretto ceramico sassolese: «sono 159 le aziende (-4 rispetto al 2011) presenti sul suolo italiano, dove sono occupati 21.355 addetti (-3,76 per cento), che nel corso del 2012 hanno prodotto 367,2 milioni di metri quadrati (-8,31 per cento) tali da consentire vendite per 382,2 milioni di metri quadrati (7,48 per cento). Debole è la dinamica dei mercati di destinazione, che registra in Italia un ulteriore crollo del -18,84 per cento (93,2 milioni di metri quadrati nel 2012) ed una lieve flessione del -3,11 per cento nelle esportazioni, ora pari a 289,0 milioni di metri quadrati. Il fatturato totale, 4,58 miliardi di euro (2,85 per cento) derivano per 3,66 miliardi dalle esportazioni (+2,60 per cento) e da 919 milioni di metri quadrati da vendite sul territorio nazionale (-19,82 per cento);
    il raccordo autostradale tra Campogalliano e Sassuolo è stato proposto innumerevoli volte negli ultimi 25 anni, ne consegue che le attuali esigenze siano ben differenti da quelle presenti negli anni passati, in special modo a seguito della realizzazione nel 2004 del raccordo Modena-Sassuolo, di cui l'autostrada Campogalliano-Sassuolo altro non sarebbe che un'inutile parallela che si svilupperebbe a una distanza media di 4 chilometri e il casello a servizio di tale tratto verrebbe posizionato a una distanza inferiore ai 3 chilometri dal casello di Modena Nord;
    il raccordo Modena-Sassuolo risulta essere più che idoneo a sostenere l'attuale ed il futuro traffico sia esso merci e/o veicolare, così come la pedemontana che negli anni ha subito variazioni che le consentono di garantire il corretto accesso al raccordo, ma che non sarebbe adatta a sostenere il medesimo traffico dirottato verso ovest in prossimità dello svincolo autostradale;
    notevoli problemi potrebbero inoltre sorgere nel caso in cui il ponte sul Secchia dovesse essere soggetto a un incremento di traffico, in quanto già oggi si denotano parecchie criticità e necessità di manutenzione straordinaria dovute al decadimento strutturale derivante dalla importante azione erosiva che il fiume Secchia esercita in quel tratto;
    i costi di realizzazione dell'opera hanno subito un incremento esponenziale negli ultimi dieci anni, passando da un costo stimato nel 2001 di 175,595 milioni di euro ad un costo stimato nel 2011 pari a 598,000 milioni di euro registrando, dunque, un aumento, rispetto alle stime iniziali, di oltre il 340 per cento rendendo l'autostrada Campogalliano-Sassuolo tra le opere più costose mai realizzate, con un costo per chilometro di quasi 40 milioni di euro;
    dei 598 milioni di euro stimati, ben 234,610 milioni di euro proverrebbero dalle casse statali e concessi a fondo perduto, mentre la parte restante verrebbe finanziata da fondi privati mediante l'utilizzo del project financing, uno strumento che, valutato quanto già accaduto, potrebbe comportare la possibilità che lo Stato debba coprire ulteriori costi imprevisti che vengano a presentarsi in corso d'opera,

impegnano il Governo

a valutare la possibilità di interrompere ed annullare la realizzazione dell'opera e a destinare le risorse già previste, ovvero i 234.610 milioni di euro in opere di ripristino, messa in sicurezza e ammodernamento dell'attuale sistema stradale della provincia modenese e in opere di miglioramento e ammodernamento dell'attuale sistema ferroviario di trasporto pubblico della provincia modenese, con particolare riferimento alla tratta Sassuolo-Modena e Modena-Carpi.
(7-00081) «Dell'Orco, Tofalo, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Catalano, Dall'Osso, De Lorenzis, Ferraresi, Cristian Iannuzzi, Liuzzi, Mucci, Paolo Nicolò Romano, Sarti, Spadoni».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    l'Italia è agli ultimi posti in Europa negli indicatori principali relativi al benessere e ai diritti dell'infanzia;
    la povertà minorile non è solo un fenomeno inaccettabile dal punto di vista etico e della violazione dei diritti, ma anche una pesante ipoteca sul destino di centinaia di migliaia di bambini e bambine nonché sul futuro dell'intero Paese;
    la critica situazione economica che sta attraversando il Paese viene pagata duramente dalle nuove generazioni e rischia di creare nei prossimi anni drammatiche ripercussioni sociali;
    come evidenziano, gli ultimi dati Istat in Italia 1.822.000 tra bambini e adolescenti (pari al 17,6 per cento) vive in condizioni di povertà. Anche il rapporto UNICEF rileva che siamo di fronte ad una vera e propria «emergenza infanzia»;
    sul tema è intervenuto anche il garante per l'infanzia Vincenzo Spadafora, sottolineando che il 7 per cento dei suddetti minorenni vive in povertà assoluta e che questa grave deprivazione materiale riguarda, nel Mezzogiorno, il 70 per cento di coloro che vivono in nuclei familiari con 3 o più minorenni;
    molte sono le segnalazioni di enti locali riguardanti il crescente numero di bambini e bambine che arrivano a scuola la mattina senza aver consumato un pasto adeguato la sera precedente;
    diversi problemi rilevanti derivano da questa situazione: oltre ai rischi per la salute fisica connessi alla malnutrizione/denutrizione, anche problematiche correlate all'abbandono scolastico e a diverse forme di dipendenze e devianza sociale;
    le conseguenze della povertà infantile connesse alla scarsa scolarità si traducono poi in scarso sviluppo delle conoscenze e, quindi, in bassa produttività, bassa occupazionalità; e quindi maggiori costi sociali e una maggiore domanda di servizi di welfare, con evidenti ricadute sulla spesa pubblica;
    la situazione, che continua a peggiorare con l'aggravarsi della crisi economica, deriva anche da politiche socio-educative carenti e frammentarie, ben lontane da quelle degli altri Paesi europei;
    in Italia negli ultimi anni c’è stata una costante riduzione dei finanziamenti destinati a famiglie, infanzia e maternità; il Fondo nazionale delle politiche sociali è passato da 1 miliardo di euro nel 2007 a 45 milioni nel 2013;
    sono stati pesantemente ridotti i fondi per i servizi educativi e scolastici e depauperati i bilanci degli enti locali, rendendo insostenibili molte reti di welfare inclusivo, anche nelle realtà in cui esiste una forte tradizione culturale di sostegno sociale e comunitario; complessivamente, nello studio Unicef che ha esaminato le condizioni di vita dei bambini dei 29 Paesi dalle economie più avanzate, l'Italia si trova al 22o posto; nello specifico, l'Italia è nelle retrovie in particolare per quanto riguarda l'istruzione (al 25o posto), al 22o per la partecipazione a forme di istruzione superiore, al 24o per i risultati scolastici conseguiti e, viceversa, al secondo posto per i neet (bambini e adolescenti che non studiano e non lavorano);
    la Commissione europea nella sua raccomandazione «Investire sui bambini: rompere il ciclo vizioso di svantaggio» sollecita gli Stati membri a metter al centro della loro agenda il tema dell'infanzia e degli investimenti necessari per combattere la povertà dei bambini per garantire a tutti di crescere uguali;
    nella raccomandazione la Commissione ricorda inoltre che la riduzione della povertà e dell'esclusione sociale è uno degli obiettivi della Strategia Europa 2010, la prevenzione e la lotta alla povertà minorile devono dunque essere tra gli obiettivi prioritari dei Governi degli Stati membri;
    sempre nella raccomandazione la Commissione sprona gli Stati a fare uso di alcuni strumenti in favore dei minori svantaggiati che già esistono come il Fondo di aiuti europei agli indigenti – creato nel 2012 al fine di rafforzare l'inclusione sociale e combattere la povertà nell'Unione a sostegno dei programmi nazionali che prestano un'assistenza non finanziaria alle persone indigenti per ridurre la deprivazione alimentare e la deprivazione materiale grave – il programma di distribuzione di frutta e latte nelle scuole, attivo dal 2009, il Fondo sociale europeo e il Fondo per lo sviluppo regionale;
    la povertà è strettamente legata anche al fenomeno della dispersione scolastica, limita le opportunità educative e di crescita, aggrava i già pesanti divari territoriali che affliggono il Paese;
    la povertà infantile è acuita dalla diminuzione nell'accesso alle cure mediche e alla prevenzione sanitaria che sono drasticamente crollate di fronte ad una mancanza di mezzi economici delle famiglie;
    è peggiorata, inoltre, la qualità dell'alimentazione di bambini e bambine ed adolescenti; un dato ancora più drammatico è l'allontanamento dei minorenni dal nucleo familiare per questioni di indigenza della famiglia di origine che arriva sino alla perdita della capacità genitoriale;
    particolare rilievo rivestono le povertà immateriali, tra cui la situazione dei figli coinvolti nelle separazioni genitoriali altamente conflittuali, spesso vittime innocenti dei rancori di coppia,

impegna il Governo:

   a dotarsi di una strategia nazionale che preveda una pluralità di misure per contrastare le diverse manifestazioni della povertà che agisca su diverse dimensioni, anche sfruttando a pieno gli strumenti finanziari che l'Unione europea mette a disposizione;
   ad elaborare un apposito piano di contrasto alla povertà minorile e giovanile, finalizzato anche a combattere la dispersione scolastica e a favorire l'inclusione lavorativa dei giovani che escono dalle comunità di tipo familiare, reperendo le necessarie risorse e considerando lo stanziamento delle medesime non una spesa che crea debito, ma un investimento sul capitale umano, per il progresso sociale ed economico del Paese;
   ad assumere iniziative per istituire un apposito Fondo nazionale cui possano accedere gli enti locali, su parametri che tengano in considerazione le condizioni di povertà minorile e che permettano la garanzia di diritti di cittadinanza (come il diritto all'istruzione, alla fruizione delle mense, del trasporto scolastico, e altro), stabilendo meccanismi di monitoraggio e sanzionatori per evitare che finanziamenti e obiettivi concordati con le regioni e gli enti locali vengano disattesi;
   ad assumere iniziative per rifinanziare in modo adeguato la legge n. 285 del 1997 «disposizioni per la promozione dei diritti e le opportunità dell'infanzia e l'adolescenza»; a prevedere misure urgenti ed interventi di sostegno per consentire ai minori di essere educati nell'ambito della propria famiglia, anche dando immediata attuazione, attraverso l'emanazione dei previsti decreti legislativi, alla legge n. 219 del 10 dicembre 2012;
   a prevedere iniziative urgenti atte a specificare che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia;
   a favorire il consolidamento delle reti di associazioni di volontariato nell'ambito familiare che sviluppino legami solidali tra famiglie e tra le generazioni nella direzione del welfare solidale e relazionale, fondato su un mix di risorse economiche e relazionali;
   a mettere a sistema tutte le sperimentazioni positive e le buone pratiche già esistenti in Italia.
(7-00080) «Scuvera, Iori, Zampa, Capone, Roberta Agostini, Albanella, Argentin, Basso, Bazoli, Beni, Biondelli, Boschi, Cardinale, Carnevali, Carocci, Carra, Casati, Cenni, Chaouki, Cimbro, Coccia, Cominelli, Coscia, D'Incecco, Marco Di Maio, Ermini, Fabbri, Fossati, Gadda, Gandolfi, Gasparini, Giorgis, Giulietti, Gnecchi, Gozi, Gregori, Gribaudo, Giuseppe Guerini, Guerra, Iacono, Incerti, La Marca, Laforgia, Lattuca, Lenzi, Maestri, Malpezzi, Manzi, Marantelli, Marzano, Mongiello, Morani, Moretti, Moscatt, Mura, Narduolo, Nicoletti, Patriarca, Porta, Rostan, Sbrollini, Tidei, Tullo, Velo, Zappulla, Zardini, Capodicasa, Crivellari, Rubinato, Rocchi, Rigoni, Mogherini, Cani, Culotta, Marchi, Amoddio, Simoni, Quartapelle Procopio, Blazina, Rosato, Antezza, Fontanelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PIAZZONI e DI SALVO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da oltre 8 anni sono attivi presso i locali della Presidenza del Consiglio dei ministri siti in Largo Chigi e in via della Mercede, due asili nido, i quali accolgono mediamente 25 bambini nella fascia di età da 0 a 36 mesi, rendendo possibile ai genitori, dipendenti della suddetta istituzione, di svolgere a pieno regime il proprio lavoro;
   il 22 aprile 2013 venivano aperti i bandi per le iscrizioni all'anno educativo 2013-2014;
   in data 24 giugno veniva pubblicata la graduatoria provvisoria, contenente la conferma dei frequentanti e l'elenco degli ammessi;
   nel mese di luglio tuttavia, il giorno 19, veniva anticipata in via telematica ai genitori in graduatoria una raccomandata, poi recapitata il giorno 22, nella quale si preannunciava la chiusura dei due asili nido;
   tale chiusura era disposta a seguito di un'ispezione realizzata dalla ASL di competenza, la quale aveva riscontrato la non congruità di una delle strutture e gravi carenze nell'altra;
   le criticità denunciate dalla ASL non sono state tuttavia precisate in specifica documentazione, determinando ciò una situazione di incertezza circa l'effettivo svolgimento dei servizi per l'infanzia erogati nelle strutture e causando inoltre una situazione di precarietà sulla regolare attività lavorativa dei genitori;
   non sono ancora giunte comunicazioni formali sul regolare avvio dell'anno educativo, permangono allo stato attuale forti perplessità sull'effettiva erogazione del servizio, perplessità che si tramutano in forti preoccupazioni nei genitori che avevano fatto affidamento sull'attività degli asili nido in questione, data l'impossibilità di accedere a qualsiasi struttura sostitutiva, essendo scaduti i termini per presentare domanda ad altri asili nido, pubblici o privati –:
   quali criticità specifiche abbiano causato l'interruzione del servizio e se intendano garantire la continuità dello stesso, data l'impossibilità per i genitori assegnatari dello stesso di trovare soluzioni alternative. (4-01555)


   BONAFEDE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Aero Club d'Italia è un Ente pubblico non economico finanziato con contributi del CONI, dei Ministeri vigilanti in intestazione (oggi interrogati) e con l'imposizione di tariffe a carico di titolari di attestati e proprietari di apparecchi per il volo da diporto sportivo, quote a carico di affiliati e altri utenti dell'Ente;
   in data 6 luglio 2013 si sono tenute le elezioni degli organi dell'ente e del suo presidente; tra candidati alla carica di Presidente vi era l'architetto Giuseppe Leoni già senatore della Lega Nord e già commissario dell'AeCI dal 17 dicembre 2010 al 6 luglio 2013. L'incarico avrebbe dovuto avere la durata di soli sei mesi con il compito di procedere soltanto all'adeguamento dello statuto alla cosiddetta legge Brunetta mediante riduzione del numero dei consiglieri federali. L'incarico è durato non sei mesi ma a seguito di ulteriori proroghe ben due anni e mezzo;
   è opportuno evidenziare che in data anteriore alla nomina del 17 dicembre 2010 l'architetto Leoni ebbe già a ricoprire, a far data dall'anno 2002, le cariche, nell'ordine, di commissario straordinario di AeCI e di successivo presidente di AeCI per due mandati;
   per quanto sopra detto è appena il caso di accennare che dell'operato del commissario straordinario, architetto senatore Giuseppe Leoni la precedente legislatura ha già avuto modo di occuparsi in occasione di circa tredici interrogazioni parlamentari ad opera di quasi tutte le forze politiche e di quattro question time nei quali furono denunziate, apertamente, alcune criticità nella gestione dell'Ente da parte del commissario straordinario;
   inspiegabilmente alcun provvedimento fu mai preso dai Ministeri controllanti nei confronti dell'architetto Leoni al quale, invece, in occasione dell'emanazione della legge cosiddetta spending review con un emendamento all'articolo 26-bis introdotto in sessione notturna da due esponenti della lega nord, fu rinnovata, addirittura per un ulteriore anno, la carica di commissario e furono conferiti ulteriori poteri;
   di tale «azione politica» ebbe ad occuparsi la stampa nazionale che, peraltro, già aveva avuto modo di diffusamente dar notizia dei fatti denunciati in Parlamento e di cui sopra;
   con atto di citazione, recentemente notificato all'esito della procedura istruttoria di rito, la Procura generale presso la Corte dei conti del Lazio ha convenuto in giudizio l'architetto Leoni per danno erariale motivandolo sotto due distinti profili (provati documentalmente) e riservandone un terzo all'esito di ulteriori indagini ad oggi in corso da parte anche della procura della Repubblica di Roma;
   in tale procedimento la cui prima udienza è fissata per il 17 ottobre 2013, le Federazioni aeronautiche nazionali: Federazione italiana volo ultraleggero, Federazione italiana volo libero, Federazione italiana paracadutismo sportivo, Federazione italiana aero modellismo, Federazione italiana club aviazione popolare sono intervenute ad adiuvandum le ragioni della procura presso la Corte dei conti;
   alcuna iniziativa in tal senso risulta ad oggi da parte di AeCI ente, senz'altro, qualificabile quale dedotto danneggiato dell'operato del convenuto commissario straordinario, architetto Giuseppe Leoni;
   alla recente tornata elettorale del 6 luglio tenutasi in esecuzione del nuovo statuto dell'Aero Club d'Italia, statuto adottato dal Governo l'architetto Leoni, nuovamente candidatosi è stato rieletto presidente;
   il direttore generale dell'Aero Club d'Italia avuto conoscenza del fatto che le Federazioni aeronautiche nazionali con proprio comunicato stampa avevano comunicato di essere intervenute nella procedura giudiziaria in essere presso la Corte dei conti, sezione giurisdizionale del Lazio con propria mail del 4 luglio 2013 ha definito, testualmente, «pretestuose tutte le denunce presentate dalle Federazioni Aeronautiche Nazionali» asserendo, inoltre, «Si evidenzia, infine, che gli ispettori delle finanze non hanno evidenziato nulla di rilevante nella loro recente ispezione»;
   tale affermazione appare singolare sotto duplice profilo:
    proviene dal direttore generale dell'ente danneggiato il quale, anziché notiziare i Ministeri controllanti dell'iniziativa giudiziaria della Corte dei conti invocando le iniziative del caso, tace ogni fatto e apertamente, rivolgendosi agli Aero Clubs federati (elettori alle tornata elettorale del successivo 6 giugno 2013), si schiera apertamente dalla parte del commissario candidato alle elezioni dimenticando che costui e il soggetto che la procura presso la Corte dei conti deduce aver danneggiato l'ente pubblico che egli rappresenta ed i cui interessi anche finanziari dovrebbe tutelare;
    con tali affermazioni, atteso che ad oggi non vi è notizia alcuna del dedotto esito positivo della citata ispezione delle «finanze», egli di fatto smentisce con argomentazioni suggestive ma del tutto apodittiche le indagini svolte dalla procura della Corte dei conti che, invero, ha fondato l'atto di citazione su riscontri assolutamente documentali. Con ciò sviando il libero convincimento degli elettori cui avrebbe dovuto comunicare fatti oggettivi e non personali considerazioni che, oltretutto, non sono nemmeno pertinenti ai compiti ed alle mansioni del direttore generale;
   va precisato che la vigente normativa prevede che la nomina del presidente di AeCI e delle altre cariche elette alla tornata del 6 luglio debba essere «ratificata» dai Ministeri controllanti e dalla Presidenza del Consiglio dei ministri –:
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri e gli altri Ministeri interrogati fossero a conoscenza delle indagini in essere ad iniziativa della procura della Corte dei conti del Lazio nei confronti del Commissario straordinario, architetto Giuseppe Leoni, per danno erariale arrecato nel periodo in cui egli ha svolto le funzioni di Commissario straordinario dell'ente pubblico Aero Club d'Italia;
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri e gli altri Ministeri interrogati siano a conoscenza del procedimento per danno erariale incardinato dalla procura della Corte dei conti presso la Corte dei conti, sezione giurisdizionale del Lazio recante il numero di ruolo 73020;
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri e gli altri Ministeri interrogati siano stati notiziati dall'architetto Giuseppe Leoni e/o dal direttore generale dell'Aero club d'Italia, generale AM Giulio Cacciatore (nominato direttore generale direttamente con propria delibera dal commissario straordinario, architetto Giuseppe Leoni) delle iniziative giudiziarie in essere;
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri e gli altri Ministeri interrogati intendano costituirsi nel citato procedimento al fine prendere formalmente parte, quali soggetti controllanti l'ente pubblico Aero Club d'Italia, all'accertamento della dedotta responsabilità contabile per danno erariale dell'architetto Giuseppe Leoni;
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri e gli altri Ministeri vigilanti avuto riguardo alla evidente gravità dei fatti ascritti all'architetto Giuseppe Leoni quale commissario straordinario intendano ratificare o meno la nomina di cui alla votazione assembleare, valutata, anche, la circostanza che l'improvvido intervento del direttore generale dell'ente e di cui in premessa ha certamente sviato il libero convincimento degli elettori in alcun modo messi nella condizione di valutare compiutamente, sotto ogni profilo, la figura del candidato architetto Giuseppe Leoni;
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri e gli altri Ministeri vigilanti più propriamente, attesa l'inadeguatezza dell'architetto Giuseppe Leoni alla carica di Presidente intendano, invece, procedere con la nomina di un commissario che regga l'ente Aero Club d'Italia per gli incombenti di ordinaria e straordinaria amministrazione, per l'esecuzione di tutti gli adempimenti amministrativi connessi con l'emanazione di un nuovo statuto adottato in ottemperanza alla corretta procedura normativa e di cui in premessa, nonché per convocare a tal fine tutti gli organismi, gli enti e le associazioni di riferimento del settore al fine di concordare, finalmente in contraddittorio, le necessarie operazioni idonee ad addivenire a nuove elezioni degli organi dell'ente con procedura che veda rappresentati, quali elettori, tutti i delegati dell'aviazione popolare e diportistica italiana. (4-01569)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da anni i cittadini di Pisticci, comune in provincia di Matera, lamentano lo stato di disagio e di invivibilità cui è sottoposta in particolare la comunità residente soprattutto nel quartiere residenziale di Pisticci scalo, ma anche nell'intera area della città, dovuta alla persistente presenza di miasmi che spesso provocano malesseri nelle popolazioni costrette a convivere con tali emissioni; i cittadini per non percepire gli odori nauseabondi sono costretti a tenere i balconi chiusi e lamentano patologie quali diarrea, depressione, stanchezza cronica, mal di testa e ansia;
   secondo il comitato cittadino da tempi costituiti allo scopo, gli odori nauseabondi provengono dalla Tecnoparco Valbasento spa che si occupa di smaltimento e trattamento di rifiuti industriali e speciali e produce energia utilizzando una centrale ad olio di palma;
   il sindaco di Pisticci, responsabile cittadino della salute pubblica e di recente delegato per la questione dal governatore della regione Basilicata, ancora non ha attivato il tavolo tra i comitati cittadini, le istituzioni e la società Tecnoparco spa, nonostante la promessa di chiudere la questione entro il mese di aprile 2013;
   dal canto suo la Tecnoparco spa evidenzia posizioni contraddittorie non avendo avviato, nonostante le promesse, alcuna interlocuzione col comitato cittadino «Pisticci Scalo Pulita»; viceversa la dirigenza dell'azienda ha affermato alla stampa che «la lavorazione industriale dei nostri rifiuti non provoca danni all'ambiente, anzi»; inoltre ha dichiarato che «in nome del corretto rapporto istituzionale e con le popolazioni, abbiamo deciso di accettare la copertura (delle vasche di depurazione), in modo da eliminare anche qualche minimo odore che potrebbe esserci»;
   infine, motivando l'iniziativa come sistema per allontanare i miasmi da Pisticci Scalo, la società ha già inoltrato istanza di autorizzazione allo stoccaggio dei materiali trattati (e di ulteriori nuovi reflui) in un altro impianto di depurazione, ubicato a circa 2.500 metri dal quartiere, a monte e sopravento rispetto al centro abitato;
   la stampa denunzia altresì che non risultano effettuati controlli sufficienti e significativi delle acque trattate immessi dalla Tecnoparco nei corpi idrici, nonostante siano diverse la Autorità competenti: agenzie regionali, forestale, ASL, nuclei specializzati dei carabinieri; mancherebbe soprattutto un misuratore di portata a valle dell'impianto, che consenta di ottenere un bilancio idraulico e di impedire che il carico inquinante sia ridotto, fin sotto ai limiti di legge, per semplice diluizione con acqua pulita (tassativamente proibita dalla norma) e senza alcun trattamento biochimico;
   se, in relazione alla vicenda esposta in premessa, i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative, nei limiti delle loro competenze ai fini della verifica del rispetto delle normative ambientali e di tutela della salute pubblica anche per il tramite del comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente. (3-00255)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RONDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il pomeriggio del 30 luglio 2013 una tromba d'aria di eccezionale intensità ha colpito varie zone della Lombardia creando ingenti danni;
   il sopralluogo nell'area di Trezzo sull'Adda e Grezzago ha rilevato capannoni distrutti, auto e mezzi da lavoro schiacciati dalle lamiere, strutture rese inagibili e alcuni residenti costretti a lasciare le loro abitazioni;
   a Gerosa in una manciata di secondi sono state scoperchiate una dozzina di abitazioni. Secondo gli abitanti della zona, non si era mai verificato nulla del genere negli ultimi 50 anni;
   a 24 ore dalla tromba d'aria il piazzale del viale delle industrie di Grezzago sembrava reduce da un bombardamento. Gli edifici sventrati, carcasse d'auto rovesciate, rottami e lamiere ovunque, persone che si aggiravano, ancora incredule, fra le macerie; il tornado si è abbattuto su un raggio di una quindicina di chilometri fra campagna, aziende e case, creando danni ancora non quantificati ufficialmente che con una prima stima si valutano in circa 15 milioni di euro;
   nel comune di Trezzo sull'Adda, dove il ciclone si è abbattuto pochi istanti dopo che a Grezzago spazzando l'area industriale di viale Lombardia, i danni sono stati stimati in prima battuta sui cinque milioni di euro, e non meno di otto, novecento mila euro sono state calcolate le perdite a Pozzo d'Adda, sempre per danni a capannoni in area artigianale;
   a Trezzano Rosa sono stati anche 12 sfollati, due famiglie con bambini e una coppia di anziani, tutti alloggiati, pro tempore, all'Hotel Castelbarco; a Trezzo sull'Adda la distruzione di una cascina storica ha portato allo sfollamento della famiglia che vi abitava, le autorità locali hanno predisposto servizi antisciacallaggio che proseguiranno per tutto il tempo indispensabile;
   i sindaci hanno chiesto alla regione di adottare le occorrenti iniziative per la dichiarazione dello stato di calamità e hanno adottato ordinanze a salvaguardia delle comunità che amministrano;
   la tromba d'aria, oltre ai danni, ha creato un'emergenza ambientale per rischio di contaminazione da amianto; i frammenti di amianto contenuto nei tetti dei capannoni divelti dalla tromba d'aria rappresentano la prima emergenza da affrontare per la messa in sicurezza dell'area; infatti, molti dei capannoni della zona sono stati costruiti prima del 1994, quanto il cemento amianto era diffusamente utilizzato per le coperture;
   secondo le dichiarazioni dei tecnici dell'Asl, le ditte specializzate dovranno rimuovere in fretta i detriti per evitare che il caldo e il vento disperdano le fibre nell'aria; si consiglia l'utilizzo di mascherine per chi è costretto di vivere e lavorare nell'area e la rimozione dei detriti solo a seguito di bagnatura, o con acqua o con materiali collosi «incapsulanti», per evitare dispersioni;
   il rischio di contaminazione globale interessa un raggio di almeno due chilometri dal luogo del disastro. Le tettoie ondulate in eternit sono state strappate, frantumate, appese ai fili dell'alta tensione e disperse in ogni angolo di strada e nei campi, creando polveri minacciose ovunque nei dintorni;
   l'area è stata interdetta alla viabilità per impedire quanto più possibile l'ulteriore espansione delle polveri; il problema riguarda tutti i comuni interessati al disastro, ma è particolarmente rilevante nelle zone industriali e artigianali. A Grezzago oltre a due aziende colpite in maniera più grave, sono decine i capannoni di via Abruzzi e via Primo maggio che sono stati spazzati e scoperchiati dalla violenza del vortice;
   a Trezzo sull'Adda i capannoni industriali delle vie Grandi, Santi e Pastore sono gravemente danneggiati;
   l'entità della concentrazione delle fibre di amianto potrà essere verificata solo a seguito dei risultati delle indagini ambientali effettuate nei luoghi del disastro –:
   se il Ministro intenda approfondire l'entità dei danni provocati dalla tromba d'aria del 29 luglio 2013 e monitorare le misure adottate per far fronte all'emergenza ambientale provocata alla dispersione dei frammenti di amianto contenuto nei tetti dei capannoni distrutti, allo scopo di tranquillizzare i cittadini e i lavoratori dell'area industriale sull'efficienza delle misure adottate per la tutela della propria salute, in relazione all'eventuale immissione di fibre di amianto nell'ambiente. (5-00831)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANNINO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge quadro in materia di aree protette stabilisce che la tutela dei valori naturali ed ambientali nonché storici, culturali, antropologici tradizionali, affidata agli enti parco, deve essere perseguita attraverso lo strumento del piano per il Parco;
   la stessa legge n. 394 del 1991, all'articolo 12, fissa il termine di 18 mesi – a decorrere dalla costituzione degli organi dell'ente parco – entro il quale il piano deve essere approvato dal consiglio direttivo degli enti stessi, e il termine di 90 giorni – a decorrere dall'avvenuto inoltro del piano dal parte dell'ente parco – entro il quale la regione o le regioni interessate devono adottare e provvedere al deposito, per 40 giorni, del piano, presso le sedi degli enti interessati;
   con riferimento ai termini richiamati sopra, la legge n. 394 del 1991 prevede che in caso di inosservanza, all'amministrazione inadempiente si sostituisce il Ministro dell'ambiente, che provvede nei medesimi termini con un commissario ad acta;
   l'articolo 12 della legge n. 394 del 1991 stabilisce, anche, che l'ente parco deve esprimersi sulle osservazioni al piano – che è possibile presentare durante la fase del deposito – entro i successivi trenta giorni, e trasmettere il proprio parere alla Regione, che, a sua volta entro i successivi 4 mesi, si pronuncia sulle osservazioni, e procede, d'intesa con l'ente parco e i comuni interessati, all'approvazione del piano;
   lo stesso articolo 12 prevede che qualora il piano non venga approvato entro ventiquattro mesi dall'istituzione dell'ente parco, alla regione si sostituisce un comitato misto costituito da rappresentanti del Ministero dell'ambiente e da rappresentanti delle regioni e delle province autonome, con il compito di raggiungere le intese necessarie per l'approvazione del piano, in difetto delle quali la questione viene rimessa al Consiglio dei ministri da parte del Ministro dell'ambiente;
   sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare viene pubblicato un quadro riepilogativo dello stato di avanzamento delle procedure approvative dei piani dei parchi nazionali, che per ciascun ente parco evidenzia la fase nella quale si trovano le suddette procedure;
   al primo agosto 2013, dal quadro riepilogativo risulta che:
    a) per quanto concerne il parco nazionale dell'Alta Murgia – che è stato istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 5 marzo 2004 – il piano è stato approvato con delibera del consiglio direttivo n. 9 del 31 maggio 2010, e inoltrato alla Regione Puglia il 16 giugno 2010, ma non risulta ancora adottato dalla Regione stessa;
    b) per quanto concerne il parco nazionale del Pollino – che è stato istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 15 novembre 1993 – il piano è stato approvato con delibera del consiglio direttivo n. 32 del 17 maggio 2011, e inoltrato alle regioni Calabria e Basilicata il 27 giugno 2011, ma non risulta ancora adottato dalle regioni stesse;
    c) per quanto concerne il parco nazionale del Gargano – che è stato istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 5 giugno 1995 – il piano è stato approvato con delibera del consiglio direttivo n. 22 del 25 maggio 2010, e inoltrato alla regione Puglia il 1o giugno 2010, ma non risulta ancora adottato dalla regione stessa;
    d) per quanto concerne il parco nazionale dell'Arcipelago della Maddalena – che risulta istituito con la legge n. 10 del 4 gennaio 1994 – è stata predisposta la bozza del piano;
    e) per quanto concerne il parco nazionale della Sila – che risulta istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 14 novembre 2002 – il piano non è stato ancora approvato da parte del consiglio direttivo dell'ente parco;
    f) per quanto concerne il parco nazionale dell'Appennino Lucano Val d'Agri Lagonegrese – che risulta istituito con decreto del Presidente della Repubblica dell'8 dicembre 2007 – è stata avviata la procedura per la redazione delle linee guida del piano;
    g) per quanto concerne il parco nazionale del Gran Paradiso – che risulta istituito con regio decreto del 3 dicembre 1922 – il piano è stato approvato con delibera del consiglio direttivo n. 13 del 10 dicembre 2009, e inoltrato il 10 maggio 2010 alle regioni Piemonte e Val d'Aosta che ha presentato una richiesta di integrazioni, e non risulta ancora adottato dalle regioni stesse;
    h) per quanto concerne il parco nazionale dell'Abruzzo Lazio e Molise – che risulta istituito con regio decreto dell'11 gennaio 1923 – il piano è stato approvato con delibera del consiglio direttivo n. 19 del 9 novembre 2010, e inoltrato alle regioni Abruzzo, Lazio e Molise il 1o giugno 2010, ma non risulta ancora adottato dalle Regioni stesse;
    i) per quanto concerne il parco nazionale del Circeo – che risulta istituito con decreto del 25 gennaio 1934 – la bozza del piano è in discussione presso la comunità del parco dal mese di settembre del 2011;
    l) per quanto concerne il parco nazionale della Val Grande – che risulta istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 23 novembre 1994 – sono stati richiesti, da parte della regione Piemonte, un aggiornamento degli elaborati geologici e della carta della fruizione;
    m) per quanto concerne il parco nazionale dei Monti Sibillini – che risulta istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 6 agosto 1993 – il piano è stato approvato con delibera del consiglio direttivo del parco il 18 novembre 2002, ed è in corso l'esame delle 1237 osservazioni presentate, da parte dell'ente parco;
    n) per quanto concerne il parco nazionale del Gran Sasso Monti della Laga – che risulta istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 5 giugno 1995 – il piano è stato approvato dal consiglio direttivo del parco il 21 dicembre 1999 ed è in corso l'esame delle 250 osservazioni presentate, da parte dell'ente parco;
    o) per quanto concerne il parco nazionale delle Cinque Terre – che risulta istituito con decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1999 – la regione Liguria, con delibera della Giunta Regionale n. 1482 del 10 dicembre 2010, ha revocato il piano precedentemente adottato dalla stessa regione con la delibera n. 488 del 22 maggio 2002 ed è in corso l'aggiornamento del piano;
    p) per quanto concerne il parco nazionale delle Foreste Casentinesi – che risulta istituito con decreto del Presidente della Repubblica 12 luglio 1993 – il piano è stato approvato dalle regioni Toscane ed Emilia Romagna, rispettivamente, con delibere n. 86 del 23 dicembre 2009 e n. 267 del 25 novembre 2009, ma nel quadro riepilogativo pubblicato sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non è stata riportata la locuzione «in vigore»;
    q) per quanto concerne il parco nazionale Appennino Tosco Emiliano – che risulta istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 19 maggio 2001 – il piano è stato approvato dal consiglio direttivo del parco il 13 luglio 2009, e le regioni Toscana ed Emilia-Romagna hanno richiesto integrazioni;
    r) per quanto concerne il parco nazionale dello Stelvio – che risulta istituito con legge n. 740 del 3 giugno 1935 – il DPCM 26 novembre 1993 prevede l'approvazione del piano da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di intesa con la regione Lombardia e le province autonome di Trento e Bolzano, attualmente è in corso l'istruttoria tecnica del piano adottato dal consorzio del parco;
   nel caso dei Parchi nazionali «Appennino Lucano – Val d'Agri – Lagonegrese», «Arcipelago della Maddalena», «Circeo», «Sila» e «Cinque Terre» – per effetto della richiamata revoca del piano precedentemente adottato – il termine previsto per l'approvazione del piano da parte del consiglio direttivo dei rispettivi enti parco è ampiamente trascorso;
   nel caso dei parchi nazionali «Alta Murgia», «Gargano», «Pollino», «Abruzzo Lazio e Molise» «Gran Paradiso», «Appennino Tosco Emiliano» e «Val Grande», il termine previsto per l'adozione, da parte della regione o delle regioni interessate, del piano è ampiamente trascorso;
   nel caso dei parchi nazionali «Monti Sibillini» e «Gran Sasso Monti della Laga» – che risultano adottati dalle regioni interessate – il termine previsto per l'approvazione del piano, da parte della regione o delle regioni interessate, è ampiamente trascorso;
   nel caso del parco nazionale dello Stelvio, il consorzio del parco avrebbe dovuto provvedere, su richiesta degli uffici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a integrare il piano del parco entro il mese di marzo 2010;
   la legge quadro in materia di aree protette affida la tutela dell'interesse costituzionalmente protetto alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, all'effettiva implementazione del regime giuridico speciale riservato alle aree comprese nei parchi nazionali;
   tale regime si basa, oltre che sul citato piano per il parco, sul regolamento del parco, sul piano pluriennale economico e sociale e sui nulla osta preventivi dell'ente parco al quale sono assoggettati il rilascio di concessioni e autorizzazioni per la realizzazione di interventi, impianti ed opere all'interno del parco –:
   se non ritenga necessario integrare il citato quadro riepilogativo con informazioni analoghe in merito alle procedure finalizzate all'approvazione del regolamento del parco e del piano pluriennale economico e sociale;
   se, e in che modo, venga ordinariamente esercitato il potere di vigilanza nei confronti degli enti parco, di cui all'articolo 9 della legge n. 341 del 1991, con riferimento all'attività di rilascio del nulla-osta, specialmente nei casi nei quali detta attività venga svolta in pendenza dell'approvazione del piano e/o del regolamento del parco;
   se disponga di informazioni più circostanziate in merito alle procedure di approvazione dei Piani dei Parchi nazionali «Appennino Lucano – Val d'Agri – Lagonegrese», «Arcipelago della Maddalena», «Circeo», «Sila» e «Cinque Terre», che non risultano ancora approvati dai rispettivi consigli direttivi dell'ente parco, entro il termine di cui all'articolo 12 della legge n. 394 del 1991;
   se disponga di informazioni più circostanziate in merito alle procedure di approvazione dei Piani dei Parchi nazionali «Alta Murgia», «Gargano», «Pollino», «Abruzzo Lazio e Molise» «Gran Paradiso», «Appennino Tosco Emiliano» e «Val Grande», che sono stati approvati dai consigli direttivi degli enti parco ma che non risultano adottati dalle regioni interessate;
   se disponga di informazioni più circostanziate in merito allo stato di avanzamento della procedura di approvazione del piani per il parco dello Stelvio e all'effettiva entrata in vigore del piano per il parco delle Foreste Casentinesi;
   se abbia mai esercitato, o intenda esercitare, e, in caso affermativo, con quali tempistiche, i poteri sostitutivi, attribuiti al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nei confronti degli enti parco che non hanno ancora approvato il piano per il parco, o nei confronti delle regioni che non hanno provveduto ad adottare i piani approvati da consiglio direttivo degli stessi enti parco, nei termini stabiliti dall'articolo 12 della legge n. 394 del 2001. (4-01558)


   MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in base alla direttiva 92/43/CEE del consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, vengono classificati di importanza comunitaria i siti che, nella regione biogeografica di appartenenza, contribuiscono in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale in uno stato di conservazione soddisfacente e che possono, inoltre, contribuire in modo significativo alla coerenza della rete ecologica «Natura 2000»;
   la Direttiva 92/43/CEE, all'articolo 4, prevede che la Commissione – sulla base degli elenchi trasmessi dagli Stati membri – adotta un elenco dei siti di importanza nei quali si riscontrano uno o più tipi di habitat naturali prioritari, e che, di seguito, lo Stato membro deve riconoscere questi siti come zone speciali di conservazione, il più rapidamente possibile ed entro un termine massimo di sei anni, e assoggettarle alle misure di conservazione necessarie;
   la Direttiva 92/43/CEE e il Regolamento recante attuazione della stessa direttiva (decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357) prevedono che qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative sulle zone speciali di conservazione – singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti – forma oggetto di una opportuna valutazione dell'incidenza, sulla base delle risultanze della quale, le autorità nazionali competenti autorizzano la realizzazione dello stesso piano o progetto, se del caso, previo parere dell'opinione pubblica;
   le norme comunitarie e nazionali sopracitate stabiliscono anche, che le regioni devono comunque assicurare opportune misure per evitare il degrado degli habitat naturali all'interno dei siti di importanza comunitaria inseriti negli elenchi proposti dagli Stati membri alla Commissione;
   visto che all'interno del comune di Noto, in una cava di pietra dismessa che si trova in prossimità dei Siti di importanza comunitaria Cava Contessa-Cugno Lupo (ITA 090021) e Cava Grande del Cassibile, Cava Cinque Porte, Cava e Bosco di Baulì (ITA 09007) – inseriti nell'elenco dei Siti di interesse comunitario della regione biogeografica mediterranea approvato dalla Commissione Europea con Decisione del 19 luglio 2006 – il dipartimento regionale dell'ambiente ha rilasciato, con decreto n. 765 del 21 dicembre 2012, l'autorizzazione integrata ambientale per il progetto di realizzazione di un impianto per il recupero e lo smaltimento di rifiuti non pericolosi in C/da Stallaini;
   l'autorizzazione sopracitata è stata successivamente revocata dall'amministrazione regionale, ma il provvedimento di revoca, in seguito alla presentazione di un ricorso da parte della società «SoAmbiente», è stato annullato;
   l'area interessata dalla realizzazione dell'impianto si trova, altresì, in prossimità della Riserva naturale «Cavagrande del Cassibile» ricadente nei comuni di Avola, Noto e Siracusa, istituita con Decreto Assessorato del territorio e dell'ambiente 13 luglio 1990, n. 649;
   l'area in questione è assoggettata alla disciplina del piano paesaggistico ambito 14-17 «Pianura alluvionale catanese» «Rilievi e tavolato ibleo» – adottato con decreto A.R.T.A. n. 98 del 10 febbraio 2012 – che classifica la stessa area con un livello di tutela 3, come descritto dall'articolo 32, comma 2, punto 12d dello stesso Piano paesaggistico, in base al quale non si possono realizzare discariche;
   in seno alla procedura per il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, i servizi tecnici del comune di Noto hanno precisato che l'area interessata dal progetto è sottoposta a vincolo paesaggistico ed a vincolo idrogeologico, e si trova in prossimità dei siti richiamati in precedenza;
   in seno alla procedura per il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, il parere della sovrintendenza di Siracusa, di massima favorevole, è stato rimesso, con nota del 23 novembre 2010 prot. n. 19979, prima dell'adozione del richiamato piano paesaggistico;
   il progetto, pur non trovandosi all'interno dell'attuale delimitazione dei Siti di importanza comunitaria richiamati sopra, determina esternalità ambientali e ricadute territoriali che interessano gli stessi siti, anche per la natura dell'impianto, nel quale dovranno essere conferiti rifiuti da trattare e dal quale dovranno essere trasferiti prodotti ad esito del trattamento –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se, e in che modo, ritengano compatibile la realizzazione e la gestione di un impianto di smaltimento con le misure di conservazione che devono essere adottate per evitare il degrado degli habitat naturali presenti all'interno dei siti di importanza comunitaria, in prossimità dei quali si trova l'impianto;
   se le motivazioni alla base del provvedimento di revoca dell'Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata con il decreto n. 765 del 21 dicembre 2012 – che è stato successivamente annullato dalla giustizia amministrativa – riguardino la valutazione della incidenza significativa che l'impianto di smaltimento può avere sui siti di importanza comunitaria di Cava Contessa-Cugno Lupo (ITA 090021) e Cava Grande del Cassibile, Cava Cinque Porte, Cava e Bosco di Baulì (ITA 09007);
   se – in che modo e con quali tempi – intendano procedere al riconoscimento del sito di importanza comunitaria Cava Contessa-Cugno Lupo e di quello di Cava Grande del Cassibile, Cava Cinque Porte, Cava e Bosco di Bauli quale «Zona di conservazione speciale», affinché siano finalmente adottati le misure di conservazione e un piano di gestione appropriati alla specificità dei siti, e divenga, in ogni caso, necessario sottoporre a valutazioni di incidenza – da condurre nel rispetto della Direttiva 92/43/CEE – qualunque intervento che possa recare pregiudizio a questi stessi siti. (4-01563)


   PELLEGRINO, ZAN, ZARATTI, MARCON, BRANDOLIN, RIZZETTO e PRODANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sedime dell'aeroporto Antonio Canova di Treviso si colloca a ridosso del perimetro del parco naturale regionale del fiume Sile istituito con legge regionale n. 8 del 1991 e ricade, in piccola parte, all'interno di esso; è adiacente al perimetro dell'area SIC IT 3240028 fiume Sile dalle sorgenti a Treviso Ovest, istituita ai sensi della direttiva 92/43/CEE habitat, e costituisce elemento di continuità tra l'abitato della frazione di San Giuseppe in comune di Treviso e l'abitato del capoluogo del comune di Quinto, tanto che le abitazioni più prossime sono addirittura adiacenti alla recinzione dell'aviosuperficie. Si precisa che seppur in piccola parte il sedime dell'aeroporto ricade in quest'area di interesse comunitario;
   l'impatto che l'attività aeroportuale determina sulla residenza e sull'ambiente circostante allo stato attuale, è evidente. Gli apparecchi durante le fasi di atterraggio e decollo sorvolano, a poche decine di metri, sia zone densamente popolate che ambiti del Fiume Sile, ben noto a tutti come fiume di risorgiva più importante d'Italia;
   in relazione al piano di sviluppo aeroportuale (progetto 1/2012), per quanto concerne l'aeroporto Antonio Canova di Treviso si osserva che il progetto di ampliamento, ad avviso dell'interrogante, non rispetta le normative Ue sulla procedura d'impatto ambientale;
   per il Canova è stata chiesta la compatibilità ambientale il 6 dicembre 2002, e dopo il parere interlocutorio negativo del Ministero dell'ambiente, datato 2007, le autorità competenti avrebbero dovuto presentare una nuova VIA entro tre mesi, ma di fatto non è avvenuto;
   nonostante questo, le società di gestione dell'aeroporto, SAVE spa e AERTRE spa a partire dal 2007, hanno realizzato comunque gli interventi di ampliamento: terminal, nuovi parcheggi interni ed esterni alla struttura ed ancora ampliamenti dell'aerostazione;
   nel 2011 ENAC richiede alla Commissione VIA del Mattm un'autorizzazione per interventi di potenziamento e sviluppo delle infrastrutture di volo: rifacimento della pista ampliamento della superficie interessata dai movimenti a terra, nonché opere impiantistiche ed idrauliche. Tali opere sono state eseguite grazie a un documento del Ministero dell'ambiente del 5 maggio 2011 che ha concesso parere favorevole all'esclusione della procedura VIA. Tale atto è stato impugnato da Italia Nostra e dal Comitato aeroporto di Treviso con ricorso in giudizio al TAR del Veneto (n. di protocollo 1528 del 2011);
   l'autorizzazione all'esclusione avrebbe permesso un ulteriore sviluppo delle attività aeroportuali, con un aumento degli impatti su persone e territorio;
   nel 2011 ENAC autorizzava 8 movimenti/ora sullo scalo Canova affermando che il decreto DSA-DEC-2007-000039 del 14 maggio 2007, che limitava a 16.300 movimenti/anno non fosse attuativo, rimandando all'articolo 687 del codice della navigazione secondo il quale «l'unica autorità di regolazione tecnica, certificazione, vigilanza e controllo» sia l'ENAC; si è così sforato, nel periodo dal 2007 al 2012, il limite considerato cautelativo dal Ministero dell'ambiente;
   nel marzo del 2012, ENAC presenta un master plan di sviluppo delle attività connesse all'aeroporto Canova che comporterebbe la triplicazione del numero dei voli, attualmente pari a 16.300 annui e un aumento dei passeggeri da due milioni attuali a cinque milioni e seicentomila. Questo comporterebbe un ulteriore impatto ambientale ed un aggravio sulle vie di comunicazione limitrofe e sulle aree urbane interessate con un conseguente aumento dell'inquinamento sia acustico che atmosferico. Non ultimo le ricadute sul parco regionale del fiume Sile, area di alto valore naturalistico, sarebbero di grande impatto ambientale;
   anche la più recente normativa regionale sul governo del territorio (legge regionale 11/2004) sancisce che lo sviluppo, in generale, debba soddisfare a requisiti di sostenibilità non pregiudicare la qualità della vita dei cittadini e delle generazioni future e rispettare le risorse naturali;
   alla procedura di VIA del master plan dell'aeroporto di Treviso sono giunte innumerevoli osservazioni contrarie al progetto, da parte di associazioni ambientaliste quali LEGAMBIENTE, ITALIA NOSTRA, Salviamo il Paesaggio, nonché ANPI, FARE TREVISO, Comitati cittadini, comune di Zero Branco e comune di Quinto di Treviso;
   queste osservazioni hanno evidenziate, sia innumerevoli incongruenze sull'iter fino ad oggi seguito, sia possibili illeciti commessi dall'azienda MESTRINARO spa di Zero Branco di Treviso che, come denunciato dal Comitato antiampliamento su Il Gazzettino di Treviso del 17 aprile 2013, potrebbe aver conferito materiale altamente tossico e nocivo nell'esecuzione dei lavori (giugno/dicembre 2011) di sottofondo della pista di volo dell'aeroporto Antonio Canova di Treviso;
   la MESTRINARO spa risulta infatti già indagata dalla Procura di Venezia e di Vicenza per l'utilizzo di rifiuti tossici, impiegati nei lavori di sottofondo, eseguiti per la costruzione delle autostrade Val Dastico (VI), della A4 Venezia/Trieste, e del parcheggio dell'aeroporto Marco Polo di Venezia, così come denunciato dal Corriere Veneto del 6 luglio 2013 e dalla pagina nazionale del quotidiano La Tribuna di Treviso del 13 aprile 2013 –:
   se i Ministri interrogati:
    a) intendano fare chiarezza su questa aggrovigliata situazione procedurale creatasi nel corso degli anni e che ENAC ha dimostrato di non saper governare;
    b) se ritengano, a fronte di questa situazione, di sospendere l’iter procedurale di VIA del marzo 2012, in attesa di far chiarezza sullo sforamento dei lavori eseguiti, ma non autorizzati, nel 2011 all'interno del Parco del Sile, così come denunciato da Legambiente Treviso nelle sue osservazioni presso la Commissione VIA dello stesso Ministero;
    c) se, in particolare, il Ministero delle infrastrutture dei trasporti intenda avviare un'indagine conoscitiva dei fatti avvenuti in questi ultimi anni sullo sviluppo dell'aerostazione in questione, e sul ruolo che ENAC (ente predisposto al controllo, verifica, nonché responsabile di tutti i progetti in ambito di aviazione civile), abbia avuto in questa vicenda di normative non applicate e di decreti ministeriali non rispettati. (4-01568)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZAN e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'ex-seminario di Tencarola di Selvazzano (Padova), complesso realizzato nel 1970 dall'architetto Oscar Marchi (allievo di Giuseppe Samonà), è una pregevole opera dell'architettura moderna ispirata al Bauhaus di Walter Gropius;
   l'area dell'ex-seminario è tuttora vincolata a «luoghi e edifici di culto» nel PAT comunale;
   l'area complessiva sorge a ridosso del fiume Bacchiglione, corso d'acqua notoriamente a rischio esondazione;
   la «Trifoglio s.p.a.», titolare di un preliminare legato allo svincolo dell'area ove insiste la suddetta struttura e di quelle limitrofe per un totale di 361.961 metri quadrati, in data 15 novembre 2011 ha presentato una proposta per la formazione di uno strumento urbanistico attuativo propedeutico alla realizzazione di circa 133.000 metri quadrati di edifici ad uso commerciale, residenziale e direzionale;
   con deliberazione della giunta comunale di Selvazzano Dentro (Padova) n. 259 del 16 dicembre 2011, in forte disaccordo con la cittadinanza che s’è vista negare un referendum sulla questione, viene accolta la «Proposta preliminare per la formazione di uno strumento urbanistico attuativo (ambito ex seminario ex P.P.E. 40 ed ex P.R. 39)»;
   ci sono state, invece, ipotesi progettuali avanzate da un prestigioso gruppo di architetti, che prevedono la donazione dell'ex seminario allo Stato per farne un luogo di rieducazione, riconvertendolo in un istituto di pena a vigilanza attenuata, attrezzato con aule di studio e formazione professionale;
   Guglielmo Monti, ex soprintendente ai beni architettonici del Veneto orientale si è detto contrario alla sua demolizione. Secondo l'ex soprintendente la costruzione del seminario si pone al centro di un intenso lavoro creativo: «Una cittadella ideale, connubio e sintesi delle ricerche tipologiche e costruttive» come risulta da un articolo sul Mattino di Padova del 21 gennaio 2013;
   lo stesso Guglielmo Monti scrive che «la costruzione del seminario di Tencarola si pone al centro di un intenso lavoro creativo, proponendosi come una cittadella ideale, connubio e sintesi delle ricerche tipologiche e costruttive. La composizione di torri, strutture verticali a vista, collegamenti orizzontali tra i corpi di fabbrica e spazi aperti configura in effetti un paesaggio urbano ricco di emozioni ma sapientemente controllato. Dal punto di vista distributivo l'alternanza tra solenni spazi comuni e una serialità fatta di elementi pazientemente studiati e risolti con brillanti emozioni rendono il complesso prezioso, ma nel contempo facilmente adattabile a diversi impieghi funzionali»;
   «storicamente – continua Monti – l'opera di Marchi si pone all'interno di quella terza generazione di architetti che ha visto le opere di maestri come Le Corbusier, Mies e Wright già filtrate negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale da figure che ne hanno mediato l'impeto d'avanguardia con le tradizioni nazionali. In effetti il tema e la sua composizione presenta affinità con i villaggi di Alvar Aalto, con le elaborazioni di Oscar Niemeyer, con i nuovi insediamenti inglesi e giapponesi, con i centri commerciali e culturali di Arne Jacobsen. A livello nazionale si pone accanto alle riflessioni tipologiche di Edoardo Ghelner a Borea di Cadore o di Libero Cecchini negli edifici collettivi di Verona. Come in ogni opera d'arte architettonica, l'elaborazione compositiva e le soluzioni costruttive si compenetrano per creare una armonica collaborazione di ritmi orizzontali e verticali, di tranquille espansioni e vibranti accelerazioni. Al di là del suo valore artistico si può fare appello alla rilevanza storica della sua istituzione per attribuirgli una tutela non legata all'anzianità della costruzione e alla morte dell'autore»;
   a parere dell'interrogante, la demolizione della struttura per far posto ad una imponente operazione immobiliare è un atto di sfregio al territorio e un affronto al buon senso –:
   alla luce di quanto esposto in premessa e considerato il pregio dell'ex seminario di Tencarola di Selvazzano, cosa intenda fare il Governo, per tutelarne il patrimonio storico architettonico, impedirne la demolizione e per la valorizzazione dell'area. (5-00828)

Interrogazione a risposta scritta:


   BOCCADUTRI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 30 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (cosiddetto decreto del fare), ha introdotto alcune norme di semplificazione in materia edilizia;
   il suddetto articolo stabilisce che negli interventi di demolizione e ricostruzione, la sagoma non è più rilevante ai fini dell'individuazione del titolo edilizio abilitativo più adatto da richiedere;
   in sostanza, si considerano interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione di manufatti esistenti nel rispetto della cubatura ma non anche della sagoma, con l'esclusione degli edifici vincolati ai sensi del Codice Urbano;
   mere ristrutturazioni sono anche considerate anche il ripristino di edifici crollati o la ricostruzione di vecchi ruderi, casi prima considerati dalla giurisprudenza come nuova costruzione;
   trattandosi di mera ristrutturazione, per procedervi sarà sufficiente una semplice SCIA in luogo del permesso di costruire, tranne nel caso di immobili vincolati;
   la suddetta norma espone diversi edifici storici non vincolati ai sensi del Codice Urbano al rischio di essere demoliti e ricostruiti senza rispettare la sagoma con una semplice SCIA;
   a Roma, palazzi storici come i cinema Metropolitan di Via del Corso o America di Trastevere, o palazzo Caffarelli potrebbero essere abbattuti e ricostruiti, in modo difforme non essendo sottoposti a vincoli –:
   quali misure, il Ministro interrogato intenda assumere per tutelare il nostro patrimonio architettonico ed evitare la distruzione di palazzi storici. (4-01567)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   decine di ufficiali in ferma prefissata dell'Arma dei carabinieri, sia transitati in servizio permanente effettivo che congedati, hanno percepito su impulso dell'amministrazione militare un emolumento nell'ordine di circa 12-15.000 euro a titolo di «premio di congedamento», che i singoli ufficiali hanno evidentemente percepito in buona fede;
   recentemente l'amministrazione stessa, avendo ritenuto l'emolumento «un errore», ha iniziato a chiedere a distanza di 6 o 7 anni la restituzione delle somme corrisposte;
   tale circostanza mette, ovviamente, in estrema difficoltà le famiglie coinvolte ed ha aperto un contenzioso giudiziario piuttosto vasto che è tutt'ora in corso;
   la normativa in materia, facente capo al decreto legislativo n. 215 del 2001 e al Codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010, prevede che alla categoria degli ufficiali in ferma prefissata venga applicato lo stesso stato giuridico e il trattamento economico degli ufficiali di complemento, disciplinato dall'articolo 1786 del decreto legislativo n. 66 del 2010;
   di conseguenza, per quanto concerne il premio di fine ferma o premio di congedamento l'articolo 1796 del citato decreto legislativo n. 66 del 2010, riallacciandosi all'articolo 38 della legge n. 574 del 1980, prevede che agli ufficiali in ferma prefissata, sia congedati che transitati in servizio permanente effettivo, spetti il premio di fine ferma per ogni semestre di ferma volontaria, ulteriore o successiva a quella iniziale considerando come semestre intero la frazione di semestre superiore a tre mesi;
   giova, inoltre, ricordare che tale premio è stato corrisposto dopo che la direzione generale per il personale militare, interessando l'ispettorato generale per gli ordinamenti del personale e l'analisi dei costi del lavoro pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze, ne ricevette un parere positivo emanando addirittura un apposita circolare il 20 febbraio 2008 con la quale venivano disciplinate le modalità e i criteri di corresponsione del premio;
   a fronte di una tale approfondita consultazione, sembrerebbe quantomeno dubbio il comportamento del Ministero della difesa e, nello specifico, dell'Arma dei carabinieri, che dapprima ha concesso il premio, salvo poi richiederlo indietro a distanza di molto tempo, con gravi ripercussioni sulle famiglie dei militari congedati ed in servizio;
   sebbene il Ministero della difesa abbia manifestato la disponibilità del Comando generale dell'Arma dei carabinieri di procedere alla restituzione anche mediante forme di rateizzazione e l’iter del procedimento sia anche stato sospeso fino a settembre 2013, l'intera vicenda desta numerose perplessità anche per l'emergere di un ulteriore profilo di criticità, derivante dal fatto che la richiesta di restituzione del premio di congedamento fa riferimento all'ammontare lordo dello stesso e quindi alla restituzione di denaro mai percepito effettivamente dagli interessati –:
   qualora ne sussistano le condizioni, di provvedere ad una revoca o ad una sospensione del procedimento di recupero dei premi di congedamento;
   se ritenga opportuno attivare le dovute iniziative affinché, nel caso in cui si decida di proseguire con la riscossione dei premi, si provveda in ogni caso ad una rettifica degli atti emessi, richiedendo la restituzione delle somme al netto delle ritenute fiscali e non al lordo delle stesse, come peraltro statuisce una recente sentenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 1464 del 2 febbraio 2012). (4-01562)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, commi da 280 a 283, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) prevedeva il riconoscimento di un credito d'imposta in favore delle imprese che avessero sostenuto, nel periodo 2007-2009, costi per l'attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo; tale beneficio era fissato in misura pari al 10 per cento della spesa sostenuta ovvero al 40 per cento della stessa qualora riferita a contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca e non poteva, in ogni caso, essere commisurato ad un costo superiore a 50 milioni annui;
   l'articolo 29 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, ha introdotto, al comma 1, il monitoraggio di tutti i crediti d'imposta vigenti al momento e ha rinviato, per quanto riguarda il credito d'imposta per spese di attività di ricerca di cui all'articolo 1, commi da 280 a 283, della legge n. 296/2006, alle disposizioni contenute nei successivi commi da 2 a 5;
   i citati commi, oltre a stanziare le risorse per gli anni dal 2008 al 2011, disponevano che i contribuenti interessati al beneficio in commento dovessero presentare all'Agenzia delle entrate un apposito formulario, che valeva come prenotazione dell'accesso alla fruizione del credito d'imposta; in particolare, per i soggetti che alla data di entrata in vigore del n. 185 avevano già sostenuto le spese agevolabili, l'Agenzia delle entrate doveva fornire, in risposta, esclusivamente un nulla-osta ai soli fini della copertura finanziaria;
   successivamente, al fine di garantire la copertura finanziaria dell'onere a carico della finanza pubblica determinato sulla base delle richieste presentate dai contribuenti all'Agenzia delle entrate, l'articolo 2, comma 236, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, ha disposto l'incremento dell'autorizzazione di spesa per il credito d'imposta in favore dei soggetti che effettuano investimenti nell'attività di ricerca e sviluppo, rinviando ad un decreto non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare sentite le associazioni di categoria, la definizione delle modalità di utilizzo delle nuove risorse, nonché di quelle già stanziate pari a 654 milioni di euro per l'anno 2010 e 65,4 milioni per l'anno 2011;
   il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 4 marzo 2011, ha, pertanto, definito le modalità di utilizzo degli stanziamenti pari a 150 milioni di euro per l'anno 2010 e a 200 milioni di euro per l'anno 2011, stabilendo che fossero assegnate a coloro i quali, avendo già sostenuto le spese agevolabili alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 185, e già inoltrato per via telematica all'Agenzia delle entrate il formulario approvato dal direttore della stessa agenzia con provvedimento n. 32277 del 24 marzo 2009, come modificato dal provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate n. 61886 del 21 aprile 2009, non avevano ricevuto il nulla-osta per la fruizione del credito di imposta per esaurimento delle risorse disponibili; a tali soggetti il credito d'imposta veniva riconosciuto nella misura massima del 20,37 per cento dell'importo complessivamente richiesto per tutti e tre gli anni 2007, 2008 e 2009 a decorrere dalla data di pubblicazione del decreto e dell'ulteriore 27,16 per cento del predetto importo a decorrere dall'anno 2011 –:
   quale sia il numero dei soggetti che hanno usufruito del credito di imposta, se risultino soggetti che non abbiano visto pienamente soddisfatto il proprio diritto e se il Governo non ritenga utile equiparare tali somme ai crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione di cui al decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64. (5-00830)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MURER. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 luglio 2009 il Parlamento ha approvato il disegno di legge di ratifica del cosiddetto «decreto sicurezza» (poi legge 94 del 2009) recante modifiche all'articolo 14, comma 5 del testo unico di cui al decreto legislativo del 25 luglio 1988 n. 286;
   il testo di legge introduce, tra le altre misure, anche il reato di clandestinità per gli stranieri che entrano e soggiornano illegalmente nel territorio dello Stato italiano;
   in vigore dall'8 agosto 2009, il reato di immigrazione clandestina è di competenza del giudice di pace, si concreta nell'ingresso (flagrante) o nel soggiorno illegali, è punito con un'ammenda e con la conseguente espulsione;
   la contestazione del reato si è rivelata ardua e complessa, a causa dell'accavallarsi di diverse fattispecie di reati di competenza, per legge, di giudici diversi;
   questo vale, ad esempio, per il reato di ingresso o soggiorno irregolari, di competenza del giudice di pace, e la mancata esibizione di documenti, di competenza del giudice ordinario, fattispecie che si presentano spesso contestualmente; ne deriva una duplicazione di processi per l'applicazione di pene irrisorie e spesso ineseguibili;
   l'espulsione è, al contempo, conseguenza del reato di ingresso o soggiorno illegali, per via giudiziaria, ma anche provvedimento amministrativo disposto dal prefetto della provincia dove viene rintracciato lo straniero clandestino, secondo i dettami della vigente legge n. 189 del 2002, provvedimento che a tutt'oggi risulta di più facile e veloce applicazione per le forze dell'ordine;
   il reato di immigrazione clandestina cade inoltre, per legge, e diventa circostanza aggravante, nel caso di contestazione di altri e più gravi reati;
   secondo la direzione generale della giustizia penale, che ha controllato il 79 per cento dei fascicoli iscritti nei tribunali italiani nei primi 18 mesi di vita della legge, sono appena 172 i fascicoli aperti nel 2009 e nel 2010 per il reato di clandestinità; di questi, solo 55 sono stati definiti; sono appena 12 le sentenze di condanna per il reato di clandestinità e 18 i patteggiamenti;
   i risultati appaiono, dunque, un fallimento: sono calate le espulsioni; è quasi impossibile chiedere il pagamento dell'ammenda da cinquemila a diecimila euro a persone che sono in condizioni di povertà; si sono per lo più intasati i tribunali dei giudici di pace cui compete l'espulsione;
   di recente una commissione di saggi istituita dall'allora Ministro della giustizia Paola Severino, composta da magistrati, avvocati e docenti universitari, presentando uno studio per depenalizzare alcuni reati minori ha bocciato il reato di «ingresso e soggiorno clandestino nel territorio dello Stato», proponendo l'abolizione di due norme del testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998): l'articolo 6, comma 3, che prevede una disciplina speciale per il cittadino extracomunitario che non ottempera, senza giustificato motivo, all'ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato, e l'articolo 10-bis che ha introdotto il reato cosiddetto di «immigrazione clandestina»;
   la Commissione propone l'abrogazione, parlando di «una norma penale del tutto inefficace e simbolica, che prevede un regime sanzionatorio irrazionale, in quanto alla pena principale, di carattere pecuniario, che sicuramente il soggetto non sarà in grado di pagare, viene sostituita la sanzione dell'espulsione, più grave della pena principale. A garantire la disciplina dei flussi in ingresso, è quindi sufficiente il procedimento amministrativo di espulsione, presidiato anche dalla sanzione penale»;
   resta, a parere dell'interrogante, oltre alla palese inefficacia della misura, e alla sua inutile gravosità sugli uffici giudiziari, un giudizio negativo sul tema in sé del reato di clandestinità dal momento che esso travalica il senso di dignità della persona, si afferma come elemento di grave discriminazione; trasforma una semplice condizione, come quella di essere privi di documenti, in un reato penale senza che si sia commessa alcuna azione delittuosa;
   il reato di clandestinità risponde, a pare della scrivente, a una logica solo di paura e di difesa che non serve per affrontare in modo civile e solidale, inclusivo e moderno, un fenomeno complesso come l'immigrazione –:
   se dispongono di dati aggiornati in merito alla reale applicazione del reato di clandestinità, e cioè quanti siano i fascicoli aperti dalla magistratura dall'entrata in vigore della legge, quante siano le condanne, o i patteggiamenti, e le relative espulsioni conseguenti all'applicazione del reato di clandestinità; se il Governo non ritenga opportuno, alla luce di tutto quanto esposto in premessa, di assumere una iniziativa al fine di procedere ad una profonda revisione della normativa che ha introdotto, nel 2009, il reato di immigrazione clandestina. (4-01561)


   SILVIA GIORDANO, DALL'OSSO, BARONI, CECCONI, DI VITA, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   una bimba di due mesi, da circa un mese, alla data di presentazione della presente interrogazione parlamentare, è rinchiusa nel carcere della Dozza, a Bologna. La sua mamma è una giovanissima donna di 19 anni che non può ottenere i domiciliari perché «ha precedenti importanti» così la piccola bimba è costretta a vivere dietro le sbarre;
   sarebbe necessario mettere in atto tutte le iniziative per evitare che bambini come nel caso della piccola, siano costretti a trascorrere tempo in cella insieme alla madre;
   in questi casi, dal carcere si sollecita l'autorità giudiziaria competente affinché la madre possa essere trasferita assieme al figlio in una struttura alternativa richiesta che risulta all'interrogante essere stata presentata dal carcere della Dozza;
   nel caso della bimba «detenuta» nel carcere della Dozza di Bologna da una parte sembra non possibile procedere a misure alternative alla custodia in carcere per i precedenti della giovane madre e dall'altra la ragazza ha la famiglia fuori dall'Italia e non ha parenti ai quali affidare temporaneamente la bambina;
   in questi casi sarebbe necessario poter offrire una casa famiglia o una struttura alternativa almeno nel primo anno di vita dei bambini interessati;
   la Convenzione di Istanbul recentemente ratificata dall'Italia prevede che i Paesi aderenti sviluppino azioni per la salvaguardia dei minori con madri in carcere;
   la legge 21 aprile 2011, n 62, istituisce gli ICAM (istituti a custodia attenuata per madri) proprio per rendere la detenzione meno dura per i bambini, ma gli ICAM presenti sul territorio nazionale sono solo due, quello di Milano e quello di Venezia;
   la questione dei bambini «detenuti» sta diventando sempre più attuale e le cronache dei giornali spesso riportano casi simili a quello citato in questa premessa relativo a Bologna –:
   se sia a conoscenza del caso citato in premessa;
   quali azioni intenda intraprendere o abbia già avviato per affrontare la questione dei bambini detenuti;
   se non ritenga necessario procedere alla istituzione di strutture alternative, del resto già previste dalla legge 21 aprile 2011, n 62, al carcere per detenute che hanno bambini, in particolare di età inferiore ai tre anni, senza che questo pregiudichi la effettiva applicazione della pena ma contestualmente prevedendo il rispetto dei diritti del bambino anche tenendo conto degli impegni presi dall'Italia ratificando trattati e convenzioni internazionali. (4-01566)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 19 gennaio 2013 la nuova disciplina in materia di patenti di guida è assoggettata al decreto legislativo n. 59 del 2011 «Attuazione delle direttive 2006/126/CE e 2009/113/CE, concernenti la patente di guida» e al decreto legislativo n. 2 del 2013 «Disposizioni modificative e correttive del decreto legislativo 18 aprile 2011, n. 59 e del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 286, nonché attuazione della direttiva 2011/94/UE»;
   a tali provvedimenti è seguita circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti protocollo n. 2190/Class. 08.03 datata 24 gennaio 2013;
   al punto «A6» di detta circolare denominato «luogo e durata della prova pratica», che disciplina il luogo e la durata della prova pratica per il conseguimento delle patenti B-Be-B1, è citato: «La fase III della prova pratica va condotta, se possibile, su strade al di fuori del centro abitato, su superstrade ed autostrade (o simili), nonché sui diversi tipi di strada urbana (zone residenziali, zone con limiti di velocità fissati a 30 e 50 chilometri orari, strade urbane a grande scorrimento), rappresentativi delle diverse difficoltà che il futuro conducente dovrà affrontare. È consigliabile che la stessa sia effettuata in diverse condizioni di traffico»;
   le suddette prove in ambito autostradale comportano un notevole aumento del rischio sia per le persone che prendono posto a bordo dei veicoli delle autoscuole, sia per gli altri utenti della strada;
   il grado di preparazione degli allievi candidati, lo stato di ansia legato allo svolgimento dell'esame e delle conseguenze legate a imprevedibili quanto pericolosi comportamenti di difficile gestione da parte degli istruttori, del rischio connesso alle velocità superiori e ai ridotti tempi di intervento, nonché il possibile comportamento degli altri utenti che talvolta non rispettano la segnaletica stradale e le norme di comportamento oltreché la scarsa pubblicità data all'introduzione delle predette norme possono aumentare il livello di rischio;
   le sigle degli esaminatori e i documenti di valutazione rischi ipotizzano di chiedere al Ministero competente la possibilità di rendere obbligatoria la dotazione delle autovetture utilizzate per gli esami di guida comprendente: 4 porte; air-bag laterali; poggia testa; doppi comandi per il freno, frizione e acceleratore con segnalatore acustico che entri in funzione ogni volta che gli stessi vengono azionati; segnaletica luminosa con indicazione lampeggiante «ESAME GUIDA IN CORSO»;
   le sigle degli esaminatori evidenziano, altresì, la necessità di considerare attraverso direttive precise il comportamento da tenere sull'idoneità di una tratta autostradale colpito da pioggia battente o fondo pericolosamente sdrucciolevole, nonché la presenza di interruzioni per lavori;
   l'istruttore, che siede accanto al candidato, in fase di lezioni di guida può intervenire sui comandi in maniera preventiva mentre in fase di esame può agire esclusi mentente in fase correttiva in quanto al verificarsi di errore da parte del candidato un qualunque intervento esterno, anche solo verbale, porterebbe al non superamento della prova;
   il nodo autostradale di Genova è caratterizzato, per conformazione e congestione del traffico, da un alto livello di pericolosità aggravato dall'elevato flusso di mezzi pesanti, da lunghi tratti disposti su due corsie spesso non accompagnati da corsia di emergenza, da presenza intensa di cantieri stradali e da svincoli dalla lunghezza ridotta;
   l'assessore ai trasporti della regione Liguria, recentemente interrogato sull'argomento, ha risposto citando un suo confronto con la motorizzazione civile di Genova che: «In particolare, nella risposta, per quel che riguarda il punto in questione, ossia l'interpretazione che va data al testo in cui si cita che “la terza prova pratica va condotta, se possibile, su strada al di fuori del centro abitato, su superstrade ed autostrade, nonché sui diversi tipi di strada urbana, rappresentativi delle diverse difficoltà che il futuro conducente dovrà affrontare”, la Motorizzazione di Genova ha chiarito, in quella nota, che il “se possibile” debba essere interpretato come “ove possibile”. Dopo, però, nella nota si puntualizza: “ciò significa che gli esami possono essere effettuati anche senza l'utilizzo della sede autostradale, ove esistano strade e superstrade che abbiano caratteristiche simili alle autostrade (ma nella provincia di Genova non esiste questa fattispecie di superstrade); oppure, in quelle località dove l'autostrada o strade simili non esistono (e anche questo non è il nostro caso, avendo tutto l'arco delle tre autostrade che confluiscono a Genova); infine, in situazioni di emergenza, per chiusura, ad esempio, dell'autostrada, o avversità atmosferiche” (ma anche questi sono casi del tutto eccezionali). ...Questo è quanto ad oggi ha puntualizzato la Motorizzazione di Genova. Siccome condivido le Sue preoccupazioni, credo che a questo punto non rimanga – se lo ritiene – che procedere con un intervento nei confronti del Ministero affinché presti maggiore attenzione e fornisca risposte più attinenti alla realtà del nostro contesto genovese, della quale mi pare che in questa risposta la Motorizzazione di Genova non tenga assolutamente conto»;
   dalla normativa in essere non è chiaro la locuzione «se possibile» citata nel decreto legislativo n. 59 del 2011 debba intendersi come «possibilità della presenza in prossimità dell'area d'esame di tracciati autostradali o simili» oppure come «possibilità di accesso ad aree autostradali con caratteristiche conformi a quanto previsto dall'articolo 2, comma 3, lettera a), del Codice della Strada» –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se ritenga necessario ed urgente dare interpretazione autentica della locuzione «se possibile» evidenziata in grassetto nella formulazione del testo del decreto legislativo n. 59 del 2011 e se, a seguito di una corretta valutazione del rischio connesso allo svolgimento della prova pratica di guida, ritenga di adottare nuove misure necessarie all'abbattimento totale o parziale del suddetto rischio. (5-00826)

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI, VIGNALI, DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo pubblicato dal Messaggero Veneto del 30 luglio 2013 si ha notizia dell'allarme lanciato da Federchimica, associazione confederale che rappresenta 1350 imprese per un totale di 90 mila addetti, a causa della decisione presa da Trenitalia divisione cargo. La controllata merci di Trenitalia con una circolare di «restrizioni di traffico» ha comunicato che: «dal 1o agosto non si effettuerà più trasporto su carro ferroviario di cloro e di fluoro compresso sul territorio nazionale»;
   il predetto provvedimento assunto unilateralmente da Trenitalia divisione cargo riguarderà sia il traffico interno, sia il traffico in import e in export. La divisione cargo del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane ha motivato tale decisione adducendo generiche «motivazioni commerciali», ed ha annunciato che sarà effettiva fino a nuovo avviso ed interesserà, senza eccezioni, tutte le stazioni di spedizione, tutte le modalità di inoltro e tutte le modalità di carico;
   per il solo cloro, il traffico stimato all'anno 2011 si attesterebbe sulle 50.000 tonnellate; notevolmente inferiori sarebbero invece i volumi per il fluoro compresso. Il trasporto di queste due sostanze chimiche è peraltro già disciplinato in Europa dal «Regolamento RID», concernente il trasporto su ferrovia delle merci pericolose;
   tale forma di trasporto delle sostanze pericolose non ha subito alcuna restrizione negli altri Paesi europei ed in alcuni, come per esempio in Germania, la modalità di trasporto ferroviario di alcune sostanze pericolose, tra le quali il cloro, è obbligatoria;
   le direttive della Commissione europea e lo stesso «Piano nazionale della logistica 2011-2020», adottato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sono orientati a privilegiare il trasporto ferroviario per tutte le merci pericolose, alla cui categoria appartengono il cloro e il fluoro compresso, rispetto alle altre modalità logistiche;
   il blocco, da parte del principale operatore ferroviario italiano, del trasporto di queste due sostanze, metterà di fatto in crisi il sistema produttivo chimico del Paese, oltre che ad avere gravi conseguenze sull'approvvigionamento di quasi tutti i settori industriali: la farmaceutica, l'alimentare, la detergenza, i coloranti, la plastica, i trattamenti delle acque, la carta, il tessile;
   l'eventuale spostamento su strada del trasporto di queste merci pericolose aumenterà i potenziali rischi per la salute e l'incolumità dei cittadini, oltre che per l'ambiente, in quanto la modalità di trasporto su gomma soffre di un indice di incidentalità 250 volte superiore rispetto a quella su rotaia –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della decisione assunta da Trenitalia divisione cargo e se ritengano utile verificare se essa corrisponda al vero;
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo al fine di ovviare agli effetti del provvedimento di Trenitalia divisione cargo, che di fatto mette in grave difficoltà il settore chimico-farmaceutico dell'industria italiana;
   quali misure intendano adottare al fine di evitare il blocco del trasporto ferroviario di queste due sostanze e scongiurare i rischi per l'incolumità dei cittadini e la tutela dell'ambiente insiti in un eventuale spostamento su strada;
   se e quali revisioni normative nazionali sul trasporto ferroviario di merci pericolose siano state assunte successivamente al gravissimo incidente di Viareggio, occorso nella città della Versilia il 29 giugno 2009, a tutela della sicurezza, della salute pubblica e dell'ambiente. (4-01552)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   ANTIMO CESARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni sono sempre più numerosi i minorenni che navigano su Internet. Si è notevolmente abbassata l'età media degli utenti ed è cresciuto in modo esponenziale il numero di ore che bambini e ragazzi trascorrono davanti al computer;
   i pericoli che si corrono in rete non sono pochi. Tra questi, l'adescamento dei minori e il triste e preoccupante fenomeno del cyber-bullismo, che si sostanzia nell'uso deliberato dei media digitali per comportamenti molesti, anche protratti nel tempo, volti a infastidire, molestare e danneggiare una persona con l'ausilio dei moderni mezzi di comunicazione e attraverso un uso strumentale dei social network;
   è anche accaduto che atti di bullismo, compiuti nella vita reale, siano poi finiti in rete, perché ripresi e poi condivisi in Internet, con un'amplificazione nel tempo e nello spazio degli atti di violenza. Episodi che, in molti casi, sono poi sfociati in esiti drammatici;
   l'età minima formalmente indicata per accedere ai social network è di solito 13 anni. Purtroppo, le blande cautele predisposte dai gestori non impediscono la creazione di account da parte di utenti di età inferiore, che, inconsapevoli dei rischi, possono mentire sulla loro età indicando – per esempio – una data di nascita fittizia, così esponendosi ai rischi sopra descritti;
   si segnala che, per dimostrare la sua attenzione nei confronti degli utenti più giovani un noto social network – per esempio – afferma che «le sole persone che possono vedere ciò che pubblicano i ragazzi sono i loro amici, gli amici degli amici e le reti (ad esempio quella della scuola che frequentano)». Tale affermazione, però, invece di tranquillizzare allarma ancora di più, in quanto candidamente ammette che gli account dei minori possono essere visionati e contattati da soggetti indeterminati ed indeterminabili che possono con essi interagire –:
   se e come intenda intervenire per garantire la tutela dei minori nell'utilizzo dei social network, e, in particolare, quali iniziative anche normative ritenga di porre in essere anche a presidio dell'esercizio della potestà genitoriale sui figli minorenni, poiché, in mancanza di provvedimenti concreti, rischia di suonare come una beffa il suggerimento offerto da qualche social network agli utenti: «Si invitano i genitori a insegnare ai propri figli le norme per un utilizzo sicuro di Internet». (3-00254)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI GIOIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 23 del cosiddetto decreto «Salva Italia» (decreto-legge n. 201 del 2011) prevede l'abolizione delle amministrazioni provinciali al fine di ridurre i costi e riorganizzare gli enti locali;
   le province in scadenza di mandato nell'anno 2013, in attesa di una normativa definita, sono state commissariate con decreto prefettizio;
   gli emolumenti previsti per il commissario straordinario sono notevolmente più alti rispetto a quelli che erano precedentemente destinati al presidente della provincia, rappresentando, di fatto, una incredibile contraddizione rispetto alla volontà originaria del decreto-legge «Salva Italia» in tema di razionalizzazione della spesa pubblica;
   il commissario straordinario ha la possibilità di costituire un ufficio di supporto e di segreteria con assunzione di personale esterno a tempo determinato, gravando ulteriormente sulle casse pubbliche;
   la prefettura di Benevento, in data 21 aprile 2013, ufficializza la nomina a commissario straordinario del presidente della provincia per la gestione provvisoria dell'ente, fino all'elezione dei nuovi organi provinciali. Il commissario assume con mansioni di segreteria due persone esterne il cui contratto decorre dalla data del 1o agosto 2013 con scadenza il termine del mandato commissariale;
   la Corte costituzionale in camera di consiglio ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle disposizioni del decreto-legge n. 201 del 2011 in merito all'abolizione dell'ente provinciale con la conseguenza che si dovrà procedere al rinnovo del consiglio e all'elezione diretta del presidente nella prima tornata elettorale utile;
   recentemente il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge che riguarda città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni e che ne rivede e ne «svuota» in parte i poteri in vista dell'abolizione delle norma in materia prevista nella Carta costituzionale –:
   quali misure intenda assumere il Governo per contenere i costi della gestione commissariale delle province in attesa dell'elezione diretta del presidente e del consiglio;
   se il Governo intenda porre dei vincoli di spesa rispetto agli emolumenti dei commissari straordinari attualmente in carica e rispetto all'assunzione di personale esterno all'ente con competenze di segreteria, facendo particolare riferimento al caso citato della provincia di Benevento.
(4-01553)


   LOCATELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   per la terza volta, nel giro di pochi mesi, la sede del PSI di Saranno è stato oggetto di atti di vandalismo;
   dopo gli episodi accaduti a settembre 2012 e dicembre 2012, la notte tra il 28 e il 20 luglio 2013 è stato infranto il vetro della porta di ingresso e, fortunatamente, nonostante gli evidenti ripetuti tentativi di distruggerlo, il vetro antisfondamento ha resistito;
   lo stesso accanimento si manifesta nei confronti dalla targa della piazzetta «Largo Caduti di Nassiriya» che si trova davanti alla sede socialista;
   con senso di responsabilità i socialisti di Saronno avevano deciso di mantenere un «basso profilo» dopo i primi due episodi per non creare inutili tensioni nella città ma visto il ripetersi di atti intimidatori non si può più sottovalutare quanto avviene;
   quanto sta accadendo, non fa altro che rafforzare la volontà dei socialisti di Saronno di continuare nella loro attività politica tesa alla difesa dei valori di legalità e rispetto delle regole democratiche ma sicuramente rappresenta un segnale antidemocratico che va monitorato con attenzione affinché non si instauri nella città un clima di violenza politica –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto anche in relazione all'attività delle forze dell'ordine in merito a queste ripetute intimidazioni nei confronti dei socialisti di Saronno, tenuto conto, oltretutto, del ruolo ricoperto con estrema fermezza dal socialista Giuseppe Nigro, quale assessore alla sicurezza e alla polizia locale;
   come e se intenda intervenire per evitare che simili atti di vandalismo possano ripetersi e sia garantito il libero confronto politico nella città di Saronno. (4-01557)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con la trasformazione del rapporto d'impiego da privato in pubblicistico (legge n. 252 del 2004 e decreto legislativo n. 217 del 2005) sono state emanate nuove norme per il passaggio di qualifica a capo reparto e capo squadra nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   attraverso tale procedura dovevano essere snellite le lunghe e farraginose procedure per ripianare le fortissime carenze nei due importanti profili professionali che al momento sono di circa 1.500 unità nel profilo di capo reparto e 2.000 circa nel profilo di capo squadra. La procedura prevede la copertura delle carenze determinate al 31 dicembre dell'anno precedente con un bando di concorso al 1° gennaio dell'anno successivo. Esso si divide in due sottoprocedure: la copertura nella misura del 60 per cento dei posti vacanti per anzianità e titoli e la copertura nella misura del 40 per cento dei posti per concorso;
   nell'effettuazione delle prime procedure per la copertura dei posti disponibili al 10 gennaio 2006 emersero tutte le problematiche reali rispetto allo spirito di riduzione delle procedure cui s'ispirava la procedura;
   nello specifico riguardo al concorso per la copertura del 40 per cento delle carenze nel profilo professionale di capo squadra (concorso 40 per cento del 1° gennaio 2007) vennero presentati dei ricorsi;
   a seguito di detti ricorsi il TAR del Lazio emise una sospensiva, successivamente superata dalle eccezioni dell'amministrazione;
   successivamente il Consiglio di Stato ha ritenuto fondate le motivazioni del ricorso ed ha definitivamente annullato il concorso di che trattasi;
   è già stata esperita un'analoga procedura al 1° gennaio 2006 ed è in corso quella al 1° gennaio 2008 e potrebbe accadere che nei prossimi giorni, analoghe sentenze potranno essere emesse riguardo alle decorrenze 2006 e 2008;
   tra l'altro, per superare tali condizioni e non mettere in ginocchio l'operatività del Comando nazionale dei vigili del fuoco, i commi 8 e 9 dell'articolo 10 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, concernente «Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l'economia» hanno previsto una procedura straordinaria per le decorrenze da effettuare solo ed esclusivamente per anzianità e titoli –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato al fine di superare tale incresciosa situazione e di rassicurare i 170 capi squadra che hanno superato il corso di formazione e che già da alcuni mesi espletavano le mansioni di capo squadra presso le sedi operative del Corpo dei vigili del fuoco. (4-01560)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SANTERINI, CAPUA, MOLEA e VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i tirocini formativi attivi ordinari, recentemente conclusi, hanno selezionato, tra 200 mila concorrenti, circa 11 mila docenti attraverso un'apposita prova d'accesso sulle conoscenze disciplinari relative alle materie oggetto di insegnamento della classe di abilitazione, secondo i programmi definiti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   i tirocini formativi attivi recentemente conclusi, o in procinto di concludersi, hanno specificatamente formato i suddetti docenti per svolgere l'attività di insegnamento;
   l'approvazione dei tirocini formativi attivi speciali abiliterà, senza alcuna procedura di selezione, oltre 100 mila docenti (in numero notevolmente superiore alle necessità evidenziate nel DDg n. 82 del 24/09/2012 oltre che nei bandi relativi all'avvio delle selezioni per i TFA ordinari;
   attualmente gli abilitati dei tirocini formativi attivi ordinario e speciale potranno accedere alla medesima II fascia delle graduatorie di istituto senza distinzione fra chi ha superato una procedura selettiva e chi acquisirà lo stesso titolo senza selezione alcuna;
   gli abilitati tramite Tirocini formativi attivi ordinari risultano di gran lunga svantaggiati rispetto ai futuri abilitati tramite tirocini formativi attivi speciali, che possono vantare molti punti in più derivanti da titoli di servizio posseduti –:
   quali iniziative il Governo ritenga opportuno prendere per ovviare a tale situazione di squilibrio e in quali tempi preveda l'emanazione di un bando di un secondo ciclo per i neo laureati. (5-00827)


   BOCCUZZI, ALBANELLA, BELLANOVA, BARUFFI, GIACOBBE, GNECCHI, MAESTRI e ZAPPULLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il ruolo dell'istruzione e della formazione come potente strumento per lo sviluppo di una cultura della salute e sicurezza è riconosciuta a livello internazionale, dall'International Labour Organization (ILO) nell'ambito della convenzione 155 sulla salute e sicurezza sul lavoro del 1981. In particolare, l'articolo 14 della convenzione riguarda specificamente l'integrazione della salute e sicurezza sul lavoro (SSL) nell'istruzione: «Devono essere prese misure al fine di promuovere in maniera adeguata alle condizioni e alle prassi nazionali, l'inserimento delle questioni di SSL a tutti i livelli di istruzione e formazione, tra cui l'istruzione superiore tecnica, medica e professionale, in modo da soddisfare i bisogni formativi di tutti i lavoratori»;
   l'esigenza di informare le nuove generazioni dei rischi relativi all'incolumità dei lavoratori nei luoghi di lavoro e divulgare la cultura della salute e della sicurezza, era stata recepita dal testo unico sulla sicurezza sul lavoro (decreto legislativo n. 81 del 2008), che, all'articolo 11, comma 1, lettera c), ha previsto il finanziamento da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, previo trasferimento delle necessarie risorse da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali «delle attività degli istituti scolastici, universitari e di formazione professionale finalizzata all'inserimento in ogni attività scolastica ed universitaria, nelle istituzioni dell'alta formazione artistica e coreutica e nei percorsi di istruzione e formazione professionale di specifici percorsi formativi interdisciplinari alle diverse materie scolastiche volti a favorire la conoscenza delle tematiche della salute e della sicurezza nel rispetto delle autonomie didattiche»;
   il comma 2 del medesimo articolo 11 stabiliva che ai suddetti finanziamenti si sarebbe provvisto con oneri a carico delle risorse di cui all'articolo 1, comma 7-bis, della legge n. 123 del 2007 (la legge delega per l'emanazione del testo unico sulla sicurezza sul lavoro), il quale disponeva uno stanziamento di 50 milioni di euro a decorrere dal 1o gennaio 2008 per l'attuazione del principio di delega avente a oggetto, tra gli altri (articolo 1, comma 2, lettera p), della legge n. 123 del 2007) «la promozione e la divulgazione della cultura della salute e della sicurezza sul lavoro all'interno dell'attività scolastica e universitaria e nei percorsi di formazione;
   a distanza di 4 anni dall'emanazione del testo unico sulla sicurezza sul lavoro, non sembra si sia prodotto un particolare impegno nell'attuazione delle richiamate disposizioni, allontanando l'obiettivo di un pieno coinvolgimento di tutte le componenti della società nella consapevolezza dell'importanza di una cultura della conoscenza e della prevenzione dei rischi sul lavoro –:
   quali siano state le iniziative finalizzate alla promozione e alla divulgazione della cultura della salute e della sicurezza sul lavoro nell'ambito dell'attività scolastica e universitaria e nei percorsi di formazione, e quante risorse siano state a esse destinate. (5-00832)


   GIANCARLO GIORDANO, COSTANTINO, FRATOIANNI, PAGLIA e FERRARA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione della Repubblica italiana all'articolo 3 recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
   all'articolo 33 recita: «la Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali»;
   all'articolo 34 recita: «La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni; è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso»;
   la legge n. 444 del 1968 istituisce la Scuola materna Statale;
   il decreto ministeriale 3 giugno 1991, intitolato, «Orientamenti dell'attività educativa nelle scuole materne statali» definisce una idea di progetto educativo in cui «l'ulteriore sviluppo di questa scuola si profila, pertanto, come generalizzazione di un servizio educativo di elevata qualità, impegnato a diffondersi senza squilibri e disuguaglianze sul territorio nazionale, espressione di una progettualità politica e pedagogica consapevole delle sfide provenienti dalle nuove dinamiche della cultura e della società e in grado di tradurre nei fatti la convinzione che l'infanzia rappresenta una fase ineludibilmente preziosa dell'educazione dell'uomo e del cittadino». Questa idea è solo in parte rilanciata dalle successive Indicazioni Nazionali del 2007, troppo attente ad una enfatizzazione della pluralità di modelli istituzionali e organizzativi promossi e da quelle vigenti, emanate nel 2012. Pur con i limiti indicati, i testi citati hanno comunque il pregio di incardinare, seppure non ancora obbligatoriamente, la scuola dell'infanzia nel percorso scolastico precedente l'obbligo di istruzione sottraendola definitivamente alla originaria dimensione socio-assistenziale;
   il decreto legislativo n. 297 del 1994, all'articolo 2, nel rispetto del dettato Costituzionale garantisce ai docenti delle scuole Statali (e comunali) la «libertà d'insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale» essendo «l'esercizio di tale libertà diretto a promuovere attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni», definendone così chiaramente il carattere laico, carattere che non trova riscontro nella stessa normativa contrattuale per i docenti delle scuole paritarie private ad indirizzo confessionale;
   la legge n. 62 del 2000 all'articolo 1 specifica quanto segue: «1. Il sistema nazionale di istruzione di istruzione, fermo restando quanto previsto dall'articolo 33, comma 2 della Costituzionale, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti lavori. La Repubblica individua come obiettivo prioritario l'espansione dell'offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall'infanzia lungo tutto l'arco della vita;
   la legge n. 53 del 2003 all'articolo 2 comma 1, lettera e) e il decreto legislativo n. 59 del 2004 all'articolo 1, commi 1 e 2, nel delineare le finalità della scuola dell'infanzia ne prevedono la generalizzazione (allo stato ancora incompiuta): «1. La scuola dell'infanzia, non obbligatoria e di durata triennale, concorre all'educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, e ad assicurare un'effettiva eguaglianza delle opportunità educative; nel rispetto della primaria responsabilità educativa dei genitori, contribuisce alla formazione integrale delle bambine e dei bambini e, nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizza il profilo educativo e la continuità educativa con il complesso dei servizi all'infanzia e con la scuola primaria. 2, è assicurata la generalizzazione dell'offerta formativa e la possibilità di frequenza della scuola dell'infanzia;
   la Commissione europea in Efficienza e equità nei sistemi europei di istruzione e formazione (2006) afferma che «L'istruzione preelementare presenta il rendimento più elevato in termini di risultati e di adattamento sociale dei bambini. Gli Stati membri dovrebbero aumentare i propri investimenti nell'istruzione preelementare, quale mezzo efficace per creare le basi di ulteriore apprendimento, prevenendo l'abbandono scolastico, rendendo più equi i risultati ed elaborando i livelli complessivi di capacità» e ribadisce nel 2011 che la scuola dell'infanzia costituisce la base essenziale per il buon esito dell'apprendimento permanente, dell'integrazione sociale, dello sviluppo personale e della successiva occupabilità, principi recepiti nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo 2012;
   nella città di Bologna è cresciuto ogni anno il numero di bambini esclusi dalle scuole d'infanzia comunali e statali, arrivando a giugno del 2012 a 423 bambini in lista d'attesa;
   in simili casi la soluzione temporanea per le famiglie è quella di iscrivere i figli esclusi a una scuola privata, pur non condividendone l'orientamento confessionale;
   è di circa un milione di euro all'anno il finanziamento pubblico destinato alle scuole private;
   si è costituito il comitato articolo 33 in difesa della scuola pubblica statale e comunale, che ha proposto un quesito referendario, sostenuto dalla raccolta di tredicimila firme di cittadini e cittadine, i quali hanno chiesto di potersi esprimere su questo tema per indirizzare le attività dell'amministrazione comunale;
   il 26 maggio 2013 si è tenuto un referendum consultivo relativo al finanziamento comunale alle scuole paritarie private;
   il risultato del referendum ha restituito all'amministrazione comunale di Bologna una netta presa di posizione da parte della comunità che si è espressa in modo contrario alla possibilità di finanziare le scuole private con circa un milione di euro pubblici;
   il giorno 29 luglio il consiglio comunale di Bologna, ignorando completamente il risultato del referendum consultivo cittadino, ha votato e accolto un ordine del giorno che blinda, l'attuale sistema pubblico integrato bolognese decidendo che il milione di euro versato dal comune alle scuole materne paritarie private non sarà toccato, né dimezzato o messo in discussione;
   i cittadini bolognesi meriterebbero una risposta differente alla loro volontà, così chiaramente emersa dal risultato del referendum consultivo del 26 maggio 2013 frutto delle istanze sostenute dal «Comitato articolo 33»;
   sul piano nazionale, la nostra scuola d'infanzia, un tempo modello di riferimento per altri Paesi, rischia, a causa dei tagli indiscriminati e della mancanza di sinergie tra gli enti interessati, di non essere più in grado di rispondere al dettato costituzionale e alle direttive europee. Assistiamo ad un peggioramento dell'offerta anche nelle regioni che erano all'avanguardia e il 70 per cento delle sezioni è affidato a privati, attraverso un sistema carente e frammentato di convenzioni, definizione dei livelli qualitativi, controlli; gli enti locali, in estrema difficoltà per il patto di stabilità e per le minori risorse trasferite dallo Stato, sempre più spesso non riescono a garantire i contributi erogati in precedenza, non possono assumere personale educativo e ricorrono in molti casi all'esternalizzazione di pezzi dell'offerta formativa. Molte famiglie dal canto proprio sono costrette a tagliare le spese relative alla formazione scegliendo di far frequentare ai figli metà giornata scolastica. Ne consegue una forte varianza territoriale in termini di quantità e qualità dell'offerta didattica; secondo il monitoraggio effettuato in alcune regioni dalla FLC CGIL sono alcune centinaia le sezioni e a volte intere scuole che si richiede che vengano passate allo Stato (39 sezioni a Bologna, 5 a Parma, 105 sezioni in Toscana, 45 sezioni in Lombardia);
   non si è palesata, finora, la necessaria inversione di tendenza della spesa pubblica in istruzione a partire dall'abolizione dell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 convertito con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008; conseguentemente, la spesa pubblica resta vincolata alla logica della riduzione dei costi e del pareggio di bilancio, attuata con tagli indiscriminati ai finanziamenti e alle risorse umane, e sembra avere quale unico obiettivo lo smantellamento della scuola pubblica e il rafforzamento della tendenza alla «privatizzazione dei saperi» –:
   quali iniziative i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano adottare affinché sia:
    a) rilevata l'entità delle diverse forme di finanziamento delle scuole dell'infanzia, in modo da verificare l'esatta configurazione delle scelte compiute nei confronti delle scuole statali, delle scuole paritarie degli enti pubblici e delle paritarie private;
    b) garantita una concreta opportunità di scelta nei confronti della scuola statale o comunale pubblica, laica e gratuita, la cui consistenza attuale non copre l'interezza del bisogno;
    c) data risposta alle richieste delle liste di attesa delle città italiane in cui l'offerta del servizio pubblico statale e comunale non riesce a coprire la domanda espressa dalle famiglie che chiedono una istruzione laica e gratuita;
    d) avviato un processo di generalizzazione della scuola dell'infanzia statale e comunale, interrotto dalla legge Gelmini, con garanzia di offerta pubblica, statale o comunale, su tutto il territorio nazionale, affinché anche dove sia presente e più ampia la presenza di scuole affidate, con convenzioni, a privati, sia comunque offerta alle famiglie che ne facciano richiesta la possibilità di frequentare sezioni statali o comunali. (5-00833)


   PES. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo decreto ministeriale sulle modalità delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato nazionale per l'anno accademico 2013-14 prevede la ridefinizione dei criteri di valorizzazione del percorso scolastico e il posticipo delle date delle prove a settembre;
   il 9 luglio 2013, con decreto ministeriale, il MIUR ha determinato, per l'anno accademico 2013-2014 8.787 posti per i corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico, direttamente finalizzati alla formazione di architetto a livello nazionale; ha stabilito che ciascuna Università disponga l'ammissione degli studenti, in base ad apposita graduatoria di merito nel limite del contingente ad esse riservato; ha, altresì, stabilito che per accedere alle prove selettive ciascun studente effettui l'iscrizione on-line sul portale dell'ateneo e successivamente il sistema in automatico genera la tassa di ammissione ai corsi di studio, prevista dal regolamento tasse e contributi universitari A.A. 2013/2014, che deve essere versata improrogabilmente entro il 25 luglio 2013;
   si apprende che presso l'università di Cagliari, facoltà di architettura, a causa di un disguido causato dalla comunicazione tramite e-mail, inviata dalla segreteria dell'università, le comunicazioni siano pervenute come «posta indesiderata», spam, determinando un ritardo di cinque giorni all'iscrizione e la conseguente mancata iscrizione di molti studenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto accaduto presso l'università di Cagliari, facoltà di architettura, e se, in tal caso, non ritenga opportuno valutare se sussistano i presupposti per prorogare i termini di pagamento delle tasse nei casi nei quali il ritardo non sia imputabile agli studenti così da consentire agli studenti l'accesso ai test di ammissione e garantire il loro diritto allo studio. (5-00839)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 31 dicembre 1968 una pallottola sparata dalle forze dell'ordine colpiva ad una vertebra il signor Soriano Ceccanti, lasciandolo paralizzato;
   il signor Soriano Ceccanti riceveva, fino a qualche mese fa, una prestazione economica quale pensione di invalidità civile a seguito del su descritto evento;
   le norme che regolano l'istituto dell'invalidità civile e le relative circolari emanate da INPS, delineano che i requisiti essenziali per il diritto alla prestazione economica sono: il riconoscimento sanitario e il possesso della residenza in Italia;
   il signor Ceccanti è residente in Italia e sono state di recente confermati i requisiti sanitari a seguito di visita medica di verifica;
   l'INPS, pochi mesi fa, ha sospeso cautelativamente la prestazione economica contestando il non rispetto della «dimora stabile e abituale in Italia»;
   a parere dell'interrogante appare alquanto opinabile l'interpretazione effettuata da INPS in merito alla vicenda non trovando specifiche norme a riguardo né circolari specifiche emanate da tale ente;
   appare non applicata in maniera corretta la legge 1o marzo 2006 n. 67 e che la «sospensione» applicata da INPS, non sarebbe stata attuata se si fosse trattato di un altro titolare di trattamento pensionistico, ma appartenente alla categoria dei «non disabili»: a questi ultimi non risulta sia fatto divieto di allontanarsi dal territorio nazionale per brevi periodi;
   appare discriminatorio l'attuazione di tale provvedimento da parte di INPS per quanto concerne la libera circolazione all'estero di soggetti diversamente abili –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione su descritta e se non ritenga opportuno porre la propria attenzione e intervenire, per quanto di sua competenza, al fine di ripristinare la prestazione economica relativa alla pensione d'invalidità civile del signor Soriano Ceccanti e di altri cittadini che si trovino in analoghe condizioni;
   quali interventi il Ministro intenda assumere per evitare che tali spiacevoli situazioni si ripetano in futuro. (5-00837)


   CENNI, ARGENTIN, BELLANOVA, BOSSA, GNECCHI, COMINELLI, LENZI, MALPEZZI, MARIANI, MORETTI, MURER, ROCCHI, TENTORI, TERROSI e ZAMPA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   anche in questi ultimi giorni nel nostro Paese sono state uccise delle donne, prevalentemente da ex fidanzati, mariti, compagni (a Palermo il 10 luglio, a Massa Carrara il 28 luglio, a Lecce il 29 luglio, per citarne alcuni) per lo più già denunciati dalle vittime, e tali episodi impongono a tutte le istituzioni un salto di qualità negli interventi necessari a fermare la violenza;
   la violenza contro le donne rappresenta un fenomeno esteso e sempre più rilevante. Oltre il 14 per cento delle donne italiane, tra i 16 e i 70 anni, ha infatti subito violenze sessuali o fisiche dal partner: poco meno di 7 milioni di vittime. Circa 1 milione ha subito stupri o tentati stupri. Solo il 7 per cento di chi subisce violenze denuncia il compagno. Inoltre, e ben più grave, appare il dato che il 33,9 per cento di coloro che hanno subito violenza dal proprio partner e il 24 per cento di coloro che l'hanno subita da un conoscente o da un estraneo, non parla con nessuno dell'accaduto. Questi i risultati dell'ultima indagine Istat condotta in seguito a una convenzione con il Ministero per i diritti e pari opportunità presentata a Roma nelle scorse settimane;
   secondo il rapporto Eures-Ansa sull'omicidio volontario in Italia ogni giorno in Italia viene colpita da atti di violenza di genere (fisica, verbale e psicologica) una donna ogni 12 secondi. Nell'ultimo anno con dati disponibili (il 2010) si sono contati oltre 105 mila reati di genere, pari ad oltre 290 al giorno. Entrando nel dettaglio ogni giorno 95 donne denunciano di aver subito minacce e 87 di aver subito ingiurie; 64 donne al giorno sono vittime di lesioni dolose, 19 di percosse, 14 di stalking, 10 di violenze sessuali;
   secondo i dati resi noti dal «Telefono Rosa» l'autore delle violenze è nel 48 per cento dei casi il marito, nel 12 per cento il convivente o nel 23 per cento l’ex. Si tratta prevalentemente di uomini tra i 35 e i 54 anni (61 per cento), il 46 per cento ha la licenza media, il 19 per cento la laurea;
   dall'inizio del 2013 al 30 giugno ci sono stati in Italia 65 «femminicidi», e in media viene uccisa una donna «ogni due giorni e mezzo»: rende noto la Società italiana di psichiatria, a margine della conferenza stampa promossa dall'Organizzazione nazionale sulla salute della donna (O.N.Da) sulla violenza sulle donne svolta nel mese di luglio 2013;
   dai dati appena citati risulta quindi evidente come tale gravissimo fenomeno abbia rilevanti peculiarità di «universalità» e «trasversalità» nella società italiana e caratterizzi ampie fasce della popolazione, sia per quanto riguarda l'età, le zone territoriali di residenza, i livelli di scolarità e gli ambiti in cui avviene;
   il 19 giugno 2013 il Parlamento italiano ha approvato, in via definitiva, la ratifica e l'esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa, nota come Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la violenza domestica;
   la convenzione, frutto di due anni di lavoro, è stata approvata ad Istanbul l'11 maggio 2011 e rappresenta il primo strumento giuridicamente vincolante in Europa per la creazione di un quadro giuridico completo per combattere la violenza tramite la prevenzione, l'azione giudiziaria, il supporto alle vittime. Nel testo sono indicate una serie di misure che gli Stati devono adottare per prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire gli autori dei reati;
   in particolare, il testo della convenzione definisce la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani fondamentali e una forma di discriminazione da contrastare, istituendo un collegamento diretto di estremo valore e di segno innovativo tra l'impegno a sradicare il fenomeno della violenza sulle donne e l'obiettivo di conseguire un'eguaglianza di genere, di fatto e di diritto. Nel testo sono indicate specifiche misure che gli Stati firmatari devono adottare per prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire gli autori dei reati;
   alla luce dei dati drammatici sulle violenze nei confronti delle donne e dei contenuti della Convenzione di Istanbul, è quindi necessario attuare pienamente e concretamente al Piano nazionale antiviolenza (varato dal Consiglio dei ministri ed aggiornato temporalmente), tramite un approccio che non si limiti all'aspetto repressivo, ma investa soprattutto su una rete integrata di politiche fondate sulla prevenzione, protezione e rieducazione e quindi da proposte immediate, quali ad esempio l'inquadramento giuridico e il potenziamento dei centri antiviolenza. Centri che non solo non sono presenti capillarmente su tutto il territorio nazionale ma che hanno subito tagli pesantissimi, che sopravvivono grazie a finanziamenti una tantum che al momento ne possono garantire un'operatività limata all'incirca di un anno o poco più, e che pertanto richiedono un adeguato rifinanziamento;
   l'attuale governo, d'altra parte, ha rimarcato in molte occasioni, la necessità di attuare politiche efficaci contro la violenza delle donne. Nel mese di giugno sono partiti i lavori della «Task force interministeriale» contro la violenza verso le donne promossa dall'allora Ministro per le pari opportunità Josefa Idem. L'obiettivo di tale gruppo di lavoro, al quale prendono parte i Ministri dell'interno, giustizia, salute, istruzione, lavoro, integrazione ed economia, è quello di esaminare il problema (secondo quanto annunciato da Josefa Idem) «sotto tutti i profili, come la formazione degli operatori sanitari e delle forze dell'ordine, la prevenzione, la repressione ed il reperimento delle necessarie risorse finanziarie». Il nuovo Viceministro per le pari opportunità Cecilia Guerra, ha riconvocato la «Task force interministeriale» il 22 luglio coinvolgendo anche i rappresentanti delle Asl, delle Forze dell'ordine, delle istituzioni territoriali e dei centri antiviolenza. Cecilia Guerra ha inoltre dichiarato che verranno interessate anche le regioni ed i comuni per consentire una maggior «programmazione sui territori» e la prevenzione, annunciando che è anche al lavoro per reperire fondi per il contrasto alla violenza e per i centri antiviolenza nella prossima legge di stabilità;
   il 4 giugno 2013 la Camera dei deputati ha approvato una mozione unitaria (n. 1-00067) che ha impegnato il Governo:
    ad adottare, sostenere ed accelerare ogni iniziativa normativa, nazionale ed internazionale, volta a recepire nell'ordinamento interno, con i necessari passaggi parlamentari e in coordinamento con le forme di protezione internazionale già recepite per effetto di altri trattati e atti comunitari, quanto contenuto nella Convenzione d'Istanbul nel rispetto dello spirito della stessa, che si fonda sulle linee guida necessarie ad un'efficace lotta alla violenza contro le donne, ovvero prevenzione, protezione, repressione, monitoraggio e integrazione delle singole politiche;
    ad adottare, altresì, tutte le misure di carattere amministrativo idonee a promuovere una cultura che renda effettivo il pieno riconoscimento dei diritti umani delle donne, la loro dignità, libertà ed uguaglianza;
    a promuovere, in questo quadro, ogni azione di contrasto a persecuzioni, sfruttamento, violenza contro le donne, le bambine e i bambini e contro il femminicidio;
    a predisporre e attuare un nuovo Piano nazionale contro la violenza, le molestie, gli atti persecutori, i maltrattamenti sulle donne, fondato sulla prevenzione, protezione e certezza della pena;
    ad istituire in tempi rapidi un Osservatorio permanente nazionale nel quale convergano flussi stabili di dati sulla violenza, provenienti dai vari Ministeri coinvolti, dall'Istat, dai centri antiviolenza e da istituzioni pubbliche e private;
    ad introdurre nelle scuole di ogni ordine e grado specifici progetti e corsi di educazione all'affettività e alle relazioni nonché a promuovere e sostenere, nelle università, studi di genere, con risorse adeguate;
    a favorire una corretta formazione di operatori sanitari, sociali, del diritto, dell'informazione e delle forze dell'ordine al fine di assicurare alla vittima aiuto e supporto adeguati;
    a promuovere campagne di sensibilizzazione, numeri verdi, numeri di pubblica utilità in diverse lingue;
    ad adottare le opportune iniziative volte a promuovere, nell'esercizio dell'attività giornalistica, nei messaggi pubblicitari, nei palinsesti e nelle trasmissioni di radio e televisione, nei nuovi media, anche attraverso metodologie di autoregolamentazione, il rispetto della dignità delle donne e della soggettività femminile, nonché a prevenire ogni forma di discriminazione di genere o femminicidio;
    a potenziare i servizi e le misure di assistenza delle vittime di violenza, prevedendo un'organica risposta a livello territoriale, che coinvolga associazioni, centri antiviolenza, reti, movimenti ed istituzioni al fine di rendere omogenee l'assistenza e la protezione delle donne e dei loro figli, anche mediante la destinazione di immobili o porzioni di immobili pubblici in tutto o in parte inutilizzati;
    a favorire, in questo quadro, la collaborazione e la cooperazione tra i soggetti pubblici e privati (pronto soccorso, sportelli, forze dell'ordine, associazioni, servizi sociali e comunali, uffici giudiziari) e promuovere, su tutto il territorio nazionale in accordo con la Conferenza Stato-regioni, un sistema pubblico integrato di servizi, che assicuri anche la presenza di mediatori culturali a tutela delle donne di altri paesi;
    a riconsiderare e rivisitare la legislazione vigente – anche attraverso la disposizione di apposite indagini conoscitive – in particolare per il femminicidio, al fine di individuare idonei strumenti di protezione e assistenza delle vittime e condizioni di procedibilità dei reati, garantendo celerità nei processi ed effettività della pena;
    ad individuare un'assistenza specifica per i minori, che siano state vittime, dirette o indirette dei fenomeni di persecuzione e di violenza;
    a ripristinare ed implementare il fondo a sostegno del Piano nazionale di azione contro la violenza sulle donne in ogni forma ed espressione;
    a presentare alle Camere annualmente una relazione sullo stato di attuazione del nuovo Piano nazionale antiviolenza, delle normative e dei dati elaborati dall'Osservatorio;
   in Parlamento sono state presentate numerose proposte di legge di vari gruppi parlamentari che intervengono in materia di violenza sulle donne, di centri antiviolenza e servizi, di formazione e cultura di genere, di rimozione degli stereotipi e contrasto all'uso offensivo dell'immagine del corpo femminile, che attestano la volontà di moltissime parlamentari a proseguire l'impegno contro la violenza e finalizzato a modificare un modello culturale che non valorizza pienamente le differenze di genere ed il rispetto tra i sessi in ogni dimensione della vita civile, sociale;
   è dunque necessario e urgente che Governo e Parlamento uniscano sforzi ed intenti al fine di pervenire, nei tempi più ristretti possibili, alla predisposizione di una vera e propria legge quadro sul tema della violenza contro le donne, che in particolare definisca la violenza di genere e violenza assistita (in presenza di minori) conformemente agli standard internazionali, che contempli e coordini sia interventi di tipo penale e repressivo sia azioni integrate volte alla prevenzione culturale e sociale del fenomeno, alla rimozione di stereotipi, alla formazione permanente di tutti gli operatori coinvolti, e al sostegno reale alle vittime della violenza –:
   quali iniziative e provvedimenti urgenti intenda assumere il Governo per accelerare il percorso sopra richiamato, e per dare piena attuazione ai contenuti della mozione n. 1-00039, citata in premessa, al fine di rispettare gli indirizzi approvati dal Parlamento in materia di lotta alla violenza sulle donne. (5-00838)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni l'Ugl-Intesa Coordinamento nazionale Inps sta portando avanti una lotta per contrastare il deprecabile fenomeno del mansionismo all'interno dell'INPS che coinvolge il personale delle aree A e B;
   recentemente si è anche costituito, all'interno di tale personale, un Movimento autonomo e indipendente dalle maggiori e principali sigle sindacali confederali e di categoria, auto-organizzatosi, che chiede alla dirigenza dell'Istituto, a buon ragione a giudizio dell'interrogante, di non essere più sfruttato e ignorato dall'amministrazione e vorrebbe risposte serie e concrete;
   queste lavoratrici e lavoratori chiedono il giusto inquadramento giuridico ed economico in base all'effettivo lavoro che sono chiamati a svolgere, oltre che alla giusta e dovuta retribuzione;
   oltre al mansionismo, fenomeno già di per sé grave e meritevole di immediata risoluzione, i Ministeri vigilanti si stanno accanendo nei confronti del personale dipendente dell'Istituto in un modo inaccettabile per una Nazione civile. Ai lavoratori è stato abolito il permesso banca, sono stati imposti i tornelli, si è abbassato il buono pasto di 5 euro, si è allungata la permanenza in servizio di 10 minuti e, soprattutto, ogni anno si prova ad eliminare o a ridurre gli incentivi alla produttività;
   a tutto ciò si deve aggiungere lo sproporzionato ed irreale numero di dipendenti Inps dichiarati in esubero (3 mila sui 12 mila esuberi di tutta l'Amministrazione statale), l'esorbitante richiesta di risparmi per oltre 500 milioni di euro per il solo anno 2013, il quadro è preoccupante;
   nonostante questo attacco continuo ed incessante alla dignità ed alla professionalità dei lavoratori Inps da parte della «parte datoriale», la produttività delle sedi Inps è in crescita, gli uffici riescono a soddisfare le richieste di una sempre maggiore platea di destinatari di servizi pubblici, segno che ancora regge il senso di responsabilità e quello di appartenenza dimostrato dal personale in questi anni difficilissimi per il Paese e l'Istituto;
   a giudizio dell'interrogante si dovrebbe, come obiettivo prioritario, realizzare in prospettiva l'area unica del personale dipendente e, nelle more dell'apertura della fase negoziale sul tavolo nazionale, il raggiungimento, da ottenere con carattere d'urgenza, della posizione economica apicale rispettivamente di A3 e B3 per il personale INPS ancorato nelle aree A e B –:
   quali iniziative intendono adottare i Ministri interrogati per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-01559)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 giugno 2012, n. 92 («Riforma Fornero»), all'articolo 1, commi 34 e 35 fissa ex novo alcuni obiettivi di principio rispetto alla normativa sui tirocini; in particolare, alla lettera d) del comma 34 si stabilisce il «riconoscimento di una congrua indennità, anche in forma forfetaria, in relazione alla prestazione svolta»;
   al comma 36 dell'articolo 1 si specifica che «dall'applicazione dei commi 34 e 35 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;
   il 24 gennaio 2013 la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano ha approvato le linee guida in materia di tirocini ai sensi del suddetto articolo 1, comma 34, nelle quali il Governo indica i princìpi comuni e gli standard minimi cui le Regioni dovranno adeguarsi entro sei mesi;
   dal combinato disposto dei commi 34, 35 e 36 della legge n. 92 del 2012 risulta evidente il forte rischio di inapplicabilità delle prescrizioni relative al compenso di stagisti e tirocinanti/praticanti all'interno della pubblica amministrazione con la conseguenza diretta dell'impossibilità di effettuare tirocini formativi;
   la CRUI – Conferenza dei rettori delle università italiane già in passato manifestò le proprie perplessità relativamente a questo «perverso» effetto combinato del comma 34, lettera d) e del comma 36 dell'articolo 1 della riforma Fornero e concluse che le due prescrizioni rendevano di fatto impossibile prevedere esperienze di formazione on the job nella pubblica amministrazione;
   tale situazione riveste una particolare gravità in ambito sanitario, ove ai laureandi e ai giovani medici dal 1o gennaio 2013 è sostanzialmente interdetta la frequenza su base volontaria nei reparti ospedalieri. Infatti, per un verso la riforma Fornero rende obbligatoria una sorta di indennità mensile per i tirocinanti, per altro verso gli enti e le aziende ospedaliere non dispongono di risorse economiche per retribuirli e si vedono pertanto costretti a sospendere i tirocini;
   la frequenza degli studenti in medicina e dei giovani laureati nel contesto dei reparti che erogano assistenza ospedaliera è fondamentale per il completamento dei percorsi formativi delle professioni sanitarie e per la conseguente garanzia di una miglior qualità futura dell'intero sistema sanitario;
   vari organi di stampa nazionali e locali hanno segnalato da tempo tale problematica (vedasi: La Repubblica del 10 luglio 2012, L'Unione Sarda del 2 aprile 2013) che tuttavia rimane a tutt'oggi irrisolta;
   pur condividendo il principio di spending review e la necessità di impedire ogni inaccettabile forma di utilizzo di manodopera a costo zero, è impensabile che una norma ideata per tutelare i giovani possa invece tradursi in un danno alla loro formazione, con la loro sostanziale esclusione dalle attività di tirocinio ospedaliero –:
   se non si ritenga opportuno intervenire, anche con iniziative di carattere normativo, al fine di chiarire il portato applicativo delle disposizioni di cui in premessa, garantendo in ogni caso tutte le forme di tirocinio nell'ambito della pubblica amministrazione e, in particolare, quelli in ambito sanitario, fondamentali per il completamento dei percorsi formativi delle professioni sanitarie. (4-01556)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BRUNO BOSSIO, BATTAGLIA, CENSORE, COVELLO, D'ATTORRE, MAGORNO, OLIVERIO, STUMPO, AIELLO, BRUNO e LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi è stata denunciata la morte di un paziente ricoverato nell'ospedale civile dell’«Annunziata» di Cosenza a causa di una trasfusione di sangue proveniente da una sacca infetta;
   il registrarsi di questo tragico evento sopraggiunge dopo che da più tempo si segnalano gravi fattori di criticità strutturali nell'organizzazione dell'ospedale cosentino classificato come unico presidio Hub di riferimento della rete dell'intero territorio provinciale;
   la organizzazione ospedaliera è caratterizzata da gravi disfunzioni tali da mettere a repentaglio l'attività sanitaria e la sicurezza in numerosi reparti;
   in questo ospedale si registra una drammatica carenza per cui l'organico conta meno di ben 204 unità di dirigenti medici e di 453 tra infermieri, tecnici radiologi e assistenti sociali;
   l'inadeguatezza dei servizi ospedalieri, come da più parti è stato sottolineato, è dovuta anche all'adozione di un «atto aziendale» che contrasta con l'effettiva domanda epidemiologica e che, invece, asseconda logiche di gestione clientelare che nulla hanno a che fare con i requisiti e le finalità strategiche proprie di un presidio Hub;
   le gravi carenze e criticità che si registrano nell'ospedale di Cosenza sono accentuate, inoltre, da una accresciuta domanda di assistenza e soprattutto di emergenza dovuta alla ristrutturazione della rete ospedaliera dell'intero territorio provinciale, innanzitutto in seguito alla chiusura di numerosi ospedali zonali ed anche al depotenziamento dei tre presidi Spoke;
   sono numerose le denunce delle forze sociali, sindacali e di diversi livelli della rappresentanza istituzionale locale che segnalano come la gestione dell'azienda ospedaliera di Cosenza sia finalizzata non a tagliare gli sprechi ma a comprimere i livelli essenziali di assistenza;
   tale situazione, di fatto, crea disagio e limita fortemente la regolare e serena attività degli stessi operatori sanitari;
   la responsabilità soggettiva di alte e valorose professionalità è esposta quotidianamente ad un alto rischio;
   si registra un'assoluta mancanza di integrazione delle attività ospedaliere con quelle di prevenzioni e assistenza sul territorio;
   tale situazione è resa ancora più grave ed allarmante dal fatto che la gestione dell'Azienda sanitaria a cui per competenza è affidata la erogazione dei diversi servizi di assistenza territoriale è stata sottoposta alla verifica di una «Commissione di accesso anti-mafia» disposta dal prefetto di Cosenza;
   sono ormai molteplici e diffuse le indiscrezioni pubblicate dalla stampa locale in riferimento al fatto che la relazione dei commissari pare abbia accertato la presenza di fattori di inquinamento mafioso o comunque la sussistenza di pesanti elementi di irregolarità e di illegalità amministrativa;
   al fine di salvaguardare la salute dei cittadini è sempre necessario accertare cause e responsabilità ancor di più quando vi siano vicende tragiche legate a trasfusioni di sacche di sangue infetto –:
   quali tempestive iniziative, nel rispetto delle prerogative regionali in materia sanitaria, il Ministro interrogato intenda assumere per contrastare, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal deficit sanitario, la drammatica condizione che nella città e nell'intero territorio della provincia di Cosenza limita il riconoscimento del diritto primario alla cura della salute del cittadino;
   in particolare, sempre nel rispetto delle competenze regionali in materia sanitaria, se non ritenga opportuno e possibile:
    a) valutare, sempre per il tramite del commissario ad acta, ogni aspetto dell'attività gestionale dell'azienda ospedaliera al fine di garantire i livelli di sicurezza oltre che di efficacia e di efficienza dei servizi ospedalieri;
    b) trasmettere la relazione della «Commissione d'accesso antimafia» al tavolo tecnico interministeriale che monitorizza l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Regione Calabria, affinché si possa, tra l'altro, accertare eventuali omissioni e/o mancate contabilizzazioni di disavanzo nel bilancio dell'ASP di Cosenza, frutto di possibili illegittimi comportamenti amministrativi e se tali situazioni, qualora fossero accertate, possano far lievitare il disavanzo finanziario dell'intero comparto regionale della sanità, atteso che l'attuale bilancio annuale dell'ASP di Cosenza è di circa un miliardo di euro. (5-00834)


   MAGORNO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Ospedale hub dell'Annunziata di Cosenza, costituisce un punto di riferimento importante non solo per il capoluogo ma anche per i paesi della provincia, soprattutto dopo la chiusura di molti presidi presenti sul territorio;
   da tempo si trascinano carenze strutturali e di organico che, in parte, mortificano le eccellenze presenti nel nosocomio cosentino;
   la direzione generale dell'azienda ospedaliera non ha dato corso alla attivazione di tutti i 645 posti letto previsti dal piano di rientro (decreto 107 del 5 luglio 2012) per cui, ad oggi ne risultano essere attivi solo 563;
   paradossalmente, mentre, si registra l'impossibilità di attuare il turn-over delle assunzioni, bloccate dal piano di rientro dal debito sanitario, al contrario l'ospedale si presenta largamente incompleto nel suo organico;
   la mancanza di 204 dirigenti medici, di 453 tra infermieri, tecnici radiologici e assistenti sociali, oltre a sottoporre il personale medico e paramedico in servizio a turnazioni massacranti, sta provocando di fatto la chiusura e/o l'accorpamento di numerosi reparti;
   lo stato di precarietà in cui opera l'Ospedale hub dell'Annunziata di Cosenza e i ritardi della direzione generale dell'azienda ospedaliera, si ripercuotono sulla organizzazione e sull'efficienza delle prestazioni;
   esemplificativo è il grave caso avvenuto nei giorni scorsi riguardante la trasfusione di sangue infetto che ha causato la morte di un paziente –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto su esposto e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere per verificare, per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal deficit sanitario, la situazione della sanità cosentina e intervenire perché siano risolte le criticità emerse in modo da migliorare le condizioni lavorative del personale medico e paramedico nonché porre fine ai disagi a cui sono sottoposti i cittadini del capoluogo bruzio e del territorio, garantendo i livelli essenziali di assistenza e la qualità dell'offerta dei servizi dell'Ospedale hub dell'Annunziata di Cosenza. (5-00835)

Interrogazione a risposta scritta:


   NESCI, PARENTELA, DIENI e BARBANTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 4 luglio 2013 moriva presso l'ospedale civile di Cosenza il signor Cesare Ruffolo, settantanovenne residente a Rende (Cosenza), come riportato dal giornale Il Quotidiano della Calabria del 31 luglio 2013, articolo a pagina 10 a firma di Roberto Grandinetti;
   l'anziano signore, affetto da 24 anni da leucemia linfatica cronica, veniva ricoverato presso reparto cosiddetto «Valentini» del suddetto ospedale, lì ricevendo trasfusione di sangue, secondo resoconto del giornalista Grandinetti apparso su Il Quotidiano della Calabria del 30 luglio 2013, a pagina 7;
   subito dopo la trasfusione, le condizioni del paziente peggioravano drammaticamente, ciò è riportato dalle cronache e sulla denuncia presentata dai familiari, che esponevano: «Nel preciso momento in cui il sangue della sacca andava a finire nella vena, nostro padre iniziava improvvisamente a tremare e non riusciva a parlare»;
   il 5 luglio 2013, Alfonso Noto, primario del summenzionato reparto dell'ospedale civile di Cosenza, segnalava alla direzione sanitaria la gravità del decesso, riconducibile alla riferita trasfusione, per quanto riportato dal giornalista Arcangelo Badolati sul quotidiano La Gazzetta del Sud del 30 luglio 2013, a pagina 20;
   emergeva, dalle analisi effettuate in seguito alla morte del signor Ruffolo, la presenza di un batterio gram negativo, la Serratia marcescens, che assume forma mucillaginosa e una caratteristica colorazione arancione, in letteratura scientifica ricordata anche per la spiegazione dei cosiddetto «Miracolo di Bolsena», cioè il sanguinamento di un'ostia, come da studio di Johanna C. Cullen del 1994, intitolato The Miracle of Bolsena e apparso sulla rivista ASM News 60 alle pagine 187-191;
   lo stesso batterio era ritenuto causa del malore avvertito da altro paziente trasfuso, molto più giovane del signor Ruffolo;
   Paolo Maria Gangemi, direttore dell'azienda ospedaliera interessata, dichiarava a Il Quotidiano della Calabria, numero del 30 luglio 2013, pagina 7, che la medesima azienda non era da ritenersi responsabile, per aver tempestivamente segnalato al suo interno l'anzidetto caso di malore da trasfusione, risalente al precedente mese di giugno e risoltosi senza decesso;
   Gangemi aggiungeva che in via precauzionale era stato ordinato, pertanto, di non utilizzare sacche di sangue del centro di raccolta di San Giovanni in Fiore (Cosenza), da cui provenivano quelle che avevano infettato il paziente sopravvissuto;
   inspiegabilmente, nonostante l'ordine in questione, al signor Ruffolo veniva praticata trasfusione con sacche raccolte a San Giovanni in Fiore, il che era del tutto evitabile ed appare impensabile che sia avvenuto;
   con le successive analisi, si rinvenivano per il caso del signor Ruffolo tracce di un sapone, utilizzato dai sanitari, contaminate dal citato batterio;
   Il Quotidiano della Calabria dava notizia del sequestro del centro raccolta sangue di San Giovanni in Fiore da parte dei NAS, mentre La Gazzetta del Sud, nel numero del 30 luglio 2013, articolo di Arcangelo Badolati a pagina 20, informava che l'azienda aveva forse disposto la distruzione delle sacche a suo tempo inviate a Cosenza da codesto centro;
   su La Gazzetta del Sud del 1o agosto 2013, a pagina 21 il giornalista Badolati riportava la notizia dell'avvenuta distruzione delle sacche giacenti da parte dell'azienda ospedaliera di Cosenza;
   i familiari del signor Ruffolo si peritavano di esporre alla magistratura una serie di omissioni de azienda ospedaliera, anzitutto, la mancata comunicazione del decesso del loro congiunto e della causa individuata intra moenia;
   solo il 26 luglio 2013 e per via di denuncia della parte lesa, la procura di competenza Cosenza, assumeva contezza della vicenda del decesso, delle cause e della gravità dei fatti qui riassunti –:
   se sia a conoscenza delle riferite vicende e quali iniziative anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal deficit sanitario, ritenga di necessaria e immediata adozione, al fine di assicurare che sia fatta piena luce sui fatti descritti;
   se il Ministro della salute, stante la gravità dei fatti, non ritenga opportuna una commissione ministeriale d'inchiesta e l'invio di specialisti dell'Istituto superiore di sanità per comprendere l'origine della contaminazione del sangue succitata.
(4-01564)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FITTO, DISTASO, FUCCI e SISTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Officine Meccaniche (OM), marchio di carrelli elevatori del gruppo Kion, è un'azienda che opera dagli anni Trenta nel settore della produzione e vendita di attrezzature per il sollevamento con stabilimenti a Lainate, Bari e Luzzara;
   lo scorso 5 luglio 2011 il Gruppo Kion, la cui sede è Amburgo, comunicava la chiusura dello stabilimento barese e la cessazione dell'attività produttiva;
   lo scorso 4 luglio 2012, presso il Ministero del lavoro, l'azienda sottoscriveva l'accordo per il primo anno di cassa integrazione per i lavoratori e l'impegno a richiederne un secondo;
   lo scorso 15 gennaio 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico è stato sottoscritto un verbale di accordo che prevedeva il nuovo piano industriale, lo scadenzario per il reinserimento dei lavoratori, i criteri di assunzione e l'assetto contrattuale da applicare;
   detto accordo è stato sottoscritto, oltreché dal Ministero citato, dalla regione Puglia, dalla provincia di Bari, dal comune di Bari, da OM, dalla azienda subentrante Frazer Nash, da Confindustria Bari e dalle organizzazioni sindacali;
   detto accordo non è stato, ad oggi, posto in essere;
   il Gruppo Kion, contrariamente agli accordi sanciti, non consente ai nuovi investitori di accedere e visionare gli stabilimenti e impedisce, di fatto, il processo di reindustrializzazione;
   gli operai di OM presidiano lo stabilimento per impedire ai camion di portare via dall'azienda, ormai chiusa da due anni, i 250 carrelli elevatori già pronti;
   secondo indiscrezioni di stampa il Gruppo Kion avrebbe chiesto ai lavoratori di abbandonare i presidi per avere, in cambio, la corresponsione della cassa integrazione scaduta lo scorso 30 giugno;
   lo scorso 30 luglio si è tenuto, presso il Ministero dello sviluppo economico, l'ennesimo incontro nel corso del quale sono emerse, divergenze tra l'azienda e i lavoratori;
   inoltre, l'azienda avrebbe reso noto l'interesse di nuove aziende al sito di Bari;
   i lavoratori hanno lanciato una campagna di sottoscrizione per raccogliere i fondi necessari per il mantenimento del presidio;
   detti lavoratori, inoltre, avrebbero manifestato l'intenzione di costituirsi in cooperativa e chiedere la cessione della proprietà dello stabilimento, con gli impianti e i macchinari, per poter riprendere l'attività lavorativa e aziendali –:
   se e quali soluzioni intendano promuovere per risolvere l'annosa situazione dei lavoratori dello stabilimento OM di Bari;
   se e quali iniziative intendano promuovere nei confronti del Gruppo Kion e dell'azienda Frazer Nash o di altre eventuali nuove imprese al fine di facilitare la conclusione della vertenza in atto;
   quali iniziative intendano porre in essere al fine di garantire il rinnovo della Cassa integrazione scaduta lo scorso 30 giugno 2013;
   quali siano le valutazioni nei confronti della proposta avanzata dai lavoratori di costituire una cooperativa per rilevare il citato stabilimento di Bari.
(5-00829)


   PRODANI, RIZZETTO, CRIPPA, FANTINATI, DA VILLA, MUCCI e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i ritardati pagamenti delle pubbliche amministrazioni (PA) costituiscono un elemento di criticità per il sistema economico italiano e per le imprese che riforniscono le articolazioni dello Stato, soprattutto nei settori dei lavori pubblici e della sanità;
   attualmente non esistono dati certi sull'ammontare dei debiti delle amministrazioni e – in base a quanto riferito in audizione alle Commissioni speciali riunite della Camera e del Senato dal direttore centrale dell'area ricerca economica e relazioni internazionali della Banca d'Italia Daniele Franco il 28 marzo 2013 – questa mancanza sarebbe da imputare al fatto che in Italia gli attuali sistemi contabili delle pubbliche amministrazioni non permettono una rilevazione sistematica ed esaustiva dei debiti commerciali;
   secondo l'indagine campionaria condotta dall'Istituto di Palazzo Koch, ha riferito Franco, l'ammontare del debito nei confronti delle imprese sarebbe di circa 91 miliardi di euro al 31 dicembre 2011, il 5,8 per cento del Prodotto interno lordo. Mancano, però, i dati riferiti all'intero 2012 che sarebbero oggetto di un ulteriore studio che sarà concluso nel mese di maggio 2013;
   il segretario della Confederazione Generale Italiana dell'Artigianato (CGIA) di Mestre, Giuseppe Bortolussi, ha dichiarato alla stampa, il 6 aprile scorso, che le stime della Banca d'Italia sarebbero approssimative perché prive del conteggio dei debiti della pubblica amministrazione spettanti alle piccole e medie imprese con meno di 20 addetti, che porterebbero l'importo complessivo da 91 a 120-130 miliardi di euro effettivi;
   il precedente esecutivo, guidato da Mario Monti, ha emanato il decreto legge n. 35 del 2013 che sblocca 40 miliardi di euro per i pagamenti arretrati delle pubbliche amministrazioni, per i prossimi due anni, in favore delle aziende fornitrici;
   il provvedimento governativo riguarda la corresponsione di debiti certi liquidi ed esigibili, maturati entro il 31 dicembre 2012 dalle amministrazioni centrali e dagli enti locali, inclusi quelli ceduti a banche o intermediari finanziari autorizzati, senza quantificarne l'effettivo ammontare;
   queste disposizioni riguardano i debiti pregressi, mentre per evitare il ripetersi di situazioni del genere l'autunno scorso l'esecutivo di Monti ha emanato il decreto legislativo n. 192 del 2012 di recepimento della direttiva comunitaria 2011/7/UE sul contrasto ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali;
   il decreto legislativo, in vigore dal 30 novembre 2012, ha stabilito che per le transazioni commerciali concluse dalle pubbliche amministrazioni dal 1o gennaio 2013, i pagamenti alle aziende fornitrici devono avvenire entro 30 giorni dalla fatturazione, ad eccezione di alcune deroghe concesse ad Asl, ospedali e imprese pubbliche che possono usufruire di un termine di 60 giorni. In caso di ritardo, le amministrazioni dovranno pagare interessi legali di mora calcolati sulla maggiorazione di 8 punti percentuali del tasso fissato dalla Banca centrale europea –:
   se l'esecutivo intenda procedere immediatamente a una ricognizione dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni effettuati a partire dal 1o gennaio 2013, in modo da tenere sotto controllo i debiti più recenti, mentre s'intende affrontare la questione di quelli pregressi, e verificare l'effettiva attuazione delle disposizioni previste dal decreto legislativo n. 192 del 2012, a sostegno di una pianificazione economica razionale di supporto alle aziende duramente colpite dalla crisi economica. (5-00836)


   BOBBA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 25 maggio 2012 la società Pirenei srl con sede in via Cattaneo 14, avanzava richieste, rispettivamente per l'autorizzazione ad attivare un diffusore in località Monte Quarone (VC) e per l'autorizzazione di una tratta di collegamento 10 GHz finalizzata ad alimentare (portare il segnale) al ripetitore di Monte Quarone;
   il Ministero dello sviluppo economico, dipartimento per le comunicazioni, ispettorato territoriale Piemonte e Valle D'Aosta, nell'accusare la ricezione dell'istanza presentata (Prot. 33/12), faceva presente che non vi erano elementi ostativi, ma rimandava al necessario parere tecnico di fattibilità della direzione generale pianificazione e gestione spettro radioelettrica, al quale è subordinato l'esito della pratica autorizzativa per l'attivazione del diffusore di Monte Quarone sul CH 27 DVB-T;
   lo stesso dipartimento territoriale nel settembre 2012 esprimeva parere favorevole sulla fattibilità della tratta di radiocollegamento richiesto;
   il citato dipartimento nel rispondere, inseriva «per conoscenza» i signori Mauro Toni e Massimo Manocchi, quali referenti per il Ministero dello sviluppo economico, direzione generale pianificazione e gestione spettro radioelettrico, divisione V;
   la Pirenei srl ha quindi atteso nei mesi successivi il parere, cercando anche un contatto diretto con il dipartimento competente, ma senza ottenere risposta;
   nel marzo di quest'anno l'interrogante veniva contattato dalla stessa società Pirenei per riuscire a comprendere la tempistica, essendo passato circa un anno dalla richiesta fatta, senza nessun tipo di riscontro;
   l'interrogante interpellava il signor Toni, il quale con missiva elettronica del 9 aprile 2013 testualmente rispondeva: «La richiesta da Lei citata, datata fine maggio, non risulta pervenuta agli atti di questa direzione generale. Allo stato attuale, credo che la via più breve ed efficace sia quella da lei prospettata, di un contatto diretto con l'emittente, che può inviare la suddetta richiesta e allegata documentazione tecnica (formati TD2) al fax sottostante o via e-mail»;
   la società Pirenei, seppur sorpresa dalla mancanza della documentazione, inviava nuovamente il materiale necessario;
   successivamente dopo uno scambio di documentazione con il supporto tecnico della Pirenei srl il Ministero dello sviluppo economico – direzione generale per la pianificazione e la gestione dello spettro radioelettrico, in data 9 maggio 2013 prot. 0031826 rilasciava autorizzazione alla sperimentazione dell'impianto di Monte Quarone sul canale 43 (essendo stato nel frattempo modificato il canale assegnato alla Pirenei ex canale 27);
   per la attivazione dell'impianto sperimentale è necessario poter attivare il relativo ponte di collegamento a microonde;
   l'ispettorato territoriale del Piemonte aveva già rilasciato in data 6 giugno 2012, prot. 0009346, parere preliminarmente favorevole alla attivazione del ponte di collegamento ma subordinato al rilascio della autorizzazione alla attivazione del diffusore;
   detto parere indirizzato della Pirenei srl veniva comunicato per conoscenza alla direzione generale per la pianificazione e la gestione dello spettro radioelettrico nonché via e-mail agli indirizzi dei signori Mauro Toni e Massimo Maiocchi;
   il signor Mauro Toni interpellato nel merito dell’iter della pratica di autorizzazione del ponte di collegamento di cui sopra in data 25 maggio 2013, faceva seguire comunicazione dal signor Manocchi, nei seguenti termini testualmente riportati: «Con riferimento alla Vs. email del 20 maggio 2013 relativa all'emittente in oggetto si fa presente che il nulla osta tecnico alla DGSCER è stato inoltrato in data 16 ottobre 2012, per l'accensione dell'impianto si deve attendere il rilascio dell'atto autorizzativo da parte della stessa Direzione», cioè dallo stesso dipartimento del signor Manocchi;
   l'interrogante, dopo aver contattato il signor Manocchi e aver ricevuto come risposta nuovamente la richiesta della documentazione, nonostante le ricevute di ritorno delle varie raccomandate, decideva quindi di interpellare, il 2 luglio 2013, il direttore del dipartimento per le comunicazioni e ispettorati territoriali del Ministero dello sviluppo economico, dottor Roberto Sambuco, che richiedeva una nota scritta sulla vicenda di cui in premessa;
   l'interrogante in data 2 luglio 2013 inviava via elettronica, la missiva richiesta nella quale affermava: «Diversi sono gli episodi che in questa vicenda mi stupiscono, al di là della lungaggine della pratica, ovvero: la completa assenza di informazione al richiedente, la mancanza di comunicazione tra i vari dipartimenti coinvolti e, fatto ancor più spiacevole, l'indifferenza verso chi, cittadino o società che sia, attende invano una risposta e deve rivolgersi ad un rappresentante istituzionale per apprendere, dopo più di un anno, che ora bisogna attendere il Garante della Comunicazione»;
   la lettera così concludeva: «Ringraziando per l'attenzione prestata, resto in attesa di un cortese riscontro sulle motivazioni delle lungaggini, sulla mancanza di risposta ai richiedenti e sull'esito di evasione della pratica in oggetto»;
   il dottor Sambuco ad oggi non ha risposto alla missiva e, a seguito di sollecito della risposta, la segreteria ha richiesto da parte dello scrivente un nuovo invio della lettera, effettuato in data 17 luglio 2013;
   ad oggi non risulta ancora rilasciata l'autorizzazione alla attivazione del ponte di collegamento, rendendo quindi di fatto non attuabile la attivazione sperimentale dell'impianto di Monte Quarone –:
   se non si ritenga doveroso e urgente verificare quanto esposto in premessa e porre in essere quanto necessario per risolvere i problemi, anche di comunicazione, tra le imprese e il ministero referente, in quanto nocivi all'economia del Paese e alla fiducia dei cittadini. (5-00840)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come segnalato sempre più frequentemente dagli organi di informazione e dalle locali amministrazioni, le operazioni di trivellazione per ricerche petrolifere in tutto il territorio nazionale suscitano notevoli e giustificate preoccupazioni, in ragione della vicinanza di importanti sorgenti idriche, falde, bacini principali e secondari da sempre utilizzati come approvvigionamento idrico dei comuni italiani;
   le perforazioni in prossimità dei pozzi rischiano di creare danni incalcolabili sia per la diminuzione di portata delle sorgenti — a causa di ulteriori abbassamenti delle falde — sia per il possibile inquinamento delle stesse con i materiali usati per tali operazioni di trivellazione;
   richiamando il rispetto delle Convenzioni internazionali in materia di diritti ed ambiente con lo specifico riguardo alla consultazione della società civile e all'espressione della volontà territoriale, a cui lo Stato italiano si è legato mediante ratifica, con effetto garantito dalla Costituzione italiana, fra cui si ricorda:
    la Dichiarazione di Stoccolma. (Principio 1) che stabilisce una connessione diretta fra diritti umani e protezione dell'ambiente e quindi il diritto per i cittadini a vivere ad un ambiente sano e produttivo;
    la risoluzione 45/94 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che stabilisce che ogni individuo ha diritto ad un ambiente adeguato a salute e benessere e chiama gli Stati a promuovere un ambiente migliore;
    la Convenzione di Rio del 1992 (Capitolo 23 – Agenda 21) che prevede che i gruppi di cittadini e le associazioni nonché la comunità scientifica debbano partecipare al processo decisionale in materia di scelte ambientali (come le valutazioni di impatto ambientale);
    la Convenzione sull'accesso all'informazione pubblica ed accesso alla giustizia in affari ambientali (Aarhus, 25 giugno, 1998), in cui si sottolinea l'obbligo per gli Stati ed il diritto dei cittadini di essere pienamente informati e partecipare al processo decisionale in materia ambientale, nonché di avere accesso alla Giustizia in materia di ambiente;
    la direttiva del Consiglio europeo sulla valutazione degli effetti di progetti pubblici e privati sull'ambiente;
    la Convenzione sui Diritti del fanciullo (New York, 20 novembre, 1989) in cui si lega indissolubilmente il diritto alla salute dell'infanzia e la prevenzione dei rischi legati all'inquinamento ambientale;
    si ricorda altresì la Convenzione per la responsabilità civile per danni causati da attività dannose all'ambiente (Convenzione di Lugano del 26 giugno 1991) che, lascia un periodo di trent'anni per accertare e chiedere i danni subiti per attività lesive all'ambiente;
   i principi ispiratori del Global Compact delle Nazioni Unite, rappresentano linee guida per il corretto rapporto impresa-ambiente e impresa-popolazione;
   le ricadute negative di trivellazioni sulle economie locali e sulla perdita di posti di lavoro nei settori vitivinicolo, zootecnico, agricolo e turistico delle zone in esame sono evidenti;
   nelle immediate vicinanze di alcuni dei territori devastati a cui si è fatto riferimento, vi sono aree inserite nel progetto MAB (Man-Biosfera) dell'UNESCO, come per esempio il sito di istanza di permesso ricerca in terraferma «AGNONE», situato a pochi chilometri di distanza dalla riserva della biosfera Collemeluccio-Montedimezzo che sorge nei pressi della città di Isernia;
   si auspica l'applicazione di un principio altamente precauzionale nei processi decisionali –:
   quali siano i dati a disposizione del Governo con riferimento alle possibili conseguenze delle suddette attività di trivellazione sulle falde acquifere utilizzate per l'approvvigionamento idrico dei comuni del territorio italiano;
   quali strumenti emergenziali, sia economici che strutturali, siano previsti dagli organi competenti al fine di intervenire in caso di emergenze ambientali e sanitarie causate da incidenti dovuti ai processi di perforazione ed estrazione di idrocarburi e se questi siano totalmente o parzialmente a spese dello Stato o delle società titolari del progetto;
   quali strumenti siano previsti dal nostro ordinamento al fine di rendere partecipi i cittadini nel processo decisionale riguardo la fattibilità o meno di siti di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi. (4-01554)


   FERRARA, PELLEGRINO, LACQUANITI, PILOZZI, AIRAUDO, DI SALVO e SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   Ideal Standard è una grossa realtà industriale che da quasi cento anni opera nel settore dell'arredo del bagno con 3 stabilimenti in Italia: Orcenico (PN) 450 lavoratori, Trichiana (BL) 578, Roccasecca (FR), circa 300 dipendenti;
   a metà giugno, in un incontro al Ministero dello sviluppo economico per conoscere il piano industriale dell'Ideal Standard, anche in vista della scadenza, a dicembre, dei quattro anni di contratti di solidarietà, la dirigenza del Gruppo ha parlato di riduzione di produzione e anche di chiusura di uno dei tre stabilimenti, in considerazione della crisi del mercato;
   il mercato è stato più negativo di quanto previsto e le prospettive sono di un calo anche nei prossimi anni. La capacità produttiva degli stabilimenti è di 2 milioni di pezzi, mentre il mercato oggi arriva a 1-1,2 milioni al massimo;
   tra le prospettive ventilate dall'azienda si annoverava l'importazione di volumi produttivi in Italia da altri stabilimenti, l'utilizzo di altri ammortizzatori sociali o l'introduzione del part-time per tutti i siti. A tali prospettive è stata aggiunta anche la vendita di uno o più stabilimenti, la chiusura di uno o il ridimensionamento della produzione di tutti e tre;
   durante l'incontro che si è tenuto lo scorso 17 luglio al Ministero dello sviluppo economico Ideal Standard Industriale ha proposto, in primo luogo, di individuare e implementare insieme alle Organizzazioni Sindacali nuove iniziative finalizzate all'incremento della competitività e secondariamente di cessare la produzione di ceramica presso lo stabilimento di Orcenico a partire dal 1o gennaio 2014;
   detta proposta comporta, di fatto, la perdita di 450 posti di lavoro a Orcenico. Il piano prevede altresì che le attività di Bathing & Wellness e di NPD ceramico, attualmente collocate in Orcenico, siano trasferite a Trichiana ed assorbite dal suo attuale organico, che sarà preso dal settore Ceramico e formato su questi nuovi profili professionali. La conseguenza di questa proposta è quella di consentire ai lavoratori di Trichiana e Roccasecca di tornare a un impiego a tempo pieno;
   ad avviso dei firmatari della presente interrogazione, la chiusura dello stabilimento di Orcenico non rappresenta la soluzione giusta. Quel che, invece, servirebbe è dare una risposta concreta perseguendo l'obiettivo di:
    a) mantenere i tre siti produttivi attraverso la presentazione di un articolato piano aziendale;
    b) convocare, attivando la rete diplomatica italiana, la proprietà, ovvero Bain Capital, al fine di avere piena consapevolezza delle strategie industriali perseguite;
    c) individuare un percorso teso a garantire una qualche forma di ammortizzatore sociale visto che il 31 dicembre 2013 scade l'ultimo dei 4 anni dei contratti di solidarietà;
   non è più sostenibile dare una risposta ai problemi industriali con operazioni incentrate solo sulla continua riduzione dei costi e scarsi investimenti sulle attività produttive, facendo pagare ai lavoratori e alla fiscalità generale le conseguenze delle eccedenze di personale e delle chiusure degli stabilimenti. Nel caso in questione si gioca il futuro dell'intera compagnia e la sorte di circa 450 lavoratori;
   ad avviso dei firmatari della presente interrogazione sarebbe necessario un piano di investimenti capace di incrementare performance e volumi produttivi, oltre che ad una strategia commerciale volta a recuperare quote di mercato;
   bisognerebbe anche ideare un nuovo tipo di ammortizzatore sociale che accompagni il lavoratore nel corso del piano di rilancio industriale dell'azienda;
   dopo che sono trascorsi anni di contratti di solidarietà e con una situazione di prospettiva incerta, la proprietà, laddove convocata, non dovrebbe sottrarsi al confronto –:
   se il Governo non intenda porre in essere ogni atto di competenza volto ad affrontare le problematiche legate ad una vertenza che, purtroppo, si è ulteriormente complicata in questi ultimi mesi, affinché la proprietà di Ideal Standard attui un piano di rilancio industriale veramente credibile che punti alla valorizzazione delle fabbriche e dei lavoratori, nonché allo sviluppo delle tecnologie e delle innovazioni;
   se il Governo non intenda porre in essere con urgenza ogni atto di competenza volto a convocare la proprietà di Ideal Standard al fine di scongiurare qualsiasi ipotesi di chiusura per lo stabilimento di Orcenico. (4-01565)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  La interrogazione a risposta scritta Realacci e altri n. 4-01472, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cominelli.

Modifica dell'ordine dei firmatari ad una mozione.

  La mozione Giancarlo Giordano ed altri n. 1-00119, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 giugno 2013, con il consenso dei sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Giancarlo Giordano, De Mita, Famiglietti, Sibilia, Impegno, Nardella, Damiano, D'Agostino, Antimo Cesaro, Dellai, Paris, Epifani, Migliore, Amendola, Bonavitacola, Lenzi, Airaudo, Ferrara, Quaranta, Di Salvo, Aiello, Boccadutri, Michele Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Claudio Fava, Fratoianni, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti, De Maria, Fabbri, Zampa, Gribaudo, Carlo Galli, Benamati, Bolognesi».