Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 18 giugno 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la pesante crisi economica che l'Europa sta attraversano colpisce in modo particolarmente duro i giovani. Dati recenti parlano di 5,7 milioni di giovani che non lavorano in Europa: di questi, 3,6 milioni si concentrano nell'area euro;
    a questo fenomeno si aggiunge quello altrettanto preoccupante dei cosiddetti neet (not in education, employment or training), i giovani tra i 15 ed i 29 anni che non studiano e non lavorano;
    molti studi informano che in Europa circa 14 milioni di giovani possono essere considerati a tutti gli effetti neet. Si tratta di una cifra impressionante, pari al totale della popolazione di vari Stati componenti l'Unione europea;
    in Italia il tasso di disoccupazione giovanile ha toccato ormai quota 40,5 per cento, ma ha superato il 50 per cento nelle aree del Mezzogiorno, con alcune punte ancora maggiori in varie zone del Sud del nostro Paese. I neet italiani, invece, sono circa 2,2 milioni;
    sommando le due tipologie di giovani non occupati risulta che il costo stimato della disoccupazione giovanile si aggira intorno ai 32 miliardi di euro;
    oltre ai costi economici, però, la disoccupazione di larga parte della popolazione giovanile, sia europea sia italiana, ha pesanti ricadute negativi anche in campo sociale e politico, allontanando drasticamente i giovani dalle istituzioni e rendendo sempre più difficile una loro emancipazione dalle famiglie di origine;
    per contrastare questo preoccupante fenomeno, l'Unione europea si è attivata mettendo in atto concrete politiche di contrasto alla disoccupazione che tentano di consentire un maggiore e più rapido inserimento dei giovani nel mercato del lavoro;
    strumento principale di questa azione europea è la misura detta Youth guarantee, che mette per ora a disposizione sei miliardi di euro per le regioni europee che abbiano un tasso di disoccupazione giovanile molto alto, al fine di reinserire i giovani in percorsi di studio o nel mercato del lavoro in tempi molto brevi. Si sta cercando di ottenere un aumento delle risorse messe a disposizione da questa misura;
    le iniziative europee, però, da sole non bastano. La stessa Unione europea, infatti, ha chiesto un importante impegno dei singoli Stati membri nell'azione di affiancamento di quanto messo in campo dalle istituzioni sovranazionali;
    per quel che riguarda in particolare l'Italia, ed ancor più il Mezzogiorno del nostro Paese, le misure comprese nella Youth guarantee, ed anche tutti gli altri provvedimenti quali la riduzione del cuneo contributivo e fiscale e quelli finalizzati al sostegno della domanda, sono certamente importanti, ma non portano a risultati immediati;
    è, invece, di tutta evidenza il fatto che in Italia sia necessario mettere in campo in tempi brevissimi concrete misure di sostegno all'occupazione giovanile;
    la cosiddetta «staffetta generazionale» appare strumento estremamente utile per affrontare con decisione una situazione che, se è difficile ovunque, è particolarmente tragica nel Mezzogiorno d'Italia, cronicamente afflitto dal fenomeno della disoccupazione ed ora colpito con particolare durezza dalla crisi che si sta vivendo;
    la staffetta generazionale non è certo un'idea peregrina o utopistica. Infatti, già la cosiddetta «legge Treu», la legge n. 196 del 1997, all'articolo 13, comma 4, lettera b), stabiliva che la maggiore misura della riduzione delle aliquote contributive prevista si applica ai «contratti di lavoro a tempo parziale in cui siano trasformati i contratti di lavoro intercorrenti con lavoratori che conseguono nei successivi tre anni i requisiti di accesso al trattamento pensionistico, a condizione che il datore di lavoro assuma, con contratti di lavoro a tempo parziale e per un tempo lavorativo non inferiore a quello ridotto ai lavoratori predetti, giovani inoccupati o disoccupati di età inferiore a trentadue anni»;
    successivamente, molte sono state le proposte per migliorare l'istituto della staffetta tra generazioni nel mondo del lavoro e oggi essa viene sperimentata in regioni quali il Piemonte, la Lombardia, l'Emilia-Romagna, mentre è utilizzata con successo in vari Stati europei, tra i quali la Germania, laddove lo Stato ha accettato di aiutare chi voleva lasciare il lavoro, per farsi sostituire da un giovane, riconoscendo i contributi figurativi mancanti per il raggiungimento della pensione;
    già il Presidente del Consiglio dei ministri Letta, nel suo discorso alla Camera dei deputati del 29 aprile 2013, in occasione del voto di fiducia al nuovo Governo, aveva fatto un accenno a questo strumento utile per affrontare la situazione;
    la staffetta generazionale è stata poi ripresa ed approfondita dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali Enrico Giovannini nelle successive audizioni in Commissione lavoro del Senato, il 14 maggio 2013, e della Camera dei deputati, il giorno successivo;
    il Ministro del lavoro e delle politiche sociali non ha nascosto le difficoltà che si possono incontrare nell'attuazione di questa misura di contrasto immediato alla disoccupazione dei giovani, ma ha dichiarato che potrebbe avere dei vantaggi importanti;
    non appaiono sinceramente fondate le obiezioni di vari tecnici, che sembrano ispirarsi più a pregiudizi che a fattori concreti;
    appare difficile, infatti, negare che l'introduzione della staffetta tra generazioni non comporti, se, ovviamente, non lasciata isolata e con un attento studio dei costi e dei benefici, effetti positivi sull'occupazione ed anche sul piano macroeconomico e su quello delle imprese;
    la staffetta tra generazioni non intende in alcun modo espellere i lavoratori anziani dal mercato del lavoro, contro la loro volontà. Non si tratterebbe di un'espulsione coatta ma di un incentivo a lasciare il lavoro o ad accettare un part time, favorendo l'inserimento di un giovane;
    inoltre, si è detto sino a poco tempo fa che la riforma che ha ritardato la pensione anche di cinque anni ha imposto un pesante sacrificio ai lavoratori. Ora, invece, si afferma che mandare in pensione in anticipo lavoratori anziani, che si ritirerebbero due o tre anni prima del previsto, sarebbe un sacrificio. Appare evidente che le due tesi non stanno insieme e che l'illogicità ne mostra la debolezza concettuale e concreta;
    si afferma, inoltre, che l'andare in pensione più tardi non sottragga posti di lavoro ai giovani, e che anzi pesi meno sul sistema previdenziale in modo da liberare risorse utili a costruire nuovi posti di lavoro. Anche qui la logica del ragionamento appare quantomeno labile. Non è difficile immaginare che, al contrario, se una quota di anziani accettasse di andare in pensione prima del tempo, le aziende potrebbero assumere giovani. Non vi sarebbero, certo, nuovi posti di lavoro ma posti di lavoro per i giovani sì;
    si deve anche ricordare un altro dato: il costo del lavoratore prossimo alla pensione è doppio rispetto a quello di un neo assunto. Incentivando, quindi, la staffetta generazionale si potrebbe raggiungere lo scopo di inserire nel mondo del lavoro due giovani al posto di un anziano;
    ma se anche l'azienda interessata al turn over decidesse di sostituire il lavoratore anziano con un solo giovane, ciò potrebbe ridurre in misura netta il costo del lavoro, con un risultato che in prospettiva sarebbe positivo per la stessa azienda, che diverrebbe maggiormente competitiva, potendosi anche permettere di pagare contributi più alti, con l'evidente recupero dei maggiori oneri contributivi sopportati nell'immediato dal sistema previdenziale per consentire l'uscita anticipata dei lavoratori anziani;
    se, invece, i lavoratori anziani restano sino alla fine al lavoro ed a tempo pieno, si blocca il mercato del lavoro e si chiudono le possibilità per i giovani di iniziare a lavorare presto, rendendo più efficiente e produttiva l'azienda;
    se è vero che gli anziani non possono essere sostituiti da un giorno all'altro dai giovani, che non hanno la loro, indispensabile, esperienza lavorativa, è anche vero che la staffetta generazionale, con un'introduzione del part-time, consentirebbe il giusto mix tra esperienza e freschezza necessario per il progresso dell'azienda;
    il brusco aumento dell'età pensionabile che, in alcuni casi, è passata rapidamente da 57 a 67 anni, ha bloccato il turn over e impedito l'immissione annuale di nuovi elementi che assicurassero il naturale ricambio delle compagini aziendali, con effetti prevedibilmente negativi sull'efficienza, sull'innovazione, sulla qualità dei prodotti e sulla capacità produttiva delle aziende;
    nella pubblica amministrazione, inoltre, dove fino al 1994 si andava in pensione con diciannove anni, sei mesi e un giorno (e anche meno in molti casi), il turn over è, sostanzialmente, bloccato da allora con effetti deleteri evidenti;
    a livello macroeconomico, poi, l'assunzione con contratti a tempo indeterminato di un numero di giovani che potrebbe superare i duecentomila avrebbe effetti altamente positivi sui consumi e, soprattutto, sul mercato delle abitazioni e dei beni durevoli che, come è noto, hanno un ruolo trainante e possono rimettere in moto tutto il processo produttivo;
    inoltre, la staffetta generazionale potrebbe aiutare i giovani a rendersi autonomi da quella famiglia che sino a poco tempo fa è stato il vero welfare italiano, ma che ora comincia a sentire gli effetti della crisi, dato che anche i genitori, pur non in età pensionabile, vedono messo a rischio spesso il loro posto di lavoro;
    è certamente vero che la staffetta generazionale da sola non risolve il problema complessivo dell'occupazione giovanile, ma – come affermato anche dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali Enrico Giovannini – è necessario evitare che i giovani restino troppo tempo fuori dal mercato del lavoro;
    infine, la staffetta tra generazioni potrebbe essere molto utile nella ricostruzione di un patto tra generazioni evidentemente rottosi per colpa della crisi in corso, ma anche per un insensato clima di scontro tra «giovani» e «vecchi» che ha preso piede negli ultimi venti anni e che ha ritenuto che l'unico modo per aiutare i giovani fosse quello di colpire i vecchi,

impegna il Governo:

   a continuare, come annunciato dal Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta e dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali Enrico Giovannini, sulla strada della staffetta tra generazioni, quale primo strumento per affrontare la crisi occupazionale giovanile, mettendo in atto tutte quelle iniziative necessarie per consentire un turn over generazionale pacifico, efficiente e capace di dare risposte immediate alle esigenze dei giovani delle aree più svantaggiate del nostro Paese, anche seguendo l'esempio delle regioni che stanno sperimentando concretamente la misura;
   in particolare, in modo da ottenere un risultato quanto più rapido possibile e duraturo, ad adottare, pur nei limiti attuali del bilancio, tutte le iniziative necessarie per la concessione di sgravi alle imprese per le tasse sui contributi figurativi dei lavoratori, evitando, così, il rischio di una totalmente controproducente doppia imposizione;
   ad intervenire, in occasione del prossimo Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013, dedicato proprio al tema dell'occupazione giovanile, per ottenere un aumento della dotazione del Fondo sociale europeo, in modo da finanziare progetti che favoriscano l'occupazione dei giovani, passo successivo ma indispensabile anche per la riuscita della staffetta tra generazioni;
   ad operarsi in tutte le sedi opportune, a partire dallo stesso Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013, per ottenere un aumento della dotazione complessiva di 6 miliardi di euro per la Youth guarantee, cifra che, vista la grave situazione in cui versa l'occupazione giovanile in Europa, con Paesi come Spagna e Grecia che vedono percentuali enormi di giovani fuori dal mercato del lavoro, non appare sufficiente per consentire concreti interventi in tutte quelle regioni che ne hanno necessità.
(1-00106) «Formisano, Pisicchio, Capelli, Lo Monte, Tabacci».

Risoluzione in Commissione:


   La XII Commissione,
   premesso che:
    la malattia di Huntington (MH) è nell'elenco delle malattie rare dell'Istituto superiore di sanità. Il codice identificativo è RF00 80;
    è una patologia risultante dalla degenerazione geneticamente programmata di neuroni del sistema extrapiramidale e fa parte delle cosiddette sindromi ipercinetiche. Questa degenerazione causa movimenti incontrollati, simili a quelli di una danza (corèa, da qui anche il nome di Corea di Huntington), perdita di facoltà intellettive e disturbi emozionali, e porta negli anni alla perdita totale di ogni autonomia e all'allettamento;
    la MH colpisce circa 7-10 individui ogni 100.000 abitanti in Europa, con un'età di esordio nella vita adulta tra i 30 e 50 anni, e il decorso clinico varia da soggetto a soggetto. Recenti studi epidemiologici condotti in Gran Bretagna e in Canada evidenziano che i casi di Huntington sono in aumento;
    la causa genetica è una mutazione nel gene che codifica per la proteina huntingtina. L'ereditarietà è autosomica dominante a penetranza completa. È trasmessa dai genitori a figli con una probabilità del 50 per cento quando uno dei genitori è malato. La trasmissione del gene mutato è indipendente dal sesso;
    ereditare il gene mutato determina la degenerazione dei neuroni del sistema nervoso centrale. Ad essere prevalentemente colpiti sono il nucleo caudato e la corteccia cerebrale. Ne consegue la comparsa di movimenti involontari patologici, deterioramento cognitivo e alterazione del comportamento. Il decorso è lentamente progressivo e fatale dopo 16-20 anni di malattia. Non vi sono farmaci in grado di prevenire, bloccare o rallentare la progressione della malattia o curarla; le sostanze attualmente disponibili, benché utili, hanno solo un effetto sintomatico;
    grazie alla scoperta del gene della malattia, avvenuta nel 1993, è oggi possibile individuare, tra i soggetti a rischio, chi ne è portatore attraverso un test genetico: il soggetto manifesterà più o meno presto la sintomatologia coreica; al contrario, chi non è portatore non avrà né trasmetterà la malattia. Questo test, definito predittivo, è effettuato in alcuni laboratori in Italia, ma richiede un'attenta valutazione dei candidati per i molti problemi di natura psicologica ed etica che esso solleva. Il test presintomatico permette di prevedere l'insorgere della malattia nell'arco della vita del soggetto a rischio, senza però poter prevedere con sicurezza quando e con quale gravità si manifesterà la malattia. Il test solleva gravi problemi: se la persona a rischio voglia veramente conoscere la verità sul suo stato di salute; e, una volta saputo dell'insorgere o meno della malattia, è legittimo interrogarsi su quali saranno le conseguenze sulla persona stessa, sul coniuge, sulla famiglia e sul rischio di discriminazione sociale, assicurativa e nel mondo del lavoro. Per la delicatezza del problema sono state redatte delle linee guida da parte dell'IHA (International Huntington association) e del WFN (World federation of neurology);
    l'identificazione del gene apre nuove prospettive per una migliore comprensione dei meccanismi patogenetici della corea e permette di produrre modelli che consentono agli scienziati di studiare le disfunzioni alla base della malattia. Diverse scoperte hanno permesso di aprire vie d'indagine per la ricerca di una cura efficace, ma sono ancora molte le strade della ricerca che devono essere percorse affinché nulla resti intentato;
    la diagnosi della malattia è complicata perché comprende una completa ed accurata storia del nucleo familiare, abbinata a palesi sintomi di movimenti non coordinati, di turbe emozionali e dell'intelletto, e della natura progressiva di tali sintomi. Talvolta i primi segni sono così vaghi che una diagnosi può essere fatta solo dopo che questi sintomi si siano evidenziati per un certo periodo; la MH può manifestarsi anche in assenza di precedenti familiari. Questa è, però, un'eventualità rara. Talvolta le famiglie hanno difficoltà a rintracciare la storia familiare della malattia. In alcuni casi le famiglie possono essere separate e lontane geograficamente, e i membri possono aver perso ogni traccia gli uni degli altri. I malati più anziani possono non aver avuto una diagnosi o averne avuta una non esatta, oppure la diagnosi può non essere stata loro comunicata. Talvolta le famiglie hanno mantenuto segreti i dettagli circa un'adozione o una parentela dubbia, o l'anamnesi familiare potrebbe essere sospetta. Quando ci sono seri dubbi supportati dalle familiarità è possibile effettuare il test diagnostico atto a confermare la diagnosi stessa. Questo è utile soprattutto se non si è in grado di ottenere una completa ed accurata anamnesi familiare, lavoro a volte complesso e lento;
    la MH è, purtroppo, incurabile e gli unici farmaci disponibili possono solo migliorare alcuni sintomi come i movimenti involontari, mentre nulla possono per fermare la progressione della malattia;
    non esistono oggi cure che arrestino o rendano reversibile il decorso della malattia, esistono comunque farmaci a disposizione del neurologo che possono modificare o attenuare alcuni effetti come i movimenti coreici più gravi, la depressione, eccetera;
    mantenere le capacità e l'indipendenza del malato il più a lungo possibile, e sostenere insieme le famiglie, migliorerà la loro vita e ne alleggerirà il peso;
    il neurologo deve prendersi in carico il malato per tutto il percorso della malattia prescrivendo i farmaci, valutando il grado e la specificità dei disturbi relativamente ai diversi stadi della malattia, fino all'ultimo stadio che comporta la perdita totale di ogni autonomia e l'allettamento, stadio che grava su una famiglia già provata da anni di assistenza;
    sovente, nella stessa famiglia viene colpito più di un familiare (genitore e figlio, fratelli);
    per la gestione della malattia e delle problematiche familiari è necessario un intervento integrato fra numerosi specialisti: neurologo, fisiatra, nutrizionista, psichiatra, psicologo, assistente sociale, educatore professionale e i relativi enti sanitari e socio-assistenziali;
    in Italia l'intervento del Sistema sanitario sull'Huntington è, a dir poco, tutto da costruire;
    la legge sulle malattie rare prevede che ogni regione abbia un centro di riferimento. La norma, per quanto rispettata ovunque, si limita a prendere in considerazione gli aspetti superficiali del fenomeno,

impegna il Governo:

   a promuovere e sostenere progetti finalizzati a migliorare la conoscenza della MH in termini sia quantitativi che qualitativi, per consentire un'adeguata pianificazione delle politiche socio-sanitarie e consolidare le esperienze di reti presenti in Italia e all'estero, in modo da rispondere più concretamente ai disagi fisici e psichici connessi alla malattia;
   a prevedere momenti formativi per gli operatori dei centri clinici, affinché possano essere professionalmente qualificati nella cura e nella ricerca della MH, anche ai fini dell'implementazione delle strutture specializzate;
   a prendere in considerazione, nel rispetto degli equilibri di bilancio e delle risorse disponibili, l'estensione degli interventi finanziari previsti in favore dei soggetti affetti da altre patologie anche alle persone colpite dalla MH.
(7-00046) «Biondelli, Lenzi, Sbrollini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Grassi, Arlotti, Antezza».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   con la legge regionale 12 luglio 2011 n. 11, pubblicata sulla GURS n. 30 del 14 Luglio 2011, il legislatore regionale siciliano, al fine di favorire lo sviluppo di nuova imprenditorialità giovanile e femminile, ha previsto l'esenzione dall'imposta regionale sulle attività produttive, per i cinque periodi d'imposta a decorrere dalla costituzione o dall'inizio dell'attività, per le nuove imprese giovanili o femminili;
   in mancanza del codice di esenzione nel modello Irap/2013, per l'anno d'imposta 2012, pubblicato sul sito dell'Agenzia delle entrate, relativamente alla regione Sicilia, gli ordini siciliani, in data 22 aprile 2013 hanno richiesto alla direzione regionale dell'Agenzia delle entrate l'attivazione del codice;
   il direttore regionale con nota del 2 maggio 2013 ha risposto affermando che per la decorrenza del provvedimento si era in attesa di un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   l'assessorato regionale dell'economia ha trasmesso la nota del 22 maggio 2012 al Ministero dell'economia e delle finanze, con la quale si richiede l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri –:
   se il Governo e il Ministro interrogato stiano provvedendo a emanare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, vista l'ormai prossima scadenza per la presentazione dei modelli di dichiarazione dei redditi dei contribuenti interessati.
(2-00095) «Vecchio, Dellai, Schirò Planeta».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   l'Ansaldo Breda rappresenta una delle aziende leader nel campo dei trasporti ferrotranviari, la cui competitività è stata ampiamente dimostrata negli anni con l'acquisizione di commesse rilevanti anche da parte di diversi Paesi europei;
   da diversi anni ormai, le prospettive dell'azienda Ansaldo Breda sono legate alla necessità di una riorganizzazione complessiva di Finmeccanica, di cui il Governo detiene la golden share;
   non è chiaro se il settore civile sia considerato o meno strategico da parte di Finmeccanica e se il Governo voglia puntare su una strategia industriale per il Paese centrata sul sistema della mobilità sostenibile, in particolare sul settore ferrotranviario, settore che non è in crisi a livello internazionale e che potrebbe trovare nel nostro Paese un punto di riferimento importante;
   la regione Toscana ha costituito il distretto tecnologico ferroviario per valorizzare una produzione centrale per il proprio territorio, in regione Campania invece, si è concentrata la manutenzione della flotta Trenitalia Frecciarossa e nella sede di Napoli l'azienda produce e verifica materiale rotabile e tutta la componentistica con apparecchiature all'avanguardia nel mondo;
   Finmeccanica a fine luglio 2011 ha dichiarato di voler dismettere l'azienda, l'unica impresa italiana nelle costruzioni ferroviarie e, da quel momento, è iniziata una forte mobilitazione delle istituzioni regionali e locali e delle forze sindacali;
   gli stabilimenti Ansaldo Breda, presenti in Campania, Toscana, Calabria e Sicilia contano oltre 2250 dipendenti, senza considerare l'indotto; le maestranze hanno acquisito negli anni un grande patrimonio di conoscenze e di esperienze in termini di ricerca, di know how e innovazione del prodotto, fornendo così un decisivo contributo alla competitività del gruppo sui relativi mercati nazionali ed esteri;
   negli ultimi tempi, numerose indiscrezioni sono emerse rispetto alla vendita di Ansaldo Breda, come l'interesse di General Electric ed Hitachi, con conseguente preoccupazione da parte dei lavoratori e delle rappresentanze istituzionali e sindacali;
   negli ultimi tempi, alla situazione di incertezza fin qui riportata, si sono aggiunte preoccupanti notizie, rispetto alla rescissione del contratto da 260 milioni di euro per i treni Fyra V250 di Ansaldo Breda, con Belgio e Olanda;
   a questo si aggiunge la contestuale accusa mossa contro Ansaldo Breda di cause tecniche, alla base della volontà di rompere gli accordi, con conseguente discredito nei confronti dell'azienda, della produzione ferrotranviaria italiana e dell'Italia stessa –:
   se il Governo intenda affrontare la questione delle necessaria riorganizzazione di Finmeccanica, e come le vicende legate all'azienda Ansaldo Breda si inseriscano in un quadro complessivo di sviluppo e di crescita per il sistema ferrotranviario italiano;
   se rispondano al vero le indiscrezioni relative alla volontà di vendere Ansaldo Breda e, più in generale, alla volontà di dismissione di un settore che cresce del 3,5 per cento nel mondo e che quindi è da ritenersi strategico per la politica industriale del Paese;
   in che modo il Governo intenda seguire la vicenda della commessa Belgio-Olanda che, rischia di assumere un significato che va ben al di là dei meri rapporti contrattuali fra un'azienda ed i propri committenti, mettendo a repentaglio un settore fondamentale per le prospettive di crescita e sviluppo del nostro Paese.
(2-00096) «Epifani, Bini, Impegno, Fanucci, Velo, Manciulli, Decaro, Paolucci, Salvatore Piccolo, Losacco, Picierno, Bressa, Rosato, Giacomelli, Sereni, Sani, Bossa, Amendola, Pierdomenico Martino, Cenni, Ermini, Carbone, Lotti, Parrini, Faraone, Famiglietti, Piccoli Nardelli, Donati, Biffoni, Anzaldi, Melilli, Cuperlo, Benamati, Bonifazi, Giorgio Piccolo, Valiante, Peluffo».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la Commissione europea, nel suo ultimo rapporto annuale (digital agenda scoreboard 2013) presentato il 12 giugno 2013 sullo stato di avanzamento dell'Agenda digitale europea, ha stigmatizzato il ritardo del nostro Paese nell'adozione delle nuove tecnologie di rete sia sull'uso medio di internet che del web, e, quindi, colmare il digital divide;
   secondo quanto riportato dalla stampa e dai media nazionali, nell'ambito del cosiddetto «Decreto Fare» approvato in occasione del Consiglio dei Ministri del 15 giugno 2013, sarebbe stata ridefinita la governance dell'Agenda digitale italiana e, sempre da notizie di stampa, si apprende che il dottor Francesco Caio presiederà l'istituenda cabina di regia dell'Agenda digitale italiana;
   in particolare, all'interrogante risulta che verrebbero apportate significative modifiche al decreto-legge del 22 giugno 2012 n. 83, concernenti, non solo l'organizzazione della Agenzia per l'Italia digitale, ma anche le modalità di nomina del direttore generale e dell'emanazione dello statuto dell'Agenzia.
   da notizie di stampa è emerso che vi è stato un esposto-denuncia contro l'ingegner Agostino Ragosa, inviato alla procura della Repubblica di Roma, ai revisori dei conti dell'Agenzia per l'Italia digitale, alla Consip e alla Presidenza del Consiglio dei ministri, concernente l'operato dell'ingegner Agostino Ragosa;
   il primo firmatario del presente atto ha ricevuto un analogo esposto-denuncia;
   il segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, dottor Garofoli, ha scritto a tutti i ministeri di intervenire subito in merito all'esposto-denuncia contro l'attuale direttore generale dell'Agenzia per l'Italia digitale, ingegner Agostino Ragosa, per i presunti illeciti di natura penale ed amministrativa;
   non è dato sapere se il collegio dei revisori dei conti dell'Agenzia per l'Italia digitale, sia stato interpellato a tal proposito –:
   quali atti urgenti e concreti il Governo intenda adottare per rilanciare il ruolo dell'Agenzia per l'Italia digitale, nel solco dell'attuazione dell'Agenda digitale europea, dotando l'Agenzia di un management che risponda ai criteri di professionalità, buona gestione, merito e di trasparenza così come richiesti dai nostri partner europei.
(2-00097) «Migliore, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro degli affari esteri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   in questi giorni i media hanno abbondantemente riportato la notizia secondo la quale le agenzie di sicurezza USA avevano la possibilità di ottenere mail, conversazioni, voip, chat e altro di cittadini non americani da nove grandi fornitori americani di servizi online (escluso il social network Twitter che si è rifiutato);
   il giorno dopo la notizia del programma di controllo PRISM, sul Financial Times, due articoli parlavano del rischio intercettazioni ad opera dei produttori cinesi che forniscono l’hardware che fa funzionare le reti in molte parti del mondo;
   in Italia, al contrario che all'estero, la cosa non ha destato il clamore che questo spionaggio globale meriterebbe;
   il Garante della privacy tedesco ha chiesto al governo USA chiarimenti urgenti su queste accuse mostruose di sorveglianza totale;
   il Governo tedesco, tramite il portavoce, Steffen Seibert, ha comunicato che stanno cercando prove e ha annunciato che la questione sarà sollevata nell'incontro previsto tra un mese tra la cancelliera Merkel ed il Presidente Obama;
   anche i funzionari della Commissione europea si sono detti «molto preoccupati» della possibile violazione del diritto alla privacy dei cittadini dell'Unione europea da parte di società statunitensi o dalla stessa amministrazione statunitense, aggiungendo che avrebbero contattato le autorità statunitensi per sondare ulteriormente la questione;
   secondo Cecilia Malmström, commissario agli Affari interni dell'Unione europea che per il momento è troppo presto per trarre qualsiasi conclusione o di commentare e che si metterà in contatto con gli omologhi statunitensi per maggiori dettagli su questo tema;
   anche il commissario europeo per l'agenda digitale Kroes si è espressa in merito affermando che questo caso mostra perché un quadro giuridico chiaro per la protezione dei dati personali non è un lusso ma una necessità;
   forti preoccupazioni sono state sollevate da quasi tutti i gruppi del Parlamento europeo –:
   quali urgenti iniziative intendano adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per far luce su eventuali violazioni dei diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini italiani in materia di libertà e di segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione.
(2-00104) «Quintarelli, Gentiloni Silveri, Marazziti, Balduzzi, Vargiu, Gigli, Capua, Galgano, Rossi, Schirò Planeta, Adornato, Binetti, Bombassei, Buttiglione, Catania, Cera, Antimo Cesaro, De Mita, Fauttilli, Gitti, Matarrese, Mazziotti di Celso, Molea, Nesi, Monchiero, Oliaro, Piepoli, Andrea Romano, Santerini, Sottanelli, Zanetti».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   la convenzione sui diritti dell'infanzia all'articolo 4 reca «Gli Stati parti si impegnano ad adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi e altri, necessari per attuare i diritti riconosciuti dalla presente Convenzione. Trattandosi di diritti economici, sociali e culturali essi adottano tali provvedimenti entro i limiti delle risorse di cui dispongono e, se del caso, nell'ambito della cooperazione internazionale»;
   nel corso della relazione al Parlamento 2013 del Garante per l'infanzia e l'adolescenza è emerso, come si legge dalla stampa, un dato fortemente preoccupante, vale a dire che nel nostro Paese vi è «una scarsa attenzione verso le necessità materiali e i diritti dei minori»;
   la relazione, tra l'altro, riporta i dati Istat sulla povertà relativa, condizione nella quale vivono oggi 1.822.000 minorenni italiani, il 17,6 per cento dei e degli adolescenti. Il 7 per cento dei minorenni, circa 723.000, vive in condizioni di povertà assoluta e la quota maggiore, purtroppo, spetta al Mezzogiorno con il 10,9 per cento, a fronte del 4,7 per cento del centro Italia e del Nord del Paese;
   a destare allarme nella relazione è soprattutto il dato relativo al rischio di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni, pari al 70 per cento al Meridione a fronte del 46,5 per cento a livello nazionale. Si legge che secondo il Garante «70 su 100 minorenni che nascono in una famiglia numerosa del Mezzogiorno rischiano di essere poveri»;
   a sottolineare la difficile situazione dei minori in Italia anche il dossier di Save the children «L'isola che non sarà» presentato nel mese di maggio 2013. Nel documento si legge che «l'Italia si colloca ai vertici nella speciale classifica dei bambini sotto i 6 anni a rischio di povertà ed esclusione sociale (AROPE, At risk of poverty or social esclusion), l'indicatore di povertà più completo e attendibile a livello europeo perché costruito dall'incrocio di tre variabili: 1) la povertà di reddito; 2) la bassa intensità di lavoro; 3) la severa deprivazione familiare. Secondo tale indicatore, ben il 28,9 per cento dei bambini nei primi e più critici 5 anni di vita e il 32,2 per cento dei minori di 18 anni (uno su tre) sarebbero in questa condizione, una quota notevolmente superiore alla media europea (rispettivamente di 8 e 5 punti percentuali). Maggiori livelli di povertà si registrano soltanto in alcuni paesi dell'Europa orientale, in Irlanda e Grecia. Da notare che i bambini e i ragazzi a rischio povertà e di esclusione sociale sarebbero cresciuti di 4 punti tra il 2010 e il 2011»;
   inoltre, sempre dallo stesso dossier emerge che «una crescita di 8 punti in 7 anni ha interessato anche la percentuale dei minori sotto i 18 anni in situazioni di deprivazione materiale, passata dal 15,9 per cento del 2004 al 23,7 per cento del 2011. In questo caso, l'Italia fa segnare un tasso superiore di 3 punti alla media europea e si colloca al 16o posto tra i paesi messi peggio. Rispetto ai coetanei, lo spazio vitale di bambini e ragazzi italiani è ridotto anche in relazione all'ultimo indicatore preso in esame: ben il 36 per cento di loro, oltre un ragazzo su tre, vive in condizioni di sovraffollamento abitativo. Anche in questo caso, l'analisi combinata dei tre indicatori mostra la gravità della situazione italiana: una maggiore esposizione dei bambini alle povertà materiali si rileverebbe soltanto in Bulgaria, Romania, Ungheria, Lettonia e Polonia. La Grecia – ma i dati sono fermi al 2011 – presenterebbe livelli di povertà infantili analoghi a quelli italiani»;
   il dossier «Game Over», una indagine nazionale sul lavoro minorile, dell'Associazione Bruno Trentin e Save the Children, presentato l'11 giugno 2013, definisce «a rischio sfruttamento», quei ragazzi che lavorano in fasce orarie serali o notturne, dopo le 20.00, e quelli che svolgono un lavoro continuativo che li obbliga a interrompere la scuola o toglie loro il tempo per riposare e divertirsi con gli amici. A questa condizione sembrerebbero corrispondere il 15 per cento dei 14-15enni che oggi lavorano, ovvero circa 30.000 ragazzi;
   il dossier, inoltre, sottolinea, come riporta la fonte redattoresociale.it, che sono 260 mila (più di 1 su 20) i minori di 16 anni che lavorano nel nostro paese. Di questi, sono 30.000 i 14-15enni a rischio di sfruttamento che fanno un lavoro pericoloso per la loro salute, sicurezza o integrità morale, lavorando di notte o in modo continuativo, con il rischio reale di compromettere gli studi, non avere neanche un piccolo spazio per il divertimento o mancare del riposo necessario. A spingere i pre-adolescenti a lavorare sono le difficoltà economiche familiari e una scarsa fiducia nell'istituzione scolastica;
   si legge ancora «il picco di quasi 2 su 10 pre-adolescenti che lavorano (18,4 per cento) si raggiunge tra i 14 e 15 anni, età di passaggio dalla scuola media a quella superiore, nella quale si materializza in Italia uno dei tassi di abbandono scolastico più elevati d'Europa (18,2 per cento contro una media EU27 del 15 per cento)»;
   emerge, inoltre, che «il 46 per cento dei minori 14-15enni che lavorano sono donne. Le esperienze di lavoro dei minori tra i 14 e 15 anni sono in buona parte occasionali (40 per cento), ma 1 su 4 lavora per periodi fino ad un anno e c’è chi supera le 5 ore di lavoro quotidiano (24 per cento). La cerchia familiare è l'ambito nel quale si svolgono la maggior parte delle attività. 1 minore su 3 si dedica ai lavori domestici continuativi per più ore al giorno anche in conflitto con l'orario scolastico, più di 1 su 10 lavora presso attività condotte da parenti o amici, ma esiste un 14 per cento di minori che presta la propria opera a persone estranee all'ambito familiare. Un ragazzo su 5 dei 14-15enni che lavorano svolge un'attività di tipo continuativo (da 9 a 12 mesi l'anno) e anche questo avviene soprattutto in ambito familiare»;
   nel corso degli anni passati, purtroppo, si è assistito per una necessità di bilancio ad un progressivo svuotamento delle risorse destinate al generale sostentamento dei minori e delle famiglie con maggiori difficoltà, Ciò a partire dai numerosi tagli operati nelle aree socialmente rilevanti: istruzione welfare;
   i bambini rappresentano il futuro di ogni Paese ed ogni minore costretto, esplicitamente o implicitamente, ad una situazione di esclusione, deprivazione, abuso, indigenza costituisce una ferita sociale che ogni Paese civile deve saper affrontare con mezzi adeguati e strumenti multidisciplinari –:
   conoscendo l'orientamento propositivo del Governo per ciò che riguarda il rispetto dei diritti dei minori ed il supporto alle famiglie con maggiori difficoltà economiche, quali iniziative si intendano mettere in campo per contrastare la dura piaga del lavoro minorile e se non si ritenga necessario approntare, di concerto con tutti i Ministeri interessati, un piano integrato delle politiche a favore dei minori ed un capitolo di spesa dedicato che consenta un reale investimento sui minori, sulle loro capacità, sulla salvaguardia dei loro diritti e sullo sviluppo delle potenzialità future con la finalità di costruire passo dopo passo la vita equilibrata e non deprivata dei cittadini che verranno.
(2-00100) «Bellanova, Capone».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GARAVINI, BENAMATI, GIANNI FARINA, FEDI, LA MARCA e PORTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'esclusione dei cittadini italiani residenti all'estero dalla fruizione dei servizi live streaming di Rai.tv non può essere direttamente o indirettamente giustificata dal mancato versamento di un'imposta, cui sono soggetti giuridicamente solo i detentori degli apparecchi situati in Italia;
   la sentenza del 26 giugno 2002, n. 284, della Corte costituzionale ha infatti configurato che il cosiddetto «canone Rai» non è qualificabile come un abbonamento o una tassa di servizio, collegata alla fruizione del servizio, bensì come un'imposta sulla detenzione di apparecchi atti od adattabili alla ricezione di radioaudizioni, indipendente dalla reale fruizione o dalla volontà di fruire del servizio;
   da tempo, sia gli organismi di rappresentanza degli italiani all'estero, quali i Comites e il Consiglio generale degli italiani all'estero, che il variegato mondo associativo lamentano la modesta qualità della programmazione rivolta alle comunità italiane all'estero attraverso RAI Internazionale, penalizzata dalla limitata disposizione di risorse finanziarie; nella programmazione ordinaria del servizio pubblico, si è altresì rivelata al di sotto delle aspettative la risposta data alla domanda di «informazione di ritorno», vale a dire di una più sistemica e approfondita informazione sulle forme e le espressioni che la comunità italiana ha realizzato nel mondo; una carenza che non soltanto offre una rappresentazione marginale dell'articolazione e della ricchezza delle presenze italiane nella dimensione globale, ma che rende anche meno penetrante il processo d'internazionalizzazione del nostro Paese;
   in parallelo, da anni e in modo sempre più generalizzato, si manifesta la protesta degli italiani nel mondo per il sistematico criptaggio dei canali RAI tradizionali trasmessi via satellite, senza che sia stata finora perseguita con sufficiente determinazione una soluzione concreta del problema;
   negli ultimi anni, la RAI ha creato e successivamente potenziato il servizio streaming «live» e «on demand» sul suo portale web (con il termine streaming si identifica un flusso di dati audio e video trasmessi da una sorgente a una o più destinazioni tramite una rete telematica); tuttavia, sempre secondo le testimonianze di numerosi connazionali residenti all'estero, è altresì impossibile visionare il pacchetto di canali di Rai.tv in live streaming nel caso in cui gli utenti che si collegano attraverso internet si trovino al di fuori del territorio nazionale;
   la mancata trasmissione live dei programmi agli utenti che si collegano a internet al di fuori del territorio nazionale è ricollegabile all'esigenza di rispettare da parte della Rai i diritti di proprietà intellettuale sui contenuti acquisiti da terzi, ma tale geoprotezione non può riguardare, salvo rare eccezioni, i contenuti di produzione interna e, in particolare, i notiziari e i programmi di approfondimento giornalistico; ne è riprova il fatto che tali contenuti, pur non essendo visionabili in diretta, vengono successivamente resi disponibili nella sezione del portale «on demand»;
   proprio i notiziari e i programmi d'approfondimento politico e sull'attualità italiana costituiscono elementi di considerevole interesse per le comunità italiane all'estero, nonché l'unico modo di godere di un'immediata informazione sulle vicende che riguardano il loro Paese d'origine;
   i nostri connazionali residenti all'estero vivono l'impossibilità di fruire di molti servizi Rai come un ostacolo alla loro partecipazione al dibattito culturale e politico italiano, che dovrebbe invece essere rafforzata a seguito della introduzione del sistema di voto per corrispondenza;
   la fruibilità del servizio «live streaming» di Rai.tv anche dall'estero, oltre a garantire un contatto quotidiano dei nostri connazionali con il loro Paese, accrescerebbe sensibilmente il numero di utenti Rai favorendo un positivo sviluppo economico dell'azienda sia in termini d'immagine che, per il possibile aumento degli introiti pubblicitari, in termini economici;
   il contratto nazionale di servizio 2010-2012 stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico e la RAI impegnava quest'ultima a «realizzare nuove forme di programmazione per l'estero che consentano di portare la cultura italiana, anche di carattere regionale ad un più vasto pubblico internazionale» e «a mantenere vivo il legame dei cittadini italiani residenti all'estero con il Paese e con la cultura d'origine, fornendo un'offerta che – oltre ad un'informazione costante sullo sviluppo economico del Paese, sull'evoluzione della società italiana e della sua cultura connotata da caratteri di qualità e innovazione attraverso la promozione del Made in Italy nel mondo – preveda una particolare attenzione alla comunicazione politica nei periodi interessati da campagne elettorali e referendarie»;
   sebbene nella scorsa legislatura i deputati eletti nella circoscrizione estero abbiano ripetutamente invitato i Ministri dello sviluppo economico a promuovere una maggiore fruibilità del servizio RAI all'estero, a ripristinare la dotazione di bilancio volta ad assicurare la continuazione e il miglioramento di RAI Italia e a scongiurare le chiusure di alcune storiche sedi di RAI Internazionale, non è stato registrato alcun progresso nell'offerta RAI per gli italiani residenti all'estero; nemmeno gli impegni assunti della società nel contratto di servizio 2010-2012 si sono concretizzati, risolvendosi in semplici enunciazioni di principio;
   il contratto di servizio RAI 2010-2012 è scaduto da ormai quasi sei mesi, tuttavia non è ancora stato concluso e approvato il nuovo contratto di servizio che dovrebbe regolare l'offerta della RAI fino alla fine del 2015 –:
   se il Ministro, nel quadro della negoziazione del contratto di servizio RAI 2013-2015, non intenda promuovere una maggiore fruibilità del servizio Rai.tv da parte degli utenti che intendano collegarvisi dall'estero prevedendo, in particolare, l'apertura di un canale streaming live dedicato appositamente agli italiani all'estero, che raccolga quotidianamente tutti i contenuti non coperti da vincoli di natura geografica trasmessi sulle reti RAI in un palinsesto capace di garantire ai connazionali una ricca informazione sulle vicende d'attualità italiane;
   quali interventi saranno richiesti alla RAI al fine di migliorare la qualità della programmazione rivolta alle comunità italiane all'estero, nonché di elevare l'attenzione per la storia e la cultura della nostra vecchia e nuova emigrazione nella programmazione ordinaria;
   quali interventi siano allo studio per superare l'annosa questione del criptaggio delle trasmissioni via satellite e se sia stata verificata la possibilità di adottare, anche per gli italiani all'estero, la soluzione della «card di decriptaggio», già positivamente sperimentata dalla Radiotelevisione della Svizzera italiana. (5-00374)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BOSSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la penisola sorrentina (provincia di Napoli) nonostante l'esiguità di spazi, la particolare morfologia del territorio e la fragilità dello stesso sotto il profilo idrogeologico, è oggetto da circa un decennio di una smisurata richiesta di progetti edilizi per la realizzazione di «parcheggi pertinenziali», da realizzare ai sensi del combinato disposto degli articoli 6 e 9 della legge regionale n. 19 del 2001;
   nel 1987, con legge regionale n. 35, è stato adottato il piano urbanistico territoriale dell'area sorrentino-amalfitana, che fissa, tra le altre cose, una serie di tutele e vincoli urbanistici per uno dei luoghi riconosciuti come tra i più belli d'Italia e tra i più preziosi sotto il profilo del patrimonio naturalistico;
   successivamente, con legge regionale n. 19 del 2001, si è resa possibile l'edificazione di parcheggi interrati anche in aree dove sussistono i vincoli imposti dal piano urbanistico territoriale della penisola sorrentino-amalfitana; in particolare, l'articolo 9 della sopra menzionata legge, recitava, all'atto dell'approvazione: «le disposizioni della presente legge trovano applicazione anche nei territori sottoposti alla disciplina di cui alla legge regionale 27 giugno 1987, n. 35, e, in caso di contrasto, prevalgono sulle disposizioni di quest'ultima», introducendo così una deroga indiscriminata al piano urbanistico territoriale;
   nel 2004, compresa la gravità della situazione, la stessa regione Campania promosse una modifica della legge n. 19 del 2001; con la legge n. 16 del 2004, fu cancellata la deroga generalizzata e introdotta la possibilità di realizzare parcheggi solo in situazioni di compatibilità e di rispetto dei «vincoli posti dal piano territoriale»;
   dal 2011 la regione Campania, lungi dal varare una legge coordinata di modifica del piano paesistico della penisola sorrentina, non rispetta, a parere dell'interrogante, come si avrà modo di approfondire nel prosieguo, precisi principi costituzionali, inserendo nelle proprie leggi finanziarie, con la cancellazione di una frase o una parola dal contesto della disposizione normativa, modifiche di fatto al testo normativo varato nel 2004;
   con la finanziaria del 2011, articolo 2 comma 1, lettera n) della legge n. 1 del 2011, la regione Campania modifica il testo dall'articolo 9 della legge regionale n. 19 del 2001 eliminando l'inciso «fatti salvi tutti i vincoli previsti dalla legge stessa» e lasciando inalterato nel resto la disposizione nel senso che «le disposizioni procedurali della presente legge trovano applicazione anche nei territori sottoposti alla disciplina di cui alla legge regionale 27 giugno 1987 n. 35»;
   con il comma 5 dell'articolo 52 della legge finanziaria 2012, inoltre, la regione Campania ha successivamente introdotto anche l'ultima, in ordine di tempo, modifica sopprimendo «dopo la parola “disposizioni” anche “procedurali”»; in definitiva allo stato di tutte le modifiche l'articolo 9 della legge n. 19 del 2001 adesso recita in questo modo: «Le disposizioni della presente legge trovano applicazione anche nei territori sottoposti alla disciplina di cui alla legge regionale 27 giugno 1987 n. 35»;
   la regione Campania, successivamente, in data 28 giugno 2012, ha emanato una nota di chiarimenti con la quale si smentiva che la modifica riconsentisse quegli interventi non più consentiti dalla novella del 2004; con la nota la regione si è affrettata a chiarire che le novelle adottate con l'articolo 2 della finanziaria 2011 e 52, comma 5, della finanziaria 2012 non consentono, comunque, di derogare ai vincoli imposti dal piano urbanistico territoriale ed, in particolare, non lo consentono nelle zone territoriali 2, 3, 6 eccetera, nelle quali non è possibile realizzare parcheggi pertinenziali privati e, nella zona territoriale 2, per diversa motivazione neppure pubblici;
   tuttavia sono successivamente intervenute varie decisioni del TAR Campania, tra le ultime la n. 2052 del 2013 (e prima ancora la 4788 del 2012), con la quale il giudice amministrativo, preso atto delle modifiche introdotte con le finanziarie regionali nel 2011 e 2012, considera ormai superata la novella del 2004 e, quindi, nuovamente possibile realizzare box pertinenziali anche in deroga ai vincoli del piano urbanistico territoriale;
   appare grave, oltre che singolare, che modifiche così rilevanti vengano introdotte con una legge finanziaria, senza un progetto organico e senza neppure un'istruttoria che tenga conto dei danni già arrecati dall'iniziale formulazione dell'articolo 9 del 2001;
   le conclusioni interpretative cui giunge la sezione del TAR Campania, competente territorialmente per l'area del piano paesistico della costiera sorrentina, non possono non destare preoccupazione; il legislatore regionale ha infatti il dovere di non emanare disposizioni equivoche che determinano non solo incertezza, ma consentono a chi ha interesse a coltivare tali incertezze a trarne vantaggio naturalmente a discapito dell'ambiente e di un territorio che dovrebbe essere tra i più protetti d'Italia;
   tanto l'articolo 9 della legge regionale n. 19 del 2001, quanto le novelle introdotte dalle finanziarie regionali 2011 e 2012, se ne è corretta l'interpretazione fornita dal TAR Campania, sono, a parere dell'interrogante di dubbia costituzionalità, perché ledono quanto disposto dall'articolo 117 II comma lettera s) della Costituzione;
   non c’è alcun dubbio, infatti, che le regioni non possano derogare ai principi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato; in materia di tutela dei beni culturali lo Stato, con il decreto legislativo n. 42 del 2004, ha inteso fissare dei principi inderogabili ed invalicabili alla legislazione regionale. Principi che, però, sono stati secondo l'interrogante non rispettati dal legislatore regionale della Campania con le novelle all'articolo 9 della legge regionale n. 19 del 2001, introdotte con l'articolo 2 della legge regionale n. 1 del 2011 e con il comma 5 dell'articolo 52 della legge regionale n. 1 del 2012;
   in tema di pianificazione paesaggistica e tutela del paesaggio il decreto legislativo n. 42 del 2004, dopo aver previsto (articolo 135) che «Lo Stato e le regioni assicurano che il paesaggio sia adeguatamente conosciuto, tutelato e valorizzato prevede che, a tal fine, le regioni, anche in collaborazione con lo Stato, nelle forme previste dall'articolo 143, sottopongono a specifica normativa d'uso il territorio, approvando piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti l'intero territorio regionale, entrambi di seguito denominati «piani-paesaggistici»;
   l'articolo 143, poi, indica le modalità di approvazione del piano paesaggistico individuando una serie di fasi che si connotano per l'accuratezza dell'istruttoria, per l'analisi dell'esistente e per ulteriori attività d'analisi (quali: l'accertamento delle dinamiche di trasformazione del territorio attraverso l'individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilità del paesaggio; la comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo, l'individuazione degli ambiti paesaggistici) che sono propedeutiche all'elaborazione della pianificazione paesaggistica; a tale pianificazione sono chiamati a dare il loro contributo associazioni ambientaliste, enti territoriali, soprintendenze, e altri soggetti;
   le novelle delle finanziarie del 2011 e del 2012 di fatto introducono una deroga generalizzata ai vincoli imposti dalla pianificazione paesaggistica approvata con la legge regionale della Campania n. 35 del 1987 e senza che alcuna delle attività procedurali previste dalla legge statale, il decreto legislativo n. 42 del 2004 articoli 135-143, sia stata espletata;
   per assurdo la pianificazione viene vanificata consentendo indiscriminatamente, in deroga ai vincoli imposti su determinate aree dal piano urbanistico territoriale, al privato ed al funzionario dei comuni inseriti nell'area del piano paesaggistico di individuare dove realizzare l'intervento;
   è una situazione del tutto analoga a quella verificatasi con la legge finanziaria regionale n. 11 del 21 ottobre 2010, articolo 1, comma 1 e 2, con la quale si consentiva ai titolari di strutture turistiche ricettive e balneari di realizzare, in deroga agli strumenti urbanistici paesistici, sovracomunali e comunali, piscine previo parere della sovrintendenza;
   la Corte Costituzionale, in quel caso, con sentenza n. 235 del 2011 ha dichiarato l'incostituzionalità della disposizione, in quanto violava le procedure di rimozione del vincolo paesistico fissate dall'articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004 ed, inoltre, introduceva deroghe alla pianificazione paesaggistica. Il che, a giudizio della Corte, determinerebbe «... una invasione nella competenza legislativa statale in quanto le disposizioni intervengono in materia di tutela del paesaggio, ambito riservato alla potestà legislativa dello Stato, e sono in contrasto con quanto previsto dal Decreto Legislativo 42 del 2004 (in senso conforme sentenze Corte Costituzionale 101 del 2010 e 272 del 2009)»;
   tra i motivi proposti la Presidenza del Consiglio aveva, per l'appunto, rilevato la violazione dell'articolo 117 della Costituzione nella parte in cui con la legge regionale della Campania n. 11 del 2010 articolo 1, comma 1 e 2, si consentiva la deroga alla pianificazione paesaggistica senza il rispetto delle procedure fissate dagli articoli 135 e 143 del decreto legislativo n. 42 del 2004;
   nell'ipotesi delle novelle introdotte all'articolo 9 della legge n. 19 del 2001, ricorre secondo l'interrogante la medesima violazione del principio costituzionale, perché, lungi dal seguire le procedure previste dalla legge statale, autorizzando, nell'ipotesi di parcheggi interrati pertinenziali, la deroga indiscriminata ai vincoli imposti dal piano urbanistico territoriale, si modifica la pianificazione paesaggistica vigente vanificandola e, conseguentemente, si violano le disposizioni di tutela del paesaggio;
   le novelle, quindi, a parere dell'interrogante, sono di dubbia costituzionalità perché, in concreto, comportano una modifica del Piano Paesaggistico, ma senza che siano rispettati i criteri procedurali indicati dal capo III del decreto legislativo n. 42 del 2004 all'articolo 143 richiamato dal precedente articolo 135 –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se risultino agli atti i motivi della mancata impugnazione degli atti normativi della regione Campania di cui in premessa, ai sensi dell'articolo 127 della Carta costituzionale. (4-00908)


   GOZI, MARZANO, LODOLINI e GIACHETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   763 su un totale di 1143 dirigenti dell'Agenzia delle entrate in servizio sono stati nominati senza concorso, e quindi in assenza dei requisiti di accesso fissati dalla legge, con conseguente rischio di nullità dei provvedimenti adottati, con gravissime ripercussioni ad avviso degli interroganti gravissime sotto il profilo del danno erariale [basti pensare, per esempio, alla recente sentenza della commissione tributaria di Messina che ha annullato un atto amministrativo sottoscritto da un dirigente dell'Agenzia delle entrate provinciale la cui nomina era stata sospesa dal giudice del lavoro del tribunale di Messina con ben due provvedimenti (20 aprile 2011 e 14 marzo 2012) entrambi confermati in appello con la seguente motivazione: «La nomina è stata effettuata in violazione delle procedure concorsuali previste dalla legge»];
   il Tar del Lazio con sentenza n. 6884/2011 aveva difatti annullato, in quanto illegittime, le circa 800 posizioni dirigenziali. Successivamente, il Consiglio di Stato, presso cui pende l'appello interposto dall'Agenzia, ha sospeso la sentenza, in attesa che l'amministrazione individuasse soluzioni coerenti con il sistema;
   il decreto cosiddetto Salva-Italia (aprile 2012) per fare salvi gli incarichi dirigenziali già dati, fino a pronuncia definitiva della giustizia amministrativa e comunque entro il 31 dicembre 2013 ha congelato tale insostenibile situazione di oggettiva illegittimità;
   tale condotta, assunta dalla amministrazione finanziaria, appare tanto più ingiustificata alla luce del delicato compito cui è preposta;
   non risultano ad oggi interventi volti a definire la vicenda in linea con il principio meritocratico dell'accesso per concorso alle posizioni pubbliche, così come convalidato dall'ordinamento e dal giudice delle leggi ripetutamente –:
   non si ritenga di intervenire urgentemente, anche assumendo, ove ne ricorrano i presupposti, iniziative di natura disciplinare nei confronti dei dirigenti le cui responsabilità fossero accertate, adottando ogni necessaria misura volta a ripristinare condizioni di legalità e legittimità. (4-00910)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direzione energia della Commissione dell'Unione europea ha indetto una consultazione pubblica, iniziata il 20 giugno 2012 e conclusa il 4 ottobre dello stesso anno, sulla lista dei potenziali Progetti di interesse comunitario nell'ambito della proposta di regolamento sugli orientamenti per le reti transeuropee di infrastrutture energetiche;
   nella lista è presente il progetto dalla Gas Natural per un impianto di rigassificazione del metano liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste;
   il 28 marzo 2013 WWF Friuli Venezia Giulia e Legambiente Trieste hanno inviato all'organo comunitario, sebbene la procedura di consultazione fosse già conclusa, una documentazione per chiedere lo stralcio dall'elenco del rigassificatore di Zaule;
   le associazioni ambientaliste hanno sottolineato alcuni aspetti che non sarebbero stati menzionati nelle informative del Governo italiano. In particolare, sono state segnalate cinque criticità:
    a) il progetto presentato da Gas Natural è incompleto, perché manca il collegamento via gasdotto del terminale di rigassificazione del GNL con la rete dei metanodotti;
    b) il terminale GNL di Zaule fa parte di un complesso di progetti di infrastrutture energetiche che insistono sulla medesima area geografica (la porzione settentrionale del Golfo di Trieste) e che sono strettamente interconnessi tra loro, ma sono stati sottoposti separatamente ed indipendentemente alla procedura di valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in assenza di una pianificazione energetica complessiva e quindi senza nessuna valutazione ambientale strategica ai sensi della direttiva 2001/42/CE;
    c) la procedura di valutazione di impatto ambientale è stata viziata da numerose gravi irregolarità, compiute sia dalla società proponente, sia dagli organi ministeriali competenti;
    d) il ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare italiano ha avviato, alla fine di dicembre 2012, un «supplemento istruttorio» sulla e della tutela del territorio e del mare relativa al progetto di Zaule, riconoscendo quindi l'inadeguatezza della valutazione effettuata allora. Tale supplemento istruttorio è tuttora in corso;
    e) ai numerosi rilievi sull'incompletezza degli studi ambientali presentati dalla società proponente del progetto, già formulati in occasione delle osservazioni nell'ambito della procedura valutazione di impatto ambientale, si sono aggiunti ulteriori elementi di criticità ambientale, emersi dall'esame del progetto definitivo del terminale GNL, il quale presenta rilevanti modifiche rispetto a quello sottoposto alla procedura valutazione di impatto ambientale tanto da giustificare la richiesta di annullamento della valutazione di impatto ambientale del 2009;
   il 21 maggio 2013 Ion Codescu, direttore della sezione A1 della direzione affari legali e coesione della direzione generale ambiente della Commissione Ue, ha risposto alle associazioni facendo presente che la Commissione Ue continua a valutare tutte le informazioni sulla realizzazione di rigassificatore di Zaule, nell'ambito dell'indagine EU Pilot 755/09/ENVI, in via di ricezione sia dalle autorità nazionali che dai cittadini;
   Codescu ha fatto poi presente che «fino ad ora non è emersa nessuna prova di una violazione del diritto comunitario, perché tra l'altro nessuna autorizzazione è stata ancora concessa e la costruzione non è iniziata per nessuno dei progetti». Infine, il direttore ha concluso sostenendo che la Commissione terrà conto delle informazioni fornite nel quadro dell'inchiesta in corso, e che l'elenco dei progetti delle infrastrutture energetiche di interesse comunitario non è stato ancora approvato ed è quindi suscettibile di modifiche;
   le associazioni ambientaliste hanno inviato la stessa documentazione ai membri delle Commissioni ambiente ed energia del Parlamento europeo, auspicandosi che il Governo Letta non continui ad appoggiare il progetto del rigassificatore proposto da Gas Natural a Trieste;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del Governo Monti, Corrado Clini, nel mese di aprile 2013 ha firmato un decreto che sospende per sei mesi l'efficacia della valutazione di impatto ambientale sull'oggetto presentato dalla Gas Natural. Il provvedimento ha accolto il parere contrario della Commissione di valutazione di impatto ambientale del dicastero che ha recepito a sua volta i pareri contrari del Comitato portuale di Trieste e dalla regione Friuli-Venezia Giulia. Il decreto, quindi, prende atto delle mutate situazioni del traffico marittimo triestino e delle prospettive di potenziamento previste dal piano regolatore portuale. Il rigassificatore, se realizzato con le modalità progettate dalla Gas Natural, non sarebbe compatibile con il traffico portuale attuale e con gli sviluppi futuri –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per l'eliminazione del progetto del rigassificatore di Zaule dall'elenco delle possibili infrastrutture energetiche di interesse comunitario. (4-00914)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il piano straordinario di telerilevamento ambientale (PST-A), ai sensi della legge 179 del 31 luglio 2002 articolo 27, è un Accordo di programma tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e dei mare (MATTM), Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della protezione civile (DPC) e Ministero della difesa (MD) d'intesa con le Regioni e le Province Autonome ed ha l'obiettivo generale di generare e rendere disponibili e condivisibili, all'intero comparto della pubblica Amministrazione, le informazioni territoriali indispensabili per la creazione di elaborati ad alto valore aggiunto;
   i dati saranno ottenuti da processi di telerilevamento, ovvero dall'acquisizione a distanza di dati riguardanti il territorio e l'ambiente;
   da diversi anni sono stati investiti prima per il piano straordinario di telerilevamento e poi per il piano straordinario di telerilevamento ambientale svariate decine di milioni di euro e sarebbe opportuno che i risultati siano messi a disposizione delle pubbliche amministrazioni per meglio gestire le risorse in materia di rischio idrogeologico ma anche per qualsiasi altra attività ne possa trovare beneficio. In particolare grazie alla condivisione dei dati seguendo il paradigma dell’open data e della condivisione applicativa cosa che invece non viene garantita dagli attuali strumenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che invece permettono l'utilizzo solo ad una rete ristretta di utenti ed uffici e non sono ad avviso degli interpellanti conformi a quando richiesto dalla direttiva infrastructure for spatial information in the european community (INSPIRE) di cui il Ministero stesso è Focal Point Nazionale;
   il dipartimento della protezione civile ed il Sistema nazionale di protezione civile ha da anni in essere un programma di condivisione dei dati geospaziali che ormai opera coinvolgendo tutti gli enti coinvolti, assistendo e garantendo in modo del tutto sussidiario e condiviso lo scambio e la cooperazione dei dati geospaziali come riscontrato con successo durante le ultime emergenze dell'Aquila, dell'Emilia Romagna dove addirittura è stata coinvolta la cittadinanza che ha potuto interagire con i sistemi di scambio dati e di segnalazione delle situazioni di emergenza con l'utilizzo di un semplice cellulare;
   vari sistemi di scambio dati nella pubblica amministrazione, soprattutto durante fasi di emergenza, hanno dimostrato di essere disponibili ed operativi in situazioni già consolidate in cui varie regioni, province, comuni e migliaia di soggetti pubblici e privati possono interoperare ed interagire senza alcun costo per la pubblica amministrazione perché frutto di progetti sviluppati da soggetti pubblici open, free e soprattutto disponibili On Line;
   l'AGEA ente vigilato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha in gestione una utility denominata Telaer che garantisce al sistema di controllo in agricoltura nazionale velivoli ed attrezzature utili all'acquisizione di dati telerilevati da piattaforma aerea tramite sensori ottici, radar, scanner multispettrali e in altre utili forme e metodologie;
   il sistema di telerilevamento avanzato TELAER, con un investimento pari a circa 70 milioni di euro è stato conferito con legge 24 settembre 2003, n. 268 ad Agea che lo gestisce, sostenendone tutti i costi dal 2006; il sistema possiede tutte le infrastrutture tecnologiche in grado di soddisfare i requisiti posti nel piano straordinario di telerilevamento, nel piano straordinario di telerilevamento ambientale oggetto di vari bandi che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare da anni assegna all'esterno con grande aggravio di costi per la pubblica amministrazione;
   grazie al processo di ammodernamento svolto nel biennio 2011-2012, TELAER dispone ed è in grado di operare direttamente con i propri velivoli tutti i sensori richiesti dal piano straordinario di telerilevamento e piano straordinario di telerilevamento ambientale per le attività di telerilevamento e, in particolare, risulta certificato per l'impiego del LIDAR (laser imaging detection and ranging);
   durante l'operato del sistema TELAER è stato sorvolato più volte l'intero territorio nazionale con la relativa acquisizione di varie coperture fotogrammetriche ad altissima risoluzione dell'intero territorio italiano;
   tenuto conto di quanto previsto dal codice dell'amministrazione digitale che sancisce il principio del «riuso» nella pubblica amministrazione, è auspicabile che a semplice richiesta il Ministero delle politiche agricole possa proporre un percorso di fattiva collaborazione istituzionale con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la realizzazione di prodotti indirizzati non solo al comparto agricolo, ma anche a supporto dei fabbisogni di altri enti della pubblica amministrazione, realizzando le migliori condizioni per un'incisiva azione di contenimento e di qualificazione della spesa pubblica;
   i dati della costellazione Cosmo Skymed dovrebbero essere disponibili in forma del tutto gratuita a qualsiasi pubblica amministrazione ne faccia richiesta dal momento che il programma CosmoSKyMed è stato completamente finanziato con fondi pubblici per importi che superano di gran lunga il miliardo di euro ed è tuttora un programma finanziato con fondi pubblici;
   esistono competenze specifiche nel mondo della ricerca nazionale ed in particolare presso le università e soprattutto all'interno degli istituti del CNR che quotidianamente rispondono a bandi nazionali ed internazionali per la realizzazione di sistemi e servizi ampiamente riconducibili alle richieste del piano straordinario di telerilevamento ambientale;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 13 maggio 2013 ha indetto una gara pubblica di appalto per un importo complessivo di euro 12.290.440,00 per «Fornitura di Dati e Servizi per il Potenziamento del Sistema Informativo del Piano Straordinario di Telerilevamento Ambientale (PST-A)». L'appalto consiste nell'aggiornamento della base dati del sistema informativo per il piano straordinario di telerilevamento ambientale, tramite l'acquisizione di dati prodotti da telerilevamento da piattaforma aerea basato su sensori LIDAR, iperspettrale, fotogrammetrico; elaborazione di dati interferometrici da COSMO Sky-Med; fornitura di tecnologie hardware per il potenziamento del geoportale nazionale; servizi di installazione ed integrazione di tecnologie ICT, servizi di assistenza evolutiva;
   tutti i servizi, oggetto della gara in questione, fatta salva la fornitura hardware, potrebbero essere realizzati con il supporto delle citate professionalità, strumentazioni, capacità di elaborazione e di ricerca semplicemente riconducendo il tutto ad un coordinamento tra le citate strutture governative che già operano con adeguata professionalità e capacità presso altre amministrazioni pubbliche e soprattutto con l'utilizzo delle attrezzature e delle competenze del progetto Telaer del ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, con conseguente risparmio di risorse pubbliche –:
   quali siano i motivi che fino ad oggi hanno portato il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a non prendere in considerazione una collaborazione con i citati enti e con istituzioni pubbliche che possano garantire una reale collaborazione e competenza in materia, ma abbia da anni preferito indire gare esterne con aggravio di costi per la pubblica amministrazione;
   per quali motivi il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non abbia ancora attivato una collaborazione con l'AGEA volta a condividere l'utilizzo del sistema pubblico di telerilevamento avanzato Telaer e a quanto ammontino gli importi che negli ultimi anni il ministero ha speso per collaborazioni, gare e appalti esterni al fine di ottenere i servizi di cui in premessa, nonché con quali criteri gli stessi siano stati fino ad oggi motivati;
   per quali motivi il Portale Cartografico Nazionale non sia completamente conforme alle specifiche della direttiva INSPIRE di cui è focal point nazionale;   
   per quali motivi non vengano garantiti adeguati servizi a tutti gli uffici pubblici anzi si limitino gli accessi e gli utilizzi al citato portale nazionale;
   per quali motivi non siano resi disponibili i dati fino ad oggi acquisiti all'interno del piano straordinario di telerilevamento e piano straordinario di telerilevamento ambientale in forma nativa a richiesta di altre pubbliche amministrazioni;
   se prima di effettuare gare per l'acquisizione di dati siano state opportunamente verificate le disponibilità degli stessi in altre amministrazioni pubbliche che, in virtù delle norme del riuso, debbono renderle disponibili al ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   se non intenda chiarire la situazione del Geoportale rispetto alle prescrizioni del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 221 del 2012 (articolo 9 sull’open data), del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012 cosidetto «Spending review» (articolo 23, comma 12-quaterdecies – fruibilità di dati geospaziali acquisiti con risorse pubbliche) e delle regole tecniche del repertorio nazionale dei dati territoriali pubblicate sulla Gazzetta ufficiale n. 48 del 27 febbraio 2012 (supplemento ordinario n. 37), posto che ad avviso degli interpellanti tali disposizioni non risulterebbero rispettate.
(2-00101) «Cozzolino, Toninelli, Dadone, Nuti, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Agostinelli, Baldassarre, Baroni, Bechis, Benedetti, Brescia, Businarolo, Busto, Carinelli, Catalano, Ciprini, Colletti, Cominardi, Da Villa, Dall'Osso, D'Ambrosio, Dell'Orco, D'Incà, Fantinati, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Lupo, Mannino, Mucci, Petraroli, Tofalo, Simone Valente, Vallascas».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   tra i siti presenti nel programma di bonifiche di interesse nazionale, ai sensi della legge n. 426 del 9 dicembre 1998, è inserito anche l'area ex ACNA C.O., ricadente nei territori dei Comuni di Cengio, provincia di Savona, e Saliceto, provincia di Cuneo;
   la ex ACNA C.O. si è caratterizzata, fin dalla sua nascita come dinamitificio nel 1882, come la principale fonte di inquinamento di tutta l'area della Valle del Bormida, scaricando nel suolo, sottosuolo e nelle acque superficiali e sotterranee circa 200 sostanze altamente nocive come metalli, ammine aromatiche, aromatici alogenati, diossine e furani, fenoli clorurati, fenoli non clorurati, idrocarburi aromatici, IPA (idrocarburi policiclici aromatici), naftalensolfonici, antrachinonsolfonici e consimili tali da compromettere le attività agroalimentari dell'intero comprensorio e spingere il Governo, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 marzo 1999, a dichiarare lo stato di emergenza socio-ambientale dell'area;
   per porre rimedio a tale disastrosa situazione, l'11 dicembre del 2000, viene sottoscritto un accordo di programma tra i Ministeri dell'ambiente, della sanità e dell'industria, le regioni Liguria e Piemonte, l'ENI e il commissario delegato, per la definizione, ai sensi del decreto ministeriale 471 del 1999, degli adempimenti obbligatori per la messa in sicurezza d'emergenza del sito, nonché per la realizzazione, sulle aree contaminate, di ulteriori interventi necessari per rimuovere il rischio igienico sanitario e ambientale e promuovere il riutilizzo dell'area per lo sviluppo di attività produttive ecocompatibili;
   il sito di «Cengio e Saliceto», pertanto, viene suddiviso in 5 aree denominate A1, A2, A3, A4 e «aree pubbliche», in quanto destinatarie di interventi differenti sia dal punto di vista tecnico-progettuale che per la tempistica e gli oneri economici da sostenere. Le attività realizzate, per la rimozione del rischio igienico-sanitario ed ambientale, sono consistite essenzialmente in interventi di messa in sicurezza permanente dell'area A1, destinata a discarica, e misure di sicurezza nell'area A2, destinata al riutilizzo per nuovi insediamenti produttivi ecocompatibili. Nel dettaglio si è proceduto:
    a) alla realizzazione di un diaframma plastico sotterraneo finalizzato a bloccare il deflusso del percolato verso il fiume;
    b) alla costruzione di un muro perimetrale avente funzione di argine rispetto al rischio di inondazione del sito nel caso di piene eccezionali del fiume Bormida;
    c) allo svuotamento dei bacini di lagunaggio dell'area A1, attraverso l'invio ad idoneo impianto di smaltimento in Germania;
    d) al confinamento dei terreni contaminati e dei rifiuti industriali provenienti da tutte le altre aree (A2, A3 e A4) nei bacini svuotati dell'area A1;
   il 13 ottobre del 2010, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, onorevole Stefania Prestigiacomo, e il presidente della regione Piemonte, onorevole Roberto Cota, in visita al sito di Cengio, con toni che agli interpellanti appaiono trionfalistici sostenevano la conclusione dei lavori di bonifica. La realtà si presentava ben diversa per le numerose irregolarità relative sia ai lavori di bonifica svolti che alla compiutezza dei lavori stessi;
   in merito alla compiutezza dei lavori sulla messa in sicurezza del sito industriale, nel 2009, la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per non aver sottoposto il progetto a valutazione di impatto ambientale (VIA), ai sensi della direttiva 85/337/CEE come modificata dalla direttiva 97/11/CE. La Commissione ha inoltre ritenuto che la Repubblica italiana, avendo omesso di qualificare come discarica le operazioni di deposito e interramento nell'area A1 di terreno contaminato non scavato, di terreno rimosso e di rifiuti pericolosi già presenti in loco, come pure ivi trasportati dalle altre aree del sito (A2, A3, A4), abbia conseguentemente omesso di garantire la corretta applicazione della direttiva 99/31/CE, recepita nel nostro Paese dal decreto legislativo 23 del 2003, relativa alle discariche di rifiuti;
   inoltre, per quanto riguarda l'area A2 è stata realizzata solo una riduzione della contaminazione, pertanto, vi permangono rifiuti industriali, terreni contaminati e acque sotterranee inquinate in quantità non ben definite. Non solo, la mancata realizzazione, come inizialmente previsto, della cinturazione sotterranea mediante diaframma plastico lungo il lato ferrovia e il lato Ponte Donegani, nonché dell'area sottostante l'impianto di depurazione, presente nel lotto 7 dell'area A2, di fatto ha precluso l'azzeramento della produzione di percolato che rappresenta la maggiore fonte di rischio per l'ambiente circostante. Per di più, pur avendo cessato le produzioni da oramai una dozzina di anni, lo stabilimento dell'ACNA continua ad essere concessionario di una derivazione idrica di 300 litri al secondo che rappresenta un'ulteriore fonte di costante alimentazione del percolato all'interno del sito;
   risulta agli interpellanti che siano in corso, da ormai alcuni mesi, trattative tra la società Syndial di ENI, proprietario dello stabilimento dal 1990, e alcuni soggetti per la cessione del sito. Risulta, da notizie di stampa, che Syndial avrebbe offerto in dote per la sua cessione una cifra di 30-40 milioni di euro. Riscontro a queste notizie vengono fornite dalla stessa ENI/Syndial nel documento «Cessione sito di Cengio-Linee guida», laddove si prevede che verranno riconosciuti agli acquirenti i costi/oneri per le residue attività di messa in sicurezza permanente, per i monitoraggi post-operam, nonché per gli oneri di gestione dell'attuale impianto di depurazione. Dalla lettura di tale documento si evince che le attuali garanzie prestate da Syndial al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non riguardino le attività post-operam, quali il presidio del sito, nonché la copertura finanziaria di eventuali interventi di manutenzione straordinaria, se non addirittura di rifacimento delle opere di messa in sicurezza. Si citano, infatti, solo fideiussioni inerenti alle opere di bonifica effettuate, in corso e per le opere residuali di bonifica;
   potrebbe concretamente sussistere il rischio che l'enorme discarica, come suddetto oggetto di una procedura di infrazione della Commissione europea per mancata applicazione delle norme del decreto legislativo 23 del 2003 che attua la direttiva 1999/31/CE sulle discariche di rifiuti, nonché l'area A2, parzialmente bonificata e le cui misure di sicurezza non sono ancora stata certificate e per la quale non è stato perseguito il tendenziale azzeramento del percolato, possano finire in mano a soggetti che potrebbero non offrire le necessarie garanzie dal punto di vista della capacità gestionale, nonché delle capacità finanziarie, con tutti i rischi ambientali, sanitari, nonché economici che ne potrebbero derivare a danno della collettività;
   associazioni e comitati di cittadini della Valle Bormida, preoccupati per lo stato in cui versa il sito e per l'incertezza sul suo destino, hanno inviato, in data 11 maggio 2013, una lettera al Ministro interpellato per chiedere di effettuare di persona un sopralluogo del sito per prendere visione dello stato dei lavori di bonifica tutt'altro che compiuti. Infatti, lo stabilimento industriale, esteso su una superficie di circa 700.000 metri quadrati, risulta tuttora caratterizzato da forte inquinamento del suolo e della falda sotterranea e presenta ancora ingenti quantitativi di rifiuti industriali e terreni contaminati, circa 3-4 milioni di metri cubi, depositati in prossimità del fiume Bormida, nell'ambito della operazioni di messa in sicurezza permanente e realizzazione della discarica in zona A1, che peraltro non sono ancora state concluse;
   anche i 32 dipendenti di Syndial, attualmente impiegati nelle operazioni di bonifica, hanno inviato il 22 maggio 2013 una lettera al Ministro interpellato e alle autorità territoriali competenti, manifestando: «... perplessità in merito alle proposte di acquisizione delle aree da parte di imprenditori locali, assai vaghe in merito al futuro sviluppo, ma sicuramente interessate al conseguimento dei contratti per la sistemazione finale delle aree e del mantenimento dell'attuale presidio ecologico che stimiamo possano ammontare a circa 40 milioni». Quindi si evince da parte dei lavoratori il timore di un'operazione essenzialmente speculativa considerando che «la certificazione dell'avvenuta bonifica delle aree ACNA è solo parziale e che solo al termine della sistemazione delle aree interne ed esterne (Zone A1 e A3) potrà essere effettuata da parte della Provincia la certificazione totale delle aree del Sito, così come previsto dai provvedimenti commissariali» e che, inoltre, non essendo state rispettate le norme dettate dal decreto legislativo 36 del 2003, sulle discariche di rifiuti, i nuovi soggetti siano esenti dal prestare le necessarie garanzie finanziarie per assicurare sia il completamento della messa in sicurezza del sito, sia il costante monitoraggio e presidio dello stesso per almeno 30 anni come previsto alla lettera m), comma 1 dell'articolo 8 del suddetto decreto legislativo –:
   quali iniziative per quanto di competenza, il Ministro interpellato intenda intraprendere:
    a) per ottenere la chiusura della procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea evitando sanzioni che comporterebbero un grave danno all'erario;
    b) per evitare che il completamento delle attività di messa in sicurezza permanente della discarica della zona A1 e la bonifica con misure di sicurezza della zona A2 siano affidate a soggetti che non garantiscono le fideiussioni necessarie e il presidio ecologico dell'intero sito per almeno trent'anni, come previsto dal decreto legislativo 36 del 2003;
    c) per garantire la salute e la tranquillità della popolazione della Valle Bormida che sono stati condannati a convivere per più di cent'anni con questo problema che è ancora lungi dall'essere definitivamente risolto.
(2-00102) «Paolo Nicolò Romano, Bechis, Chimienti, Daga, Dadone, De Rosa, Mantero, Segoni, Simone Valente».

Interrogazioni a risposta scritta:


   VILLECCO CALIPARI, PORTA, MORANI e GRASSI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del comune di Galatone (Lecce) e precisamente in prossimità della zona industriale di Galatone/Nardò, su un terreno agricolo ubicato in località «Le Rose» esteso per circa 18.000 metriquadri, sono in corso i lavori di realizzazione di una centrale a biogas;
   il nuovo impianto avrebbe una potenza elettrica di 854 kW e potenza termica di 2.094 kW;
   tale centrale dovrebbe creare energia elettrica sfruttando il metano che si sprigiona dalla decomposizione di particolari vegetali (mais, loietto, triticale) che verrebbero appositamente coltivati su 260 ettari di terreno (ubicati tra i comuni di Nardò, Galatone, Galatina);
   i vegetali, fatti confluire nell'impianto di Galatone, saranno decomposti con l'ausilio di «letame-liquame bovino-suino», come si legge nella relazione tecnica presentata al comune di Galatone;
   l'impianto in questione è dotato di apparecchiatura di potenza nominale superiore ad 1 MW (1086 Kw) e avrebbe dovuto essere sottoposto ad autorizzazione unica ambientale e non a procedura semplificata;
   ma anche a voler dar credito all’iter seguito dal comune, cioè la procedura semplificata (poiché ha ritenuto sufficiente l'indicazione a pagina 12 della relazione tecnico-illustrativa ove si afferma che il cogeneratore ha sì una potenza elettrica di 1.063 kWe ma sarà «depotenziato a 854 kWe») si evidenziano comunque diverse anomalie procedimentali, in particolare:
    in sede di autorizzazione edilizia appaiono completamente trascurate le preoccupanti problematiche inerenti a queste tipologie di impianto e soprattutto le normative urbanistico-edilizie nazionali e regionali vigenti (in particolare sarebbe stata completamente disattesa una parte del comma 5 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011, nel punto in cui recita: «Qualora l'attività di costruzione e di esercizio degli impianti di cui al comma 1 sia sottoposta ad atti di assenso di competenza di amministrazioni diverse da quella comunale, e tali atti non siano allegati alla dichiarazione, l'amministrazione comunale provvede ad acquisirli d'ufficio ovvero convoca, entro venti giorni dalla presentazione della dichiarazione, una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni». Infatti a quanto risulta agli interroganti il comune di Galatone non avrebbe acquisito tutti i pareri necessari, in particolare quelli – preventivi ante operam prima del rilascio dell'autorizzazione a procedere con i lavori – dell'Arpa (per una verifica delle emissioni e del loro effetto cumulativo con altri elementi inquinanti), quelli della provincia di Lecce (per l'emungimento di acqua dalla falda per irrigazione dei 260 ettari di mais in un territorio fortemente caratterizzato da fenomeni di siccità), dell'asl (per gli aspetti igienico sanitari relativi all'uso di liquame-letame, delle emissioni inquinanti, del potenziale uso indiscriminato di pesticidi e concimi visto che le coltivazioni non sono destinate all'alimentazione umana), della regione Puglia (per una verifica che l'impianto sia correttamente inserito nel rispetto del piano energetico regionale);
    inoltre, che la provincia di Lecce ha approvato con deliberazione del consiglio provinciale n. 36 del 23 aprile 2004, il «Programma di intervento per la promozione delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico» (PEP), in attuazione del decreto legislativo n. 112 del 1998 ed espressamente in tale atto si valuta come «allo stato attuale, in assenza di strumenti di pianificazione e persistendo un esubero di produzione (...) appare ingiustificato ogni ulteriore insediamento di centrali elettriche sul territorio provinciale e regionale. Possono richiedere una deroga a tale indirizzo gli impianti che fanno ricorso a fonti rinnovabili, per il notevole valore aggiunto, in termini socio-economici ed ambientali, che si associa a tali produzioni; ciò però a patto che tali fonti vadano a sostituire equivalenti fonti fossili, e non ad aggiungersi ad esse, perpetuando una scriteriata politica di esuberanza dell'offerta»;
   nella zona interessata vi sono anche insediamenti residenziali a distanza inferiore di 1 chilometro, come prescritto dalla legge;
   nel progetto non sembra sufficientemente illustrato come avvenga il trattamento dei reflui dell'impianto;
   rilevante in termini di aggravamento del traffico e di emissione di CO2, sarebbe il flusso dei mezzi di trasporto speciale da e per l'impianto in questione;
   l'impianto è collocato in un'area frequentata da un alto numero di personale addetto ad attività produttive (zona industriale di Galatone-Nardò);
   il consiglio comunale della città di Galatone nella seduta del 21 aprile 2013 ha rigettato a maggioranza la richiesta fatta da altri consiglieri comunali di indire una conferenza di servizi, come previsto dalla legge (DGLS 28 del 3 marzo 2011, articolo 6);
   dalla discussione in consiglio comunale è emersa la possibilità che in futuro si possano usare altri scarti vegetali e liquami, in palese contraddizione con il progetto presentato al comune di Galatone;
   contro il nuovo impianto e per le ragioni evidenziate si è costituito un comitato spontaneo di cittadini che ad oggi ha raccolto ben 523 sottoscrizioni ad un esposto presentato alla procura della Repubblica di Lecce;
   questo Comitato spontaneo ha già avanzato più volte istanza urgente al Sindaco per la sospensione dei lavori, ad oggi completamente disattesa;
   occorrerebbe chiarire:
    a) se l’iter procedimentale, tecnico e autorizzativo, relativo alla centrale in questione sia conforme al dettato normativo e regolamentare in materia;
    b) se siano state predisposte analisi chimico-fisiche del terreno ospitante la centrale e dell'acqua in falda, prima che l'impianto entri in funzione, in modo da confrontare periodicamente le eventuali alterazioni dei valori chimico-fisici durante il ciclo di vita della centrale stessa;
    c) se siano state realizzate analisi, al fine di valutare l'impatto della centrale sulla falda freatica interessata in relazione alle conseguenze sulla disponibilità della risorsa idrica;
    d) se si sia esaminato l'effetto delle dispersioni in aria delle emissioni di varia natura prodotte dalla centrale, in ogni situazione meteorologica, ed il loro impatto in un contesto già grandemente compromesso quale quello della provincia di Lecce;
    e) se siano noti tipologia, uso, gestione finale di tutti gli scarichi e i residui dei processi produttivi della centrale;
   coltivare 260 ettari a mais, loietto, triticale, in un territorio caratterizzato da forte siccità (si ricorda che il Salento in diversi studi scientifici è indicato a rischio desertificazione) e da un gravissimo abbassamento della falda freatica, comporta un enorme consumo di acqua (si calcola che per irrigare un solo ettaro di mais occorrono oltre tre quintali di acqua al minuto – con il sistema a gocciolatoio che è il più dispendioso in termini economici da realizzare, ma il meno dispendioso dal punto di visto del consumo idrico – ed il doppio con un sistema di irrigazione a pioggia, meno costoso da realizzare);
   allo stato attuale non vi è alcuna certezza sull'uso o meno di concimi chimici e pesticidi (poiché il prodotto non è destinato all'alimentazione umana), al fine di aumentare la produzione per ettaro della biomassa con un potenziale rischio di inquinamento delle falde acquifere sottostanti;
   nella relazione tecnica non è specificata la percentuale di «letame-liquame bovino-suino» che andrebbe miscelata con i vegetali e la filiera dei controlli necessari di natura igienico-sanitaria;
   appaiono agli interroganti sostanzialmente disattesi alcuni princìpi che ispirano la normativa e l'intero nuovo testo unico ambientale (decreto legislativo n. 152 del 2006) che tutela l'ambiente salubre come fondamentale diritto dell'individuo, prevalente anche rispetto alle esigenze della produzione e del profitto: «la tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante un'adeguata azione che sia informata ai princìpi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente» (articolo 3-ter); nel testo legislativo si fa riferimento più volte all'impiego delle «migliori tecniche disponibili» come presupposto di qualsivoglia procedura amministrativa (articolo 271, commi 2, 3, 4);
   a giudizio degli interroganti viene trascurato, per gli elementi oggettivi come risultano dalle indicazioni tecnico-progettuali, il diritto tutelato dal disposto dell'articolo 674 del codice penale, che punisce chiunque «provochi emissioni di gas, di vapori a di fumo, atti a cagionare...» ed infatti sotto questo aspetto l'impianto presenta aspetti molto critici, considerando che la biomassa in arrivo (15.000 mc) dovrebbe essere depositata per 30-40 giorni nelle trincee, semplicemente coperta con teli in pvc non stagni, prima del convogliamento nei fermentatori (relazione tecnico-agronomica dell'impianto, pagina 4) e che il digestato (4,200 mc), costituito dagli scarti che derivano dall'intero ciclo produttivo e utilizzabili in agricoltura come concimi, dovrebbe sostare per almeno 6 mesi in una vasca scoperta (relazione tecnico-agronomica dell'impianto, pagina 9);
   un ulteriore grave problema presente nelle centrali alimentate a biogas è rappresentato dalla circostanza che i digestori non riescono a neutralizzare completamente i batteri ed in modo particolare quelli termoresistenti (come testimoniato da numerose ricerche scientifiche e addirittura pervenendo, alcuni ricercatori, ad associare l'epidemia di escherichia coli dell'estate del 2011 in Germania – causa di 18 morti e migliaia di casi di botulismo animale – con l'uso del digestato delle centrali a biogas come fertilizzante per le colture destinate all'alimentazione umana e animale);
   sarebbe scorretto, sotto l'aspetto scientifico prima che ambientale, ignorare o sottovalutare l'impatto delle emissioni che fuoriescono da queste tipologie di impianto; pur trattandosi di biogas, infatti, si deve mettere in conto un sensibile peggioramento della qualità dell'aria dovuto a: formaldeide, idrocarburi e metano, diossine in tracce, polveri PM 10. L'oggettivo peggioramento della qualità dell'aria è poi da valutare – per l'effetto cumulativo – in correlazione con la già drammatica situazione epidemiologica del Salento, con riferimento in particolare alle patologie polmonari (si ricorda in proposito l'affermazione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore che ebbe ad affermare in relazione al caso Ilva di Taranto, la ben più grave situazione della provincia di Lecce –:
   di quali elementi disponga in merito al progetto descritto in premessa, con specifico riferimento alla conformità alle linee guida per l'autorizzazione alla costruzione degli impianti di energie rinnovabili di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010, ai fini della tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini delle aree interessate. (4-00909)


   CAPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge 9 dicembre 1998, n. 426, recante «Nuovi interventi in campo ambientale» prevede l'adozione di un programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, che individui gli interventi di interesse nazionale, gli interventi prioritari, i soggetti beneficiari, i criteri di finanziamento dei singoli interventi e le modalità di trasferimento delle relative risorse;
   il programma nazionale di bonifica è stato approvato con decreto del Ministero dell'ambiente 18 settembre 2001, n. 468, a seguito di un lungo iter procedimentale che ha visto numerosi incontri con le regioni e gli enti locali al fine di acquisire elementi conoscitivi dei siti già qualificati di interesse nazionale;
   la legislazione italiana riconosce quali siti di interesse nazionale (SIN) quelle aree che soddisfano i requisiti stabiliti dall'articolo 252, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, così come modificato dal comma 1 dell'articolo 36-bis della legge n. 134 del 2012;
   i siti di interesse nazionale sono in generale aree in cui l'attività industriale è ancora attiva, zone industriali dismesse, porti, ex miniere, cave, discariche non conformi alla legislazione, discariche abusive. La gravità della contaminazione in queste zone, con rilevanti impatti ambientali, sanitari e socio-economici, ha fatto sì che venissero stanziati di fondi ad hoc per la loro messa in sicurezza e bonifica;
   il 12 marzo 2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 60 il decreto ministeriale 11 gennaio 2013 che riduce a 39 i siti di interesse nazionale, di cui due presenti in Sardegna, sono stati individuati nel tempo con il susseguirsi dei seguenti atti normativi:
    a) decreto ministeriale 12 marzo 2003 e decreto ministeriale 468/2001, Area Sulcis-Iglesiente-Guspinese;
    b) decreto ministeriale 7 febbraio 2003 e legge n. 179 del 2002, area industriale Porto Torres;
   con il decreto ministeriale n. 471 del 1999 si sono fissate le procedure per l'effettuazione delle bonifiche, ma a distanza di tredici anni i risultati sono deludenti. Lo scenario sembra essere quello ricorrente per la legislazione ambientale italiana. La bonifica delle aree inquinate è regolata da una normativa complessa che ha provocato numerosi contenziosi penali e amministrativi, molti dei quali tuttora in corso;
   il fattore più preoccupante è comunque il progressivo esaurimento dei fondi statali a disposizione a seguito dei continui tagli di bilancio, testimonianza della mancanza di volontà politica nel perseguire gli originari obiettivi di tutela ambientale e sanitaria;
   si rinviene infatti un quadro desolante degli stanziamenti complessivi per il 2013 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Con riferimento agli ultimi provvedimenti legislativi di natura finanziaria, con specifico riferimento alla legge di stabilità 2013, lo stanziamento complessivo di competenza iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il 2013 ammonta a 490,2 milioni di euro. Rispetto al dato assestato si registra, quindi, una diminuzione di 54,7 milioni di euro (con una riduzione pari al 10 per cento). La nota di variazione, che ha recepito gli effetti del disegno di legge di stabilità 2013-2015 fissa invece a 467,2 milioni di euro lo stanziamento complessivo iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il 2013, diminuendolo, quindi, di 23 milioni di euro. Si registra, pertanto, rispetto al dato assegnato una diminuzione di 77,7 milioni di euro;
   la missione a cui sono assegnate la gran parte delle risorse a disposizione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è la missione 18 (367,3 milioni per sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell'ambiente) che, però, registra una diminuzione di 17,8 milioni di euro e risulta pari a 349,4 milioni di euro, registrando così una diminuzione di 74,7 milioni di euro rispetto al dato assegnato nel 2010;
   in particolare, la dotazione di competenza del programma 18.12 (tutela e conservazione del territorio e delle risorse idriche, trattamento e smaltimento rifiuti, bonifiche) risulta pari a 149,7 milioni di euro, con una variazione negativa di 46,7 milioni di euro rispetto al dato assegnato. A seguito poi delle modifiche apportate con la nota di variazione tale dotazione è stata ulteriormente diminuita di 7 milioni di euro;
   in tale materia nella scorsa legislatura, la Camera dei deputati ha discusso ben otto differenti mozioni concernenti le bonifiche dei siti di interesse nazionale;
   la mozione, approvata l'8 marzo 2011 si è limitata a un generico invito al Governo a proseguire nell'opera di coordinamento dei vari enti coinvolti, «evitando, nei limiti del possibile, l'imposizione di scelte tecniche e interventi precostituiti, ma sviluppando gli stessi in relazione alla peculiarità ambientale del sito, tenendo altresì conto della loro sostenibilità». Il Parlamento raccomanda anche che i proventi delle eventuali transazioni economiche tra inquinatori e Governo vengano messi a disposizione dei territori bonificati –:
   se, al fine di dare un effettivo impulso alla realizzazione delle bonifiche e alla riqualificazione economica delle aree contaminate, si intendano assumere quanto prima iniziative per il coordinamento della legislazione vigente in materia, dando nel contempo certezza dei tempi per la conclusione dei procedimenti di bonifica, rivedendo la dotazione di competenza, che è stata ulteriormente diminuita di sette milioni di euro con l'approvazione della legge di stabilità 2013, del programma 18.12 a disposizione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   se si intenda valutare l'opportunità di costituire un tavolo permanente fra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero dello sviluppo economico, per assicurare la riqualificazione economica dei siti industriali contaminati la cui valorizzazione risulta strategica sia per la tutela dell'ambiente che per l'economia nazionale.
(4-00912)


   TONINELLI, DADONE, COZZOLINO, COLLETTI, BASILIO e DIENI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda della raffineria Tamoil a Cremona attraversa una fase di particolare
criticità nel momento in cui l’«ipotesi di verbale di accordo», sottoscritto in data 1° aprile 2011 presso il Ministero dello sviluppo economico tra società Tamoil Raffinazione spa, istituzioni locali e organizzazioni sindacali, mette in mobilità gran parte del personale, a seguito della cessazione delle attività di raffinazione, incidendo sulla continuità della linea delle responsabilità riguardanti la sicurezza delle persone, degli impianti e dell'ambiente;
   questa situazione susseguente un tribolato rapporto con la città in atto da anni con incidenti all'interno ed all'esterno degli impianti, indagini giudiziarie per gravi episodi di inquinamento ambientale, indagini sanitarie avviate e non concluse, tiene in allarme la popolazione che chiede rigore nella applicazione delle procedure di sicurezza e prevenzione ed informazione sistematica e puntuale da parte degli enti preposti sia in generale che per quanto riguarda l'accordo di cui sopra;
   nell'accordo medesimo sono inoltre previsti importanti impegni, anche di ordine istituzionale, finalizzati alla bonifica delle aree interne ed esterne all'impianto e a garantire prospettive occupazionali per l'insieme dei lavoratori e nuove iniziative produttive a favore del territorio;
   in riferimento agli impegni di bonifica, nell'accordo succitato la Tamoil precisa che «quanto sopra espresso non costituisce ammissione di responsabilità [...]»;
   queste aree sono situate a meno di 2 chilometri dal centro storico ed interessano una zona di impianti sportivi e ludici intensamente frequentata;
   considerato che è in corso presso il tribunale di Cremona il processo a carico di cinque responsabili della società Tamoil Raffinazione con sede a Cremona imputati, fra l'altro, di gravi reati ambientali;
   nella richiesta di rinvio a giudizio si legge «Con reiterate condotte di sversamento al suolo di sostanze inquinanti che penetravano nel terreno e nella falda acquifera (dovute a forme abituali di gestione illecita di rifiuti, ad incidenti, a perdite dai serbatoi e/o dalla rete di raccolta delle acque) a fronte delle quali non adottavano idonei interventi di messa in sicurezza di emergenza che avrebbero dovuto impedire la migrazione delle sostanze inquinanti, attraverso la falda, oltre i confini della raffineria, si rappresentavano e, comunque, accettavano il rischio di avvelenare le acque di falda superficiale, intermedia e profonda aumentandone il grado di contaminazione da idrocarburi e metalli pesanti, anche nelle aree circostanti al di fuori del perimetro della raffineria»;
   in apertura dell'udienza tenutasi il 19 novembre 2012 il giudice Guido Salvini ha reso noto di aver ricevuto in data 31 ottobre la richiesta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'acquisizione dei verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile in processo. Tale richiesta è risultata tardiva in quanto il 27 ottobre il giudice Salvini ha ammesso gli imputati al rito abbreviato –:
   quali siano le ragioni del ritardo che non ha permesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di costituirsi parte civile e, quindi, dare maggiore risalto e incisività al processo;
   come il Governo, in quanto firmatario dell'accordo sopra citato, spieghi la precisazione nel documento di cui in premessa che recita «Tamoil precisa che quanto sopra espresso non costituisce ammissione di responsabilità ...», alla luce dei fatti e delle responsabilità, riportati anche agli onori della cronaca, della raffineria di petrolio. (4-00913)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta immediata:


  ANTIMO CESARO, CAPUA, CARUSO, CIMMINO, D'AGOSTINO, DE MITA, MOLEA, NESI, OLIARO, SANTERINI, SCHIRÒ PLANETA, TINAGLI, VECCHIO e VEZZALI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   attualmente la Reggia di Caserta, monumento vanvitelliano proclamato patrimonio dell'umanità dall'Unesco, ospitante nei suoi ambienti personale del Ministero per i beni e le attività culturali, dell'Aeronautica militare e reparti dei Nas e dei Ros, versa in condizioni di degrado. Sebbene l'ultimo restauro risalga all'anno 2006, nei mesi scorsi si sono verificati crolli alle facciate esterne, ai cortili interni e negli appartamenti reali, in seguito ai quali si è reso necessario transennare le aree interessate;
   in forza di ciò è stata prevista una spesa di 22 milioni di euro utile ad un imminente e fondamentale recupero della Reggia, di cui, al momento, solo 9,3 milioni di euro risulterebbero in corso di erogazione;
   i cortili interni e vari ambienti del monumento vedono presenti venditori abusivi, che, sfuggendo ai controlli dei custodi, «assalgono» i turisti e deturpano il decoro degli ambienti;
   la sicurezza del sito risulta assai carente, esponendo al pericolo di sottrazioni o di atti di vandalismo le collezioni, e, come gli interroganti hanno potuto verificare personalmente in un recente sopralluogo, non è garantita l'efficienza del sistema antincendio e certamente quella del sistema antifulmine, stante il recente furto dell'intero reticolo di rame costituente la gabbia di Faraday dai tetti della Reggia –:
   quali iniziative intenda adottare, viste le inaccettabili condizioni del monumento, al fine di procedere in tempi rapidi all'effettiva erogazione dei 9,3 milioni di euro utili all'inizio dei lavori di restauro e di rendere disponibili le ulteriori risorse necessarie a garantire la sicurezza dei visitatori dello stabile e quella del patrimonio artistico custodito nella Reggia di Caserta.
(3-00129)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la Reggia di Caserta, edificata nel diciottesimo secolo per volere di Carlo di Borbone, costituisce uno dei siti culturali e museali più importanti del Mezzogiorno ed è stata inserita già nel 1997 nella lista dei beni considerati come patrimonio dell'umanità dall'Unesco;
   negli ultimi decenni la monumentale opera, comprensiva anche di un grande parco, sta subendo un lento ma inarrestabile declino, dovuto all'incuria e alla scarsezza dei fondi a disposizione, che sta determinando anche una crescente disaffezione da parte dei turisti, passati in poco meno di un decennio da oltre un milione di visitatori l'anno a meno della metà;
   da settembre 2012 la facciata della dimora è parzialmente ostruita dalle transenne in seguito al crollo di alcuni pezzi dai cornicioni, ma la prima tranche di risorse per eseguire il restauro è attesa solo per l'autunno 2013, ed è notizia di pochi giorni fa che i giardini antistanti il Palazzo siano divenuti una piazza per lo spaccio della droga;
   in merito ai fondi a disposizione della Reggia, va rilevato che, rispetto a quanto viene incassato con i biglietti d'ingresso, per un importo pari a circa sei milioni di euro l'anno, neanche un centesimo rimane nelle casse della struttura;
   il Ministro interrogato, in occasione di una recente visita della struttura, ha promesso di voler rendere la Reggia «luogo di eccellenza del patrimonio artistico, culturale e turistico italiano», attraverso la creazione di una soprintendenza speciale strutturata come una società privata, con consiglio di amministrazione formato da soggetti pubblici e privati, e soprattutto dotata di autonomia finanziaria;
   presso il Ministero per i beni e le attività culturali è istituita da tempo la soprintendenza per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il Polo museale della città di Napoli, che esercita le attività di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale della città e dei musei dipendenti, tra i quali la Reggia di Capodimonte;
   la «somiglianza» tra quest'ultima, anch'essa voluta dai Borboni, e la Reggia di Caserta permette di pensare ad una possibile presenza dei due siti all'interno della stessa struttura organizzativa, quale il Polo museale di Napoli;
   l'autonomia finanziaria della quale sono dotati i poli museali, con la conseguente gestione diretta degli incassi ricavati dagli ingressi dei turisti, appare l'unica possibilità reale di riorganizzazione e rilancio della Reggia di Caserta –:
   in alternativa alla soluzione ipotizzata, se non si ritenga di considerare la possibilità di includere la Reggia di Caserta all'interno delle strutture gestite dal Polo museale di cui in premessa, al fine di garantire che la struttura torni alla piena funzionalità con la massima celerità.
(3-00130)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il Castello di Miramare, costruito per volontà dell'arciduca d'Austria Massimiliano d'Asburgo-Lorena nella seconda metà dell'ottocento, rappresenta una delle principali attrazioni turistiche di Trieste;
   situato nell'omonima frazione del capoluogo giuliano, è sede di un museo storico circondato da un parco di 22 ettari ricco di pregiate specie botaniche, mentre l'area marina è una riserva naturale dal 1986, la prima istituita nel nostro Paese;
   il 6 giugno 2013 il sindaco di Trieste Roberto Cosolini ha scritto al Ministro per i beni e le attività culturali Massimo Bray per chiedere un intervento urgente, da coordinare con la Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici della regione Friuli Venezia Giulia, contro il degrado in cui versa Miramare;
   il primo cittadino di Trieste, consapevole del fatto che la manutenzione e la gestione sia del parco che del Castello non rientrano nelle competenze del comune, non addossa però la responsabilità in modo semplicistico alla regione, visto che la Soprintendenza è «alle prese con difficoltà economiche e organizzative», anche se ritiene che quest'organo regionale non sia «sufficiente per la gestione complessiva di una problematica così complessa»;
   secondo il Sindaco, «ci vuole ben di più che un ripristino di manutenzione, e il Comune può condividere innanzitutto idee, e poi favorire il biglietto d'ingresso al parco», ipotesi già ventilata in passato «che per i triestini potrebbe valere come abbonamento annuale, portando un paio di milioni d'introito che se finalizzati in quota significativa alla gestione del Parco lo restituirebbero alla sua straordinaria storica bellezza, e creerebbero anche non pochi posti di lavoro»;
   una missiva dello stesso contenuto è già stata inviata dal Sindaco Cosolini il 10 settembre 2012 al Ministro per i beni e le attività culturali pro tempore del Governo Monti, Lorenzo Ornaghi, senza ottenere però nessuna risposta;
   si è in attesa degli esiti della campagna del FAI (Fondo ambiente italiano) relativi alla sesta edizione del censimento «I luoghi del cuore», che vede Miramare al settimo posto in Italia tra le località che hanno urgente bisogno di restauro e rivitalizzazione –:
   se il Ministro interrogato intenda convocare immediatamente un tavolo di confronto con gli enti locali al fine di stabilire le priorità per un piano di recupero di Miramare, in modo da interrompere il degrado che comporterebbe la perdita di un luogo storico e turistico di inestimabile valore. (4-00897)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Polo di mantenimento dei mezzi di telecomunicazione elettronici ed optoelettronici (Polmanteo) di Roma è stato creato nel 1998 in seguito alla ristrutturazione e accorpamento di alcuni stabilimenti dell'area industriale della Difesa il cui compito principale è la manutenzione di apparecchiature elettroniche ed optoelettroniche appartenenti all'Esercito italiano;
   in tempi recenti il suddetto polo è transitato dall'area industriale dipendente dal segretario generale della Difesa a quella operativa, alle dipendenze del comando logistico dell'Esercito ed è prevista una nuova ristrutturazione, con i decreti legislativi discendenti dalla cosiddetta «legge Di Paola», che prevede l'accorpamento di tre enti militari (il 44° battaglione di sostegno Tlc di Roma, il 184° battaglione di sostegno Tlc di Treviso e il parco Tlc di Roma) e che secondo fonti sindacali comporterà il ripianamento della vacanza organica civile con personale militare;
   a fronte di una consistenza complessiva di circa 160 persone, tra civili e militari, nel tempo il Polmanteo è stato oggetto di un processo di anemizzazione e depotenziamento col blocco del turnover che non prevede l'ingresso, per i prossimi anni, di figure professionali necessarie per la funzionalità del Polo di mantenimento (l'età media attuale dei lavoratori è di oltre 50 anni). Inoltre, le mansioni di funzione e dirigenziali sono rivestite principalmente da militari legati alla carriera e all'avvicendamento rapido, mentre certi ruoli andrebbero ricoperti da personale civile, quale dovrebbe essere la natura dell'ente, con professionalità adeguata per creare i presupposti di continuità e durata nel tempo non dipendenti da semplici dinamiche di carriera;
   come si evince da una nota della rappresentanza sindacale unitaria di Polmanteo in tempi recenti alcune posizioni organiche civili (vicedirettore, consegnatario principale, capo sezione meccanica) sono state ricoperte con personale militare, preoccupante segnale di una strisciante ma sostanziale militarizzazione di questo come di molti altri enti dell'ex area industriale; inoltre, come rileva lo stesso documento della rappresentanza sindacale unitaria, il grado di alcuni militari è inferiore a quello previsto dall'attuale decreto di struttura per ricoprire alcuni ruoli;
   fatti recenti lasciano aperti inoltre molti interrogativi sulle reali intenzioni dell'amministrazione rispetto a questo stabilimento. Sempre secondo la rappresentanza sindacale unitaria, nello stabilimento verrebbero prodotti complessi di installazione di apparati elettronici per veicoli dell'Esercito che con il sistema delle permute vengono ceduti a una ditta civile che poi li cede a sua volta alla Difesa;
   infine, in data 9 maggio 2013, personale dello Stato maggiore dell'Esercito e rappresentanti di Difesa Servizi s.p.a. avrebbero fatto un sopralluogo nello stabilimento in previsione di una cessione dell'area dello stesso per attività commerciali e per la realizzazione di alloggi per la Difesa –:
   quali siano gli intendimenti del Ministro sul futuro dello stabilimento, in particolare relativamente all'intenzione di cessione dell'area, confermata dalla recente ispezione;
   quali provvedimenti il Ministro della difesa intenda adottare per ripianare le carenze organiche con personale civile, fermando la strisciante militarizzazione in corso;
   quali siano le ragioni per cui lavorazioni realizzate dal Polmanteo vengano cedute ad aziende esterne che poi le cedono a loro volta all'amministrazione della Difesa nell'ambito di contratti già aggiudicati. (5-00382)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale con la sentenza n. 116 del 2013 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall'articolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
   la norma censurata disponeva che, dal 1° agosto 2011 fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi superassero 90 mila euro lordi annui, fossero assoggettati a un contributo di perequazione del 5 per cento per la parte eccedente l'importo fino a 150 mila euro; del 10 per cento per la parte eccedente 150 mila euro; e del 15 per cento per la parte eccedente 200 mila euro;
   l'illegittimità della previsione – secondo i giudici della Corte costituzionale deriva essenzialmente dal suo carattere particolare, ovvero dal suo riferirsi a una sola e specifica platea di cittadini, anziché a tutti coloro che sono titolari di redditi, come prescrive il fondamentale principio dell’«universalità della imposizione»;
   «se da un lato l'eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è suscettibile di consentire il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini necessitano, dall'altro scrive la Corte costituzionale – ciò non può e non deve determinare un'obliterazione dei fondamentali canoni di uguaglianza, sui quali si fonda l'ordinamento costituzionale»;
   «A fronte di un analogo fondamento impositivo, dettato dalla necessità di reperire risorse per la stabilizzazione finanziaria, il legislatore non avrebbe perciò dovuto trattare diversamente i redditi dei titolari di trattamenti pensionistici, (rispetto agli altri cittadini che ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge 138/2011 sono tenuti a un contributo di solidarietà del 3 per cento per i redditi oltre 300.000 euro lordi annui) ma – sono ancora le parole della Corte – “predisporre un universale intervento impositivo”, “foriero peraltro – proseguono i giudici della Consulta – di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di uguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica”»;
   sulla base di considerazioni sostanzialmente analoghe la Corte costituzionale, peraltro, con la sentenza n. 223/2012, dichiarò l'illegittimità costituzionale:
    dell'articolo 9, comma 22, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui dispone che, per il personale di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura) non sono erogati, senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012 e che per tale personale, per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 è pari alla misura già prevista per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014, nonché nella parte in cui non esclude che a detto personale sia applicato il primo periodo del comma 21;
    dell'articolo 9, comma 22, del decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte in cui dispone che l'indennità speciale di cui all'articolo 3 della legge n. 27 del 1981, spettante al personale indicato in tale legge, negli anni 2011, 2012 e 2013, sia ridotta del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013;
    dell'articolo 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte in cui dispone che a decorrere dal 1o gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3, dell'articolo 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilità e finanza pubblica), superiori a 90.000 euro lordi annui siano ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro;
    dell'articolo 12, comma 10, del decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte in cui non esclude l'applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50 per cento della base contributiva, prevista dall'articolo 37, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato) –:
   se e come il Governo, in un momento di particolare crisi economica – al fine di reperire le risorse necessarie a contrastare la disoccupazione, a contenere l'incremento delle imposte indirette e a garantire a tutti i cittadini i beni e i servizi di cui necessitano – intenda dare seguito alle indicazioni della Corte costituzionale;
   se e come intenda definire nuove ipotesi di contributi di solidarietà e, nella stessa prospettiva «universale e solidale» prescritta dall'articolo 2 e dall'articolo 3, comma 2, della Costituzione, intenda promuovere una rimodulazione dei diversi trattamenti pensionistici, in modo da scongiurare il rischio che la decisione della Corte costituzionale, pronunciata in nome del principio di uguaglianza e di «solidarietà universale», finisca, di fatto, con il contribuire a consolidare le gravi disuguaglianze sostanziali che si sono venute a creare nel nostro Paese.
(2-00098) «Giorgis, Fiano, Taricco, Ascani, Baruffi, Bindi, Paola Bragantini, Campana, Carella, Causi, De Maria, De Micheli, Marco Di Maio, Fabbri, Ferrari, Folino, Fontanelli, Garavini, Gasparini, Ghizzoni, Ginato, Ginefra, Guerra, Incerti, Marantelli, Mauri, Marco Meloni, Misiani, Mogherini, Monaco, Orfini, Rossomando, Bossa, Bressa, Damiano, D'Ottavio, Cinzia Maria Fontana, Marchi, Pollastrini, Richetti, Rosato».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAUSI e SANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 31, commi 45 e seguenti, della legge 23 dicembre 1998, n, 448 — legge finanziaria del 1999 — ha dato la facoltà ai comuni di cedere in proprietà le aree comprese nei Peep (Piani di edilizia economica e popolare), già concesse in diritto di superficie, agli attuali proprietari degli alloggi;
   in particolare la disposizione prevede, per gli assegnatari delle aree in superficie, l'opportunità di ottenere la pienezza del diritto di proprietà dell'immobile posseduto e di disporre del medesimo senza più alcun vincolo e condizionamento giuridico; per tale fattispecie il corrispettivo da pagare al comune è determinato entro il 31 marzo di ogni anno dalla giunta comunale secondo determinati criteri e parametri;
   la legge 24 dicembre 2007, n. 244 — legge finanziaria 2008 — (articolo 2, comma 89), novellando i commi 1 e 2, dell'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, ha successivamente introdotto nuovi parametri per la determinazione del corrispettivo;
   la Corte dei conti (con sentenza n. 22/CONTR/11 del 14 aprile 2001), pur promuovendo una applicazione agevolata, uniforme ed indifferenziata della cessione delle aree comprese nei Peep, ha confermato tale rideterminazione del corrispettivo;
   l'applicazione di tali parametri, la cui interpretazione consente comunque una autonomia da parte delle singole amministrazioni comunali rispetto alle indicazioni degli uffici competenti (come ad esempio la rivalutazione in base agli indici Istat), sta creando alcune criticità, consistenti nelle molteplici differenziazioni dei corrispettivi da pagare;
   le differenziazioni dei corrispettivi, oltre a generare gravi disparità di trattamento economico fra i cittadini rispetto alla tempistica di richiesta del riscatto ed alla residenza (oltre a ricorsi nei tribunali competenti), stanno di fatto bloccando e rallentando numerose pratiche di cessione;
   in alcuni pronunciamenti delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti emerge chiaramente sia la necessità di agevolare l'adesione dei cittadini all'operazione di «riscatto», cercando di contenere il prezzo da pagare ai comuni, sia la necessità di rispettare un'esigenza di equità, evitando disparità di trattamento tra i cittadini (cioè tra coloro che già hanno proceduto al riscatto e coloro che intendono farlo in futuro), cercando di garantire nel tempo uniformità nella determinazione del prezzo del riscatto;
   tale situazione di incertezza sta inoltre creando un mancato introito per alcune amministrazioni comunali, già colpite dalle recenti e ingenti riduzioni dei trasferimenti da parte dello Stato;
   sarebbe auspicabile, anche in relazione alla crisi economica ed occupazionale che sta investendo il nostro Paese e per promuovere il diritto all'abitazione, addivenire ad una definizione di criteri uniformi, su tutto il territorio nazionale, che possa agevolare l'acquisto degli alloggi nelle aree comprese nei Peep, risolvendo il problema delle domande che ad oggi risultano bloccate ed impedendo di fatto alle singole amministrazioni comunali interpretazioni difformi della norma in oggetto;
   il Governo, nella XVI Legislatura, ha accolto un ordine del giorno (9/5534-bis-B/3) che lo impegna a valutare l'opportunità, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, di rivedere i parametri normativi relativi alla cessione delle aree Peep, per promuovere una applicazione agevolata uniforme ed indifferenziata, nelle diverse realtà territoriali, per l'acquisto in piena proprietà delle aree in oggetto, da parte dei soggetti già titolari di diritto di superficie delle stesse –:
   se non ritenga opportuno assumere, alla luce di quanto esposto in premessa, un'iniziativa normativa urgente volta a rimodulare i parametri normativi relativi alla cessione delle aree comprese nei piani di edilizia economica e popolare, al fine di applicare la normativa in modo uniforme ed indifferenziato, in tutte le realtà territoriali. (5-00378)


   GEBHARD, SCHULLIAN, ALFREIDER e PLANGGER. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dagli anni Novanta ai nostri giorni molte disposizioni di natura fiscale che possono considerarsi a sostegno del contribuente, denominate più genericamente «detrazioni per oneri», previste dal Testo unico delle imposte sui redditi delle persone fisiche, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono rimaste invariate, con conseguenti ripercussioni negative sul cittadino, se si fa eccezione per l'adeguamento dei relativi importi nel passaggio dalla lira all'euro;
   ai sensi dell'articolo 12 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, dal 1994 è invariata la soglia del reddito annuo per considerare un familiare a carico, pari a 2.840,51 euro, quindi, per poter usufruire di detrazioni dall'Irpef per carichi di famiglia, nonostante più volte i governi si siano impegnati ad innalzare tale soglia come è avvenuto dal 1987 al 1993;
   la legge di stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228) ha provveduto ad incrementare le detrazioni per ciascun figlio a carico a decorrere dal 1° gennaio 2013, portando a 950 euro, in luogo degli 800 euro precedenti, la detrazione per ciascun figlio di età superiore o uguale a 3 anni, a 1.220 euro, in luogo dei 900 euro precedenti, la detrazione per ciascun figlio minore di 3 anni, 400 euro, in luogo dei precedenti 220 euro, per ciascun figlio disabile, ma ha lasciato invariata la soglia di 2.840,51 euro del reddito complessivo oltre il quale un familiare non è più da considerarsi a carico;
   contestualmente sarebbe necessario adeguare al costo della vita anche l'importo di 2.840,51 euro, innalzandolo almeno a 5.000 euro, per aiutare i cittadini e le famiglie, soprattutto in tempi di crisi –:
   se ritenga opportuno prevedere l'adeguamento degli importi, rimasti invariati dagli anni Novanta, delle detrazioni fiscali a beneficio dei contribuenti e a sostegno della famiglia, in particolare l'importo massimo detraibile per i familiari a carico, ai sensi dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, innalzandolo almeno a 5.000 euro o ad altro importo adeguatamente quantificato dal Ministero in rapporto all'attuale costo della vita. (5-00379)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'economia e delle finanze, con decreto n. 151 del 27 maggio 2013, ha disposto, su proposta di Banca d'Italia, lo scioglimento degli Organi con funzioni di amministrazione e controllo della Cassa di Ferrara spa e la sottoposizione della stessa ad amministrazione straordinaria, ai sensi dell'articolo 70, comma 1, lettere a) e b) e dell'articolo 98 del Testo Unico Bancario;
   tale decisione ha seguito accertamenti ispettivi di vigilanza conclusisi nel gennaio 2013;
   con provvedimento di Banca d'Italia del 28 maggio 2013 sono stati nominati gli organi straordinari nelle persone di Bruno Anzitari, quale commissario straordinario, Fabrizio Daverio, Paola Leone e Cosimo Centrone, quali componenti del comitato di sorveglianza;
   gli organi straordinari si sono insediati il 30 maggio 2013;
   da notizie di stampa si apprende che sarebbe prossima la nomina di un ulteriore figura di supporto tecnico, presumibilmente in sostituzione dell'attuale direttore generale;
   Carife è la capogruppo di un Gruppo (Carife SEI Scar Ferrara, Banca Farnese Piacenza, Carife SIM Ferrara, Commercio & Finanza Napoli) che conta circa 1.200 dipendenti, di cui 800 nel territorio ferrarese;
   gli azionisti della Banca, non quotata in Borsa, sono oltre 26.000, residenti per la maggior parte nel territorio di Ferrara, e hanno visto il valore dell'azione scendere dai 21 euro del 2011 ai 7 euro di questi giorni;
   il bilancio consolidato 2012 si è chiuso con una perdita di euro 104,4 milioni, a fronte di accantonamenti per crediti deteriorati di euro 228,7 milioni, come da richiesta di Banca d'Italia, che hanno penalizzato la migliore performance della gestione caratteristica nel decennio;
   nel 2011, su autorizzazione di Banca d'Italia, era stato emesso un aumento di capitale di euro 150 milioni, finalizzato alla ricapitalizzazione dell'Istituto, sottoscritto in larghissima parte da famiglie e imprese del territorio ferrarese;
   ad aprile 2013, con l'approvazione del bilancio, è stato rinnovato il Consiglio di amministrazione, con 4 membri nuovi rispetto a quello in scadenza;
   era in corso, a quanto pare su sollecitazione di Banca d'Italia, una ricerca, tramite advisor, di un nuovo partner industriale, finalizzata ad ulteriore ricapitalizzazione di Carife;
   Carife è una banca a forte radicamento territoriale nella provincia ai Ferrara, tanto da aver contribuito significativamente con misure a sostegno di famiglie e imprese colpite dal sisma del 2012, con un portafoglio crediti di complessivi euro 4.128 milioni, riferito per il 23 per cento a privati consumatori, per il 23 per cento a PMI, per il 21 per cento al segmento Small Business e per il 21 per cento a imprese Corporate;
   di conseguenza, eventuali politiche di restrizione del credito potrebbero generare problemi significativi per la tenuta complessiva dell'economia ferrarese, già seriamente provata dalla crisi –:
   quali siano in dettaglio le ragioni che abbiano portato il Ministro dell'economia e delle finanze a disporre il commissariamento di Carife, e quale sia il mandato ricevuto dagli organi straordinari, con particolare riferimento alla prospettiva futura del gruppo in termini di autonomia gestionale e organizzativa, di politica creditizia e di previsioni occupazionali.
(5-00380)


   VILLAROSA, CANCELLERI e BARBANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 36 dello Statuto della regione siciliana dispone che: «Al fabbisogno finanziario della regione si provvede con i redditi patrimoniali della regione e a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima. Sono però riservate allo Stato le imposte di produzione e le entrate dei tabacchi e del lotto»;
   l'articolo 37 dello Statuto della regione siciliana prevede che: «Per le imprese industriali e commerciali, che hanno la sede centrale fuori del territorio della regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell'accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi. L'imposta, relativa a detta quota, compete alla regione ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima»;
   lo Stato ogni anno ha sempre trasferito le risorse relative al disposto dell'articolo 36 alla regione siciliana, senza mai fornire una documentazione analitica sulle risorse effettivamente incassate dallo Stato e da trasferire alla regione siciliana;
   la regione siciliana non ha ancora ottenuto la riscossione delle imposte di cui all'articolo 37 dello Statuto della regione siciliana;
   da numerose notizie stampa si evince che il presidente della regione siciliana, Rosario Crocetta, nel mese di aprile avrebbe stipulato un accordo con lo Stato relativamente all'articolo 37 dello statuto della regione siciliana avente ad oggetto:
    a) un entrata fiscale forfettaria pari a circa 49 milioni di euro;
    b) la cancellazione delle entrate fiscali relative agli anni pregressi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale accordo e in base a quali parametri si è arrivati alla quantificazione della cifra di 49 milioni di euro annui. (5-00381)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VENITTELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Larino è presente l'ufficio dell'Agenzia delle entrate che eroga servizi a venti comuni per un totale di circa quarantamila contribuenti;
   in particolare, la competenza territoriale di tale ufficio copre i comuni di Bonefro, Casacalenda, Castelbottaccio, Castelmauro, Civitacampomarano, Colletorto, Guardialfiera, Larino, Lucito, Lupara, Montelongo, Montorio nei Frentani, Morrone del Sannio, Provvidenti, Ripabottoni, Rotello, San Giuliano di Puglia, San Martino in Pensilis, Santa Croce di Magliano, Ururi;
   dei venti comuni menzionati, dodici appartengono all'area del cratere molisano per un totale di circa trentamila contribuenti che usufruiscono degli ulteriori servizi legati alla sospensione di tributi e contributi in seguito del sisma del 31 ottobre 2002;
   l'ufficio dell'Agenzia delle entrate di Larino offre un notevole sostegno dell'attività del contiguo palazzo di giustizia;
   con provvedimento dell'Agenzia delle entrate (prot. 2013/65463), in attuazione della spending review, si stabilisce la data di chiusura dell'ufficio territoriale di Larino, già disposta con atto n. 103284, in data 16 luglio 2012;
   in generale, con il piano di riassetto dell'Agenzia delle entrate proposto dal direttore Attilio Befera, è prevista la chiusura di ben 23 sedi territoriali;
   questa scelta non solo rischia di togliere forza alla lotta all'evasione fiscale ma, spostando i servizi a decine di chilometri di distanza, si rischia di caricare sui cittadini l'onere complessivo della riorganizzazione delle sedi territoriali;
   infine, l'articolo 94, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003) stabilisce che nei comuni con sede di tribunale è mantenuta l'autonomia dell'Ufficio unico delle entrate –:
   quali azioni il Governo intenda intraprendere per evitare che il riassetto organizzativo dell'Agenzia delle entrate si trasformi in una oggettiva discriminazione sul territorio nazionale in merito alla fruizione di un servizio. (5-00377)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, ha istituito l'imposta municipale propria in sostituzione – per la componente di fiscalità immobiliare – di quella sul reddito delle persone fisiche, delle relative addizionali dovute a fronte della percezione di redditi fondiari tratti da beni non locati e dell'imposta comunale sugli immobili;
   l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha anticipato l'applicazione al 2012, estendendola anche alla «prima casa» ed alle sue pertinenze;
   per abitazione principale (prima casa) si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano quale unica unità nel quale il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente;
   i comuni possono considerare direttamente adibita ad abitazione principale l'unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che la stessa non risulti locata, nonché l'unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata;
   il decreto-legge n. 16 del 2012 ha dunque previsto che i comuni possono riservare alle unità immobiliari in questione lo stesso trattamento previsto per l'abitazione principale, vale a dire applicazione dell'aliquota ridotta, detrazione e maggiorazione per i figli, a condizione che l'abitazione sia «posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato», senza fare riferimento al comune di iscrizione AIRE;
   esiste una condizione di sostanziale discriminazione nei confronti dell'abitazione degli emigrati italiani, contenuta nell'attuale normativa, nella misura in cui si applica a coloro che, possedendo un'unica abitazione in Italia, migranti per lavoro e necessità, perdono l'equiparazione prima casa unicamente per il fatto di risultare residenti all'estero;
   la permanenza di questa condizione, insieme alle condizioni generali di tassazione sulla prima casa per gli italiani all'estero, comporterebbe per l'Italia un danno enorme, non solo economico, qualora i suoi cittadini residenti all'estero decidessero di disfarsi di queste loro proprietà, il cui costo, tra utenze varie ed imposte, è diventato ormai insopportabile finanziariamente per molti di loro –:
   se non si ritenga indispensabile assumere iniziative volte a precisare, ove ne ricorrano i presupposti, anche mediante apposita circolare, che le disposizioni assunte dai comuni in relazione alla equiparazione ad abitazione principale dell'unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata, si applicano anche nei casi in cui il cittadino italiano risulti iscritto in un comune AIRE diverso dal comune in cui è dislocato l'immobile, come peraltro si evince dalla norma che cita espressamente «posseduta dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato senza fare riferimento al comune di iscrizione AIRE;
   ad assumere ogni idonea iniziativa, nella riforma della normativa sull'imposta municipale unica, tesa a ripristinare un regime di parità di trattamento tra i cittadini italiani che, possessori di unica abitazione in Italia, risiedono all'estero per ragioni di lavoro, o in quanto migranti o ricercatori, e che non possono accedere al regime delle detrazioni attualmente in vigore;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per garantire che le nuove disposizioni tengano comunque conto di questa esigenza di equiparazione e di parità di trattamento. (4-00898)


   FERRARA, AIRAUDO, DI SALVO, DURANTI, PAGLIA, AIELLO, LAVAGNO, PIRAS, LACQUANITI, NICCHI, RICCIATTI, MELILLA, FAVA, QUARANTA e PANNARALE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Selex electronic Systems S.p.A. è una società italiana che opera nel settore dell'elettronica per la difesa e la sicurezza e fa parte del gruppo Finmeccanica. Nata ufficialmente come Finmeccanica Consulting S.r.l., nel dicembre 2011 la società si trasforma in Selex s.p.a. ricevendo tutte le attività svolte dal gruppo Finmeccanica nel settore elettronica per la difesa e sicurezza. Operativa dal 1° gennaio 2013 ha, quindi, incorporato Selex Galileo, Selex Elsag e gli asset di Selex sistemi integrati, acquistati per 66 milioni di euro. Quest'ultima, infatti, non è stata fusa in Selex ES per via dei contenziosi giuridici attualmente in essere;
   Selex ES conta attualmente circa 17.900 dipendenti, 64 sedi di cui 48 in Italia, un portafoglio di 550 prodotti ed è articolata su tre divisioni: 1) divisione Air and space systems: sensori aeroportati, velivoli senza pilota, sistemi di guerra elettronica, sistemi integrati di missione, sistemi di simulazione, aerobersagli, sensori stellari, paylaods ed equipaggiamenti; 2) divisione Land and Naval Systems: settore elettro-ottico, architettura di sistemi complessi, sistemi tattici integrati, sistemi navali da combattimento, radar navali e terrestri, le reti di comunicazioni militari; 3) divisione security and smart systems: architetture di sistemi per la protezione del territorio e delle infrastrutture critiche, gestione di dati e persone, sistemi di comunicazione, Information technology, sistemi aeroportuali e di controllo del traffico marittimo;
   nell'incontro svoltosi il 6 giugno 2013 a Roma presso la locale unione degli industriali, Selex Electronic Systems ha presentato alle organizzazioni sindacali il suo piano di riorganizzazione, confermando la chiusura di 22 siti;
   l'azienda ha annunciato, inoltre, l'apertura delle procedure di messa in cassa integrazione a zero ore per 1.822 dipendenti a partire dal 1° luglio 2013 al 30 giugno 2015, mentre per circa altri 10.000 tra lavoratrici e lavoratori è previsto, sempre per lo stesso periodo, il ricorso a quattro ore di cassa integrazione straordinaria settimanale con fermate collettive;
   ad avviso degli interroganti il piano presentato da Selex ES non può rappresentare una buona base di partenza per avviare una seria discussione con le organizzazioni sindacali, sia per i numeri della riorganizzazione che per i criteri che, se venissero applicati così come sono, determinerebbero una netta divisione tra i lavoratori dell'azienda: da una parte coloro che dovrebbero stare per due anni in cassa integrazione a zero ore, dall'altra quelli che dovrebbero starci per 4 ore settimanali;
   è inaccettabile che si voglia far pagare ai lavoratori l'intero prezzo degli errori industriali prodotti dal management delle tre aziende attualmente fuse in Selex Electronic System, i quali sono gli unici privi di responsabilità in questo senso;
   Selex Electronic System rappresenta una delle realtà più avanzate a livello nazionale e mondiale nei settori dell'elettronica per la difesa e la sicurezza navale e dell'aero-spazio che la cui continuità produttiva va salvaguardata, garantita e rilanciata. L'Italia non si può permettere di disperdere anche in questo settore, tutto quel patrimonio tecnologico, di ricerca e di competenze professionali che si è creato, sviluppato e consolidato nel tempo –:
   se il Governo sia a conoscenza dei contenuti del piano di ristrutturazione della Selex electronic systems e se non intenda intervenire immediatamente coinvolgendo tutti i soggetti interessati per avviare un tavolo di trattativa al fine di ricercare una condivisione del piano di riorganizzazione e degli strumenti per supportarlo con il minore impatto possibile per i lavoratori di Selex ES, che prenda in considerazione l'utilizzo di altri strumenti previsti dalla legislazione vigente come ad esempio i contratti di solidarietà che consentirebbero di ripartire la riduzione di orario su un numero seppur più ampio di lavoratori, in termini meno devastanti, nonché l'utilizzo di ammortizzatori sociali al fine dell'accompagno alla pensione ed, infine, se intenda valutare l'opportunità di ridurre il numero dei siti di cui sia prevista la chiusura integrale. (4-00911)


   FERRARA, AIRAUDO, DI SALVO, DURANTI, PAGLIA, AIELLO, LAVAGNO, PIRAS, LACQUANITI, NICCHI, RICCIATTI, MELILLA, FAVA, QUARANTA e PANNARALE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la direzione aziendale di AnsaldoBreda nella giornata del 6 giugno 2013 ha formalmente comunicato alle organizzazioni sindacali la drammatica notizia della rescissione delle commesse del V250 da parte del Belgio e dell'Olanda. Da un comunicato diramato nella stessa giornata si apprende che le ragioni addotte dal cliente per giustificare una scelta che lo stesso management AnsaldoBreda giudica scorretta, inaccettabile e imprevista, sarebbero tutte di carattere tecnico, legate cioè alle presunte gravi carenze progettuali del treno;
   è inutile sottolineare l'impatto negativo, pesante e portatore di gravi ripercussioni che assume questa vicenda, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista dell'immagine aziendale;
   non vi è da parte degli interroganti dubbio alcuno sulle storiche e consolidate capacità qualitative, produttive e professionali di AnsaldoBreda e delle sue maestranze, ma, ad avviso degli interroganti la scelta di rescindere il contratto da parte del Belgio e dell'Olanda è da considerarsi assolutamente pretestuosa, finalizzata ad escludere l'impresa italiana da un mercato che appare monopolizzato da Siemens;
   la situazione del settore civile di Finmeccanica rischia di precipitare a causa dell'assenza di politiche industriali del Governo Berlusconi prima e di Monti poi;
   si auspica che l'attuale Governo non prosegua sulla stessa strada, quando invece occorrerebbe un intervento deciso per rilanciare tutto il settore civile del Gruppo Finmeccanica, da AnsaldoBreda a Ansaldo STS, a Ansaldo Energia, a BreadaMenarini, che rappresentano un vero patrimonio professionale, occupazionale e industriale per il nostro Paese, investendo su processi e prodotti e rilanciando la progettazione. I vertici di Finmeccanica devono bloccare immediatamente qualsiasi processo di depotenziamento e alienazione della tecnologia che si otterrebbe attraverso la cessione degli asset civili ai diretti concorrenti internazionali;
   focalizzare Finmeccanica al solo settore militare e della difesa, avrebbe, ad avviso degli interroganti, come unico risultato una forte penalizzazione per l'intero Gruppo Finmeccanica ed il Paese rimarrebbe privo di un patrimonio industriale strategico di primaria importanza;
   per un vero rilancio di Finmeccanica è necessario che il settore civile torni ad essere un punto di riferimento strategico per il Gruppo e per il Paese;
   vi è ad esempio la necessità che il Governo metta in atto politiche industriali volte a ricomporre la filiera del settore ferroviario;
   e, sotto tale profilo si segnala che, AnsaldoBreda nella costruzione dei treni, Ansaldo STS nel segnalamento e sistemi, Ansaldo Energia nella produzione di energia, turbine a gas e a vapore, generatori e centrali elettriche complete e BredaMenarini nella produzione di autobus, sono aziende di eccellenza e rappresentano nel mercato mondiale un settore in netta crescita e produttivo di utili;
   inoltre, si deve rilevare che il Ministero dell'economia e delle finanze rappresenta il principale azionista di Finmeccanica con una quota pari al 32,45 per cento della società e che tale partecipazione è soggetta alla disciplina dettata dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 settembre 1999, secondo cui tale quota non può scendere al di sotto della soglia minima del 30 per cento del capitale sociale. In buona sostanza, nessun altro azionista può detenere una quota del capitale di Finmeccanica superiore al 3 per cento senza l'approvazione del Ministero dell'economia e delle finanze –:
   quali azioni urgenti il Governo intenda assumere, in qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica, affinché Finmeccanica stessa modifichi la propria strategia industriale attraverso investimenti ad anche con trasferimento di tecnologie dal militare al civile, fermando qualsiasi ipotesi di cessione degli asset civili, a partire da AnsaldoBreda, Ansaldo STS, Ansaldo Energia e BredaMenarini, così da garantire che le scelte della società vadano della direzione dello sviluppo e del rilancio produttivo dei settori e degli stabilimenti che rappresentano un'importantissima risorsa strategica per il Paese. (4-00915)


   PELUFFO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   recentemente l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha ripetutamente attaccato i sistemi efficienti di utenza (SEU) che il decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115 ha introdotto per promuovere lo sviluppo dell'autoconsumo di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili o in assetto cogenerativo;
   a detta dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, i SEU comporterebbero un'erosione del gettito degli oneri generali di sistema a causa del diritto di poter regolare detti oneri a valere sull'energia elettrica prelevata dalla rete, anziché sull'energia elettrica consumata;
   l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha dichiarato di voler segnalare al Governo e al Parlamento la necessità di introdurre modifiche normative finalizzate a eliminare il trattamento di favore che il legislatore ha previsto per i SEU;
   la legge 23 luglio 2009, n. 99, articolo 33, comma 5, prevede che «... a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge i corrispettivi tariffari di trasmissione e di distribuzione, nonché quelli a copertura degli oneri generali di sistema [...] sono determinati facendo esclusivo riferimento al consumo di energia elettrica dei clienti finali o a parametri relativi al punto di connessione dei medesimi clienti finali»;
   il comma 6 del medesimo articolo prevede che «Limitatamente alle RIU [Reti Interne d'Utenza]..., i corrispettivi tariffari di cui al comma 5 si applicano esclusivamente all'energia elettrica prelevata nei punti di connessione»;
   il comma 7 del medesimo articolo prevede che : «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas adegua le proprie determinazioni tariffarie per dare attuazione a quanto disposto dai commi 5 e 6 del presente articolo»;
   il decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115, nella versione modificata dal decreto legislativo n. 56/10, all'articolo 10, comma 2, ha previsto che, nel caso dei SEU, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas «provvede inoltre affinché la regolazione dell'accesso al sistema elettrico sia effettuata in modo tale che i corrispettivi tariffari di trasmissione e di distribuzione, nonché quelli di dispacciamento e quelli a copertura degli oneri generali di sistema [...], siano applicati esclusivamente all'energia elettrica prelevata sul punto di connessione. In tale ambito, l'Autorità prevede meccanismi di salvaguardia per le realizzazioni avviate in data antecedente alla dato di entrata in vigore del presente decreto, in particolare estendendo il regime di regolazione dell'accesso al sistema elettrico di cui al precedente periodo almeno ai sistemi il cui assetto è conforme a tutte le seguenti condizioni:
    sono sistemi esistenti alla data di entrata in vigore del suddetto regime di regolazione, ovvero sono sistemi di cui, alla medesima data, sono stati avviati i lavori di realizzazione ovvero sono state ottenute tutte le autorizzazioni previste dalla normativa vigente;
    hanno una configurazione conforme allo definizione di cui all'articolo 2, comma 1, lettera t) [cioè alla definizione di SEU] o, in alternativa, connettono, per il tramite di un collegamento privato senza obbligo di connessione di terzi, esclusivamente unità di produzione e di consumo di energia elettrica nella titolarità del medesimo soggetto giuridico»;
   a distanza di 4 anni dall'entrata in vigore della legge n. 99 del 2009, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas non ha ancora dato attuazione alle disposizioni sopra riportate in quanto non ha mai stabilito in forma cogente che i corrispettivi tariffari di trasmissione e di distribuzione nonché quelli a copertura degli oneri generali di sistema, siano determinati facendo esclusivo riferimento al consumo di energia elettrica dei clienti finali o a parametri relativi al punto di connessione dei medesimi clienti finali;
   la mancata attuazione della legge n. 99 del 2009 fa sì che non solo le RIU, i SEU e i sistemi esistenti ad essi equiparati, ma anche tutti gli eventuali altri clienti che si producono l'energia elettrica in sito e non facenti parte delle predette categorie attualmente versino i corrispettivi di trasporto e gli oneri generali sull'energia elettrica prelevata dalla rete, anziché sull'energia elettrica consumata, comportando una riduzione della base imponibile su cui distribuire gli oneri generali di sistema;
   l'inerzia dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha comportato e tuttora comporta una riduzione del gettito degli oneri generali di sistema che la stessa Autorità invece denuncia come effetto negativo dei soli SEU;
   ad avviso dell'interrogante non si giustifica l'atteggiamento dell'Autorità indipendente che, mentre attacca la riduzione del gettito dovuta a configurazioni impiantistiche di autoconsumo di energia da fonti rinnovabili e cogenerazione consentita dalla legge, è la principale responsabile del mancato gettito derivante da benefici concessi a configurazioni impiantistiche che la legge ha stabilito di non agevolare;
   inoltre non appare compatibile con le sue finalità istitutive il comportamento dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas che non ha dato attuazione ad una disposizione di legge che avrebbe consentito di ridurre il costo dell'energia elettrica per i consumatori –:
   a quanto ammonti il mancato gettito derivante dall'inerzia dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, che, non attuando l'articolo 33, comma 5, della legge n. 99 del 2009, ha consentito un trattamento privilegiato a sistemi non efficienti e ha impedito ai consumatori di beneficiare di una riduzione del costo dell'energia elettrica;
   quali iniziative intenda prendere il Governo a fronte della situazione sopra descritta. (4-00916)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


   FORMISANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, attuativo dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, rendeva operative le disposizioni sulla mediazione civile obbligatoria;
   con sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2012 il sopra citato decreto legislativo veniva dichiarato incostituzionale per eccesso di delega;
   la pronuncia della Corte costituzionale assorbiva tutta una serie di ricorsi relativi all'obbligatorietà, onerosità, assenza di garanzie circa la preparazione dei mediatori, che, quindi, non venivano discussi ma venivano nemmeno dichiarati infondati;
   il Governo con il cosiddetto «decreto del fare», il 15 giugno 2013 ha ripristinato la mediazione obbligatoria per numerose tipologie di cause, allo scopo, a suo dire, di diminuire il numero dei procedimenti giudiziari in entrata, come richiesto anche dall'Unione europea;
   secondo il Governo questa procedura, assieme ad altri interventi sulla giustizia civile, dovrebbe portare alla riduzione dei tempi e del numero dei processi, che nei prossimi cinque anni dovrebbero essere un milione in meno;
   si può, però, notare che la mediazione come viene concepita in Italia è una sorta di unicum europeo e che la stessa Unione europea non ha mancato di esprimere critiche alla sua estensione a quasi tutto il contenzioso civile;
   appare preoccupante il fatto che la mediazione nuovamente introdotta dal Governo sia «condizione di procedibilità», negando al cittadino il diritto di ricorrere senza lungaggini ulteriori al proprio giudice naturale;
   il Consiglio nazionale forense, e molte altre importanti associazioni di avvocati, hanno lamentato la mancanza di consultazione da parte del Governo precedente alla reintroduzione della mediazione obbligatoria;
   si è fatta notare la forte discrepanza tra quanto previsto dai precedenti Governi, per quel che riguarda la riduzione del numero dei processi, e i dati reali, che parlano, invece, solo di poche migliaia in meno;
   come sin troppo spesso accaduto in passato, si è proceduto per decreto-legge, mentre a parere dell'interrogante sarebbe stato quantomeno necessario consultare tutte le parti interessate e coinvolgere il Parlamento in una questione di tale importanza;
   la procedura scelta e le norme inserite nel decreto-legge appaiono all'interrogante foriere di nuove pronunce di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale –:
   se non si intenda riconsiderare l'introduzione della norma sulla mediazione nel decreto-legge citato, nonché i relativi contenuti, e procedere ad una consultazione delle parti interessate, assumendo un più corretto comportamento nei confronti del Parlamento, che non può essere solo chiamato a ratificare una questione che riguarda in maniera fondamentale i diritti dei cittadini, ai quali non può essere impedito di adire il proprio giudice naturale qualora lo ritengano necessario per tutelare i loro interessi, senza procedure dilatorie spesso inutili. (3-00123)


   NICCHI, MIGLIORE, DANIELE FARINA, PIAZZONI, AIELLO, SANNICANDRO e COSTANTINO. — Al Ministro della giustizia.— Per sapere – premesso che:
   secondo gli ultimi dati del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, al 31 dicembre 2012 (ultimo dato disponibile), negli istituti di pena italiani sono presenti 40 detenute madri e 41 bambini di età inferiore a tre anni;
   il Parlamento, in considerazione del delicato rapporto tra detenute madri e figli minori e al fine di limitare la presenza nelle carceri di bambini in tenera età, è intervenuto sulla questione approvando la legge 21 aprile 2011, n. 62;
   tale legge, come disposto nella disciplina transitoria, con riferimento alle previsioni relative alle misure cautelari produrrà i propri effetti solo dopo l'attuazione del piano straordinario penitenziario e, in ogni caso, a decorrere dal 1o gennaio 2014, scadenza ormai prossima;
   gli istituti a custodia attenuata per madri (i.c.a.m.), previsti all'articolo 3 della legge n. 62 del 2011, non sono stati ancora regolamentati;
   nonostante in alcune realtà, ad esempio in Toscana, si sia proceduto alla firma di protocolli d'intesa per la creazione di sezioni a custodia attenuata per detenute madri, gli istituti a custodia attenuata per madri risultano avviati soltanto in forma sperimentale e in una sola città, Milano. Trattasi, in particolare, di un modello realizzato in una sede esterna agli istituti penitenziari, dotata di sistemi di sicurezza non riconoscibili dai bambini;
   conseguentemente, i tribunali si trovano spesso nella condizione di non poter accordare un'alternativa alla custodia cautelare in carcere per le detenute madri con figli piccoli in ragione del fatto che la funzione degli istituti a custodia attenuata per madri non è ancora regolamentata da alcuna fonte di rango normativo;
   la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11714 del 2012, ha ritenuto che la previsione di favore prevista all'articolo 275, comma 4, del codice di procedura penale possa prevalere sulla previsione di sfavore del comma 3 e relativa ai casi nei quali può essere disposta la custodia cautelare in carcere;
   tale previsione di favore viene spesso disattesa per la mancanza delle strutture «alternative»;
   la Corte di cassazione nella sentenza citata ha sottolineato che «sarebbe davvero paradossale ed in contrasto con più parametri di costituzionalità, far dipendere l'applicazione di un regime carcerario di indubbio favore dalla semplice esistenza e disponibilità di «posti» presso una struttura sperimentale dell'amministrazione penitenziaria»;
   all'emanazione del decreto legislativo, cui il Governo avrebbe dovuto procedere entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge n. 62 del 2011, per determinare le caratteristiche delle case famiglia protette previste dall'articolo 284 del codice di procedura penale, nonché dagli articoli 47-ter e 47-quinquies della legge 26 luglio 1975, n. 354, si è provveduto solo il 26 luglio 2012;
   a parere degli interroganti, già da tempo si sarebbe dovuto intervenire per la completa attuazione del piano straordinario penitenziario, prevedendo un'apposita regolamentazione degli istituti a custodia attenuata per madri, con particolare riguardo agli aspetti igienico-sanitari e alla sorveglianza, come pure per la stipula delle convenzioni con gli enti locali per l'individuazione delle strutture idonee ad essere utilizzate come case famiglia protette, ai sensi del comma 2 dell'articolo 3 della medesima legge n. 62 del 2011;
   forte è la preoccupazione che alla data del 1o gennaio 2014 poco possa cambiare rispetto all'applicabilità delle nuove norme sulle detenute madri, considerato che, nonostante lo stanziamento economico disposto in relazione alla costruzione degli istituti a custodia attenuata per madri, nulla è stato fatto e, rispetto alle case famiglia protette, l'onere viene accollato agli enti locali, senza previsione di alcuno stanziamento ad hoc –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire con urgenza per dare attuazione a quanto previsto dalla legge n. 62 del 2011 sulle detenute madri, tanto più che è fissata alla data del 1o gennaio 2014 la decorrenza del termine per la sua applicazione. (3-00124)


   VERINI, AMODDIO, BAZOLI, BIFFONI, CAMPANA, ERMINI, GIULIANI, GRECO, GULLO, MAGORNO, MARRONI, MARZANO, MATTIELLO, MORANI, MORETTI, PICIERNO, ROSSOMANDO, SCALFAROTTO, TARTAGLIONE, VAZIO, MARTELLA, POLLASTRINI, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 13 settembre 2013, in base alle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 155 del 2012, concernente la nuova organizzazione della giustizia, verranno soppressi 31 tribunali ordinari e 220 sezioni distaccate di tribunale;
   si segnalano da più parti difficoltà negli accorpamenti, nei trasferimenti e nelle soppressioni, poiché spesso mancano gli spazi fisici, la logistica è insufficiente, l'orografia territoriale è complessa e gli organici sono largamente sottodimensionati;
   da più parti, a partire dagli operatori della giustizia, viene chiesto un monitoraggio attento di ogni situazione per evitare che la riforma sia applicata parzialmente e in modo non coerente con le sue finalità;
   è giusto applicare con serietà la riforma, perché, in caso contrario, sarebbe il sistema Paese a perdere di credibilità, perché rappresenta un tassello di una modernizzazione indifferibile del sistema giustizia, essendo pressante la richiesta di una giustizia efficiente, rapida e giusta che contribuisca in maniera determinante alla crescita civile ed economica dell'Italia –:
   se il Governo, al fine di rendere effettiva ed efficace la riforma, intenda intervenire con un'azione di monitoraggio sul campo, prevedendo, in corso d'opera, misure correttive della riforma stessa e investimenti nella logistica, nell'informatizzazione e negli spazi fisici degli uffici giudiziari del Paese, tenendo in considerazione anche le proposte del gruppo del Partito democratico presentate presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati, tese a migliorare i contenuti della legge delega, a razionalizzare e semplificare, evitando congestionamenti, rallentamenti e ulteriori criticità. (3-00125)


   COSTA e BALDELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i problemi di sovraffollamento carcerario sono noti e sono in fase avanzata in Commissione giustizia della Camera dei deputati i lavori sul disegno di legge in materia di detenzione domiciliare e messa alla prova;
   il Ministro interrogato ha, inoltre, in più circostanze annunciato come imminente un'iniziativa del Governo sul tema;
   è innegabile che una delle ragioni che concorrono a generare il sovraffollamento carcerario è costituita dal numero altissimo di detenuti in custodia cautelare: su 65.891 detenuti, ben 24.691 sono in custodia cautelare e, di essi, circa la metà è in attesa del giudizio di primo grado;
   tale fenomeno ad avviso degli interroganti è in evidente contrasto con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza;
   in particolare, è molto consistente il fenomeno delle cosiddette porte girevoli, per cui la permanenza nelle carceri di una gran parte dei detenuti in attesa di giudizio è limitata a pochissimi giorni;
   è fondamentale porre in essere provvedimenti che affrontino l'emergenza carceraria, anche nella prospettiva della custodia cautelare e non soltanto in quella dei detenuti condannati in via definitiva;
   la Commissione giustizia della Camera dei deputati sta esaminando proposte di legge sulla materia –:
   se e come il Governo intenda intervenire sulla materia dell'emergenza carceraria anche attraverso una propria iniziativa legislativa sul tema dell'utilizzo della custodia cautelare, anche in riferimento al fenomeno delle cosiddette porte girevoli.
(3-00126)


   MOLTENI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'8 gennaio 2013 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato nuovamente l'Italia per trattamento inumano e degradante di sette detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza, concedendo al nostro Paese un anno di tempo per trovare una soluzione al problema del sovraffollamento carcerario;
   tale condanna segue una precedente del 2009, sempre da parte dei giudici di Strasburgo, a seguito della quale nel gennaio 2010 il Consiglio dei ministri aveva varato il cosiddetto piano carceri, che prevedeva la costruzione di nuovi penitenziari e l'ampliamento di quelli già esistenti, per un totale di 21.709 nuovi posti, e l'assunzione di duemila agenti di polizia penitenziaria;
   dopo l'ultima sentenza di condanna di gennaio 2013, recentemente, invece, il Ministro interrogato ha preannunciato che per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario del nostro Paese non bastano nuove carceri, ma occorre ripensare il sistema delle pene, valutando se non ci siano spazi ulteriori per quelle alternative;
   il problema del sovraffollamento delle carceri italiane è stato in passato risolto con amnistie e indulti, ma tali strumenti si sono rivelati del tutto inidonei a risolvere il problema, tanto che gli istituti penitenziari sono tornati in breve tempo nella situazione precedente, salvo nel contempo aver causato rilevanti problemi alla sicurezza dei cittadini e alla loro incolumità pubblica;
   dal 1942 a oggi, sono stati varati tra indulti e amnistie 25 provvedimenti (circa uno ogni 2,8 anni) e l'ultimo in ordine di tempo, che risale al 2006 (legge n. 241 del 2006), ha avuto effetti devastanti: dopo solo sei mesi dal provvedimento di clemenza il tasso di crescita dei delitti è aumentato dal 2,5 per cento al 14,4 per cento;
   la legge n. 199 del 2010, benché prevedesse la possibilità di scontare in stato di detenzione domiciliare l'ultimo anno di pena residua, con esclusione di soggetti che scontavano una pena per i reati gravi, quali quelli previsti dall'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, e persone particolarmente pericolose, aveva una durata transitoria, con validità «fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario», e faceva riferimento anche ad un adeguamento dell'organico del Corpo di polizia penitenziaria occorrente per fronteggiare la situazione emergenziale in atto;
   parimenti inefficaci, e comunque sempre nel solco della minor tutela per il cittadino, i provvedimenti, in particolare del precedente Governo, che hanno previsto, nei casi di arresto in flagranza, per diversi reati, molti di grave allarme sociale, che l'imputato prima di essere giudicato, o condotto dinanzi al giudice per la convalida dell'arresto o per la celebrazione del processo per direttissima, è prioritariamente assegnato agli arresti in un luogo diverso dal carcere (propria abitazione ed altri);
   il testo unificato dei progetti di legge atto Camera 331 (Ferranti) e atto Camera 927 (Costa), recante «Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie a disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili», attualmente in discussione in Commissione giustizia della Camera dei deputati – che segue a solo un anno di distanza quello voluto dall'allora Ministro della giustizia Paola Severino (decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2012), recante «Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri», che ha previsto l'innalzamento da dodici a diciotto mesi della pena residua per poter accedere alla pena detentiva domiciliare, introdotta, come detto, dalla legge n. 199 del 2010 –, prevede e prosegue «l'obbiettivo» di «liberare» anticipatamente il maggior numero di detenuti che scontano pene per reati (molti di grave allarme sociale) fino a sei anni di reclusione – a seguito dell'emendamento del Governo – ed applica un «perdonismo», privo di tutela effettiva della persona offesa del reato, per chi commette reati punti fino a quattro anni di reclusione;
   di queste misure, in particolare degli arresti domiciliari, potranno beneficiare gli autori di gravi reati di allarme sociale, che, anche di recente, destano forte preoccupazione nell'opinione pubblica, quali, a titolo esemplificativo, gli atti persecutori (stalking), alcune ipotesi di reato di maltrattamento in famiglia o verso i fanciulli, prostituzione minorile, violenza privata, furto ed altri. Al contrario, tale provvedimento non prevede alcun investimento (né in dotazione di mezzi, né per l'incremento delle piante organiche) a favore delle forze dell'ordine, cui sarà demandato il compito di effettuare i controlli sull'effettività delle detenzioni domiciliari;
   per stessa ammissione del Ministro interrogato, beneficeranno di tale provvedimento circa 3/4 mila detenuti attualmente presenti nelle carceri italiane, una cifra irrisoria se si conta che l'esubero nei nostri istituti penitenziari riguarda circa 20 mila detenuti;
   nei giorni scorsi sempre il Ministro interrogato aveva annunciato di voler proporre al Consiglio dei ministri un ulteriore decreto-legge che dovrebbe prevedere, per i reati punibili fino a quattro anni, anziché la pena detentiva in carcere, lo svolgimento di lavori socialmente utili, e che anche in questo caso riguarderebbe circa 3 mila detenuti, e ciò in «linea» con il testo unificato dei progetti di legge atto Camera 331 (Ferranti) e atto Camera 927 (Costa) sopra citati;
   inoltre la proposta di legge atto Camera 548 dell'onorevole Gozi prevede la concessione dell'amnistia e dell'indulto per una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni di reclusione, oltre alla concessione per altre ipotesi dell'indulto;
   secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero della giustizia, la capienza regolamentare dei 206 istituti penitenziari presenti nel nostro Paese è di 47.045 posti e se dal totale dei detenuti presenti nelle nostre carceri (65.917) vengono sottratti quelli stranieri, (23.438), si ottiene un numero di detenuti (42.479), ben al di sotto della capienza regolamentare (47.045) –:
   se il Governo intenda affrontare il problema del sovraffollamento del sistema carcerario mediante provvedimenti d'urgenza, come quelli citati, o di clemenza, quali l'amnistia o l'indulto, o altre misure di fatto similari, anziché approntare un piano articolato di costruzione e ampliamento dei penitenziari e la negoziazione di accordi con i Paesi di origine dei detenuti stranieri per far scontare loro la pena in patria. (3-00127)

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da notizie di stampa che secondo una rilevazione effettuata dal ministero della giustizia, su dati del 2010, è stato evidenziato un numero risibile di condanne per il reato di «immigrazione clandestina», previsto dal «pacchetto sicurezza»;
   tale analisi è stata condotta su dati relativi al 79 per cento dei fascicoli iscritti nel 2010 presso i tribunali italiani e da tale studio è emerso, pur nella sua incompletezza, che, ad un anno e mezzo dall'entrata in vigore della legge n. 94 del 2009, sono solo 12 le sentenze di condanna, mentre 18 sono le sentenze concluse con un patteggiamento;
   il reato di ingresso e soggiorno nel territorio dello Stato, introdotto dalla legge n. 94 del 2009 con l'articolo 10-bis del decreto legislativo n. 286 1998, è di competenza del giudice di pace;
   tali dati non si conciliano con quelli invece del solo mandamento dell'ufficio del giudice di pace di Bologna, dove nell'anno 2009 (dal 4 agosto) risultavano iscritti 428 procedimenti per il reato di immigrazione illegale ex articolo 10-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, introdotto appunto dalla legge n. 94 del 2009, per un totale al 2013 di 1.508 procedimenti e, per il reato di permanenza illegale ex articolo 14, comma 5-ter o quater del decreto legislativo n. 286 del 1998, in totale 781 procedimenti;
   la rilevazione fatta dal Ministero della giustizia non corrisponde assolutamente a quanto riportato dal rappresentante del Governo pro tempore nella seduta della I Commissione del 5 luglio 2011, ove si riferiva che le denunce per il reato di ingresso e soggiorno clandestino da agosto 2009 ad aprile 2011 «sono state oltre 43 mila. Nello stesso periodo risultano denunciati per il reato di violazione e reiterata violazione dell'ordine di allontanamento del questore oltre 56 mila stranieri; quanto alle espulsioni, queste sono state, dal 2008 al 2010, circa 60 mila» –:
   in quali mandamenti sia stata effettuata l'analisi riportata dalla stampa, quanti siano i procedimenti iscritti dal 2009 per i reati di cui altri articoli 10-bis e 14, comma ter e quater, del decreto legislativo n. 286 del 1998 nei diversi mandamenti e a livello nazionale, quante siano state le condanne sempre per i reati di cui sopra distinte per mandamento a livello nazionale, quante siano state le espulsioni effettuate e se il Governo intenda istituire una Commissione onde verificare l'effettiva e uniforme applicazione delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 286 del 1998. (4-00905)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato nella sua adunanza dell'11 giugno 2013 relativamente al cartello costituitosi sul trasporto marittimo nelle rotte da e per la Sardegna ha disposto quanto segue:
    a) relativamente alla gravità dell'infrazione, nel richiamare le considerazioni già svolte, si rileva che l'infrazione in esame, in quanto consistita nell'attuazione di una pratica concordata finalizzata ad aumenti del prezzo dei servizi di trasporto via traghetto da e per la Sardegna nel 2011, si connota come una violazione molto grave ai sensi della disciplina antitrust;
    b) l'intesa ha coinvolto le principali rotte di collegamento e in particolare la Civitavecchia-Olbia, la Genova-Olbia e la Genova-Porto Torres ed ha prodotto rilevanti incrementi dei prezzi, che si sono tradotti in un pregiudizio sia alla collettività dei consumatori sia, in particolare, per quanto riguarda la Sardegna, in una riduzione del flusso turistico e in un aumento del costo di trasporto delle merci;
    c) l'intesa è stata posta in essere da imprese che complessivamente detengono quote di mercato molto elevate: tra il 35-40 per cento della rotta Civitavecchia-Olbia e l'85-90 per cento della rotta Genova-Olbia nella stagione estiva 2011;
    d) tutto ciò considerato, alla luce degli Orientamenti della Commissione per il calcolo delle ammende, la percentuale dell'importo base sanzionatorio va collocata su un livello significativo della forcella da questi prevista, commisurandola al 12 per cento;
    e) per calcolare l'importo base della sanzione si è preso a riferimento il valore delle vendite dei servizi cui l'infrazione si riferisce, ossia il fatturato realizzato dalle parti sulle rotte Civitavecchia-Olbia, la Genova-Olbia e la Genova-Porto Torres, nell'ultimo anno intero in cui è avvenuta l'infrazione, e cioè il 2011. Nel caso di specie la società Marinvest, in quanto holding di partecipazioni, non risulta avere un fatturato specifico sui mercati interessati. Parimenti, la società SNAV ha affermato di non aver realizzato nel 2011 alcun fatturato per servizi di trasporto marittimo passeggeri sulla rotta Civitavecchia-Olbia, in quanto a maggio dello stesso anno ha ceduto tale attività a GNV;
    f) con riguardo alla durata dell'infrazione, per Moby, GNV e Marinvest la partecipazione all'intesa deve essere imputata per il periodo compreso tra settembre 2010 e lo stesso mese del 2011. Quanto a SNAV occorre osservare che la società ha preso parte all'intesa da settembre 2010 fino a maggio 2011, avendo in tale data ceduto il relativo ramo d'azienda; il periodo di partecipazione all'infrazione è superiore a 6 mesi e, pertanto, ai fini del calcolo della sanzione, esso è considerato equivalente ad un intero anno;
    g) in considerazione della gravità e della durata dell'infrazione, per Moby e GNV gli importi base sanzionatori risultano rispettivamente pari a 7.803.300 euro e 3.386.850 euro;
    h) al fine di garantire una parità di trattamento di SNAV e Marinvest rispetto a Moby e GNV, per il calcolo delle sanzioni delle prime due si prenderà a riferimento l'incidenza degli importi base calcolati per Moby e GNV sui fatturati complessivi delle stesse società. Considerato che tali importi corrispondono rispettivamente al 2,7 per cento e all'1 per cento circa dei fatturati totali 2011 di Moby e GNV, le sanzioni di SNAV e Marinvest vengono proporzionate in un'ottica di favore alla minore di tali due percentuali;
    i) con riguardo a Moby e GNV si osserva che non ricorrono né circostanze aggravanti né attenuanti. Con riferimento a SNAV, si deve invece valutare che la sua partecipazione all'intesa è stata limitata ad una sola rotta, Civitavecchia-Olbia, onde l'importo base della sanzione viene riproporzionato in ragione del peso di tale rotta sul complesso dei mercati interessati, e quindi ridotto del 60 per cento;
    l) infine, in ragione del fatto che dai dati di bilancio disponibili risultano perdite che interessano tutte le società, si ritiene di applicare una riduzione all'importo base della sanzione nella misura del 30 per cento;

   l'Autorità garante ha così disposto:
    a) che le società Moby spa, SNAV spa, Grandi Navi Veloci spa e Marinvest srl hanno posto in essere un'intesa finalizzata all'aumento dei prezzi per i servizi di trasporto passeggeri nella stagione estiva 2011 sulle rotte Civitavecchia-Olbia, Genova-Olbia e Genova-Porto Torres;
    b) che le Moby spa, SNAV spa, Grandi Navi Veloci spa e Marinvest srl si astengano in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell'infrazione accertata;
    c) che, in ragione della gravità e durata delle infrazioni di cui al punto a) alle società Moby spa, SNAV spa, Grandi Navi Veloci spa e Marinvest srl vengano applicate sanzioni amministrative pecuniarie rispettivamente pari a:
     per Moby 5.462.310 euro;
     per GNV 2.370.795 euro;
     per SNAV 231.765 euro;
     per Marinvest 42.575 euro;

   a tale decisione deve immediatamente seguire una puntuale corrispondenza con l'applicazione delle tariffe antecedenti al 2010 e una politica tariffaria in grado di ripristinare la legalità nel trasporto marittimo da e per la Sardegna, passeggeri e merci;
   la società Cin Tirrenia ha aumentato oltremodo tutte le proprie tariffe sia per quanto riguarda i passeggeri che le merci con incrementi che raggiungono anche il 100 per cento nell'ultimo anno;
   tali aumenti costituiscono secondo gli interpellanti un reiterato tentativo di speculazione ai danni della Sardegna e dei sardi considerato che negli ultimi anni sono stati persi milioni di passeggeri a favore di altre destinazioni proprio per il grave incremento del costo del trasporto marittimo –:
   se non ritenga di dover individuare e adottare le procedure amministrative e normative per introdurre efficacemente anche sulle rotte marittime l'onere del servizio pubblico;
   se non ritenga di dover individuare e porre in essere le più efficaci e urgenti azioni perché sin dall'imminente stagione estiva siano ripristinati i livelli tariffari antecedenti al 2010 a partire dalla decisione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
   se non ritenga di dover individuare e attuare percorsi amministrativi o normativi per consentire la restituzione ai passeggeri che hanno dovuto subire gli aumenti illegittimi e arbitrari dell'ammontare della sanzione secondo un riparto proquota degli oltre 8 milioni di euro che lo Stato dovrebbe riscuotere per la violazione delle norme sulla concorrenza;
   se non ritenga di dover individuare ed attivare, con il coinvolgimento delle Commissioni parlamentari competenti, un'immediata revisione della convenzione dello Stato con la CIN-Tirrenia considerato che nonostante il contributo annuale di 72 milioni di euro la compagnia di navigazione anziché calmierare il mercato è protesa ad un costante aumento ingiustificato del costo del trasporto marittimo;
   se non ritenga di dover intervenire presso la Cin Tirrenia per chiedere la revoca di tutti gli aumenti intervenuti negli ultimi sei mesi;
   se non ritenga di dover individuare e mettere in atto un'azione di costante monitoraggio del livello tariffario applicato dalle compagnie di navigazione da e per la Sardegna.
(2-00099) «Brunetta, Pili, Vella».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il 18 luglio 2012 il Ministero dei trasporti e delle infrastrutture ha stipulato con la Compagnia italiana di navigazione (CIN) apposita Convenzione con termine il 18 luglio 2020, che disciplina obblighi e diritti derivanti dall'esercizio dei seguenti servizi di collegamento marittimo (passeggeri e merci) in regime di servizio pubblico da e per la Sardegna;
   prevalente trasporto passeggeri:
    Genova - Porto Torres e v.v. (stagionale invernale);
    Genova - Olbia - Arbatax e v.v.;
    Napoli - Cagliari e v.v.
    Cagliari - Palermo e v.v.
    Cagliari - Trapani e v.v.
    Civitavecchia - Cagliari - Arbatax e v.v. Civitavecchia - Olbia e v.v. (stagione invernale);
   Trasporto merci:
    Napoli - Cagliari e v.v.
    Livorno o Genova - Cagliari e v.v.,
   è riconosciuto a CIN un corrispettivo di euro 72.685.642,00 per ciascuno degli 8 anni di durata della convenzione affinché sia garantito il rispetto degli obblighi di servizio pubblico, imposti in condizione di complessivo equilibrio economico-finanziario della gestione, senza cioè che da ciò possano determinarsi sovra-compensazioni, in linea con quanto previsto dalla normativa comunitaria in materia di compensazione di oneri di servizio pubblico;
   la detta Convenzione stabilisce gli assetti cui deve uniformarsi la gestione del servizio stesso da parte della Società relativamente alla qualità, al limite massimo delle tariffe da applicare agli utenti, alle modalità stesse della gestione contabile e finanziaria che devono salvaguardare l'equilibrio economico-finanziario di cui alla delibera CIPE 111/2007;
   eventuali modifiche dell'assetto dei servizi devono essere individuate d'intesa tra CIN e i Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia. Ciascuna parte ha facoltà di proporre modifiche degli assetti convenzionali nei tempi e modi previsti dalla Convenzione;
   rispetto alla gestione contabile e finanziaria, è previsto che CIN adotti un sistema di contabilità analitica da cui emergano con chiarezza i centri di costo e di ricavo relativamente a ciascuno dei collegamenti in regime di servizio pubblico. Le risultanze della contabilità analitica così definite, vengono trasmesse, entro 60 giorni dall'approvazione del bilancio di esercizio, ai Ministeri dei trasporti e dell'economia ai fini del controllo circa la correttezza dell'imputazioni relative ai servizi di collegamento in regime di continuità territoriale;
   rispetto alla prevista prerogativa di aggiornamento delle tariffe da parte di CIN, è stabilità una specifica procedura che consente ai Ministeri vigilanti (trasporti ed economia) di verificare la congruità degli stessi rispetto ai vincoli di cui alla Convenzione medesima e alle motivazioni addotte per giustificare gli aggiornamento stessi;
   la Convenzione (articolo 6) prevede che CIN non applichi tariffe superiori a quelle previste nell'Allegato A, aggiornabili secondo la procedura che segue, che si riporta integralmente perché fondamentale nel chiarire la fattibilità o meno di interventi risolutori immediati, rispetto alla questione «caro traghetti»:
    articolo 6, comma 2. «Perentoriamente entro il ventesimo giorno precedente l'inizio di ciascun bimestre, CIN trasmette ai Ministeri vigilanti la rideterminazione delle tariffe massime di cui all'Allegato A.
  Perentoriamente entro i 15 giorni successivi alla detta comunicazione, i Ministeri vigilanti possono richiedere a CIN la sospensione dell'applicazione dell'aggiornamento delle tariffe, individuando contestualmente misure compensative, in termini di revisione degli assetti nautici, di differente articolazione tariffaria o di rideterminazione in aumento o in diminuzione degli oneri di servizio pubblico che fanno salvo l'equilibrio economico-finanziario di cui ai criteri Direttiva CIPE. Resta inteso che non potranno comunque essere assentiti aumenti degli oneri del servizio pubblico in misura superiore alle risorse stanziate in bilancio;
   in caso di mancata richiesta di sospensione o nel caso di richiesta senza l'individuazione di adeguate misure compensative, le tariffe massime sono aggiornate senza ulteriori formalità;
   CIN dovrebbe dare pubblicità delle tariffe massime applicabili in un'apposita sezione del proprio sito internet;
   nel caso di riduzione delle tariffe massime a seguito di applicazione (ai sensi e nei modi previsti dal citato articolo 6 della Convenzione) della sospensione, è fatto obbligo alla società di adeguare i propri listini già con decorrenza dal primo giorno di riferimento in modo che tutti i prezzi applicati rientrino nei limiti aggiornati;
   ai sensi dell'articolo 8 le parti, con cadenza triennale, possono verificate le condizioni di equilibrio economico-finanziario della Convenzione, ridurre il perimetro delle attività sovvenzionate, e/o rivedere gli assetti nautici e/o modificare i vincoli tariffari previsti;
   ai sensi dell'articolo 9 è però prevista una clausola di salvaguardia che stabilisce che in caso di scostamenti, in eccesso o difetto, dei ricavi e dei costi (al netto di quelli per carburante) da attività superiori al 3 per cento rispetto a quelli previsti nell'Allegato B alla Convenzione, le parti possono proporre istanza per la verifica delle condizioni di equilibrio economico-finanziario e addivenire a nuovi accordi che le ripristinmo ai sensi della Delibera CIPE 111/2007;
   affinché i Ministeri dei trasporti e dell'economia siano messi nella condizione di attivare la detta istanza è prevista, per gli stessi, la possibilità di richiedere, con cadenza semestrale, i relativi dati contabili;
   la legge di conversione del decreto-legge «spending review» ha introdotto la competenza per la Regione Sardegna nel procedimento di modifica delle convenzioni di servizio, al quale partecipa con un parere obbligatorio che si aggiunge alla possibilità di formulare proposte di modifica ai sensi delle norme attuative dello Statuto sardo;
   il trasporto passeggeri come quello merci da e per la Sardegna ha visto un notevole incremento delle tariffe anche e oltre il 50 per cento con ripercussioni negative, evidenti e documentabili, sul generale diritto di accesso al servizio di trasporto marittimo da parte dei Sardi. Nei porti di Olbia, Golfo Aranci e Porto Torres, si è realizzato nel 2012, rispetto al 2010, un calo di 2 milioni di passeggeri. Con riferimento ai flussi turistici. La stagione turistica 2013, dopo un 2012 fallimentare, registra un decisivo calo di prenotazioni e presenze;
   sull'import/export delle merci da e per la Sardegna, i rincari relativi alle tariffe per il trasporto delle merci hanno determinato disagi e difficoltà agli operatori economici e più in generale ai consumatori, considerati il rialzo dei prezzi dei beni importati in Sardegna;
   dal 1o dicembre 2012 (nella vigenza quindi della nuova Convenzione) si sono susseguiti ben tre aumenti. L'ultimo quello del 1o giugno;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato nella sua adunanza dell'11 giugno 2013 ha sanzionato Moby, GNV, SNAV e Marinvest per aver concordato e attuato l'aumento delle tariffe per il trasporto marittimo da e per la Sardegna nel 2011;
   come detto nel corso dell'audizione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Lupi, presso la Commissione trasporti al Senato il giorno 30 maggio 2013, il costo generalizzato del trasporto misura l'accessibilità ai corrispondenti sistemi di servizio. «Rappresenta cioè una misura dell'equità o dell'iniquità della dotazione di beni e servizi da cui la Politica fa discendere la necessità o meno di raggiungere gradi più elevati di coesione economica e sociale»;
   i Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze preposti alla vigilanza e al controllo affinché il servizio di collegamento marittimo sia svolto nel rispetto dei criteri di cui alla Convenzione, sulla base di quanto previsto dalla Convenzione, dispongono di tutti gli strumenti per valutare la congruità procedurale e sostanziale degli incrementi delle tariffe dei collegamenti, in regime di continuità, da e per la Sardegna;
   proprio sulla falsariga della Convenzione (articolo 6, comma 2) CIN, deve trasmettere, nei termini previsti dalla Convenzione medesima, ai Ministeri dei trasporti e dell'economia, la proposta di aggiornamento delle tariffe;
   i Ministri di cui sopra, dovrebbero, nel rispetto di quanto previsto dalla Convenzione, articolo 6, comma 3, richiedere, ricorrendone le condizioni, la sospensione dell'aggiornamento delle tariffe;
   a seguito di quest'ultima richiesta, CIN dovrebbe, ricorrendone le condizioni, adeguare, automaticamente, i listini rispetto alla rideterminazione delle tariffe seguita a specifica richiesta dei Ministeri –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di eventuali scostamenti in eccesso o difetto, dei ricavi e dei costi (al netto di quelli per carburante) da attività superiori al 3 per cento rispetto a quelli previsti nell'Allegato B alla convenzione;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del fatto che CIN abbia già inviato, nei termini stabiliti dalla Convenzione, le relative risultanze contabili;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di eventuali incongruità delle suddette risultanze contabili, rispetto a quanto previsto nell'allegato alla Delibera CIPE 111/2007, puntualmente riportato in Convenzione;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del fatto che CIN nel rispetto dei termini di cui all'articolo 6, comma 2 della convenzione abbia, a partire dalla decorrenza della convenzione e sino a oggi, trasmesso una o più proposte di aggiornamento delle tariffe massime di cui all'Allegato A;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del fatto che CIN abbia ottemperato a pubblicare le tariffe massime applicabili in apposita sezione del proprio sito, e se abbia provveduto a integrarle come da aggiornamenti, eventualmente, autorizzati, ovvero se nel caso di sospensiva esercitata da parte dei Ministeri vigilanti, abbia provveduto ali aggiornamento automatico dei relativi listini;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del fatto che la regione autonoma della Sardegna abbia, nel recente passato e alla luce dei poteri di intervento richiamati in premessa, richiesto la modifica della Convenzione di servizio di cui sopra, formulando conseguenti proposte;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover lavorare, anche con il coinvolgimento delle competenti Commissioni parlamentari, al fine di addivenire alla rivisitazione urgente della Convenzione che disciplina obblighi e diritti derivanti dall'esercizio dei collegamenti marittimi in regime di continuità da e per la Sardegna considerati i costanti, continui e ingiustificati aumenti del costo del trasporto marittimo e le pesanti ripercussioni che gli stessi hanno determinato sui sardi e sulle diverse attività economiche (turismo in particolare);
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover intervenire nei confronti di CIN per fare in modo che siano revocati tutti gli aumenti intervenuti negli ultimi sei mesi;
   se i Ministri dei trasporti e dell'economia non ritengano di dover attivare procedure amministrative e nonché per definire un piano di rimborso e risarcimento danni a passeggeri e operatori economici in riferimento agli aumenti susseguitesi da dicembre 2012 a oggi e a quelli precedenti oggetto di recente sanzione da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
(2-00103) «Mura, Meta, Francesco Sanna, Cani, Marrocu, Marco Meloni, Giovanna Sanna, Scanu, Pes, Di Gioia, Bindi, Fossati, Malpezzi, Richetti, Carra, Pierdomenico Martino, Realacci, Stumpo, Zoggia, Marzano, Bratti, D'Arienzo, De Menech, Giachetti, Gutgeld, Sereni, Sanga, Giuditta Pini, Porta, Raciti, Bressa, Zardini, Morassut, Pagani, Michele Bordo, Culotta, Brandolin, Paola Bragantini, Gasbarra, Mauri, Giuliani, Coccia, Marroni, Capozzolo, Bazoli, Vaccaro, Petitti, Miccoli, Monaco, Salvatore Piccolo, Giorgio Piccolo, Mognato, Boccia».

Interrogazioni a risposta scritta:


   CICU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il costante aumento delle tariffe dei collegamenti marittimi da e per la Sardegna, che si manifesta in maniera puntuale con l'approssimarsi della stagione estiva è diventato una vera emergenza per l'economia isolana ed particolare per il settore turistico, che rappresenta una delle risorse più importanti del territorio;
   le associazioni degli autotrasportatori segnalano infatti che a partire dal prossimo mese di giugno, saranno previsti ulteriori rincari di circa il 10 per cento per i servizi di traghettamento della compagnia di navigazione Tirrenia, le cui ripercussioni in un periodo particolarmente difficile dell'economia italiana, rischiano di interrompere ogni tentativo di sviluppo e di ripresa economica del territorio suindicato;
   gli ulteriori adeguamenti delle tariffe merci, secondo quanto sostenuto dall'associazione trasporto unito, alle condizioni concordate nell'ambito della convenzione di esercizio con gli uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previsti per il trasporto marittimo di un semirimorchio tra Cagliari e Livorno da 315 euro nell'anno 2011 ai 477 euro da prossimo giugno e da 26,88 di marzo 2013 a 29,40 euro dal prossimo giugno, tra Cagliari e Civitavecchia, ove fosse confermato appaiono ingiustificabili e di ostacolo per la crescita dell'economia commerciale e turistica della Sardegna;
   l'incidenza dei suindicati aumenti sul costo finale del trasporto ed in termini percentuali del valore delle merci, a giudizio della medesima associazione, risulta essere spropositata e rischia di annullare in modo definitivo il principio fondamentale della continuità territoriale quale fattore di riequilibrio e di condizioni permanenti di svantaggio derivanti dall'insularità e di garanzia del diritto alla mobilità, previsto dall'articolo 16 della Costituzione per i territori svantaggiati;
   l'interrogante evidenzia, ulteriori segnali allarmanti con riferimento ai profili di criticità suesposti, provenienti anche dagli operatori turistici della Sardegna, i quali rilevano come gli inarrestabili ed ingiustificati rincari delle tariffe dei traghetti in un attuale contesto di depressione economica, determineranno effetti gravissimi per le attività turistiche e ricreative collegate al trasporto passeggeri, anche a causa di una strategia di cartello avviata con l'iniziativa di privatizzazione della Tirrenia, che trova tra l'altro scarso riscontro nell'economia di mercato;
   le numerose iniziative parlamentari presentate la scorsa legislatura, nell'ambito delle funzioni dell'attività di indirizzo e di sindacato ispettivo, a giudizio dell'interrogante, non sono state pertanto sufficienti ad invertire un trend altamente negativo e penalizzante dovuto al continuo aumento delle tariffe dei collegamenti marittimi da e per la Sardegna sia per il trasporto delle merci che delle persone, come confermato anche dal significativo decremento sia dell'attività commerciale, che delle prenotazioni turistiche osservate lo scorso anno nell'isola –:
   quali orientamenti intenda esprimere, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se intenda confermare il piano di adeguamento delle tariffe merci indicate dalla convenzione di esercizio tra la compagnia Tirrenia ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, come esposto in premessa, decorrerà dal prossimo giugno;
   in caso affermativo se sia stato valutato il rischio che l'aumento dei collegamenti marittimi determinerà conseguenze gravissime per l'economia sarda, già attraversata da una grave crisi industriale, da una profonda crisi dell'agricoltura e della pastorizia e da un pesante indebitamento delle sue imprese con le banche e con il fisco;
   quali iniziative, nell'ambito delle sue competenze, intenda infine intraprendere al fine di contenere l'effetto persistente dell'aumento delle tariffe per i collegamenti marittimi nei riguardi della compagnia Tirrenia, da e per la Sardegna i cui effetti come esposto in premessa pongono in maniera concreta l'economia isolana in una condizione emergenziale. (4-00899)


   DIENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con la delibera del CIPE n. 83 del 29 marzo 2006 veniva approvato il piano finanziario per la realizzazione della cosiddetta «variante ferroviaria di Cannitello» quale opera destinata al miglioramento e all'implementazione del sistema della rete ferroviaria regionale, pur mantenendo le caratteristiche tecniche originarie;
   con delibera n. 77/2009, il CIPE riteneva di dover ricondurre la citata opera tra quelle propedeutiche alla realizzazione del manufatto stabile di collegamento con la Sicilia, assegnando al contraente generale Eurolink il compito della realizzazione della «variante di Cannitello»;
   in data 23 dicembre 2009, il contraente generale «EUROLINK», incaricato dalla società «Stretto di Messina spa», avviava i cantieri per la realizzazione della cosiddetta «variante ferroviaria di Cannitello»;
   nell'allegato 1 a tale deliberazione del Comitato, si legge che nell'ambito del progetto relativo a tale galleria ferroviaria artificiale, si sarebbe dovuto provvedere, tra le altre cose, al «completo ricoprimento della galleria artificiale in maniera da ottenere un completo mascheramento, estendendo ad un ambito più vasto di alcuni chilometri, ove possibile, la riconformazione e ricontestualizzazione morfologica». Nell'ambito della ricontestualizzazione morfologica e della riconformazione ambientale, è stata considerata la sistemazione a verde attrezzato dell'area risultante dal mascheramento della galleria artificiale e la ristrutturazione straordinaria del tratto di lungomare attiguo alla predetta galleria;
   con delibera n. 6 del 20 gennaio 2012, lo stesso Comitato per la programmazione economica provvedeva alla rideterminazione, in riduzione, del fondo infrastrutture, sottraendo circa 1,3 miliardi di euro al ponte sullo stretto e 337 milioni di euro alla «variante ferroviaria di Cannitello»;
   in ottemperanza al decreto-legge n. 179 del 2012, convertito dalla legge n. 221 del 2012, la mancata sottoscrizione del previsto «atto aggiuntivo», da sottoscriversi entro 60 giorni da parte della società «Stretto di Messina spa» e contraente generale, ha comportato la caducazione di tutti gli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché le convenzioni ed ogni altro rapporto contrattuale stipulato dalla società concessionaria;
   per effetto, l'infrastruttura stabile di collegamento tra la Sicilia ed il continente deve ritenersi cancellata da ogni programma infrastrutturale e, tuttavia, allo stato, l'opera definita «variante ferroviaria di Cannitello», pur entrata regolarmente in esercizio, non risulta completata nella parte delle prescrizioni imposte dalla menzionata delibera CIPE n. 83/2006, con l'effetto di ingenerare viva preoccupazione tra la popolazione locale;
   nonostante la stessa opera non risulti completata con le prescrizioni e le avvertenze imposte dal CIPE, in data 4 ottobre 2012, il comune di Villa San Giovanni pubblicava l'atto con il quale veniva data «pubblicità-notizia» che il contraente generale, «Eurolink», in data 21 maggio 2012, aveva provveduto alla ultimazione dei lavori afferenti la cosiddetta «variante ferroviaria di Cannitello»;
   lo stato dell'arte è rappresentato da un cantiere ormai rimosso da tempo da parte del contraente generale e da un'opera «nuda» nello stato di fatto ed in modo tale da costituire un manufatto esteticamente deteriore e paesagisticamente deturpante;
   la viva preoccupazione generata da tale situazione ha indotto le forze politiche e sociali più responsabili a denunciare pubblicamente tale anomalia ed a dichiarare di voler assumere iniziative anche plateali per rivendicare il diritto di quella comunità a veder sanati i danni inferti al loro territorio;
   a fronte di tale situazione e in un momento in cui monta tra i cittadini un sentimento ostile nei confronti della politica e delle istituzioni, occorre assumersi la responsabilità di parlare ai cittadini con il linguaggio della chiarezza ma, anche, di esercitare tutte le prerogative finalizzate a pretendere che le imprese e le società affidatarie e delegate alla realizzazione dei programmi e delle opere, portino a compimento gli impegni contrattualmente assunti –:
   quali iniziative abbia già assunto o intenda assumere il Ministro interrogato, allo scopo di garantire i cittadini di Villa San Giovanni e di fare in modo che la società Stretto di Messina ed al contraente generale «EUROLINK» ottemperi a tutte le prescrizioni introdotte dalla delibera CIPE n. 83/2006. (4-00900)


   D'ARIENZO, ZARDINI e ROTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la contingente crisi economica ha fatto registrare una generale riduzione del traffico veicolare sulle strade a pedaggio con conseguente spostamento dei flussi di traffico dalla rete autostradale a pagamento verso la viabilità nazionale a libera circolazione, e più significativamente su quella gestita da Anas spa;
   nel caso specifico, per l'appunto, il tratto stradale gestito dall'ANAS spa della statale 434 è sempre più utilizzato per bypassare il circuito A/22-A/14 Verona/Bologna/Ancona;
   la progressiva riduzione delle risorse finanziarie assegnate alla manutenzione stradale mette in crisi le molteplici attività gestionali correlate al mantenimento di standard minimi di efficienza e sicurezza della rete stradale statale;
   anche per questo, in particolare la statale 434 – Verona/Rovigo presenta un preoccupante e diffuso stato di usura della pavimentazione stradale, che è anche depauperamento del patrimonio stradale nazionale;
   sulla tratta in questione – in molti punti – è sempre più evidente la differenza tra lo stato d'uso e conservazione della corsia di marcia rispetto a quella di sorpasso. La prima pressoché percorsa da veicoli pesanti si presenta diffusamente degradata con molteplici situazioni di percorrenza al limite della transitabilità in sicurezza; la seconda, prevalentemente percorsa da traffico automobilistico o veicolare leggero, al più presenta condizioni di usura prevalentemente caratterizzate da forte consumazione dello strato superficiale (pavimentazione liscia);
   sono frequenti le lamentele e le segnalazioni di pericolo, i disagi e le ripercussioni economiche negative sui residenti dell'area veronese nonché sul tessuto economico;
   non risultano significativi interventi di regolamentazione a tutela dell'incolumità dei tanti automobilisti, molti dei quali pendolari della zona –:
   quali iniziative immediate ed urgenti siano state programmate per assicurare risorse finanziarie sufficienti al ripristino delle condizioni di sicurezza minime sulla statale 434 Verona/Rovigo gestita da Anas spa;
   se, in considerazione dell'evidente della pericolosità di molteplici punti e in attesa degli interventi necessari e improcrastinabili, siano in valutazione decisioni di regolamentazione della velocità di transito, oltre che con l'implementazione della segnaletica di pericolo. (4-00903)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILOZZI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alle persone straniere, ai sensi dell'articolo 9, comma 1, lettera f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è attribuita la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana dopo che siano trascorsi 10 anni di ininterrotta residenza legale nel territorio dello Stato italiano;
   moltissimi stranieri, dopo gli importanti flussi migratori della fine degli anni Novanta, si trovano dunque nella condizione prevista dalla norma citata e hanno conseguentemente presentato richiesta per la concessione della cittadinanza;
   l'elevato numero di istanze ha interessato in particolar modo le realtà del nostro territorio dove la presenza dei cittadini stranieri è maggiore, tra le quali figura la provincia di Pordenone;
   all'interrogante sono giunte diverse segnalazioni in merito a notevoli ritardi relativi alla gestione delle pratiche provenienti dalla provincia di Pordenone, nonché a metodologie di gestione delle «interviste», da parte dei funzionari della questura della stessa provincia, nei confronti dei richiedenti la cittadinanza, che non possono che apparire discutibili a causa della mancanza di un protocollo e dell'arbitrarietà dei contenuti dei quesiti posti –:
   di quali informazioni disponga il Ministro circa il numero complessivo delle istanze volte ad ottenere la cittadinanza italiana che risultano ad oggi pendenti nonostante il superamento dei 2 anni previsti dalla legge per la loro definizione, nonché il numero di quelle che interessano persone che risiedono nella provincia di Pordenone;
   quali siano le modalità ed i criteri utilizzati dalla questura di Pordenone per lo svolgimento delle «interviste» e quante siano le pratiche presso tale struttura ancora in attesa di definizione;
   quali provvedimenti il Ministro intenda intraprendere per potenziare gli organici delle strutture deputate alla gestione e definizione delle pratiche di cittadinanza. (5-00372)

Interrogazione a risposta scritta:


   BARONI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   il 6 novembre 2012 sul sito web del Movimento Cinque Stelle di Roma, è apparso uno scritto nel quale viene trattata l'assurda vicenda capitata al signor Antonio Panci;
   il signor Panci, 67enne, attualmente è pensionato, in passato ha svolto l'attività di funzionario ospedaliero ed ispettore onorario ambientale alla regione Lazio;
   diversi anni fa, il comune di Roma ha affidato in assistenza alloggiativa al signor Panci un alloggio di proprietà del comune sito nel quartiere Garbatella, via degli Armatori n. 11, appartamento attualmente amministrato dalla Romeo Gestioni;
   rispetto al predetto immobile, Antonio Panci, avendone i requisiti, ha esercitato il diritto di prelazione nel luglio 2010. In quella occasione, il comune di Roma ha sottoscritto il contratto preliminare incassando la somma versata a titolo di acconto dall'inquilino;
   sei mesi dopo la stipula del preliminare, ossia nel febbraio 2011, il comune di Roma ha certificato di aver effettuato dei lavori di ristrutturazione all'interno dell'immobile «locato al signor Antonio Panci»;
   qualche mese dopo, ovvero a luglio 2011, il signor Panci si reca in municipio per richiedere un documento e scopre che nel maggio 2010 era stato incredibilmente cancellato dall'anagrafe dei residenti in quanto risultava «emigrato»;
   in quanto «emigrato», e quindi non più residente a Roma, il signor Panci non può occupare l'abitazione concessagli dal comune e, soprattutto, non è legittimato ad acquistarla, sicché il contratto preliminare sottoscritto a suo tempo è stato successivamente revocato e/o annullato;
   per quanto risulta all'interrogante i vicini di casa testimoniano che il signor Panci in tutti questi anni non si è mai mosso di casa, né tanto meno è «emigrato» chissà dove, quindi per strani, gli uffici comunali sono incappati in un clamoroso errore burocratico;
   in ogni caso, dopo molti appelli inascoltati e dopo un articolo-denuncia apparso su Il Fatto Quotidiano, il signor Panci è stato nuovamente iscritto all'anagrafe del comune di Roma;
   ciononostante l'uomo continua a chiedere che gli venga restituita la residenza a partire dal 2004 e che quindi venga rispettato il suo diritto ad acquistare l'immobile al prezzo pattuito nel 2010 e non a quello attuale che nel frattempo è lievitato del 300 per cento;
   il signor Panci – che in passato non si è mai risparmiato nel denunciare il sistema di illeciti, abusi e tangenti di cui è venuto a conoscenza – vive di fatto «segregato» dal 2 agosto 2012 nel suo appartamento, con il terrore di perderlo per la seconda volta; inoltre egli versa in precario stato di salute e nonostante i medici del C.A.D. dell'AslRm/C gli abbiano prescritto il ricovero, si rifiuta di allontanarsi da casa;
  ogni scorrettezza e/o illegittimità nella procedura di vendita di un appartamento del comune di Roma suscita allarme non solo nel singolo avente diritto, ma anche nella collettività in quanto è lesiva del diritto inviolabile all'abitazione, costituzionalmente garantito, dei soggetti titolati al suo acquisto: risulta quindi di fondamentale importanza che nelle dette procedure non siano commessi errori di alcun genere, tanto più in danno di persone in possesso dei requisiti richiesti dalla legge;
   sarebbe intollerabile che, in concomitanza con una crisi abitativa che investe in maniera drammatica il Lazio, negli alloggi popolari si applicassero procedure non corrette –:
   di quali elementi disponga il Governo, nell'ambito delle sue competenze, e quali eventuali iniziative intenda assumere al riguardo. (4-00901)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta immediata:


   LUIGI GALLO, MARZANA, VACCA, BRESCIA, D'UVA, DI BENEDETTO, BATTELLI, SIMONE VALENTE e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a causa delle scelte politiche assunte senza carattere di discontinuità dai Governi che si sono succeduti nel corso degli ultimi anni, il numero di docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario precario assunto attraverso contratti annuali o fino al termine delle attività didattiche, ha ormai toccato le trecentomila unità secondo le più recenti rilevazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   a questo già consistente numero si deve aggiungere quello dei vincitori del concorso per docenti e i nuovi abilitati attraverso i tirocini formativi attivi ordinari e speciali;
   annualmente, attraverso la lettura dei dati del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, vengono effettuate circa centomila nomine a tempo determinato di personale docente e circa 50.000 di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, a fronte delle quali lo Stato italiano decide di non stabilizzare queste unità in modo definitivo, in luogo di reiterate assunzioni pro tempore;
   con l'attuazione della riforma del mercato del lavoro dell'ex Ministro Fornero, si stima che le domande di pensionamento a settembre 2013 saranno dimezzate rispetto a quelle del 2012; in particolare, dati forniti dai sindacati di categoria, al vaglio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, parlano di 10.000 domande di pensionamento dei docenti e poco più di 3.000 per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario;
   per il triennio 2014-2017, lo stesso Ministro interrogato, in sede di audizione presso le competenti commissioni di Camera e Senato, ha parlato, proprio al fine di dare un «serio segnale al personale precario», dell'elaborazione di un nuovo piano triennale di assunzione in ruolo del personale precario per il 2014-2017;
   non è da sottovalutare l'incidenza preponderante dell'ultima riforma del sistema pensionistico sulle cessazioni dal servizio; infatti, per il triennio 2014-2017 è previsto un turn over complessivo di 44.000 unità –:
   in che modo, di fronte alle inequivocabili cifre esposte in premessa, il Ministro interrogato intenda assicurare l'assorbimento delle consistenti masse di personale precario, risultando evidente che i 44.000 posti resi disponibili dal turn over non possono da soli essere sufficienti.
(3-00128)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOSSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   alcuni professori risultati idonei in procedure valutative per la I fascia, attualmente in servizio presso sedi universitarie che, ai sensi dell'articolo 51, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e successive modificazioni, non possono procedere a nuove assunzioni, lamentano gravi profili di iniquità e di disparità di trattamento;
   i docenti di cui sopra hanno conseguito l'idoneità in concorsi pubblici banditi nel 2008 presso sedi diverse da quella in cui sono incardinati;
   le sedi nelle quali operano, e che hanno intenzione di continuare ad avvalersi del loro apporto nel nuovo ruolo, non solo non possono procedere alla chiamata o alla presa di servizio, in ragione del vincolo legislativo richiamato, ma vedono anche allontanarsi nel tempo la possibilità di farlo in quanto risultano escluse dai fondi di natura straordinaria per il reclutamento di personale docente, in particolare dal Fondo per il piano di reclutamento straordinario dei professori di II fascia (279 milioni di euro, di cui 13 milioni già assegnati nel 2011, 93 milioni previsti per il 2012 e 173 milioni per il 2013) e dal Fondo per la mobilità interregionale; ciò, come detto, crea una evidente disparità di trattamento tra gli idonei in base alla sede di incardinamento;
   la possibilità per i docenti provenienti da atenei soggetti al blocco di essere chiamati da un altro ateneo usufruendo del Fondo per la mobilità interregionale è estremamente limitata, per la modesta consistenza del fondo (che è stato nell'ultimo anno più che dimezzato e ammonta ora a solo 1,4 milioni di euro — corrispondenti a poco più di 10 punti organico — a fronte di 279 milioni del Fondo per il piano straordinario) e per il meccanismo che lo regola che ne rende aleatorio l'accesso, scoraggiandone, di fatto, l'utilizzo e vanificandone gli obiettivi;
   la riforma in atto del sistema di governance degli atenei sta producendo un clima di incertezza e di vuoto regolamentare, che richiederà un certo tempo per essere colmato, rendendo ancora più concreta la preoccupazione degli idonei di non poter trovare una collocazione entro il termine previsto per la scadenza delle idoneità;
   il rischio può diventare in alcuni casi molto concreto nello scenario prefigurato dalla nuova normativa che prevede, da una parte, la limitazione delle chiamate degli idonei di prima fascia ad un decimo dei posti disponibili e, dall'altra, impone che un quinto delle chiamate riguardino docenti in servizio presso altre sedi;
   un certo numero di idonei alla prima fascia ha già visto scadere il proprio titolo, in larga misura a causa dei blocchi delle chiamate –:
   se il Ministro, per quanto sopra premesso, non intenda assumere una iniziativa per consentire, in deroga al limite di cui all'articolo 51, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e successive modificazioni, a tutti gli atenei italiani di procedere alle assunzioni in servizio di professori universitari di I e II fascia in ruolo presso i medesimi atenei, rispettivamente come professori associati o ricercatori;
   se non intenda, inoltre, assumere iniziative per prorogare, ai fini della presa di servizio dei soggetti risultati idonei in procedure di valutazione comparativa per professori universitari di I e di II fascia, bandite ai sensi della legge 3 luglio 1998 n. 210 e successive modificazioni, le disposizioni vigenti al momento della pubblicazione del bando di concorso nel quale sono stati dichiarati idonei;
   se non intenda assumere iniziative dirette a procedere allo stanziamento di una quota parte dei fondi già previsti dall'articolo 1, comma 24, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 per la costituzione di un fondo per le chiamate degli idonei di I fascia, analogo a quello in vigore per gli idonei di II fascia. (5-00376)

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale 24 aprile 2013, n. 334, l'iscrizione ai corsi di laurea in medicina è stata subordinata all'esito di un test di ammissione finalizzato alla formulazione di una graduatoria unica nazionale sulla base dei risultati finali conseguiti dai candidati in ciascuna sede concorsuale;
   l'apparente imparzialità del modello indicato si scontra con una nota e significativa diversità dei punti di partenza dei candidati, con deprecabili esiti di perniciosa territorializzazione dei risultati finali e con conseguente pregiudizio sia dei candidati provenienti da realtà meridionali, sia, in prospettiva, degli stessi sistemi sanitari dei territori meridionali a motivo delle fin troppo facilmente prevedibile mobilità di rientro dei laureati verso i territori di origine;
   a conferma di ciò si ricorda che, in base ai risultati statistici dei test d'ingresso ai fini dell'ammissione alla facoltà di medicina e chirurgia dello scorso anno, i punteggi minimi per l'ammissione variano da ateneo ad ateneo: a Napoli e Catanzaro il punteggio utile per l'accesso è stato di 36,74 punti, a Bari e a Palermo sono stati sufficienti meno di 40 punti, a Cagliari, Sassari, Perugia e Roma 37 punti, a Firenze, Parma, Pisa e Siena 39 punti, gli studenti di Bologna hanno dovuto totalizzarne 41, mentre quelli di Milano, Varese e Piemonte hanno dovuto raggiungere un punteggio minimo superiore di 42 punti;
   simulando, sulla base dei dati indicati, l'applicazione della graduatoria unica nazionale ne segue che i candidati meridionali tenderanno a porsi nelle fasce basse della graduatoria e ad essere esclusi dagli studi di medicina, con conseguente «emigrazione» dei candidati ammessi verso le università meridionali per il periodo di studio ed altrettanto consequenziale emigrazione di ritorno dei medesimi studenti verso i territori di origine; da qui la segnalata penalizzazione per gli studenti meridionali e, in breve arco di tempo, anche per i sistemi sanitari meridionali;
   tale effetto non sembra essere stato considerato adeguatamente dalle autorità competenti nella definizione dei criteri e delle modalità di ammissione;
   l'articolo 10 del decreto ministeriale 12 giugno 2013, n. 449, disciplina «Graduatorie, Soglia di punteggio minimo e Valutazione delle prove», prevedendo che il cosiddetto «bonus» per la valutazione del percorso scolastico il punteggio previsto sia «attribuito esclusivamente ai candidati che hanno ottenuto un voto all'esame di stato almeno pari a 80/100 e il cui voto sia non inferiore all'80esimo percentile della distribuzione dei voti della propria commissione d'esame nell'anno scolastico 2012/13 secondo la tabella» ivi allegata;
   per i candidati che hanno conseguito il diploma in anni scolastici antecedenti all'anno scolastico 2012/2013 e nei casi in cui, comunque, non sia possibile associare il candidato alla propria commissione di esame, siano applicati, nell'ordine, i seguenti criteri: i percentili a livello provinciale dell'anno scolastico 2012/13 relativi alla medesima tipologia di diploma, i percentili a livello nazionale dell'anno scolastico 2012/13 relativi alla medesima tipologia di diploma;
   l'introduzione del percentile comporta una diversa valutazione del valore individuale del candidato, il cui voto finale pesa in misura differente a secondo delle distribuzioni statistiche dei voti nell'ambito dei candidati valutati dalla medesima commissione ovvero, in mancanza, nell'ambito provinciale o addirittura nazionale;
   un candidato giudicato bravo nell'ambito di una classe non particolarmente meritevole ha maggiori probabilità di superare la soglia statistica segnata dall'80esimo percentile rispetto ad un candidato con eguale valutazione finale ma inserito in una classe particolarmente meritevole, con una maggiore concentrazione nella fascia dei percentili mediani di voti alti;
   ove i percentili non siano calcolati nell'ambito della «propria commissione d'esame» ma su base territoriale provinciale o nazionale si producono evidenti ancora effetti di territorializzazione degli esiti valutativi che poco o nulla hanno a che fare con l'individuazione dei migliori candidati cui riservare l'accesso agli studi universitari in medicina;
   i meccanismi di selezione dovrebbero tendere ad individuare i migliori candidati a prescindere dalle condizioni sociali di partenza, nel pieno rispetto delle norme e dei valori costituzionali, che privilegiano i «più meritevoli» a dispetto dei «più fortunati»;
   l'allarme per gli effetti perversi del modello di selezione definito dal Ministero arriva proprio dagli atenei presenti nei territori più disagiati, come ad esempio l'università Magna Grecia di Catanzaro, preoccupati del fatto che con tale nuovo meccanismo si possano immatricolare studenti che avranno poi come unico obiettivo il successivo trasferimento in altra sede, determinando così un depotenziamento dell'università e dell'intero territorio;
   la qualità del servizio sanitario di un territorio e la tutela della salute dei cittadini, diritto previsto dall'articolo 32 della Costituzione dipendono anche dal numero degli aspiranti medici che dopo la formazione decidono il luogo dove esercitare la propria professione;
   una regione, come la Calabria, identificata da tutti gli indici statistici (tasso di disoccupazione giovanile, accesso alle università, ricchezza prodotta, PIL, e altro) come territorio svantaggiato non può consentirsi in questa fase di particolare crisi economica di investire esclusivamente nella formazione di medici provenienti da altre regioni che appena possono lasciano il territorio calabrese;
   appare del tutto condivisibile l'intento di superare qualsiasi disparità di trattamento tra studenti –:
   se il Ministro non intenda assumere iniziative in merito a quanto descritto in premessa per risolvere le citate problematiche posto che tale sistema nel medio e lungo periodo può ledere il diritto alla salute dei cittadini delle regioni meridionali, soprattutto dei territori più periferici come la Calabria, non permettendo alla sua unica facoltà di medicina di fornire un numero di laureati adeguato a garantire il servizio sanitario e potrebbe non garantire agli studenti calabresi il pieno diritto allo studio, mentre dovrebbero essere messe in campo metodologie di selezione che non provochino una disparità di trattamento tra studenti ugualmente meritevoli.
(4-00906)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come noto, il nostro ordinamento ha previsto, con la legge 27 marzo 1992, n. 257, una serie di misure risarcitorie, anche di carattere previdenziale, a favore dei lavoratori esposti all'amianto, cioè per una particolarissima categoria di lavoratori che ha subito pesantemente le conseguenze di una lavorazione ad altissimo rischio per la salute che ha prodotto migliaia di decessi;
   il comma 10 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (decreto Salva-ltalia), convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha disposto nuovi requisiti per l'accesso alla pensione anticipata, prevedendo, tra l'altro, l'introduzione di un sistema di penalizzazioni che si attiva qualora gli aventi diritto – gli uomini con un'anzianità contributiva di almeno 42 anni e 1 mese e le donne di almeno 41 anni e 1 mese – anticipino l'accesso al pensionamento rispetto all'età di 62 anni, pari a una riduzione di 1 punto percentuale del trattamento pensionistico per ogni anno di anticipo nell'accesso al pensionamento rispetto alla predetta soglia anagrafica e di 2 punti per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni;
   l'articolo 6, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2011, convertito con modificazioni dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, ha successivamente stabilito la non applicabilità delle predette penalizzazioni ai soggetti che maturano il requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, qualora questa derivi esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, prevedendo deroghe per i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria, ma non per i periodo riconosciuti ai sensi della citata legge 257 del 1992;
   tale esclusione presenta, a parere dell'interrogante, aspetti paradossali, poiché da un lato l'ordinamento garantisce ai lavoratori esposti all'amianto il diritto di anticipare il pensionamento in ragione dei maggiori rischi cui sono sottoposti – legati a una possibile minore aspettativa di vita rispetto alla media –, mentre dall'altro li penalizza per ciò che attiene l'importo del trattamento pensionistico che percepiranno, in ragione della medesima anticipazione;
   la riforma pensionistica del dicembre 2011, avendo previsto un parametro anagrafico, 62 anni, indifferenziato per il meccanismo delle penalizzazioni – e quindi non tenendo conto della diversa aspettativa di vita dei lavoratori esposti all'amianto – presenta, a parere dell'interrogante, evidenti profili di iniquità che andrebbero urgentemente sanati –:
   se non ritenga necessario intervenire, anche con specifiche iniziative se del caso normative correttive, al fine di superare le incongruenze sommariamente esposte in premessa, scongiurando gli effetti dell'applicazione delle disposizioni in materia di penalizzazioni di cui all'articolo 24, comma 10, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 per i lavoratori del settore dell'amianto. (5-00375)

PARI OPPORTUNITÀ, SPORT E POLITICHE GIOVANILI

Interrogazione a risposta scritta:


   PALMA. — Al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. — Per sapere – premesso che:
   secondo le ultime statistiche fornite dalla casa delle donne di Bologna sono state 129 le donne uccise nel 2011, 124 quelle uccise nel 2012, a cui vanno aggiunti i 47 tentati femminicidi che, fortunatamente, non hanno portato alla morte della donna e le 8 vittime, tra figli e altre persone (che portano il totale a 132); in questi primi mesi del 2013 sono già ben 35 le vittime;
   sono migliaia i casi, ogni anno, di atti violenti o minacce di violenza esercitati nei confronti della donna, e spesso si compiono in ambito familiare, ad opera di un congiunto;
   il tema è da tempo all'attenzione dell'opinione pubblica internazionale; la violenza contro le donne, infatti, è una violenza di genere riconosciuta oggi dalla comunità come una violazione fondamentale dei diritti umani;
   nel 1979 l'Assemblea generale delle Nazioni unite ha emanato la Carta internazionale dei diritti per le donne, denominata Cedaw. Essa è composta di un preambolo e trenta articoli e definisce ciò che costituisce una discriminazione contro le donne istituendo un programma delle attività a livello nazionale per porre fine a tale discriminazione;
   l'Italia ha ratificato la CEDAW ai sensi della legge n. 132 del 1985 e ha aderito al Protocollo opzionale il 29 ottobre 2002; gli Stati che hanno ratificato la CEDAW e le altre carte regionali in materia si sono assunti un obbligo: adoperarsi affinché le donne abbiano cittadinanza, ovvero affinché possano in concreto godere dei loro diritti fondamentali; questo implica per lo Stato l'obbligo di attivarsi per rimuovere le situazioni discriminatorie;
   nel marzo 2010, il Parlamento europeo ha approvato una relazione sulla violenza contro le donne in Europa, nella quale sono formulate una serie di proposte, con un nuovo approccio globale contro la violenza di genere;
   il 25 giugno 2012, è stato presentato all'ONU il primo Rapporto tematico sul femminicidio, frutto del lavoro realizzato in Italia da Rashida Manjoo, preceduto nell'ottobre 2011 da un seminario convocato a New York dalla relatrice speciale. Il seminario ha coinvolto 25 esperti provenienti da diverse aree geografiche e appartenenti al mondo universitario, alle organizzazioni della società civile e ad agenzie dell'ONU, tutti con comprovate competenze tecniche e professionali in materia di femminicidio;
   i media spesso presentano i casi di femmicidio come frutto di delitti passionali, di un'azione improvvisa ed imprevedibile di uomini vittime di raptus e follia omicida. In realtà questi sono l'epilogo di un crescendo di violenza a senso unico e generalmente sono causati da un'incapacità di accettare le separazioni, da gelosie, da un sentimento di orgoglio ferito, dalla volontà di vendetta e punizione nei confronti di una donna che ha trasgredito a un modello comportamentale tradizionale; nel momento in cui la donna italiana cerca di uscire da questi schemi, nasce il rifiuto del partner maschile alla sua emancipazione «che si trasforma in forme di controllo economico, di violenza psicologica, di violenza fisica, e che può arrivare fino all'uccisione della donna»;
   questo è tanto più vero quanto più è forte la sottomissione economica della donna all'ambito familiare, quanto meno sono le opportunità lavorative della donna sul mercato; quanto più profondo è il radicamento culturale di modelli maschilisti; questo, quindi, è tanto più vero nei luoghi dove la crisi economica e occupazionale è più profonda;
   l'undici maggio 2011 ad Istanbul è stata approvata la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Council of Europe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence); essa è stata aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa, degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione e dell'Unione europea;
   l'Italia ha sottoscritto il trattato il 27 settembre 2012; il disegno di legge di ratifica è stato approvato dalla Camera dei deputati il 28 maggio 2013;
   la Convenzione, come gli atti di rilevanza internazionale precedentemente citati, delineano quadri normativi e di principio di grande respiro e di evoluzione che però hanno bisogno di atti concreti, di azioni reali contro la violenza sulle donne;
   in particolare si rende necessario un programma di apertura di centri antiviolenza e di case rifugio, di strutture di assistenza e tutela della donna vittima di violenza, in particolar modo in alcune aree del Paese dove tali servizi sono più che carenti, e dove, al contrario, forte è l'esigenza di una rete di protezione –:
   quali iniziative intenda assumere per dare concreta attuazione alle misure previste nella Convenzione di Istanbul e se non intenda adottare rapidamente iniziative volte all'attivazione di servizi sul territorio nazionale, e in particolare in alcune aree del Paese che registrano particolari carenze;
   se il Governo intenda, e in che misura, rifinanziare il Fondo contro la violenza alle donne, istituito dall'articolo 2, comma 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), finalizzato alla prevenzione, all'informazione e alla sensibilizzazione nei confronti del fenomeno della violenza contro le donne, nonché al sostegno finanziario dei centri antiviolenza e delle case-rifugio. (4-00907)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   ZARDINI e ROTTA. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto nazionale della previdenza sociale per le attività che svolge e per i servizi che eroga possiede ed accumula dati e informazioni, organizzati in banca dati, molto importanti e strategiche per il sistema in rapporto agli obiettivi che le articolazioni dello Stato perseguono;
   i dati e le informazioni dell'Inps se organizzati, integrati ed elaborati assumono rilevanza e facilitano l'attività dello Stato e degli enti pubblici al fine di verificare l'autenticità delle dichiarazioni effettuate dai cittadini. Molti problemi gestionali (velocità del processo e veridicità delle dichiarazioni) potrebbero essere risolti se le informazioni elaborate dall'Inps potessero essere condivise dal sistema delle pubbliche amministrazioni;
   l'Inps ha realizzato una molteplicità di accordi con i comuni allo scopo di integrare i servizi previdenziali con altri tipi di servizi nei punti cliente costituiti dagli enti locali, realizzando così, insieme ai comuni ed altri enti, una strategia integrata e condivisa di erogazione dei servizi, la quale si è rilevata efficiente, efficace e diffusa nel territorio con un'elevata soddisfazione da parte dei cittadini, i quali recandosi in un unico ufficio possono usufruire dei servizi erogati da enti diversi;
   la politica descritta di integrazione e condivisione dei dati e delle informazioni non è prevista per tutti gli enti che hanno finalità pubbliche. Infatti, le Aziende territoriali per l'edilizia residenziale pubblica (ATER) di Verona e delle altre province venete non sono autorizzate ad accedere a tali informazioni allo scopo di verificare la veridicità delle autocertificazioni presentate dai cittadini;
   le Ater, istituite con legge della Regione Veneto 9 marzo 1995, n. 10 e sostitutive degli Istituti autonomi case popolari (IACP), sono enti pubblici economici dotati di personalità giuridica e di autonomia organizzativa, patrimoniale e contabile, hanno sede nel capoluogo di ogni provincia veneta ed operano nel territorio della stessa nel settore dell'edilizia residenziale pubblica;
   l'accesso alle banche dati dell'Inps è utile per contrastare le eventuali dichiarazioni mendaci e le eventuali azioni di corruzione da parte dei cittadini interessati al fine di ottenere l'assegnazione degli appartamenti di proprietà delle Ater e stabilire una congrua corresponsione del canone di locazione parametrato alla capacità contributiva e reddituale. Il medesimo problema potrebbe riguardare le altre regioni in rapporto al modello organizzativo scelto;
   le informazioni di cui necessitano le Ater riguardano l'attività lavorativa dei lavoratori dipendenti ed autonomi e precisamente la contribuzione ed i relativi redditi derivanti da lavoro dipendente, da lavoro agricolo dipendente, da lavoro autonomo (artigiani, commercianti e coltivatori diretti) e dall'indennità di cassa integrazione guadagni e di disoccupazione allo scopo di verificare i redditi dichiarati nelle autocertificazioni per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e per l'attribuzione del canone di locazione –:
   se non ritengano necessario realizzare un processo di condivisione delle informazioni in possesso dell'Inps a favore delle altre Pubbliche amministrazioni per il buon andamento dei servizi pubblici erogati dalle Pubbliche amministrazioni stesse e per contrastare le dichiarazioni mendaci eventualmente rilasciate dai cittadini interessati, considerato il controllo delle autocertificazioni disposto per legge;
   se non reputino urgente mettere in condizioni le Ater di Verona e le province venete di effettuare i controlli sulle autocertificazioni, previsti dalle attuali disposizioni di legge, attraverso l'accesso alle Banche dati dell'Inps e la consultazione delle contribuzioni, dei redditi e delle prestazioni di cassa integrazione guadagni e di disoccupazione dei lavoratori dipendenti ed autonomi per contrastare eventuali tentativi di corruzione allo scopo di usufruire illegittimamente dell'erogazione di servizi (assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e attribuzione del canone di locazione rapportato al reddito). (4-00896)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la vecchia azienda di laterizi di Santa Caterina Albanese in provincia di Cosenza, ormai dismessa, occupa un'area di 20 mila metri quadrati, ed è in uno stato di particolare abbandono e degrado, che causa l'affioramento di fibre d'amianto, rifiuti tecnicamente pericolosi;
   l'eternit sulla copertura si sta sbriciolando giorno dopo giorno determinando una vera e propria emergenza ambientale;
   è noto che la pericolosità dell'amianto dipende dal grado di libertà delle fibre, ossia dalla capacità dei materiali di rilasciare fibre potenzialmente inalabili;
   diversi studi sui rischi sanitari hanno messo in evidenza un nesso di causalità tra l'esposizione all'amianto e alcune patologie oncologiche;
   a richiamare l'attenzione su questa questione sono stati il comune di Santa Caterina Albanese e la comunità montana che hanno lanciato l'allarme a causa dei pericoli che una massiccia esposizione all'amianto potrebbe creare alla popolazione e all'ambiente circostante;
   la vecchia struttura dei laterizi rappresenta una bomba ecologica che, se non verrà disinnescata in tempo, l'impatto con l'ambiente potrebbe essere irreversibile;
   è assolutamente necessario promuovere i previsti interventi per tutelare gli abitanti di quest'area geografica già duramente provata da diversi disagi sociali;
   è importante attivare l'attenzione delle istituzioni, sollecitando gli organismi preposti ad effettuare gli urgenti e indispensabili interventi –:
   se il Ministro interrogato non intenda, a tutela della salute dei cittadini, diritto sancito dall'articolo 32 della Costituzione, assumere ogni iniziativa di competenza affinché venga bonificato il suddetto sito e gli abitanti di quel territorio siano messi nella possibilità di potersi godere il territorio e l'ambiente circostante, senza incorrere nei pericoli derivanti dalla dispersione di un quantitativo così rilevante di fibre di amianto.
(4-00902)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZANETTI e NESI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16, comma 6, del decreto-legge n. 185 del 2008 convertito con modificazioni dalla legge n. 2 del 2009 dispone che «Le imprese costituite in forma societaria sono tenute a indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata nella domanda di iscrizione al registro delle imprese. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge tutte le imprese, già costituite in forma societaria alla medesima data di entrata in vigore, comunicano al registro delle imprese l'indirizzo di posta elettronica certificata»;
   l'articolo 5 del decreto-legge n. 179 del 2012 estende l'obbligo di comunicazione dell'indirizzo PEC anche alle imprese individuali che dovranno comunicare il proprio indirizzo di PEC entro il 30 giugno 2013 qualora fossero già state già iscritte alla data del 20 ottobre (mentre quelle non iscritte in precedenza devono indicare il proprio indirizzo di PEC al momento nella domanda di iscrizione);
   successivamente a tale data, in caso di domanda di iscrizione da parte di un'impresa individuale che non ha provveduto a comunicare il proprio indirizzo PEC, l'ufficio del registro delle imprese sospende la domanda fino all'integrazione della stessa con l'indirizzo PEC e, comunque per 45 giorni. Trascorso tale periodo, la domanda si intende non presentata;
   il Ministero dello sviluppo economico, con lettera circolare del 2 aprile 2013, prot. 53687, pubblicata nei giorni scorsi da alcune camere di commercio, oltre a confermare la prassi semplificata di deposito per l'iscrizione dell'indirizzo PEC, ha fornito alcune indicazioni operative. Nella lettera circolare in commento si legge che «Resta fermo che, nel vigente quadro normativo, che ricollega l'obbligo di cui in parola (l'iscrizione dell'indirizzo PEC al Registro delle imprese), alla iscrizione dell'indirizzo PEC nell'INI-PEC, e quindi regola le modalità dei rapporti tra impresa e Amministrazione, è necessario che l'indirizzo PEC sia ricondotto esclusivamente ed unicamente all'imprenditore stesso, senza possibilità di domiciliazione presso soggetti terzi». Per il Ministero dello sviluppo economico dunque la PEC è riconducibile solo all'imprenditore;
   conseguentemente InfoCamere ha predisposto negli strumenti di compilazione delle pratiche telematiche un avviso all'utenza, segnalando che «L'indirizzo PEC non potrà essere iscritto nel registro Imprese se risulta già dichiarato da un'altra impresa»;
   tuttavia lo stesso Ministero dello sviluppo economico con la circolare n. 3645/C-2011, con riferimento al corrispondente adempimento relativo alle «imprese costituite in forma societaria» di cui all'articolo 16, comma 6 del decreto-legge n. 185 del 2008, ha riconosciuto espressamente la possibilità di indicare, nell'ambito della comunicazione in questione, l'indirizzo PEC «di uno studio professionale che assista l'impresa negli adempimenti burocratici, ovvero, ad esempio, di un'altra società cui l'impresa obbligata all'adempimento sia giuridicamente o economicamente collegata»;
   tale linea è stata, poi, confermata da due successivi pareri: il parere 16 novembre 2011 n. 217140, con il quale si è ammessa la comunicazione al registro delle imprese dell'indirizzo PEC dello studio professionale che assiste l'impresa negli adempimenti burocratici per ogni società cliente, e il parere 16 novembre 2011 n. 217126, con riguardo alla comunicazione di uno stesso indirizzo PEC per due società aventi i soci in comune;
   alla luce di quanto sopra, anche le camere di commercio sembrano aver adottato soluzioni diverse. La camera di commercio, industria e artigianato di Venezia, ad esempio, ha dato risposta negativa alla possibilità da parte di un professionista di comunicare la propria PEC «per una o più società», facendo riferimento alla lettera circolare prot. 53687; documento che ha richiamato poi anche per negare la possibilità di associare «più soggetti» allo stesso indirizzo PEC. In senso contrario, invece, la camera di commercio, industria e artigianato di Treviso, che ha differenziato le due posizioni riferite alle società e alle imprese individuali, richiamando rispettivamente la circ. n. 3645/C-2011 e lettera circolare prot. 53687 –:
   se non ritenga in tempi rapidissimi, e auspicabilmente prima della scadenza del 30 giugno 2013, fornire chiarimenti utili ad evitare incomprensioni ed interpretazioni diverse, al fine di evitare successivi controlli agli indirizzi non direttamente riconducibili all'imprenditore che il Ministero potrebbe disporre, dando in particolare certezza in merito alla possibilità, anche per gli imprenditori individuali, di domiciliarsi ai fini PEC presso soggetti terzi associabili a più imprese. (5-00373)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane s.p.a. è una società per azioni, il cui capitale è posseduto al 100 per cento dallo Stato, chiamata a gestire un servizio di pubblica utilità;
   sino all'anno 2016 (e con possibilità di proroga fino al 2026) la società è tenuta ad erogare il cosiddetto «servizio universale»;
   l'ufficio postale di Crema Centro sito in piazza Madeo a Crema (Cremona) è l'unico ufficio postale con orario continuato del territorio Cremasco dove vivono circa 160.000 abitanti e si determina oltre la metà del prodotto interno lordo della provincia di Cremona;
   Poste italiane s.p.a. con atto autonomo ha comunicato che dal 20 giugno al 2 agosto 2013 l'ufficio suddetto nelle giornate di giovedì e venerdì verrà chiuso alle 13,45 e che durante l'arco del mese di agosto la chiusura pomeridiana si estenderà a tutti i giorni della settimana;
   mentre risulta comprensibile la chiusura pomeridiana nel mese di agosto, si ritiene inaccettabile quella adottata per il periodo 20 giugno-2 agosto per i gravi disagi che andrebbe ad arrecare, oltre che al singolo cittadino, a tutti gli operatori economici del territorio: imprese, studi di professionisti, organizzazioni sociali e di categoria, attività regolarmente funzionanti nel suddetto periodo;
   il sindaco della città di Crema Stefania Bonaldi ha provveduto ad inoltrare formale protesta contro questa decisione unilaterale di Poste italiane s.p.a. presso la direzione affari istituzionali, la direzione provinciale e all'amministratore delegato di Poste italiane s.p.a. evidenziando il disagio che questa decisione provoca ai cittadini e alle attività di tutto il Cremasco –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare al fine di evitare i disagi ai cittadini e il pregiudizio all'efficienza che può derivare alle realtà produttive del territorio cremasco da questa decisione di Poste italiane;
   se il Ministro abbia intenzione di aprire un confronto con Poste italiane s.p.a. per indurre l'azienda erogatrice del «servizio universale» a cessare quella che all'interrogante appare una politica di gestione unilaterale degli uffici postali, erogatori di servizi pubblici, senza il coinvolgimento degli enti locali e delle organizzazioni sociali e di categoria dei territori. (4-00904)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Marcon e altri n. 1-00051, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Decaro, Pastorino, Mattiello.

  La mozione Ascani e altri n. 1-00070, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Miotto.

  La mozione Boccuzzi e altri n. 1-00099, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Miotto, Zappulla.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in commissione D'Arienzo n. 7-00038, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rubinato.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in commissione Tino Iannuzzi e Bonavitacola n. 5-00322, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valiante.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Costa n. 1-00103, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 34 del 17 giugno 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    è in discussione l'approvazione da parte del Governo del decreto del Presidente della Repubblica in attuazione degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), che predispone una specifica tabella unica su tutto il territorio nazionale delle menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese tra dieci e cento punti, nonché del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso;
    finalità dei suddetti articoli è, pertanto, la fissazione in maniera univoca, ai fini del risarcimento del danno in sede assicurativa responsabilità civile auto, dei valori economici e medico-legali per la valutazione del danno alla persona derivante da lesioni che abbiano determinato macrolesioni e lesioni di lieve entità, con l'obiettivo, dunque, di ovviare ad un sistema eterogeneo fondato su tabelle predisposte dai singoli tribunali ed eventualmente suscettibili di dar vita a forti disuguaglianze e disparità di trattamento tra le vittime dei sinistri;
    fino ad oggi infatti tali valutazioni sono riservate alla giurisprudenza; recentemente la sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011 emessa dalla III sezione della Corte di cassazione ha esteso a tutto il territorio nazionale la tabella seguita dal tribunale di Milano (da tempo spontaneamente adottata da molti altri tribunali), dichiarando che gli importi risarcitori contenuti in quella tabella rappresentano il valore da ritenersi equo. Tale orientamento è stato confermato dalle sentenze Cass. civ. sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402, Cass. civ., Sez. III, 11 maggio 2012, n. 7272, e dall'ordinanza 4 gennaio 2013, n. 134;
    in particolare, con la sentenza n. 12408 del 2011 la Corte di cassazione ha ritenuto le tabelle elaborate dall'Osservatorio sulla giustizia civile del tribunale di Milano le più «congrue» sia per il metodo di calcolo, sia per i valori risarcitori; va rilevato, inoltre, che le suddette tabelle rappresentavano e rappresentano ancora il frutto di un annoso e meditato dibattito dottrinale e giurisprudenziale in tema di danno alla persona;
    lo schema di decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 all'attenzione dell'Esecutivo, risulta essere profondamente penalizzante nei confronti delle vittime, in quanto produrrebbe, rispetto alle tabelle elaborate dall'Osservatorio sulla giustizia civile del tribunale di Milano, una consistente riduzione del risarcimento del danno biologico;
    per questo motivo si sono avute forti reazioni da parte delle molte associazioni dei consumatori e dei familiari delle vittime di incidenti stradali che ritengono il provvedimento fortemente lesivo del diritto di tutti i danneggiati ad un adeguato e dignitoso risarcimento dei danni subiti;
    sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica si è espresso in sede consultiva il Consiglio di Stato, con il parere reso all'adunanza generale in data 8 novembre 2011, rilevando che potrebbero derivare possibili effetti distorsivi connessi all'applicazione ai soli sinistri stradali degli indici parametrici di cui alle tabelle, rispetto ad analoghe situazioni di lesioni, non intervenute nell'ambito della circolazione stradale, chiedendo al Ministero di valutare l'opportunità di un'eventuale modifica normativa;
    pertanto, alla luce della delicatezza e dell'importanza del tema, che incide su diritti costituzionalmente garantiti, si reputa indispensabile per il Parlamento promuovere un approfondimento della materia, nei suoi vari aspetti, sociali, sanitari, economico-finanziari, e un proficuo confronto sia con il Governo che con tutti i soggetti coinvolti, mediante un'indagine conoscitiva e lo svolgimento di specifiche audizioni, che tengano conto della giurisprudenza della Corte di cassazione e dell'importanza che riveste oggi in tale settore l'utilizzo, come parametro di riferimento, dei valori risarcitori previsti nelle tabelle del tribunale di Milano;
    questa urgenza è resa ancor più necessaria dalla circostanza che sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica non è previsto un parere delle competenti commissioni parlamentari, dal momento che sarà emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
    inoltre, l'approfondimento suddetto risulta necessario in virtù della sopravvenienza normativa costituita dalla disposizione di cui all'articolo 3, comma 3, del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, che in materia di responsabilità professionale ha specificato che il danno biologico conseguente all'attività dell'esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui ai già citati articolo 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005,

impegna il Governo

ad adottare il decreto del Presidente della Repubblica recante la tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica di cui in premessa, considerata l'importanza di uno strumento che garantisca certezza e uniformità valutativa al risarcimento del danno, solo successivamente ad un rapido, ma approfondito esame della materia da parte delle competenti Commissioni parlamentari, che potranno eventualmente disporre un'indagine conoscitiva sull'argomento, con particolare riguardo al valore pecuniario attribuito ad ogni singolo punto di invalidità, alle modalità di adeguamento periodico della stessa e alle conseguenze sui premi delle polizze, al fine di garantire un giusto risarcimento alle vittime di gravi handicap psicofisici.
(1-00103)
(nuova formulazione) «Costa, Sisto, Baldelli, Abrignani».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Nicchi n. 4-00317 del 29 aprile 2013;
   interrogazione a risposta in commissione Sani n. 5-00259 del 5 giugno 2013;
   interrogazione a risposta orale Antimo Cesaro n. 3-00104 del 6 giugno 2013;
   interrogazione a risposta orale Vecchio n. 3-00122 del 17 giugno 2013;

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in commissione Cicu n. 5-00179 del 28 maggio 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-00899.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in commissione Sani n. 5-00259 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 29 del 5 giugno 2013. Alla pagina 1745, seconda colonna, alla riga quattordicesima, deve leggersi: «tra i cittadini (cioè tra coloro che già hanno» e non «tra i cittadini (cioè tra coloro che già anno», come stampato.

  Mozione Gigli e altri n. 1-00102 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 34 del 17 giugno 2013. Alla pagina 2201, prima colonna, alla decima riga deve leggersi: «2013, l'intera problematica, valutando» e non «2003, l'intera problematica, valutando», come stampato.