Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 30 maggio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera
   premesso che:
    la crisi economica che sta scuotendo il Paese sta assumendo dei tratti particolarmente drammatici in termini di riverberi sociali della stessa tanto da legittimare gesti estremi da parte di lavoratori, rimasti senza lavoro e privi di riferimenti e risorse economiche, e di imprenditori incapaci di far fronte alla gestione della propria attività;
    in tale scenario che assume i tratti di una vera e propria emergenza sociale appare auspicabile procedere con una revisione degli aspetti maggiormente limitativi delle disposizioni introdotte dal Governo attraverso le misure urgenti per assicurare la stabilità finanziaria tra cui il Decreto recante disposizioni urgenti in materia di crescita, equità e consolidamento dei conti pubblici varato nel dicembre 2011;
    in tale scenario appare opportuno evidenziare che l'articolo 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, introducendo la riduzione del limite per la tracciabilità dei pagamenti a 1.000 euro al fine di ridimensionare l'uso del denaro contante, ha previsto – tra l'altro – l'obbligo in capo ai lavoratori e ai pensionati di aprire un conto corrente postale o bancario per l'accredito delle somme percepite superiori ai 1000 euro riformando di fatto la disciplina vigente in materia di pignoramenti presso terzi, compresa quella del prelievo del quinto dello stipendio;
    l'articolo 72-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, introdotto dal decreto-legge n. 16 del 2012 con l'obiettivo di modificare i limiti di pignorabilità da parte dei concessionari della riscossione, ha previsto che il creditore o l'agente della riscossione possa procedere al pignoramento di stipendi, salari o altre indennità relative al rapporto di lavoro o dovute a causa del licenziamento nella misura di un decimo per importi fino a 2.000 euro e un settimo per importi da 2.000 euro a 5.000 euro, mentre per quanto riguarda gli importi superiori, il prelievo operato dal pignoramento esattoriale ritorna a configurarsi come quello previsto dalla normativa previgente nella misura di un quinto;
    malgrado la riformulazione della norma, sussiste il rischio che il creditore o il concessionario della riscossione aggredisca direttamente l'intera capienza del conto corrente del debitore, piuttosto che avviare una procedura coattiva di pignoramento dello stipendio o della pensione dello stesso, aggirando nei fatti i succitati limiti di pignorabilità introdotti dal legislatore;
    nei fatti il creditore o concessionario della riscossione può aggredire tutti i risparmi di precedenti mensilità presenti sul conto corrente del pensionato o del lavoratore, bloccando anche le somme che confluiscono nel conto fino alla data dell'udienza di assegnazione;
    in merito a quanto suindicato, Equitalia spa, concessionario pubblico di riscossione, ha evidenziato che «non può conoscere a priori quello che viene depositato sul conto corrente, però adotta gli eventuali correttivi del caso, in presenza di una richiesta da parte del contribuente che comprovi che sul conto corrente confluisca solo la pensione, la stipendio o altra indennità», evidenza che appare non fondarsi su presupposti normativi validi in considerazione dei fatto che emolumenti confluiti sul conto del pensionato o lavoratore perdono la loro configurazione originaria, rendendo di fatto impraticabile la proposta di Equitalia;
    l'attuale configurazione della norma, permettendo l'aggressione dell'intera capienza dei conti correnti dei debitori, lavoratori e pensionati già vessati e spesso in oggettive difficoltà economiche, permette che rimangano privi di tutela e di qualsivoglia garanzia economica, poiché vengono annullate le norme di salvaguardia in materia di tutela delle risorse;
    quanto evidenziato rischia di violare in maniera vistosa quanto sancito dall'articolo 38 della Costituzione italiana in materia di assicurazione dei mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia e disoccupazione involontaria;
    risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo che siano già avviate procedure giudiziarie finalizzate al pignoramento e al blocco dei conti correnti di pensionati e lavoratori che risultano debitori, le cui conseguenze in termini sociali rischiano di essere seriamente preoccupanti;
    appare opportuno evidenziare che la Corte di cassazione, con la sentenza n. 17178 del 9 ottobre 2012, ha sancito che le somme erogate a titolo di retribuzione e T.F.R. possano essere pignorate e quindi sequestrate nella forma del pignoramento presso terzi sul conto corrente intestato al dipendente, considerando il denaro versato sul conto del debitore come bene fungibile per eccellenza;
    in occasione dell'audizione svoltasi presso la Camera dei deputati nell'ambito dell'esame del cosiddetto decreto «Salva Imprese», il Direttore dell'Agenzia delle entrate, Attilio Befera ha evidenziato la sussistenza di una «lacuna normativa» in materia che impone una soluzione urgente,

impegna il Governo:

   a promuovere in tempi celeri la revisione della suindicata normativa, attraverso l'abrogazione della lettera c) del comma 4-ter dell'articolo 2 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138;
   a rafforzare i limiti di pignorabilità introdotti dal decreto-legge n. 16 del 2012 al fine di riconoscere ai debitori delle garanzie minime esorcizzando l'acuirsi di un disagio che rischia di configurarsi come una vera e propria emergenza sociale;
   a varare, attraverso iniziative normative urgenti, un pacchetto di interventi volti ad assicurare – nel pieno rispetto del principio costituzionale suindicato – adeguati strumenti di garanzia e di tutela per le fasce sociali più colpite dalla gravosa crisi economica, anche attraverso una revisione della normativa afferente alle disposizioni urgenti per la crescita e il consolidamento dei conti pubblici introdotte negli ultimi due anni.
(1-00061) «Caruso, Binetti, Causin, Capua, Antimo Cesaro, Librandi, Nissoli, Oliaro, Rabino, Rossi, Vecchio, Vezzali».


   La Camera,
   premesso che:
    nel 1995 la città bosniaca di Srebrenica è stata proclamata zona protetta dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 16 aprile 1993, n. 819;
    l'11 luglio 1995 le milizie serbe, guidate dal generale Ratko Mladic e sotto la direzione dell'allora Presidente della Repubblica serba di Bosnia ed Erzegovina Radovan Karadzic, entrarono nella città di Srebrenica perpetrando in meno di tre giorni una pulizia etnica di inaudita violenza ed atrocità nei confronti della popolazione bosniaca musulmana concentrata nella città e violando la citata risoluzione;
    il 13 luglio 1995 migliaia di profughi musulmani, sopravvissuti al massacro, raggiungevano Tuzla, l'unica città che riuscì a mantenere una posizione di relativa neutralità nel corso del conflitto;
    molti civili, sopravvissuti all'eccidio perpetrato dai serbi, riuscirono a raggiungere la città di Potocari, dove era stata fissata la base delle truppe dell'Unprofor;
    l'eccidio, dichiarato atto di genocidio dal tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, è avvenuto in una zona di sicurezza, si è consumato in tre giorni dinanzi agli occhi dell'Onu, della Nato e della comunità internazionale ferme nel loro drammatico immobilismo e si configura pertanto come il «simbolo dell'impotenza della comunità internazionale ad intervenire nel conflitto» come evidenzia la risoluzione del Parlamento europeo del 15 gennaio 2009;
    il numero di sparizioni conseguente al genocidio ammonta a circa 25.000 persone, di contro soltanto 7.000 sono stati i corpi rinvenuti dall’International commission for missing persons (ICMP) nell'area circostante le due città di Srebrenica e Zepa, e si sta ancora lavorando per scoprire le fosse comuni e individuali e per esumare e identificare i corpi delle vittime, anche al fine di consentire la ricostruzione completa degli eventi di quei drammatici giorni;
    gli accordi di pace di Dayton del novembre 1995 hanno ufficializzato la fine del conflitto, cristallizzando la contrapposizione dei partiti nazionalisti e consentendo la definizione di una struttura statale della Bosnia-Erzegovina alquanto complessa sotto il profilo politico, amministrativo, organizzativo e culturale che attualmente compromette il processo di riconciliazione in Bosnia;
    nel contesto bosniaco il processo di riconciliazione si snoda su tre importanti fronti: quello interno che coinvolge i tre gruppi etnico-religiosi bosniaci, musulmani, cristiani e ortodossi; quello dei Balcani occidentali, che coinvolge i rapporti tra il Governo centrale bosniaco e i Paesi confinanti, Serbia e Croazia; quello internazionale che coinvolge i Paesi occidentali, la cui configurazione al tempo del conflitto è stata rappresentata delle forze delle Nazioni Unite (Unprofor) e della Nato e dal loro immobilismo;
    il principale accusato del genocidio è il generale Mladic, ricercato ufficialmente dal 1995 è stato arrestato nel luglio 2011. Nel maggio 2012 si è aperto il processo nei suoi confronti presso il tribunale penale internazionale de L'Aja con l'accusa di 2 genocidi, 5 crimini contro l'umanità e 4 crimini di guerra, per un totale di 11 capi di accusa;
    la cattura e l'apertura del processo rappresentano la realizzazione dell'auspicio europeo, definito nella risoluzione del 2009 che «non può esservi vera pace senza giustizia»; questo evento rappresenta l’incipit per il percorso di completamento e di costruzione della pace. Dinanzi alla giustizia che diviene esecutiva e non si limita ad essere vagheggiata, si polarizza la sensibilità della società civile europea, che può certamente avvertire questo senso di completamento e di giustizia;
    a distanza di anni dalla tragedia di Srebrenica è chiara la consapevolezza che uno dei tasselli più rilevanti del processo di riconciliazione nella regione è rappresentato dal percorso di autocoscienza storica della società civile europea rispetto agli eventi del 1995;
    proprio in questo scenario il Parlamento europeo il 15 gennaio 2009 ha approvato la più volte citata risoluzione P6-TA (2009) 0028 Srebrenica con cui «invita il Consiglio e la Commissione a commemorare degnamente l'anniversario del genocidio di Srebrenica-Potocari, sostenendo la proposta del Parlamento di proclamare l'11 luglio giorno di commemorazione del genocidio di Srebrenica nell'intera Unione europea ed invita tutti i paesi dei Balcani occidentali a fare altrettanto»;
    la risoluzione «sottolinea l'importanza della riconciliazione come parte del processo di integrazione europea; evidenzia l'importante ruolo delle comunità religiose, dei media e del sistema scolastico in questo processo, affinché i civili di tutti i gruppi etnici possano superare le tensioni del passato ed iniziare una pacifica e sincera coesistenza tesa ad una pace, una stabilità e una crescita economica durature; esorta tutti i paesi a compiere ulteriori sforzi per cominciare ad accettare un passato difficile e travagliato»;
    quanto riconosciuto nella risoluzione si configura come il tentativo di dare una svolta al processo di riconciliazione sul fronte regionale ed internazionale della Bosnia-Erzegovina;
    la risoluzione intende valorizzare la memoria di un evento drammatico come strumento di ricostruzione sociale, culturale e politica non solo per la regione balcanica ma anche per l'intera regione europea;
    la risoluzione ha rappresentato quindi un tassello importante nel percorso di emancipazione storica dell'Europa rispetto all'evento e allo strascico storico, politico e culturale che questo ha determinato. Con una consapevolezza chiara definita di ciò che l'evento di Srebrenica è stato e che cosa esso può rappresentare: tutto questo si configura proprio come un momento molto importante per una società progredita e civile come quella europea che ha serie e articolate ambizioni politiche;
    il riconoscimento della giornata della memoria della strage di Srebrenica rappresenta senza dubbio lo strumento attraverso cui l'Europa può fare i conti con la sua storia recente, creando le basi storiche, culturali e politiche per rinnovare l'impulso all'integrazione e all'emancipazione della regione balcanica in una cornice europea, segnatamente all'indomani dell'entrata della Croazia nell'Unione;
    la risoluzione traccia un percorso di autodeterminazione storica che parte dunque da un invito alla responsabilità e alla vigilanza per coloro che si trovano alla guida dei popoli. Un ulteriore merito di questo atto è quello di porre Srebrenica come un monito per le generazioni presenti e per le generazioni future. Infatti le vittime di Srebrenica e di tutte le stragi che si consumano ancora oggi in tanti Paesi del mondo invitano a riflettere, a mettersi in discussione, a valutare in maniera opportuna il peso delle scelte che gli uomini di potere operano e che i popoli pagano;
    l'Italia non ha ancora dato seguito alla risoluzione P6-TA (2009) 0028, pur mostrando sensibilità ed attenzione alla commemorazione della tragedia di Srebrenica: negli ultimi anni nelle più alte sedi istituzionali sono state promosse diverse iniziative commemorative con l'obiettivo di creare una cornice entro cui scambiare informazioni, esperienze e creare sensibilizzazione coinvolgendo l'opinione pubblica su un drammatico evento ancora troppo lontano dalla memoria della società civile europea;
    l'Italia deve giocare un ruolo fondamentale in questo percorso di riconciliazione, in virtù del suo ruolo non trascurabile di interlocutore della regione, trovando gli strumenti per creare memoria, analisi e confronto su un evento drammatico della storia recente dell'Europa e per creare una coscienza civile, che non può prescindere anche da una chiara volontà delle istituzioni, di far prevalere la verità e la giustizia e di operare in questo senso,

impegna il Governo

ad assumere le iniziative di competenza al fine di dare attuazione alla risoluzione del Parlamento europeo P6-TA (2009) 0028, con cui si chiede ai Governi europei il riconoscimento ufficiale dell'11 luglio come giornata della memoria della strage di Srebrenica.
(1-00062) «Caruso, Antimo Cesaro, D'Agostino, De Mita, Nissoli, Oliaro, Rabino, Andrea Romano, Rossi, Santerini, Vecchio».

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni VI e X,
   premesso che:
    per tornare a crescere, è necessario attuare una serie di riforme tale da innalzare il potenziale di sviluppo dell'economia italiana, attraverso specifiche politiche rivolte alle micro, piccole e medie imprese, all'interno di una più generale strategia di sviluppo del Paese;
    i dati diffusi da Unioncamere sulla base di Movimprese fotografano la situazione più difficile dal 2004: nei primi tre mesi del 2013 hanno chiuso l'attività 31 mila aziende;
    questi numeri impongono all'attenzione di tutti l'urgenza di interventi concreti per la crescita e l'occupazione;
    è innegabile che la difficoltà di accesso al credito sia esponenzialmente cresciuta con la crisi economica e che la gravità della recessione è da attribuire in parte anche al «razionamento del credito»;
    il credito alle imprese è un'emergenza europea che assume toni preoccupanti in Italia e Spagna e le molteplici iniziative discusse in sedi internazionali dimostrano che i problemi originati dalla crisi bancaria sono inderogabili;
    da ultimo l'Unione europea ha lanciato, sul libro verde, una consultazione pubblica sul tema del finanziamento a lungo termine dell'economia comunitaria;
    anche il documento conclusivo dei saggi nominati dal Presidente della Repubblica suggerisce il rafforzamento di due strumenti già esistenti: il Fondo centrale di garanzia per il credito bancario alle piccole e medie imprese e i fondi di private equity istituiti presso la Cassa depositi e prestiti;
    secondo l'Associazione bancaria italiana (ABI) i finanziamenti bancari a famiglie e imprese a marzo sono scesi del 2,3 per cento, in calo per l'undicesimo mese consecutivo; la rischiosità dei prestiti sempre secondo l'Abi, rimane elevata, con sofferenze nette salite, a febbraio, a 61,7 miliardi di euro, mentre quelle lorde sono 127,7 miliardi di euro; i tassi di interesse medi applicati ai prestiti sono stabili, al 3,74 per cento, mentre il tasso medio della raccolta bancaria è fermo al 2,03 per cento, con un margine quindi di 171 punti base;
    il tasso medio a carico delle aziende è del 6,24 per cento circa, il 60 per cento in più rispetto a quanto pagano oggi le imprese tedesche che sono al 4,04 per cento, il livello più basso dal 2003;
    il sistema bancario è determinante per rendere la crisi meno profonda e duratura; i punti più critici sono innanzitutto il costo di tale credito e la quantità di credito che attualmente viene allocata sull'economia reale, soprattutto sulle medie e piccole imprese;
    negli ultimi due anni la Banca centrale europea ha effettuato, ingenti prestiti alle banche dell'area euro, di durata triennale a tassi di interesse agevolati dell'1 per cento;
    l'obiettivo dell'operazione di prestito dichiarato dalla stessa Banca centrale europea era quello di limitare la restrizione del credito e attenuare l'impatto della crisi del debito sull'economia reale, facendo affluire i crediti alle famiglie e alle imprese, con particolare riguardo a quelle piccole e medie, tuttavia l'immissione di tale massa di liquidità nel sistema bancario italiano non sembra aver pienamente dispiegato i suoi effetti sul sistema produttivo;
    lo stesso presidente della Banca centrale europea, in un intervento che ha anticipato il successivo taglio del tasso ufficiale, ha sottolineato la gravità delle conseguenze dei mancati prestiti a tassi ragionevoli da parte delle banche in alcuni paesi dell'Eurozona e ha definito «sconcertante» che le piccole e medie imprese debbano soffrire molto più delle grandi aziende, nonostante poi garantiscano i tre quarti dell'occupazione;
    l'ultimo aggiornamento sui mutui rivela un drammatico calo nei primi nove mesi del 2012 per le erogazioni di mutui, scesi del 40 per cento; al contrario, si è registrato un boom di acquisti all'ultima asta di buoni del tesoro poliennali rivolti alla clientela retail che hanno raccolto quasi 9 miliardi di euro con un rendimento annualizzato stimato nel 4,78 per cento; questo effetto potrebbe essere determinato da un utilizzo improprio, anche da parte degli istituti di credito in Italia, della liquidità immessa dalla Banca centrale;
    secondo il bollettino mensile della Banca centrale europea di maggio, che riporta i risultati dell'indagine sull'accesso al credito delle piccole e medie imprese nell'area dell'euro per il periodo da ottobre 2012 a marzo 2013, sussistono ostacoli significativi di finanziamento per le piccole e medie imprese, seppur inferiori rispetto alla precedente indagine;
    il Paese al monitoraggio effettuato dal Sole-24 Ore nel primo trimestre 2013, che riporta quotidianamente i dati rilevati da Cerverd Group, in Italia fallimenti delle imprese hanno toccato un nuovo record a 3.500 procedure avviate, più 126 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012. Complessivamente le chiusure aziendali hanno accelerato di molto la loro corsa: nei primi tre mesi si contano circa 23 mila imprese che hanno avviato una procedura di insolvenza o una liquidazione volontaria, in aumento del 7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012;
    è sicuramente indispensabile garantire dà subito una maggiore trasparenza nei rapporti fra gli istituti di credito e le micro, piccole e medie imprese, assicurando così condizioni di accesso al credito informato, corretto e non vessatorio al fine di rilanciare la competitività e la produttività delle micro, piccole e medie imprese e di favorirne l'innovazione, l'internazionalizzazione e la capitalizzazione;
    sarebbe inoltre auspicabile intervenire anche nel rafforzamento della patrimonializzazione delle piccole e medie imprese modificandone così la struttura finanziaria, nonché sul, versante della struttura dimensionale delle imprese stesse, favorendone processi di aggregazione;
    in questa ottica possono essere considerate con favore le misure inserite nel decreto-legge «salva Italia» (decreto-legge n. 201 del 2011) in tema di aiuto la crescita economica e nei decreti-legge «sviluppo» (decreto-legge n. 83 del 2012) e «sviluppo-bis» (decreto-legge n. 179 del 2012) volte a consentire anche alle società non quotate di accedere alla raccolta del capitale di debito;
    sarebbe altresì di grande rilievo attuare con rapidità le misure previste in maniera di semplificazione degli adempimenti amministrativi a carico delle imprese, come previsto dai decreti-legge n. 1 del 2012 e n. 5 del 2012, consentendo loro ingenti risparmi in termini di costi finanziari e amministrativi,

impegnano il Governo:

   ad individuare e porre in essere tutte le necessarie iniziative di competenza atte a favorire l'erogazione atte a favorire l'erogazione di prestiti al sistema produttivo e commerciale, anche facendo in modo che la liquidità che gli istituti bancari ottengono dalla Banca centrale europea sia collegata ad un effettivo sostegno dell'economia reale, in particolare alle piccole e medie imprese;
    a prevedere specifiche politiche volte a favorire il rafforzamento della struttura dimensionale delle imprese incentivandone l'aggregazione e, di conseguenza, le capacità di accesso ai mercati finanziari, di affermazione nei mercati internazionali, di investimento, di strategie di innovazione, ricerca e sviluppo.
(7-00027) «Benamati, Causi, Basso, Bini, Cani, Civati, Del Basso De Caro, Donati, Folino, Galperti, Ginefra, Impegno, Mariano, Martella, Montroni, Nardella, Peluffo, Petitti, Portas, Senaldi, Taranto, Bargero, De Menech, Petrini, Ginato».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   RIZZETTO, PRODANI e ROSATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il 25 giugno 2011 il Comitato mondiale dell'UNESCO a Parigi ha inserito nella lista del Patrimonio mondiale dell'umanità il sito seriale «I Longobardi in Italia: centri di potere»;
   il nuovo sito, che rafforza la leadership italiana nella lista del Patrimonio mondiale dell'umanità, è stato di fatto inserito nel corso del 150o anniversario dell'Unità d'Italia e le località longobarde, oggetto di tutela UNESCO, attraversano dal Nord al Sud l'Italia e possono così essere rappresentative di una lontana radice unitaria del territorio italiano, seguita a quella dell'impero romano;
   le sette località che fanno parte del sito «I Longobardi in Italia: i luoghi del potere» sono:
    a) il tempietto longobardo a Cividale del Friuli (Udine) con i resti del complesso episcopale ed il museo archeologico nazionale;
    b) il castrum di Castelseprio-Torba e cornate Olona (Varese) con la chiesa di Santa Maria foris portas;
    c) il complesso monastico di San Salvatore e Santa Giulia a Brescia, di cui fanno parte il monastero femminile ed il complesso archeologico monumentale adiacente;
    d) il tempietto del Clitunno a Campello (Perugia);
    e) la basilica di San Salvatore a Spoleto (Perugia) che presenta preziosi frammenti di architettura medievale;
    f) la chiesa di Santa Sofia a Benevento, con il chiostro e una parte dell'abbazia che ospita al suo interno il museo dei Sannio;
    g) il Santuario Garganico di San Michele a Monte Sant'Angelo (Foggia);
   atteso che in un momento storico come quello attuale sarebbe quanto mai di rilievo incentivare la promozione turistica sotto ogni aspetto anche attraverso un'emissione filatelica dedicata ai siti UNESCO oltreché, in concerto ed accordo con eventuali organizzazioni preposte alla pubblicità e promozione dei siti, all'inserimento degli stessi negli spot pubblicitari istituzionali promossi dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dai competenti Ministeri;
   va ricordato che a tutt'oggi i messaggi istituzionali di promozione del territorio proposti dal servizio pubblico, denotano un'assenza totale del Nord-Est ed in particolare del Friuli-Venezia Giulia –:
   se il Governo intenda promuovere, con un'apposita pubblicità istituzionale l'avvenuto inserimento nel patrimonio dell'umanità UNESCO dei siti che costituiscono l'iscrizione dei «Longobardi in Italia: i luoghi del potere». (3-00091)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è in corso una disputa tra Unione europea e Governo austriaco per il futuro della Hypo Bank Alpe Adria, tra accuse di abuso nell'utilizzo degli aiuti di Stato e tattiche per convincere l'Austria a far venire meno il segreto bancario;
   in particolare, l'Unione europea accusa il Governo austriaco e la Hypo Bank Alpe Adria di aver esagerato nell'utilizzo di aiuti di Stato, più di 4 miliardi concessi in cambio di un progetto di riprivatizzazione, progetto che – secondo il governo austriaco – ora starebbe in piedi soltanto chiudendo la Hypo Bank Italia, dal momento che sembra impossibile venderla;
   a farne le spese, dunque, saranno i 370 dipendenti di Hypo Bank Italia, il cui centro direzionale ha sede a Tavagnacco;
   è previsto per il prossimo venerdì 31 maggio 2013 un tavolo di confronto tra la regione, i rappresentanti dell'Istituto di credito ed i lavoratori, nella sede udinese della regione, per valutare il da farsi, anche in raccordo con il Governo nazionale, al fine di trovare una soluzione –:
   se e quali iniziative di propria competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda adottare per scongiurare la chiusura del ramo italiano di Hypo Bank e salvaguardare centinaia di posti di lavoro, per la gran parte occupati da giovani. (5-00213)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRANCO BORDO, QUARANTA, PAGLIA, LACQUANITI, LAVAGNO, PELLEGRINO e ZAN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da circa tre mesi, quasi ininterrottamente, le regioni del Nord Italia sono interessate da intensi fenomeni piovosi;
   le campagne sono coperte da acque meteoriche, per cui praticamente impraticabili;
   tale situazione ha reso possibile le semine di mais solamente sul 20-25 per cento delle superfici interessate;
   in alcune zone della pianura padana, varie aziende che sono riuscite a seminare il mais poco dopo lo hanno visto morire per asfissia;
   l'attività legata alla produzione di prodotti orticoli è ferma e quel poco che si è potuto trapiantare mostra evidenti segni di sofferenza e malattia delle piante, tali da pregiudicare i prossimi raccolti;
   quasi ovunque, non è stato possibile eseguire lo sfalcio per il maggengo, che rappresenta circa la metà dell'intera produzione di un prato stabile;
   tra pochi mesi sarà insufficiente la disponibilità di silo mais, alimento determinante per l'allevamento della vacca da latte;
   sui mercati locali i prezzi dei foraggi e dell'insilato di mais stanno salendo al di là del regolare andamento di mercato;
   le aziende agricole stanno subendo, di fatto, un incremento non preventivato e preventivabile dei costi di produzione –:
   quali iniziative di sua competenza il Governo intende adottare per tutelare la stagione agraria e limitare i danni degli operatori delle province colpite dagli eventi meteorologici. (4-00648)


   RICHETTI, BARUFFI, LENZI, GHIZZONI, ZAMPA e GIUDITTA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la notte tra il 3 e il 4 maggio 2013, in una zona già duramente colpita dal sisma del 2012, una fortissima tromba d'aria e violente grandinate hanno devastato abitazioni civili, fabbriche e immobili ad uso agricolo nell'area compresa tra i comuni di Argelato, Bentivoglio, San Giorgio di Piano e San Pietro in Casale nel bolognese, a Castelfranco Emilia e Mirandola nel modenese. Si tratta di comuni delle aree terremotate, e quindi doppiamente colpiti;
   l'aggravamento principale delle condizioni meteo si è registrato intorno alle 16, con la divisione del sistema temporalesco principale in due parti: un nucleo meridionale che si è portato sulla città di Modena e uno settentrionale rivolto a Nord di Carpi: il primo, alle 16,15, ha visto formarsi una tromba d'aria che ha colpito l'abitato di Castelfranco Emilia per poi spostarsi in direzione est-nordest. I fenomeni si sono intensificati anche nella cellula più settentrionale e alle 17,15 una seconda tromba d'aria ha interessato il territorio di Mirandola e in particolare la frazione San Martino Spino;
   sono state 227 le segnalazioni di danno pervenute da comuni, province e servizi tecnici regionali, 81 riguardavano Argelato, Bentivoglio, San Giorgio di Piano e San Pietro in Casale in provincia di Bologna, 150 Castelfranco Emilia e Mirandola in provincia di Modena;
   degli edifici danneggiati 158 sono abitazioni private, 59 gli immobili ad uso produttivo ed agricolo e 10 quelli di altro tipo, tra cui 3 strutture pubbliche;
   per quanto riguarda i danni alle colture agricole sono state avviate le procedure per la dichiarazione di «evento calamitoso» da parte del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali: provvedimento che consentirà di far intervenire il fondo di solidarietà nazionale per l'indennizzo dei danni materiali e l'esenzione dai pagamenti fiscali, previdenziali e contributivi alle aziende agricole compromesse;
   per quanto riguarda le linee elettriche 7 mila utenze domestiche e 60 di media tensione sono state coinvolte dall'interruzione di energia (6 mila in provincia di Bologna e 1.000 in provincia di Modena). Tutte le linee sono state gradualmente rialimentate nel corso della notte e del mattino successivo, con soluzioni e riparazioni provvisorie;
   i danni hanno inoltre coinvolto 5 linee della media tensione in provincia di Bologna e 2 in provincia di Modena, così come sono state compromesse 4 cabine di trasformazione su palo nel bolognese ed è stato dunque necessario attivare altrettanti gruppi elettrogeni tutt'ora funzionanti;
   per affrontare l'emergenza e giungere al più presto al ripristino della normalità si è attivato sin da subito il sistema regionale di protezione civile: il centro operativo regionale, il centro funzionale dell'Arpa, il centro unificato provinciale di Modena, gli uffici preposti agli interventi urgenti e il volontariato di protezione civile che ha garantito l'impiego di oltre 100 uomini e donne dei coordinamenti di Bologna, Ferrara e Modena e delle associazioni regionali Anpas e Cri;
   i vigili del fuoco sono intervenuti con 235 operatori dei comandi provinciali di Modena e Bologna – cui si sono aggiunti in supporto i colleghi di Ferrara e Reggio Emilia – e hanno portato a termine 150 interventi dei quali 110 nel territorio modenese e 40 nel bolognese;
   grazie alla convenzione attiva tra il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e l'Agenzia regionale di Protezione civile è stato possibile svolgere immediatamente anche il sorvolo in elicottero delle aree colpite dal maltempo per un monitoraggio e una rilevazione più dettagliata dei danni;
   Enel ha messo in campo 24 tecnici e 5 squadre per ripristinare le linee elettriche danneggiate;
   le aziende sanitarie locali con Arpa stanno predisponendo con i comuni tutte le misure per la rimozione delle macerie derivanti dalla tromba d'aria e la verifica della presenza di materiale contenente amianto;
   il presidente della regione Errani ha trasmesso al Presidente del Consiglio e al capo del dipartimento nazionale di protezione civile l'integrazione alla richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza già avanzata il 5 aprile 2013, affiancando alla conta dei danni causati dal dissesto idrogeologico quella determinata dalle trombe d'aria per un totale di 171,2 milioni di euro;
   lo stato di emergenza è stato accordato una decina di giorni fa con un primo stanziamento di 14 milioni di euro che include però anche il problema delle frane in montagna per il quale era stata precedentemente avanzata analoga richiesta al Governo –:
   quali ulteriori iniziative intenda intraprendere e con quali tempi intenda, anche mediante azioni ad hoc, far fronte a questa ennesima emergenza che ha colpito il territorio modenese. (4-00650)


   GRILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   il porto di Catania ha rilevanza economica internazionale e svolge un importante ruolo nel sistema socio-economico regionale e cittadino;
   lo sviluppo di suddetto porto non può esulare dal contesto urbano nel quale sorge e il potenziamento delle attuali funzionalità non può ledere la sicurezza dei lavoratori e dei residenti dell'area portuale;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, Corrado Passera, con il decreto n. 296 del 10 agosto 2012, nelle more del perfezionamento del procedimento di nomina del nuovo Presidente dell'autorità portuale di Catania, ha nominato un commissario straordinario, nella persona del dottor Cosimo Aiello, dotandolo dell'esercizio dei poteri e delle attribuzioni indicati nell'articolo 8 della legge 28 giugno 1994 e successive modifiche e integrazioni, che si è insediato con decorrenza 17 agosto 2012;
   l'articolo 5, comma 1, della legge n. 84 del 1994, sancisce che l'ambito e l'assetto complessivo del porto, ivi comprese le aree destinate alla produzione industriale, all'attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie, sono rispettivamente delimitati e disegnati dal piano regolatore portuale che individua altresì le caratteristiche e la destinazione funzionale delle aree interessate;
   il comma 3 del suddetto articolo prevede che il piano regolatore di cui sopra venga adottato dal comitato portuale, previa intesa con il comune o i comuni interessati e, a tal proposito, l'autorità portuale di Catania, con nota del 31 maggio 2004, prot. n. 2900, ha redatto e trasmesso al comune di Catania un nuovo piano regolatore portuale;
   vista la preventiva condivisione dell'autorità portuale come da verbale del 14 settembre 2012, e il parere positivo della direzione urbanistica e gestione del territorio del comune, espresso in data 8 novembre 2012 prot. 350921, il Comune di Catania, in data 15 novembre 2012, ha deliberato sul piano regolatore portuale;
   il piano regolatore portuale di cui sopra prevede la realizzazione di edifici a sei o più piani, alti 20 metri o più, per complessivi 1.507.450 metri cubi. Un valore, quest'ultimo, quattro volte superiore alla cubatura concessa dal comune di Catania per la edificabilità di una arteria centrale quale, ad esempio, Corso Martiri della Libertà;
   a quanto consta all'interrogante tale piano regolatore portuale non sarebbe munito delle valutazioni VIA e VAS, le due procedure di riferimento per la realizzazione di infrastrutture strategiche, introdotte dalla legge obiettivo (legge 21 dicembre 2001, n. 443) e di derivazione comunitaria;
   la regione siciliana, con la deliberazione n. 408 del 20 marzo 2003 che recepisce l'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri 20 marzo 2003 n. 3274», ha Confermato la classificazione sismica in zona 2 del comune di Catania, prescrivendo anche come obbligatorie le verifiche di zona 1 per le strutture strategiche –:
   se il Governo siano a conoscenza delle anomalie procedurali riscontrate in premessa e se, in particolare, non ritenga necessario intervenire urgentemente, per quanto di competenza, al fine di verificare il rispetto delle procedure di VIA e VAS;
   se, in una zona ove il porto funge da naturale via di fuga post sismica per migliaia di persone, non ritenga pericoloso il prevedere una mutazione della destinazione mercantile delle banchine portuali e il concedere un aumento abnorme della edificabilità in un'area ad elevato rischio di sismicità o peggio di possibile maremoto (tsunami), che potrebbero causare crolli e distruzioni tali da ostacolare o impedire del tutto sia la fuga dei cittadini sia l'arrivo di aiuti via mare. (4-00653)


   PIRAS, DURANTI e MARCON. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   un recente studio del Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) stima la spesa italiana nel 2012 per la difesa nell'intorno della ragguardevole cifra di 26 miliardi di euro, ampia parte dei quali per i sistemi d'arma, tra questi desta particolare preoccupazione il programma di produzione dei 90 cacciabombardieri F35 che verranno a costare quasi 13 miliardi di euro;
   a fronte di una spesa di tale entità si stima che 8 milioni di italiani vivano in condizioni di povertà relativa e 3 milioni in condizione di povertà assoluta e che quindi sarebbe ipotizzabile – su tale terreno e considerati gli elevatissimi tassi di disoccupazione e precarietà – una profonda revisione della spesa che vada nel senso di un riequilibrio a favore delle politiche di welfare, del sostegno al reddito, del lavoro;
   negli anni passati ed ancora oggi, attraverso una molteplicità di azioni che vanno dalla partecipazione a missioni militari – quali quella in Iraq e in Afghanistan – alla partecipazione a programmi di produzione di sistemi d'arma aventi chiari potenzialità e finalità offensive, si è sostanzialmente violato lo spirito del dettato Costituzionale (articolo 11) che prescrive il ripudio della guerra quale strumento atto a dirimere le controversie internazionali;
   lo Stato italiano è proprietario del 30 per cento delle azioni di Finmeccanica;
   il 12 febbraio 2013, nell'ambito dell'indagine della procura di Busto Arsizio sulla fornitura di 12 elicotteri Agusta Westland all'India del valore di 566 milioni di euro, è stato arrestato – con la pesante accusa di corruzione internazionale – il presidente di Finmeccanica Giuseppe Orsi;
   l'ipotesi del Gip di Busto Arsizio si fonda sull'ipotesi di una tangente di 51 milioni di euro;
   le indagini della procura di Napoli sul commercio d'armi – già nel 2011 – avevano portato alle dimissioni dell'amministratrice delegata della controllata di Finmeccanica Selex Sistemi Integrati, Marina Grossi;
   detta inchiesta si fonda sull'ipotesi di una tangente di 550 milioni di euro per una fornitura di navi Fregata al Brasile per un valore complessivo di 5 miliardi di euro, indagine per la quale risulta iscritto nel registro degli indagati l'ex Ministro dell'interno Scajola;
   il quadro inquietante che emerge dalle indagini consimili delle procure di Napoli, Busto Arsizio e Roma è quello di un legame affaristico piuttosto solido fra l'industria d'armi partecipata dallo Stato, le sue commesse, la rappresentanza politica ai vertici dello Stato;
   se questo scenario fosse comprovato dai procedimenti giudiziari, il Paese e le sue istituzioni democratiche si troverebbero di fronte a una delle pagine più oscure e disdicevoli della vicenda repubblicana, evidentemente esposte al rischio di un ulteriore virulenta ondata di discredito, in un contesto sociale e culturale già profondamente segnato da sentimenti di disaffezione e sfiducia nei confronti della politica e delle istituzioni;
   padre Alex Zanotelli, sacerdote di frontiera e da sempre impegnato per la Pace ed il riscatto degli ultimi, ha lanciato il 28 maggio 2013, un appello-denuncia affinché la politica si faccia carico di una operazione di trasparenza e verità sui temi richiamati ed il Parlamento istituisca una apposita commissione di inchiesta –:
   quali notizie abbiano in merito alle vicende citate e quali iniziative di competenza intendano assumere affinché sia fatta piena luce sulle questioni sopra esposte. (4-00663)


   D'ARIENZO, ROTTA e ZARDINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 15 maggio 2013 un'alluvione ha colpito l'est veronese e il vicentino. Il torrente Alpone e i fiumi Tramigna e Bacchiglione sono tracimati e il sistema idraulico ha ceduto. Un cittadino veronese è morto annegato, travolto dalla violenza delle acque;
   il 1o novembre 2010 gli stessi territori furono colpiti da una disastrosa inondazione che causò ingentissimi danni; fu dichiarato lo stato di calamità naturale e il presidente della regione Veneto Luca Zaia fu nominato commissario straordinario per gli interventi di messa in sicurezza del territorio;
   ad oggi nessun intervento è stato messo in atto per realizzare bacini di laminazione e per ridurre la portata dei corsi d'acqua durante le piene –:
   se sia possibile assumere iniziative normative che prevedano, in caso di inadempienza da parte del commissario delegato dal Governo, l'attivazione dei poteri sostitutivi dei prefetti così come prevede il decreto del Presidente della Repubblica n. 180 del 2006, all'articolo 7;
   considerati i poteri del genio civile nelle fasi di emergenza, se non si ritenga utile avviare un percorso normativo che coinvolga anche i comuni interessati, soprattutto per quanto concerne la rottura degli argini per evitare danni nei centri abitati;
   se si possa verificare, attraverso il coinvolgimento di RFI, la situazione del ponte ferroviario di Villanova di S. Bonifacio, le cui basi di cemento, poggiando direttamente sul fondo del fiume Alpone, potrebbero ostruirne parzialmente il corso. (4-00664)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 maggio si è tenuta a Londra una Conferenza internazionale sulla Somalia, a cui hanno partecipato circa 55 delegazioni di Stati e Organizzazioni internazionali, tra cui anche l'Italia, rappresentata dal Ministro degli affari esteri, Emma Bonino. La Conferenza si inserisce all'interno degli sforzi internazionali volti a sostenere i piani del Governo federale somalo e precede un appuntamento europeo del 16 settembre 2013;
   la Conferenza aveva come obiettivo di sostenere le azioni del Governo somalo soprattutto in tre aree (la sicurezza, la giustizia e la gestione della finanza pubblica), anche attraverso la messa a disposizione di risorse di aiuto pubblico allo sviluppo e l'attivazione di canali di finanziamento del tipo «supporto al bilancio dello Stato»;
   dall'agosto 2012 la Somalia, dopo più di vent'anni di guerra civile e la scadenza delle istituzioni federali di transizione, ha avviato un percorso di stabilizzazione interna, sia sotto il profilo di una normalizzazione degli aspetti legati alla sicurezza del territorio, sia con riferimento a quelli legati alla governabilità;
   dall'inizio della disgregazione dello Stato somalo l'Italia si è adoperata con continuità affinché la vicenda della Somalia restasse sull'agenda internazionale, sia attraverso la previsione di interventi di aiuto allo sviluppo, sia organizzando recentemente una Country Presentation il 20 febbraio 2013;
   il Ministro degli affari esteri pro tempore, Giulio Terzi di Sant'Agata, inoltre, si è recato in visita a Mogadiscio il 23 ottobre 2012, dando avvio così alla prima visita ufficiale nella capitale somala da parte di un ministro degli affari esteri di un Paese europeo dopo l'inizio delle attività del Governo federale;
   l'Italia, peraltro, aveva in precedenza ospitato a Roma l'ultima riunione dell'International Contact group della Somalia (il 2 e 3 luglio 2012), prima della fine del mandato delle istituzioni di transizione;
   il nostro Paese, pertanto, è sempre stato impegnato negli ultimi vent'anni non solo ai fini di una positiva soluzione della vicenda somala, ma anche sul fronte della difficile stabilizzazione dell'intera regione;
   si registra nei confronti della vicenda somala un nuovo interesse e attivismo di altri Paesi, non solo europei, interessati a sviluppare rapporti proficui con il nuovo Governo somalo, coinvolgendo anche altri attori regionali nel processo di stabilizzazione non solo del Paese ma dell'intera area –:
   quali siano stati, a giudizio del Ministro interrogato, gli esiti della Conferenza di Londra per quanto riguarda gli impegni presi a livello internazionale, e in particolare dall'Italia, per il rafforzamento sul piano istituzionale del Governo somalo;
   con quali risorse, e in quali settori, l'Italia intenda partecipare nei prossimi mesi per sostenere direttamente le azioni del Governo federale somalo, nonché quale sia lo stato di avanzamento delle negoziazioni in atto ai fini della riapertura dell'Ambasciata d'Italia a Mogadiscio, importante elemento per il consolidamento delle relazioni tra Italia e Somalia;
   quale sia stato l'esito degli incontri bilaterali, organizzati a margine della Conferenza internazionale sulla Somalia.
(5-00211)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero degli affari esteri ha bandito l'8 aprile 2013 un concorso, per titoli ed esami, a 35 posti di Segretario di legazione in prova;
   l'articolo 2 del suddetto bando stabilisce che per l'ammissione al concorso non bisogna aver superato l'età di 35 anni;
   tale limite di età lede il diritto di tante persone che a causa della devastante crisi economica e occupazionale che viviamo, non hanno ancora trovato un lavoro o ce l'hanno precariamente pur avendo superato l'età di 35 anni;
   tale limite di età per l'accesso al concorso viola palesemente secondo l'interrogante il principio costituzionale della uguaglianza dei cittadini –:
   se non ritenga necessario revocare quel bando per annullare quanto previsto dall'articolo 2 sul limite di età di 35 anni al fine di evitare una ingiusta discriminazione nei confronti di tanti cittadini che vorrebbero concorrere ai posti di lavoro previsti. (4-00662)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PAOLO NICOLÒ ROMANO, BUSTO, DE LORENZIS, CRISTIAN IANNUZZI, LIUZZI e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle infrastrutture ferroviarie strategiche, definite dalla legge obiettivo n. 443 del 2001 è prevista la realizzazione della «Tratta A.V./A.C. Terzo Valico dei Giovi»;
   il progetto definitivo della suddetta opera, approvato con delibera CIPE n.80 del 29 marzo 2006, prevede sul territorio del comune di Arquata Scrivia, in provincia di Alessandria, anche la realizzazione di un campo base, denominato campo base Piemonte 3 (CBP3), con finalità funzionali «all'alloggiamento del personale ed ai servizi logistici necessari per l'avanzamento dei lavori che si svolgeranno dai cantieri operativi COP4 e COP5» e che pertanto sarà dotato di dormitori, mense, magazzini, uffici operativi, luoghi di ritrovo e di formazione del personale, nonché di gruppi elettrogeni, impianti di depurazione e di quant'altro ritenuto necessario ad ospitare centinaia di persone per lunghi periodi, valutati nell'ordine di alcuni decenni;
   il campo base Piemonte 3, in base alle planimetrie, si estenderà su una superficie di circa 38.000 metri quadri e sarà ricompreso, a poche centinaia di metri in linea d'aria, tra due storici stabilimenti: la Iciesse s.p.a. («stabilimento chimico o petrolchimico», attualmente in liquidazione) e la Sigemi s.r.l. («deposito di oli minerali»), entrambi inseriti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nell'inventario nazionale degli stabilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti ai sensi dell'articolo 15, comma 4, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334;
   in nessuno dei documenti relativi al progetto definitivo (relazione tecnica generale e studio di fattibilità ambientale), presentato e approvato nel 2005 dalla Commissione VIA Sociale del Ministero dell'ambiente, viene fatta menzione della presenza dei suddetti stabilimenti a rischio di incidente rilevante. All'opposto, nella relazione tecnica generale la zona interessata viene descritta come agricola e pertanto «... requisiti igienico sanitari e di sicurezza posti alla base della progettazione sono in linea con gli standard previsti dalle leggi nazionali e regionali del settore», mentre, in modo sorprendente, nello studio di fattibilità ambientale la Sigemi s.r.l. è totalmente assente dalla documentazione fotografica, per quanto questa ritragga la superficie in cui lo stabilimento è ubicato. Al suo posto risultano ampi terreni agricoli. Questa clamorosa mancanza è ad avviso degli interroganti sospetta considerando che tale stabilimento è attivo dal 1967 ed è stato in passato oggetto di un attentato (1971) e di un grave incidente (1999), in cui esplosero alcune cisterne;
   secondo l'interrogante, non essendo stata fornita una corretta rappresentazione planimetrica e fotografica del sito dove dovrebbe sorgere il CBP3, le autorità preposte all'approvazione del progetto definitivo non hanno avuto a disposizione tutti gli elementi necessari per poter effettuare le idonee valutazioni, nonché a non poter subordinare tale approvazione a quanto previsto dalle normative in materia di sicurezza relative ad insediamenti urbani in prossimità di siti industriali a rilevante rischio di incidente, al fine di tutelare sia i lavoratori futuri ospiti della struttura che i cittadini di Arquata Scrivia;
   inoltre lo stabilimento Iciesse s.p.a., malgrado sia chiuso dal 2009 anche a seguito di procedimenti giudiziari avviati per reati ambientali, presenta ancora rilevanti problematiche di inquinamento dell'area circostante, prodotti dai continui ed illegali sversamenti degli scarti di lavorazione delle sostanze utilizzate per la produzione di vernici speciali, senza, appunto, gli adeguati accorgimenti di depurazione e bonifica prescritti dalle normative vigenti. Pertanto non essendo desumibile dal progetto definitivo anche la vicinanza di tale stabilimento, presente nel rilievo fotografico e nella planimetria di cantiere ma non menzionato, chi ha proceduto alla sua approvazione non ha potuto avere elementi per ipotizzare la necessità di prescrivere particolari raccomandazioni per eventuali analisi, bonifiche e/o spianamenti su un'area dove sono accertati livelli di inquinamento di bario, cadmio, cromo, manganese, piombo e zinco superiori ai limiti di legge;
   in virtù delle suddette palesi violazioni, nella predisposizione della documentazione necessaria per l'ottenimento delle autorizzazioni di legge per la realizzazione del CBP3, comitati di cittadini arcquatesi hanno presentato il 15 maggio 2013 un esposto alla procura di Alessandria per chiedere all'autorità giudiziaria di disporre le dovute indagini su tale documentazione al fine di stabilire l'eventuale sussistenza di reati ai danni della pubblica amministrazione, nonché le responsabilità soggettive di chi ha operato tali omissioni documentali;
   la popolazione arquatese avrebbe avuto inoltre diritto ad esprimere il proprio parere sulla creazione di quello che è a tutti gli effetti un nuovo insediamento abitativo nel proprio comune, a maggior ragione se costruito in un contesto fortemente compromesso dal punto di vista ambientale e altamente pericoloso per l'aumento delle probabilità di incidenti rilevanti per effetto della sua urbanizzazione;
   in data 29 gennaio 2013 il Consorzio collegamenti integrati veloci COCIV, General Contractor dell'opera infrastrutturale del Terzo Valico dei Giovi, ha depositato il progetto esecutivo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la procedura di verifica di attuazione, per la quale è in corso l'istruttoria tecnica CTVIA, e anche in questo caso la documentazione presentata relativa al CBP3 è priva delle informazioni suddette –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti in premessa e se non ritengano doveroso, in virtù delle palesi carenze documentali, procedere al riesame di tutto il dossier istruttorio relativo all’iter autorizzativo del campo base Piemonte 3 di Arquata Scrivi a, in modo da verificare l'opportunità di insediamento del suddetto in un'area che presenta alti fattori di rischio;
   se, in considerazione di questa ed altre problematiche sollevate da più parti, in merito alla progettazione dell'opera infrastrutturale del Terzo Valico dei Giovi, i Ministri interrogati non ritengano necessario una completa riconsiderazione della stessa e della sua effettiva utilità.
(5-00218)


   BUSTO, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'impianto di termovalorizzazione di Vercelli costruito negli anni settanta, è in proprietà della società partecipata dal comune di Vercelli ATENA PATRIMONIO S.P.A. ed è stato dato in gestione alla società VEOLIA Servizi Ambientali spa la concessione di 20 anni è scaduta ad agosto 2012 e non è stata rinnovata; la struttura presenta una tecnologia vecchia che non riesce a garantire i livelli di sicurezza ambientale richiesti dalle normative di settore;
   per alcuni anni si è fatto ricorso alla pratica dell'interramento delle ceneri risultate dalla combustione, denominate «ceneri di fondo»; tali ceneri sono da considerare rifiuti speciali e pertanto avrebbero dovuto essere smaltite in apposite discariche; gli inquinanti presenti nelle ceneri possono essere sostanze come idrocarburi aromatici, diossine, metalli pesanti; a seguito di un esposto presentato alla procura di Vercelli si è aperta una indagine nella quale sono presenti due documenti, il piano di caratterizzazione della Akronos srl e la perizia tecnica d'ufficio disposta dalla dottoressa Filoni, da cui risulta l'inquinamento della falda superficiale e del canale Cavoretto e delle aree sulle quali lavorano i dipendenti del gestore e delle ditte in appalto, mentre risulta che i residui di incenerimento di alcuni idrocarburi sono oltre 300 volte superiori ai limiti di legge per le aree industriali;
   il problema della bonifica del territorio risale agli anni novanta, da quando il comune di Vercelli fa espressa richiesta alla regione Piemonte; la stessa tuttavia negò il finanziamento alla bonifica poiché la ditta SNAM progetti in qualità di consulente considerò la non ammissibilità del sito al finanziamento; SNAM Progetti costruì l'inceneritore e lo gestì per il periodo dal novembre del 1991 all'agosto del 1992; la regione Piemonte avrebbe dovuto provvedere alla bonifica già da molti anni, mettendo in bilancio una spesa probabilmente non inferiore a 12-13 milioni di euro;
   in occasione della riapertura degli impianti è stata operata una revisione e messa a norma degli impianti i cui ingenti costi non sono ancora del tutto palesi, poiché il sindaco di Vercelli si limita nel riferire ad una spesa di 600 mila euro solo per la manutenzione dell'impianto antincendio e del trattamento fumi;
   l'autorizzazione integrata ambientale scade nel 2015; ciò renderebbe ancora più inutile la messa a norma degli impianti e la spesa relativa alla assunzione di personale; inoltre la Comunità europea si è chiaramente espressa contro la combustione quale sistema di trattamento di rifiuti e di produzione di energia, praticabile se non come estrema ratio;
   appare preoccupante l'inerzia della regione Piemonte della provincia e del comune di Vercelli a fronte di una situazione altamente pericolosa per l'ambiente e i cittadini;
   risulta peraltro che nonostante le gravissime criticità ambientali nell'area questa è stata in passato esclusa dai siti prioritari da bonificare a seguito di un'istruttoria condotta dal Ministro dello sviluppo economico e dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare –:
   se il Governo ritenga opportuno valutare se sussistano i presupposti per considerare l'area del termovalorizzatore di Vercelli tra i siti prioritari da bonificare assegnando in tal caso le opportune risorse. (5-00225)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia ha recepito il regolamento (CE) del 2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra con decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 27 gennaio 2012, recuperando così quel ritardo che rischiava di far perdere competitività alle imprese italiane rispetto alle imprese degli altri paesi europei;
   molti gas fluorurati ad effetto serra disciplinati dal protocollo di Kyoto e dal presente regolamento sono gas ad alto potenziale di riscaldamento globale;
   il regolamento dovrebbe stimolare l'innovazione tecnologica promuovendo lo sviluppo continuo di tecnologie alternative e la transizione a tecnologie esistenti più favorevoli all'ambiente;
   l'applicazione del regolamento costituisce quindi un adempimento importante e necessario per mettere in condizione le imprese italiane di competere sui mercati europei con tecnici certificati;
   il regolamento riguarda il contenimento, l'uso, il recupero e la distruzione dei gas fluorurati ad effetto serra, l'etichettatura e lo smaltimento di prodotti e apparecchiature contenenti tali gas, la comunicazione di informazioni su questi gas, il controllo degli usi nonché la formazione e la certificazione del personale e delle aziende;
   come predetto il decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 2012, n. 43, Regolamento recante attuazione del regolamento (CE) n. 842/2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra, disciplina le modalità di attuazione del regolamento comunitario, e stabilisce i requisiti standard di controllo delle perdite per le apparecchiature fisse di refrigerazione, condizionamento d'aria e pompe di calore contenenti taluni gas fluorurati ad effetto serra;
   l'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica prevede, a carico degli operatori delle applicazioni fisse di refrigerazione, condizionamento d'aria e pompe di calore, contenenti i 3 chilogrammi o più di gas fluorurati ad effetto serra, un obbligo di tenuta del registro dell'apparecchiatura di cui all'articolo 2 del regolamento (CE) n. 1516/2007, in cui debbono essere riportate le informazioni previste dall'articolo 3, paragrafo 6, del regolamento (CE) n. 842/2006. La medesima norma prevede che il formato del registro debba essere pubblicato sul sito web del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previo avviso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana;
   ai sensi dell'articolo 16 del medesimo decreto, entro il 31 maggio di ogni anno, gli operatori delle applicazioni fisse di refrigerazione, condizionamento d'aria, pompe di calore, nonché dei sistemi fissi di protezione antincendio contenenti 3 chilogrammi o più di gas fluorurati ad effetto serra, devono presentare al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il tramite di ISPRA, una dichiarazione contenente informazioni riguardanti la quantità di emissioni in atmosfera di gas fluorurati relativi all'anno precedente sulla base dei dati contenuti nel relativo registro di impianto, la cui tenuta è prevista dall'articolo 15;
   gli obblighi indicati, previsti a carico degli operatori, potrebbero interessare i proprietari degli impianti in quanto l'operatore è definito come «una persona fisica o giuridica che eserciti un effettivo controllo sul funzionamento tecnico delle apparecchiature e degli impianti». In base a questa definizione, il proprietario dell'impianto contenente gas fluorurati può essere considerato l'operatore dell'apparecchiatura;
   con riferimento all'adempimento all'obbligo di dichiarazione previsto dall'articolo 16 del decreto nazionale, il formato della dichiarazione contenente le informazioni riguardanti le quantità di emissioni in atmosfera di gas fluorurati è stato reso tardivamente disponibile, solo a seguito dell'annuncio in Gazzetta Ufficiale n. 111 del 14 maggio 2013, mentre il registro dell'impianto previsto dall'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica è stato istituito con comunicato dell'11 febbraio 2013;
   gli articoli 3 e 6 del decreto legislativo 5 marzo 2013, n. 26, Disciplina sanzionatorio per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 842/2006 su taluni gas fluorurati od effetto serra, puniscono in maniera significativa il mancato adempimento dell'obbligo di tenuta del registro e di invio della comunicazione;
   mentre l'articolo 16 del citato decreto del Presidente della Repubblica prevede l'obbligo trasmettere le «informazioni riguardanti la quantità di emissioni in atmosfera di gas fluorurati relativi all'anno precedente sulla base dei dati contenuti nel relativo registro di impianto», a seguito del comunicato del 14 maggio 2013, sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nella pagina internet dedicata (http://www.minambiente.it) invece, è richiesto, comunque, agli operatori, di trasmettere la comunicazione prevista dall'articolo 16, con riferimento alle sole sezioni anagrafiche, 1, 2 e 3, del formato;
   l'adempimento previsto dall'articolo 16 è evidentemente funzionale al censimento dei dati in materia di emissioni relativi all'anno precedente;
   le organizzazioni rappresentative delle imprese hanno provveduto a segnalare al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la necessità, in generale, di una semplificazione del sistema previsto dalla normativa nazionale, evidenziandone le restrizioni e l'aggravamento degli oneri rispetto alla disciplina comunitaria;
   le medesime organizzazioni, nell'immediato, hanno rappresentato la materiale impossibilità di procedere agli adempimenti previsti dall'articolo 16 citato, in considerazione della tardiva pubblicazione della modulistica e la sostanziale inutilità dell'invio dei dati anagrafici –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato al fine di risolvere le problematiche indicate, considerate le difficoltà connesse all'imminente scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione disciplinata dall'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 2012, n. 43, e vista la materiale impossibilità per le imprese di adempiere tempestivamente alla comunicazione di dati non previsti per legge e non funzionali al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, la cui trasmissione costituirebbe ad avviso dell'interrogante un inutile appesantimento burocratico;
   se, in particolare, il Ministro non intenda tempestivamente fornire i necessari chiarimenti sull'applicazione della normativa, precisando che l'obbligo di invio della dichiarazione di cui all'articolo 16 decorre a partire dal 2014, anche al fine di evitare l'applicazione di inique onerose sanzioni per gli operatori;
   se il Ministro intenda comunque valutare opportune semplificazioni al sistema degli adempimenti previsti dal decreto, in modo da assicurare che, nel rispetto delle norme comunitarie di riferimento. Le imprese siano messe, con efficacia ed efficienza, in grado di adempiere agli obblighi di legge. (4-00658)


   PELLEGRINO, ZAN e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la commissione per la valutazione di impatto ambientale della regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha recentemente concluso una procedura di screening relativa al progetto di dragaggio del canale Coron, nella laguna di Grado e Marano, ritenendo di non sottoporre a procedura di valutazione di impatto ambientale il progetto stesso;
   nel corso della procedura hanno presentato osservazioni a vario titolo critiche il comune di Marano Lagunare, l'osservatorio geofisico nazionale, associazioni ambientaliste e soggetti privati;
   il progetto esaminato rappresenta la terza ipotesi di dragaggio e movimentazione dei sedimenti inquinati da mercurio, sostanza pericolosa prioritaria, che si succede in tre anni con soluzioni radicalmente diverse, poiché nel 2011 si ipotizzava il conferimento dei sedimenti in cassa di colmata nella Laguna di Venezia, nel 2012 si proponeva lo scarico dei sedimenti a mare, ed ora si intende depositare i sedimenti in altro prossimo canale interno alla laguna;
   la richiamata urgenza di realizzazione del dragaggio, addotta come una delle motivazioni nell'escludere la procedura di valutazione di impatto ambientale, appare quindi discutibile, oltreché estranea al merito della procedura; nonostante la soluzione progettuale sia diversa da quella iniziale la procedura della gara d'appalto non è stata rivista;
   fra le controdeduzioni formulate dalia Commissione regionale per la valutazione di impatto ambientale per motivare il non ricorso a tale procedura, non vengono raccolte quelle dell'OGN, secondo cui l'intervento progettato produce modificazioni significative all’habitat della fauna ittica con effetti negativi, e quindi di danno ambientale, in particolare nel caso del ripetersi di eventi climatici estremi, come per le recenti stagioni estate ed inverno 2012;
   i valori di concentrazione del mercurio, proveniente da attività minerarie ed industriali precisamente individuate, risultano essere tra 1,5 e 3 volte superiori al valore di riferimento normativo;
   il conferimento dei sedimenti avviene con riempimento di un canale nonostante questo sia non conforme alle previsioni del piano regolatore generale comunale del comune interessato; si può ritenere che il progetto di riversare i sedimenti nella stessa area lagunare, Sito di interesse comunitario, in un canale posto tra aree in concessione per attività di molluschicoltura sia a monte che a valle, non tenga conto di un parere dell'Istituto superiore di sanità del maggio scorso, nel quale si afferma che «un dragaggio invasivo potrebbe comportare più un rischio, tenuto conto della delicatezza dell'ecosistema lagunare, che non un reale vantaggio per l'ambiente e la salute umana»;
   risulta ancora vigente per questo ambito lagunare la legge speciale per Venezia con relativo protocollo di gestione dei fanghi del 1993, primo firmatario il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, così come esteso dalla legge n. 388 del 2000 alla Laguna di Grado e Marano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della riperimetrazione del sito inquinato di interesse nazionale (ridotto oggi alla sola area degli stabilimenti Caffaro ed alla foce dell'Ausa) che ha escluso tutta l'area lagunare, senza peraltro restituire l'area stessa agli usi legittimi;
   sia a conoscenza del progetto in questione e del suo iter procedurale e, in particolare se disponga di elementi in merito agli effetti che tale decisione di esclusione dalle procedure di valutazione di impatto ambientale produce sull'area individuata;
   se ritenga che l'intenzione di depositare i sedimenti inquinati provenienti dal dragaggio in laguna sia compatibile con la situazione dell'inquinamento chimico nella stessa, considerati i pareri espressi in merito dall'Istituto superiore di sanità e dall'ISPRA nel corso del 2012;
   quali siano, al momento, le sue competenze in merito alla situazione della laguna di Grado e Marano e se, in particolare, ritenga ancora operanti per la stessa il protocollo del 1993. (4-00665)


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dall'ordinanza del giudice delle indagini preliminari di Taranto, Patrizia Todisco, si apprende che, anche durante il periodo di amministrazione Ferrante, in continuità con l'amministrazione diretta dai Riva, l'Ilva ha continuato a disattendere gli impegni presi con Governo ed enti locali. Il giudice, infatti, avrebbe affermato che «non si ha evidenza di alcuna iniziativa intrapresa dalla società per ottemperare alle disposizioni prima impartite dai custodi e poi, in parte, confermate dall'Aia del 2012»;
   sempre nell'ordinanza, relativamente al provvedimento, si legge che quest'ultimo, «non prevede alcuna pianificazione economico-finanziaria dei predetti interventi. Motivo per cui lo stesso, allo stato attuale, oltre a non risultare congruo in termini temporali (sono previsti tempi estremamente lunghi in considerazione dell'attualissimo problema sanitario-ambientale) non dà alcuna garanzia di realizzazione, non avendo la società, allo stato e per quanto espresso, disponibile una adeguata copertura economica»;
   dall'ordinanza si apprende, inoltre, che l'Ilva sarebbe responsabile di non aver messo a norma le attrezzature e di aver quindi causato il decesso, negli ultimi mesi, di tre operai;
   il decreto di sequestro preventivo del 22 maggio 2013, esaminata la richiesta della procura di Taranto avanzata il 27 aprile 2013, il giudice per le indagini preliminari, ha disposto il sequestro preventivo di un quantitativo di beni in possesso all'Ilva Spa e a Riva FIRE pari a 8 miliardi e 100 milioni di euro, pari al profitto dei reati imputabili all'Ilva;
   sempre nel decreto di sequestro si apprende che l'inquinamento è avvenuto con una «massiva attività di sversamento nell'area-ambiente di sostanze nocive per la salute umana, animale e vegetale, diffondendo tali sostanze nelle aree interne allo stabilimento, nonché rurali ed urbane circostanti lo stesso... determinando un gravissimo pericolo per la salute pubblica e cagionando eventi di malattia e morte nella popolazione residente nei quartieri vicino al siderurgico... con l'ulteriore aggravante del numero delle persone concorrenti nel reato»;
   dalla perizia epidemiologica, redatta ad inizio del 2012, si apprende che: «l'esposizione continuata agli inquinanti dell'atmosfera emessi dall'impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di diversi apparati dell'organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte» e che «nei 13 anni di osservazione, sono attribuibili alle emissioni industriali 386 decessi totali (30 per anno), ovvero l'1,4 per cento della mortalità totale, la gran parte per cause cardiache. Sono altresì attribuibili 237 casi di tumore maligno con diagnosi da ricovero ospedaliero (18 casi per anno), 247 eventi coronarici con ricorso al ricovero (19 per anno), 937 casi di ricovero ospedaliero per malattie respiratorie (74 per anno) in gran parte nella popolazione di età pediatrica, 638 casi totali, 49 per anno»;
   il 25 maggio 2013 il consiglio di amministrazione dell'Ilva ha rassegnato le proprie dimissioni, destando forti perplessità sulle prospettive di impiego future dei lavoratori dello stabilimento;
   l'impianto siderurgico, a detta dello scrivente, ricoprendo un'area di 15 milioni di metri quadri, è di dimensioni eccessive per il contesto urbano nel quale è sorto e si trova in prossimità delle case e delle scuole del quartiere Tamburi di Taranto e più in generale dei comuni di Taranto e di Statte;
   lo stesso impianto utilizza una tecnologia concepita oltre 50 anni fa con Cokerie, Altoforni e impianti di agglomerazione, che sono tra l'altro, gli impianti da dove provengono le emissioni maggiormente nocive –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno promuovere metodologie di conversione industriale della produzione di acciaio attraverso l'utilizzo di nuove tecnologie quali il Corex e il Finex;
   se non ritengano procedere, come è avvenuto a Genova, attuando la chiusura dell'area a caldo, per salvaguardare l'ambiente e la salute della cittadinanza;
   se non ritengano possibile procedere ad una riconversione economica dell'area, guardando ad esempi virtuosi come il modello di Pittsburgh, di Bilbao o della valle della Rhur;
   se non reputino necessario adottare delle misure volte a garantire il reddito dei lavoratori, anche alla luce delle recenti dimissioni del consiglio di amministrazione. (4-00667)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


   PAOLUCCI e SALVATORE PICCOLO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   sulle sponde del lago Fusaro, a Bacoli, provincia di Napoli, insistono alcuni siti di particolare valore ambientale e culturale;
   tra questi vanno ricordati le «Grotte d'acqua», resti di una cisterna termale d'età imperiale, e il «Parco Vanvitelliano», riserva di caccia dei Borbone dal 1752 progettata da Luigi Vanvitelli;
   all'interno del parco, su un'isoletta del lago Fusaro, sorge un «Casino Reale di Caccia», noto come «Casina Vanvitelliana» in quanto fu realizzata nel 1782 su progetto di Carlo Vanvitelli;
   questo edificio fu adibito alla residenza degli ospiti illustri, come Francesco II del Sacro Romano Impero, che vi soggiornò nel maggio 1819. All'interno dell'edificio hanno soggiornato anche Wolfgang Amadeus Mozart, Gioachino Rossini e, più recentemente, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi;
   la Casina Vanvitelliana, per la sua peculiarità storico-architettonica, è stata, utilizzata per alcune scene di film, tra i quali «Ferdinando e Carolina», di Lina Wertmuller;
   la città di Bacoli presenta sul proprio territorio, oltre alle suddette risorse, significative emergenza storiche e archeologiche che potrebbero costituire una enorme risorsa per il territorio;
   nell'ambito dei POR Campania 2000-2006 il PIT «Grande attrattore culturale Campi Flegrei» ha previsto il progetto «Restauro complesso borbonico del Lago Fusaro-restauro banchina borbonica» finanziato con euro 4.906.340 di fondi FSE-FESR di cui è stata beneficiaria la Soprintendenza per i beni architettonici, artistici, paesaggistici, storici ed etnoantropologici per Napoli e provincia;
   nell'ambito del progetto era prevista la realizzazione di un percorso ciclo-pedonale lungo le sponde del lago Fusaro, dal Parco Vanvitelliano alla frazione Torregaveta nel comune di Bacoli (Napoli);
   il percorso è stato completato e consegnato nel maggio 2009 dalla Soprintendenza al comune di Bacoli, che, a sua volta, lo ha affidato alla società, interamente partecipata dal comune di Bacoli, denominata «Centro ittico Campano»;
   negli anni, non è sta effettuata la manutenzione ordinaria e in particolare la potatura della vegetazione a margine del percorso, rendendone di fatto impraticabile l'utilizzo;
   nel marzo del 2010 è stato effettuato un intervento di manutenzione ordinaria che, come verificato dal sopralluogo effettuato dal comune e dalla soprintendenza, ha ripristinato un buon stato dei luoghi consentendone la fruizione. In questa sede il «Centro ittico Campano» si è fatto carico della manutenzione ordinaria dei luoghi;
   ad oggi, dopo questo intervento di manutenzione, non è stato realizzato nessun altro intervento di manutenzione ordinaria del sito;
   non è noto se esista un atto formale di affidamento al «Centro ittico campano» della manutenzione ordinaria del percorso ciclo-pedonale né se per la manutenzione della stessa siano state assegnate risorse economiche;
   ad oggi il percorso ciclo-pedonale versa in condizioni di abbandono e di totale degrado, come rilevato anche dall'assessorato all'ambiente della regione Campania nel corso del sopralluogo tenuto il 2 ottobre 2012, per la presenza di erba alta oltre un metro sul percorso ciclo-pedonale e di rifiuti ingombranti;
   il percorso è stato vandalizzato e oggetto di ripetuti furti degli elementi a contorno;
   pertanto il percorso è ad oggi chiuso al pubblico;
   numerose associazioni di cittadini hanno rappresentato al sindaco del comune di Bacoli e alla soprintendenza la questione chiedendo un intervento;
   nella gestione dei fondi utilizzati per realizzare questa opera pubblica e nelle successive omissioni di gestione, manutenzione e custodia della stessa pare possibile rilevare mancanze gravi, tali da dover sottoporre la vicenda all'attenzione Corte dei conti della Campania –:
   se sia noto quali siano i progetti finanziati con fondi POR, dal 2000 a oggi, al comune di Bacoli e cosa prevedano questi progetti e quale sia ad oggi il loro stato di realizzazione dei medesimi, quali siano i contenuti dei piani di gestione inviati all'Unione europea in uno con i progetti che sono stati ammessi a finanziamento, e se risulti quali di questi piani di gestione siano stati attuati;
   se il progetto «Restauro complesso borbonico del lago Fusaro-restauro banchina borbonica», finanziato con euro 4.906.340 di fondi FSE-FESR, di cui è stata beneficiaria la stessa soprintendenza sia stato collaudato;
   se esista un atto formale di consegna del percorso ciclo-pedonale, realizzato nell'ambito del suddetto progetto, dalla soprintendenza al comune di Bacoli;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per la tutela di questo importante bene culturale. (4-00666)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CICU. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 1o ottobre 2012 è stata approvata la legge n. 177, che ha apportato modifiche al decreto legislativo n. 81 del 2008 relativo alla sicurezza sul lavoro;
   tale provvedimento stabilisce la valutazione obbligatoria del rischio di ritrovamento di ordigni bellici durante la realizzazione di opere di scavo;
   la problematica, nonostante i circa 70 anni dall'ultimo conflitto mondiale è purtroppo ancora oggi attuale. Infatti, dai dati ufficiali del Ministero della difesa, si evince che sono circa 100.000 i ritrovamenti che ogni anno mediamente vengono effettuati nel corso di operazioni di bonifica preventiva e nel nord-est del Paese si ritrovano addirittura ancora numerosi ordigni risalenti alla Prima guerra mondiale. Una parte di questi ordigni è a caricamento chimico. A tali ritrovamenti vanno aggiunti quelli accidentali che spesso vengono riportati dalla cronaca anche recente e a volte con danno alle persone;
   la legge n. 177 del 2012, al fine di poter produrre tutti gli effetti per il raggiungimento di una maggiore sicurezza delle maestranze impegnate in opere di scavo, deve essere seguita da un decreto interministeriale del Ministro della difesa, che di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e sentiti i Ministri dell'interno, delle infrastrutture e dei trasporti e dello sviluppo economico; con tale decreto, previsto nella stessa legge, viene nominata una commissione di esperti per la formazione di un albo entro il termine di sei mesi dalla entrata in vigore della stessa legge: tale termine è scaduto il giorno 2 maggio 2013. È da porre in evidenza che l'albo diventa essenziale per l'accertamento preventivo dei requisiti che debbono essere posseduti dai soggetti ai quali conferire il servizio di bonifica quando il coordinatore della progettazione abbia ritenuto doversi procedere alla bonifica preventiva del sito nel quale è collocato il cantiere. Allo stato attuale per la carenza normativa i controlli sui requisiti sono solo cartacei e limitati, d'altra parte non può essere bloccata un'attività tanto delicata ed, inoltre, è altresì possibile eludere i controlli da parte dell'Autorità Militare per le imprese –:
   come mai tale provvedimento non sia stato ancora emanato nonostante la delicatezza della materia da normare.
(5-00214)

Interrogazione a risposta scritta:


   SBROLLINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   sono 2.283 i caduti italiani, di cui 868 della prima guerra mondiale e 1.415 della seconda, inumati nel sacrario alla periferia di Varsavia. 493 sono morti nei campi di concentramento polacchi, e di questi 24 a Stargard, e sono ad oggi seppelliti in un ossario al quale si accede attraverso un tombino nel cimitero di Bielany, alla periferia ovest di Varsavia;
   su due lastre di marmo, sulla destra e sinistra dell'ingresso principale, sono incisi i nomi dei 493 caduti. Per vedere i loculi, però, bisogna sollevare un coperchio di cemento e scendere tre metri sotto terra servendosi di una scala metallica non prima di aver indossato un sacchetto di nylon per non lordare gli indumenti. Il cunicolo è profondo e lungo tre metri e largo 80 centimetri;
   il fatto che i caduti italiani siano seppelliti sotto un tombino dimostra insensibilità e trascuratezza;
   il cimitero risulta essere gestito dallo Stato italiano tramite il Ministero degli affari esteri –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra riportato; se e come intendano intervenire per chiarire il motivo per cui 493 caduti italiani siano sepolti in maniera inadeguata e diversa rispetto agli altri commilitoni che trovano posto in due ossari dello stesso cimitero di Bielany; quale sia il motivo per il quale le salme siano state traslate a Bielany fin dal 1958 senza mai avere informato le famiglie dei caduti. (4-00651)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BOSSA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Il giorno 15 aprile 2013 il quotidiano «Roma» ha dato la notizia della presenza nella casa circondariale di Napoli-Poggioreale «G. Salvia», e all'interno del padiglione «Avellino», di detenuti portatori di disagio psichico e in condizioni di isolamento;
   il quotidiano raccoglieva la denuncia del presidente dell'associazione «Antigone-Campania», Mario Barone;
   stando a quanto denunciato, nella casa circondariale già sovraffollata (2900 detenuti contro una capacità di circa 1400 posti), ci sarebbe una sorta di «reparto psichiatrico» di fatto, con detenuti con problemi specifici di carattere psichico ristretti in isolamento, senza assistenza medica continuata;
   le condizioni detentive del reparto appaiono, quindi, inumane e degradanti ed in contrasto con i principi dell'ordinamento penitenziario e con le stesse circolari in materia emesse dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria –:
   se siano a conoscenza di quanto sopra riportato;
   quali siano le regole che disciplinano il funzionamento del Padiglione Avellino della Casa Circondariale di Napoli-Poggioreale «G. Salvia»;
   quali siano i criteri con i quali vengono ristretti i detenuti con disagio psichico;
   quanto e quale sia il personale medico e infermieristico in servizio presso questo Padiglione e se, e in quali forme, sia assicurato un presidio medico permanente;
   quali accordi e/o protocolli operativi vi siano tra amministrazione penitenziaria e A.s.l. per la gestione di questa sezione e se vi siano relazioni in merito alle condizioni igienico-sanitarie;
   quanti siano i detenuti sottoposti in isolamento, per quali motivi e per quanto tempo, nel corso dell'ultimo semestre in questa sezione;
   quali interventi vengano effettuati dall'amministrazione penitenziaria, dalla direzione e, se nota, dall'Asl per prevenire l'allocazione coatta delle persone detenute in isolamento. (4-00649)


   PETITTI e ARLOTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge 24 aprile 1941, n. 392 dispone che sono obbligatorie per i comuni le spese di funzionamento degli uffici giudiziari e trasferisce agli stessi comuni la loro gestione e mantenimento;
   la legge del 1941 pone in particolare a carico dei comuni in cui ha sede l'ufficio giudiziario una serie di spese – sempre più gravose – riguardanti la custodia dei locali, la loro manutenzione, l'illuminazione, il riscaldamento, le provviste di acqua, la riparazione dei mobili, le spese per i registri e gli oggetti di cancelleria ed altro ancora;
   il decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1998, n. 187, reca le norme riguardanti i procedimenti relativi alla concessione ai comuni di contributi per le spese di gestione degli uffici giudiziari a norma dell'articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e prevede all'articolo 2 che il contributo è corrisposto in due rate: la prima è disposta in acconto all'inizio di ciascun esercizio finanziario, mentre la seconda, a saldo, è corrisposta entro il 30 settembre;
   risulta agli interroganti che fino allo scorso anno, pur con sempre crescenti ritardi, le spese sostenute e debitamente rendicontate a fine anno, venivano rimborsate in percentuali che sono andate da un minimo dell'85 per cento alla quasi integrale copertura dei costi;
   il 7 febbraio è stato sottoposto alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali lo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante «Regolamento per la disciplina della concessione di contributi per le spese di giustizia ai Comuni», in cui si stabilisce in particolare che il contributo che verrà corrisposto ai comuni per le spese di gestione degli uffici giudiziari sarà determinato non più sul consuntivo riferito all'anno precedente (come attualmente previsto) ma sulla base di costi standard per categorie omogenee di beni e servizi, in rapporto al bacino di utenza e all'indice delle sopravvenienze di ciascun ufficio giudiziario come individuate in un apposito decreto annuale; inoltre, la percentuale in acconto è ridotta al 50 per cento (non più il 70 per cento) di un quantum da determinare anno per anno;
   lo schema di decreto del Presidente della Repubblica ha ricevuto parere negativo da parte dell'Anci, perché costringerebbe gli enti locali a farsi carico di spese per materie delegate, iscrivendo a bilancio rimborsi che oggi vengono tagliati a consuntivo;
   la stessa Anci segnala che la media della spesa annuale dei comuni è stata pari a 315 milioni di euro annuo e che nel capitolo di bilancio del Ministero per l'anno in corso sono iscritti 79,8 milioni di euro, con una differenza per il solo anno 2012 di oltre 230 milioni di euro, già anticipati dai comuni (per il comune di Rimini ad esempio, che sostiene mediamente spese per il palazzo di giustizia per circa 1.2 milioni, significa 800 mila euro di riduzione dei rimborsi) –:
   se il Ministro interrogato abbia effettuato una stima circa l'ammontare effettivo del debito nei confronti dei comuni sede degli uffici giudiziari;
   se si preveda una modifica dello schema di decreto del Presidente della Repubblica recante «Regolamento per la disciplina della concessione di contributi per le spese di giustizia ai Comuni» che provocherebbe ulteriori numerose problematicità alle casse dei comuni sede degli uffici giudiziari;
   se non ritenga opportuno dotare il fondo di ulteriori risorse per garantire la copertura finanziaria totale del rimborso. (4-00660)


   TOTARO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 febbraio 2013 il signor Nicola Stolfi presentava atto di querela presso gli uffici della Stazione dei Carabinieri di Reggello in Firenze poiché il comune di Reggello gli vietava il diritto di voto;
   il suddetto, con sentenza del tribunale di Firenze del 17 ottobre 2001, confermata in secondo grado ed in cassazione, divenuta irrevocabile in data 25 maggio 2007, veniva condannato in via definitiva per il reato di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, commesso il 13 settembre 1996 in Firenze;
   a causa di tale condanna il comune di Reggello – ufficio elettorale ai sensi dell'articolo 29 decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313 cancellava Nicola Stolfi dalle liste elettorali, impedendogli l'esercizio di voto;
   in data 8 novembre 2007 Stolfi veniva ammesso con ordinanza del tribunale di sorveglianza di Firenze all'affidamento in prova ai servizi sociali; detto affidamento si concludeva con esito positivo con ordinanza del tribunale di sorveglianza di Firenze del 23 settembre 2008 con cui si dichiarava estinta la pena detentiva e pecuniaria non riscossa ed ogni altro effetto penale; il suddetto richiedeva quindi al comune di Reggello l'iscrizione nelle liste elettorali;
   il comune di Reggello – ufficio elettorale richiedeva in data 16 dicembre 2008 il certificato elettorale ma lo stesso comune di Reggello gli rifiutava la consegna della tessera elettorale sia per le elezioni amministrative sia per quelle politiche; difatti, con certificato elettorale del casellario giudiziale n. 74920/2008/R del 16 dicembre 2008, il Ministero della giustizia informava e comandava di fatto all'ufficio elettorale del comune di Reggello di iscrivere il signor Stolfi nelle liste elettorali, riconoscendogli pieno diritto al voto;
   il comune di Reggello iscriveva nelle liste elettorali il signor Stolfi solo in data 31 luglio 2012 con n. 5978;
   al signor Stolfi è stato impedito l'esercizio del diritto costituzionale di voto sia attivo che passivo, a causa dell'ostruzionismo del comune di Reggello –:
   se i fatti corrispondano al vero ed eventualmente in che modo intenda intervenire affinché episodi del genere non si verifichino più e sia garantito a tutti il diritto di voto. (4-00670)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GADDA, BRAGA, TULLO e MAURI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il progetto del nuovo collegamento ferroviario Arcisate Stabio, in recepimento dell'accordo italo-svizzero per la realizzazione del nuovo collegamento ferroviario Mendrisio-Varese attuativo della convenzione bilaterale firmata a Basilea il 2 novembre 1999 ed inserito nel APQ Malpensa, consiste nella realizzazione di un nuovo raccordo a due binari per una lunghezza di circa 3,6 chilometri in territorio italiano, in parte in galleria e in parte in viadotto. Il collegamento permetterà di connettere l'esistente linea Varese-P.to Ceresio all'altezza di Arcisate, con il tronco ferroviario Stabio-Mendrisio in territorio elvetico; prevede inoltre il raddoppio e la riqualificazione della tratta ferroviaria esistente Arcisate-Induno Olona (4,8 chilometri), la realizzazione di una nuova fermata al confine di Stato (località Gaggiolo nel comune di Cantello) e il ripristino del ramo Porto Ceresio Arcisate con la realizzazione di una nuova fermata in comune di Besano. Il costo dell'intervento è pari a circa 223 milioni di euro e il cronoprogramma dei lavori prevede la consegna dell'opera per fine 2013 e l'entrata in esercizio nel 2014;
   con la realizzazione del raccordo ferroviario saranno attivabili collegamenti transfrontalieri di tipo locale tra Varese e Lugano e tra Varese e Como (via Mendrisio), e collegamenti a lunga percorrenza tra il Cantone del Ticino e l'aeroporto di Malpensa, con positive e importanti ricadute sul sistema produttivo del territorio, anche in relazione all'importante appuntamento di Expo2015. La nuova linea passeggeri servirà infatti un territorio a cavallo della frontiera italo-svizzera in cui vivono circa 600.000 abitanti e contribuirà a dare risposte alle necessità di spostamento delle migliaia di lavoratori frontalieri delle province di Como e Varese che ogni giorno varcano il confine svizzero, riducendo il flusso eccessivo di autoveicoli in un'area già pesantemente congestionata;
   i lavori di realizzazione della linea Arcisate-Stabio, mentre procedono regolarmente secondo il programma stabilito per la parte svizzera, hanno subito sul versante italiano una brusca battuta d'arresto da alcuni mesi, al punto che la ditta esecutrice ICS Salini ha presentato il 30 aprile 2013 di fronte al tribunale di Roma richiesta di rescissione del contratto alla RFI, committente dell'opera. Motivo della drastica decisione è la questione, già emersa nell'autunno 2011 e sollevata fin dall'inizio del cantiere da più parti, dello stoccaggio del materiale di risulta; la presenza di materiale inquinante (arsenico), come certificato da indagine compiute dall'Arpa territorialmente competente, ha infatti reso impossibile il conferimento delle terre di scavo, secondo quanto inizialmente previsto, nella ex-cava Rainer in territorio di Arcisate, determinando una lievitazione dei costi di realizzazione per l'azienda e un blocco del cantiere ormai da alcuni mesi, con evidenti disagi anche per i territori dei comuni interessati dall'opera;
   sul punto la procura di Varese ha aperto un'indagine, ipotizzando che l'immissione nella ex-cava Rainer di terra da scavo contenente arsenico, possa configurare il pericolo di grave danno ambientale con rischio di inquinamento della falda acquifera;
   l'interruzione dei lavori e la volontà dichiarata dall'azienda di procedere con le procedure di licenziamento dei lavoratori ha determinato un forte allarme sociale anche per le sue ricadute occupazionali, per il rischio di vedere compromessi oltre 200 posti di lavoro tra gli operai direttamente impiegati nella realizzazione dell'opera e quelli attivi nell'indotto;
   il blocco dei lavori sul versante italiano ha suscitato grande preoccupazione anche nelle autorità elvetiche; le ferrovie svizzere FFS e l'Ufficio federale dei trasporti hanno chiesto tempestivamente a regione Lombardia conferme precise circa il completamento dell'opera, affinché siano rispettati i termini dell'accordo internazionale sottoscritto dai due Paesi. In attesa del prossimo comitato di coordinamento, anche la Commissione della gestione e delle finanze del Canton Ticino, ha recentemente discusso con preoccupazione i rischi connessi alla situazione di difficoltà emersa sul versante italiano, sollecitando le istituzioni ad un incontro chiarificatore e utile a definire in tempi certi una soluzione adeguata;
   a fronte di tali sollecitazioni l'assessore alla mobilità della regione Lombardia, Maurizio Del Tenno, in visita al cantiere della Arcisate-Stabio in data 24 maggio 2013, ha rassicurato sull'immediata riapertura del cantiere (anche se allo stato attuale i lavori non sono ancora ripresi), sulla sospensione delle procedure di licenziamento da parte dell'azienda e sull'attivazione immediata di regione Lombardia per l'individuazione di soluzioni alternative allo smaltimento delle terre da scavo contenenti inquinanti, condizione essenziale per la ripresa dei lavori; a tale riguardo è previsto nei prossimi giorni un incontro tra Rfi, regione e azienda esecutrice per trovare un accordo sullo smaltimento del materiale di risulta del cantiere;
   la completa realizzazione della linea Arcisate-Stabio, secondo i tempi stabiliti e nel pieno rispetto delle garanzie di sicurezza ambientale e di salute per i cittadini, rappresenta una priorità per il territorio insubre e per le strategie di collegamento transfrontaliero con la Svizzera ed il centro Europa; sul punto anche il Governo italiano ha una diretta responsabilità, derivante dagli impegni assunti in sede internazionale con l'accordo sottoscritto con la Confederazione elvetica concernente la garanzia della capacità delle principali linee di collegamento tra la rete italiana ad alta capacità (RAC) e le nuove trasversali ferroviarie alpine svizzere (NTFA) –:
   quali iniziative di propria competenza intenda assumere per garantire il superamento dei problemi emersi riguardo al completamento della tratta italiana della linea Arcisate-Stabio ed evitare la rescissione del contratto tra Rfi e l'azienda appaltatrice ICS Salini;
   se non ritenga opportuno promuovere, di concerto con regione Lombardia e le altre istituzioni interessate, la costituzione di un tavolo tecnico presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per monitorare lo stato di avanzamento dell'opera al fine di garantire il rispetto dell'accordo italo-svizzero ed il raggiungimento dell'obiettivo di completamento dell'infrastruttura nei tempi previsti e comunque entro la scadenza di Expo 2015.
(5-00222)

Interrogazioni a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la Convenzione di Chicago, relativa all'aviazione civile internazionale, stipulata il 7 dicembre 1944, istituendo l'organizzazione ICAO (International Civil Aviation Organization) – ratificata dall'Italia il 31 ottobre 1947, ed entrata in vigore il 30 novembre 1947 – ha dato corpo a due accordi fondamentali ad essa legati, ma volutamente distinti affinché ogni Stato potesse ratificarli separatamente: uno, nel quale sono formulate le disposizioni di carattere internazionale, l'altro, dove vengono enunciate le cosiddette «libertà dell'aria» (all'epoca 5, ed aumentate nel corso degli anni fino alle 9 attuali);
   i rapporti aeronautici tra l'Italia e i Paesi extracomunitari sono di regola disciplinati da accordi aerei bilaterali;
   in coordinamento con i Ministeri competenti in materia (infrastrutture e trasporti e affari esteri), l'ENAC (Ente nazionale per l'aviazione civile) partecipa a tutte le fasi negoziali, curando i rapporti con gli enti e organismi che operano nel settore dell'aviazione civile in Italia e all'estero e relazionandosi, in particolare, con le compagnie aeree e le società di gestione aeroportuale;
   le attività dell'ENAC, in materia di accordi, ineriscono altresì l'ambito dell'Unione europea sia in relazione all'applicazione del regolamento (CE) 847/2004, sia per le attività negoziali svolte dalla Commissione in base ai mandati del Consiglio dell'Unione;
   in attuazione della legge 28 gennaio 2009, n. 2, l'ENAC, in collaborazione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministero degli affari esteri, ha partecipato alla promozione di nuovi accordi bilaterali nel settore del trasporto aereo;
   ai sensi della predetta normativa, esistono già numerosi accordi stipulati dall'Italia con Paesi terzi, aggiornati al 2012 e visionabili sul sito web dell'ENAC;
   la compagnia aerea Emirates ha già annunciato, a seguito dell'autorizzazione ricevuta da ENAC su base extra bilaterale, l'apertura della tratta giornaliera Milano Malpensa-New York a partire dal 1o ottobre 2013, con velivolo Boeing 777-300 e con una tariffa lancio di andata e ritorno pari a 570 euro;
   Emirates opera attualmente 7 voli giornalieri dall'Italia verso Dubai;
   Emirates ha stipulato accordi di «feederaggio» e commerciali con jetBlue negli Stati Uniti e easyJet in Europa;
   l'autorità austriaca per l'aviazione civile, Aviation authority austro controlGmbH, ha recentemente negato ad Emirates l'autorizzazione ad operare con i suoi Airbus A380 (aeromobili con maggiore capacità) alcune delle 13 frequenze settimanali che collegano Vienna a Dubai negando, inoltre, i diritti di traffico per aumentare le frequenze a 14 settimanali utilizzando la partnership con la Qantas, temendo, quindi, un aumento della capacità di riempimento da parte di Emirates che innalzerebbe troppo i livelli di competizione, con potenziali ripercussioni negative per gli interessi economici delle compagnie nazionali;
   il tema dell'operatività della compagnia Singapore Airlines presso l'Aeroporto di Malpensa e, più in generale, quello della rinegoziazione degli accordi bilaterali per l'attivazione di nuove rotte, hanno costituito occasione di approfondito confronto a partire dal 2008;
   prospettare il nuovo collegamento come un'opportunità di sviluppo dei servizi commerciali derivante dall'incremento dei collegamenti a lungo raggio è improprio, in quanto è necessario segnalare che, ad esempio, New York rappresenta già la destinazione intercontinentale attualmente a maggiore presenza di competitor, con 4 compagnie aeree operanti (Alitalia, Delta Airlines, American Airlines e United). La concessione di diritti di 5o libertà consentirebbe di imbarcare traffico a Malpensa per una destinazione già servita, a chiaro discapito dei flussi di traffico, oggi trasportati dai vettori già presenti, con il rischio che tali compagnie non siano più indotte ad individuare nell'aeroporto milanese il fulcro di una rete di collegamenti internazionali (com’è già avvenuto nel caso di Lufthansa e considerata anche la difficile congiuntura che sta interessando l'industria del trasporto aereo a livello mondiale);
   per quanto riguarda i benefici commerciali che potrebbe trarre SEA, società di gestione aeroportuale dello scalo di Malpensa, va notato che gli incrementi di ricavi nel 2012 della predetta società si sono avuti senza i benefici degli adeguamenti tariffari previsti dal Contratto di programma sottoscritto il 23 settembre 2011;
   la concessione dei diritti di quinta libertà in altri Paesi europei come la Germania, che consente alla Singapore Airlines di connettere Francoforte a New York, si giustifica con il fatto che il vettore di riferimento nazionale, Lufthansa, è partner della compagnia asiatica in quanto membri nella stessa alleanza (Star Alliance) e, pertanto, la concessione di quinta libertà è tutelata/blindata a monte da accordi di collaborazione strategica e commerciale con il principale operatore del mercato tedesco;
   anche la prospettiva dell'Expo 2015 non può dar luogo a decisioni estemporanee senza un piano strategico che coniughi accessibilità ai territori, sviluppo, ma anche sostenibilità economico-finanziaria, a salvaguardia dei fattori produttivi esistenti, purché non confliggenti con l'interesse pubblico generale, come del resto hanno fatto sinora Germania e Francia, i due paesi con i quali stiamo tornando a confrontarci in Europa –:
   quali siano state le considerazioni e le valutazioni che hanno portato alla decisione di concedere i diritti di traffico in quinta libertà ad Emirates;
   se sia in previsione la cessione di altri diritti di traffico in quinta libertà ad Emirates o ad altri vettori extra-UE;
   se siano state valutate attentamente le ricadute in termini occupazionali e sociali che le decisioni finora assunte potrebbero generare. (4-00654)


   VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal settembre del 2009, a causa dell'inidoneità dell'immobile in cui risultava locata la caserma dei Carabinieri, la popolazione del comune di Sestu (Cagliari) si è trovata sprovvista – caso rarissimo per un comune di ventimila abitanti ove, peraltro, non insistono altre strutture di pubblica sicurezza – di un presidio stabile, in quanto il personale dell'Arma veniva ospitato presso la caserma di Monserrato;
   con deliberazione n. 11 del 29 marzo 2010 il consiglio comunale di Sestu ha approvato il protocollo d'intesa regolante i rapporti tra il comune di Sestu, il Ministero dell'interno, per il tramite della prefettura di Cagliari, e l'Agenzia del demanio per la realizzazione della caserma dei carabinieri;
   con successiva deliberazione del consiglio comunale n. 16 del 13 aprile 2010 sono state individuate le aree comunali da cedere al demanio dello Stato per la realizzazione della suddetta caserma;
   il predetto protocollo d'intesa stabilisce, peraltro, la modalità di cessione dell'area a titolo gratuito, con possibilità di retrocessione della stessa al patrimonio comunale, qualora nell'arco di tre anni non vengano stanziate da parte dello Stato le risorse finanziarie necessarie alla realizzazione dell'intervento;
   nelle more della definizione dell’iter procedurale, di cui al sopracitato «protocollo, considerato che nel mese di marzo 2010, l'ASL di Cagliari ha restituito al comune di Sestu l'immobile sito a Sestu in via Di Vittorio 38, precedentemente utilizzato in comodato d'uso gratuito per lo svolgimento di attività specialistica consultoriale, la giunta comunale ha deliberato (n. 112), in data 8 giugno 2012, di concedere tale immobile in comodato d'uso per nove anni da utilizzare come provvisorio (seppur non del tutto adeguato) ufficio amministrativo da parte dei carabinieri;
   per quanto riguarda la realizzazione della nuova caserma, tale progetto rientrava nelle opere da realizzare dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate – Fondo infrastrutture destinate alle «piccole e medie opere», alle quali la delibera del CIPE n. 103 del 6 novembre 2011 assegnava un ammontare complessivo di 413 milioni di euro;
   per effetto delle riduzioni delle disponibilità del FAS disposte dalle manovre finanziarie del 2012, le originarie risorse destinate dal CIPE alle piccole e medie opere (413 milioni) sono state prima ridotte di 310 milioni e poi reintegrate di circa 186 milioni, determinandosi – attualmente – in poco meno di 290 milioni (delibera n. 6 del 2012, tabelle 1, 4 e 5).
   tuttavia, la realizzazione della nuova caserma di Sestu (valore dell'opera 1.500.000 euro) rientrava negli interventi ricompresi nella cosiddetta seconda fase di opere e pertanto risulta, attualmente, non ricompresa negli interventi finanziati –:
   quali siano le motivazioni per cui, a tutt'oggi, la nuova caserma di Sestu, sebbene facente parte della cosiddetta seconda fase di «piccole e medie opere» sopra richiamata, non è stata ricompresa negli interventi finanziati dal CIPE;
   se, e in che tempi, ritenga di ricomprenderla negli interventi finanziati dal CIPE e di erogarne i finanziamenti necessari per la sua realizzazione, in considerazione del fatto che la sicurezza della comunità di Sestu è attualmente affidata ad un mero «presidio amministrativo».
(4-00659)


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i cittadini che utilizzano i treni lungo la direttrice adriatica, pur non disponendo dell'alta velocità, pagano i biglietti come se viaggiassero sulle frecce rosse;
   sulla linea dell'alta velocità Milano Roma Napoli, Trenitalia offre biglietti a un prezzo decisamente concorrenziale (nelle pubblicità si propone 29 euro) mentre sulla direttrice adriatica il prezzo dei treni a bassa velocità è addirittura superiore (da Pescara a Milano si paga 68 euro); tale politica dei prezzi è favorita dalla concorrenza esistente sulla linea tirrenica e sulla inesistenza di concorrenza sulla linea adriatica;
   Trenitalia è stata denunciata all'antitrust per questo comportamento tariffario;
   i cittadini della direttrice adriatica sopportano tempi di percorrenza più bassi, treni meno moderni e forniti di servizi, e nello stesso tempo pagano il biglietto di più dei viaggiatori della direttrice tirrenica;
   sarebbe almeno possibile adottare da parte di Trenitalia alcuni provvedimenti correttivi quali:
   l'utilizzo dei treni ETR 500 lungo la direttrice adriatica da Pescara a Milano in modo da ridurre il tempo di percorrenza a 4 ore mentre oggi ne occorrono quasi 5 ore e 30 minuti;
   l'utilizzo da Bari a Pescara e da Pescara a Bologna di treni regionali veloci a prezzi più bassi e tempi di percorrenza accettabili, così come Trenitalia fa sulla linea tirrenica, affiancando i treni regionali veloci all'offerta dell'alta velocità –:
   se non ritenga di intervenire per chiedere a Trenitalia di rimuovere questa inaccettabile discriminazione nei confronti dei viaggiatori della linea adriatica e in particolare di quelli della regione Abruzzo.
(4-00661)


   SCOTTO, QUARANTA e BOCCADUTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Società Autostrade da diversi anni sta effettuando lavori di ampliamento della corsia e della viabilità di adduzione al nuovo casello autostradale dello svincolo Portici Ercolano in località Boscocatene-Madonnelle. Tra le varie opere progettate dalla società Autostrade c’è anche il nuovo cavalcavia di via G. Semmola, prevedendone la demolizione e ricostruzione. Successivamente, nel 2005, fu indetta una nuova conferenza di servizi per lavori di variante che riguardavano però esclusivamente il nuovo svincolo e la viabilità di adduzione in località Madonnelle-Boscocatene, pertanto il cavalcavia di via Semmola non è stato oggetto di discussione in questa ultima conferenza di servizi. Oggi la SAM sta realizzando il nuovo cavalcavia secondo un progetto di variante mai approvato in alcuna conferenza di servizi con notevoli difformità rispetto al progetto approvato nella conferenza di servizi del 2000;
   in data 28 maggio 2013 veniva effettuato un sopralluogo da parte dei dirigenti dell'assetto del territorio e del comando di polizia municipale del comune di Ercolano e redatto relativo verbale ove veniva constatata la gravità della situazione rilevando, tra le altre, che tali opere non potrebbero essere oggetto di collaudo né di presa in consegna da parte di qualsiasi autorità, in quanto tale raccordo avrebbe una pendenza media del 14 per cento, superiore alla normativa relativa alle strade di viabilità ordinaria;
   in data 29 maggio 2013 è stato convocato un consiglio comunale straordinario su tale situazione nel quale è stato votato all'unanimità un documento che mette in evidenza tutte le criticità di questo nuovo cavalcavia; in modo particolare è stato rilevato che:
    tale configurazione comporterebbe problematiche serie sulla viabilità e transito pedonale, con gravi conseguenze sulla sicurezza pubblica e privata;
    tale pendenza ostacolerebbe definitivamente il transito dei mezzi pubblici, impedendo di fatto di mantenere in essere il trasporto pubblico sull'unica strada che collega attualmente la zona a valle e la zona a monte dell'autostrada, problematica amplificata dalla chiusura di via Boscocatene;
    sussistono disagio e pericolo provocati dal deflusso delle acque meteoriche che in una rincorsa che parte in rettilineo sin da via Vesuvio accumulerebbero una forza ed una velocità con conseguenze disastrose, in particolare per l'incolumità dei cittadini e residenti della zona che non potrebbero più uscire di casa;
    via G. Semmola è una delle arterie importanti che collega la parte bassa della città con il mercato dei fiori individuato come punto di raccolta in caso di evento sismico;
   a tutto ciò vanno aggiunte le innumerevoli opere incompiute e/o da realizzarsi così come stabilito in varie conferenze di servizi e verbali successi;
   tanto premesso, il consiglio comunale ha dato mandato al sindaco di utilizzare tutte le forme per la soluzione delle problematiche citate ed è stata indetta una manifestazione pubblica di protesta verso tale incresciosa situazione per le 21,00 del 29 maggio 2013;
   non appare lecito costruire ed ampliare le autostrade a discapito dei cittadini e della loro incolumità;
   è a giudizio degli interroganti legalmente e politicamente corretto superare i tavoli di concertazione con tutte le parti in causa e agire in difformità da quanto approvato nelle conferenze di servizio –:
   se sia stata effettuata una valutazione puntuale dell'impatto ambientale di tale opera e delle conseguenze di rischio idrogeologico nonché di rispetto delle vie di fuga in una zona a altissimo rischio sismico e quali iniziative il Governo intenda assumere a proposito. (4-00669)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il dilagare nella città di Como, ma non solo, soprattutto nei centri storici di mendicanti, questuanti e venditori abusivi sta raggiungendo livelli mai visti prima e oltre ogni limite;
   tale degrado sociale e l'illegalità diffusa che ne consegue sta danneggiando il turismo, l'economia locale, il commercio, con notevoli danni per una città turistica come Como, e crea evidenti disordini di ordine pubblico e sicurezza per i cittadini, in quanto l'amministrazione locale non ha intenzione di fare nulla per contrastare, prevenire e reprimere tali forme di illegalità;
   il decreto-legge n. 173 del 2008, convertito con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2008, fortemente voluta dal Ministro dell'interno pro tempore Roberto Maroni, aveva dotato i sindaci di un prezioso strumento, le ordinanze, per prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano la sicurezza urbana, anche al di fuori dai casi di «contingibilità e urgenza», come era previsto dalla precedente normativa in senso restrittivo;
   secondo i dati ufficiali pubblicati sul sito del Ministero, sul piano generale dell'andamento della delittuosità, nel 2009 si registrò subito un'evidente tendenza alla diminuzione rispetto al 2008 (-31,4 per cento rapine e -20,1 per cento furti);
   gli strumenti previsti nel pacchetto sicurezza si caratterizzavano per la loro «flessibilità», ossia per la capacità di poter essere adattate alle diverse esigenze territoriali, in un'ottica tipicamente federalista, considerato che i comuni possono avere problemi di ordine pubblico differenti, ma anche per il fatto che possono essere utilizzati laddove, pur nel rispetto della legge, ci siano situazioni che possono determinare una condizione di degrado sociale che può portare poi alla commissione di reati;
   anche se la Corte costituzionale con sentenza n. 115 del 2011 ha dichiarato incostituzionale l'articolo 54, comma 4, del TUEL, limitando il potere di emanare ordinanze a tutela dell'incolumità pubblica e della sicurezza urbana ai casi in cui sussistano presupposti di contingibilità e urgenza, ha lasciato comunque aperta la possibilità di un intervento normativo adeguato ed organico;
   ciò che ha caratterizzato l'azione del Ministro dell'interno pro tempore Maroni, e che ne aveva fatto un modello vincente dal punto di vista dei risultati, è stata l'adozione di un concetto di sicurezza cosiddetto «partecipata», ossia non soltanto con il riconoscimento del potere di ordinanza sindacale ma anche con il coinvolgimento di tutti gli enti istituzionali, dal Ministero ai comuni, fino ad arrivare ai singoli cittadini nella lotta e prevenzione dei fenomeni criminosi;
   la sicurezza urbana ha una diretta incidenza sulla qualità della vita dei cittadini e a fronte di un aumento della micro criminalità diffusa e della percezione di insicurezza da parte dei cittadini medesimi, è necessario approntare strumenti e risposte adeguati –:
   quali siano gli intendimenti del Ministro con riguardo all'adozione di una nuova normativa, in accordo con i rilievi della Corte, che consenta comunque ai sindaci di intervenire in materia di sicurezza urbana, quali altre iniziative a favore dei comuni intenda avanzare per il potenziamento della sicurezza urbana e la tutela dell'ordine pubblico, ed infine quale sia lo stato di attuazione e quali le future azioni in materia di «patti per la sicurezza». (4-00647)


   CENSORE, BINDI, AIELLO, D'ATTORRE, STUMPO, BATTAGLIA e COSTANTINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra martedì 28 e mercoledì 29 maggio ignoti hanno incendiato un fabbricato di proprietà dei familiari dell'ex Sindaco di Isola Capo Rizzuto (Kr) Carolina Girasole;
   la stessa Girasole, nel corso del suo mandato di Sindaco di Isola Capo Rizzuto, è stata vittima di una escalation di pesanti intimidazioni;
   la continua ed inarrestabile sequela di attentati, perpetrati ai danni sia di esponenti delle istituzioni e della politica che di privati cittadini, evidenzia la gravissima situazione in cui versa la Calabria;
   i dati contenuti nel rapporto annuale di Legautonomie Calabria, secondo i quali sono 106 gli amministratori calabresi che hanno subito almeno un'intimidazione nel corso del 2012 indicano una realtà drammatica che riguarda tutte le province della regione, considerato che la ripartizione ha un segno più marcato in quella di Reggio Calabria (31 episodi), ma si conferma anche a Cosenza (28), Catanzaro (18), Vibo Valentia (17) e Crotone (12);
   ancora una volta è la Calabria la maglia nera nella terribile classifica delle regioni d'Italia in cui maggiori sono gli attentati e le intimidazioni ai danni di amministratori;
   è necessario sostenere amministratori ed ex amministratori locali calabresi che, per il semplice motivo di aver deciso di mettersi a disposizione delle rispettive comunità, rischiano di diventare facile bersaglio di una criminalità organizzata sempre più becera ed arrogante –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra denunciato e che in Calabria sta diventando sempre più complicato occuparsi della cosa pubblica;
   che cosa intenda fare al fine di potenziare le attività e i servizi per la sicurezza e il controllo del territorio;
   quali iniziative intenda adottare al fine di favorire, per quanto di propria competenza, la tutela dell'ex Sindaco di Isola Capo Rizzuto, Carolina Girasole.
(4-00655)


   BOCCADUTRI e SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i quotidiani di ieri riportavano la notizia della nascita dell’«Esercito di Silvio», anche detto «Esercito delle Libertà», organizzazione nata dall'idea di Simone Furlan, albergatore veneto;
   nei sito internet www.esercitodellaliberta.it si legge: «Noi della società civile siamo stati spettatori inermi della “Guerra dei Vent'anni” che ha visto Silvio Berlusconi combattere e difendersi da accuse infamanti di ogni genere, frutto di una persecuzione giudiziaria senza precedenti nella storia. Motivo di questa persecuzione è il non aver permesso ai comunisti di andare al potere, di aver fermato un progetto chiaro che, in seguito a tangentopoli, avrebbe consegnato il nostro paese alla sinistra»;
   in particolare, si spiega: «ora più che mai occorre non lasciare solo il Presidente Berlusconi. Dobbiamo difendere colui che rappresenta un patrimonio per i moderati italiani, batterci affinché la persecuzione che lo sta colpendo non possa ripetersi nei confronti di nessuno. Occorre gridare al mondo intero che milioni di Italiani come me credono e si riconoscono in lui. Dobbiamo lanciare un messaggio chiaro ai detrattori del Presidente Berlusconi. Devono sapere che quand'anche lo condannassero o lo rendessero ineleggibile, non lo sconfiggeranno mai politicamente, poiché noi saremo schierati al suo fianco, pronti a supportarlo, a raccogliere la sua incredibile eredità politica, i suoi valori e ideali e portarli avanti con lui»;
   l’«Esercito della libertà» ha iniziato, sul predetto sito internet, l’«arruolamento» dei soldati, che possono iscriversi sottoscrivendo un modulo in cui è scritto: «dichiaro di volermi arruolare nell'Esercito di Silvio per difendere il presidente Berlusconi e combattere al suo fianco la Guerra dei Vent'anni. Di riconoscermi in lui, nel suo pensiero, nei suoi ideali e nel suo operato. Di volermi battere per la libertà, per una Italia libera e democratica. Di essere pronto a partecipare ad eventi o manifestazioni in supporto del Presidente Berlusconi per affermare il principio che la sovranità popolare non può essere sovvertita in alcun modo tranne attraverso l'azione politica»;
   l’«Esercito della Libertà» è organizzato in reggimenti, diretti da comandanti con una competenza territoriale;
   l'articolo 18, comma 2, della nostra Costituzione stabilisce che «sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare»;
   l'articolo 1 del decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43, stabilisce: «1. Chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni di carattere militare, le quali perseguono, anche indirettamente, scopi politici, è punito con la reclusione da uno a dieci anni. 2. Chiunque vi partecipa è punito con la reclusione fino a diciotto mesi. La pena è da uno a cinque anni se è trovato in possesso di armi. 3. Ai fini del presente decreto, si considerano associazioni di carattere militare quelle costituite mediante l'inquadramento degli associati in corpi, reparti o nuclei, con disciplina ed ordinamento gerarchico interno analoghi a quelli militari, con l'eventuale adozione di gradi o di uniformi, e con organizzazione atta anche all'impiego collettivo in azioni di violenza o di minaccia» –:
   di quali elementi disponga il Governo in ordine alla questione esposta in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(4-00668)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VACCA, LUIGI GALLO, BATTELLI, BRESCIA, DI BENEDETTO, D'UVA, MARZANA, SIMONE VALENTE e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   negli istituti scolastici italiani il 7 maggio 2013 sono iniziate le somministrazioni e le conseguenti correzioni delle prove Invalsi, nella quali sono stati impegnati migliaia di docenti;
   molti docenti hanno segnalato una problematica che è emersa durante le prove INVALSI dell'anno scorso, che si è ripresentata quest'anno, come riportato anche dalla stampa;
   le segnalazioni riguardano la correzione delle prove attraverso l'uso di una maschera fornita dall'Invalsi che può essere utilizzata solo attraverso un software proprietario, nello specifico Microsoft Excel;
   dopo la recente modifica dell'articolo 68 del codice dell'amministrazione digitale (CAD) ad opera del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, il 7 agosto 2012 in legge n. 134, il legislatore ha predisposto un'ulteriore modifica al medesimo articolo 68 del codice dell'amministrazione digitale ad opera questa volta dell'articolo 9-bis del decreto-legge n. 179 del 18 ottobre 2012, così come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 17 dicembre 2012, recante «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese»; l'articolo 68 del CAD, in seguito alle modificazioni di cui sopra, recita quanto segue:
    «Analisi comparativa delle soluzioni.
     1. Le pubbliche amministrazioni acquisiscono programmi informatici o parti di essi nel rispetto dei principi di economicità e di efficienza, tutela degli investimenti, riuso e neutralità tecnologica, a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le seguenti soluzioni disponibili sul mercato:
    a) software sviluppato per conto della pubblica amministrazione;
    b) riutilizzo di software o parti di esso sviluppati per conto della pubblica amministrazione;
    c) software libero o a codice sorgente aperto;
    d) software fruibile in modalità cloud computing;
    e) software di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d'uso;
    f) software combinazione delle precedenti soluzioni.
     1-bis. A tal fine, le pubbliche amministrazioni prima di procedere all'acquisto, secondo le procedure di cui al codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, effettuano una valutazione comparativa delle diverse soluzioni disponibili sulla base dei seguenti criteri:
    a) costo complessivo del programma o soluzione quale costo di acquisto, di implementazione, di mantenimento e supporto;
    b) livello di utilizzo di formati di dati e di interfacce di tipo aperto nonché di standard in grado di assicurare l'interoperabilità e la cooperazione applicativa tra i diversi sistemi informatici della pubblica amministrazione;
    c) garanzie del fornitore in materia di livelli di sicurezza, conformità alla normativa in materia di protezione dei dati personali, livelli di servizio tenuto conto della tipologia di software acquisito.
     1-ter. Ove dalla valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico, secondo i criteri di cui al comma 1-bis, risulti motivatamente l'impossibilità di accedere a soluzioni già disponibili all'interno della pubblica amministrazione, o a software liberi o a codici sorgente aperto, adeguati alle esigenze da soddisfare, è consentita l'acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d'uso. La valutazione di cui al presente comma è effettuata secondo le modalità e i criteri definiti dall'Agenzia per l'Italia digitale, che, a richiesta di soggetti interessati, esprime altresì parere circa il loro rispetto»;
     in ottemperanza all'articolo 68 del codice dell'amministrazione digitale molti istituti, nel rispetto dei principi di economicità e di efficienza, tutela degli investimenti, riuso e neutralità tecnologica hanno adottato programmi open source;
     tali istituti, oltre a quelli che già adoperavano programmi open source dagli anni passati, si sono trovati in difficoltà con l'obbligo di dover utilizzare software proprietari della Microsoft in occasione delle prove INVALSI –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere per fare in modo che l'INVALSI rilasci le maschere per la correzione delle prove anche per LibreOffice/OpenOffice;
   quali iniziative saranno avviate per favorire l'adozione di software open source negli istituti scolastici. (5-00217)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il comitato dei genitori del Liceo ISIS Pachini-Marchi di Tolmezzo hanno lanciato un appello in difesa della scuola alle istituzioni locali e nazionali, affinché sia garantita una scuola pubblica di alta qualità al servizio dei giovani e del territorio montano;
   una forte preoccupazione aleggia per i tagli alla scuola previsti dalle disposizioni ex «spending review» e dalla legge di stabilità per il 2013, che ridurrà ulteriormente il fondo per il miglioramento dell'offerta formativa;
   i cittadini della montagna friulana già subiscono le penalizzazioni proprie della zona, dal decentramento al clima, alla restrizione dei servizi offerti, senza dover patire anche la perdita di un importante canale di crescita umana e sociale;
   l'elevato standard qualitativo conseguito dal polo scolastico di Tolmezzo, peraltro, è stato certificato dall'analisi OCSE-PISA 2009 e dalle più recenti prove INVALSI –:
   se e quali iniziative di propria competenza intenda intraprendere per garantire l'indispensabile permanenza di una scuola di qualità nel territorio montano di Tolmezzo. (5-00219)


   PETRENGA e CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 9 maggio 2013, presso l'istituto tecnico per geometri «Michelangelo Buonarroti» di Caserta, uno dei più grandi della provincia, un alunno sedicenne, esentatosi in classe con una maglia su cui era stampato il volto del presidente Silvio Berlusconi, è stato umiliato dalla propria insegnante, che gli ha rivolto frasi ingiuriose e successivamente lo ha costretto a spogliarsi dell'indumento e ad indossarlo al contrario;
   le parole rivolte all'alunno sono di particolare gravità; la professoressa infatti non si è limitata a mere osservazioni sull'opportunità o meno di indossare in classe l'indumento sopra descritto, ma, stando a quello che risulta dalla denuncia successivamente presentata ai carabinieri dai genitori del ragazzo, gli ha urlato contro, frasi del tipo «Ti dovresti impiccare tu e Berlusconi» e «Ti ucciderei a te e pure a lui»;
   risulta inoltre che l'insegnante avrebbe chiamato la madre del giovane rimproverandola per l'abbigliamento del figlio; i genitori hanno deciso di sporgere denuncia penale ai carabinieri del comando provinciale di Caserta, anche perché il ragazzo, assai scosso dall'accaduto, ha chiesto di cambiare scuola, ritenendo che il comportamento della professoressa preluda ad una bocciatura;
   anche la dirigenza dell'istituto ha avviato una inchiesta interna, che si concluderà il 10 giugno, poco prima degli scrutini finali;
   secondo le direttive ministeriali e le leggi, la scuola dovrebbe educare ali tolleranza tra le visioni diverse del mondo e alla diversità di posizioni politiche, culturali e religiose; l'insegnante non è un agitatore politico, ma un educatore, che aiuta a sviluppare la personalità dei suoi alunni nel senso della massima apertura mentale;
   di conseguenza il comportamento dell'insegnante dell'istituto tecnico per geometri «Michelangelo Buonarroti» di Caserta a giudizio degli interroganti fomenta l'odio sociale e contrasta con gli elementi fondanti del proprio ruolo; quale che sia il risultato delle inchieste aperte, appare chiaro agli interroganti che costei non è idonea all'insegnamento;
   più in generale si sta diffondendo nel Paese una sub-cultura dell'intolleranza nei confronti di una parte politica che rappresenta circa un terzo degli italiani; queste modalità di comportamento, rischiano di incrementare i pericoli di scontro sociale –:
   se non si ritenga opportuno, qualora quanto descritto in premessa risultasse vero, allontanare dall'insegnamento la responsabile dei comportamenti sopra evidenziati;
   quali direttive intenda emanare per impedire il ripetersi di simili fatti.
(5-00223)


   PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza n. 93 del 7 febbraio 2012, passata in giudicato il 30 luglio 2012, il tribunale amministrativo regionale per la Sardegna ha annullato il decreto del rettore dell'università di Sassari n. 1242 del 30 maggio 2011, nel quale veniva individuato nominativamente il vincitore del concorso pubblico di ricercatore universitario presso la facoltà di scienza matematiche fisiche e naturali dell'università di Sassari;
   con ricorso notificato il 25 ottobre 2012 dalla dottoressa Barbara Marconi, veniva richiesta l'esecuzione della citata sentenza TAR Sardegna n. 93 del 2012, nel senso di individuare la Marconi stessa quali vincitrice del concorso, condannando l'università medesima, alla ricostruzione della carriera della vincitrice ad una penalità di mora ex articolo 114 del codice per l'amministrazione;
   con la sentenza n. 65 del 2013, depositata in segreteria il 25 gennaio 2013, preso atto che l'università di Sassari aveva annullato la precedente nomina, dichiarato le decadenza della Commissione giudicatrice e disposto la formazione di una nuova Commissione, il TAR Sardegna ha respinto l'istanza principale della ricorrente (cioè la nomina a vincitrice del concorso), ma ha condannato l'università di Sassari al pagamento della penalità di mora in favore della ricorrente, a decorrere dal 30o giorno dalla notifica della sentenza n. 65;
   i ritardi dell'università di Sassari nell'adempiere al disposto della sentenza n. 93 del 2012, sono dovuti al fatto che la nuova commissione giudicatrice non può essere operativa sino a che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non procede, autonomamente, al sorteggio dei membri supplenti della stessa, con la procedura regolata dal decreto ministeriale 27 marzo 2009, n. 139 –:
   per quali motivi non siano stati ancora nominati i membri supplenti della commissione giudicatrice, in relazione al concorso evidenziato in premessa;
   se non ritenga opportuno procedere sollecitamente alla loro nomina, in modo da porre fine alla grave situazione di incertezza (giuridica e lavorativa) in cui si trova il soggetto avente diritto, anche considerazione del fatto che ulteriori ritardi comportano maggiori costi per l'università di Sassari. (5-00224)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GNECCHI, MAESTRI, INCERTI, CINZIA MARIA FONTANA, MADIA, SANGA e ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   già con la legge finanziaria per il 1997 (legge n. 662 del 1996), fu approvata una norma, purtroppo mai attuata, che prevedeva incentivi sia per gli anziani che per i giovani, agevolando l'uscita dal lavoro dei lavoratori più anziani e contestualmente assumere forze fresche con contratto di lavoro a part-time. Con la legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, commi 1160 e 1161 della legge n. 296 del 2006), è stata riapprovata con alcune varianti questa norma, che prevede un incentivo sia per il lavoratore che abbia compiuto i 55 anni di età, che per l'azienda. Lo sgravio contributivo si perfeziona nel momento in cui il lavoratore «anziano» trasforma il contratto di lavoro a tempo parziale, e contemporaneamente l'azienda assume, per la differenza fra l'orario parziale e il tempo pieno, un giovane disoccupato di età inferiore ai 25 anni o inferiore ai 29 anni se laureato;
   l'eccessiva rigidità nella fissazione di limiti di età per l'accesso alla pensione rischia di disperdere un ingente patrimonio cognitivo e di esperienze formatosi nel tempo, anche grazie a significativi investimenti pubblici e in questo modo si consente anche di non disperdere il patrimonio di conoscenze e la grande professionalità acquisita in azienda dal lavoratore anziano, trasferendolo alle nuove generazioni che entrano nel mondo del lavoro;
   per l'attuazione della suddetta misura, sono state poste in bilancio risorse per gli anni 2008 e 2009, pari a 82,2 milioni di euro destinati a finanziare accordi aziendali, con la finalità di creare nuovi posti di lavoro per i giovani e ridurre le uscite dal sistema produttivo dei lavoratori anziani;
   la norma, definita nella legge finanziaria per il 2007, come: «accordo di solidarietà fra generazioni», prevede per la messa a regime, l'emanazione di un decreto concertato fra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-regioni e le organizzazioni sindacali, nel quale devono stabilirsi le modalità, i contenuti e requisiti di accesso al finanziamento, nonché la ripartizione delle risorse;
   il decreto previsto dalla finanziaria 2007 non risulta mai essere stato emanato, né tantomeno è chiaro dove siano state ridestinate le risorse a suo tempo stanziate per la suddetta misura;
   il trattato di Lisbona sottolinea con forza la necessità di favorire un progressivo allungamento dell'età attiva in funzione della dinamica della speranza di vita, anche al fine di garantire la sostenibilità dei sistemi previdenziali e per contro è preoccupante il dato sull'occupazione che riguarda i giovani diffuso dall'Istat a gennaio 2013. Il tasso di disoccupazione nella popolazione tra 15 e 24 anni è pari al 38 per cento –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di procedere all'emanazione del decreto attuativo previsto dalla legge finanziaria per il 2007 e fornire quindi ai giovani, in questo periodo di crisi, nuove opportunità occupazionali. (5-00215)


   GARAVINI, GNECCHI, MAESTRI, INCERTI e ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   già nella precedente legislatura è stato presentato su questa problematica l'atto di sindacato ispettivo n. 5-07156 senza che peraltro ci sia stata risposta del Governo;
   l'Ufficio europeo brevetti (UEB) annovera tra i suoi dipendenti quasi 500 funzionari italiani, una parte dei quali ha maturato una posizione contributiva presso l'INPS o, in casi isolati, un ente previdenziale equivalente, in precedenti rapporti di lavoro dipendente in Italia, tuttavia per un numero di anni ben inferiori al minimo necessario per poter ottenere una pensione in Italia al raggiungimento dell'età pensionabile;
   fino ad oggi lo Stato italiano non ha concesso la possibilità di trasferimento dei contributi previdenziali al fondo pensioni dell'Ufficio europeo brevetti come hanno fatto la maggior parte dei 34 Stati aderenti all'Organizzazione europea dei brevetti, per cui tali contributi risultano totalmente persi per i funzionari che si trovano in questa situazione, poiché il codice legale dell'Ufficio europeo brevetti prevede, ai fini della salvaguardia dei periodi contributivi precedenti per la corresponsione del proprio trattamento pensionistico, solamente il trasferimento al fondo pensioni dell'Ufficio europeo brevetti dei contributi previdenziali versati ad altri enti prima dell'inizio dell'attività lavorativa all'Ufficio europeo brevetti;
   su detta questione è già stato presentato atto di sindacato ispettivo 4-01149 del 25 settembre 2008 a firma Di Biagio e nella relativa risposta scritta, a firma dell'ex sottosegretario al Lavoro Bellotti si sostiene che il trasferimento dei contributi non si ritiene percorribile per l'insostenibilità degli oneri finanziari e che comunque a tale riguardo occorre comunque una specifica norma di legge. Come alternativa, prosegue il Ministero interrogato, si propone a questi lavoratori di utilizzare l'istituto della totalizzazione;
   va rimarcato che l'Italia permette già da qualche tempo il trasferimento dei contributi previdenziali per i funzionari italiani di altri organismi internazionali, come per esempio la Commissione europea, la Banca centrale europea, l'Istituto universitario europeo, l'EFDA e quindi non si comprende, per quali reconditi motivi, visto che trattasi di contributi accreditati su posizioni individuali, questo percorso non possa essere adottato anche per i funzionari italiani dell'Ufficio europeo brevetti;
   il Ministero, sempre nella risposta al succitato atto ispettivo, continua a riproporre per questi funzionari, l'istituto della totalizzazione (o pro-rata) pur essendo a conoscenza che il dipartimento legale dell'Ufficio europeo brevetti non considera fattibile questo percorso basato sulla totalizzazione, perché sancirebbe una disparità di trattamento dei funzionari italiani nei confronti dei funzionari UEB di altre nazionalità che godono della possibilità di trasferimento;
   una soluzione non coerente alla suesposta problematica, rischia di attivare in prospettiva un contenzioso da parte dei soggetti interessati, che chiedono solo e unicamente venga rimossa questa assurda disparità di trattamento –:
   quali provvedimenti intenda intraprendere il Ministro al fine di correggere la suddetta situazione che penalizza fortemente i funzionari italiani dell'Ufficio europeo brevetti e che non ha ragion d'essere, sia rispetto ad altri funzionari italiani operanti in altre istituzioni europee, che ai funzionari dell'Ufficio europeo brevetti degli altri Paesi della comunità europea. (5-00220)


   FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 1° giugno 2013 anche le aziende che occupano fino a dieci dipendenti dovranno essere in possesso del DVR (documento di valutazione dei rischi), in quanto non è più sufficiente l'autocertificazione a dimostrazione dell'avvenuta valutazione di tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro;
   la redazione di tale documento, come previsto dall'articolo 28 del decreto legislativo n. 81 del 2008, «è rimessa al datore di lavoro, che vi provvede con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l'idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione»;
   la mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi, o di un documento non coerente con i contenuti normativi (articoli 17, 28 e 29 del decreto legislativo n. 81 del 2008), comporterà violazioni della normativa in materia di igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro che prevedono, secondo i casi, sanzioni penali o amministrative;
   per quanto condivisibile la previsione di adempimenti fondamentali per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro e la prevenzione in azienda, tale obbligo suona per i piccoli imprenditori come l'ennesimo balzello e flagello burocratico;
   la valutazione, infatti, richiede di affidarsi ad esperti della materia, il che significa dover pagare una parcella ad un professionista;
   secondo quanto denunciato dalla vicepresidente della Cherubini srl, l'associazione di categoria cui l'imprenditrice è iscritta ha chiesto 380 euro più iva per questo adempimento, con pagamento in anticipo –:
   se non convenga sulla necessità di sburocratizzare e semplificare il più possibile gli adempimenti in capo agli imprenditori, specie se di piccole dimensioni e, conseguentemente, di assumere le necessarie iniziative per modificare la norma di cui in premessa affinché la garanzia di tutela dei lavoratori attraverso una valutazione dei rischi presenti nelle varie attività non si traduca per i datori di lavoro in formalismi costosi che inducono i nostri imprenditori, già esasperati per la troppa burocrazia e pressati dall'elevato costo del lavoro, a chiudere battenti, ritenendo peraltro che il documento di valutazione dei rischi come previsto dalle recenti modifiche di legge non serva nella sostanza ad assicurare una concreta sicurezza per i lavoratori. (5-00221)

Interrogazione a risposta scritta:


   CURRÒ, VILLAROSA, D'UVA, CANCELLERI, CIPRINI, BALDASSARRE, TRIPIEDI, ROSTELLATO, COMINARDI, BECHIS, RIZZETTO e LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto ministeriale 5 ottobre 2012, di attuazione dell'articolo 24 comma 27 del decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetto «Salva Italia»), sono stati introdotti alcuni interessanti incentivi a favore dei datori di lavoro che decidono di stabilizzare i propri dipendenti o di assumerne di nuovi con rapporti caratterizzati da stabilità;
   il suddetto decreto è entrato in vigore con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 2012;
   l'Inps, cui è demandata la gestione dell'operazione incentivi, con la circolare n. 122, è intervenuta per dettare le prime istruzioni operative per gli operatori del settore, stabilendo che gli incentivi debbano essere corrisposti in base all'ordine cronologico di presentazione delle domande da parte dei datori di lavoro, e a cui l'istituto dovrà attribuire un numero di protocollo informatico, a seguito del quale inizieranno ad essere erogati ai medesimi datori di lavoro, decorsi 6 mesi dalle trasformazioni o stabilizzazioni e in un'unica soluzione, i suddetti fondi, ovvero dalle assunzioni a tempo determinato, ed entro i limiti dei fondi stanziati;
   ad oggi, a causa di problemi di natura amministrativo-gestionale, i datori che hanno presentato idonee istanze di adesione presso l'inps di riferimento, non hanno avuto alcun tipo di risposta;
   ad avviso degli interroganti, appare necessario che le dette procedure vengano sollecitate al fine di disporre l'immediato esame delle pratiche inviate e pervenire al più presto alla reale attuazione del decreto ministeriale sopra citato –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative rapide e solerti rispetto all'ente gestore (Inps) per far in modo che codeste pratiche vengano evase il prima possibile si da consentire un necessario e tempestivo aiuto per quelle ditte, che rispettando i requisiti della norma, hanno presentato le domande di stabilizzazione di giovani fino a 29 anni e donne mediante contratti a tempo indeterminato. (4-00652)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   PILI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto 11 marzo 2013 ha disposto la ripartizione della quota complessiva di cattura del tonno rosso per la campagna di pesca 2013. (Gazzetta Ufficiale n. 97 del 26 aprile 2013);
   nel 2013 la quota di tonno rosso sarà pari a 1.950,42 tonnellate, 162 tonnellate in più rispetto alla campagna di pesca 2012;
   alla pesca sportiva (ricreativa) sono assegnate 40 tonnellate, corrispondenti al 2,051 per cento della quota nazionale con un aumento di 5 tonnellate rispetto alle 35 dello scorso anno;
   l'incremento dipende dalla decisione della ICCAT ( Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell'Atlantico), di aumentare la quota globale di pesca a 13.400 tonnellate annue e dal fatto che nella Unione europea l'Italia ha finito di scontare tagli di quote degli anni precedenti;
   con il decreto si è proceduto ad una ripartizione del totale ammissibile di cattura (TAC) attribuito all'Italia con il predetto regolamento (UE) n. 40/2013, tra i diversi sistemi di pesca autorizzati, tenendo conto del numero di unità autorizzate per ciascuno di essi al fine di conseguire e mantenere adeguati livelli di sostenibilità economica e di redditività;
   alla base del decreto sarebbe stata posta, secondo quanto riporta il dispositivo, l'opportunità di valorizzare la continuità dell'esercizio dell'attività di pesca del tonno rosso, in quanto strettamente connesso al principio di tradizionalità alla base del sistema di contingentamento;
   il decreto richiama l'urgenza di provvedere alla ripartizione del contingente complessivo assegnato all'Italia tra diversi sistemi di pesca stanti le scadenze fissate dalla normativa comunitaria e la necessità di consentire il formale avvio della campagna 2013;
   il decreto dispone che il contingente complessivo, pari a 1.950,42 tonnellate, assegnato dall'Unione europea all'Italia, per la campagna di pesca 2013, sia ripartito tra i sistemi di pesca come segue:
  SISTEMA per cento Tonnellate
  circuizione (PS) 74,406 1.451,23;
  palangaro (LL) 13,587 265,00;
  tonnara fissa (TRAP) 8,460 165,00;
  pesca sportiva (SPOR) 2,051 40,00;
  quota non divisa (UNCL) 1,496 29,19;
   le nuove disposizioni applicative per la campagna di pesca del tonno rosso per l'anno 2013 sono l'ennesimo provvedimento calato dall'alto che rischia di penalizzare sempre di più la categoria dei pescatori sardi, già messa a dura prova da una crisi senza precedenti;
   viene reiterato un continuo aumento dei costi di produzione e una serie di altre incombenze burocratiche come quelle previste dal regolamento controlli che tratta la piccola pesca artigianale in maniera uguale alla grande pesca oceanica dei mari del nord;
   la rilevanza della pesca per l'economia della Sardegna e le difficoltà che sta affrontando questo settore meritano un'attenzione eccezionale;
   risulta gravissimo il fatto che delle 1.950 tonnellate di quota assegnata a livello nazionale, la Sardegna non abbia, allo stato attuale, alcuna quota per la cattura del tonno, a parte quella esigua in capo alle tonnare fisse;
   l'unica possibilità per i pescatori sardi era quella di effettuare le catture accessorie sulla base di una quota non divisa a livello nazionale;
   in base alle nuove direttive questo diventa praticamente impossibile e sta creando, aggiunto a tutte le altre problematiche, una forte tensione sociale che potrebbe sfociare in azioni eclatanti;
   si tratta di una situazione divenuta ormai insostenibile che spinge verso l'esasperazione e l'illegalità l'intera categoria;
   le organizzazioni di categoria AGCI AGRITAL Sardegna, l'Associazione ARMATORI Sardegna CONFCOOPERATIVE FEDERCOOPESCA e Lega Pesca Sardegna hanno sollecitato iniziative opportune nei confronti del Governo italiano affinché possano essere trovate soluzioni al grave problema –:
   se non ritenga il Ministro di dover intervenire con urgenza al fine di porre fine a questa gravissima discriminazione della pesca sarda e dei suoi operatori;
   se non ritenga di dover urgentemente audire i rappresentanti delle categorie al fine di definire gli atti necessari per ripristinare una equa ripartizione anche in considerazione delle quote aggiuntive;
   se non ritenga di dover provvedere a distinguere la piccola pesca artigianale dalla grande pesca oceanica dei mari del nord. (4-00656)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MIOTTO, AMATO, BURTONE e MURER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   recenti fatti giudiziari, noti attraverso la stampa, hanno riguardato due tecnici sanitari di radiologia medica (TSRM) rinviati a giudizio perché presso la casa della salute di Marlia, presidio territoriale dell'azienda USL 2 di Lucca, su prescrizione medica e previa prenotazione CUP avrebbero effettuato i indagini radiologiche convenzionali del torace, dell'apparato osteo-articolare e ortopantomografiche. Presso la casa della salute non era prevista la presenza fisica del medico radiologo ma le immagini venivano refertate a distanza presso la radiologia dell'ospedale di Lucca, grazie alle tecnologie informatiche acquisite a seguito di ingenti investimenti economici regionali (sistemi RIS e PACS);
   in attesa che l'autorità giudiziaria prosegua nel lavoro di indagine e pervenga a sentenza, la federazione nazionale dei tecnici di radiologia ha espresso grande preoccupazione per le ricadute negative che il «caso Marlia» sta già creando all'intero sistema sanitario nazionale, tenuto conto della crescita di domanda di assistenza sanitaria, della progressiva riduzione delle risorse a disposizione e della diffusione di modelli organizzativi che si fondano sulla telemedicina: si corre il fondato rischio di bloccare il sistema sanitario;
   a seguito della vicenda sul «caso Marlia» è sorta una importante discussione che ha visto interventi pubblici delle società professionali dei medici specialisti in radiologia e dei tecnici di radiologia che non ha diradato le incertezze su presunte o possibili aree di abuso di professione;
   il decreto legislativo n. 187 del 2000 che ha recepito «la direttiva 97/43/EURATOM in materia di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni mediche» appare in parte contrastante con la normativa italiana di abilitazione alla professione prevista dalla legge n. 42 del 1999 e quindi si rende necessario un chiarimento anche allo scopo di evitare pericolosi conflitti ed incertezze applicative –:
   se sia al corrente della vicenda descritta e quali iniziative intenda assumere al fine di porre fine alle difformità esistenti fra normativa italiana e quella derivante dal recepimento della direttiva europea;
   quali iniziative intenda assumere nelle more degli interventi derivanti dal punto precedente. (5-00212)


   SBROLLINI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari del Ministero della salute (Agenas) ha diffuso i dati raccolti nel 2012: nel territorio vicentino, in alcuni settori, emerge un quadro preoccupante. Le strutture di Vicenza e di Bassano del Grappa appaiono inferiori alla media nazionale sulla cura delle patologie cardiache;
   all'ospedale San Bortolo di Vicenza si registrano i seguenti dati: per infarto del miocardio, decessi 13,28 per cento, ricoverati 500, media nazionale 10,95 per cento; per infarto del miocardio senza angioplastica, decessi 22,84 per cento, ricoverati 214, media nazionale 18,18 per cento; per infarto del miocardio con Ptca, decessi 7,53 per cento, ricoverati 197, media nazionale 4,81 per cento; Ptca eseguita ad oltre 48 ore dal ricovero, decessi 1,2 per cento, ricoverati 92, media nazionale 2,58 per cento; by-pass cardiaco, decessi 1,4 per cento, ricoverati 183, media nazionale 2,78 per cento; per scompenso cardiaco, decessi 14,06 per cento, ricoverati 544, media nazionale 8,79 per cento;
   all'ospedale San Bassiano di Bassano del Grappa si registrano i seguenti dati: per infarto del miocardio, decessi 18,5 per cento, ricoverati 274, media nazionale 10,95 per cento; per infarto del miocardio senza angioplastica, decessi 33,28 per cento, ricoverati 106, media nazionale 18,18 per cento; per infarto del miocardio con Ptca, decessi 9,14 per cento, ricoverati 120, media nazionale 4,81 per cento, per scompenso cardiaco, decessi 11,04 per cento, ricoverati 463, media nazionale 8,79 per cento; mortalità dopo 12 mesi per infarto del miocardio, decessi 11,84 per cento, ricoverati 222, media nazionale 10,76 per cento;
   appare altamente probabile una correlazione tra gli alti tassi di mortalità da patologie cardiache e la preoccupante situazione socio-ambientale del territorio vicentino, caratterizzato da inquinamento e un'organizzazione stressante del lavoro. Tale correlazione è causata in particolare da un modello di sviluppo da riconsiderare;
   lo stress legato al lavoro rappresenta la seconda malattia professionale più diffusa in Europa, dove ne è affetto un lavoratore su quattro; le donne risultano essere più colpite;
   lo stress legato all'attività lavorativa può essere provocato da fattori psico-sociali, quali la progettazione, l'organizzazione e la gestione del lavoro, nonché da problemi come le vessazioni e la violenza sul lavoro, ma anche da fattori fisici come la rumorosità e la temperatura;
   i costi umani sono rilevanti: si stima che le malattie cardiovascolari nell'Unione europea siano dovute, per il 16 per cento negli uomini e per il 22 per cento nelle donne, allo stress legato all'attività lavorativa. Anche i costi economici sono ingenti: dal 50 per cento al 60 per cento dell'assenteismo, ad esempio, è riconducibile allo stress nell'ambiente di lavoro. Associato ai costi sanitari connessi, il conto annuale complessivo per l'Unione europea è stimato pari a circa 20 miliardi di euro, senza considerare la perdita di produttività;
   l'aumento dell'insicurezza del posto di lavoro risulta essere un ulteriore elemento di stress;
   l'attuale quadro normativo di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, costituito dal decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modifiche ed integrazioni, oltre ad aver specificamente individuato lo «stress lavoro-correlato» come uno dei rischi oggetto sia di valutazione, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004, puntualmente richiamato dal decreto stesso, sia di una conseguente adeguata tutela, ha altresì demandato alla commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza del lavoro, il compito di «elaborare le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato»;
   nel 2010 la commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ha approvato le indicazioni necessarie per la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato. In tal modo viene fornito ai datori di lavoro pubblici e privati, agli operatori e ai lavoratori uno strumento di indirizzo ai fini della corretta attuazione delle previsioni di legge in materia di valutazione del rischio, con riferimento alla peculiare e innovativa tematica del rischio da stress correlato al lavoro –:
   se e come i Ministri interrogati intendano intervenire per proteggere la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, sensibilizzando l'opinione pubblica e sollecitando le aziende ad effettuare monitoraggi e a prendere eventuali provvedimenti, come modifiche nelle pratiche di lavoro e/o l'organizzazione di incontri con uno psicologo. (5-00216)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 7 maggio 2013 si sarebbe verificato in Sardegna un caso di morte per malattia di Creutzfeldt-Jakob;
   il morbo sarebbe stato diagnosticato dai sanitari della ASL n. 3 di Nuoro, presso la cui U.O. di neurologia dell'ospedale San Francesco il paziente sarebbe stato ricoverato più volte prima del decesso;
   detta malattia e le sindromi ad essa correlate sono riconosciute quali malattie infettive e diffusive «di classe 1», e, come tali, soggette all'adozione delle peculiari misure di sanità pubblica previste dalla vigente normativa nazionale ed europea;
   il triste episodio riporta di drammatica attualità il problema della protezione della salute dei cittadini e della sicurezza alimentare –:
   se il Ministero della salute sia stato informato del caso;
   se risulti che la competente azienda sanitaria locale n. 3 di Nuoro abbia attivato tutte le specifiche procedure previste dal decreto ministeriale 21 dicembre 2001 ai fini dell'accertamento e della sorveglianza della malattia di Creutzfeldt-Jakob;
   quali misure di sanità pubblica il Ministro interrogato abbia adottato o intenda adottare o promuovere per evitare l'insorgere di ogni possibile pericolo per la salute collettiva. (4-00645)


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia, al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. — Per sapere – premesso che:
   a Napoli, in assenza dell'ultimo ginecologo non obiettore del policlinico Federico II, è stato impossibile praticare l'interruzione di gravidanza per due settimane. A Bari, durante le settimane di ferie dell'unico medico non obiettore è stata sospesa la somministrazione della RU486 e disattivato il numero verde per le informazioni e la prenotazione di visite. Accade a Roma, a Napoli, a Bari, Milano, a Palermo. È quanto emerge da recenti articoli di stampa. Sono le cronache dagli ospedali di tutta Italia, cronache che suggeriscono una chiara e inaccettabile violazione della legge n. 194 del 1978;
   secondo i dati del Ministero della salute i ginecologi non obiettori sono passati dal 58,7 per cento nel 2005 al 70,5 per cento nel 2007 e arrivano al 70,7 per cento nel 2009, superando l'80 per cento nel 2012 (nel Lazio, ad esempio, sono obiettori di coscienza il 91,3 per cento, dei ginecologi ospedalieri);
   questo fenomeno deve preoccuparci perché il ricorso all'aborto clandestino, e tutte le conseguenze che ne comporta, è in forte aumento;
   le giovani ragazze che vengono respinte dagli ospedali spesso scelgono di abortire da sole: talvolta utilizzano un farmaco per l'ulcera, che può provocare emorragie per settimane, altre volte tentano metodi fai da te;
   è il caso di Alem, 17 anni, nata in Italia da genitori egiziani, brava e brillante a scuola, ricoverata a Verona per un aborto provocato con un uncino «Non volevo che i miei genitori si accorgessero che ero incinta» dichiara ai giornali;
   qualcuna si salva qualcuna no, come quella donna nigeriana che arrivò «con una gravissima infezione e dopo poco tempo è morta in ospedale di setticemia»;
   il mercato nero delle pillole abortive (compreso il farmaco per l'ulcera) è sempre più vasto e le giovani donne, spesso immigrate, abortiscono da sole, nel bagno di casa, perché la legge non viene applicata, perché la lista d'attesa negli ospedali è troppo lunga, e i consultori sono sempre di meno (dal 2007 al 2010 ne sono stati tagliati quasi 300);
   a questo vanno sommati gli ambulatori clandestini, che praticano l'interruzione di gravidanza, e che diventano per le minorenni o le immigrate, senza permesso di soggiorno, l'unica via di soluzione;
   in parallelo si sta sviluppando il fenomeno degli gli aborti d'oro, quelli dei ceti elevati, che si svolgono con sicurezza negli studi medici, oppure all'estero. Siamo di fronte al business degli aborti privati, gli stessi medici che al mattino rifiutano di prescrivere la pillola del giorno dopo, oppure la RU486, oppure di praticare l'interruzione di gravidanza, la effettuano nel proprio studio privato al pomeriggio per un giro d'affari senza paragoni;
   gli aborti illegali calcolati dal Ministero della salute sono circa ventimila, probabilmente 40-50 mila quelli reali e che l'Istat stima settantacinquemila aborti spontanei nel 2011 dichiarati di cui un terzo di questi frutto probabilmente di metodi fai da te non andati a buon fine;
   il fenomeno delle pillole di contrabbando nonché degli ambulatori clandestini è in forte aumento;
   il nostro Paese è già stato citato in due reclami dinanzi al Comitato economico e sociale: IPPF EN v. Italy, 87/2012, riguardo la mancata previsione di misure che garantiscano la presenza di personale non obiettore nelle strutture pubbliche, e il reclamo 91/2013, che denuncia il mobbing subìto dai medici non obiettori;
   la libertà di esercitare l'obiezione di coscienza non deve ledere la libertà della donna di vedersi garantito un diritto previsto dalla legge del 22 maggio 1978, n. 194 –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, di quali informazioni dispongano i Ministri e il Governo in merito e quali misure intendano adottare per ripristinare una corretta applicazione delle norme contenute nella legge n. 194;
   se il Ministro della salute ritenga opportuno assumere iniziative dirette a procedere ad un riequilibrio dei medici obiettori e non in servizio nelle strutture pubbliche;
   se il Ministro della salute ritenga opportuno assumere iniziative normative che prevedano per le strutture sanitarie l'obbligo di bandire concorsi riservati a medici non obiettori per la gestione dei servizi di interruzione volontaria di gravidanza. (4-00657)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   PALAZZOTTO, FERRARA e MIGLIORE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Fincantieri – Cantieri navali italiani spa è uno dei più importanti complessi cantieristici navali d'Europa e del mondo. Azienda pubblica italiana, già di proprietà dell'IRI, è oggi controllata da Fintecna, società finanziaria controllata al 100 per cento da Cassa depositi e prestiti, la quale è a sua volta controllata con una partecipazione del 70 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, il restante 30 per cento è posseduto da un nutrito gruppo di Fondazioni di origine bancaria; alla direzione mercantile di Trieste fanno capo i cantieri di Monfalcone (GO), Marghera (VE) e Sestri Ponente (Genova, GE) per le navi da crociera e Ancona (AN), Palermo (PA) e Castellammare di Stabia (NA) per le navi da trasporto. Alla direzione navi militari di Genova fanno capo i cantieri di Muggiano (La Spezia) e Riva Trigoso, frazione di Sestri Levante (Genova) per le navi militari. All'interno del cantiere di Muggiano ha poi sede la terza direzione di business, di recente costituzione, dedicata ai Mega Yacht;
   nell'ultimo bilancio disponibile on line sul sito internet dell'azienda, quello del 2011, Fincantieri conta 9.994 dipendenti di cui 8.367 in Italia;
   il cantiere navale di Palermo è il più grande complesso cantieristico del Mediterraneo per la trasformazione e le riparazioni navali, in grado di progettare e costruire tutti i tipi di navi per il trasporto di merci e passeggeri;
   il cantiere dispone di due bacini di carenaggio in muratura e due bacini di carenaggio galleggianti e di officina meccanica e di carpenteria leggera e pesante attrezzate per la prefabbricazione, impianto di sabbiatura, officina tubi, officina elettrica;
   lo stabilimento palermitano opera su tre linee produttive: riparazione, trasformazione e costruzione navale e che il mantenimento delle 3 linee di attività, senza le quali non si possono saturare gli attuali organici, è fondamentale per la salvaguardia e il rilancio dello stesso stabilimento;
   il cantiere navale di Palermo è, per le caratteristiche sopra descritte e per le professionalità acquisite un patrimonio essenziale per il rilancio della cantieristica in Italia ed in particolare per il gruppo Fincantieri Spa;
   il protocollo d'intesa siglato tra regione Sicilia (assessorato attività produttive), il comune di Palermo, l'autorità portuale di Palermo, Fincantieri e Fintecna del 7 giugno 2010 prevedeva:
    a) la ristrutturazione dei bacini galleggianti da 52 mila tonnellate e da 19 mila tonnellate attraverso un investimento di 50.627.926,00 euro interamente a carico della regione Sicilia quale proprietario;
    b) il completamento del nuovo bacino in muratura da 150 mila tonnellate di portata lorda da realizzarsi attraverso un investimento di 81 milioni di euro circa dei quali una quota con fondi decreto-legge n. 166 del 2002, articolo 36, decreto ministeriale n. 3538 ed il saldo con fondi della regione Sicilia attraverso la formula del co-finanziamento;
    c) l'impegno dell'autorità portuale all'ultimazione dei lavori propedeutici all'avvio della realizzazione del bacino da 150 mila tonnellate di portata lorda utilizzando le risorse di 26 milioni di euro già nella disponibilità dell'autorità medesima;
    d) l'impegno della Fincantieri, a consegna delle opere del nuovo bacino da 150 mila tonnellate di portata lorda a garantire il finanziamento delle opere complementari allo stesso fino ad ima concorrenza di 15 milioni di euro;
    e) l'impegno del comune di Palermo e di Fintecna Immobiliare in qualità di proprietaria delle aree interessate a non destinare le stesse ad altra attività ad eccetto di quella caratteristica navale con particolare riferimento ad insediamenti di tipo turistico alberghieri previsti nel progetto del PRUSST già presentato all'amministrazione comunale nel 2007;
   i suddetti lavori propedeutici all'avvio della realizzazione del bacino da 150 mila tonnellate di portata lorda previsti nel protocollo del 2010 sono già stati appaltati dall'autorità portuale con inizio dei lavori previsto per il prossimo settembre risulterebbero del tutto inutili senza il finanziamento dell'intera opera;
   sono emerse alcune notizie, diffuse nei giorni scorsi a mezzo stampa, riguardanti la costruzione di un polo nautico a Termini Imerese, avanzata al governo regionale siciliano da parte di alcuni esponenti politici e imprenditori termitani, che prevedrebbe un investimento pubblico di circa 25 milioni di euro che potrebbero essere recuperati dagli stanziamenti in favore del cantiere navale; il progetto presentato da Fintecna spa nell'ambito dei PRUSST del comune di Palermo in approvazione a partire dal 29 maggio 2013 del 20 novembre 2006 e successive integrazioni del 16 dicembre 2007 riguardante l'utilizzo della aree della ex Manifattura Tabacchi e di porzione di cantiere navale attualmente in comodato d'uso gratuito a Fincantieri prevede il riuso funzionale dell'esistenti strutture e la riorganizzazione urbanistica delle aree limitrofe occupate attualmente da un campo di calcio, dall'edificio mensa e dall'edificio residenziale su via dei Cantieri. Tale progetto prevede inoltre la realizzazione di un centro polifunzionale costituito da un centro commerciale, sale per congressi, piccoli esercizi commerciali, sale per ristorazione ed intrattenimenti, uffici, sale espositive, un cinema multisala. A tale complesso verranno affiancate nuove strutture ricettive, un albergo che si affaccia sullo stabilimento, edilizia residenziale, servizi per il quartiere, nuova viabilità e parcheggi;
   tale progetto risulta interamente finanziato da privati per 52.850.000,00 euro; ad oggi lavorano presso il cantiere navale di Palermo 490 unità a cui vanno sommate le circa 1.500 unità relative all'indotto, che adesso sul totale dei lavoratori sono circa 130 gli operai inseriti nella cassa integrazione a rotazione che scadrà a settembre e che se non vi saranno nuove commesse entro luglio il carico di lavoro sarà pari a zero e la cassa integrazione riguarderà a quel punto circa 470 unità;
   il contesto economico e sociale di Palermo è attraversato da una crisi occupazionale senza precedenti e che un disinvestimento di Fincantieri sullo stabilimento di Palermo tale da determinarne la chiusura rappresenterebbe un colpo mortale per l'intero tessuto economico e produttivo palermitano già gravato dalla chiusura della FIAT di Termini Imerese e dal fallimento delle società municipalizzate GESIP e AMIA che complessivamente impiegano circa 5.000 lavoratori –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se intenda, per quanto di sua competenza, intervenire presso Fintecna per bloccare immediatamente il progetto denominato «Riqualificazione ex Manifattura Tabacchi»;
   se il Governo intenda acquisire ulteriori elementi sulla fondatezza o meno della proposta avanzata per la costruzione di un nuovo polo nautico a Termini Imerese che gli interroganti ritengono inutile in considerazione della presenza del cantiere navale di Palermo; se tale situazione possa creare le condizioni per la chiusura del Cantiere Navale di Palermo e se sia a conoscenza di eventuali intenzioni in tal senso da parte di Fincantieri tali da giustificare l'investimento di Fintecna spa sul progetto in ambito PRUSST denominato «Riqualificazione ex Manifattura Tabacchi»;
   se il Governo intenda intervenire per sbloccare la vicenda della realizzazione dei lavori di rifacimento dei due baciai di carenaggio di Palermo e del completamento del bacino da 150 mila tonnellate di portata lorda chiedendo a Fincantieri quali siano le sue responsabilità nella situazione di stallo che si è creata, stallo che si sta ripercuotendo sul rilancio delle attività dello stabilimento e sulla possibilità di utilizzare, a questo fine, le risorse già da tempo stanziate dalla regione Sicilia;
   se il Governo non ritenga urgente acquisire da Fincantieri i piani per le commesse da affidare al cantiere navale di Palermo almeno per i prossimi 12-18 mesi, visto l'allarme lanciato dalle organizzazioni sindacali, secondo le quali se non vi saranno altre commesse, da settembre si rischia la cassa integrazione per 470 su 490 lavoratori;
   quali iniziative il Governo intenda assumere affinché vengano acquisite nuove commesse sul mercato mondiale per tutte le tipologie di costruzioni navali, onde scongiurare il rischio che importanti ordinativi finiscano all'estero;
   se il Governo intenda intervenire a sostegno della ricerca per la produzione di nuovi prodotti, con particolare riferimento alla tecnologia off-shore che rappresenta un mercato in espansione per la cantieristica italiana. (4-00646)

Apposizione di firme ad una mozione
e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Speranza n. 1-00039, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Valeria Valente, Mongiello, Giacomelli, Grassi, Martella, Velo, De Maria, Fregolent, Garavini, Rosato, Roberta Agostini, Amoddio, Bazoli, Biffoni, Bonaccorsi, Bonafè, Braga, Campana, Carnevali, Cimbro, Ermini, Ferranti, Greco, Gribaudo, Gullo, Malpezzi, Magorno, Marroni, Mogherini, Moretti, Mosca, Nardella, Orfini, Piccoli Nardelli, Picierno, Scalfarotto, Tartaglione, Vazio, Verini, Villecco Calipari e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Speranza, De Micheli, Giacomelli, Grassi, Martella, Velo, Bellanova, De Maria, Fregolent, Garavini, Pollastrini, Rosato, Mauri, Roberta Agostini, Amoddio, Antezza, Arlotti, Bazoli, Biffoni, Biondelli, Bonaccorsi, Bonafè, Braga, Paola Bragantini, Brandolin, Campana, Carnevali, Cimbro, Cuperlo, Ermini, Ferranti, Gasparini, Giuliani, Greco, Gribaudo, Gullo, Ghizzoni, Lenzi, Leonori, Madia, Malpezzi, Manfredi, Magorno, Marroni, Marzano, Mazzoli, Miotto, Mogherini, Mongiello, Montroni, Moretti, Mosca, Murer, Nardella, Orfini, Paris, Pes, Petitti, Giorgio Piccolo, Piccoli Nardelli, Picierno, Giuditta Pini, Quartapelle Procopio, Raciti, Rossomando, Sbrollini, Scalfarotto, Scuvera, Sereni, Tartaglione, Tidei, Valeria Valente, Vazio, Verini, Villecco Calipari, Zappulla».

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Airaudo e altri n. 1-00048, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Agostinelli, Alberti, Artini, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cancelleri, Cariello, Catalano, Cecconi, Chimienti, Ci- prini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Currò, Da Villa, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Di Vita, Manlio Di Stefano, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fraccaro, Frusone, Furnari, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, Labriola, Liuzzi, Lorefice, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Spadoni, Spessotto, Tacconi, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi.

  La mozione Bobba e altri n. 1-00058, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Coscia.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Gnecchi n. 5-00109, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Lenzi, Paris, Gribaudo, Maestri, Incerti, Albanella, Cinzia Maria Fontana.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Binetti n. 1-00036, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 15 del 14 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    non è certo la prima volta che l'Italia si trova a dover affrontare momenti alquanto critici: si sono già verificate pesanti crisi economiche, unitamente a fasi di estrema incertezza politica che hanno dilaniato il Paese; tutti concordano, però, nel dire che in passato una delle forze – anzi, forse la principale – su cui gli italiani hanno sempre potuto contare per ricostruire una società migliore è stata la famiglia, un'istituzione coesa in cui la solidarietà interna ha attutito e contrastato la durezza delle condizioni esterne;
    oggi la violenza crescente al suo interno segnala che questa forza non è più così compatta e non è più in grado di sostenere il peso delle sconfitte individuali e degli smottamenti sociali; la crisi familiare, tuttavia, viene occultata e lo si vede nei sempre più frequenti casi di femminicidio che, purtroppo, funestano le pagine dei giornali;
    negli ultimi anni, in diversi consessi internazionali, lo Stato italiano è stato fortemente redarguito dalle Nazioni Unite per il suo scarso e inefficace impegno nel contrastare la violenza maschile nei confronti delle donne; le osservazioni all'Italia di Rashida Manjoo, special rapporteur delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, sono pesanti: «In Italia resta un problema grave, risolverlo è un obbligo internazionale. Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita. In Italia, sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l'adozione di leggi e politiche, incluso il piano di azione nazionale contro la violenza, ma non hanno però portato a una diminuzione di femmicidi e non si sono tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine». E successivamente ha aggiunto: «Le leggi per proteggere le vittime ci sarebbero. Non sono, però, sufficienti. Dipendenza economica, inchieste malfatte, un sistema d'istituzioni e regole frammentato, lungaggine dei processi e inadeguata punizione dei colpevoli le rendono poco efficaci»;
    nell'agosto del 2011, il Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne (Comitato per l'attuazione della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna) e, nel giugno 2012, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, hanno rivolto allo Stato italiano una serie di raccomandazioni: ad oggi, si è ancora del tutto inottemperanti rispetto agli standard e agli impegni internazionali;
    rappresentano cifre da brivido quelle del femminicidio in Italia (il Paese è ai primi posti nel mondo, calcolando che viene uccisa una donna ogni tre giorni): in otto anni sono state più di novecento le vittime nel nostro Paese, ma la cosa più grave è che il 70 per cento di quelle uccise nel 2012 aveva denunciato il proprio assassino per stalking, maltrattamenti e abusi;
    quello che emerge e che fa più orrore, sia a leggere le statistiche che i casi di cronaca nera, è che il maggior numero di violenze sessuali è messo in atto da un uomo che la donna conosce; di solito, infatti, i responsabili di questi reati (consumati nel 63 per cento dei casi tra le mura domestiche) sono coloro che dichiarano di «amare» le loro donne: mariti lasciati, fidanzati traditi o che non accettano la fine di una storia. E tutto ciò, indipendentemente da alcune caratteristiche della donna, quali l'età, la nazionalità, lo status sociale, il carattere, l'istruzione e l'occupazione;
    nello specifico, sono 124 le donne uccise nel 2012 (nel 2013 già circa una quarantina), in leggero calo rispetto alle 129 del 2011. Ma ci si trova davanti ad un dato altrettanto preoccupante, se si considerano i 47 tentati femminicidi e le otto vittime, tra figli e altre persone;
    questo è quanto risulta dal rapporto sul femminicidio in Italia nel 2012 della Casa delle donne di Bologna che, dal 2005, raccoglie dati sul fenomeno sempre più allarmante e, quindi, meritevole di immediata attenzione da parte della politica;
    le regioni del Nord restano quelle in cui i delitti sono più frequenti (52 per cento), nonostante le donne vivano situazioni di maggior autonomia e indipendenza: evidentemente sono meno propense ad accettare di subire violenza e disparità di potere nella relazione e, forse, per questo sono anche maggiormente a rischio di finire vittime della violenza maschile;
    il rapporto sottolinea l'unico dato positivo, ovvero una maggiore attenzione della stampa nella descrizione dei femminicidi, tralasciando, a volte, la solita etichetta «omicidio passionale» che ingenera confusione e non descrive adeguatamente la situazione; finalmente, i giornalisti focalizzano la propria attenzione sui maltrattamenti e le denunce che hanno preceduto il delitto, escludendo il cosiddetto «raptus»: il femminicidio, infatti, raramente è frutto di un accesso d'ira incontrollata, ma costituisce soltanto l'ultimo scalino di una lunga escalation;
    se fino al 2011, in quasi il 90 per cento dei casi riportati dalla cronaca, tale informazione non era reperibile, oggi si apprende frequentemente dai mezzi di informazione che il 40 per cento delle donne uccise nel 2012 aveva già subito violenza da parte del partner o dell'ex compagno che poi l'ha uccisa: è questo un dato importante che dimostra come la consapevolezza dei media sul legame profondo tra violenza di genere e femminicidio, in questi anni, è cresciuta e si è consolidata;
    il femminicidio è sempre preceduto da altre forme di violenza sul corpo, la mente, l'emotività e gli affetti di una donna. Comincia con una forma di potere e controllo che si esprime attraverso atti o minacce di sopruso fisico, psicologico, sessuale, economico o persecutorio contro le donne in quanto donne, per mantenerle in una condizione di inferiorità nei rapporti privati (la coppia, la famiglia) e pubblici (il lavoro, la scuola, la collettività). Ognuno di questi abusi costituisce una forma di violenza che va tenuta sotto controllo, a prescindere dal fatto che sia punito dalla legge come reato e/o che sia accettato e considerato «normale» nella società di appartenenza;
    la prevenzione di questi delitti è necessaria e praticabile e richiede una tipologia di interventi diversificati a seconda della situazione concreta in cui vive la donna: dalla sua autonomia economica alla presenza o meno di figli, dalla sua capacità di reagire con energia alla sua tendenza, invece, a subire passivamente le situazioni; la prevenzione si può realizzare offrendo una protezione sempre maggiore e sempre più qualificata alle donne che vivono situazioni di violenza, prima che giunga a conseguenze irreparabili;
    fondamentale importanza assume la formazione di tutti i soggetti che lavorano nei vari settori con le vittime di violenza e i minori: l'assenza di un'adeguata specializzazione rappresenta un fattore di rischio per l'incolumità psicofisica delle donne che si rivolgono alle autorità ed ai servizi territoriali per chiedere aiuto, e può determinare prassi deleterie e percezioni soggettive che sminuiscono e giustificano gli abusi, determinando una condizione di vittimizzazione secondaria ed aumentando il pericolo di ulteriori violenze;
    infine, si deve porre fine all'umiliazione ed alla frustrazione delle donne che, in sede civile, combattono per il riconoscimento dei propri diritti e di quelli dei propri figli, vagando da una sede all'altra a seconda delle diverse competenze territoriali dei diversi giudici;
    secondo l’Helsinki foundation for human rights serve un'attività di osservazione condotta per un periodo prolungato di tempo, in maniera costante o intermittente (Helsinki foundation for human rights, 2001). Secondo il report della Human rights monitoring and documentation series, serve l'attenta osservazione della situazione generale condotta in modo tale da determinare quali azioni future andranno intraprese,

impegna il Governo:

   a monitorare con rinnovata sensibilità e lucidità la violenza alle donne, considerandola come un fenomeno e un'azione sociale molto complessa che va contro i diritti umani di tutti;
   ad attuare politiche di supporto alla famiglia per contrastare i livelli di povertà e di disagio che spesso hanno, nella donna, la prima e principale vittima di un sistema sociale, in cui la disoccupazione può generare frustrazione e degrado;
   a sostenere l'inserimento professionale delle donne e la loro autonomia economica, in modo che possano interrompere prontamente rapporti caratterizzati da aggressività e da violenza domestica, senza dover temere per la loro successiva autonomia;
   a rispettare ed attuare le osservazioni conclusive 2011 del Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne, nonché le raccomandazioni della relatrice speciale delle Nazioni Unite contro la violenza sulle donne;
   a riconoscere i centri anti violenza come nodi strategici di ogni politica e come parte integrante dei servizi da offrire sul territorio per accogliere donne vittime di violenza e, nel caso, i loro figli e, per questo, a garantire che siano affidati a personale altamente specializzato, oltre ai volontari;
   a destinare alle sopracitate strutture maggiori risorse, attraverso finanziamenti regolari e continuati nel tempo, proprio per creare una rete di interventi sistematici che possano aiutare le donne nella fase acuta del distacco dall'aggressore e, successivamente, accompagnarle in un itinerario di progressiva riconquista della propria autonomia, anche sul piano psicologico;
   a rafforzare le reti di contrasto al fenomeno tra istituzioni e privato sociale qualificato, potenziando la capacità di ascolto e di pronto intervento, in modo da non lasciare le donne sole o in balia della potenziale violenza dell'uomo;
   a promuovere una forte campagna di prevenzione e di sensibilizzazione culturale, debitamente pubblicizzata, che segnali fino a che punto la violenza è una piaga della società italiana e un fattore concreto di disgregazione familiare e sociale;
   a favorire una corretta formazione di operatori sanitari, sociali, del diritto e dell'informazione, soprattutto per imparare a gestire i primi contatti con la vittima e aiutarla a raccontare in modo esaustivo ciò che le accade, perché troppo spesso appare impaurita, prigioniera di uno strano senso di protezione nei confronti del suo aguzzino e, quindi, reticente;
   ad assumere iniziative normative per un severo inasprimento delle pene previste per lo stalking e l'inserimento nel codice penale dell'aggravante del «femminicidio», unitamente ad una maggiore tempestività tra la denuncia del caso e la tutela del soggetto;
   ad assumere iniziative per evitare, in ogni modo, che chi ha ricevuto una denuncia per stalking possa disporre di un'arma, prevedendo in tali casi la revoca delle relative licenze;
   ad assumere iniziative per prevedere, negli uffici giudiziari, sezioni specializzate in questo specifico campo, in modo che le donne possano superare la paura e divenire consapevoli che sconfiggere e sopravvivere alla violenza è possibile, aiutando a trasformare velocemente in denuncia anche gli sfoghi o le confidenze addolorate delle donne che giungono in questura accompagnate da amici o familiari, ma che poi non sanno porre un punto fermo e decisivo alla loro condizione.
(1-00036)
(Nuova formulazione) «Binetti, Dellai, Buttiglione, Cesa, Gigli, Gitti, Adornato, Cera, Balduzzi, Capua, Caruso, Causin, Cimmino, D'Agostino, Dambruoso, De Mita, Galgano, Marazziti, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Nissoli, Oliaro, Piepoli, Quintarelli, Rabino, Rossi, Santerini, Sberna, Schirò Planeta, Tinagli, Vargiu, Vecchio, Vitelli».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Speranza n. 1-00039, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 16 del 15 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    la comunità internazionale già si è mossa da tempo in relazione al tema della violenza sulle donne con la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna del 1979, la dichiarazione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne del 1993, la risoluzione del 20 dicembre 1993 sull'eliminazione della violenza nei confronti delle donne, la risoluzione del 19 febbraio 2004 sull'eliminazione della violenza domestica nei confronti delle donne, la risoluzione del 20 dicembre 2004 sulle misure da adottare per eliminare i delitti d'onore commessi contro le donne e la risoluzione del 2 febbraio 1998 sulle misure in materia di prevenzione dei reati e di giustizia penale per eliminare la violenza contro le donne;
    fra le iniziative più importanti, si segnalano anche la piattaforma per l'azione approvata dalla IV conferenza mondiale sulla donna dell'ONU a Pechino nel 1995, la conferenza mondiale di Stoccolma contro lo sfruttamento sessuale dei minori del 1996, la risoluzione dell'Assemblea mondiale della sanità «Prevenzione della violenza: una priorità della sanità pubblica» del 1996, nella quale l'Organizzazione mondiale della sanità riconosce la violenza come problema cruciale per la salute delle donne, la risoluzione (n. 52 del 1986) dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla «Prevenzione dei reati e misure di giustizia penale per eliminare la violenza contro le donne», solo per citare le iniziative più importanti;
    il Parlamento europeo si è ripetutamente espresso sul tema con la risoluzione del 2 febbraio 2006 sulla situazione nella lotta alla violenza contro le donne ed eventuali azioni future; la risoluzione del 17 gennaio 2006 sulle strategie di prevenzione della tratta di donne e bambini, vulnerabili allo sfruttamento sessuale; la risoluzione del 24 ottobre 2006 sull'immigrazione femminile: ruolo e condizione delle donne immigrate nell'Unione europea;
    la Commissione europea con la Carta delle donne 2010 ha introdotto, nella strategia di attuazione della parità di genere, anche la lotta e il contrasto alla violenza contro le donne;
    il Consiglio dell'Unione europea nel 2004 ha adottato una direttiva (n. 2004/80/CE) relativa all'indennizzo delle vittime di reato che, al paragrafo 2 dell'articolo 12, stabilisce che: «Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime»; nel patto europeo per la parità di genere 2010-2015, inoltre, ha evidenziato la stretta connessione tra la strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva e la Carta delle donne 2010 della Commissione europea, ribadendo la centralità della lotta alla violenza di genere per un «rafforzamento democratico ed economico dell'Unione»;
    l'Italia ha ratificato fin dal 1985 la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU nel 1979, impegnandosi ad adottare «misure adeguate per garantire pari opportunità a donne e uomini in ambito sia pubblico che privato». Le ultime raccomandazioni del Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne al nostro Paese sono state fatte in occasione della quarantanovesima sessione di valutazione, tenutasi nel luglio 2011 presso le Nazioni Unite a New York, e sono state pubblicate il 3 agosto 2011;
    il rapporto ombra elaborato dalla piattaforma «Lavori in corsa: 30 anni CEDAW», presentato il 17 gennaio 2012 alla Camera dei deputati, insieme alle raccomandazioni del Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne, riferisce che la violenza maschile sulle donne è la prima causa di morte per le donne tra i 16 anni e i 44 anni in tutta Europa e nel mondo e, in Italia, più che altrove. Nel nostro continente ogni giorno 7 donne vengono uccise dai propri partner o ex partner;
    il primo rapporto dell'ONU tematico sul femminicidio, presentato il 25 giugno 2012, frutto del lavoro realizzato in Italia dalla special rapporteur Rashida Manjoo, afferma che «Il continuum della violenza nella casa si riflette nel crescente numero di vittime di femminicidio in Italia». Il rapporto sottolinea che, nel nostro Paese, gli stereotipi di genere sono profondamente radicati e predeterminano i ruoli di uomini e donne nella società. Analizzando i dati relativi alla presenza nei media, il 46 per cento delle donne appare associato a temi quali il sesso, la moda e la bellezza e solo il 2 per cento a questioni di impegno sociale e professionale;
    il legislatore italiano si è attivato dando nuovo impulso alla riforma della normativa in questo settore, approvando, ad esempio, la legge 15 febbraio 1996, n. 66 «Norme contro la violenza sessuale», la legge 3 agosto 1998, n. 269 «Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù»; la legge 5 aprile 2001, n. 154 «Misure contro la violenza nelle relazioni familiari»; il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, la cosiddetta «legge anti-stalking»;
    il 27 settembre 2012, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali pro tempore, con delega alle pari opportunità, ha firmato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011 (Convenzione d'Istanbul);
    secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero dell'interno, nel 2011 in Italia ci sono stati 160 omicidi le cui vittime erano donne, di questi 84 compiuti per mano di partner o ex partner. Secondo una stima, sono state 124 le donne uccise nel 2012 e 35 le vittime nei primi mesi del 2013. Per quanto riguarda i dati sulla violenza sulle donne, forniti dalle forze dell'ordine al Ministero dell'interno, essi sono parziali, trattandosi di dati basati sulle denunce. Secondo fonte Istat il 93 per cento di questi fenomeni restano nel sommerso;
    quanto sinora esposto porta a considerare la violenza di genere come un fenomeno di carattere universale, un atto discriminatorio che nega alle donne – o riduce – il semplice godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali; per violenza si devono, pertanto, intendere tutte quelle azioni verbali, fisiche, sessuali, psicologiche, economiche o morali che intendono colpire le donne e ricondurle ad una posizione di inferiorità e dipendenza;
    la violenza contro le donne riguarda tutti i ceti sociali e colpisce donne di tutte le età, etnie, religioni e, in alcuni, casi può assumere il drammatico aspetto di violenza contro bambine;
    alla base della violenza di genere vi è la concezione di impari rapporti di potere fra uomini e donne che minano le basi democratiche della società stessa; per questo un'efficace lotta alla violenza contro le donne non può prescindere dal coinvolgimento degli uomini e da un forte contrasto delle diseguaglianze economiche e sociali tra i generi e una vera e propria rivoluzione culturale sull'eguaglianza;
    nonostante la produzione normativa internazionale, europea e nazionale atta a contrastare la violenza di genere, i fatti di cronaca dimostrano l'incapacità di incidere efficacemente nella regressione del fenomeno,

impegna il Governo:

   nell'ambito delle sue competenze, ad adottare, sostenere ed accelerare ogni iniziativa normativa volta ad adeguare l'ordinamento interno alle prescrizioni contenute nella Convenzione d'Istanbul, nel rispetto dello spirito della stessa, che si fonda sulle linee guida necessarie ad un'efficace lotta alla violenza di genere: prevenzione, protezione, repressione, monitoraggio e integrazione delle singole politiche;
   a provvedere alla formazione specializzata di tutti quegli operatori sociali, sanitari o giudiziari che vengono a contatto e prestano assistenza alle vittime;
   ad assumere iniziative per rendere omogeneo lo sviluppo di servizi idonei all'assistenza alle vittime di violenza sessuale e domestica presso i pronto soccorso ospedalieri come ambito privilegiato per l'apertura di sportelli dedicati in cui sia presente personale specializzato, dedicato alla presa in carico delle vittime di violenza, in stretto collegamento con la rete territoriale e che costituiscano il punto di riferimento nell'emergenza;
   a prevedere l'obbligo per questure e commissariati della presenza, nei propri uffici, di una quota di personale, titolare di una formazione specifica in materia di delitti contro la personalità individuale e la libertà sessuale, competente a ricevere le denunce o querele da parte di donne vittime di tali reati;
   ad individuare programmi di assistenza specifica dei minori che siano stati vittime, anche se indirettamente, di fenomeni di violenza domestica;
   a promuovere l'adozione di un codice di deontologia recante principi e prescrizioni volti a tutelare, nell'esercizio dell'attività giornalistica, nell'ambito della comunicazione pubblicitaria, nella costruzione dei palinsesti televisivi e radiofonici, il rispetto della dignità delle donne e della soggettività femminile, nonché a prevenire ogni forma di discriminazione di genere e di femminicidio;
   ad individuare tutte le risorse economiche finanziarie atte a ripristinare il fondo contro la violenza alle donne, istituito dall'articolo 2, comma 463, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), finalizzato alla prevenzione, all'informazione e alla sensibilizzazione nei confronti del fenomeno della violenza contro le donne, nonché al sostegno finanziario dei centri antiviolenza e delle case-rifugio;
   a rendere piena e concreta l'attuazione della direttiva 2004/80/CE e, in particolare, dell'articolo 12, paragrafo 2, predisponendo iniziative per l'istituzione di un fondo per l'indennizzo delle vittime dei reati a sfondo sessuale;
   ad istituire in tempi rapidi un osservatorio permanente sulla violenza contro le donne, nel quale convergano flussi stabili di dati sulla violenza, provenienti dai vari Ministeri coinvolti, dall'Istat, dai centri antiviolenza e da soggetti pubblici e privati;
   a predisporre, insieme alle regioni e agli altri enti locali, un piano nazionale contro la violenza di genere sulle donne, di concerto con la Conferenza unificata;
   ad istituire un tavolo interministeriale al fine di affrontare il femminicidio da tutti i punti di vista, approntando anche progetti integrati che garantiscano una maggiore incisività nella prevenzione e nel contrasto al problema della violenza di genere;
   ad approntare una campagna di sensibilizzazione che spinga sempre più donne vittime di violenza a denunciarne gli episodi e a promuovere nell'inserimento nei programmi scolastici l'educazione alla relazione al fine di sensibilizzare gli studenti e prevenire la discriminazione di genere e la violenza;
   ad assumere iniziative normative per estendere la sfera di applicazione del permesso di soggiorno, di cui all'articolo 18 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, anche alle donne vittime di violenza;
   ad attuare il programma contro la tratta e lo sfruttamento degli esseri umani e per la tutela delle vittime;
   a presentare alle Camere con cadenza annuale una relazione sullo stato d'attuazione della normativa in materia di violenza di genere, femminicidio, stalking, e delle iniziative poste in essere da tutti i soggetti coinvolti.
(1-00039)
(Nuova formulazione) «Speranza, De Micheli, Giacomelli, Grassi, Martella, Velo, Bellanova, De Maria, Fregolent, Garavini, Pollastrini, Rosato, Mauri, Roberta Agostini, Amoddio, Antezza, Arlotti, Bazoli, Biffoni, Biondelli, Bonaccorsi, Bonafè, Braga, Paola Bragantini, Brandolin, Campana, Carnevali, Cimbro, Cuperlo, Ermini, Ferranti, Gasparini, Giuliani, Greco, Gribaudo, Gullo, Ghizzoni, Lenzi, Leonori, Madia, Malpezzi, Manfredi, Magorno, Marroni, Marzano, Mazzoli, Miotto, Mogherini, Mongiello, Montroni, Moretti, Mosca, Murer, Nardella, Orfini, Paris, Pes, Petitti, Giorgio Piccolo, Piccoli Nardelli, Picierno, Giuditta Pini, Quartapelle Procopio, Raciti, Rossomando, Sbrollini, Scalfarotto, Scuvera, Sereni, Tartaglione, Tidei, Valeria Valente, Vazio, Verini, Villecco Calipari, Zappulla».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Locatelli n. 1-00040, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 16 del 15 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    nonostante da tempo la violenza maschile sulle donne abbia assunto il carattere della sistematicità e sia la prima causa di morte delle stesse in Europa e nel mondo, il tema troppo a lungo è rimasto al margine del dibattito «ufficiale», imponendosi nell'agenda del nostro Paese solo quando i numeri sono diventati intollerabili: ogni due, tre giorni una donna viene uccisa, con casi estremi di cinque donne uccise nella stessa settimana come è successo recentemente;
    la violenza maschile sulle donne non può più essere considerata una questione privata, non avrebbe mai dovuto esserlo: è questione politica in quanto fenomeno di pericolosità sociale che riguarda tutta la società;
    purtroppo, le istituzioni del nostro Paese non hanno mostrato un forte ed efficace impegno nel contrasto a questo tragico fenomeno, tant’è che il Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne e la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne hanno rivolto allo Stato italiano una lunga lista di raccomandazioni che evidenziano la nostra inadeguatezza e incapacità a contrastare la violenza in tutte le sue forme;
    fermare questa tragedia è un impegno che riguarda tutti e tutte, in particolare chi si trova a ricoprire ruoli istituzionali, e significa assumere impegni precisi per avviare azioni di contrasto, protezione, prevenzione e sensibilizzazione con politiche attive, coerenti e coordinate che coinvolgano i diversi attori, istituzionali e non, a tutti i livelli, ponendo il tema della violenza contro le donne come priorità assoluta dell'agenda politica,

impegna il Governo:

   ad affrontare con urgenza il tema della violenza sulle donne in tutte le sue forme e la definizione delle politiche necessarie ad azioni di contrasto, protezione, prevenzione e sensibilizzazione, politiche che scaturiscano da decisioni ampie e condivise;
   a coinvolgere in quest'azione le associazioni attivamente impegnate sul tema della violenza contro le donne cui va il merito, tra gli altri, di aver sensibilizzato l'opinione pubblica sull'entità e la drammaticità del fenomeno, troppo a lungo tollerato.
(1-00040)
(Nuova formulazione) «Locatelli, Bueno, Gebhard, Pisicchio, Di Lello».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Brunetta n. 1-00041, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 16 del 15 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    il concetto di femminicidio, tornato in primo piano con le cronache di questi giorni, comprende non solo l'uccisione di una donna in quanto donna, ma ogni atto violento o minaccia di violenza esercitata nei confronti di una donna, in ambito pubblico o privato, che provochi o possa provocare un danno fisico, sessuale o psicologico o sofferenza alla donna. L'uccisione è, quindi, solo una delle estreme conseguenze, l'espressione più drammatica della violenza sulle donne esistente nella società;
    nel 1993, l'antropologa messicana Marcela Lagarde utilizza il termine femminicidio per comprendere: «La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine – maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale – che comportano l'impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l'uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all'insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia»;
    la cronaca riporta, infatti, casi di violenza generata da motivi che spesso non appaiono riconducibili all'odio di genere e alla misoginia ma alla violenza in famiglia, alla gelosia, alla possessività; il «femminicidio» diventa quindi non un omicidio inaspettato, ma l'ultimo atto di violenza dopo una serie di maltrattamenti all'interno della coppia. Le donne, uccise da mariti, da compagni, da padri o da fratelli, hanno solo provato a sottrarsi alla loro tirannia o hanno violato presunte regole sociali o codici d'onore; «femminicidi» che sembrano troppo spesso delitti annunciati, perché in tanti casi sono preceduti da anni di violenza, frutto di silenzi e complicità da parte di coloro che sono vicini alle donne che subiscono maltrattamenti, ma anche frutto di mancanze da parte delle istituzioni, che hanno il dovere di implementare il funzionamento dei centri antiviolenza e di mettere in campo una serie di politiche di prevenzione e di promozione di una cultura del rispetto tra i generi, nella convinzione che la violenza è un problema pubblico, di violazione dei diritti umani delle cittadine che la subiscono e non una questione da relegare all'ambito privato;
    nonostante il riconoscimento di fondamentali diritti civili, sociali e culturali a favore delle donne, la violenza fisica e sessuale è quindi, ancora oggi, una delle forme di violazione dei diritti umani più grave e più diffusa nel mondo; combattere con forza ogni atteggiamento e comportamento che tendono a tollerare, giustificare o ignorare la violenza commessa contro le donne è, pertanto, assoluta priorità di ogni livello di Governo; a livello mondiale, le cronache riportano con puntuale periodicità episodi di violenza commessi nei confronti di donne molestate, minacciate, violentate, stuprate e uccise, cui si aggiungono le donne vittime di ogni forma di violenza per il loro rifiuto di sottoporsi ad irragionevoli dettami fanatico-religiosi, nonché altre forme di violazione dei diritti delle donne o che con la violenza contro le donne sono connesse, come la violenza sui luoghi di lavoro, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali femminili e la tratta di donne e di bambine;
    se si esamina il fenomeno nel nostro Paese, il quadro è comunque allarmante: dal 2005 al 2012 sono stati 903 i casi di donne uccise da uomini. Nel 2012, in Italia sono state uccise più di 120 donne, una ogni due giorni. Il 40 per cento delle donne uccise nel 2012 aveva già subito violenza da parte del partner o ex partner. Il 68 per cento delle violenze avvengono in casa e i due terzi delle vittime subisce più episodi di violenza (soprattutto da parte del partner). Gli assassini sono uomini, nella maggior parte dei casi appartenenti al nucleo familiare e alla cerchia degli affetti più vicini. Secondo i dati Istat relativi al 2006, sono 6 milioni e 743 mila le donne che tra i 16 e i 70 anni sono state, almeno una volta nella vita, vittime di violenza, fisica o sessuale. Ma nel nostro Paese solo il 18,2 per cento delle donne considera la violenza subita in famiglia un reato, per il 44 per cento è stato qualcosa di sbagliato e per il 36 per cento solo qualcosa che è accaduto. Inoltre, i dati svelano che il 93 per cento delle violenze perpetuate dal coniuge o dall'ex non viene denunciato;
    il 4 marzo 2013 Telefono Rosa ha presentato la sua nuova ricerca sulla violenza domestica, basata sulle telefonate e gli interventi realizzati dall'associazione. Cercando di conoscere meglio l'identità delle vittime, la ricerca indica due fasce maggiormente in pericolo: quella compresa tra i 35 e i 54 anni (33 per cento), mentre nella fascia 45-54 anni gli abusi scendono al 25 per cento. Tra le donne italiane si riscontra una maggiore concentrazione di vittime tra i segmenti più adulti (35enni-44enni: 32 per cento; 45enni-55enni: 26 per cento); spostando l'attenzione sulle straniere, è possibile osservare una maggiore concentrazione di violenze nelle classi anagrafiche più giovani (25enni-34enni: 31 per cento; 45enni-55enni: 39 per cento). Allarmante è il legame tra l'omicidio e le violenze pregresse sulla vittima o su altre donne: nel 40 per cento dei casi emerge che la vittima ha subito violenze (psicologiche, fisiche, sessuali e stalking) precedenti al femminicidio. La percentuale di donne che ha subito violenza e ha prole è altissima: nel 2012 l'82 per cento delle vittime ha figli, in particolare il 65 per cento sono minorenni. Nel 2012 l'82 per cento dei figli ha ripetutamente assistito alle violenze in famiglia. Aumentano nel 2012 i casi di abusi di lunga durata, nel 18 per cento coprono un arco di tempo compreso tra i 5 e i 10 anni; raggiunge il 28 per cento la percentuale dei maltrattamenti che dura da più di 10 anni; il 12 per cento di questi vede le donne rassegnate alla loro condizione da oltre 20 anni;
    soltanto in questi primi mesi del 2013 sono state uccise 34 donne. Un numero rilevante che, purtroppo, conferma il drammatico trend di questi ultimi anni;
    questi numeri sottolineano l'ampiezza del fenomeno e il suo profondo radicamento nella cultura del nostro Paese e nella vita delle famiglie: non si tratta dell'epilogo estremo di una storia personale, ma di un comportamento strutturato, che attraversa una parte grande del Paese, in centinaia di migliaia di case-prigioni sparse nelle campagne, nei paesi, nelle grandi città;
    in particolare, continui episodi riportati dalla cronaca, in particolare nell'ultimo periodo, dimostrano l'ampia portata di questa quotidiana tragedia, specie in termini di vite perdute, il che impone di mettere in campo ogni possibile misura normativa; lo studio e l'attuazione di interventi volti a prevenire gli episodi di violenza, abuso e vessazione di cui le donne sono vittime rappresentano una priorità dell'intero Esecutivo;
    nel 2009, l'introduzione nell'ordinamento giuridico italiano del reato di stalking è stata una chiara dimostrazione dell'attenzione del Governo e del Parlamento all'individuazione di strategie di contrasto, di prevenzione della violenza e di reinserimento delle vittime di tale reato; lo stesso decreto-legge n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2009, che ha introdotto il reato di stalking, ha inoltre previsto ulteriori interventi in materia di violenza sessuale; il provvedimento, in particolare, ha introdotto l'arresto obbligatorio in flagranza per la violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo, nonché disposizioni volte a rendere più difficile ai condannati per taluni delitti a sfondo sessuale l'accesso ai benefici penitenziari, tra cui le misure alternative alla detenzione. La medesima legge ha, inoltre, consentito l'accesso al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti, a favore della persona offesa da taluni reati a sfondo sessuale. Il decreto-legge n. 11 del 2009 ha poi previsto, quale aggravante speciale dell'omicidio, il fatto che esso sia commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo, nonché da parte dell'autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa;
    va segnalato, inoltre, che nel corso della XVI legislatura, per la prima volta l'Italia ha adottato un Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, finanziato con più di 18 milioni di euro, con una strategia di contrasto delineata su base nazionale, con l'obiettivo di mettere in rete l'esperienza dei centri antiviolenza nelle regioni italiane e del numero verde 1522 e le professionalità delle forze dell'ordine;
    servono, comunque, altri segnali forti: un investimento certo e sicuro per i centri antiviolenza e per il sistema dei servizi di prevenzione che si occupano della violenza sulle donne e, in secondo luogo, l'unificazione di tutte le informazioni in un'unica banca dati, che consenta alle forze dell'ordine e all'intero sistema dei servizi antiviolenza di reperire in tempi rapidi le notizie sulle vittime e sugli autori del reato;
    a ciò si aggiunga che l'Italia ha sottoscritto, nel settembre 2012, la «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica» dell'11 maggio 2011 (Convenzione di Istanbul), la cui legge di autorizzazione alla ratifica è stata già approvata dalla Camera dei deputati il 28 maggio 2013;
    la Convenzione di Istanbul è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che si prefigge di creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, grazie a misure di prevenzione, di tutela in sede giudiziaria e di sostegno alle vittime;
    la Convenzione di Istanbul, ove si riconosce esplicitamente la violenza sulle donne quale violazione dei diritti umani e forma di discriminazione, obbligherà, dunque, lo Stato italiano ad adottare specifiche misure legislative per contrastare l'allarmante fenomeno;
    partendo dal presupposto che la volontà di sopraffazione trae spesso origine da atteggiamenti discriminatori e che, dunque, solo un profondo mutamento culturale potrebbe combattere in modo efficace il fenomeno, possono essere messe in campo iniziative, anche in sede legislativa, per porre un freno all'incontenibile sequenza di violenze perpetrate nei confronti delle donne,

impegna il Governo:

   ad adottare e sostenere ogni iniziativa legislativa volta ad adeguare l'ordinamento interno alle prescrizioni contenute nella Convenzione di Istanbul, nonché, più in generale, ad adottare le norme regolamentari e i provvedimenti amministrativi idonei a promuovere realmente una cultura della soggettività femminile, contrastando il femminicidio quale negazione della soggettività, dei diritti fondamentali e della dignità delle donne;
   ad agire sul piano della prevenzione e del contrasto della violenza, della promozione della soggettività femminile e della tutela delle vittime di violenza sessuale, di stalking e di maltrattamenti, in particolare dando piena attuazione al Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, utilizzando le risorse all'uopo stanziate e individuando specifiche iniziative volte a potenziare i servizi e le misure di assistenza delle vittime di violenza, prevedendo un'organica risposta a livello territoriale e di rete e rendendo omogeneo lo sviluppo di servizi idonei all'assistenza, attraverso la collaborazione e la cooperazione tra i soggetti pubblici e privati (pronto soccorso, associazioni, sportelli anti violenza, forze dell'ordine, servizi sociali e comuni) che operano per la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e che forniscono servizi di supporto ed assistenza;
   ad istituire un tavolo interministeriale al fine di affrontare il femminicidio da tutti i punti di vista e di predisporre progetti coordinati per tutto il territorio nazionale che garantiscano maggiore incisività nel contrasto alla violenza di genere;
   ad istituire un osservatorio nazionale permanente sulla violenza alle donne che predisponga e tenga aggiornati i dati relativi ai fenomeni di violenza sulle donne, provenienti da soggetti pubblici e privati, accessibili anche ai fini della ricerca e dell'elaborazione di interventi di prevenzione e di contrasto alla violenza;
   ad adottare le opportune iniziative volte a promuovere, nell'esercizio dell'attività giornalistica, nei messaggi pubblicitari, nei palinsesti e nelle trasmissioni di radio e televisione, il rispetto della dignità delle donne e della soggettività femminile, nonché a prevenire ogni forma di discriminazione di genere o di femminicidio;
   a sostenere la promozione dell'inserimento nei programmi scolastici dell'educazione alla relazione, al fine di sensibilizzare, informare, formare gli studenti e prevenire la violenza nei confronti delle donne, la discriminazione di genere e il femminicidio e promuovere la soggettività femminile;
   a promuovere in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano azioni volte ad incentivare la realizzazione di misure a favore delle vittime di violenza e a coinvolgere le stesse, laddove sia necessario, in percorsi di formazione e di inserimento lavorativo, in linea con le esperienze europee più avanzate;
   a presentare alle Camere annualmente una relazione sullo stato di attuazione delle normative e delle iniziative poste in atto da tutti i soggetti coinvolti.
(1-00041)
(Nuova formulazione) «Brunetta, Carfagna, Centemero, Prestigiacomo, Bergamini, Dorina Bianchi, Brambilla, Calabria, Castiello, Faenzi, Garnero Santanchè, Giammanco, Milanato, Petrenga, Polidori, Polverini, Ravetto, Saltamartini, Elvira Savino, Sandra Savino, Scopelliti».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Mucci n. 1-00042, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 17 del 16 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    i numeri sulla violenza in Italia sono ormai tristemente noti. Una donna su tre, in un'età compresa tra i 16 e i 70 anni, è stata vittima di forme di violenza; il 35 per cento delle vittime non presenta denuncia, mentre solo il 13 per cento ha fatto richiesta di aiuto per stalking;
    secondo Telefono Rosa, nel 2012 le vittime femminili hanno superato di poco le 120 unità e si è passati da un omicidio ogni tre giorni registrato nel 2011 a uno ogni due giorni; la gran parte delle violenze rimane sommersa, impunita e avviene tra le pareti domestiche; un dramma diffuso che riguarda tutte le classi sociali e che va aumentando;
    nonostante i mutamenti sociali, i diritti acquisiti e le leggi varate in questi anni, il fenomeno rimane ancora un problema irrisolto: mancano serie politiche di contrasto della violenza, ricerche e progetti di sensibilizzazione e di formazione; la violenza sulle donne costituisce una violazione dei diritti umani che ostacola o rende impossibile il godimento di altri diritti umani, compromettendo, altresì, il raggiungimento della parità di opportunità tra donne e uomini. Si è davanti ad un grave reato, una forma di discriminazione che non riguarda la sfera privata perché è solo l'aspetto più evidente e brutale dell'ineguaglianza esistente nella società;
    è sempre più urgente affrontare il problema nella sua gravità per risolverlo, ma per far ciò è necessario un radicale cambiamento culturale nella nostra società. Ciò anche alla luce dei dati del Global gender gap report 2012, la classifica stilata ogni anno dal World economic forum sul divario di opportunità tra uomini e donne in 135 Paesi e secondo il quale appare evidente che i risultati sono sempre più sconfortanti per l'Italia: complessivamente all'ottantesimo posto (nel 2011 era al settantaquattresimo); nello specifico: centounesimo posto, in quanto a partecipazione economica e opportunità; sessantacinquesimo posto, in quanto ad accesso all'istruzione di base e di livello superiore; settantaseiesimo posto per quanto riguarda la salute e la sopravvivenza; al settantunesimo posto in materia di rappresentanza politica;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e la violenza domestica, aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa e degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione a Istanbul l'11 maggio 2011, rappresenta il primo strumento internazionale, giuridicamente vincolante, finalizzato a creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza;
    si tratta di un trattato corposo che analizza il fenomeno nella sua complessità e fornisce un quadro giuridico completo, sia in chiave di prevenzione che di repressione di questa odiosa forma di violenza;
    questa Convenzione – che l'Italia deve recepire nelle parti in cui il nostro ordinamento ancora non ha raggiunto gli auspicati standard, lasciando impregiudicati gli eventuali livelli di maggior tutela – potrebbe, se attuata da tutti i Paesi membri, salvare e cambiare le vite di milioni di vittime e dare un contributo concreto al miglioramento del rispetto dei diritti umani e dello status delle donne. È una battaglia di civiltà cui la politica non può e non deve sottrarsi;
    il grande valore di tale Convenzione risiede anche nel sancire la necessità di un cambiamento radicale di mentalità all'interno della società, per estirpare i pregiudizi fondati sulla cosiddetta inferiorità delle donne o sui ruoli stereotipati attribuiti a donne e uomini. In essa si afferma, infatti, che spetta agli Stati prevenire, fermare e sanzionare la violenza sulle donne, sia domestica sia esterna, e che la violenza verso le donne non può essere giustificata da nessun argomento di natura culturale, storica o religiosa;
    l'inserimento nel codice penale italiano del nuovo articolo 612-bis sugli atti persecutori (stalking) e la giurisprudenza costituzionale che si è venuta formando sulla presunzione assoluta di pericolosità degli accusati dei delitti a sfondo sessuale e, da ultimo, l'approvazione definitiva, nel 2012, della legge n. 172 del 2012 di adeguamento interno alla Convenzione di Lanzarote, hanno costituito un segnale di un'evoluzione importante ma che ancora non basta; l'Italia è, tra i Paesi europei, agli ultimi posti per contrasto al fenomeno della violenza di genere: infatti, il report di Rashida Manjoo, relatore speciale sulla violenza contro le donne delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna, in visita nel nostro Paese nel 2012, ha condannato pesantemente l'Italia rilevando che «Femmicidio e femmicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita»;
    da più parti, ormai, si sollecita l'introduzione di un'aggravante generale per i delitti commessi per motivi di genere, oltre che di un'aggravante specifica per il caso di omicidio, che riguarda anche il delitto commesso nei confronti dell'ex coniuge o dell'ex convivente. È auspicabile, quindi, che su questo campo possa presto attivarsi un più determinato intervento legislativo che tocchi anche aspetti apparentemente procedurali (ma in realtà sostanziali), quali il divieto di sospensione condizionale della pena, il divieto di bilanciamento per equivalenza tra aggravanti e attenuanti o il divieto di patteggiamento, come segnale ulteriore di contrasto e dissuasione alla commissione di crimini del genere;
    ma il passo ulteriore dovrà essere necessariamente di carattere culturale, in quanto la sanzione penale non potrà mai esaurire lo spettro delle azioni da intraprendere su questo fronte, tenuto conto che da quasi trent'anni, e precisamente dalla legge 14 marzo 1985, n. 132, è stata ratificata e resa esecutiva la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979;
    a tutt'oggi, solo quattro Paesi hanno ratificato la Convenzione di Istanbul, ovvero hanno concluso il processo di creazione di una legge nazionale che renda effettivo nel proprio Paese il testo della stessa. Questi Paesi sono (e, su alcuni c’è da stupirsene, per tanti versi): Turchia, Albania, Montenegro e Portogallo. Mancano dunque ancora almeno 6 ratifiche,

impegna il Governo:

   a valutare tutte le iniziative necessarie affinché, per quanto riguarda l'educazione delle nuove generazioni, venga agevolata la creazione di una nuova materia obbligatoria nelle scuole superiori: «l'educazione per l'uguaglianza e contro la violenza di genere» per avviare un radicale cambiamento culturale nella nostra società e per estirpare i pregiudizi fondati sulla cosiddetta inferiorità delle donne o sui ruoli stereotipati attribuiti a donne e uomini;
   ad attivarsi, anche con iniziative normative e con fondi adeguati, per l'adozione di serie politiche di contrasto della violenza, ricerche e progetti di sensibilizzazione e di formazione di personale qualificato in grado di affrontare e gestire situazioni di emergenza;
   a sostenere e attuare con più determinazione sia quanto già contenuto nella Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, sia quanto è stato osservato dalla relatrice speciale ONU contro la violenza sulle donne, Rashida Manjoo, di cui in premessa;
   ad avviare una campagna capillare di informazione di utilità sociale a qualsiasi livello su questa drammatica realtà che ancora oggi presenta aspetti sempre più inquietanti.
(1-00042)
(Nuova formulazione) «Mucci, Crippa, Prodani, Mannino, Brescia, Dieni, D'Ambrosio, Nuti, Spadoni, Fantinati».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Migliore n. 1-00043, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 17 del 16 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno del femminicidio e, più in generale, della violenza sulle donne ha assunto dimensioni allarmanti nel nostro Paese, tanto da essere definito dalla relatrice speciale Onu sul tema, Rashida Manjoo, nel suo rapporto del 2012 relativo alla sua missione in Italia, una vera e propria emergenza nazionale;
    in base alle ultime rilevazioni Istat, sono quasi 7 milioni le donne tra i 16 ed i 70 anni che hanno subito violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita, pari al 31,9 per cento: circa 5 milioni hanno subito violenze sessuali (23,7 per cento), quasi 4 milioni violenze fisiche (18,8 per cento) – di cui 1 milione ha subito stupro o tentato stupro. Il 24,7 per cento ha subito violenze da un uomo non partner ed il 14,3 per cento delle donne con un rapporto di coppia dal partner/ex;
    dall'inizio degli anni ’90, mentre è diminuito il numero di omicidi di uomini su uomini, il numero di donne uccise da uomini è aumentato esponenzialmente;
    negli ultimi anni il nostro Paese è stato fortemente redarguito dalle Nazioni Unite per l'impegno troppo poco efficace per contrastare la violenza maschile nei confronti delle donne;
    il Comitato per l'eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw), nonché la relatrice speciale per le Nazioni Unite, Manjoo, in relazione all'Italia, hanno espresso preoccupazioni: per l'elevata prevalenza della violenza nei confronti di donne e bambine italiane, migranti, rom e sinte; per l'allarmante numero di donne uccise dai propri partner o ex partner; per il persistere di tendenze socio-culturali che minimizzano o giustificano la violenza domestica; per l'assenza di un rilevamento ufficiale e costante sul fenomeno; per la mancanza di un coinvolgimento attivo delle realtà della società civile competenti sul fenomeno del contrasto alla violenza; per l'attitudine a rappresentare donne e uomini in maniera stereotipata e sessista nei media e nell'industria pubblicitaria;
    ad oggi l'Italia si mostra ancora inadempiente al riguardo;
    la violenza sulle donne va considerata quale fatto politico, attinente alla cultura nelle relazioni fra uomini e donne, ovvero al fondamento dell'affettività e della democrazia;
    le associazioni e i movimenti, che vantano un impegno di numerosi anni su un tema tanto delicato, quale è la violenza sulle donne, hanno agito spesso in solitudine e senza le risorse necessarie;
    analogamente può dirsi in relazione ai centri antiviolenza, ancora poco radicati sul territorio, anche per l'esiguità degli stanziamenti economici a supporto dell'attività;
    anche alla luce del dibattito che anima il Paese da tempo sul tema, occorre favorire in ogni modo la più rapida approvazione dei progetti di legge di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa, fatta ad Istanbul nel 2011, in tema di prevenzione e contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica, firmata dal nostro Paese in data 27 settembre 2012,

impegna il Governo:

   a provvedere all'attuazione delle osservazioni conclusive del 2011 del Comitato per l'eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw), nonché delle raccomandazioni della relatrice speciale Onu contro la violenza sulle donne, Rashida Manjoo, riportate nel rapporto relativo alla missione in Italia;
   ad istituire un osservatorio nazionale in tema di violenza di genere, coinvolgendo nell'attività le associazioni e i movimenti che si occupano da anni del tema, nonché i centri antiviolenza, incentivandone il ruolo e il radicamento sul territorio con la previsione di stabili ed adeguati finanziamenti;
   a verificare l'efficacia e l'attuazione del piano nazionale contro la violenza, il cui termine è previsto nel 2013, nonché a prevedere una revisione e un rilancio dello stesso che consideri, quali elementi centrali, la promozione di una cultura differente, la prevenzione, la protezione delle donne, nonché la persecuzione del persecutore;
   a introdurre nelle scuole di ogni ordine e grado specifici corsi di sensibilizzazione sulla parità di genere, nonché sull'affettività;
   ad assumere iniziative per prevedere l'accesso al patrocinio gratuito per le parti offese senza limitazioni reddituali;
   a rafforzare, nel quadro degli interventi volti a garantire i livelli essenziali delle prestazioni sociali, di cui alla legge n. 328 del 2000, anche attraverso la previsione di adeguati stanziamenti, i centri e le reti di prevenzione, le case rifugio, nonché la protezione e il sostegno alle donne vittime di violenza.
(1-00043)
(Nuova formulazione) «Migliore, Di Salvo, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Claudio Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».

Ritiro di una firma da una mozione.

  Mozione Speranza e altri n. 1-00039, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 maggio 2013: è stata ritirata la firma del deputato Zampa.

ERRATA CORRIGE

  Nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 29 maggio 2013, alla pagina 1455, seconda colonna, dalla riga diciottesima alla riga diciannovesima deve leggersi:
  «Grimoldi Paolo  4-00623 1481
  Grimoldi Paolo  4-00625 1482»
e non come stampato.

  Alla pagina 1456, prima colonna, alla riga ventesima deve leggersi:
  «Grimoldi Paolo  4-00631 1493»
e non come stampato.

  Alla pagina 1456, seconda colonna, alla riga quinta deve leggersi:
  «Grimoldi Paolo  4-00622 1509»
e non come stampato.

  Alla pagina 1481, seconda colonna, alla riga ventesima, deve leggersi:
  «GRIMOLDI e INVERNIZZI. — Al Ministro» e non come stampato.

  Alla pagina 1482, seconda colonna, alla riga prima deve leggersi:
  «GRIMOLDI e INVERNIZZI. — Al Ministro» e non come stampato.

  Alla pagina 1493, prima colonna, alla riga trentanovesima deve leggersi:
  «GRIMOLDI e INVERNIZZI. — Al Ministro» e non come stampato.

  Alla pagina 1509, prima colonna, alla riga quarantaquattresima deve leggersi:
  «GRIMOLDI e INVERNIZZI. — Al Ministro» e non come stampato.