Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 27 giugno 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la centrale termoelettrica di Monfalcone (Gorizia) del Gruppo A2A, ubicata lungo la sponda orientale del Canale Valentinis, sorge su di un'area di circa 20 ettari ed è costituita da quattro gruppi termoelettrici indipendenti con potenza complessiva di 976 megawatt (MW);
    le prime due sezioni, dalla potenza rispettivamente di 165 e 171 megawatt alimentate con carbone e gasolio per la fasi di avviamento, sono entrate in esercizio rispettivamente nel 1965 e nel 1970, mentre le restanti – alimentate con olio combustibile e con una potenza di 320 megawatt ciascuna – sono entrate in servizio nel 1983 e nel 1984;
    il comune di Monfalcone, la provincia di Gorizia e la regione Friuli Venezia Giulia hanno sottoscritto nel 2004 con il precedente gestore Endesa Italia, un protocollo d'intesa che prevedeva l'utilizzo del metano dei due gruppi ad olio combustibile, passaggio intermedio verso una auspicata e da sempre promessa «metanizzazione» dell'intera centrale;
    al protocollo non è stato dato seguito e nel 2007 la centrale è stata autorizzata dalla provincia di Gorizia ad incenerire nei due gruppi a carbone anche una quota di biomasse – definite nell'AIA (autorizzazione integrata ambientale) del 2009 che ha modificato l'autorizzazione provinciale – come rifluii organici non pericolosi. L'impianto non ha subito nessuna modifica e nessun adattamento per questo nuovo combustibile e non sono stati predisposti ulteriori e più restrittivi controlli;
    nel 2011 i carabinieri del nucleo operativo ecologico (NOE) hanno eseguito – tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Lombardia – otto arresti nell'ambito di un'inchiesta sullo smaltimento illecito di rifiuti e truffa che ha coinvolto alcuni dipendenti infedeli della centrale. Le autorità preposte ai controlli non hanno ricevuto informazioni, o comunque non le hanno mai pubblicate, riguardo la quantità di rifiuti organici inceneriti presso l'impianto, né dal punto di vista quantitativo né dal punto di vista qualitativo;
    per la centrale, trasformata di fatto in un inceneritore, non è stato previsto alcun tipo di controllo al camino di sostanze potenzialmente tossiche quali diossina, furani e metalli pesanti;
    questo impianto sorge in una città densamente abitata e, a causa della presenza del vicino aeroporto, presenta una ciminiera relativamente bassa (150 metri contro lo standard di 250 metri). Tale caratteristica determina, in periodi di alta pressione, che il particolato e le polveri ricadano spesso sulle zone abitate, aumentando esponenzialmente il livello di pericolosità dell'impianto stesso;
    il livello d'inquinamento e le ripercussioni sulla salute costituiscono una seria preoccupazione per i residenti, malgrado la società A2A abbia più volte affermato che le emissioni della ciminiera sono costantemente monitorate e rientrano nei parametri imposti dalla legge;
    nel 2011 era concreto il rischio di inquinamento da diossina e metalli pesanti per la mancata dismissione delle due unità a olio combustibile, avvenuta solo nel 2012. Questa situazione, come riportato dal quotidiano triestino Il Piccolo dell'11 aprile 2011, ha visto Monfalcone piazzarsi come seconda città d'Italia dopo Taranto per quantità di diossina emessa nell'aria, pur nel rispetto del limite di legge senza però che siano state rese note eventuali analisi di idoneità ad uso civile ed agricolo dei suoli ai sensi decreto legislativo n. 152 del 2006, parte IV, Allegato 5, tabella 1;
    nel 2012 l'amministrazione comunale ha costituito un tavolo ambientale per il controllo delle emissioni della centrale – limitato solo ad alcune sostanze (Nox, Sox), con l'esclusione quindi di diossine, furani e metalli pesanti – che ha ottenuto come risultato l'installazione di centraline grazie all'accordo sottoscritto dal Gruppo A2A con l'ARPA (Agenzia regionale prevenzione e ambiente) del Friuli Venezia Giulia. Queste centraline di controllo per le PM10 sono state piazzate alla base del camino, senza analizzare i venti prevalenti e gli eventuali punti di maggior caduta delle polveri e degli inquinanti;
    l'8 giugno 2013 si è svolto al Palaveneto di Monfalcone il convegno «Dal carbone alle rinnovabili: un passaggio verso la salute», organizzato dal Collettivo difesa litorale carsico e da «Bisiacaria in movimento»;
    durante l'evento il sindaco della cittadina in provincia di Gorizia, Silvia Altran, ha affermato che «Monfalcone ospita la centrale da troppi anni, ha visto vari ampliamenti, ma è stato trascurato l'aspetto della salute. Bisogna discutere su cosa vogliamo fare e su chi lo può fare anche se l'autorizzazione integrata ambientale è valida fino al 2017 e di recente ci sono nuove proposte di A2A»;
    secondo Claudio Bianchi, presidente provinciale della Lega per la lotta ai tumori, la storia della centrale termoelettrica «è lunga 50 anni, un lungo periodo costellato di menzogne. La Centrale è un problema regionale e nazionale. E in Regione la storia del suo inquinamento è parallela a quella della Ferriera di Servola e dello stabilimento chimico di Torviscosa. Tre storie che vanno avanti da troppo tempo»;
    sull'impatto delle emissioni dello stabilimento termoelettrico sulla salute è intervenuto Marijan Nabergoj, specialista in pneumologia della asl 1 di Trieste che ha analizzato gli effetti dell'inquinamento sull'apparato respiratorio, sostenendo che «la centrale a carbone produce 67 sostanze inquinanti, fra le quali 24 che è dimostrato sono cancerogene». Sulle dimensioni degli agenti inquinanti, Nabergoj ha ricordato che le particelle più grandi delle PM10 vengono trattenute nei polmoni, mentre quelle più piccole entrano in profondità negli alveoli e si diffondono nei diversi organi del corpo;
    Alessandro Vescovini, imprenditore e presidente della SBE (Società bulloneria europea) ha annunciato di aver commissionato, a proprie spese, a un'importante università del Nord Italia uno studio che si prefigge di verificare il bioaccumulo lichenico dei metalli pesanti nelle aree circostanti all'impianto, studio non previsto nella procedura AIA concessa dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2009;
    questo genere di analisi è molto utile per capire il grado di contaminazione, sia quantitativa che qualitativa, del territorio causata dalla presenza della centrale, primo passo per individuare le aree a maggiore concentrazione di inquinanti e poter stabilire una correlazione con l'incidenza di neoplasie nella popolazione residente;
    è inaccettabile che non siano le istituzioni ma un privato cittadino a commissionare uno studio che dovrebbe essere la base per una concessione di autorizzazione ambientale,

impegna il Governo

a intraprendere, d'intesa con gli organi regionali preposti, uno studio epidemiologico sulla diffusione di patologie respiratorie e forme tumorali, nello specifico sul cancro al seno delle donne nonché sugli aborti spontanei, nelle province di Gorizia e Trieste, interessate non solo dalle emissioni della centrale termoelettrica di Monfalcone ma anche da quelle legate alla Ferriera di Servola (Trieste) e allo stabilimento chimico di Torviscosa (Udine).
(1-00126) «Prodani, Rizzetto, Pinna, Currò, Grande, Rostellato, Cominardi, Bechis, D'Ambrosio, Vallascas, Cecconi, Da Villa, Mucci».


   La Camera,
   premesso che:
    l'aumento esponenziale delle separazioni e dei divorzi non costituisce più, come in passato, un'esperienza rara, tanto che nel 2010 il 68,7 per cento delle separazioni e il 58,5 per cento dei divorzi hanno riguardato coppie con figli: i figli coinvolti nella crisi coniugale dei propri genitori sono stati 103.478 nelle separazioni e 49.853 nei divorzi;
    separazioni e divorzi, pur rappresentando sicuramente una delle cause che ha contribuito a favorire condizioni di difficoltà per molti padri, non rappresentano certamente l'unico motivo, in quanto, spesso, è l'alta conflittualità all'interno della coppia nella fase antecedente e successiva alla separazione a prevalere, al punto tale che i genitori si fanno la guerra usando strumentalmente la prole, senza rendersi conto che danneggiano proprio coloro che dovrebbero tutelare;
    a volte, la separazione crea una vera e propria lontananza fisica tra un genitore e l'altro, poiché con la divisione della coppia possono subentrare difficoltà economiche che costringono un coniuge a trasferirsi altrove, oppure a rientrare nel proprio nucleo familiare di origine, o anche soltanto a traslocare in un quartiere dall'altro capo della città;
    alcune inchieste condotte dai giornali hanno messo in luce il rischio di crescente povertà dei padri separati, costretti ad affrontare difficoltà economiche per dover pagare l'affitto di un'altra abitazione, dato che la casa viene quasi sempre assegnata alla madre in ragione dell'interesse preminente dei figli, e a provvedere al mantenimento dei figli con il versamento dell'assegno familiare;
    tematiche come quelle sull'affidamento dei figli, in caso di separazione e divorzio dei genitori, irrompono nell'immaginario collettivo solo quando si verificano gesti eclatanti e le cronache dei giornali sono piene di avvenimenti di questo tipo, che inducono a trattare nuovamente un tema spinoso e delicato come il diritto a poter vivere e godere serenamente la paternità anche dopo la fine di un legame matrimoniale, unitamente al diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre vicini in un percorso di crescita sereno;
    la legge del febbraio 2006 sull'affidamento condiviso ha rappresentato una iniziativa molto avanzata nel suo contenuto di «bigenitorialità», dato che stabilisce, in ragione dell'interesse della prole, il diritto a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, godendo della presenza presso ciascun genitore con determinati tempi e modalità e impegnando gli ex coniugi a mettere da parte rivalità ed essere maggiormente collaborativi, decidendo in sintonia della vita quotidiana dei figli;
    le nuove norme hanno rappresentato una svolta storica con la introduzione di un concetto moderno di genitorialità, atto ad archiviare il modello di affidamento esclusivo conosciuto fino a quel momento e i dati Istat riferiti al 2010 mostrano come oramai l'affido condiviso rappresenti la regola, essendo previsto nell'89,8 per cento delle separazioni di coppie con figli, con l'obbligo di entrambi i genitori di mantenere la prole e l'interesse del minore a crescere con la presenza di entrambi i genitori ampiamente tutelato;
    tuttavia in fase di applicazione da parte dei giudici si assiste spesso ad uno svuotamento di significato dell'affidamento condiviso anche quando viene concesso, con deroghe discrezionali oppure a casi in cui di fatto l'affido non viene rispettato dall'altro coniuge, rendendo al padre difficoltosa o preclusa la possibilità di vedere il proprio figlio o i propri figli, di crescerli ed esercitare i propri diritti e il proprio ruolo genitoriale, con gravi danni per il minore, nelle more dei contenziosi instaurati nelle sedi giudiziarie;
    i casi di cui sopra hanno contribuito a svuotare l'affido condiviso del suo significato originario, caricandolo di contenuti che lo hanno reso di fatto identico ad un affidamento esclusivo, tanto che sta confermandosi la necessità di blindare l'effettiva applicazione dell'affidamento condiviso da parte dei tribunali con un nuovo testo di legge che renda ineludibili le prescrizioni stabilite dalla legge;
    lo spirito della normativa prevede che la scelta tra affidamento condiviso ed affidamento esclusivo non sia a discrezione del giudice, al contrario essendo possibile l'esclusione di un genitore dall'affidamento solo in presenza di una sua dimostrata pericolosità nei confronti dei figli;
    i dati mostrano anche come nei rimanenti casi di affidamento esclusivo ad un solo genitore, questi sia rappresentato dalla madre nel 58,3 per cento dei casi di separazione e nel 67,1 dei divorzi, mentre la scelta del padre avviene in percentuale bassissima e nella quasi totalità dei casi il padre è l'unico a dover erogare l'assegno di mantenimento;
    si assiste quindi a numerose resistenze culturali da parte degli operatori del diritto nei confronti dell'affidamento condiviso, con un conseguente svuotamento dei suoi contenuti più qualificanti che inducono sostanzialmente a considerare ancora oggi l'affidamento mono-genitoriale come la forma da privilegiare, oltre che ad una mancanza di omogeneità nei provvedimenti adottati, recanti decisioni apertamente contraddittorie non solo fra tribunali di diverse città, ma anche tra diversi giudici dello stesso tribunale,

impegna il Governo

ad assumere iniziative, nell'ambito delle sue competenze, alla luce di quanto descritto in premessa e in particolare al fine di garantire la piena applicazione della legge n. 54 del 2006, in modo da tutelare il diritto dei genitori a svolgere un ruolo genitoriale in condizione paritetica nella cura, educazione e istruzione e il diritto del minore ad avere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori.
(1-00127) «Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Guidesi, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».

Risoluzioni in Commissione:


   La I Commissione,
   premesso che:
    durante l'intervento del Ministro per gli affari regionali e le autonomie del 15 maggio 2013 in Parlamento, il Ministro ha reso palese il suo impegno sul tema dell'abolizione delle province, ma ha anche sottolineato la necessità di portare a compimento il percorso di istituzione delle città metropolitane, definendola come «una delle riforme che meglio rappresentano il mio pensiero sulle riforme istituzionale», impegnandosi a completare l’iter entro il 2013;
    l'istituzione delle città metropolitane è stata oggetto di una lunga serie di interventi normativi nel corso degli ultimi anni che tuttavia necessitano di una razionalizzazione e di un compimento definitivo, a maggior ragione perché il novellato articolo 114 della Costituzione già prevede questi organi, pur non essendo stati ancora istituiti, e che già a partire dall'inizio degli anni novanta anche gli enti locali e le regioni si sono mossi nella direzione della definizione dell'area metropolitana e della istituzione di un ente intermedio sempre più necessario per la gestione efficiente delle politiche di area vasta, e dunque anche nei territori l'aspettativa per il compimento di un percorso così importante è alta;
    secondo l'articolo 18 del decreto-legge n. 95 del 2012, le città metropolitane andranno comunque costituite entro il 1o gennaio 2014, ovvero alla data della cessazione o dello scioglimento del consiglio provinciale qualora antecedente a tale data, ovvero della scadenza dell'incarico del commissario eventualmente nominato qualora abbiano luogo entro il 31 dicembre 2013;
    alla istituzione della città metropolitane, i cui organi è previsto che siano il Consiglio metropolitano ed il Sindaco metropolitano e che durino in carica 5 anni avrebbe dovuto provvedere la Conferenza metropolitana, da istituire all'entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto-legge n. 95, della quale avrebbero dovuto far parte i sindaci dei comuni del territorio nonché il presidente della provincia soppressa, con il compito di elaborare e deliberare lo statuto della città metropolitana entro il 30 settembre 2013;
    tale deliberazione dello statuto avrebbe dovuto avvenire con deliberazione a maggioranza dei due terzi dei componenti della conferenza e, comunque, con il voto favorevole del sindaco del comune capoluogo e del presidente della provincia e la conferenza avrebbe dovuto, sempre secondo quanto previsto dall'articolo 18 del decreto-legge n. 95 del 2012, cessare di esistere alla data di approvazione dello statuto della città metropolitana o comunque il 1o ottobre 2013;
    in caso di mancata adozione dello statuto della città metropolitana entro i termini previsti il consiglio metropolitano avrebbe dovuto essere sciolto e avrebbe dovuto essere nominato un Commissario per l'adozione dello statuto e per l'amministrazione dell'ente sino alla proclamazione degli eletti conseguente alle elezioni, da svolgersi entro sei mesi dallo scioglimento;
    tale procedura di concertazione è stata tuttavia bloccata temporaneamente dalla legge di stabilità per il 2013, all'articolo 1, comma 115, il quale prevede che le procedure siano sospese sino al 31 dicembre 2013; di conseguenza, le procedure concertative previste sono in standby fino alla fine di quest'anno in attesa che il Governo e/o il Parlamento provvedano a sbloccare le procedure;
    la situazione diviene paradossale considerando che invece il termine del 1o gennaio 2014 previsto dal decreto-legge n. 95 del 2012 per l'istituzione delle città metropolitane non è invece stato prorogato, poiché si avrebbe la situazione in cui formalmente esse siano obbligate a nascere, senza tuttavia che si siano svolte le procedure per sceglierne, attraverso un apposito statuto, la configurazione istituzionale, la fonte di legittimazione degli organi e il riparto delle competenze interne;
    allo statuto della città metropolitana è demandata infatti, prima di tutto, la definizione della struttura della città metropolitana, poiché è previsto che esso possa contenere una articolazione del territorio del comune capoluogo medesimo in più comuni, con una modalità di approvazione che prevede sia un referendum delle popolazioni interessate sia un parere della regione all'interno di cui la città metropolitana si colloca;
    in secondo luogo, ma non meno importante, lo statuto dovrà decidere sulle modalità di scelta del sindaco metropolitano. L'articolo 18 del decreto-legge n. 95 del 2012 prevede infatti che il sindaco possa essere eletto secondo tre diverse modalità, secondo ciò che verrà stabilito nello statuto, per cui potrà essere: a) di diritto il sindaco del comune capoluogo; b) eletto indirettamente, secondo le modalità stabilite per l'elezione del presidente della provincia; c) eletto a suffragio universale e diretto, ma solo nel caso in cui lo statuto contenga la previsione di un'articolazione del territorio in più comuni e questa sia attuata;
    lo statuto metropolitano infine, deve essere adottato da parte del consiglio metropolitano a maggioranza assoluta entro sei mesi dalla prima convocazione, previo parere dei comuni da esprimere entro tre mesi dalla proposta di statuto. Esso, come in parte anticipato, dovrà dunque regolare l'organizzazione interna e le modalità di funzionamento degli organi e di assunzione delle decisioni, le norme di indirizzo e di coordinamento dell'azione complessiva di governo del territorio metropolitano e la disciplina i rapporti fra i comuni facenti parte della città metropolitana e le modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni metropolitane, prevedendo le modalità con le quali la città metropolitana può conferire ai comuni ricompresi nel suo territorio o alle loro forme associative, anche in forma differenziata per determinate aree territoriali, proprie funzioni, con il contestuale trasferimento delle risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per il loro svolgimento;
    a differenza delle funzioni assegnate alle province dall'articolo 17 del decreto-legge n. 95 del 2012 che risultano notevolmente ridotte, le funzioni attribuite alla città metropolitana sono molto più consistenti, in diretta connessione sia con il ruolo centrale nell'organizzazione dei servizi assegnato a questo nuovo ente sia con il fatto che queste ultime possono avere una legittimazione democratica diretta e non di secondo grado come le province;
    le funzioni delle città metropolitane saranno dunque molto importanti, sia le funzioni precedentemente svolte dalle province, sia quelle attualmente attribuite dall'articolo 17 del decreto-legge n. 95 del 2012 (ambiente; trasporti e viabilità; programmazione della rete scolastica e gestione dell'edilizia scolastica relativa alle scuole secondarie di secondo grado), sia alcune importanti funzioni nuove, come la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali, la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché l'organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano, la mobilità e viabilità e la promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale;
    il comma 2 dall'articolo 18 del decreto-legge n. 95 del 2012 presenta una caratteristica di irragionevolezza poiché prevede prima di tutto che «Il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia contestualmente soppressa» ma anche che i comuni interessati – cioè quelli il cui territorio è ricompreso all'interno della ex provincia – possano deliberare di staccarsi dalla città metropolitana e di aderire ad a una provincia limitrofa secondo le procedure previste dall'articolo 133, primo comma, della Costituzione;
    per quanto riguarda invece i comuni appartenenti alla province limitrofe non è prevista invece tale facoltà, derogando così al primo comma dell'articolo 133 della Costituzione che non differenzia fra comuni interni e comuni esterni alla città metropolitana e dunque permette tale facoltà sempre ed in ogni modo;
    in continuità con l'impostazione che prevede dunque un'interpretazione asimmetrica – e dunque di dubbia costituzionalità – dell'articolo 133, il decreto-legge n. 95 del 2012 prevede coerentemente che lo statuto della città metropolitana possa regolare le modalità in base alle quali i comuni non ricompresi nel territorio metropolitano possono istituire accordi con la città metropolitana, ma non prevede nulla con riferimento alla possibilità per essi di aderire direttamente alla città metropolitana stessa,

impegna il Governo:

   ad assumere al più presto iniziative per sbloccare le procedure di concertazione volte all'istituzione delle città metropolitane, in modo da garantire i tempi necessari per la predisposizione dello statuto e la configurazione dell'assetto istituzionale delle medesime, in vista della loro formale istituzione al 1o gennaio 2014;
   ad assumere iniziative affinché nel processo di istituzione della città metropolitana sia garantita una piena applicazione dell'articolo 133 della Costituzione, prevedendo che sia i comuni all'interno della provincia entro cui verrà istituita la città metropolitana sia quelli appartenenti alle province limitrofe abbiano i medesimi poteri, confermando dunque in capo ai primi la facoltà di non aderire alla città metropolitana stessa, ma garantendo anche ai secondi, eventualmente, la facoltà di aderirvi, secondo le procedure e nel pieno rispetto del richiamato articolo 133 della Costituzione;
   a valutare la possibilità di prevedere anche, mediante apposite iniziative normative per la modifica dell'articolo 18, comma 2, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 135 del 2012, che l'ambito territoriale entro il quale verrà istituita la città metropolitana possa estendersi alle province confinanti con la provincia che verrà contestualmente soppressa, in modo da assicurare una adeguata flessibilità nell'applicazione del modello sui territori.
(7-00056) «Fiano, Martella, Casellato, Crivellari, De Menech, Gasparini, Miotto, Mognato, Moretto, Murer, Naccarato, Narduolo, Pastorelli, Rotta, Rubinato, Zoggia».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Maria Chiara Carrozza, nel corso dell'audizione tenuta il 6 giugno 2013 innanzi alle Commissioni Cultura, scienza e istruzione riunite del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, in merito alle linee programmatiche del suo dicastero, ha riconosciuto «la necessità di dare (...) il giusto riconoscimento ai docenti meritevoli costruendo un vero e proprio “cursus professionale” basato sul merito»;
    i TFA (i tirocini formativi attivi) ordinari, recentemente conclusi, o in procinto di concludersi, hanno selezionato, tra 200 mila concorrenti, circa 11 mila docenti attraverso un'apposita prova d'accesso (articolata in un test preliminare a carattere nazionale, una prova scritta, una prova orale) sulle conoscenze disciplinari relative alle materie oggetto di insegnamento della classe di abilitazione, secondo i programmi definiti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (Miur);
    i tirocini formativi attivi recentemente conclusi, o in procinto di concludersi, hanno specificatamente formato i suddetti docenti per svolgere l'attività di insegnamento;
    il prossimo aggiornamento delle graduatorie di istituto è previsto per il 2014;
    l'imminente approvazione dei tirocini formativi attivi speciali abiliterà, senza alcuna procedura di selezione, oltre 100 mila docenti (in numero notevolmente superiore alle necessità evidenziate nel DDg n. 82 del 24709/2012 oltre che nei bandi relativi all'avvio delle selezioni per i TFA ordinari);
    allo stato attuale della normativa, gli abilitati dei tirocini formativi attivi ordinario e speciale potranno accedere alla medesima II fascia delle graduatorie di istituto senza distinzione fra chi ha superato una procedura selettiva e chi acquisirà lo stesso titolo senza selezione alcuna;
    ai fini dell'acquisizione del punteggio utile in graduatoria di istituto gli abilitati tramite tirocini formativi attivi ordinari sono paradossalmente molto svantaggiati rispetto ai prossimi abilitati tramite tirocini formativi attivi speciali: i primi infatti possono far valere sei punti potenziali in più ma i secondi (mai sottoposti a giudizio di idoneità, di merito né ad alcuna selezione) possono vantare diverse decine o centinaia di punti derivanti da titoli di servizio naturalmente posseduti;
    l'istituzione del percorso speciale ha profondamente modificato le prospettive di spendibilità dell'abilitazione rispetto alla situazione cristallizzata al momento di avvio della procedura selettiva del tirocinio formativo attivo ordinario,

impegna il Governo:

   a prevedere che il titolo conseguito attraverso la frequenza e il superamento degli esami finali dei tirocini formativi attivi ordinari sia valorizzato adeguatamente rispetto a quello conseguito attraverso i tirocini formativi attivi speciali in modo da determinare un'effettiva precedenza degli abilitati selezionati con il tirocinio formativo attivo ordinario nelle graduatorie di istituto;
   a valutare l'opportunità di prevedere l'apertura straordinaria delle graduatorie di istituto per l'anno 2013/2014 come extrema ratio al fine di far valere l'abilitazione nell'unico anno in cui il titolo risulta attualmente spendibile.
(7-00055) «Centemero».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   in occasione delle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista della riunione del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno prossimo, svoltesi in Assemblea lo scorso 25 giugno 2013, gli interpellanti avevano posto all'attenzione del Governo la questione disoccupazione nel nostro Paese, deplorando gli intenti della maggioranza di reperire fondi solo per i disoccupati del Sud;
   in particolare si lamentava lo stanziamento di un miliardo di euro solo per i disoccupati del Sud con la motivazione che erano fondi stanziati dall'Europa per quelle aree, dal momento che le aree individuate erano soltanto Calabria, Campania, Sicilia e Puglia, mentre il Governo ha incluso tutto il Mezzogiorno e tralasciato volutamente il Nord del Paese;
   in sede di replica il Presidente del Consiglio precisava che il Governo ancora non aveva deciso nulla, che il decreto ancora non era stato varato e che le decisioni sull'occupazione dei giovani avrebbero riguardato tutto il Paese, senza discriminazione alcuna, rivendicando tuttavia la necessità di intervenire con più intensità nelle aree nelle quali la disoccupazione dei giovani è più alta, cioè nelle regioni del mezzogiorno;
   in coerenza con quanto detto, il giorno dopo il Consiglio dei ministri varava il cosiddetto «pacchetto lavoro», che – in aggiunta al miliardo già previsto e dichiarato – rifinanzia con 80 milioni di euro le misure relative all'autoimpiego ed all'autoimprenditorialità, di cui al decreto legislativo n. 185 del 2000, ma esclusivamente per le imprese del mezzogiorno;
   secondo un'indagine del centro studi Datagiovani, incrociando i dati Aire, l'anagrafe degli italiani residenti all'estero, con quelli Istat sulla disoccupazione negli ultimi cinque anni, cioè quelli del picco della crisi, emerge che la disoccupazione si è fatta sentire maggiormente nelle zone settentrionali del Paese;
   l'indagine, prendendo in considerazione l'incremento percentuale della disoccupazione, regione per regione, e provincia per provincia, ha concluso che le sofferenze maggiori si sono avute in Emilia Romagna – dove i disoccupati sono più che raddoppiati passando da circa 65mila a 150mila – ed in Lombardia, dove da 168mila disoccupati del 2008 si è passati a oltre 346mila nel 2012;
   secondo sempre la predetta indagine, al Nord si sono registrati aumenti che superano il 100 per cento (il 122 in Emilia Romagna) a fronte di incrementi minori al Sud, con un picco massimo della Calabria di «solo» il 59 per cento;
   a livello provinciale la maglia nera spetta al capoluogo emiliano: a Bologna il numero dei disoccupati si è triplicato, passando dagli oltre 10mila del 2008 ai 33mila del 2012; a Piacenza c’è stata addirittura la moltiplicazione per 4, mentre si va oltre il raddoppio a Belluno e La Spezia;
   la ricerca, peraltro, conferma un comportamento dei giovani rispetto al lavoro ed un loro approccio mentale all'occupazione in senso lato già comunemente noto, ovvero che i giovani del Nord sono pronti ad emigrare pur di cercare un posto di lavoro, mentre quelli del Sud preferiscono restare disoccupati e/o assistiti piuttosto che lasciare casa e famiglia d'origine;
   Trentino Alto Adige (+25 per cento), Lombardia (+22 per cento), Piemonte (+20 per cento), Liguria ed Emilia Romagna (entrambe a +19 per cento), sono, infatti, risultate le regioni con un boom di migranti all'estero per fronteggiare l'assenza di lavoro, con Trento (+35 per cento), Rimini e Lodi (33 per cento) in testa alla classifica delle province, a fronte di un Sud ove la crescita dell'emigrazione si attesta intorno al 13 per cento (eccezion fatta per Oristano, che sfonda quota 33 per cento);
   tali dati, valutati alla luce delle politiche occupazionali intraprese da questo Governo, confermano con rammarico la scelta di persistere su una strada di penalizzare chi è più industrioso ed intraprendente –:
   se alla luce di quanto esposto in premessa il Governo, non ritenga doveroso ed altrettanto urgente varare un «piano occupazione per il Nord», per scongiurare l'inevitabile processo di trasformazione del Settentrione nel «mezzogiorno d'Europa» in termini sociali ed economici;
   posto che i giovani del Nord rappresentano un patrimonio da conservare, utilizzare e valorizzare, quali strategie ed interventi mirati il Governo intenda porre in essere per frenare l'allarmante fenomeno della loro fuga all'estero.
(2-00118) «Giancarlo Giorgetti, Fedriga, Allasia, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Prataviera, Gianluca Pini, Rondini».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   nella prima metà del XIX secolo, a Torre Pellice e Pomaretto, nelle Valli piemontesi sedi storiche delle comunità valdesi, vengono erette strutture a carattere assistenziale e caritatevole, destinate col tempo ad assumere la funzione di veri e propri ospedali, chiamati a fornire cura e soccorso agli infermi di confessione valdese, che non possono accedere alle costose cure domiciliari e che per la loro fede non riescono nemmeno ad accedere alle strutture ospedaliere provinciali dell'epoca;
   nel 1843 anche a Torino viene avviato un ospedale rivolto alla popolazione protestante, ma anche più in generale alla popolazione che per condizioni d'indigenza non può accedere ad altre strutture ospedaliere;
   nel 1848, grazie alla concessione dei diritti civili ai Valdesi dal re Carlo Alberto, gli ospedali valdesi vengono equiparati alle opere di beneficenza e di assistenza e assoggettati alla legislazione sanitaria del regno di Sardegna; e l'amministrazione degli ospedali valdesi viene affidata alla «Commissione degli istituti ospitalieri valdesi»;
   nel 1971 gli ospedali valdesi, dopo aver ottenuto il riconoscimento come ospedali per lungodegenti e convalescenti, anche in ragione di un'attività meritoria a vantaggio di tutta la popolazione e senza esclusione alcuna, durata ormai più di un secolo, ottengono altresì la parificazione giuridica del personale; l'ospedale valdese di Torino diventa ospedale generale di zona;
   la riforma sanitaria del 1978 prevede per gli ospedali valdesi l'inquadramento nel piano sanitario della regione Piemonte, con l'applicazione di apposite convenzioni;
   nel 2003 e nel 2004 gli ospedali valdesi di Torre Pellice e Pomaretto e l'ospedale valdese di Torino, nel tempo diventati primari punti di riferimento per i servizi erogati a tutti i cittadini senza distinzione alcuna, nelle Valli valdesi e nel quartiere multiculturale di San Salvarlo di Torino, vengono ceduti alla regione Piemonte, in quanto ne riconosce con legge regionale «l'alto valore sociale dell'attività svolta e garantisce il mantenimento dei livelli di prestazione erogati dai presidi ospedalieri della Commissione Istituti Ospitalieri Valdesi, e ne promuove, mediante la loro acquisizione, l'integrazione nel sistema delle aziende sanitarie regionali»;
   la regione Piemonte, anche in esecuzione alla spending review 2012, pone mano a un piano di riordino della sanità regionale con la riconversione e la chiusura di ben 149 strutture ospedaliere e con la riduzione radicale dei distretti sanitari; e prevede altresì la chiusura degli ospedali valdesi, con gravi ricadute sul territorio, e in particolare dell'ospedale valdese di Torino, nonostante sia stato riconosciuto come centro d'eccellenza nazionale nel campo della senologia, delle terapie di prevenzione e cura del tumore al seno;
   il tribunale amministrativo regionale adito dal 180 tra pazienti e dipendenti dell'ospedale valdese di Torino, il 13 giugno 2013 emette sentenza che sospende la chiusura dell'ospedale, già fissata per la fine di giugno 2013, rinviandola a fine settembre, per valutare nel merito il ricorso, e verificare cioè l'eventuale esistenza di disservizi a carico dei cittadini per la sottrazione affrettata di servizi primari;
   sull'ospedale valdese di Torino l'assessore alla sanità Cavallera ha martedì 25 giugno 2013 riferito al consiglio regionale del Piemonte dichiarando che l'intenzione è quella di dare seguito all'ordinanza del TAR del Piemonte che ha deliberato una sospensiva del processo di chiusura della struttura garantendo la continuità della cura fino a quando non vi sarà maggiore chiarezza. Non è possibile però perseguire questo intento se non si blocca il trasferimento del materiale di servizio e se non si garantisce la copertura di personale adeguata –:
   se la decisione di chiusura degli ospedali valdesi e, in particolare, dell'ospedale valdese di Torino, struttura di eccellenza nel campo della senologia, sia conseguente a esigenze di razionalizzazione della spesa imposte dal piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali.
(2-00116) «Lacquaniti, Lavagno, Nicchi, Piazzoni, Aiello».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CENTEMERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'ordinamento italiano, sia a livello nazionale che a livello regionale, prevede alcune norme finalizzate alla promozione della partecipazione delle donne alla politica e dell'accesso alle cariche elettive, emanate in attuazione degli articoli 51, secondo comma, e 117, settimo comma, Costituzione;
   una norma di carattere generale, volta a riequilibrare l'accesso alle candidature nelle elezioni, è contenuta nella legge 6 luglio 2012, n. 96, in materia di finanziamento dei partiti e movimenti politici, che ha ridotto i contributi pubblici e rafforzato i controlli sui bilanci;
   si prevede, infatti, che i contributi pubblici spettanti a ciascun partito o movimento politico siano diminuiti del 5 per cento qualora il partito o il movimento politico abbia presentato nel complesso dei candidati ad esso riconducibili per l'elezione dell'assemblea di riferimento un numero di candidati del medesimo genere superiore ai due terzi del totale, con arrotondamento all'unità superiore (articolo 1, comma 7);
   la norma è destinata ad avere applicazione nelle elezioni politiche nazionali, nelle elezioni europee e nelle elezioni regionali. I partiti e i movimenti politici sono inoltre tenuti a destinare una quota pari almeno al 5 per cento dei rimborsi ricevuti ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica;
   a tal fine introducono una apposita voce all'interno del rendiconto (legge n. 157 del 1999, articolo 3). In caso di inosservanza dell'obbligo, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria pari a un ventesimo dell'importo ad essi complessivamente attribuito per l'anno in corso a titolo di rimborso per le spese elettorali e di contributo per il cofinanziamento (legge n. 96 del 2012, articolo 9, comma 13);
   a livello di legge elettorale nazionale, non si rinvengono ulteriori specifiche disposizioni, ad eccezione di una norma di principio, contenuta nella legge elettorale del Senato, secondo cui il sistema elettorale deve favorire «l'equilibrio della rappresentanza tra donne e uomini» (decreto legislativo n. 533 del 1993, articolo 2);
   dalla modifica costituzionale dell'articolo 51 discendono anche le norme inserite nella legge finanziaria 2008, che, disponendo in tema di organizzazione del Governo, stabiliscono che la sua composizione deve essere coerente con il principio costituzionale delle pari opportunità nell'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive (legge n. 244 del 2007, articolo 1, commi 376-377);
   di grande rilevanza è inoltre l'approvazione della legge 23 novembre 2012, n. 215, recante disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali;
   secondo l'analisi annuale del World economic forum sul Global Gender Gap, nella graduatoria diffusa nel 2012, l'Italia si colloca all'80o posto su 134 Paesi (era al 74o nel 2011 e nel 2010, al 72o nel 2009, al 67o posto nel 2008 ed all'84o nel 2007);
   l'indice tiene conto delle disparità di genere esistenti nel campo della politica, dell'economia, dell'istruzione e della salute. Il World economic forum redige periodicamente anche un rapporto sulla competitività dei paesi a livello globale ed è interessante notare come emerga una correlazione tra il gender gap di un paese e la sua competitività nazionale;
   dal momento che le donne rappresentano la metà del talento potenziale di un paese, la competitività nel lungo periodo dipende significativamente dalla maniera in cui ciascun paese educa ed utilizza le sue donne;
   la vigilanza sul rispetto delle disposizioni in materia di parità di genere al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro delegato per le pari opportunità, con presentazione al Parlamento di apposita relazione triennale;
   la discussione sul significato della rappresentanza delle donne nelle istituzioni non può coincidere esclusivamente con un discorso di rappresentanza quantitativa, primo passo per il raggiungimento della parità sostanziale e non solo formale; la democrazia paritaria è un fattore e un processo culturale determinante e di portata globale per il nostro Paese, che come tale va attivato –:
   al fine di dimostrare un'adeguata promozione della partecipazione femminile nelle istituzioni e nella società, se il Presidente del Consiglio dei ministri non ritenga opportuno fornire informazioni, sull'applicazione della legge n. 96 del 2012, per riequilibrare l'accesso alle candidature nelle elezioni, e se i Ministri interrogati non ritengano di fornire elementi con riferimento ai dati e circa le procedure da adottare nell'applicazione della suddetta legge n. 96 del 2012, per riequilibrare l'accesso alle candidature nelle elezioni, anche indicando quali azioni si intendano avviare relativamente ai prossimi appuntamenti elettorali, anche nazionali, e alle riforme istituzionali per dare piena attuazione all'articolo 51 della Costituzione e promuovere la partecipazione delle donne a tutti i livelli istituzionali. (5-00464)


   CENTEMERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'ordinamento italiano, sia a livello nazionale che a livello regionale, prevede alcune norme finalizzate alla promozione della partecipazione delle donne alla politica e dell'accesso alle cariche elettive, emanate in attuazione degli articoli 51, secondo comma, e 117, settimo comma, Costituzione;
   una norma di carattere generale, volta a riequilibrare l'accesso alle candidature nelle elezioni, è contenuta nella legge 6 luglio 2012, n. 96, in materia di finanziamento dei partiti e movimenti politici, che ha ridotto i contributi pubblici e rafforzato i controlli sui bilanci;
   si prevede, infatti, che i contributi pubblici spettanti a ciascun partito o movimento politico siano diminuiti del 5 per cento qualora il partito o il movimento politico abbia presentato nel complesso dei candidati ad esso riconducibili per l'elezione dell'assemblea di riferimento un numero di candidati del medesimo genere superiore ai due terzi del totale, con arrotondamento all'unità superiore (articolo 1, comma 7);
   la norma è destinata ad avere applicazione nelle elezioni politiche nazionali, nelle elezioni europee e nelle elezioni regionali. I partiti e i movimenti politici sono inoltre tenuti a destinare una quota pari almeno al 5 per cento dei rimborsi ricevuti ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne alla politica;
   a tal fine introducono una apposita voce all'interno del rendiconto (legge n. 157 del 1999, articolo 3). In caso di inosservanza dell'obbligo, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria pari a un ventesimo dell'importo ad essi complessivamente attribuito per l'anno in corso a titolo di rimborso per le spese elettorali e di contributo per il cofinanziamento (legge n. 96 del 2012, articolo 9, comma 13);
   a livello di legge elettorale nazionale, non si rinvengono ulteriori specifiche disposizioni, ad eccezione di una norma di principio, contenuta della legge elettorale del Senato, secondo cui il sistema elettorale deve favorire «l'equilibrio della rappresentanza tra donne e uomini» (decreto legislativo n. 533 del 1993, articolo 2);
   dalla modifica costituzionale dell'articolo 51 discendono anche le norme inserite nella legge finanziaria 2008, che, disponendo in tema di organizzazione del Governo, stabiliscono che la sua composizione deve essere coerente con il principio costituzionale delle pari opportunità nell'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive (legge n. 244 del 2007, articolo 1, commi 376-377);
   di grande rilevanza è inoltre l'approvazione della legge 23 novembre 2012, n. 215, recante disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali;
   secondo l'analisi annuale del World economic forum sul Global Gender Gap, nella graduatoria diffusa nel 2012, l'Italia si colloca all'80o posto su 134 Paesi (era al 74o nel 2011 e nel 2010, al 72o nel 2009, al 67o posto nel 2008 ed all'84o nel 2007);

l'indice tiene conto delle disparità di genere esistenti nel campo della politica, dell'economia, dell'istruzione e della salute. Il World economic forum redige periodicamente anche un rapporto sulla competitività dei paesi a livello globale ed è interessante notare come emerga una correlazione tra il gender gap di un paese e la sua competitività nazionale;
   dal momento che le donne rappresentano la metà del talento potenziale di un paese, la competitività nel lungo periodo dipende significativamente dalla maniera in cui ciascun paese educa ed utilizza le sue donne;
   sul versante della partecipazione di genere al mondo del lavoro, con la legge 12 luglio 2011, n. 120, sono state apportate significative modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, allo scopo di tutelare la parità di genere nell'accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati e nelle società pubbliche. La legge, preso atto della situazione di cronico squilibrio nella rappresentanza dei generi nelle posizioni di vertice delle predette imprese, intende riequilibrare a favore delle donne l'accesso agli organi apicali;
   a tal fine è previsto un «doppio binario» normativo: per le società quotate in borsa, la disciplina in materia di equilibrio di genere è recata puntualmente dalle disposizioni di rango primario; per le società a controllo pubblico, i principi applicabili rimangono quelli di legge, mentre la disciplina di dettaglio è affidata ad un apposito regolamento, con la finalità di garantire una disciplina uniforme per tutte le società interessate. Tale regolamentazione è contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 2012, n. 251;
   la vigilanza sul rispetto delle disposizioni in materia di parità di genere al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro delegato per le pari opportunità, con presentazione al Parlamento di apposita relazione triennale. A tal fine, le società sono obbligate a comunicare la composizione degli organi sociali entro quindici giorni dalla data di nomina degli stessi o dalla data di sostituzione, ove avvenuta. L'organo di amministrazione e quello di controllo comunicano altresì la mancanza di equilibrio tra i generi, anche in corso di mandato. Tale segnalazione può essere altresì fatta pervenire da chiunque vi abbia interesse;
   ove si accerti il mancato rispetto della quota di un terzo nella composizione degli organi sociali, si prevede una diffida alla società a ripristinare l'equilibrio tra i generi entro sessanta giorni. In caso di inottemperanza alla diffida, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato per le pari opportunità fissano un nuovo termine di sessanta giorni ad adempiere, con l'avvertimento che, decorso inutilmente detto termine, ove la società non provveda, i componenti dell'organo sociale interessato decadono e si provvede alla ricostituzione dell'organo nei modi e nei termini previsti dalla legge e dallo statuto;
   la discussione sul significato della partecipazione delle donne al mercato del lavoro e del raggiungimento delle posizioni apicali nelle aziende è cruciale per la piena attuazione del principio costituzionale di uguaglianza contenuto all'articolo 3 e nell'articolo della Costituzione –:
   al fine di dimostrare un'adeguata promozione della partecipazione femminile nelle istituzioni e nella società, non si ritenga opportuno fornire informazioni sull’iter attuativo della legge n. 120 del 2011, e se il Ministro interrogato non ritenga di fornire informazioni al Parlamento sui dati e circa le procedure da adottare nell'applicazione della legge n. 120 del 2011, anche indicando quali azioni si intendono avviare relativamente ai prossimi rinnovi delle cariche elettive delle società controllate da pubbliche amministrazioni e indicando l'esatta data di scadenza dei consigli di amministrazione e dei consigli sindacali di tutte le società a partecipazione statale, per rendere quanto più trasparente l'applicazione della legge n. 120 del 2011. (5-00465)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MICILLO, ROSTELLATO, TRIPIEDI, COMINARDI, BECHIS, BALDASSARRE, CIPRINI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   fin dal 1996 e poi con il decreto legislativo 468 del 1997, successivamente modificato con decreto legislativo n. 81 del 2000, la regione Campania ha avviato migliaia di lavoratori in progetti di lavori socialmente utili anche a titolarità regionale, aventi finalità di supporto ai servizi ed alle attività degli Enti Pubblici;
   la grande platea dei soggetti coinvolti nei progetti (finalizzati ad una attività stabile nel tempo, difatti hanno durata di sei mesi prorogabili per non più di altri sei), era costituita oltre che da lavoratori con trattamenti di cassa integrazione e mobilità in scadenza, anche da giovani, diplomati e laureati in cerca di prima occupazione in aree ad emergenza occupazionale;
   i lavoratori percepiscono un sussidio di disoccupazione pari a circa euro 572, 68 mensili a fronte di una prestazione lavorativa di 20 ore settimanali ed in caso di utilizzo per un orario superiore è corrisposto un importo integrativo a carico dell'ente utilizzatore;
   nel corso degli anni, gli LSU hanno sopperito alle carenze di organico nella realizzazione di attività e di servizi erogati dalla pubblica amministrazione, (segreteria, protocollo informatico, personale, e altro) acquisendo competenze notevoli, anche ad alto contenuto professionale, occupando sovente settori importanti degli enti (protezione civile e genio civile), garantendo turnazioni di lavoro ordinarie e straordinarie in ordine anche a situazioni di emergenza sul territorio;
   ancora oggi, i lavoratori assicurano forza lavoro alle amministrazioni centrali e locali, ma non hanno un contratto scrictu sensu di lavoro perché la legge impone che non si instauri alcun rapporto di lavoro, e, nonostante il loro impegno lavorativo ultradecennale non sia diverso dal personale cosiddetto di ruolo degli enti utilizzatori, per legge non hanno mai goduto di copertura previdenziale;
   a oltre 15 anni le azioni intraprese dalla regione Campania per lo svuotamento del bacino dei lavoratori non sono state accompagnate da reali politiche attive per la stabilizzazione, bensì da una serie di atti normativi quali la legge regionale n. 14 del 18 novembre 2009 testo unico normativo della regione Campania in materia di lavoro e formazione professionale per la promozione della qualità del lavoro, il cui articolo 34 comma 4 prevedeva che: «la Regione programma e attua, con deliberazione di Giunta regionale e a valere sulle risorse disponibili su appositi capitoli di bilancio, i percorsi di stabilizzazione dei lavoratori impegnati in progetti di attività socialmente utili di cui al decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468 (revisione disciplina sui lavori socialmente utili, a norma dell'articolo 22 della legge 24 giugno 1997, n. 196) e all'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a norma dell'articolo 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144), in forza alla Giunta Regionale» poi successivamente abrogati (con legge regionale n. 4 del 15 marzo 2011, articolo 39), avallando e stigmatizzando di fatto una condizione lavorativa temporanea, come un vero e proprio lavoro «nero» legalizzato dallo Stato;
   con la legge di stabilità n. 244 del 24 dicembre 2007 articolo 2 comma 549, a decorrere dal 2008 fu disposto lo stanziamento di un ulteriore contributo di 50 milioni di euro annui per la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili e per le iniziative connesse alle politiche attive per il lavoro in favore delle regioni che rientravano negli obiettivi convergenza dei fondi strutturali dell'Unione europea attraverso la stipula di una apposita convenzione con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale a valere sul Fondo Nazionale per l'occupazione;
   nel 2008 il Ministero del lavoro e della previdenza sociale procede al riparto delle risorse finanziarie (pari a 50 milioni di euro) destinate dalla legge 244 del 2007 alla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili appartenenti ai bacini delle regioni. Il criterio individuato è quello dell'incidenza percentuale del numero di lavoratori socialmente utili che ancora compongono il bacino regionale. L'amministrazione della Campania diede così il via ad una procedura virtuosa per la stabilizzazione dei lavoratori presso gli enti locali e le unità operanti presso i Settori della giunta regionale, interrottasi tuttavia l'avvento della nuova amministrazione presieduta dal Governatore Stefano Caldoro, e generando un corposo contenzioso in cui l'amministrazione risulta fortemente soccombente;
   la situazione di grave precarietà di questi lavoratori, inserita in un contesto ad alto tasso di disoccupazione, di squilibrio sociale e grave crisi economica e produttiva come quella Campania rischia di far saltare i già tenui equilibri sociali e di ordine pubblico della Campania, mentre aumentano le iniziative di lotta dei lavoratori;
   alcune amministrazioni comunali sono ancora in attesa delle risorse economiche dovute dal riconoscimento del contributo straordinario per le stabilizzazioni –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali iniziativa di competenza intenda adottare per favorire lo svuotamento del bacino e la stabilizzazione dei lavoratori (ad esempio mediante progetti di stabilizzazione – con mobilità – anche negli uffici periferici ministeriali e del Parastato);
   se intenda promuovere una attenta verifica della destinazione degli stanziamenti effettuati a decorrere dal 2008 nonché promuovere ai lavoratori socialmente utili il riconoscimento dei benefici all'articolo 50 della legge 289 del 2002 (pensionamento anticipato) e previdenziale, contributivo ed assicurativo per tutto il periodo di utilizzo;
   con quali tempi e in che modo il Governo intenda porre fine al grave meccanismo di utilizzo di lavoratori socialmente utili che vede di fatto lo Stato incentivare e finanziare quello che all'interrogante appare un sistema di precarietà legalizzata. (4-01038)


   LOMBARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i rapporti con il Parlamento ed il coordinamento delle attività di Governo. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 giugno 2013, sul sito della Presidenza del Consiglio è apparso il seguente comunicato: «La Presidenza del Consiglio dei Ministri, in relazione alla notizia della nomina di Antonio Colini a presidente pro tempore dell'Istat, precisa quanto segue:
    Golini reggerà l'Istat per consentire che le funzioni monocratiche del presidente siano assolte e i poteri precipui del presidente siano esercitati;
    la nomina ha carattere temporaneo ed è legata all'avvio dell’iter di nomina del nuovo presidente;
    l'ultimo presidente, Enrico Giovannini, si è dimesso. Attualmente è Ministro del lavoro» –:
   quali siano le ragioni per le quali il Governo abbia provveduto alla nomina del presidente pro tempore dell'Istat, che come noto è un ente di diritto pubblico non economico, senza aver previamente sottoposto la designazione all'esame delle competenti commissioni parlamentari per l'acquisizione del parere obbligatorio a maggioranza qualificata dei due terzi, siccome previsto dall'articolo 3 della legge n. 400 del 1988 dall'articolo 5 della legge n. 196 del 2009. (4-01052)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 1435200 del 12 settembre 1997, per la regione Calabria veniva proclamato lo stato di emergenza in ordine allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, speciali e speciali pericolosi, nonché in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati e di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 2629 del 21 ottobre 1997, veniva nominato il Commissario delegato a fronteggiare l'emergenza di cui sopra, con l'assegnazione di specifici poteri e funzioni;
   nell'anzidetta ordinanza si prevedevano precisi obiettivi in capo al Commissario delegato, tra cui il conseguimento della raccolta differenziata nella misura del 20 per cento «entro il 30 giugno 1999» e la programmazione di ulteriori interventi «per realizzare l'obiettivo minimo della raccolta differenziata nella misura del 35 per cento nei successivi due anni (articolo 3.1.)»;
   la citata ordinanza contemplava la realizzazione degli interventi necessari a superare l'emergenza, quindi la riscossione di apposita tariffa, da determinarsi secondo criteri per assicurare la copertura dei costi di investimento, di esercizio, di bonifica e ripristino delle aree interessate dagli impianti;
   la medesima ordinanza affidava al commissario delegato la gestione dei contratti con gli operatori concessionari del servizio di costruzione e gestione degli impianti di trattamento-smaltimento dei rifiuti solidi urbani;
   il presidente della regione Calabria Giuseppe Nisticò esercitava la funzione di commissario delegato sino a fine mandato, sostituito dal successore Giovambattista Caligiuri, in carica – anche come commissario – dall'undici agosto 1998 al 21 gennaio 1999;
   il nuovo presidente della regione Calabria Luigi Meduri subentrava al suddetto Caligiuri il 22 gennaio 1999 e – per questo – anche nelle funzioni di commissario delegato, dallo stesso giorno fino al 16 aprile 2000, data di insediamento del successore Giuseppe Chiaravallori, responsabile per il Governo della gestione dell'emergenza rifiuti in parola;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3371 del 10 settembre 2004, il prefetto Domenico Bagnato veniva nominato commissario delegato per l'emergenza in argomento, in luogo del governatore Chiaravalloti;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 13 gennaio 2006, l'emergenza rifiuti in Calabria veniva prorogata al 31 maggio 2006;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2 marzo 2006, il generale Carlo Alfiero veniva nominato commissario delegato in sostituzione del suddetto prefetto Bagnato;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o giugno 2006, l'emergenza richiamata veniva prorogata al 31 gennaio 2007;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 novembre 2006 il prefetto Antonio Ruggiero veniva nominato commissario delegato al posto del generale Alfiero;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 febbraio 2007, veniva prorogata l'emergenza di cui si tratta al 31 ottobre 2007;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3585 del 24 aprile 2007, veniva nominato commissario delegato il prefetto Salvatore Montanaro, che perciò sostituiva il prefetto Ruggiero;
   il 31 ottobre 2007 il commissario delegato, nel trasmettere al Governo la relazione conclusiva dell'attività, evidenziava la necessità di procedere all'adozione di un provvedimento finalizzato a disciplinare le ulteriori iniziative atte a consentire il definitivo rientro nell'ordinario;
   su richiesta della stessa regione Calabria, la competenza dell'ufficio del commissario delegato per l'emergenza sulle bonifiche e sulle acque cessava alla data del 31 dicembre 2007 e veniva trasferita alla Regione, salvo per la bonifica dei siti di Crotone, Cassano e Cerchiara, ricadenti sotto la competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in quanto ricompresi in sito di interesse nazionale;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3645 del 22 gennaio 2008, veniva previsto il completamento in regime ordinario e in termini di urgenza, entro e non oltre il 30 giugno 2008, di tutte le iniziative del Commissario delegato già programmate e in corso di attuazione per il definitivo superamento del contesto di criticità ambientale nella regione Calabria;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3690 del 4 luglio 2008 – vista la nota del precedente 25 giugno del governatore della regione Calabria, con cui lo stesso richiedeva proroga della gestione commissariale – detta gestione si prorogava al 31 dicembre 2008, con contestuale nomina del prefetto Goffredo Sottile quale Commissario delegato in sostituzione del prefetto Montanaro;
   di seguito, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 dicembre 2008, detta emergenza veniva prorogata sino al 31 dicembre 2009;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 17 dicembre 2009, l'emergenza veniva prorogata al 31 dicembre 2010;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3886 del 9 luglio 2010, il Presidente della Regione Calabria, Giuseppe Scopelliti, veniva nominato Commissario delegato al posto del prefetto Sottile e questi, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 maggio 2012, veniva successivamente nominato, benché a riposo nel ruolo, commissario delegato per l'emergenza ambientale nella provincia di Roma per l'imminente chiusura della discarica di Malagrotta;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3925 del 23 febbraio 2011, il generale Graziano Melandri veniva nominato commissario delegato in sostituzione del Governatore regionale Scopelliti;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3983 del 23 novembre 2011, il dottor Vincenzo Maria Speranza veniva nominato commissario delegato in sostituzione del generale Graziano Melandri;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 4011 del 22 marzo 2012 l'incarico del dottor Speranza veniva prorogato al 31 dicembre 2012;
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 57 del 14 marzo 2013, veniva disposto che a decorrere dal primo gennaio 2013, la regione Calabria-assessorato alle politiche ambientali era individuata quale amministrazione competente al coordinamento delle attività necessarie al completamento degli interventi da eseguirsi nel contesto di criticità nel settore dei rifiuti solidi urbani nel territorio della medesima Regione;
   parimenti, con la suddetta ordinanza si prevedeva che il dirigente generale del dipartimento regionale politiche dell'ambiente era individuato quale responsabile delle iniziative finalizzate al definitivo subentro della medesima regione nel coordinamento degli interventi;
   nella stessa, ultima ordinanza, si stabiliva che il dottor Speranza, commissario delegato, provvedeva, entro dieci giorni dalla pubblicazione del provvedimento, a trasferire al dirigente generale del dipartimento suddetto tutta la documentazione amministrativa e contabile inerente la gestione commissariale e a inviare al dipartimento della protezione civile una relazione sulle attività svolte;
   il «piano rifiuti», come riportato nella relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, è di competenza della regione ma, per inerzia dell'ente, veniva affidato al Commissario delegato il quale, dopo averlo predisposto il 7 marzo 2001, lo approvava quasi l'anno successivo, il 26 febbraio 2002;
   il suddetto «piano rifiuti», oggetto di progressivi aggiornamenti, subiva l'ennesima rimodulazione disposta dall'articolo 2, comma 1, lettera a), dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3585 del 24 aprile 2007;
   secondo la relazione della ricordata Commissione parlamentare di inchiesta, la Calabria produce poco più di 915 mila tonnellate di rifiuti solidi urbani all'anno, risultando sovrastimato, a giudizio della predetta Commissione, il dato sulla raccolta differenziata, aggiornato al 2008, fornito dall'ufficio del commissario delegato;
   nell'adunanza del 21 dicembre 2009, la Corte dei conti, sezione regionale di controllo della Calabria, approvava propria relazione in cui riferiva, in ordine a un campione di comuni sufficientemente rappresentativi dell'intero territorio, della «pressoché inesistenza di raccolta differenziata sul 90 per cento del territorio regionale»;
   i giudici contabili valutavano poi, nel medesimo documento e per l'anno 2008, nella misura dell'80 per cento la quantità di rifiuti – in Calabria – smaltiti in discarica;
   per la relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta risiede nel mancato decollo della raccolta differenziata – in un contesto di disorganizzazione, carenza di strutture adeguate e ricorso sistematico alle discariche – il motivo per cui è molto scarso il compost di qualità, prodotto dal recupero della frazione organica dei rifiuti urbani o dei rifiuti speciali a questi assimilabili, destinato all'agricoltura;
   gli impianti di tmb (trattamento meccanico-biologico) nella regione sono sette, secondo la relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta caratterizzati da un utilizzo spinto di tale tipologia di trattamento;
   la relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta evidenzia che in Calabria «gli impianti di tmb effettuano solo un trattamento preliminare dei rifiuti tal quale, riconsegnandone la maggior parte ad un sistema di discariche controllate e di servizi del tutto inadeguati», con le discariche pubbliche aventi «una capacità di smaltimento estremamente limitata»;
   per i dati richiamati nella relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta, emerge «il sottoutilizzo degli impianti di produzione del cdr, con conseguente spreco di investimenti e di risorse»;
   la realizzazione in Calabria del previsto secondo termovalorizzatore, nonché delle opere contemplate nell'atto di sottomissione del 31 ottobre 2003, determina contenzioso tra il Commissario delegato per l'emergenza rifiuti e la società appaltatrice, pari a euro 197.999.132,80, definito da collegio arbitrale con sentenza n. 121/10, depositata il 13 ottobre 2010;
   in parziale accoglimento delle domande proposte dall'appaltatrice TEC Spa Termo Energia Calabria, si condannava la Presidenza del Consiglio dei Ministri-ufficio del commissario delegato per l'emergenza rifiuti al pagamento verso la società attrice della complessiva somma di euro 30.014.960,79, oltre rivalutazione e interessi;
   dall'altra parte, la società attrice era condannata al pagamento in favore del convenuto della somma di euro 2.055.889,85, oltre rivalutazione e interessi, lodo notificato il 18 novembre 2010;
   altro contenzioso si poneva, pari ad euro 57.152.493,74 e deferito a collegio arbitrale, in ordine a presunti inadempimenti contrattuali relativi alla gestione ordinaria del sistema «Calabria Sud», da parte della TEC Spa Termo Energia Calabria e del socio di controllo Veolia servizi Ambientali spa;
   con lodo arbitrale (n. 101/10), depositato in data 26 luglio 2010 e reso esecutivo in data 27 settembre 2010, in parziale accoglimento delle domande di TEC Spa Termo Energia Calabria, si condannava la Presidenza del consiglio dei ministri-ufficio del commissario delegato per l'emergenza rifiuti al pagamento, verso la società attrice, di euro 38.443.714,07, oltre rivalutazione e interessi;
   la TEC spa a fronte di crediti vantati per obblighi contrattuali, in data 17 dicembre 2007 formulava una proposta irrevocabile di accordo transattivo, valida fino al 3 gennaio 2008, dell'importo di euro 21 milioni;
   tale proposta transattiva prevedeva il pagamento della somma sopra indicata, a saldo di tutti i crediti pregressi e a tacitazione di ogni pretesa per gestione e riserve sui lavori sino al 17 dicembre 2007 e una serie di rinunce ad interessi e importi, tra cui uno di euro 8.083.949,52, precisamente portato dal decreto ingiuntivo n. 113 del 2006;
   tale ultimo credito di euro 8.083.949,52 non veniva peraltro contestato dal commissario delegato;
   l'ufficio del commissario delegato (prefetto Salvatore Montanaro), con lettera dell'undici gennaio 2008, protocollo 613, trasmetteva la proposta della TEC/Spa alla Presidenza del Consiglio dei ministri-dipartimento della protezione civile, esprimendo parere favorevole all'accordo;
   il 21 febbraio 2008, il capo dipartimento pro-tempore della protezione civile, dottor Guido Bertolaso, rispondeva chiedendo che la proposta di transazione fosse sottoposta al parere della competente avvocatura distrettuale dello Stato in Catanzaro che, con propria nota del 17 aprile 2008, nell'esprimere parere favorevole poneva in evidenza l'opportunità della «sottoscrizione della transazione da parte della Regione Calabria»;
   come significato nell'audizione del 15 dicembre 2010 dal dottor Franco Gabrielli, capo del Dipartimento della Protezione civile, il soggetto titolato a stipulare l'atto di transazione era il Commissario (per l'emergenza rifiuti, prefetto Salvatore Montanaro), in quanto delegato del Governo e perciò provvisto di tutti i poteri necessari;
   l'accordo transattivo non si concludeva e, come osservato nella relazione della più volte citata Commissione parlamentare d'inchiesta, esso «avrebbe consentito all'erario di evitare ulteriori danni determinati dalle successive e consequenziali pronunzie arbitrali»;
   in assenza di riscontri alla proposta di transazione, la Presidenza del Consiglio dei ministri-dipartimento della protezione civile soccombeva innanzi all'attore TEC spa, condannata a pagare la complessiva somma di euro 68.458.674,86, oltre rivalutazione e interessi, dedotta la somma di euro 2.055.889,85, per domanda del convenuto accolta in via riconvenzionale;
   per ultimo, dal 2010 ad oggi risultano solo tre interrogazioni di consiglieri regionali sul tema dei rifiuti in Calabria, peraltro su questioni singole e locali e non sui tanti problemi derivanti dall'emergenza, il che, in rapporto a quanto già esposto, può suscitare nei calabresi ulteriore preoccupazione, oltre a incredulità –:
   se risulti agli atti quali siano con esattezza le destinazioni dei fondi utilizzati dall'ufficio del commissario delegato, il cui ammontare supera con abbondanza, secondo quanto riportato dalla stampa, il miliardo di euro per l'intero periodo di emergenza, senza che la raccolta differenziata sia stata avviata secondo quanto a suo tempo espressamente previsto;
   se risultino agli atti i motivi per cui il commissario delegato, prefetto Salvatore Montanaro, non provvide all'accettazione dell'accordo transattivo proposto da TEC spa e già riferito in premessa;
   se risultino agli atti le ragioni dell'avvenuto conferimento di incarichi nello stesso settore a figure – per esempio il prefetto a riposo Goffredo Sottile per la gestione della discarica di Malagrotta (Roma) – che di fatto non hanno concluso con risoluzione il loro mandato per l'emergenza nello smaltimento dei rifiuti solidi urbani in Calabria;
   se risultino agli atti i motivi per cui non si è verificato affiancamento, peraltro previsto, nel periodo di uscita del commissario delegato, dottor Speranza e subentro del dipartimento regionale politiche dell'ambiente;
   se non ritengano che, così come avvenuto per la regione Campania, non debbano essere assunte iniziative per prevedere fondi, impegni e programmi speciali per la risoluzione dell'emergenza rifiuti in Calabria, che, come qui documentato, persiste nella sua grave drammaticità, per di più senza concreti, efficaci provvedimenti;
   se, parimenti, non ritengano di assumere iniziative per dichiarare lo stato di emergenza nel settore della gestione rifiuti nella regione Calabria, sotto il diretto controllo della Presidenza del Consiglio;
   quali iniziative, al fine di concorrere a un'adeguata informazione anche in ambito scolastico, sulla raccolta differenziata e sul riciclo, possano attuare perché vi sia una diversa partecipazione, individuale e collettiva, riguardo allo smaltimento dei rifiuti. (4-01056)


   BUONANNO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   all'interno dei diversi provvedimenti assunti questi ultimi anni e finalizzati ad una revisione della spesa pubblica, ritenuta da più parti eccessiva e certamente non più in linea con la difficile situazione economica contingente, una delle voci su cui più di è deciso di rivedere i vincoli di spesa è stata quella delle così dette «auto blu», ovvero gli automezzi a disposizione dei funzionari dello Stato e della pubblica amministrazione, il cui numero eccessivo è in fase di doverosa rimodulazione;
   da informazioni apparse su alcuni siti web e così come denunciato dall'interrogante durante i lavori dell'assemblea di martedì 25 giugno 2013, pare che membri del precedente Governo, e nello specifico l'ex Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, abbiano ancora in uso auto blu e scorte, senza tuttavia che risultino particolari esigenze di tutela e quindi in evidente contrasto con il rigoroso contenimento della spesa pubblica –:
   se non si ritenga opportuno fare chiarezza sulla vicenda sopra descritta ed assumere i necessari provvedimenti, all'interno delle rispettive competenze, al fine di porre termine a questa situazione specificando altresì le motivazioni che hanno consentito fino ad ora il perdurare di un servizio che appare assolutamente ingiustificato e fornendo un preciso elenco delle personalità del precedente Governo e dei politici che godono tuttora di un servizio di scorta o usufruiscono di mezzi e personale della pubblica amministrazione.
(4-01064)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


   NICOLA BIANCHI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di giugno 2012 è scomparsa da Amberg (Germania) la signora Anna Franca Poddighe;
   la signora Poddighe, da 15 anni vive ad Amberg, nei pressi di Monaco di Baviera, dove lavorava come cuoca alla mensa della Siemens. Il 15 giugno 2012, quando si è allontanata dall'abitazione del compagno, avrebbe riferito dell'esigenza di stare qualche giorno da sola. Si era portata dietro i telefoni cellulari ma non le carte di credito (che sono state ritrovate a casa). L'idea sarebbe stata quella di andare dalla sorella (la quale vive e lavora in Germania), ma le due non si sono mai incontrate. Anna Franca Poddighe, che aveva appena preso le ferie, tra l'altro non è mai arrivata neppure in Svizzera dove avrebbe dovuto partecipare al concerto di un amico prima di partire per le vacanze in Sardegna. La figlia, che vive a Sassari, ha avuto l'ultimo contatto con la madre il 13 giugno 2012;
   la famiglia, fin dal primo momento della scomparsa, ha sollevato dubbi sull'eventualità di un allontanamento volontario (anche perché a casa sono state trovate le carte di credito e il conto in banca è stato prosciugato) e soprattutto perché risultano stranamente cancellati alcuni messaggi sul suo profilo Facebook;
   le indagini sono partite con grave ritardo, anche perché la polizia tedesca ha atteso trenta giorni prima di effettuare le verifiche. Il 2 luglio Anna Franca Poddighe avrebbe dovuto rientrare al lavoro, ma non si è presentata alla Siemens;
   in data 11 maggio 2013 il quotidiano L'Unione Sarda riporta una notizia relativa al caso nel quale viene spiegato che «non ci sono elementi perché la magistratura sassarese accerti le circostanze della sparizione di Anna Franca Poddighe, cuoca da anni emigrata in Germania. Solo un'iniziativa della Farnesina o dell'Alto commissario straordinario per le persone scomparse potrebbe far scattare le indagini» e che quindi la procura archivierà il caso –:
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, siano a conoscenza di quanto sopra e come intendano attivarsi per fare in modo che venga fatta luce sul caso descritto. (4-01042)


   RUOCCO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nei casi di conflittualità di coppia diviene oggi urgente affrontare il fenomeno di esclusione e discriminazione che talvolta subisce la figura paterna, che talvolta si traduce, specie nel momento in cui coinvolge il diritto internazionale, ancorché all'interno dell'Unione europea, una vera e propria negazione totale dei diritti genitoriali;
   quanto sopra descritto sarebbe accaduto ad Elvio Gallo, cittadino italiano cui è stato reso impossibile riconoscere il proprio figlio alla nascita, a differenza di quanto previsto dal codice civile francese, e di procedere ad affermare i diritti sanciti dalla Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo, primo tra tutti quello alla piena identità della persona;
   sebbene la controparte francese abbia ricevuto, dal Comitato dei diritti del fanciullo delle Nazioni Unite, specifiche raccomandazioni relativamente l'attuazione degli articoli 2, 3 e 7 della Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo, quella che appare una palese violazione di norme internazionali non è stata, ad oggi, ancora sanata;
   in tale caso potrebbe ritenersi concretato, da parte dell'inerzia dell'autorità francese, il fenomeno di dissuasione istituzionale di paternità, frutto di sentenze che mostrano elementi rivelatori di una discriminazione fondata sul genere e che subordinano o negano l'importanza del ruolo della figura paterna;
   al signor Gallo sarebbe stato impedito di sottoporsi, come costituzionalmente previsto, ai diversi gradi di giudizio in tempi equi, ovvero entro i termini di prescrizione fissati dalle norme francesi, per l'esercizio e l'affermazione dei suoi diritti imprescrittibili e inviolabili;
   ciò non consentirebbe al suddetto soltanto di poter beneficiare di un «giusto processo» ma anche, attraverso l'esaurimento dei ricorsi interni, di adire alla Corte europea per i diritti umani, quale giudice di ultima istanza;
   la dilazione dei tempi, tenuto conto dei consistenti costi da sostenere in un periodo di difficoltà economica, compromette, in astratto, l'esercizio del diritto alla giustizia come previsto dall'articolo 6 della Corte europea per i diritti umani e comprime quello di portare il proprio caso al giudizio della Corte;
   dai dati prodotti, ove verificati, si potrebbero avanzare dubbi circa l'imparzialità della giustizia francese nella vicenda giudiziaria del signor Gallo: la data di ricorso in appello è stata fissata dopo quasi 19 mesi e la comunicazione di notifica della sentenza, indispensabile per adire alla Corte di cassazione è stata formalizzata dopo circa quattro mesi, a seguito di diversi solleciti;
   ciò che richiede il signor Gallo e che non si vede garantito, ossia l'esame del DNA, sarebbe peraltro essenziale per: procedere al riconoscimento del figlio riaffermando pubblicamente la piena dignità, abusivamente violata, del legame; determinare insieme ai diritti, le responsabilità delle parti davanti alla legge; normalizzare la situazione e sanare i documenti illegittimamente prodotti;
   a parere dell'interrogante, ove i fatti esposti fossero verificati, non si starebbero salvaguardando in modo adeguato i diritti del bambino, e il caso potrebbe rientrare addirittura nella fattispecie della sottrazione internazionale –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di propria competenza per via diplomatica intenda attuare per verificare se, nel caso esposto in premessa, siano riscontrabili violazioni del diritto internazionale o comunitario e quali azioni intenda intraprendere per garantire il diritto alla genitorialità del signor Elvio Gallo. (4-01050)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TOFALO, BUSTO, DE ROSA, TERZONI, DAGA, ZOLEZZI e SEGONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la salute e la tutela dell'ecosistema e dell'ambiente sono valori assoluti;
   l'area di ubicazione della fonderia e di altre fabbriche – quale MCM, Manifatture Cotoniere Meridionali, ad oggi de-localizzata – era adibita a zona di produzione e servizi; si tiene a precisare che nell'immediate vicinanze dello stabilimento vi erano, e ci sono tuttora, degli agglomerati urbani sparsi;
   le contestazioni per l'inquinamento allo stabilimento «Fonderie Pisano & C. S.P.A.» iniziano dal 2003 con denuncia al comune di Salerno, all'ARPAC e alla procura della Repubblica presso il tribunale di Salerno; considerate l'informativa NOE di Salerno n. 18/45 del 18 settembre 2004, nonché l'annotazione degli stessi NOE in data 17 settembre 2004, emerge la violazione, da parte dello stabilimento, di numerose normative in materia di rifiuti, inquinamento atmosferico, polveri sottili (PM10) e scarico di acque reflue industriali; si è provveduto, dunque, al sequestro preventivo dello stabilimento;
   il 15 novembre 2006 il comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente (NOE di Salerno) provvede al secondo sequestro in esecuzione di delega d'indagine numero 8281/06/21, emessa il 30 settembre 2006 previo controllo dello stabilimento. Nello stesso verbale depositato il 16 novembre 2006 si prospettavano le seguenti ipotesi di reato: articolo 137/1o decreto legislativo n. 152 del 2006 per aver scaricato in corso d'acqua superficiale – fiume Irno – acque reflue industriali senza autorizzazione perché scaduto di validità; articolo 674 C.P. getto di cose pericolose in relazione alla ipotesi di reato in base all'articolo precedentemente citato; articolo 635/2o C.P. per aver danneggiato le acque pubbliche, nella fattispecie il fiume Irno, mediante lo scarico di acque reflue industriali in relazione alla ipotesi di reato in base all'articolo precedentemente citato; articolo 279/1o del decreto legislativo n. 152 del 2006 perché attivava un impianto producente emissioni in atmosfera senza essere in possesso della prescritta autorizzazione. Nella stessa annotazione dei carabinieri si confermava che gli unici rifiuti prodotti e smaltiti sono «scorie di fusione» CER 100903, «terre di fonderia» CER 100908, «polveri da gas di combustione» CER 100909, «materiali filtranti» CER 150203, «imballaggi contenenti residui di sostanze pericolose» CER 150110 e «residui della pulizia delle strade» CER 200303. Inoltre si evince che dal sequestro del 2004 lo stabilimento non ha «cambiato atteggiamento» in quanto le opere opportunamente prescritte alla società per la messa in sicurezza, non sono mai state realizzate;
   ad oggi nonostante la sentenza n. 41/2007 del tribunale di Salerno che condannava lo stabilimento – per l'abbandono di rifiuti pericolosi; per lo scarico di acque industriali nel fiume Irno e senza essere in possesso dell'autorizzazione; per il superamento dei limiti soglia per piombo, rame e zinco; per lo scarico sul suolo di acque meteoriche miste alle polveri derivanti dall'attività prodotto; per la realizzazione di impianti produttori di fumi in atmosfera senza autorizzazione preventivo – la situazione è rimasta immutata –:
   se intenda disporre un'ispezione del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente presso le fonderie Pisano. (5-00474)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MONGIELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi del decreto del Ministero dell'ambiente del 14 luglio 1989 è stata istituita la riserva naturale marina denominata «Isole Tremiti», nell'omonimo arcipelago. Dal 1996 tale territorio è entrato a far parte del Parco Nazionale del Gargano. Si tratta di una delle aree marine protette più significative nel suo genere data l'unicità dei luoghi e la concentrazione di flora e fauna che costituiscono un unicum nel loro genere, una specificità fuori dal comune;
   le Isole Tremiti hanno il pregio di essere annoverate come un ambiente ecologico di elevatissimo valore naturale ed anche in ragione dei vincoli di tutela e di conservazione che li garantiscono, questa riserva costituisce il più alto esempio di bellezza del Mediterraneo dove i ridotti tassi di inquinamento rendono possibile la salvaguardia di specie altrove in via di estinzione oppure già scomparse;
   le Tremiti sono l'unico arcipelago italiano nel mare Adriatico. Mare ricchissimo di valori ambientali, paesaggistici, culturali, che da tempo i Paesi rivieraschi chiedono che venga dichiarato dall'Unesco patrimonio dell'umanità;
   la vocazione economica di questo territorio è indissolubilmente legata al turismo e alla valorizzazione del paesaggio;
   sin dalla sua istituzione, la riserva marina è stata considerata prioritariamente come una ricchezza biologica, ed al riguardo, l'articolo 3 del predetto decreto ministeriale del 1989, stabilisce che nell'ambito delle finalità di cui all'articolo 27, terzo comma, lettere b) e c) della legge 31 dicembre 1982, n. 979, la riserva naturale marina «Isole Tremiti», in particolare, persegue:
    a) la protezione ambientale dell'area marina interessata;
    b) la tutela e la valorizzazione delle risorse biologiche e il ripopolamento ittico della zona;
    c) la diffusione della conoscenza della biologia degli ambienti marini e delle peculiari caratteristiche geologiche e geomorfologiche della zona;
    d) l'effettuazione di programmi di carattere divulgativo-educativo per il miglioramento della cultura generale nel campo della biologia e della ecologia marina;
    e) l'effettuazione di programmi di ricerca scientifica nei settori della biologia marina e della tutela ambientale;
    f) la promozione di uno sviluppo socio-economico compatibile con la rilevanza naturalistico-paesaggistica dell'arcipelago, anche privilegiando attività tradizionali locali già presenti. Nell'ambito dell'azione di promozione di sviluppo compatibile, per le attività relative alla canalizzazione dei flussi turistici e di visite guidate, la determinazione della disciplina relativa dovrà provvedere specifiche facilitazioni per i mezzi di trasporto collettivo gestiti direttamente da cittadini residenti nel comune;
   come noto, in questi ultimi anni questo contesto marino è stato ripetutamente minacciato da tentativi, ancora non debellati, di sfruttamento petrolifero o da altri atti lesivi dell'integrità ambientale, come l'ipotesi di installazione di parchi eolici, che ne avrebbero compromesso irrimediabilmente la valenza naturalistica ed ambientale sopra descritta;
   in questi giorni si apprende di una nuova minaccia per l'integrità naturalistica delle isole Tremiti ed infatti, il Corriere del Mezzogiorno del 26 giugno 2013, riporta una notizia secondo cui a causa del carico di inquinanti riversati dal Fiume Po nell'Adriatico, questi arriverebbero, per determinati motivi di correnti, fino alla riserva marina delle Isole Tremiti manifestandosi come dense e spesse scie di schiuma;
   cita tra l'altro l'articolo: «Un cordolo di schiuma imprigiona da alcuni giorni la costa dell'isola di San Domino nell'arcipelago delle Tremiti, riserva naturale e parte integrante del Parco nazionale del Gargano. Ringraziamo il Po, le piogge lavano la Padania e noi a Sud riceviamo tutto quello che il fiume riversa in mare è il commento amaro e pungente del sindaco tremitese, Antonio Fentini. Il fenomeno è visibile da diversi giorni e i turisti, non tantissimi, mugugnano e sperano che le correnti presto lascino libere spiagge e calette. Il materiale schiumoso si forma ogni volta che il mare si infrange sugli scogli, forma delle “palle quasi solide” che restano per ore lungo l'intera costa»;
   è necessario che siano rigorosamente conservati e tutelati il patrimonio naturale marino dell'arcipelago delle Isole Tremiti e gli equilibri ambientali della relativa riserva che in perfetto equilibrio si armonizzano con i locali contesti antropici –:
   se sia a conoscenza dei fenomeni di presunto inquinamento che starebbero interessando le acque della riserva marina delle Isole tremiti;
   se in particolare non intenda attivarsi per verificare quale sia l'origine dell'effetto schiumoso denunciato dalle istituzioni locali e se effettivamente tali eventi possano essere ricondotti a cause inquinanti originate dal Fiume Po. (4-01041)


   MATARRELLI, DURANTI e SANNICANDRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   numerose realtà nazionali vivono delle vere e proprie emergenze ambientali con gravi attacchi al diritto al lavoro e al diritto alla salute, espressioni del diritto primario alla vita, vale a dire ad una «esistenza» che dovrebbe essere, come dice la Costituzione, «libera e dignitosa»;
   nell'area di Brindisi (sito di interesse nazionale) insistono varie attività industriali a rischio di incidente rilevante, fra le quali: Versalis (ex Polimeri Europa), produzione di polietilene, impianto di cracking, impianto per la produzione di butadiene, stoccaggio di propilene, etilene, prodotti petroliferi liquidi, prodotti chimici, gpl; Basell Brindisi spa, produzione di polipropilene; Sanofi Aventis produzione di antibiotici con utilizzo di solventi; Costiero Adriatico, ricevimento, stoccaggio e movimentazione di oltre 20.000 tonnellate di GPL; un'area di cinquanta ettari, detta Micorosa, adiacente allo stabilimento petrolchimico chimico fortemente inquinata, usata per decenni come discarica a cielo aperto dei fanghi derivanti dalle lavorazioni del petrolchimico;
   a Brindisi, inoltre, è presente il più significativo polo energetico europeo che vede la presenza di tre impianti di produzione energetica: centrale termoelettrica Brindisi Nord (A2A), 4x320 megawatt, con alimentazione a carbone che secondo vecchi accordi doveva essere chiusa il 31 dicembre 2004 e nella quale la proprietà vorrebbe bruciare una quantità significativa di rifiuti (a prescindere dagli acronimi con i quali vengono indicati: CDR, CSS, e altro) in co-combustione col carbone. Il suo carbonile-scoperto è sotto sequestro giudiziario; centrale termoelettrica Brindisi Cerano (Enel) 2640 megawatt alimentata a carbone che giunge al carbonile scoperto tramite un nastro trasportatore della lunghezza di 12 chilometri che ha inquinato 500 ettari di terreno agricolo circostante interdetto alla coltivazione; centrale termoelettrica a gas (Enipower) di 1170 megawatt nel polo petrolchimico;
   nel documento programmatico preliminare redatto dall'amministrazione comunale e approvato dal consiglio comunale il 28 agosto 2011 si legge in proposito: «La rivista Epidemiologia e prevenzione, organo dell'Associazione italiana di epidemiologia, ha effettuato ben due ricerche sulla città di Brindisi. Nella prima, pubblicata nell'anno 2010, ha verificato la relazione stretta e immediata tra aumento del PM10 e ricoveri ospedalieri». Nello stesso documento si legge inoltre testualmente: «Senza opportuni ed immediati correttivi si rischia di pregiudicare in modo irreversibile il futuro della Comunità locale. Non si tratta di demonizzare il settore industriale energetico, ritenuto strategico per lo sviluppo del Paese, ma di capire quali sono i costi che la città deve pagare sul piano economico, sociale ed ambientale»;
   da quanto citato, emerge un quadro preoccupante. Un'emergenza che finora non è stata in alcun modo affrontata con misure concrete da parte dei vari Governi nazionali che si sono succeduti, sicché il territorio di Brindisi risulta essere ulteriormente esposto al rischio di pesanti peggioramenti provocati dal tentativo di portare ad attuazione il progetto del rigassificatore;
   in particolare, la vicenda del rigassificatore è stata costellata da abusi e illeciti, ed ha visto l'intervento della Unione europea e quello della magistratura che in una recente sentenza, a prescindere da alcune sopraggiunte prescrizioni, ha condannato alcuni dirigenti e stabilito la confisca della colmata di Capobianco (il luogo dove la British Gas intende costruire l'impianto). Nel menzionato documento programmatico preliminare si definisce indispensabile «la cancellazione della previsione del rigassificatore nel porto di Brindisi» e si aggiunge, nella parte riservata alla sicurezza quanto segue: «detti impianti sono così individuati per la possibilità che gli stessi possano causare eventi di grande entità (emissioni in atmosfera, incendi, esplosioni) dovuti a sviluppi incontrollati, che possono dar luogo a pericolo grave, immediato o differito nel tempo, per la salute umana e per l'ambiente, sia all'interno che all'esterno dell'industria»;
   è evidente che la grave situazione sanitaria è imputabile alle imponenti emissioni nocive delle realtà industriali insediate;
   per questa ragione le amministrazioni locali e la regione Puglia, nonché numerose forze politiche e organizzazioni della società civile hanno individuato i seguenti obiettivi come indispensabili per l'abbattimento delle emissioni: drastica riduzione dell'energia prodotta da combustibili fossili nella centrale elettrica Enel di Cerano; chiusura della centrale elettrica Brindisi nord dell'A2A (Edipower); revoca definitiva dell'autorizzazione alla costruzione del rigassificatore ritirando tutte le autorizzazioni concesse e attualmente sospese; redigere un piano adeguato ed effettivamente realizzabile per la bonifica delle vaste aree inquinate;
   Brindisi ha dato e dà un enorme contributo, anche con costi umani drammatici, alle esigenze energetiche del Paese, pertanto non sono ammissibili ulteriori ritardi rivolti a impedire sbocchi traumatici. Non dovrebbe essere ancora una volta la magistratura a colmare inammissibili vuoti lasciati dalla politica nazionale –:
   quali iniziative di competenza, il Ministro interrogato, intenda intraprendere per tutelare i diritti e gli interessi della comunità brindisina, considerando gli impegni, sopra menzionati, da tempo portati avanti dalle amministrazioni locali e dalla regione Puglia e da quasi tutte le espressioni della politica e della società civile. (4-01058)


   ZARDINI, DAL MORO, D'ARIENZO e ROTTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la discarica di rifiuti solidi urbani di Ca’ Filissine, presso il comune di Pescantina (Verona), è attiva fin dal 1987 ed è stata ampliata nel 1997;
   il comune ha affidato la gestione della suddetta discarica alla società ASPICA s.r.l. con sede in Bussolengo (Verona) via dell'Industria n. 6/A, ora Daneco spa con sede in Milano via Bensi n. 12/5, eccezion fatta per lo smaltimento del percolato;
   il comune ha affidato il servizio di trattamento/smaltimento del percolato con convenzione approvata con delibera di consiglio comunale n. 81 del 19 novembre 1998 e modificata con delibera di consiglio comunale n. 7 del 18 gennaio 2005 a Depuracque Sviluppo s.r.l. (già Depuracque Impianti s.r.l.) che gestisce l'impianto di trattamento del percolato annesso alla discarica, contratto scaduto il 31 dicembre 2011;
   con atto n. 05/10717 del 9 agosto 2006, l'autorità giudiziaria ha sottoposto la suddetta discarica a sequestro preventivo con decorrenza dal 28 agosto 2006, per sospetto inquinamento delle acque di falda non utilizzate per acqua potabile;
   i C.T.U. nominati dalla procura redassero una relazione tecnica che riportava, in particolare, alcune linee di intervento per l'eliminazione o la mitigazione del fenomeno inquinante accertato, consistenti principalmente nell'ottenere l'abbassamento del battente idraulico del percolato, nell'interrompere il riciclo in discarica del percolato concentrato, nel mettere in opera un efficace sistema di impermeabilizzazione e drenaggio superficiale e nell'eseguire alcuni sondaggi profondi, nonché nell'effettuare interventi aggiuntivi o alternativi alla barriera idraulica, finalizzati a bloccare l'inquinamento verso valle;
   in data 11 dicembre 2009 il tribunale di Verona ha pronunciato l'ultima ordinanza di rigetto dell'istanza di dissequestro della discarica in Ca’ Filissine presentata dal comune di Pescantina;
   in data 14 dicembre 2009 la regione Veneto, la provincia di Verona, il comune di Pescantina e Daneco spa hanno sottoscritto il protocollo di intesa relativo alla discarica situata in località Ca’ Filissine, concernente modi e possibilità di utilizzo delle somme «post mortem» accantonate presso i conti correnti intestati a Daneco spa e vincolati a favore della provincia;
   in data 29 gennaio 2010 la giunta provinciale, con deliberazione n. 16/2010, ha istituito un comitato tecnico per la definizione di soluzioni di messa in sicurezza e risoluzione delle criticità ambientali dell'area di sedime e contermine alla discarica e, con deliberazione n. 93 del 15 aprile 2010, ha approvato uno schema di convenzione con l'università degli Studi di Padova – dipartimento di ingegneria idraulica, marittima, ambientale – per la definizione di soluzioni di messa in sicurezza e risoluzione delle criticità ambientali dell'area di sedime e contermine della discarica connesse allo svolgimento delle funzioni di presidenza del comitato tecnico istituito;
   in data 3 marzo 2010 la regione Veneto, la provincia di Verona e il comune di Pescantina hanno sottoscritto un protocollo di intesa in forza del quale è stato reso possibile l'utilizzo delle somme «post mortem» esclusivamente per le operazioni di trattamento e smaltimento del percolato subordinatamente all'assunzione dell'impegno del comune a reintegrare il fondo stesso con i proventi derivanti dalle tariffe e a presentare un programma delle attività successive al dissequestro comprensive di progetti di riapertura o definitiva chiusura della discarica;
   il comitato tecnico istituito con deliberazione n. 16/2010 nella relazione conclusiva di analisi della situazione ambientale, consegnata e illustrata agli enti interessati in data 22 settembre 2010, ha evidenziato che all'inquinamento della falda sotterranea dell'area concorrono più sorgenti tra le quali, quelle più rilevanti, la discarica, il vigneto Ferrari e le attività agronomiche; in particolare, per quel che attiene la discarica di Ca’ Filissine, in considerazione dei diversi possibili interventi valutati e alla luce dei criteri informativi assunti per la definizione delle soluzioni tecniche da ricercare, ha individuato le azioni che l'ipotesi progettuale di intervento per la risoluzione delle questioni ambientali dovrebbe prevedere e precisamente:
    a) ripresa del conferimento di rifiuti solidi a basso o nullo contenuto di sostanza organica putrescibile fino al raggiungimento di una idonea morfologia finale;
    b) innocuizzazione della potenziale fonte contaminante tramite aerazione in situ dei rifiuti depositati nel bacino Est di ampliamento della discarica;
    c) realizzazione di una copertura superficiale attiva con uno strato biossidativo per il biogas ed un impianto vegetativo atto a condizionare positivamente il bilancio idrologico;
   in particolare, si rileva come la soluzione proposta non richieda il rifacimento di nessuna parte della discarica, tantomeno della parete est;
   nel 2007 uno studio commissionato dal gestore Daneco al professore Mario Manassero del politecnico di Torino riportava le seguenti conclusioni: «Al termine delle simulazioni si può senza dubbio affermare che il completamento del riempimento dei lotti dell'impianto non pregiudicherà in alcun modo la stabilità locale e/o globale della scarpata Est in quanto il quadro fessurativo delineatosi in corrispondenza del piano campagna di monte è governato dalle deformazioni indotte dall'interazione tra sistema di rivestimento della scarpata in esame ed i rifiuti in fase di assestamento»;
   a seguito della richiesta presentata dalla provincia di Verona, la regione Veneto, con DGRV n. 3486 del 30 dicembre 2010, ha concesso alla provincia l'accesso al fondo rotativo di cui all'articolo 20 della legge regionale n. 1 del 2009 per la somma di euro 2.518.854,96, somma che però il sindaco di Pescantina ha rigettato e rifiutato di ricevere per non sottoscrivere le garanzie necessarie;
   con delibere di giunta provinciale n. 52/2011 del 31 marzo 2011 e n. 59/2011 del 12 aprile 2011, di giunta comunale n. 54/2011 del 13 aprile 2011 e n. 64/2011 del 20 aprile 2011 e di giunta regionale n. 693 del 24 maggio 2011 è stato approvato un atto di integrazione del protocollo di intesa tra regione Veneto, provincia di Verona e comune di Pescantina, sottoscritto in data 3 marzo 2010, nel quale il comune si è impegnato a presentare alla regione Veneto, quanto prima e comunque entro il 31 maggio 2011, una richiesta di autorizzazione per l'approvazione di un progetto definitivo per il completamento e la messa in sicurezza della discarica di Pescantina e per la bonifica dell'adiacente fondo denominato «Vigneto Ferrari», o comunque altre concrete soluzioni che il comune ritenesse di proporre;
   in data 31 maggio 2011 la giunta comunale di Pescantina, con deliberazione n. 79/2011, ha preso atto del progetto trasmesso da Daneco spa relativo al completamento ed alla messa in sicurezza permanente della discarica di Pescantina contestuale alla bonifica del fondo adiacente denominato «vigneto Ferrari» e ha espresso parere favorevole alla presentazione del suddetto progetto alla regione Veneto, ai fini della relativa autorizzazione;
   politicamente il consiglio regionale del Veneto in data 8 febbraio 2012 ha votato all'unanimità una risoluzione in cui impegna la giunta comunale:
    a) ad attivarsi affinché la realizzazione dell'intervento sia vincolata all'osservanza dei dettami contenuti nello studio prodotto dal Comitato Tecnico «Ca’ Filissine», composto dall'università di Padova, provincia di Verona, arpav Verona e regione Veneto, prescrivendo al comune di Pescantina di adeguare il progetto alla «Proposta di intervento risolutivo» contenuta nella relazione (pagina 60) e di abbandonare quello di ampliamento della discarica. L'operazione di bonifica e messa in sicurezza deve riguardare solo il sito attualmente occupato dalla discarica di Ca’ Filissine senza sconfinamenti in altri terreni;
    b) a convocare presso il consiglio regionale le commissioni tecniche interessate, unitamente alle commissioni terza (cave), settima (ambiente) e seconda (urbanistica) per favorire la predisposizione di un progetto operativo finalizzato unicamente a bonificare il sito, realizzando una situazione di sicurezza, senza avviare altre discariche;
    c) ad attivarsi per reperire le eventuali risorse necessarie a realizzare il progetto di bonifica e messa in sicurezza d'intesa con la provincia di Verona e il comune di Pescantina;
    d) ad operare affinché un eventuale intervento di bonifica sul fondo denominato «vigneto Ferrari» venga considerato come problema separato da quello della discarica e sia messo in atto solo dopo approfonditi studi che accertino l'eventuale presenza di fattori di inquinamento/contaminazione;
   la giunta comunale di Pescantina in data 1o marzo 2013, con delibera n. 35, ha trasmesso, senza tuttavia una formale adozione, un nuovo e diverso progetto che insiste solo sull'originale sedime di discarica, che prevede la trasformazione della discarica in discarica di rifiuti speciali e lo spostamento di 470 mila metri cubi di rifiuti già stoccati per demolire e rifare la parete est. La demolizione della parete est della discarica potrebbe comportare un grave disagio per la popolazione della frazione di Balconi, in considerazione dell'imponente movimentazione di rifiuti ad essa associata. Tale parete risulterebbe svolgere allo stato il suo compito, in quanto a livello massimo di percolato in discarica corrispondono livelli minimi di ammoniaca in M7. Infine, la stessa parete risulta correttamente collaudata in tutte le sue parti, come del resto il fondo e le pareti dell'ampliamento della discarica. È da valutare e da approfondire maggiormente, pertanto, se vi sia la effettiva necessità della demolizione di tale parete est e della conseguente movimentazione dei rifiuti;
   il consiglio comunale di Pescantina in data 6 maggio 2013 ha deliberato all'unanimità:
    a) di ribadire le criticità progettuali già evidenziate nella delibera di giunta comunale n. 35 del 1o marzo 2013 e nella delibera di consiglio comunale n. 8 del 9 marzo 2013 e pertanto di impegnare il sindaco e la giunta comunale a deliberare, con convocazione e deliberazione entro il 9 maggio 2011 la non adozione dell'aggiornamento n. 1 del progetto per la bonifica e la messa in sicurezza permanente della discarica «Ca’ Filissine» e dell'adiacente fondo denominato «Vigneto Ferrari» trasmesso da Daneco spa il 26 febbraio 2013 e conseguentemente di dare mandato al sindaco di ritirare il predetto aggiornamento n. 1 del progetto attualmente in valutazione da parte della commissione V.I.A. regionale;
    b) di impegnare altresì il sindaco e la giunta, considerata la grave situazione di criticità ambientale, ad attivarsi con tempestività per individuare una soluzione progettuale a partire dalle indicazioni contenute a pagina 60 della relazione «Analisi della situazione ambientale nell'area interessata dalla discarica di Ca’ Filissine e proposte di intervento» prodotta dal comitato tecnico Ca’ Filissine, composto dall'università di Padova, provincia di Verona, Arpav Verona e regione Veneto, da portare preventivamente all'attenzione del consiglio comunale che potrà esprimersi con appositi atti di indirizzo, individuando al tempo stesso percorsi di partecipazione da parte della popolazione;
   il sindaco di Pescantina, in data 8 maggio 2013, ha rassegnato le dimissioni senza dare seguito alla delibera del consiglio comunale n. 19 del 6 maggio 2013;
   a seguito delle dimissioni, in data 29 maggio 2013, è stato nominato un commissario prefettizio nella persona della dottoressa Rose Maria Machinè, vice prefetto di Verona;
   la situazione è tuttora di gravissima criticità dal punto di vista ambientale, con un battente assolutamente fuori norma e un forte inquinamento della prima falda (non destinata ad uso potabile);
   sono quasi terminati i fondi di gestione «post-mortem» e, come detto, l'unico progetto di messa in sicurezza proposto dal sindaco è stato bocciato all'unanimità dal consiglio comunale –:
   di quali elementi disponga il Governo anche per il tramite del commissario prefettizio, in merito alla situazione di cui in premessa;
   se non si ritenga di avviare un'ispezione del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, anche alla luce di quanto previsto dall'articolo 299 e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006. (4-01065)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CHAOUKI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero per i beni e le attività culturali ha recentemente provveduto a stanziare una prima tranche di fondi destinati al restauro della reggia di Caserta, nella misura di 9,3 milioni di euro dei 22 previsti, come si evince dall'articolo apparso sul quotidiano Repubblica e datato 11 giugno 2013, quasi interamente ricavati da fondi dell'Unione Europea facenti parte del Programma operativo interregionale attrattori culturali 2007-2013, e che i lavori di restauro inizieranno tra fine estate ed inizio autunno 2013, così come previsto in attuazione della legge del 20 febbraio 2006 n. 77. Il Ministero ha altresì reso noto di essersi impegnato a favore della Reggia con risorse ordinarie proveniente dal proprio bilancio pari a 2,6 milioni di euro;
   come noto, la reggia di Caserta è un monumento di straordinario valore artistico, architettonico e culturale, inserito dal 1997 nell'elenco dei siti italiani iscritti nella lista del patrimonio mondiale UNESCO. Il sito merita dunque la massima attenzione e valorizzazione, costituendo un notevole polo culturale capace di attrarre migliaia di visitatori da tutto il mondo ogni anno con indubbi benefici per tutto il tessuto economico dell'area interessata;
   in tempi recenti, tuttavia, la situazione del complesso monumentale della reggia è decisamente peggiorata: dallo scorso settembre, a causa della scarsa manutenzione del monumento, le facciate principali della struttura sono state interessate dal crollo di parte dei cornicioni e conseguentemente le aree interessate dal rischio di caduta di materiali sono state transennate per ovvi motivi di sicurezza;
   da notizie riportate da Repubblica in un articolo del 19 giugno 2013, l'interrogante è a conoscenza della convocazione di un tavolo tecnico presso la sede della provincia di Caserta, al quale pare abbiano partecipato, oltre al presidente della provincia di Caserta, Domenico Zinzi, il presidente del Consorzio «La Venaria Reale» di Torino, Fabrizio Del Noce, il sindaco di Caserta, Pio Del Gaudio, la Soprintendente per i beni architettonici, paesaggistici, storico-artistici delle Province di Caserta e Benevento, Paola Raffaella David, il presidente di Confindustria Caserta, Luciano Morelli e il presidente della camera di commercio, industria, artigianato, agricoltura della provincia di Caserta, Tommaso De Simone;
   tema del tavolo tecnico – sempre secondo il già citato articolo – pare sia stato la valutazione di un nuovo modello di gestione del palazzo vanvitelliano, con la creazione di una soprintendenza speciale organizzata come una società privata, sul modello della Reggia di Venaria (gestita da un consorzio), con consiglio di amministrazione formato da soggetti pubblici e privati e soprattutto munita di autonomia finanziari;
   lo stesso Ministro, in occasione del question time del 19 giugno 2013, nel rispondere alle interrogazioni degli onorevoli Antimo Cesaro e Marcello Taglialatela sul tema, riferiva di una proposta riguardante una eventuale aggregazione della reggia alla soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico e per il polo museale della città di Napoli, ente con autonomia finanziaria capace di mantenere gli introiti –:
   se sia stato individuato, in merito al piano di gestione per i siti UNESCO, l'ente promotore di tale piano e a che punto sia la sua redazione;
   con quale criterio verrà individuato l'ente cui verrà affidata la gestione alla luce dei criteri previsti nelle linee guida per i piani di gestione dei beni culturali iscritti alla lista UNESCO redatte nel 2004, ricordando che ente proprietario del complesso monumentale è il demanio e non il Mibac;
   quali siano gli interventi da realizzare in base all'importo erogato per i restauri del monumento, le tempistiche degli interventi e quali saranno le imprese preposte alle operazioni di restauro. (4-01044)


   DI LELLO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   l'ALES – Arte lavoro e servizio spa – costituita il 17 dicembre 1998 è nata come strumento per la stabilizzazione di lavoratori precari che per alcuni anni erano stati utilizzati dal Ministero per i beni e le attività culturali per l'esecuzione di lavori socialmente utili;
   a fine 2005 è stato sottoscritto il contratto di appalto di servizi per l'anno 2006 con il Ministero che, riconoscendo la natura pubblica di ALES spa e il conseguente ruolo di società strumentale per la pubblica amministrazione, ha provveduto all'affidamento diretto dei servizi; la ALES spa quindi è ad oggi una società in house del Ministero per i beni e le attività culturali (che dal 2009 ne detiene il 70 per cento del pacchetto azionario) operante in attività di supporto alla conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale – archeologico, artistico, architettonico, paesaggistico, archivistico e bibliotecario italiano – nonché di svolgimento di attività strumentali alla gestione tecnico – amministrativa dei procedimenti di tutela: inoltre promuove i beni e le attività culturali ed il «Made in Italy» in ambito internazionale;
   il totale controllo del Ministero per i beni e le attività culturali, oltre a garantire continuità aziendale, ha reso la società un braccio operativo dello stesso Ministero creando così i presupposti per una diversificazione verso attività e di servizi a contenuto più qualificato;
   la ALES spa opera su tutto il territorio nazionale con 580 operatori (di cui il 50 per cento in Campania) che svolgono un'attività indispensabile per la tutela dei beni culturali, a tutela del turismo per garantire, tra gli altri, l'apertura di siti importanti quali il palazzo reale di Napoli o gli Scavi di Ostia; ciò nonostante gli operatori ALES si ritrovano annualmente di fronte alla perenne incertezza della continuità e della garanzia del posto di lavoro;
   gli incontri già avvenuti al Ministero per i beni e le attività culturali hanno garantito risorse finanziarie per il 2013, senza alcuna garanzia di continuità per il futuro, prospettando anzi la difficoltà, da parte dei beni culturali, di mantenere il proprio impegno nella tutela del patrimonio a causa dei tagli previsti dal provvedimento inerente la spending review. Inoltre non si è accennato ad alcuna progettualità futura inerente attività da conquistare sul mercato captive, al di fuori dei contratti si servizi ministeriali;
   la mancanza di prospettiva produttiva e occupazionale getta nello sconforto gli operatori che denunciano, tra l'altro, situazioni di sprechi e di mala gestione della società a fronte dei quali i lavoratori, a maggior ragione, chiedono che sia trasformato a tempo indeterminato il loro rapporto di lavoro e siano salvaguardati i livelli retributivi e di anzianità pregressa;
   le linee programmatiche del Ministero per i beni e le attività culturali indicano la cultura come bene comune e come diritto che deve essere protetto e potenziato, la cultura non solo come uno degli interessi pubblici essenziali, tutelato dalla Costituzione e dai trattati internazionali, ma anche l'oggetto di un insieme di diritti fondamentali del cittadino, della persona, delle formazioni sociali; il diritto di accesso al sistema della produzione culturale, il diritto alla più ampia fruizione di tutti i beni culturali, dei prodotti delle attività culturali –:
   se il Ministro intenda dare risposte chiare ed univoche sul destino della società ALES spa, dei suoi dipendenti e dei lavoratori a tempo determinato affinché siano assunti con contratto a tempo indeterminato salvaguardando livelli retributivi e anzianità pregressa;
   se il Ministro intenda garantire un progetto ministeriale e risorse certe per la continuità e la qualità dei servizi;
   se il Ministro intenda vigilare sui progetti e sulla gestione anche economica della società ALES spa chiarendo definitivamente la natura giuridica futura dell'ALES. (4-01046)

COESIONE TERRITORIALE

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO, DI BENEDETTO, D'UVA, SIBILIA e TOFALO. — Al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con delibera n. 128 del 21 novembre 2011, la giunta comunale di Marigliano (Napoli) ha chiesto alla regione Campania la revoca per tutti i Regi Lagni, che attraversano il territorio comunale e che assolvono la funzione di raccolta delle acque sotterranee locali e delle acque piovane e sorgive provenienti dal Somma – Vesuvio e dalle prime propaggini del Partenio e del Lauretano, «dell'attribuzione formale della qualificazione di bellezza naturale»;
   i Regi Lagni, realizzati nel XVI secolo – in epoca vicereale – e potenziati dai Borbone, oltre a rappresentare un'importante opera storica, ambientale e paesaggistica di ingegneria idraulica, costituiscono, ancora oggi, un baluardo ambientale che ha mitigato e mitiga il rischio di alluvioni e dissesti idrogeologici per una vasta zona del territorio nolano-vesuviano;
   la revoca della qualifica di bellezza naturale se avallata anche dalla regione Campania farebbe di fatto decadere i vincoli di rispetto per cui si innescherebbe una ulteriore corsa alla speculazione incontrollata che comprometterebbe ogni pianificazione urbanistica regionale e provinciale ed esporrebbe il territorio a numerosi e imprevedibili pericoli idrogeologici;
   l'abrogazione della fascia di rispetto, inoltre, porterebbe come conseguenza la scomparsa della diversificazione dei microambienti e della morfologia degli alvei e delle fasce riparie, la fine dei rapporti idrodinamici fra i corsi d'acqua e l'ambiente circostante, sancendo la perdita dei valori paesaggistici, faunistici, agricoli e tradizionali con l'impossibilità di attuare nuovi processi di fruizione e sviluppo sostenibile;
   l'annullamento della qualifica di bellezza naturale, infine, metterebbe anche a rischio le fondamenta stesse del progetto «risanamento ambientale e valorizzazione del corridoio ecologico dei Regi Lagni» che recentemente ha avuto l'approvazione della Commissione europea con un corposo finanziamento comunitario di oltre 50 milioni di euro –:
   se le procedure e i provvedimenti adottati siano compatibili con i criteri di tutela del codice dei beni culturali e del paesaggio e della legislazione in materia;
   se questa politica territoriale a giudizio degli interroganti dissennata, possa compromettere la futura pianificazione ambientale e idrogeologica del territorio campano;
   di quali elementi disponga il Governo in merito agli effetti della revoca sul sistema idrico e sul potenziamento della sostenibilità ambientale dell'aria;
   se sia a rischio l'intero progetto della regione Campania finanziato dall'Unione europea e cofinanziato dallo Stato relativo al «Corridoio Ecologico dei Regi Lagni» finalizzato al risanamento ambientale dei Regi Lagni attraverso la bonifica del territorio e la promozione di un progetto idraulico di canalizzazione e sistemazione idraulica, nonché alla rivalorizzazione e riqualificazione dell'intero bacino idrografico a partire proprio da Marigliano dove il sistema di canali aveva origine;
   se risultino finora impiegati fondi statali e contributi europei per studi di fattibilità e progetti sovracomunali da parte della regione Campania, dell'Arpac e del consorzio di bonifica del basso Volturno: atti che appaiono agli interroganti inutili e contraddittori, quindi, rispetto all'ostinazione delle amministrazioni locali nel delineare indirizzi di gestione incoerenti e nell'uso improprio del territorio.
(4-01043)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   FAENZI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante evidenzia come all'interno della risposta scritta relativa all'interrogazione n. 4-13277 presentata nella scorsa legislatura, relativamente all'ipotesi di ristrutturazione della soppressione della compagnia dei carabinieri di Arcidosso, in provincia di Grosseto, il Ministro interrogato aveva confermato l'inesistenza di un piano di riordino, nei riguardi della medesima caserma, evidenziando in particolare come l'Arma dei carabinieri non avesse avanzato, alcuna proposta di riconfigurazione nella tenenza della richiamata compagnia;
   a distanza di quasi un anno, secondo informazioni in possesso dell'interrogante, l'Arma dei carabinieri sarebbe intenzionata ad accorpare il comando dei carabinieri di Arcidosso, con quello di Pitigliano, attraverso il declassamento da compagnia a tenenza prevedendone la soppressione della sede amiantina;
   l'interrogante rileva altresì che la regione Toscana ha approvato recentemente una proposta di quattro referendum per l'accorpamento di otto comuni, fra cui quelli dei comuni amiantini, le cui conseguenze potrebbero ripercuotersi nell'ambito della riorganizzazione delle strutture della pubblica amministrazione incluse anche quelle militari –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se corrispondano al vero, le intenzioni dell'accorpamento delle strutture militari esposte in premessa, che prevedendo il declassamento della compagnia dei carabinieri di Arcidosso (Grosseto) in tenenza, determinano la soppressione della medesima sede militare;
   in caso negativo se intendano mantenere la compagnia carabinieri di Arcidosso anche in considerazione della possibilità di utilizzo ottimale (coordinamento) delle strutture di recente realizzate in materia di protezione civile. (4-01049)


   PANNARALE, DURANTI, FRATOIANNI, ZAN e ZARATTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Parco nazionale dell'Alta Murgia, area naturale protetta situata in Puglia, nelle province di Bari e di Barletta, Andria e Trani, è stato istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 10 marzo 2004 («istituzione del Parco nazionale dell'Alta Murgia»);
   tale parco, è un ente autonomo regolato dalla legge n. 394 del 1991 (gli organi del parco sono: il consiglio direttivo, la giunta esecutiva, il collegio dei revisori dei conti, la comunità del parco);
   nel gennaio 1993, i comuni interessati deliberano la propria adesione al progetto di istituzione del parco — Altamura, Andria, Bitonto, Cassano delle Murge, Corato, Gravina in Puglia, Grumo Appula, Minervino Murge, Poggiorsini, Ruvo di Puglia, Santeramo in Colle, Spinazzola, Toritto — per un totale di oltre 450.000 abitanti;
   il 14 ottobre 1993 la conferenza dei servizi costituisce un comitato tecnico che dovrà elaborare una proposta di perimetrazione e le relative norme provvisorie di salvaguardia;
   il 24 novembre 1993 la suddetta conferenza dei servizi approva all'unanimità la proposta di perimetrazione del comitato tecnico e avvia l’iter amministrativo per l'istituzione del parco;
   nel marzo 1997 si approva la legge quadro regionale sulle aree protette pugliesi (legge regionale n. 19 del 1997) nella quale si prevede l'istituzione del parco regionale dell'Alta Murgia;
   nel dicembre 1998 la Camera dei deputati approva in via definitiva il disegno di legge «Nuovi interventi in campo ambientale» (legge n. 426 del 1998) che prevede l'istituzione del parco nazionale dell'Alta Murgia;
   nel 1999 viene presentata la bozza di perimetrazione del parco nazionale dell'Alta Murgia elaborata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'11 novembre 2002 viene sancito l'accordo preliminare tra i comuni interessati, la regione Puglia e il Ministero per la perimetrazione e per le norme transitorie di salvaguardia;
   nel 2003 la regione Puglia approva definitivamente con delibera di giunta regionale la perimetrazione del Parco;
   il parco ha un'estensione di circa 68.077 ettari, suddivisa in tre zone a tutela differenziata così ripartite: zona 1 — di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e storico-culturale, caratterizzata da prevalente paesaggio «steppico» e rupicolo; zona 2 — di valore naturalistico, paesaggistico e storico culturale, caratterizzata da prevalente paesaggio agricolo; zona 3 — di connessione ecologica e di promozione di attività economiche compatibili con le finalità del parco. In tale zona sono comprese le aree interessate da accordi di programma, ai sensi delle norme regionali in materia;
   l'area ha sia una forte valenza paesaggistica grazie alla presenza di fenomeni carsici che hanno modellato il calcare della zona rendendo possibili originali architetture rurali, sia un rilevante valore culturale per la presenza di numerose testimonianze preistoriche come il prezioso ritrovamento dell'Uomo di Altamura;
   la sorveglianza del parco è affidata al Corpo forestale dello Stato, organizzato nel coordinamento territoriale per l'ambiente cui fanno capo 3 comandi stazione forestali;
   flora e fauna sono costantemente monitorati. Di tutta l'area dell'Alta Murgia, 11.000 ettari sono costituiti da residui di bosco ad alto fusto (ivi compresi impianti artificiali di conifere) e ceduo. La fascia delle steppe a stipa, presente ad un'altitudine di circa 500 metri, caratterizza la Murgia Alta e rappresenta l'ultimo esempio di pseudo-steppa mediterranea presente nell'Italia peninsulare ed uno dei più importanti del Mediterraneo. Accertata la presenza di donnole, faine, lepri, roditori, volpi e, dopo la reintroduzione di alcune coppie di cinghiali che si sono rapidamente moltiplicati, si è potuto assistere al riaffacciarsi di lupi generalmente provenienti dalla vicina Lucania e, addirittura, dall'Abruzzo;
   nel parco nazionale dell'Alta Murgia sono presenti poligoni militari estesi per circa il 30 per cento del territorio, come da delibera regionale n. 400 del 23 febbraio 1983, che aveva approvato la delibera di giunta regionale n. 9116 del 20 settembre 1982, con la quale si destina a poligoni militari permanenti un'area complessiva di circa 15.000 ettari;
   nel territorio esistono già altre numerose installazioni ad uso militare;
   gli accordi relativi alla possibilità di utilizzare una parte del territorio del parco per effettuare esercitazioni militari sono antecedenti all'istituzione del parco stesso, regolati tra le stesse autorità militari e la regione Puglia;
   tali esercitazioni prevedono un impatto ambientale pericoloso per la zona, così come riportato da diversi studi scientifici. Infatti le esplosioni prodotte dalle simulazioni di guerra rilasciano nano particelle di metalli pesanti nell'aria e sul terreno, determinando il conseguente inquinamento della falda acquifera e l'aumento dell'incidenza di gravi malattie, fra cui formazioni tumorali, a causa della penetrazione delle stesse nei tessuti umani e animali;
   l'utilizzo a scopi militari dell'area è in contrasto con le politiche regionali pugliesi di tutela e di promozione del territorio, messe in atto dal Governo Vendola fin dal 2005, tra le quali, come esempio più recente, la DGR n. 1 dell'11 gennaio 2010 «Approvazione della proposta di Piano paesaggistico territoriale della Regione Puglia»;
   da diversi anni le cittadine e i cittadini pugliesi si sono espressi in maniera inequivocabile contro le installazioni militari nella regione;
   il presidente dell'ente parco Cesare Veronico, ha espresso massima contrarietà alla prosecuzione delle operazioni militari nelle aeree protette, dichiarando «proprio nelle ore in cui l'Alta Murgia intraprende ufficialmente il percorso per il conseguimento della Carta europea per il Turismo Sostenibile, prendo atto con rammarico della prosecuzione delle attività militari. Questo Parco deve essere percepito come un luogo di pace e di serena convivenza» –:
   quali siano i criteri generali sulla base dei quali si continui ad utilizzare a scopi militari alcune aree di grande valore ambientale, elencate nella legge quadro sulle aree protette (legge n. 394 del 1991, articolo 34), in cui l'Alta Murgia è stata inserita insieme ad altre zone del territorio italiano;
   se, alla luce di quanto illustrato in premessa, non sia opportuno sospendere le esercitazioni in corso, e procedere ad una smilitarizzazione dell'area interessata poiché, come già riportato, le operazioni militari effettuate prevedono conseguenze devastanti sul territorio e per la salute della popolazione. (4-01057)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   LAFFRANCO e BERNARDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle entrate ha pubblicato sul proprio sito internet, l'avvio dell'operatività del sistema di interscambio dati (SID) per l'acquisizione automatica delle informazioni sui conti correnti posseduti dai contribuenti presso gli intermediari finanziari;
   i predetti operatori specializzati, potranno pertanto iniziare a trasmettere all'amministrazione dello Stato, i dati relativi ai rapporti finanziari in essere con i propri clienti, in attuazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 201 del 2011 (articolo 11, commi 2 e 3);
   le informazioni da inviare sono relative all'identificativo del rapporto finanziario, ai saldi iniziali e finali del rapporto riferiti all'anno interessato dalla comunicazione e i dati degli importi totali delle movimentazioni distinte tra dare e avere per ogni tipologia di rapporto, conteggiati su base annua;
   la prima scadenza stabilita, dal provvedimento direttoriale del 25 marzo 2013, per l'invio delle comunicazioni è quella del 31 ottobre 2013, data entro la quale, dovranno essere trasmessi i dati relativi al 2011, mentre per quelli relativi al 2012, il termine è fissato al 31 marzo 2014;
   a regime, secondo quanto comunicato dalla stessa Agenzia delle entrate, i medesimi operatori finanziari, dovranno effettuare la comunicazione su base annuale, trasmettendola entro il 20 aprile dell'anno successivo al quale sono riferite le informazioni;
   a giudizio dell'interrogante, in considerazione di quanto suesposto, risulta necessario intervenire attraverso misure di monitoraggio e vigilanza, sia per la trasmissione dei dati, che per la loro conservazione, al fine di salvaguardare i diritti della protezione dei dati personali, i cui requisiti fondamentali per l'individuo, sono tutelati dal codice in materia di protezione dei dati personali previsti dal decreto legislativo 20 giugno 2003, n. 196;
   il Garante per la protezione dei dati personali a tal fine, attraverso una serie di comunicazioni all'anagrafe tributaria, ha infatti, rappresentato l'esigenza di integrare lo schema di provvedimento, con ulteriori misure di sicurezza, di natura tecnica e organizzativa, relative alle modalità di comunicazione dei dati, anche con riferimento al trattamento posto in essere dagli operatori finanziari finalizzato alla trasmissione dei dati;
   i medesimi operatori, secondo quanto disposto dal Garante per la protezione dei dati personali, sono obbligati all'osservanza delle seguenti misure di sicurezza: meccanismi di cifratura durante tutti i passaggi interni; limitare l'accesso ai file ad un numero ristretto di incaricati; aggiornare costantemente i sistemi operativi e i software antivirus e antintrusione e prevedere infine soltanto in forma cifrata l'eventuale conservazione dei dati;
   l'Agenzia delle entrate per contro ha il vincolo della predisposizione di canali telematici adeguati alle comunicazioni di un'elevata qualità di dati, privilegiando l'interconnessione diretta con i sistemi informativi di banche e di istituti finanziari, preoccupandosi di fornire agli operatori finanziari indicazioni e accorgimenti per la predisposizione dei file da inviare –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intenda confermare che le modalità di trasmissione dei dati effettuate dagli operatori siano coerenti con quanto stabilito dal Garante per la protezione dei dati personali;
   se l'agenzia delle entrate si sia attenuta in maniera rigorosa alle disposizioni del Garante per la protezione dei dati personali e abbia adottato tutte le misure di sicurezza necessarie per una rigorosa protezione dei dati dei cittadini italiani, così come riportato in premessa;
   se infine non ritenga opportuno svolgere, per quanto di competenza, un'attività di monitoraggio, al fine di evitare che siano riversati sui correntisti, gli oneri derivanti dai costi di funzionamento e delle trasmissioni dei dati al fisco e che sia garantito il più assoluto rispetto della riservatezza dei dati personali a seguito della ricezione delle comunicazioni annuali previste. (4-01059)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
   lo scorso 8 gennaio la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato nuovamente l'Italia per trattamento inumano e degradante di sette detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza, concedendo al nostro Paese un anno di tempo per trovare una soluzione al problema del sovraffollamento carcerario;
   tale condanna segue una precedente del 2009, sempre da parte dei giudici di Strasburgo, a seguito della quale nel gennaio 2010 il Consiglio dei ministri aveva varato il cosiddetto «piano carceri» che prevedeva la costruzione di nuovi penitenziari e l'ampliamento di quelli già esistenti, per un totale di 21.709 nuovi posti, e l'assunzione di duemila agenti di polizia penitenziaria;
   dopo l'ultima sentenza di condanna di gennaio, recentemente, invece, il Ministro della giustizia ha preannunciato che per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario del nostro Paese non bastano nuove carceri ma occorre ripensare il sistema delle pene, valutando se non ci siano spazi ulteriori per quelle alternative;
   il problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani è stato in passato risolto con amnistie e indulti, ma tali strumenti si sono rivelati del tutto inidonei a risolvere il problema, tanto che le carceri sono tornate in breve tempo stracolme come prima, nel frattempo creando ancora più problemi alla sicurezza dei cittadini;
   dal 1942 a oggi sono stati varati tra indulti e amnistie 25 provvedimenti (uno ogni 2,8 anni) e l'ultimo in ordine di tempo, che risale al 2006 (legge n. 241 del 2006), ha avuto effetti devastanti: dopo solo sei mesi dal provvedimento di clemenza il tasso di crescita dei delitti è aumentato dal 2,5 per cento al 14,4 per cento;
   parimenti inefficaci altri provvedimenti che si sono succeduti nel tempo e che hanno disposto o la messa alla prova o la concessione degli arresti domiciliari, considerato che le carceri sono sempre tornate in breve tempo a contenere un numero di detenuti superiore alla loro capacità recettiva e regolamentare;
   ciò è dimostrato dallo stesso progetto di legge n. 331, di iniziativa dell'onorevole Ferranti e altri, recante «Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili», attualmente in discussione alla Camera dei deputati, che segue a solo un anno di distanza quello voluto dall'allora Guardasigilli Paola Severino (decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito in legge n. 9 del 2012) recante «Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri», che prevedeva l'innalzamento da dodici a diciotto mesi della pena residua per poter accedere alla pena detentiva domiciliare, introdotta dalla legge 26 novembre 2010, n. 199, e dunque ad un maggior numero di detenuti;
   la legge n. 199 del 2010, benché prevedesse la possibilità di scontare in stato di detenzione domiciliare l'ultimo anno di pena residua, con esclusione di soggetti che scontavano una pena per i reati gravi, quali quelli previsti dall'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario e persone particolarmente pericolose, aveva una durata transitoria con validità «fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario» nonché l'adeguamento dell'organico del Corpo di polizia penitenziaria occorrente per fronteggiare la situazione emergenziale in atto;
   a seguito dell'emendamento del Governo al progetto di legge 331, potranno beneficiare degli arresti domiciliari gli autori di gravissimi reati quali, a titolo esemplificativo, stalking, prostituzione minorile, violenza privata, furto e altri, e che invece tale provvedimento non prevede alcun investimento a favore delle forze dell'ordine, cui sarà demandato il compito di effettuare i controlli sull'effettività delle detenzioni domiciliari;
   per stessa ammissione del Ministro della giustizia, beneficeranno di tale provvedimento circa 3-4 mila detenuti attualmente presenti nelle nostre carceri, una cifra irrisoria se si conta che l'esubero nei nostri istituti penitenziari riguarda circa 20 mila detenuti;
   mercoledì 26 giugno 2013 è stato inoltre approvato dal Consiglio dei ministri un ulteriore decreto che prevede per i reati punibili fino a quattro anni, anziché la pena detentiva in carcere, lo svolgimento di lavori socialmente utili, e che anche in questo caso riguarderebbe circa 3 mila detenuti;
   secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero della giustizia, la capienza regolamentare dei 206 istituti presenti nel nostro Paese è di 47.045 posti e che se dal totale dei detenuti presenti nelle nostre carceri (65.917) vengono sottratti quelli stranieri, (23.438), si ottiene un numero di detenuti (42.479), ben al di sotto della capienza regolamentare (47.045);
   il costo dei detenuti nelle nostre strutture carcerarie nonché i risarcimenti conseguenti alle condanne, anche future, per detenzione in strutture non adeguate è un serio problema, considerato che con l'ultima sentenza dell'8 gennaio l'Italia è stata condannata ad un risarcimento di 100 mila euro per danni morali;
   la possibilità di fare scontare le pene imputate a cittadini stranieri nei loro Paesi di origine comporterebbe notevoli benefici anche ai fini della vicinanza dei detenuti alle famiglie e del loro reinserimento nel proprio tessuto sociale al termine della detenzione –:
   se il Governo intenda affrontare il problema del sovraffollamento del sistema carcerario solamente attraverso provvedimenti d'urgenza come quelli sopra citati o se invece non ritenga necessario e più utile promuovere ed attuare una ampia serie di accordi internazionali, per far scontare in tutti i casi possibili la pena detentiva imputata a detenuti stranieri nei loro Paesi di origine.
(2-00117) «Giancarlo Giorgetti, Prataviera, Molteni, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Rondini».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GADDA e SENALDI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con la presente interrogazione si intende portare l'attenzione su una questione molto dibattuta a Varese e provincia, ovverosia del destino della casa circondariale della città;
   com’è noto con il cosiddetto decreto Fassino del 30 gennaio 2001 veniva prevista la chiusura della struttura Miogni, risalente ai primi del novecento e sita nel centro cittadino, e nel contempo erano stati stanziati fondi per l'edificazione di una nuova struttura;
   ad oggi tuttavia il nuovo carcere non è stato realizzato, anche per le difficoltà incontrate a reperire un'area idonea ad ospitare una struttura di questo tipo;
   la situazione attuale è la seguente: il piano carceri 2012 non prevede interventi sul carcere di Varese, e secondo il provveditore regionale del dipartimento di amministrazione penitenziaria Aldo Fabozzi l'edificio dei Miogni sarebbe totalmente in contrasto con le norme di sicurezza che regolano la vita dei detenuti. La soluzione prospettata sarebbe dunque la chiusura ed il trasferimento della maggior parte dei detenuti alla casa circondariale di Busto Arsizio; tale soluzione, tuttavia, è in stridente contrasto con la attuale situazione della casa circondariale e anche con lo stato più generale di sovraffollamento in cui versano la maggior parte delle carceri italiane. Nella struttura dei Miogni il sovraffollamento è un problema meno sentito che altrove – vi sono 113 detenuti a fronte di una capienza tollerata di 99 posti – , e negli ultimi due anni non sono stati segnalati suicidi, atti di autolesionismo o decessi in carcere. L'impressione, confortata anche dal parere di diversi operatori, è che la casa circondariale dei Miogni potrebbe essere completamente idonea alla propria funzione con alcuni interventi di ristrutturazione;
   nella maggiore parte delle carceri italiane la situazione non è purtroppo la medesima; secondo il Sappe, il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, la frequenza dei suicidi tra i detenuti è 20 volte superiore rispetto alla norma (dal 2000 ad oggi si sono verificati 778 suicidi tra i detenuti), mentre quella tra gli agenti penitenziari è 3 volte superiore alla norma e risulta anche la più elevata tra tutte le forze dell'ordine. La difficile condizione detentiva è annoverata tra le possibili cause di questo fenomeno. Negli ultimi decenni le carceri italiane hanno vissuto una progressiva perdita di legalità, con l'intensificarsi del sovraffollamento e della «detenzione sociale» (tossicodipendenti, immigrati), con la diminuzione delle opportunità di lavoro interno, delle risorse economiche per il «trattamento dei detenuti», del numero di personale penitenziario;
   per il mantenimento del carcere a Varese si è espressa all'unanimità la conferenza dei capigruppo del comune con un ordine del giorno approvato il 10 maggio 2013;
   nello stesso senso si sono espressi la magistratura e l'avvocatura locale (questi ultimi anche attraverso una raccolta firme in cui si chiede il mantenimento dei Miogni), che tra l'altro hanno fatto notare come, annualmente, vi siano circa 450 ingressi nel carcere di Varese e vengano eseguite circa 700 ordinanze in materia cautelare: l'eventuale soppressione della struttura, in un comune come Varese che ospita un tribunale di città capoluogo di provincia, e trasferimento di detenuti, magari in un istituto come quello di Busto Arsizio, già gravato da un forte sovraffollamento, segnalato e sanzionato persino dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, comporterebbe pertanto problemi logistici ed un sovraccarico di costi a carico dello Stato difficile da sostenere;
   nella visita effettuata il 7 giugno 2013 l'interrogante ha potuto riscontrare la necessità di consistenti interventi di ristrutturazione e manutenzione dell'edificio; si tratta di un istituto di piccole dimensioni che, pur tra mille difficoltà dovute essenzialmente all'assenza di fondi, continua a funzionare e proporre ai detenuti progetti di formazione e reinserimento;
   la comunità locale, che si è espressa chiaramente in merito al mantenimento del carcere a Varese e contro la sua chiusura prima della realizzazione della nuova struttura ovvero, più realisticamente, per la ristrutturazione dell'edificio esistente, chiede ora una risposta chiara e definitiva da parte del Governo –:
   se alla luce del nuovo piano carceri, non intenda rivedere la decisione della chiusura della casa circondariale di Varese, visto che anche a fronte della drammatica situazione in cui versano le carceri italiane, sarebbe molto più adeguato dal punto di vista delle risorse economiche investire in una ristrutturazione dell'edificio attuale. (5-00462)


   FRAGOMELI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 156 del 2012 (Revisione delle circoscrizioni giudiziarie — Uffici dei giudici di pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), adottato in attuazione dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, di conversione del decreto-legge n. 138 del 2011, ha previsto la soppressione di 667 uffici di giudice di pace dislocati in varie regioni del territorio nazionale;
   nell'ambito del territorio della provincia di Lecco è prevista la soppressione di entrambi gli uffici presenti, a Missaglia e a Bellano;
   per quanto riguarda la decorrenza degli effetti del decreto legislativo n. 156 del 2012, all'articolo 5 è previsto che le disposizioni del provvedimento entreranno in vigore successivamente all'emanazione del decreto di cui all'articolo 3, comma 3, del provvedimento stesso ovvero, nel caso in cui il Ministero non vi abbia provveduto, decorso il termine di cui alla medesima disposizione;
   il 28 febbraio 2013 il Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, in attuazione dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 156 del 2012, ha diramato le «Istruzioni per il mantenimento degli uffici del Giudice di Pace con oneri a carico degli enti locali» e il 29 aprile 2013 è scaduto il termine per la presentazione delle richieste, da parte degli enti locali interessati, di mantenimento delle sedi del giudice di pace soppresse in esecuzione del decreto legislativo n. 156 del 2012;
   l'amministrazione del comune di Missaglia, non essendo interessata ad assumersi gli oneri di mantenimento della sede del giudice di pace, ha invece espresso in diverse occasioni la necessità di entrare in possesso degli spazi occupati dall'attuale servizio giudiziario perché intenzionata ad adibirli ad ambulatori comunali;
   ad oggi, nonostante il disposto normativo di revisione, l'operatività degli uffici del giudice di pace di Missaglia continua ad essere garantita, con l'obbligo di accollo di circa due terzi delle spese gestionali in capo al comune di Missaglia –:
   se sia in grado di pronunciarsi sui reali tempi di attuazione dei decreti attuativi previsti dalle politiche di revisione della geografia giudiziaria ai sensi del citati decreto legislativo. (5-00470)


   ROSSOMANDO e TARICCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 395, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) ha previsto la proroga fino al 31 dicembre 2013 del personale della magistratura onoraria addetto al tribunale ordinario o alla procura della Repubblica presso il tribunale ordinario, in attesa della riforma della magistratura onoraria;
   i magistrati onorari (giudici ordinari di tribunale e i vice procuratori onorari) svolgono le medesime funzioni del magistrato ordinario per un periodo di tempo determinato, sono soggetti a proroghe annuali, senza ricevere una retribuzione ma solo un rimborso spese per l'attività svolta;
   con il decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155, recante «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero», attuativo della delega di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148, è stata prevista la riorganizzazione degli uffici giudiziari sul territorio nazionale, attraverso la soppressione degli uffici giudiziari periferici e l'accorpamento dei tribunali sull'intero territorio nazionale;
   ai sensi dell'articolo 5, comma 5 del citato decreto legislativo n. 155 del 2012 è stato previsto che i magistrati onorari presso gli uffici giudiziari soppressi vengano assegnati agli uffici giudiziari cui sono trasferite le funzioni;
   i magistrati onorari, che nella maggioranza dei casi svolgono la loro attività onoraria in una sede e la professione di avvocato in un'altra, circostanza questa oggi possibile nell'ampiezza di un territorio su cui insistono più tribunali, si troveranno nell'impossibilità di assumere l'incarico a causa della contrazione delle sedi giudiziarie, dovendo dare l'opzione sugli incarichi nello stesso territorio ove esercitano la professione –:
   quali iniziative intenda porre in atto, in considerazione di quanto esposto in premessa, al fine di consentire ai magistrati onorari di mantenere la possibilità di svolgere le funzioni attribuite loro dal ruolo onorario senza per questo rinunciare alla professione. (5-00472)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VELO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2013 entrato in vigore il 3 giugno 2013, dispone delle modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, in materia di veicoli eccezionali e trasporti in condizioni di eccezionalità;
   nel corso degli anni il comparto dell'autotrasporto aveva sollecitato più volte la necessità di rendere le procedure più armoniche con le esigenze operative della categoria individuando le possibili soluzioni per una migliore utilizzazione del parco veicolare esistente;
   al contrario, con l'entrata in vigore del sopracitato decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2013 non sarà più possibile conseguire l'autorizzazione periodica per il parco veicolare esistente che, a causa delle particolari caratteristiche tecniche di gran parte dei veicoli in disponibilità alle imprese, si troverà nella situazione di non idoneità al trasporto;
   infatti, le imprese di trasporti eccezionali da oltre venti anni, sono andate avanti in una paradossale situazione di fatto, poiché ante decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2013 l'autorizzazione periodica per i suddetti veicoli, era già preclusa; tuttavia veniva di fatto concessa per i suddetti veicoli secondo una prassi consolidata in contrasto con la disciplina vigente;
   con la modifica del decreto del Presidente della Repubblica n. 31 del 2013 in particolare ai trattori-motrici eccezionali per massa verrebbe preclusa non solo la possibilità di conseguire l'autorizzazione periodica ma anche la «singola» e la «multipla» escludendoli dal conseguimento di qualsiasi tipo di autorizzazione e rendendoli completamente inutilizzabili, con un danno economico ingentissimo per le aziende che operano nel settore del trasporto eccezionale;
   le aziende che operano nel settore dei trasporti eccezionali utilizzano circa seimila mezzi, la mancanza del rinnovo delle autorizzazioni mette a repentaglio la sopravvivenza delle centinaia di aziende con la conseguente perdita del lavoro per i settemila addetti;
   gli operatori sono spesso gravati da investimenti programmati e sostenuti con mutui onerosi, leasing o finanziamenti che in questo specifico momento di recessione, non consentono di cambiare tutto il proprio parco veicolare e, nel contempo, il completo deprezzamento dell'usato degli stessi mezzi rischia di dissipare totalmente il capitale aziendale di molte realtà –:
   se il Ministro ritenga di assumere iniziative per l'introduzione di una norma transitoria che preveda la possibilità di continuare a rilasciare le autorizzazioni periodiche per i veicoli che le avevano conseguite in precedenza, pur superando i limiti di massa di cui all'articolo 62 del Codice della strada (eccezionali per massa), al fine di consentire alle imprese del settore una graduale e sostenibile sostituzione del parco veicolare, salvaguardando la possibilità che i veicoli eccezionali per massa possano continuare a conseguire autorizzazioni «singole» e «multiple». (5-00463)


   SENALDI e PELUFFO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi della legge n. 443 del 2001, il 1o programma delle infrastrutture strategiche, approvato dal CIPE con deliberazione del 21 dicembre 2001 n. 121, ha individuato un collegamento ferroviario, in trincea ed in galleria sul territorio del Comune di Gallarate, all'interno del progetto preliminare accessibilità da Nord a Malpensa;
   il progetto, del costo stimato di 1,2 miliardi di euro, è in attesa da più di 11 anni, dell'esame da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ai fini dell'approvazione da parte del CIPE, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 190 del 2002;
   i vincoli urbanistici derivati, recepiti dal PTR della regione Lombardia, sono stati obbligatoriamente inseriti nel Piano di Governo del Territorio del Comune di Gallarate, creando grave preoccupazione ed incertezza nella popolazione, oltre a impedire qualsiasi opera di urbanizzazione, ampliamento e ristrutturazione sugli edifici insistenti sulla fascia di rispetto individuata in 150 metri;
   l'opera prevista pone serie criticità ambientali come indicato nel Rapporto Ambientale allegato al Piano del Governo del Territorio del Comune di Gallarate che, inoltre, individua una soluzione a minor impatto ambientale ed a minor costo; specificamente il rapporto ambientale recita: «In proposito il PGT ha inteso sostenere una più valida alternativa di detto tracciato la sola tratta Malpensa terminal 1-terminal 2 (questo tra l'altro già nel programma iniziale di Opere per Milano Expo 2015) fino alla linea RFI Luino-Gallarate (attraverso il territorio di Casorate Sempione);
   ciò consentirebbe non solo l'allaccio diretto Malpensa-Gallarate ma altresì l'estensione del servizio cadenzato già in essere «FNM-Malpensa Express» (attualmente sulla tratta Milano-Saronno-Busto Arsizio-Terminal 1) a una configurazione «circolare» (nei due sensi di direzione) e cioè in proseguo da Terminal 1 a Terminal 2 a Gallarate e quindi a Milano sulla attuale rete RFI (Gallarate-Rho-Milano);
   peraltro la connessione con Mendrisio-Lugano avrebbe pur sempre luogo tramite l'attuale linea Varese-Gallarate (da opportunamente adeguare) con interscambio di tipo metropolitano nella stazione di Gallarate, facilitato dalla intensa frequentazione del traffico ferroviario sulla linea Varese-Gallarate-Milano a sua volta agevolata anche dalla prevista quadruplicazione binari» –:
   se, a distanza di più di undici anni e in presenza di evidenti criticità ambientali, di un progetto alternativo per il collegamento da Nord a Malpensa e di costi elevatissimi che rendono l'opera, così come preliminarmente progettata, di fatto irrealizzabile il Ministero non intenda stralciare il progetto attuale dal 1o programma delle infrastrutture strategiche, così da poter rivalutare un nuovo tracciato di collegamento e dare certezza alle migliaia di persone che vivono ed abitano sopra o a ridosso del previsto tracciato.
(5-00469)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VECCHIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 28 giugno 2013 scade il contratto tra il Ministero e il Consorzio Metromare, formato da Ustica Lines e Bluferries, e la cosiddetta metropolitana dello Stretto si fermerà;
   il servizio, presente da tre anni, è stato utilizzato da milioni di passeggeri (pendolari che ogni mattina si recano al lavoro spostandosi tra le due regioni) e conta 30 collegamenti giornalieri tra Messina e Reggio Calabria e 28 collegamenti giornalieri tra Messina e Villa San Giovanni –:
   quali siano le iniziative che il Ministro interrogato intenda intraprendere per realizzare finalmente un collegamento veloce, funzionale e sicuro tra la sponda calabra e quella siciliana, divenuta ormai un'area metropolitana omogenea;
   quale sia lo stato di avanzamento dell'assegnazione con gara del servizio di collegamento veloce tra la Sicilia e la Calabria. (4-01034)


   BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 maggio 2004 a Torino è stato sottoscritto tra la Regione Piemonte, la Provincia del Verbano Cusio Ossola, la Provincia di Novara, la Comunità Montana Valle Ossola, la comunità Montana Monte Rosa, la comunità Montana Strona e Basso Toce, la comunità Montana Cusio Mottarone, la comunità Montana dei Due Laghi, i comuni di Ameno, Anzola d'Ossola, Armeno, Bolzano Novarese, Borgomanero, Briga Novarese, Casale Corte Cerro, Colazza, Gozzano, Gravellona Toce, Invorio, Mergozzo, Miasino, Omegna, Ornavasso, Pettenasco, Pieve Vergonte, Premosello Chiovenda, Vogogna, il GRTN S.p.A. (ora TERNA) e TERNA spa il «Protocollo di intesa razionalizzazione della rete di trasmissione nazionale a 132 kV della Val d'Ossola Sud»;
   in data 10 settembre 2007 è stata formulata l'intesa Stato-Regione da parte della regione Piemonte tramite una delibera di giunta regionale n. 29-6829;
   in data 21 dicembre 2007 il Ministero dello sviluppo economico, con decreto n. 237/EL-39/44/2007, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 4 del 24 gennaio 2008, ha autorizzato in via definitiva la costruzione e l'esercizio delle opere elettriche dell'intervento denominato «Razionalizzazione della rete di trasmissione nazionale a 132 kV della Val d'Ossola Sud», con dichiarazione di pubblica utilità delle opere;
   il progetto, così come autorizzato dal Ministero dello sviluppo economico prevede per gli elettrodotti 132 kV nel tratto di attraversamento della frazione di Agrano (comune di Omegna) il passaggio da linea area a linea in cavo interrato;
   TERNA sulla base del decreto ministeriale 21 dicembre 2007 e dalla delibera di giunta Regionale 28 dicembre 2006 n. 56-5004 ha due obblighi precisi:
    a) interrare per circa 550 mt i cavi dell'elettrodotto nella frazione di Agrano (comune di Omegna);
    b) realizzare progetto ed opere di urbanizzazione a favore del comune di Omegna nella frazione di Agrano a compensazione di un impatto ambientale riconosciuto dalla regione e dal Ministero come assolutamente necessario per il comune di Omegna (pagina 11 DGR 28 dicembre 2006 n. 56/5004);
   la lettera a) imponeva pertanto che Terna dovesse realizzare rapidamente l'interramento dei cavi come indicato espressamente nel decreto che peraltro prevedeva, in quanto opere di pubblica utilità nazionale, che per dette opere Terna avesse titolo per fare espropri o imporre servitù e quanto servisse alla realizzazione di detta opera;
   ad oggi, le opere di interramento dei cavi in località Agrano risultano essere incompiute;
   Terna, nonostante le numerose sollecitazioni avute dall'amministrazione Comunale di Omegna e dai residenti della frazione di Agrano, si sia dimostrata inadempiente rispetto i precisi obblighi derivanti dal sopracitato decreto ministeriale 21 dicembre 2007 n. 237/EL-39/44/2007, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 4 del 24 gennaio 2008;
   la mancata realizzazione di tali opere, unitamente al potenziamento della rete avvenuto con la posa di nuovi cavi sulla linea, comporta la profonda preoccupazione per la salute dei residenti di Agrano –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di intervenire nei confronti di Terna affinché velocizzi le procedure e proceda nel più breve tempo possibile alle opere di interramento dei cavi per garantire il rispetto degli impegni presi da Terna nei confronti del Ministero e al fine di garantire il necessario diritto alla salute dei residenti della frazione di Agrano.
(4-01035)


   BRAGA e GUERRA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la stazione ferroviaria di Como San Giovanni dotata di servizi ferroviari suburbani, regionali e internazionali, passanti e di superficie, è la principale porta d'ingresso alla città e alle zone turistiche del lago di Como nonché snodo fondamentale per i transiti turistici e commerciali posto sulla direttrice Nord-Sud d'Europa sulla linea del Gottardo;
   secondo quanto appreso da Ferrovie federali svizzere, la stazione di Como San Giovanni si appresterebbe a subire un rilevante declassamento rischiando di non essere più di fatto considerata stazione destinata a servire gli scali internazionali;
   le Ferrovie federali svizzere (FFS), d'intesa con il gruppo Rete ferroviaria italiana (Rfi), hanno di recente comunicato in un documento il programma di revisione completa, anche se ancora in via di definizione, della linea Eurocity Milano-Zurigo dal quale si prevede che a partire «dal 15 giugno 2014», un anno prima di Expo 2015, «entrerà in servizio un nuovo concetto per i treni internazionali della linea del Gottardo concordato con tutti i partner che ad esso fanno capo, quindi Regione Lombardia con Trenitalia e Trenord, il Canto Ticino e le FFS Tilo per il versante svizzero. Nello specifico, per i treni internazionali Eurocity Zurigo-Milano Centrale è stata creata una nuova traccia. Le nuove relazioni che circoleranno ogni due ore, in alcune fasce orarie, all'arrivo a Como San Giovanni, entrerebbero in conflitto con il traffico regionale Chiasso-Como-Milano che viaggia sulla linea S11. Per questo motivo, alcune relazioni Eurocity transiteranno dalla galleria di Monte Olipino 2. Tale percorso non permetterà di servire la stazione di Como San Giovanni»;
   le corse che faranno scalo a Como, sempre secondo quanto previsto da Ferrovie federali svizzere e Rete ferroviaria italiana, passeranno infatti da 14 collegamenti presenti oggi, di cui 8 da e per Zurigo, a soli 2 collegamenti da e per Lucerna, mentre non sarà più possibile raggiungere direttamente lo scalo di Zurigo. Como verrà quindi servita da due soli Eurocity, uno che partendo da Lucerna farà scalo alle 12,15 a Como San Giovanni per poi proseguire la sua corsa verso Milano centrale, e un altro che partito dalla stazione di Milano Centrale fermerà alle 15,44 a Como San Giovanni con destinazione Lucerna. Lo scalo comasco perderà circa l'86 per cento del volume di traffico a favore, presumibilmente, della stazione di Chiasso, destinata a trasformarsi nel vero capolinea internazione della linea del Gottardo;
   nonostante il gruppo Rete ferroviaria italiana si limiti a sottolineare che «la stazione di Como San Giovanni resta internazionale», precisando però che «è ancora presto stabilire cosa accadrà da qui a giugno 2014», è di tutta evidenza il declassamento sostanziale della principale stazione lariana con conseguenze pesantissime per la vocazione turistica del territorio comasco e della città di Como in particolare, che si troverebbe di fatto tagliata fuori dai maggiori collegamenti internazionali lungo l'asse Nord-Sud d'Europa;
   l'esclusione della stazione di San Giovanni dai collegamenti internazionali comporterebbe ricadute negative, in termini di qualità e quantità del servizio offerto, per tutto il territorio comasco: nel settore del turismo su cui si concentra buona parte dello sforzo e dello viluppo economico del lago di Como; nei riguardi dei flussi di persone, viaggiatori pendolari e turisti da e verso l'Europa, costretti a subire disagi sempre più rilevanti; per il ruolo e la capacità attrattiva, reale e potenziale, che la città capoluogo di provincia di Como è in grado di esprimere, anche in vista della manifestazione universale dell'Expo 2015 di Milano;
   nella stazione di Como San Giovanni si riscontrano inefficienze e situazioni di degrado non più sostenibili: i sette teleindicatori sono da tempo fuori servizio, nessun pannello luminoso indica in stazione i treni in arrivo e in partenza, il soffitto della pensilina del secondo marciapiede di stazione rischia di recare danni ai passeggeri, mancano scale mobili e ascensori che consentano di facilitare il trasporto dei bagagli, le sale d'aspetto sono fatiscenti e inadeguate per i viaggiatori in attesa, al primo piano il bagno per i disabili risulta chiuso così come gli sportelli dell'Infopoint;
   Trenitalia ha da poco comunicato di voler chiudere la biglietteria della stazione di Como San Giovanni la domenica e i festivi a partire dal 16 giugno fino al 30 settembre 2013 con un'ulteriore riduzione d'orario prevista per le giornate di sabato quando la biglietteria rimarrà aperta non più, come gli anni precedenti, dalle ore 6,00 alle ore 20,20 ma dalle ore 9,00 alle ore 18,40. Inoltre, le emettitrici informatizzate di biglietti e abbonamenti che dovrebbero funzionare da alternativa agli sportelli con operatori, oltre a creare difficoltà nel reperire moneta metallica e cartacea da poter impiegare nei distributori automatici, risultano molto spesso fuori uso o mal funzionanti;
   a tali carenze e inefficienze Rete ferroviaria italiana, nel corso di un incontro avvenuto poche settimane fa con il comune e camera di commercio di Como, ha annunciato la decisione di finanziare l'esecuzione di interventi di ristrutturazione e riqualificazione della stazione San Giovanni di Como per un importo pari a 4 milioni di euro, da qui al biennio 2014-2015, così distribuiti: un primo milione da investire nel 2013 per il rinnovo completo dell'impianto di informazione al pubblico, visivo e di diffusione sonora, la ristrutturazione della pensilina del secondo marciapiede della stazione con i relativi impianti di illuminazione; i restanti 3 milioni di euro da utilizzare entro il 2015 per «adeguare la stazione a standard qualitativi più elevati propri di un impianto inserito in un contesto turistico di carattere internazionale»;
   il declassamento della stazione San Giovanni di Como emarginata dai collegamenti internazionali, nato dall'esigenza di Ferrovie federali svizzere e Rete ferroviaria italiana di creare una nuova traccia per i treni internazionali Eurocity Zurigo-Milano centrale, arriva quindi all'indomani dell'incontro tra la stessa Rete ferroviaria italiana, comune di Como e camera di commercio comasca nel corso del quale sono stati invece programmati investimenti per 4 milioni di euro per interventi sulla stessa stazione lariana –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'intenzione da parte di Rete ferroviaria italiana di operare il sostanziale declassamento dello snodo ferroviario fondamentale per i transiti turistici e commerciali posti sulla direttrice Nord-Sud d'Europa sulla linea del Gottardo;
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Governo intenda adottare per garantire agli utenti del trasporto ferroviario collegamenti e servizi adeguati per qualità, velocità e frequenza in una logica di sistema integrato tra corse regionali, nazionali e in particolare, internazionali anche in considerazione della vocazione turistica e produttiva della città di Como e del ruolo internazionale che sino ad ora ha avuto la stazione San Giovanni, questo alla luce del tentativo in atto di revisione completa della linea Eurocity Milano-Zurigo da parte delle Ferrovie federali svizzere e di Rete ferroviaria italiana;
   come intenda il Governo adoperarsi al fine di garantire ai numerosi utenti pendolari e turisti della stazione di Como San Giovanni il diritto ad un servizio pubblico efficiente, anche per quanto riguarda il servizio di biglietteria, di modo che la principale stazione della provincia di Como possa rispondere in modo adeguato alle esigenze attuali e future dei suoi utilizzatori. (4-01045)


   PAOLUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16, comma 5, del decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012 n. 134, nominava il commissario ad acta, ai sensi dell'articolo 14, comma 22, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per l'attuazione delle misure relative alla razionalizzazione e al riordino delle società partecipate regionali, recate dal piano di stabilizzazione finanziaria della regione Campania, approvato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 20 marzo 2012, al fine di consentire l'efficace realizzazione del processo di separazione tra l'esercizio del trasporto ferroviario regionale e la proprietà, gestione e manutenzione della rete, anche in applicazione dell'articolo 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 (Gazzetta Ufficiale n. 216 del 16 settembre 2011), salvaguardando i livelli essenziali delle prestazioni e la tutela dell'occupazione;
   in data 16 novembre 2012, si insediava il Commissario ad acta, dottor Pietro Voci;
   in particolare, il Commissario ad acta (ai sensi del già citato articolo 16, comma 5, del decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83):
   a) effettua, entro 30 giorni, una ricognizione della consistenza dei debiti e dei crediti delle società esercenti il trasporto regionale ferroviario;
   b) nei successivi 60 giorni, sulla base delle risultanze dello stato dei debiti e dei crediti, elabora un piano di rientro dal disavanzo accertato e un piano dei pagamenti, alimentato dalle risorse regionali disponibili in bilancio e dalle entrate conseguenti all'applicazione delle disposizioni di cui al comma 9, della durata massima di 60 mesi, da sottoporre all'approvazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'economia e delle finanze. Il piano di rientro dovrà individuare gli interventi necessari al perseguimento delle finalità sopra indicate e all'equilibrio economico delle suddette società, nonché le necessarie azioni di riorganizzazione, riqualificazione o potenziamento del sistema di mobilità regionale su ferro;
   inoltre, il comma 6 del succitato decreto-legge stabilisce che – nelle more della predisposizione dei piani di cui ai precedente punto ed al fine di garantire la continuità dell'erogazione dei servizi di trasporto pubblico regionale nel rispetto della normativa vigente e con le risorse disponibili allo scopo a carico del bilancio regionale – il commissario adotta ogni atto necessario ad assicurare lo svolgimento della gestione del servizio da parte di un unico gestore a livello di ambito o bacino territoriale ottimale, coincidente con il territorio della Regione, ai sensi dell'articolo 4, comma 32, lettera a), del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, garantendo in ogni caso il principio di separazione tra la gestione del servizio e la gestione e manutenzione delle infrastrutture;
   il comma 7 stabilisce, inoltre, che, al fine di assicurare lo svolgimento delle attività di cui al citato comma 5 e l'efficienza e continuità del servizio di trasporto secondo le modalità di cui al comma 6, per un periodo di 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive, anche concorsuali, nei confronti delle società a partecipazione regionale esercenti il trasporto ferroviario regionale ed i pignoramenti eventualmente eseguiti non vincolano gli enti debitori e i terzi pignorati, i quali possono disporre delle somme per le finalità istituzionali delle stesse società. I relativi debiti insoluti producono, nel suddetto periodo di dodici mesi, esclusivamente gli interessi legali di cui all'articolo 1284 del codice civile, fatti salvi gli accordi tra le parti che prevedono tassi di interesse inferiori;
   pertanto, il commissario ad acta è un organo straordinario dell'amministrazione, in quanto la sua nomina comporta la sostituzione, agli organi amministrativi ordinariamente competenti, di un organo straordinario, competente solo per l'esecuzione di quanto previsto dallo specifico oggetto, ovvero, in particolare, dall'articolo 16, comma 5, del decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 134;
   la giunta regionale della Campania, con delibera n. 799 del 21 dicembre 2012, finalizzava il processo di fusione per incorporazione delle società circumvesuviana srl, Sepsa spa e Metrocampania NordEst srl in ente autonomo Volturno srl il 27 dicembre 2012, veniva stipulato l'atto notarile che sanciva la fusione per incorporazione in EAV s.r.l. di Circumvesuviana s.r.l., Sepsa s.p.a e MetroCampania Nord-Est s.r.l.;
   allo stato, non si ha alcuna evidenza delle peculiari attività previste dall'articolo 16 e di tutte le azioni operative poste in essere dal commissario ad acta per ottenere le finalità richieste;
   risulta che il commissario ad acta, non solo, ha posto sotto la propria egida provvedimenti – tipici dell'amministrazione e pertanto di carattere ordinario – relativi al personale aziendale e dirigenziale, ma interviene anche nell'esercizio del potere ordinario, sostituendosi in toto all'organo amministrativo della società. In particolare, risulta che il Commissario ad acta – partecipi, ad avviso dell'interrogante non legittimamente, a riunioni con le organizzazioni sindacali, esprima (direttamente o indirettamente) pareri autorizzativi su organigrammi dirigenziali e funzionali, emani atti che attengono all'organizzazione del lavoro ed alla ordinaria gestione del personale (dirigenziale e non), condizionando, di fatto, le scelte della Società sia in termini gestionali che organizzativi, e quindi esulando dal proprio mandato, a scapito dei tempi imposti per legge alla sua attività –:
   se rientri nella facoltà del Commissario ad acta di avvalersi delle proprie funzioni di fatto, scavalcando ed «esautorando» l'organo amministrativo ad avviso dell'interrogante senza attenersi a quanto specificatamente previsto dal decreto-legge in argomento;
   se – nell'ambito delle proprie competenze – codesto Ministero intenda porre in essere misure ed accertamenti al fine di appurare le ragioni sottese a tali modalità operative;
   se sia stata completata, ed in che tempi, la ricognizione della consistenza dei debiti e dei crediti delle società esercenti il trasporto regionale ferroviario; in tal caso, quali siano le risultanze finali;
   quali siano gli ostacoli che, a distanza di ben sette mesi dall'insediamento (a fronte dei 90 giorni previsti dalla legge), abbiano impedito l'elaborazione di un piano di rientro dal disavanzo accertato e di un piano dei pagamenti dei fornitori;
   quali siano gli interventi individuati dal commissario ad acta per il perseguimento delle finalità sopra indicate e dell'equilibrio economico delle suddette società, nonché le necessarie azioni di riorganizzazione, riqualificazione o potenziamento del sistema di mobilità regionale su ferro;
   quali siano gli atti che il commissario ha posto in essere per garantire (in quanto scopo primario del legislatore alla formulazione dell'articolo 16 del decreto-legge n. 83 del 2012) la continuità dell'erogazione del servizio di trasporto pubblico regionale che, allo stato, vengono resi in maniera parziale, con rotabili non adeguati ed in cattive condizioni igieniche e senza nessuna prospettiva di miglioramento nei prossimi mesi; anzi, è prevedibile un maggiore deterioramento delle condizioni di trasporto offerte;
   quale sia lo stato dell'arte del processo di separazione tra la gestione del servizio e la gestione e manutenzione delle infrastrutture e in particolare, se siano stati (a distanza di sette mesi) individuati i relativi fattori di costo, le ipotesi di sostenibilità tecniche ed economiche, nonché la definizione dei rapporti tra il gestore della infrastruttura e l'impresa ferroviaria;
   quali siano le azioni operative individuate al fine di riorganizzare il servizio di trasporto pubblico locale su ferro a livello regionale, ovvero se siano state studiate le interazioni tra i gestori di trasporto su ferro operanti nella Regione Campania;
   se si stia procedendo al pagamento dei fornitori e se ciò favorisca la ripresa delle attività manutentive sia dell'infrastruttura che del trasporto e, in particolare, se a fronte dei pagamenti per crediti pregressi, i fornitori abbiano accettato di continuare le forniture correnti;
   se sia stato elaborato un budget preventivo dell'anno 2013, comprensivo della valutazione delle penali per il servizio non svolto totalmente nei primi tre mesi; in particolare, se vi sia la sostenibilità economica dell'esercizio annuale con i flussi di cassa derivanti dall'obbligo di servizio;
   se siano stati formalizzati atti con la regione Campania per la ridefinizione dei corrispettivi contrattuali e/o per una eventuale transazione delle penali applicate dalla stessa Regione Campania per prestazioni non rese e in particolare, si chieda di conoscere a quanto assommino le predette penali per le tre società;
   se siano state individuate le azioni operative tese all'effettiva realizzazione del processo di separazione tra l'esercizio del trasporto e l'infrastruttura e, di conseguenza, se sia stato elaborato un piano per l'esercizio futuro che individui – per le singole divisioni – i principali costi di gestione economico-finanziaria, i relativi ricavi, la gestione e l'organizzazione del personale, nonché gli eventuali criteri da adottare per il trattamento degli esuberi/carenze relativo al personale aziendale (esodo agevolato, contratto di solidarietà, riqualificazione e altro);
   perché il commissario non abbia rescisso il disciplinare di concessione con cui la regione Campania ha delegato alle aziende ferroviarie, ora fuse, la gestione di consistenti interventi infrastrutturali, allo stato gravati da contenziosi derivanti sia dalla gestione degli stessi interventi (vedi relazione della Corte dei conti sugli interventi relativi alla tratta Aversa-Giugliano- Piscinola-Capodichino con i particolare riferimento alle procedure espropriative oggetto di indagine da parte della Guardia di Finanza) che dal mancato pagamento da parte della regione Campania di Sal regolarmente emessi;
   a quale titolo, sempre in tema di investimenti, il commissario adotta (o pensi di adottare) decisioni in merito alle priorità sia di ultimazione delle opere che alla necessità di transigere i contenziosi in atto, anche qui ad avviso dell'interrogante esautorando la regione Campania della propria potestà in termini di individuazione delle linee strategiche e del riassetto degli interventi infrastrutturali, considerato che, d'altra parte, le aziende ora fuse erano e rimangono semplici strumenti di attuazione di una decisione politica di esclusiva competenza dell'ente regionale;
   in ultimo, quali siano le reali condizioni economico-finanziarie della società EAV, al fine di garantire (in toto) le prestazioni richieste dai contratti di servizio in vigore precedentemente al Decreto di obbligo del servizio (D.D. n. 57 del 28 marzo 2013); in particolare, se sussistano, allo stato, debiti verso enti previdenziali e contributivi e se vi sia la necessaria capacità economico-finanziaria previste per le imprese ferroviarie circolanti sulle linee RFI. (4-01051)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   SPERANZA, FERRO, BONACCORSI, COSCIA, FIANO, GAROFANI, GIACHETTI, META, FIORONI, MAZZOLI, MELILLI e MICCOLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del tribunale di Roma del 15 novembre 1996 è stato confiscato ad Enrico Nicoletti, noto esponente della criminalità organizzata e reputato il tesoriere della «banda della Magliana», un immobile sito in via dei pescatori n.c. 14 in Castel Gandolfo;
   l'immobile, denominato «Il castelletto» consta di una villa, costruita nel 1952, con annesso garage di circa 200 metri quadrati su strada, e circondata da un parco molto vasto;
   l'immobile, il cui valore, stimato nel 2007 in circa 1.145.000,00 euro, versa, in pessime condizioni;
   nel 2002 l'Agenzia del demanio della regione Lazio ha posto in essere un bando per verificare ove vi fossero eventuali manifestazioni di interesse per l'immobile;
   il comune di Castel Gandolfo ha risposto favorevolmente all'Agenzia del demanio avanzando richiesta di trasferimento al proprio patrimonio indisponibile per finalità sociali;
   nell'anno 2003 la prefettura competente ha espresso parere favorevole al trasferimento del bene al comune di Castel Gandolfo;
   la struttura nell'anno 2003 era però occupata dal signor Campi Alessio, nei cui confronti l'Agenzia del demanio del Lazio ha, nel corso dello stesso anno, emesso ordinanza di sfratto;
   il signor Campi si è opposto allo sfratto ricorrendo al TAR che accogliendo, nel 2008, il ricorso del Campi ne ha sospeso l'ordinanza della prefettura fino alla decisione finale di conferma dello sfratto;
   il signor Campi non ha mai voluto lasciare l'immobile, e va detto che vi sono stati anche 3 tentativi, non andati a buon fine, di sfratto forzoso;
   nell'ottobre 2012 il comune di Castel Gandolfo entra finalmente in possesso dell'immobile;
   in considerazione della evidente situazione di abbandono dell'immobile, e le risorse necessarie per il suo recupero, valutabili in circa 400.000,00 euro non è stato possibile avere nell'immediato la fruibilità del «castelletto»;
   l'associazione Libera ha promosso due giornate di pulizia del parco ad opera di scouts di Roma e Castel Gandolfo e finalmente il 9 giugno 2013 il castelletto è stato aperto alla collettività negli spazi ritenuti agibili con una iniziativa denominata «dal bene confiscato al bene comune»;
   l'apertura della struttura ha suscitato grande partecipazione e interesse da parte della cittadinanza di Castel Gandolfo e nel corso della manifestazione di inaugurazione vi sono state testimonianze e interventi sui temi della legalità e del contrasto alle organizzazioni criminali;
   dopo 3 giorni, e cioè in data 12 giugno 2013, come riportato dalle cronache, davanti ad un convento di Propaganda Fide sempre a Castel Gandolfo è stata rinvenuta una busta chiusi contenente un proiettile, indirizzata al sindaco Milvia Monachesi, con un biglietto recante una scritta inquietante «con i saluti della Magliana»;
   ad oggi, è stato presentato in regione, con la collaborazione dei comuni di Albano laziale ed Ariccia, un progetto che prevede presso la struttura confiscata la realizzazione nella parte usufruibile di una officina delle arti e dei mestieri con la finalità di valorizzare la creatività delle nuove generazioni del comprensorio;
   obiettivo delle istituzioni locali e del mondo associativo comprensoriale è quello di recuperare alla collettività un bene simbolo nella lotta alle organizzazioni criminali –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare innanzitutto in merito alle minacce pervenute al sindaco, Milvia Monachesi, e se è possibile ipotizzare un percorso istituzionale condiviso, anche con il Ministero, al fine di recuperare e valorizzare l'immobile rendendolo fruibile nella sua interezza al servizio della comunità. (3-00153)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DADONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da anni la città di Saluzzo, in particolare, e altri comuni della provincia di Cuneo, sono meta di flussi sempre più cospicui di braccianti africani che raggiungono queste zone in occasione della stagione di raccolta della frutta. Territori questi che rappresentano uno tra i più importanti distretti frutticoli non solo in Piemonte, ma anche in tutta Italia;
   tale raccolta, che si concentra nei soli mesi estivi, negli anni ha assistito all'arrivo di lavoratori provenienti da diverse parti, prima dal sud Italia, e poi dal Nord Africa, dall'Albania, dall'est Europa, e, ora dalla Cina;
   detto fenomeno ha registrato un lieve miglioramento nel corso del 2009 quando molti dei lavoratori si stabilizzarono ed integrarono grazie all'aiuto e alla collaborazione di enti, associazioni laiche, associazioni cattoliche, nonché alle più adeguate soluzioni logistiche rese dalla struttura della stazione ferroviaria di Saluzzo, attraverso la direzione territoriale di Torino, la quale aveva messo a disposizione locali e servizi igienici, seppur provvisori;
   nel 2012, invece, il fenomeno in questione è diventato così drammatico da non essere più gestibile dalle pur volenterose ed accoglienti comunità locali, (comune di Saluzzo e comuni limitrofi, associazioni dei produttori agricoli e associazioni di volontariato), tanto che oggi, anche a causa di numerosi soggetti provenienti dalla cosiddetta «emergenza nord Africa», sono già presenti nel territorio comunale oltre 220 migranti e mancano ancora alcune settimane all'inizio della raccolta;
   quest'anno, per via della primavera fredda e piovosa, oltre al ritardo di cui sopra si prevedono conseguenze anche sui raccolti senza calcolare la situazione delle piantagioni di kiwi di cui è ricco il territorio italiano, che patiscono ormai da tre anni un'epidemia letale che costringe le aziende all'espianto progressivo;
   oltre alla difficoltà di ospitare queste persone (a regime con l'inizio della raccolta saranno disponibili 200 posti letto offerti da comuni, Coldiretti, Caritas, Papa Giovanni XXIII in aggiunta ai posti offerti dalle aziende presso cui gli stessi lavorano, ma non basteranno comunque), quasi sicuramente quest'anno non ci sarà bisogno del loro lavoro, neanche nei giorni di punta della raccolta in cui solitamente questi hanno lavorato gli anni scorsi;
   a codesti lavoratori che soggiornavano, negli anni trascorsi, presso la stazione ferroviaria, a causa della indisponibilità delle Ferrovie a lasciar utilizzare i servizi igienici della stazione, è stato imposto l'allontanamento e la collocazione in strutture messe a disposizione da alcuni comuni e dalle parrocchie;
   il comune di Saluzzo aveva assunto ruolo centrale nell'organizzazione di un vero e proprio accampamento autogestito per l'accoglienza dei tanti immigrati sprovvisti di ospitalità in altre strutture, oramai chiuse dall'inizio di novembre. Oggi a tal riguardo le amministrazioni locali hanno vietato gli accampamenti spontanei e non controllati sul territorio comunale, adottando sin da aprile 2013, un'ordinanza che impone il divieto di campeggio o di pernottamento al di fuori degli spazi appositamente allestiti; altresì è stato incentivato l'intervento della forza pubblica in caso di violazione, per tutelare l'aiuto delle associazioni di volontariato e delle associazioni di categoria e fornire una congrua ospitalità che sia limitata soltanto a coloro che effettivamente saranno assunti dalle aziende frutticole;
   a tal proposito le amministrazioni locali hanno incentivato il collegamento tra domanda e offerta di lavoro, coinvolgendo il centro per l'impiego di Saluzzo, al fine di una maggiore regolazione di questi settori e di una maggiore legalità contro fenomeni illeciti quali il caporalato;
   le comunità che se ne occupano da anni sono ormai stremate ed esauste anche perché si vedono abbandonate da provincia e regione che nulla sono in grado di fare se non sostenerle a parole;
   alcune realtà associative locali infine si sono viste negare la possibilità di allestire un campo di emergenza sul territorio comunale di Saluzzo, che avrebbe dato risposta ai bisogni dei soggetti coinvolti;
   si deve partire dal presupposto che si parla pur sempre di persone, si parla pur sempre di esseri umani con bisogni basilari: tetto, cibo e salute in primis –:
   se non si ritenga doveroso adottare iniziative umanitarie ed economiche per risollevare le sorti di queste persone, di questi lavoratori, di questi immigrati, ed attivare immediatamente delle procedure al fine di offrire non solo una risposta ma un aiuto effettivo considerato che l'intransigenza degli enti territoriali – attraverso la suddetta ordinanza di divieto di campeggio e di pernottamento – non ha tenuto conto delle tempistiche e delle modalità che numerose volte rendono la regolarità dei percorsi istituzionali incompatibile con le reali esigenze dei territori, delle persone e con gli stessi principi fondanti degli enti;
   quali politiche, a livello nazionale, si intendano mettere in atto per arginare il fenomeno dello sfruttamento dei braccianti agricoli, in particolare, ed in generale per garantire i diritti a immigrati privi di qualsivoglia forma di diritto e dignità.
   (4-01033)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 6, del decreto-legge n. 196 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 1 del 2011, ha previsto che «nel caso di mancato rispetto da parte dei comuni degli obiettivi minimi di raccolta differenziata stabiliti dall'articolo 11, comma 1, del decreto-legge n. 90 del 23 maggio 2008 (25 per cento al 31 dicembre 2009, 35 per cento al 31 dicembre 2010, 50 per cento al 31 dicembre 2011), convertito con modificazioni dalla legge n. 123 del 2008, così come certificati dalla regione Campania, il prefetto diffida il comune inadempiente a mettersi in regola con il sistema della raccolta differenziata, assegnandogli il termine perentorio di tre mesi. Decorso inutilmente tale termine, il prefetto attiva le procedure di nomina di un commissario ad acta»;
   la regione Campania, con decreto n. 12 del 27 settembre 2012, ha certificato, ai sensi della DGR 143/2011, i dati della raccolta differenziata della provincia di Napoli per l'anno 2011, da cui si evince che il comune di Caivano alla data del 31 dicembre 2011 aveva raggiunto una percentuale di raccolta differenziata pari al 25,82 per cento ben al di sotto degli obiettivi minimi previsti;
   con richiesta del 21 marzo 2013, inviata a mezzo posta certificata al signor Prefetto di Napoli, a firma del coordinatore di SEL del comune di Caivano (NA), Vincenzo Falco, si chiedeva, «se rispetto alla certificazione dei dati della raccolta differenziata del comune di Caivano dell'anno 2011, riportati nell'allegato 1, del decreto n. 12 del 27 settembre 2012 a firma della dottoressa Adelaide Pollinaro, Dirigente della regione Campania, fosse stata inviata, al comune di Caivano, come previsto dalla predetta normativa la diffida a mettersi in regola con il sistema della raccolta differenziata, entro il termine perentorio di tre mesi»;
   nonostante la richiesta al prefetto di Napoli sia stata reiterata in data 27 maggio 2013, non risulta ad oggi nessuna risposta al coordinatore di SEL del comune di Caivano, né nessuna diffida da parte del prefetto nei confronti del comune inadempiente –:
   per quale motivo la prefettura di Napoli non abbia dato risposta nei tempi previsti alle richieste inoltrate dal coordinatore di SEL del comune di Caivano;
   per quale motivo la prefettura non abbia prima diffidato e successivamente nominato, come richiesto dalla normativa vigente, il commissario ad acta, in considerazione che il comune di Caivano ad oggi ancora non ha raggiunto il limite minimo previsto per la raccolta differenziata del 50 per cento. (4-01036)


   NACCARATO, MIOTTO, NARDUOLO e FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra domenica 23 e lunedì 24 giugno 2013 attorno alla sede della Sinagoga nell'antico Ghetto di Padova sono comparse scritte antisemite, croci celtiche, svastiche e il simbolo dell'organizzazione di estrema destra Terza Posizione;
   proprio di fronte all'ingresso della Sinagoga in via delle Piazze è stata ritrovata la svastica più grande mentre le altre scritte sono situate in via San Martino e Solferino e via Marsala;
   l'amministrazione comunale, le associazioni padovane, le forze politiche democratiche e la cittadinanza hanno reagito con indignazione di fronte a questo gesto vile che insulta la memoria delle vittime della Shoah, la comunità ebraica padovana e tutti i cittadini di Padova;
   la comunità padovana, dove sono radicati i valori della democrazia e dell'antifascismo, è caratterizzata da continue e sistematiche iniziative per favorire la tolleranza, l'accoglienza e l'integrazione;
   i gruppi che hanno sporcato i muri di Padova con scritte antisemite, croci celtiche e svastiche intendono divulgare e propagandare l'ideologia nazi-fascista ed effettuare un'azione di apologia dei crimini compiuti dai regimi nazista e fascista;
   è necessario reagire con determinazione per prevenire e contrastare le azioni dei gruppi estremisti che svolgono attività illegali di diffusione dell'ideologia nazi-fascisti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   quali iniziative di propria competenza intenda adottare per condannare il gesto e reagire insieme a Padova all'insulto verso la comunità ebraica e la cittadinanza tutta;
   quali provvedimenti intenda adottare per favorire per quanto di competenza l'individuazione dei responsabili delle azioni illegali sopra descritte. (4-01039)


   CAPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 7 maggio 2008 prevede che il personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, addetto alle attività di soccorso, possa svolgere, in alternativa all'articolazione 12/24-12/48, altre particolari articolazioni dell'orario di lavoro, stabilite ai sensi dell'articolo 32 (contrattazione integrativa), correlate: all'esigenza di assicurare il soccorso tecnico urgente in caso di eventi calamitosi; all'ubicazione delle sedi di servizio, con particolare riferimento ai distaccamenti insulari; a peculiari caratteristiche dei servizi di istituto e di soccorso tecnico urgente;
   tale materia è regolata in via transitoria, ai sensi dell'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica citato, dalla previgente normativa contrattuale di cui agli articoli 37, 38 e 39 del CCNL integrativo sottoscritto in data 30 luglio 2002;
   l'articolo 37 prevede che nelle cosiddette sedi disagiate sia ammesso un orario di turnazione di 24 ore consecutive di lavoro, seguite da 72 ore di riposo;
   l'articolo 39, 1o comma, del citato C.C.N.L. stabilisce i criteri in base ai quali la sede di servizio è da considerare disagiata: distanza dal capoluogo; tempo di percorrenza dal capoluogo in relazione alla situazione plano altimetrica delle vie di comunicazione stradali; mancanza di mezzi pubblici adeguati in relazione ai cambi turno; difficoltà oggettive di raggiungimento della sede in relazione all'esistenza di avverse condizioni climatiche; territorio di pertinenza della sede di servizio costituito da realtà insulari;
   ad oggi sono 54 in Italia le sedi distaccate per le quali si applica un orario di lavoro differenziato tra questi vi è la sede di Sassari – aeroporto Olbia Costa Smeralda cui è stato riconosciuto tale status a partire dal 2003 e l'unica sede per la quale è stato revocato a partire dal 2012 tale tipo di orario;
   i vigili del Fuoco che operano in quella sede hanno effettuato sino al 1o settembre scorso un orario di lavoro che prevedeva, in un'unica soluzione 24 ore consecutive, dalle 8 del mattino fino alle 8 del giorno successivo e 72 ore di riposo così come previsto dall'articolo 37, comma 1, del C.C.N.L. sopra citato con riferimento alle sedi disagiate;
   al momento di quella autorizzazione, nel 2003, venne tra gli altri parametri, preso in considerazione il fatto che, presso la sede di Olbia Costa Smeralda, era ed è presente, come ribadisce lo studio cui sotto, una percentuale molto alta, pari quasi all'80 per cento, di personale pendolare residente nelle province di Sassari, Cagliari, Nuoro, Oristano e Ogliastra che per raggiungere la sede di servizio devono percorrere, in alcuni casi, oltre 300 chilometri, con tempi di percorrenza che superano anche le 4 ore;
   nel mese di aprile del 2011 il dipartimento dei vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile presso il Ministero dell'interno ha elaborato un studio sulla «Distribuzione territoriale delle sedi distaccate del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco con orario differenziato»: il quadro che emerge è di una situazione fortemente diversificata, che in molti casi deriva da provvedimenti adottati negli anni ottanta a seguito di eventi sismici e, in linea generale, tende a classificare la sede «disagiata» non in virtù di parametri territoriali oggettivi ed aggiornati, bensì in relazione a fattori individuali legati, in particolare, alla provenienza del personale;
   si legge testualmente: «Nella maggior parte dei casi la richiesta di riconoscimento o di conferma dello status di sede disagiata non è determinata da criteri oggettivi di difficoltà di raggiungimento della sede dal capoluogo, ma dalla esigenza di diminuire la frequenza di viaggio del personale che vi presta servizio, residente lontano dalla sede stessa»;
   al di là delle conclusioni di carattere generale che riguardano tutte le sedi disagiate, il dipartimento dei vigili del fuoco in tale relazione riconosce quali caratteristiche attuali della sede di Olbia Costa Smeralda il numero maggiore di personale residente fuori dalla provincia di pertinenza del distaccamento, il disagio dei lunghi tempi di percorrenza;
   in Sardegna infatti, diversamente dalle altre regioni italiane, si rileva una distanza notevole, a volte anche di centinaia di chilometri, tra una provincia e l'altra di conseguenza il personale, quasi tutto pendolare in servizio presso il distaccamento di Olbia, si trova a sostenere costi notevoli per il trasferimento giornaliero aggravati dal fatto che non esistono mezzi pubblici di collegamento che consentano agli addetti di raggiungere in tempo la sede per il cambio turno;
   la rideterminazione dell'orario di lavoro sarebbe sta determinata anche dalla conseguenza negativa riferita all'assegnazione del personale, dal momento che, sempre per lo studio del dipartimento dei vigili del fuoco, in alcune realtà è in atto una forma di contenzioso interprovinciale poiché, la presenza nel territorio di una sede disagiata, eserciterebbe un effetto attrattivo di personale residente nelle Province limitrofe che sarebbe la causa dell'impedimento, al altre unità che prestano servizio presso altri comandi dei vigili del fuoco di ottenere il trasferimento presso la sede di residenza;
   tale posizione non è in alcun modo applicabile al distaccamento di Olbia Costa Smeralda dal momento che il personale viene assegnato presso questa sede non per scelta, ma per le carenze che si verificano ogni qual volta vi è una maggiore mobilitazione nazionale;
   il 1o settembre scorso il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Sassari ha revocato l'orario differenziato con gravi disagi per gli addetti al servizio che si trovano ora a dover affrontare trasferimenti giornalieri da e per la sede in cui prestano servizio con mezzi propri dal momento che non vi sono mezzi pubblici che garantiscano i collegamenti e con il pericolo incombente della pericolosità delle strade dove la presenza costante di cantieri, in diverse direttrici, aumenta la probabilità di incidenti e dei tempi di percorrenza –:
   quali iniziative il Ministro interrogato ha intenzione di porre in essere al fine di rinnovare l'autorizzazione protocollo 2683/87635 del 12 maggio 2010 di sede disagiata di Olbia Costa Smeralda;
   quali iniziative il Ministro interessato abbia intenzione di porre in essere ai fine di ripristinare l'orario differenziato per la sede di Olbia Costa Smeralda scongiurando in tal modo il perdurare della condizione di forte disagio che subisce il personale pendolare proveniente dalle province di Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano e Ogliastra e che, ad altre sedi della penisola, con analoga condizione, è stato consentito di continuare ad usufruire dell'orario di lavoro articolato in 24/72 ore. (4-01047)


   BUONANNO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere se non ritengano opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per agevolare l'aumento nell'ordine del 10 per cento dello stipendio delle forze dell'ordine per ripagarle del lavoro difficile e pericoloso che svolgono giornalmente. (4-01054)


   ZAMPA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2012 il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ha modificato i criteri di aggiudicazione dei bandi di gara previsti per i contratti per la gestione dei Centri di identificazione ed espulsione, centri di soccorso e prima assistenza, centri di accoglienza e centri di accoglienza per richiedenti asilo, scegliendo l'opzione del prezzo più basso rispetto a quella dell'offerta economicamente più vantaggiosa, con base d'asta di 30 euro al giorno per persona;
   nel maggio 2012 la prefettura di Bologna metteva a bando la gestione del Centro di identificazione ed espulsione di via Mattei con il criterio del prezzo più basso e la base d'asta sopra citata di 30 euro al giorno per persona, bando aggiudicato dal consorzio Oasi con un'offerta di 28 euro a persona al giorno, a fronte dei 69 euro corrisposti al precedente gestore;
   nel marzo 2013 la prefettura di Bologna ha deciso di chiudere temporaneamente il Centro di identificazione ed espulsione di Bologna per procedere a lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria e, a conclusione dei lavori, ha annunciato l'avvenuta rescissione del contratto con Oasi;
   sin dall'avvio della nuova gestione il consorzio assegnatario non ha pagato gli stipendi ai 29 dipendenti e al personale medico utilizzato, cifre anticipate dalla prefettura di Bologna, e analoghe inadempienze nei pagamenti del personale si sono verificate anche nel Centro di identificazione ed espulsione di Modena, gestito ad analoghe condizioni contrattuali dalla stessa Oasi;
   a causa dell'interruzione del contratto tra Oasi e la prefettura di Bologna, il prefetto, in quanto committente, come previsto dagli articoli 1655 e seguenti del codice civile che disciplinano l'appalto, ha cominciato a retribuire i dipendenti subordinati dell'Oasi; secondo quanto si apprende da fonti di stampa il prefetto avrebbe affermato che non è tenuto invece, in base alla legislativa sopracitata, a retribuire i lavoratori parasubordinati;
   i Centri di identificazione ed espulsione si avvalgono del lavoro, oltre che del personale dipendente delle cooperative che vincono le gare di appalto, anche, e in molti casi soprattutto, dell'ausilio di personale parasubordinato come — tra gli altri — psicologi, mediatori culturali;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare al fine di facilitare quanto prima il raggiungimento di una soluzione a tutela dei diritti dei lavoratori.
(4-01063)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   tra le donne italiane che hanno fatto la storia si deve annoverare la scrittrice nuorese Grazia Deledda, una delle più importanti scrittrici italiane che, nel 1926, fu insignita, unica italiana, del prestigioso premio Nobel per la letteratura grazie ai suoi romanzi ed in particolare al suo capolavoro «Canne al vento», di cui quest'anno ricorre il centenario della pubblicazione;
   il riconoscimento destò molto scalpore per diversi motivi: la formazione culturale della scrittrice, quasi esclusivamente autodidatta, la tematica, grandiosa e profonda, della sua opera e il fatto che fosse una donna;
   le parole contenute nella motivazione del riconoscimento: «per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi» sottolineano il talento e le doti letterarie della scrittrice, le cui opere oggi risultano di grande attualità;
   la Deledda nacque a Nuoro nel 1871 in una famiglia benestante, quarta di sei figli, intrappolata nella scarsa considerazione sociale in cui era relegata la donna in quegli anni. Grazie alla sua forza di volontà da autodidatta riuscì a coltivare gli studi letterari, imparando la lingua italiana come una lingua straniera e leggendo i grandi narratori russi, narratori russi Dostoevskij e Tolstoj, ai francesi Zola e Flaubert e agli italiani Fogazzaro, D'Annunzio e Carducci;
   la Deledda ha sperimentato diverse forme letterarie, passando dalle composizioni in versi alle novelle ed ai romanzi, rivolgendo sempre un'attenzione particolare rivolta alla Sardegna, sua terra d'origine;
   la vita e la storia personale di Grazia Deledda appaiono particolarmente formative ed esemplari per le studentesse e gli studenti italiani sia dal punto di vista letterario sia per la capacità, straordinaria per una donna di quell'epoca, di superare l'ostilità familiare e dell'ambiente nuorese e di affermare la sua passione per la letteratura, le sue capacità e il proprio talento per la scrittura;
   Grazia Deledda si occupò, tra l'altro, anche di etnologia, collaborando alla «Rivista di tradizioni popolari italiane» per cui scrisse «Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna». La profonda conoscenza e l'amore per la sua terra, la Sardegna, le sue tradizioni e per il suo popolo, presenti in tutta la sua opera, costituiscono un elemento che evidenzia il grande valore formativo della lettura e dello studio dei romanzi dell'autrice sarda, in particolare il romanzo «Canne al vento». Questo è un ulteriore elemento in grado di suscitare negli studenti una pari attenzione per le loro terre e per le tradizioni locali;
   un altro elemento di forte valenza pedagogica ed educativa consiste nella costanza, nello spirito di sacrificio e nella perseveranza per mezzo dei quali l'autrice riuscì ad affermare il suo talento letterario, nonostante i giudizi non sempre positivi della critica contemporanea a cominciare da Benedetto Croce, superano i pregiudizi dell'epoca secondo cui «una donna scrittrice non può essere onesta»;
   Grazia Deledda è inoltre una figura esemplare perché seppe conservare sempre un atteggiamento modesto e riservato, non partecipando quasi mai ai ricevimenti ed alle feste mondane e apparendo raramente in pubblico;
   nella scorsa legislatura è stato presentato tra gli altri al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Francesco Profumo e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali con delega alle pari opportunità Elsa Fornero un appello dalle associazioni Se non ora quando, Noi donne 2005, Femminas in Carrelas perché Grazia Deledda venga reintegrata nel canone della letteratura italiana nei prossimi concorsi;
   bisogna anche sottolineare che tra i nomi possibili della letteratura italiana del concorso a cattedre in corso non compare quello della Deledda, che purtroppo è ampiamente trascurata nei programmi scolastici curriculari, oltre ad essere dimenticata da gran parte della critica;
   quest'anno ricorre tra l'altro ricorre il centenario della pubblicazione del suo capolavoro, «Canne al vento», sul tema profondo della fragilità umana e del dolore dell'esistenza;
   nella scorsa legislatura è stata approvata la risoluzione n. 7-01066, presentata dall'interrogante in data 12 dicembre 2012 e approvata in data 19 dicembre 2012, finalizzata ad individuare iniziative per far conoscere su scala nazionale e far studiare nelle scuole di ogni ordine e grado la figura straordinaria e l'opera di Grazia Deledda per il suo importante contributo culturale e ad individuare per il 2013 modalità di celebrazione dell'autrice sarda –:
   come e attraverso quali iniziative la Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca ritenga opportuno promuovere, nei percorsi di studi scolastici, la figura e l'opera della scrittrice Grazia Deledda, premio Nobel per la letteratura per l'opera Canne al vento, di cui nel 2013 ricorre il centenario, testimonianza di grande talento, ma anche di coraggio e determinazione;
   se non ritenga opportuno indicare adeguate modalità per celebrare la ricorrenza del centenario della pubblicazione del romanzo «Canne al vento», sul tema profondo della fragilità umana e del dolore dell'esistenza, capolavoro della scrittrice, grande esempio di modernità.
(5-00466)


   LUIGI GALLO, MARZANA, BATTELLI, VACCA, SIMONE VALENTE e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto Interministeriale 3 agosto 2011 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, definiva la programmazione triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente, educativo e ATA per gli anni scolastici compresi nel triennio 2011/2013, sulla base dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno;
   il piano triennale di immissioni in ruolo previsto dal predetto decreto interministeriale programmava l'assunzione di 124.000 precari tra personale docente e ATA nell'arco dei tre anni scolastici 2011/12, 2012/13 e 2013/14;
   in particolare il piano di assunzioni prevedeva: 30.300 assunzioni di docenti + 36.000 assunzioni di personale ATA nel 2011/12 e 22.000 assunzioni di docenti e 7.000 di personale ATA per ciascun anno 2012/2013 e 2013/14;
   il Ministero dell'economia e delle finanze si dichiarò disponibile all'approvazione del piano triennale di assunzioni al solo patto che dette assunzioni non comportassero alcun aggravio di spesa a carico delle finanze pubbliche;
   per garantire la necessaria copertura finanziaria, il 4 agosto 2011 l'ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale per le pubbliche amministrazioni) e le principali rappresentanze sindacali siglarono un accordo recante una importante modifica al Contratto collettivo nazionale di lavoro e comparto scuola;
   detta modifica, da subito entrata in vigore e ad oggi vigente, prevedeva e prevede l'abolizione del primo gradone stipendiale (0-2 anni) il quale viene fuso al successivo gradone, in modo da creare un nuovo primo gradone (da 0-8 anni); l'abolizione del primo scaglione e, dunque, la rinuncia – assai gravosa – dei lavoratori al primo aumento di stipendio (che è passata dal secondo anno di servizio all'ottavo) ha permesso la copertura finanziaria totale del piano triennale di assunzioni, come richiesta dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   ad oggi, risulta ottemperato solo il primo scaglione di assunzioni mentre, nonostante l'esistenza dei posti vacanti e la sussistenza della copertura finanziaria, non risulta ancora effettuata l'immissione in ruolo che prevede 22.000 assunzioni per l'anno 2013/14 –:
   se e in che modo, di fronte a tale evidenza esposta in premessa, il Ministro interrogato intenda assicurare il rispetto del piano triennale, di cui al decreto interministeriale del 3 agosto 2011, e la conseguente assunzione entro il primo settembre 2013 di 22.000 docenti precari, da anni in attesa di una cattedra o, in caso non venisse rispettato il piano triennale suddetto, se e in che modo il Ministro interrogato intenderà ripristinare lo status quo ante e, in particolare, se e come intende ripristinare il primo gradone stipendiale (0-2 anni), con efficacia retroattiva, visto che risorse risparmiate per garantire il piano triennale di assunzioni, come richiesta dal Ministero dell'economia e delle finanze, non sono state adoperate come accordo tra le parti. (5-00468)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GINATO e SBROLLINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la situazione di criticità dell'organico del personale docente degli istituti di secondo grado nel Veneto ed, emblematicamente, nel vicentino ha assunto dimensioni preoccupanti;
   per il prossimo anno scolastico gli iscritti alle scuole superiori di secondo grado saranno, nel vicentino, 40.737 per un totale di 1.715 classi e un fabbisogno complessivo in termini di posti pari a 3.175 cattedre. I posti autorizzati ufficialmente dall'ufficio scolastico regionale sono invece 3.136, 52 in meno rispetto allo scorso anno, per una differenza di 39 posti rispetto al fabbisogno che tradotti in ore di insegnamento (cattedra di 18 ore obbligatoria) significano 702 ore in meno. Un pesante vuoto che rischia di dover essere colmato tagliando o accorpando tra loro le classi. Tale prospettiva si sta già concretizzando in diversi istituti con esiti allarmanti. Ne è un esempio l'istituto tecnico commerciale A. Fusinieri di Vicenza che conta 180 nuovi iscritti: qui le sette classi prime sono state ridotte a sei, ciascuna da trenta alunni. All'interno di queste classi dovranno essere inseriti i tre alunni disabili iscritti, in violazione della normativa che parla di un massimo di venti studenti per classe quando in presenza di alunni certificati. Una situazione di analoga gravità anche all'ITC «Rosselli» di Lonigo dove le due quinte ad indirizzo Mercurio sono state accorpate in una sola classe da trentatré alunni tra i quali due disabili gravi. Ad un innalzamento del numero di studenti iscritti al primo anno della scuola secondaria superiore, vale a dire rispetto a quest'anno 529 alunni in più tra gli istituti della città di Vicenza e della provincia, corrisponderà dunque paradossalmente un taglio di 39 cattedre che costringeranno non soltanto agli accorpamenti sopra esemplificati ma anche alla formazione di un alto numero di cattedre con un numero di ore di molto superiori alle 18 ed ad un numero di alunni per classe molto alto –:
   in che modo intenda procedere e quali azioni ritenga opportuno porre in essere per evitare tale grave situazione, alla luce della estrema criticità sopra esposta, conseguenza diretta di un contingente insufficiente di cattedre che, se non verrà incrementato, farà salire il rapporto alunni per classe da 23,31 a 24,10 nel vicentino rispetto ad una media nazionale che si attesta al 20. (4-01040)


   MURER e MARIANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento alle misure di riorganizzazione dei servizi esternalizzati del comparto dell'istruzione;
   si tratta dell'ennesimo e ulteriore taglio ai fondi destinati ai servizi di pulizia e accessori negli istituti scolastici di ogni ordine e grado: un taglio che contravviene palesemente quanto dichiarato dal Presidente del Consiglio dei ministri, in più occasioni, sulla volontà di non tagliare più fondi a cultura e scuola; un taglio che incide pesantemente sulla qualità dei servizi interni alla scuola e che pesa fortemente sui destini occupazionali di migliaia di persone;
   negli ultimi anni i suddetti fondi sono passati da oltre 550 milioni a 390 milioni di euro e questo ha già pesantemente inciso sul reddito già esiguo di circa 21.000 lavoratrici e lavoratori ex Lsu e cosiddetti appalti storici oggi occupati in queste realtà. Infatti si è già dovuto ricorrere in modo sostanzioso al loro sostegno attraverso l'attivazione di ammortizzatori sociali in deroga;
   questi lavoratori sono il risultato di un progetto sociale condiviso nel 2001 con il Miur e altri Ministeri interessati e tutto ciò ha permesso a migliaia di lavoratori che hanno sostato per decenni in cassa integrazione o nelle liste di mobilità di essere utili e al tempo stesso di dare risposta alle scuole che per effetto del congelamento delle assunzioni non potevano acquisire personale per svolgere servizi di pulizia e ausiliari;
   i tagli prospettati si scaricheranno, come detto, per intero su questi lavoratori, determinando una pesantissima ricaduta sociale per migliaia di persone con salari già esigui; si stanno determinando le condizioni per l'avvio delle procedure di licenziamento collettivo, da parte delle imprese che gestiscono attualmente i servizi, fin dai primissimi giorni di luglio; in altri casi, i tagli stanno determinando decurtazioni di ore e salari con lo scivolamento dei lavoratori sotto la soglia di povertà; infine, i tagli vanificano possibilità di stabilizzazione e contravvengono agli impegni di previsti dalla legge in tal senso (decreto interministeriale n. 65 del 20 aprile 2001 e legge 3 maggio 1999, n. 124);
   i sindacati di categoria, unitariamente, denunciano la grave situazione, considerano gli interventi non riconducibili ad una migliore gestione della spesa ma all'ennesimo taglio orizzontale e non funzionale e annunciano iniziative di protesta a sostegno della vertenza, con l'intenzione di una specifica manifestazione nazionale qualora non siano date le risposte adeguate per garantire la continuità occupazionale e la tenuta del reddito dei lavoratori occupati –:
   se siano a conoscenza di quanto sopra esposto; se e quali iniziative intendano assumere per la tutela dell'occupazione delle migliaia di persone, lavoratrici e lavoratori ex Lsu e cosiddetti appalti storici del comparto scuola. (4-01062)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   NICCHI, AIRAUDO, QUARANTA e LACQUANITI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la TNT express una azienda olandese che opera nel settore delle spedizioni espresse e dei servizi logistici;
   con lettera, trasmessa via email alle organizzazioni sindacali, ha comunicato un piano che prevede, tra le altre cose, l'esubero, nella sua rete italiana, di 854 lavoratori dei circa 3.000 addetti;
   il piano sarebbe parte di un più complessivo progetto mirato a licenziare 4.000 unità in tutto il mondo entro il 2015 per contenere i costi;
   stando a quanto appreso dai sindacati e comunicato in una nota congiunta di Filt-Ggil, Fit-Cisl e Uil-Trasporti, l'azienda ha deciso di fare questa scelta per salvare la TNT;
   secondo quanto dichiarato dall'amministratore delegato di TNT express Italy, Tony Jacobsen, e riportato nella nota sopra citata, la decisione sarebbe finalizzata all'apertura di percorsi di insourcing per quanto riguarda alcune attività in passato svolte all'esterno, come quella di driver o facchino, che comportano livelli contrattuali medio bassi mentre prevede un percorso di outsourcing transfrontaliero, noto come «deliver», che si propone di esternalizzare nel breve periodo diverse attività, tra cui, quella di back office amministrativo e data entry;
   il programma «deliver» prevede inoltre di far confluire le attività operative delle filiali più piccole in strutture di dimensioni maggiori, collocate in posizioni strategiche sul territorio nazionale. In totale si stima che circa 20 strutture saranno coinvolte in Italia;
   a parere dell'interrogante questa decisione destruttura completamente l'assetto di TNT express, colpendo i livelli occupazionali complessivi, oltre a tutta la filiera dell'indotto –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per scongiurare il licenziamento di 854 lavoratori e per sollecitare l'azienda a presentare un piano credibile che abbia come obbiettivi gli investimenti e il mantenimento degli attuali livelli occupazionali di TNT express in Italia. (3-00155)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TULLO, CAROCCI, BASSO, GIACOBBE, VAZIO e PASTORINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le verifiche di alcune tipologie di apparecchiature di lavoro ritenute particolarmente pericolose sono state sempre previste dalla normativa nazionale di prevenzione infortuni (regio decreto 12 maggio 1927, n. 824; decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, decreto ministeriale 12 settembre 1959);
   i controlli su tali attrezzature di lavoro sono inoltre previsti dalle direttive europee per la salute e la sicurezza ed in particolare nella direttiva 95/63/CE e che in molti Stati membri tali verifiche sono affidate a organismi di ispezione che si occupano di controlli su macchine, impianti ed apparecchiature ritenute a maggior rischio negli ambienti di lavoro;
   la normativa italiana prevede che i titolari della funzione siano soggetti pubblici (INAIL ex ISPESL e ASL/ARPA) che non riescono, di norma, a soddisfare, più del 30 per cento delle richieste;
   il numero di soggetti e di attrezzature da verificare si è inoltre moltiplicato nel tempo e le limitazioni operative del sistema pubblico hanno determinato l'accumularsi di un pesantissimo arretrato (al momento INAIL stima in 360.000 il numero dei mancanti interventi di verifica);
   a questa situazione si aggiunge una serie di criticità applicative del sistema di verifica così come disegnato dall'insieme di disposizioni derivanti dal Testo unico per la sicurezza e dal decreto ministeriale 11 aprile 2011, che possono essere sintetizzate nella complessa procedura burocratica amministrativa imposta ai datori di lavoro, per giungere, per lo meno nel 70 per cento dei casi, all'inevitabile necessità di ricorrere all'intervento di soggetti privati abilitati;
   tuttavia la complessità procedurale sopra descritta fa sì che di fatto i datori di lavoro non riescano nella maggior parte dei casi ad attivare l'intervento dei soggetti privati abilitati e che di conseguenza un numero stimabile in circa il 70 per cento delle attrezzature di lavoro pericolose non viene verificato con la periodicità prevista dalla legge;
   conseguentemente un grande numero di lavoratori opera in condizioni prive della copertura di sicurezza che la legge stessa prevede –:
   se siano a conoscenza delle problematiche sopra esposte;
   se non ritengano necessario intervenire con un'opportuna iniziativa normativa per emendare i commi 11, 12 e 13 dell'articolo 71 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81) allo scopo di porre fine a tale insostenibile situazione, consentendo al datore di lavoro di poter attivare direttamente un soggetto privato abilitato e poter così realizzare lo scopo per cui il decreto ministeriale 11 aprile 2011 è stato a suo tempo emanato. (5-00467)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 5 febbraio 1992, n. 104 «Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate», all'articolo 33 comma 5, prevede che «il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato abbia diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio senza poter essere trasferito ad altra sede in mancanza di previo accordo»;
   detta legge ha rappresentato un importante traguardo legislativo venendo in assistenza delle persone disabili per mezzo d'un sostanziale «mirato collocamento» di coloro i quali, anche per il vincolo parentale, devono essere posti nella condizione di essere da sostegno ai propri cari;
   la medesima normativa sin dall'origine della sua emanazione avrebbe incontrato delle serie difficoltà a trovare applicazione, specialmente presso gli appartenenti all'organico dell'INPS ove – a fronte di una chiara prescrizione normativa che rigorosamente assume l'inopponibilità, per l'amministrazione, al trasferimento per motivazioni basate sulla discrezionalità amministrativa e/o esigenze organizzative – risulterebbe viceversa elevato il numero di contenziosi innanzi l'autorità giudiziaria finalizzati all'ottenimento del su descritto pacifico diritto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della descritta situazione e quanti siano i contenziosi contro INPS inerenti alle richieste ex articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992;
   quali iniziative intenda adottare al fine di verificare la corretta applicazione del comma 5 dell'articolo 33 della legge 104 del 1992 con specifico riferimento ai dipendenti INPS. (4-01032)


   VARGIU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, comma 3, della legge 1o febbraio 2006, n. 43, disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali, stabilisce l'obbligatorietà dell'iscrizione all'albo professionale anche per i pubblici dipendenti, subordinandola al conseguimento del titolo universitario abilitante e salvaguardando comunque il valore abilitante dei titoli già riconosciuti come tali alla data di entrata in vigore della stessa legge;
   in apparente contraddizione con tale principio generale si è espressa la Cassazione penale che con sentenza n. 6491 del 13 febbraio 2009 stabilisce: «(...) L'obbligo d'iscrizione non sussiste per gli infermieri professionali che non svolgono attività autonoma e libera, ma sono legati da un rapporto di lavoro dipendente anche con una struttura privata, direttamente o indirettamente accreditata presso la Pubblica Amministrazione, considerato che in tale caso non esplicano “attività professionale mediante contratti d'opera direttamente con il pubblico dei clienti”, non necessitano di uno sorveglianza sulle tariffe applicate, in quanto percepiscono uno stipendio fisso, rispondono disciplinarmente al loro datore di lavoro al quale sono legati da rapporto gerarchico, devono incontrare — nello svolgimento delle loro funzioni — il gradimento e la piena soddisfazione della struttura sanitaria presso lo quale lavorano, anche se quest'ultima non è pubblica ma è comunque accreditato e convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale»;
   sostanzialmente, con la sua sentenza, la Corte di Cassazione ha ritenuto di sottolineare come l'iscrizione all'albo professionale configuri un atto di accertamento costitutivo, operante erga omnes, dello status di professionista ed è pertanto imposta soltanto a coloro che esercitano la «libera professione» mediante contratti d'opera direttamente con il pubblico dei clienti. L'obbligo d'iscrizione nell'apposito albo degli esercenti la libera professione di infermiere (decreto legislativo C.P.S. n. 233 del 1946, articolo 8) sarebbe, in definitiva, strettamente connesso alla necessità di portare a conoscenza del pubblico quali siano le persone autorizzate ad esercitare tale professione e di garantire che le stesse siano sottoposte alla vigilanza dei competenti collegi per eventuali aspetti disciplinari e per l'osservanza delle tariffe predisposte;
   esercitare liberamente una professione significa compiere atti caratteristici della stessa, ovvero che una persona, dotata di un corredo particolare di cognizioni tecnico-scientifiche, pone tale suo bagaglio culturale, in piena autonomia e a fine lucrativo, a disposizione della potenziale utenza con continuità e sistematicità. Ciò presuppone il notevole rilievo etico-sociale della professione medesima e la necessità che la stessa sia monitorata attraverso l'iscrizione dell'esercente nell'apposito albo previsto dalla legge;
   risulta all'interrogante che alcuni collegi provinciali IPASVI, misconoscendo la richiamata sentenza della Corte di Cassazione, stiano attualmente inviando delle diffide di pagamento agli infermieri che si trovano nelle condizioni giuridiche di cui alla predetta sentenza della Corte di Cassazione n. 6491 e si sono cancellati dagli albi provinciali di residenza ovvero che non hanno versato le quote annuali, paventando, in difetto, di rivolgersi direttamente alle strutture pubbliche di cui sono dipendenti al fine di verificarne la posizione relativamente all'iscrizione all'albo;
   la creazione e la regolamentazione degli albi è competenza esclusiva del Governo centrale, anche nelle materie di competenza concorrente di Stato e regioni, restando invece nella competenza delle regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale;
   nello specifico, non risulta essere mai avvenuta la trasformazione dei collegi in ordini e albi professionali, pure prevista dall'articolo 3 della legge 1o febbraio 2006, n. 43;
   la normativa e la giurisprudenza stanno attualmente creando conflitti interpretativi nella prassi applicativa delle disposizioni in materia di iscrizione agli albi professionali –:
   se non ritenga opportuno assumere con tempestività iniziative normative per chiarire la questione della non obbligatorietà d'iscrizione agli albi professionali degli infermieri dipendenti di strutture pubbliche, tenendo conto del pronunciamento della Corte di Cassazione richiamato in premessa. (4-01048)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la vaiolatura delle drupacee, conosciuta anche con il nome di sharka, è una tra le più temibili malattie virali delle rosacee del genere Prunus;
   essa è causata da plum pox virus (PPV), agente patogeno che si diffonde attraverso lo scambio di materiale vegetale infetto o tramite punture di afidi vettori;
   le piante coltivate sensibili alla vaiolatura sono i peschi, i susini, gli albicocchi e i ciliegi nonché tutti i portainnesti delle drupacee e molte specie ornamentali appartenenti allo stesso genere;
   le infezioni provocate dalla sharka riducono la produttività delle piante colpite, compromettendo soprattutto la qualità dei frutti;
   in Italia la sharka è stata segnalata per la prima volta all'inizio degli anni 70 in provincia di Trento, ma è solo dalla seconda metà degli anni novanta che la situazione si è aggravata per la comparsa del ceppo M particolarmente virulento in particolare sulle pesche in quanto capace di propagarsi in campo rapidamente;
   oggi il virus è presente in quasi tutte le regioni dove si coltivano intensivamente le piante di pesco in particolare Sicilia, Basilicata, Emilia Romagna ma anche in Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Puglia e Calabria;
   ad oggi per contrastate la sharka come anche per tutti i virus e i fitoplasmi che attaccano i vegetali, non esiste alcuna possibilità di cura;
   le uniche azioni possibili sono la individuazione tempestiva dei focolai e ed evitarne la propagazione, molto spesso con l'abbattimento delle piante con grave danno economico per gli imprenditori del settore;
   le regioni da sole non riescono a fronteggiare tale problema per mancanza di risorse e di fronte a simili «epidemie» occorrerebbe una cabina di regia nazionale per coordinare gli interventi;
   purtroppo molti imprenditori del settore hanno difficoltà economiche ed esposizioni debitorie che rischiano di pregiudicare il futuro di un comparto di qualità con prodotti eccellenti –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per istituire presso il Ministero una cabina di regia con le regioni per affrontare la vaiolatura delle drupacee e prevedere interventi di sostegno in favore degli operatori i del settore al fine di salvaguardare un comparto di eccellenza della agricoltura nazionale. (5-00471)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli ultimi Governi hanno intrapreso, attraverso una serie di diverse disposizioni, una continua opera di revisione dei livelli di spesa nella pubblica amministrazione, anche in conformità alla difficile situazione economica e che impone da parte di tutti i livelli di governo una profonda e seria rimodulazione di spesa;
   tra i numerosi casi di utilizzo eccessivo di risorse pubbliche, senza dubbio rientra l'utilizzo delle auto di servizio da parte di dipendenti pubblici o di persone che rivestono cariche istituzionali relativamente a viaggi che di fatto sono estranei ad esigenze d'ufficio;
   organi di stampa nazionali riportano, su rispettivi siti web, la notizia secondo cui la Consip (azienda partecipata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze) a maggio ha bandito in soli 5 giorni 2 gare per l'acquisto e il noleggio di auto ad uso della pubblica amministrazione, e più precisamente un bando da 80 milioni di euro per un totale di 3.775 vetture da noleggiare, ed un secondo bando da 133 milioni per un totale di 6.450 vetture da acquistare, cui vanno aggiunte altre spese (benzina, acquisto, noleggio e manutenzione) e che porteranno il costo complessivo dei bandi ad oltre 560 milioni di euro;
   secondo l'ultimo rapporto su «Le auto di servizio della PA» del 13 febbraio 2013, alla fine del 2012 il parco auto degli enti pubblici ammontava a 59.202, segnando una diminuzione del 3,3 per cento (-1.823 vetture) rispetto allo stock di auto censito al 31 dicembre 2011 –:
   se non si ritenga opportuno, all'interno delle proprie competenze, affrontare la vicenda sopra descritta specificando le finalità per cui verrebbero acquistati o noleggiati questi automezzi e precisando altresì, oltre all'attuale parco auto di servizio della pubblica amministrazione, gli attuali criteri e le modalità per l'utilizzo dell'auto di servizio da parte dei titolari di cariche elettive e dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. (4-01055)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4 del decreto-legge n. 158 del 13 settembre 2012, al comma 2, lettera d), disciplina i criteri e le procedure per la copertura degli incarichi di direzione di struttura complessa delle aziende sanitarie;
   ciononostante, alcune aziende sembrano continuare ad effettuare selezioni secondo le vecchie normative previste dal decreto legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992, giustificando tali scelte con la mancata compilazione dell'elenco nazionale nominativo contenente gli elenchi regionali dei direttori di struttura complessa appartenenti al servizio sanitario nazionale per le discipline concorsuali;
   la mancata attivazione delle nuove procedure sembra perpetuare indebitamente i troppo ampi margini di discrezionalità ai direttori generali, nella scelta dei direttori di struttura complessa;
   l'eccessiva discrezionalità è causa di un abbassamento dei livelli qualitativi professionali dei direttori di struttura complessa così individuati e di scarsa indipendenza degli stessi rispetto ai direttori generali delle aziende sanitarie da cui dipendono –:
   se sia stato predisposto l'elenco nazionale nominativo per i sorteggi delle commissioni secondo quanto previsto dalle nuove norme, o se sia a conoscenza delle ragioni che ne hanno causato il ritardo nella compilazione;
   quali regioni e in quanti casi abbiano già dato corso a procedure concorsuali sulla base delle nuove modalità concorsuali;
   se risulti che, successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, siano state effettuate procedure di selezione utilizzando ancora le vecchie norme del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502. (3-00154)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MICILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sindrome fibromialgica cosiddetta «fibromialgia» è una forma comune di dolore muscoloscheletrico diffuso e di affaticamento (astenia), infatti il termine fibromialgia significa dolore nei muscoli e nelle strutture connettivali fibrose (i legamenti e i tendini);
   la fibromialgia spesso confonde poiché alcuni dei suoi sintomi possono essere riscontrati in altre condizioni cliniche e colpisce approssimativamente in Italia circa 1.5-2 milioni di persone;
   la fibromialgia interessa principalmente i muscoli e le loro inserzioni sulle ossa. Sebbene possa assomigliare ad una patologia articolare, non si tratta di artrite e non causa deformità delle strutture articolari. La fibromialgia è in effetti una forma di reumatismo extra-articolare;
   negli ultimi dieci anni, tuttavia, la fibromialgia è stata meglio definita attraverso studi che hanno stabilito le linee guida per la diagnosi. Questi studi hanno dimostrato che certi sintomi, come il dolore muscoloscheletrico diffuso, e la presenza di specifiche aree algogene alla digitopressione (tender points) sono presenti nei pazienti affetti da sindrome fibromialgica e non comunemente nelle persone sane o in pazienti affetti da altre patologie reumatiche dolorose;
   la fibromialgia è tabellata nell’«International Statistical classification of diseases and related health problems (ICD-10)» alle voci M79, Other soft tissue disorders, not elsewhere classified, e M79.O, Rheymathism, Unspecified-Fibromyalgia-Fibrositis;
   in Europa, secondo la dichiarazione del Parlamento europeo sulla fibromialgia, approvata il 13 gennaio 2009, circa 14 milioni di persone nell'Unione europea e l'1-3 per cento della popolazione mondiale soffrono di fibromialgia;
   nel 2008 il Parlamento europeo ha approvato una dichiarazione che dà mandato ai rappresentanti nazionali di attivarsi nei confronti dei Governi a favore della sindrome fibromialgica;
   la maggior parte delle nazioni riconosce la fibromialgia come una precisa entità nosologica con conseguente riconoscimento di esenzione per tale patologia;
   la fibromialgia ha ottenuto un riconoscimento nel Trentino la giunta provinciale di Trento con deliberazione n. 239 del 12 febbraio 2010 ha recentemente approvato un provvedimento che riconosce, a partire dal primo gennaio di quest'anno, alle persone affette da tale patologia esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria da parte dell'utente (ticket) ai cittadini e residenti in provincia di Trento ed iscritti al sistema sanitario nazionale. «La fibromialgia deve essere riconosciuta e attestata dall'O.O. di Reumatologia dell'Osp. Santa Chiara di Trento. Ne hanno diritto gli iscritti all'SSP residenti in provincia di Trento affetti da fibromialgia riconosciuta. Le prestazioni sanitarie sono quelle appropriate per il monitoraggio della patologia e delle relative complicanze, per la riabilitazione e per la prevenzione di ulteriori aggravamenti. Le prestazioni sono fruibili esclusivamente delle strutture del Servizio Sanitario Provinciale». Il codice di esenzione valido in provincia di Trento è: 046.729.0 e 046.729.1, con decorrenza 1o gennaio 2010 e validità illimitata. La definizione della malattia è «mialgia e miosite non specificate», in codice di esenzione è BZ 3.737.3;
   il consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia con l'ordine del giorno (collegato DDL n. 116) impegna l'assessore alla salute:
    a) ad attivare un monitoraggio sull'incidenza di tale patologia nella nostra regione;
    b) ad assumere ulteriori iniziative affinché a livello parlamentare siano approvate le normative necessarie a prevedere il riconoscimento, ai lavoratori affetti da questa patologia, di permessi di astensione dal lavoro per la cura della sintomatologia nonché per prevedere l'esenzione dal pagamento dei ticket e dei farmaci eventualmente prescritti;
   attualmente in Italia per gli esami di monitoraggio delle patologie non riconosciute non è prevista alcuna esenzione dal pagamento del ticket;
   la regione Lombardia ha inserito nel PSSR la fibromialgia come malattia degna di attenzione e per la quale viene assunto un impegno formale di studio e approfondimento a favore dei diritti del malato;
   la regione Veneto nel marzo 2011 ha visto l'approvazione all'unanimità del consiglio regionale di un ordine del giorno bipartisan che raccomanda nel merito la dovuta attenzione agli uffici competenti;
   nel 2010 la regione Toscana ha approvato la costituzione di un tavolo tecnico di confronto e di proposta per il problema in questione;
   la persona affetta da fibromialgia vive in solitudine economica il problema, pagando personalmente i vari specialisti a cui bisogna rivolgersi, per poter contenere i sintomi (reumatologo, fisiatra, immunologo, psicologo) il cui costo come testimoniano alcune pazienti online è anche esoso;
   l'ANMAR (Associazione nazionale malati reumatici) insieme ad altre tredici associazioni e al coordinamento nazionale delle Associazioni dei malati cronici (CnAMC) ha già presentato richiesta negli anni passati al Ministero della salute di una serie di esenzioni tra queste la «fibromialgia» –:
   se intenda assumere iniziative per riconoscere la fibromialgia come «patologia cronica», su tutto il territorio nazionale, superando in tal modo i differenti approcci che le regioni hanno assunto come evidenziato nelle premesse, introducendo l'esenzione dal ticket sugli esami clinici ed i farmaci, nonché per la riabilitazione e per la prevenzione di ulteriori aggravamenti, per i pazienti affetti dalla citata sindrome;
   quali iniziative intenda assumere per sostenere la ricerca di cure mirate per alleviare la sintomatologia provocata dalla fibromialgia. (4-01060)


   MICILLO e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda ospedaliera di rilievo nazionale «Antonio Cardarelli» rappresenta un punto di riferimento non solo per il Sud Italia ma per l'intera penisola;
   dal 1927 fino al 1990 dei 21 padiglioni esistenti quattordici sono destinati alle attività di diagnosi e cura, ed i restanti 7 ai servizi tecnici;
   i suoi dipartimenti e reparti, accolgono ogni giorno migliaia di pazienti ponendolo tra i maggiori ospedali italiani;
   l'azienda ospedaliera di rilievo nazionale e di alta specializzazione «A. Cardarelli» ha acquisito il ruolo di rilevanza nazionale, in base ai riconoscimenti di funzione attribuiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 aprile 1993 e con il decreto n. 12255 del 22 dicembre 1994 della regione Campania;
   l'ospedale «Cardarelli» svolge un ruolo di primo piano per quanto riguarda l'assistenza sanitaria di urgenza: è infatti sede di dipartimento di emergenza-accettazione di secondo livello, assicurando prestazioni di pronto soccorso in molteplici specialità. È fra l'altro sede del centro grandi ustionati, del centro antiveleni e del centro per i trapianti epatici, (centri di emergenza regionali); è presente altresì il centro di terapia iperbarica, di recente istituzione. Presso tale dipartimento è ubicata inoltre la centrale operativa «118»;
   l'azienda «A. Cardarelli» si distingue anche per le attività specialistiche di elezione di area medica e chirurgica, rappresentando quindi un riferimento per la rete sanitaria della regione;
   tra le strutture annovera anche il centro anti veleni dell'ospedale Cardarelli di Napoli è dotato di quattro posti letto subintensivi e rappresenta l'unità operativa per il trattamento dell'emergenza tossicologica regionale (CER);
   è attivo 24 ore per la consulenza telefonica specialistica riservata agli operatori sanitari e, nel contempo, è aperta anche alla consultazione diretta del cittadino/utente;
   al telefono risponde sempre un medico specialista delle sindromi da intossicazione e la telefonata è registrata;
   è, inoltre, attivo un ambulatorio di tossicologia clinica prenotabile in cui si effettuano consulenze per:
    intossicazioni acute e croniche da farmaci;
    reazioni avverse (non allergie) ed interazioni tra farmaci;
    errori terapeutici;
    intossicazioni alimentari (non infettive);
   l'ambulatorio non si occupa di tossicologia ambientale;
   il centro anti veleni del Cardarelli è collegato in rete al Sistema nazionale di sorveglianza sindromica per il monitoraggio di sicurezza nell'eventualità di emergenze territoriali dovute ad agenti chimici e/o biologici accidentali o eventualmente provocati;
   da oltre venti anni si assiste in Campania ad uno scempio ambientale provocato dalle ecomafie e da imprenditori senza scrupoli;
   giornalmente le cronache locali rimandano a sequestri di aree contenenti rifiuti illeciti o sversamenti abusivi;
   è in corso on line ed in forma cartacea una raccolta di firme coinvolgente comitati e associazioni avente il seguente oggetto: «Diffida ad adempiere il pronto adeguamento delle prestazioni del Centro Antiveleni, dipendente, alle disposizioni contenute nel Rep. Atti n. 56 del 28 Febbraio 2008 Requisiti basilari dei Centri Antiveleni Conferenza Permanente per i Rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano»;
   nel citato Rep. Atti n. 56 del 28 febbraio 2008 – Requisiti basilari dei centri antiveleni (CAV) della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, si legge: «(Art. 1) Sindromi tossicologiche da agenti chimici (...) da includere nel pannello delle sindromi da sottoporre a sorveglianza da parte dei CAV», «I CAV svolgono monitoraggio delle contaminazioni di alimenti e bevande. (...) funzionano quali centri di riferimento per le visite specialistiche (tossicologiche) richieste da altre figure sanitarie e dagli stessi cittadini», «L'attività svolta dai CAV, consente di identificare i fattori implicati nella genesi delle intossicazioni acute e croniche nonché situazioni di rischio ambientale», «Attività dei CAV Consulenza specialistica (...) b. III: 1. La consulenza deve consentire: in modo specifico la diagnosi, la prognosi e il trattamento di intossicazioni di qualunque tipo e natura; (...) 2. Cura dei pazienti intossicati (...) Si fa carico del processo diagnostico-terapeutico di tutti i pazienti con intossicazione acuta, subacuta o cronica accertata o sospetta»;
   il 4 marzo 2010 la quarta sezione della Corte di giustizia dell'Unione europea nella sentenza C-297/08 sanciva che la Repubblica italiana fosse venuta meno agli obblighi derivanti dalla normativa europea «non avendo adottato, per la regione Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare, non avendo creato una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento»;
   i continui roghi di rifiuti indifferenziati (speciali e pericolosi insieme in taluni casi) su vari territori del napoletano nonché casertano hanno liberato nell'aria come si evince da numerose foto circolanti in rete fumi neri di natura tossica che il vento ha depositato su colture, orti e terreni viziando in alcuni casi l'integrità di verdure ed ortaggi finiti non di rado o forse spesso nella catena alimentare umana;
   l'ospedale «A. Cardarelli» è subissato di ricoveri ed urgenze;
   tra ricoveri ordinari ed in day-hospital, si conterebbero circa 90 mila ricoveri annui;
   in una lettera datata 18 settembre 2012 a firma del direttore generale avvocato Rocco Granata si legge che:
    il personale è stato ridotto in 2 anni di circa 600 unità e i medici, infermieri ed il personale tutto sono allo stremo;
    la Regione ha ridotto l'assegnazione ordinaria di ulteriori 8 milioni di euro;
    la nota struttura è un punto medico-sanitario di grande importanza per i napoletani;
    giornalmente l'AORN «Cardarelli» svolge il proprio lavoro tra ristrettezze economiche e di personale;
    la struttura è localizzata su un territorio tristemente noto per roghi tossici e l'elevato inquinamento ambientale;
    l'AORN «Cardarelli» andrebbe potenziata e di conseguenza il suo centro anti veleni –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per tramite del commissario ad acta per il rientro del deficit sanitario in Campania, perché il centro anti veleni dell'AORN «Antonio Cardarelli» di Napoli adegui la propria offerta medico-tossicologica ad oggi prevista a quelli che sono i reali servizi dei centri anti veleni offerti nelle altre regioni italiane, introducendo, tra l'altro le analisi di biomonitoraggio per intossicazioni croniche. (4-01061)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE MENECH. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Serman Energy srl, fondata nel 1995, fu venduta nel 2008 all'attuale amministratore delegato;
   Serman nasce come azienda specializzata nella realizzazione e nella manutenzione di centraline idroelettriche;
   Serman Energy srl nel 2012 ha chiuso l'anno con un fatturato record ma anche con diseconomie e rilevanti tensioni finanziarie;
   il 20 aprile 2013 i libri sono stati depositati in tribunale con la richiesta di autofallimento, senza chiedere la mobilità per i dipendenti;
   la ditta è stata affidata ad un giudice prima che venissero chiesti gli ammortizzatori sociali;
   nello stabilimento di Pieve d'Alpago-Paludi sono impiegate circa 35 persone, che non ricevono lo stipendio da quattro mesi e non hanno ammortizzatori sociali;
   in questi due mesi il tribunale di Belluno, a quanto consta all'interrogante, non ha nominato nessun curatore fallimentare –:
   se non ritengano di intervenire, per quanto di competenza, per salvaguardare i livelli occupazionali e le competenze dei lavoratori impiegati nella Serman Energy Srl, operante in un settore, quello idroelettrico, che è uno dei pochi ad essere in espansione. (5-00473)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PIAZZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la fondazione Valore Italia è stata istituita alla fine del 2005 dall'allora Ministero delle attività produttive al fine di progettare, realizzare e gestire la Esposizione Permanente del design italiano e del made in Italy, istituita dalla legge n. 350 del 2003 (finanziaria 2004);
   a tale scopo le risorse stanziate per l'Esposizione Permanente del design italiano e del made in Italy dalla stessa legge n. 350 del 2003 e dalla successiva legge n. 311 del 2004 (finanziaria 2005) sono stati destinate, con legge n. 51 del 2006, alla costituzione del fondo della Fondazione;
   nel corso di questi anni l'Esposizione Permanente del design italiano e del made in Italy ha avuto delle anteprime di successo nelle mostre «Made in Italy Files» tenutasi a Roma nel 2007, «Classico Manifesto» tenutasi a Milano nel 2008, «Disegno e Design. Brevetti e creatività italiani» tenutasi a Roma nel 2009, a Shanghai nel 2010 e a Milano nel 2011, e «Unicità d'Italia» tenutasi a Roma nel 2011 per celebrare il Centocinquantenario dell'Unità di Italia; tutte queste mostre sono state progettate e realizzate dalla fondazione Valore Italia;
   alla fondazione Valore Italia è stata contemporaneamente riconosciuta, con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 23 luglio 2009, «la natura di laboratorio progettuale capace di osservare e monitorare la formazione e l'evoluzione dei fenomeni economici legati alla produttività, alla competitività ed all'internazionalizzazione dell'impresa e dei prodotti, ricavandone suggerimenti utili per questo Ministero in favore del sistema produttivo nazionale», caratteristica che ha portato all'elaborazione di numerose ricerche e proposte nell'ambito dell'implementazione dell'economia della cultura e della creatività, elementi comunque alla base del fenomeno del made in Italy;
   nel quadro di questa ulteriore attività la fondazione è stata incaricata della gestione del programma di agevolazioni per il design denominato «Disegni +», indirizzato alle micro e pmi italiane, che sta riscuotendo successo ed apprezzamento da parte di tutto il tessuto produttivo nazionale sia per le finalità che il programma stesso aiuta a perseguire, sia per le modalità di gestione adottate finora dalla fondazione;
   in maniera improvvisa il Ministro pro tempore dello sviluppo economico, Corrado Passera, nell'aprile 2012, ha ritenuto di commissariare la fondazione azzerando il consiglio di amministrazione e nominando come commissario straordinario il dottor Carlo Malinconico Castriota Scanderbeg;
   il commissariamento ha suscitato molte perplessità nel mondo della cultura, del design e dell'impresa, con le rimostranze espresse da esponenti di spicco di questi ambienti e riprese anche dalla stampa e da internet, in quanto non si capiva per quale motivo una struttura piccola e funzionante dovesse essere commissariata, per di più nominando commissario una personalità che era recentemente stata costretta a dimissioni da Sottosegretario di Stato per un episodio di scarsa sensibilità istituzionale e di grave inopportunità;
   avverso il decreto di commissariamento il presidente della fondazione ha opposto ricorso al Tar del Lazio, che con recente sentenza ha riconosciuto piena ragione al ricorrente, dichiarando nullo l'atto di commissariamento del Ministro;
   la fondazione non ha mai gravato sul bilancio dello Stato, non essendo mai stata destinataria di alcun fondo per il finanziamento ordinario; le risorse per il funzionamento sono state reperite offrendo servizi alle pubbliche amministrazioni ed al Ministero stesso come suo ente strumentale; la fondazione non ha quindi mai costituito un costo per le finanze pubbliche;
   nonostante ciò, e con una logica che appare discordante con le finalità del provvedimento legislativo, la fondazione è stata inserita fra gli enti da sopprimere con il provvedimento cosiddetto di «spending review» ai commi da 59 a 70 dell'articolo 12 del decreto-legge n. 95 del 2012 convertito, con modifiche e integrazioni, dalla legge n.135 del 2012 –:
   cosa intenda fare in merito alla perdita di competenza ed esperienza in un settore tanto particolare come quello dell'economia della cultura e della creatività che la soppressione della fondazione Valore Italia comporterebbe;
   cosa intenda fare in merito alla paventata soppressione del progetto della Esposizione permanente del design italiano e del made in Italy, che potrebbe invece rappresentare una importante vetrina per l'eccellenza produttiva italiana, anche al fine di una migliore attrazione di investimenti;
   se non ritenga necessario attuare ogni opportuna iniziativa, anche di carattere normativo, volta a garantire la continuazione dell'attività della fondazione Valore Italia sul doppio binario della realizzazione della Esposizione Permanente del design italiano e del made in Italy e delle attività di laboratorio progettuale a favore dell'elaborazione di nuove strategie di politica economica da sottoporre al Ministero dello sviluppo economico;
   se e quali iniziative normative il Governo intenda assumere, alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione, al fine di correggere il decreto-legge n.95 del 2012 nella parte in cui si prevede la soppressione della fondazione Valore Italia. (4-01037)


   PASTORELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la multinazionale Alcatel-Lucent, uno dei leader mondiali nel campo delle telecomunicazioni, possiede in Italia centri di sviluppo software a Vimercate, Rieti, Battipaglia, centri industriali a Trieste e commerciali a Roma, per un totale di circa 2.000 addetti in Italia;
   nel giugno 2012, dopo un incontro tra il Ministro dello sviluppo economico pro tempore ed il CEO di Alcatel-Lucent, fu sottoscritto un accordo che prevedeva la realizzazione di un piano strategico per nuove attività della suddetta società in Italia, a fronte di determinati impegni del Ministero sull'Agenda digitale e la concessione di 245 casse integrazioni guadagni straordinari;
   successivamente, il 19 aprile 2013 in un altro incontro, Alcatel-Lucent Italia ha dichiarato la non applicabilità del suddetto accordo, a fronte di un cambio di scenari globali;
   nello stesso incontro, il dottor Castano, in rappresentanza del Ministero ha dichiarato che il Governo avrebbe dovuto incontrare il nuovo CEO, Michael Combes, riconvocando le parti per fine maggio 2013;
   nel successivo incontro, tenutosi il 21 maggio, Alcatel-Lucent ha chiesto di prorogare la parte riguardante le casse integrazioni guadagni, senza però fornire piani strategici per la produzione né prometterne;
   Alcatel-Lucent ha dichiarato nuovi esuberi «strutturali», per la maggior parte individuati a Rieti, dove rappresentano il 25 per cento della forza lavoro lì impiegata;
   nell'incontro del 21 maggio il Ministero dello sviluppo economico, attraverso il dottor Castano, ha chiesto nuovamente un incontro con il CEO, da realizzare in tempi rapidissimi;
   a tutt'oggi non si hanno notizie di questo incontro;
   il CEO Alcatel-Lucent ha annunciato per il 19 giugno il suo piano mondiale a medio termine –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   se e come il Ministro intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di limitare le conseguenze negative derivanti da un eventuale progetto di smantellamento, o forte ridimensionamento, delle installazioni produttive da parte dell'Alcatel-Lucent sul territorio di Rieti;
   se l'incontro tra il CEO ed il Ministro interrogato, di cui in premessa, sia stato effettivamente fissato e se si terrà prima del 19 giugno 2013;
   se il Ministro non ritenga opportuno posporre un eventuale accordo con l'Alcatel-Lucent a dopo il 19 giugno, quando le scelte strategiche globali di quest'ultima saranno più chiare e vi sarà, auspicabilmente, una definizione temporale più precisa degli impegni del Governo per quanto riguarda l'Agenda digitale. (4-01053)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Gitti ed altri n. 1-00115, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Bazoli e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Gitti, Marazziti, Schirò Planeta, Piepoli, Mazziotti Di Celso, Binetti, Causin, Antimo Cesaro, Cimmino, Fauttilli, Gigli, Matarrese, Monchiero, Santerini, Sberna, Sottanelli, Verini, Bazoli, Giachetti, Nicoletti».