Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 23 luglio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    con circolare n. 3646/6096 il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia ha portato all'attenzione dei Provveditori regionali dell'amministrazione penitenziaria il documento recante le proposte elaborate nella sezione relativa agli interventi di carattere extra-normativo dei lavori della Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza presentati in occasione del Salone sulla giustizia nel novembre 2012;
    il paragrafo 3.4. del documento allegato alla circolare, testualmente recita: «Affettività. – Oltre ai fondamentali interventi sulla territorialità, vi è ampio margine per favorire ulteriormente i legami con la famiglia e tutelare il diritto alla affettività. Si potrebbe, ad esempio, introdurre una maggiore flessibilità degli orari di accesso al carcere anche utilizzando i giorni festivi e le domeniche per i colloqui con i bambini, altrimenti costretti ad interrompere giornate di scuola, in situazioni tra l'altro spesso di marginalità sociale di una certa consistenza. Si ravvisa, inoltre, l'opportunità di un adeguamento delle strutture penitenziarie rimuovendo quegli ostacoli, di natura logistica o regolamentare, che si frappongono ad una più completa fruizione della genitorialità»;
    i dati forniti dal servizio statistica del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria aggiornati al 31 dicembre 2012 indicano che su un totale di 65701 detenuti sono coniugati 19746, vedovi 622, divorziati 1707, conviventi 6176 separati legalmente 2838. Il totale dei figli che i ristretti hanno dichiarato di avere è di 24564;
    si calcola che ogni giorno nell'Unione Europea siano circa 800.000 i minori che vivono una situazione di separazione a causa della detenzione di un genitore, ogni anno in Italia sono circa 100.000 i minori che varcano le soglie dei 207 stabilimenti penali per andare a trovare i loro cari (padri, madri, fratelli, sorelle, nonni, zii). I dati sopra citati sono una stima molto prudente poiché non rilevata nelle statistiche ufficiali ma frutto di un'analisi d'associazioni di volontariato che si occupano dei detenuti e dei loro figli;
    si tratta di un piccolo segmento della popolazione minorile molto vulnerabile, anche in considerazione delle conseguenze che la detenzione di un genitore porta nella loro vita sono il «lato oscuro del male e del sistema penale»;
    gli stati membri dell'Unione europea hanno firmato la convenzione UNCRC sui diritti dei bambini. Per i minori con genitori detenuti sono di particolare importanza le sotto elencate disposizioni;
    articolo 2, il diritto di non essere soggetti a discriminazioni;
    articolo 3, la protezione dell'interesse superiore del bambino;
    articolo 9, il diritto ad avere contatti diretti e frequenti con i genitori dai quali il bambino è separato;
    articolo 12, il diritto ad esprimere la propria opinione su ogni questione che lo riguardano;
    articolo 16, il diritto del bambino alla protezione della propria famiglia e della propria privacy;
    articolo 19, il diritto del bambino di essere protetto da ogni forma di violenza o di danno fisico o psicologico;
    articolo 94, il diritto di essere informato sul luogo dove si trova il familiare o i familiari, a meno che la divulgazione di tali informazioni possa mettere a repentaglio il benessere del fanciullo;
    altresì nell'articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (CEDU) si garantisce il diritto al rispetto della vita familiare di ogni persona senza interferenze ingiustificate e sproporzionate;
    da un'indagine realizzata sia in Italia che in altri Paesi europei (Danimarca, Polonia ed Irlanda del Nord) nel 2009 e che per il nostro Paese è stata coordinata dall'Associazione «Bambini senza sbarre» in collaborazione con il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, l'università statale Bocconi di Milano e il coordinamento europeo dell'istituto per i diritti umani di Copenaghen, è emerso che solo il 35 per cento degli istituti penali in Italia è provvisto di un locale idoneo destinato alla visita dei bambini;
    nel nostro ordinamento penitenziario, tra gli elementi del trattamento, sono inseriti i rapporti affettivi stabili con i familiari e lo specifico articolo 28, legge 26 luglio 1975 n. 354, dispone «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei reclusi con le famiglie»;
    la legge penitenziaria prevede ed assegna alle «sale colloqui» il ruolo d'accoglienza e condivisione d'affetti; luoghi in cui i bambini, attraverso i giochi, la lettura di favole e la condivisione nel consumo della merenda assieme al loro papà, nonni e zii possano esprimere la loro creatività superando, così, il trauma che il carcere, per sua natura, determina in ogni essere umano che ne supera la soglia d'ingresso;
    l'Italia ha ratificato con la legge n. 176 del 1991 la Convenzione sui diritti dell'infanzia - Convention on the Rights Child, CRC, approvata dall'Assemblea dell'ONU il 20 novembre 1989, impegnandosi a rispettare i diritti in essa proclamati fra i quali, all'articolo 2, quello di «garantirne il godimento ad ogni fanciullo, indipendentemente da ogni differenza di razza, colore, sesso, lingua, religione, origine nazionale, etnica o sociale»;
    purtroppo l'organizzazione penitenziaria è tale che le «colpe dei padri ricadono sui figli» che sono pesantemente penalizzati nel diritto allo studio dall'amministrazione penitenziaria che non adotta provvedimenti atti a favorire gli incontri al di fuori degli orari scolastici. Per esempio, nella regione Marche, dei circa 400-500 minori figli dei detenuti ristretti negli istituti penali marchigiani solo alcuni riescono nel corso dell'anno scolastico ad avere un colloquio con il proprio padre o con la propria madre senza perdere un giorno di scuola a causa degli orari d'accesso ai penitenziari che sono stabiliti durante l'orario scolastico. Non si tiene pertanto conto del dovere del minore all'istruzione. In altri paesi europei, gli orari dei colloqui rispettano anche il diritto allo studio dei minori con maggiore flessibilità nel concedere l'apertura degli stabilimenti penali anche di domenica;
    eppure si è di fronte ad un gruppo di minori molto vulnerabile;
    occorre pertanto che, in Italia, non solo il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ma anche altre amministrazione interessate quali il Ministero della pubblica istruzione e le amministrazioni regionali adottino percorsi condivisi per il rispetto degli articoli 3 e 34 della nostra Costituzione e che gli orari destinati ai colloqui in carcere siano resi accessibili ai minori figli di detenuti, che frequentano con regolarità la scuola garantendo in tutte, come già avviene in alcune strutture, che le visite dei familiari avvengano anche di domenica;
    la situazione di difficoltà a colloqui che non collidano con il diritto allo studio dei minori è particolarmente avvertita in alcune regioni, come le Marche come rilevabile dai dati disponibili e da alcuni studi di settore (G. Cinti «Diritto alla bigenitorialità e detenzione» – tesi di laurea);
    l'estensione dei colloqui nei giorni festivi rappresenterebbe un momento di ripresa reale dei rapporti con i propri figli in considerazione che le sale colloqui sarebbero sicuramente meno affollate, ed al tempo stesso la pubblica amministrazione presterebbe più attenzione alle loro condizioni in relazione al valore che viene dato al percorso scolastico; vi è la possibilità di monitorare costantemente questi ragazzi durante il periodo di detenzione dei genitori, tramite la costante presenza d'operatori sociali e pertanto, poter intervenire se del caso con azioni di supporto,

impegna il Governo

a dare immediate disposizioni affinché sia garantita in tutti gli istituti penitenziari sia un'idonea logistica per gli incontri fra genitori e figli sia l'estensione dei colloqui nei giorni festivi al fine di garantire il diritto allo studio dei ragazzi che frequentano la scuola di ogni ordine e grado.
(1-00152) «Carrescia, Vezzali, Ricciatti, Manzi, Luciano Agostini, Lodolini, Marcon, Marazziti, Zampa, Manfredi, Iacono, Carra, Tidei, Iori, Martelli, Gadda, Realacci, Ginoble, Oliaro, Giuseppe Guerini, Coccia, Coppola, Patriarca, Fabbri, Santerini, Bossa, Senaldi, Amoddio, Quartapelle Procopio, Moretti, Lacquaniti, Gasparini, Pellegrino, Pastorelli, Valiante, Campana, Terrosi, Valeria Valente, Scalfarotto, Matarrese, Capone, Gozi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2013, a norma del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), articolo 16, comma 31 e della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2012), articolo 31, comma 1, anche i comuni con popolazione compresa tra i mille e i cinquemila abitanti sono soggetti alle regole del patto di stabilità interno;
   tutti i comuni della Repubblica sono chiamati a concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, in conformità del Patto di stabilità e crescita, di cui regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio del 7 luglio 1997 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche, il quale stabilisce vincoli sul disavanzo e il debito che fanno riferimento al complesso delle amministrazioni pubbliche, nonché della Costituzione, articolo 119, secondo comma e, a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014, primo comma, quale modificato dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), articolo 4, comma 1, lettera a);
   gli enti locali dovrebbero concorrere agli obiettivi di finanza pubblica secondo principi di ragionevolezza e sostenibilità, che tengano conto della virtuosità delle gestioni di bilancio e della varietà dimensioni demografiche e capacità finanziarie e amministrative;
   i piccoli comuni sono già impegnati in un complesso processo di riorganizzazione amministrativa, che consegue agli obblighi di gestione, in forma associata di nove delle dieci funzioni comunali fondamentali, a norma del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), articolo 14, comma 28, e di costituire le centrali uniche di committenza, a norma del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici);
   l'applicazione del patto di stabilità interno nei confronti dei piccoli comuni è irragionevole e insostenibile dal punto di vista finanziario e amministrativo, poiché si aggiunge al predetto complicato processo di riorganizzazione amministrativa e sono in causa bilanci di ridotta entità, i cui flussi di cassa, data la dipendenza da fonti esterne per gli investimenti, risultano praticamente impossibili da regolare come richiesto dal patto, con conseguenti ricadute paralizzanti anche sui pagamenti alle imprese;
   i piccoli comuni vivono una totale paralisi politica e amministrativa che, nell'attuale difficile contesto economico e sociale, va a gravare su famiglie e imprese già duramente provate, comportando il blocco della realizzazione di tante piccole opere utili – in materia, a esempio, di efficienza energetica degli edifici pubblici, manutenzione delle strade e messa in sicurezza del territorio, tutela dell'ambiente, innovazione –, pure già finanziate o finanziabili anche col concorso dei fondi europei, e lo spreco dei relativi investimenti;
   il 14 maggio 2013, all'atto dell'approvazione, da parte della Camera, della legge di conversione del decreto-legge 8 aprile 2013, numero 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), con riferimento all'articolo 1 del medesimo, che prevede l'esclusione dai vincoli del patto di stabilità interno del 2013 dei pagamenti da parte degli enti locali di debiti certi, liquidi ed esigibili di parte capitale, il Governo ha accolto gli ordini del giorno numero 9/676-A/2, Pastorino e altri, e 9/676-A/3, Guerra e altri, impegnandosi ad assumere con urgenza un'iniziativa normativa volta a esentare in modo completo e strutturale i piccoli comuni dal patto di stabilità interno e a disciplinare il loro concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica mediante uno strumento più ragionevole e sostenibile, in considerazione delle loro dimensioni demografiche e capacità finanziarie e amministrative e del processo di riorganizzazione amministrativa già in atto;
   il decreto-legge 21 giugno 2013, numero 69 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), non reca disposizioni volte ad esentare in modo completo e strutturale i piccoli comuni dal patto di stabilità interno;
   non è stato peraltro accolto alcuno degli emendamenti d'iniziativa parlamentare presentati alla Camera durante la discussione sulla conversione in legge del decreto-legge n. 69 del 2013, volti a realizzare quanto indicato dai citati ordini del giorno –:
   in quali tempi e mediante quali interventi il Governo intenda assolvere l'impegno assunto dinanzi alla Camera dei deputati di provvedere con urgenza ad esentare in modo completo e strutturale i piccoli comuni dal patto di stabilità interno e a disciplinare il loro concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica mediante uno strumento più ragionevole e sostenibile, in considerazione delle loro dimensioni demografiche e capacità finanziarie e amministrative e del processo di riorganizzazione amministrativa già in atto.
(2-00157) «De Maria, Pastorino, Guerra, Giuseppe Guerini, Fragomeli, Tentori».

Interrogazione a risposta scritta:


   BOCCADUTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di stampa hanno di recente riportato notizie circa il costo del conio degli euro. In particolare, parrebbe che i costi di fabbricazione della moneta da un centesimo ammonterebbero a 4,5 centesimi; quelli della moneta da due centesimi a 5,2 cent; quelli della moneta da 5 centesimi a 5,7;
   dall'introduzione dell'euro la Zecca avrebbe fuso oltre 2,8 miliardi di monete da un centesimo, 2,3 miliardi di monete da 2 cent e circa 2 miliardi di monete da 5 cent, per un costo complessivo di 362 milioni di euro a fronte di un valore reale di 174 milioni;
   per tali ragioni alcuni Paesi europei, tra cui la Finlandia e l'Olanda, hanno bloccato il conio delle suddette monete;
   sempre da fonti giornalistiche, risulterebbe che agli inizi del 2013 il gruppo Marcegaglia si è aggiudicato un appalto da 3 milioni di euro per la fornitura al Poligrafico dello stato del materiale idoneo a coniare i tagli più piccoli, in particolare 1, 2 e 5 centesimi;
   l'intesa sarebbe stata perfezionata a seguito di una procedura di gara ad hoc predisposta dal Poligrafico, guidata dall'amministratore delegato Maurizio Prato, aggiudicata dalla Marcegaglia Buildtech, unica società partecipante alla gara –:
   se il Governo italiano non intenda assumere, a livello nazionale ed europeo, iniziative affinché vengano attuate delle politiche di contenimento della spesa, sospendendo il conio delle monete da 1, 2 e 5 centesimi. (4-01384)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il deplorevole caso del rimpatrio forzato della moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, la signora Alma Shalabayeva, e della figlia di sei anni, Aluy Ablyazova, ha finalmente portato all'attenzione della stampa nazionale le reiterate violazioni dei diritti umani fondamentali operate dal regime del presidente kazako, Nursultan Nazarbayev fin dall'ascesa al potere del suo partito nel dicembre 1991 con elezioni che tutte le volte sono state giudicate dall'OCSE come «particolarmente carenti nel rispetto degli standard internazionali di democrazia» e hanno visto una «serie irregolarità» nel voto così come «brogli nelle urne»;
   come denuncia il Rapporto 2013 di Amnesty International, il Kazakistan si distingue per numerosi casi di «torture e maltrattamenti» da parte delle forze di sicurezza (tra cui percosse e calci fino a far perdere conoscenza), detenzioni in luoghi non ufficiali come i locali sotterranei delle stazioni di polizia; per i processi iniqui nei confronti di manifestanti e oppositori, per le nuove disposizioni della legge sulla sicurezza che prevedevano pene per singoli individui e organizzazioni per «influenza sulla coscienza» attraverso la diffusione d'informazioni considerate «distorte», «inattendibili» o «a danno della sicurezza nazionale»;
   con la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'Unione europea dell'8 dicembre 2008 che definisce «norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari», gli Stati membri si sono impegnati a «impedire l'esportazione di tecnologia e attrezzature militari che possano essere utilizzate per la repressione interna o l'aggressione internazionale o contribuire all'instabilità regionale» e in particolare a «rifiutare (di concedere) le licenze di esportazione qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna» (articolo 1, comma 2, a.);
   la legge del 9 luglio 1990, n. 185, che ha introdotto «Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento» esplicita che l'esportazione di materiali di armamento deve essere conforme «alla politica estera e di difesa dell'Italia» e vieta esplicitamente di esportare sistemi d'arma «verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'Unione europea o del Consiglio d'Europa» (articolo 1, comma 6);
   come riportato dall'Osservatorio permanente sulle armi leggere (OPAL) di Brescia che ha attentamente analizzato la «Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento nonché dell'esportazione e del transito dei prodotti ad alta tecnologia» (Documento LXVII) inviata dal Presidente del Consiglio dei ministri (Governo Letta-I) alle Camere il 17 giugno 2013, nel 2012, per la prima volta dall'entrata in vigore della legge n. 185 del 1990, il Governo italiano e più esattamente l'Autorità nazionale dell'Unità per le autorizzazioni di materiali di armamento (UAMA) che fa capo alla direzione generale per la Promozione del Sistema Paese (DGSP) del Ministero degli affari esteri ha autorizzato esportazioni di armi ad uso militare per le Forze armate del Kazakistan per un valore complessivo di 196.960 euro che si compongono di 40 fucili d'assalto cal. 7,62x39mm NATO modello ARX 160, insieme con 40 lanciagranate cal. 40mm modello GLX-160 comprensive di 1000 granate dello stesso tipo, e inoltre 3 pistole semiautomatiche PX4 Storm corredate da 6 dispositivi di soppressione del rumore da sparo. Buona parte di queste armi risulta esportata dalla provincia di Brescia ed è quindi già giunta a destinazione in Kazakistan;
   come riportato sempre dall'Osservatorio permanente sulle armi leggere (OPAL) di Brescia che ha visionato attentamente i dati dell'ISTAT sulle esportazioni di «armi e munizioni» dalla Provincia di Brescia verso il Kazakistan: flussi che non raggiungevano i 47 mila euro nel 2007 ma che sono arrivati a sfiorare i 600 mila euro nel 2011 e che sono proseguiti sicuramente fino al gennaio 2013 (41.900 euro in un solo mese) e probabilmente anche al mese di aprile;
   si tratta di armi definite «comuni da sparo» (categoria merceologica CH254) la cui esportazione è sottoposta al regime della legge del 18 aprile 1975, n. 110 («Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi») che escluderebbe le armi che «per la loro spiccata potenzialità di offesa sono o possono essere destinate al moderno armamento delle truppe nazionali o estere per l'impiego bellico» ma che – come documenta l'Osservatorio OPAL – comprendono pistole semiautomatiche e fucili a pompa destinati alle forze di polizia e corpi di sicurezza, tutt'altro quindi che armi per uso sportivo, per la caccia o per il collezionismo –:
   se siano già state rilasciate nell'anno 2013, ai sensi della legge n. 185 del 1990 e successive modifiche, autorizzazioni per l'esportazioni di armi e sistemi militari prodotti in Italia verso il Kazakistan per quale tipologia di sistema d'arma, per quale quantità e valore commerciale;
   se, sempre ai sensi della suddetta legge che – modificata dal decreto legislativo 22 giugno 2012, n. 105 – all'articolo 1, comma 11, prevede che la stessa legge sia applicata anche alle armi la cui esportazione è regolamentata dall'articolo 2 della legge 18 aprile 1975, n. 110, «quando i trasferimenti intracomunitari e le esportazioni dei predetti materiali sono destinati a enti governativi o Forze armate o di polizia», siano state autorizzate anche nel 2013 esportazioni di armi semiautomatiche prodotte in Italia verso il Kazakistan, per quale tipologia di sistema d'arma, per quale quantità e valore commerciale e chi ne sia il destinatario e utilizzatore finale, cioè nello specifico se si tratta di «enti governativi o Forze armate o di polizia» del Kazakistan;
   se, in considerazione delle reiterate violazioni dei diritti umani in Kazakistan, non ritenga di dover sospendere tutte le esportazioni di sistemi militari e di ogni tipologia di armi destinate a enti governativi o forze armate o di polizia del Kazakistan. (5-00716)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   dal 22 Giugno scorso Claudia D'Intino (Ortona CH), volontaria della onlus «Music for Peace» è bloccata ad Alessandria d'Egitto con un convoglio carico di beni di prima necessità da distribuire nella striscia di Gaza, in Palestina, insieme al resto della delegazione Italiana;
   sono dunque 30 giorni che, pur disponendo di tutte le autorizzazioni necessarie, le autorità egiziane non intendono far uscire l'auto medica, una Mercedes, parte integrante del carico umanitario destinato alla popolazione di Gaza;
   il carico inoltre prevede un'ambulanza e 120 tonnellate fra medicinali e cibo donati da cittadini italiani;
   l'autorità egiziana, bloccando il transito della delegazione umanitaria, ha di fatto messo in dubbio quanto dichiarato dalla nostra ambasciata, che più volte ha specificato che l'autovettura è da considerare a tutti gli effetti facente parte del carico umanitario. Quell'autovettura è destinata ad un ospedale che opera in una delle zone più povere di Gaza City, e verrà equipaggiata in loco per il trasporto di disabili –:
   quali misure intenda adottare al fine di sbloccare questa situazione e permettere a Claudia D'Intino e agli altri volontari di portare a termine la missione umanitaria in aiuto della popolazione di Gaza City, in Palestina. (4-01372)


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 9 luglio 2013 sul sito della rivista Internazionale è apparsa una e-mail di Google in cui si diceva che su quel sito c'era un malware, un tipo di software in grado di causare danni più o meno gravi al computer degli utenti;
   il minaccioso messaggio dell'autorevole Google provocava di fatto il blocco di ogni accesso al sito della rivista per il semplice motivo che ogni utente vuole evitare di infettare il proprio computer;
   la rivista ha subito rimosso il codice che poteva contenere il malware informando Google, ma solo dopo giorni di continue sollecitazioni rivolte ai responsabili di Google, è stato tolto il messaggio di pericolo;
   Google ha giustificato i ritardi con la motivazione che si verificano 30 mila casi come questo ogni settimana nel mondo e le procedure di verifica sono gestite da software e che non si può intervenire per accelerare il processo;
   si giustifica questa procedura per tutelare gli utenti, anche se si limita così fortemente la libertà di comunicare e informare;
   nella sostanza si verifica che una multinazionale privata con sede negli Stati Uniti ha oscurato per giorni un sito di informazione indipendente di un altro Stato e ciò evidenzia un enorme potere nelle mani di 3 o 4 grandi aziende private tecnologiche americane –:
   se non intendano approfondire una materia estremamente sensibile per la democrazia e potenzialmente gravida di rischi per la libertà di informazione e assumere iniziative, per quanto di competenza, a tutela di un bene di rilevanza costituzionale. (4-01380)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi anni, sono stati sottoposti a parere di Valutazione di impatto ambientale presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un totale di 4 progetti per la realizzazione di parchi eolici offshore, tre dei quali in Puglia, segnatamente in provincia di Foggia in Sicilia al largo di Trapani, così come si evince dal portale del Ministero dell'ambiente, nel quale, tramite un'applicazione GIS, si geolocalizzano le procedure VIA in corso con aggiornamento al 30 giugno 2013;
   i progetti prevedono l'installazione di oltre 230 torri eoliche di cui oltre la metà saranno collocati all'interno del golfo di Manfredonia a meno di 7 miglia dalla costa; proprio nel golfo di Manfredonia sono stati localizzati due parchi eolici a poca distanza l'uno dall'altro senza tenere conto, evidentemente, delle correlazioni e delle sovrapposizioni di effetti derivanti da una distinta progettazione dei due significativi parchi eolici;
   i parchi eolici, in particolari casi, a causa della loro estensione e della loro disposizione planimetrica, costituiscono un'estesa barriera per le rotte migratorie dell'avifauna, anche internazionale, che rappresenta un patrimonio dell'intera comunità internazionale e la cui tutela è disciplinata a livello comunitario dalla direttiva 79/409/CE;
   la collocazione dei parchi si inserisce in un territorio con importanti peculiarità, caratterizzato, come nel caso di Manfredonia, sia dall'antica presenza di saline, risalenti al IV secolo a.C. ancor prima dell'espansione dell'impero romano, sia per la presenza delle zone umide «Frattaruolo», habitat essenziale per la tutela della fauna acquatica, tra l'altro sottoposto al regime di tutela previsto dalla convenzione internazionale Ramsar, sottoscritta da 150 paesi tra cui l'Italia;
   alcuni degli impianti citati risultano essere ubicati in aree tutelate dal punto di vista ambientale, in quanto appartenenti a parchi nazionali ed inseriti in zone a protezione speciale (ZPS) e in siti di interesse comunitario (SIC);  
   la regione Puglia ha espresso giudizio negativo di valutazione di impatto ambientale e di valutazione di incidenza ambientale in merito all'installazione di parchi eolici a poche miglia dalle proprie coste –:
   se il Ministro intenda avviare una mappatura completa della fascia di mare costiera, al fine di individuare le aree da assoggettare a tutela nei confronti della crescente quanto incontrollata proliferazione dell'installazione sul territorio nazionale di questa tipologia di impianti eolici, e per avviare una programmazione strategica dei parchi eolici per la cui realizzazione sarà necessario scegliere zone che non presentino possibili criticità sotto il profilo della compatibilità ambientale, paesaggistica e degli ecosistemi;
   se il Ministro non ritenga opportuno, in fase di valutazione dei progetti presentati, tenere conto dell'eventuale processo di ripristino ambientale a seguito della dismissione degli impianti eolici;
   se siano stati fatti studi approfonditi, avvalendosi eventualmente degli organismi e degli istituti di ricerca competenti, per valutare gli effetti sull'avifauna, sulla fauna ittica e sull'equilibrio della biosfera marina della realizzazione dei parchi eolici;
   se il Governo abbia tenuto in debito conto le prevedibili ricadute sulle attività di pesca, del turismo e, con particolare attenzione, sulla salute dei cittadini.
(2-00155) «Cariello, L'Abbate, De Rosa, Brescia, Lombardi».

Interrogazione a risposta immediata:


   FORMISANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il gravissimo fenomeno dei roghi dolosi di discariche in Campania, nella cosiddetta «Terra dei fuochi», non accenna a diminuire. Nel 2013 già oltre 800 sono i roghi che si sono sviluppati in quelle zone martoriate;
   nella ormai ex Campania felix, infatti, si continua a bruciare rifiuti tossici di ogni genere e pericolosità e si prosegue negli sversamenti illegali di rifiuti tossici ed industriali;
   è noto che tra poco tempo verranno fatti partire molti bandi per le bonifiche ed è facile immaginare che il nuovo flusso di denaro attirerà ancora una volta le ecomafie, che probabilmente non sono estranee ai nuovi roghi;
   le indagini sui recenti incendi mostrano un salto di qualità per quel che riguarda i materiali usati per dare alle fiamme i rifiuti. Infatti, oltre ai purtroppo tradizionali copertoni, sono stati utilizzati per la prima volta frigoriferi, con un ulteriore aumento della pericolosità delle conseguenze dei roghi;
   gli incendi non sono l'unico dramma che colpisce la «Terra dei fuochi». In sei mesi circa sono stati effettuati ben 150 sequestri di aree contaminate. Il generale Sergio Costa, comandante del Corpo forestale provinciale di Napoli, ha affermato che i suoi uomini, di fatto, sono costretti ad un sequestro al giorno di terreni inquinati;
   in particolare, appare ancor più angoscioso, se possibile, quanto scoperto a Caivano, dove è stata riscontrata la presenza del micidiale veleno toluene in un terreno coltivato;
   nella discarica abusiva sono stati, inoltre, trovati decine di metri cubi di terreno indenne, ammonticchiati ai lati della parte «infetta». Questo terreno pulito serviva per «ravvivare» lo strato superficiale, contaminato, e permettere, quindi, la coltivazione degli ortaggi. Si tratta di una constatazione di enorme gravità, perché fa comprendere che chi coltivava quegli alimenti ben sapeva dove lo stesse facendo, e soprattutto sopra cosa;
   altro gravissimo sito inquinante è quello della ex Resit a Giugliano, laddove numerose inchieste hanno stabilito che per 20 anni sono stati sversati rifiuti tossici, tra i quali i fanghi della Acna di Cengio, con la contaminazione delle stesse falde acquifere presenti nella zona;
   nelle due cave, dette «Z» ed «X», della ex Resit sono presenti fenomeni sconcertanti, come le cosiddette «fumarole», ossia fumi pestilenziali che si levano dalla sommità della discarica, rendendo irrespirabile l'aria della zona, e questo mentre nei campi vicini si prosegue a coltivare come se nulla fosse;
   non si tratta di una questione locale, ma nazionale a tutti gli effetti, sia perché i rifiuti bruciati e sepolti nella «Terra dei fuochi» provengono da industrie dislocate in tutta Italia, industrie che preferiscono collaborare con la camorra piuttosto che con chi lavora onestamente, sia perché la salvaguardia dell'ambiente è un tema di vitale importanza per la stessa coesione nazionale;
   roghi e sversamenti abusivi avvengono anche perché, nonostante l'impegno costante delle forze dell'ordine, manca una sorveglianza continua nella aree più a rischio e non si può chiedere ai comuni, che spesso sono in difficili condizioni economiche, di provvedere da soli;
   occorre non solo stroncare i fenomeni sopra riportati, ma anche colpire con durezza i responsabili di questo stato di cose, non limitandosi a punire i camionisti che portano i rifiuti, ma arrivando anche ai responsabili di più alto livello;
   la questione delle discariche e dei ritardi nelle bonifiche è motivo di sanzioni da parte dell'Unione europea nei confronti del nostro Paese;
   il Ministro interrogato ha annunciato una serie di importanti misure per intervenire sulla vicenda, mentre la regione Campania ha assicurato che interverrà con coi fondi per le aree sottoutilizzate –:
   se il Ministro interrogato non ritenga, per quanto di sua competenza, fissare gli obiettivi, anche temporalmente, e i modi per giungere ad una soluzione definitiva della situazione sopra illustrata e che perdura da troppo tempo, con danni gravissimi ed innegabili alla salute dei cittadini non solo campani. (3-00223)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 giugno 2013 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha firmato il decreto di proroga dei poteri attribuiti al commissario prefetto Goffredo Sottile in qualità di delegato per il superamento della situazione di emergenza ambientale nel territorio della provincia di Roma, in relazione alla imminente chiusura della discarica di Malagrotta, attribuendogli il compito di sottoporre al Ministro entro fine luglio la localizzazione per una discarica di servizio necessaria a completare il ciclo di selezione, recupero, raccolta differenziata e trattamento dei rifiuti;
   da notizie apprese dalla stampa il comitato tecnico insediato dal commissario avrebbe individuato quale sito di nuova discarica di rifiuti del comune di Roma l'ex cava di inerti in località Selvotta, zona sud-ovest di Roma, nel territorio del IX municipio;
   l'area della Selvotta sarebbe ricompresa nell’«Ambito meridionale dell'agro romano compreso tra le vie Laurentina ed Ardeatina (località Cecchignola, Tor Pagnotta, Castel di Leva, Falcognana, S. Fumia, Solforata)» di cui al decreto 25 gennaio 2010 della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio – MIBAC, che ha dichiarato l'intero ambito, ai sensi dell'articolo 136 del decreto legislativo n. 42 del 2004, di notevole interesse pubblico;
   la realizzazione di un sito di discarica in detta area comprometterebbe irrimediabilmente il valore identitario e connotativo di questa porzione pregiata di Agro Romano, le cui valenze paesaggistiche sono state riconosciute meritevoli di azioni dirette di tutela e salvaguardia –:
   se ai Ministri interrogati risulti rispondente al vero l'individuazione da parte del commissario prefetto Goffredo Sottile, quale delegato per il superamento della situazione di emergenza ambientale nel territorio della provincia di Roma, in relazione alla imminente chiusura della discarica di Malagrotta, di una discarica di rifiuti nell'ex cava di inerti in località Selvotta, zona sud-ovest di Roma, nel territorio del IX municipio di Roma Capitale;
   se, nell'ambito delle proprie competenze, i Ministri interrogati non intendano sviluppare iniziative volte a garantire il rispetto del vincolo di notevole interesse pubblico dell’«Ambito Meridionale dell'Agro Romano compreso tra le vie Laurentina ed Ardeatina (Località Cecchignola, Tor Pagnotta, Castel di Leva, Falcognana, S. Fumia, Solforata)», di cui al decreto 25 gennaio 2010 della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio del MIBAC. (4-01362)


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 e 13 giugno 2013, «Goletta Verde», iniziativa promossa da Legambiente, che è conosciuta e apprezzata in ambito nazionale per le sue battaglie ambientaliste e che ogni anno continua ad interessare le coste italiane, con l'obiettivo di monitorare i livelli di inquinamento delle acque, ha effettuato rilevamenti in due distinti punti nella località balneare di Rosolina (Rovigo) principale destinazione turistica del Delta del Po veneto. Dai risultati di queste prime analisi è emerso che nei due punti presi in esame (Foce dell'Adige e Rosolina Mare) l'acqua presentasse significativi livelli di inquinamento;
   in data 24 e 25 giugno 2013 Arpav (Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto), nell'ambito dei controlli periodici svolti nella medesima località, ha potuto effettuare nove diversi rilevamenti in altrettanti punti del litorale rosolinese, confermandone la balneabilità e confermando altresì il pieno rispetto dei parametri vigenti;
   nelle scorse settimane la diffusione a mezzo stampa di dati così visibilmente discrepanti poi ripresi da media nazionali, ha creato notevole allarme tra cittadini, operatori turistici e visitatori della località, determinando un clima di sostanziale incertezza e rischiando di pregiudicare l'avvio della fase centrale della stagione turistica;
   e, inoltre, considerato che le attuali politiche europee in tema di ambiente e salute, secondo quanto riportato puntualmente anche dal portale acque di balneazione del Ministero della salute, «oltre che sui controlli e sul monitoraggio, puntano sulla gestione integrata, prevenzione, informazione e partecipazione pubblica al processo decisionale, al fine di utilizzare la leva dei cittadini per la promozione di interventi di miglioramento ambientale» –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attualmente promuovere per coordinare più efficacemente l'organizzazione dei rilevamenti, nonché la trasmissione e la comunicazione dei dati relativi alle analisi che vengono condotte nelle acque delle diverse località balneari, con il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati (Stato, enti locali, agenzie, associazioni ambientaliste), fino a prevedere la costituzione di un apposito tavolo tecnico nazionale in materia. (4-01365)


   NARDUOLO, GINATO, MORETTI, SBROLLINI, MIOTTO e CRIMÌ. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A31 Valdastico (tronco Vicenza-Rovigo) è un'opera inserita nell'elenco di quelle poste in concessione alla società Brescia-Verona-Vicenza-Padova in base alla vigente convenzione con l'Anas;
   la progettazione esecutiva dell'opera è iniziata nel mese di luglio 2000 e in data 16 maggio 2003 si è conclusa, con il rilascio di apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, la procedura per la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA);
   in data 5 aprile 2004 si è conclusa la procedura autorizzativa di cui all'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 (Dicoter);
   in data 12 ottobre 2004 è stato emesso il decreto di pubblica utilità dell'opera;
   il progetto esecutivo viene approvato e realizzato per lotti;
   i primi due tratti (dall'interconnessione con l'autostrada A4 sino allo svincolo Montegaldella-Longare e da quest'ultimo svincolo sino ad Albettone-Barbarano) sono già realizzati e aperti al traffico;
   gli altri lotti sono in avanzato stato di realizzazione;
   l'opera riveste un'importanza fondamentale nell'assetto dello sviluppo viario della regione Veneto;
   il 3 luglio 2013 la procura distrettuale antimafia di Venezia ha emesso, a firma del pubblico ministero Rita Ugolini, 27 avvisi di garanzia ipotizzando i reati di falso ideologico e traffico illegale di rifiuti in forma organizzata, a carico – tra gli altri – di Attilio Schneck (prima presidente consiglio di amministrazione società Brescia-Padova, e attualmente presidente della A4 Holding), dei presidenti dei consigli di amministrazione e amministratori delegati di Serenissima Costruzioni s.p.a., Mestrinaro s.p.a., Acciaierie Beltrame s.p.a., e di altri titolari o responsabili di ditte che gestivano lavori e progetti dell'autostrada A31 Valdastico –:
   se le varie procedure autorizzative obbligatorie per l'approvazione e la realizzazione dell'opera prevedano direttamente da parte dei Ministeri monitoraggi e controlli sulle varie fasi della costruzione, oltre agli obblighi in capo ai direttori dei lavori, e se gli stessi siano stati effettuati per l'opera in oggetto;
   se i Ministri interrogati, alla luce dell'inchiesta in corso, intendano assumere autonome iniziative di verifica e controllo sullo stato dell'arte dei lavori per la realizzazione dell'autostrada A31 Valdastico. (4-01366)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Chiusi della Verna (Arezzo), in località Maggiore Corsalone, si trova uno stabilimento abbandonato, ex cementeria, ubicato a soli 100 metri dalla riva dell'Arno, in un centro abitato di circa 800 abitanti;
   il cementificio, ormai da oltre 10 anni in stato di abbandono, appare in pessime condizioni con presenza nell'area anche di materiale, quale eternit, probabilmente in cattivo stato di conservazione, le cui fibre di amianto, se disperse nell'ambiente, potrebbero determinare seri danni alla salute dei cittadini;
   l'area, ex cementeria Sacci, di proprietà privata, vide in passato un intervento di sistemazione e riqualificazione in accordo con l'amministrazione di Chiusi della Verna, almeno per la parte situata in questo comune;
   lo stabilimento, per la porzione già demolita, è ubicato nel comune di Bibbiena in una zona periferica rispetto al paese; questa parte di fabbricato risulta non ben custodita e troppo facilmente accessibile anche dai non addetti ai lavori;
   questa situazione di stallo sta determinando notevoli disagi per tutta la vallata del Casentino e danni al comune di Chiusi della Verna;
   la proprietà dell'immobile ha sospeso qualsiasi intervento, compresa la presentazione di un piano di utilizzazione dell'area, per il non raggiungimento di accordi per l'area interessata dai lavori, con le precedenti amministrazioni comunale di Bibbiena e provinciale di Arezzo;
   la presenza di manufatti in cemento-amianto, che non costituisce di per sé rischio per la salute dei cittadini e/o per la tutela ambientale, può diventare un pericolo nel momento in cui il deterioramento del materiale porta ad aumentare le probabilità di dispersione di fibre di amianto in aria e/o nel suolo;
   peraltro, l'area, di importante pregio ambientale e paesaggistico, è riconosciuta anche per la sua vocazione turistica e rappresenta una zona di considerevole passaggio di villeggianti –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto e se non ritenga opportuno intervenire per quanto di competenza affinché siano intraprese iniziative volte a superare lo stallo che caratterizza l'area ex cementificio Sacci, dando impulso alle indispensabili e non più rinviabili operazioni di bonifica, attraverso il recupero, il ripristino e la messa in sicurezza dell'intero comparto. (4-01370)


   SCAGLIUSI, L'ABBATE, SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, DE LORENZIS, D'AMBROSIO, MANNINO, DAGA, ZOLEZZI, DE ROSA, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DI VITA, DALL'OSSO, GRILLO, LOREFICE, CARIELLO, MANTERO e COLLETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la Lama San Giorgio è tra le principali e più lunghe lame del territorio della provincia di Bari;
   l'incisione di Lama San Giorgio ha origine nella Muria barese, nei pressi di Monte Sannace a 383 metri sul livello del mare, nel territorio di Gioia del Colle e scorre verso nord attraversando i territori dei comuni di Sammichele di Bari, Casamassima, Rutigliano, Noicattaro e Triggiano e sfocia nel mare Adriatico nel territorio di Bari;
   con la legge regionale n. 91 del 1997 è stato individuato il tratto di lama San Giorgio insistente nell'agro di Triggiano come area da sottoporre a tutela ambientale;
   in seguito ai moti di protesta dell'opinione pubblica e delle associazioni ambientaliste richiedenti un ampliamento dell'area da tutelare al fine di incorporare siti dalle peculiari caratteristiche naturalistiche, geologiche e archeologiche meritevoli di una più stretta tutela, in data 18 luglio 2002 l'ufficio parchi e riserve naturali della regione Puglia ha avviato una serie di incontri tecnici con le diverse amministrazioni comunali interessate all'istituenda area protetta (Bari, Triggiano, Noicattaro, Rutigliano, Sammichele di Bari e Casamassima, con una manifestazione di interesse da parte dell'amministrazione comunale di Gioia del Colle), giungendo ad un'intesa nella quale si è definito un perimetro per l'area della Lama San Giorgio;
   il 20 settembre 2007 è stata convocata la conferenza dei servizi per l'istituzione dell'area naturale protetta «Parco Naturale Regionale delle lame S. Giorgio e Giotta» ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera A, della legge regionale n. 19 del 1997. In quella sede è stato stilato un documento d'indirizzo con allegata perimetrazione, al fine di fornire elementi ed indicazioni per la redazione del disegno di legge istitutivo dell'area naturale protetta;
   in febbraio 2008, l'intero territorio della Lama San Giorgio è stato ufficializzato come area naturale di pregio;
   mentre l'Ufficio parchi e riserve naturali della regione Puglia procedeva nella direzione appena descritta, nel 2005 l'autorità di bacino indicava, inspiegabilmente, alla regione Puglia la Lama San Giorgio come luogo di recapito ideale per i reflui da depuratori previsti a Casamassima e Sammichele;
   il 2 ottobre 2008 l'acquedotto pugliese ha trasmesso il progetto relativo alla costruzione di un collettore di scarico dell'impianto di depurazione a servizio del comune di Casamassima. Il 6 novembre 2008 si riunisce il consiglio comunale di Rutigliano, all'unanimità ha espresso parere negativo per le seguenti motivazioni:
    il progetto in questione non è previsto nel «Piano di Tutela delle Acque Regionali», tant’è che il commissario delegato con decreto 195 del 18 giugno 2002 aveva approvato e finanziato, in conformità al piano stesso, un progetto preliminare per la realizzazione di un collettore intercomunale, con recapito finale a mare, a servizio dei comuni di Gioia del Colle, Acquaviva, Putignano, Sammichele e Casamassima;
    il progetto è carente delle valutazioni sull'effetto dello scorrimento dell'acqua nell'alveo della lama San Giorgio, con particolare riferimento all'impatto sulla vegetazione e sulla fauna, considerato che il letto alluvionale è prevalentemente secco durante tutto l'anno;
    il progetto non prevede nulla sull'ipotesi di scarichi non conformi, così come previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006 che avvengono durante la gestione ordinaria di un impianto di depurazione, sversando acque non purificate e raffinate, con gravi conseguenze di tipo igienico e sanitario;
    il progetto non dice nulla in ordine alla gestione e manutenzione ordinaria e straordinaria della lama;
    il progetto è incompatibile con la procedura di istituzione della «Riserva naturale Protetta di Lama San Giorgio», a tutt'oggi non ancora approvata dalla regione Puglia;
   ancora una volta in contrapposizione al processo di tutela ambientale di Lama San Giorgio, il 19 marzo 2009 con determinazione dirigenziale n. 145 del servizio ecologia della regione, si afferma che il bacino idrografico della Lama San Giorgio potrebbe essere idoneo a recepire i reflui trattati dal depuratore di Casamassima a condizione che si realizzi una riqualificazione ambientale della Lama e che avviare le acque di scarico verso corsi d'acqua, è una soluzione tecnica sostenibile purché siano rispettati alcuni principi e siano osservate alcune prescrizioni, quali:
    evitare la demolizione di ponti di pregio storico ed architettonico;
    assicurare della funzionalità idraulica della lama;
    realizzare opere di mitigazione e ri-funzionalizzazione della lama;
    ripristinare una sezione di magra;
    eseguire una pulizia della lama con estirpazione di alberature e quant'altro impedisca lo scorrimento delle acque;
    realizzare tubazioni in acciaio con l'utilizzo di tecniche di ingegneria naturalistica;
    proteggere le scarpate trasversali con gabbionate e/o materassi tipo Reno;
    programmare una manutenzione costante della lama;
   il 12 giugno 2009, senza alcuna ulteriore comunicazione o convocazione fatta ad alcuno dei comuni interessati, il Commissario delegato per le emergenze ambientali Vendola, con il decreto n. 92 approva il progetto del depuratore di Casamassima e del collettore di scarico in Lama San Giorgio, dando mandato all'Acquedotto pugliese di realizzare l'opera prevedendo testualmente: «di dare atto che l'approvazione del progetto in esame sostituisce visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali, comunali e costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico comunale», di fatto estromettendo tutti gli attori interessati, dalla procedura amministrativa;
   il 4 novembre 2009 l'Acquedotto pugliese evidenzia in una nota che il progetto approvato il 12 giugno è carente delle prescrizioni necessarie e che «in mancanza di adeguate soluzioni e decorso il termine per l'ultimazione dei lavori, l'opera realizzata con ingenti finanziamenti pubblici possa rivelarsi inutilizzabile»;
   il 25 febbraio 2010, il consiglio comunale di Rutigliano approva, sempre all'unanimità, una mozione di assoluta contrarietà allo sversamento nella Lama San Giorgio delle acque reflue del depuratore di Casamassima;
   nell'aprile 2011 l'Acquedotto pugliese avvia le opere di scavo e messa a dimora della tubazione interrata dal depuratore fino al Vallone Guidotti che vengono sospese dopo diverse manifestazioni di protesta civile e per carenza del parere archeologico;
   il 19 luglio 2012, nella causa C-565/10, avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell'articolo 258 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, la Commissione europea sentenzia l'inadempimento dello Stato italiano in riferimento alla Direttiva 91/271/CEE relativa al «Trattamento delle acque reflue urbane - Articoli 3, 4 e 10 - Rete fognaria - Trattamento secondario o equivalente - Impianti di trattamento - Campioni rappresentativi». L'articolo 10 della direttiva 91/271 prevede che la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane realizzati per ottemperare ai requisiti fissati agli articoli 4-7 debbano essere condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e tenendo conto delle variazioni stagionali di carico. Pertanto, il suddetto obbligo non può considerarsi assolto negli agglomerati in cui il trattamento secondario o il trattamento equivalente della totalità delle acque urbane che confluiscono nelle reti fognarie non è garantito mediante impianti di trattamento i cui scarichi soddisfino i requisiti di cui all'allegato I, sezione B, della direttiva 91/271. Ciò considerato, la Repubblica italiana, non avendo preso le disposizioni necessarie al fine di condurre la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e per far fronte alle variazioni stagionali di carico nell'agglomerato di Casamassima, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'articolo 10 della direttiva 91/271;
   per questi motivi, la Corte (Settima Sezione) ha dichiarato e statuito che la Repubblica italiana è condannata alle spese; la sanzione prevista va da un minimo di 11.904 euro a un massimo di 714.240 euro per ogni giorno di ritardo nell'adeguamento, oppure una somma forfetaria calcolata sulla base del PIL, e alla possibile sospensione di finanziamenti europei, fino all'attuazione della sentenza;
   i sistemi naturali, da sempre, interagiscono con le aree urbanizzate, agendo come termoregolatori, evitando l'eccessivo innalzamento della temperatura estiva indotto dall'irradiazione continua e dall'effetto riflettente delle matrici cementizie. È noto che la Puglia ospita una flora molto ricca in virtù di circa 2.200 specie spontanee. In questo contesto, le aree umide svolgono importanti funzioni sia di termoregolazione del microclima che di rifugio di specie animali e vegetali arricchendo la biodiversità. Costituiscono quindi luogo di sosta di uccelli migratori o luoghi privilegiati di riproduzione dell'avifauna selvatica;
   il ricorso a tecniche di depurazione naturale per il trattamento dei reflui rappresenta ormai una scelta ampiamente diffusa. La fitodepurazione è una tecnologia che usa la capacità depurativa degli ecosistemi naturali mettendola al servizio delle attività umane;
   gli impianti di fitodepurazione rappresentano un'alternativa ai sistemi di depurazione tradizionali, con vantaggi dal punto di vista economico (risparmio di energia elettrica, limitati costi di gestione) ed ambientale (eliminazione dei trattamenti di disinfezione e dei relativi sottoprodotti, miglior inserimento paesaggistico);
   l'impianto di fitodepurazione di Melendugno, con il suo attuale potenziale di 21.25 AE (abitante equivalente), realizzato con il finanziamento della regione Puglia, è stato il primo in Italia e tra i primi in Europa, come bacino palustre naturale riprodotto artificialmente con queste caratteristiche. La struttura, alimentata dalle acque provenienti dall'impianto di depurazione a servizio dei Comuni di Melendugno, Calimera e Martignano, si estende su di una superficie di 8,3 ettari;
   l'UNESCO ha avviato il programma WWAP (World water assessment programme o Programma mondiale di valutazione delle acque), la cui ratifica è attualmente all'esame del Parlamento, al fine di verificare il raggiungimento dell'obiettivo del Millennio consistente nel perseguire, entro il 2015, l'arresto dello sfruttamento non sostenibile delle risorse idriche. Tra le funzioni principali del Segretariato WWAP indicate all'articolo 4 del suddetto protocollo d'intesa ci sono:
    il supporto agli Stati membri per la valutazione dell'efficienza e dell'efficacia di programmi e decisioni nazionali in materia di politica idrica e monitoraggio dello stato di attuazione dei diversi obiettivi, inclusi gli Obiettivi di sviluppo del Millennio;
    la realizzazione di Rapporti sulla situazione delle acque con particolare riferimento alla disponibilità e all'utilizzo sui singoli piani nazionali; l'assistenza agli Stati membri perché sviluppino e migliorino le capacità di raccolta e analisi dei dati per le proprie iniziative in tema di politica idrica;
    il 23 e 24 maggio 2013 si è tenuta a Bonn una conferenza organizzata dal Global Water System Project (GSWP), dal quale è scaturito un appello (cd. Dichiarazione di Bonn) per un uso più razionale dell'acqua, nella convinzione che sia possibile evitare la crisi dell'acqua in quanto questa si deve «solo a una cattiva gestione di una risorsa essenziale e insostituibile». I ricercatori convenuti hanno ribadito che con le attuali conoscenze non è possibile prevedere esattamente quando il limite planetario sarà superato ma se vi si dovesse arrivare «si potrebbero innescare cambiamenti irreversibili con potenziali, catastrofiche conseguenze». Sono state elaborate, quindi, sei raccomandazioni: potenziare la ricerca sul sistema idrico globale; elaborare una sintesi delle attuali conoscenze sul sistema acqua per migliorarne la protezione; formare la prossima generazione di ricercatori specializzati nel settore idrico; intensificare il monitoraggio dell'acqua; preferire soluzioni basate sulla salvaguardia degli ecosistemi a costosi interventi strutturali; stimolare l'innovazione nella gestione dell'acqua –:
   se il Governo sia consapevole della necessità di convocare quanto prima un incontro tecnico tra la regione Puglia, il Commissario delegato per l'emergenza ambientale in Puglia, l'Acquedotto pugliese e una delegazione dei comuni interessati al fine di risolvere la questione, vista la sanzione comminata alla Repubblica italiana dalla Commissione europea in merito al trattamento delle acque reflue e se intenda comunque monitorare la situazione;
   visto il malcontento manifestato a più riprese dai cittadini e dalle associazioni interessate e considerata l'inammissibile sordità da parte del presidente della regione Puglia nei confronti degli stessi, se il Governo non intenda attivarsi al fine di chiedere, in via cautelare, la sospensione dei lavori di realizzazione della condotta interrata di scarico delle acque provenienti dal nuovo depuratore di Casamassima che potrebbe determinare anche condizioni di rischio per l'assetto idrogeologico;
   se il Governo ritenga opportuno valutare l'opportunità di promuovere una collaborazione con la regione Puglia al fine di avviare nell'area interessata, con la partecipazione attiva dei cittadini, così come stabilito dalla legge regionale n. 21 del 2008 della regione Puglia, interventi di progettazione e riqualificazione urbana in merito a rigenerazione ecologica finalizzata al risparmio delle risorse, con particolare riferimento a suolo, acqua ed energia, alla riduzione delle diverse forme di inquinamento urbano, al miglioramento della dotazione di infrastrutture ecologiche;
   quali siano le azioni che il Governo intende attuare, visti i pareri degli esperti in materia di acqua risultanti dalla Conferenza di Bonn e le direttive della comunità Europea sul tema dell'acqua, con l'obiettivo di rafforzare le politiche ambientali per la tutela e la gestione sostenibile delle risorse idriche;
   se il Governo intenda promuovere uno studio urgente per verificare la fattibilità di un impianto di fitodepurazione al fine di permettere il riutilizzo delle acque, in regioni, come la Puglia, che soffrono pesantemente la carenza di tale risorsa. (4-01382)


   BRAMBILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sono stati resi noti i risultati di un'inchiesta della LAV – Lega anti vivisezione, associazione riconosciuta dal Ministero ex legge 349 del 1986, che ha documentato anche con rilievi video e foto sistematiche e ripetute violazioni da parte dei delfinari del decreto del Ministro dell'ambiente e delle tutela del territorio e del mare 6 dicembre 2001, n.469 Regolamento recante disposizioni in materia di mantenimento in cattività di esemplari di delfini appartenenti alla specie Tursiops Truncatus, in applicazione dell'articolo 17, comma 6 della legge 23 marzo 2001, n. 93;
   in particolare, nei delfinari di Zoomarine (Torvaianica-Roma), Oltremare (Riccione), Fasanolandia (Fasano-Brindisi) e Rimini, sono emerse le seguenti rilevazioni:

  Educazione:
   in nessuno dei delfinari è presente un opuscolo o un volantino informativo/educativo che riporti informazioni sui cetacei, sul loro habitat, sulla loro etologia, eccetera (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n.469: Allegato, Punto A-1-d)
   due delfinari su quattro non avevano alcun tipo di pannello informativo visibile nelle aree accessibili gratuitamente né inerente i cetacei né inerente i progetti di ricerca e conservazione di cui il delfinario era parte. Dei rimanenti uno dei delfinari aveva pochi cartelli con informazioni generiche che potevano essere visitati a seguito dello spettacolo ma non è stato possibile vederli tutti in quanto il percorso è stato chiuso, insieme al delfinario, poco tempo dopo la fine dello spettacolo. Solo uno dei delfinari aveva molteplici pannelli informativi sui cetacei e le loro caratteristiche e anche diversi pannelli che illustravano alcune delle ricerche che erano state condotte, per quanto questi ultimi fossero solamente in lingua inglese. (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 496: Allegato, Punto A-1-b);
   due su quattro delfinari non prevedevano alcun tipo di visite guidate con un educatore o altro personale in grado di fornire informazioni sui cetacei. Uno (Zoomarine) prevedeva una visita a pagamento del costo di euro 40 a persona. Solo uno dei delfinari (Oltremare) prevedeva una visita gratuita della durata di circa 20 minuti (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto A-1-b);
   uno dei delfinari non forniva alcun tipo di spiegazione o commento scientifico sui cetacei nel corso dello spettacolo, per gli altri la media dei commenti inerenti la biologia e l'etologia dei Tursiopi e degli esercizi dimostrativi correlati era di circa 5 minuti e 47 secondi su un totale di 26 minuti e 41 secondi. Le informazioni fornite erano scarse e si concentravano primariamente sulla descrizione del delfino e su alcuni dei comportamenti che questa specie tiene in natura. Assolutamente insignificanti, quando non proprio inesistenti, erano invece le informazioni sulla loro etologia, sul loro habitat, sulle problematiche di conservazione, e altro come sarebbe invece richiesto dalla normativa. (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto A-1-e);

  Condizioni di detenzione

   gestione dei delfini:
    in tutti i delfinari il periodo estivo si rivela completamente privo di possibilità di riposo per gli animali. Non esistono giornate di chiusura dei parchi e i tursiopi sono costretti ad esibirsi da due a cinque spettacoli al giorno. A questo vanno aggiunte, inoltre, tutte le altre attività a contatto con il pubblico (tour guidati, attività in vasca come «addestratori» per un giorno, foto, e altro). (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-III-35);
   in almeno due delfinari (Zoomarine, Oltremare) nel corso della giornata i delfini vengono tenuti separati per diverso tempo in funzione dello spettacolo o dello svolgimento di altre attività. (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-I-13);

   contatto con il pubblico:
    in almeno tre delfinari (Fasano, Zoomarine, Oltremare) è possibile fere una foto con il «bacio del delfino» (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-III-38);
    in alcuni delfinari uno o più individui del pubblico vengono fatti entrare nell'area destina agli addestratori per eseguire alcuni esercizi con i delfini (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punti B-III-38 e B-III-39);
    due strutture hanno programmi in cui il pubblico può improvvisarsi «addestratore» di delfini a seguito di una breve formazione teorica. Questi programmi prevedono il contatto con gli animali e in un delfinario l'ingresso in vasca.
  Una struttura promuove anche veri propri corsi di addestramento (Introductory and for Professional) con sessioni teoriche e pratiche (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punti B-I-1, B-III-38 e B-III-39);
   una delle strutture pubblicizza attività di Pet-teraphy con i delfini (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punti B-I-1, B-III-37, B-III-38. Ministero della salute: posizione sulla Delfinoterapia – in allegato);
   manipolazione e gestione degli animali durante lo spettacolo. Nel corso degli spettacoli di ogni delfinario i delfini venivano manipolati più volte da uno o più addestratori e in tre delfinari venivano fatti uscire dalle vasche più volte per essere mostrati al pubblico o per entrare in contatto con esso (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegati, Punti B-III-32, B-III-34, B-III-38);
   vasche:
    uno dei delfinari era costituito da una sola vasca e la «vasca sanitaria» poteva essere identificata come una divisoria all'interno della vasca stessa. L'acqua, e quindi gli eventuali agenti patogeni, erano quindi condivisi. Negli altri delfinari le vasche sanitarie non erano identificabili e, dato quanto visibile della struttura, erano probabilmente assenti (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-I-9);
    in due dei delfinari (Oltremare) le vasche vengono utilizzate per altri scopi: tuffatori, accesso del pubblico per i programmi a pagamento, accesso personaggi del mondo dello sport (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-I-1);
    in funzione dello spettacolo alcuni delfini o il gruppo intero non hanno accesso a tutta la superficie della vasca ma solo ad alcune aree. Questo accade in tutti i delfinari tranne che in quello di Rimini perché costituito da un'unica vasca (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-I-4);
    uno dei delfinari mancava completamente di ombreggiatura, due strutture avevano un'area coperta ma i delfini non potevano accedervi durante lo spettacolo e potenzialmente in altri momenti della giornata nel corso dello svolgimento delle altre attività, nella quarta struttura alcune aree delle piscine non erano visibili al pubblico e quindi non è possibile sapere se fossero o meno ombreggiate; le aree visibili al pubblico, nelle quali i delfini rimanevano per lo spettacolo, erano prive di ombreggiatura se non quella costituita dalle gradinate (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-II-17 – decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 73: Allegato 1, punto C-2);
    le vasche erano completamente prive di arricchimenti ambientali di ogni tipo. Solo una delle vasche aveva un unico pallone sospeso che veniva utilizzato nel corso delle esibizioni (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-I-8 – decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 73: Allegato 1, punti B-1, D-1);
    due delle vasche (Fasano, Rimini) erano recintate da una ringhiera metallica che consentiva potenzialmente a chiunque di gettare oggetti estranei in vasca (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegati, Punti B-II-24, B-III-38);

   rumore:
    tre dei delfinari (Fasano, Zoomarine, Oltremare) si trovano inseriti in parchi divertimento e hanno nelle vicinanze attrazioni meccaniche quali, ad esempio montagne russe. In almeno due di questi parchi divertimento si svolgono inoltre eventi, manifestazioni e concerti. Il quarto è posto vicino al mare, tra alcune spiagge, una strada trafficata e a poche decine di metri da diversi locali notturni (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, B-III-36 – decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 73: Allegato 1, punti A-3 e A-4);
    nel corso dello spettacolo in tutti i delfinari vengono utilizzate musiche ad alto volume (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, B-III-36);
    in due delfinari nei momenti precedenti lo spettacolo il personale del parco intrattiene il pubblico utilizzando fischietti, invitandoli a battere le mani, e altro (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, B-III-36);

   il Decreto Ministeriale citato recita che «devono essere rispettate le prescrizioni contenute» e che «Il mantenimento di esemplari appartenenti alla specie Tursiops Truncatus è permesso solo nel caso in cui siano garantiti i programmi di educazione, ricerca e riproduzione di cui ai successivi paragrafi 1, 2 e 3;
   i delfinari di Oltremare, Fasanolandia e Rimini non hanno l'autorizzazione prevista dal Decreto Legislativo 73 del 2005 –:
   quali azioni intende intraprendere per sanzionare le violazioni riscontrate procedendo anche alla chiusura dei delfinari;
   si chiede anche di sapere quali azioni di recupero sono previste per i delfini di Gardaland (provincia di Verona) a seguito della decisione della nuova proprietà di non far eseguire più spettacoli;
   si chiede di conoscere sulla base di quali riscontri oggettivi il Ministero abbia potuto autorizzare ai sensi del Decreto Legislativo 73 del 2005 il delfinario di Zoomarine, poiché una semplice presenza come normali spettatori ha permesso la constatazione di numerose violazioni normative. Molto spesso, inoltre, tali violazioni vengono pubblicizzate attraverso il loro stesso sito internet;
   si chiede inoltre di conoscere gli atti del Ministero riguardo al Delfinario di Rimini poiché tale struttura aveva presentato istanza di esclusione dalla previsioni del Decreto Legislativo 73 del 2005 che non è stata accolta dal Suo Ministero. (4-01383)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. – Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   entro la fine del mese di giugno 2013 la Stazione dell'arma dei Carabinieri di Picerno (Potenza) rimarrà senza comandante poiché l'attuale comandante ha chiesto e ottenuto trasferimento presso la stazione di Sant'Onofrio provincia di Vibo Valentia;
   già nella scorsa legislatura avevo più volte sollevato la questione di un potenziamento di mezzi e uomini della stazione di Picerno poiché si erano registrati furti in serie e la comunità percepiva una situazione di insicurezza;
   questo nonostante il grande impegno dei carabinieri che sono chiamati a grandi sacrifici personali pur di svolgere al meglio il loro lavoro;
   le risposte che mi sono state fornite sono sempre state di natura burocratica poiché le statistiche piegavano i numeri in una logica di presunta tranquillità che non rendevano necessario un potenziamento della stazione;
   appare quanto mai «anomalo» però che un comandante di stazione scelga un trasferimento a Sant'Onofrio in Calabria, una località lapalissianamente più «problematica» di Picerno;
   permangono tutte le necessità di potenziare la locale stazione dell'arma consentendo una rafforzamento dei dispositivi di controllo e presidio del territorio considerata la dimensione del territorio comunale e la sua articolazione in contrade rurali –:
   se e quali iniziative il Ministero intenda adottare per verificare quanto accaduto a Picerno negli ultimi mesi e per affrontare la scelta del nuovo comandante supportandola con un indispensabile rafforzamento di mezzi e uomini. (5-00706)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   è stato programmato il trasferimento del 3o artiglieria di montagna dalla caserma «A. Cantore» di Tolmezzo (Udine) alla caserma «Lesa» di Orzano di Remanzacco (Udine);
   l'avvio di questo cambio di sede è previsto entro il mese di settembre del corrente anno –:
   quale sia lo stato della struttura di Orzano di Remanzacco e se essa sia adeguata e funzionale per ospitare i militari del 3o artiglieria di montagna;
   se sia stata accertata l'eventuale presenza di Eternit nei 900 metri quadrati di superficie che costituiscono i soffitti degli alloggi, con le relative conseguenze sul piano della salute e della prevenzione di gravi patologie dovute all'amianto;
   se risulti al Ministero che in detta caserma recentemente si siano verificate delle epidemie di legionella e, nel caso, se sia stata individuata e rimossa l'origine del fenomeno;
   alla luce di ciò, nell'eventualità che le fattispecie suesposte corrispondano al vero, al fine per tutelare la salute e la sicurezza dei nostri soldati, se intenda sospendere il succitato trasferimento del 3o per il tempo necessario a provvedere a tutte le opere, in primo luogo di bonifica, nell'ottica primaria di tutela della salute dei nostri militari. (4-01363)


   D'ARIENZO, ZARDINI, DAL MORO e ROTTA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'audizione in Commissione Difesa del generale di squadra aerea, Pasquale Preziosa, Capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica militare avvenuta il 26 giugno 2013, è emerso che l'Aeronautica militare sta completando il passaggio all'ENAV del servizio di navigazione aerea di Verona, aeroporto Valerio Catullo;
   il tema della torre di controllo in questione è determinante per lo sviluppo futuro dello scalo. Infatti, l'attuale controllo «militare» consente solo 14 voli/ora, mentre con il personale di ENAV si potrebbe raddoppiare il traffico/ora e, così, aumentare il traffico aereo;
   nel recentissimo piano industriale presentato dalla società di gestione, non risultano passaggi significativi su questo tema, se non l'obiettivo, ovviamente condivisibile, di determinare un aeroporto completamente nuovo con 6 milioni di passeggeri. Non sfugge come la criticità in questione potrebbe seriamente limitare la meta auspicata –:
   quali siano lo stato attuale del rapporto tra l'ENAV e l'aeronautica militare relativo al trasferimento del controllo della navigazione aerea dell'aeroporto Catullo di Verona dall'Aeronautica militare all'ENAV, nonché gli eventuali interventi di armonizzazione tecnica tra i diversi strumenti di controllo nonché i presunti costi. (4-01375)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   SOTTANELLI, ZANETTI e SBERNA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   alla prossima riunione della Commissione europea del 24 luglio sarà presentata una proposta di direttiva comunitaria sui servizi di pagamento (Psd 2), composta di 109 articoli, frutto di una lunga fase di trattative con le società del settore e contenente una serie di raccomandazioni al fine di rendere più aperto, competitivo, sicuro, trasparente ed efficiente il pagamento con la moneta elettronica;
   oggi in Europa l'80 per cento delle transazioni avviene in contanti, il 20 per cento con moneta elettronica, di cui il 10 per cento con carta;
   per facilitare e rendere conveniente l'utilizzo di questo strumento di pagamento, anche per importi contenuti, è prevista nella proposta della Commissione europea una riduzione delle commissioni interbancarie (interchange fees) per le transazioni effettuate con carta di credito e debito, ossia le commissioni che sono applicate nel rapporto tra la banca del negoziante e la banca del consumatore;
   per quanto concerne le commissioni interbancarie, la proposta di direttiva comunitaria intende fissare un tetto massimo dello 0,2 per cento per i pagamenti con carta di debito (Bancomat) e dello 0,3 per cento per quelli con carta di credito;
   in una successiva fase si prevede invece la cancellazione delle fees per le carte di debito e il mantenimento della soglia dello 0,3 per cento per tutte le transazioni con le carte di credito;
   da tempo la Commissione europea ritiene che le commissioni bancarie sulle carte di credito costituiscano una distorsione ed un ostacolo alla concorrenza: negli anni scorsi aveva per questo condannato Mastercard e più recentemente aveva costretto Visa ad abbassare le proprie tariffe;
   oggi in Europa la commissione media per un pagamento con carta di credito è dello 0,9 per cento, con valori che oscillano dallo 0,1 per cento in Olanda all'1,8 per cento in Germania;
   secondo quando previsto dalla Commissione europea, i limiti proposti dalla direttiva si tradurrebbero in un taglio degli introiti da commissioni sui Bancomat da 4,8 a 2,5 miliardi di euro annui e sulle carte di credito da 5,7 a 3,5 miliardi di euro;
   tuttavia, in base ad alcuni studi sul caso spagnolo, la riduzione, in quel Paese, della commissione bancaria del 55 per cento tra il 2006 e il 2010 ha comportato un aumento dei costi per i consumatori di 2,35 miliardi di euro e quindi una riduzione nell'uso delle carte bancarie;
   spesso, infatti, accade che le banche si rifacciano del mancato guadagno scaricando i costi delle transazioni su altre operazioni, con il risultato di colpire in maniera più diretta i consumatori;
   l'obiettivo della Commissione europea è quello di ridurre sia i costi per i commercianti sia quelli per i consumatori, incentivando il volume delle transazioni elettroniche;
   secondo uno studio dell'Istituto per la competitività I-Com, basato sui dati forniti dalla Banca centrale europea, un aumento di 10 milioni di carte (incremento inferiore a quello registrato in Italia tra il 2006 e il 2011) porterebbe a un calo del 3,6 per cento dell'economia sommersa e a un recupero dell'evasione fiscale stimato in oltre 5 miliardi di euro;
   la proposta di direttiva europea prevede anche un intervento per la riduzione degli oneri nei pagamenti transfrontalieri, rimuovendo gli ostacoli imposti dai circuiti di pagamento e dalle normative nazionali agli acquisti oltreconfine;
   vi sono tuttavia punti che destano perplessità quali la volontà di eliminare la clausola «honour all cards», ossia l'obbligo di accettazione da parte dei negozianti di tutte le carte di credito, che potrebbe introdurre elementi discriminatori a sfavore dei consumatori –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo, in coerenza con la proposta di direttiva comunitaria, per ridurre le commissioni interbancarie per l'utilizzo delle carte di credito, soprattutto per i pagamenti di piccola entità, correlando le commissioni al volume delle transazioni e riducendo i costi sia per i commercianti sia per i consumatori, nonché quali altri interventi intenda adottare al fine di incentivare la diffusione e l'utilizzo della moneta elettronica come strumento contro l'evasione fiscale e come mezzo di pagamento anche per importi contenuti, tradizionalmente affidati al contante. (5-00710)


   RUOCCO e BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Modello 770 è la dichiarazione dei sostituti di imposta, ossia dei datori di lavoro o enti di previdenza che per legge sostituiscono il contribuente nei rapporti con il fisco trattenendo le tasse relative a compensi, salari, pensioni;
   i sostituti di imposta devono comunicare all'Agenzia delle entrate, mediante una dichiarazione annuale, i dati relativi alle ritenute operate;
   il Modello 770, in base ai dati da comunicare e ai quadri da compilare, può essere semplificato o ordinario;
   nei Modello 770 semplificato vanno indicati: i dati relativi alle certificazioni rilasciate ai contribuenti ai quali sono stati corrisposti redditi di lavoro dipendente, equiparati e assimilati; le indennità di fine rapporto; i redditi di lavoro autonomo; le provvigioni e i redditi diversi; altri redditi;
   nel Modello 770 ordinario vanno indicati: le ritenute operate sui dividendi, proventi da partecipazione, redditi di capitale, operazioni di natura finanziaria; i versamenti effettuati, compensazioni operate e crediti di imposta utilizzati;
   entrambi i modelli devono essere presentati esclusivamente in via telematica, direttamente o tramite un intermediario abilitato, entro il 31 luglio di ogni anno;
   il modello 770 è già stato interessato in questi ultimi mesi da profonde modificazioni normative, dato che il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, all'articolo 51 ha abrogato l'articolo 44-bis del decreto-legge n. 269 del 2003, peraltro mai attuato, facendo venir meno l'obbligo di comunicazione mensile in via telematica, direttamente o tramite intermediari abilitati, dei dati retributivi e delle informazioni necessarie per il calcolo delle ritenute fiscali e dei relativi conguagli, per il calcolo dei contributi, per la rilevazione della misura della retribuzione e dei versamenti eseguiti, per l'implementazione delle posizioni assicurative individuali e per l'erogazione delle prestazioni, mediante una dichiarazione mensile da presentare entro l'ultimo giorno del mese successivo a quello di riferimento;
   sarebbero però necessarie a giudizio delle associazioni di categoria dei commercialisti e dei Consulenti del lavoro, ulteriori modifiche di carattere normativo che dispongano la proroga, per l'anno in corso del termine del 31 luglio della presentazione del modello e che definiscano, per i prossimi anni, una nuova scadenza, dato il sovrapporsi, nella data attualmente fissata, di una pluralità di termini fiscali che hanno costantemente richiesto interventi di rinvio da parte dell'amministrazione;
   la proroga si rende necessaria anche per via dei rinvii dei termini di pagamento del modello Unico 2013 e della presentazione dei modelli 730 2013, che hanno inevitabilmente causato l'allungamento dei tempi di lavoro, ed al fine di concedere alle aziende ed ai professionisti interessati il tempo necessario per effettuare correttamente la trasmissione telematica delle dichiarazioni, senza dover corrispondere oneri per un ritardo a loro certamente non imputabile;
   la proroga delle scadenze, come ricorda l'Associazione nazionale commercialisti nel suo comunicato del 27 giugno 2013, non può rappresentare la normale soluzione a queste problematiche e dovrebbe avere carattere straordinario, mentre in realtà si presenta come il solo strumento al quale ricorrere per far fronte a situazioni divenute insostenibili per contribuenti e professionisti, costretti, quest'ultimi, a svolgere il loro lavoro in condizioni di stress e disagio;
   questa condizione, secondo la stessa Associazione, sarebbe un'ulteriore prova dell'inadeguatezza dell'attuale sistema fiscale nel suo complesso e dell'esigenza, non più procrastinabile, di intervenire per mettere in atto una riforma che preveda una nuova organizzazione delle scadenze e del numero degli adempimenti nei confronti del Fisco;
   l'Associazione nazionale commercialisti ed il consiglio nazionale dei consulenti del lavoro hanno pertanto rinnovato recentemente la richiesta alle Istituzioni preposte che tale progetto di riforma complessiva sia avviato in tempi rapidi;
   in merito alla trasmissione della dichiarazione modello 770 le associazioni di categorie hanno chiesto invece con urgenza un provvedimento di proroga al 30 settembre 2013 –:
   se intenda valutare l'opportunità di prorogare al 30 settembre 2013 la presentazione del modello 770 con un provvedimento urgente e se intenda intervenire con misure di propria competenza per realizzare una riforma che preveda una riorganizzazione complessiva delle scadenze e del numero degli adempimenti nei confronti del Fisco. (5-00711)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella delicata fase di ristrutturazione dell'indebitamento si era instaurata nel tempo una lunga e consolidata prassi, da parte degli enti territoriali, di sottoscrizione di strumenti finanziari derivati, in base alla quale regioni, province e comuni hanno fatto ampio ricorso alla finanza derivata per la gestione del proprio debito, che ha attirato l'attenzione del legislatore alla problematica che si è concretata nella progressiva disciplina dell'accesso degli enti locali al mercato dei capitali, nonché dei criteri per l'ammortamento del debito e le operazioni in derivati fino all'emanazione della legge n. 539 del 1995;
   la suddetta legge ha autorizzato gli enti locali a sottoscrivere contratti di finanza derivata, nella forma di Interest Rate Swap, il cui utilizzo è stato successivamente limitato dalla legge Finanziaria 2007, prevedendo l'obbligo di comunicare i contratti al Dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze prima della loro sottoscrizione, l'anno successivo, con la legge Finanziaria 2008, il Parlamento è intervenuto per dettare opportuni criteri di trasparenza dei contratti, stabilendo che le modalità contrattuali siano espressamente dichiarate in una nota allegata al bilancio;  
   da ultimo, la materia è stata oggetto di modifica con la legge finanziaria per il 2009, che vietò espressamente agli enti locali di sottoscrivere nuovi derivati, con lo scopo di contenerne l'indebitamento, in assenza di un apposito regolamento del Ministero dell'economia e delle finanze, ma che ad oggi risulta ancora non emanato (anche se risulta pubblicata sul sito del Ministero una bozza datata 22 settembre 2009 definita «documento di consultazione»), lasciando, con ciò intendere l'assenza di nuovi contratti post-2008;
   nel marzo 2010 si sono conclusi i lavori dell'indagine conoscitiva sull'utilizzo e la diffusione degli strumenti di finanza derivata da parte della Commissione finanze e tesoro del Senato, nel cui documento conclusivo viene evidenziata, tra l'altro, la necessità di un riordino della normativa di settore diretta al rafforzamento delle regole di correttezza, trasparenza e tutela dell'affidamento degli amministratori pubblici;
   nel febbraio 2013 il Procuratore generale della Corte dei conti Salvatore Nottola, ha invitato espressamente, nella relazione di apertura dell'anno giudiziario, gli enti locali alla risoluzione di contratti eccessivamente onerosi, lasciando intendere un'apertura dei giudici ordinari e amministrativi in caso di eventuali contenziosi, e ipotizzando la colpa grave degli amministratori in caso di mancato o ritardato intervento;
   una recente interpretazione del TAR Piemonte, in una causa fra regione Piemonte e Dexia e Credi Op, tesa a dichiarare la propria non competenza, apre tuttavia la strada all'individuazione del Foro di Londra come sede competente;
   la sentenza sopra richiamata ha visto soccombere la regione Piemonte, con conseguente esborso di circa 36 milioni di euro, e tale risultato è interpretato dalla maggioranza degli analisti come molto probabile, in caso di controversia davanti ad una corte britannica;
   tutte le transazioni sinora chiuse positivamente in sede extra-giudiziale sono caratterizzate da clausola di riservatezza imposta dalla controparte finanziaria, con ciò contribuendo ad accrescere l'opacità delle operazioni in derivati –:
   se ad oggi sia noto e aggiornato il quadro complessivo degli impegni in finanza derivata del sistema degli enti locali, e in particolare se, stante l'attuale evoluzione della giurisprudenza amministrativa, sia possibile pensare ad una strategia di fuoriuscita coordinata dal Ministero dell'economia e delle finanze, onde evitare ai singoli enti locali il rischio di cause multiple che potrebbero vederli soccombenti davanti a corti estere, dove per prassi sono indicati dai contratti i fori competenti, e se, a questo fine, non si ritenga utile superare le clausole di riservatezza, data la loro evidente incompatibilità con gli obblighi di trasparenza, pubblicità e diffusione di informazioni in capo agli enti locali.
(5-00712)


   CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati di giugno del supplemento statistico della Banca d'Italia, proseguono le difficoltà di accesso al credito per le imprese;
   in particolare, la quota di imprese che segnalano un peggioramento delle condizioni di finanziamento si è attestata al 26,9 per cento e la quota di coloro che ritengono che la posizione di liquidità nei prossimi tre mesi sarà insufficiente è al 25,6 per cento;
   la relazione del Governatore della Banca d'Italia dello scorso 31 maggio, riporta un rallentamento dei prestiti alle imprese ad iniziare dalla seconda metà del 2011, contraendosi di circa 60 miliardi di euro da dicembre 2011, per le difficoltà delle banche di raccogliere liquidità sui mercati internazionali; nei primi quattro mesi del 2013 la riduzione dei flussi di credito alle imprese si è inasprita nuovamente;
   sempre secondo il Governatore della Banca d'Italia, nella seconda metà del 2011, quando le tensioni hanno riguardato il mercato dei titoli di Stato, si è innescato un circolo vizioso tra le condizioni del debito pubblico, delle banche e del credito e dell'economia reale: l'anno scorso l'attività economica si è contratta del 2,4 per cento e anche quest'anno si chiuderà con un forte calo dell'attività produttiva e dell'occupazione;
   in risposta all'interrogazione, presentata alla Camera, relativa alle somme destinate a famiglie ed imprese da parte delle banche che hanno utilizzato i finanziamenti straordinari della Banca centrale europea del dicembre 2011 e del febbraio 2012, il Governo ha affermato che le attuali condizioni di accesso al credito da parte di imprese e famiglie non sono facili e che ciò è dovuto anche al quadro macroeconomico e all'andamento congiunturale che ha avuto un impatto negativo sulla domanda di credito e ha peggiorato la percezione del rischio da parte delle banche; in assenza delle azioni intraprese dalla BCE, a fronte dell'inaridimento del mercato finanziario internazionale, la restrizione creditizia sarebbe stata di gran lunga superiore per le famiglie e le imprese;
   il rilancio dell'economia italiana non può prescindere dalle piccole e medie imprese, che rappresentano una componente importante in termini di produttività e occupazione e per tale verso è necessario intervenire sostenendone gli investimenti attraverso un miglioramento dell'accesso al credito;
   il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, attualmente all'esame del Parlamento – cosiddetto decreto «del fare» – ha previsto alcune misure a favore delle imprese; in particolare: a) sono ampliate le possibilità di accesso al credito per le piccole e medie imprese, mediante una parziale riforma delle regole di accesso al Fondo di garanzia; b) è stato individuato un meccanismo incentivante in base al quale, presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti, viene costituito un plafond che fornisce provvista alle banche per la concessione di finanziamenti alle imprese che intendono effettuare investimenti per il rinnovo dei macchinari e degli impianti ad uso produttivo; c) sono previsti finanziamenti per 150 milioni di euro per i contratti di sviluppo aventi ad oggetto programmi nel settore industriale e agroindustriale; d) è previsto un contributo alla spesa per attività di ricerca industriale nel limite del cinquanta per cento della quota relativa alla contribuzione a fondo perduto disponibili a valere sul Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR);
   l'intervento di rafforzamento del Fondo di Garanzia, seppur prezioso, non sembra sufficiente, nell'attuale quadro macroeconomico, a sostenere il rilancio degli investimenti ed è auspicabile agire anche in altre direzioni;
   il decreto-legge 22 giugno 2013, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, cosiddetto Decreto Sviluppo del 2012, ha previsto la possibilità, per le piccole imprese, di emettere prestiti obbligazionari liberandole da una serie di vincoli quantitativi, qualitativi e fiscali che in passato ne avevano di fatto inibito l'utilizzo; tuttavia, a distanza di circa un anno dall'entrata in vigore della norma, sembra essersi concretizzata una sola emissione di «mini-bond», anche se sono nati alcuni nuovi fondi chiusi destinati alla sottoscrizione dei nuovi strumenti di debito delle piccole e medie imprese;
   è quanto mai necessario intervenire in questa fase al fine di promuovere la nascita di fondi specializzati in questa direzione; la Cassa depositi e prestiti potrebbe in tal senso diventare un attore importante in questo campo, favorendo lo sviluppo di tale mercato –:
   quanti siano i nuovi intermediari finanziari accreditati dalle autorità di vigilanza per agire sul mercato dei nuovi strumenti di debito delle imprese e se non ritenga utile un intervento della Cassa depositi e prestiti per fare crescere più velocemente questo mercato. (5-00713)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUONANNO e BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le scuole paritarie rappresentano da sempre in Italia una indubbia ricchezza culturale e sociale non solo per l'attività formativa svolta, risolvendo carenze strutturali dello Stato particolarmente evidenti nelle scuole d'infanzia, ma soprattutto perché garantiscono ai cittadini il diritto di scelta educativa, svolgendo così un servizio pubblico di fondamentale importanza, sancito dalla legge n. 62 del 2000 sulla parità e dal dettato costituzionale;
   le scuole paritarie sono particolarmente diffuse in Veneto, la regione italiana con il maggior numero di istituti di questo tipo, frequentate da due bambini su tre di età compresa tra i tre e i sei anni, dove sulle 140 mila scuole d'infanzia oltre 94 mila, pari al 67 per cento, sono paritarie;
   nell'anno scolastico 2012-2013 nella provincia di Vicenza, una delle province venete con maggior presenza di scuole paritarie, sono risultati iscritti quasi sedici mila bambini alla scuola dell'infanzia ed oltre mille bambini al nido integrato per un costo totale di circa 46 milioni di euro. La spesa equivalente, se per lo stesso servizio avesse provveduto lo Stato Italiano, sarebbe stata pari a 99 milioni di euro, cioè più del doppio;
   la situazione oggi delle scuole paritarie risulta essere particolarmente preoccupante a causa di numerosi fattori, il primo dei quali è il blocco dei trasferimenti dei contributi statali, poco più di 275 milioni di euro pari a circa l'1 per cento di quanto stanziato dal Ministero per l'intero servizio, non ancora erogati a causa di incompatibilità di procedure fra Ministero dell'economia e delle finanze e dell'istruzione, dell'università e della ricerca. A questo si aggiungano le difficoltà economiche di molte famiglie nel sostenere la retta e la esiguità delle risorse a disposizione delle amministrazioni locali;
   le questioni evidenziate rischiano di provocare la chiusura di numerosi istituti con un conseguente gravissimo dramma per i bambini e le famiglie, come evidenziato qualche giorno fa dalla delegazione veneta della Federazione italiana scuole materne (FISM);
   i contributi ministeriali alle scuole paritarie, pur essendo infatti disponibili da tre mesi presso gli uffici scolastici regionali, non sono ancora stati accreditati a causa di una recente modifica della modalità di pagamento;
   i problemi sarebbero legati al sistema telematico Sicoge, gestito dal Ministero dell'economia e delle finanze attraverso le ragionerie territoriali, che risulta incompatibile con il sistema informatico del MIUR che deve materialmente operare il riparto dei fondi tra le scuole;
   la tranche di risorse in discussione rappresenta solo la prima parte del contributo relativo all'anno scolastico 2012/2013, pari a poco più del 50 per cento del totale, ma è necessaria per consentire alle scuole di fare fronte alle spese sostenute in questi primi sette mesi dell'anno. Si consideri che nel 2012 i versamenti del Ministero sono avvenuti a maggio;
   l'eventuale soppressione o chiusura delle scuole paritarie avrebbe risvolti estremamente negativi sia dal lato dell'offerta formativa, che verrebbe a depauperarsi, sia per gli aspetti gestionali a carico degli enti locali, i quali si troverebbero costretti a rispondere direttamente ad un fabbisogno, per costi e problemi organizzativi, difficilmente assolvibile;
   il grave ritardo nella liquidazione del contributo statale mette a repentaglio soprattutto gli stipendi del personale delle scuole che rappresentano la loro principale voce di spesa;
   gli istituti paritari sono sempre più frequentemente costretti ad indebitarsi per procurarsi la liquidità necessaria, pagando una sorta di tassa occulta rappresentata dal costo dell'indebitamento;
   alla complessa situazione si aggiunga che nel futuro, per poter procedere con le liquidazioni, gli enti chiederanno alle scuole il DURC (documento unico di regolarità contributiva) così che i contributi pubblici potranno essere erogati solo se si sarà in regola con il versamento dei contributi previdenziali, i quali a loro volta potranno essere assolti con gravi difficoltà in assenza dei contributi ministeriali –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per risolvere urgentemente le problematiche causate dal nuovo sistema operativo telematico Sicoge e trovare così una soluzione che sblocchi i pagamenti dei fondi, specificando altresì i termini entro i quali verranno erogati i contributi e come intenda procedere per individuare e sanzionare i responsabili di questo grave disservizio. (5-00708)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


   RONDINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI e PRATAVIERA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la sera di martedì 10 luglio 2013, a mezzanotte circa, la sedicenne Beatrice Papetti, mentre attraversava la strada provinciale Padana Superiore a Gorgonzola, è stata investita da un'auto pirata ad altissima velocità, che ha poi continuato nella sua folle corsa senza fermarsi per prestare soccorso;
   dopo sette giorni di indagini serrate da parte delle forze dell'ordine per individuare l'autore del crimine, che nel frattempo era fuggito e si era nascosto, martedì 16 luglio 2013 El Habib Gabardi, ambulante di 39 anni, separato con un figlio di sette, si è costituito e ha ammesso di essere stato lui a investire la ragazza la notte del 10 luglio;
   i carabinieri di Cassano, impegnati giorno e notte nelle ricerche dell'investitore di Beatrice, con l'ausilio delle altre forze dell'ordine e grazie anche alle riprese effettuate dalle telecamere della zona, erano ormai arrivati a delle perquisizioni in una serie di parcheggi nelle vicinanze di Ornago, in Brianza, poco lontano da Roncello, paese in cui abita El Habib, il quale, dunque, non poteva non esserne a conoscenza, dato il rilievo mediatico della vicenda;
   due giorni dopo che i carabinieri avevano tradotto in carcere El Habib Gabardi, il giudice per le indagini preliminari di Milano, Alessandro Santangelo, dopo l'interrogatorio di garanzia, non ha accolto le richieste del pubblico ministero, che, invece, aveva chiesto che l'uomo venisse tenuto in carcere, e dunque ha concesso all'investitore gli arresti domiciliari;
   tra le motivazioni del giudice per le indagini preliminari di Milano, vi è che non esiste pericolo di inquinamento delle prove e di fuga dell'imputato, il che appare del tutto assurdo considerato il comportamento dell'imputato, che si è dato proprio alla fuga dopo aver investito la ragazza di Gorgonzola e per i successivi giorni, per sottrarsi alle ricerche delle forze dell'ordine, nascondendo anche l'auto in un garage;
   il 39enne marocchino, dunque, dopo due soli giorni a San Vittore, è tornato nella sua casa a due piani, in una tranquilla corte nel centro di Roncello, in Brianza;
   Nerio Papetti, il padre della ragazza, fino ad ora pacato, appresa la notizia degli arresti domiciliari dell'investitore della figlia, ha così commentato: «Le leggi italiane hanno ucciso mia figlia per la seconda volta. È un provvedimento inaccettabile» e tale decisione «vanifica il lavoro di indagine svolto dai carabinieri»;
   la decisione del giudice per le indagini preliminari di Milano ha comunque suscitato rabbia e amarezza non solo nella famiglia della ragazza investita, che ora ha dato mandato all'avvocato Domenico Musicco, presidente dell'Associazione vittime della strada, ma altresì in tutta l'opinione pubblica;
   è del tutto condivisibile il pensiero del padre per cui per tali reati la giusta pena non possa che essere il carcere, anche per scoraggiare in futuro la commissione degli stessi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali interventi e iniziative intenda adottare al riguardo, nel rispetto delle reciproche attribuzioni che la Costituzione assegna ai vari organi costituzionali, e se ritenga opportuno adottare iniziative per introdurre nel nostro ordinamento il reato di omicidio stradale a carico di chi provoca incidenti mortali e di assicurare a chi si macchia di tale reato l'espiazione della pena negli appositi istituti penitenziari, fin dal momento dell'arresto. (3-00226)


   MIGLIORE, SANNICANDRO e DANIELE FARINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la riforma della geografia giudiziaria, avviata dal Governo Monti, ha condotto ad una profonda razionalizzazione delle strutture giudiziarie sulla base di criteri matematico-statistici che difficilmente tengono conto delle realtà territoriali e, soprattutto, dell'opportunità di far funzionare realmente gli uffici giudiziari;
   in particolare, tale riforma prevede, ai sensi del decreto legislativo n. 155 del 2012, il taglio di ben 31 tribunali e 220 sezioni distaccate di tribunale;
   particolarmente complicata, a seguito della nuova mappatura degli uffici giudiziari, è la situazione che si configura per la Campania, dove si prevede la soppressione di centinaia di uffici – tra cui le sezioni distaccate del tribunale di Napoli istituite a Frattamaggiore, Casoria, Afragola e Marano – con contestuale previsione di messa in opera del tribunale di Napoli Nord, presso la sede monumentale del Castello aragonese di Aversa, a cui verrebbero assegnate tali sezioni distaccate;
   nel dettaglio, si prevede la soppressione delle cosiddette nuove sedi distaccate del tribunale di Napoli, quali: Pozzuoli, aperta solo due anni fa, completamente a norma e ristrutturata; Marano, rispetto al quale sono stati spesi 3 milioni di euro per la messa in sicurezza e a norma (con consegna prevista per fine 2013), i cui ruoli pendenti sono ingenti; Afragola, sede completamente a norma di recentissima costruzione; Frattamaggiore; Casoria, con ingente carico di ruoli; Ischia, con tutti gli intuibili problemi per gli utenti della giustizia derivanti dalla mancanza di un tribunale sull'isola; Portici;
   l'operatività della mutata organizzazione è prevista a partire dal 13 settembre 2013, data a partire dalla quale le udienze dovranno, quindi, celebrarsi nei nuovi uffici giudiziari;
   rispetto alla messa in opera di tale tribunale si nutrono dubbi, in quanto entro il 13 settembre 2013 sembra pressoché impossibile l'organizzazione della sede a norma; senza contare, da un lato, i costi notevoli dell'operazione e, dall'altro il fatto che, trattandosi di un castello, ovvero un bene artistico-storico plurivincolato, è necessario attendere i nulla osta delle varie soprintendenze;
   anche in relazione alle piante organiche, sembra difficile che il Consiglio superiore della magistratura riesca in così breve tempo ad istruirle e pubblicarle prima della suddetta data;
   il presidente del tribunale di Napoli, Alemi, ha chiesto al competente Ministero, nonché al Consiglio superiore della magistratura, una proroga strategica delle sedi di Casoria, Ischia e Marano, in relazione al sovrabbondante carico di ruoli facenti capo ad esse;
   alla luce di quanto rilevato, si paventa, dunque, un collasso del «sistema giustizia» campano, peraltro senza alcun risparmio di risorse economiche, ratio principale della revisione della geografia giudiziaria. E tutto ciò con tutte le intuibili conseguenze negative rispetto al diritto dei cittadini di accedere alla giustizia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire con urgenza, nell'ambito delle proprie competenze, rispetto alla situazione illustrata in premessa, al fine di garantire il regolare esercizio del diritto di accesso alla giustizia in Campania, in particolare adottando disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo n. 155 del 2012 che tengano conto della specificità territoriale e delle esigenze civili della comunità campana. (3-00227)


   FERRARESI, AGOSTINELLI, BONAFEDE, BUSINAROLO, COLLETTI, MICILLO, SARTI, PETRAROLI e TURCO. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2008, Giuseppe Uva e Alberto Biggiogero venivano condotti nella caserma dei carabinieri di Varese, senza alcuna formale attività di polizia e nessun verbale d'arresto, da un'autovettura dei carabinieri sopraggiunta in seguito alla chiamata da parte di alcuni cittadini in merito al disturbo che Uva e Biggiogero stavano arrecando loro per lo spostamento di alcune transenne a seguito dei festeggiamenti per la vittoria dell'Italia;
   in data 14 giugno 2008, successivamente all'intervento dei carabinieri e al ricovero in regime di trattamento sanitario obbligatorio, decedeva a soli 43 anni presso il reparto di psichiatria dell'ospedale di circolo di Varese Giuseppe Uva;
   la procura della Repubblica di Varese iscriveva nel registro delle notizie di reato i medici che avevano preso in cura Giuseppe Uva prima del decesso, dottor Fraticelli e dottor Catenazzi, e ne chiedeva successivamente il rinvio a giudizio per il reato di cui all'articolo 589 del codice penale, omicidio colposo, per errata somministrazione di psicofarmaci;
   a seguito della celebrazione dell'udienza preliminare di cui al suddetto procedimento, su indicazione del giudice, la procura della Repubblica di Varese iscriveva pure, per il medesimo reato, altro medico che era intervenuto nella cura di Giuseppe Uva, dottoressa Finazzi;
   circa il primo procedimento menzionato, il giudice per l'udienza preliminare pronunciava sentenza ex articolo 425 del codice di procedura penale, poi annullata dalla Corte di cassazione, nei confronti del dottor Catenazzi e rinviava a giudizio il dottor Fraticelli;
   il dottor Fraticelli veniva processato dal tribunale di Varese, che, in data 23 aprile 2012, nella persona del giudice, dottor Orazio Muscato, pronunciava la sentenza n. 498 del 2012, con la quale assolveva il dottor Fraticelli con la formula «perché il fatto non sussiste» e ordinava «la trasmissione degli atti al pubblico ministero in sede con riferimento agli accadimenti occorsi tra l'intervento dei carabinieri e l'ingresso di Giuseppe Uva al pronto soccorso dell'ospedale di Varese», con ciò escludendo che la causa della morte di Giuseppe Uva potesse ravvisarsi nelle condotte dei medici che lo avevano preso in cura dopo il suo ingresso in ospedale e ritenendo che si dovessero, invece, vagliare le condotte di tutti i soggetti che erano intervenuti dopo il suo arresto e fino al suo ingresso in ospedale;
   già dal settembre 2009, la procura della Repubblica di Varese aveva aperto un ulteriore fascicolo rubricato al n. 5509/2009, che dovrebbe avere ad oggetto le circostanze che hanno condotto alla morte di Giuseppe Uva, con particolare riferimento a quanto occorso prima del suo ingresso in ospedale;
   secondo il tribunale di Varese: «Va rimarcato con chiarezza come costituisca un legittimo diritto dei congiunti di Uva Giuseppe – innanzitutto sul piano dei più elementari sentimenti propri della specie umana – conoscere, dopo quasi quattro anni, se negli accadimenti intervenuti antecedentemente all'ingresso del loro congiunto in ospedale siano ravvisabili profili di reato; e ciò tenuto conto che permangono ad oggi ignote le ragioni per le quali Uva Giuseppe – nei cui confronti non risulta essere stato redatto un verbale di arresto o di fermo, mentre sarebbe stata operata una semplice denuncia per la contravvenzione di cui all'articolo 659 del codice penale – è stato prelevato e portato in caserma, così come tuttora sconosciuti rimangono gli accadimenti intervenuti all'interno della stazione dei carabinieri di Varese (certamente concitati, se è vero che sul posto confluirono anche alcune volanti della polizia) ed al cui esito Uva – che mai in precedenza aveva manifestato problemi di natura psichiatrica – verrà ritenuto necessitare di un intervento particolarmente invasivo quale il trattamento sanitario obbligatorio»;
   nel suddetto procedimento non è stato mai ascoltato dal pubblico ministero titolare dell'indagine, dottor Agostino Abate, Alberto Biggiogero, condotto in caserma insieme a Giuseppe Uva, il quale ha, fin dal giorno successivo alla morte di Giuseppe, formalmente denunciato di aver sentito le sue grida atroci provenire dalla stanza dove era stato rinchiuso, tanto da chiamare dalla stessa caserma il 118 per chiedere un intervento, successivamente negato, per ordine proveniente dalla stessa caserma dei carabinieri;
   senz'altro, a tutt'oggi, i congiunti di Giuseppe Uva non hanno ricevuto alcun avviso di richiesta di archiviazione del pubblico ministero dottor Abate che consenta di sottoporre ad un giudice per le indagini preliminari, come da disposizioni di codice, la fondatezza di una sua richiesta di archiviazione per le notizie di reato in ordine al trattenimento in caserma;
   per converso, nell'ambito del fascicolo 5509/09, a fine marzo 2013, il dottor Abate ha comunicato la conclusione delle sue indagini per reati di diffamazione a carico di Lucia Uva, nonché di responsabili della trasmissione televisiva «Le Iene»;
   la nipote di Giuseppe Uva, Angela De Milato, ha successivamente sporto una denuncia innanzi alla procura di Brescia nei confronti del dottor Abate per le condotte tenute in relazione al fascicolo 5509/09, denunciando un'illecita «cestinazione» delle notizie di reato inerenti quanto occorso in caserma, senza la dovuta sottoposizione al giudice per le indagini preliminari degli esiti delle indagini compiute sul punto dalla procura, così di fatto integrando condotte di abuso d'ufficio e favoreggiamento nei confronti dei soggetti che potenzialmente potrebbero essere sottoposti ad indagini;
   in data 16 giugno 2014, interverrà la prescrizione dei reati, inerenti la fase di trattenimento di Giuseppe Uva prima dell'ingresso in pronto soccorso, ipotizzati nella denuncia delle sorelle di Giuseppe Uva: arresto illegale ex articolo 606 del codice penale, omicidio colposo, lesioni personali aggravate dalla qualifica di pubblico ufficiale, violenza privata;
   la procura generale della Repubblica presso la corte d'appello di Milano ha respinto l'istanza di avocazione presentata dall'avvocato Fabio Anselmo nell'interesse delle signore Angela De Milito, Lucia Uva, Carmela Uva e Maria Altomare Uva nell'ambito del procedimento penale n. 5509/2009, a fronte dell'iscrizione nel registro degli indagati della signora Lucia Uva e dei responsabili della trasmissione «Le Iene»;
   la morte di Giuseppe Uva resta tuttora senza colpevoli, in quanto il giudice per l'udienza preliminare di Varese, Giuseppe Fazio, il 16 aprile 2013 ha prosciolto il dottor Matteo Catenazzi e assolto la dottoressa Enrica Finazzi dall'accusa di omicidio colposo;
   il giudice per le indagini preliminari Giuseppe Battarino, in data 20 luglio 2013, non ha accolto la richiesta di archiviazione depositata dal pubblico ministero Abate in data 29 giugno 2013, rilevando altresì all'interno del decreto che:
    a) la richiesta del pubblico ministero risulta ricca di rilievi pesantemente critici dell'operato del giudice nella sentenza 498 del 23 aprile 2012, ma non è assistita «dal supporto di indagini diverse e successive rispetto a quelle compiute nel procedimento che ha dato luogo all'assoluzione citata e alla trasmissione di notizia di reato alla procura della Repubblica di Varese»;
    b) «l'iscrizione delle persone asseritamente presenti all'interno della caserma dei carabinieri, per le quali ora si chiede l'archiviazione, è avvenuta solo il 7 maggio 2013», ovvero dopo 5 anni dalla morte di Giuseppe Uva, e ricorda che «l'iscrizione degli indagati nel registro delle notizie di reato è dovere ineludibile e immediato imposto dall'articolo 335 del codice di procedura penale»;
    c) «la stessa qualificazione giuridica dei fatti, risultante dall'iscrizionedelle persone asseritamente presenti all'interno della caserma dei carabinieri come indagati per mere lesioni personali semplici, contraddice gli esiti argomentativi della sentenza n. 498/2012» (dove si assolve il medico Fraticelli, sentenza confermata anche dalla sentenza della corte d'appello) e risulta, quindi, «apodittica, a fronte di un evento – la morte di Giuseppe Uva – da ritenersi allo stato privo di spiegazione giudizialmente accertata» –:
   se non reputi necessario assumere iniziative ispettive presso la procura di Varese ai fini dell'esercizio di tutti i poteri di competenza, ivi compresa la promozione dell'azione disciplinare. (3-00228)


   BINETTI, MARAZZITI, SANTERINI e PIEPOLI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto denunciato dal sindacato di polizia penitenziaria Sappe, si è verificata nei giorni scorsi una nuova aggressione nel carcere di Rebibbia nei confronti di un ispettore e due agenti di polizia penitenziaria da parte di una detenuta (per la quale era stata disposta la sorveglianza a vista), che si rifiutava di tornare in cella;
   questo ennesimo episodio di violenza aggrava una situazione già estremamente complessa: la carenza di personale e il costante sovraffollamento (la struttura romana è la più grande della regione, ospitando 1.758 detenuti), con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in istituti affollati oltre ogni limite e soprattutto di chi in quei luoghi deve lavorare, sono concause dei numerosissimi fatti di violenza registrati negli ultimi anni;
   spesso, come a Rebibbia, il personale di polizia penitenziaria è stato ed è lasciato da solo a gestire quotidianamente all'interno delle prigioni italiane moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione;
   il carcere è una primaria esigenza di ciascuna società e bisogna rivolgere particolare attenzione al ruolo della polizia all'interno della casa circondariale, una risorsa primaria e strategica per il reintegro del detenuto e del suo diritto alla tutela della salute –:
   se il Ministro interrogato non intenda intervenire tempestivamente, al fine di garantire adeguata sicurezza agli agenti ed alle strutture in cui essi operano. (3-00229)


   GIORGIA MELONI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto riferito il 28 giugno 2013 da alcune agenzie di informazione giornalistica, l'ex terrorista italiano Cesare Battisti rischierebbe l'espulsione dal Brasile a causa di una condanna, inflittagli in quel Paese, per uso di falsi timbri sul passaporto;
   come noto, Cesare Battisti, all'epoca appartenente al gruppo terrorista Proletari armati per il comunismo, nel nostro Paese è stato condannato all'ergastolo, con sentenze passate in giudicato, per quattro omicidi avvenuti tra il 1978 e il 1979;
   Battisti, già arrestato nel 1979 in Italia, riuscì ad evadere dal carcere nel 1981 e da allora ha trascorso la sua latitanza tra la Francia, il Messico ed il Brasile, dove è stato nuovamente arrestato nel marzo del 2007, a conclusione di un procedimento di indagini congiunte tra la polizia francese e i carabinieri del raggruppamento operativo speciale;
   la richiesta di estradizione per Battisti, presentata dal Governo italiano a quello brasiliano nel 2008, è stata, tuttavia, respinta e la relativa procedura archiviata, a fronte del fatto che le autorità governative brasiliane avevano deciso di accordare a Battisti lo status di rifugiato politico;
   il rifiuto opposto dalle autorità brasiliane alla richiesta di estradizione aveva determinato un moto di forte indignazione in tutto il Paese, anche a causa della motivazione del diniego, cioè il «fondato timore di persecuzione del Battisti per le sue idee politiche» –:
   se il Governo sia informato di quanto riportato dalla stampa e quali urgenti provvedimenti intenda assumere nel caso Battisti sia espulso dal Brasile affinché sia finalmente consegnato alla giustizia italiana per scontare la sua pena. (3-00230)

Interrogazioni a risposta orale:


   MARRONI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il livello di sovraffollamento della popolazione detenuta nel nostro Paese ha raggiunto livelli ormai insostenibili sia per le persone private della libertà personale, sia per coloro che lavorano presso gli istituti penitenziari;
   alla data dell'ultimo rilievo delle presenze, la popolazione detenuta attualmente presente negli istituti di pena si attesta a 65.933 unità a fronte di una capienza regolamentare di 47.045 persone;
   anche per effetto di questa insostenibile situazione di sovraffollamento, nel corso degli ultimi anni alto è stato il tasso dei suicidi e degli atti di autolesionismo perpetrati dalla popolazione detenuta nonché da personale della polizia penitenziaria;
   per fare fronte a tale situazione appare indispensabile intervenire cercando di diminuire il numero di persone presenti nelle carceri migliorando la logistica e la vivibilità degli attuali istituti di pena;
   sotto questo profilo esiste una questione relativa alla logistica carceraria in rapporto, in primo luogo alla manutenzione di alcuni istituti che presentano uno stato di fatiscenza, degrado, deterioramento, che ormai ha superato i livelli di guardia (basti pensare non solo ad un carcere simbolo come Regina Coeli, Trapani, Poggioreale);
   è necessario intervenire per rendere tutti gli istituti penitenziari degni di un Paese civile quale è l'Italia e quindi in questa ottica ristrutturare, ricostruire, potenziare i siti carcerari con nuovi padiglioni o pensare a nuove e moderne sedi carcerarie che, da un lato, renderebbero più tenue il sovraffollamento e, dall'altro, consentirebbero sia ai detenuti sia agli operatori penitenziari di vivere in condizioni certamente più dignitose;
   l'articolo 44-bis del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207 convertito con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14 varò un piano straordinario di edilizia penitenziaria, meglio noto come «Piano Carceri» per far fronte alla situazione di sovraffollamento penitenziario definito emergenziale;
   detto piano in scadenza il 31 dicembre 2001 venne poi prorogato al 31 dicembre 2012 dall'articolo 17 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14;
   nel corso dell'anno 2012 venne nominato commissario straordinario per l'edilizia penitenziaria il prefetto Angelo Sinesio, nomina successivamente prorogata sino al 31 dicembre 2013 con ordinanza del capo del dipartimento della protezione civile del 14 marzo 2013;
   il piano prevede una disponibilità finale di 11.700 nuovi posti detentivi ottenibili sia mediante realizzazione di nuovi istituti di pena, sia mediante la realizzazione di nuovi padiglioni in carceri preesistenti, sia – infine – mediante il riammodernamento delle sezioni già esistenti;
   nell'agosto 2010 con deliberazione n. 19/2010/G, la sezione centrale di controllo della Corte dei conti ha chiesto al Dipartimento amministrazione penitenziaria di individuare gli istituti penitenziari non utilizzati, sottoutilizzati o abbandonati, ancorché edificati totalmente o parzialmente;
   la stessa sezione centrale della Corte dei conti si dichiarò «non esaurientemente soddisfatta» dalle informazioni ricevute dal Dipartimento amministrazione penitenziaria «per quanto ampie e documentate»;
   nonostante alcuni istituti siano stati edificati, ristrutturati e resi attivi con interventi di edilizia e servizi, essi sono parzialmente o totalmente inutilizzati. Per questo motivo, a distanza di circa tre anni dalla nomina del commissario, l'ultimazione dei lavori dei nuovi istituti, padiglioni o di ristrutturazione, dai quali si attende l'aumento dei posti detentivi per attenuare, evitare o arginare il sovraffollamento appare ancora lontana;
   una volta ultimati i lavori, l'effettivo funzionamento dipenderà dalla disponibilità di sufficienti unità operative funzionali all'attività di un carcere: polizia, educatori, psicologi, direzione –:
   quali siano i tempi effettivi previsti dal Governo per l'ultimazione dei lavori già stabiliti all'interno del citato piano carceri (per ogni sito in ampliamento, ristrutturazione o in costruzione) e quali quelli previsti per dotare ogni sito di cui sopra delle unità operative di cui abbisogna in relazione alla pianta organica prevista;
   se – sulla base dei lavori già effettuati e dei progetti esecutivi approvati – la stima di 11.700 nuovi posti detentivi contenuta nella relazione, possa considerarsi ancora attuale ed effettiva;
   se il Dipartimento amministrazione penitenziaria abbia risposto ai nuovi quesiti posti dalla sezione centrale accertamenti della Corte dei conti e, qualora lo abbia fatto, quali siano i contenuti della risposta. (3-00221)


   MARRONI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   per effetto della convenzione sottoscritta a Strasburgo nel 1983, i cittadini italiani detenuti all'estero possono chiedere ed ottenere di essere trasferiti in Italia per scontare la loro condanna nel Paese di origine;
   una volta giunto in Italia il cittadino italiano può beneficiare delle misure alternative alla detenzione previste nel nostro ordinamento, anche con riferimento al periodo di pena trascorso nel Paese straniero di condanna;
   a tal fine è però necessario che lo Stato in cui è stato condannato invii alle autorità italiane una relazione attestante la condotta tenuta dal detenuto durante la carcerazione nel Paese straniero;
   tale relazione viene oggi inviata solo dopo la proposizione da parte del detenuto di una specifica istanza innanzi alla magistratura italiana, con evidenti e gravi allungamenti nei tempi di trasmissione del documento;
   questa prassi applicativa comporta, di fatto, una compressione delle possibilità offerte ai cittadini italiani che hanno scontato parte della loro condanna all'estero di fruire di misure alternative in tempi equiparabili a quelli degli altri detenuti –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per superare l'attuale prassi in favore di una nuova procedura che preveda l'invio di una relazione sulla condotta carceraria del condannato contestualmente al suo trasferimento, in modo da ridurre il numero ed il costo degli adempimenti oltre che il disagio per la popolazione detenuta. (3-00222)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   nell'Italia dimenticata dall'Alta Velocità, i treni viaggiano con tempi di percorrenza superiori a quelli di 40 anni fa;
   rispetto al 1975 le relazioni ferroviarie sotto indicate impiegano i seguenti minuti in più:
    Pescara Roma 24 minuti in più;
    Avezzano Roccasecca 14 minuti in più;
    Lecco Brescia 36 minuti in più;
    Messina Palermo 29 minuti in più;
    Taranto Reggio Calabria 1 ora e 35 minuti in più;
    Venezia Bassano 24 minuti in più;
    Milano Varese 2 minuti in più;
    Venezia Trieste 23 minuti in più;
    Torino Savona 14 minuti in più;
    Venezia Calalzo 8 minuti in più;
    Vercelli Genova 34 minuti in più;
    Napoli Caserta 10 minuti in più;
    Brescia Cremona 12 minuti in più;
    Como Lecco 5 minuti in più;
    Firenze Viareggio 8 minuti in più;
    Palermo Trapani 17 minuti in più;
   e l'elenco potrebbe continuare a lungo;
   generalmente i treni utilizzati sono sporchi, vecchi e spesso privi di condizionamento climatico Tutto ciò che non è alta velocità, è considerato da Trenitalia di importanza relativa, ma su questi treni i viaggiatori pagano prezzi sicuramente superiori a quelli delle frecce rosse se rapportiamo i tempi di percorrenza e la qualità del servizio ricevuto;
   sulla linea adriatica, da Ancona in giù l'alta Velocità non esiste così come in intere regioni nonostante il progresso tecnologico e l'enorme aumento delle risorse finanziarie messe a disposizione dallo Stato e dalle Regioni per Trenitalia, il servizio ferroviario è del tutto scadente e inadeguato: l'aumento incredibile dei tempi di percorrenza rispetto a 40 anni fa lo testimonia in modo drammatico –:
   quali iniziative intenda assumere per chiedere a Trenitalia una assunzione di responsabilità sulla situazione del servizio ferroviario nelle relazioni non interessate dall'Alta velocità, al fine di superare l'attuale degrado qualitativo del trasporto ferroviario in larga parte del Paese.
(2-00154) «Melilla».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 luglio 2013 intorno alle ore 16 nei pressi di Metaponto Lido sono state udite tre forti esplosioni provenienti dal mare;
   le esplosioni sono state udite distintamente dai bagnanti e anche nelle zone limitrofe;
   non si ha certezza della provenienza delle esplosioni;
   potrebbe trattarsi dei sondaggi che le società petrolifere starebbero effettuando sul fondale marino metapontino;
   la popolazione nonché i villeggianti non sono stati affatto avvertiti di queste operazioni e né tantomeno sono stati informati ove si trattasse di esercitazioni militari –:
   se la capitaneria di porto competente ne fosse a conoscenza circa le origini di queste esplosioni e se tutte le procedure di sicurezza siano state rispettate nonché se si intenda sospendere ogni tipo di operazione che veda l'utilizzo di esplosivo almeno per il periodo estivo e per non compromettere la stagione turistica di Metaponto. (5-00705)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LODOLINI, GIULIETTI e SERENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'emergere di nuovi mercati e la crescente integrazione dei sistemi produttivi su scala mondiale hanno accresciuto l'importanza della rete infrastrutturale quale fattore distintivo per la competitività dei sistemi produttivi regionali, sia in termini di mantenimento delle capacità produttive esistenti che di attrazione di nuovi investimenti esteri;
   la dinamica del commercio internazionale si è accompagnata ad una riconfigurazione della geografia degli scambi che ha visto emergere nuovi attori, i cui traffici sono aumentati negli ultimi anni a tassi superiori rispetto a quelli delle economie avanzate nordamericane ed europee;
   il progredire della globalizzazione, l'allargamento dei Paesi membri dell'Unione europea, le previste nuove adesioni dei Paesi candidati dall'area balcanica, i cambiamenti politici in corso nel nord-Africa, la crescente domanda di risorse naturali ed energetiche da parte delle economie emergenti. Sono tutti fenomeni che richiedono rinnovate valutazioni, anche in termini di risposte infrastrutturali;
   la costruzione di un compiuto, sistema dei trasporti che valorizzi gli asset esistenti, colmi i deficit infrastrutturali e colga i vantaggi competitivi offerti dalla internazionalizzazione dell'economia e dei mercati, costituisce un obiettivo prioritario per lo sviluppo dell'area euro-mediterranea;
   essendo L'Italia una piattaforma logistica di interscambio tra il Mediterraneo e l'Europa Settentrionale, si prospetta un'opportunità grazie alla sua posizione geopolitica di assoluta centralità per il flusso delle merci dall'Estremo Oriente, oltre che dal sub-continente Indiano, dal Medio Oriente e dal Nord Africa verso l'Europa;
   il Presidente della Commissione europea Manuel Barroso in occasione dell'insediamento per il semestre di Presidenza della Lituania ha affermato: «Vorrei cogliere questa occasione per annunciare che, in fase di controllo delle previsioni di spesa dei singoli Paesi europei e di verifica dei risultati di spesa relativi al 2013, saranno prese in considerazione – nel pieno rispetto del Patto di stabilità e di crescita – delle operazioni di deviazione temporanea dalle politiche di deficit strutturale al fine di permettere a specifici Paesi dell'Unione il raggiungimento degli obiettivi già fissati per il medio-termine. Ogni caso sarà specificatamente e singolarmente valutato. Tale deviazione dovrà essere strettamente collegata a progetti di spesa nazionale co-finanziati dalla Unione europea nell'ambito delle Politiche Strutturali e di Coesione, delle Reti di Trasporto Trans-Europee o del “Connecting Europe Facility” che producano un effetto positivo, diretto e riscontrabile a lungo termine sulle previsioni di spesa». Tale dichiarazione è stata ripresa dalle forze politiche e dalla stampa italiana e commentata nel senso di un allentamento della politica di rigore imposta dall'Unione europea sino ad oggi. Sono, quelle pronunciate da Barroso, parole di elevata rilevanza anche per l'economia delle regioni Marche ed Umbria e per il loro sistema infrastrutturale dei trasporti e della logistica, ma impongono politiche e limiti precisi;
   premiano l'impegno profuso in questi anni da parte di tutti gli attori politico-istituzionali ed economici delle Marche, in particolare, che ha consentito di raggiungere importanti risultati, allo stato attuale della negoziazione, come l'inserimento di Ancona nel Corridoio Helsinki-La Valletta, attraverso la diramazione ferroviaria Bologna-Ancona; il porto di Ancona e l'Interporto delle Marche nel «core» network, l'aeroporto di Falconara nel «comprehensive» network della rete transeuropea di trasporti TEN-T, oltre ad essere Ancona, porto delle autostrade del mare;
   va ribadito l'obiettivo di estendere il Corridoio Baltico-Adriatico almeno fino ad Ancona;
   i porti del Mediterraneo si trovano in una posizione di vantaggio rispetto agli scali nordeuropei, non solo per i traffici con i paesi confinanti con l'Unione europea, ma anche rispetto agli scambi intercontinentali (le navi che seguono le rotte Asia-Europa-America impiegano tre giorni di navigazione in più per raggiungere i porti del Nord), a patto di garantire un'adeguata accessibilità sia di tipo infrastrutturale che come livello di servizi offerti;
   il rafforzamento del sistema portuale mediterraneo rappresenta quindi una strategia chiave nel garantire la sostenibilità del trasporto merci, sia evitando i costi di una probabile saturazione degli scali nordeuropei, sia attraverso il decongestionamento degli assi di trasporto a nord delle Alpi, a favore di migliori connessioni con i territori europei più periferici e sviluppando il trasporto intermodale;
   i concetti espressi dal presidente Barroso offrono lo spunto per cogliere opportunità nel nostro territorio per accedere ai co-finanziamenti della Unione europea, nel periodo di programmazione finanziaria 2014-2020, per quei progetti considerati «maturi», in grado, cioè, di essere avviati rapidamente e che rivestono una rilevanza strategica nel disegno della rete infrastrutturale nazionale ed europea. Nello specifico:
    il miglioramento della linea ferroviaria Orte-Falconara con il completamento del raddoppio in alcuni tratti, che potrà essere di ausilio per il miglioramento della integrazione logistica con la regione Umbria, obiettivo quest'ultimo rappresentato nel protocollo d'intesa sottoscritto dalle giunte regionali di Marche e Umbria nell'ottobre 2012; l'uscita ad Ovest dal porto di Ancona ed, in generale, lo sviluppo di porto, aeroporto e interporto e di tutte le connessioni con l'Europa, soprattutto quelle multimodali;
    il concetto stesso di piattaforma logistica territoriale, va nella direzione di lavorare su un modello gestionale delle infrastrutture dei territori di Marche ed Umbria coerente con le indicazioni comunitarie e con obiettivi di efficienza complessiva del trasporto a supporto del sistema economico produttivo. Occorre integrare in modo stabile sotto l'aspetto logistico le Marche e l'Umbria, per collegare i territori con i corridoi europei che attraversano l'Italia e più in generale con il nord e l'est Europa. In quest'ottica determinante sarà lo sviluppo del traffico intermodale e le relazioni stabili con gli altri nodi della rete logistica nazionale (porti, interporti e terminal ferroviari del Nord Italia, soprattutto);
   va richiamata, appunto, l'esigenza di lavorare su modelli gestionali e di integrazione dei servizi sui nodi infrastrutturali, dando concretezza al concetto di piattaforme logistiche territoriali nel senso previsto dalla Legge quadro in materia di Interporti che auspichiamo possa essere approvata quanto prima;
   la cabina di regia del sistema delle infrastrutture logistiche deve essere affidata alla regione Marche (visto anche il piano della logistica e delle infrastrutture approvato dal l'assemblea legislativa delle marche 2012) attraverso la piattaforma logistica delle Marche, già modello per altre regioni italiane, e potenziale volano di sviluppo socio-economico del territorio;
   la saldatura dei territori, il sostegno alla trasversalità dei flussi commerciali rappresenterebbero una importante opportunità di crescita per i distretti produttivi dell'Italia centrale in collegamento con il mercato balcanico, da un lato, e quello del Mediterraneo occidentale dall'altro –:
   se il Governo italiano consideri questo sistema infrastrutturale integrato tra quelli di rilevanza nazionale, dato il suo essere punto di scambio tra i flussi di merci europee ed internazionali ed i territori locali;
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto all'esigenza di Concentrarsi sulle politiche dei corridoi e rispetto al necessario quanto strategico inserimento del porto di Ancona nei corridoi europei di grande comunicazione in considerazione del fatto che la presenza del porto e la consistenza delle relazioni con la Grecia e l'area balcanica rendono Ancona un nodo centrale del sistema portuale nazionale. (4-01368)


   BARBANTI, SILVIA GIORDANO, MANTERO, D'UVA, LOMBARDI, COZZOLINO, LOREFICE, ALBERTI, NICOLA BIANCHI, CECCONI, GAGNARLI, ROSTELLATO, DE LORENZIS, MICILLO, RUOCCO, PESCO, RIZZETTO, PARENTELA, BUSINAROLO, AGOSTINELLI, CHIMIENTI, BARONI e MANNINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la SACAL, società che gestisce l'aeroporto di Lamezia Terme, ha chiuso per il secondo anno consecutivo il bilancio in perdita e vive una situazione di crisi ormai da troppo tempo;
   in questi anni la principale infrastruttura aeroportuale calabrese ha registrato un deficit di 2 milioni di euro nel 2011 e di un milione e settecentomila euro nel 2012, nonostante siano aumentati negli anni precedenti voli e passeggeri, i parcheggi siano stati tutti resi a pagamento e si siano moltiplicati gli spazi e i servizi ceduti sempre a pagamento;
   le perdite registrate sono dovute prevalentemente a contributi promessi per il cosiddetto progetto «Calabria in volo» dalla giunta regionale calabrese e impropriamente iscritti in bilancio e poi mai erogati; ai problemi di bilancio della società si è inoltre aggiunta negli ultimi due anni la fuga di importanti compagnie low cost che garantivano un servizio indispensabile per le rotte nazionali con Roma Fiumicino, come Easy Jet e Blu Express; nel 2012 Easy Jet ha soppresso il volo da e per Roma, e la stessa cosa ha fatto quest'anno anche la compagnia Blu Express;
   la regione Calabria, peraltro, aveva fatto lo scorso anno con Blu Express una campagna pubblicitaria, e la compagnia aerea, dopo aver aperto due voli giornalieri da e per Reggio Calabria da Roma e Milano, ha poi chiuso la rotta da Lamezia;
   da notizie di stampa si apprende che anche Ryanair sarebbe in procinto di essere sacrificata, per non meglio precisate ragioni economiche;
   tutto questo rischia di far recedere l'aeroporto di Lamezia dai lusinghieri risultati di traffico raggiunti (oltre 2 milioni di passeggeri l'anno), perché sarebbero cancellate importanti destinazioni italiane ed europee a basso costo; prima delle ultime elezioni, il Ministro pro tempore dello sviluppo economico Passera ha modificato la proposta predisposta dall'Enac (Ente nazionale per l'aviazione civile) nel febbraio 2012 nella quale Lamezia era tra i 13 aeroporti strategici, Reggio e Crotone tra i 18 aeroporti di servizio, declassando lo scalo lametino rispetto alla valutazione finale contenuta nello studio dell'Enac;
   lo scorso febbraio un nucleo interforze ha fatto visita a numerosi cantieri a rischio infiltrazione mafiosa tra cui quello riguardante il prolungamento della pista aeroportuale;
   si sono verificati casi in cui alcuni dipendenti sono risultati coinvolti in indagini di rilevanza penale, ultima delle quali quella relativa al furto dai bagagli nelle stive degli aerei;
   il comune di Lamezia ha chiesto a più riprese un confronto con la giunta regionale della Calabria per salvare l'aeroporto dalla situazione grave nella quale è stato trascinato e aprire un serio confronto istituzionale tra tutti gli azionisti, ciò anche al fine di garantire dal punto di vista tecnico ed operativo una gestione societaria efficacie e trasparente, ma ad oggi non ha avuto alcun riscontro; l'aeroporto di Lamezia, per la sua funzione strategica regionale e nazionale, non può essere condannato ad una continua spoliazione di voli né può continuare a vivere in assenza di una seria strategia di valorizzazione della più importante infrastruttura aeroportuale al servizio della intera regione; è necessario che ne sia garantita una gestione oculata ed efficiente, anche perseguendo, sul piano della responsabilità contabile e civile, coloro che hanno determinato l'attuale situazione finanziaria –:
   quali iniziative, in ambito della sua competenza, intenda intraprendere al fine di verificare:
    a) se corrispondano al vero le voci su un prossimo abbandono della compagnia low cost Ryanair e quali motivazioni vi sarebbero alla base di tale decisione;
    b) se sia noto quali siano le motivazioni che hanno portato le altre compagnie low cost ad abbandonare l'aeroporto di Lamezia e a trasferirsi presso altri scali;
   quali iniziative si intenda assumere per il rilancio dell'aeroporto di Lamezia, stante la sua valenza strategica per l'economia e la mobilità regionale e nazionale. (4-01381)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRILLO, LOREFICE, DI VITA, RIZZO, MARZANA, D'UVA, COZZOLINO, DI BENEDETTO, VILLAROSA, NUTI e MANNINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si parla sempre più spesso di allarme sociale ed in modo vieppiù crescente con rischio di atti violenti;
   quotidianamente, nel degrado economico e civico di Catania, sempre più pressante vi è una giusta richiesta di «sicurezza» da parte di cittadini impauriti e disillusi che hanno fame di certezze istituzionali, di maggiore presenza delle forze dell'ordine sul territorio catanese;
   in un territorio dove il lavoro latita, pur avendo un'enorme potenziale turistico da sfruttare per la sua storia millenaria e bellezze paesaggistiche uniche al mondo, come il nostro vulcano dichiarato recentemente patrimonio UNESCO;
   le organizzazioni sindacali di categoria da alcuni mesi stanno denunciando la grave situazione in cui versa la sicurezza dei cittadini a Catania e da tempo vi è un ristretto numero di pattuglie su strada per una realtà complessa ed articolata come quella di Catania;
   ad avviso dell'interpellante, il personale stanco e disincentivato per il costante supplire a carenze ataviche per un'opinabile distribuzione del personale stesso, in quanto troppi agenti sono distolti dal servizio su strada per favorire una burocrazia prevalentemente cartacea che nell'era dell'informatizzazione digitale globale sembra preistoria;
   i tagli e le limitazioni imposte dai vari Governi che si sono succeduti, incidono direttamente sull'operatività delle Forze di Polizia che garantiscono l'ordine e la sicurezza pubblica;
   vi è la necessità di realizzare in tempi brevi i nuovi locali della questura di Catania, poiché, attualmente, tutti gli uffici sono dislocati in varie parti della città con notevole dispendio di risorse umane ed economiche che potrebbero certamente essere più proficuamente utilizzate per la lotta alla criminalità;
   viceversa, la «spending review» – che non significa «taglio» della spesa tout court, ma allocazione ottimale delle risorse – ad avviso dell'interpellante riguarda solo i lavoratori, quegli stessi che hanno derogato ai contratti collettivi, ai riposi, alle ferie, anche espletando doppi turni;
   per i locali della Polizia di Stato, per altro nemmeno idonei, la riorganizzazione non è mai arrivata: nella sola città di Catania si continuano a spendere ogni anno 2.238.000 di euro, le strutture sono fatiscenti, 5 Commissariati Sezionali e 3 Commissariati distaccati sono nelle medesime condizioni strutturali e dei 50 operatori previsti per commissariato ci sono oggi solo 20 unità;
   il piano coordinato del territorio istituito nel 2003, che aveva un senso con le prerogative di allora – sei Volanti della Polizia e tre Gazzelle dei Carabinieri che si dividono il controllo del territorio a metà – crea ora confusione e uno squilibrio di unità che, specie nel fine settimana, non riescono a garantire interventi sufficienti e immediati;
   le pattuglie vincolate territorialmente non possono garantire gli stessi interventi ai richiedenti e la città ha bisogno di unità d'intervento a prescindere dalla zona o dalla competenza;
   nella pianta organica del Ministero, risalente al 1989, i circa 1200 operatori della questura di Catania erano distribuiti in solo tre edifici, mentre adesso l'organico di 1170 vede sprecate almeno 70 unità per la vigilanza degli edifici della stessa Questura spalmati sul tutto il territorio;
   attualmente, con gli organici depotenziati e con età anagrafica consistente, oltre che senza mezzi sufficienti, diventa sempre più difficile far fronte a tutte le esigenze operando in maniera autonoma –:
   se non intenda incrementare gli organici, prevedendo l'aumento di almeno 100 unità della polizia e dei carabinieri per far fronte ai problemi della sicurezza del territorio;
   se non intenda adottare iniziative finalizzate ad unificare le strutture, ad esempio utilizzando a tal fine la caserma «Sommaruga» – un'immensa area nel centro cittadino, che l'esercito sta dismettendo con una procedura che dovrebbe concretizzarsi entro il 2014 – struttura che per effetto della legge di stabilità potrebbe essere ceduta, a costo zero, per creare la città della sicurezza ed inglobare tutte le strutture della Polizia di Stato. (5-00703)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal luglio 2011 ad oggi nel comune di Senigallia ed in alcuni ad esso limitrofi si sono verificati diversi incendi dolosi che hanno provocato ingenti danni a numerose aziende agricole;
   il 29 luglio 2011 sono stati danneggiati due trattori dell'azienda Ronchini in località Grottino di Senigallia; il 2 ottobre 2011 un trattore dell'azienda Fattorini in località Madonna del piano di Corinaldo e due trattori dell'azienda Veschi in località Sant'Angelo di Senigallia; il 23 gennaio 2012 ben 700 balle di fieno dell'azienda Aloisi nel comune di Ripe e tre trattori e due macchine agricole dell'azienda Bettini in località Montignano di Senigallia; il 12 maggio 2013 due trattori dell'azienda Agostinelli in località Le Grazie di Senigallia; il 13 luglio 2013, circa 60 quintali di balle di fieno dell'azienda Bordi in località Montignano di Senigallia, due mietitrebbie dell'azienda Fenice in località San Silvestro di Senigallia, un trattore dell'azienda Romagnoli in località San Silvestro di Senigallia, un trattore dell'azienda Pandolfi in località Vaccarile di Ostra e tre trattori dell'azienda Rossini in località Sterpettine di Mondolfo;
   da quanto riportato dagli organi d'informazione locali «la pista dolosa, battuta dai militari della Compagnia di Senigallia che sta coordinando le indagini, è tutt'altro che trascurata, come reso noto dal Capitano della Compagnia Lorenzi Marinaccio» (Vivere Senigallia, 23 luglio 2013);
   forte è perciò la preoccupazione degli imprenditori agricoli e delle associazioni di categoria del settore (Confagricoltura, CIA e Copagri) per il ripetersi di questi inquietanti fenomeni senza che si sia ancora giunti all'individuazione dell'autore o degli autori dei fatti;
   di recente anche il prefetto di Ancona è stato interessato per gli evidenti risvolti di tutela dell'ordine pubblico e per il rischio che possa trattarsi di azioni riconducibili alla criminalità organizzata che cerca di insinuarsi in un tessuto sociale ed economico ancora sano come quello marchigiano;
   indagini così complesse richiedono però un notevole impegno di mezzi e di personale;
   nel periodo estivo le locali forze dell'ordine sono già chiamate a farsi carico della sicurezza di un territorio, come quello del senigalliese, che è méta di centinaia di migliaia di turisti;
   il potenziamento delle dotazioni umane e dei mezzi delle forze di sicurezza consentirebbe di dare risposte certe e in tempi brevi anche alle indagini investigative relative all'inquietante fenomeno degli incendi nelle aziende agricole –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente di tali fatti;
   quali misure il Ministro intenda adottare, alla luce dei fatti esposti in premessa, al fine di garantire la sicurezza delle aziende agricole e del loro patrimonio nel territorio in questione;
   se il Ministro intenda o meno sollecitare iniziative opportune del Commissario per il coordinamento delle iniziative anti-racket ed anti-usura. (4-01364)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 27 febbraio 1991 viene approvato il progetto di lottizzazione in località San Piero in Frassino, comune di Ortignano Raggiolo (AR), che prevede la realizzazione di un complesso di villette a schiera in via di Vanna;
   nei primi mesi dell'anno successivo hanno inizio i lavori: il cantiere è composto da un totale di 6 lotti, ove è prevista la realizzazione di 27 villette a schiera di tipo duplex;
   il 9 dicembre 1993 viene redatto un rapporto dalla polizia municipale di Ortignano Raggiolo in cui si denuncia il fatto che si sta costruendo case senza aver pagato la concessione edilizia (legge 28 gennaio 1977, n. 10);
   il sindaco di Ortignano Raggiolo emana un'ordinanza (n. 8 del 1994) in cui ingiunge la demolizione delle opere abusive di edilizia;
   il 5 novembre 2003 il comune entra in possesso in via gratuita del complesso e lo mette in asta giudiziaria con esito negativo;
   attualmente il cantiere è abbandonato ed accessibile a tutti e oltre agli edifici incompiuti sono presenti anche buche, materiali edili e cumuli di terra di scavo abbandonati;
   tale situazione risulta di grave disagio, sia per la sicurezza che a livello ambientale, per la popolazione limitrofa –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione e se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza a tutela della pubblica incolumità. (4-01371)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ogniqualvolta si abbatte un nubifragio di una certa consistenza sulla città di Monza e sulla Brianza si creano situazioni di grave pericolo in diverse parti della città, determinando criticità per la sicurezza e l'incolumità pubblica con sottopassi allagati, cantine e magazzini invasi dall'acqua, traffico e treni bloccati;
   i nubifragi creano ingenti danni anche al patrimonio arboreo del parco e dei giardini della Villa Reale;
   nel territorio cittadino vi sono infatti alcune zone a rischio esondazione, quelle a ridosso del fiume Lambro e del Canale Villoresi;
   al verificarsi di tali eventi calamitosi, ampie zone del centro storico, compresi i negozi, si ritrovano con locali completamente allagati e merce irrecuperabile –:
   se il Ministro non ritenga opportuno concordare con la Presidenza del Consiglio e la regione un piano di intervento straordinario per monitorare le zone a rischio di Lambro e Villoresi. (4-01373)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 16 luglio il quotidiano on line la Gazzetta del Sud riportava un articolo che in un momento di profonda crisi ha destato interesse e preoccupazione per il futuro dei dipendenti della provincia di Vibo Valentia, che da oltre tre mesi non percepiscono lo stipendio;
   le difficoltà economiche e finanziarie della provincia sembrerebbero dovute al mancato trasferimento di risorse dal Ministero dell'interno e dalla regione Calabria;
   nei giorni scorsi il prefetto di Vibo ha sollecitato il Ministero dell'interno per trasferire i fondi per poter saldare le mensilità arretrate;
   la notizia del mancato pagamento ha sollevato le immediate proteste dei sindacati di categoria e degli stessi lavoratori i quali hanno indetto delle giornate di sciopero al fine di sensibilizzare le istituzioni alla risoluzione della vertenza;
   questo nuovo caso rappresenta solo un'ultima fotografia, in ordine cronologico, di una drammatica realtà che affligge l'intera Calabria;
   la situazione occupazionale di questa regione ha assunto livelli preoccupanti, mettendo in risalto una grave crisi economica ed istituzionale;
   è assolutamente necessario intervenire per cercare di porre rimedio ad un preoccupante stato di disagio, il cui perdurare potrebbe portare nuovi nuclei familiari a rischio povertà –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per garantire i necessari finanziamenti alla provincia di Vibo Valentia, indispensabili per ridare stabilità e serenità ai tanti lavoratori del settore, da mesi senza stipendio e inseriti in un contesto di grave crisi economica. (4-01377)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Opera Nazionale dei Vigili del Fuoco ha subito dal 2008 ad oggi una graduale e progressiva riduzione delle entrate, condizione che ha determinato l'impossibilità di rinnovare, dal mese di marzo scorso, la polizza sanitaria stipulata in favore dei dipendenti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   tale condizione di tagli nel bilancio dell'ONA, introdotta dalla legge finanziaria 2008, non ha colpito gli sprechi ma, al contrario, ha danneggiato i vigili del fuoco che sono spesso vittime di gravi infortuni sul lavoro a fronte della particolare attività lavorativa che svolgono su tutto il territorio nazionale h24, 365 giorni l'anno;
   così è accaduto recentemente ad un vigile del fuoco del comando di Torino, vittima di un infortunio sul lavoro, coinvolto in una forte esplosione di polveri di alluminio mentre era intento a spegnere un incendio. Il risultato è stato quello di una grave ustione di 3o grado alla mano, all'avambraccio e al viso. Questo lavoratore si è dovuto pagare le cure mediche necessarie pur essendo in infortunio per fatti inerenti il servizio;
   a giudizio dell'odierno interrogante e della Confsal vigili del fuoco è inammissibile per un lavoratore del Corpo nazionale dei vigili del fuoco subire un grave infortunio nell'adempimento del proprio dovere ed essere abbandonato a sé stesso anticipando soldi di tasca propria per le cure mediche poiché per mancanza di risorse la polizza sanitaria non può essere rinnovata;
   gli eventi alluvionali che annualmente investono la nostra penisola, il cui dissesto idrogeologico è sotto gli occhi di tutti, necessiterebbero la presenza all'interno delle squadre d'intervento dei vigili del fuoco di un geologo. Professionista che possiede quel ricco bagaglio di informazioni, legate alla conoscenza delle dinamiche dei terreni, necessarie a poter assumere, con efficienza e prontezza, difficili decisioni operative;
   altra problematica legata alla tutela giuridica, assicurativa e sanitaria dei lavoratori del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è quella della mancata attivazione della procedura di gara europea per l'affidamento dei servizi assicurativi per la copertura dei rischi e tutela legale, inerenti alle responsabilità connesse allo svolgimento delle attività istituzionali del personale del Corpo;
   procedura già attivata dalla Polizia di Stato, come da nota circolare n. 557/RS/01/123/6692 del 3 luglio 2013, che ha costretto la Confsal vigili del fuoco a richiedere a più riprese ai vertici istituzionali e politici del Ministero dell'interno che analoga iniziativa venga attuata anche per il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   infatti l'ennesimo episodio occorso il mese scorso al comando di Napoli, dove un vigile del fuoco è stato raggiunto da un avviso di garanzia per omicidio colposo, rinnova la necessità improrogabile di attuare la copertura assicurativa e la tutela legale del personale dei vigili del fuoco durante lo svolgimento dell'attività di soccorso e nella conduzione dei mezzi di servizio ai quali nonostante la delicata attività che svolgono non viene assicurata la copertura legale sebbene adempiano al proprio dovere e chiamati a rispondere in prima persona per fatti inerenti il servizio senza quelle tutele legali necessarie per il lavoro specifico che svolgono dovendosi tutelare autonomamente e anticipando risorse di tasca propria;
   a giudizio dell'interrogante e della Confsal vigili del fuoco occorrerebbe attivarsi con ogni sollecitudine ad individuare le soluzione che i casi richiedono assicurando al personale vigilfuoco la necessaria copertura assicurativa comprensiva della tutela legale per fatti inerenti alle responsabilità connesse allo svolgimento delle attività istituzionali –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-01379)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata:


   COSCIA, ROCCHI, MALPEZZI, CAROCCI, GHIZZONI, ASCANI, BLAZINA, BONAFÈ, BOSSA, COCCIA, D'OTTAVIO, LA MARCA, MALISANI, MANZI, NARDUOLO, ORFINI, PES, PICCOLI NARDELLI, RACITI, RAMPI, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 13 luglio 2011 è stato adottato il decreto del direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – 4a serie speciale – concorsi n. 56 del 15 luglio 2011, con il quale veniva bandito il concorso per titoli ed esami per il reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado e per gli istituti educativi;
   tuttavia, la suddetta procedura concorsuale ha rilevato forti elementi di criticità: non è una coincidenza, infatti, se in diverse regioni gli uffici scolastici hanno dovuto affrontare ricorsi per presunte irregolarità che hanno portato a pronunce dei tribunali amministrativi regionali e, in un caso, dello stesso Consiglio di Stato, determinando l'annullamento di tutta o parte della procedura;
   tale è il caso della regione Molise dove, con sentenza del 7 dicembre 2012, il tribunale amministrativo regionale ha annullato le fasi concorsuali svolte per riconosciuti vizi nella formazione della commissione giudicante;
   ed ancora in Toscana dove, con sentenza del tribunale amministrativo regionale del 19 aprile 2013, sono state riconosciute le ragioni dei ricorrenti che adducevano irregolarità nella sostituzione di componenti della commissione giudicante, nonché vizi nella correzione delle prove scritte. L'effetto della sentenza, attualmente sospeso per l'accoglimento di istanza di sospensiva, produrrà l'annullamento della graduatoria di merito, nonché la revoca di tutti i contratti per dirigente scolastico già posti in essere;
   l'8 febbraio 2013 il tribunale amministrativo regionale della Campania ha stabilito la sospensione cautelare degli esami orali, intimando alla direzione scolastica regionale di bloccare le prove e, dunque, accogliendo le ragioni dei ricorrenti;
   identica sorte ha subito il concorso nella regione Abruzzo dove, l'11 luglio 2013, il tribunale amministrativo regionale ha decretato l'annullamento dell'elenco dei candidati ammessi agli orali;
   ancora più grave e clamorosa appare la situazione del concorso svoltosi nella regione Lombardia, dove, con sentenza n. 3747 dell'11 luglio 2013, il Consiglio di Stato ha rigettato l'appello promosso dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca avverso alla sentenza del tribunale amministrativo regionale della Lombardia, che aveva annullato il concorso svolto nella medesima regione per violazione del principio dell'anonimato, in conseguenza della ritenuta trasparenza delle buste utilizzate in sede di esame per contenere gli elaborati scritti; si è così determinata l'impossibilità, con grave danno per l'utenza, di poter ricoprire le numerose sedi vacanti con una dirigenza titolare e stabile;
   alla luce di quanto descritto, appare evidente il senso di incertezza e preoccupazione che il mondo della scuola sta vivendo a causa di procedure apparse costellate di errori probabilmente dovuti a qualche leggerezza o superficialità e spesso riconducibili a norme farraginose, che, più che garantire trasparenza e correttezza, sono riuscite a far lievitare il contenzioso ed a creare un grave vulnus che sta seriamente compromettendo la funzionalità di molte scuole, nonché il regolare avvio del prossimo anno scolastico;
   tali episodi appaiono preoccupanti per le conseguenze sia sul piano dei costi per la pubblica amministrazione che per la qualità ed efficienza dei servizi all'utenza, minacciate dall'aggravarsi del disagio di tante scuole (la percentuale di scuole senza dirigente scolastico varia, a seconda delle regioni, dal 25 per cento al 50 per cento) che con fatica cercano di realizzare un minimo di stabilità negli assetti di governo e vengono in tal modo spinte nella più totale incertezza, ulteriormente aggravata dall'impossibilità di garantire stabilità contando sulle figure dei collaboratori del dirigente scolastico, che, dall'anno scolastico 2011/2012, hanno visto fortemente ridotte le possibilità di ottenere esoneri o semiesoneri dall'insegnamento;
   le scuole, e con esse le comunità locali, le famiglie e gli studenti, hanno diritto ad un dirigente scolastico titolare stabile, presente ed efficace, nel pieno delle sue funzioni, perché solo la stabilità garantisce la definizione e l'attuazione di piani formativi di qualità, la verifica e valutazione dei risultati, il sostegno al lavoro dei docenti e, in definitiva, rende la scuola una comunità inclusiva ed aperta al territorio –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per predisporre con urgenza i necessari atti amministrativi e/o normativi che, in questa fase di contenziosi aperti, possano garantire il regolare avvio del prossimo anno scolastico con una dirigenza stabile e adeguatamente coadiuvata dall'attività dei vicari e dei collaboratori del dirigente. (3-00224)


   CENTEMERO e BALDELLI. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'istruzione e la formazione rappresentano ambiti di particolare importanza per ogni Paese, sia per il pieno e consapevole esercizio dei diritti di cittadinanza che per la valorizzazione del capitale umano. A questo scopo, tra i compiti dello Stato vi è quello di tutelare il diritto alla libertà di scelta educativa, diritto riconosciuto nelle Costituzioni e nelle legislazioni della gran parte degli Stati membri del Consiglio d'Europa, compreso il nostro Paese, l'Italia;
   tutto questo è stato chiaramente ribadito nella risoluzione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa n. 1904, F-67075 di Strasburgo, del 4 ottobre 2012, «Il diritto alla libertà di scelta educativa in Europa», la quale, dopo aver ribadito che «in un quadro giuridico nazionale appropriato, le scuole che non sono gestite dallo Stato (di seguito “scuole private”, indipendentemente dalla terminologia e dalle diversità specifiche nei diversi Paesi) possano favorire lo sviluppo di un'educazione di qualità e l'adeguamento dell'offerta formativa alla domanda delle famiglie» raccomanda agli Stati membri del Consiglio d'Europa:
    a) «6.1. di procedere rapidamente all'analisi richiesta per identificare le riforme necessarie a garantire in maniera effettiva il diritto alla libertà di scelta educativa;
    b) 6.2. di assicurare una messa in opera progressiva di queste riforme a ciascun livello di governo (Stato, regioni, enti locali) secondo le proprie competenze in materia, al fine di andare verso miglioramenti sistematici auspicabili in termini ragionevoli e tenendo conto delle implicazioni di disponibilità finanziaria»;
   il rapporto Education at a glance del 2010 evidenzia che nei Paesi Ocse i Governi, a seguito della crisi economica globale, stanno ridefinendo i loro impegni finanziari e l'istruzione è al centro di un rinnovato interesse. Education at a Glance del 2010 prende in esame la seguente questione: in che misura i genitori possono scegliere le scuole dei loro figli. Per quanto concerne la libertà di scelta delle famiglie, il rapporto mette in evidenzia che, oltre alle scuole pubbliche, i Paesi in genere hanno una varietà di istituzioni educative superiore all'Italia. Sono quattro dei cinque Paesi Ocse per i quali i dati sono disponibili, che consentono a scuole private che dipendono dal Governo e a scuole private indipendenti di fornire l'istruzione obbligatoria. La quota di scuole private che dipendono dal Governo supera il 10 per cento in sette Paesi. Tra i sistemi utilizzati per favorire la libertà di scelta vi sono incentivi fiscali come i voucher per la scolarizzazione, soprattutto per gli studenti economicamente svantaggiati, o sgravi fiscali a favore di genitori o famiglie e anche per i privati che danno finanziamenti alle scuole. Il rapporto Ocse mette in evidenza che i finanziamenti pubblici alle scuole dovrebbero essere effettivamente legati al numero di alunni, ossia il finanziamento dovrebbe seguire lo studente per rendere effettiva le libertà di scelta delle famiglie;
   la legge 10 marzo 2000, n. 62, in attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, ha sancito che il nostro è un sistema integrato di istruzione, che comprende scuole statali, scuole paritarie private e comunali, e ha sancito le condizioni per il riconoscimento della parità scolastica tra le scuole statali e le scuole non statali e della funzione pubblica svolta a pieno titolo da queste ultime. Nel sistema nazionale di istruzione, la realizzazione della parità scolastica rappresenta il riconoscimento della libertà di scelta da parte delle famiglie nell'educazione scolastica dei propri figli e dà attuazione a numerosi principi costituzionali;
   la Costituzione, infatti, sancisce all'articolo 3 l'uguaglianza dei cittadini e all'articolo 30 il dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. La Repubblica, inoltre, detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato (articolo 33), ossia senza oneri per la loro istituzione, come è chiarito dai dibattiti dell'Assemblea costituente, ma non per il funzionamento;
   il costante richiamo europeo al sostegno di tutti gli istituti pubblici deve far riflettere la nostra società su cosa si intenda per scuola pubblica e per sistema nazionale di istruzione integrato, che forniscono il loro servizio a tante famiglie sul territorio nazionale: in questo contesto, infatti, spesso l'aggettivo «pubblico» non indica ciò che è statale, ma ciò che nasce per il popolo, per tutti. Un servizio è pubblico quando è accessibile a tutti in modo libero, senza preclusione né economica, né sociale, rispetto ai potenziali fruitori;
   il modello europeo conferma la conclusione che la qualifica di «servizio pubblico» non deriva dalla qualifica del «soggetto gestore», bensì dall'intrinseca utilità del servizio stesso, i cui requisiti sono indicati e valutati dallo Stato che ha compiti di controllo del soggetto gestore (enti privati e pubblici) di tale servizio;
   questo principio favorisce nel resto d'Europa la libertà di scelta educativa, da parte delle famiglie, di un servizio educativo pubblico tra una pluralità di gestori accreditati;
   in questo contesto il diritto alla libertà di scelta educativa deve essere assolutamente tutelato, mentre attualmente appare fortemente contratto rispetto ad una situazione di emergenza finanziaria;
   la situazione delle scuole paritarie nel nostro Paese risulta essere particolarmente grave a causa di diversi fattori, tra cui le difficoltà di carattere economico che riguardano molte famiglie e la lentezza dei trasferimenti dei contributi statali e della maggioranza delle amministrazioni regionali e comunali, che generalmente concorrono al sostegno delle scuole paritarie gestite da enti no-profit;
   i circa 500 milioni di euro di finanziamento alle scuole paritarie sono una parte dei 40 miliardi di euro di spesa per la scuola pubblica e rappresentano una piccola parte, che, però, ha una fondamentale importanza, laddove il sistema delle scuole statali non riesce ad arrivare, in particolare sulla scuola dell'infanzia su cui è necessario tornare ad investire;
   le scuole paritarie contano 1.042.000 alunni, ovvero circa il 12 per cento dell'intera popolazione scolastica, e svolgono un ruolo eccellente in termini di servizi educativi;
   anche secondo quanto è emerso dalle recenti dichiarazioni del Ministro interrogato in occasione della presentazione delle linee programmatiche del proprio mandato alle Commissioni riunite istruzione pubblica, beni culturali del Senato della Repubblica e Cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati, occorre salvaguardare il carattere plurale del nostro sistema di istruzione mediante misure volte a tutelare la qualità e l'inclusività anche delle scuole pubbliche paritarie;
   è auspicabile che sia data la giusta attenzione all'indagine conoscitiva, richiesta dal gruppo parlamentare Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, in Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati, sul sistema scolastico italiano di istruzione e formazione integrato in Italia e in Europa (libertà di scelta, autonomia e qualità) riguardante un'analisi approfondita del sistema nazionale di istruzione e formazione integrato, come designato dalla legge n. 62 del 2000 in un confronto con i sistemi degli altri Stati membri dell'Unione europea;
   il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, all'articolo 2 («riduzione dei costi della politica»), dispone che le regioni riducano i costi collegati agli apparati politici;
   dette riduzioni dovevano essere decise dalle regioni entro il 23 dicembre 2012, ovvero entro il 7 giugno 2013, qualora occorressero modifiche statutarie;
   la disposizione prevede, inoltre, che l'80 per cento dei trasferimenti dovuti a ciascuna regione sia assegnabile ed erogabile solo a condizione che la medesima regione abbia attuato le suddette disposizioni di contenimento dei costi della politica. Sono esclusi dall'applicazione di questa sanzione soltanto gli stanziamenti destinati al servizio sanitario nazionale ed al trasporto pubblico locale;
   risulta che per tali motivi sarebbero stati accantonati circa 160 milioni di euro del fondo destinato ai trasferimenti alle regioni per il sostegno alle scuole paritarie (Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – capitolo di bilancio 1299);
   tale accantonamento riguarderebbe tutte le regioni, anche quelle che hanno effettuato le disposizioni di contenimento dei costi della politica (cioè la maggior parte);
   tale trasferimento non rappresenta un trasferimento effettivo alle regioni, bensì una mera partita di giro verso le quasi 14.000 scuole paritarie, che, come previsto dalla legge di stabilità per il 2013, sanno di poter contare su un contributo complessivo di 502 milioni di euro per il 2013 –:
   se il Governo, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritenga doveroso procedere con la massima urgenza all'erogazione delle risorse per il 2013, da destinare alle scuole paritarie, che risultano attualmente accantonate, e possa dare avvio a politiche di supporto ed implementazione del sistema nazionale integrato d'istruzione, come previsto dalle normative ed in linea con i Paesi dell'Unione europea, anche attraverso la stabilizzazione, per il prossimo triennio, dei finanziamenti previsti a sostegno delle scuole paritarie del nostro Paese. (3-00225)

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il comma 3, dell'articolo 26 (rubricato quale Disciplina dei lettori di scambio), della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (cd. «Riforma Gelmini») di là dalle intenzioni modifica radicalmente e in senso peggiorativo la disciplina legislativa sui lettori di madrelingua straniera;
   tale articolo della riforma Gelmini non solo è in palese contrasto con il diritto dell'Unione europea (in particolare con i principi di diritto comunitario enunciati dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee) ma, di fatto, ha finito per discriminare da un punto di vista sia economico sia giuridico la categoria dei lettori di madrelingua straniera alla quale è già stato riconosciuto con la legge 5 marzo 2004, n. 63 «un trattamento economico corrispondente a quello dei ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli»;
   un'interpretazione restrittiva della norma – così com’è stata applicata, in particolare, nell'università di Catania, nonché in altre quali Siena, Bergamo e del Salento – con delibera del 13 luglio 2012, ha causato una «revisione del trattamento economico degli ex lettori di madre lingua straniera, nonché rideterminazione della loro retribuzione, secondo le indicazioni dell'articolo 26 della legge 240/2010», vale a dire ha comportato una riduzione dello stipendio di circa il 45 per cento, oltreché un sostanziale arretramento di carriera e la cancellazione degli scatti di anzianità maturati;
   va considerato, altresì, che i lettori del capoluogo etneo che hanno adito il tribunale di Catania, nella persona del giudice del lavoro (per cui si veda la sentenza n. 517 del 3 febbraio 2010), hanno richiesto, in particolare, l'adeguamento retributivo e il pagamento delle differenze (in forza di una ricostruzione della carriera ab origine), estendendolo al riconoscimento dell'unitarietà del proprio rapporto di lavoro a far tempo dalla prima assunzione (articolo 28, del decreto del Presidente della Repubblica, 11 luglio 1980, n. 382), e quindi alla declaratoria di nullità del contratto come CEL (stipulato dall'anno accademico 1994-95), alla regolarizzazione della posizione previdenziale e ai danni subiti per il comportamento tenuto dall'università e dallo Stato. Detto ricorso – in attesa del risultato del processo di appello – oltre ad aver accolto il diritto dei ricorrenti «a percepire un trattamento retributivo pari al 100 per cento di quello previsto per i ricercatori confermati a tempo definito, compresi gli scatti di anzianità, con decorrenza dal 1o maggio 2004», ha nel medesimo tempo condannato l'Università di Catania «al pagamento delle consequenziali differenze retributive», alla «rivalutazione monetaria degli interessi» maturati, alla «regolarizzazione retributiva», nonché alla «rifusione delle spese di giudizio»;
   il caso dei lettori di madrelingua straniera – collaboratori ed esperti linguistici è stato ampiamente seguito e monitorato dalla stampa: in particolare giovi citare le dettagliate analisi apparse su www.ustation.it (M. Spalletta, 2 maggio 2013) e www.justice.it (L. Distefano, 13 giugno 2013);
   i lettori che versano in questa situazione e che attualmente hanno subito una forte riduzione dello stipendio – per quel che concerne le diverse facoltà dell'Università di Catania – ammontano a più di quaranta, ma numerosi altri casi, come sopra accennato, sono presenti in altre università (Siena, Bergamo e Lecce);
   non vi è alcuna certezza, per questa categoria di lavoratori, entro il quadro di una posizione contrattualmente stabile e definita, né di veder ripristinato lo stipendio attualmente decurtato, né tantomeno di poter recuperare le somme arretrate;
   a far tempo dagli anni Novanta sono state intraprese numerose azioni legali volte al riconoscimento di uno stato giuridico con la regolarizzazione della posizione assicurativa e pensionistica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale situazione;
   perché un'applicazione pedissequa e palesemente restrittiva – a giudizio dell'interrogante – del comma 3 dell'articolo 26 della riforma Gelmini abbia tuttavia coinvolto solo un numero limitato di università, causando un'evidente disparità di trattamento;
   quali provvedimenti e iniziative anche di carattere normativo il Ministro intenda adottare senza indugio affinché tale incresciosa situazione, che penalizza ingiustamente una categoria di lavoratori nelle misure e nelle proporzioni sopradescritte, possa essere sanata;
   se non si intenda in particolare riaprire un tavolo di confronto per evitare nuovi contenziosi e favorire il sereno svolgimento dell'attività didattica. (3-00220)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZAN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con la Riforma Gelmini sono stati riuniti tutti gli istituti d'arte ed i licei artistici sotto un'unica etichetta «Liceo Artistico»;
   il nuovo «Liceo Artistico» prevede un primo biennio orientativo ed un triennio con indirizzi diversi;
   nel triennio gli allievi seguono le lezioni progettazione e laboratorio in gruppi meno numerosi della normale classe, cioè in «classi articolate»;
   nei laboratori si svolgono attività con attrezzature, strumentazioni e macchinari specifici che hanno bisogno anche di spazi adeguati;
   per queste attività la normativa prevede gruppi di 12 o 15 studenti;
   per le classi dove sono presenti ragazzi con handicap grave la normativa specifica prevede un numero inferiori di allievi per classe;
   l'ufficio scolastico territoriale di Padova ha concesso una sola «classe articolata» delle dieci richieste dal dirigente del liceo artistico «Pietro Selvatico» di Padova;
   il 12 giugno 2013 molti docenti di indirizzo del liceo Selvatico sono stati definiti soprannumerari rispetto all'organico e pertanto sono stati costretti a fare domanda di trasferimento;
   a Padova le «classi articolate» non sono state assegnate disattendendo l'applicazione della legge;
   numerosi insegnanti e le organizzazioni sindacali locali hanno sollecitato l'ufficio scolastico territoriale per ottenere le classi articolate rispettando anche la normativa sui disabili;
   la normativa è stata applicata in modo diverso da regione a regione;
   in alcune province gli insegnanti con ore a disposizione sono stati mantenuti all'interno dell'organico permettendo di sdoppiare gruppi numerosi o di realizzare progetti in relazione al territorio o progetti di recupero e/o potenziamento per tutti gli allievi come previsto dal CCNL del comparto scuola;
   in attesa della revisione delle classi di concorso sono state definite con la Nota del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 2916 del 2013 alcuni insegnamenti definiti atipici che devono essere attribuiti a varie classi di concorso ma i criteri per tale attribuzione non sono chiari e quindi di fatto ogni dirigente scolastico può agire discrezionalmente nell'attribuzione di alcune cattedre, cosa che ha portato a vari contenziosi;
   la normativa non è chiara rispetto alle cattedre composte da una parte di organico al corso diurno e una parte al corso serale: vengono definite cattedre con completamento esterno e sono automatiche se si riferiscono alla tabella A delle graduatorie, mentre se appartengono alla tabella D (discipline di laboratorio) non risultano rispetto al sistema informativo SIDI usato per l'ambito scolastico –:
   cosa intenda fare il Ministro in merito alla situazione generale delle scuole di ambito artistico affinché la normativa in merito alla definizione degli organici, alla corretta attribuzione delle competenze per i singoli insegnamenti, alla definizione delle flessibilità e dell'autonomia scolastica, della confluenza nelle nuove classi di concorso (classi atipiche) sia definita correttamente e gestita equamente in tutti gli uffici scolastici provinciali competenti;
   cosa intende fare il Ministro rispetto alla situazione del liceo artistico Selvatico di Padova che necessita di un numero di insegnanti maggiore per poter svolgere tutte le attività previste dalla normativa, cosa attualmente messa in crisi dalle decisioni dell'Ufficio scolastico territoriale di Padova. (4-01378)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda dell'azienda Myrmex per quanto riguarda la sede di Catania continua a destare serie preoccupazioni circa il futuro dei lavoratori;
   la società multinazionale dopo un ulteriore incontro con le organizzazioni sindacali ha riconfermato quanto aveva già espresso in precedenza in quanto in attesa della pubblicazione del bando della regione Sicilia si riserva di aderire o meno per quanto riguarda i finanziamenti e da questo intende far dipendere le valutazioni circa il nuovo piano industriale;
   è evidente che queste risposte poco chiare circa il futuro del sito catanese destano molte preoccupazioni;
   negli ultimi quasi sei anni la società è venuta meno agli impegni assunti e siamo in assenza di una precisa strategia aziendale e di fatto ha visto completamente abbandonato il settore della ricerca;
   il prossimo 16 settembre 2013 scade la cosiddetta clausola di stabilità occupazionale prevista quando è stato siglato l'accordo al momento della cessione, nel 2011, dello stabilimento dalla Pfizer alla Myrmex;
   obiettivo dell'accordo era quello di salvare la produttività del sito e mantenere la mission di centro di ricerca tossicologico;
   ad oggi quindi si registra un duplice disimpegno sia di Pfizer che di Myrmex rispetto al futuro del sito catanese –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per convocare prima del 16 settembre 2013 un tavolo di confronto con le società e i soggetti istituzionali interessati al fine di giungere al pieno rispetto dell'accordo del 2011 e salvaguardare l'operatività della sede catanese della Myrmex con i conseguenti livelli occupazionali. (5-00707)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO e MAGORNO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi il presidente dell'Accademia del peperoncino, Enzo Monaco, ha lanciato l'allarme circa la pericolosità del peperoncino importato da altri Paesi, tra cui l'India;
   siamo in presenza di una concorrenza molto agguerrita sul mercato tant’è che il 70 per cento del peperoncino che giunge sulle nostre tavole proviene dalle importazioni;
   a questo bisogna aggiungere che nonostante il consumo ne sia in crescita la produzione italiana di peperoncino è in diminuzione;
   basti pensare che il prezzo della polvere di peperoncino indiano è di tre volte inferiore a quello della polvere di peperoncino calabrese, quella più rinomata, 4 euro contro 12;
   il peperoncino importato dall'India sarebbe poi trattato con il colorante Sudan rosso I, sostanza non autorizzata per uso alimentare in quanto ritenuta cancerogena e genotossica. Di tale sostanza è impossibile stabilirne una dose giornaliera tollerabile. Sudan rosso I può anche provocare reazioni di sensibilizzazione per via cutanea o per inalazione. L'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ha inoltre classificato il colorante nella categoria 3 delle sostanze cancerogene;
   il Sudan rosso I è un colorante considerato cancerogeno dall'Unione europea ed è stato rinvenuto in numerosi prodotti alimentari contenenti peperoncino in vendita in tutta l'Europa;
   l'Unione europea ha disposto anche nel giugno del 2003 misure d'emergenza per bloccare l'importazione di ulteriori partite di peperoncino contaminate dal Sudan rosso I e per disporre la distruzione dei prodotti già importati nell'Unione europea. Tuttavia risulta che il problema non sia stato risolto e che ancora oggi sono state trovate partite contaminate;
   anche la qualità è nettamente inferiore e la normativa vigente, non impone neppure di indicare sull'etichetta l'origine del peperoncino, ma solo il Paese in cui viene confezionato;
   questo comporta due ordini di problemi il primo per quanto attiene alla salute dei cittadini e il secondo in merito alla concorrenza sleale esercitata da Paesi stranieri a discapito delle produzioni di qualità del peperoncino italiano ed in particolare calabrese –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare per verificare quanto esposto in premessa, indagando circa la qualità e la pericolosità del peperoncino commercializzato proveniente dall'estero e quali misure a sostegno della qualità delle produzioni tipiche, come quella della Calabria che necessita di adeguata tutela a partire dalla tracciabilità nell'interesse dei consumatori e della loro salute. (5-00704)


   GALLINELLA, LUPO, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 20 giugno 2013 la Commissione europea ha «messo in mora» il nostro Paese chiedendo il recupero di multe a carico dei produttori di latte, che tra il 1995 e il 2009 hanno superato le quote loro assegnate, per un totale stimato in almeno 1,42 miliardi di euro, in gran parte ancora non riscossi;
   la messa in mora segnala l'avvio di una procedura di infrazione per l'Italia che, in caso di condanna, rischia una sanzione forfettaria minima di circa 8.854.000 euro, cui può aggiungersi una penalità di mora pari ad un minimo di circa 10.700 ed un massimo di circa 650.000 euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione della sentenza, a seconda della gravità dell'infrazione;
   il 17 luglio 2013, la Commissione europea ha dichiarato incompatibile con il mercato interno l'aiuto, sotto forma di pagamento differito, che l'Italia ha accordato ai produttori di latte – debitori verso lo Stato – per l'importo del prelievo sul latte che l'Italia ha versato all'Unione europea a loro nome nell'ambito di un aiuto approvato dalla decisione del Consiglio europeo 2003/530/CE;
   l'articolo 1 di detta decisione prevede che l'aiuto che la Repubblica italiana intende concedere ai produttori di latte – sostituendosi a questi nel pagamento degli importi (multe) dovuti alla Comunità a titolo di prelievo supplementare sul latte e sui prodotti lattiero caseari per il periodo 1995-1996 al 2001-2002 e consentendo agli stessi produttori di estinguere il loro debito mediante pagamenti differiti effettuati su vari anni senza interessi – è eccezionalmente considerato compatibile con il mercato comune a condizione che l'importo sia interamente rimborsato mediante rate annuali di uguale ammontare e che il periodo di rimborso non superi i quattordici anni a decorrere dal 1o gennaio 2004;
   la legge 26 febbraio 2011, n. 10 concede ai produttori di latte una proroga semestrale per il versamento di una delle rate. Secondo la CE i produttori che si sono avvalsi di questa proroga hanno beneficiato di un aiuto equivalente a un prestito senza interessi che nessuna norma in materia di concorrenza permette di giustificare;
   secondo quanto dichiarato dalla Commissione Unione europea il 17 luglio, l'Italia dovrà recuperare gli aiuti incompatibili maggiorati degli interessi dovuti, tuttavia, nella fase di recupero, gli aiuti conformi alle disposizioni del regolamento agricolo de minimis non saranno considerati come aiuti di Stato e non saranno pertanto recuperati;
   Guido Tampieri, direttore dell'AGEA, Agenzia per le erogazioni in Agricoltura, attraverso la quale vengono distribuiti i fondi che l'Unione europea destina all'agricoltura italiana e che gestisce, di fatto, l'intera partita delle quote latte in Italia, ha rassegnato le dimissioni alla fine di giugno segnalando condizioni rese precarie da colpevoli trascuratezze e da pregiudizievoli attenzioni;
   il Ministro De Girolamo ha annunciato l'imminente commissariamento dell'Agenzia –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione ai fatti espressi in premessa, come intenda rispondere ai rilievi fatti dalla Commissione europea al fine di scongiurare l'avvio di un ulteriore contenzioso con l'Ue e quali azioni urgenti intenda intraprendere per risolvere definitivamente l'annosa vicenda delle «quote latte» anche in considerazione dell'imminente cessazione del sistema di contingentamento produttivo prevista per il 2015. (5-00715)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LA MARCA e LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno migliaia di cittadini italiani residenti permanentemente all'estero, in Paesi non appartenenti all'Unione europea e con i quali non vige una convenzione bilaterale in materia di assistenza sanitaria o vige una convenzione parziale, rientrano in Italia per periodi di tempo che variano da alcune settimane ad alcuni mesi, e a volte sono costretti a ricorrere alle cure mediche urgenti nel nostro Paese;
   i cittadini italiani che trasferiscono (o hanno trasferito) la residenza in uno Stato con il quale non è in vigore alcuna convenzione con l'Italia – o è in vigore una convenzione parziale – perdono il diritto all'assistenza sanitaria da parte dello Stato italiano, sia in Italia che all'estero, all'atto della cancellazione dall'anagrafe comunale e della iscrizione all'AIRE, fatta eccezione per i lavoratori di diritto italiano in distacco, che mantengono il diritto all'assistenza sanitaria in Italia e all'estero; l'iscrizione all'AIRE (Anagrafe italiani residenti all'estero) o il diritto di voto in Italia, non aprono un diritto all'assistenza sanitaria in Italia;
   tuttavia ai sensi dell'articolo 2 del decreto interministeriale dei Ministri della sanità e del tesoro del 1o febbraio 1996, è prevista l'erogazione dell'assistenza sanitaria in Italia limitatamente alle prestazioni ospedaliere urgenti (pronto soccorso) per un periodo massimo di 90 giorni per i cittadini italiani residenti all'estero, temporaneamente in Italia, a patto che siano titolari di pensione italiana o che abbiano lo status di emigrato; per ottenere le prestazioni ospedaliere urgenti è necessario presentare un attestato rilasciato dal consolato competente che attesta lo stato di emigrato, in mancanza dell'attestato del consolato, può essere sottoscritta una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà in cui si dichiara, oltre al proprio stato di emigrato, che non si è in possesso di una copertura assicurativa pubblica o privata contro le malattie;
   tuttavia dall'assistenza gratuita per cure urgenti ospedaliere sono esclusi i cittadini italiani nati all'estero i quali se dovessero ricorrere a tali cure durante il loro soggiorno in Italia sarebbero tenuti al rimborso delle cure erogate; tale esclusione – sebbene non prevista esplicitamente nel decreto 1o febbraio 1996 – è indicata nel sito del Ministero della sanità, alla voce «Cittadini italiani residenti all'estero» dove lo stato di emigrato è definito come quello di «coloro che hanno acquisito la cittadinanza italiana sul territorio nazionale, nati in Italia»;
   è evidente l'incongruenza della normativa che garantisce le cure ospedaliere urgenti gratuite esclusivamente a cittadini italiani pensionati residenti all'estero che rientrano temporaneamente in Italia e inoltre a tutti coloro nati in Italia che sono emigrati all'estero e che ottengono l'attestato di «soggetto emigrato» dal consolato di riferimento, mentre le stesse cure sono invece corrisposte a pagamento, spesso molto oneroso, per tutti i cittadini italiani nati all'estero, ancorché, paradossalmente, figli di cittadini ai quali viene erogata l'assistenza gratuita –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda intraprendere, nel rispetto della Costituzione italiana che prevede l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e la tutela della salute quale diritto fondamentale, per eliminare un'iniqua disparità di trattamento nei confronti di cittadini italiani che risiedono all'estero, in Paesi non convenzionati con l'Italia e che rientrano per soggiorni temporanei nel nostre Paese ma, solo per il fatto di essere nati all'estero, di non essere titolari di pensione italiana o di non vedersi riconosciuta la qualifica di «emigrato» da parte del consolato di riferimento, sono costretti a pagare le cure urgenti ospedaliere, spesso molto onerose, nel caso in cui siano sprovvisti di assicurazione pubblica o privata. (5-00702)


   D'INCECCO, LENZI, GRASSI, BIONDELLI, CAPONE, IORI, SBROLLINI e MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei prossimi anni la sfida della sostenibilità economica (cioè dell'equilibrio tra risorse, servizi da erogare e spesa) del Sistema sanitario nazionale diventerà cruciale;
   è evidente l'esigenza da parte del Servizio sanitario nazionale di controllare le voci di spesa ottimizzando le risorse disponibili attraverso vari strumenti messi a disposizione dalla comunità scientifica, quali gli studi di valutazione economica, la cui applicazione consentirebbe una migliore allocazione delle risorse pubbliche;
   tra le voci che influiscono in maniera importante sulla spesa sanitaria nazionale, rientra l'infezione da HIV. Questa rappresenta una malattia infettiva a trasmissione sessuale cronica non eradicabile, con una forte ricaduta sociale;
   ad oggi i trattamenti disponibili per la cura dell'HIV permettono una sopravvivenza simile a quella della popolazione generale (Abaasa A M et al. BMC Health Services Research 2008). L'aumento significativo della sopravvivenza nella popolazione HIV va ad aggiungersi alla maggiore sopravvivenza associata alle normali patologie d'invecchiamento;
   l'incidenza della malattia è di 5,8 nuovi casi per 100.000 residenti anno e le nuove infezioni rilevate sono state pari a 3.839 nel 2011. Inoltre non è diffusa una politica di offerta attiva del test che viene proposto solo a popolazioni definite a rischio;
   il costo della terapia per i farmaci antiretrovirali per il trattamento dell'HIV è di 631 milioni di euro all'anno (Fonte: IMS Database anno 2012) con un incremento della spesa attorno all'1 per cento ogni anno;
   i farmaci antiretrovirali per il trattamento dell'HIV sono utilizzati nella pratica clinica in combinazioni variabili da tre a quattro farmaci che vanno a formare il regime terapeutico di trattamento che deve essere somministrato cronicamente per tutta la durata della vita del paziente;
   i «Regimi semplificati in un'unica compressa giornaliera» denominati dalle linee guida scientifiche (Società italiana malattie infettive) Single Tablet Regimen (STR) rappresentano i regimi di massima semplificazione terapeutica per il trattamento dell'infezione da HIV e consistono nell'unificazione dell'intera terapia giornaliera in un'unica compressa da assumere una sola volta al giorno;
   dall'esperienza di utilizzo, sembrerebbe che i Single Tablet Regimen (STR) siano associati ad un miglioramento dell'aderenza alla terapia da parte del paziente, ad un miglior controllo virologico ed ad una qualità di vita superiore rispetto ai regimi terapeutici costituiti da più compresse. La migliorata aderenza alla terapia e l'ottimale controllo della viremia permettono di ridurre i fallimenti terapeutici causati dall'insorgenza di resistenze e, conseguentemente, il rischio di progressione della malattia, con evidenti ricadute positive sul Sistema sanitario nazionale in termini di risparmi per ulteriori interventi clinici;
   i regimi STR hanno dimostrato di essere in grado di ridurre il numero delle ospedalizzazioni dei pazienti HIV con conseguente riduzione dei costi complessivi della gestione del paziente HIV (vedi studio COMPACT, pubblicazione P. Sax 2012);
   i regimi STR oggi disponibili hanno prezzi significativamente inferiori (dal 14 per cento al 34 per cento in meno) rispetto ai regimi terapeutici multi compressa più utilizzati. Il risparmio medio annuale per paziente trattato si aggira fra i 1150 euro e i 3800 euro. Il Percorso diagnostico terapeutico (PDT) è uno strumento di governo dell'appropriatezza delle prestazioni e rappresenta uno strumento operativo a livello regionale/ospedaliero. Il Percorso diagnostico terapeutico tiene conto delle linee guida scientifiche e delle analisi farmaco economiche andando a definire indirizzi di appropriatezza e sostenibilità della patologia. Per poter garantire l'efficacia concreta di questi strumenti, le indicazioni dei Percorso diagnostico terapeutico dovrebbero essere misurabili e dovrebbero rientrare fra le performance delle direzioni generali/sanitarie –:
   se il Ministro ritiene opportuno aumentare l'attenzione nei confronti delle persone affette da HIV/AIDS anche attraverso una comunicazione maggiore volta a promuovere i test diagnostici;
   se vi sia la possibilità di ottenere evidenze di applicazione degli strumenti messi in campo dalle diverse realtà regionali (PDT) per ottimizzare secondo sostenibilità e criteri di costo-efficacia le terapie per l'HIV;
   se il Ministro intenda verificare ed analizzare i costi dei primi dieci regimi utilizzati al fine di poter aggiornare e applicare, secondo criteri di sostenibilità gli strumenti dei Percorso diagnostico terapeutico;
   in quale misura vengano impiegati i regimi STR che, sulla base di quanto emerge dalle linee guida scientifiche della Società italiana malattie infettive e dalle pubblicazioni farmacoeconomiche disponibili, dimostrano una chiara opportunità di risparmio per il Servizio sanitario nazionale grazie alla riduzione dei fallimenti terapeutici associata alla migliore aderenza dei pazienti alla terapia. (5-00714)

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione della legge n. 189 dell'8 novembre 2012 articolo 14 conversione in legge del decreto n. 158 del 13 settembre 2012 si è disposta la soppressione e la conseguente liquidazione del Consorzio anagrafi animali (COANAN Scarl), trasferendo le sue funzioni al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e al Ministero della salute secondo le rispettive competenze;
   il consorzio negli anni ha rappresentato uno strumento essenziale per la tracciabilità delle carni, garantendo al consumatore che l'intero processo, a partire dalla produzione degli alimenti destinati agli animali sino alla distribuzione sulle nostre tavole dei prodotti di origine animale, avvenisse nel più rigoroso rispetto delle leggi;
   il suddetto consorzio per svolgere nel tempo un compito così particolarmente importante e delicato si è avvalso di personale qualificato assunto a tempo indeterminato;
   diversamente da quanto stabilito per altri enti o società pubbliche che sono state sciolte o accorpate e che hanno previsto la serena allocazione del personale occupato, nel caso in esame i dipendenti sono stati licenziati e non è stata ancora applicata alcuna decisione in merito alla salvaguardia dei loro posti di lavoro;
   a tutt'oggi si è creata una situazione di palese disparità di trattamento rispetto a tutte le analoghe situazioni verificatesi nell'ambito della pubblica amministrazione;
   il personale dipendente a tempo indeterminato di COANAN è stato assunto in quanto la società consortile era riconosciuta per legge quale ente strumentale dei Ministeri della salute e delle politiche agricole alimentari e forestali;
   è assolutamente necessario garantire continuità all'attività lavorativa svolta dal personale impegnato nella delicata opera di tracciabilità e ricerca e della sicurezza delle carni e dei prodotti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intendano adottare per assicurare il mantenimento dei livelli occupazionali e conseguentemente dare stabilità e serenità ai lavoratori del consorzio e alle loro famiglie. (4-01376)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   lo stabilimento Solvay è sorto a Rosignano nel 1941. Si tratta di una multinazionale belga che estrae salgemma dai giacimenti di Volterra e della Val di Cecina. Produce sale, cloro, e derivati;
   oltre alla produzione elettrica, a partire dagli ultimi 20 anni, la Solvay ha sempre prodotto carbonato di sodio, bicarbonato di sodio, cloro, soda caustica, clorometani e acqua ossigenata. I risultati sono stati un valore aggiunto modesto sul territorio e un costo enorme in termini ambientali: un visibile degrado del mare, enormi consumi di acqua e l'estrazione di salgemma nella Val di Cecina fino alle saline di Volterra;
   sia il precedente Governo Berlusconi che quello Monti non hanno mai risposto, nonostante le numerose sollecitazioni, all'interrogazione n. 4-08856 nella quale si sottolineava che: «nel mare sono presenti almeno 400 tonnellate di mercurio, come verbalizzato dalla conferenza di servizi nel luglio 2009, dato confermato anche dall'Arpa Toscana. Anche il Ministero del ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato coinvolto grazie all'Osservatorio istituito per verificare se Solvay rispettasse l'accordo di programma del 2003, che prevedeva alcune misure di ambientalizzazione: l'arresto dell'elettrolisi del mercurio, micidiale in quanto produce cloro e soda caustica; la riduzione degli scarichi solidi bianchi fino a 60 mila tonnellate l'anno». Nella quale veniva inoltre sottolineato come in questo angolo della Toscana è possibile tuffarsi in un mare inquinato dal mercurio. La gente accorre a frotte in un area non balneabile: i cartelli stradali indicano proprio «spiagge bianche», da Rosignano Marittima a Vado, nonostante l'acqua nasconda insidie letali. Tuttavia, nel raggio di chilometri non s'intravede un solo divieto. Anzi, con denaro pubblico è sorto un lido balneare e l'Asl organizza addirittura la balneazione per gruppi di persone disabili;
   inoltre, riguardo al limite della riduzione degli scarichi solidi a 60 mila tonnellate, esso non è stato rispettato alla scadenza del 31 dicembre 2007; alla Solvay sono stati elargiti 30 milioni di euro in denaro pubblico per bonifiche inesistenti;
   i dati sulla salute della popolazione locale sono preoccupanti: un esubero di tumori indica chiaramente quanto la situazione sia drammatica;
   in data 4 giugno 2013 il quotidiano Il fattoquotidiano titolava: «Solvay sotto inchiesta per scarichi abusivi» e descriveva come «la paura di una Ilva toscana. Indagati la direttrice e 4 ingegneri. Per i pm c'erano punti di rilascio sconosciuti all'Arpat e i fanghi erano annacquati per diluire la concentrazione. La società chiede di patteggiare, ma la Procura pone le condizioni: risanamento e fine delle violazioni. Se nel 2015 non sarà tutto ok, potrebbero scattare i sequestri» sempre nello stesso articolo si precisa come «la Solvay a Rosignano, finita sotto inchiesta per gli scarichi abusivi nel mare toscano, sembra chiamata ad agire subito. In caso contrario entro due anni si arriverebbe ai sequestri. L'indagine della Procura di Livorno si è conclusa da poche settimane, come ha scritto Il Tirreno. Nel registro degli indagati sono finiti 5 nomi: quello di Michèle Huart, direttrice dello stabilimento, e di altri quattro ingegneri della società. Due i puntelli dell'inchiesta: 4 scarichi rimasti sconosciuti all'Arpat e una procedura per annacquare i fanghi (e aggirare i risultati delle analisi)»;
   nello stesso articolo si afferma: «Ma in questo caso si va un passo oltre. C’è infatti l'ammissione da parte della stessa azienda che non tutto è stato effettuato seguendo le regole: la Solvay ha chiesto il patteggiamento che i magistrati hanno però posto a condizione di effettuare un piano di risanamento e di messa in regola che potrebbe costare fino a 10 milioni di euro. Ma è fissato già anche un limite di tempo: nel 2015 sarà effettuato un altro “tagliando” da parte degli esperti e se le cose non dovessero finalmente andare nel verso giusto si potrebbe arrivare ai sigilli del tribunale»;
   l'Agenzia ambientale Onu ha classificato questo tratto costiero come uno dei 15 più inquinanti d'Italia: «Secondo le stime per difetto del Cnr di Pisa – aggiunge – nella sabbia bianca la Solvay ha scaricato 337 tonnellate di mercurio ed altri veleni: arsenico, cadmio, nickel, piombo, zinco, dicloroetano. L'elenco completo è stato pubblicato sul sito dell'Agenzia europea dell'Ambiente. Più precisamente a Rosignano, secondo Legambiente, sono state 500 tonnellate di mercurio, presenti fino a 14 chilometri dalla battigia»;
   la Solvay, gettando in mare gli scarti di fabbrica, ha reso la zona di Rosignano-Vada in Toscana un luogo ai limiti della fantascienza. Il mare azzurro turchese e la spiaggia bianca candida richiamano un paesaggio tropicale e una visione paradisiaca che però nascondono un inferno malato: opera non di una divinità ma dell'uomo. È un paradiso artificiale che non può portare alcun beneficio a coloro che lo frequentano. La natura è stata infatti sottomessa dal profitto economico, che l'ha spremuta fino all'ultima goccia. Rosignano Solvay, cittadina in provincia di Livorno, porta il marchio di fabbrica nel nome (Solvay è un gruppo belga operante nel settore chimico, farmaceutico e delle materie plastiche);
   secondo le testimonianze di chi vive in questa realtà, la gente sempre più spesso muore di cancro. I cartelli con scritto «Divieto di balneazione» sono stati rimossi di recente dai gestori degli stabilimenti balneari. La spiaggia e il mare – che sono stati insigniti addirittura di bandiera blu – attraggono numerosi turisti durante tutte le stagioni;
   nel 2003 c’è stata una svolta nell'annosa questione degli scarichi a mare della Solvay e dei suoi enormi consumi di acqua dolce. Veniva stipulato un «Accordo di programma» tra istituzioni locali e multinazionale belga con tre obiettivi da raggiungere processualmente: a) ridurre del 70 per cento gli scarichi a mare; b) chiudere la vecchia elettrolisi a mercurio; c) diminuire i consumi di acqua dolce di 4 milioni di metri cubi l'anno;
   il primo obiettivo veniva ottenuto, in parte, con un investimento pubblico-privato nella costruzione del depuratore Aretusa che avrebbe dovuto fornire a Solvay 4 milioni di acqua dai depuratori civili di Rosignano e Cecina, a fronte del minore emungimento dalle falde – ad opera di Solvay – di 2 milioni di metri cubi l'anno di acqua di pregio. Il secondo obiettivo si è raggiunto con la chiusura dell'elettrolisi nel dicembre 2007. Tutto il mercurio emesso fino a quel momento però è ancora in mare e nell'ambiente. D'altra parte, l'Accordo di programma non prevedeva la bonifica del sito inquinato;
   la Solvay di Rosignano ha contratto un debito ecologico-sociale, per il gravissimo impatto delle estrazioni di salgemma dalla Val di Cecina dal 1918 ad oggi, consistente in enormi consumi d'acqua, sparizioni di ancor più rilevanti ed incalcolabili quantitativi d'acqua nel sottosuolo (Studi del geologo del CNR Sebastiano Vittorini), distruzione dell'ecosistema del fiume Cecina, scadimento della qualità della risorsa acqua a fini potabili, estese subsidenze anche fuori dalle concessioni minerarie, formazione di decine di laghetti salati nei camini di collasso, (studi professor Mario Pinna ed altri);
   la Solvay ha sprecato – a causa dell'arretratezza dei suoi impianti di Rosignano – ben un terzo del sale estratto gettandolo in mare dopo la parziale utilizzazione (Dichiarazione PRTR Solvay resa al Ministero dell'ambiente 29 aprile 2011 per il 2010);
   la Solvay di Rosignano ha abusato della risorsa acqua – almeno da quando questa è convenzionalmente (non materialmente tutt'oggi) misurata dalle istituzioni. L'abuso è quantificato dallo Studio Cheli Luzzati (edizioni Plus 2010) dell'università di Pisa nel 48 per cento dell'intera risorsa acqua della sola Val di Cecina, senza contare la Val di Fine e i pozzi della pianura costiera;
   la Solvay di Rosignano ha gestito in maniera irresponsabile, tra il 1968 e il 1973 (in altri periodi, altri soggetti), la miniera di salgemma Doccini-Canova (comune di Pomarance) reiniettando salamoia esausta carica di mercurio nella miniera, che per questo è stata dichiarata nel 1999 «sito da bonificare con urgenza». La bonifica non è stata ad oggi neanche iniziata perché le istituzioni non «riescono» ad individuare i responsabili, e non hanno attivato il potere sostitutivo di bonifica (Si veda «Progetto mercurio 2000» e Progetti previsti dal «Cecina Bacino Pilota» per la bonifica e la rinaturalizzazione del fiume, 2003);
   la Solvay di Rosignano ha emesso nel tempo quantità impressionanti di sostanze tossiche in aria e in mare, causando patologie ambientali ed umane, solo parzialmente indagate finora, come l’«Indagine regionale sugli effetti del CVM sulla popolazione di Rosignano Solvay» del 1978, gli studi di vari soggetti pubblici sugli effetti del mercurio in mare e in aria, i verbali dell'osservatorio sul rispetto dell'accordo di programma del 31 luglio 2003, l'istruttoria del processo sull'amianto recentemente svoltosi davanti al tribunale di Cecina;
   la Solvay di Rosignano ha contratto un debito ecologico-sociale, quantificabile dagli organismi internazionali di controllo del rispetto del Protocollo di Montréal del 1987 sulla messa al bando delle sostanze nocive alla fasci di ozono, proseguendo la produzione e il commercio – sotto forme intersocietarie – di sostanze nocive alla fascia di ozono – come il tetracloruro di carbonio ed altre – vietate dalla legge n. 549 del 1993 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra esposto e se non reputino necessario intervenire con la necessaria urgenza al fine di sanzionare e bloccare i danni all'ambiente e alle persone prodotti da tali pratiche;
   se non si ritenga necessario, attraverso un accordo con la regione Toscana realizzare un'indagine epidemiologica, a cura di un organismo pubblico autorevole e a carico della stessa Solvay, per stabilire gli eventuali rapporti tra le patologie e i decessi avvenuti sul territorio e le emissioni inquinanti di Solvay, con la correlazione tra inquinanti conosciuti e patologie, sulla falsariga dell'Indagine del CNR Pisa sugli effetti della geotermia (Sito agenzia regionale sanità);
   se non reputino opportuno, per quanto di competenza, che la popolazione debba essere avvisata immediatamente dello scarico in mare di tali sostanze, prevedendo inoltre che le spiagge bianche vengano interdette alla frequentazione per almeno 1 chilometro a nord e a 2 chilometri a sud dalla foce dello scarico;
   se non reputino opportuno che lo scarico a mare debba essere chiuso completamente entro non oltre 4 anni, anche se depurato dagli inquinanti di cui sopra, (e che gli scarichi solidi essere riutilizzati, o nell'impossibilità, smaltiti in discarica autorizzata al ricevimento di tali rifiuti);
   se non reputino opportuno l'obbligo per lo stabilimento di dotarsi di un impianto a circuito chiuso dell'acqua, con la possibilità di utilizzare solo l'acqua in entrata in mare;
   se non si ritenga necessario attivarsi per arrivare al rimborso dei lavoratori posti in Cassa integrazione (lavoratori posti in cassa integrazione da dicembre 2011 a maggio 2012) nel caso fosse riconosciuta la strumentalità dell'iniziativa Solvay;
   se non reputino opportuno chiudere subito gli scarichi a mare della Solvay e se non si ritenga necessario attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché sia previsto, nell'accordo di programma che stanno definendo presso la regione Toscana, un dissalatore a carico di Solvay, da cui la multinazionale ricavi acqua e sale lasciando l'acqua dolce alla popolazione;
   se non reputino opportuno spostare il serbatoio di etilene ad alto rischio dall'area archeologica di Vada prevedendo per lo stesso una diversa collocazione.
(2-00156) «Zaccagnini».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GINEFRA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Officine meccaniche è stata un'azienda italiana specializzata nella produzione di veicoli, particolarmente di autocarri e che attualmente OM è uno dei marchi usati nella produzione di carrelli elevatori dal Kion Group;
   la OM aveva, dagli anni trenta, una buona produzione nel settore che riguardava produzione e vendita di attrezzature per il sollevamento merci, in particolare carrelli elevatori. Oggi l'azienda produce ancora carrelli elevatori frontali (elettrici, diesel, gas liquido) e carrelli da magazzino (transpallet, stoccatori, retrattili, commissionatori orizzontali e verticali, trilaterali e trattorini) con marchio OM di colore giallo e nero. Gli stabilimenti sono situati a Lainate (sede), Bari e Luzzara (RE). La proprietà è del Kion Group;
   nel maggio 2011 si svolgeva un incontro nello stabilimento barese fra i vertici Kion e Doosan (concorrente coreano costruttore di carrelli elevatori). Dallo stesso tutti si sarebbero aspettata una vendita alla medesima Doosan che invece qualche settimana dopo comunicava la chiusura negativa della trattativa;
   il 15 luglio 2011 si insediava la task force presso la regione Puglia e il 2 agosto si svolgeva il primo incontro al Ministero dello sviluppo economico nel quale veniva raggiunta un'intesa di massima nella quale si cominciava a parlare di un percorso di reindustrializzazione dello stabilimento barese. Fra i punti sottoscritti si definivano i paletti alla concorrenza, l'agenzia di scouting (SOFIT) e il raccordo delle produzioni. La SOFIT aveva già curato la reindustrializzazione del sito di Scandicci della Electrolux;
   lo scouting portava all'individuazione di una società che produceva pannelli fotovoltaici; dopo qualche giorno il tutto subiva una brusca battuta d'arresto, nel vero senso della parola;
   nell'ottobre 2011 cominciavano così le prime visite in stabilimento. Sembravano delinearsi due cordate e tra queste mostrava interesse l'imprenditore Marco Saltalamacchia;
   nel successivo mese di dicembre veniva presentato al Ministero dello sviluppo economico il progetto di Saltalamacchia, un progetto che prevedeva la realizzazione di taxi ibridi per il mercato londinese. Questa proposta generava grande soddisfazione della regione Puglia;
   qualche settimana dopo, a gennaio 2012, avevano inizio gli incontri per la costituzione della cordata della nuova società alla quale sembrava prendere parte Renzo Landi. Con comunicato sindacale veniva prospettato il passaggio dei lavoratori in una New co. senza soluzione di continuità;
   a fine febbraio 2012 saltava tutto. Ufficialmente tale stop veniva motivato con un passo indietro di Renzo Landi a seguito di una non meglio precisata posizione poco chiara della Kion come riferiva il giornalista Vito Fatiguso sul Corriere del Mezzogiorno;
   nel marzo 2012 i lavoratori venivano messi in CIGO e si tornava in regione Puglia;
   ad aprile veniva prospettato l'interessamento del gruppo Calvi, ma tale ipotesi sfumava nello spazio di pochi giorni;
   nei successivi mesi di maggio-giugno 2012 si tentava un contatto con Pininfarina, ma anche in questo caso Saltalamacchia comunicava il fallimento della trattativa;
   riprendevano così gli incontri in Confindustria per concordare una somma da destinare ai lavoratori come buona uscita, ma questi ultimi votavano per il piano sociale e naturalmente per la CIGS per chiusura e cessazione;
   nel mese di luglio tale accordo veniva ratificato a Roma presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   tra settembre e ottobre 2012 si manifestava l'interesse della Qbell. I lavoratori venivano informati di un'ipotesi di accordo che avrebbe previsto l'assorbimento solo di un centinaio di unità. Per questo motivo l'ipotesi veniva scartata anche a fronte del fatto che la Qbell aveva già iniziato ad operare nell'ex sito del Gruppo Miroglio a Laterza;
   il 16 gennaio 2013, presso il Ministero dello sviluppo economico, veniva sottoscritta un'ipotesi di accordo con Frazer Nash. Cinque pagine fitte di impegni che, dopo aver rimarcato l'alta specializzazione e professionalità dei lavoratori dello stabilimento barese, prevedevano uno start up spalmato su 5 anni, in cui figuravano, per linee generali, unità a produrre, dinamiche occupazionali, base contrattuale eccetera. L'orizzonte temporale stabilito per il passaggio veniva indicato nel mese di aprile;
   a fronte di tale ipotesi, dopo una settimana, i lavoratori si esprimevano, presso il comune di Bari, all'unanimità sull'ipotesi di accordo con la Frazer Nash;
   a fine mese si svolgeva un nuovo incontro in Confindustria. I lavoratori venivano informati che la Kion non era disposta a cedere i macchinari voluti da Frazer Nash, nonostante l'impegno iniziale;
   si ipotizzava di impegnare 2,3 milioni di euro del tesoretto dei lavoratori per assicurare la copertura e in più le organizzazioni sindacali si accordavano per far richiamare i lavoratori in fabbrica al fine di completare e svuotare la produzione;
   questo avveniva puntualmente ma, dopo qualche, giorno la Frazer comunicava di volersi «sfilare» dall'accordo sottoscritto;
   a nulla è valso il tentativo del Ministero dello sviluppo economico e della regione Puglia, anche attraverso un interessamento dell'ambasciata britannica, di far rientrare la Frazer da tale decisione;
   nelle ultime settimane la Kion ha provato a forzare i presidi dei lavoratori per entrare nello stabilimento barese e svuotare i capannoni e il tutto è proseguito anche dopo l'ennesimo incontro presso il Ministero dello sviluppo economico dove è stato riattivato il tavolo per provare a verificare nuove proposte;
   il 30 giugno 2013 è scaduta la Cassa integrazione ed esiste un impegno a riconfermarla che però, sino ad oggi, non è stato ancora onorato da parte del Ministero competente;
   il 30 luglio 2013 è stato convocato un nuovo tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico –:
   quali iniziative intendano assumere per porre rimedio ad una vertenza che in alcuni suoi aspetti si è rivelata drammaticamente grottesca;
   quali iniziative intendano porre in essere nei confronti della Frazer Nash per essere venuta meno ad un accordo stipulato con tutte le parti presso il Ministero dello sviluppo economico;
   quali interventi promuovere per far desistere Kion da inutili forzature nelle more che si manifestino eventuali soggetti interessati al subentro nello stabilimento barese;
   quali i tempi per una repentina conferma degli ammortizzatori sociali in fase di sottoscrizione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. (5-00709)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PINNA, VALLASCAS, NICOLA BIANCHI, CORDA, SPESSOTTO, CARINELLI, COLONNESE, NESCI, FRACCARO, DIENI, COZZOLINO, DALL'OSSO e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro per gli affari europei, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Carbosulcis SpA società della regine autonoma della Sardegna, è titolare della concessione mineraria «Monte Sinni» per la coltivazione del giacimento carbonifero del Sulcis. L'attività mineraria legata all'estrazione del carbone di questa zona della Sardegna ha origini lontane nel tempo e la Carbosulcis rappresenta ad oggi l'unica realtà italiana nella coltivazione del carbone. Tale attività di estrazione è diventata parte integrante del tessuto sociale del territorio, mutando nel tempo alla continua ricerca dell'innovazione nella sicurezza e nelle tecnologie volte a ridurre al minimo l'impatto ambientale;
   tuttavia, il 20 novembre 2012 la Commissione europea ha avviato, in base all'articolo 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato, due indagini approfondite e distinte riguardanti misure di sostegno pubblico nel territorio sardo del Sulcis Iglesiente. L'indagine inerente la Carbosulcis, SA.20867, evidenzia le perplessità da parte della Commissione europea in merito alla conformità delle norme in materia di aiuti con le misure a sostegno delle società della regione Sardegna. Infatti, tra il 1998 e il 2010 Carbosulcis spa ha ricevuto almeno 405 milioni di euro di sostegno pubblico sotto forma di aiuti all'investimento e al funzionamento nonché un sostegno in principio destinato ad obiettivi di formazione, ricerca e sviluppo e protezione ambientale. Tutte le misure sovraesposte sono state concesse senza notifica preliminare alla Commissione e non è stato dimostrato che l'aiuto fosse lo strumento più adeguato, né che fosse necessario e proporzionale per la realizzare la sua finalità;
   nel concreto, le attività della miniera si reggono economicamente attraverso un continuo afflusso di finanziamento pubblico. Il 27 marzo 2013 il consiglio regionale ha dato il via libera allo stanziamento di 10 milioni di euro di residui per le attività di messa in sicurezza e custodia della miniera di Nuraxi Figus, nonostante le risorse indirizzate alla Carbosulcis spa siano bloccate a seguito dell'apertura della suddetta indagine;
   la crisi interessa le zone del sud ovest sardo ha indubbiamente un'origine nelle concomitanti difficoltà delle principali aziende industriali che hanno caratterizzato e influenzato lo sviluppo economico dell'area. Tra le principali conseguenze di tale grave situazione economica vi è certamente la disoccupazione, generata sia dalla chiusura di attività industriali sia dal mancato insediamento di nuove attività. Secondo i dati Istat nel 2012 i disoccupati sardi superano le 126 mila unità, con un tasso di disoccupazione pari al 18,5 per cento, rispetto al 12,8 per cento nazionale, e i dati relativi alla disoccupazione giovanile sono ancora più preoccupanti, infatti, quella dei giovani è la categoria sociale più a rischio per mancanza di prospettive. Nell'ottica di un rilancio produttivo è necessario un impegno volto alla riqualificazione e al sostegno dei settori nei quali si intravedono motivi di recupero produttivo;
   si osserva che finora le problematiche industriali e occupazionali in Sardegna, e nel caso in questione nel territorio del Sulcis Iglesiente, sono state affrontate con provvedimenti «tampone», interventi di tipo prevalentemente assistenzialistico che, trascinando situazioni già compromesse, non hanno rivelato una volontà di soluzione improntata a criteri di sostenibilità e competitività;
   pertanto risulta urgente e imprescindibile perseguire l'obiettivo di una risposta concreta al disagio sociale che deriva da tale grave scenario. Alla luce di ciò ci si domanda se sia opportuno continuare a sovvenzionare le attività di quei settori strutturalmente colpiti dalla crisi (come la miniera del «Monte Sinni») senza mai giungere a una soluzione o se, piuttosto, non sia conveniente utilizzare i fondi messi a disposizione per rinnovare e riqualificare il tessuto economico, nel rispetto della vocazione naturale del territorio, valorizzando i patrimoni naturale e storico-archeologico, le attività tradizionali e le potenzialità innovative, favorendo la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione e costruendo un nuovo futuro per i cittadini del Sulcis;
   a tal proposito, il 13 novembre 2012, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro per la coesione territoriale, la regione autonoma della Sardegna, la provincia Carbonia Iglesias e i comuni del Sulcis Iglesiente hanno siglato il protocollo d'intesa (ai sensi dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241) sul cosiddetto «Piano Sulcis». Si tratta dello strumento che individua gli obiettivi e i relativi programmi per lo sviluppo del territorio. Il progetto dovrebbe essere sovvenzionato con: i fondi regionali e locali, il fondo sviluppo e coesione (sulla base di un accordo tra regione sarda e Governo), i fondi del piano operativo nazionale sviluppo imprenditoriale locale. Fra le linee guida del progetto «Piano Sulcis» è presente «la realizzazione di un centro di eccellenza “carbone pulito” nel quadro di un polo tecnologico di ricerca e produzione di energia eco-compatibile»;
   nel medesimo protocollo di intesa è previsto il concorso internazionale di idee «Un'idea per lo sviluppo sostenibile del Sulcis», si tratta di una modalità innovativa – sperimentata, oltre che nella zona sarda in questione, a Pompei e a Reggio Calabria – tesa al coinvolgimento dei centri di competenza privati e al superamento della forte immaturità progettuale, sfruttando la potenziale vitalità del territorio. Le idee dovranno essere in linea con la progettualità locale e dovranno essere orientate a recuperare, valorizzare ed integrare le potenzialità, le abilità, le tradizioni del territorio, in una visione strategica di sviluppo sostenibile. Entro settembre saranno pubblicati i risultati del bando, da allora le aziende avranno novanta giorni per avanzare i progetti;
   il «Piano Sulcis», prevedendo l'avvio di importanti programmi di politica attiva del lavoro, collegati sia con le principali crisi aziendali e settoriali, sia con le nuove prospettive di sviluppo, ha l'obiettivo di dare soluzioni concrete di crescita al Sulcis. Il processo di valorizzazione del territorio, favorito e coordinato dalla pianificazione strategica, è indubbiamente una possibile risposta alle problematiche esposte, tuttavia, vi è preoccupazione circa la concretezza di tali proposte, il tempo necessario per la loro attuazione, l'effettiva presenza delle risorse economiche necessarie e la fattibilità rispetto alla normativa europea;
   inoltre, l'idea iniziale è lodevole così come risulta rilevante e degno di apprezzamento il dialogo instauratosi fra i vari livelli istituzionali e le parti sociali ma, come spesso accade, si registra un ritardo nell'attuazione del lavoro che, sebbene concepito come atto straordinario teso a dare risposte a una grave situazione emergenziale, non ha ancora presentato le soluzioni promesse né tantomeno gli attesi provvedimenti straordinari. Il Sulcis e i suoi abitanti aspettano risposte concrete: l'apertura dei cantieri, la realizzazione di progetti, opere infrastrutturali e bonifiche;
   nell'impiego di fondi pubblici ci si augura un cambiamento di rotta che introduca un sistema omogeneo di regole e procedure certe, concordato e chiaro dall'inizio del periodo di programmazione e non in corso d'opera; si auspica, inoltre, che i Ministeri interessati assumano un ruolo di garanzia e controllo costante al fine di definire in modo puntuale gli obiettivi, i contenuti e i tempi di realizzazione dei programmi, collocando gli interventi all'interno di un sistema integrato di relazioni economiche e sociali funzionali allo sviluppo coordinato del territorio e quindi esplicitando sin dal principio quali siano i risultati attesi e i mezzi mediante i quali ottenerli –:
   se intendano confermare la volontà e l'impegno, espressi dal precedente Governo, di sostenere il territorio del Sulcis con l'attivazione di nuove iniziative imprenditoriali che diano attuazione al Piano Sulcis e se nell'attuazione di tale Piano saranno adottati i nuovi criteri tesi a un uso efficace ed efficiente dei fondi comunitari 2014-2020, elaborati al fine di superare i risultati insoddisfacenti del precedente ciclo;
   se ritengano che il «Piano Sulcis» sia compatibile con l'indagine approfondita avviata dalla Commissione in materia di aiuti di Stato alla Carbosulcis e, in merito a ciò, quale sia lo stato di avanzamento di tale indagine;
   con quali risorse si intendano finanziare gli interventi previsti nel Piano Sulcis, al fine di confermare o smentire le affermazioni riportate dalla stampa secondo cui ci sarebbero a disposizione 124 milioni di euro provenienti dalle sanzioni che hanno pagato le aziende del Sulcis, nello specifico fondi derivanti «dalla multa dell'Unione europea inflitta all'Alcoa e ad altre industrie di Portovesme per aver usufruito di aiuti economici sull'energia dallo Stato»;
   come intendano inserire all'interno del piano di interventi le agevolazioni previste dal «bando per potere usufruire dei benefici fiscali da parte delle piccole imprese del Sulcis Iglesiente» (fiscalità di vantaggio) che «sarà pubblicato entro l'estate», secondo quanto riportato nell'articolo pubblicato sul sito del quotidiano La Nuova Sardegna in data 13 luglio 2013. (4-01367)


   CULOTTA, RIBAUDO, FARAONE, CAUSI, PICCIONE, MOSCATT e TARANTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Fiat auto spa, nel dicembre 2009, ha manifestato l'intenzione, ad oggi irrevocabile, di cessare la propria attività presso lo stabilimento di Termini Imerese (Palermo) in ragione di un presunto svantaggio competitivo che inciderebbe negativamente sui bilanci dell'azienda al punto tale da rendere anti-economica la gestione dello stabilimento;
   la notizia della chiusura dello stabilimento a fine 2011 ha destato, e continua a destare, vivo allarme e preoccupazione non soltanto in Sicilia e nel Mezzogiorno per le gravi ricadute sociali ed economiche che avrà non solo per il comprensorio di Termini Imerese;
   al momento della cessazione dell'attività erano impegnati nello stabilimento di Termini Imerese circa 1.700 lavoratori, oltre ad altri 300 occupati nell'indotto, che nel corso del tempo hanno disimpegnato un lavoro di qualità e di buona professionalità;
   il gruppo Fiat ha più volte beneficiato, direttamente e indirettamente, di significativi interventi pubblici a sostegno delle loro politiche industriali; che il Ministero dello sviluppo economico ha già avviato – da mesi – in risposta alle richieste dei lavoratori, delle istituzioni locali e delle forze sindacali uno specifico tavolo di confronto per superare la crisi dell'insediamento produttivo siciliano attraverso l'acquisizione di proposte di operatori privati, preferibilmente del settore automotive, disponibili ad insediarsi nel polo industriale di Termini Imerese;
   il Governo nazionale ha ritenuto di dover affidare l'incarico di valutazione delle manifestazioni di interesse pervenute ad un advisor INVITALIA;
   la regione siciliana con deliberazione della giunta regionale n. 482 del 20 novembre 2009 ha delineato un progetto di rilancio dell'insediamento produttivo di Termini Imerese;
   il presidente della regione siciliana si è impegnato ad elaborare un programma per rilanciare lo stabilimento di Termini Imerese e di avviare una interlocuzione con il management della FIAT al fine di giungere alla stesura di un nuovo progetto produttivo per il sito industriale siciliano –:
   quali attività siano state poste in essere dal Ministero dello sviluppo economico per garantire il mantenimento dei livelli occupazionali dello stabilimento Fiat di Termini Imerese e del suo indotto al momento della cessazione dell'attività (dicembre 2011) e in quale tempistica;
   quanto e con quali modalità sia stato impegnato o speso della provvista finanziaria garantita dal Governo nazionale a copertura dell'attività del Ministero dello sviluppo economico: con riferimento all'AdP per la reindustrializzazione del polo di Termini Imerese;
   quale onere finanziario abbia comportato – in via diretta od indiretta – l'attività di advisor pubblico disimpegnato da Invitalia spa;
   quali siano le misure incentivanti previste per favorire l'insediamento produttivo di nuove aziende nell'area industriale di Termini Imerese;
   se la regione siciliana abbia provveduto a comunicare al Ministero dello sviluppo economico quali misure di sostegno previste dall'ordinamento legislativo regionale siciliano che possono contribuire a favorire il processo di re-industrializzazione del polo di Termini Imerese;
   se il programma di interventi infrastrutturali promosso dalla regione siciliana per rilanciare la presenza industriale nell'area di Termini Imerese ricorrendo all'accensione di un mutuo dedicato di 150 milioni di euro (legge regionale 12 maggio 2010, n. 11) sia stato delineato d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico e se sia stato già avviato;
   se il Ministero dello sviluppo economico abbia già opportunamente provveduto a definire la provvista finanziaria dedicata per la zona franca urbana di Termini Imerese che, unica nel Mezzogiorno, si estende anche nell'area industriale;
   se, in assenza di valide proposte industriali, il Governo nazionale si riservi di esercitare tutto il suo peso istituzionale per far sì che Fiat posterghi la data prevista di avvio delle procedure di licenziamento collettive – per norma da avviarsi entro il 75o giorno antecedente alla data di cessazione delle misure di cassa integrazione straordinaria (31 dicembre 2013) – fino a quando non si sia certi di avere garantito una capacità produttiva in grado di garantire, per il comprensorio Imerese, gli attuali livelli occupazionali;
   se il Governo ritenga opportuno riacquistare piena centralità nelle trattative con le parti firmatarie dell'Accordo del 2011, riportando il tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico di Roma. (4-01369)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Mercedes-Benz Italia spa con una lettera inviata a tutte le officine autorizzate, ha ribadito, in riferimento ai contratti di assistenza post vendita, il divieto di vendita di ricambi originali ai rivenditori non autorizzati;
   per impedire le forniture di ricambi originali ai ricambisti, il gruppo ha provveduto a definire una serie di standard minimi per le verifiche da effettuare nei confronti dei clienti; tali verifiche hanno lo scopo di tutelare il sistema di distribuzione selettiva adottato per la vendita di ricambi originali stessi;
   i contratti di assistenza post vendita sono disciplinati da regolamenti comunitari;
   la restrizione sulle vendite dei pezzi di ricambio da parte dei membri di un sistema di distribuzione selettiva ai riparatori indipendenti, che utilizzano tali pezzi per fornire servizi di riparazione e manutenzione, costituisce una limitazione della concorrenza e non trova riscontro nel regolamento (Ce) n. 1400/2002 della Commissione del 31 luglio 2002, in materia di distribuzione e servizi di assistenza degli autoveicoli nell'Unione europea;
   le pratiche anticoncorrenziali messe in atto dal gruppo Mercedes Benz Italia potrebbero ostacolare le attività svolte da molti riparatori autorizzati e distributori di pezzi di ricambio, con ricadute negative sull'occupazione –:
   se si intenda avvalere della facoltà di cui all'articolo 12 della legge n. 287 del 1990, richiedendo un'indagine all'Autorità garante della concorrenza e del mercato su tale fenomeno che ad avviso dell'interrogante può presentare profili di incompatibilità con la libera concorrenza.
(4-01374)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Paolo Nicolò Romano e altri n. 5-00218, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Da Villa e altri n. 5-00297, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

  L'interrogazione a risposta in Commissione D'Incà e altri n. 5-00446, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Liuzzi e Brescia n. 5-00486, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Liuzzi n. 5-00497, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

  L'interrogazione a risposta in Commissione D'Incà e altri n. 5-00522, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

  L'interrogazione a risposta orale Oliaro e altri n. 3-00217, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tullo.

  L'interrogazione a risposta scritta Maestri n. 4-01355, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antezza.

Cambio di presentatore di interrogazione a risposta scritta.

  L'interrogazione a risposta scritta n. 4-01337, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2013, è da intendersi presentata dall'onorevole De Lorenzis, già cofirmatario della stessa.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Ferraresi n. 4-00534 del 21 maggio 2013;
   interrogazione a risposta in Commissione Lorefice n. 5-00584 dell'11 luglio 2013;
   interrogazione a risposta scritta Rondini n. 4-01356 del 22 luglio 2013.