Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 3 giugno 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese, se da un lato negli ultimi 10 anni il numero complessivo degli omicidi è diminuito, il numero degli omicidi perpetrati nei confronti delle donne è aumentato in maniera allarmante (i dati relativi al 2012 in Italia registrano più di 120 vittime) e nella maggior parte dei casi gli autori di questi delitti sono legati alle vittime da un rapporto parentale;
    fino agli anni ’90 il dato dei delitti non era disaggregato per cui non si conosceva la gravità del fenomeno, che, invece, si è rivelato di tale portata da giustificare la scelta di coniare il termine specifico di femminicidio, per indicare la violenza misogina dell'uomo nei confronti delle donne, introducendo un'ottica di genere nello studio dei crimini;
    il termine è nato per indicare gli omicidi della donna «in quanto donna», ovvero la maggior parte degli omicidi di donne e bambine. Si tratta di omicidi di donne commessi da parte di partner o ex partner, ma anche delle ragazze uccise dai padri che non accettano le decisioni e l'emancipazione delle proprie figlie;
    la dimensione e la specificità del fenomeno sembrano giustificare l'esigenza dell'introduzione nel codice penale italiano di una fattispecie di reato ad hoc per perseguire in modo specifico tali condotte criminose;
    la circostanza per cui i delitti sono perpetrati nella maggioranza dei casi da un uomo che ha, o ha avuto, una relazione di affetto o conoscenza con la donna esplicita una dimensione sociale della violenza, ancora più preoccupante per il fatto che le «mura domestiche» sono spesso la scena del crimine e che gli assassini nella maggioranza dei casi sono legati alle vittime da rapporti coniugali o genitoriali;
    l'Italia ha ratificato fin dal 1985 la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (Cedaw), adottata dall'Assemblea generale dell'Onu nel 1979, impegnandosi ad adottare «misure adeguate per garantire pari opportunità a donne e uomini in ambito sia pubblico che privato»;
    con la Dichiarazione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne nel 1993 e con la IV Conferenza mondiale delle Nazioni Unite nel 1995 in cui fu definita la violenza di genere come il manifestarsi delle relazioni di potere storicamente ineguali fra donne e uomini, la denuncia del fenomeno è entrata con forza nelle sedi istituzionali e anche il Parlamento europeo e il Consiglio d'Europa hanno preso posizioni ufficiali di condanna contro la violenza sulle donne;
    la Conferenza mondiale di Stoccolma del 1996 contro lo sfruttamento sessuale dei minori, le raccomandazione del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio d'Europa (raccomandazione rec (2002)5 sulla protezione delle donne dalla violenza, raccomandazione CM/rec (2007)17 sulle norme e meccanismi per la parità tra le donne e gli uomini, raccomandazione CM/rec (2010)10 sul ruolo delle donne e degli uomini nella prevenzione e soluzione dei conflitti e nel consolidamento della pace) e le altre raccomandazioni pertinenti hanno posto l'attenzione sulla tutela dei diritti umani e sulla diffusa violazione dei diritti delle donne e dei minori, riconoscendo la violenza come problema cruciale per la salute delle donne;
    nel nostro Paese, nonostante l'entità drammaticamente allarmante del fenomeno del femminicidio, non esiste una commissione preposta all'analisi e al monitoraggio dei dati relativi alla violenza contro le donne e questa lacuna si somma ad altre problematiche: le risorse del fondo antiviolenza sono piuttosto esigue e non sono stati programmati interventi ordinari o straordinari in grado di fare fronte a questo fenomeno dilagante, ivi compresa una legge organica che stabilisca i termini dell'intervento nei casi di violenza familiare e che metta a disposizione le risorse necessarie;
    i cartelloni pubblicitari che pochi giorni fa sono stati affissi sulle strade di Napoli, raffiguranti in primo piano l'immagine di un uomo che impugna uno straccio per «cancellare ogni traccia» e in secondo piano il corpo nudo di una donna giacente in un letto, hanno provocato l'indignazione di molti, tanto che l'Istituto per l'autodisciplina pubblicitaria ha disposto il ritiro, ritenendo che siffatte pubblicità, prendendo spunto dal drammatico fenomeno del femminicidio, oltre a svilire l'immagine della donna, istigano ad ingiustificati e gravissimi comportamenti violenti;
    ai nostri giorni i mezzi di comunicazione, includendo la stampa, la televisione e internet, ricoprono un importante ruolo non solo informativo ma anche formativo e, di conseguenza, la pubblicità, nella sua realtà virtuale e mediatica, veicola messaggi e modelli di grande rilevanza sociale; pertanto, l'abuso dei messaggi pubblicitari può provocare rischi sui soggetti più vulnerabili, quali l'effetto omologante nei modelli di identificazione, la globalizzazione culturale, la spinta all'emulazione, l'inibizione della scelta critica e dello sviluppo creativo;
    il Parlamento europeo ha rilevato come la discriminazione di genere nei media sia tuttora diffusa, considerando come parti di tale fenomeno la pubblicità e i media che presentano stereotipi e auspicando che la pubblicità sia disciplinata da norme etiche e/o giuridiche vincolanti e/o dai codici di condotta esistenti che proibiscono la pubblicità che trasmette messaggi discriminatori o degradanti basati sugli stereotipi di genere;
    in occasione della V Conferenza mondiale dell'Onu sulle donne del 2005, il Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne ha espresso forti preoccupazioni per la condizione delle donne italiane, che vengono percepite come madri e come oggetti sessuali, soprattutto attraverso i messaggi veicolati dalla pubblicità e dalla televisione;
    la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi e uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini; l'elemento chiave per prevenire tale fenomeno è il raggiungimento dell'uguaglianza di genere de iure e de facto;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell'11 maggio 2011 ad Istanbul, approvata il 28 maggio 2013 da parte di questo ramo del Parlamento con la ratifica ed esecuzione, si pone l'obiettivo di proteggere le donne da ogni forma di violenza e di contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione, promuovendo la concreta parità tra i sessi, ivi compreso il rafforzamento dell'autonomia e dell'autodeterminazione delle donne. Inoltre, la Convenzione mira a predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le donne vittime di violenza, anche sostenendo e assistendo le organizzazioni e le autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica;
    la mutilazione genitale femminile è forse uno degli atti più degradanti e pericolosi di quella «violenza domestica» che la Convenzione, il cui disegno di legge di ratifica è ora all'esame del Senato della Repubblica, si propone di contrastare, perché sempre praticata all'interno della famiglia e del quadro parentale più stretto e una delle forme più crudeli e lesive di violenza sulle donne, perché riguarda soprattutto le bambine, addirittura le neonate, ed ha risvolti fisici e psicologici che le segneranno per tutta la vita;
    le mutilazioni genitali femminili, praticate in diverse forme in molte parti del continente africano e in alcuni Paesi islamici dell'Asia, a seguito del fenomeno migratorio si sono diffuse anche in Europa ed in Nord America e, nonostante il 20 dicembre 2012 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite si sia pronunciata per la messa al bando universale di questa pratica vergognosa e terribile e nonostante l'approvazione nel nostro Paese di una legge, la n. 7 del 2006, in attuazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione e di quanto sancito dalla Dichiarazione e dal Programma di azione adottati a Pechino il 15 settembre 1995, l'infibulazione continua ad essere praticata in seno a comunità straniere, principalmente di origine africana e di cultura islamica, nel nostro Paese, che detiene, infatti, il più alto numero di donne infibulate rispetto a tutto il resto d'Europa;
    alla mancata efficacia della legge contro le mutilazioni non contribuiscono solo retaggi culturali e religiosi radicati in comunità chiuse, ma anche episodi di cronaca giudiziaria che finiscono con l'indebolire la credibilità del nostro Stato di diritto: proprio nel novembre 2012 la seconda sezione della corte d'appello di Venezia ha assolto con formula piena due genitori nigeriani condannati in primo grado in base alla legge n. 7 del 2006 per avere mutilato le proprie figlie;
    già nella XVI legislatura sono stati presentati diversi disegni di legge d'iniziativa dei deputati del gruppo Lega Nord, tra cui i progetti di legge nn. 611 e 666, quest'ultimo recante «Modifiche al codice penale concernenti la disciplina dei reati di violenza sessuale nell'ambito dei delitti contro la vita e l'incolumità individuale», approvato allora dalla Camera dei deputati, ma che, non avendo avuto la definitiva approvazione del Senato della Repubblica, verrà ripresentato anche nella XVII legislatura;
    è stato votato anche dalla Lega Nord, in condivisione con altre forze politiche, e introdotto finalmente nel codice penale con decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori», il reato di stalking, delitto previsto e disciplinato ora dall'articolo 612-bis del codice penale e punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni;
    per un efficace contrasto alla violenza nei confronti delle donne è necessario prevedere non solo pene severe, ma altresì assicurare l'effettività della pena, senza alcuno sconto o beneficio per chi si macchia di tali reati, sia per prevenire ma anche per dare effettiva tutela e ristoro alle vittime, dal che si evince l'assoluta inopportunità, ad esempio, di prevedere misure alternative e la messa in prova per i reati di cui all'articolo 612-bis del codice penale (stalking), così come, invece, previsto dalla proposta di legge n. 331 recante «Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti di irreperibili» in discussione presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati;
    la Corte costituzionale, con sentenza n. 265 del 2010, in riferimento all'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall'articolo 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, aveva ritenuto la parziale incostituzionalità della custodia cautelare in carcere obbligatoria per i reati di violenza sessuale; successivamente la Corte di cassazione ha assunto nel merito, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, decisioni anche discordanti (sentenza n. 4377 del 2012 e sentenza n. 15211 del 2012);
    molti Paesi, in cui è cresciuta la consapevolezza nella società civile e nelle istituzioni sull'effettiva natura del problema, ad oggi dispongono di osservatori e di raccolte che consentono di avere dati disaggregati delle violenze per genere, mentre nel nostro Paese gli unici dati disponibili sono quelli ricavati dalle notizie riportate nei giornali, dato che non esiste un osservatorio preposto a monitorare questo preoccupante e sommerso fenomeno. Il 14 luglio 2011 il Comitato Cedaw ha fatto richiesta all'Italia di fornire i dati sui femminicidi e il Governo italiano non è stato in grado di fornire tempestivamente questa risposta, a causa della mancanza di una raccolta ufficiale di tali dati,

impegna il Governo:

   a proseguire il programma diretto a contrastare il fenomeno della violenza sulle donne promuovendo il sostegno, anche attraverso appositi finanziamenti, della rete dei centri antiviolenza presenti sul territorio nazionale;
   a mettere in atto iniziative volte a promuovere la conoscenza e l'applicazione effettiva della normativa vigente in tema di tutela dei diritti umani e civili e di contrasto alla violenza sulle donne, in particolar modo attraverso la promozione di un programma di educazione e formazione ai diritti umani per tutti gli ordini di scuole;
   a promuovere la stesura di un codice di autoregolamentazione per la tutela della donna nella pubblicità, riconoscendo il principio della necessità e convenienza del rispetto e dell'applicazione di alcune regole da parte dell'intera categoria, al fine di combattere il problema degli stereotipi di genere, denunciato sia dal Parlamento europeo che dalla Conferenza mondiale delle donne dell'Onu;
   ad adottare tutte le misure utili a contrastare in modo concreto ed efficace la pratica della mutilazione genitale femminile nel nostro Paese, anche rafforzando le norme di legge attualmente in vigore, laddove abbiano lasciato uno spazio interpretativo sufficientemente ampio a rendere possibili sentenze che, di fatto, hanno considerato accettabile una pratica a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo barbara ed illegale;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza diretta a garantire celerità nei processi ed effettività della pena per chi si macchia di simili reati, senza alcun beneficio o sconto di pena e senza attenuanti legate alle pratiche culturali tradizionali e religiose;
   ad assumere iniziative normative volte a ridurre i profili di discrezionalità nelle decisioni di escludere la custodia cautelare in carcere per i reati già indicati nell'articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, pur nel rispetto delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale.
(1-00063) «Rondini, Molteni, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giovanni Fava, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Prataviera».


   La Camera,
   premesso che:
    il 29 gennaio 2001, sulla base della necessità di favorire un migliore equilibrio tra le diverse modalità di trasporto, in particolare nella zona sensibile delle Alpi, nel rispetto degli obiettivi e degli orientamenti contenuti nel Piano generale dei trasporti e della logistica in Italia, è stato siglato un accordo fra Italia e Francia per la realizzazione di un nuovo collegamento ferroviario misto merci-viaggiatori tra Torino e Lione, ratificato con la legge 27 settembre 2002, n. 28;
    l'asse ferroviario Lione-Torino-Milano-Venezia-Trieste, garantendo una significativa riduzione dei costi di attraversamento della tratta alpina e dei tempi di percorrenza e l'incremento, rispetto agli attuali standard, della qualità e dell'affidabilità del servizio offerto (passeggeri e merci), si prefigge di promuovere il riequilibrio modale a favore del trasporto ferroviario, mediante il quale sarà possibile perseguire una riduzione dell'inquinamento, nonché il miglioramento della sicurezza dei traffici;
    nell'ambito dello sviluppo di una rete ferroviaria europea, il corridoio mediterraneo mira ad assicurare la connessione tra il quadrante occidentale europeo e l'Europa centro-orientale, attraverso una rete transeuropea di merci e passeggeri, che, fungendo da contrappeso all'asse Reno-Danubio e da alternativa alle direttrici ovest-est più a nord (tra cui la Rotterdam- Kiev), favorisca gli scambi economici e rafforzi la competitività dei Paesi dell'Europa mediterranea;
    per quanto riguarda l'Italia, il corridoio mediterraneo rappresenta una delle principali reti a supporto del tessuto industriale, sia per la maggiore accessibilità sulla direttrice est-ovest, sia per la connessione, attraverso i nodi dislocati sul suo tracciato, con tutti i corridoi TEN-T passanti per l'Italia, ovvero il Genova-Rotterdam (attraverso i nodi di Milano e Novara), l'Helsinki-La Valletta (attraverso Verona) e il Baltico-Adriatico (presso Padova e Cervignano del Friuli), incrementando in questo modo la capacità di scambio con l'Europa e ampliando il bacino di riferimento dei principali gateway portuali localizzati in Italia, in particolare l'Arco del Nord Adriatico e l'Arco del Nord Tirreno;
    il 30 gennaio 2012 è stato firmato, dalle autorità politiche italiana e francese, l'accordo per la realizzazione e l'esercizio di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione, un protocollo addizionale al trattato di Torino del 2001, in cui si stabilisce la realizzazione della nuova linea Torino-Lione per fasi funzionali;
    il 31 gennaio 2013 è stato presentato presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici del Ministero delle infrastrutture e trasporti il progetto definitivo della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, approvato da Lyon Turin ferroviaire (LTF), società responsabile dell'opera;
    l'intero progetto, modificato come tracciato e modalità realizzative rispetto allo studio originario del 2005 in un'ottica di maggiore attenzione alle necessità del territorio, interessa complessivamente 112 comuni tra Lione e Torino. Tutti gli 87 comuni francesi e la maggioranza di quelli italiani non si sono opposti all'opera. I comuni italiani contrari sono circa una dozzina, ma, se si considerano quelli direttamente interessati dalla realizzazione di tratte in superficie e/o cantieri, sono solo due le amministrazioni esplicitamente contrarie (Chiusa San Michele e Sant'Ambrogio di Torino – 6.500 abitanti);
    le comunità locali disponibili al dialogo, direttamente o attraverso loro esperti, sono state partecipi di un confronto continuo durante l'intero processo di definizione delle scelte, dalle prime ipotesi di tracciato fino al progetto definitivo, ed è di fondamentale importanza che le parti coinvolte continuino a dialogare;
    l'Osservatorio Torino-Lione è stata la sede di questo confronto con 204 sedute (dal 12 dicembre 2006 al 29 gennaio 2013), 10 gruppi di lavoro e oltre 300 audizioni, di cui 65 internazionali, nel cui ambito sono state considerate 11 alternative di tracciato e alla fine è stato individuato il corridoio migliore, anche sulla base dei suggerimenti delle comunità locali raggruppate in 5 ambiti territoriali omogenei;
    l'attuale Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, onorevole Maurizio Lupi, ha manifestato grande attenzione al progetto, facendo visita ai cantieri dell'opera, esprimendo solidarietà agli operai e alle forze dell'ordine e partecipando, presso la regione Piemonte, alla riunione della task force operativa della Torino-Lione insieme alle istituzioni e agli enti locali interessati dalla tratta;
    pochi giorni fa, il 30 maggio 2013, il Cipe ha stabilito la rimodulazione delle risorse (10 milioni di euro) per la Valsusa come compensazione. La lista delle opere, condivisa da regione, provincia e comuni valsusini è piuttosto grande e vale circa 40 milioni di euro. Sarà, quindi, stilato un ordine di priorità per il finanziamento delle opere;
    nei prossimi giorni, il 13 giugno 2013 precisamente, sarà convocata la conferenza dei servizi per la verifica e l'approvazione del progetto definitivo della Torino-Lione;
    molti Paesi europei, fra cui Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svizzera, hanno sviluppato le linee ad alta velocità e nel resto del mondo anche Cina, Corea, Giappone e Turchia, con il favore di tutta la popolazione. In Francia la tratta ad alta velocità esiste dal settembre 1981: Parigi-Lione e il sistema Tgv hanno festeggiato, il 28 novembre 2003, il primo miliardo di passeggeri trasportati dall'inaugurazione del servizio; così come in Svizzera, da parecchi anni, si stanno scavando vari tunnel e costruendo viadotti per la realizzazione di una complessa rete ferroviaria ad alta velocità con il consenso di tutti i cittadini. Nel mondo, il nostro Paese è al settimo posto, come chilometri di ferrovia ad alta velocità in servizio, dopo Cina, Spagna, Giappone, Francia, Germania e Turchia;
    la linea Torino-Lione garantirà sensibili miglioramenti nei tempi di transito dei servizi ferroviari passeggeri, riducendo la distanza tra Milano e Lione, Parigi, Barcellona, Londra, Madrid, Bruxelles. Inoltre, la nuova linea ferroviaria mira ad adeguare la tecnica ferroviaria sulle direttrici transfrontaliere ai più moderni standard internazionali, eliminando le problematiche legate all'attraversamento in quota delle Alpi, attraverso la realizzazione di una linea di pianura con pendenza massima del 12 per cento e una sagoma ammessa tra le più elevate nel panorama dei tunnel ferroviari transalpini. Si stima che la nuova linea garantirà una riduzione media dei costi operativi ferroviari del 42 per cento fra Torino e Lione, grazie all'ottimizzazione del peso e della sagoma dei carichi, della lunghezza dei treni e del superamento della necessità di utilizzo dei locomotori di spinta nella tratta di attraversamento delle Alpi;
    è necessario dotare il nostro Paese di un'infrastruttura che, oltre all'ammodernamento del sistema Paese, porta indubbi benefici per i territori in cui si colloca, considerando l'aumento della competitività del Piemonte e delle regioni attraversate e i nuovi posti di lavoro derivanti da nuovi insediamenti industriali e dallo sviluppo della logistica,

impegna il Governo

a mettere in atto ogni azione necessaria, anche agevolando il dialogo fra le parti interessate, per garantire il prosieguo dei lavori volti alla realizzazione della nuova linea Torino-Lione, al contempo vigilando sui criteri e le modalità di ripartizione delle risorse compensative.
(1-00064) «Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giovanni Fava, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Marguerettaz, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    la violenza contro le donne è la violazione dei diritti umani più diffusa nel mondo e, anche nel nostro Paese, il fenomeno ha assunto, ormai da decenni, una dimensione drammatica;
    secondo i dati dell'Istituto nazionale di statistica, nel solo 2012, le donne che hanno subito violenze fisiche sono state quasi quattro milioni, e cinque milioni sono state vittime di violenza sessuale, mentre le donne vittime di omicidio da gennaio a dicembre del 2012 sono state 124, e da gennaio 2013 ad oggi sono già una quarantina;
    peraltro, questi dati sono assolutamente inferiori alla realtà, posto che ancora sono numerosissime le donne vittime di violenza che non sporgono una regolare denuncia, in particolar modo quando si tratta di violenza sessuale;
    nella maggior parte dei casi, inoltre, l'omicidio costituisce solo l'estrema conseguenza delle forme di violenza perpetrate ai danni delle donne, e non è un isolato incidente che arriva in maniera inaspettata e immediata, ma costituisce spesso l'ultimo efferato atto che pone fine ad una serie di violenze continuate nel tempo, che quasi nell'ottanta per cento dei casi si consuma all'interno delle mura domestiche, per mano di mariti, conviventi e fidanzati, magari divenuti nel frattempo ex;
    il legame tra la vittima e l'aguzzino, sia quello di natura psicologica ed affettiva, sia quello di natura economica, è uno degli elementi che rendono difficoltoso per le vittime sporgere denuncia e per il sistema giudiziario perseguire i reati;
    a ciò si aggiunge la questione della lunghezza dei tempi dei procedimenti giudiziari, che fanno sì che le violenze, anche quando tempestivamente denunciate, non sono, purtroppo, quasi mai perseguite in modo efficace;
    a tutto ciò si aggiunge un problema di tipo culturale, per cui in molti Paesi del mondo la violenza sulle donne è un fenomeno non solo tollerato, ma sostenuto sulla base di usi antichi che non riconoscono alla donna dignità sociale pari a quella riconosciuta agli uomini;
    si pensi, in questo ambito, e a mero titolo esemplificativo, alla questione delle mutilazioni genitali femminili: secondo l'Organizzazione mondiale della sanità le vittime di questo tipo di pratica sono state tra cento e centoquaranta milioni di donne, tre milioni di donne le subiscono ogni anno, pari ad una media di ben ottomila ragazze al giorno;
    nel giugno del 2012, in occasione della presentazione alle Nazioni Unite del primo rapporto tematico sul femminicidio, la Relatrice speciale dell'Onu ha avuto modo di affermare che, «culturalmente e socialmente occultate, queste diverse manifestazioni di violenza basate sul genere continuano a essere accettate, tollerate o giustificate, e l'impunità è la regola. Con riguardo agli omicidi basati sul genere, è veramente carente l'assunzione di responsabilità da parte degli Stati nell'agire con la dovuta diligenza per la promozione e protezione dei diritti delle donne»;
    in Italia già a partire dagli anni ’90 si è cominciato ad affrontare il fenomeno della violenza contro le donne, e nel corso di un decennio sono state adottate alcune riforme e innovazioni legislative di grande importanza: nel 1996 con la nuova legge contro la violenza sessuale, nel 1998 con l'adozione delle norme contro lo sfruttamento della prostituzione, la pornografia e il turismo sessuale, nel 2001 con le misure contro la violenza nelle relazioni familiari e, infine, nel 2008 con l'adozione di una normativa contro il fenomeno degli atti persecutori (stalking);
    le nuove norme sono state accompagnate, negli anni, dall'istituzione dei centri di ascolto e di aiuto per le donne in difficoltà, e nella XVI legislatura è anche stato adottato il Piano nazionale antiviolenza;
    il nostro Paese si appresta a fare un ulteriore passo lungo questo percorso con la ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, approvata dalla Camera dei deputati il 28 maggio 2013;
    il valore fondamentale della Convenzione è rappresentato dal fatto che costituisce il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, e questo è ancora più di rilievo se si considera che la firma della Convenzione è aperta anche agli Stati non membri del Consiglio d'Europa;
    questo, infatti, permette che il quadro di norme volte a proteggere le donne contenuto nella Convenzione, un quadro incentrato sulla prevenzione, sulla protezione delle vittime e sul perseguimento dei trasgressori, possa trovare, si spera, applicazione anche in Paesi in cui la legislazione in materia è meno avanzata;
    la Convenzione dispone che siano inseriti negli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati aderenti fattispecie di reato che coprano ogni manifestazione di violenza contro le donne, e, in particolare, che siano sanzionati ogni tipo di violenza contro le donne, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali, lo stalking, le violenze fisiche, psicologiche e sessuali, ed è altresì prevista la creazione di un sistema di monitoraggio;
    appare, peraltro, di particolare rilievo il fatto che la Convenzione rivolge la propria attenzione alle donne di tutte le età e, quindi, anche a quelle ancora più indifese, quali le bambine e le adolescenti;
    ancora, la Convenzione offre un approccio culturale al problema, un fatto nuovo e di grande importanza, perché per la prima volta la Convenzione consente di affrontare la questione in un'ottica globale, sancendo che non è necessario soltanto armonizzare la normativa nelle nazioni e tra le nazioni, ma che occorre stabilire con forza il principio universale che la violenza contro le donne, di qualunque genere sia, è e rimane una violazione dei diritti umani e che, in nessun caso, può essere coperta, mistificata, giustificata o banalizzata;
    con la risoluzione n. 54/134 del 17 dicembre 1999, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e ha invitato i Governi, le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative impegnate su questo fronte ad organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica in quel giorno,

impegna il Governo:

   a mantenere alta l'attività di contrasto a questa inaccettabile forma di violenza, anche attraverso la razionalizzazione e la semplificazione del quadro giuridico, affinché ogni sua manifestazione possa essere perseguita in modo efficace e tempestivo;
   in questo quadro, ad agevolare, nell'ambito delle proprie competenze, la rapida attuazione della Convenzione di Istanbul, sia per quanto attiene l'adeguamento del sistema normativo, sia per quanto attiene al fattore culturale ed a quello, strettamente legato ad esso, della prevenzione dei reati;
   a prevedere, nell'ambito del recepimento della Convenzione, un apposito ed adeguato stanziamento di bilancio, che consenta di approntare le misure necessarie a combattere il fenomeno della violenza contro le donne su tutto il territorio nazionale;
   a prevedere un sistema di monitoraggio che consenta di creare un collegamento tra tutte le iniziative poste in essere sotto il profilo della prevenzione e del primo aiuto alle vittime, anche coinvolgendo le aziende sanitarie locali, al fine di poter approntare i più efficaci strumenti operativi a contrasto del fenomeno;
   ad accogliere l'invito formulato dall'Assemblea generale dell'ONU, celebrando la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, con manifestazioni sul territorio nazionale e iniziative di sensibilizzazione al tema, affinché anche le vittime di violenza, che sinora non hanno trovato il coraggio di denunciare i propri aggressori, possano trovare la spinta per farlo;
   a sostenere, nelle opportune sedi internazionali, l'approvazione e la ratifica della Convenzione d'Istanbul nelle aree del mondo in cui non esiste ancora alcuna norma a protezione delle donne, delle ragazze e delle bambine, affinché la Convenzione possa divenire uno strumento il più possibile diffuso e condiviso, e raccogliendo la sfida di avvicinare una parte sempre maggiore del mondo alla cultura del rispetto anche per le donne.
(1-00065) «Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Rampelli, Taglialatela, Totaro».

Risoluzione in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    con il termine amianto si comprende un gruppo di sei minerali silicatici (i.e. crisotilo, crocidolite, amosite, tremolite, actinolite, antofillite) che si ritrovano naturalmente nelle rocce ed, a causa della loro aspetto asbestiforme (i.e. cristalli fibrosi con lunghezza superiore od uguale a 5 μ e rapporto di allungamento (L : D) maggiore od uguale a 3 : 1), sono considerati tra i materiali naturali più pericolosi per l'essere umano;
    la loro pericolosità consiste, come riconosciuto dalle autorità sanitarie e da ricerche medico-scientifiche, nella capacità di rilasciare fibre potenzialmente inalabili che penetrando nella profondità dei polmoni possono provocare gravi malattie come asbestosi, mesiotelioma a carcinoma polmonare;
    fino agli anni novanta purtroppo i materiali amiantiferi hanno avuto un grande utilizzo nell'industria perché la loro struttura fibrosa resiste al fuoco e al calore, all'azione di agenti chimici e biologici, all'abrasione e all'usura, hanno un'alta resistenza meccanica ed un'alta flessibilità, presentano proprietà fonoassorbenti e termoisolanti e si legano facilmente con materiali da costruzione (calce, gesso, cemento) e con alcuni polimeri (gomma, PVC). Per anni sono stati considerati materiali versatili a basso costo, e sono stati utilizzati per la preparazione di materiali quali cemento-amianto, termo e fono isolanti, tessili per l'edilizia sia pubblica che privata;
    solo a seguito di ricerche medico-scientifiche ed al crescente insorgere di patologie polmonari gravi, riscontrate già a partire degli anni ottanta, a carico dei lavoratori del settore con alta esposizione alle fibre di amianto, la comunità tutta ha iniziato a ritenere l'utilizzo e l'esposizione – professionale e non – alle fibre di amianto un grave pericolo per la salute umana ed a considerare l'amianto un contaminante ambientale;
    sulla base di queste considerazioni, oltre alla legge numero 257 del 1992, ha vietato nel nostro paese l'estrazione, l'importazione, l'esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, sono stati emanati alcuni decreti e circolari applicative con l'obiettivo di gestire il potenziale pericolo derivato dalla presenza di amianto negli edifici, manufatti e coperture;
    le metodologie di bonifica tradizionali da materiali amiantiferi, previste dalla legge n. 257 del 1992 e dal relativo decreto ministeriale 6 settembre 1994, comportano interventi specializzati, che molto spesso per l'alto costo richiesto non vengono effettuati con tempismo e consistono in: (i) rimozione dei materiali di amianto e loro conferimento in discariche speciali, (ii) incapsulamento e (iii) confinamento. La messa in sicurezza dei rifiuti derivanti dalla rimozione (i) è sempre più problematica per diversi motivi tra cui la difficoltà a rendere sostenibile per l'ambiente la creazione di nuove discariche dedicate e le difficoltà economiche che i gestori di discariche dovrebbero sopportare per l'adeguamento alla nuova normativa;
    il decreto del 29 luglio 2004 n. 248 ha introdotto ulteriori possibilità di recupero dei rifiuti contenenti amianto definendo i trattamenti e i processi che conducono alla totale trasformazione cristallochimica dell'amianto (i.e. pirolisi, carbonatazione). Tali trattamenti, se adeguatamente realizzati, permettono di evitare il conferimento in discarica e il riutilizzo del prodotto trattato;
    secondo quanto denunciato dal Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) nel 2002, dalle associazioni ambientaliste e dalla Associazione italiana esposti amianto sono più di 32 milioni le tonnellate di amianto nel paese (per un totale di 8 milioni di metri cubi) ed oltre 34 mila i siti da bonificare;
    sempre secondo quanto dichiarato dalle associazioni ambientaliste e dalla «Associazione Italiana Esposti Amianto, la bonifica dei siti contaminati “procede lentamente” tanto che “ai ritmi attuali dovremmo convivere con l'amianto almeno fino al 2100”»;
    nel novembre 2012 si è svolta a Venezia la seconda Conferenza governativa nazionale sull'amianto, nel corso della quale sono stati indicati gli obiettivi da perseguire in questa nuova e ultima fase della lotta per la completa eliminazione della fibra killer dall'Italia;
    il ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Corrado Clini, nel corso della conferenza governativa, parlò di 40mila siti censiti in Italia con rilevanti tracce di amianto, di questi almeno 400 importanti dal punto di vista della contaminazione; 2 miliardi e mezzo di metri quadrati di coperture ancora da bonificare e quasi 16mila mesoteliomi maligni rilevati in Italia tra il 1993 e il 2008;
    secondo l'ufficio internazionale del lavoro, sono circa 120.000 i decessi causati nel mondo ogni anno da tumori provocati dall'esposizione all'amianto e sono circa 4.000 quelli risultanti in Italia;
    nei prossimi decenni, stante il lungo periodo di latenza della malattia, che può anche superare i 30 anni, si avrà, anche in Italia, un ulteriore forte incremento dei decessi provocati dall'amianto, incremento che raggiungerà l'apice tra il 2015 e il 2025 (e, secondo alcuni esperti, addirittura nel 2040);
    il 14 marzo 2013 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulle minacce per la salute legate all'amianto e sulle prospettive di eliminazione di tutto l'amianto esistente; si tratta di un importante atto del Parlamento europeo a favore del riciclo del rifiuto amianto; nella risoluzione si afferma che il conferimento dei rifiuti di amianto in discarica non è il sistema più sicuro per eliminare definitivamente il rilascio di fibre di amianto nell'ambiente, in particolare nell'aria e nelle acque di falda;
    nel mese di aprile 2013 è stato presentato il Piano nazionale amianto. In tale documento si rimarca il rischio di mesotelioma dovuto anche all'attività non professionale come ad esempio «l'esposizione ambientale o paraoccupazionale»;
    proprio per avviare concrete politiche di smaltimento il decreto-legge n. 83 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge numero 134 del 2012, all'articolo 11, ha introdotto la possibilità di detrarre del 50 per cento gli oneri per le opere di ristrutturazione e di efficientamento energetico che riguardano anche la bonifica dell'amianto. Tale detrazione copre un tetto massimo di spesa fino a 96.000 euro;
    la detrazione del 50 per cento per la bonifica amianto è attiva dal 23 giugno 2012 e terminerà il 30 giugno 2013;
    alla luce di quanto esposto in premessa appare evidente la necessità di prorogare, se non stabilizzare, tale detrazione soprattutto per promuovere ed incentivare la bonifica degli edifici dall'amianto, sia con metodologie tradizionali che con nuovi metodi di trasformazione definitiva dell'amianto (tramite pirolisi o carbonatazione) e tutelare la salute pubblica;
    il 15 maggio 2013 la Commissione ambiente della Camera dei Deputati ha approvato un documento che promuove politiche di incentivazione per gli investimenti in edilizia di qualità: in particolare la risoluzione (numero 8-00001) che impegna il Governo, tra l'altro, a rafforzare le politiche ambientali e a favorire l'edilizia di qualità ed energeticamente efficiente attraverso iniziative dirette alla riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare, in particolare assumendo iniziative dirette a dare stabilità, se non ad incrementare, all'agevolazione fiscale del 55 per cento per l'efficientamento energetico degli edifici, in scadenza il 1o luglio 2013 (secondo quanto dispone l'articolo 11 del decreto-legge numero 83 del 2012);
    esponenti del Governo hanno già manifestato la necessità di prorogare gli incentivi previsti dall'articolo 11 del decreto-legge numero 134 del 2012, sia l'articolo 11 del decreto-legge numero, 83 del 2012;
    va inoltre segnalato come le politiche incentivazione per gli investimenti in edilizia di qualità hanno rappresentato un importante volano per la ripresa economica ed occupazionale del nostro paese, aggravata dalla recessione ancora in atto,

impegna il Governo

a stabilizzare, nel primo provvedimento utile ed alla luce di quanto esposto in premessa, l'agevolazione fiscale per le opere di ristrutturazione e di efficientamento energetico che riguardano la bonifica dell'amianto (introdotta dall'articolo 11 della legge numero 134 del 2012), sia con metodi tradizionali che con trasformazione definitiva dell'amianto (tramite pirolisi o carbonatazione), in scadenza il 30 giugno 2013, al fine di tutelare la salute dei cittadini e promuovere politiche efficaci per l'edilizia di qualità capaci di dare impulso all'economia ed all'occupazione del settore.
(7-00028) «Fregolent, Dallai, Realacci, Borghi, Mariastella Bianchi, Braga, Bratti, Cenni, Mariani, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   ha suscitato numerose polemiche il grave episodio di discriminazione sessuale a Jesolo, dove in prossimità dell'estate 2013 nessuna donna potrà lavorare come beach steward. Sarà vietato assumerle in base alla decisione presa dal presidente di Federconsorzi, associazione che raggruppa i gestori dell'arenile jesolano, che ne ha dato nei giorni scorsi notizia;
   la sicurezza in spiaggia dovrà essere garantita da soli uomini in quanto gli immigrati islamici non accettano di essere rimproverati da donne. La decisione è stata presa dal presidente di Federconsorzi, Renato Cattai, per impedire che venga offesa la religione islamica;
   il presidente Cattai afferma che: «Nel 2012 le ragazze hanno svolto benissimo il loro compito, ma abbiamo rilevato che in vari casi sono state motivo di tensione con gli immigrati e non certo per colpa delle operatrici»;
   si sono verificate diverse aggressioni nel corso dell'estate 2012. Come esempio vale quello di un ambulante islamico che aveva preso a schiaffi una beach steward che lo aveva invitato a uscire dalla spiaggia secondo i regolamenti. Il compito di queste persone è quello di controllare lo svolgimento delle attività delle bagnanti dando una mano ai bagnini nel controllo delle spiagge, come avvisare ambulanti e massaggiatori abusivi che è vietata la sosta nelle zone in concessione, rintracciare i genitori di bambini smarriti in collaborazione con i bagnini di terra e di salvataggio;
   per il 2013, pertanto, verranno assunti 50 beach steward, solo uomini. In questo grave momento di crisi che vede colpiti soprattutto le donne e i giovani, una penalizzazione in tal senso contribuirebbe ad aumentare il loro stato di disagio socio-economico oltre a rappresentare una violazione degli obiettivi di Lisbona incentrati sulla realizzazione del 60 per cento dell'occupazione femminile –:
   quali iniziative urgenti intendano porre in essere – a maggior ragione in questo grave momento di crisi occupazionale, che vede colpite soprattutto le donne – e atte ad impedire che si infierisca ulteriormente spinti da discriminazioni sessuali su oneste giovani lavoratrici, che negli anni passati hanno dato prova di serietà ed impegno;
   quali iniziative si intendano prendere per impedire che situazioni simili, come quella di Jesolo citata in premessa, possano ripetersi in futuro a grave danno di frange giovani di popolazione, che in alcune località balneari, puntano in modo particolare sui guadagni del periodo estivo.
(3-00092)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si è tenuto lo scorso 29 maggio 2013 l'ultimo di un pacchetto di tre scioperi dei lavoratori della Sea e Sea Handling, che protestano contro la maxi multa di 360 milioni di euro comminata dalla Commissione europea;
   156 voli cancellati tra Linate e Malpensa, terminal semideserti, disagi per i passeggeri nonostante fossero stati avvertiti dalle rispettive compagnie con largo anticipo, e due presidi, uno sotto la sede milanese della prefettura, in corso Monforte e l'altro sotto la sede milanese della Commissione europea;
   scopo della protesta è tenere alta l'attenzione del Governo italiano sul rischio di fallimento cui la Sea Handling andrebbe incontro se dovesse inserire a bilancio i 360 milioni di euro, più interessi, come stabilito dalla Commissione europea;
   il fallimento comporterebbe la perdita di oltre duemila posti di lavoro, visto che per far fronte alla sanzione la Sea dovrebbe mettere in liquidazione la società interamente controllata, attiva nel servizio di movimentazione dei bagagli nei due scali;
   al momento il TAR della Lombardia ha accolto il ricorso presentato dal comune di Milano, socio di maggioranza con il 54,81 per cento di Sea, sospendendo il pagamento della maxi multa, mentre è attesa per i primi di giugno la pronuncia del tribunale europeo in merito alla richiesta di sospensiva fatta da Roma;
   se la posizione della Commissione europea non cambia, il rischio per l'Italia è di essere considerata inadempiente da Bruxelles, che potrebbe deferirci alla Corte di giustizia europea, con conseguente procedura di infrazione e possibili multe –:
   se ed in quali termini il Governo pensi di risolvere la vicenda di cui in premessa e salvaguardare al contempo migliaia di posti di lavoro. (5-00229)

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 maggio 2013, il giornale Il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo a firma Elisabetta Reguitti dal titolo «La crisi economica a Brescia si mangia anche i 5 Stelle» con sottotitolo «nella città di Vito Crimi la candidata M5S è data sotto il 10 per cento»;
   in tale articolo, pubblicato in periodo di silenzio elettorale e nella prima giornata di elezioni, si fa preciso riferimento a sondaggi pre-voto che riguarderebbero il Movimento 5 Stelle relativamente alla elezioni amministrative di Brescia, e si indica anche la mancata possibilità da parte del Movimento 5 Stelle stesso e del suo candidato sindaco, Laura Gamba, definita «lontana dalla doppia cifra percentuale», di raggiungere voti sufficienti, per un eventuale ballottaggio, indicando, infine, «verso il ballottaggio i democratici e pidiellini»;
   ad avviso dell'interrogante la diffusione di tale notizia rappresenta un episodio di mancato rispetto delle norme vigenti in materia di silenzio elettorale –:
   se il Governo non intenda assumere un'iniziativa normativa diretta a chiarire senza alcun dubbio che il divieto di diffusione dei sondaggi riguarda anche notizie come quella descritta in premessa.
(4-00671)

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRATAVIERA e GIANLUCA PINI. — Al Ministro per gli affari europei, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Corte europea dei diritti dell'uomo ha confermato la condanna emessa l'8 gennaio 2013 contro l'Italia, in ragione del trattamento degradante inflitto alla sua popolazione carceraria;
   nel dispositivo, si intima all'Italia di provvedere a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario entro un anno e di corrispondere nel frattempo ai promotori della causa presso la Corte di Strasburgo una somma risarcitoria pari a centomila euro;
   l'arco di tempo previsto dalla Corte è chiaramente insufficiente al varo e completamento del vasto piano di edilizia carceraria che occorrerebbe mettere in campo per assicurare ai detenuti spazi più ampi e condizioni di vita dignitose;
   una numero molto elevato della popolazione carceraria è tuttavia costituita da detenuti comunitari, 4.995 su 65.917;
   il rimpatrio dei detenuti comunitari nei rispettivi stati membri di origine permetterebbe di ricondurre la popolazione carceraria entro i limiti della capienza effettivamente disponibile nei centri di custodia –:
   se il Governo intenda o meno attivarsi per creare le condizioni che permettano in tempi brevi di trasferire nei rispettivi Stati membri di origine, affinché possano ivi scontarvi la pena loro inflitta, i detenuti comunitari attualmente in custodia nelle carceri italiane. (5-00226)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stato (legge di stabilità 2013)» ha introdotto una serie di disposizioni che disciplinano il trattamento IVA per le prestazioni socio assistenziali, allo scopo di adeguare la normativa vigente alle disposizioni della Unione europea ed in particolare alla fattispecie di cui all'articolo 110 della direttiva 2006/112/CE;
   l'articolo 110 della direttiva 2006/112/CE stabilendo che «gli Stati membri che al 1o gennaio 1991 accordavano esenzioni con diritto a detrazione dell'IVA, pagata nella fase precedente, o applicavano aliquote ridotte inferiori al minimo prescritto dall'articolo 99 possono continuare ad applicarle» introduce una clausola di salvaguardia prevedendo che le aliquote inferiori al 5 per cento possano essere mantenute all'interno dei singoli ordinamenti nazionali solo se già applicabili alle operazioni effettuate al 1o gennaio 1991; le cooperative sociali, pur essendo state disciplinate dalla legge 8 novembre 1991, n. 381, operavano di fatto già in precedenza e per le prestazioni rese prima dell'entrata in vigore della stessa legge n. 381 del 1991 e fatturate successivamente hanno applicato l'aliquota IVA al 4 per cento;
   i commi 488, 489 e 490 dell'articolo 1 della legge 17 dicembre 2012, n. 228, hanno modificato la disciplina ai fini dell'imposta sul valore aggiunto delle prestazioni di assistenza e sicurezza sociale rese dalle cooperative e dai loro consorzi contenuta nel n. 41-bis della Tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;
   il comma 488 ha disposto l'abrogazione del citato n. 41-bis, che prevede l'applicazione dell'aliquota agevolata del 4 per cento alle «prestazioni sociosanitarie, educative, comprese quelle di assistenza domiciliare o ambulatoriale o in comunità e simili o ovunque rese, in favore degli anziani ed inabili adulti, di tossicodipendenti e malati di AIDS, degli handicappati psicofisici, dei minori, anche coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza, rese da cooperative e loro consorzi, sia direttamente che in esecuzione di contratti di appalto e di convenzioni in generale»;
   il comma 488 ha, altresì, introdotto nella parte III della medesima Tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il n. 127-undevicies, ai sensi del quale sono ora soggette all'aliquota del 10 per cento le prestazioni di cui ai numeri 18), 19), 20), 21) e 27-ter dell'articolo 10, primo comma, rese in favore dei soggetti indicati nello stesso numero 27-ter da cooperative sociali e loro consorzi in esecuzione di contratti di appalto e di convenzioni in generale. In base al disposto del predetto comma, possono applicare l'aliquota ridotta del 10 per cento sulle prestazioni sociali solo le cooperative sociali e loro consorzi e non più anche le cooperative generiche. L'aliquota del dieci per cento si rende applicabile, inoltre, alle sole prestazioni rese dalle cooperative sociali in esecuzione di contratti di appalto e convenzioni, e non anche a quelle eseguite direttamente;
   le prestazioni indicate nei predetti articoli 18), 19), 20), 21) e 27-ter sono le seguenti:
    18) le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell'esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell'articolo 99 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, ovvero individuate con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
    19) le prestazioni di ricovero e cura rese da enti ospedalieri o da cliniche e case di cura convenzionate nonché da società di mutuo soccorso con personalità giuridica e da ONLUS, compresa la somministrazione di medicinali, presidi sanitari e vitto, nonché le prestazioni di cura rese da stabilimenti termali;
    20) le prestazioni educative dell'infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l'aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da ONLUS, comprese le prestazioni relative all'alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, ancorché fornite da istituzioni, collegi o pensioni annessi, dipendenti o funzionalmente collegati, nonché le lezioni relative a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale;
    21) le prestazioni proprie dei brefotrofi, orfanotrofi, asili, case di riposo per anziani e simili, delle colonie marine, montane e campestri e degli alberghi e ostelli per la gioventù di cui alla legge 21 marzo 1958, n. 326, comprese le somministrazioni di vitto, indumenti e medicinali, le prestazioni curative e le altre prestazioni accessorie;
    27-ter) le prestazioni socio-sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in comunità e simili, in favore degli anziani ed inabili adulti, di tossicodipendenti e di malati di AIDS, degli handicappati psicofisici, dei minori anche coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza, rese da organismi di diritto pubblico, da istituzioni sanitarie riconosciute che erogano assistenza pubblica, previste all'articolo 41 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, o da enti aventi finalità di assistenza sociale e da ONLUS;
   il comma 489 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, ha disposto quanto segue: «489. All'articolo 1, comma 331, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, il primo e il secondo periodo sono soppressi». Il comma 489 ha previsto, dunque, la soppressione del primo e secondo periodo dell'articolo 1, comma 331, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che in via interpretativa estendeva l'aliquota agevolata del 4 per cento contenuta nel citato numero 41-bis della tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 anche alle prestazioni sopra elencate (di cui ai numeri 18), 19), 20), 21) e 27-ter dell'articolo 10) rese nei confronti dei soggetti indicati nel n. 41-bis, e, in generale, da qualunque tipo di cooperativa e loro consorzio, sia direttamente che nei confronti del destinatario finale, sia in esecuzione di contratti di appalto e convenzioni;
   il medesimo articolo consentiva, altresì, alle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381 (ONLUS di diritto), di optare per la previsione di cui all'articolo 10, comma 8, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, ossia di beneficiare del regime fiscale più favorevole;
   il comma 490 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, ha disposto l'entrata in vigore di nuove disposizioni che si applicheranno «alle operazioni effettuate sulla base di contratti stipulati dopo il 31 dicembre 2013». In particolare, il comma 490 così recita: «Le disposizioni dei commi 488 e 489 si applicano alle operazioni effettuate sulla base di contratti stipulati dopo il 31 dicembre 2013»; la circolare dell'Agenzia delle entrate n. 12/E del 2013, inoltre, sulla base del disposto del comma 490 che dispone l'applicazione dell'attuale sistema impositivo relativamente alle operazioni compiute in base ai contratti stipulati dopo il 31 dicembre 2013, facendo leva sull'interpretazione letterale della novella in questione, prescrive che fino a quando sarà efficace un contratto stipulato precedentemente a tale data, continuerà ad applicarsi l'aliquota del 4 per cento. Ai rinnovi – espressi o taciti – nonché alle proroghe di contratti già in essere tra le parti successive alla predetta data del 31 dicembre 2013 si applica il nuovo regime;
   diversamente da quanto disposto dalle nuove disposizioni di cui alla legge 24 dicembre 2012, n. 228, la precedente normativa consentiva alle cooperative di erogare le prestazioni socio-sanitarie, assistenziali ed educative (fornite direttamente da cooperative ovvero in base a contratti di appalto e convenzioni) secondo due diversi tipi di trattamento ai fini IVA, In particolare:
    a) le prestazioni erogate da cooperative e loro consorzi erano soggette all'aliquota ridotta del quattro per cento di cui a n. 41-bis;
    b) le prestazioni erogate dalle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381 ed i loro consorzi, in quanto ONLUS di diritto ai sensi dell'articolo 10, comma 8, del decreto legislativo n. 460 del 1997, potevano applicare sia il regime imponibile con l'aliquota agevolata sia il regime di esenzione;
   per effetto delle nuove disposizioni viene meno la possibilità per le cooperative sociali di cui alla legge n. 381 del 1991 ed i loro consorzi di esercitare l'opzione per il regime IVA applicabile alle prestazioni rese che ora è necessariamente di imponibilità –:
   se nelle intenzioni del Governo rientri la volontà di assumere iniziative normative per il ripristino delle precedenti aliquote IVA al quattro per cento per le prestazioni socio assistenziali di cui alla Tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, parte III, articoli 18), 19), 20), 21) e 27-ter;
   se nelle intenzioni del Governo rientro la volontà di intervenire presso le competenti autorità dell'Unione europea ai fini della cessazione degli effetti della normativa in questione in considerazione dell'applicabilità alle citate fattispecie della clausola di salvaguardia, di cui all'articolo 110 della direttiva 2006/112/CE, derivante dal fatto che le prestazioni socio-sanitarie ed educative rese da cooperative sociali e loro consorzi nei confronti di soggetti svantaggiati, già alla data del 1o gennaio 1991, beneficiavano dell'aliquota agevolata.
(2-00069) «Matarrese, Causin, Piepoli, Monchiero, D'Agostino, Sottanelli, Rabino».

Interrogazioni a risposta scritta:


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del 25 giugno 2012, il Ministro dell'economia e delle finanze ha stabilito le modalità di certificazione, anche in forma telematica, dei crediti relativi a somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, da parte delle regioni, degli enti locali e degli enti del servizio sanitario nazionale, ai sensi dell'articolo 9, commi 3-bis e 3-ter, del decreto-legge n. 185 del 2008;
   il suddetto decreto ministeriale, all'articolo 3, comma 3, stabilisce che la certificazione non può essere rilasciata qualora risultino procedimenti giurisdizionali pendenti, per la medesima ragione di credito;
   ad avviso dell'interrogante, è necessario distinguere i procedimenti giudiziari volti all'accertamento del credito dai procedimenti esecutivi diretti a soddisfare la pretesa del creditore, diretti cioè alla realizzazione coattiva di un risultato pratico in adempimento di un obbligo giuridico;
   l'articolo 474 del codice di procedura penale, al primo comma, stabilisce che l'esecuzione forzata può avere luogo solo in virtù di un titolo esecutivo che abbia ad oggetto un diritto certo, liquido ed esigibile;
   il titolo esecutivo, dunque, è un documento che dichiara l'esistenza di un diritto di credito in capo ad un soggetto, e in base a queste caratteristiche intrinseche del titolo stesso, la legge fonda su di esso la possibilità di azionare la procedura esecutiva per soddisfare il diritto che il debitore non ha spontaneamente assolto –:
   se non ritenga opportuno e necessario ammettere a certificazione i crediti oggetto di procedimento esecutivo, in quanto certi, liquidi ed esigibili e chiarire la portata dell'espressione «procedimenti giurisdizionali in corso». (4-00673)


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel recente rapporto la spesa pubblica in Italia e in Europa, di Pietro Monsurrò, associato dell'istituto Bruno Leoni, si giunge alla conclusione che se l'Italia allineasse la propria spesa pubblica, in proporzione al prodotto interno lordo, ai livelli della Germania, si troverebbero le risorse per abolire l'Irap e ridurre del 10-15 per cento l'Irpef;
   secondo lo studio in titolo, il nostro Paese spende tanto e male, dato che ad un eccesso di spesa pubblica corrisponde un'inefficienza dal punto di vista qualitativo: i cittadini ricevono servizi a un prezzo eccessivo e di qualità scarsa; come tutti gli investimenti economici la spesa pubblica ha rendimenti marginali decrescenti: superata una certa soglia i rendimenti sono inferiori alle risorse investite; l'Italia ha una bassa qualità di spesa: di conseguenza il livello ottimale di spesa pubblica diventa inferiore, perché lo Stato non risulta capace di produrre beni e servizi utili ad un costo ragionevole;
   nel 2010 la spesa pubblica in Italia ammontava al 50,4 per cento del prodotto interno lordo contro il 47,9 per cento della Germania, il 56,6 per cento della Francia, il 50,2 per cento della Grecia, il 45,6 per cento della Spagna ed una media dell'Unione europea a 15 del 51,1 per cento;
   tuttavia scorporando i dati, si ottengono risultati anche paradossali: per quanto riguarda la protezione dell'ambiente, per esempio, l'Italia spende il doppio della Germania per la gestione rifiuti (lo 0,4 del prodotto interno lordo contro lo 0,2 per cento tedesco); stessa situazione a proposito di spesa e qualità di servizi per la sanità, che in Italia rappresentano il 7,6 per cento del prodotto interno lordo contro il 7,2 per cento in Germania; analoghe considerazioni valgono per i trasporti (1,7 per cento in Germania, 2 per cento in Italia);
   lo studio conclude che, siccome in nessun ambito, dalla sanità all'istruzione, la Germania è inferiore all'Italia dal punto di vista della qualità del servizio, queste spese in eccesso sono in buona parte definibili come sprechi, non hanno una giustificazione economica e gravano, in termini di tasse e debito, sull'intera economia; di conseguenza, allineando la spesa pubblica a quella tedesca, introducendo incentivi che migliorino la qualità dei servizi pubblici e riducendo il debito attraverso una forte politica di privatizzazioni, si potrebbe risparmiare su base annua 50-60 miliardi di euro, sufficienti ad abolire l'Irap (che ha un gettito pari a 33 miliardi) e tagliare l'Irpef del 10-15 per cento;
   una tale azione avrebbe effetti positivi non solo sulle imprese, ma anche sulle fasce di contribuenti a basso reddito, grazie al taglio delle imposte sulla persona fisica e ad un conseguente stimolo economico per le fasce attive della popolazione –:
   quale sia l'orientamento del Governo rispetto alle considerazioni esposte in premessa e quali siano le azioni in corso per l'applicazione dell'analisi costi-benefici alla spesa pubblica. (4-00675)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FIANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   presso il carcere di Rossano Calabro (Cosenza) si è verificata, in data 26 maggio 2013, una rissa tra detenuti che ha visto ben otto feriti, di cui alcuni ricoverati in condizioni abbastanza gravi;
   le organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria hanno denunciato che, purtroppo, questo non è il primo caso che si verifica nella struttura;
   va aggiunto che a rendere ancora più grave la situazione in Calabria vi è l'assenza del provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria la cui nomina del titolare è attesa da tempo –:
   se e quando il Ministro intenda provvedere alla nomina del nuovo provveditore dell'amministrazione penitenziaria in Calabria, in considerazione della drammatica situazione carceraria, come testimoniato anche da quanto accaduto presso il penitenziario di Rossano Calabro. (5-00227)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   DELL'ORCO, NICOLA BIANCHI, DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI e LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 27 luglio del 2005 fu sottoscritto un accordo procedimentale tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la regione Emilia-Romagna, la provincia di Bologna e il Comune di Bologna per la realizzazione del «Passante autostradale nord». L'opera, inserita tra le infrastrutture strategiche a livello nazionale e attualmente ancora in fase di progetto preliminare, può essere sinteticamente descritta come un semianello autostradale di collegamento con le autostrade A1, A13 e A14 da costruirsi a nord della città di Bologna per oltrepassarla senza immettersi nel contesto di viabilità cittadina della tangenziale;
   l'idea di quest'opera nacque già nel 2002 e maturò nell'ambito del Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) della provincia di Bologna con l'intento di alleggerire e ammodernare il sistema territoriale felsineo. Lo studio di fattibilità per la riorganizzazione del sistema autostradale-tangenziale bolognese risale al 2003 e fu aggiornato nel 2004. Si descriveva il sistema viario territoriale come caratterizzato da una confluenza di flussi di traffico urbani ed extraurbani dovuta ad un tracciato complanare tra tangenziale cittadina e autostrada A14, con conseguente eccessiva congestione e inquinamento ambientale gravante sul nucleo urbano e una inadeguata strozzatura per i flussi di traffico in attraversamento. Il 19 dicembre 2003 fu così sottoscritta presso la Presidenza del Consiglio dei ministri l'intesa generale che individuava il passante autostradale Nord come opera di preminente interesse strategico a livello nazionale inserita nel Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443 del 2001 (cosiddetta «legge obiettivo»);
   il progetto, inserito nel Piano territoriale di coordinamento provinciale e presentato al Ministero, prevedeva la costruzione di un passante autostradale di oltre 40 chilometri all'interno di un corridoio tracciato a semianello nella pianura nord, avente per estremi, a ovest, Lavino di Mezzo (frazione di Anzola Emilia), a est, Ponte Rizzoli (frazione di Ozzano Emilia). Si prevedeva inoltre la cosiddetta «banalizzazione» del tratto autostradale complanare alla tangenziale, ossia la sua trasformazione in un sistema viario locale al fine di realizzare un unico asse-tangenziale più largo. Per spostare i flussi di traffico extraurbani sul sistema autostradale esterno si prevedeva l'introduzione di pedaggio aggiuntivo per l'accesso al nuovo sistema tangenziale. Il progetto puntava inoltre allo sviluppo delle attività produttive andando a rafforzare la tangenziale non solo a servizio dell'area urbana centrale ma anche per lo sviluppo dei poli funzionali localizzati lungo il tracciato quali l'aeroporto e la fiera, mentre il nuovo passante avrebbe servito direttamente i principali poli logistici (interporto, centergross), le aree produttive sovracomunali di cui si sarebbe previsto lo sviluppo, intercettando una quota rilevante del trasporto merci. Si trattava di un progetto del costo complessivo di 980 milioni di euro da realizzare in project financing (ex articolo 37-bis della legge Merloni) con copertura del 50 per cento pubblica e del 50 per cento a carico di un soggetto promotore;
   il progetto, sebbene avesse messo d'accordo tutti gli enti locali, aveva alcuni punti deboli quali, in primis, la ricerca delle risorse e soprattutto la banalizzazione del tratto autostradale. Quest'ultima operazione avrebbe infatti richiesto l'esborso di 312 milioni di euro alla società Autostrade per l'Italia (ASPI) a titolo di indennizzo per la rinuncia all'esercizio della concessione fino alla sua naturale scadenza. Pertanto, dopo un tentativo fallito di realizzazione attraverso un finanziamento totalmente o parzialmente pubblico e con l'intendimento di richiedere un apposito capitolo di bilancio da inserire nella finanziaria, si ipotizzò di affidare direttamente ad Aspi la gestione e la realizzazione dell'opera senza contributi pubblici. La Società, sebbene si dichiari non interessata, si rende disponibile alla realizzazione dell'opera. Il costo come risulta nell'allegato 1 al DPEF del 2 luglio 2007 e relativo agli anni 2008-2011, è però stranamente salito a 1.450 milioni di euro che possono essere coperti «attraverso il ricorso al project financing, verificando l'importo dell'investimento e l'ipotesi di una sua totale copertura, in assenza di contributo pubblico»;
   con questa soluzione trovata per le risorse vengono però a configurarsi i presupposti per una infrazione di normativa comunitaria: come risulterà anche dal vaglio europeo, il progetto così come concepito è una nuova infrastruttura destinata allo sviluppo di nuove aree produttive. In tal caso però la normativa nazionale ed europea non prevedono un affidamento diretto ma richiedono un bando di gara. Si tentò pertanto di classificare il progetto come una variante del tracciato e non di una nuova opera autostradale: con nota del 3 dicembre 2007, indirizzata alla Direzione generale mercato interno e servizi della Commissione europea, il Ministro delle infrastrutture ha formalmente chiesto il parere preventivo sulla possibilità di realizzare lo spostamento di un tratto dell'infrastruttura autostradale (A14) gestita da ASPI, declassando al contempo quest'ultimo a sistema viario locale di scorrimento, con affidamento della relativa costruzione e gestione direttamente all'ASPI;
   il 15 luglio 2010 la Commissione europea con nota 463387 rende infine parere favorevole all'affidamento diretto ad Aspi a condizione che la realizzazione dell'infrastruttura sia oggetto di procedure di aggiudicazione di appalti pubblici conformi alle regole europee e che il nuovo progetto si configuri come strumento ausiliario dell'autostrada A14, la cui sede e la cui natura debbono rimanere immutate prevedendo su entrambe le tratte la stessa tariffa;
   in definitiva non rimane nulla dell'idea originaria del Piano territoriale di coordinamento provinciale, il nuovo tracciato deve essere solo sussidiario e non sostitutivo rispetto all'esistente. Non risulta neppure chiaro quale sia stato il progetto effettivamente sottoposto al vaglio della Commissione. Subito dopo l'approvazione, il Ministro rilascia infatti alla stampa alcune dichiarazioni in cui non si parla più di un tracciato di oltre 40 chilometri, come previsto dal Piano territoriale di coordinamento provinciale, ma sostiene che, secondo le indicazioni della Commissione, dovrà essere rivisto il tracciato di 38 chilometri con uno più breve di 36 chilometri. Come rivelato successivamente dall'amministratore delegato di Autostrade in occasione dell'assemblea di Ance Bologna a luglio 2010, dopo la bocciatura del tracciato previsto dal Piano territoriale di coordinamento provinciale, che non aveva le caratteristiche per essere classificato come una variante di progetto, Aspi su richiesta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, presentò un'ipotesi di potenziamento fuori sede dell'attuale tracciato, «compatibile con le prescrizioni dell'Europa»;
   a livello locale riprendono a questo punto le trattative e nuovamente la discussione si concentra sul tracciato e sulla banalizzazione della tratta autostradale e complanare sottesa al Passante. Il dibattito sul tracciato alternativo si fa acceso: un tracciato più breve passerà inevitabilmente a ridosso dell'abitato cittadino e attraverserà un territorio fortemente urbanizzato. Sebbene per lungo tempo il tracciato previsto da Autostrade non venga diffuso ufficialmente, il progetto trova opposizione da parte degli amministratori locali e il sindaco di Castelmaggiore definisce il caso passante nord la «nostra Valsusa». Secondo quanto dichiarato il 24 aprile 2012 dall'assessore regionale ai trasporti e infrastrutture in risposta ad interrogazione, Società Autostrade avrebbe effettuato un autonomo studio di fattibilità che non è stato fornito alla Regione e agli enti locali, ma che costituisce il presupposto sulla base del quale la concedente Anas potrà dare mandato alla concessionaria di sviluppare i successivi livelli progettuali;
   nonostante le perplessità espresse da tutte le parti coinvolte, il progetto viene portato avanti e, a luglio 2012, si arriva alla firma di un nuovo verbale d'intesa tra ANAS, regione Emilia-Romagna, provincia di Bologna, comune di Bologna e società Autostrade per l'Italia che garantisce che i lavori saranno finanziati interamente con capitali privati da Autostrade per l'Italia per un importo complessivo di 1,3 miliardi di euro, che la proposta di tracciato definitivo e gli interventi di banalizzazione sul tracciato esistente dovranno essere condivisi e definiti entro il 30 novembre 2012, pena la perdita dei finanziamenti oggi vincolati nominalmente alla realizzazione del Passante Nord e, soprattutto, che ci sia rispetto per i principi tecnici, progettuali, realizzativi e di inserimento ambientale e territoriale già indicati nei lavori istruttori attraverso la definizione di un'ipotesi di tracciato condivisa e coerente con i principi di pianificazione ed organizzazione del territorio già adottati dagli stessi;
   ad agosto 2012 finalmente la società Autostrade invia ufficialmente a comune, provincia e regione lo studio di fattibilità dell'opera. Il tracciato di Autostrade, che finalmente cessa di essere solo un'ipotesi, non riesce però a mettere d'accordo gli enti locali. Il cosiddetto Passantino, di 32,7 chilometri da Borgo Panigale a San Lazzaro (non più da Lavino a Ponte Rizzoli) non solo sarebbe più corto rispetto all'originale finendo a ridosso dei centri abitati di Castenaso, Granarolo e Castelmaggiore, ma avrebbe solo due corsie per senso di marcia e non avrebbe previsto la banalizzazione;
   il 21 dicembre 2012 presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si è tenuto un ulteriore incontro tra regione Emilia-Romagna, provincia di Bologna, comune di Bologna, ASPI (Autostrade per l'Italia) e ANAS. Il vice ministro Ciaccia ha dichiarato che in tale sede sia stata raggiunta l'intesa sul tracciato e sul progetto e ha richiesto una rapidissima conclusione dell'accordo per la realizzazione dell'opera e che, a seguito della richiesta di un ulteriore approfondimento da parte di ASPI, si è convenuto di concludere il percorso di verifica con relativa decisione positiva entro il 20 gennaio 2013; secondo fonti stampa si sarebbe giunti in pratica ad un'ulteriore soluzione di tragitto di poco inferiore a quella prevista dal progetto originario del Piano territoriale di coordinamento provinciale;
   il 2 aprile 2013 nel corso di un incontro che si è tenuto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si raggiunge una nuova intesa tra il viceministro, Mario Ciaccia, il presidente della regione Emilia Romagna Vasco Errani, l'assessore regionale per la mobilità e trasporti Alfredo Peri, il presidente della provincia di Bologna Beatrice Braghetti, l'assessore provinciale ai Trasporti Giacomo Venturi, il sindaco di Bologna Virginio Merola, l'ad di Autostrade per l'Italia Giovanni Castellucci e l'architetto Mauro Coletta, direttore dell'ispettorato vigilanza concessionarie autostradali. La validità della convenzione sottoscritta a luglio 2012 è stata, infatti, prorogata al 31 dicembre 2013: i fondi, 1,3 miliardi, rimangono pertanto a disposizione fino alla fine dell'anno. Inoltre la società Autostrade per l'Italia si è impegnata a presentare entro il prossimo mese di luglio il progetto preliminare dell'opera assumendo come riferimento il tracciato autostradale indicato dagli enti locali sulla base del quale verranno fatti tutti gli approfondimenti trasportistici e analizzate le possibili ottimizzazioni. Di questo incontro e accordo non esiste però nessun verbale come dichiarato dalla regione Emilia Romagna in risposta ad una richiesta del Comitato di cittadini con il Passante Autostradale Nord (PG 2013. 0119039 del 15 maggio 2013);
   mentre una parte degli amministratori accelera i passaggi verso l'avvio dei lavori crescono però le voci di dissenso sulla validità di un'opera di vecchia concezione e a servizio di un'idea di sviluppo non sostenibile, da realizzare fuori dei criteri di trasparenza previsti dalla comunità europea e soprattutto che non porterà nessun beneficio concreto per i cittadini. A gennaio 2013 Legambiente è ricorsa infatti nuovamente a una denuncia formale alla Commissione europea, a cui spetterà la decisione sulla legittimità della procedura di realizzazione dell'opera in quanto non si tratterebbe di un «adeguamento della viabilità esistente», ma di una vera e propria nuova infrastruttura autostradale e per la realizzazione della quale non si può procedere ad affidamento diretto sarebbe necessaria una gara di appalto;
   oltre che subire i disagi derivanti dai cantieri, che si protrarranno per almeno 10 anni prima di poter usufruire degli eventuali benefici della nuova infrastruttura, i cittadini saranno vessati da un nuovo pedaggio sul sistema tangenziale, come discusso il 31 ottobre 2011 in un incontro al Ministero con la regione e la provincia e come riportato nel verbale dell'accordo del luglio 2012 sopra menzionato in cui si sarebbe parlato di un sistema di esazione di tipo aperto. Secondo quanto rivelato dal consigliere regionale Giuseppe Paruolo, con dichiarazioni pubblicate nel mese di marzo 2013 sul suo blog, esisterebbe anche uno studio sul passante nord prodotto da Autostrade a fine 2012 che prevede che «anche la tangenziale debba diventare a pagamento», tramite un sistema Free Flow Multilane con portali installati su ogni tratta elementare»;
   al progetto Passante Nord sia nella versione prevista dal piano territoriale di coordinamento provinciale sia nell'ipotizzata versione breve di Autostrade si oppone da anni anche un Comitato di cittadini «Comitato per l'Alternativa al Passante Nord» che sostiene che la versione breve è troppo impattante sul sistema urbano e dunque non risolutiva mentre la versione del Piano territoriale di coordinamento provinciale comporta un consumo di suolo agricolo di circa 750 ettari e il declassamento qualitativo di circa 8000 ettari di terreno perché ad essi non verrà riconosciuta la coltivazione di prodotti agricoli di pregio e favorirebbe nuove speculazioni edilizie rendendo edificabili le aree attraversate. Questo dato va analizzato anche alla luce dell'ultimo rapporto del Centro ricerche sul consumo del suolo che ha rivelato che tra il 2003-2008 in Emilia Romagna si sono persi 19.822 ettari di suolo agricolo e si sono urbanizzati 15.445 ettari di suolo ad un ritmo di 84.000 mq al giorno. Bologna in particolare ha visto 2.865 ettari cementati ad una velocità di 15.000 metri quadrati al giorno e ha sottratto 3.322 ettari all'agricoltura;
   il «Comitato per l'Alternativa al Passante Nord» mette in discussione anche la sostenibilità trasportistica dell'intervento sostenendo che sia stato progettato prevedendo un aumento esponenziale del traffico sul nodo di Bologna che non è verificato: il traffico del «nodo» bolognese è passato da 180 mila vetture al giorno del 2003 a 150mila del 2011, cifra del 20 per cento inferiore ai dati di traffico 2003, anno di progettazione del Passante;
   la validità del progetto in termini di sostenibilità trasportistica sembra essere messa in discussione anche dalla stessa società Autostrade in un suo studio di Autostrade del 2012 diffuso dal consigliere Paruolo che, citandolo sul suo blog, scrive: «dal nuovo documento di Autostrade emergerebbe inoltre che “gli studi di traffico dimostrerebbero che con quel Passante il beneficio per l'intasamento della tangenziale sarebbe comunque molto ridotto: sia al 2018 sia al 2035 non si evidenzia un netto miglioramento dei livelli di servizio delle complanari che si mantengono diffusamente su un LOS E. LOS E è il livello di servizio, espresso su una scala che va dal migliore A al peggiore F».
   lo stesso «Comitato per l'Alternativa al Passante Nord» propone di realizzare una soluzione alternativa alla congestione del nodo bolognese, ma più rispondente ai criteri di rispetto del territorio e realmente sostenibile, validata tecnicamente, nel corso di un convegno universitario alla facoltà di ingegneria di Bologna, organizzato da Italia Nostra, nel dicembre 2004. La proposta alternativa interviene in sede di tracciato attuale e agisce sulle scarpate laterali, senza esproprio di terreni, creando con la tecnica dei diaframmi l'allargamento della Tangenziale/Autostrada a 3+3 corsie e relative corsie di emergenza. Nello spazio sottostante si ricavano così due tunnel che si possono utilizzare in vari modi (trasporto in sede propria, piste ciclabili, eccetera). Il progetto alternativo avrebbe un costo stimato intorno ai 600 milioni e i tempi di realizzazione sarebbero notevolmente inferiori e consentirebbero l'uso parziale dell'opera a breve, contro l'impossibilità di utilizzare il Passante Nord fin tanto che quest'ultimo non sarà terminato nella sua intera estensione –:
   se sia vero che i progetti di banalizzazione allo studio prevedano l'introduzione di un pedaggio sull'asse tangenziale;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'esistenza di uno studio sul passante nord prodotto da Autostrade a fine 2012 in cui si mette in discussione l'utilità e validità del progetto in termini di benefici per l'intasamento della tangenziale;
   se l'incontro previsto per l'8 maggio 2013 si sia effettivamente svolto e, in tal caso, quali siano le posizioni emerse nel medesimo considerato che i rappresentanti della regione Emilia Romagna avevano manifestato l'intenzione di chiedere un impegno sulle opere emiliano-romagnole di interesse nazionale ed in particolare sul passante nord;
   se esista un verbale dell'incontro tenutosi il 21 dicembre 2012 presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in cui, contrariamente alle previsioni, secondo dichiarazioni stampa si è raggiunto un accordo tra le parti sulla realizzazione del passante Nord e se non si ritenga quanto meno inopportuno in termini di trasparenza che, come dichiarato dalla Regione Emilia-Romagna con nota al PG 2013.0119039 del 15 maggio 2013, non esista un verbale dell'incontro tenutosi il 2 aprile 2013 sempre presso il suddetto Ministero considerato anche il valore economico degli accordi verbali presi che impegnano Autostrade per 1,3 miliardi di euro;
   quale sia l'intendimento del Ministro in merito alla realizzazione del passante nord considerato che lo stesso, nel corso di un audizione tenutasi il 21 maggio 2013 in Commissione ambiente alla Camera, ha espresso l'intenzione di aggiornare la legge obiettivo del 2001 individuando solo pochi nodi veramente strategici per il Paese;
   se il Ministro non ritenga di voler approfondire lo studio del progetto alternativo «Comitato per l'Alternativa al Passante Nord» in funzione di dare allo sviluppo una linea maggiormente sostenibile;
   considerando anche i passati pareri espressi dalla Commissione europea, se non si ritenga che il progetto, dato in affidamento diretto alla Società Autostrade e realizzato nelle forme e nei modi voluti dagli enti locali, si palesi come un vera e propria nuova infrastruttura destinata a sviluppare una nuova fascia di urbanizzazione e che pertanto sia a rischio di infrazione comunitaria considerato tra l'altro che tale posizione era stata espressa anche dalla stessa Società autostrade nello relazione allegata allo studio di fattibilità del progetto di Passantino in cui a proposito del progetto originario proposto dagli enti locali si sosteneva che: «La soluzione prospettata allora discende da scelte di carattere urbanistico piuttosto che rappresentare un'efficace alternativa all'uso dell'esistente sistema autostradale»;
   se, come dimostra la lottizzazione di 22 ettari agricoli decisa dall'amministrazione di Granarolo, su cui sorgeranno nuovi insediamenti residenziali e il nuovo centro sportivo del Bologna calcio, il progetto del passante nord abbia poco a che fare con la razionalizzazione dei flussi di traffico e la riqualificazione urbana e rischia di smuovere interessi che poco hanno a che fare con la pubblica utilità. (4-00682)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCON, PELLEGRINO e ZAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la città di Venezia subisce quotidianamente il transito di grandi navi da crociera attraverso il Canale della Giudecca, in pieno centro storico, a due passi da Piazza San Marco e dunque, da un patrimonio storico-culturale ed architettonico di inestimabile valore, peraltro tutelato da istituzioni internazionali quali l'UNESCO;
   lo scorso 16 settembre 2012, numerosi cittadini, comitati, associazioni ed esponenti politici si sono mobilitati in opposizione a tale insensata pratica che mette a repentaglio la sicurezza della città e dei suoi abitanti;
   in tale occasione i manifestanti hanno subito una sovradimensionata reazione da parte delle forze dell'ordine, che hanno impiegato persino un elicottero che ha sorvolato le imbarcazioni a quota bassa (fino a 6 metri circa dalla superficie dell'acqua) nonché estremamente pericolosa per l'incolumità delle persone;
   proprio quegli stessi manifestanti, che hanno subito il trattamento di cui sopra, sono stati paradossalmente poi sottoposti ad indagine giudiziaria da parte della procura della Repubblica di Venezia;
   ad avviso degli interroganti è doveroso garantire la libertà di manifestare in tutta sicurezza e secondo i dettami costituzionali –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere per garantire un normale svolgimento delle future manifestazioni previste a Venezia in relazione a questi temi e per garantire l'incolumità dei partecipanti alle suddette iniziative. (4-00679)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   l'articolo 197, comma 1, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, ha stabilito che «(...) il titolo conseguito nell'esame di maturità a conclusione dei corsi di studio (...) dell'istituto magistrale abilita, all'esercizio della professione ed all'insegnamento nella scuola elementare (...)»;
   il decreto interministeriale 10 marzo 1997, all'articolo 2, comma 1, recita: «I titoli di studio conseguiti al termine dei corsi triennali e quinquennali sperimentali di scuola magistrale e dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali dell'istituto magistrale, iniziati entro l'anno scolastico 1997-1998, o comunque conseguiti entro l'anno scolastico 2001-2002, conservano in via permanente l'attuale valore legale e consentono di partecipare (...) ai concorsi ordinari per titoli e per esami a posti di insegnante nella scuola materna e nella scuola elementare, secondo quanto previsto dagli articoli 399 e seguenti del citato decreto legislativo n. 297 del 1994»;
   successivamente l'articolo 15, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998, n. 323, ha stabilito che «I titoli conseguiti nell'esame di Stato a conclusione dei corsi di studio dell'istituto magistrale iniziati entro l'anno scolastico 1997/1998 conservano in via permanente l'attuale valore legale e abilitante all'insegnamento nella scuola elementare. Essi consentono di partecipare ai concorsi per titoli ed esami a posti di insegnante nella scuola materna e nella scuola elementare»;
   conseguentemente, l'esame di Stato conclusivo dei corsi di maturità magistrale conferiscono al titolo il valore di abilitazione permanente all'insegnamento nella scuola primaria, ed inoltre, i possessori del titolo hanno per legge il diritto a partecipare ai concorsi a cattedra per titoli ed esami nella scuola statale;
   si aggiunga che né i concorsi per titoli ed esami per la scuola elementare, né i corsi ex decreto ministeriale n. 85 del 2005 hanno mai avuto funzione di abilitazione all'insegnamento, costituendo i primi semplice procedura concorsuale per l'arruolamento nelle scuole statali, i secondi finalizzati esclusivamente all'acquisizione della cosiddetta idoneità all'inserimento nelle graduatorie permanenti ad esaurimento;
   inoltre, il diploma magistrale conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002 è considerato titolo abilitante per l'insegnamento nelle scuole paritarie, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge n. 62 del 2000, tant’è che né i corsi, né i concorsi sono oggetto di valutazione nelle graduatorie interne di tali scuole in quanto l'abilitazione è conferita dal diploma stesso;
   anche la Corte Costituzionale, con la sentenza 466/1997, obiter dictum, ha chiarito che il diploma «è in sé abilitante», a prescindere dai concorsi a cattedra;
   in data 29 febbraio 2012 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha sottoscritto il CCNL mobilità scuola statale il quale sancisce che: «Conservano valore di abilitazione all'insegnamento nella scuola elementare i titoli di studio conseguiti al termine dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali dell'istituto magistrale, entro l'anno scolastico 2001/2002, ai sensi del decreto ministeriale 10 marzo 1997»;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in ottemperanza alla direttiva 2005/36/CE ha, nel corso degli anni, riconosciuto quali titoli di abilitazione all'insegnamento nella scuola primaria italiana diplomi di scuola secondaria di II grado, di livello, quindi, equiparabili al diploma di maturità magistrale, conseguiti in altri Stati membri dell'Unione europea, in particolare in Romania. Appare quindi immotivata qualunque forma di disparità di trattamento e discriminazione tra cittadini italiani, in possesso di titolo definito per legge abilitante, e cittadini di altri Stati membri, in possesso di titolo analogo e definiti anch'essi abilitati nei rispettivi Paesi, ai quali lo Stato italiano ha consentito l'accesso alle graduatorie permanenti/ad esaurimento, se non addirittura al ruolo, senza che a quest'ultimi fosse richiesto il superamento di alcuna procedura concorsuale per titoli ed esami;
   si apprende che, in questi giorni, a seguito di diverse denunce giunte in sede europea circa il mancato riconoscimento della qualifica italiana per lo svolgimento dell'attività di insegnante del ciclo prescolastico o primario in altro Stato membro, la Commissione europea, attraverso EU Pilot, dopo aver esaminato la legislazione italiana, è giunta alla conclusione che per insegnare nella scuola primaria è «giuridicamente necessario essere in possesso di una delle seguenti qualifiche: laurea in scienze dell'educazione primaria e diploma di maturità magistrale», chiarendo, altresì, che il superamento del concorso è necessario soltanto per ottenere una assunzione a tempo indeterminato nelle scuole statali, predisponendo a tal fine la elaborazione di una lettera di richiamo alle autorità italiane per chiarire e riconsiderare la posizione finora adottata sulla questione –:
   se il Ministro intenda chiarire la posizione di tutti i diplomati magistrali;
   se, in virtù delle norme esposte in premessa, non ritenga indispensabile salvaguardare il valore di abilitazione all'insegnamento dei diplomi di maturità magistrale conseguiti entro l'anno scolastico 1997/98 e comunque conseguiti entro l'anno scolastico 2001/2002;
   ad assicurare, in coerenza con il principio di non disparità e non discriminazione, ai docenti in possesso di diploma di maturità magistrale conseguito al termine dei corsi di istituto magistrale iniziati entro l'anno scolastico 1997-98 e conclusi entro l'anno scolastico 2001-2002, la possibilità di accedere alle procedure di reclutamento nella scuola statale alle medesime condizioni dei docenti abilitati al termine dei corsi di laurea in scienze della formazione primaria o con titolo estero riconosciuto in Italia;
   se, appurata la corretta interpretazione fornita dalla Commissione europea, il Ministro intenda provvedere con la necessaria celerità all'attuazione del diritto da parte dei richiedenti di ottenere la certificazione richiesta, così da ridurre il rischio di sanzioni da parte delle autorità dell'Unione europea e di eventuali azioni di rivalsa da parte dei cittadini italiani privati arbitrariamente e senza giustificato motivo della possibilità di esercitare quanto in loro diritto.
(2-00068) «Marzana, Simone Valente, Di Benedetto, Battelli, Brescia, D'Uva, Vacca, Chimienti».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la ricerca universitaria riveste un ruolo importante per il raggiungimento di traguardi fondamentali per il progresso scientifico e tecnologico. Per questo è necessario che ogni governo destini alla ricerca fondi sufficienti per il perseguimento di tale progresso. L'Italia, diversamente dalla maggior parte degli Stati economicamente avanzati, investe nella ricerca una quota insufficiente dei proprio bilancio. Ciò provoca un'emorragia dei laureati maggiormente capaci verso altri Stati dove la ricerca assume carattere di forte spinta per l'innovazione;
   i dati Istat del mese di gennaio registrano un'incidenza dei disoccupati sul totale degli occupati pari al 38,7 per cento, un aumento dell'1,6 per cento rispetto al mese precedente e il 6,4 per cento nel confronto tendenziale;
   come annunciato dal Presidente del Consiglio Letta occorre che ricerca e sviluppo giochino un ruolo cruciale per il rilancio del Paese;
   l'imminente sfida del nuovo Programma europeo «Horizon 2020» potrebbe essere una buona occasione per aumentare il numero di ricercatori nelle reti di ricerca italiane;
   tuttavia, si assiste da troppo tempo ad un progressivo invecchiamento delle nostre università dove oltre il 22 per cento dei docenti ha più di 60 anni e solo il 4,7 per cento meno di 34 anni;
   dato quest'ultimo che se incrociato con quello del turn over negli atenei evidenzia il blocco drammatico del reclutamento dei giovani ricercatori;
   le università italiane in Europa hanno la percentuale più bassa nel rapporto tra ricercatori e popolazione occupata: siamo al diciottesimo posto su venti;
   infatti, se fra il 2009 e il 2012 le università italiane hanno perso il 24 per cento dei professori ordinari e il 9 per cento dei professori associati, mentre i ricercatori sono rimasti stabili, vuol dire che non c’è stato nessun ricambio generazionale, con conseguenze fatali sia sulla fuga di molti dei nostri ricercatori all'estero sia sul reclutamento di altri ricercatori;
   nel moderno scenario evolutivo della ricerca, che colloca le università in posizione cruciale rispetto alle ricadute sullo sviluppo territoriale, e che vede il moltiplicarsi delle azioni interconnesse, la pianificazione strategica e il coordinamento delle attività di ricerca assume rilevanza fondamentale –:
   quali provvedimenti si ritenga opportuno prendere per restituire alle nostre università l'autonomia necessaria per disporre delle proprie risorse e rilanciare l'indispensabile turn over, per introdurre incentivi massicci e vincoli precisi per l'assunzione dei giovani ricercatori e favorire quello sviluppo che a sua volta è l'unico modo per creare nuova occupazione nelle imprese. (5-00232)


   CHIMIENTI, LUIGI GALLO, VACCA, D'UVA, MARZANA, DI BENEDETTO, BATTELLI, SIMONE VALENTE, BRESCIA e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 marzo 2013 è stato firmato dal Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca pro tempore Francesco Profumo il decreto avente ad oggetto: «Istituzione dei percorsi speciali abilitanti, ai sensi del decreto del Ministro dell'istruzione 10 settembre 2010, n. 249 e successive modificazioni» che ha affiancato al percorso abilitante ordinario, detto «tirocinio formativo attivo ordinario», percorsi abilitanti riservati, detti «TFA speciali», come misura transitoria limitata a tre annualità (2012-13, 2013-14 e 2014-15);
   tale provvedimento, tanto atteso da docenti precari non abilitati, è rivolto a chi ha svolto un servizio di almeno 3 anni nel periodo compreso tra gli anni scolastici 1999-2000 e 2011-2012. Tali docenti precari, il cui numero stimato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, secondo criteri e fonti non chiariti, è di circa 75.000, deve essere ora registrato alla Corte dei conti e pubblicato in Gazzetta Ufficiale;
   il titolo di accesso alla professione di docente non è costituito dall'abilitazione ma dal diploma o dalla laurea, unici titoli validi di idoneità all'insegnamento nell'ambito delle rispettive classi di concorso, così come previsto dalla normativa vigente e secondo i criteri fissati a monte dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (nel caso delle lauree devono essere stati sostenuti determinati esami) e come recentemente ribadito dall'ultimo concorso a cattedre;
   la direttiva europea 36/2005 CE stabilisce che tre anni di esperienza professionale sono assimilati a un titolo di formazione, non all'accesso a un anno di tirocinio per ottenere il titolo abilitante e che nel rispetto della suddetta direttiva, si è tenuti a riconoscere che «l'esperienza professionale integra e completa la formazione»;
   avere esercitato legittimamente per tre anni una professione, sempre in base alla direttiva europea citata, implica il riconoscimento professionale e non stabilisce, come interpretato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a discapito dei docenti italiani, diritto di priorità per l'accesso a corsi di formazione professionale;
   l'amministrazione pubblica scolastica, per garantire nel Paese il regolare svolgimento del servizio secondo gli standard nazionali fissati, si è avvalsa e tuttora si avvale dei docenti precari della III fascia delle graduatorie d'istituto, riconoscendone la professionalità;
   nello specifico, il decreto del 25 marzo 2013 appare in contraddizione con lo schema di decreto ministeriale rettificativo e integrativo del decreto ministeriale n. 249 del 2010 in particolare esiste una contraddizione tra l'articolo 4, comma 1, punto c), n. 1-quater («L'iscrizione ai percorsi formativi abilitanti speciali non prevede il superamento di prove di accesso») e la tabella 11-bis come modifiche dall'Allegato A al Decreto del 25 marzo 2013. La prova «non selettiva», introdotta nella modifica alla tabella 11-bis al fine di poter meglio scaglionare in tre anni il contingente degli aventi diritto (sulla base del punteggio ottenuto si effettuerà una ripartizione nei tre anni e l'ordine di priorità per la frequenza dei corsi è determinato in base ai risultati della prova nazionale), per sua natura stravolge infatti la legge stessa, risultando fortemente selettiva e penalizzante. Essa influisce per ben il 35 per cento sul punteggio finale di abilitazione e richiede almeno il superamento della soglia delle 43 risposte esatte su 70 (il 60 per cento del totale) per non essere valutata 0 punti. L'attribuzione di zero punti sotto la soglia di 43 risposte esatte, di fatto, introduce quindi un elemento di forte selettività, mentre i quiz dovrebbero essere finalizzati solo a graduare gli accessi ai percorsi formativi;
   la prova di valutazione delle competenze in ingresso, disciplinata dall'articolo 3 del decreto del 25 marzo 2013 e consistente in 70 quesiti a risposta multipla ripartiti in capacità logiche, capacità di comprensione del testo e lingua straniera, non è assolutamente adeguata a testare le competenze disciplinari di docenti che hanno già esercitato la professione, come tra l'altro sottolineava la relazione illustrativa del precedente schema di decreto modificativo del decreto ministeriale n. 240, del 2010 (AC. n. 535), e comporta una evidente disparità di trattamento rispetto alla verifica delle competenze in ingresso prevista per i candidati ai TFA ordinari;
   ai fini dell'inserimento nelle graduatorie permanenti, la valutazione del punteggio conseguito con il TFA ordinario, secondo i rispettivi regolamenti e tabelle, risulta il doppio rispetto a quello conseguito con il TFA speciale: per gli insegnanti che frequenteranno lo «speciale» la valutazione per ogni anno di servizio è di 6 punti in II fascia di istituto e così pure la valutazione del titolo abilitante, mentre per coloro che frequentano l’«ordinario» è quello stabilito e oggi vigente di 12 punti;
   non avranno accesso al TFA speciale né coloro che matureranno i requisiti di ammissione con l'anno in corso, dal momento che il decreto non è ancora stato definitivamente registrato, né coloro che maturerebbero i requisiti con 540 giorni cumulativi e ripartiti su più anni di servizio;
   la nuova previsione regolamentare, che ha introdotto una prova definita «non selettiva» nella modifica alla tabella 11-bis e che influisce per ben il 35 per cento sul punteggio finale di abilitazione richiedendo almeno il superamento della soglia delle 43 risposte esatte su 70 (il 60 per cento del totale) per non essere valutata 0 punti, è in contrasto con il parere contenuto nella relazione illustrativa dello schema di decreto n. 535, che faceva presente che «la previsione di iscrizione ai percorsi formativi speciali senza superamento di prove di accesso è determinata dal fatto che gli aspiranti, attraverso il servizio prestato, hanno già dato prova di possedere la competenza disciplinare che la stessa prova deve accertare»;
   le previsioni del decreto ministeriale del 25 marzo 2013, contenenti l'introduzione della prova non selettiva e il conseguente scaglionamento in tre anni, sono state inserite dopo l'acquisizione dei pareri delle Commissioni parlamentari, del Consiglio di Stato, del CNPI e del CUN e risultano dunque frutto di un'autonoma iniziativa del Governo, e dunque non presi in considerazione nei pareri;
   come sottolineato dalla sentenza dei Consiglio di Stato n. 01150/2011: «...È noto che dopo l'acquisizione dei pareri, i testi normativi possono essere modificati solo in adeguamento ad essi o per far fronte ad oggettive sopravvenienze» –:
   se il Ministro non ritenga urgente intervenire affinché siano rimosse le disparità di trattamento rilevate nelle premesse e nelle constatazioni, che produrrebbero inevitabilmente molti ricorsi con probabili conseguenze onerose per il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   se sia intenzionato a chiedere nuovamente i pareri delle Commissioni Parlamentari, del Consiglio di Stato, del CNPI e CUN in merito alle modifiche introdotte dal decreto ministeriale 25 marzo 2013 schema di decreto rettificativo del decreto ministeriale n. 249 del 2010;
   se sia intenzionato a porre l'attenzione sull'irrazionale e dispersivo sistema di reclutamento docenti attualmente in vigore, assumendo una posizione di ascolto e mediazione tra le diverse aspirazioni di una categoria che negli ultimi anni ha visto peggiorare sempre più la propria condizione di instabilità e precariato.
(5-00233)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 1998, per decreto firmato dall'allora Ministro dell'università, Berlinguer, nasce la figura del docente a contratto con il compito di «sopperire a particolari e motivate esigenze didattiche»;
   grazie a questa norma, le università hanno iniziato a stipulare contratti di diritto privato con «studiosi od esperti di comprovata qualificazione professionale e scientifica» per l'insegnamento di corsi ufficiali o per attività didattiche integrative;
   tale norma nasceva per rispondere ad esigenze eccezionali, ma, con il passare degli anni, la figura del docente a contratto è diventata la regola;
   i Ministri interrogati avrebbero dovuto emanare atti per definire limiti, modalità e condizioni di utilizzazione di questo strumento contrattuale da parte delle università, ma ciò non è stato fatto;
   la mancata emissione di questi atti ha portato ad un abuso di questi contratti e ad una loro reiterazione di dubbia legittimità oltre il limite temporale;
   ciò costituisce violazione dei princìpi di non discriminazione e di prevenzione dell'abuso di reiterazione dei contratti a tempo determinato;
   in riferimento alla retribuzione, la legge 4 novembre 2005, n. 230, ha riconosciuto alle università la possibilità di conferire incarichi di insegnamento gratuiti o retribuiti, ma ha rimesso la definizione del trattamento economico a ciascuna università nei limiti delle compatibilità di bilancio e sulla base dei parametri stabiliti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione;
   in attuazione di ciò, il decreto interministeriale 16 settembre 2009, n. 94, attualmente vigente, prevede che il trattamento economico minimo dei contratti di lavoro subordinato di diritto privato a tempo determinato è stabilito nella misura del 120 per cento del trattamento economico iniziale dei ricercatori universitari confermati a tempo pieno;
   tale norma, nonostante il carattere cogente ed inderogabile, è rimasta lettera morta;
   le università hanno interpretato l'inciso della norma del decreto interministeriale «nei limiti delle compatibilità di bilancio» nel senso di poter assumere gratuitamente e non nel senso invece corretto di non assumere più docenti di quelli che si possono permettere di pagare regolarmente, ossia, si ripete, il 120 per cento del trattamento economico iniziale dei ricercatori universitari confermati a tempo pieno;
   di fatto i docenti a contratto, pur avendo gli stessi compiti e gli stessi obblighi dei professori di ruolo, non ricevono una giusta retribuzione, spesso, anzi, hanno contratti a titolo gratuito e sono del tutto privi di copertura previdenziale e assistenziale;
   il Codacons, secondo cui i docenti a contratto risultano circa il 55 per cento dei docenti italiani, avrebbe promosso un'azione nei confronti dei Ministri interrogati volta ad ottenere l'emanazione degli atti generali obbligatori vincolanti per le università;
   i Ministri interrogati sono tenuti a vigilare sulla corretta applicazione della normativa de qua e ad assicurare ai docenti a contratto la corresponsione della giusta e legittima retribuzione ex articolo 36 della Costituzione –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover tempestivamente emanare gli atti volti alla definizione delle «particolari e motivate esigenze didattiche» per cui ricorrere a questo tipo di contratti e, dunque, stabilirne limiti, modalità e condizioni;
   quali iniziative di competenza anche normative i Ministri interrogati intendano intraprendere affinché provveda al riconoscimento del rapporto di impiego subordinato a tempo indeterminato a favore di tutti i docenti a contratto in possesso dei requisiti di legge e alla definizione della copertura finanziaria necessaria a trovare i fondi per il riconoscimento del dovuto compenso. (4-00672)


   BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 24 aprile 2013, n. 334, ha definito le modalità e i contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato a livello nazionale per l'anno accademico 2013/2014;
   in particolare, l'articolo 10, comma 3, del decreto stabilisce che per la valutazione delle prove, un massimo di 90 punti sono assegnati per la valutazione dei test; un massimo di 10 punti sono assegnati per la valutazione del percorso scolastico;
   i suddetti 10 punti sono attribuiti esclusivamente ai candidati che hanno ottenuto un voto di maturità almeno pari a 80/100, rapportato alla distribuzione in percentili dei voti ottenuti dagli studenti che hanno conseguito la maturità nella stessa scuola nell'anno scolastico 2011/12; in particolare, sono attributi 10 punti se il voto è maggiore o uguale al 95o percentile; 8 punti se il voto è compreso tra il 90o e il 95o percentile, 6 punti se il voto è compreso tra l'85o e il 90o percentile, 4 punti se il voto è compreso tra l'80o e l'85o percentile;
   il 31 maggio 2013 il Ministero ha provveduto a pubblicare, sul sito www.universitaly.it, i percentili calcolati per ogni scuola;
   da una lettura attenta della tabella, emergono forti disparità tra istituti scolastici della stessa città;
   in particolare risultano premiati gli studenti che frequentano scuole dove i voti degli esami di Stato, nell'ultimo anno, sono stati generalmente bassi; dall'applicazione dei suddetti percentili, risultano premiati gli studenti iscritti a scuole paritarie e penalizzati coloro che frequentano istituti pubblici i cui studenti si sono distinti –:
   quali urgenti provvedimenti il Ministro interrogato intenda adottare per evitare le suddetta grave disparità di trattamento. (4-00681)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   in conseguenza dell'approvazione della cosiddetta riforma Fornero sulle pensioni decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito in legge n. 214 del 22 dicembre 2011 per raggiungere il requisito pensionistico col sistema delle quote il lavoratore deve aver compiuto 60 anni di età, poter vantare almeno 35 anni di anzianità contributiva e raggiungere quota 96, avvalendosi, se necessario, anche delle frazioni di anno ai fini del raggiungimento della quota prevista;
   la cosiddetta «riforma Fornero» non ha tuttavia tenuto conto della specificità del «comparto scuola» che ha da sempre usufruito di una sola finestra di uscita in coincidenza con la fine dell'anno scolastico. Ha quindi annullato i requisiti per il pensionamento a chi aveva come somma di servizio quota anni pari a 96, ma al termine del 31 agosto 2012 e non a quelli richiesti dalla riforma al 31 dicembre 2011, dimenticando che l'uscita per il personale docente è all'inizio dell'anno scolastico e non alla fine di quello solare e spostando di fatto improvvisamente di ben 4 anni l'uscita di quel personale della scuola che stava invece per maturare il diritto proprio al 31 agosto;
   con la dicitura «quota 96» si indica dunque la categoria di insegnanti che, dopo la citata riforma Fornero, non tenendo conto delle specifiche caratteristiche del mondo della scuola per cui i requisiti pensionistici si maturano a settembre e non a dicembre (come nel resto della Pubblica Amministrazione), sono stati costretti a rimandare la data del meritato riposo pensionistico;
   di fronte a tale situazione, è stato presentato innanzitutto ricorso al Tar del Lazio che ha rimandato tutta la materia al giudice del lavoro delle varie circoscrizioni italiane;
   dopo l'esito positivo di alcuni provvedimenti cautelari di vari giudici del lavoro e l'appello al Consiglio di Stato, i ricorrenti sono stati invitati da quest'ultimo a rivolgersi alla Corte dei conti del Lazio per dirimere la questione, in particolare chiedendo se fosse possibile riaprire i termini per l'acquisizione delle domande di pensionamento, ma purtroppo per i 3.500 interessati il ricorso è stato giudicato inammissibile;
   i giudici della Corte dei conti hanno scritto nella sentenza che «non sussistono i presupposti per la richiesta di sospensione cautelare dei provvedimenti in questione, posto che è controverso un diritto pretensivo di parte ricorrente» e pertanto «la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio dichiara inammissibile l'istanza di sospensione dei provvedimenti impugnati»;
   sussiste ancora la possibilità di una sentenza favorevole della Corte costituzionale, altro organo a cui si sono appellati i ricorrenti e da cui sperano di ottenere giustizia;
   permettere ai 3.500 lavoratori del comparto scuola di andare in pensione consentirebbe, oltretutto, l'ingresso di giovani e nuove leve in sostituzione degli stessi –:
   in che modo i Ministri interrogati intendano urgentemente attivarsi per procedere alla immediata risoluzione della questione illustrata attinente alla categoria cosiddetta «quota 96», colmando una evidente lacuna normativa e ridando adeguata dignità ai docenti e al personale del comparto scuola, «intrappolati» dalla riforma Fornero in uno stato di grave incertezza esistenziale ed economica, con importanti ripercussioni sulla stessa dignità umana e professionale della classe docente e, di conseguenza, sulla qualità dell'offerta formativa in Italia e sul corretto funzionamento dell'intero sistema scolastico.
(2-00070) «Centemero, Polverini, Petrenga, Milanato, Vignali, Marotta, Bianconi, Leone, Palese, Squeri, Picchi, Misuraca, Prestigiacomo, Giammanco, Calabria, Francesco Saverio Romano, Sandra Savino, Valentini, Faenzi, Riccardo Gallo, Romele, Cicu, Vella, Latronico, Alli, Sarro, Biasotti, Polidori, Scopelliti, Marti, Palmizio».

PARI OPPORTUNITÀ, SPORT E POLITICHE GIOVANILI

Interrogazione a risposta scritta:


   PRATAVIERA e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa, per la stagione 2013, federconsorzi, associazione che raggruppa i gestori dell'arenile Jesolano, ha deciso che non verranno impiegate donne come beach steward. Tale bizzarra decisione è stata motivata dallo stesso presidente della federconsorzi di Jesolo, Renato Cattai perché la presenza di steward donne potrebbe offendere la religione musulmana;
   Renato Cattai ha inoltre, spiegato che la decisione assunta è stata maturata dopo gli episodi verificatisi nella passata stagione nei quali diverse volte la presenza femminile è stata causa di tensione con gli immigrati;
   la Costituzione e l'ordinamento giuridico del nostro Paese dispongono in modo incontrovertibile il principio di parità tra uomini e donne, prevedendo esplicitamente che le donne hanno diritto ad accedere a qualunque lavoro in condizioni di parità con gli uomini ed il diritto allo stesso trattamento per un lavoro eguale oppure equivalente;
   sempre più spesso, stando alle notizie pubblicate dagli organi d'informazione, si è dinnanzi a casi emblematici dove è facilmente riscontrabile, da un lato, il manifesto rifiuto da parte delle comunità musulmane presenti in Italia di rispettare le normative vigenti e di adeguarsi alla regole comportamentali e culturali del nostro Paese e, dall'altro lato, l'atteggiamento superficiale delle istituzioni, e non solo, che, non comprendendone i rischi, adottano semplicistiche soluzioni, mettendo conseguentemente in pericolo la sicurezza dei cittadini;
   la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo promuove l'uguaglianza dei diritti dell'uomo e della donna;
   la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1979, ratificata dall'Italia nel 1985, rappresenta uno degli strumenti di diritto internazionale più importanti in materia di tutela dei diritti umani delle donne. La Convenzione impegna gli Stati che l'hanno sottoscritta ad eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne, nell'esercizio dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, indicando una serie di misure cui gli Stati devono attenersi per il raggiungimento di una piena e sostanziale uguaglianza fra donne e uomini;
   i diritti delle donne costituiscono parte integrante ed inalienabile di quel patrimonio di diritti universali in cui si riconoscono le moderne società democratiche;
   è necessario quindi ribadire come non vi potrà mai essere integrazione senza la preventiva accettazione da parte di tutta la comunità islamica del principio fondamentale della separazione inequivocabile tra la sfera laica e quella religiosa e delle normative vigenti in materia di libertà individuale e di pensiero, di obbligo scolastico, di autodeterminazione e di uguaglianza formale di tutti i cittadini davanti alla legge, dello status giuridico o religioso delle donne, del rispetto del diritto di famiglia e dell'istituto del matrimonio, dei minori e dei non credenti e del trattamento degli animali;
   l'Islam si presenta fin dalle origini come un progetto globale che include tutti gli aspetti della vita. Include un modo di vivere, di comportarsi, di concepire il matrimonio, la famiglia, l'educazione dei figli, perfino l'alimentazione. In questo sistema di vita è compreso anche l'aspetto politico: come organizzare lo Stato, come agire con gli altri popoli, come rapportarsi in questioni di guerra e di pace, come relazionarsi agli stranieri, eccetera. Tutti questi aspetti sono stati codificati a partire dal Corano e dalla sunna e sono rimasti «congelati» nei secoli. La legge religiosa determina la legge civile e gestisce la vita privata e sociale di chiunque vive in un contesto musulmano e, se questa prospettiva è destinata a rimanere immutata, come è accaduto finora, la convivenza con chi non appartiene alla comunità islamica non può che risultare difficile;
   la legge islamica, rivolgendosi l'Islam a tutta l'umanità, è una legge personale e non dipende in nessun modo dall'elemento territoriale. La stessa nazionalità non è collegata, come avviene nella tradizione occidentale, allo ius sanguinis e allo ius loci, ma allo ius religionis, cioè all'appartenenza ad una comunità di credenti che non è legata all'esistenza di un entità statuale –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare al fine di evitare che prese di posizione come quelle descritte in premessa possano minare il principio costituzionale delle parità tra uomini e donne, in particolar modo per quanto concerne l'accesso nel mondo del lavoro, costituendo di fatto un precedente inaccettabile di errata interpretazione rispetto alle politiche di integrazione e garanzia delle libertà religiose nel nostro paese.
(4-00680)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno, in Italia, a migliaia di bambini e di giovani adulti viene diagnosticata una malattia onco-ematologica (leucemia, linfoma, mieloma, talassemia, immunodeficienze congenite, e altro) e, in molti di questi casi, per continuare a vivere, non vi è alternativa al trapianto;
   queste malattie oggi possono essere curate e anche completamente guarite con il trapianto di midollo osseo ovvero delle cellule staminali emopoietiche (CSE) contenute al suo interno;
   la necessaria compatibilità immunogenetica tra paziente e donatore, è un fattore piuttosto raro già tra consanguinei (il rapporto è di 1:4) e lo diventa ancora di più tra individui non consanguinei (1:100.000);
   solo il 30 per cento di pazienti che hanno bisogno di un trapianto trova tra i familiari un donatore compatibile, mentre per gli altri pazienti l'unica alternativa possibile è rappresentata dalla disponibilità di donatori volontari non consanguinei o di unità di sangue cordonale donate a scopo solidaristico, con adeguata compatibilità tessutale;
   ogni anno in Italia circa 1.000 pazienti non possono essere trapiantati per mancanza di un donatore idoneo disponibile;
   il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche rappresenta un'utile possibilità terapeutica nella lotta contro la leucemia ed altre malattie del sistema emopoietico;
   alla fine degli anni ottanta è stato avviato in Italia, su input di diverse società scientifiche interessate alla materia, un programma denominato «donazione di midollo osseo», al fine di reperire persone disponibili ad offrire in maniera anonima, volontaria e non retribuita le cellule staminali emopoietiche (un tempo prelevabili solo dal midollo osseo) a favore di pazienti affetti da gravi malattie del sangue;
   nel 1989 è stato istituito dall'ente ospedaliero ospedali Galliera di Genova il registro italiano donatori di midollo osseo (noto in campo internazionale come Italian Bone Marrow Donor Registry o IBMDR) e la sua sede è stata individuata presso il laboratorio di istocompatibilità dell'ente;
   la legge 6 marzo 2001, n. 52, ha riconosciuto il registro nazionale italiano dei donatori di midollo osseo quale unica struttura di interesse nazionale, con i compiti di promuovere la ricerca di donatori non consanguinei compatibili e di coordinare l'attività dei registri istituiti a livello regionale;
   il registro italiano nazionale dei donatori di midollo osseo (IBMDR), svolge — altresì — attività di coordinamento, ricerca e reperimento dei donatori di midollo osseo presso i registri nazionali ed esteri, su richiesta delle strutture sanitarie che effettuano il trapianto di cellule staminali emopoietiche nonché attività di gestione economica delle prestazioni erogate e richieste ai o dai registri esteri;
   a tali fini il registro nazionale si avvale oltre che dei registri regionali o interregionali, istituiti ai sensi dell'articolo 3 della citata legge n. 52 del 2001, anche di strutture quali i centri donatori e i poli di reclutamento già operanti sul territorio;
   la legge 21 ottobre 2005, n. 219, recante «Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale di emoderivati», all'articolo 3, comma 1, consente il prelievo di cellule staminali emopoietiche periferiche, a scopo di infusione per l'allotrapianto e per l'autotrapianto, e di cellule emopoietiche da cordone ombelicale, all'interno di strutture trasfusionali autorizzate dalle regioni, e all'articolo 5, include la raccolta e la conservazione delle cellule staminali nei livelli essenziali di assistenza (Lea);
   il 29 aprile 2010, in sede di Conferenza Stato-regioni, è stato stipulato un accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome, finalizzato a omogeneizzare sul territorio nazionale funzioni e attività dei registri regionali e interregionali, e a individuare funzioni e attività dei centri donatori e dei poli di reclutamento regolandone i rapporti con i registri regionali e interregionali;
   il citato accordo sancisce — altresì — che l'attività del registro nazionale e dei registri regionali ed interregionali, dei centri donatori e dei poli di reclutamento, coinvolti nella ricerca dei donatori di cellule staminali emopoietiche non consanguinei, debba essere disciplinata dagli standard di funzionamento IBMDR, annualmente aggiornati e adeguati agli avanzamenti tecnologici e scientifici del registro nazionale;
   nel citato accordo le regioni e le province autonome si sono impegnate, tra l'altro, a ridefinire gli elementi qualificativi della caratterizzazione genetica dei donatori di CSE, al fine di ampliare il patrimonio dei donatori non consanguinei di CSE iscritti al registro nazionale e di qualificare maggiormente il livello di caratterizzazione delle tipizzazioni tessutali dei donatori già iscritti;
   l'accordo del 29 aprile 2010 è già stato recepito integralmente dalla regione Abruzzo con deliberazione della giunta regionale n. 273 del 18 aprile 2011, dalla regione Piemonte con deliberazione della giunta regionale del 28 novembre 2011, n. 66-2973 e dalla regione Veneto con deliberazione della giunta del 7 giugno 2011 n. 756, dalla regione Molise con decreto del commissario ad acta n. 77 del 9 agosto 2011, dalla regione Friuli Venezia Giulia con delibera n. 2144 del 28 ottobre 2010, dalla regione Liguria con deliberazione n. 515 del 13 maggio 2011, dalla regione Puglia con deliberazione n. 1652 del 19 luglio 2011 –:
   se al Ministro risulti che l'accordo del 29 aprile 2010 sia stato recepito anche dalle altre regioni e quali iniziative — nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle prerogative attribuite alle regioni in materia sanitaria dalla normativa vigente — intenda prendere al fine di rendere effettivamente uniforme su tutto il territorio nazionale il funzionamento dei registri e dei centri donatori e poli di reclutamento ad essi collegati, assicurando in tal modo a tutti i cittadini la possibilità di poter diventare donatori ed incrementare in tal modo la quantità di sangue tipizzato ai fini del trapianto di cellule staminali emopoietiche, posto altresì che la raccolta, la conservazione e la tipizzazione tessutale delle cellule staminali è inclusa — ai sensi del citato articolo 5 della legge 21 ottobre 2005, n. 219 — nei livelli essenziali di assistenza (Lea).
(4-00674)


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate dalla stampa, un bambino di sette anni, nei giorni scorsi, è stato ricoverato in modo coatto nel reparto psichiatrico degli Spedali Civili di Brescia;
   l'avvocato, che segue il caso per conto della famiglia del minore, ha depositato il 20 maggio 2013 il mandato per riaprire il caso sull'episodio di pedofilia riferito dal bambino nei confronti di una suora di un asilo di Brescia, per fare luce sul comportamento delle istituzioni sociali e sanitarie locali e soprattutto per restituire il bambino alla sua famiglia;
   qualche tempo fa il bambino, infatti, ha riportato con dovizia di particolari, episodi di abuso sessuale commessi da una suora nei suoi confronti avvenuti nell'asilo che lo stesso frequentava;
   la madre del minore si è rivolta alle istituzioni competenti, ma il racconto del bambino non è stato ritenuto attendibile;
   in particolare non sono state garantite le procedure standard volte ad approfondire le indagini e ad assicurare la tutela del minore, ma al contrario le istituzioni hanno affidato il bambino ai servizi sociali attribuendo superficialmente la responsabilità del suo disagio alla madre e non agli abusi dallo stesso raccontati;
   il bambino è stato – dunque – allontanato dalla famiglia, nonostante non ci fossero indizi sufficienti di maltrattamenti familiari ed è stato affidato ad una casa famiglia;
   a parere dell'interrogante, appare assurdo che un bambino venga tolto alla famiglia con motivazioni superficiali: infatti, sempre secondo quanto riportato dalla stampa, le motivazioni appaiono non sufficienti e contraddittorie per giustificare un provvedimento tanto grave ed estremo;
   allontanato dalla famiglia, dunque, e affidato ad una casa famiglia, le cose sono precipitate e il bambino, in preda alla disperazione, ha chiesto di tornare dalla mamma;
   le istituzioni, invece di cogliere le motivazioni dello stato del bambino, lo hanno trasferito nel reparto di psichiatria degli Spedali Civili di Brescia;
   nel nosocomio al bambino è stata diagnosticata un grave disturbo esplosivo del comportamento e dell'umore, cosa del tutto normale in un bambino che non viene creduto e viene allontanato dalla famiglia, ed è stato, pertanto, sottoposto ad una pesante sedazione con un potente antipsicotico (Risperdal);
   è da sottolineare che secondo il foglio informativo la somministrazione del Risperdal non è «raccomandata ai minori di anni 18 con schizofrenia, per la mancanza di dati sull'efficacia». Inoltre il farmaco è stato somministrato in due pillole da un milligrammo al giorno (con posologia aumentabile fino a 3 milligrammi al giorno) sebbene il foglio illustrativo indichi che: «Nei pazienti con peso inferiore a 50 kg, si raccomanda di iniziare il trattamento somministrando 0,25 mg una volta al giorno. Tale dose può essere adattata individualmente, se necessario, con aumenti di 0,25 mg una volta al giorno, esclusivamente a giorni alterni. Per la maggior parte dei pazienti, la dose ottimale è 0,5 mg una volta al giorno»;
   in realtà le ragioni del disagio del bambino, così come riportato nella lettera di dimissione dalla struttura protetta per il trasferimento all'ospedale, derivano da un abuso subito da parte di una suora, dalla separazione dalla madre e dal ricovero in comunità;
   la struttura presso la quale è stato indirizzato il bambino accoglie preadolescenti e adolescenti, maschi e femmine, di norma tra i 12 e i 18 anni, con una eventuale possibilità di anticipo, sulla base di specifici bisogni clinici o sociali. Quindi non è neppure adatta per un bambino di soli 7 anni;
   con la legge 27 maggio 1991, n. 176, l'Italia ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo;
   l'articolo 3 della predetta Convenzione, al comma 1, recita: «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche e private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative e degli organi legislativi, l'interesse del fanciullo deve essere una considerazione preminente»;
   i provvedimenti di allontanamento dalla famiglia senza motivi gravi e pienamente accertati sono secondo l'interrogante inaccettabili –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del fatto riportato in premessa e quali tempestive iniziative intenda adottare al fine di tutelare l'integrità fisica e psicologica dei minori coinvolti in casi come quello sopra descritto;
   quali iniziative di loro competenza, anche di carattere normativo, intendano adottare per garantire il benessere dei minori, in particolare nelle strutture sanitarie, impedendo la somministrazione di farmaci non adatti o ritenuti inefficaci.
(4-00676)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MANZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel campo dell'energia elettrica, ottenuta tramite fonti rinnovabili, l'Unione europea ha provveduto a definire un ordinamento normativo chiaro ed esaustivo, allo scopo approvando una serie di direttive, l'ultima delle quali, la 2009/28/CE, è stata recepita dal nostro Paese, con il decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011;
   la normativa contenuta in tale decreto è finalizzata alla definizione degli strumenti, dei meccanismi, degli incentivi e del quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli obiettivi fino al 2020 in materia di quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia e di quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti e prevede anche una nuova disciplina relativamente al sistema di qualificazione degli installatori;
   proprio l'introduzione di nuovi parametri circa i requisiti per l'installazione di impianti ha suscitato un diffuso allarme e vive proteste tra i professionisti del settore e le associazioni di riferimento, in particolare laddove il decreto legislativo n. 28 del 2011 non prevede tra questi l'abilitazione per i responsabili tecnici delle imprese impiantistiche, come invece fino ad oggi riconosciuto dal decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37;
   in particolare l'articolo 15 del decreto legislativo n. 28 del 2011 sulla promozione dell'energia da fonti rinnovabili, pur rinviando all'articolo 4 del decreto ministeriale n. 37 del 2008, per l'individuazione dei requisiti tecnico-professionali, riconosce la qualifica di installatore di impianti, in alternativa, solo ai titolari di: laurea, diploma di scuola secondaria, titolo o attestato conseguito ai sensi della legislazione vigente in materia di formazione professionale, escludendo l'abilitazione dei responsabili tecnici che abbiano maturato negli anni, con il lavoro specializzato, una comprovata esperienza professionale, che invece il decreto ministeriale n. 37 del 2008 riconosce;
   la nuova norma che comincerà a produrre i suoi effetti a partire dal prossimo primo agosto è destinata ad escludere dal mercato circa 80 mila imprese di installazione impianti per un totale di circa 200 mila addetti al settore delle energie rinnovabili, in pratica circa il 60 per cento sul totale delle imprese, soprattutto piccole e medie che hanno operai specializzati;
   le aziende interessate hanno avviato una vera e propria mobilitazione di massa, con il sostegno di Cna, Confartigianato e Casartigiani e contro una disposizione che, di fatto, finisce per creare una nuova categoria di «esodati», tutto il contrario di quanto servirebbe sia per favorire l'occupazione sia per contribuire a sviluppare il settore delle rinnovabili in un periodo di crisi, come quello che le nostre imprese stanno vivendo, gravate tra l'altro da una massiccia fiscalità e da una pesante burocrazia;
   la chiusura di tali imprese rischia di avere un impatto negativo anche sull'economia di interi territori, come la regione Marche, dove il fotovoltaico rappresenta la fonte rinnovabile che ha avuto maggior sviluppo e dove il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili e all'efficienza energetica è stato individuato come priorità nel settore edilizio, favorendo l'integrazione degli impianti fotovoltaici negli edifici e quindi la loro installazione su superfici già antropizzate (parcheggi, coperture edifici, capannoni industriali e centri commerciali) ma anche nella programmazione regionale del sistema dei parchi e delle riserve naturali –:
   se, alla luce dei fatti sopra menzionati, il Governo intenda intervenire assumendo iniziative per ampliare i requisiti per ottenere la qualifica di responsabile tecnico per l'attività di installazione di impianti da fonti rinnovabili, anche in considerazione del fatto che il taglio delle imprese che la nuova normativa genera potrà determinare il sorgere o il consolidarsi di posizioni dominanti, favorendo le aziende più strutturate. (5-00228)


   FABBRI e PETITTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le agevolazioni dell'autoimprenditorialità sono regolate dalle seguenti norme: decreto legislativo n. 185 del 2000 (Titolo I), che stabilisce i requisiti per richiedere gli incentivi; regolamento di attuazione (decreto ministeriale 16 luglio 2004) che rende operativo il suddetto decreto, legge n. 80 del 2005 (decreto competitività) che ha introdotto alcune novità;
   l'autoimprenditorialità al fine di promuovere la creazione di nuove società o l'ampliamento di società già esistenti è rivolta alle imprese composte in maggioranza – dei soci e dei capitali – da giovani tra i 18 e i 35 anni e finanzia la produzione di beni e la fornitura di servizi in diversi settori;
   le norme dell'autoimprenditorialità si applicano nelle aree indicate nella Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale 2007-2013 e nel decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 14 marzo 1995;
   INVITALIA è la società a carattere pubblico che gestisce i fondi per gli investimenti che non devono superare i 2,5 milioni di euro e li eroga sotto forma di contributo a fondo perduto o mutuo agevolato. Inoltre Invitalia controlla tutto il ciclo dei finanziamenti per scoraggiare eventuali comportamenti scorretti delle imprese beneficiarie;
   sul sito di Invitalia è presente il seguente avviso: «Per esaurimento delle risorse finanziarie relative agli incentivi previsti dal decreto legislativo n. 185 del 2000 (avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 24 aprile 2013), dal 26 aprile 2013 non è possibile presentare nuove domande di ammissione alle agevolazioni per l'autoimprenditorialità»;
   nel corso degli anni queste misure hanno permesso a centinaia di nuove imprese di nascere e di svilupparsi, creando posti di lavoro e tante opportunità, soprattutto per i giovani, categoria tra le più colpite dalla crisi e dalla disoccupazione;
   la mancanza di fondi per lo sviluppo di nuove imprese rappresenta un colpo durissimo all'intero tessuto imprenditoriale del Paese e soprattutto in un momento di crisi acutissima si tarpano definitivamente le ali a tutti quei giovani imprenditori «in erba» che hanno tanta voglia di fare pur non avendo capitali da investire –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e cosa intenda fare per favorire il ripristino delle risorse economiche mancanti. (5-00230)


   LEVA e MADIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sul territorio della provincia di Isernia nel comune di Pettoranello del Molise opera la società Ittierre spa, leader nel settore dell'abbigliamento di alta gamma;
   la Ittierre spa impiega attualmente circa 700 lavoratori e ricopre quindi un ruolo fondamentale nel tessuto economico e sociale dell'intero territorio molisano;
   da qualche giorno sono state attivate le procedure per la cassa integrazione ordinaria di 300 dipendenti;
   la Ittierre spa ha presentato presso il Ministero dello sviluppo economico in data 18 gennaio 2012 un contratto di sviluppo che prevedeva investimenti pari a 48 milioni di euro dei quali 32 milioni assicurati dalla parte privata e 8,3 milioni garantiti dalla parte pubblica;
   le organizzazioni sindacali Filtcem CGIL, Femca Cisl, Uiltec UIL, UGL Tessili e la stessa Ittierre spa hanno congiuntamente e ufficialmente richiesto un tavolo di confronto regionale per discutere delle gravi difficoltà che si trova ad affrontare l'azienda e delle possibilità e delle iniziative che si intendono portare avanti per il rilancio della stessa –:
   quali siano le ragioni che ritardano l'approvazione del contratto di sviluppo di cui sopra, e se si stiano studiando o si intendano attivare ulteriori interventi al fine di tutelare la filiera tessile molisana;
   se non si ritenga utile attivare un tavolo interministeriale al fine di discutere e programmare azioni di rilancio del settore tessile molisano. (5-00231)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta Ufficiale n. 73 del 27 marzo 2013 è stato pubblicato il comunicato con il quale il Ministero dello sviluppo economico informa dell'avvenuta approvazione del documento finale relativo alla strategia energetica nazionale (SEN);
   con questa strategia stabilita dal precedente Esecutivo di Mario Monti, e condivisa dall'attuale guidato da Enrico Letta, sono state tracciate le linee guida per la riduzione dei costi energetici, il pieno raggiungimento e superamento di tutti gli obiettivi europei in materia ambientale e per una maggiore sicurezza di approvvigionamento e sviluppo industriale del settore energetico;
   durante il proprio intervento all'assemblea di Confindustria – riunitasi all'Auditorium Parco della Musica di Roma il 23 maggio 2013 – il Ministro dello sviluppo economico Flavio Zanonato ha affermato che «per rilanciare le nostre imprese occorre metterle nelle stesse condizioni delle loro concorrenti europee. Questo significa intervenire tanto sul nostro sistema di norme e regolamenti, riducendo i costi della burocrazia, quanto allineare il nostro costo dell'energia su soglie più competitive»;
   come riconosciuto dallo stesso Zanonato, il costo dell'energia costituisce una voce importante per le aziende e le bollette sono ancora troppo pesanti, per questo motivo sono necessarie misure concrete per raggiungere gli obiettivi prefissati, così da ridurre il nostro ritardo sulla componente dei costi;
   in particolare, per quanto riguarda il settore del gas, il Ministro ha tracciato le priorità principali delle prossime azioni di governo che risultano essere le seguenti: l'accelerazione del mercato a termine, in modo da rendere efficiente e competitivo il settore del gas e dare strumenti moderni di copertura alle aziende industriali; l'integrazione con i mercati europei, con regole di interscambio con il Nord Europa semplici e fluide per gli operatori; il rafforzamento delle infrastrutture, con alcuni interventi mirati e selettivi per rafforzare la diversificazione e la competitività del nostro mercato, ricorrendo ad alcuni impianti di rigassificazione e di stoccaggio e al Corridoio Sud, per il quale si scommette «su una vittoria della rotta italiana»;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del Governo Monti, Corrado Clini, nel mese di aprile 2013 ha firmato un decreto che sospende per sei mesi l'efficacia della valutazione di impatto ambientale (VIA) sul progetto presentato dalla Gas Natural per un impianto di rigassificazione del metano liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste. Il provvedimento ha accolto il parere contrario della Commissione Via del dicastero che ha recepito a sua volta i pareri contrari del comitato portuale di Trieste e dalla regione Friuli-Venezia Giulia. Il decreto, quindi, prende atto delle mutate situazioni del traffico marittimo triestino e delle prospettive di potenziamento previste dal Piano regolatore portuale. Il rigassificatore, se realizzato con le modalità progettate dalla Gas Natural, non sarebbe compatibile con il traffico portuale attuale e con gli sviluppi futuri;
   con un ulteriore decreto il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore ha bloccato la VIA per la costruzione dell'impianto off-shore proposto dalla compagnia energetica tedesca E.On nel golfo di Trieste, in mare aperto a 19 chilometri a ovest del capoluogo friulano, perché non sono disponibili i dati relativi all'estensione della zona di sicurezza attorno al rigassificatore, come le cosiddetta safety zone, la separation zone e il corridoio di sicurezza;
   il 30 maggio 2013 si riunirà il «Gas Coordination Group» della Commissione dell'Unione europea, composto da alti funzionari delle autorità competenti degli Stati membri per la sicurezza dell'approvvigionamento, da rappresentanti di ACER (Agency for the cooperation of energy regulators), ENTSOG (European network of transmission system operators for gas), dal segretariato della Comunità dell'energia e da rappresentanti del settore e delle associazioni consumatori;
   in questa occasione il progetto del rigassificatore di Zaule potrebbe essere considerato di interesse comunitario con la conseguente proposizione del suo inserimento tra le infrastrutture strategiche dell'Unione europea –:
   quali siano le località in cui il Ministro interrogato intenda promuovere la costruzione di impianti di rigassificazione e stoccaggio, tenendo presenti i due decreti approvati dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del precedente Governo che hanno sospeso la valutazione di impatto ambientale ai due progetti previsti nel porto e nel mare triestino;
   se il Governo intenda promuovere l'inserimento del progetto del rigassificatore di Zaule tra le infrastrutture strategiche comunitarie, malgrado la sospensione della valutazione di impatto ambientale da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ampiamente documentato dai pareri negativi della Commissione VIA dello stesso dicastero, del comitato portuale di Trieste, dalla regione Friuli-Venezia Giulia e degli enti locali. (4-00677)


   MARCON, AIRAUDO, PELLEGRINO e ZAN. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dall'agosto del 2009 la Vinyls Italia S.p.a., azienda italiana del settore chimico produttrice di cloruro di polivinile e cloruro di vinile monomero, ha fermato la produzione a causa di un insostenibile aumento del prezzo delle materie prime da parte di un'azienda terza;
   nel novembre del 2009, 370 dipendenti degli stabilimenti di Vinyls Porto Torres, Ravenna ed in particolare di Porto Marghera sono stati messi in cassa integrazione, vivendo per lungo tempo uno stato di fortissima precarietà che per la maggior parte dei quali si protrae ancora oggi;
   lo stato di precarietà di cui si parla è stato aggravato dal discontinuo pervenire delle risorse concesse dagli ammortizzatori sociali a causa di una reiterata mancanza di liquidità. Situazione che gli operai sono costretti a subire proprio in questi giorni poiché la scadenza della cassa integrazione è avvenuta il 14 maggio scorso;
   l'acquisizione dell'impianto Vinyls sito a Ravenna con il relativo reimpiego di 54 dipendenti da parte del gruppo IGS di Samarate nel giugno 2011, non ha portato ad alcun miglioramento della situazione. Infatti lo stabilimento in questione cessato la produzione nel giro di pochi mesi, ricorrendo a sua volta agli ammortizzatori sociali;
   tuttora 132 operai dello stabilimento di Porto Marghera si trovano in cassa integrazione straordinaria a zero ore e a rotazione. Questi ultimi hanno attualmente l'obbligo di costituire quotidianamente un presidio ambientale nell'impianto, non potendo nemmeno fare reale affidamento sul, seppur esiguo, reddito che dovrebbe essergli garantito;
   i lavoratori manifestano da anni uno stato di comprensibile angoscia dovuta all'instabilità di tale situazione, ponendo in essere iniziative di protesta e di sensibilizzazione dell'opinione pubblica e del Governo, tra cui: la salita e permanenza di alcuni operai sulla torcia perenne dello stabilimento a 150 metri di altezza (13 dicembre 2010, 15 marzo 2011, 11 ottobre 2011), l'occupazione dell'isolotto di San Giuliano nella laguna veneta (6 aprile 2011) e la breve occupazione del campanile di San Marco a Venezia (4 ottobre 2012);
   risulta fondamentale, a parere degli interroganti, costruire tanto una prospettiva occupazionale per questi lavoratori, quanto una sostenibilità della produzione sia dal punto di vista economico che ecologico-ambientale –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere per salvaguardare i posti di lavoro degli operai dello stabilimento di Porto Marghera;
   quali siano le strategie di rilancio della produzione nello stabilimento, compatibilmente alla sostenibilità ecologico-ambientale. (4-00678)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Speranza e altri n. 1-00039, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Martelli, Zampa, Iori, Incerti, Bindi, Cenni.

  La mozione Mucci e altri n. 1-00042, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Di Vita, Nesci, Dall'Osso, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Cecconi.

  La mozione Bobba e altri n. 1-00058, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Morani, Basso, Cenni, Capodicasa, Fossati, Pes, Petitti.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Scotto e altri n. 4-00669, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Manfredi.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Mucci n. 1-00042, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 17 del 16 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    i numeri sulla violenza in Italia sono ormai tristemente noti. Una donna su tre, in un'età compresa tra 16 e i 70 anni, è stata vittima di forme di violenza; il 35 per cento delle vittime non presenta denuncia, mentre solo il 13 per cento ha fatto richiesta di aiuto per stalking;
    secondo Telefono Rosa, nel 2012 le vittime femminili hanno superato di poco le 120 unità e si è passati da un omicidio ogni tre giorni registrato nel 2011 a uno ogni due giorni; la gran parte delle violenze rimane sommersa, impunita e avviene tra le pareti domestiche; un dramma diffuso che riguarda tutte le classi sociali e che va aumentando;
    nonostante i mutamenti sociali, i diritti acquisiti e le leggi varate in questi anni, il fenomeno rimane ancora un problema irrisolto: mancano serie politiche di contrasto della violenza, ricerche e progetti di sensibilizzazione e di formazione; la violenza sulle donne costituisce una violazione dei diritti umani che ostacola o rende impossibile il godimento di altri diritti umani, compromettendo, altresì, il raggiungimento della parità di opportunità tra donne e uomini. Si è davanti ad un grave reato, una forma di discriminazione che non riguarda la sfera privata perché è solo l'aspetto più evidente e brutale dell'ineguaglianza esistente nella società;
    è sempre più urgente affrontare il problema nella sua gravità per risolverlo, ma per far ciò è necessario un radicale cambiamento culturale nella nostra società. Ciò anche alla luce dei dati del Global gender gap report 2012, la classifica stilata ogni anno dal World economic forum sul divario di opportunità tra uomini e donne in 135 Paesi e secondo il quale appare evidente che i risultati sono sempre più sconfortanti per l'Italia: complessivamente all'ottantesimo posto (nel 2011 era al settantaquattresimo); nello specifico: centounesimo posto, in quanto a partecipazione economica e opportunità; sessantacinquesimo posto, in quanto ad accesso all'istruzione di base e di livello superiore; settantaseiesimo posto per quanto riguarda la salute e la sopravvivenza; al settantunesimo posto in materia di rappresentanza politica;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e la violenza domestica, aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa e degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione a Istanbul l'11 maggio 2011, rappresenta il primo strumento internazionale, giuridicamente vincolante, finalizzato a creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza;
    si tratta di un trattato corposo che analizza il fenomeno nella sua complessità e fornisce un quadro giuridico completo, sia in chiave di prevenzione che di repressione di questa odiosa forma di violenza;
    questa Convenzione – che l'Italia deve recepire nelle parti in cui il nostro ordinamento ancora non ha raggiunto gli auspicati standard, lasciando impregiudicati gli eventuali livelli di maggior tutela – potrebbe, se attuata da tutti i Paesi membri, salvare e cambiare le vite di milioni di vittime e dare un contributo concreto al miglioramento del rispetto dei diritti umani e dello status delle donne. È una battaglia di civiltà cui la politica non può e non deve sottrarsi;
    il grande valore di tale Convenzione risiede anche nel sancire la necessità di un cambiamento radicale di mentalità all'interno della società, per estirpare i pregiudizi fondati sulla cosiddetta inferiorità delle donne o sui ruoli stereotipati attribuiti a donne e uomini. In essa si afferma, infatti, che spetta agli Stati prevenire, fermare e sanzionare la violenza sulle donne, sia domestica sia esterna, e che la violenza verso le donne non può essere giustificata da nessun argomento di natura culturale, storica o religiosa;
    l'inserimento nel codice penale italiano del nuovo articolo 612-bis sugli atti persecutori (stalking), la giurisprudenza costituzionale che si è venuta formando sulla presunzione assoluta di pericolosità degli accusati dei delitti a sfondo sessuale e, da ultimo, l'approvazione definitiva, nel 2012, della legge n. 172 del 2012 di adeguamento interno alla Convenzione di Lanzarote hanno costituito un segnale di un'evoluzione importante ma che ancora non basta; l'Italia è, tra i Paesi europei, agli ultimi posti per contrasto al fenomeno della violenza di genere: infatti, il report di Rashida Manjoo, relatore speciale sulla violenza contro le donne delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna, in visita nel nostro Paese nel 2012, ha condannato pesantemente l'Italia rilevando che «Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita»;
    da più parti, ormai, si sollecita l'introduzione di un'aggravante generale per i delitti commessi per motivi di genere, oltre che di un'aggravante specifica per il caso di omicidio, che riguarda anche il delitto commesso nei confronti dell'ex coniuge o dell'ex convivente. È auspicabile, quindi, che su questo campo possa presto attivarsi un più determinato intervento legislativo che tocchi anche aspetti apparentemente procedurali (ma in realtà sostanziali), quali il divieto di sospensione condizionale della pena, il divieto di bilanciamento per equivalenza tra aggravanti e attenuanti o il divieto di patteggiamento, come segnale ulteriore di contrasto e dissuasione alla commissione di crimini del genere;
    ma il passo ulteriore dovrà essere necessariamente di carattere culturale, in quanto la sanzione penale non potrà mai esaurire lo spettro delle azioni da intraprendere su questo fronte, tenuto conto che da quasi trent'anni, e precisamente dalla legge 14 marzo 1985, n. 132, è stata ratificata e resa esecutiva la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979;
    a tutt'oggi, solo quattro Paesi hanno ratificato la Convenzione di Istanbul, ovvero hanno concluso il processo di creazione di una legge nazionale che renda effettivo nel proprio Paese il testo della stessa. Questi Paesi sono (e, su alcuni c’è da stupirsene, per tanti versi): Turchia, Albania, Montenegro e Portogallo. Mancano, dunque, ancora almeno 6 ratifiche,

impegna il Governo:

   ad attivare, nell'ambito delle proprie competenze, un'azione a livello europeo affinché si giunga alla ratifica immediata, da parte degli Stati dell'Unione europea, della Convenzione del Consiglio d'Europa, adottata ad Istanbul nel 2011, sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica;
   a valutare tutte le iniziative necessarie affinché, per quanto riguarda l'educazione delle nuove generazioni, venga agevolata la creazione di spazi di approfondimento periodici affinché si affrontino temi come l'uguaglianza e la violenza di genere, per avviare un radicale cambiamento culturale nella nostra società e per estirpare i pregiudizi fondati sulla cosiddetta inferiorità delle donne o sui ruoli stereotipati attribuiti a donne e uomini;
   ad attivarsi, anche con iniziative normative e con fondi adeguati, per l'adozione di serie politiche di contrasto della violenza, ricerche e progetti di sensibilizzazione e di formazione di personale qualificato in grado di affrontare e gestire situazioni di emergenza;
   a sostenere e attuare con più determinazione sia quanto già contenuto nella Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, sia quanto è stato osservato dalla relatrice speciale Onu contro la violenza sulle donne, Rashida Manjoo, di cui in premessa;
   ad avviare una campagna capillare di informazione di utilità sociale a qualsiasi livello su questa drammatica realtà che ancora oggi presenta aspetti sempre più inquietanti;
   a rinnovare il Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, con particolare attenzione alla raccolta dei dati e al loro monitoraggio, per avere un quadro aggiornato della situazione in maniera periodica e certa, e alla promozione e consolidamento, su tutto il territorio nazionale, della rete tra centri antiviolenza e istituzioni preposte alla tutela, quali gli enti locali, le forze dell'ordine, i consultori, gli ospedali, i servizi sociali e sociosanitari;
   a sostenere con adeguate risorse finanziarie i centri antiviolenza, istituzioni fondamentali per il corretto ed efficace funzionamento dei servizi a tutela della donna vittima di violenza;
   a coinvolgere in maniera diretta i centri antiviolenza con maggiore esperienza, al fine della redazione del Piano nazionale antiviolenza;
   a presentare semestralmente una relazione alla competenti commissioni parlamentari sullo stato di attuazione del Piano nazionale antiviolenza;
   ad individuare forme alternative di risarcimento alle donne che hanno subito violenza, ad esempio attraverso progetti di reinserimento lavorativo, al fine di ripristinare condizioni di vita adeguate successive al superamento della violenza subita.
(1-00042)
(Ulteriore nuova formulazione) «Mucci, Crippa, Prodani, Mannino, Brescia, Dieni, D'Ambrosio, Nuti, Spadoni, Fantinati, Di Vita, Nesci, Dall'Osso, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Cecconi».

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione in Commissione Marazziti n. 7-00016 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 21 del 22 maggio 2013.
  Alla pagina 1276, prima colonna, alla riga dodicesima deve leggersi: «volta il 20 dicembre 2012 con 111 voti a» e non come stampato.
  Alla pagina 1276, seconda colonna, dalla riga undicesima alla riga tredicesima deve leggersi: «assieme alle organizzazioni Nessuno Tocchi Caino, Comunità di Sant'Egidio e Reprieve è stato possibile interrompere la» e non come stampato.
  Alla pagina 1276, seconda colonna, dalla riga quarantacinquesima alla riga quarantottesima deve leggersi: «tali anche dei condannati a morte in Paesi che mantengono la pena capitale, e a cooperare per umanizzare il sistema carcerario; a continuare a rafforzare l'impegno», e non come stampato.