Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 14 maggio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    non è certo la prima volta che l'Italia si trova a dover affrontare momenti alquanto critici: si sono già verificate pesanti crisi economiche, unitamente a fasi di estrema incertezza politica che hanno dilaniato il Paese; tutti concordano però nel dire che in passato una delle forze – anzi, forse la principale – su cui gli italiani hanno sempre potuto contare per ricostruire una società migliore è stata la famiglia, un'istituzione coesa in cui la solidarietà interna ha attutito e contrastato la durezza delle condizioni esterne;
    oggi la violenza crescente al suo interno segnala che questa forza non è più così compatta e non è più in grado di sostenere il peso delle sconfitte individuali e degli smottamenti sociali; la crisi familiare tuttavia viene occultata, e lo si vede nei sempre più frequenti casi di femminicidio che purtroppo funestano le pagine dei giornali;
    negli ultimi anni, in diversi consessi internazionali, lo Stato italiano è stato fortemente redarguito dalle Nazioni Unite per il suo scarso e inefficace impegno nel contrastare la violenza maschile nei confronti delle donne; le osservazioni all'Italia di Rashida Manjoo, Special Rapporteur delle Nazioni Unite per il contrasto della violenza sulle donne, sono pesanti: «In Italia resta un problema grave, risolverlo è un obbligo internazionale. Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita. In Italia, sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l'adozione di leggi e politiche, incluso il Piano di Azione Nazionale contro la violenza, ma non hanno però portato a una diminuzione di femmicidi e non si sono tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine». E successivamente ha aggiunto: «Le leggi per proteggere le vittime ci sarebbero. Non sono, però, sufficienti. Dipendenza economica, inchieste malfatte, un sistema d'istituzioni e regole frammentato, lungaggine dei processi e inadeguata punizione dei colpevoli le rendono poco efficaci»;
    nell'agosto del 2011, il Comitato CEDAW (Comitato per l'implementazione della convenzione per l'eliminazione di ogni discriminazione sulle donne), e nel giugno 2012, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, hanno rivolto allo Stato italiano una serie di raccomandazioni: ad oggi si è ancora del tutto inottemperanti rispetto agli standard e agli impegni internazionali;
    rappresentano cifre da brivido quelle del femminicidio in Italia (il Paese è ai primi posti nel mondo, calcolando che viene uccisa una donna ogni tre giorni): in otto anni sono state più di novecento le vittime nel nostro Paese, ma la cosa più grave è che il 70 per cento di quelle uccise nel 2012 aveva denunciato il proprio assassino per stalking, maltrattamenti e abusi;
    quello che emerge e che fa più orrore, sia a leggere le statistiche che i casi di cronaca nera, è che il maggior numero di violenze sessuali è messo in atto da un uomo che la donna conosce; di solito, infatti, i responsabili di questi reati (consumati nel 63 per cento dei casi tra le mura domestiche) sono coloro che dichiarano di «amare» le loro donne: mariti lasciati, fidanzati traditi o che non accettano la fine di una storia. E tutto ciò, indipendentemente da alcune caratteristiche della donna, quali l'età, la nazionalità, lo status sociale, il carattere, l'istruzione e l'occupazione;
    nello specifico, sono 124 le donne uccise nel 2012 (quest'anno già una quarantina), in leggero calo rispetto alle 129 del 2011. Ma ci si trova davanti ad un dato altrettanto preoccupante se si considerano i 47 tentati femminicidi e le otto vittime, tra figli e altre persone;
    questo è quanto risulta dal rapporto sul femminicidio in Italia nel 2012 della Casa delle donne di Bologna che dal 2005 raccoglie dati sul fenomeno sempre più allarmante e quindi meritevole di immediata attenzione da parte della politica;
    le regioni del Nord restano quelle in cui i delitti sono più frequenti (52 per cento) nonostante le donne vivano situazioni di maggior autonomia e indipendenza: evidentemente sono meno propense ad accettare di subire violenza e disparità di potere nella relazione e forse per questo sono anche maggiormente a rischio di finire vittime della violenza maschile;
    il rapporto sottolinea l'unico dato positivo, ovvero una maggiore attenzione della stampa nella descrizione dei femminicidi, tralasciando – a volte – la solita etichetta «omicidio passionale» che ingenera confusione e non descrive adeguatamente la situazione; finalmente, i giornalisti focalizzano la propria attenzione sui maltrattamenti e le denunce che hanno preceduto il delitto, escludendo il cosiddetto «raptus»: il femminicidio, infatti, raramente è frutto di un accesso d'ira incontrollata ma costituisce soltanto l'ultimo scalino di una lunga escalation;
    se fino al 2011 in quasi il 90 per cento dei casi riportati dalla cronaca tale informazione non era reperibile, oggi si apprende frequentemente dai mezzi di informazione che il 40 per cento delle donne uccise nel 2012 aveva già subito violenza da parte del partner o dell'ex che poi l'ha uccisa: è questo un dato importante che dimostra come la consapevolezza dei media sul legame profondo tra violenza di genere e femminicidio in questi anni è cresciuta e si è consolidata;
    il femminicidio è sempre preceduto da altre forme di violenza sul corpo, la mente, l'emotività, gli affetti di una donna. Comincia con una forma di potere e controllo che si esprime attraverso atti o minacce di sopruso fisico, psicologico, sessuale, economico o persecutorio contro le donne in quanto donne per mantenerle in una condizione di inferiorità nei rapporti privati (la coppia, la famiglia) e pubblici (il lavoro, la scuola, la collettività). Ognuno di questi abusi costituisce una forma di violenza che va tenuta sotto controllo, a prescindere dal fatto che sia punito dalla legge come reato e/o che sia accettato e considerato «normale» nella società di appartenenza;
    la prevenzione di questi delitti è necessaria e praticabile e richiede una tipologia di interventi diversificati a seconda della situazione concreta in cui vive la donna: dalla sua autonomia economica alla presenza o meno di figli, dalla sua capacità di reagire con energia alla sua tendenza invece a subire passivamente le situazioni; la prevenzione si può realizzare offrendo una protezione sempre maggiore e sempre più qualificata alle donne che vivono situazioni di violenza, prima che giunga a conseguenze irreparabili;
    fondamentale importanza assume la formazione di tutti i soggetti che lavorano nei vari settori con le vittime di violenza e i minori: l'assenza di una adeguata specializzazione rappresenta un fattore di rischio per l'incolumità psicofisica delle donne che si rivolgono alle autorità ed ai servizi territoriali per chiedere aiuto e può determinare prassi deleterie e percezioni soggettive che sminuiscono e giustificano gli abusi, determinando una condizione di vittimizzazione secondaria ed aumentando il pericolo di ulteriori violenze;
    infine, si deve porre fine alla umiliazione ed alla frustrazione delle donne che, in sede civile, combattono per il riconoscimento dei propri diritti e di quelli dei propri figli, vagando da una sede all'altra a seconda delle diverse competenze territoriali dei diversi giudici;
    secondo, l'Helsinki Foundation for Human Rights serve un'attività di osservazione condotta per un periodo prolungato di tempo, in maniera costante o intermittente (Helsinki Foundation for Human Rights, 2001). Secondo il report della Human Rights Monitoring and Documentation Series, serve l'attenta osservazione della situazione generale condotta in modo tale da determinare quali azioni future andranno intraprese,

impegna il Governo:

   a monitorare con rinnovata sensibilità e lucidità la violenza alle donne, considerandola come un fenomeno e un'azione sociale molto complessa che va contro i diritti umani di tutti;
   ad attuare politiche di supporto alla famiglia per contrastare i livelli di povertà e di disagio che spesso hanno nella donna la prima e principale vittima di un sistema sociale in cui la disoccupazione può generare frustrazione e degrado;
   a sostenere l'inserimento professionale delle donne e la loro autonomia economica, in modo che possano interrompere prontamente rapporti caratterizzati da aggressività e da violenza domestica senza dover temere per la loro successiva autonomia;
   a rispettare ed attuare le osservazioni conclusive 2011 del Comitato CEDAW, nonché le raccomandazioni della relatrice speciale ONU contro la violenza sulle donne;
   ad assumere le iniziative di competenza per la ratifica immediata della convenzione del Consiglio d'Europa (Istanbul 2011) sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica;
   a riconoscere i centri anti violenza come nodi strategici di ogni politica e come parte integrante dei servizi da offrire sul territorio per accogliere donne vittime di violenza e, nel caso, i loro figli e per questo a garantire che siano affidati a personale altamente specializzato, altre ai volontari;
   a destinare alle suddette strutture maggiori risorse, attraverso finanziamenti regolari e continuati nel tempo, proprio per creare una rete di interventi sistematici che possano aiutare le donne nella fase acuta del distacco dall'aggressore e successivamente accompagnarle in un itinerario di progressiva riconquista della propria autonomia, anche sul piano psicologico;
   a rafforzare le reti di contrasto al fenomeno tra istituzioni e privato sociale qualificato, potenziando la capacità di ascolto e di pronto intervento, in modo da non lasciare le donne sole o in balia della potenziale violenza dell'uomo;
   a promuovere una forte campagna di prevenzione e di sensibilizzazione culturale, debitamente pubblicizzata, che segnali fino a che punto la violenza è una piaga della nostra società, un fattore concreto di disgregazione familiare e sociale;
   a favorire una corretta formazione di operatori sanitari, sociali, del diritto e dell'informazione, soprattutto per imparare a gestire i primi contatti con la vittima e aiutarla a raccontare in modo esaustivo ciò che le accade, perché troppo spesso appare impaurita, prigioniera di uno strano senso di protezione nei confronti del suo aguzzino e quindi reticente;
   ad assumere iniziative normative per un severo inasprimento delle pene previste per lo stalking e l'inserimento nel codice penale dell'aggravante del «femminicidio», unitamente ad una maggiore tempestività tra la denuncia del caso e la tutela del soggetto; ad assumere iniziative per evitare in ogni modo che chi ha ricevuto una denuncia per stalking possa disporre di un'arma, prevedendo in tali casi la revoca delle relative licenze;
   ad assumere iniziative per prevedere negli uffici giudiziari sezioni specializzate in questo specifico campo, in modo che le donne possano superare la paura e divenire consapevoli che sconfiggere e sopravvivere alla violenza è possibile, aiutando a trasformare velocemente in denuncia anche gli sfoghi o le confidenze addolorate delle donne che giungono in questura accompagnate da amici o familiari, ma che poi non sanno porre un punto fermo e decisivo alla loro condizione.
(1-00036) «Binetti, Dellai, Buttiglione, Cesa, Gigli, Adornato, Cera, Balduzzi, Capua, Caruso, Causin, Cimmino, D'Agostino, Dambruoso, De Mita, Galgano, Marazziti, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Nissoli, Oliaro, Piepoli, Rabino, Rossi, Santerini, Sberna, Schirò Planeta, Tinagli, Vargiu, Vecchio, Vitelli».


   La Camera,
   premesso che:
    il 2 giugno del 1946 nacque la Repubblica italiana attraverso un referendum istituzionale, strumento democratico di partecipazione popolare in grado di aprire un dialogo costruttivo tra cittadini;
    la festa della Repubblica fu spostata alla prima domenica di giugno (legge 5 marzo 1977, n. 54), per via dell'incombente crisi economica. In seguito, nel 2001, su indicazione di Carlo Azeglio Ciampi, allora Presidente della Repubblica, il secondo governo Amato riportò le celebrazioni al 2 giugno in giorno festivo (legge n. 336 del 20 novembre 2000);
    le spese sostenute in questi ultimi anni per la parata militare del 2 giugno, sono state di 3,52 milioni nel 2010 e 4,4 nel 2011, in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Solo nel 2012 la spesa è stata di poco ridotta, attestandosi intorno ai 2.6 milioni di euro;
    la manifestazione del 2 giugno dovrebbe essere unicamente un giorno di festa e non quindi associata ad una parata delle forze armate. Questo genere di eventi, infatti, ha avuto sempre scopo dimostrativo di potenza e supremazia militare nell'immaginario storico collettivo. Questo in evidente contrasto con il significato socio culturale che dovremmo riscoprire in tale ricorrenza;
    è evidente la condizione di grave crisi in cui versa il Paese ed il costo troppo oneroso della parata del 2 giugno;
    non si ritiene di abolire la manifestazione dedicata alle forze armate, ma dovrebbe essere considerata la possibilità di accorparla con la più attinente festa delle Forze Armate del 4 novembre;
    l'intenzione di questa mozione non è quella di sminuire il servizio e l'operato dei nostri militari, ma vista la situazione attuale, e la necessità di risparmiare, ove possibile in tutti i settori, si è certi che anche i militari accetteranno di buon grado di vedere le risorse economiche spese in questa parata, destinate ad altre iniziative più utili per tutti i cittadini;
    la giornata delle forze armate del 4 novembre dovrebbe essere centrale per valorizzare il ruolo delle forze di difesa della Nazione;
    un primo passo in questa direzione è rappresentato dal fatto che non si terrà il consueto ricevimento del 1o giugno riservato alle autorità istituzionali e ai capi missione delle rappresentanze diplomatiche in Italia per dare un segnale di sobrietà in linea con le posizioni dei firmatari del presente atto di indirizzo su tale argomento;
    si ritiene inopportuno ricordare la data del 2 giugno con una parata militare, nella quale si fa sfoggio anche di pesanti armamenti e non va sottovalutato il segnale che le istituzioni invierebbero ai cittadini, sempre più diffidenti e lontani da quest'ultime, che per una volta vedrebbero ascoltata la loro voce,

impegna il Governo:

   ad intraprendere tutte le azioni necessarie affinché, già da quest'anno, si arrivi alla abolizione della parata militare del 2 giugno;
   a destinare i fondi risparmiati per:
    a) iniziative di inclusione sociale;
    b) finanziare interventi civili di pace;
    c) a finanziare il servizio civile;

   a prevedere per il bilancio del prossimo anno una riduzione dei costi relativi alla parata del 2 giugno ed una valorizzazione delle celebrazioni del 4 novembre, nell'ottica dell'ottimizzazione dei costi di questi eventi;
   nel caso fosse già stato pianificato l'evento e fosse impossibile revocare per quest'anno la parata militare, a pubblicare sul sito del Ministero della difesa, i costi diretti ed indiretti, al fine di una maggiore trasparenza verso il cittadino.
(1-00037) «Basilio, Corda, Alberti, Artini, Paolo Bernini, Frusone, Rizzo, Agostinelli, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Battelli, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cancelleri, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Cozzolino, Currò, Da Villa, Dall'Osso, De Lorenzis, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Furnari, Gagnarli, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Labriola, Lorefice, Mannino, Mantero, Marzana, Nesci, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rostellato, Ruocco, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Tacconi, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vignaroli, Villarosa».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto «decreto sviluppo») pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 dell'11 agosto 2012, ha modificato l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, «Norme in materia ambientale», ed in particolare ha rideterminato l'oggetto della disciplina del medesimo decreto legislativo, con riferimento alle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9;
    le modifiche apportate all'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, consentono le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, per procedimenti concessori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128;
    le modifiche apportate all'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, consentono le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9 per i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l'efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati prima del 26 agosto 2010, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell'ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi;
    le modifiche introdotte dall'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto «decreto sviluppo») pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 dell'11 agosto 2012, salvano in modo retroattivo tutti i procedimenti antecedenti alla data del 26 agosto 2010, tra i quali il progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi «Ombrina Mare» nell'ambito della concessione di coltivazione d30 B.C-MD;
    le modifiche di cui sopra non sono state discusse adeguatamente in Parlamento, poiché a causa della questione di fiducia posta dal precedente Governo sull'intero decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, il decreto è stato convertito senza possibilità di emendarlo;
    l'area marina in cui si sviluppa il progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi «Ombrina Mare» nell'ambito della concessione di coltivazione d30 B.C-MD è collocato a circa 6 chilometri di distanza dal parco nazionale «Costa Teatina» come disposto dall'articolo 8, comma 3, della legge 8 marzo 2001, n. 93, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la regione interessata;
    il territorio della costa teatina, e quello dell'intera regione Abruzzo, è caratterizzato dalla presenza di tre parchi nazionali ed uno regionale, oltre che di una zona costiera molto suggestiva e tali caratteristiche territoriali hanno permesso un forte sviluppo del turismo, dell'artigianato, della pesca, dell'agroalimentare e di tutte le attività, indotte e connesse; la concessione di coltivazione di idrocarburi potrebbe causare gravi motivi di pregiudizio rispetto situazioni di particolare valore ambientale o archeologico-monumentale;
    la regione Abruzzo, gli enti locali, le comunità territoriali, le realtà produttive e le associazioni sono orientale ad un sistema regionale integrato mare-montagna di sviluppo economico e sociale ecosostenibile che la presenza del progetto Ombrina Mare potrebbe fortemente compromettere, motivo per cui in sede di valutazione di impatto ambientale sono state presentate numerosissime osservazioni sia dalle pubbliche amministrazioni che dai gruppi sociali e dalle associazioni;
    in base alla normativa allora vigente ovvero il decreto legislativo n. 128 del 2010, la Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale aveva espresso il parere n. 541 del 2010 che risultava negativo;
    dalla data di preavviso di rigetto della valutazione di impatto ambientale comunicata alla Medoilgas Italia spa, sul progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi «Ombrina Mare» nell'ambito della concessione di coltivazione d30 B.C-MD, in data 8 novembre 2010, il Ministero non ha mai formalmente adottato il provvedimento negativo nonostante non sussistesse alcun impedimento formale o esigenze interpretative di quanto disposto dal decreto legislativo n. 128 del 2010, anche alla luce del parere del consiglio di Stato n. 00123/2011;
    la non adozione definitiva del provvedimento negativo della valutazione di impatto ambientale alla luce del parere n. 541 del 2010 rilascia dalla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale ha permesso il riavvio del procedimento di valutazione di impatto ambientale, come da nota DVA 2012 – 0016621 dell'11 luglio 2012, alla luce della nuova normativa introdotta dal decreto-legge n. 83 del 22 giugno 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 dell'11 agosto 2012;
    in applicazione della nuova disciplina, che ha modificato in maniera sostanziale quanto stabiliva la precedente normativa ovvero il decreto legislativo n. 128 del 2010, in data 21 gennaio 2013, la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale ha espresso un giudizio positivo di compatibilità ambientale sul «Progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi ”Ombrina Mare” nell'ambito della concessione di coltivazione d30 B.C-MD», come documentato sul portale web del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    sono state presentate dai parlamentari di diversi schieramenti, numerose iniziative legislative riguardo alle modifiche apportate dall'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, che tendono ad annullare o modificarne gli effetti,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per modificare l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, relativo alle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare ripristinando il divieto di attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare entro le 12 miglia anche per i procedimenti concessori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128;
   a seguito di tali modifiche, a sospendere e poi annullare il provvedimento di accoglimento della valutazione di impatto ambientale presentata dalla Medoilgas Italia Spa circa l'istanza di coltivazione in mare «d30 B.C-.MD», in quanto ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo risulta fortemente viziato a causa di ingiustificati ritardi del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare circa l'adozione del parere negativo di valutazione di impatto ambientale del 7 ottobre 2010, n. 541; a ritirare tutti i titoli abilitativi già rilasciati prima del 26 agosto 2010 «salvati» dall'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto «decreto sviluppo»), pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9; a non dare corso ai procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell'ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi salvati e riattivati per effetto dell'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto «decreto sviluppo»).
(1-00038) «Vacca, Colletti, Del Grosso, Daga, Zolezzi, Alberti, Cecconi, Zaccagnini, Manlio Di Stefano, Parentela, Nesci, Basilio, Gallinella, Frusone, Luigi Gallo».

Risoluzioni in Commissione:


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    gli investimenti in edilizia di qualità, in risparmio energetico, in fonti rinnovabili, in innovazione e ricerca e, più in generale, in interventi di green economy sono un importante volano per la ripresa dell'economia italiana dalla grave e prolungata crisi economica in atto, perché consentono di coniugare l'obiettivo di maggiore competitività e di modernizzazione del Paese con un modello di sviluppo sostenibile per l'ambiente e la società, vicino alle esigenze delle persone, delle comunità e dei territori;
    l'Italia ha siglato accordi internazionali, con il protocollo di Kyoto, e con l'Unione europea nell'ambito del pacchetto «clima-energia» vincolanti per l'avvio di una transizione verso una economia a basso contenuto di carbonio attraverso un approccio integrato che preveda politiche energetiche e politiche per la lotta ai cambiamenti climatici; in tale contesto il contenimento delle emissioni di anidride carbonica per ridurre il rischio di mutamenti climatici è uno degli impegni più importanti e vincolanti per l'Italia;
   il perseguimento dell'efficientamento energetico è stato attuato anche mediante un sistema di incentivi fiscali efficaci e semplici per il cittadino, finalizzati a facilitare la realizzazione di interventi per l'efficienza energetica. Tra questi, particolare rilievo, hanno le agevolazioni fiscali del 55 per cento per interventi di riqualificazione energetica che hanno avuto un enorme successo. Secondo un'indagine del Cresme-Enea, già un anno fa il volume complessivo di interventi connessi a tale strumento è stato pari a 1.400.000, per un totale di 17 miliardi di euro di investimento complessivi, ed ha interessato soprattutto piccole e medie imprese nell'edilizia e nell'indotto. Da rilevare il forte impatto occupazionale derivante dalla misura del 55 per cento che ha contribuito ad attivare ogni anno oltre 50 mila posti di lavoro nei settori coinvolti, soprattutto piccole e medie imprese nell'edilizia e nell'indotto: dalle fonti rinnovabili alla domotica, dagli infissi ai materiali avanzati. Si sono così favorite un'importante innovazione e una spinta di tutto il comparto verso la qualità;
    dal 1o luglio 2013 l'agevolazione fiscale del 55 per cento sarà sostituita con la detrazione fiscale del 36 per cento, originariamente prevista per le sole spese di ristrutturazioni edilizie che, dal 2012, è stata resa strutturale e definitiva;
    nel contesto giuridico nazionale, le agevolazioni fiscali del 55 per cento per interventi di riqualificazione energetica rappresentano una delle misure più importanti di green economy attuate con rilevanti e significativi risultati anche per quel che riguarda i risparmi nella emissione di CO2, contribuendo così ad alleggerire la bolletta energetica delle famiglie. Infatti, tra una casa costruita con materiali innovativi secondo criteri di efficienza energetica e una casa costruita con tecniche vetuste e materiali di scarsa qualità esiste un risparmio medio di circa 1500 euro all'anno;
    in definitiva, come ormai confermato dalle varie indagini al riguardo, in primo luogo quella citata del Cresme-Enea, l'incentivo fiscale del 55 per cento è una delle misure anticicliche di gran lunga più efficaci attivate negli ultimi anni con effetti decisamente positivi sul bilancio del nostro Paese;
    tuttavia gli interventi hanno riguardato quasi esclusivamente la sostituzione di infissi, di caldaie e il solare termico. I più importanti interventi di coibentazione dell'involucro esterno sono stati praticamente assenti. Le incentivazioni inoltre hanno riguardato solo il patrimonio edilizio privato. Occorrerebbe pertanto, anche tramite il supporto tecnico dell'ENEA, trovare soluzioni nuove per ampliare la platea dei soggetti fruitori ed estendere la riqualificazione agli interi edifici e agli interventi di consolidamento antisismico; il Cresme ha stimato che l'estensione della platea dei beneficiari ai beni strumentali potrebbe produrre un incremento del 40-50 per cento di tali investimenti; inoltre, come è noto, gran parte del patrimonio edilizio italiano è di qualità scadente e lontano dagli standard antisismici indispensabili nel nostro Paese. Sono soprattutto gli edifici pubblici a registrare un insufficiente standard di sicurezza e di qualità: oltre la metà delle scuole italiane è stata costruita prima del 1974, anno dell'entrata in vigore della normativa antisismica;
    la Camera e, in particolare la Commissione ambiente e territorio, sia nella XV che nella XVI legislatura si è occupata del tema, con pareri e atti, tutti approvati pressoché all'unanimità per stabilizzare la misura del 55 per cento e per renderla applicabile a maggiori tipologie di intervento; in particolare, nella seduta del 18 gennaio 2012, il Governo ha accolto ed è stata conseguentemente approvata una risoluzione in merito alla stabilizzazione del credito d'imposta del 55 per cento per le misure di efficienza energetica degli edifici e alla loro estensione agli interventi di consolidamento antisismico;
    nella «Relazione sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra» allegata al documento di economia e finanza 2013 (DEF) «l'incentivazione del risparmio energetico negli edifici esistenti attraverso la detrazione fiscale del 55 per cento» è indicata tra gli interventi ritenuti fondamentali «al fine di porre il Paese su un giusto percorso emissivo rispetto agli obiettivi annuali di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per il periodo 2013-2020»;
    come affermato nel documento economico-istituzionale «Agenda Possibile», redatto dal gruppo di lavoro dei cosiddetti « 10 saggi»: «L'ambiente non è solo qualcosa da proteggere. Va migliorato continuamente. In questo modo non solo si eleva la qualità della vita dei cittadini, ma si rafforzano le opportunità di far crescere l'Italia sul piano economico e sociale, rendendolo un Paese attraente nel panorama mondiale, dove vivere bene e di cui apprezzare i prodotti e i servizi. Per questo, si deve puntare a realizzare le possibilità offerte dalla cosiddetta green economy e assicurare la messa in sicurezza e la tutela del territorio e del paesaggio. In Italia si verificano mediamente sette eventi disastrosi all'anno, con vittime, feriti, migliaia di senzatetto e danni economici ingentissimi, connessi anche alla distruzione di beni culturali ed ambientali. Lo Stato spende in media circa un miliardo all'anno per riparare i danni causati dal dissesto, mentre per la prevenzione vengono spesi in media 400 milioni di euro all'anno. Il Ministero dell'Ambiente ha stimato che, per mitigare il dissesto idrogeologico e idraulico, sarebbero necessari investimenti pari a 40 miliardi di euro in 15 anni (circa 2,7 miliardi all'anno). Questi dati mostrano come solo integrando la dimensione economica dello sviluppo e quella ambientale si possa promuovere un salto culturale e una maggiore sinergia tra interventi infrastrutturali e di politica industriale e quelli di natura ambientale, nell'ottica del perseguimento di quello sviluppo sostenibile sostenuta a livello globale, su cui l'Italia ha assunto impegni precisi anche nella recente Conferenza dell'ONU «Rio+20»;
    secondo una recente indagine promossa da Fondazione Symbola e Unioncamere il 23,6 per cento delle imprese italiane che hanno investito tra il 2009 e il 2012 in tecnologie e prodotti green innova di più rispetto alle altre (il 37,9 per cento) ed esporta di più (il 37,4 per cento) e produce più occupazione. Il 38,2 per cento delle assunzioni complessive nell'ultimo anno si deve alle aziende che investono nel green,

impegna il Governo:

   a rafforzare le politiche ambientali e a favorire l'edilizia di qualità ed energeticamente efficiente attraverso iniziative dirette alla riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare, in particolare assumendo iniziative dirette a dare stabilità all'agevolazione fiscale del 55 per cento per l'efficientamento energetico degli edifici, in relazione alla quale andrebbero favoriti: a) l'ampliamento dei soggetti fruitori del beneficio fiscale; b) l'estensione degli interventi al consolidamento antisismico del patrimonio edilizio esistente, compresi gli interi edifici; c) nuovi strumenti che vaglino l'efficacia degli interventi sia sotto il profilo tecnico sia sotto il profilo economico in relazione ai periodi di fruizione della detrazione; d) l'individuazione di adeguate forme di incentivazione anche per i soggetti fiscalmente incapienti che intendano investire in interventi di efficientamento energetico;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia consentito agli enti locali che abbiano risorse da investire, di realizzare interventi di manutenzione e messa in sicurezza del territorio, di efficientamento energetico degli edifici e di messa in sicurezza antisismica degli edifici pubblici, a partire dalle scuole e dagli ospedali, escludendo tali spese, nel rispetto dei vincoli di bilancio, dal computo del patto di stabilità interno.
(7-00003) «Realacci, Borghi, Mariastella Bianchi, Braga, Bratti, Carrescia, Cassano, Cominelli, Dallai, Decaro, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Mazzoli, Morassut, Moretto, Giovanna Sanna, Zardini».


   La X Commissione,
   premesso che:
    la crisi internazionale sta modificando strutturalmente il sistema fieristico, con una polarizzazione sulle manifestazioni di maggior successo e con nuovi modelli in molti ambiti dell'arena competitiva;
    le imprese considerano le fiere, e più in generale il sistema fieristico italiano, come uno strumento efficace per il businness, motore di politica industriale e volano per l'economia del territorio. Per crescere, le fiere italiane devono però internazionalizzarsi, aumentare la propria competitività globale e rafforzare gli strumenti di comunicazione e l'integrazione con i nuovi media. È quanto emerge dallo studio «Gli italiani e le fiere» realizzato dall'Istituto di ricerca IPSO di Renato Mannheimer e promosso da Fondazione Fiera di Milano presentato il 26 marzo 2012 al forum dal titolo «Le fiere negli anni 2.0 tra internazionalizzazione e sviluppo dei territori»;
    la legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3, di modifica del Titolo V della Costituzione, attribuisce la competenza esclusiva in materia fieristica alle regioni e alle province autonome;
    l'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, prevede la possibilità per Governo e regioni di concludere in sede di Conferenza Stato-regioni accordi, al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere attività di interesse comune;
    il sistema italiano di supporto all'internazionalizzazione delle imprese è governato dal Ministero dello sviluppo economico depositario dei compiti di indirizzo e coordinamento della politica nazionale in materia di rapporti economici con l'estero. Attraverso la direzione generale per le politiche di internazionalizzazione e la promozione degli scambi, il Ministero agisce al fine di accrescere il grado di internazionalizzazione delle aziende mettendo in campo strumenti di carattere promozionale e finanziario per accompagnarne la proiezione sui mercati internazionali, strategie promozionali di sostegno al made in Italy, facilitazioni per i processi di internazionalizzazione collegamenti con le università ed i centri di ricerca, risorse pubbliche nei settori e nelle aree geografiche dal maggior potenziale;
    il Ministero dello sviluppo economico stabilisce annualmente l'ammontare delle risorse necessarie all'attuazione delle linee direttrici della promotion pubblica;
    le esperienze all'estero puntano su modelli nei quali Governi vedono nel sistema delle fiere l'elemento principale delle politiche economiche e di promozione;
    molti Governi hanno dimostrato crescente attenzione per le performance dell’export dei propri Paesi e un costante interesse per i contributi che forniscono le piccole e medie imprese per le loro economie. Queste considerazioni hanno innescato un forte interesse nel settore dei servizi di supporto delle export dedicati alle piccole e medie imprese (PMI) e hanno generato riflessioni su come fornire tali servizi in modo efficiente ed efficace. La Germania, ad esempio, ha da molto tempo un programma di sostegno alle esportazioni a favore delle piccole e medie imprese. Il programma è caratterizzato dal coinvolgimento di molteplici attori del settore pubblico e del privato. Il supporto alla partecipazione a manifestazioni fieristiche ne è una componente importante, ma ci sono anche informazioni e servizi di consulenza e strumenti per facilitare finanziamenti alle esportazioni e delle assicurazioni;
    il sistema fieristico italiano ha sofferto indubbiamente della crisi internazionale e ha un quadro competitivo interno molto acceso che rischia di portare più svantaggi che benefici al sistema. In questo quadro si suggerisce che le fiere possano essere strumenti di politica industriale a livello nazionale particolarmente efficaci. Le fiere potrebbero essere soggetto attuatore delle politiche di incentivo, svolgendo un ruolo importante su tre linee forti, come strumento a sostegno delle imprese e delle politiche industriali, dell'internazionalizzazione e dello sviluppo dei territori,

impegna il Governo:

   a dare pronta attuazione al rilancio dell'ICE Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane;
   a promuovere o comunque supportare il sistema fieristico italiano attraverso iniziative volte ad un concreto sostegno normativo e finanziario;
   a ridefinire, nelle tradizionali attività di promozione dell’export azioni di accompagnamento di gruppi di aziende alle fiere esistenti nei diversi Paesi, posto che i Governi più lungimiranti come si evince anche dai modelli citati hanno affiancato lo sviluppo internazionale del proprio sistema fieristico, cogliendo così due grandi obiettivi: l'internazionalizzazione delle imprese e l'internazionalizzazione degli operatori fieristici;
   a promuovere iniziative che migliorino la comunicazione all'esterno, attraverso politiche innovative che sfruttino al meglio l'utilizzo dei nuovi media;
   ad assumere iniziative per destinare maggiori risorse economiche a questo settore, che è stato ridotto a 33 milioni di euro nel 2011 (mentre in Germania è passato da 197 a 252 milioni di euro tra il 2008 e il 2011);
   ad assumere ogni altra iniziativa utile per il rilancio di un settore da molti considerato strategico per l'economia del Paese.
(7-00002) «Peluffo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012), presentando norme per la «Riduzione della spesa degli enti territoriali», introduce tagli al fondo sperimentale delle province, tagli che passano da 1 miliardo ad 1 miliardo e 200 milioni di euro per il 2013;
   tali interventi si sommano ad altre riduzioni effettuate negli ultimi anni:
    nel corso dell'anno 2012, per gli effetti della legge n. 122 del 2010 e della legge n. 2014 del 2011, le province hanno già sostenuto un taglio di risorse di 915 milioni di euro;
    la legge n. 135 del 2012 (articolo 16, comma 7) aveva inoltre precedentemente determinato una riduzione di 500 milioni di euro per il 2012 ed un miliardo di euro per il 2013 del fondo sperimentale di riequilibrio delle province;
   complessivamente tra il 2011 ed il 2013 i bilanci delle province sono stati decurtati di oltre 2,1 miliardi di euro. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di tagli lineari, attuati secondo metodologie non concertate in sede di Conferenza unificata e soprattutto non orientate a valorizzare le virtuosità e le differenti vocazioni dei singoli enti nel loro contesto territoriale. Le riduzioni penalizzano infatti spesso le amministrazioni più virtuose e quelle che hanno esercitato deleghe e gestito risorse regionali e comunitarie;
   tali riduzioni incidono su capitoli di spesa già approvati ed impegni già assunti, e pertanto, anziché promuovere una razionalizzazione ed un efficientamento delle risorse economiche, stanno compromettendo l'efficace erogazione dei servizi dovuti al cittadino e alle imprese per le competenze delle amministrazioni provinciali, o lo svolgimento di funzioni delegate dalle regioni, (trasporto pubblico, formazione professionale, manutenzione di immobili pubblici, tra cui le scuole e le infrastrutture stradali), nonché la regolare remunerazione del personale dipendente, e rischiano di provocare lo «stop» a lavori e cantieri sul reticolo stradale di competenza e, di messa a norma (antisismica ed antincendio) degli edifici scolastici e contribuendo altresì ai rallentamenti nei pagamenti alle aziende creditrici già messe a dura prova dai vincoli del patto di stabilità;
   sono infatti di diretta competenza delle province:
    a) edilizia scolastica, funzionamento delle scuole e formazione professionale. Le province gestiscono oltre 5000 edifici, quasi 120 mila classi e oltre 2 milioni e 500 mila allievi;
    b) sviluppo economico e servizi per il mercato del lavoro: le province gestiscono i servizi di collocamento attraverso 550 centri per l'impiego; intervengono con sostegni all'imprenditoria; promuovono le energie alternative e le fonti rinnovabili;
    c) gestione del territorio e tutela ambientale: le province hanno compiti di difesa del suolo, prevenzione delle calamità, tutela delle risorse idriche ed energetiche smaltimento dei rifiuti;
    d) mobilità, viabilità, trasporti: le province gestiscono il trasporto pubblico extraurbano e circa 134 mila chilometri di strade nazionali extraurbane;
   si tratta di funzioni chiave, strettamente collegate al territorio, indispensabili per assicurare alle comunità il mantenimento del welfare locale e la promozione dello sviluppo imprenditoriale ed occupazionale delle imprese, e che rischiano di essere compromesse dai tagli ai bilanci;
   le politiche finanziarie a carico delle province, determinate con le ultime manovre, hanno gravemente compromesso gli equilibri finanziari degli enti senza giungere ad una compiuta riforma o riorganizzazione, accrescendo un clima di incertezza e di difficoltà;
   dai dati resi noti dall'Unione province italiane, le province, più di ogni altro ente, hanno infatti contratto la propria spesa corrente negli ultimi anni. Il risultato di queste scelte, considerato che le province intervengono fondamentalmente su lavori pubblici locali (strade, edilizia scolastica e altro) è stato il progressivo impoverimento del tessuto economico dei territori ed il continuo indebolimento della rete dei servizi sociali garantiti ai cittadini, con un crollo degli investimenti locali (dal 2008 ad oggi) pari al 44 per cento;
   tale riduzione delle risorse economiche avrebbe dovuto accompagnare il processo complessivo di riorganizzazione delle province, disposto dal decreto-legge n. 95 del 2012: un processo che ha però registrato, notevoli ed evidenti ritardi e poi uno «stop», anche per l'interruzione anticipata della XVI legislatura. Gli enti provinciali sono oggi pienamente operativi nelle loro competenze e nelle loro deleghe ma rischiano, in brevissimo tempo (anche secondo le dichiarazioni di esponenti dell'Upi), un reale e irreversibile dissesto finanziario;
   si segnala altresì che l'articolo 17, comma 13-bis, della legge n. 135 del 2012 prevede, per il 2013, un contributo per le province complessivo di 100 milioni di euro. Nel decreto ministeriale 25 ottobre 2012, che ha determinato le riduzioni e le attribuzioni del contributo, non sono stati utilizzati nell'assegnazione delle risorse criteri di proporzionalità rispetto all'entità del taglio pro-capite del fondo sperimentale di riequilibrio. In virtù di tale determinazione, i tagli alle province stanno causando effetti ancora più gravi in alcune regioni, ed in particolare in quelle regioni nelle quali si è scelto di utilizzare l'istituto delle funzioni delegate in numerose materie;
   secondo l'Upi «i territori italiani maggiormente penalizzati sono quelli della Toscana e del Piemonte, proprio a causa di un particolare meccanismo di calcolo che conteggia tra le spese delle Province anche i finanziamenti che le Regioni girano agli enti provinciali per garantire alcuni servizi come ad esempio il piano dei trasporti pubblici. In pratica si tratta di una semplice “partita di giro”. Qualora il governo tenesse conto del diverso riparto dei consumi dei livelli intermedi (entro i quali vi sono le risorse che la Regione attribuisce alle province per gestire le deleghe)», le regioni vedrebbero una riduzione pesantissima;
   altra questione rilevante riguarda il futuro del personale dipendente delle amministrazioni provinciali. L'eventuale accorpamento o riorganizzazione delle province porterebbe infatti ad una complessiva riorganizzazione del personale dipendente di tali enti, e si ritiene fondamentale, indipendentemente dalla soluzione che sarà adottata, la definizione di una riorganizzazione del personale funzionale e capace di salvaguardare i diritti dei lavoratori, con l'adozione di parametri che riconoscano pienamente le funzioni, le competenze, l'aggiornamento formativo oltre ai livelli professionali e retributivi dei dipendenti. Altrettanto necessari sono una logistica efficiente degli uffici, norme transitorie adeguate che accompagnino il processo di riorganizzazione e strumenti capaci di armonizzare le procedure di trasferimento gestite dalle singole amministrazioni provinciali;
   quanto esposto fino ad ora è già stato oggetto di atti parlamentari di indirizzo accolti dal Governo nel corso della XVI legislatura;
   in data 7 agosto 2012 il Governo ha accolto un ordine del giorno alla legge n. 135 del 2012 (n. 9/05389/105) che lo impegna:
    a calcolare il taglio sul fondo sperimentale di riequilibrio, tenendo conto delle spese correnti 2011, come da certificato al conto consuntivo, al netto del titolo II, categoria 3 entrate (trasferimenti da regione per funzioni delegate);
    a rispettare nell'assegnazione delle risorse di cui all'articolo 17, comma 13-ter, criteri direttamente proporzionali all'entità del taglio pro-capite del fondo sperimentale di riequilibrio;
    ad adottare iniziative normative sollecite al fine di evitare un disavanzo anche nelle province virtuose sul bilancio in corso;
    ad esaminare e valutare le conseguenze economico finanziarie sugli enti provinciali, che genereranno:
     a) il blocco della maggior parte delle attività di adeguamento alle norme antisismiche ed antincendio degli edifici scolastici, delle attività di messa in sicurezza del reticolo stradale di competenza;
     b) la impossibilità di garantire nell'anno in corso interventi di carattere straordinario per far fronte a calamità, quali nevicate e altro;
     c) difficoltà nel cofinanziamento ai finanziamenti comunitari nell'esercizio di deleghe regionali;
     d) ricadute sulle imprese impegnate in opere di manutenzione e lavori pubblici, che si vanno a generare sul bilancio in corso, a causa della somma tra il taglio prodotto con lo svuotamento del fondo sperimentale di riequilibrio ed il mancato introito dagli affitti pagati da altre amministrazioni dello Stato;
   in data 22 novembre 2012 il Governo ha accolto un ordine del giorno alla legge n. 228 del 2012 (9/05534-bis-A/182) che lo impegna, tra l'altro:
    nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, a valutare l'opportunità di emanare un provvedimento correttivo urgente in grado di rimodulare i tagli previsti, tenendo conto delle spese correnti 2011, come da certificato al conto consuntivo, al netto del titolo II, categoria 3 entrate (trasferimenti da regione per funzioni delegate) soprattutto per le province delle regioni, come la Toscana, i cui effetti dei mancati finanziamenti rischia di causare nel 2013 un default degli enti locali;
    a valutare, conseguentemente, la possibilità di emanare un provvedimento correttivo in grado rimodulare i trasferimenti introdotti dall'articolo 17, dal comma 13-bis, della legge n. 135 del 2012 in base a criteri direttamente proporzionali all'entità del taglio pro capite del fondo sperimentale di riequilibrio;
   in data 21 dicembre 2012 il Governo ha accolto un ordine del giorno alla legge n. 228 del 2012 (9/05534-bis-B/002) che lo impegna, tra l'altro:
    a valutare di inserire, nel processo di riorganizzazione dei dipendenti delle amministrazioni provinciali, derivante dalla attuazione della legge n. 214 del 2011 e della legge n. 135 del 2012, i seguenti criteri e parametri:
     a) la presenza delle funzioni e delle competenze assunte dalle singole amministrazioni provinciali;
     b) le politiche di contenimento delle spese per il personale perseguite, negli ultimi anni, da alcune amministrazioni provinciali;
     c) l'adozione di norme transitorie per garantire pari trattamento ai dipendenti pubblici delle amministrazioni provinciali soggette ad accorpamento, rispetto agli altri lavoratori della pubblica amministrazione;
     d) un'adeguata salvaguardia dei livelli professionali e retributivi dei dipendenti della province coinvolti nella riorganizzazione;
     e) una equilibrata e funzionale ubicazione degli uffici provinciali nell'intero territorio della nuova provincia, anche per rendere maggiormente fruibili i servizi ai cittadini;
     f) la previsione, in presenza di esuberi ed in coerenza di quanto già previsto dalla legge n. 135 del 2012, di forme di mobilità volontaria, finalizzate alla copertura di posti vacanti, sia nel comparto degli enti locali che in altri settori, in cui sia garantita una corsia preferenziale per il personale delle amministrazioni provinciali in sovrannumero;
     g) lo stanziamento, in coerenza di quanto già previsto dalla legge n. 135 del 2012, di risorse adeguate per favorire e promuovere la formazione e l'aggiornamento professionale del personale delle amministrazioni provinciali interessate dal processo di riordino;
     h) la presenza di norme omogenee volte ad armonizzare le procedure di trasferimento gestite dalle singole amministrazioni provinciali –:
   quali iniziative urgenti si intendano assumere per evitare che i tagli ai bilanci degli enti locali citati in premessa possano causare il prossimo dissesto finanziario delle amministrazioni provinciali, coerentemente con gli impegni assunti dal Governo con gli ordini del giorno n. 9/05389/105 (alla legge n. 135 del 2012) e n. 9/05389/1059/05534-bis-A/182 (alla legge n. 228 del 2012), e capaci di valorizzare al tempo stesso le virtuosità e le differenti vocazioni dei singoli enti nel loro contesto territoriale;
   quali iniziative urgenti di competenza si intendano, conseguentemente, assumere per assicurare la corretta erogazione dei servizi attualmente di competenza delle amministrazioni provinciali, indispensabili per permettere alle comunità il mantenimento del welfare locale e la promozione dello sviluppo imprenditoriale ed occupazionale delle imprese, coerentemente con gli impegni assunti dal Governo con gli ordini del giorno n. 9/05389/105 (alla legge n. 135 del 2012) e n. 9/05389/1059/05534-bis-A/182 (alla legge n. 228 del 2012) anche adottando criteri di riparto del fondo sperimentale di riequilibrio che tengano conto della penalizzazione di alcune regioni;
   quali iniziative urgenti, anche di carattere normativo, intendano assumere per inserire, nel processo di riorganizzazione dei dipendenti delle amministrazioni provinciali, criteri capaci di salvaguardare i diritti e la professionalità dei lavoratori, le esigenze della collettività ed il contenimento della spesa pubblica, parametri già indicati peraltro nell'ordine del giorno n. 9/05534-bis-B/002 alla legge n. 228 del 2012, accolto dal Governo.
(2-00038) «Cenni, Fiorio, Bini, Dallai, Sani, Galperti, Carrescia, Crivellari, Martelli, Bellanova, Lodolini, Fontanelli, Luciano Agostini, Simoni, Mariani, Zardini, De Menech, Manzi, Marchetti, Carra, Ferrari, D'Incecco, Cova, Fossati, Zoggia, Gribaudo, Bargero, Boccuzzi, Borghi, Taricco, Benamati, Bobba».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la Sardegna è affetta da seri problemi di approvvigionamento idrico poiché le precipitazioni non sono abbondanti e si concentrano principalmente nel periodo autunnale, dando così luogo a lunghi periodi di siccità;
   l'acqua non viene distribuita in modo uniforme sul territorio a causa delle particolari caratteristiche morfologiche della regione;
   circa i tre quarti del fabbisogno idrico totale della regione viene soddisfatto attingendo dalle fonti superficiali costituite in primo luogo dai grandi invasi artificiali e solamente un terzo del fabbisogno viene quindi soddisfatto attingendo alle fonti sotterranee, ovvero alle falde acquifere presenti nel sottosuolo, fortemente sfruttate e affette da seri problemi di inquinamento;
   la Sardegna possiede ben 32 invasi di grandi/medie dimensioni aventi una capacità massima attuale di 2 miliardi e 280 milioni di metri cubi di acqua, di cui 1 miliardo e 904 milioni di metri cubi, con autorizzazione all'invaso (dati registro italiano dighe – ufficio periferico di Cagliari, 2011);
   la Sardegna rientra ai fini della pericolosità sismica nella zona 4 – sismicità molto bassa, così come definito nell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 20 marzo 2003, n. 3274 e successive modifiche e integrazioni, dal sito della Protezione civile e da tutti gli studi di settore, in particolare dal GNDT (gruppo nazionale per la difesa dai terremoti);
   secondo quanto risulta agli interpellanti, sarebbe in corso di completamento, ai fini della sicurezza sismica, la revisione del decreto Ministero dei lavori pubblici 24 marzo 1982 recante Norme tecniche per la progettazione e la costruzione delle dighe di sbarramento;
   il testo in discussione, aggiornato più volte (la versione del 18 dicembre 2009 è reperibile al sito http://www.registroitalianodighe.it) presenterebbe carenze conoscitive e dispositive profonde, in particolare per quanto concerne il territorio della Sardegna, non considerando il ridotto rischio sismico di cui sopra;
   se i provvedimenti di cui sopra venissero definitivamente approvati, tutti gli invasi aventi «dighe a volta» (sbarramenti ricurvi, 5 invasi in Sardegna per una capienza complessiva pari a 705 milioni di metri cubi di acqua) dovrebbero essere svuotati e resi inutilizzabili, mentre gli invasi con dighe a gravità (12 invasi, per una capienza complessiva pari a 757 milioni di metri cubi di acqua) potrebbero contenere soltanto la metà della capacità invasabile: complessivamente 1,490 miliardi di metri cubi disponibili in meno, pur non rivestendo sostanzialmente caratteristiche geofisiche di pericolosità sismica –:
   se il Presidente del Consiglio e i Ministri interpellati, nell'ambito delle rispettive competenze, siano a conoscenza di quanto sopra e se ciò risulti corrispondente al vero;
   qualora quanto sopra paventato corrisponda a realtà, con quali atti intendano intervenire in una materia di così delicato interesse, al fine di scongiurare un'assurda e irragionevole decurtazione della risorsa idrica invasabile e disponibile per la Sardegna.
(2-00039) «Nicola Bianchi, D'Uva, Basilio, Gallinella, Battelli, Simone Valente, Del Grosso, Furnari, Lorefice, Gagnarli, Grillo, Silvia Giordano, Zaccagnini, Grande, Tofalo, Micillo, Brescia, D'Ambrosio, De Rosa, Vallascas, Prodani, Fantinati, Da Villa, Liuzzi, Dell'Orco, Busto, Di Vita, Corda, Villarosa, Pinna».

Interrogazione a risposta orale:


   SCOTTO, FRATOIANNI, DURANTI e RAGOSTA. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 25 febbraio del 2013 è stata pubblicata sul BURC n. 12 del 2013 la legge regionale n. 1 del 18 febbraio 2013 «Cultura e Diffusione della Energia Solare in Campania»;
   la legge era stata approvata all'unanimità, nella seduta del consiglio regionale della Campania del 10 gennaio 2013;
   sempre all'unanimità, la legge era stata precedentemente approvata nella I Commissione permanente per la verifica dell'ammissibilità, nella VII Commissione permanente per il merito e nella II Commissione per le norme finanziarie;
   la legge approvata è di iniziativa popolare ai sensi dell'articolo 12 dello statuto della regione Campania;
   la legge è stata sottoscritta da circa 20.000 cittadini della regione, con 13.375 firme regolarmente depositate, raccolte in 50 comuni ed in tutte le province della Campania;
   la legge, sia nel percorso della sua scrittura che in quello della raccolta di firme, ha avuto un consenso ed una partecipazione eccezionale, superiore ad ogni immaginazione da parte dei singoli cittadini, delle associazioni culturali ed ambientaliste, del mondo scientifico, economico e produttivo, di istituzioni locali, a partire dall'adesione all'unanimità del consiglio comunale di Napoli;
   tale consenso è ulteriormente fortemente cresciuto dopo che la iniziativa popolare è divenuta legge, per le grandissime attese in essa riposte;
   la legge pone la Campania quale fondamentale riferimento nazionale ed internazionale nel campo dell'energia solare nelle sue diverse espressioni, tutelando l'ambiente, contribuendo alla salvaguardia del clima ed attivando fortemente economia, produzioni, ricerca, lavoro, cultura, relazioni e scambi scientifici, tecnologici e commerciali;
   essa, contestualmente, per la sua natura programmatoria e pianificatrice, costituisce un grande baluardo, assolutamente necessario ed urgente, da estendere a tutto il Paese, contro l'incontrollato saccheggio del territorio che spesso accompagna anche le fonti rinnovabili e contro i clan malavitosi che investono su tali fonti, come avvenuto in moltissimi casi in questi anni;
   dovrebbe essere perciò di interesse primario sia del Governo regionale che centrale la piena ed urgente attuazione della legge;
   solo dopo un mese dalla entrata in vigore della legge è stato presentato in piena notte ed approvato a maggioranza nella II Commissione, quella del bilancio, un emendamento nella legge finanziaria regionale 2013 abrogativo di gran parte dell'articolato della legge: gli articoli 3, 4, 5, 7, 8 e 9, ad avviso degli interroganti, cancellando in sostanza la legge stessa;
   l'articolo 60 dello statuto della regione Campania recita: «La Regione, nei modi previsti dalla legge di contabilità, approva la legge finanziaria, che deve contenere esclusivamente norme di natura finanziaria»;
   pertanto l'emendamento secondo gli interroganti non era assolutamente proponibile nella finanziaria;
   l'emendamento soppressivo della legge non è stato accompagnato neanche da una relazione o nota esplicativa;
   dal presentatore dell'emendamento e dal presidente della regione la giustificazione è stata motivata alla stampa come richiesta del Governo centrale per la incostituzionalità dei citati articoli;
   il Consiglio dei ministri in data 6 aprile 2013 ha deciso la impugnazione degli articoli 4, 5, e del secondo comma dell'articolo 11 della legge;
   vi è conseguentemente una discrepanza profonda tra il deliberato del Consiglio dei ministri e il predetto emendamento soppressivo degli articoli della legge;
   la predetta discrepanza genera ulteriori ombre profonde sul perché e su quali siano stati i soggetti che abbiano potuto indurre gruppi politici e consiglieri regionali a cambiare parere su una legge entrata in vigore meno di un mese prima e da essi approvata;
   l'emendamento soppressivo di cui sopra riporta nei fatti la regione in una condizione di vuoto legislativo, ridando «mani libere» alla giunta regionale, nei finanziamenti, nelle scelte, nelle concessioni, con la conseguenza gravissima ed irresponsabile dell'assenza di ogni tutela del territorio e di creare condizioni fortemente favorevoli alla camorra, alla ’ndrangheta, alla mafia, ed in generale ai clan malavitosi, interessati ad investire e riciclare sulle fonti rinnovabili;
   quanto sopra, per la prima parte, è fortemente avvalorato dalla caduta a pioggia di ingenti risorse regionali, centinaia di milioni di euro, estranea ad ogni programmazione e pianificazione, ad avviso degli interroganti fuori da ogni controllo, annunciata l'11 aprile 2013, dal presentatore dell'emendamento soppressivo degli articoli della legge sul solare in Commissione bilancio, nel corso della manifestazione EnergyMed alla Mostra d'Oltremare a Napoli;
   con l'articolo 4 delle legge regionale, «Nel rispetto delle competenze Stato-Regioni in materia di produzione, trasporto e distribuzione dell'energia previste dalla Costituzione e dalle leggi statali», la regione sceglie di attivare l'epocale processo della transizione dal modello energetico fondato sulle fonti fossili a quello fondato sulla energia solare nell'accezione complessiva di fonti rinnovabili;
   la regione è legittimata a tale scelta perché ai sensi dell'ultimo capoverso del terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione, nelle materie di legislazione concorrente, qual è quella in esame, spetta alle regioni la potestà legislativa;
   la scelta della transizione dalla produzione e dal modello fossile a quelli delle fonti rinnovabili è dettata sia dal rapido crescente esaurirsi delle risorse fossili nel mondo e dall'imponente crescita del loro costo, e sia dagli immensi benefici conseguenti all'impiego delle rinnovabili, per l'ambiente, per il clima, per la bilancia dei pagamenti del Paese, per l'economia, per la produzione ed il lavoro, per la cultura e la scienza;
   l'articolo 5 della legge è la logica conseguenza della volontà della regione esplicitata nell'articolo 1 della stessa legge di «scelta del Sole come sua primaria fonte di energia per ogni sua attività, civile e produttiva», per cui la crescita del soddisfacimento della domanda energetica per via solare comporta la contestuale diminuzione di quella per via fossile e il progressivo smantellamento delle grandi linee di trasmissione a 380 kV e 220 kV;
   lo stesso articolo ha la sua legittimità costituzionale nelle motivazioni espresse per il precedente articolo 4 ed ha un valore fondamentale nella reale attuazione di dichiarazioni di volontà e programmatiche del progressivo incremento delle fonti rinnovabili fatte a livello politico ed istituzionali;
   la progressiva copertura della domanda di energia da fonte solare per la sua natura di energia ovunque presente ed omogeneamente distribuita e perciò «locale» implica, come è scritto nell'articolo della legge, la riduzione della importazione regionale di energia, mediante un piano di dismissione delle reti elettriche a 380 kV e a 220 kV;
   la progressiva dismissione ed il successivo smantellamento delle predette reti costituisce un grandissimo beneficio per le comunità e per la intera biodiversità dei territori da esse attraversate, sia per la eliminazione dell'inquinamento elettromagnetico presente sia per il recupero del territorio elettromagneticamente inquinato, che per la sua sola superficie interessata è sufficiente a coprire per via solare l'intero fabbisogno energetico regionale come nazionale;
   l'articolo 11 è di fondamentale importanza per una nuova politica, un nuovo modello e una nuova economia, una nuova produzione, organizzazione e distribuzione dell'energia perché riporta alle Comunità locali la programmazione e la pianificazione delle scelte in coerenza con la natura della totale territorialità della disponibilità della energia solare;
   la preziosità del territorio, la sua tutela e la sua corretta fruizione sono i fondamenti di una nuova politica energetica sinergica e sintonica con le altre esigenze delle comunità e della biodiversità locali;
   pertanto, vanno strettamente armonizzate, fino a costituirne parte essenziale, con i piani urbanistici e gli altri piani e strumenti di pianificazione territoriale, come è indicato nella legge regionale al comma 2, impugnato dal Governo;
   la programmazione e la pianificazione della energia producibile in ogni territorio derivante dai PESC (piani energetici solari comunali) danno certezze alla comunità locale e ad ogni operatore che vuole concorrere alla sua realizzazione, riducendo fortemente le condizioni della corruzione e della imposizione da parte della malavita organizzata;
   il comma 2 dell'articolo 11 della legge regionale trova sua piena validità costituzionale nel comma 2 dell'articolo 118 della Costituzione che recita: «i Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze» così come avvenuto con la legge regionale n. 1 del 18 febbraio 2013;
   la impugnativa degli articoli 4, 5, e comma 2 dell'articolo 11 della legge da parte del Governo e l'emendamento regionale abrogativo degli articoli 3, 4, 5, 7, 8 e 9 costituiscono, ad avviso degli interroganti, atti gravissimi verso la democrazia e la partecipazione popolare e verso la necessaria e corretta scelta del solare nelle sue molteplici espressioni di rinnovabilità, un danno abnorme all'ambiente, alla Campania e all'intero Paese, un forte favore ai clan malavitosi –:
   se siano fondate le notizie circa un interessamento del Governo che avrebbe portato all'emendamento abrogativo degli articoli, 3, 4, 5, 7, 8 e 9, e ad eventuali altri non ancora noti;
   se si intenda rinunciare alla impugnativa davanti alla Corte Costituzionale degli articoli 4 e 5 e comma 2 dell'articolo 11, della legge n. 1 del 18 febbraio 2013.
(3-00049)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LENZI, ZAMPA e ARLOTTI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   le due violente trombe d'aria e la pesante grandinata che il 3 maggio 2013 hanno colpito le province di Modena, Bologna e Ferrara hanno creato gravi problemi strutturali ad abitazioni, edifici industriali e agricoli e parallelamente hanno provocato ingenti danni alle produzioni agricole;
   sono state 227 le segnalazioni di danni pervenute ai comuni, di cui 81 nel bolognese e 150 nel modenese, per un ammontare complessivo dei danni pari a circa 30 milioni di euro;
   considerando anche la richiesta di stato di emergenza già avanzata il 5 aprile 2013 per il maltempo, la stima dei danni in Emilia Romagna cresce fino a 171,2 milioni di euro;
   risultano compromesse 158 case, a cui si aggiungono 59 tra capannoni industriali e capanni agricoli e una decina di edifici danneggiati di altro tipo, tra cui tre strutture pubbliche;
   119 persone, di cui 86 nel modenese e 33 nel bolognese, sono sfollate dalle loro abitazioni;
   questo nuovo evento si è verificato in un territorio già gravemente colpito dal sisma del 20 e 29 maggio 2012, aggravandone ancora la situazione di emergenza;
   il presidente della regione ha già chiesto la dichiarazione dello stato di emergenza;
   in queste ore la regione sta completando il rapporto di evento per la prima quantificazione dei danni anche di questo «nuovo» evento, che dice molto sui cambiamenti climatici in atto e sulle sfide che la prevenzione, le istituzioni centrali, regionali e locali ma anche l'intero servizio nazionale di protezione civile, dovranno affrontare –:
   se non ritenga che sia urgente e non più rinviabile la dichiarazione di stato di emergenza per la regione Emilia Romagna. (5-00105)


   CENNI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 13 luglio 2011 è stato emanato il bando di concorso per esami e titoli relativo al reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e per gli istituti educativi;
   il tribunale amministrativo regionale della Toscana il 19 aprile 2013 ha emanato una sentenza, accogliendo i ricorsi di alcuni candidati, con cui ha annullato i risultati del suddetto bando di concorso;
   tra le motivazioni del Tar della Toscana: la composizione della commissione, in seguito alle dimissioni del presidente della stessa, la collegialità della valutazione degli elaborati non supporta da analoga lettura dei lavori dei candidati, ed altri vizi;
   precedentemente il Tar del Lazio e della Calabria, per cause analoghe, non avevano annullato tale concorso;
   l'ufficio regionale scolastico della Toscana ha annunciato che ricorrerà al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar;
   tale situazione di incertezza rischia di creare inevitabilmente seri problemi all'intero sistema scolastico e formativo italiano;
   il numero nazionale dei dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e per gli istituti educativi si è infatti ridotto di un terzo negli ultimi sei anni, passando da circa 12mila ad 8mila;
   la situazione appare particolarmente grave nella regione Toscana, dove il Tar annullando la graduatoria rischia di travolgere la nomina di 106 dirigenti che hanno addirittura già terminato il periodo di prova. Secondo quanto dichiarato da Stella Targetti, vicepresidente della regione Toscana con delega all'istruzione: «considerando pensionamenti e scuole già in reggenza, sono 170 le scuole della Toscana, una su tre, che rischiano di restare senza guida l'anno prossimo»;
   il consiglio regionale della Toscana ha approvato all'unanimità, nei giorni scorsi, una mozione che impegna la giunta a «sostenere, presso il ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dopo la complessa situazione creata a seguito della sentenza del Tar della Toscana, una celere soluzione, attivando un iter che assicuri la copertura dirigenziale per le oltre cento scuole toscane investite della problematica»;
   è necessaria ed urgente una soluzione capace di salvaguardare il diritto di apprendimento da parte di tutti gli alunni ed assicurare la qualità dei processi formativi in collaborazione con le risorse culturali, professionali, sociali ed economiche dei territori, riaffermando contestualmente il rispetto del principio costituzionale del giusto concorso;
   è altrettanto necessaria ed urgente una soluzione che tuteli competenze e professionalità acquisite dai dirigenti selezionati, insieme ai diritti dei ricorrenti, tutti allo stesso modo danneggiati dalla procedura dichiarata nulla;
   come anche auspicato dal vicepresidente della regione Toscana e poi precisato dalla mozione del suo consiglio, è necessario che la pubblica amministrazione scolastica individui una soluzione pratica e immediata a tutela dei diritti e degli interessi di tutti, mantenendo in servizio «ad interim» gli attuali 106 dirigenti immessi in ruolo e dando contemporaneamente un ulteriore incarico «ad interim» dal 1o settembre 2013 a coloro che hanno vinto il ricorso, facendo celermente svolgere a tutti questi nuovi dirigenti scolastici «di fatto» (già in ruolo + ricorrenti) un apposito corso di formazione con redazione e discussione di tesina finale e creare «una graduatoria per dirigenti scolastici ad incarico riguardante gli insegnanti vincitori del concorso annullato, avendo essi di fatto i titoli per lo svolgimento del ruolo». Per perseguire tale soluzione occorrerebbe però l'approvazione di provvedimento «ad hoc», una soluzione già adottata con la legge n. 202 del 2010 utilizzata per sanare una problematica analoga che aveva riguardato un concorso per dirigenti scolastici predisposto della regione siciliana, anch'esso annullato. In questo modo verranno superate dannose e ingiuste contrapposizioni tra i concorrenti dell'originario concorso, riaffermando il principio del giusto concorso con il successivo corso di formazione, e verranno tutelate la continuità e l'efficienza del servizio scolastico sul territorio, dal momento che all'apertura del nuovo anno scolastico ciascuna scuola della Toscana potrà contare su un proprio dirigente –:
   quali provvedimenti urgenti intenda emanare per evitare che le sentenze dei Tar, relative al bando per dirigenti scolastici svolto nel 2011, possano causare gravi problemi alla gestione dirigenziale degli istituti della scuola dell'obbligo (su tutto il territorio nazionale ed in particolare nella regione Toscana) e per salvaguardare, conseguentemente, il diritto di apprendimento da parte di tutti gli alunni, assicurare la qualità dei processi formativi e tutelare professionalità e competenze del personale docente, tanto degli immessi in ruolo quanto dei ricorrenti. (5-00107)


   OLIVERIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 10 maggio 2013 il prefetto di Reggio Calabria, dottor Vittorio Piscitelli, ha comunicato all'ex deputata Angela Napoli che il livello di vigilanza che lo Stato potrà assicurarle è il 4. L'onorevole Napoli avrà la possibilità, pertanto, di utilizzare un agente del Viminale a tutela, mentre a suo carico saranno la macchina ed un autista personale. In Calabria recentemente anche nei confronti di un magistrato in carica, e peraltro impegnato in processi contro esponenti di cosche, sono state ridotte le misure di protezione;
   l'onorevole Angela Napoli è stata per tre legislature, l'ultima la XVI, in Commissione parlamentare antimafia, una volta anche come vicepresidente. Quella dell'onorevole Napoli è una vita blindata da 10 anni per le sue battaglie antindrangheta. L'onorevole Napoli è stata minacciata, l'ultima volta a gennaio di quest'anno, attraverso le parole intercettate nel carcere di Tolmezzo a Pantaleone Mancuso della «locale vibonese» («Stiamo lavorando per toglierla di mezzo»), pronunciate dopo un'interrogazione parlamentare presentata sul provvedimento del tribunale di Vibo Valentia che dispose il trasferimento in ospedale del presunto boss;
   a raccontare quanto è accaduto è stata l'interessata che, nonostante non sia più stata neppure candidata al Parlamento, continua ad impegnarsi politicamente con la sua associazione Risveglio Ideale: «Ieri sera mi ha telefonato il prefetto di Reggio Calabria Vittorio Piscitelli e ha fatto riferimento ad una circolare dell'ex ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri che obbliga a rivedere lo status delle persone protette e mi ha comunicato, di conseguenza, le novità»;
   l'onorevole Napoli, nonostante tutto, ha cominciato a cercare qualcuno che voglia farle da autista. Ma «Nessuno mi vuole fare da autista – dice l'onorevole Angela Napoli – perché hanno giustamente paura. A questo punto rinuncerò a quel poco di scorta che mi verrebbe attribuita perché un autista non lo trovo e il poliziotto che mi verrebbe assegnato a tutela ovviamente non può guidare anche la macchina, oltretutto privata. Mi dispiace ma dirò allo Stato che si deve assumere fino in fondo la propria responsabilità. Non potrò più muovermi in alcun modo»;
   alcune delle dichiarazioni dell'onorevole Napoli fanno intuire che la decisione potrebbe essere frutto di battaglie intestine alla sua ex coalizione politica di centro destra. «Qualcuno mi fa notare – dichiara la parlamentare calabrese – che pago quel che ho detto, senza guardare in faccia a nessuno, soprattutto da dopo lo scioglimento per contiguità mafiose del Comune, di centro destra, di Reggio Calabria. Pago tutto, compreso il mio ultimo intervento a Reggio Calabria il 2 maggio scorso in cui sono ritornata su quel tema e ho come sempre denunciato i sistemi criminali che governano questa regione. Per fare nomi e cognomi non c’è bisogno di essere parlamentari ma mi domando: come può lo Stato ritenere che non ci sia più bisogno di tutelarmi o farlo in maniera tale che io sia costretta a rinunciare ? L'unica cosa che possono fare per non farmi muovere è togliermi la scorta. L'hanno fatto e se ne assumeranno la responsabilità ma io non mollerò questa battaglia di civiltà politica anche perché voglio chiarire che la scorta non mi era stata assegnata come parlamentare ma come soggetto ad alto rischio. Vuole che le racconti l'ultima ? Il prefetto mi ha detto: “se dovesse succedere qualcosa rivedremo la decisione”. E cosa aspettano ? Che mi ammazzino per ridarmi la scorta ?»;
   l'onorevole Angela Napoli deve essere tutelata perché ha, fino ad oggi, denunciato personalità della ’ndrangheta nonché gli atti illegali di alcune amministrazioni. Non è accettabile la mancata tutela di chi, denunciando fatti illeciti, mette a rischio la propria vita soprattutto quando le istituzioni sono a conoscenza, come nel caso specifico, delle minacce di morte provenienti dal boss Mancuso, emerse a seguito delle operazioni condotte dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Purgatorio, dell'avvertimento inviato dal collaboratore di giustizia D'Urzo secondo cui i boss della Piana stavano organizzando un piano per «toglierla di mezzo» ovvero delle minacce subite da parte dei Commisso. Fatti questi di cui sono a conoscenza tutte le Autorità competenti;
   la decisione di ridimensionare la scorta all'onorevole Napoli potrebbe essere interpretata come una implicita manifestazione della volontà dello Stato di non combattere la mafia: lo Stato che non si oppone all'Antistato ma si fa esso stesso Antistato –:
   se il Governo non intenda adoperarsi, promuovendo immediatamente tutte le iniziative utili ad annullare il provvedimento emesso dall'organo esecutivo di sicurezza di Reggio Calabria, per ristabilire i dispositivi di sicurezza e tutela per assicurare l'incolumità dell'ex deputata Angela Napoli, che ha sempre condotto battaglie di civiltà per l'affermazione della cultura della legalità. (5-00115)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DADONE, DIENI, COZZOLINO, TONINELLI, FRACCARO, LOMBARDI e NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da ultimo, dopo precedenti proroghe, l'articolo 1, commi 388 e 394, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), ha fissato al 30 giugno 2013 il termine di efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici approvate successivamente al 30 settembre 2003, prevedendo espressamente la possibilità di un'ulteriore proroga al 31 dicembre 2013, da disporsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
   nella presente congiuntura economica appare opportuno procedere alla proroga dell'efficacia delle citate graduatorie, almeno sino al 31 dicembre 2013, onde evitare costi ulteriori connessi all'indizione di nuove procedure concorsuali per fronteggiare eventuali vacanze organiche da parte delle amministrazioni pubbliche –:
   se non ritengano di adottare l'atto richiamato per estendere la proroga di cui all'articolo 1, comma 388, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, almeno sino al 31 dicembre 2013, onde consentire alle amministrazioni pubbliche di poter usufruire dello scorrimento delle medesime graduatorie in presenza della legittima possibilità di procedere all'assunzione di personale.
(4-00402)


   PRODANI, RIZZETTO, PELLEGRINO e ROSATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la Repubblica di Slovenia e la Repubblica di Croazia sono comproprietarie della centrale nucleare di Krško che dista solamente 201 chilometri dal territorio italiano e si trova anche in situazione cosiddetta «sottovento», visto che in quelle zone prende avvio il vento di bora che spira dal mare verso la pianura ricca di allevamenti, coltivazioni e famosi vigneti DOC e DOCG;
   da anni l'Associazionismo ambientalista del Friuli Venezia Giulia segnala come l'inquietante presenza della centrale nucleare di Krško possa costituire un grave pericolo per la cittadinanza e l'ambiente vista la sua ubicazione in una zona sismica certificata e la sua costruzione oramai vetusta, in più occasioni anche al centro di sospette fuoriuscite di materiale radioattivo, non ultima nel 2008;
   da tempo esiste il progetto, inserito nel 2011 anche nel piano energetico della Repubblica di Slovenia, di costruire accanto all'esistente centrale da 690 megawatt una nuova da 1.600 megawatt;
   quest'ultimo aveva sollevato l'entusiasmo dell'ex presidente del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, il quale si era spinto a proporre addirittura l'intervento economico della Regione a sostegno di tale impresa;
   la situazione economica, oltre al risultato del referendum popolare abrogativo del 2011, non consente affatto alcuna apertura nei confronti dell'atomo;
   l'Istituto francese sulla sicurezza nucleare IRSN ha svolto per conto della società di gestione della centrale nucleare - Gen Energija uno studio relativo al rischio sismico ed alla eventuale fattibilità di realizzazione della Krško 2;
   lo stesso approfondimento non è stato mai né divulgato né pubblicato lasciando l'opinione pubblica all'oscuro e nel patema del dubbio –:
   se il Governo darà seguito e risposta concreta alle istanze presentate dal WWF e da Legambiente del Friuli Venezia Giulia in data 24 aprile 2013;
   se il Governo intenda adoperarsi per ottenere risposte certe ed immediate da parte dei Governi sloveno e croato in merito allo status della centrale esistente ed allo stato dell'opera di eventuali progettualità;
   se, nell'ottica della tutela del cittadino e dell'ambiente, nonché della qualità della vita, il Governo si impegnerà a promuovere ogni campagna di sensibilizzazione volta alla prevenzione degli effetti della presenza di materiale radioattivo, oltreché di educazione all'energia nucleare. (4-00417)


   TIDEI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dai primi di aprile 2013 la discarica di Malagrotta in ottemperanza alle normative europee ha cessato il ricevimento dei rifiuti indifferenziati. L'immobilismo degli ultimi anni ha portato all'ennesima emergenza rifiuti e all'ennesimo commissariamento della sua gestione nelle mani del commissario Goffredo Sottile;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il decreto ministeriale l4 febbraio 2013, n. 22, ha decretato la semplificazione della normativa che prevede la combustione del CDR (combustibile da rifiuti) o del CSS (combustibile solido secondario) e il declassamento del CSS da rifiuto a combustibile di qualità, all'interno di siti produttivi come cementifici o centrali termoelettriche; il Css smette di essere rifiuto speciale e diventa Css-combustibile a seguito della dichiarazione di conformità che emette il gestore dell'impianto che lo ha prodotto;
   il Consiglio di Stato (sez. VI, ordinanza 9 marzo 2013, n. 794) ha riformato l'ordinanza con cui il TAR Lazio accoglieva l'istanza cautelare di alcune province e comuni del Lazio avverso il citato decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Di fatto, con questo provvedimento, è ormai vigente il piano regionale dei rifiuti varato dalla giunta Polverini, piano di gestione dei rifiuti del Lazio approvato con deliberazione del consiglio regionale del Lazio del 18 gennaio 2012 n. 14;
   il 4 aprile 2013 il Ministro pro tempore Clini ha firmato l'AIA (autorizzazione integrata ambientale) della centrale di Torre Valdaliga Nord con il quale si sono stabilite le condizioni di esercizio dell'impianto per i prossimi otto anni;
   il commissario straordinario ai rifiuti del Lazio Goffredo Sottile, nell'espletamento delle sue funzioni, ha il pieno potere decisionale anche al fine di individuare siti per l'incenerimento di CDR o CSS;
   a tal fine, il commissario Goffredo Sottile ha richiesto agli uffici regionali (dipartimento programmazione economica e sociale-direzione regionale attività produttive e rifiuti) l'elenco degli impianti esistenti utilizzabili fin da oggi (decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 25 marzo 2013 prot. N.100-Riscontro nota prot. n. 242/2013/U del 27 marzo 2013). Nell'elenco prodotto dalla regione (Prot. 58344 DB/04/13 del 28 marzo 2013) risultano presenti, tra gli altri, gli impianti termoelettrici di TorreValdaliga Nord e TorreValdaliga Sud;
   la situazione ambientale del comprensorio di Civitavecchia merita una attenzione particolare vista la presenza massiccia di rilevanti fattori di pressione ambientale;
   secondo uno studio del dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario della regione Lazio la popolazione residente nel comune di Civitavecchia nel periodo tra il 2006 e il 2010 presenta un quadro di mortalità per cause naturali (tutte le cause eccetto i traumatismi) e per tumori maligni in eccesso di circa il 10 per cento rispetto alla popolazione residente nel Lazio nello stesso periodo;
   secondo quanto appena detto il comune di Civitavecchia ha deliberato di istituire attraverso la Asl RmF, il registro dei tumori, quale studio dell'incidenza e della prevalenza dei tumori;
   tale evidenzia era stata, peraltro, constatata nell'ambito del decreto di valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente n. 680 del 4 novembre 2003 inerente alla riconversione a carbone della centrale di Torre Valdaliga Nord, in cui, in relazione alle emissioni pregresse delle centrali termoelettriche insistenti sul territorio, si legge «Non è possibile escludere che tali emissioni abbiano comportato un impatto sulla salute umana che non è ancora completamente manifestato ed è quindi raccomandabile per il futuro continuare ed anzi rafforzare l'attuale politica di contenimento del carico inquinante»;
   il comune di Civitavecchia, attraverso una ordinanza del sindaco del 26 aprile 2013 ha disposto il divieto totale ed assoluto di combustione presso le centrali elettriche e presso gli altri opifici industriali presenti sul territorio, con qualsiasi modalità e con l'utilizzo di qualsiasi procedimento tecnico, di rifiuti e di materiale di risulta, siano essi ornatura organica o inorganica; ha, inoltre, ordinato che le forze dell'ordine, il Corpo della polizia locale, la A.S.L., l'A.R.P.A. Lazio, l'I.S.P.R.A ed il competente servizio comunale ambiente curino l'attuazione ed il rispetto della disposizione;
   i comuni del territorio hanno approvato una mozione che impegna le amministrazioni di competenza a mettere in campo ogni azione necessaria a impedire che le centrali di Torre Valdaliga Nord e di Torre Valdaliga Sud siano utilizzate per l'incenerimento del combustibile da rifiuti combustibile solido secondario;
   la provincia di Roma, nel pieno delle sue funzioni, si è più volte espressa, attraverso mozioni, approvate all'unanimità del consiglio, contro ogni ipotesi di incenerimento di rifiuti negli impianti di Torre Valdaliga Nord e Torre Valdaliga Sud;
   lo stato di sofferenza sanitaria della popolazione è stato registrato sin dagli anni Ottanta da diverse indagini epidemiologiche –:
   quale sia la posizione del Governo sull'ipotesi di usare gli impianti termoelettrici di Torrevaldaliga Nord e Torrevaldaliga Sud per la combustione di Cdr e Css. (4-00422)


   DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la determinazione 91/2012 della Corte dei Conti relativa al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per l'esercizio 2011 ha evidenziato una persistente scopertura dei dipendenti in servizio che si attesta all'8,7 per cento nel 2011, per effetto di una contrazione nella consistenza complessiva discesa da 27.640 unità nel 2010 a 26.707 unità nel 2011, nonostante il notevole ridimensionamento della dotazione organica da 32.074 a 29.262 posti, operato in attuazione della legge n. 25 del 2010, fenomeno che deriva – anche nel 2011 – dal maggiore esodo annuale (1338), rispetto ai minori ingressi (405) collegati al blocco delle assunzioni e che ha assunto livelli allarmanti per la funzionalità dell'istituto a fronte dell'accrescimento degli impegni istituzionali;
   nonostante l'accorpamento degli enti previdenziali Inpdap e Enpals nell'Inps che avrebbe dovuto eliminare le carenze d'organico, tenuto conto del forte esubero dell'organico Inpdap, il risultato aggregato degli organici al 31 dicembre 2010 Inps-Inpdap-Enpals ha evidenziato una carenza totale nell'area B di Inps-Inpdap-Enpals di 197 unità a cui vanno aggiunte le unità cessate nell'arco di ben due anni e quattro mesi (tutto il 2011, tutto il 2012, i primi quattro mesi del 2013) a causa dei pensionamenti ed un'ulteriore scopertura per il passaggio di 324 unità dall'area B Inps all'area C Inps;
   per sopperire alle sopra citate carenze d'organico l'Inps ha provveduto a triplicare la spesa per l'acquisizione di prestazioni di lavoro temporaneo nel 2010, come si evince dalla determinazione 91/2012 della Corte dei Conti e, successivamente, avendo la Corte ripetutamente sottolineato che, per fronteggiare le scoperture organiche, non appare strumento adeguato il ricorso al lavoro interinale che rischia di tradursi in anomali processi di esternalizzazione dell'attività istituzionale e di alimentare indebite aspettative di assunzione ed avendo, quindi, tale fenomeno subito il notevole intervento limitativo introdotto dall'articolo 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, con decorrenza dal 2011, l'Inps ha provveduto ad assumere personale tramite l'istituto della mobilità volontaria e successivamente a stabilizzarlo;
   allo stato attuale risultano ancora non esaurite le graduatorie relative ai concorsi pubblici Inps concernenti i seguenti profili: 50 posti, personale amministrativo, area B; 108 posti, personale amministrativo, area C; 293 posti, ispettori di vigilanza, area C, le cui scadenze sono previste nell'agosto 2013;
   con sentenza n. 4329/2012 il Consiglio di Stato ha sottolineato che il comma 2-bis dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede la prevalenza della mobilità esterna solamente rispetto a nuove procedure concorsuali e che l'interpretazione estensiva della norma, che fa prevalere la mobilità sullo scorrimento delle graduatorie, non trova giustificazione né nella lettera della norma né nella ratio ad essa sottesa, volta al contenimento della spesa pubblica ed alla razionalizzazione delle risorse umane ed economiche. Invero, lo scorrimento delle graduatorie trova causa proprio nell'obiettivo di ridurre la spesa pubblica, evitando l'indizione di nuovi concorsi per il reclutamento del personale e contestualmente attua i principi di economicità ed efficienza dell'azione amministrativa, tenuto conto del costo e dei tempi per l'esperimento di procedure concorsuali, compresa la procedura di mobilità;
   con sentenza n. 7221/2012 il TAR del Lazio ha richiamato l'orientamento giurisprudenziale più recente, a parere del Collegio meritevole di piena condivisione, in tema di utilizzazione delle graduatorie concorsuali ai fini dell'assunzione dei soggetti che vi compaiono quali idonei, secondo cui le amministrazioni possono discrezionalmente orientarsi in ordine all’«an» della assunzione, ma non invece in ordine al «quomodo» della stessa. Ciò vuol dire che le amministrazioni possono valutare discrezionalmente se risponde al loro interesse, in quel determinato momento storico far luogo alla copertura del posto o dei posti in pianta organica a mezzo di nuova assunzione, ma una volta che la decisione di assumere è stata presa, l'amministrazione è vincolata ad attingere alla graduatoria concorsuale ancora valida ed efficace posto che tale soluzione è imposta dal rispetto del principio costituzionale di buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione nell'organizzazione dei pubblici uffici (articolo 97 Costituzione) –:
   se il Governo ritenga o meno di prevedere, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, un'ulteriore proroga, almeno sino al 31 dicembre 2013, del termine di efficacia delle graduatorie in scadenza, onde consentire all'amministrazione pubblica di poter usufruire dello scorrimento delle suddette graduatorie in presenza della legittima possibilità di procedere all'assunzione di personale. (4-00423)


   LIUZZI, DE LORENZIS, CATALANO, CRISTIAN IANNUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e NICOLA BIANCHI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   il 12 agosto 2012 è entrata in vigore la legge 7 agosto 2012, n. 134 che ha convertito, con modificazioni, il decreto legge 22 giugno 2012, n. 83 recante «Misure urgenti per la crescita del Paese» cosiddetto «decreto crescita 2.0»;
   nel decreto succitato viene istituita l'Agenzia digitale italiana alla quale sono affidati interventi previsti nei settori quali: identità digitale, pubblica amministrazione digitale/open data, istruzione digitale, sanità digitale, divario digitale, pagamenti elettronici e giustizia digitale;
   nell'articolo 22 del decreto-legge n. 83 del 2012 vengono trasferite all'Agenzia per l'Italia digitale il personale e le funzioni della DigitPa e il personale e le funzioni di quello dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione;
   il personale della DigitPa conta 120 unità, in base alla tabella A del decreto legislativo 177 del 2009, prevista dall'articolo 12, comma 1;
   l'8 marzo 2013 il Presidente del Consiglio pro tempore Mario Monti, su iniziativa dei Ministri pro tempore Passera, Patroni Griffi, Profumo e Grilli, ha firmato il decreto che approva lo statuto dell'Agenzia per l'Italia digitale e in seguito all'approvazione, lo Statuto è stato inviato alla Corte dei conti per il controllo consueto;
   il ministro pro tempore Corrado Passera ha pubblicamente commentato, dicendo che si trattava di un «altro passo avanti per l'Agenda digitale per dotare i cittadini di servizi più efficienti», permettendo al nuovo organismo operatività per svolgere «gli importanti compiti sul fronte dell'innovazione che le sono stati assegnati»;
   tuttavia, le organizzazioni sindacali Fp Cgil, Fp Cisl, Falbi, Ugl, Fialp Cisal e la Rsu Agenzia per l'Italia digitale, tramite una missiva inviata al direttore Agostino Ragosa reputavano che l'approvazione dello statuto non rientrava nei poteri di «ordinaria amministrazione del Governo dimissionario» accusando lo statuto di contenere «previsioni in assoluto contrasto con la stessa normativa di risparmio e contenimento della spesa pubblica che ha ispirato la riforma e soppresso i vari enti che sono poi confluiti nella nuova Agenzia»;
   durante il discorso di fiducia alla Camera dei deputati, l'attuale Presidente del Consiglio Enrico Letta ha dichiarato che tra i pilastri del piano pluriennale di ricerca e innovazione vi sono l'Agenda digitale e l'economia verde, insieme all'aerospazio e alle nanotecnologie;
   ciononostante, in data 8 maggio 2013 si apprendeva dagli organi di stampa che il Governo aveva ritirato lo statuto dell'Agenzia per l'Italia digitale, inviato a metà marzo 2013 alla Corte dei conti per la registrazione –:
   quali siano le motivazioni in base alle quali sia stato disposto il ritiro dello statuto dell'Agenzia digitale per l'Italia;
   quali azioni si intendano porre in essere affinché l'Agenzia per l'Italia digitale possa al più presto attivare gli interventi per i quali è stata istituita. (4-00426)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 10 maggio 2013 il giornalista Roberto Galullo, del quotidiano economico Il Sole 24 Ore, ha scritto sul suo blog che ad Angela Napoli, già membro della Commissione parlamentare antimafia, è stato ridotto il livello di tutela da parte dello Stato, passato da 2 a 4 con conseguente perdita della macchina blindata, dell'autista e dell'agente di cui disponeva per gli spostamenti;
   come si evince dalle cronache, la ex parlamentare è stata più volte minacciata dalla criminalità organizzata per causa delle sue denunce e attività di contrasto, sia istituzionali che politiche, le quali hanno avuto effetti importanti nella lotta dello Stato all'antistato;
   il lungo lavoro istituzionale dell'onorevole Napoli, per tre mandati in Commissione Antimafia, ha comportato, unitamente al fatto di essere donna e calabrese, una obiettiva e fisiologica esposizione della medesima, anche per l'attenzione di vari media italiani rispetto alle vicende della ’ndrangheta e alle azioni e dichiarazioni della ex parlamentare, indipendenti – come è riscontrabile, per esempio, dagli archivi dei giornali Il Corriere della Sera o La Repubblica – dall'appartenenza a un partito o a uno schieramento politico;
   nello scorso gennaio è emerso da una captazione nel carcere di Tolmezzo (Udine) – figura nel medesimo post del suddetto giornalista di Il Sole 24 Ore – che il presunto boss Pantaleone Mancuso confidò di orditure per l'uccisione dell'onorevole Napoli, che vive prevalentemente in Calabria, lì continuando a svolgere attività politica centrata sulla legalità e sulla giustizia;
   con la riduzione in argomento passa, secondo l'interrogante, un messaggio di debolezza dello Stato e, addirittura, di palmare dissuasione del contrasto politico, istituzionale e culturale della ’ndrangheta calabrese –:
   quali siano le ragioni per cui all'onorevole Angela Napoli è stato recentemente assegnato un livello di vigilanza corrispondente a 4, che non prevede l'auto blindata, l'agente di tutela e l'autista di servizio, nonostante l'episodio relativo alla riportata captazione;
   quali siano le misure adottate per tutelare la ex parlamentare, anche in considerazione della recente minaccia pronunciata dal predetto Mancuso;
   se non ritengano opportuno potenziare la vigilanza e la tutela nei confronti dell'onorevole Napoli, anche per consentirle, nel rispetto della Costituzione, di partecipare alla vita democratica attraverso la rimozione di situazioni di potenziale rischio per la sua incolumità, che ostacolerebbero la prosecuzione della sua attività politica. (4-00430)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   dal 19 febbraio 2013, il vulcano Etna ha iniziato un'intensa attività eruttiva con abbondante caduta di lapilli e cenere vulcanica causando gravissimi danni alla viabilità, alle coltivazioni, alle popolazioni e alle infrastrutture civili ed urbane;
   i comuni di Acireale, Santa Venerina, Zafferana Etnea, Piedimonte Etneo, Riposto, Ragalna, Aci S. Antonio, Aci Catena, Milo, Maniace, Mascali, Linguaglossa, Castiglione di Sicilia, Francavilla di Sicilia, Giarre, Riposto, Sant'Alfio, Fiumefreddo di Sicilia, Gravina di Sicilia e tutto il versante nord-est dell'Etna sono interessati e, soprattutto, colpiti dal fenomeno parossistico dell'Etna;
   i danni che derivano dal fenomeno vulcanico risultano essere ingenti sia per le strutture pubbliche che per quelle private, sia per gli immobili urbani che per le colture danneggiate dalla pioggia di lapilli;
   questi fenomeni provocano anche gravi conseguenze alla salute della popolazione dovuta alla continua esposizione dell'organismo, in particolare le vie respiratorie e gli occhi, alle particelle vulcaniche;
   gli interventi di pulizia delle strade e delle piazze, degli immobili pubblici e l'opera di raccolta dei sacchetti di cenere vulcanica dentro i quali i privati cittadini hanno conferito la sabbia vulcanica presente nei pressi delle proprie abitazioni sono stati, fino ad oggi, a carico dei dissestati bilanci dei comuni della zona interessata;
   i sindaci dei comuni colpiti dall'evento vulcanico stanno chiedendo da moltissimi giorni alla regione siciliana e alla Presidenza del Consiglio il riconoscimento dello stato di calamità naturale per far fronte sia ai costi per la ripulitura dei luoghi pubblici e privati coperti dalla cenere vulcanica sia per rimediare ai danni che la stessa cenere sta provocando all'economia della zona etnea;
   a giudizio dell'interrogante sollevare le popolazioni interessate dal pagamento di alcuni tributi al fine di poter far fronte ai costi di ripristino dei propri beni danneggiati, prevedere un contributo economico a supporto delle produzioni agricole colpite e danneggiate dagli eventi eruttivi ed aumentare i trasferimenti ai comuni per costituire appositi capitoli di bilancio da destinare a questo particolare tipo di intervento;
   lo stato di emergenza, proprio per il fatto che l'Etna ha modificato la sua attività vulcanica intensificando i fenomeni eruttivi di breve durata alternati a periodi di relativa calma eruttiva, dovrebbe essere emanato legandolo alla durata dei vari periodi dell'attività vulcanica –:
   se una richiesta di dichiarazione di stato di calamità sia giunta dalla regione siciliana in merito all'eruzione dell'Etna di queste ultime settimane;
   quali iniziative e provvedimenti intenda adottare il Presidente del Consiglio dei ministri affinché vengano affrontati con efficacia ed urgenza le problematiche esposte in premessa. (4-00432)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   PORTA, LA MARCA, GIANNI FARINA, FEDI e GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è da anni sospesa l'attività dello Stato italiano per garantire ai cittadini italiani residenti all'estero una adeguata tutela socio-previdenziale in regime internazionale;
   fino agli anni 2000 l'Italia aveva tuttavia assicurato un buon livello di tutela ai lavoratori emigrati all'estero con la stipula di numerose convenzioni multilaterali e bilaterali di sicurezza sociale;
   la finalità degli accordi di sicurezza sociale è quella di garantire la parità di trattamento di lavoratori e pensionati che si spostano, spesso permanentemente, dall'uno all'altro Paese contraente e l'esportabilità delle prestazioni previdenziali di cui sono o saranno eventualmente titolari;
   la stipula di tali accordi bilaterali di sicurezza sociale consente, inoltre, ai lavoratori italiani emigrati e ai lavoratori stranieri immigrati in Italia, i quali, per varie ragioni, al compimento dell'età pensionabile non sono in grado di maturare un diritto previdenziale autonomo nel loro Paese d'origine per insufficienza contributiva, di attivare il meccanismo della totalizzazione dei contributi versati nei Paesi contraenti, ai fini del perfezionamento del diritto a un pro-rata (quota parte di pensione) e quindi di utilizzare proficuamente contributi che altrimenti rimarrebbero inutilizzati;
   la maturazione di un diritto previdenziale in convenzione internazionale fa conseguire un diritto a pensione sia a carico dell'Italia che dell'altro Paese contraente;
   il sistema di tutela previdenziale in regime internazionale sopra descritto costruito nel corso degli anni dall'Italia non è purtroppo completo, perché numerosi Paesi di emigrazione italiana sono rimasti esclusi come il Cile, il Perù, l'Ecuador e il Messico dove risiedono rispettivamente 48.125, 29.494, 13.468 e 11.471 cittadini italiani iscritti all'AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all'estero); da Cile, Perù, Ecuador e Messico sono immigrati in Italia, dove vivono con regolare permesso di soggiorno, rispettivamente 3.629, 101.711, 85.518 e 5.192 soggetti cittadini di tali Paesi, cifre queste ultime destinate ad aumentare;
   la consistenza della presenza di cittadini italiani in questi Paesi e di cittadini di questi Paesi in Italia privi di tutela previdenziale in convenzione, impone, se lo si ritiene un dovere di un Paese civile, la stipula di convenzioni bilaterali di sicurezza sociale che tutelino adeguatamente questi lavoratori nell'ambito socio-previdenziale, anche per evitare che i lavoratori immigrati in Italia rappresentino un onere per il nostro Stato, richiedendo all'Inps, al compimento dell'età prevista, l'erogazione dell'assegno sociale che dovrà essere concesso in mancanza di una prestazione erogata dal Paese di provenienza;
   nella passata legislatura il Ministero del lavoro e delle politiche sociali aveva evidenziato come la tematica della sicurezza sociale negli accordi internazionali è stata oggetto di approfondite analisi anche a livello interministeriale (Ministero degli affari esteri, Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero della salute, Inps) ove sarebbero emerse alcune problematiche di complessa soluzione che riguardano, in particolare, la difficoltà nel quantificare con certezza tutti gli oneri finanziari derivanti da tali atti internazionali e la relativa incidenza sul bilancio dello Stato;
   con il Cile una convenzione di sicurezza sociale è stata firmata il 5 marzo 1998, e successivamente il 19 novembre 1999 l'accordo amministrativo per l'applicazione della convenzione – il Parlamento cileno ha già approvato la convenzione ma manca l'approvazione del Parlamento italiano per la sua entrata in vigore; con l'Ecuador e con il Perù sono stati avviati negoziati diplomatici per le eventuali intese bilaterali e predisposte le bozze degli accordi di sicurezza sociale ma l'Italia ha rappresentato a tali Paesi le presunte difficoltà finanziarie che rallentano la finalizzazione degli accordi; con il Messico attualmente non vi sono addirittura in corso negoziati in materia di sicurezza sociale;
   come rilevato dagli stessi ministeri competenti i benefici che deriverebbero dalla vigenza di tali accordi internazionali di sicurezza sociale sarebbero finiti non solo dai lavoratori interessati ma anche dalle imprese italiane che sono interessate ad evitare la doppia contribuzione (in Italia e all'estero) al fine di migliorare la propria competitività sul piano internazionale rispetto alle imprese di altri Paesi che invece beneficiano di analoghe convenzioni;
   dalla vigenza di tali accordi deriverebbero quindi benefici, in termini di reciprocità, calcolabili sotto il profilo della tutela previdenziale dei lavoratori, nonché di aumento dei redditi e della competitività delle imprese –:
   quale sia la politica del Governo in relazione alla tutela dei diritti previdenziali dei lavoratori italiani emigrati nei Paesi succitati e dei lavoratori di tali Paesi immigrati in Italia titolari di regolare permesso o carta ai soggiorno;
   quali iniziative urgenti si intendano adottare per completare il quadro di tutela previdenziale in regime internazionale con la stipula di convenzioni con i Paesi succitati dove vivono importanti comunità di cittadini italiani e da dove sono immigrati in Italia migliaia di lavoratori locali;
   quali eventuali iniziative si intendano adottare per verificare le reali implicazioni finanziarie che la ratifica di tali accordi comporta, anche alla luce della possibilità di limitare l'esportabilità delle prestazioni assistenziali e/o legate alla residenza, e del fatto che se gli immigrati da questi Paesi in Italia, tramite la stipula delle convenzioni bilaterali, matureranno un diritto a pensione a carico del loro Paese non graveranno sullo Stato italiano con l'eventuale richiesta dell'assegno sociale. (4-00405)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI, MARIANI, BARUFFI e BRATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da recenti cronache locali e nazionali è emerso che la società milanese Exploenergy s.r.l ha presentato una domanda al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) per individuare nel sottosuolo compreso tra i comuni di Finale Emilia, Medolla, Mirandola, Camposanto, Ravarino, Bomporto e San Felice sul Panaro, in pieno «cratere» sismico, la presenza di «shale gas» o gas da argille non convenzionali;
   lo shale gas è un gas naturale ricavato da giacimenti non convenzionali di rocce sedimentarie, perlopiù argille parzialmente diagenizzate, che si sono formati in aree coperte da acqua superficiale, gas estraibile attraverso perforazioni orizzontali e fatturazioni idrauliche, quindi, interventi di fracking che però destano preoccupazione e paura in una terra già terremotata;
   nello stesso territorio e precisamente nel comune di San Felice nella frazione di Rivara, è ancora in attesa di un definitivo diniego da parte dei Ministeri competenti l'autorizzazione presentata da Erg e Independent Resources per la realizzazione di uno stoccaggio gas in acquifero, questione sulla quale l'interrogante ha già presentato in data 26 marzo 2013 un atto di sindacato ispettivo n. 5-00057 a tutt'oggi in attesa di risposta;
   l'area del sottosuolo individuata come possibile area di ricerca per ottenere il «permesso di ricerca in terraferma» è un'area di 656 chilometri quadrati tra le province di Modena, Ferrara e Bologna, una zona ad alto rischio sismico, colpita solo 11 mesi fa da un terremoto di magnitudo 5.9 che ha provocato 28 vittime, 350 feriti e 16 mila sfollati;
   la domanda per la concessione della succitata autorizzazione è stata presentata il 14 marzo 2012 ed il 30 aprile 2012 è stata pubblicata sul Buig (bollettino ufficiale degli idrocarburi e georisorse);
   sulla base del parere favorevole del CIRM (commissione per gli idrocarburi), nel febbraio 2013 il Ministero dell'ambiente ha autorizzato la società proponente Exploenergy S.r.l, a inviare copia della documentazione ai comuni interessati, con conseguente richiesta di emanazione degli atti di competenza delle stesse amministrazioni, e l'istanza in oggetto risulterebbe a tutt'oggi al vaglio della commissione nazionale valutazione impatto ambientale (Via) per il parere di competenza –:
   se corrisponda al vero quanto descritto sullo stato dell'istanza presentata dalla società Exploenergy s.r.l.;
   quali misure di precauzione si intendano adottare rispetto all'uso di una tecnologia così invasiva e devastante in un territorio reso già fragile dall'alto rischio sismico;
   in considerazione del forte impatto che l'applicazione di tale tecnologia comporta sul territorio e degli inevitabili effetti che su esso provoca, se non si ritenga opportuno e necessario rendere partecipi nelle diverse fasi di valutazione del progetto in questione le amministrazioni comunali, provinciali e regionali coinvolte, nonché i cittadini riuniti in comitati organizzati;
   come si intendano collocare la valutazione di tali istanze, singole e isolate, all'interno di una strategia energetica nazionale che per le implicazioni che comporta, non può prescindere da un confronto ampio e partecipato con il territorio, le imprese, i cittadini. (5-00108)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da numerose agenzia stampa che due settimane fa la Commission europea ha messo in mora l'Italia perché inadempiente sulle norme comunitarie relative ai livelli d'inquinamento acustico. Il Governo ha ora quasi due mesi di tempo per presentare le sue precisazioni e controdeduzioni. Se esse non saranno ritenute sufficienti scatteranno da parte dell'Unione europea le procedure d'infrazione che prevedono una «multa» salata. La notizia, spiega una nota, è stata data da Lorenzo Lombardi, responsabile per l'acustica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai margini della giornata di studi dal titolo «Rumore e qualità della vita» tenutasi a Firenze organizzata dall'Associazione italiana di acustica;
   la Commissione europea ha messo in mora il Governo italiano il 25 aprile 2013 per il mancato rispetto della direttiva 2002/49 che stabilisce la gestione del rumore ambientale nelle regioni con aree urbane superiori ai 250 mila abitanti e la presenza di infrastrutture come autostrade e ferrovie. Secondo la Commissione sono stati forniti dati incompleti sulla mappatura del territorio, i piani di azione per la riduzione dell'inquinamento da rumore e la comunicazione ai cittadini;
   sull'inquinamento acustico, si apprende sempre da fonti di agenzia, l'Italia risulta un Paese diviso in più aree eterogenee che con fatica, avendo poche risorse disponibili, cercano di implementare politiche antirumore e altre che fanno poco o addirittura nulla;
   si stima che per mettere in regola il Paese da qui ai prossimi 15 anni servirebbero non meno di 10 miliardi di euro solo per ferrovie e strade, mentre per le città non si possono fare stime dato l'elevato ammontare prevedibile –:
   quali iniziative urgenti intenda mettere in campo il Ministro interrogato per evitare le procedure di infrazione comunitarie dovute al mancato rispetto delle norme antirumore e inquinamento acustico;
   se non si ritenga utile presentare un piano nazionale antirumore riservando ad esso risorse certe, considerato che secondo dati dell'istituto di ricerca indipendente Tno, il rumore prodotto dal traffico causa danni al 44 per cento della popolazione europea e costa 326 miliardi di euro alla sanità comunitaria. (4-00401)


   ZAN, ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a gennaio e febbraio del 2013, a Camere ormai sciolte, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Clini ha presentato al Parlamento per il parere, uno schema di decreto del Presidente della Repubblica per l'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS), in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime di autorizzazione integrata ambientale;
   dopo un parere favorevole con condizioni, espresso molto rapidamente dalla Commissione ambiente del Senato il 16 gennaio 2013, senza peraltro che nessun senatore fosse intervenuto in discussione, la Commissione ambiente della Camera, il successivo 11 febbraio, aveva invece espresso parere negativo al medesimo schema di decreto del Presidente della Repubblica;
   da quel momento, di detto decreto del Presidente della Repubblica sui combustibili solidi secondari, se ne sono perse le tracce, e finora non è ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale;
   intanto però, sono stati recentemente pubblicati due decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il decreto 14 febbraio 2013, n. 22, (Gazzetta Ufficiale del 14 marzo 2013) recante la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), dove vengono stabiliti – tra l'altro – i criteri da rispettare affinché determinate tipologie di combustibile solido secondario (CSS), cessano di essere qualificate come rifiuto; il decreto 20 marzo 2013 (Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 2013) che modifica l'allegato X della parte quinta del codice ambientale, in materia di utilizzo del combustibile solido secondario (CSS), che recepisce i criteri contenuti nel suddetto decreto del 14 febbraio 2013, n. 22, che devono essere rispettati affinché determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS) cessino di essere qualificate come rifiuto e possano quindi essere riutilizzati;
   la momentanea mancata pubblicazione in Gazzetta del decreto del Presidente della Repubblica sull'utilizzo in alcune categorie di cementifici dei combustibili solidi secondari (CSS), in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, nulla toglie alla sempre dichiarata ferma volontà del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Clini di proseguire in quella che agli interroganti appare la «scorciatoia» dell'incenerimento dei rifiuti nei cementifici, bruciando rifiuti solidi urbani per alimentare i forni di cottura del clinker, cioè la componente principale del cemento;
   per i cementieri dell'Aitec (Associazione italiana tecnico economica cemento) si tratta di recupero energetico, per l'Associazione medici per l'ambiente «la combustione di rifiuti nei cementifici comporta una variazione della tipologia emissiva di questi impianti, in particolare di diossine e metalli pesanti»;
   l'utilizzo di CSS per alimentare i forni di cottura dei cementifici, produrrebbe, tra l'altro, gravi conseguenze in diverse aree del Paese, dove sono ubicati numerosi cementifici in termini di inquinamento ambientale e di peggioramento degli attuali livelli di raccolta differenziata dei rifiuti;
   a ciò va aggiunta l'aggravante della mancanza nel nostro Paese di un serio ed efficace sistema nazionale di controlli ambientali;
   utilizzare i combustibili solidi secondari è dannoso per la salute e soprattutto è superato in quanto esistono moderne tecnologie e soluzioni alternative alla combustione che creano maggiori posti di lavoro e sono più sostenibili a livello economico e ambientale;
   la scelta dell'incenerimento dei rifiuti (CSS) nei cementifici non è condivisibile se consideri la diversità esistente fra i limiti delle emissioni di inquinanti pericolosi per la salute previsti per i cementifici: polveri totali: mg 30/Nm3; biossido di zolfo: mg 600/Nm3; ossido di azoto: mg 1.800/Nm3; mentre i limiti per gli stessi inquinanti prodotti dagli inceneritori sono: polveri totali: mg 10/Nm3; biossido di zolfo: mg 50/Nm3; ossido di azoto: mg 200/Nm3;
   peraltro continuare a bruciare rifiuti è uno spreco di risorse e un costo altissimo in termini ambientali, e non si rispettano le disposizioni europee sul recupero della materia che è prioritario nella gerarchia d'intervento, continuando a ignorare anche la direttiva 96/62/CE, sulle polveri sottili finanche dopo la condanna dell'Italia da parte della Corte di giustizia del 19 dicembre 2012;
   il ricorso indiscriminato all'incenerimento dei rifiuti va infatti in tutt'altra direzione rispetto alla corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti e al necessario incremento della raccolta differenziata –:
   se non si ritenga di non procedere all'adozione del regolamento sulla disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS), in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime dell'autorizzazione integrata ambientale, già presentato per il parere presso le Commissioni parlamentari competenti dal precedente Governo;
   se risulti che siano stati pienamente valutati – nella decisione di utilizzare in alcune categorie di cementifici i combustibili solidi secondari (CSS) – gli effetti di tale scelta sulla salute pubblica.
(4-00420)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO e PRODANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   numerosi cittadini hanno approfittato per eseguire lavori di ristrutturazione a fronte della possibilità di detrazioni, post fatturazione, pari al 50 per cento, dilazionato in dieci anni come previsto dal cosiddetto decreto salva Italia;
   la crisi finanziaria non facilita un eventuale accollo del 64 per cento delle spese già sostenute da parte dei privati cittadini;
   le agevolazioni previste del 50 per cento avranno scadenza il 30 giugno del corrente anno come previsto dal decreto-legge «Mille Proroghe»;
   troppo spesso le condizioni economiche dei cittadini negli ultimi anni sono mutate in peius senza alcuna avvisaglia decretando un aumento esponenziale non solo del tasso di disoccupazione ma anche dei soggetti richiedenti ausili finanziari di diversa tipologia;
   gli istituiti di credito troppo spesso non esprimono favore nel reiterare concessioni benevoli nei confronti degli utenti se non pro domu propria –:
   se intenda assumere iniziative normative urgenti per prorogare fino alla data del 30 giugno 2015 la possibilità di detrazioni fiscali pari al 50 per cento in caso di lavori di ristrutturazione immobiliare;
   se intenda assumere iniziative normative per modulare la detrazione in un periodo compreso dai cinque ai dieci anni per consentire lo sgravio a coloro i quali possono adoperarsi in tal senso. (5-00111)

Interrogazione a risposta scritta:


   CARUSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 4-bis, del decreto-legge del 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge del 24 marzo 1993, n. 75, stabilisce che «...per i cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato, si considera direttamente adibita ad abitazione principale l'unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata»;
   il decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, recante semplificazione fiscale, convertito con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, ha stabilito che «i Comuni possono considerare direttamente adibita ad abitazione principale l'unità immobiliare territorio dello Stato»;
   se con il primo provvedimento l'abitazione dei connazionali residenti oltre confine è stata configurata come «abitazione principale» in maniera automatica, con il principio di discrezionalità riconosciuto ai comuni dal secondo provvedimento, si crea una contraddizione di grande rilevanza;
   le famiglie degli italiani residenti all'estero si trovano ad affrontare situazioni di grande disagio economico perché i comuni applicano tariffe maggiorate su questi immobili, come se si trattassero di seconde case;
   il principio promosso dalla legge n. 75 del 1993 di considerarle automaticamente come prime case voleva salvaguardare il legame che i connazionali oltre confine vogliono mantenere con il Paese d'origine. Considerare la loro proprietà immobiliare in suolo italiano come un bene di lusso non aiuta alla salvaguardia di questo legame;
   inoltre, la mancata applicazione della legge n. 75 del 1993 comporta, l'esclusione di fatto dalla sospensione del pagamento della rata di giugno dell'imposta municipale unica, annunciata dal Presidente del Consiglio Enrico Letta durante il discorso per la fiducia alle Camere, considerando che questa sospensione riguarderà le prime case –:
   se si possa valutare l'opportunità di procedere al più presto all'applicazione della sopraccitata legge n. 75 del 1993, assumendo iniziative per eliminare la contraddizione normativa oggi vigente;
   se ritenga di valutare l'opportunità di assumere iniziative per estendere la sospensione del pagamento della rata di giugno 2013 dell'IMU anche per gli immobili di proprietà dell'applicazione del provvedimento prima esposto. (4-00409)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   lo strumento dei concordati preventivi è stato profondamente riformato a metà degli anni 2000 per facilitare la ristrutturazione dei debiti e, quindi, il superamento delle crisi d'impresa;
   l'articolo 33 del decreto legge n. 83 del 2012 (cosiddetto decreto sviluppo) ha voluto semplificare la possibilità di ottenere il concordato e quindi di ridurre i tempi di ripresa delle imprese in difficoltà;
   tuttavia in un periodo di crisi gravissima e diffusa come l'attuale, questo strumento sta diventando un sistema «legale» per non pagare i fornitori, subappaltatori e altri creditori, creando oltretutto concorrenza sleale verso le imprese che rispettano gli impegni;
   l'esperienza di questi mesi ha infatti mostrato come il concordato preventivo abbia rivelato alcuni punti deboli, e diverse imprese creditrici ne hanno, infatti, denunciato un uso distorto da parte dei propri debitori. Una pratica che si è manifestata con il pagamento di percentuali minimali ai fornitori (spesso inferiori al 10 per cento e con punte pari a pochi decimali), la liquidazione del poco che resta del complesso aziendale e la ripartenza attraverso una newco libera da pesi e responsabilità;
   nei primi 7 mesi di applicazione del nuovo modello si è rilevato un incremento del numero delle domande di accesso alla procedura anche del 300 per cento, molte delle quali finalizzate a eludere i propri obblighi in modo fraudolento poiché il debitore può beneficiare immediatamente della sospensione dei pagamenti e delle azioni esecutive;
   questa distorsione nell'applicazione della norma va pertanto affrontata, anche per preservare uno strumento la cui utilità è fuori discussione per agevolare operazioni di risanamento di imprese che altrimenti rischierebbero di uscire dal mercato, e va affrontata sotto due profili: applicativo e normativo –:
   se non ritenga, alla luce delle premesse, di valutare l'opportunità di adottare iniziative anche di tipo normativo, al fine di correggere gli effetti distorsivi della norma succitata evitando alle aziende, già alle prese con una congiuntura sfavorevole, un ulteriore danno economico.
(2-00045) «Causin, Matarrese, Vitelli, Vecchio, Bombassei, D'Agostino, Dellai».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI e BONAVITACOLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155 è stata disposta la «Nuova organizzazione dei Tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero», attraverso l'esercizio della delega legislativa conferita al Governo dall'articolo 1, comma 2 della legge 14 settembre 2011 n. 148;
   con tale provvedimento legislativo sono stati soppressi numerosi tribunali, procure della Repubblica ed è stata decisa la eliminazione delle sezioni distaccate di tribunale;
   va subito detto che la decisione adottata all'epoca dal Governo Monti è per tanti profili confusa, approssimativa, con diversi aspetti che appaiono illegittimi ed irragionevoli, per di più in assenza di una approfondita e precisa istruttoria e di una adeguata e congrua motivazione;
   fra l'altro, il decreto legislativo n. 155 del 2011 non ha affatto tenuto conto degli articolati parere resi dalle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, rispettivamente in data 31 luglio e 1o agosto 2012, che avevano sollecitato e motivato la salvaguardia di diversi uffici giudiziari;
   la finalità, sicuramente giusta e da perseguire, di razionalizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari è stata perseguita, ad avviso dell'esponente, senza un disegno complessivo, fondato su di una analisi compiuta e seria delle situazioni esistenti, degli obiettivi da realizzare, degli effettivi risultati raggiungibili in termini sia di tutela della legalità sul territorio, sia di crescita della efficienza del servizio giustizia nell'interesse del cittadino-utente, sia di economicità e di risparmio effettivo e virtuoso di risorse;
   il decreto legislativo n. 155 del 2012 appare, inoltre e per di più, inficiato da fondate censure di costituzionalità, per violazione degli stessi criteri e principi direttivi fissati dalla legge delega e di fondamentali principi enunciati in Costituzione;
   e difatti, in ordine al decreto legislativo n. 155 del 2012, sono state sollevate da diversi uffici giudiziari questioni di costituzionalità, che verranno affrontate dalla Corte Costituzionale nella udienza del prossimo 4 luglio 2013;

  il menzionato decreto legislativo n. 155 del 2012, all'articolo 11, ha previsto che la nuova organizzazione degli uffici giudiziari è destinata a divenire operativa ed efficace a partire dal 13 settembre 2013;
   il processo applicativo di questa riforma registra, comunque, ritardi, carenze, incertezze, problemi e disfunzioni di varia natura, rendendo pressoché impossibile il rispetto della scadenza del prossimo 13 settembre;
   in particolare, in molte realtà territoriali esistono rilevanti e pesanti problemi legati, innanzitutto, alla necessità di finanziare e realizzare complessi ed onerosi lavori che sono imposti dalla riorganizzazione degli uffici, con conseguenti accorpamenti e spostamenti di tanti sedi giudiziarie;
   nonché si riscontrano già consistenti problemi, relativi al concreto assetto dei nuovi uffici in termini di personale e di relative risorse strumentali, logistiche, informatiche;
   va sottolineato che i lavori di adeguamento e ammodernamento degli edifici, sede di uffici giudiziari, esigono certamente tempi lunghi ed, in ogni caso, in tante realtà sono ben lungi dall'essere finanziati, appaltati e, quindi, dal poter per davvero iniziare;
   in questo contesto è ragionevole ed utile almeno una congrua proroga del termine (appunto 13 settembre 2013) per l'entrata in vigore delle norme sulla nuova «mappa» degli uffici giudiziari, anche in vista della decisione della Corte Costituzionale;
   il periodo di proroga andrebbe, altresì, utilmente impiegato per rivedere il decreto legislativo n. 155 del 2012, per esaminare e ponderare con ben maggiore analisi istruttoria e con una valutazione analitica e reale – e non affidata a meri ed astratti proclami di principio – del concreto e vero rapporto costi e/o benefici, per il complessivo funzionamento del servizio giustizia nell'interesse primario ed assolutamente primario dei cittadini alla maggiore sicurezza delle loro condizioni di vita ed a un migliore, celere e moderno svolgimento dei giudizi e del contenzioso –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare le opportune iniziative normative – per tutte le articolate considerazioni che precedono e che sono condivise con convinzione da tanti sindaci ed amministratori locali, e da tante rappresentanze dei consigli giudiziari, del mondo forense e delle categorie interessate – per una adeguata proroga della scadenza del 13 settembre 2013 per l'entrata in vigore delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 155 del 2012, riguardanti la nuova organizzazione degli uffici giudiziari, anche in vista della decisione della Corte Costituzionale su molteplici e articolate questioni di costituzionalità, rimesse alla Corte da diversi uffici giudiziari, nella veste di «giudici a quo». (5-00117)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 16 agosto 2011, quattro cittadini italiani, tra cui tre consiglieri comunali ed un elettore del comune di Cattolica, hanno ritenuto di dover presentare un ricorso elettorale, ex articolo 70 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, contestando al sindaco neoeletto una causa d'incompatibilità;
   in poche parole, era già noto che la società controllata dal sindaco, che ha come core busines un prodotto destinato ad impianti pubblici, e come clienti prioritari le pubbliche amministrazioni, vende, da oltre 10 anni, del materiale elettronico coperto da brevetti al comune di Cattolica;
   la situazione è particolare, perché il comune, negli ultimi sette anni, non ha mai comprato direttamente i prodotti del sindaco, ma li ha sempre fatti comprare direttamente a coloro che vincevano, di volta in volta, gli appalti per la manutenzione del proprio impianto d'illuminazione;
   si badi, l'acquisto proprio di quel materiale, di quella specifica società è obbligatorio per il manutentore di turno, perché il brevetto che copre quei determinati prodotti non consente di utilizzare materiale di altre società;
   quindi il manutentore o compra quel prodotto del sindaco o non può dare esecuzione correttamente al contratto di manutenzione;
   a questo si aggiunga una ulteriore nuova fornitura Smart Town, deliberata in settembre 2011, ed il fatto che al prossimo appalto per pubblica illuminazione di Cattolica, lo stesso si troverebbe contemporaneamente nella posizione di uno dei fornitori in gara, e contemporaneamente il detentore del potere di valutazione e selezione delle offerte;
   i ricorrenti si sono limitati a far notare questa circostanza, sostenendo che in questo modo vi era un'incompatibilità in capo al sindaco di Cattolica, che da una parte vendeva i propri prodotti (come imprenditore) e dall'altra parte li faceva acquistare (come sindaco);
   il pubblico ministero, intervenuto nella causa, alla prima udienza si è espresso per l'accoglimento del ricorso;
   il collegio, di fronte alle argomentazioni dei ricorrenti ha disposto una consulenza tecnica d'ufficio, la quale ha accertato che effettivamente i prodotti del sindaco sono compatibili e possono essere sostituiti solo con gli stessi prodotti del sindaco;
   dopo l'istruttoria disposta dal collegio, il pubblico ministero all'ultima udienza si è espresso per l'accoglimento del ricorso, di nuovo;
   in linea di principio, questo significa che il ricorso non era completamente infondato;
   il collegio, dopo la discussione, con il dispositivo della sentenza ha respinto il ricorso, condannando i ricorrenti a qualcosa come oltre euro 23.000 di spese legali;
   si noti che non si è fatto riferimento al partito del sindaco o dei ricorrenti. Questa è una questione di principio e non importa il colore delle parti, perché tutti si potranno trovare, in futuro, nell'una o nell'altra situazione;
   in questo caso conta la sostanza, ovvero che alcune persone sono ricorse ad un giudice per far verificare l'esito di determinate elezioni e questa verifica è uno strumento fondamentale di democrazia;
   è uno strumento talmente importante che il procedimento elettorale è forse l'unico procedimento giurisdizionale rimasto in cui non è previsto il pagamento del contributo unificato e nell'ambito del quale tutti gli atti sono esenti da ogni spesa, imposta o bollo. Inoltre, le parti, se vogliono, possono presentarsi anche senza avvocati, e pertanto questo è un costo generato da una discrezione di parte;
   questo perché un procedimento elettorale può presupporre questioni così importanti che è vitale che tutti possano far valere le proprie ragioni;
   in questa sede si prescinde da chi abbia ragione o meno in questa causa, perché si tratta di una questione che interessa solo la Corte che tratterà l'appello;
   appare all'interrogante eccessiva, nell'ambito di un procedimento elettorale, la cifra di euro 23.000 per le spese legali a carico di persone che hanno presentato un ricorso che non era manifestamente infondato, al punto che la stessa Repubblica italiana, per tramite del suo pubblico ministero ne ha chiesto l'accoglimento;
   tale decisione secondo l'interrogante di fatto inibisce chiunque in futuro dal far valere la legalità e difendere la democrazia, esponendo al rischio di subire una simile, e a quanto consta all'interrogante mai d'ora prima emessa, pesantissima condanna;
   appare infatti plausibile il rischio che da ora in poi tutti, di qualunque parte politica essi siano, si guardino bene dal far valere anche situazioni sacrosante, ma che espongono a delle conseguenze personali terribili –:
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative normative volte a definire una disciplina delle spese processuali che garantisca che i procedimenti in materia elettorale, come quello di cui in premessa, siano il più possibile economici e accessibili a tutti, trattandosi di strumenti fondamentali di democrazia. (4-00406)


   DI SALVO, LACQUANITI, DANIELE FARINA e SANNICANDRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la casa circondariale di Busto Arsizio è caratterizzata da un alto indice di sovraffollamento carcerario, uno dei più alti del nostro Paese;
   in aggiunta a tale dato, va anche segnalata una significativa carenza di personale nell'istituto: rispetto alle 280 unità previste dalla pianta organica e quelle effettivamente in servizio, vi è una carenza di organico pari circa a 70 operatori; 
   in tale situazione di emergenza, ad avviso degli interroganti, non può non destare perplessità la mancata entrata in funzione di un reparto destinato ad ospitare i detenuti disabili;
   tale reparto, composto da circa 15 celle, è completamente arredato da quasi 5 anni, tuttavia non è mai stato messo in opera –:
   quali siano le motivazioni per le quali a distanza di cinque anni, il reparto della casa circondariale di Busto Arsizio destinato ai detenuti disabili non sia ancora operativo;
   di quali informazioni disponga il Ministro circa il numero dei detenuti disabili che potrebbero essere allocati, a seguito di trasferimento, nel reparto appositamente istituito nel carcere di Busto Arsizio, nel caso fosse reso operativo;
   di quali informazioni e dati disponga il Ministro circa il numero complessivo dei detenuti con disabilità motorie, nonché circa il numero e l'indicazione degli istituti penitenziari dotati di un reparto attrezzato per detenuti con disabilità. (4-00414)


   MOLTENI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è stata aperta ormai da diversi mesi a Siena un'inchiesta riguardante la Banca Monte dei Paschi di Siena;
   le indagini sulla Banca senese, condotte da tre Pm quattro (Aldo Natalini, Antonino Nastasi e Giuseppe Grosso), che lavorano a tempo pieno al filoni d'inchiesta su Montepaschi, e da un solo gip (Ugo Bellini); sta ingolfando il tribunale senese, con appena 9 magistrati su 12 in organico;
   i Pm senesi hanno chiesto alla procura generale un quinto Pm per gestire l'ordinaria amministrazione e in data 6 maggio 2013 il presidente del tribunale di Siena, Stefano Benini, in una lunga lettera inviata al Consiglio superiore della magistratura, al presidente della terza commissione dello stesso Consiglio ed al presidente della corte di appello di Firenze, ha chiesto un rafforzamento dell'organico dei magistrati del tribunale di Siena, anche in relazione all'inchiesta Mps, dichiarando, a proposito dell'aggravio del lavoro del Gip Bellini, che quest'ultimo «è ai limiti della sostenibilità e non passa giorno in cui il collega chieda di essere sollevato da quelle funzioni»;
   successivamente, il Gip Ugo Bellini, visibilmente risentito per il danno d'immagine seguito alla divulgazione della lettera, ha invece precisato di non voler essere sollevato dall'indagine su Mps, smentendo così di fatto il contenuto della lettera stessa, ma ha altresì precisato di aver «chiesto un aiuto affinché, almeno temporalmente fossi sollevato da tutte le altre incombenze che mi sono state assegnate con regolarità, in particolare nel settore civile e fallimentare»;
   le difficoltà per il tribunale senese sono destinate ad aumentare con la richiesta di rito immediato per Baldassarri, il cui processo dovrebbe chiudersi entro l'estate 2013;
   recentemente il Gip Ugo Bellini ha disposto il dissequestro di alcuni capitali, precedentemente sequestrati dalla Guardia di finanza su ordine della procura nei confronti della giapponese Banca Nomura, oltre che dell'ex presidente Giuseppe Mussari e dell'ex direttore generale Antonio Vigni ed all'ex capo dell'area finanza Baldassarri, in quanto non vi sarebbero stati i requisiti per il decreto di urgenza firmato dai pubblici ministeri;
   avverso a tale decisioni è stato depositato al tribunale del riesame apposito ricorso, che dovrebbe essere preso in esame entro il mese di maggio, al quale però potrete seguire un ulteriore passaggio in Cassazione nel caso di ricorso alla decisione dello stesso Tribunale del riesame che rischia di essere presentato da una delle parti;
   tale circostanza rischia di allungare notevolmente i tempi delle indagini su uno dei più grandi scandali finanziari della storia italiana;
   il caso Mps-Antonveneta è una vera e propria «corsa contro il tempo», dato che i tempi, per gli eventuali reati ascrivibili agli indagati, si devono calcolare a partire dal 30 maggio 2008, quando fu annunciato il closing della compravendita (cominciata nel novembre 2007) dell'ex istituto padovano;
   a settembre 2013 il giudice Francesco Bagnai lascerà il tribunale di Siena e non si sa se verrà sostituito, ma appare certo che chi ne prenderà il posto dovrà studiarsi le carte da capo –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda prendere in merito alla situazione dell'organico del tribunale di Siena, per assicurare che l'inchiesta su Mps-Antonveneta possa essere condotta e conclusa in tempi rapidi e con le adeguate risorse;
   se reputi altresì necessario inviare un'ispezione ministeriale presso il tribunale di Siena ai fini dell'esercizio di tutti i poteri di competenza. (4-00424)


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa e dai quotidiani sardi, il 19 aprile 2013 è morto nel carcere di Macomer, R.B.A.M.B.H.B.C. (Rachid Ben Ali Mohamed Ben Hadj Mohamed Ben Chalbi), nato a Sfax (Tunisia) il 29 novembre 1987;
   l'Unione Sarda del 23 aprile, riportando la notizia a firma di F.O., scrive che la morte sarebbe avvenuta nel bagno della cella e che, secondo le dichiarazioni del provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria della Sardegna, si è trattato di un incidente, avvenuto nella notte tra venerdì e sabato, e non di un suicidio. Pertanto, sempre ad avviso del provveditore, la disgrazia non sarebbe legata alla grave situazione del carcere, ma ad un «banale» incidente;
   le conclusioni del provveditorato regionale, riportate dal quotidiano sardo, derivano dagli «accertamenti fatti dal personale di polizia penitenziaria». Un'indagine avviata dopo il ritrovamento del corpo del povero detenuto, la mattina di sabato scorso. «Il decesso – è scritto nella nota – è avvenuto verosimilmente a seguito di inalazione di gas che il detenuto ha attinto da una bomboletta da campeggio, quindi del tipo consentito e legittimamente in suo possesso». Secondo l'amministrazione, il giovane tunisino si era appartato nel bagno della cella che divideva con un altro detenuto e, «come spesso negli istituti penitenziari capita, si sarebbe volontariamente inalato il gas per inebriarsi perdendo i sensi e non potendo quindi sottrarsi all'inalazione in tempo per evitare l'avvelenamento. Non risultano allo stato responsabilità da parte del personale in servizio nell'istituto e neanche ritardi negli interventi»;
   un'altra informazione fornita dall'Unione Sarda riguarda il comportamento dell'autorità giudiziaria: «Dopo i primi accertamenti che hanno chiarito la dinamica dei fatti, l'autorità giudiziaria ha autorizzato la sepoltura nel cimitero di Macomer, avvenuta nelle prime ore di domenica scorsa a cura del Comune. Il giovane tunisino, finito in carcere per un reato comune, stava scontando la pena prevista fino al mese di giugno del 2015»;
   il giorno 7 maggio 2013 sono pervenuti via email all'ex deputata radicale Rita Bernardini alcuni documenti riguardanti la vicenda suesposta; in particolare, si tratta di un esposto al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Oristano e di due foto effettuate sul cadavere del detenuto R.B.A.M.B.H.B.C.;
   l'esposto è firmato dal signor Mauro Pala nella sua qualità di procuratore speciale di R.B.A.M.B.H.B.C, e di rappresentante dei familiari;
   nell'esposto, Mauro Pala afferma di essersi recato il 20 aprile 2013 alle 16,30 presso il cimitero di Macomer, nella camera mortuaria dove ha scattato, alla presenza di testimoni, alcune fotografie al cadavere di R.B.A.M.B.H.B.C.; secondo Mauro Pala le foto sono idonee a dimostrare in modo assolutamente inequivocabile che sono presenti sul cadavere tracce evidenti e significative;
   l'esposto di Mauro Pala prosegue rappresentando la volontà sua e dei familiari affinché sia effettuato un esame autoptico sul cadavere del cittadino tunisino, così come la doverosità di accertare l'esatta ora della morte, le ragioni del decesso e se lo stesso sia da ricondurre ad un gesto suicidario «o se per ipotesi sia riconducibile alla condotta di terzi o altri eventi»;
   dopo le premesse l'esposto si conclude: «il sottoscritto (Mauro Pala), assistito dall'avvocato Patrizio Rovelli del Foro di Cagliari, si rivolge all'illustrissimo Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Oristano affinché venga disposta autopsia sul cadavere di R.B.A.M.B.H.B.C, e siano quindi svolte ai sensi degli articoli 326 e seguenti c.p.p. le indagini preliminari in relazione ai fatti sopra descritti; e, in esito alle stesse, qualora il P.M. ravvisi fatti costituenti reato, eserciti l'azione penale nei confronti degli eventuali responsabili. Chiede altresì, di essere avvisato dell'eventuale richiesta di proroga del termine delle indagini e di un'eventuale richiesta di archiviazione della notizia di reato»;
   anche la comunità musulmana ha espresso dubbi sulla morte del ragazzo tunisino: l'Unione Sarda del 22 aprile scrive «Oggi anche la comunità musulmana della Sardegna è intervenuta per chiedere “verità e giustizia” per il giovane tunisino. La morte è sospetta: “Non comprendiamo le ragioni e la fretta che hanno spinto l'amministrazione penitenziaria della Sardegna a negare l'ultimo saluto alla famiglia e agli affetti più cari”. I musulmani si chiedono come mai non sia stata fatta l'autopsia sul corpo del ragazzo. “Dalle notizie che apprendiamo in queste ore, appare più che necessaria un'autopsia e un esame tossicologico e ci auguriamo di essere avvisati in un eventuale episodio futuro, affinché si possa provvedere ad un idoneo funerale musulmano. Il racconto frettoloso dell'accaduto non ci convince fino in fondo» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dell'accaduto e, nel caso, se disponga di ulteriori informazioni, e quali, sulla dinamica che ha portato alla morte di R.B.A.M.B.H.B.C.;
   se e come, il giorno della morte di R.B.A.M.B.H.B.C, fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se da parte dell'area sanitaria del carcere fosse stata certificata o meno la condizione di tossicodipendente del detenuto;
   se risulti in che modo fosse seguito dal personale medico il detenuto in questione e a quando risalga l'ultimo incontro con lo psicologo, con l'educatore, con gli assistenti sociali;
   se, in particolare, l'uomo fosse stato visitato dallo psichiatra del carcere e se quest'ultimo avesse riscontrato un rischio suicidario;
   quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica in servizio presso il carcere di Macomer;
   se corrisponda al vero che il provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria abbia fatto fare gli accertamenti della morte del detenuto agli agenti della polizia penitenziaria in servizio presso il carcere;
   se non ritenga opportuno disporre un'ispezione presso il carcere di Macomer per fare luce sull'esatta dinamica dell'episodio e per appurare se vi siano state negligenze da parte della direzione, nonché per verificare, più in generale, quale sia la condizione dei detenuti e degli operatori della polizia penitenziaria;
   se risulti, con quale rito religioso si sono svolte le esequie del signor R.B.A.M. B.H.B.C;
   se risulti al Ministro che l'esposto del procuratore speciale del signor R.B.A.M. B.H.B.C, il signor Mauro Pala, sia stato archiviato o meno dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Oristano;
   quali misure, più in generale, il Ministro intenda adottare nell'immediato per arginare il fenomeno delle morti e dei suicidi all'interno delle nostre strutture penitenziarie. (4-00428)


   GALLINELLA, ZACCAGNINI, CIPRINI, L'ABBATE, FRUSONE, GAGNARLI, PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, TOFALO e TERZONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12 della legge 28 luglio 1999, n. 266, ha previsto una delega al Governo per l'istituzione, tra l'altro, dei ruoli direttivo-ordinario e speciale del Corpo della polizia penitenziaria, con carriere analoghe a quelle dei corrispondenti ruoli della polizia di Stato;
   in attuazione della citata delega, il decreto legislativo 21 maggio 2000, n. 146, ha istituito i suddetti ruoli, articolandoli in qualifiche, con ordine gerarchico e con livelli analoghi a quelli dei corrispondenti ruoli dei commissari di polizia di Stato;
   successivamente sono state emanate disposizioni per il riordino dei ruoli del personale direttivo e dirigente della polizia di Stato;
   per effetto della precitata normativa l'ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria non assicura più l'adesione ai principi di omogeneità con le altre forze di polizia;
   dall'esame delle disposizioni emerge, infatti, che le carriere del personale direttivo e dirigenziale del Corpo di polizia penitenziaria presentano connotazioni di rilevante disallineamento rispetto alle carriere del corrispondente personale della polizia di Stato, avuto riguardo sia alle differenti articolazioni delle qualifiche, sia al mutamento della normativa in materia di promozioni alle qualifiche superiori;
   l'attuale assetto normativo penalizza, quindi, fortemente il Corpo di polizia penitenziaria;
   è necessario, pertanto, emanare gli interventi correttivi necessari per la revisione dell'ordinamento del personale dei ruoli direttivi e dirigenziali del Corpo di polizia penitenziaria al fine di armonizzare le disposizioni vigenti con la normativa prevista per il personale dei corrispondenti ruoli delle forze di polizia di Stato al fine di evitare ogni elemento di diversificazione che possa alterare il sistema di equiordinazione voluto dal legislatore –:
   quali siano gli intendimenti del Governo sulla vicenda descritta in premessa;
   se ritenga necessario assumere iniziative normative correttive al fine di allineare la carriera dei ruoli direttivi e dirigenziali del Corpo di polizia penitenziaria a quella dei funzionari della polizia di Stato. (4-00431)


   ROSATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel febbraio 2003 il Ministero della giustizia ha bandito un concorso pubblico per esami per il conferimento di 271 posti di allievo vice ispettore di polizia penitenziaria;
   evasa una prima volta la procedura selettiva, l'amministrazione, per dare attuazione ad un provvedimento giurisdizionale amministrativo, ha provveduto a ripetere, nel 2006, la prova preselettiva, le visite mediche e le prove psicoattitudinali;
   la procedura si è arrestata dopo la prova scritta del 25 novembre 2009, alla quale hanno fatto seguito le prove orali iniziate l'8 novembre. Risulta, infatti, all'interrogante che un candidato ha avanzato ricorso avverso il provvedimento di nomina del presidente della commissione del concorso per «presunta illegittimità poiché in quiescenza», e per tali ragioni il TAR del Lazio ha emesso un'ordinanza sospensiva (la n. 2934 del 5 luglio 2012) successivamente confermata dal Consiglio di Stato (ordinanza n. 03338/2012);
   sono 326 i partecipanti al concorso, che, di fatto, hanno iniziato questo percorso di selezione dieci anni fa e non ne vedono ancora la fine. Il protrarsi di questa situazione, com’è evidente, danneggia i candidati idonei e le loro famiglie che, non rinunciando a sperare in una positiva soluzione della vicenda, auspicano l'arruolamento nella polizia penitenziaria;
   il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria con nota del 30 novembre 2012, aveva rassicurato le organizzazioni sindacali in merito alla soluzione della questione in tempi brevi, forse già entro l'anno 2012;
   ma a maggio 2013, invece, risulta all'interrogante che non si sia ancora avviata a conclusione la questione dei 271 allievi vice ispettore di polizia penitenziaria –:
   se il Ministro interrogato possa fornire elementi sulla vicenda e aggiornare sul contenzioso avviato davanti al TAR del Lazio;
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di tutelare le legittime aspettative dei candidati del concorso e quali tempistiche sono previste per la soluzione della vicenda. (4-00436)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanze:


 Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   nei programmi elettorali di tutte le forze politiche presenti in Parlamento è stata posta grande attenzione al tema del ponte di Messina e dell'attraversamento dello Stretto;
   è conclamata l'insufficienza della sicurezza per i cittadini che usufruiscono del servizio di collegamento dello Stretto;
   è conclamata l'inefficienza del servizio di collegamento dello Stretto;
   è evidente che la disfunzionalità del servizio di collegamento dello Stretto rappresenta una grave incongruenza economica tanto per lo Stato quanto per i cittadini;
   il 26 febbraio 2013 è stata presa dal Governo pro tempore la decisione di fermare il progetto di costruzione del Ponte di Messina, con prevista messa in liquidazione della società Stretto di Messina;
   il termine ultimo del servizio di collegamento veloce tra la sponda calabra e quella siciliana assegnato al Consorzio Metromare scade improrogabilmente il 30 giugno 2013, data oltre la quale, la cosiddetta metropolitana dello Stretto si fermerà –:
   quali siano le iniziative che il Governo intende adottare per realizzare un collegamento veloce, funzionale e sicuro tra la sponda calabra e quella siciliana;
   quale sia lo stato di avanzamento di messa in liquidazione della società Stretto di Messina;
   quale sia lo stato di avanzamento dell'assegnazione con gara del servizio di collegamento veloce tra la Sicilia e la Calabria.
(2-00040) «Vecchio».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   numerosi e talvolta tragici incidenti sono occorsi negli ultimi anni nelle stazioni marittime delle Ferrovie dello Stato, nell'area dello Stretto di Messina. L'ultimo, in cui è stata coinvolta una giovane donna sottoufficiale della Guardia di finanza, è avvenuto domenica 14 aprile 2013;
   è evidente che le infrastrutture relative ai trasporti e alle Ferrovie dello Stato non forniscono nel Meridione d'Italia un servizio adeguato;
   l'obiettivo infrastrutturale principale del piano nazionale per il Sud approvato dal Consiglio dei ministri il 26 novembre 2010 è, infatti, «la realizzazione nel Sud, entro il prossimo decennio, di un sistema ferroviario moderno capace di favorire l'unificazione nazionale del Paese e di accrescere le possibilità di sviluppo del mercato interno»;
   la priorità strategica del piano suddetto, alla quale si è data attuazione con la delibera CIPE n. 62 del 2011, riguarda la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali a rete, materiali e immateriali che potenzino il sistema dei collegamenti dorsali e trasversali. Innanzitutto il sistema ferroviario alta capacità/alta velocità, le opere logistiche e, in particolare, i seguenti sistemi ferroviari e viari:
    a) i sistemi ferroviari Napoli-Bari- Lecce-Taranto, Salerno-Reggio Calabria e Catania-Palermo;
    b) i sistemi stradali Olbia-Sassari e il completamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria –:
   quale sia lo stato di sicurezza e manutenzione nell'area dello Stretto di Messina e più in generale delle infrastrutture e dei sistemi ferroviari e viari nel Mezzogiorno d'Italia;
   quale sia lo stato di avanzamento della realizzazione dei progetti infrastrutturali previsti dal piano nazionale per il Sud dal momento dell'attuazione della delibera sopra citata.
(2-00042) «Vecchio».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 5 maggio 2013, la tratta ferroviaria Messina-Catania-Siracusa è stata nuovamente contrassegnata da una serie di ritardi per oltre dieci ore e soppressione di quattro treni come riportato da numerosi quotidiani locali;
   il Comitato pendolari di Messina, Catania e Siracusa, che nel recente passato ha addirittura stilato uno specifico rapporto sui continui ritardi, le soppressioni delle corse ferroviarie, i frequenti guasti ai locomotori ed i disservizi in generale che gli utenti siciliani subiscono in modo costante senza che le legittime rimostranze sembrino produrre effetti migliorativi dei servizi resi, ha stimato nel giorno medesimo il ritardo dei convogli in circa 600 minuti;
   l'interrogante rileva, in considerazione dell'ennesima situazione deprecabile dal punto di vista dell'inefficienza qualitativa dei servizi resi agli utenti ed in particolare nei riguardi dei pendolari, come sia nel complesso indiscutibile l'intenzione da parte del gruppo Ferrovie dello Stato di perseguire politiche di dismissione attraverso un ridimensionamento del piano industriale e di investimenti nel Mezzogiorno ed in particolare in Sicilia, nonostante le recenti opere deliberate dal Cipe, che prevedono il potenziamento attraverso interventi ferroviari inseriti all'interno del piano di azione e coesione;
   l'undicesimo Allegato Infrastrutture relativo al Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) previsto all'interno del documento di economia e finanza, recentemente approvato alla Camera dei deputati, indica infatti l'intenzione di migliorare l'offerta trasportistica ferroviaria nel Mezzogiorno contenuta all'interno del piano nazionale per il Sud, inserendo fra le principali opere ferroviarie anche la tratta Palermo-Catania;
   a giudizio dell'interrogante quanto suesposto nel documento d'indirizzo, se non sarà accompagnato da un imponente piano di investimenti e da una radicale inversione anche culturale a favore della mobilità in generale ed in tal caso, nei riguardi di quella ferroviaria, soprattutto attraverso un ammodernamento delle reti ferroviarie e di sostituzione di convogli obsoleti, risulterà superfluo qualunque proposito programmatico e strategico, sebbene condivisibile, volto a migliorare il sistema qualitativo dei servizi offerti e della domanda di mobilità che cresce significativamente;
   i numerosi atti di sindacato ispettivo, presentati dall'interrogante, nel corso della scorsa legislatura, sull'evidente scarsa qualità dei servizi ferroviari regionali in Sicilia, causata da ritardi, carenza di comfort e inefficienze a cui sono seguite risposte da parte del Ministro pro tempore che appaiono all'interrogante nel complesso insoddisfacenti, confermano come la situazione delle politiche dei trasporti in Italia, ed in particolare nel Mezzogiorno, sia estremamente critica e derivante da decenni di investimenti insufficienti, a cui si sono aggiunti i recenti tagli della spesa sui trasferimenti, che hanno determinato gravi carenze in termini di pulizia, manutenzioni, scorte, carenze che hanno provocato minore affidabilità e puntualità delle corse ferroviarie;
   la predetta analisi tuttavia non deve essere considerata un'attenuante o una giustificazione nei riguardi di Trenitalia, se si tiene conto del fatto che all'aumento delle tariffe dei biglietti non sono seguiti adeguati livelli di servizi resi all'utenza –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative di competenza intenda assumere nei confronti di Trenitalia spa, al fine di determinare un miglioramento complessivo dell'organizzazione e del livello di efficienza dei servizi per il trasporto dei passeggeri della tratta siciliana esposta in premessa, le cui capacità nel corso degli ultimi mesi sono ulteriormente peggiorate;
   se non ritenga opportuno e necessario, in considerazione del livello di estrema precarietà in cui si trova il sistema dei trasporti ferroviario siciliano ed in particolare il tracciato Messina, Catania, Siracusa, avviare, per quanto di competenza, una verifica al fine di determinare quali siano le cause che persistono nell'inficiare la qualità delle prestazioni fornite agli utenti e conseguentemente assumere iniziative volte a prevedere misure per il potenziamento dei servizi ferroviari, nel momento in cui, complici anche la crisi economica e la congestione delle aree metropolitane, cresce significativamente la domanda relativa al trasporto ferroviario. (5-00113)


   ZAPPULLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione della normativa vigente il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 3 ottobre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 gennaio 2013, ha provveduto all'approvazione del III programma di edilizia scolastica;
   tale programma riguarda 989 edifici scolastici per un costo stimato complessivo di 111,8 milioni di euro;
   dalle tabelle allegate al succitato decreto, nelle quali sono elencati gli interventi, l'indicazione del comune, la denominazione dell'edificio scolastico e l'importo preventivato per la messa in sicurezza, solo dieci interventi riguardano l'intera regione siciliana e non risulta nessun finanziamento alla provincia di Siracusa;
   da notizie accreditate da parte dei dirigenti scolastici risultano state fatte le adeguate segnalazioni agli enti territoriali circa la necessità di un piano di messa in sicurezza di alcuni tra gli edifici scolastici della provincia di Siracusa;
   la provincia di Siracusa, come segnalato anche dall'ordine nazionale dei geologi, è riconosciuta come una tra le zone a più alto rischio sismico della nazione;
   anche per tali motivi, la mancata realizzazione di un piano di messa in sicurezza degli istituti presenti nel territorio siciliano reca grande preoccupazione alle famiglie, agli studenti e ai lavoratori della scuola che ogni giorno convivono in strutture non adeguate –:
   se i Ministri interrogati non intendano avviare un processo di verifica che possa chiarire quali siano state le motivazioni del mancato finanziamento per l'avvio di un piano di messa in sicurezza degli istituti scolastici della provincia di Siracusa. (5-00114)


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il servizio ferroviario lungo la linea Sicignano degli Alburni-Lagonegro fu sospeso nel marzo del 1987 con l'introduzione di autoservizi sostitutivi su gomma;
   tale linea, che ha una lunghezza di circa 78,4 chilometri, interessa un bacino di 22 comuni, con circa 9.000 abitanti;
   questi comuni sono tutti nella provincia di Salerno, ad eccezione di Lagonegro situato in provincia di Potenza;
   negli anni successivi la linea non è stata ripristinata;
   peraltro nel corso degli anni sono stati realizzati studi tecnici ed economici per il ripristino dell'esercizio ferroviario sulla linea Sicignano-Lagonegro, particolarmente atteso dalle comunità e dalle amministrazioni locali e rilevante per il sistema dei allagamenti nelle intere zone;
   nella legge 29 dicembre 2003, n. 376, è stata prevista l'erogazione di un contributo triennale (per complessivi 18 milioni di euro) in favore delle Ferrovie dello Stato s.p.a. per gli interventi finalizzati al ripristino della tratta ferroviaria Sicignano-Lagonegro;
   in ogni caso tale tratta non risulta mai essere stata formalmente dismessa, attraverso lo specifico procedimento previsto e tipizzato dalla normativa vigente;
   è da ritenersi invece, che questa linea ferroviaria è stata interrotta, sia pure da diversi anni, in attesa di decisioni definitive;
   la questione di tale tratta ferroviaria è già stata sollevata dall'interrogante nella XVIo legislatura con la interrogazione n. 5-01635 del 15 luglio 2009, con risposta del rappresentante del Governo pro tempore il successivo 12 novembre;
   sembra che RFI s.p.a. abbia commissionato un nuovo studio di fattibilità per valutare l'intervento da effettuare con il minor costo possibile, al fine di ripristinare la tratta ferroviaria Sicignano-Lagonegro, come hanno sollecitato tutti i sindaci del comprensorio con specifici atti deliberativi e come da tempo stanno facendo tanti cittadini riuniti anche in un comitato molto attivo e determinato –:
   quale sia l'effettiva situazione della linea ferroviaria Sicignano-Lagonegro interrotta dal 1987 ed, in particolare, quali studi siano in corso per definire gli interventi ed i progetti più utili e adeguati con la minore spesa possibile. (5-00118)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la relazione ferroviaria Pescara-Roma è insostenibile sia per i tempi di percorrenza di 4 ore per una distanza di 200 chilometri, sia per la qualità dei treni utilizzati, vecchi, poco puliti, senza alcun servizio per i passeggeri;
   basti pensare che nel 1980 si impiegavano 3 ore e 17 minuti, e a distanza di oltre 30 anni ci vogliono 4 ore per raggiungere Roma da Pescara;
   eppure basterebbe poco per migliorare il servizio: innanzitutto utilizzare treni più veloci e moderni, svincolare la relazione dal servizio metropolitano Tivoli-Roma, eliminare fermate inutili sia nel territorio abruzzese che in quello laziale almeno per i collegamenti della prima mattinata e del tardo pomeriggio come si è fatto per tanti anni dando un servizio accettabile. Sino a qualche anno fa il treno per Roma fermava solo a Chieti, Sulmona ed Avezzano e in territorio laziale solo a Tivoli, ora le fermate abruzzesi sono 8 e nel Lazio sono innumerevoli e spesso scarsamente utilizzate;
   ciò comporta un disincentivo alla utilizzazione del treno per collegarsi da Pescara a Roma con una proliferazione enorme dell'offerta su gomma sia pubblica che privata;
   sarebbe inoltre possibile ridurre i costi di gestione della linea, attivando il controllo centralizzato del traffico, invece di procedere indiscriminatamente alla chiusura delle stazioni, specialmente nel tratto Sulmona-Avezzano, con il pessimo risultato di una modesta riduzione dei costi e un netto aumento dei tempi di percorrenza;
   le sacrosante esigenze dei pendolari della Marsica possono essere risolte con treni autonomi evitando di sottoporli alle esigenze del servizio metropolitano Tivoli-Roma che influiscono negativamente sui tempi di percorrenza;
   è possibile avvicinarsi al tempo di percorrenza di poco più di 3 ore da Pescara a Roma solo attraverso accorgimenti del tutto realistici e convenienti per Trenitalia a meno che non si voglia nel tempo decidere la chiusura della relazione con la Capitale, come si è già fatto con il collegamento storico tra Pescara e Napoli –:
   quali iniziative si intendano assumere nei confronti di Trenitalia di cui il Governo resta azionista di riferimento, che con il suo comportamento sta affossando la relazione ferroviaria tra Pescara e Roma a tutto vantaggio del trasporto privato su gomma. (4-00404)


   ROSATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo articolo 60 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, meglio noto come codice della strada, così come modificato dalla legge 29 luglio 2010, n. 120, prevede l'installazione ad opera delle autonomie locali di dispositivi finalizzati a visualizzare il tempo residuo di accensione delle luci dei nuovi impianti semaforici;
   a tal fine, era prevista l'emanazione di un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge 29 luglio 2010, n. 120, che ha modificato il codice della strada;  
   con l'interrogazione parlamentare n. 4-18610 si è chiesto, a quale punto fosse l’iter di emanazione del decreto, e con risposta del Ministro pro tempore del 15 febbraio 2013 lo stesso ha chiarito che «al fine di verificare la compatibilità con la norma europea armonizzata EN 12368, è in corso una sperimentazione dei dispositivi in esame, agli esiti del quale il Dicastero provvederà a completare l'iter previsto per l'emanazione del decreto ministeriale» –:
   entro quale data il Ministro ritenga di poter concludere la sperimentazione dei dispositivi e con quale tempistica valuti di poter procedere con l'adozione del decreto ministeriale. (4-00429)


   GELMINI e MILANATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito delle abbondanti piogge primaverili e allo scioglimento dell'innevamento invernale, nelle scorse settimane sul lago di Garda si è superata la soglia massima prevista dai livelli di regolamentazione definiti dal Ministero dei lavori pubblici;
   nella giornata dell'8 maggio l'idrometro di Peschiera ha segnalato un livello dell'acqua nell'invaso di 139 centimetri, contro i 135 centimetri del massimo stabilito dalla normativa vigente per il bacino lacustre nel periodo dal 1o maggio al 31 agosto e questo nonostante la comunità del Garda sia riuscita ad ottenere dal magistrato delle acque di aumentare al massimo il deflusso verso il fiume Mincio, portato a 160 metri cubi al secondo;
   la quota 139 centimetri è la più alta registrata durante la primavera e tale livello non è mai stato raggiunto in questo periodo dell'anno da oltre 50 anni; il record precedente era costituito dai 135 centimetri registrati in due episodi, nel 2009 e nel 2004;
   va rilevato che, per fortuna, non si sono segnalati eventi dannosi nei centri rivieraschi gardesani per assenza di vento forte – e conseguente moto ondoso – che avrebbe comportato sicuri allagamenti;
   tali fenomeni suscitano grande preoccupazione per le conseguenze che possono determinare in primo luogo ai comuni lacustri che, già a partire dall'anno 2000, hanno sopportato danni rilevantissimi a pontili, spiagge e altre infrastrutture, con grave nocumento per l'economia turistica della riviera Gardesana;
   in tali condizioni estreme viene limita la capacità depurativa dell'impianto di Peschiera del Garda che raccoglie le acque reflue di tutto il bacino lacustre, compresa la sponda Bresciana, così come si determina il rischio che si attivi il by pass posto a monte dell'impianto con scarico diretto al fiume Mincio di tutta la portata in eccesso, con gravi danni sanitari ed ambientali a tutta l'area;
   non affrontare nel suo complesso questo tema significa sottoporre alla spada di Damocle delle modificazioni ambientali il settore economico più importante di tutta l'area del Benaco –:
   se sia a conoscenza della situazione venutasi a determinare sul lago di Garda;
   se intenda attivarsi il più celermente possibile per concordare con la regione Lombardia e Veneto un incontro nazionale per rivedere definitivamente i livelli massimi fissati nel lontano 1965 quando l'economia turistica era agli albori posto che a distanza di quasi 50 anni da quando fu elaborata l'attuale disciplina della regolazione dei livelli del lago di Garda non appare più rispondente, sotto svariati profili, alle esigenze emerse con crescente intensità. (4-00437)


   D'ARIENZO, ZARDINI, TANCREDI, FANTINATI, BUSINAROLO e ROTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, disciplina i limiti di partecipazione delle imprese agli appalti pubblici;
   in particolare l'articolo 37, comma 7, stabilisce, con riferimento ai «Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di concorrenti» che: «È fatto divieto ai concorrenti di partecipare alla gara in più di un raggruppamento temporaneo o consorzio ordinario di concorrenti, ovvero di partecipare alla gara anche in forma individuale qualora abbia partecipato alla gara medesima in raggruppamento o consorzio ordinario di concorrenti. I consorzi di cui all'articolo 34, comma 1, lettera b), sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre; a questi ultimi è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara»;
   l'articolo 49, comma 8, con riferimento all'istituto dell'avvalimento precisa che: «In relazione a ciascuna gara non è consentito, a pena di esclusione, che della stessa impresa ausiliaria si avvalga più di un concorrente, e che partecipino sia l'impresa ausiliaria che quella che si avvale dei requisiti»;
   tali disposizioni sono volte a escludere che un'impresa possa partecipare in vesti diverse (come impresa individuale e come parte di un consorzio d'impresa o come impresa ausiliaria) alla medesima gara;
   accade talora che un'impresa partecipi alla procedura di gara in una prima fase come impresa individuale e successivamente, come soggetto membro di un consorzio, di un raggruppamento temporaneo d'imprese o come soggetto ausiliario d'impresa; ciò di fatto sottende ad una sorta di scissione di un procedimento di gara ontologicamente unitario come peraltro precisato anche dalla giurisprudenza amministrativa (ad esempio sentenza del Consiglio di Stato, 20 ottobre 2004, n. 6847 - sezione V);
   il fenomeno non è occasionale e può essere riscontrato in appalti pubblici anche di notevole rilevanza economica; a titolo di esempio, può ricordarsi la situazione dell'impresa Costruzioni Ing. E. Mantovani spa che, nella gara per il completamento dell'anello circonvallatorio a Nord-Traforo delle Torricelle, è risultata impresa ausiliaria (con un avvalimento del 69 per cento) dell'impresa vincitrice, ma, precedentemente, aveva fatto istanza di partecipazione alla gara senza tuttavia presentare un'offerta;
   questi comportamenti, che sembrano includere scarsa trasparenza ed elementi distorsivi delle corrette condotte di gara, potrebbero essere eliminati introducendo nella normativa semplicemente l'obbligo, per il promotore, di dimostrare i requisiti del concessionario entro la stessa data concessa agli altri concorrenti per presentare requisiti e offerta;
   il caso esemplare, sopra citato, dell'impresa Costruzioni Ing. E. Mantovani spa non si sarebbe, infatti, reso possibile se il comune di Verona, su esplicita richiesta del promotore, non avesse concesso ulteriori giorni di tempo per la presentazione dei requisiti rispetto al termine previsto per la presentazione delle offerte da parte degli altri concorrenti, con dubbio rispetto sia della par condicio, che dei princìpi di economicità, efficacia, tempestività delle procedure concorsuali (decreto legislativo n. 163 del 2006, articolo 2, comma 1);
   d'altronde, lo stesso Consiglio di Stato con la medesima sentenza 20 ottobre 2004, n. 6847, chiede che i concorrenti siano essere posti nelle stesse condizioni di partecipazione al confronto. Il Consiglio, più precisamente, afferma: «Il legislatore, pur privilegiando la figura del promotore, direttamente ammesso alla negoziazione finale, attraverso le previsioni di gara pone al centro di tale istituto le regole sull'evidenza pubblica, in ossequio alla tutela della concorrenza e nel rispetto dei principi comunitari»;
   sarebbe opportuno chiarire con maggiore precisione entro quali limiti operino le prescrizioni di cui ai citati articoli 37, comma 7, e 49, comma 8 e, in particolare, se possano ad esempio essere applicabili anche al caso di una richiesta a partecipare alla gara a cui non segua la presentazione di un'offerta –:
   se ed entro quali limiti sia possibile applicare i vincoli previsti dagli articoli 37, comma 7, e 49, comma 8, nelle fattispecie descritte in premessa;
   se non sia opportuno in ogni caso assumere un'iniziativa normativa volta a chiarire l'impossibilità che un'impresa possa partecipare come parte di un raggruppamento, di un consorzio o come impresa ausiliaria nell'ambito del medesimo procedimento di gara al quale ha fatto domanda di partecipazione come impresa individuale anche senza presentare una specifica offerta;
   se non si ritenga infine di assumere un'iniziativa normativa diretta ad allineare il termine in cui il promotore è tenuto a dimostrare i requisiti del concessionario e il termine concesso agli altri concorrenti per presentare requisiti e offerta.
(4-00440)

INTEGRAZIONE

Interrogazioni a risposta immediata:


   MIGLIORE, PILOZZI e KRONBICHLER. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   le dichiarazioni xenofobe e razziste rilasciate nei giorni scorsi da rappresentanti delle istituzioni (quali consiglieri comunali, nonché parlamentari europei) contro il Ministro interrogato, ad avviso degli interroganti – che, a fronte di tali episodi, hanno espresso la propria solidarietà al Ministro interrogato, condannando simili iniziative – non possono non destare preoccupazione rispetto ad un clima che strumentalmente si vuole esasperare a danno delle politiche di convivenza civile e di integrazione;
   la cittadinanza costituisce un tema di primaria importanza in uno Stato democratico: il tratto fondamentale della democrazia è, infatti, il suo carattere inclusivo, tendente a far sì che le persone possano godere pienamente di tutti i diritti fondamentali, tra i quali la cittadinanza si pone certamente come decisivo;
   attualmente, nel nostro Paese, vivono circa 5 milioni di persone di origine straniera; molti di loro sono bambine/i e ragazze/i nate/i o cresciute/i in Italia, che tuttavia possono accedere alla cittadinanza con modalità quanto mai ristrette e dopo un lungo percorso burocratico;
   le conseguenze di tale situazione sono disuguaglianze e ingiustizie, che, impedendo una piena integrazione, disattendono il dettato costituzionale che, all'articolo 3, stabilisce il fondamentale principio di uguaglianza ed impegna al contempo lo Stato a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il raggiungimento;
   non può non essere segnalato, peraltro, che a più di 60 anni dall'approvazione della nostra Carta fondamentale, ancora non ha trovato attuazione l'articolo 10 della Costituzione, in tema di diritto d'asilo;
   la disciplina italiana in materia di cittadinanza è principalmente contenuta nella legge n. 91 del 1992 e, ai sensi di tale legge (in particolare, dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della stessa) che fonda l'attribuzione della cittadinanza per lo più sullo ius sanguinis, acquistano di diritto la cittadinanza italiana alla nascita coloro i cui genitori (anche soltanto il padre o la madre) siano cittadini italiani;
   seppur in via residuale e in casi limitatissimi, l'ordinamento italiano riconosce anche il criterio alternativo dello ius soli; tuttavia, mentre l'acquisto della cittadinanza prevista in base al principio dello ius sanguinis non richiede uno specifico procedimento, nelle altre e residuali ipotesi si prevede una procedura estremamente farraginosa, che coinvolge diverse amministrazioni pubbliche;
   le procedure italiane, peraltro, rispetto a quelle degli altri Paesi che prevedono quale principio cardine lo ius sanguinis, in ogni caso sono estremamente lunghe;
   nella XVII legislatura, come anche nelle altre, sono state depositate sin da subito in Parlamento numerose proposte di modifica dell'attuale normativa, frutto di un lungo e partecipato percorso con le associazioni impegnate sulla tematica delle migrazioni, che prevedono lo ius soli quale principio cardine per il riconoscimento della cittadinanza;
   in particolare, l'acquisizione della cittadinanza non può continuare a costituire una sorta di privilegio da elargire discrezionalmente e a seguito di un tortuoso percorso burocratico, ma deve poter essere il naturale coronamento della legittima aspirazione del richiedente, a seguito di un soggiorno legale di durata ragionevole sul territorio;
   tale modifica, peraltro, che comporterebbe l'inclusione piena di persone nella fruizione di diritti e nell'adempimento di doveri, comporterebbe anche per lo Stato innegabili vantaggi, soprattutto in termini di coesione sociale –:
   quali siano le iniziative che il Governo intende avviare per facilitare il riconoscimento della cittadinanza, in particolare prevedendo interventi sulla materia che incentrino la disciplina sul principio dello ius soli. (3-00052)


   MOLTENI. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   sabato 11 maggio 2013 a Milano, zona Niguarda, si è verificato un gravissimo episodio: un extracomunitario ghanese, entrato clandestinamente e destinatario di un provvedimento di diniego della richiesta d'asilo da parte della commissione territoriale per la protezione internazionale, con precedenti penali e senza fissa dimora, ha aggredito per strada senza alcun motivo, armato prima di una spranga e poi di un piccone, degli ignari passanti, causando la morte di tre persone;
   ancora recentemente un immigrato senegalese irregolare, contro il quale era già stato emesso un provvedimento di espulsione ma non eseguito e con precedenti per furto, lesioni e rissa, è stato indagato per la brutale aggressione e uccisione di una ragazza di 19 anni avvenuta a Castagneto Carducci nella notte del 1o maggio 2013;
   dal mese di aprile 2013 sono ripresi, e si sono intensificati negli ultimi giorni, gli sbarchi di immigrati irregolari nel nostro Paese: sull'isola di Lampedusa solo il 12 maggio 2013 sono state intercettate imbarcazioni con a bordo circa 180 extracomunitari, di origine tunisina e algerina, pertanto non profughi ma clandestini;
   dal suo insediamento proprio nel mese di aprile 2013, il Ministro interrogato ha posto come priorità e indicato come iniziative del proprio dicastero l'abrogazione del reato di «clandestinità» e l'introduzione dello ius soli nell'ordinamento italiano;
   tali proposte inviano messaggi sbagliati nei Paesi da cui proviene l'immigrazione clandestina e soprattutto verso le organizzazioni che prosperano sul traffico degli immigrati, incoraggiandoli ad intensificare la tratta di esseri umani verso le coste italiane;
   l'immigrazione è un fenomeno che va regolamentato e gestito in maniera rigorosa e attenta, in quanto coinvolge interessi pubblici primari e fondamentali, quali, ad esempio, la sicurezza, la sanità pubblica e l'ordine pubblico, cui lo Stato non può rinunciare nell'assicurare la pacifica convivenza sociale (sentenze n. 148 del 2008, n. 206 del 2006 e n. 62 del 1994 della Corte costituzionale);
   una rigorosa legislazione interna scoraggia sicuramente i flussi migratori clandestini: dopo l'entrata in vigore delle disposizioni del «pacchetto sicurezza» (che ha introdotto, tra le altre cose, all'articolo 10-bis, il reato di immigrazione clandestina) nel 2009 gli sbarchi sono diminuiti, rispetto al 2008, di circa il 74 per cento, come testimoniavano i dati pubblicati sul sito del Ministero dell'interno, ora non più reperibili;
   il reato di immigrazione clandestina vige, ancora prima che in Italia, anche in altri Paesi europei, ad esempio Gran Bretagna, Francia e Germania, e la Corte costituzionale, con la sentenza n. 250 del 2010, ha respinto la questione di costituzionalità del reato di «clandestinità», definendolo del tutto legittimo;
   è necessaria anche una continua cooperazione internazionale con i Paesi di origine dei flussi migratori, al fine di accelerare tutte quelle pratiche burocratiche che spesso rendono difficoltoso il rimpatrio, in particolare l'identificazione, per la quale è necessaria la permanenza nei centri di identificazione ed espulsione;
   la cittadinanza non può essere imposta e non è lo strumento per agevolare l'integrazione, ma, al contrario, il provvedimento finale di un reale processo di inserimento del soggetto nella realtà sociale in cui vive;
   l'integrazione, mezzo per il raggiungimento della cittadinanza e non il suo contrario, presuppone necessariamente da parte dell'immigrato la ferma volontà non solo di rispettare le leggi vigenti, le regole, nonché le tradizioni del Paese ospitante, ma anche di farle e sentirle proprie, e va condotta attraverso un percorso ordinato e con strumenti quali l'accordo di integrazione e il permesso di soggiorno a punti, in vigore dal marzo 2012 e introdotti dall'allora Ministro dell'interno Roberto Maroni;
   a seguito, invece, dell'intensificarsi dei fenomeni immigratori, la situazione è diventata di difficile gestione, tanto che, come dimostrano i sempre più frequenti fatti di cronaca, l'integrazione non è così facilmente raggiungibile e si impone, invece, una seria riflessione sulle politiche da attuare in materia –:
   quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato con riguardo alla proposta più volte annunciata di introdurre lo ius soli nell'ordinamento italiano e di modificare l'attuale legge sulla cittadinanza, di abrogare il reato di immigrazione clandestina, nonché di procedere alla chiusura dei centri di identificazione ed espulsione e se consideri ancora tali proposte, alla luce anche degli ultimi avvenimenti, priorità del proprio incarico. (3-00053)


   RAMPELLI. — Al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   all'atto del proprio insediamento il Ministro interrogato ha avuto modo di dichiarare che il primo traguardo che si prefiggerà come Ministro è la conquista dello ius soli per i bambini stranieri nati in Italia, affinché questi abbiano da subito la cittadinanza italiana;
   ancora in tema di immigrazione, il Ministro interrogato ha affermato che «occorre rivedere la struttura dei centri di identificazione ed espulsione e lo stato di emergenza», anche riesaminando la direttiva europea che, a suo dire, «l'Italia ha ratificato in modo sbagliato»;
   allo stesso modo, sempre a parere del Ministro interrogato, dovrebbero essere abrogate le disposizioni normative che hanno introdotto il reato di immigrazione clandestina;
   nei giorni scorsi il Ministro interrogato ha annunciato l'imminente presentazione di un disegno di legge di riforma della cittadinanza che recherà l'introduzione di uno ius soli «temperato», cioè legato ad alcuni requisiti, definiti dallo stesso disegno di legge;
   allo stato attuale il Ministro interrogato non risulta aver avuto alcuna delega, né in materia di cittadinanza, riservata al Ministero dell'interno, né in materia di ordinamento penale, di competenza del Ministero della giustizia –:
   con quali limiti e attraverso quali modalità il Ministro interrogato intenda attuare l'introduzione dello ius soli nell'ordinamento italiano, anche in considerazione del proprio ambito di competenza. (3-00054)

INTERNO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   venerdì 17 maggio 2013, ricorre la giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia e contemporaneamente, nelle piazze di tutto il mondo, verranno promosse iniziative di sensibilizzazione per accendere i riflettori sulla progressiva recrudescenza di odio e violenza contro gli omosessuali, i bisessuali e i transessuali;
   nei giorni scorsi in Italia si sono verificati gli ennesimi atti di natura razzista ed omofoba, che rappresentano solo gli ultimi esempi in ordine di tempo di una lunghissima e drammatica escalation, A Roma, il 6 maggio 2013, due giovani gay sono stati aggrediti verbalmente sul lungo Tevere mentre si stavano baciando. A Palermo il 30 aprile 2013 un giovane rumeno è stato ferito con una mazza mentre stava guardando foto di uomini su un sito internet;
   al momento in Italia l'omofobia e la transfobia, intesi come la diffusione di odio e l'istigazione a commettere atti di discriminazione o violenza nei confronti delle persone omosessuali e trans, non sono puniti o punibili come figura di reato autonomo, a differenza di quanto avviene quando le stesse azioni hanno come vittima una persona a causa della sua etnia, razza, nazionalità, lingua o religione. Questo irragionevole vuoto legislativo rende la minoranza delle persone omosessuali e trans sempre più facile bersaglio di esclusioni, discriminazioni e violenze, che impediscono loro di realizzare appieno la propria personalità e di vivere con serenità il proprio quotidiano in famiglia, sul lavoro e nella società. L'assenza della protezione legislativa rappresenta una violenza ripetuta dei principi cardine della nostra Costituzione;
   in gran parte dell'Europa le barriere e i pregiudizi contro i diversi orientamenti sessuali si stanno combattendo ed abbattendo, almeno a livello politico e legislativo. Solo nel nostro Paese il muro dell'omertà, dell'ignoranza e del pregiudizio è ancora alto: un muro che le istituzioni devono contribuire a far crollare al più presto. Non ci si può più permettere di aspettare o di rimandare: l'emergenza, come evidenziano i fatti di cronaca citati poc'anzi, è assoluta. Un Paese veramente democratico non può infatti prescindere da una legislazione che punisca esplicitamente l'omofobia e la transfobia come reati con sanzioni detentive e/o pecuniarie; così avviene in Danimarca, Francia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia. Norme antidiscriminatorie che menzionano esplicitamente l'orientamento sessuale sono in vigore anche in Austria, Belgio, Cipro, Finlandia, in alcune regioni della Germania (Berlino, Brandeburgo, Sassonia e Turingia), Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Romania, Slovenia, Spagna, Svizzera, Ungheria, Regno Unito, Repubblica Ceca;
   in questa legislatura è stata presentata la proposta di legge Atto Camera n. 245 a prima firma Scalfarotto (PD), che è finalizzata ad estendere la portata della legge «Mancino-Reale» per proteggere l'orientamento sessuale e le identità di genere. Si tratta di una importante iniziativa legislativa che anche il Governo dovrebbe sostenere –:
   se il Governo, tenendo presente anche i richiami dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa, non intenda, tra le sue priorità, assumere iniziative normative in relazione a quanto esposto in premessa, sostenendo e agevolando, per quanto di competenza, l’iter della proposta di legge n. 245 per l'ampliamento della portata della legge «Mancino-Reale», che persegue penalmente i reati contro la persona per motivi etnici, religiosi, politici, estendendoli ai casi riguardanti l'orientamento sessuale e le identità di genere.
(2-00047) «Chimienti, Tacconi, Lombardi».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   nel comune di Alagna Lomellina in provincia di Pavia, in occasione delle elezioni amministrative del 25 e 26 maggio, tra le formazioni politiche ammesse alle consultazioni elettorali, risultano due liste chiaramente ispirate a riferimenti politici di natura fascista, nello specifico: a) Movimento Fascismo e Libertà, che presenta come candidato sindaco Rino Raffaele Manfuso, il cui contrassegno elettorale è costituito dal fascio littorio di colore rosso al centro, attorniato dalle scritte «FASCISMO» a sinistra e «E LIBERTÀ» a destra in colore nero; b) «Nsab-Mlns» (Nationalsozialistische arbeit bewegung-Movimento nazionalsocialista dei lavoratori), che presenta come candidato sindaco Matteo Cantù, il cui contrassegno elettorale è costituito dall'acronimo «NSAB mlns», scritto al centro del simbolo in colore nero, contornato sul lato sinistro dalla scritta «MOVIMENTO NAZIONALSOCIALISTA DEI LAVORATORI» in colore nero;
   sul sito internet del Movimento Fascismo e Libertà (www.fascismoeliberta.info) sono chiari ed evidenti i richiami e l'ispirazione al disciolto Partito Nazionale Fascista e a Benito Mussolini;
   sul sito internet del movimento «Nsab-Mlns» (Nationalsozialistische arbeit bewegung-Movimento nazionalsocialista dei lavoratori) sono chiari ed evidenti i richiami e l'ispirazione al disciolto Partito nazionalsocialista tedesco dei Lavoratori –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere con urgenza per assicurare la legalità e il rispetto dei valori e princìpi affermati nella Costituzione, in special modo dalla XII disposizione transitoria e finale che afferma: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto Partito Fascista»;
   se non ritenga necessario assumere iniziative normative per escludere dalla partecipazione alle consultazioni elettorali le liste i cui contrassegni elettorali sono chiaramente ispirati all'ideologia fascista e nazionalsocialista.
(2-00048) «Migliore, Franco Bordo».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il comune di Maddaloni (Caserta) è tra i comuni italiani nei quali il 26 e 27 maggio 2013 si terranno le elezioni amministrative per eleggere sindaco e Consiglio comunale;
   molti cittadini maddalonesi lamentano, tra le altre forme di degrado e di inciviltà, che nella città non si riesce a debellare il fenomeno di abusivismo relativo alle affissioni elettorali di proporzioni sempre più ingenti e dispendiose;
   a nome e per conto del candidato a sindaco di Pd/Sel Gaetano Esposito, il mandatario signora Michela Rispoli presentava esposto per le vie legali, in data 6 maggio 2013, al Commissario prefettizio del Comune di Maddaloni, al comandante dei vigili urbani di Maddaloni, all'ufficio elettorale del medesimo comune e copia conforme al prefetto di Caserta dottoressa Carmela Pagano per richiedere l'applicazione della legge e delle normative che sovraintendono all'utilizzo della propaganda elettorale da parte dei partiti;
   in data 8 maggio 2013 il mandatario presentava esposto per le vie legali presso la locale stazione dei carabinieri;
   i manifesti, contravvenendo alla legge sull'affissione al di fuori dello spazio assegnato, venivano affissi ovunque, sui muri della città, manifesti di varia e smisurata grandezza affissi su bandoni di cantieri, su cassonetti, su colonnine telefoniche, su plance elettorali negli spazi riservati ad altri partiti e su quelli riservati alle affissioni funebri;
   detti manifesti, inoltre, contravvenendo alla legge 4 aprile 1956 n. 212 – Norme per la disciplina della campagna elettorale – (Affisso al di fuori dello spazio assegnato) venivano posti in modo selvaggio ed in forma abusiva su cartelloni (600x300, 140x200, 70x100), anche a pagamento in comodato a società di gestione del servizio di affissione;
   il candidato Gaetano Esposito, vedendosi negare il diritto di vedere affissi legalmente i propri manifesti negli spazi dedicati e assegnati dall'ufficio elettorale del comune di Maddaloni e prendendo atto del diniego reiterato da parte del servizio affissioni, percepiva timore nelle parole di rifiuto degli addetti alle affissioni, decideva di affiggere i propri manifesti personalmente, in pieno giorno. La vicenda viene seguita dalla stampa locale con articoli, fotografie, video ed interviste;
   se non ritenga necessario un intervento urgente ed efficace, al fine di debellare il fenomeno che, oltre a contribuire al degrado urbano, afferma una pratica di propaganda politica non legittima, violenta e lesiva di una sana e regolata dialettica politica tra partiti;
   se non intenda sollecitare le forze dell'ordine, le istituzioni e i rappresentanti territoriali del Governo a porre in atto soluzioni urgenti per interrompere tale pratica illegale, violenta ed esosa che sicuramente non giova alla «buona politica» e verificare la veridicità di atti di violenza e schiamazzo perpetrati durante le notti tra diverse gruppi di attacchinaggio;
   se risulti se e in quale misura (numero di multe) sia stato effettivamente utilizzato lo strumento sanzionatorio di tale pratica di abusivismo;
   se risulti se e in quale misura sia stato effettivamente utilizzato lo strumento dell’«oscuramento» e/o «defissione» dei manifesti di ogni tipo, grandezza e genere affissi selvaggiamente, abusivamente e al di fuori delle norme per la disciplina della campagna elettorale;
   se, infine, il Ministro dell'interno ritenga di esaminare, con i mezzi più opportuni ritenuti dallo stesso, le insistenti e preoccupanti dichiarazioni (stampa e Tv nazionali) di Roberto Saviano su Maddaloni (Caserta) riguardo le ultime elezioni politiche (febbraio 2013) ed inerenti al pericolo di voto inquinato, percepito in città in maniera molto forte i questi ultimi giorni di campagna elettorale amministrativa mediante la pratica dello scambio del voto con buoni benzina, pagamento bollette, spesa alimentare, sacchetti gettoni videopoker e ricariche telefoniche.
(2-00046) «Scotto».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTAN. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   tutta l’«Area Metropolitana» di Napoli, con maggiore incidenza nella zona-nord, specificatamente nell'area di confine tra Acerra, Caivano, Afragola e Casalnuovo di Napoli, nonché Melito di Napoli, Giugliano in Campania, Calvizzano e Qualiano, è interessata da anni dal dilagante fenomeno dei roghi tossici i quali generano evidenti colonne di fumo nocivo e ceneri le quali, poi, ricadono su una più vasta zona comprendente sia i centri urbani che i terreni spesso a vocazione agricola evidenziando, al suolo, la successiva presenza di mercurio, piombo ed alluminio oltre che di altro materiale inquinante e tossico;
   si tratta di un'area estremamente vasta e dai confini labili e compenetrati verso l'agro aversano, caratterizzata dalla presenza di insediamenti industriali e già di per sé altamente inquinanti, nonché dai vicini impianti di termovalorizzazione di Acerra e di tritovagliatura di Caivano;
   è già a conoscenza della competente prefettura di Napoli che proprio su queste aree insistono, inoltre, anche i più popolosi campi nomadi di tutta la Campania come quello, ad esempio, pur autorizzato, nel territorio di Scampia (quartiere popoloso della città di Napoli), alle porte di Melito di Napoli, oltre che innumerevoli altri nel raggio di pochi chilometri;
   con cadenza quasi quotidiana, dal predetto campo nomadi, in qualsiasi fascia oraria, diurna e notturna, si innalzano copiose colonne di fumo nero e ceneri che generano miasmi irrespirabili e con ogni probabilità cancerogeni, perfettamente visibili anche solo percorrendo il tratto di Asse mediano che attraversa l'area;
   all'inarrestabile e dilagante fenomeno dei roghi tossici appiccati dalla criminalità organizzata interessata a smaltire illecitamente rifiuti che, diversamente, andrebbero lavorati con processi di smaltimento ad hoc e più onerosi, si associa, dunque, l'altrettanto irrefrenabile comportamento delle popolazioni residenti nei suddetti campi, tradizionalmente e consuetudinariamente inclini a bruciare i propri stessi rifiuti — in mancanza dei più minimi presidi organizzativi in tal senso — non esitando ad appiccare focolai a pochi metri dalle proprie stesse abitazioni;
   quello sopra sommariamente descritto è il fenomeno tristemente noto in tutta Italia come quello della «terra dei fuochi», ovvero un coacervo di discariche abusive e roghi tossici, generatori di un allarme sanitario continuo e collettivo, recante tutti i caratteri della emergenza;
   ad oggi, purtroppo, non è possibile rilevare una strategia complessiva e sinergica tra le istituzioni centrali e locali tesa a contrastare in maniera radicale tale fenomeno: una strategia che, inevitabilmente non potrà prescindere da uno stringente e continuo supporto agli enti locali che, per primi, quali organi di prossimità, sono costretti a far fronte a tali emergenze;
   il fenomeno in questione ha portato, nel tempo, alla costituzione di numerosi gruppi spontanei di cittadini e comitati civici, nati per svolgere un'azione di contrasto all'illegalità diffusa sopra descritta, sia attraverso un'azione di sensibilizzazione che attraverso un'opera di presidio del territorio e di denunzia; ciò va tenuto in stretta considerazione, per avere la misura del grado di allarme sociale che il fenomeno della «terra dei fuochi», da anni, genera nella cittadinanza napoletana, esposta ad una vera e propria tragedia collettiva che trova negli impietosi numeri degli studi oncologici ed epidemiologici la più tristemente nota e drammatica conseguenza dell'uso distorto e dissennato che si è fatto del territorio negli ultimi anni –:
   quali celeri ed oramai improcrastinabili iniziative il Ministro dell'interno vorrà adottare al fine di promuovere ogni utile e possibile forma di contrasto al diffuso fenomeno sopra descritto;
   se non intenda inoltre, nel caso specifico di Melito di Napoli (Napoli) e della città di Napoli, sollecitare tutte le istituzioni competenti a svolgere una più stringente attività di controllo e presidio del territorio, prevenzione e repressione delle condotte illecite sopra evidenziate, anche attraverso una intensificazione dell'attività delle forze dell'ordine;
   se non ritenga il Ministro della giustizia praticabile l'ipotesi di avviare una radicale revisione della normativa penale in materia ambientale, ed in particolare di quella relativa alla previsione delle fattispecie di reato connesse all'illecito sversamento dei rifiuti ed all'accensione di roghi tossici, valutando, se del caso, la possibilità di estendere l'applicazione delle disposizioni in materia di lotta e contrasto ai fenomeni terroristici, sia sul piano sanzionatorio che sul piano persecutorio, anche alle condotte illecite sopra evidenziate. (5-00112)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale grave emergenza rifiuti, che sta interessando la città di Palermo, è indubbiamente connessa ai problemi e alle inefficienze del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, conseguente alla grave crisi in cui versa l'AMIA SpA, azienda a totale capitale pubblico di proprietà del comune di Palermo, addetta alla raccolta e allo smaltimento rifiuti della città di Palermo, e la sua partecipata, AMIAESSEMME;
   la decisione del tribunale di Palermo – sezione fallimentare, che con sentenza del 5 aprile 2013 ha rigettato la domanda di approvazione della proposta unitaria di concordato straordinario, depositata il 29 novembre 2012 dal liquidatore di AMIA Spa in amministrazione straordinaria e di AMIAESSEMME Srl in amministrazione straordinaria, nonché la conseguente successiva sentenza del tribunale di Palermo che in data 22 aprile 2013, ha decretato il fallimento delle due società AMIA spa e AMIAESSEMME (fatto di per sé già anomalo considerata la natura esclusivamente pubblica dell'intero capitale sociale delle due società);
   nonostante la decisione del tribunale che, con la stessa sentenza di fallimento, ha consentito al gruppo AMIA di proseguire temporaneamente le proprie attività con un periodo di esercizio provvisorio, il cui termine è fissato per il 15 giugno 2013, la situazione, di fatto, pone l'intero gruppo e i suoi lavoratori in uno stato di estrema precarietà;
   in tale difficile contesto va rilevato, inoltre, che il comune di Palermo, con contratto di servizio stipulato tra lo stesso e l'AMIA spa il 30 novembre 2001, così come emendato dal cosiddetto atto integrativo al contratto di servizio stipulato in data 8 gennaio 2010, ha affidato al gruppo AMIA la gestione di servizi connessi alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti prodotti sul territorio della città. Tali servizi, per la loro stessa natura, possono farsi rientrare tra quei servizi pubblici essenziali la cui continuità deve essere garantita dal sindaco della città, per motivi di igiene e sanità pubblica, secondo i compiti, e le responsabilità assegnate all'amministrazione comunale dalle norme di attuazione dell'articolo 117 lettera p) della Costituzione italiana, così come ribadito dall'articolo 4 della citata legge regionale n. 9 del 2010 e rafforzata dalla legge regionale n. 3 del 2013. Pertanto appare evidente che è responsabilità dell'amministrazione comunale, in particolare del sindaco della città, assicurare la regolarità e la continuità dei servizi di raccolta e smaltimento rifiuti. Tale responsabilità comprende anche l'onere di adottare tutti gli opportuni e legittimi provvedimenti atti a garantire che gli attuali livelli occupazionali, fino a ieri assicurati dal gruppo AMIA, vengano mantenuti ed assicurati, nell'alveo di quanto consentito e previsto dalla vigente normativa (nazionale e regionale) –:
   se il Governo non intenda intervenire al fine di prevenire che la gestione integrata dei rifiuti a Palermo, in conseguenza di quanto esposto in premessa, possa determinare condizioni di tensioni e pericolo sociale, anche in termini di igiene e sanità pubblica, e se vi sia un danno ambientale causato dal degenerare della situazione descritta in premessa;
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle proprie prerogative, non intendano intervenire al fine della salvaguardia degli attuali livelli occupazionali presso le partecipate del gruppo AMIA, che il decretato fallimento rischia di minacciare, aggravando una crisi sociale di un territorio economicamente fragile, in cui il pericoloso sovrapporsi di più vertenze può rendere ingovernabile la gestione delle conseguenze;
   quali iniziative si intendono adottare per fugare il rischio di infiltrazioni criminali connesso a interessi economici derivanti dalla filiera di gestione del ciclo integrato dei rifiuti, con particolare riferimento alla gestione dell'emergenza in atto e relativamente al nolo a caldo dei mezzi per la raccolta straordinaria.
(4-00419)


   POLVERINI. — Al Ministro dell'interno. Per sapere – premesso che:
   nella giornata di sabato due gazebo nei quali si stavano svolgendo, in Roma, attività politiche legate alla campagna elettorale per le imminenti elezioni amministrative dei candidati a sindaco Gianni Alemanno e Ignazio Marino, sono stati presi d'assalto da alcuni facinorosi;
   i protagonisti di queste azioni violente, che peraltro celavano la propria identità dietro maschere, distruggevano il materiale di propaganda dei due candidati e gli arredi dei gazebo;
   episodi di violenza e intolleranza come questi rischiano di alimentare ed accrescere un clima pericoloso di scontro politico, del quale ci sono già numerosi indizi, dalle conseguenze imprevedibili;
   soprattutto in campagna elettorale, deve essere garantita l'espressione del pensiero politico in modo civile e democratico –:
   quali iniziative di competenza siano state intraprese per l'identificazione degli autori dell'inqualificabile aggressione e quali misure intenda eventualmente adottare per far sì che i comizi elettorali e la propaganda dei candidati alle elezioni amministrative di Roma Capitale proseguano serenamente nell'alveo della legalità e della tutela prevista dalla normativa vigente. (4-00438)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la professoressa Fiorella Kostoris, attualmente componente del consiglio direttivo dell'ANVUR, dovrebbe essere nominata presidente della COVIP (Commissione di vigilanza sui fondi pensione);
   la proposta di nomina era stata già trasmessa al Parlamento per l'espressione del prescritto parere nella XVI legislatura;
   dovrà pertanto venire successivamente nominato il nuovo settimo componente del consiglio dell'ANVUR attingendo al più ampio elenco già selezionato ai sensi dell'articolo 7, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 1o febbraio 2010, n. 76;
   nel febbraio 2011, al momento della nomina dell'attuale consiglio (che dura in carica 4 anni e non è rieleggibile), vi furono diffuse critiche, ignorate dal Ministro dell'epoca, per la mancanza nel consiglio stesso di esponenti accademici provenienti dagli atenei del Mezzogiorno e dall'area delle scienze umane;
   la nuova situazione consente di cominciare a riequilibrare almeno in parte la composizione dell'organo, fermo restando che, immutati gli altri sei, la nuova componente dovrà essere necessariamente donna –:
   se, al momento della sostituzione della professoressa Fiorella Kostoris, intenda inserire nel consiglio direttivo dell'ANVUR una esponente accademica proveniente dagli atenei del Mezzogiorno e dall'area delle scienze umane, come largamente auspicato dal mondo universitario al momento della nomina dell'attuale consiglio. (3-00048)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MONTRONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la graduatoria per l'accesso alle scuole dell'infanzia statali del comune di Castel San Pietro Terme (BO) per l'anno scolastico 2013-2014 è stata pubblicata il 27 marzo 2013;
   tale graduatoria evidenzia che circa il 45 per cento delle richieste non ha trovato accoglimento. Infatti le richieste di iscrizione sono risultate 184 a fronte di un numero di posti disponibili complessivamente pari a 102 (71 nelle scuole dell'infanzia «Ercolani» e «Rodari» in comune di Castel San Pietro Terme, 3 nella scuola materna di San Martino in Pedriolo, frazione del comune di Casalfiumanese, facenti capo alla direzione didattica statale del comune di Castel San Pietro Terme e 28 nella scuola dell'infanzia «G. Grandi» di Osteria Grande, frazione del comune di Castel San Pietro Terme e facente parte dell'istituto comprensivo del comune medesimo);
   l'esclusione di 82 bambine e bambini (55 alle «Ercolani» e «Rodari» di Castel San Pietro Terme; 19 alle «G. Grandi» e 8 a San Martino in Pedriolo) ha sollevato forte contrarietà tra le famiglie coinvolte e più in generale nelle comunità locali determinando la richiesta agli enti preposti di istituire quattro nuove sezioni (due a Castel San Pietro Terme, una a Osteria Grande e una San Martino in Pedriolo);
   le amministrazioni comunali di Castel San Pietro Terme e Casalfiumanese hanno già assunto l'impegno a predisporre gli spazi per ospitare le nuove sezioni ed unitamente ai genitori hanno rivolto richiesta alla direzione dell'ufficio scolastico della regione Emilia Romagna affinché sia previsto il personale insegnante necessario all'apertura delle nuove sezioni;
   quanto avvenuto nei comuni sopra citati avviene purtroppo in molte regioni e comuni del Paese –:
   se e quali azioni intenda assumere al fine di assicurare l'offerta della scuola dell'infanzia in modo adeguato alle necessità delle famiglie. (4-00403)


   ZANIN, COPPOLA e BERLINGHIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in occasione delle scadenze previste per le iscrizioni all'anno scolastico successivo (fine di febbraio) sono frequenti le segnalazioni di comportamenti scorretti e illeciti da parte di certe scuole, che chiedono alle famiglie, assieme alla compilazione di un modulo per l'iscrizione, anche il versamento del contributo scolastico, che può essere richiesto dalle scuole come contributo volontario, ma sovente è invece fatto passare indebitamente come una condizione necessaria per completare le procedure di iscrizione;
   si prende spunto da episodi occorsi nel territorio regionale del Friuli Venezia Giulia relativi al versamento dei contributi scolastici volontari da parte delle famiglie, come ad esempio il caso riportato dal quotidiano locale Il Piccolo, nell'edizione di Gorizia-Monfalcone che in data 21 marzo 2013 a pagina 18 riporta le affermazioni di un insegnante di Gorizia che attesta, senza citare alcuna persona o scuola in particolare, «anche a Gorizia spesso viene ignorato il dovere, ribadito più volte dal Ministero dell'Istruzione, di comunicare chiaramente alle famiglie l'assoluta volontarietà del contributo in questione, e capita addirittura che le scuole non accettino di ritirare il modulo compilato per l'iscrizione e il bollettino delle tasse pagate se non contemporaneamente al bollettino che dimostri il versamento del contributo volontario. Ad alcuni genitori che non volevano versare il contributo è stato perfino chiesto di presentare la dichiarazione dei redditi per giustificarsi»;
   in un altro articolo pubblicato dal quotidiano locale Il Piccolo, nell'edizione di Gorizia-Monfalcone del 2 aprile 2013 a pagina 22 viene evidenziato dal medesimo insegnante come in una precisa scuola di Gorizia in data 11 gennaio 2013 sia stata emanata una circolare (n. 120) rivolta agli alunni e ai genitori in cui si afferma che «non sono previsti esoneri dai contributi scolastici interni», e che nel modulo d'iscrizione presentato alle famiglie degli alunni dalla prima alla quarta classe il contributo scolastico era presentato sotto la voce «tasse scolastiche», e in nessun luogo si faceva esplicito riferimento alla volontarietà del contributo;
   si ricordano le indicazioni ministeriali contenute nelle note 312 e 593 del marzo 2012 e 2013 relative al:
    a) dovere di informare le famiglie sull'assoluta volontarietà del contributo scolastico;
    b) mantenere ben distinti i contributi volontari dalle tasse scolastiche;
    c) informare preventivamente le famiglie sulla destinazione dei contributi scolastici che devono riguardare non attività curricolari ma solo ampliamenti dell'offerta formativa;
    d) assicurare a fine anno alle famiglie una rendicontazione sul loro utilizzo;
   da questo significativo episodio si evince che è a rischio negli istituti scolastici la corretta comunicazione di quanto prescritto dal Ministero e che tali indicazioni sono ritenute non strettamente vincolanti e quindi non scrupolosamente rispettate ed applicate dalle scuole, con danno diretto per i cittadini e per le istituzioni scolastiche medesime –:
   se non si ritenga sul piano generale, in primo luogo che il perdurare di questi episodi segnali con sempre maggior forza la necessità di intervenire urgentemente a monte del problema posto da queste richieste di finanziamento, mirando ad evitare che gli istituti scolastici ricorrano a richieste di contributi scolastici con modalità ambigue, poco trasparenti o palesemente illecite anche per far fronte, in modo certamente deprecabile, al taglio dei finanziamenti alle scuole da parte dello Stato e pertanto disponendo dell'adeguato sostegno economico alle scuole, con riferimento particolare a finanziamenti mirati all'indispensabile potenziamento dell'offerta formativa;
   se sia o meno scorretto sul piano strettamente metodologico, il fatto che le scuole non accettino di ritirare il modulo compilato per l'iscrizione e il bollettino dell'avvenuto pagamento delle tasse erariali se non contemporaneamente al bollettino che dimostri il versamento del contributo volontario, visto quanto affermato nella nota ministeriale n. 593 del 7 marzo 2013 che recita: «subordinare l'iscrizione degli alunni al preventivo versamento del contributo non solo è illegittimo, ma si configura, per i soggetti che sono responsabili della gestione, come una grave violazione dei propri doveri d'ufficio»;
   se il Ministro ritenga che presentare il contributo scolastico sotto la voce «tasse scolastiche», come avvenuto nel modulo di iscrizione presentato alle famiglie degli studenti dal primo al quarto anno di corso dell'ISIS Alighieri di Gorizia, non sia in contraddizione con il dovere delle istituzioni scolastiche, anch'esso ribadito nella suddetta nota ministeriale, di «mantenere ben distinti i contributi volontari dalle tasse scolastiche»;
   se il Ministro non ritenga che l'affermazione secondo cui «non sono previste esenzioni dai contributi scolastici interni» contraddica di fatto il dovere delle istituzioni scolastiche, ribadito nella nota ministeriale n. 312 del 20 marzo 2012, di informare chiaramente le famiglie sul fatto che i contributi scolastici sono assolutamente volontari;
   cosa intenda fare il Ministro affinché le chiare indicazioni contenute nelle note 312 e 593 del marzo 2012 e 2013 (dovere di informare le famiglie sull'assoluta volontarietà del contributo scolastico, mantenere ben distinti i contributi volontari dalle tasse scolastiche, informare preventivamente le famiglie sulla destinazione dei contributi scolastici che deve riguardare non attività curricolari ma solo ampliamenti dell'offerta formativa, assicurare a fine anno alle famiglie una rendicontazione sul loro utilizzo) siano avvertite come strettamente vincolanti e quindi scrupolosamente rispettate ed applicate dalle scuole, visto che in molti casi oggi ciò non avviene. (4-00412)


   SCUVERA, FERRARI, COCCIA, ARGENTIN, RAMPI, SBROLLINI, MALPEZZI, CIMBRO, FOSSATI, BENI e FRAGOMELI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. — Per sapere – premesso che:
   la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dallo Stato italiano con la legge n. 18 del 3 marzo 2009, all'articolo 7, commi 1 e 2, stabilisce che «Gli Stati Parti adottano ogni misura necessaria a garantire il pieno godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali da parte dei minori con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri minori (...) e che «(...) in tutte le azioni concernenti i minori con disabilità, il superiore interesse del minore costituisce la considerazione preminente» (...);
   la medesima convenzione ONU all'articolo 24, commi 1 e 2, sancisce che «Gli Stati Parti riconoscono il diritto all'istruzione delle persone con disabilità. Allo scopo di realizzare tale diritto senza discriminazioni e su base di pari opportunità, gli Stati Parti garantiscono un sistema di istruzione inclusivo a tutti i livelli ed un apprendimento continuo lungo tutto l'arco della vita» e «nell'attuazione di tale diritto, gli Stati Parti devono assicurare che le persone con disabilità non siano escluse dal sistema di istruzione generale in ragione della disabilità e che i minori con disabilità non siano esclusi in ragione della disabilità da una istruzione primaria gratuita libera ed obbligatoria o dall'istruzione secondaria»;
   la legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, n. 104 del 5 febbraio 1992, all'articolo 12, decreta che debba essere «garantito il diritto all'educazione e all'istruzione della persona handicappata nelle sezioni di scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie»;
   la succitata legge stabilisce anche che «l'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione» (comma 3) e che «l'esercizio del diritto all'educazione e all'istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap» (comma 4);
   la legge n. 53 del 28 marzo 2003, «Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale», all'articolo 2, delibera che «la scuola dell'infanzia, di durata triennale, concorre all'educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, e ad assicurare un'effettiva eguaglianza delle opportunità educative (...). È assicurata la generalizzazione dell'offerta formativa e la possibilità di frequenza della scuola dell'infanzia»;
   nel comune di Zerbolò (Pavia) la scuola dell'infanzia è composta da due sezioni, una di competenza del comune e una di competenza dello Stato;
   la delibera n. 11, approvata il 30 aprile 2013 dal consiglio comunale di Zerbolò (Pavia), modifica il regolamento della sezione comunale della scuola dell'infanzia e prevede, all'articolo 9, comma 2, che «sono ammessi a frequentare la scuola comunale dell'infanzia di Zerbolò esclusivamente bambini autosufficienti in tutte le loro funzioni fisiologiche»;
   tale delibera può apparire in netto contrasto con la normativa internazionale e nazionale sull'accesso dei minori con disabilità ai servizi educativi per l'infanzia nonché con l'articolo 3 della Costituzione –:
   se i ministri interrogati, nell'ambito delle proprie competenze, non ritengano di promuovere iniziative, anche mediante intese o altre forme di concertazione con gli enti territoriali interessati, per assicurare, come previsto, tra l'altro dalle linee guida ministeriali per l'integrazione scolastica degli alunni con disabilità, il pieno rispetto del diritto di accesso ai servizi educativi per i minori con disabilità, con ciò evitando che si verifichino casi come quello di cui in premessa che risultano in contrasto con i principi affermatisi anche in ambito internazionale. (4-00421)


   CAPARINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   anche quest'anno saranno migliaia, in tutta Italia, i neodiplomati che si cimenteranno nei test di ammissione alle facoltà universitarie a numero chiuso (medicina, odontoiatria, veterinaria, architettura e professioni sanitarie);
   quest'anno sono in leggero calo il numero dei posti messi a disposizione: gli aspiranti medici potranno contare su 10.021 posti, 152 in meno rispetto allo scorso anno (nel 2012 per un numero di posti simile sono state circa 77 mila le iscrizioni ai test) ed anche i candidati veterinari dovranno fare i conti con un numero di posti inferiore (825 posti), mentre in lieve aumento saranno i posti messi a disposizione per odontoiatria (954) ed infine saranno 8.640 quelli per architettura;
   il decreto ministeriale 24 aprile 2013, n. 334, che stabilisce le nuove modalità con le quali si svolgeranno i test di ammissione alle facoltà a numero chiuso programmato a livello nazionale, prevede le modalità di selezione, il valore del voto di maturità, il numero di quesiti a cui verranno sottoposti i concorrenti dei quiz e l'istituzione di una graduatoria nazionale;
   quest'anno per la prima volta i punti sul voto di maturità incideranno sull'accesso ai corsi universitari a numero chiuso. Chi riceverà una buona valutazione al diploma di maturità godrà di qualche beneficio in più. Chi conseguirà un punteggio che va dall'80 al 100 potrà avere dai 4 ai 10 punti extra;
   il « bonus maturità» in realtà non è una vera e propria novità in quanto questa «dote» era già stata ideata nel 2007 dal Governo Prodi con la finalità di consentire ai maturati eccellenti di partire in vantaggio, ma finora non era mai stata applicata, grazie anche all'opposizione della Lega Nord;
   entro il 31 maggio sarà fornita la tabella per convertire la valutazione di maturità dei punti: uno schema articolato che – nelle intenzioni – terrà conto delle differenze di valutazione tra le scuole;
   secondo l'interrogante il voto all'esame di maturità rischia di essere falsato ed inattendibile perché potrebbe essere influenzato da svariati fattori, per esempio, potrebbe non tener conto del livello qualitativo medio degli studenti dei singoli istituti, penalizzando di fatto chi frequenta strutture che garantiscono standard elevati e creando quindi disparità;
   alla luce delle attuali innovazioni un voto alto al diploma ha un'importanza fondamentale. Si pensi al fatto che lo scorso anno un punteggio totale di 40/50 punti era la soglia minima di accesso alle facoltà più ambite e quindi, 10 punti in più possono davvero fare la differenza;
   si aggiunge così un nuovo problema a quello dei test, che a medicina (con un solo posto disponibile ogni dieci domande) già oggi, ad avviso dell'interrogante, garantiscono l'accesso più per fortuna che per capacità;
   il decreto ministeriale ha optato per una graduatoria a livello nazionale. Questo vuol dire che se uno studente non rientra nel numero dei posti previsto per l'ateneo in cui sostiene l'esame, ma col suo punteggio rientra nel numero dei posti totali a livello nazionale, si «prenota» per un posto in un altro ateneo;
   nel 2015 si stima che mancheranno circa 7.600 medici, in quanto, anche a causa dell'abbandono degli studi, i posti a disposizione non saranno sufficienti a coprire il fabbisogno di medici;
   le università del Nord «sfornano» a malapena la metà dei medici che servono con il risultato che in alcune regioni buona parte dei medici viene da fuori –:
   se non si ritenga opportuno sospendere il « bonus maturità», in attesa di individuare un meccanismo che garantisca omogeneità di valutazione;
   se non si ritenga opportuno dare finalmente attuazione all'articolo 29, comma 6, della riforma universitaria che prevede la rideterminazione del numero dei posti disponibili nei corsi di laurea in medicina e chirurgia e la loro distribuzione su base regionale al fine riequilibrare l'offerta formativa in relazione al fabbisogno di personale medico del bacino territoriale di riferimento;
   se non si ravvisi la necessità di assumere ogni iniziativa di competenza per mettere in condizione gli atenei, sotto il profilo del personale, dei fondi e delle strutture, di accogliere un numero decisamente maggiore di studenti, selezionati in maniera più corretta. (4-00425)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la normativa sulla cosiddetta «spending review», approvata nel mese di luglio 2012, è intervenuta anche in materia li pagamenti delle supplenze saltuarie nella scuola pubblica;
   fino allo scorso 31 dicembre 2012, i pagamenti per i compensi di insegnanti, amministrativi e collaboratori scolastici erano a carico dei singoli istituti che vi provvedevano nei tempi e nei modi previsti dalla normativa precedente;
   la ratio del provvedimento era quella di alleggerire le scuole dagli oneri e liberare i presidi da queste incombenze amministrative e permettere loro di dedicarsi maggiormente alla vita del proprio istituto;
   l'accentramento delle competenze che avrebbe dovuto snellire le procedure ha, invece, provocato tutt'altro: il sistema informatico che dovrebbe gestire i pagamenti stenta a partire e con esso stentano ad arrivare gli stipendi con ritardi fino allo scorso mese di aprile;
   la singola scuola, il singolo istituto comprensivo, comunica la presa in servizio del supplente, elabora il cedolino-paga e nell'eventualità che l'importo complessivo di cedolini superi quello messo a disposizione dal Ministero, il sistema informatico rigetta la pratica e gli stipendi non vengono pagati. Ciò accade nelle scuole di maggiori dimensioni dove è facile che gli importi da erogare superino le previsioni di spesa;
   al danno si è aggiunta la beffa dei rimborsi. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca aveva comunicato che il 12 febbraio 2013 ci sarebbe stata un'emissione speciale, emissione rimandata al lunedì successivo ed entro le ore 18 di quel giorno le scuole avrebbero dovuto caricare on-line i dati del singolo supplente. Ma un ulteriore incidente ha fatto saltare l'appuntamento: 10 mila istituti nelle stesse ore hanno fatto l'accesso allo stesso server bloccando il sistema informatico e mandandolo in tilt;
   una situazione di tal genere è intollerabile da qualunque punto di vista la si osservi e necessita, a giudizio dell'interrogante e dei sindacati di categoria, di una soluzione in tempi brevi –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati affinché vengano risolte tali problematiche;
   entro quale data i supplenti potranno percepire gli stipendi arretrati. (4-00433)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   a causa delle scelte politiche, con particolare riferimento alle materie di istruzione e lavoro, assunte senza carattere di discontinuità dai Governi che si sono succeduti nel corso degli ultimi anni, il numero di docenti e personale ATA precario assunto attraverso contratti annuali o fino al termine delle attività didattiche, ha ormai toccato le trecentomila unità secondo le più recenti rilevazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   il personale di cui si tratta, nonostante un'intera carriera prestata al servizio della scuola italiana, con dedizione e professionalità non inferiori a quelle apportate dal personale di ruolo, è soggetto a continue disparità di trattamento sia economico che normativo, ad attacchi reiterati alla propria dignità e posizione lavorativa, e, probabilmente, non sarà soggetto, al termine degli anni di servizio, ad alcun trattamento pensionistico;
   in particolare, il sistema scolastico attuale, invece di prevedere un sistema efficace per lo svuotamento delle graduatorie del personale docente da stabilizzare attraverso l'assegnazione del titolo di docente a tempo indeterminato, vede al suo interno un complesso sistema di sbarramenti e normative che impediscono di fatto la possibilità che questo svuotamento possa avvenire, laddove viene prevista, nel sistema di accesso al ruolo, la copresenza di graduatorie ad esaurimento, graduatorie da concorso, graduatorie di terza fascia, doppio canale, doppio punteggio, master e perfezionamenti, SISS, TFA;
   annualmente, attraverso la lettura dei dati del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, vengono effettuate circa centomila nomine a tempo determinato di personale docente, e circa 50.000 di personale ATA, a fronte delle quali lo Stato italiano decide di non stabilizzare queste unità in modo definitivo, in luogo di reiterate assunzione pro tempore;
   nel corso degli ultimi anni il numero dei docenti precari è rimasto invariato, come invariato è rimasto il rapporta tra docenti di ruolo e precari (circa il 14 per cento);
   la recente indizione di un bando di concorso, ad opera del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Profumo, per l'assunzione di personale docente di ruolo, ha presentato caratteri, ad avviso degli interpellanti, meramente propagandistici a fronte dell'esiguo numero dei posti da assegnare;
   attualmente l'amministrazione scolastica opera in deroga alla direttiva comunitaria 1999/70 che prevede l'assunzione del personale utilizzato per trentasei mesi consecutivi sul posto di lavoro e obbliga i datori di lavoro, tra i quali lo Stato, ad assumere a titolo definitivo il personale che ha svolto, in un intervallo di tempo di 5 anni, almeno 36 mesi di servizio, anche se frazionato;
   la modifica introdotta dal legislatore con decreto-legge n. 70 del 2011 al decreto legislativo n. 368 del 2001, che ha recepito la direttiva comunitaria 1999/70, ha stravolto tale principio in relazione ai lavoratori della scuola. In particolare, all'articolo 9, comma 18, il legislatore prevede l'esclusione in blocco, dalla disciplina comune della legge n. 368 del 2001, dei contratti a tempo determinato di cui alla legge n. 124 del 1999, circa il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA nelle scuole statali;
   tale disposizione avrebbe, secondo la tesi del Ministero, carattere retroattivo e di conseguenza applicabile anche a rapporti precedenti all'entrata in vigore della norma, legittimando così di fatto l'abuso dei contratti a tempo determinato con cui l'amministrazione provvede a garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo, giustificando attraverso una arbitraria interpretazione della norma del 1999, in quanto censurata in maniera pressoché unanime dalla magistratura di merito, l'apposizione del termine ai contratti stipulati per esigenze diverse da quelle contingenti e necessarie per evitare l'interruzione di un pubblico servizio;
   è evidente come un'interpretazione siffatta estrometta l'intero settore del precariato scolastico dalle tutele previste a livello europeo in materia di contratto a termine;
   lo sfruttamento dei precari della scuola italiana ha prodotto importanti conseguenze anche all'interno dell'Unione europea e dei relativi organi, giurisdizionali in particolare, al punto che la Commissione europea, ha deciso di chiedere spiegazioni formali sulla mancata applicazione della direttiva comunitaria 1999/70, aprendo così due procedure di infrazione nei confronti dell'Italia, la procedura n. 2010/2045 e la procedura n. 2010/2124, per la violazione della normativa sulla reiterazione dei contratti a tempo determinato;
   la prima è stata avviata per la non corretta trasposizione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato proprio in relazione al comparto scuola, mentre la seconda per aver violato il principio dell'equo processo, inserendo disposizioni retroattive allo scopo di influenzare la risoluzione di una controversia;
   in meno di due settimane il giudice del lavoro del tribunale del lavoro di Trapani ha emesso tre condanne di risarcimento in favore di altrettanti docenti precari, per un totale di cinquecentomila euro, sostenendo che «la necessità dell'assunzione per pubblico concorso non può giustificare deroghe che limitano il potere di abuso del datore di lavoro nello stipulare contratti a termine, né autorizzare comportamenti contra legem della pubblica amministrazione»;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca potrebbe essere così costretto al potenziale risarcimento di oltre ventimila domande analoghe, dato il numero di ricorsi già notificati e promossi dalle varie sigle sindacali di categoria, quali la Flc-Cgil, l'Ugl-Scuola e l'Anief, con un costo potenziale di circa 3 miliardi di euro;
   il giudice del lavoro del tribunale di Napoli ha chiesto alla Corte europea di pronunciarsi in merito alla compatibilità europea della disciplina interna in materia di contratto a tempo determinato nel comparto scuola dal momento che la norma, oggetto della richiesta di compatibilità in questione, esclude proprio il settore scuola dall'applicazione del decreto legislativo n. 368 del 2001, decreto che recependo la direttiva della Comunità europea 70/1999, riconosce il diritto alla stabilizzazione per tutti i lavoratori che hanno svolto almeno 36 mesi di servizio;
   se la Corte di Lussemburgo dovesse dar ragione ai circa 80.000 precari presenti nel nostro sistema scolastico, lo Stato italiano dovrebbe assumerli con contratto di lavoro a tempo indeterminato in via collettiva ed immediata;
   viene, a seguito delle recenti scelte politiche, del tutto compromessa la continuità didattica e, soprattutto, la qualità dell'insegnamento, per la quale è stata recentemente prevista dal Documento di economia e finanza, l'introduzione di nuovi sistemi che possano accertarne il livello, ma nulla è stato introdotto con riguardo al suo reale sviluppo;
   il tutto va necessariamente relazionato al diritto costituzionalmente garantito della dignità della persona umana e del suo lavoro, diritti da troppo tempo sviliti e compressi a causa di una continua ricerca di un sistema di precarietà all'interno del mondo del lavoro, che vede la scuola pubblica raggiungere uno dei suoi picchi più elevati –:
   se intendano urgentemente attivarsi per procedere alla immediata stabilizzazione dei docenti e del personale ATA che, nel periodo di 5 anni, abbia lavorato 36 mesi all'interno dell'istituzione scolastica, nel pieno rispetto della normativa comunitaria relativa all'abuso della reiterazione dei contratti a tempo determinato nel mondo della scuola, e scongiurando gli esiti di una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano da parte delle autorità dell'Unione europea, ovvero di una possibile condanna da parte della Corte di giustizia europea;
   in che modo intendano risolvere la piaga del precariato nelle istituzioni scolastiche, piaga che ormai da troppi anni colpisce il personale docente del sistema scolastico italiano, condannandolo a livelli ormai insostenibili di incertezza esistenziale ed economica, con gravissime ripercussioni sulla stessa dignità umana e professionale della classe docente, e, di conseguenza, sulla qualità dell'offerta formativa in Italia e sul corretto funzionamento dell'intero sistema scolastico;
   se non intenda riconoscere, nei fatti e nelle sue politiche, l'importanza del ruolo svolto dal personale precario della scuola, docente ed ATA.
(2-00043) «D'Uva, Marzana, Luigi Gallo, Brescia, Vacca, Di Benedetto, Battelli, Simone Valente, Chimienti».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FERRO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la direzione centrale organizzazione dell'INPS, con la determinazione n. 77 del 5 aprile 2013, in attuazione della circolare n. 146/2011 della regione Lazio, decideva la chiusura dell'agenzia di produzione di Guidonia-Montecelio e la sua contestuale trasformazione in «Punto INPS», con conseguente rideterminazione del bacino di utenza dell'agenzia territoriale di Tivoli alla quale veniva assegnata;
   a quanto risulta all'interrogante, allo stato attuale, la ragione fondamentale posta come giustificazione principale alla chiusura dell'ufficio di Guidonia-Montecelio avrebbe a che fare con i costi eccessivi sostenuti dall'istituto previdenziale per la locazione dei locali necessari allo svolgimento delle proprie attività;
   tale scelta provocava la reazione indignata degli utenti, dei lavoratori e dei sindacati, che attraverso assemblee pubbliche e iniziative di protesta spontanee hanno già raccolto più di 2.500 firme contro la chiusura dell'agenzia di Guidonia;
   il consiglio comunale di Guidonia-Montecelio, saputa la notizia, con la deliberazione n. 16, dell'8 marzo 2013, invitava il sindaco, il presidente dell'assemblea e la giunta comunale, ad attivarsi immediatamente per scongiurare il rischio della chiusura definitiva dell'agenzia di Guidonia;
   il comune di Guidonia-Montecelio, con una nota ufficiale del sindaco del 3 maggio 2013, protocollo n. 38481, preceduta da un'analoga comunicazione a mezzo di posta elettronica, nell'esprimere profonda preoccupazione e netta contrarietà in merito alle recenti determinazioni dell'istituto, provvedeva ad inoltrare specifica documentazione con la quale si accertava l'esistenza di diversi locali di proprietà dell'ente previdenziale presenti nel territorio del comune di Guidonia (immobili ex INPDAP, ora INPS, di oltre mille metri quadrati siti in via Dal Molin) che avrebbero potuto consentire all'INPS l'eliminazione dei pesanti costi di locazione, rimuovendo, di fatto, la causa principale della chiusura degli uffici in questione;
   unitamente alla disponibilità dei locali, il comune di Guidonia-Montecelio, s'impegnava in modo ufficiale a contribuire a livello economico, per quanto loro possibile, anche ai costi dei lavori necessari per la messa in ripristino di questi locali;
   nonostante tali e concreti segnali positivi, la direzione generale organizzazione dell'istituto intende procedere, a far data dal 15 giugno 2013, comunque alla chiusura dell'agenzia di produzione di Guidonia-Montecelio, alla sua contestuale trasformazione in «Punto INPS» e alla rideterminazione del bacino di utenza dell'agenzia territoriale di Tivoli;
   è opinione dell'interrogante, insieme a quella dei cittadini, degli amministratori locali e delle forze sociali e sindacali, che indebolire significativamente la presenza dell'INPS a Guidonia determinerebbe un grave nocumento ad una comunità di quasi 90.000 abitanti, per un bacino di utenza complessivo di oltre 120.000 persone, privandola di un servizio essenziale per il territorio, per le centinaia di aziende che vi operano e soprattutto per le fasce più deboli e meno tutelate della popolazione, che verrebbero ulteriormente penalizzate a causa della forte carenza di collegamenti con Tivoli e delle condizioni assai critiche in cui versa il trasporto pubblico locale –:
   se, alla luce dei provvedimenti assunti dalla direzione generale organizzazione dell'INPS, non intenda adoperarsi per verificare la reale esistenza degli immobili di cui in premessa e per chiarire le motivazioni che ne hanno impedito l'utilizzo;
   quali iniziative intenda attuare per andare incontro alle legittime richieste dei cittadini, delle istituzioni locali e delle organizzazioni sociali e sindacali del territorio volte al mantenimento degli uffici dell'agenzia in una città dell'area metropolitana di Roma così grande ed importante. (5-00106)


   GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con decreto interministeriale n. 63655 del 5 gennaio 2012, è stato concesso il prolungamento dell'intervento di tutela del reddito (indennità di mobilità o assegno straordinario), con esclusione della contribuzione figurativa, a favore di 677 lavoratori che nell'anno 2011 non rientrano nel contingente di 10.000 unità di cui all'articolo 12, comma 5, decreto-legge n, 78 del 2010 (cosiddetta salvaguardia), ancorché maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal 1° gennaio 2011 e comunque entro il periodo di fruizione delle prestazioni di tutela del reddito e con messaggio n. 1648/2012, l'Inps ha fornito le relative istruzioni operative;
   con il decreto interministeriale del 2 ottobre 2012 è stato concesso il prolungamento dell'intervento di tutela del reddito in favore di lavoratori rientranti nelle previsioni di cui all'articolo 12, comma 5-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e che avrebbero maturato i requisiti per l'accesso al pensionamento a partire dal 1° gennaio 2012 –:
   se non ritenga il Ministro interrogato, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, di adottare in tempi brevi il suddetto decreto di copertura per l'anno 2013, al fine di garantire l'intervento di tutela del reddito ai lavoratori interessati che, terminata la mobilità nel 2013 e maturati i requisiti pensionistici, sono comunque senza alcuna forma di reddito fino alla maturazione del trattamento pensionistico («finestra Sacconi»). (5-00109)


   GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   alle dipendenti pubbliche che sono andate in quiescenza attraverso l’«opzione donna» (calcolo contributivo con 57 anni e 35 anni di contributi – articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004), l'Inps ex Inpdap non riconosce la deroga sul termine di pagamento del trattamento di fine servizio, pur avendo maturato il richiamato requisito previsto dalla legge n. 243 del 2004, entro il 12 agosto 2011, data di entrata in vigore del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011;
   l'articolo 1, comma 23, del richiamato decreto-legge n. 138 del 2011 recita: «Resta ferma l'applicazione della disciplina vigente prima dell'entrata in vigore del comma 22 per i soggetti che hanno maturato i requisiti per il pensionamento prima della data di entrata in vigore del presente decreto e, limitatamente al personale per il quale la decorrenza del trattamento pensionistico è disciplinata in base al comma 9 dell'articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni ed integrazioni, per i soggetti che hanno maturato i requisiti per il pensionamento entro il 31 dicembre 2011», ma l'Inps, ex Inpdap, interpretando restrittivamente tale norma, ritiene che non è sufficiente aver maturato il requisito pensionistico prima del 12 agosto 2011 (31 dicembre 2011 per il personale della scuola), ma che è anche necessario che la cessazione dal servizio sia parimenti intervenuta entro il 12 agosto 2011 (31 dicembre 2011 per il personale della scuola);
   ciò comporta che il trattamento di fine servizio viene liquidato dall'Inps ex Inpdap dopo 24 mesi dalla data effettiva di cessazione del servizio, cosa che rappresenta una ulteriore penalizzazione per le donne che scegliendo l'opzione prevista dall'articolo 1, comma 9, della legga n. 243 del 2004, già scontano una riduzione consistente della pensione liquidata con il calcolo contributivo;
   la suddetta interpretazione è sicuramente contraddittoria in quanto è risaputo che domande di pensione presentate utilizzando l’«opzione donna» al compimento dei 57 anni con 35 anni di contributi vengono respinte dall'ente previdenziale perché la maturazione del trattamento pensionistico interviene 12 mesi dopo («finestra Sacconi») e, quindi, per assurdo la dipendente avrebbe dovuto cessare dal servizio entro le date sopra richiamate, restando senza reddito da lavoro o da pensione per 12 mesi –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di assumere iniziative per ripristinare la corretta interpretazione del dettato normativo previsto dall'articolo 1, comma 23, del decreto-legge n. 138 del 2011, che parla esclusivamente di maturazione del requisito pensionistico entro la data di entrata in vigore del decreto per l'applicazione della previgente disciplina sul termine di pagamento del trattamento di fine servizio. (5-00110)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la direzione aziendale dello stabilimento Real Aromi spa di Città Sant'Angelo (Pescara), proprietaria del marchio storico AURUM di Pescara, ha comunicato ai sindacati la volontà di chiudere l'attività produttiva trasferendola nello stabilimento del Gruppo ILLVA spa di Saronno;
   tale scelta mortifica il territorio pescarese, getta nella disperazione le famiglie dei lavoratori che perdono il proprio posto di lavoro, aggrava la situazione occupazionale della provincia di Pescara che ha già altri rilevanti crisi aziendali e un alto tasso di disoccupazione;
   il sindacato ha chiesto alla prefettura di aprire un tavolo tra le parti sociali per trovare soluzioni non traumatiche per questa vertenza –:
   quali iniziative intenda assumere per una soluzione positiva della vertenza in direzione della salvaguardia dell'occupazione e del sito produttivo di Città Sant'Angelo. (4-00407)


   CATANOSO. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i controlli domiciliari dei lavoratori assenti per malattia del settore privato e da qualche tempo anche della pubblica amministrazione non in maniera prevalente, sono effettuati da medici fiscali dell'Inps sia su disposizione d'ufficio che su richiesta dei datori di lavoro;
   il rapporto di lavoro si svolge in base alle disposizioni contenute nel decreto-legge n. 463 del 1983 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983. I medici che lavorano su incarico dell'Inps hanno con l'istituto un rapporto fiduciario essendo inseriti in «liste speciali»;
   da oltre 20 anni i medici fiscali dell'Inps, pur svolgendo la stessa attività prevista da una legge dello Stato dei medici fiscali delle asl, hanno una tipologia di rapporto di lavoro atipica del tutto diversa da questi ultimi;
   i medici dell'Inps non hanno il riconoscimento di una posizione giuridica che permetta loro di svolgere la professione con tutti i presupposti giuridici (ferie, malattia, contributi previdenziali, e altro): il medico è retribuito a prestazione ed ha obbligo di reperibilità e disponibilità nei giorni festivi e feriali nonché incompatibilità con altre attività, pur essendo il suo un rapporto libero professionale;
   i decreti ministeriali che nel tempo hanno normato questa materia sono quattro: decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 15 luglio 1986 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 170 del 24 luglio 1986, decreto 18 aprile 1996 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 99 del 29 aprile 1996, decreto 12 ottobre 2000 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 261 dell'8 novembre 2000 ed il decreto 8 maggio 2008 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 157 del 7 luglio 2008; quest'ultimo decreto disciplina il rapporto fino alla completa rivisitazione della disciplina;
   l'Inps, dal 2 maggio 2013, ha sospeso l'attività di controllo d'ufficio sui certificati di malattia a causa della cosiddetta spending review ed essendo prevalenti, e di molto, i controlli d'ufficio rispetto a quelli disposti dai datori di lavoro, di fatto rimangono senza lavoro 1200 medici in tutta Italia;
   nello stesso tempo l'Inps ha pubblicato un bando di reclutamento di 998 medici esterni per le commissioni d'invalidità;
   le visite di controllo servono per risparmiare i contributi per indennità dei giorni di malattia e per limitare gli abusi per assenteismo camuffato da malattia;
   a giudizio dell'interrogante la mancanza di controlli domiciliari determinerà un aumento generalizzato di giorni di malattia da indennizzare con le evidenti ricadute sui conti pubblici e previdenziali;
   i medici fiscali dell'Inps hanno svolto e svolgono questa attività in modo prevalente anche a seguito delle pesanti incompatibilità cui devono sottostare e che non hanno consentito a molti, tra l'altro, la frequenza delle scuole di specializzazione post laurea;
   la disciplina vigente infine prevede che il carico di lavoro dovrebbe tendere alle sei visite al giorno non raggiungibile ovviamente con le sole richieste dei datori di lavoro, ma, in considerazione della razionalizzazione della spesa imposta alla pubblica amministrazione, l'auspicio sarebbe che le visite fiscali non venissero del tutto sospese, ma che si trovassero anche soluzioni alternative che contemperino sia le esigenze di risparmio sia la salvaguardia delle legittime aspettative di 1200 medici fiscali –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato affinché si prendano dei provvedimenti a tutela di questa categoria professionale. (4-00415)


   GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con atto di indirizzo n. 7-00929 approvato all'unanimità dalla Commissione lavoro nella seduta del 18 ottobre 2012, il Governo, rappresentato dal viceministro pro tempore Michel Martone ha espresso il seguente parere: «Il viceministro esprime un orientamento favorevole sulla nuova versione della risoluzione in discussione, manifestando soddisfazione per l'intesa raggiunta con i presentatori in ordine agli impegni governativi da assumere, in vista del superamento del problema segnalato»;
   nello specifico il Governo si era impegnato a impartire all'INPS direttive volte ad attenuare in massimo grado le conseguenze della mancata iscrizione alla gestione separata, limitando tali conseguenze (oltre all'obbligo di corrispondere i contributi non versati) alla sola misura degli interessi legali, ai sensi dell'articolo 116, comma 15, lettera a), della legge n. 388 del 2000, nonché a valutare concretamente l'opportunità di aprire – coinvolgendo anche l'INPS – un confronto con le casse di cui in premessa, al fine di individuare una possibile soluzione comune rispetto alla gestione delle forme di previdenza dei soggetti interessati;
   ad oggi purtroppo non sono intervenute le direttive da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, che consentano all'INPS di riscuotere i contributi non versati senza applicazione delle sanzioni così come previsto dall'articolo 116, comma 15, lettera a), della legge n. 388 del 2000, né tantomeno l'auspicata apertura del confronto fra INPS e le casse previdenziali private citate nella risoluzione di cui sopra –:
   quando intenda il Ministro interrogato dare seguito agli impegni di cui sopra superando i problemi segnalati dalla risoluzione citata in premessa. (4-00418)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   come è noto, gli imprevisti eventi atmosferici del 6 maggio 2013 di eccezionale intensità hanno causato gravi ed ingenti danni alle colture frutticole del territorio della provincia di Barletta Andria Trani;
   in particolare, le zone maggiormente interessate, tra le altre, riguardano i territori di Canosa di Puglia, San Ferdinando di Puglia, Trinitapoli, e Margherita di Savoia, ove insistono maggiormente le colture intensive di frutta che, in larga parte, risultano interamente distrutte;
   oltre al lucro cessante è di dimensioni notevoli il danno emergente, visto che la calamità si è abbattuta al termine dei lavori di diradamento del frutto, in particolare pesco ed albicocco, in vista della raccolta;
   appare opportuno prevedere rapide misure che consentano di ridurre al minimo i danni economici subiti dagli agricoltori della provincia Barletta-Andria-Trani;
   pur in presenza di un danno economico importante, gli agricoltori dovranno comunque far fronte alle scadenze relative al pagamento di rate di mutui agrari, al rimborso dei prestiti agrari e al pagamento dei contributi agricoli non potendo contare sui ricavi delle colture distrutte dagli eventi atmosferici verificatisi –:
   quali iniziative intenda intraprendere, non escludendo la richiesta del riconoscimento dello stato di calamità naturale, per venire incontro alle giuste esigenze degli agricoltori della provincia Barletta-Andria-Trani colpita dagli imprevisti eventi atmosferici di eccezionale intensità del 6 maggio 2013.
(2-00044) «Matarrese, Dellai».

Interrogazioni a risposta immediata:


   CAUSIN, ZANETTI, MOLEA, SOTTANELLI e MATARRESE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il settore della pesca, soprattutto della piccola pesca, vive la più grave crisi della storia determinata anche dalla presenza di competitor aggressivi, come Slovenia, Croazia, Svezia, Spagna e Francia, che emarginano le attività di pesca in termini di caduta dei prezzi e della domanda, con riflessi immediati sulla redditività e sugli occupati;
   a fronte di un aumento crescente del consumo pro capite di pesce e di prodotti della pesca, si registra una drastica riduzione della quantità di pesce nei mari dovuta ad una pesca fortemente intensiva, che, unitamente ai continui rialzi del prezzo del carburante, ha prodotto in Italia un calo della produzione ittica e del numero degli occupati nel settore;
   dalle dimensioni della flotta al numero dei pescatori imbarcati, dalla produzione ai ricavi economici, tutti i parametri segnano valori in calo, compreso quelli delle catture e conseguentemente dei ricavi;
   oltre al depauperamento delle risorse marine e alla moria di molluschi, dalle cause ancora sconosciute, che rendono minimo lo stock ittico dell'alto Adriatico, si segnala anche l'azione dell'Europa che con i suoi regolamenti, come quello relativo alle «misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo», influisce ulteriormente sull'operatività del settore, limitando lo «sforzo» di pesca e vietando lo svolgimento nel mare italiano di attività tipiche;
   a questi fattori si accompagna un'attività sempre più frammentata durante l'anno, tra il fermo-pesca, le giornate perse dovute al cattivo tempo e le stagioni sempre più corte –:
   quali iniziative si intendano adottare, anche a livello europeo, per rilanciare il settore della pesca in Italia. (3-00050)


   OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CARRA, CENNI, COVA, COVELLO, DAL MORO, FERRARI, FIORIO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VALIANTE, VENITTELLI, ZANIN, DE MARIA e ROSATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'attuale contesto di stagnazione degli investimenti la capacità di autofinanziamento delle imprese italiane è certamente diminuita. Questo ha determinato un incremento del fabbisogno finanziario da parte delle aziende produttrici, soprattutto di quelle, come le imprese agricole, che hanno difficoltà strutturali di autofinanziamento. L'indebitamento bancario per il settore agricolo rischia, però, di diventare un onere gravoso, soprattutto in questa fase di difficoltà economica e di restrizione creditizia;
   numerose sono le imprese agricole in difficoltà economiche, specialmente al Sud, che avrebbero semplicemente necessità di riequilibrare la loro posizione finanziaria attraverso l'accensione di operazioni di ristrutturazione dei loro debiti bancari, ma trovano forti difficoltà ad accedere a questi finanziamenti. Lo Stato e le regioni, per mancanza di risorse e anche per i limiti posti dalla Commissione europea sugli «aiuti di Stato» su operazione di consolidamento o di semplice ristrutturazione finanziaria, non sono stati finora in grado di intervenire;
   inoltre, alla luce della nuova regolamentazione creditizia prevista da Basilea, che dà particolare importanza alle garanzie come strumenti utili per la mitigazione del rischio, le imprese agricole non possono contare su di un adeguato sistema di garanzie;
   infine, bisogna sottolineare come i consorzi fidi in agricoltura non hanno ottenuto il successo che si riscontra in altri settori produttivi e sarebbe importante favorire un loro sviluppo e rafforzamento, attraverso anche una politica di agevolazioni al loro accorpamento, per dare una competenza territoriale più ampia ed un bacino di utenza superiore, sia in termini di volumi patrimoniali, che di numero di associati;
   come è noto, il problema del ricambio generazionale, già molto acuto nell'agricoltura europea, è particolarmente grave in Italia che, con il Portogallo, presenta l'indice di invecchiamento più elevato di tutta l'Unione europea; l'età media dei conduttori di impresa agricola in Italia si attesta sui 58 anni, con punte di 62 anni in caso di imprese che producono esclusivamente per autoconsumo;
   per favorire il ricambio generazionale servono politiche e regole adeguate e servizi specifici, soprattutto finalizzati all'aggregazione sia all'interno del settore agricolo che nel contesto territoriale in cui le imprese operano, favorendo ogni tipo di integrazione –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per facilitare l'accesso al credito delle imprese agricole e il ricambio generazionale, nell'obiettivo di sostenere quelle in difficoltà e quelle che intendono rilanciare la propria attività mediante il ricorso ad investimenti innovativi, favorendo politiche di aggregazione e di integrazione per il ricambio generazionale, anche mediante un corretto e pieno utilizzo dei fondi comunitari destinati ai piani di sviluppo rurale. (3-00051)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo forestale dello Stato, per far fronte ai particolari compiti di manutenzione delle aree naturali protette e per assolvere ulteriori compiti istituzionali che gli sono affidati, ricorre al contributo di personale civile assunto con contratto di lavoro di natura privatistica, spesso del comparto degli operai agricoli, sulla base di quanto disposto dalla legge 5 aprile 1985, n. 124, denominata «Disposizioni per l'assunzione di manodopera da parte del Ministero dell'agricoltura e delle foreste»;
   questi operatori del Corpo forestale dello Stato, sono assunti dagli uffici territoriali per la biodiversità (Utb) del Corpo, con contratto a tempo indeterminato (denominati OTI) o con contratto a tempo determinato (OTD);
   il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con legge 30 luglio 2010, n. 122, ha disposto per le pubbliche amministrazioni una riduzione del 50 per cento delle assunzioni di personale a tempo determinato. Infatti, la norma definisce che le amministrazioni dello Stato possano assumere, nel 2011, detto personale nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nel 2009;
   il decreto-legge di cui sopra, non ha consentito, per gli anni 2011 e 2012, di procedere alla riassunzione dei 181 operai a tempo determinato impiegati nel 2010, ma solo di 81 unità, per un periodo massimo di sei mesi;
   da quanto risulta all'interrogante, dal 2009 ad oggi, il numero di personale OTD in servizio al Corpo forestale dello Stato si è ridotto da circa 400 unità a circa 80;
   la problematica, che è stata oggetto di numerose interrogazioni anche nella precedente legislatura, sta mettendo in difficoltà la funzionalità di molti comandi, in quanto il numero di operatori significativamente inferiore al necessario –:
   se al Ministro risulti che vi sono operai OTD per i quali ci sono le risorse per l'assunzione che non vengono chiamati in servizio;
   quale sia il contingente del personale OTD attualmente assunto dal Corpo forestale dello Stato;
   come il Governo intenda risolvere il problema della carenza di operatori OTD nel Corpo forestale dello Stato;
   se il Ministro ritenga che sia corretta l'applicazione della norma sulla riduzione delle assunzioni prevista per le amministrazioni pubbliche (decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), anche al personale OTD del Corpo forestale dello Stato, la cui assunzione avviene con contratto di lavoro di natura privatistica. (4-00435)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   la Repubblica italiana, così come recita l'articolo 1 della nostra Costituzione, è «fondata sul lavoro»;
   il 31 luglio 2013 scadranno i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in proroga (come previsto dall'articolo 1, comma 400, della dalla legge n. 228 del 24 dicembre 2012) di circa 150.000 tra lavoratrici e lavoratori con posizioni contrattuali anomale nelle pubbliche amministrazioni. Si tratta, solo a titolo di esempio, di addetti agli sportelli per l'immigrazione di questure e prefetture, medici e infermieri del pronto soccorso ospedaliero, educatrici di asilo nido;
   è ormai indispensabile l'avvio di una seria riorganizzazione strutturale di tutta la pubblica amministrazione (precaria e no), che vagli competenze, capacità e resa dei dipendenti e che aiuti a determinare nuovi criteri di contrattualizzazione;
   ogni intervento dello Stato che sia solo sintomatico, tratta il problema in superficie senza risolverlo –:
   quali criteri il Governo abbia individuato o stia individuando per affrontare il tema complesso e dagli importanti risvolti sociali dei dipendenti precari nella pubblica amministrazione.
(2-00041) «Vecchio».

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI e GIGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della XVI legislatura, sono stati approvati diversi provvedimenti e atti di sindacato ispettivo inerenti al tema della tutela della salute e nello specifico diretti a garantire l'accesso alle cure palliative (legge 38/2010: Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore), vale a dire alle cure globali per i pazienti affetti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici e di cui la morte è diretta conseguenza, nonché alla terapia del dolore da parte del malato, nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza;
   la legge definisce «cure palliative» l'insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici;
   l'obiettivo primario dei differenti atti di indirizzo esaminati dal Parlamento è stato quindi quello di assicurare il rispetto della dignità e dell'autonomia della persona umana soprattutto nelle fasi terminali della sua vita, facilitando l'accesso all'assistenza anche in condizioni di disagio estremo, garantendo la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, con un'attenzione speciale ai momenti terminali della vita del paziente per aiutarlo ad affrontare la fase ultima della sua vita con la consapevolezza che tutti i mezzi disponibili saranno im piegati per ridurre le sue sofferenze e il dolore che accompagna la sua vita fino ad un potenziale livello zero;
   non c’è dubbio che il Parlamento approvando pressoché all'unanimità questa legge abbia inteso porre un argine a quelle richieste di eutanasia, originate dalla sensazione del malato di non poter più sopportare il dolore o di sentirsi abbandonato dalle istituzioni;
   in questo senso la legge parla anche di ospedale senza dolore e stanzia fondi ad hoc per rafforzare l'attività dei comitati «Ospedale senza dolore», istituiti dall'omonimo progetto fin dal 2001, sottolineando che le risorse vadano destinate a iniziative, anche di carattere formativo e sperimentale, per sviluppare il coordinamento delle azioni di cura del dolore, favorendo l'integrazione a livello territoriale;
   la legge inoltre è molto chiara sulla necessità di semplificare le procedure di accesso ai medicinali impiegati nella terapia del dolore (articolo 10), proprio per ridurre al massimo il disagio del paziente e dei suoi familiari, assicurando loro interventi tempestivi e qualificati, per evitare quell'inutile sovraccarico di sofferenze che a volte una burocrazia ostile amplifica inutilmente;
   ma allo stato attuale il quadro di sviluppo delle reti di cure palliative è ancora disomogeneo sul territorio nazionale e persistono difficoltà nell'organizzazione delle cure palliative domiciliari;
   né molto si è fatto per promuovere la ricerca nel campo delle cure palliative, stimolando la creazione di gruppi di ricerca, nazionali ed internazionali, creando dottorati, istituendo assegni di ricerca, e assegni di post-dottorato per garantire continuità agli studi scientifici più avanzati, come invece prevede l'articolo 8 della legge quando parla di formazione e aggiornamento del personale medico e sanitario in materia di cure palliative e di terapia del dolore;
   la stessa legge inoltre prevede opportune campagne di informazione, a partire dal triennio 2010-2012, destinate a informare i cittadini sulle modalità e i criteri di accesso alle prestazioni e ai programmi di assistenza in materia di cure palliative e terapia del dolore. Le campagne avranno come fine ultimo la promozione della cultura della lotta contro il dolore;
   la legge prevedeva inoltre che all'interno del ministero della salute, fosse istituito «un ufficio per il monitoraggio dei dati relativi alla prescrizione e all'utilizzazione di farmaci nella terapia del dolore, dello sviluppo delle due reti e del loro stato di avanzamento, delle attività di formazione, informazione e ricerca e più in generale delle prestazioni erogate e dei loro esiti» –:
   se intenda tenere fede agli impegni contenuti negli atti di indirizzo di cui in premessa e quali urgenti iniziative intenda attuare al fine di garantire la piena attuazione dei principi contenuti nella legge n. 38 del 2010, con particolare attenzione sull'effettivo impiego, da parte delle regioni, dei fondi stanziati allo scopo di creare strutture finalizzate all'erogazione di cure palliative e di terapia del dolore;
   se e in che misura intenda intervenire, anche con opportune campagne di informazione, per prevenire la richiesta di eutanasia da parte di malati che versano in condizioni terminali, mentre le loro famiglie ritengono di non ricevere terapie sufficienti per controllare un livello di sofferenza così insopportabile da rendere loro difficile continuare a vivere;
   se non ritenga opportuno verificare che, nell'applicazione della attuale legge, siano garantiti criteri di solida competenza professionale in quanti dovranno creare e coordinare le nuove reti regionali, valorizzando adeguatamente coloro che sono già da tempo impegnati in questo campo e supportando con adeguati investimenti l'effettiva realizzazione di quanto contenuto nella legge n. 38 del 2010. (3-00047)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MURER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è cominciato il 17 aprile 2013 a Marsiglia, in Francia, il processo a Jean-Claude Mas, il fondatore della Poly implant prothese, le protesi al seno denominate «Pip»; Mas deve rispondere di frode aggravata, per aver prodotto e venduto per 10 anni protesi mammarie con silicone non conforme e quindi meno care; l'uomo è stato denunciato da circa 5 mila donne a cui sono stati causati danni gravi dal punto di vista fisico e psicologico;
   lo scandalo delle protesi Pip è esploso nel 2010, in tutto il mondo; le vittime sarebbero 300 mila donne in 65 Paesi nel mondo;
   Mas, che ha riconosciuto di aver messo sul mercato un gel non conforme, solo per motivi economici e per questo, nascondeva e falsificava documenti, ingannando per anni le autorità sanitarie, è in prigione dal 29 ottobre 2012 e rischia cinque anni di reclusione;
   il caso delle protesi Pip riguarda anche l'Italia; è istruito presso il Tribunale di Pistoia un procedimento partito dalla denuncia di una giovane donna residente nella città toscana alla quale era stata impiantata una protesi; la donna è una delle molte vittime italiane di questa vicenda; alcune di esse, attraverso il Codacons, hanno avviato una querela collettiva e un'azione risarcitoria;
   il Ministero della salute, con ordinanza del 29 dicembre 2011, ha disposto un censimento delle protesi mammarie denominate Pip impiantate nel nostro Paese; l'ordinanza ha imposto a tutte le strutture ospedaliere e ambulatoriali pubbliche e private, accreditate o autorizzate, di notificare all'autorità regionale di riferimento la data di ciascun intervento d'impianto;
   secondo i dati resi noti sono 2.540 le strutture sanitarie che hanno compilato il modulo on line: 875 strutture di ricovero e cura e 1.665 strutture ambulatoriali (di cui 595 ambulatori privati autorizzati non accreditati); tra le strutture che hanno compilato il modulo on line, hanno dichiarato di avere effettuato interventi di protesi Pip 121 strutture di ricovero e cura e 48 strutture ambulatoriali (di cui 47 ambulatori privati autorizzati non accreditati); risultano effettuati 3.911 impianti di protesi mammarie PIP di cui 3.135 effettuati da strutture di ricovero e cura e 776 da strutture ambulatoriali (di cui 764 in ambulatori privati autorizzati non accreditati);
   successivamente, il Ministero della salute, ha fissato «Linee guida di carattere clinico ed organizzativo per la gestione clinica dei casi di persone portatrici di protesi mammaria/e prodotta/e dalla ditta Poly Implant Prothese (Pip)»; tali linee guida hanno messo limiti all'espianto e al reimpianto delle protesi, stabilendo che tale operazione fosse a carico del Sistema sanitario nazionale solo in presenza di effettivi danni e rischi per la salute della donna e non nei casi in cui la richiesta di rimozione fosse motivata da una generica preoccupazione dell'interessata;
   il protocollo inoltre prevedeva che ogni paziente venisse visitata e sottoposta se necessario ad accertamenti diagnostici come ecografia e risonanza; solo in presenza di effettivi danni fisici o di effetti palesi o controindicazione medica, sarebbe potuta avvenire la sostituzione. Nel caso in cui non fosse stata ravvisata la presenza di alcun rischio sanitario, «alla donna particolarmente spaventata, sarebbe stata consigliata una consulenza psicologica;
   le linee guida così compilate sono state impugnate dal Codacons che ha presentato ricorso al Tar, vincendolo, e successivamente ha vinto anche il contenzioso presso il Consiglio di Stato, dopo che il Ministero aveva impugnato la sentenza del Tar;
   il ricorso al Tar chiedeva che tutte le donne, anche se non palesemente «danneggiate», ma preoccupate dei possibili effetti nocivi delle Pip per la loro salute, potessero chiedere l'espianto delle protesi, con la possibilità che le spese venissero pagate dal servizio sanitario nazionale;
   il Tar del Lazio, nell'accogliere il ricorso scriveva che «è necessario che il ministero della salute riveda la possibilità di estendere i principi fissati, in relazione all'espianto e al reimpianto, a carico del servizio sanitario nazionale, delle protesi Pip, alle donne che lo richiedano, inserendo in coda alla lista di attesa le istanti che non abbiano una prescrizione medica che ha attestato la necessità della sostituzione»;
   in sostanza, il Tar ha invitato il ministero a cambiare le regole; un'impostazione che il Consiglio di Stato ha condiviso –:
   quali siano le intenzioni del Governo in merito alle modifiche al protocollo di cui in premessa, a seguito delle sentenze del Tar e del Consiglio di Stato che annullano le linee guida e chiedono una revisione dei criteri per espianto e reimpianto delle protesi al seno in seguito alla vicenda delle Pip. (4-00413)


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i medici, specializzatisi in varie discipline mediche, iscritti ai corsi tra gli anni 1982 e 1991, durante l'espletamento di tali attività di formazione ed in dipendenza delle stesse e delle correlate prestazioni mediche, non hanno mai percepito alcuna remunerazione;
   per contro, in base alle direttive 75/362/CEE del Consiglio del 16 giugno 1975; 75/363/CEE del Consiglio del 16 giugno 1975 e 82/76/CEE del Consiglio del 26 gennaio 1982 (in seguito abrogate e coordinate dalla direttiva 93/16/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993) in materia di formazione dei medici specialisti e dei corsi per il conseguimento dei relativi diplomi, è stato prescritto, per tutti gli Stati dell'Unione europea, che le attività di formazione, sia a tempo pieno, sia a tempo ridotto, debbano formare oggetto di «adeguata remunerazione»;
   in particolare, l'articolo 16 della succitata direttiva 82/76/CEE indicava, per gli Stati membri, quale termine ultimo di attuazione delle direttive, il 31 dicembre 1982, in osservanza degli articoli 5 e 189, terzo comma, del trattato che istituisce la Comunità europea;
   la Corte di giustizia delle comunità europee, con sentenza 7 luglio 1987 (causa C-49/86, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana) condannava lo Stato italiano per essere venuto meno agli obblighi incombenti in forza del Trattato CEE, non essendosi adeguata alla perentoria disposizione di cui sopra;
   successivamente, con il decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257, il legislatore nazionale, riordinando l'accesso alle scuole di specializzazione e le relative modalità di formazione e recependo, in ritardo, le direttive sopra richiamate, stabiliva in favore degli specializzandi una borsa di studio annuale di lire 21.500.000, prevedendo però – al secondo comma dell'articolo 8 del citato decreto legislativo n. 257 del 1991 – che tali disposizioni trovassero applicazione solamente in favore dei medici ammessi alle scuole di specializzazione a decorrere dall'anno accademico 1991-1992;
   per la ritardata e (parzialmente) omessa attuazione delle direttive sopra richiamate, alcuni medici esclusi dalla norma avviavano un contenzioso, conclusosi con numerose sentenze dei tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato che evidenziano l'illegittimità dei provvedimenti tardivamente adottati dall'amministrazione, con conseguente annullamento degli stessi, in quanto in contrasto con le direttive comunitarie;
   successivamente e sempre con ritardo, la legge 19 ottobre 1999, n. 370, attribuiva, all'articolo 11, una borsa di studio annua onnicomprensiva di 13 milioni di lire ai soli medici destinatari delle sentenze amministrative passate in giudicato e ciò forfettariamente per tutta la durata del corso;
   la Corte di giustizia delle comunità europee, con sentenza del 25 febbraio 1999 (causa C-131/97) affermava il principio in base al quale l'obbligo di retribuzione dei medici specialisti durante i periodi di formazione deve considerarsi incondizionato e deve altresì essere sufficientemente preciso, in modo tale che il giudice nazionale sia tenuto, nell'applicazione di disposizioni nazionali precedenti o successive alla direttiva, ad interpretarle, quanto più possibile attenendosi alla lettera della summenzionata sentenza senza peraltro tradirne lo spirito;
   con successiva sentenza del 3 ottobre 2000 (causa C-371/97), la Corte di giustizia delle comunità europee precisava inoltre che tale obbligo di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione deve valere tanto per la formazione a tempo pieno, quanto per la formazione a tempo parziale;
   a completamento del quadro normativo appena richiamato, interveniva il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, attuativo della direttiva 93/16/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993, in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli;
   la suddetta norma prevede, in particolare, all'articolo 37, l'inquadramento dell'attività svolta dal medico durante il periodo di formazione specialistica in uno specifico contratto di formazione-lavoro con la corresponsione di un trattamento economico annuo onnicomprensivo, determinato con decreto ministeriale ogni tre anni;
   dottrina e giurisprudenza comunitarie risultano essere univoche, nel senso di riconoscere ai medici un vero e proprio diritto alla remunerazione, principio questo, peraltro, sovrapponibile a quanto stabilito dall'articolo 36 della Costituzione: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa (...)»;
   né lo Stato italiano, né le singole amministrazioni centrali o periferiche si sono attivati per adempiere alle indicazioni della Corte di giustizia europea o alle direttive comunitarie sopra richiamate nei confronti dei medici specialisti (iscritti ai corsi di specializzazione tra gli anni 1982 e 1991);
   lo Stato non provvedeva nemmeno ad adempiere in maniera puntuale e completa alle sentenze degli organi di giustizia amministrativa, che avevano annullato i provvedimenti di carattere generale in contrasto con le disposizioni richiamate; decisioni, queste, che, pertanto, estendevano la loro efficacia erga omnes e non solo nei confronti dei ricorrenti –:
   quali iniziative intenda tempestivamente intraprendere al fine di risolvere l'annosa questione esposta in premessa, adeguandosi alle indicazioni provenienti dalle direttive comunitarie e alle sentenze del supremo organo di giustizia europeo, nonché di evitare che dall'imponente contenzioso promosso dai medici interessati derivino a carico dello Stato gravosi oneri finanziari, particolarmente insopportabili nell'attuale contesto. (4-00434)


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in occasione di un convegno dedicato ai rischi dell'amianto sul posto di lavoro tenutosi a Crotone il 9 maggio 2013, la sede provinciale dell'INAIL ha presentato i dati relativi alle domande per ottenere il riconoscimento dei benefici per i lavoratori esposti all'amianto;
   su 1436 domande lavorate sono stati concessi benefici a 800 lavoratori. Si tratta delle domande presentate dai lavoratori del comparto industriale di Crotone che hanno lavorato soprattutto nelle grandi fabbriche, Montedison e Pertusola Sud, alla Cellulosa Calabra, nei cementifici e nelle piccole e medie imprese dell'indotto;
   sono stati registrati 17 casi di mesotelioma pleurico nella provincia di Crotone e tre casi di neoplasia polmonare diagnosticati, però, al di fuori della regione Calabria;
   i suddetti dati, fanno tuttavia parte di studi e ricerche promossi da un protocollo di intesa tra l'università della Calabria e il dipartimento medico dell'INAIL. Infatti, secondo quanto denunciato dal dottor Giovanni Galluppo, sovrintendente medico dell'INAIL, il Cor (centro regionale per la raccolta dei dati sui mesoteliomi) avrebbe lavorato poco e male. Da qui la decisione di avviare una ricerca parallela che dal 2004 al 2009 ha raccolto 109 casi di mesoteliomi in tutta la regione, grazie ai referti degli esami effettuati nei reparti di anatomia patologica di tutti gli ospedali regionali e nella quasi totale assenza di denunce da parte dei medici di base;
   risulta quindi evidente l'esigenza di realizzare un registro dei tumori nel quale possano essere raccolti i dati sulla mortalità riconducibili a patologie tumorali, ma anche tutti gli elementi per monitorare la presenza di agenti inquinanti presenti sul territorio;
   la creazione di tali registri è quindi prioritaria, proprio ed anche per la totale assenza di una normativa che impone, alle strutture ospedaliere, l'archiviazione dei dati relativi alla diagnosi ed alla possibile e conseguente mortalità di natura tumorale –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti intenda intraprendere per consentire e incentivare il monitoraggio dei casi di tumori, mediante la creazione di appositi registri, che possa consentire di predisporre efficaci politiche di prevenzione e di lotta alla malattia stessa. (4-00439)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


   TONINELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni la comunità internazionale discute sugli open data e open Government e, secondo quanto risulta da alcune fonti di stampa, anche il Presidente degli Stati Uniti firma un nuovo ordine esecutivo: «Tutte le agenzie governative dovranno adottare open data interoperabili da mettere a disposizione dei cittadini a stelle e strisce»;
   in Italia è stata istituita un'Agenzia per l'Italia digitale e la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni, considerata uno strumento cardine per la realizzazione dell'agenda digitale;
   l'agenda digitale ha compiti e destino fondamentali, dalla diffusione delle reti di nuova generazione all'uniformità tecnica dei sistemi informativi pubblici per l'erogazione di servizi ai cittadini, fino alla promozione di iniziative di alfabetizzazione informatica per abbattere il cosiddetto digital divide;
   ad avviso dell'interrogante, nonostante i proclami e la sua importanza, l'Agenzia non sembra decollare e non si è in grado di avere informazioni basilari on line; risulta all'interrogante da fonti di stampa che in questi giorni lo statuto dell'Agenzia sia stato oggetto di richiamo da parte della Corte dei conti e sia stato, al momento, ritirato;
   la stessa Agenzia ha selezionato il proprio direttore generale, seguendo un protocollo di trasparenza pubblica, anche se, ad avviso dell'interrogante, gli aspetti innovativi hanno evidenziato diversi «errori» di trascrizioni, di fotocopie pubblicate on line in luogo dei documenti digitali ed altro ancora;
   risulta all'interrogante che alla selezione abbiano partecipato oltre 200 esperti di comprovata esperienza, inviando il proprio curriculum vitae, ma non si ha notizia alcuna di queste informazioni, che risulterebbero preziose per la collettività, al fine di conoscere l'operato del Governo;
   sul sito DigitPA, in ordine al nuovo direttore, si legge: «Nomina frutto di una valutazione collegiale cui si è giunti attraverso una procedura innovativa e aperta alla quale hanno partecipato oltre 200 candidati»; eppure, ad oggi, non risultano pubblicati o resi noti i nomi degli esperti ed i loro curricula, unico elemento di valutazione per la scelta;
   sul sito dell'Agenzia non v’è traccia neanche del curriculum vitae del nominato direttore;
   l'avviso pubblico per la selezione del direttore dell'Agenzia per l'Italia digitale recitava che essa sarebbe avvenuta «tra persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia di innovazione tecnologica e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella gestione di processi di innovazione»; questione di non poco conto, ad avviso dell'interrogante, è conoscere la procedura ed i criteri che hanno guidato la scelta;
   ad avviso dell'interrogante, sarebbe stato opportuno richiedere, al profilo dei candidati, anche eventuali abilitazioni al trattamento dei dati classificati con le idonee e necessarie «cleareance di sicurezza internazionali» previste in questi casi e sapere se l'attuale direttore le possieda;
   ad avviso dell'interrogante, i curricula dei dirigenti non sembrano conformi a quanto richiesto per la loro selezione, né rispetto al ruolo che ricoprono; una vetrina, questa, del tutto inadeguata per un'Agenzia, il cui obiettivo, tra gli altri, è quello di contribuire a procurare risparmi, secondo stime attendibili, pari ad oltre 60 miliardi di euro annui, sostenendo lo Stato nell'ottimizzazione di tutti i flussi informativi propedeutici alle decisioni;
   risulta da chiarire, ad avviso dell'interrogante, come mai non sia stata pubblicata la graduatoria dei partecipanti alla selezione e se, eventualmente, i candidati non possano essere utilizzati da amministrazioni o enti pubblici, i quali dovrebbero dotarsi di uffici ed esperti per l'uso coordinato e congiunto dell'informazione digitale in Italia, nell'ambito del cosiddetto progetto di riuso;
   ad avviso dell'interrogante, la presenza di personale, dirigenziale e non, qualificato e competente dovrebbe essere un vanto per ogni amministrazione pubblica, che dovrebbe spingere alla trasparenza e alla pubblicazione di tutte le fasi procedurali –:
   se e come intenda rimediare alla mancata trasparenza in ordine alla procedura, alla graduatoria ed alla scelta finale del direttore generale dell'Agenzia per l'Italia digitale, in particolare nel caso in cui i profili selezionati o la medesima scelta finale risultassero inadeguati. (3-00055)


   PALMIERI, BERGAMINI e BALDELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella XVI legislatura sia i Governi che il Parlamento, in particolar modo la Camera dei deputati, si sono «applicati» alla realizzazione dell'agenda digitale italiana;
   da ultimo, nei due decreti-legge di giugno e ottobre 2012, il Governo aveva tentato un lavoro di sintesi con la nascita dell'Agenzia per l'Italia digitale e una serie di misure di e-government e di sviluppo dell'economia digitale, alcune delle quali prendevano spunto dal lavoro fatto presso la Camera dei deputati;
   l'Agenzia attualmente non è ancora in grado di operare. Il Governo ha dovuto ritirarne lo statuto. I troppi decreti attuativi previsti e non ancora emanati bloccano la gran parte delle misure necessarie all'attuazione dell'agenda digitale –:
   cosa intenda fare per avviare realmente l'attività dell'Agenzia per l'Italia digitale e quando intenda emanare i decreti attuativi per l'agenda digitale. (3-00056)


   PISICCHIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», all'articolo 16, comma 2, prevede che gli obiettivi del patto di stabilità interno delle regioni a statuto ordinario siano rideterminati in modo tale da assicurare l'importo di 700 milioni di euro per l'anno 2012 e di 2.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 2.050 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015;
   la legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013)», all'articolo 1, comma 449, ha stabilito che il complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile delle regioni a statuto ordinario, non può essere superiore, per ciascuno degli anni 2013 e 2014, all'importo di 20.090 milioni di euro e, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, all'importo di 20.040 milioni di euro;
   l'ammontare dell'obiettivo di ciascuna regione in termini di competenza eurocompatibile, per gli esercizi dal 2013 al 2016, è determinato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, recepito con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze entro il 31 gennaio di ciascun anno;
   la Conferenza Stato-regioni nella seduta del 24 gennaio 2013 ha ripartito tra le regioni a statuto ordinario l'obiettivo del patto di stabilità interno per l'esercizio 2013;
   con il decreto ministeriale del 20 febbraio 2013 è stata adottata la ripartizione tra le regioni a statuto ordinario; i criteri adottati per effettuare questa ripartizione si basano su dati storici del 2005, fotografano una realtà distorta. Tali criteri dovrebbero essere rivisti e rapportati a criteri oggettivi;
   la cifra che scaturisce nella tabella allegata al decreto citato vede un tetto di spese complessive pari a 1.340.693.635 euro per la regione Puglia, che si traduce nella possibilità di destinare appena 327 euro pro capite per i cittadini della regione;
   altre regioni possono, sulla base di questa tabella, destinare cifre superiori ai loro cittadini. Si parla di 826 euro per il Molise, 925 per la Basilicata e 407 per la Campania –:
   se il Governo non ritenga indispensabile e urgente, al fine di stimolare la ripresa dell'economia e dello sviluppo del Meridione, assumere iniziative finalizzate a rivedere i criteri con i quali vengono attribuiti i tetti per le singole regioni ai fini del patto di stabilità. (3-00057)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PARENTELA, BARBANTI, DIENI, NESCI, LUPO, MASSIMILIANO BERNINI, ZACCAGNINI, BENEDETTI, GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, DAGA, BUSTO, SEGONI, ZOLEZZI, DE ROSA, DELL'ORCO, LIUZZI, CATALANO, CRISTIAN IANNUZZI, SIBILIA, SCAGLIUSI, DEL GROSSO, SPADONI, DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, PINNA, BRUGNEROTTO, TONINELLI, DADONE, COZZOLINO, BARONI, TOFALO, MICILLO, CURRÒ, CANCELLERI, D'UVA, MARZANA, BRESCIA, DI BENEDETTO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DE LORENZIS, FURNARI, COLONNESE, CARINELLI, DI VITA, TERZONI, SPESSOTTO e VACCA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'altopiano della Sila rappresenta un'importante fetta del territorio calabrese, la cui economia locale è basata essenzialmente su:
    diversi centri turistici che attraggono migliaia di visitatori ogni anno grazie alle bellezze naturalistiche, paesaggistiche ed alla purezza della propria aria (motivo per cui era stata inserita come probabile sito patrimonio universale dell'UNESCO);
    piccole e piccolissime aziende agricole che possono vantare marchi IGP (patata silana) e DOP (caciocavallo), nonché di un'azienda inserita nel BUR in quanto produttrice di prodotti tradizionali;
   nel 2008, l'amministrazione comunale di Sorbo San Basile (Catanzaro), sindaco Luigi Riccelli, firmava una convenzione con la società «Anz Power S.r.l.» per la realizzazione di una centrale a biomasse solida della potenza di 4,236 Megawatt in località Pian di Moggio nel comune di Sorbo San Basile, nei pressi del lago «Passante» situato nella Sila Piccola catanzarese;
   i comuni di Sorbo San Basile e Taverna sono gli unici, nel comprensorio dell'area interessata alla costruzione dell'impianto, che non si sono espressi sulla realizzazione della centrale, mentre il consiglio comunale di Pentone, all'unanimità aveva espresso la sua contrarietà ed il sindaco del comune di Carlopoli, Mario Talarico, nel corso della conferenza dei servizi del 14 settembre 2012 sulla realizzazione della centrale, aveva espresso il suo diniego;
   questa vicenda potrebbe nascondere interessi privati e conflitti di interessi, in quanto:
    il geologo incaricato dalla società proponente si chiama Ezio Infelise e risulta essere il figlio del vicesindaco del comune di Sorbo San Basile Marcello Aldo Infelise;
    nella relazione tecnica generale del progetto compare il nome di Eugenio Canino, sindaco attuale di Taverna, il quale risulta essere incaricato della progettazione civile-ambientale dell'impianto di produzione di energia elettrica alimentato a biomasse;
    si viene a sapere (tramite un articolo del Corriere della Calabria del 18 settembre 2011) che il 13 giugno 2011 durante un consiglio comunale tenutosi a Sorbo San Basile su altri argomenti, ben sette consiglieri su 11 presenti – in pratica, la maggioranza assoluta del consiglio – hanno fatto verbalizzare al segretario comunale la loro contrarietà totale alla realizzazione dell'impianto. Ciò nonostante, più sedute consiliari convocate sull'argomento specifico, da mesi i rappresentanti eletti dalla comunità sorbese non sono messi nelle condizioni di esprimere il loro parere importante e vincolante sulla vicenda, che vale anche come permesso a costruire. Sembrerebbe, inoltre che durante un consiglio comunale convocato ad hoc, il vicesindaco Infelise aveva proposto di dichiarare il consiglio comunale «incompetente sulla materia»;
   con decreto n. 10379 del 13 luglio 2012, la regione Calabria autorizzava la costruzione dell'impianto sopra citato nonostante tempo prima il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva dato parere negativo alla costruzione della centrale, evidenziando che l'ubicazione della centrale non doveva essere quella del progetto dovendo rispettare anche dei vincoli per la flora e la fauna della zona. Inoltre il Ministero ha fornito un parere al personale del Nucleo investigativo sanità ambiente (Nisa) della procura della Repubblica del capoluogo di regione che indagano sulla realizzazione dell'impianto;
   l'area interessata si trova a ridosso dell'area protetta del Parco nazionale della Sila e l'invaso del Passante rifornisce di acqua la città di Catanzaro e la sua provincia, nonché una parte della provincia di Crotone;
   l'area interessata (come già specificato) si trova all'interno di un territorio I.G.P. per la produzione della patata silana, di una D.O.P., per la produzione di Caciocavallo Silano e a pochi centinaia di metri di un'azienda riconosciuta, con tanto di pubblicazione sul Bur (Bollettino Ufficiale della Regione Calabria) di essere produttrice agricola di prodotti tradizionali;
   i prodotti che vantano questi tre «marchi», vengono tutelati dalla legge. Nello specifico il decreto ministeriale 10 settembre 2010 del Ministero dello sviluppo economico che stabilisce le linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, concede la possibilità alle regioni di inserire, per la realizzazione di centrali superiori ad 1 Megawatt di potenza, le aree interessate da questo tipo di coltivazioni tra i siti non idonei a seguito di opportune indagini;
   la direttiva 96/62/CE, all'articolo 1 individua tra i suoi obiettivi quello di «mantenere la qualità dell'aria ambiente, laddove è buona, e migliorarla negli altri casi». La costruzione della centrale violerebbe questo principio, in quanto (come già affermato) la qualità dell'aria nell'altopiano silano è giudicata tra le migliori in Europa;
   la centrale a pieno regime potrà consumare ogni anno fino a 40.000 tonnellate di cippato di legno vergine e altri materiali vegetali da reperire nella zona e circa 6.000 metri cubi di acqua producendo 1.500 tonnellate di ceneri (considerate rifiuti speciali);
   la società che intende realizzare l'impianto (Anz Power s.r.l.) propone al comune di Sorbo San Basile, un compenso economico di circa 120.000 euro l'anno e la possibilità di occupare manodopera locale che non supera le 5-6 unità lavorative, ben al di sotto del danno economico ed in termini di perdita occupazionale che la centrale potrebbe causare;
   la produzione di energia, nella regione Calabria, supera ampiamente il fabbisogno, tant’è che appena il 20 per cento dell'energia elettrica prodotta viene consumata localmente, mentre il restante 80 per cento è destinato all'esportazione in altre regioni;
   il comitato «No Alla Centrale Biomassa di Sorbo San Basile», facendosi portavoce delle istanze di gran parte della popolazione del comprensorio, ha recentemente depositato ricorso al TAR per cercare di bloccare i lavori che daranno vita alla centrale;
   la regolarità dell’iter autorizzativo risulta essere al vaglio della magistratura in quanto sarebbero sorti, a seguito di esposti di alcuni cittadini, diversi procedimenti penali per l'ipotesi di abuso d'ufficio (in riferimento ai vincoli di legge riguardanti le aree interessate ed alla progettazione dell'impianto);
   la centrale in questione sarebbe di tipo a doppia camera di combustione con possibilità, a norma di legge, di bruciare anche rifiuti organici; a tale proposito, al momento, non risulta che il comune di Sorbo San Basile abbia predisposto, né abbia intenzione di predisporre, adeguati strumenti finalizzati al controllo ed alla verifica del rispetto dei limiti quantitativi e, soprattutto, qualitativi relativi ai rifiuti destinati alla combustione nella centrale in questione;
   la centrale provoca l'immissione nell'aria di diossine, furani e polveri sottili presenti nei fumi di combustione con effetti cancerogeni a carico della popolazione locale e possibilità di contaminazione dei prodotti derivati dagli allevamenti zootecnici, tra cui il caciocavallo silano tutelato da marchio DOP. Vari studi hanno, infatti, evidenziato la presenza di diossine oltre i limiti ammessi nel latte e nei suoi derivati provenienti da allevamenti situati in prossimità di centrali a combustione di biomasse e inceneritori;
   studi condotti in Svezia (Molnar P, Gustafson P, Johannesson S, Boman J, Barregard L, Sallsten G: Domestic wood burning and PM2.5 trace elements: Personal exposures, indoor and outdoor levels. Atmospheric Environment 2005) evidenziano una maggiore esposizione a zinco, rame, piombo e manganese nelle famiglie che utilizzavano legno per il riscaldamento domestico; altri studi condotti su popolazioni esposte alle emissioni da combustione di biomasse evidenziano effetti sull'asma e sulla funzionalità respiratoria (Boman BC, Forsberg AB, Jarvholm BG: Adverse health effects from ambient air pollution in relation to residential wood combustion in modern society. Scand J Work Environ Health 2003); ulteriori studi condotti in Svezia evidenziano come le famiglie svedesi che utilizzano legna, rispetto ai controlli, hanno una maggiore esposizione a benzene e 1-3 butadiene (Gustafson P, Lars B, Bo S, Gerd S: The impact of domestic wood burning on personal, indoor and outdoor levels of 1,3-butadiene, benzene, formaldehyde and acetaldehyde. Journal of Environmental Monitoring 2007); l'Istituto nazionale ricerca sul cancro di Genova, ha evidenziato come nei Paesi appenninici dove l'uso della legna da ardere nelle stufe è diffuso, siano alte le concentrazioni di benzo(a)pirene e altri idrocarburi aromatici cancerogeni che notoriamente si producono durante le combustioni di biomasse. C’è da dire che la combustione di legna e altre biomasse solide in impianti industriali ad alta efficienza termica e con adeguati trattamenti dei fumi riduce queste emissioni, ma non le annulla –:
   se la costruzione della centrale a biomasse di Sorbo San Basile rispetti quanto sancito dalle linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, e sia assicurato il mantenimento delle peculiarità ambientali dell'altopiano della Sila, in modo che le produzioni agricole di qualità, la salute pubblica, le peculiarità paesaggistiche e naturalistiche della zona non vengano compromesse da tale impianto;
   se, per quanto di competenza, si intendano assumere iniziative, anche di carattere economico, tese a far sì che la zona possa continuare ad essere un centro rilevante di produzione agricola, in modo da garantire una reale crescita in termini occupazionali e produttivi, salvaguardando altresì le potenzialità turistiche dell'area. (5-00116)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSATO, BLAZINA e PRODANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea si è data l'obiettivo di raggiungere entro il 2020 la riduzione del 20 per cento delle emissioni di gas a effetto serra, l'aumento dell'efficienza energetica al 20 per cento e l'aumento al 20 per cento della produzione di energia da fonti rinnovabili;
   il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha introdotto la Strategia energetica nazionale, quale strumento di indirizzo e programmazione della politica energetica nazionale, nel quale andrebbero individuati obiettivi e percorsi per il raggiungimento delle finalità del «piano europeo 20-20-20»;
   in ambito accademico e scientifico si è riscontrata la necessità che l'approvazione della nuova Strategia energetica nazionale fosse preceduta dalla convocazione di una conferenza nazionale sull'energia, dalla quale scaturisca un indirizzo strategico in materia energetica fondato su valutazioni tecnico-scientifico e su analisi costi-benefici, così da coadiuvare l'attività del legislatore;
   l'appello promosso via internet per una «Costituzione energetica per l'Italia da attuare tramite la convocazione di una Conferenza nazionale sull'energia» ha raccolto diverse adesioni da parte di cittadini, esponenti del mondo della ricerca e dell'università e comitati tecnici anche di diverso orientamento scientifico;
   oltre alle evidenti connessioni con il progetto di riconversione «ecologica» del Paese, il tema energetico in Italia riguarda molto da vicino le imprese che denunciano come il costo dell'energia nel nostro Paese sia al di sopra della media europea e che ciò è di ulteriore ostacolo rispetto alla ripresa economica;
   infatti, come evidenziato dal comitato che ha promosso l'appello di cui sopra, «la globalizzazione del mercato espone l'apparato produttivo di una nazione alla crescente competizione con altri Paesi, rendendo decisivo il controllo dei costi energetici, al pari di altri fattori, per il mantenimento del complesso produttivo»;
   nel mese di marzo 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato un primo decreto interministeriale sulla Strategia energetica nazionale, il quale, però, è stato da più parti contestato e comunque rappresenta solo un punto di partenza per la stesura di una più completa strategia;
   a parere degli interroganti si ravvede la necessità, quindi, di un processo quanto più partecipato per la stesura della Strategia energetica nazionale che ascolti il mondo scientifico e accademico, le associazioni ambientaliste e di categoria, le reti di imprese, le associazioni dei consumatori e gli enti locali;
   il consiglio comunale di Trieste ha aderito alla richiesta del comitato promotore dell'appello e si è già proposta come sede possibile di questa conferenza nazionale dell'energia, coinvolgendo le istituzioni scientifiche del capoluogo giuliano –:
   se il Governo intenda convocare una conferenza nazionale dell'energia in modo da avere relazioni scientifiche, economiche ed ambientali per poter addivenire ad una strategia energetica nazionale condivisa e definitiva;
   se – vista la disponibilità del comune di Trieste ad accogliere la conferenza – il Governo ritenga di valutare la possibilità che sia scelta Trieste quale sede della conferenza nazionale sull'energia.
(4-00408)


   RIZZETTO e PRODANI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i «titoli di efficienza energetica» (TEE), noti come certificati bianchi, costituiscono un sistema di incentivazione introdotto con la liberalizzazione del mercato dell'energia (decreto legislativo n. 79 del 1999 di attuazione della direttiva comunitaria 96/92/CE) che, prima emessi dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) e ora dal Gestore del mercato energetico (GME), consentono di certificare il conseguimento di risparmi energetici negli usi finali attraverso interventi e progetti di incremento dell'efficienza energetica. I certificati sono dei veri e propri titoli di efficienza, scambiabili sul mercato gestito dal GME;
   il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha adottato una serie di decreti attuativi che regolamentano questi certificati di cui l'ultimo il decreto ministeriale del 28 dicembre 2012, ha stabilito gli obiettivi quantitativi nazionali di incremento dell'efficienza energetica per il quadriennio 2013-2016;
   sono ammessi agli incentivi sia soggetti privati (aziende del settore industriale, civile, terziario e trasporti) che amministrazioni pubbliche, autorizzati ad avvalersi delle energy service company (ESCO), società che effettuano interventi finalizzati al miglioramento dell'efficienza energetica, sottoscrivendo un contratto finanziario tramite terzi di servizio energia o di rendimento energetico;
   secondo l'attuale sistema di certificazione, stabilito dall'articolo 10 del decreto ministeriale 28 dicembre 2012, questi benefici «non sono cumulabili con altri incentivi, comunque denominati, a carico delle tariffe dell'energia elettrica e del gas e con altri incentivi statali, fatto salvo, nel rispetto delle rispettive norme operative, l'accesso a: a) fondi di garanzia e fondi di rotazione; b) contributi in conto interesse; c) detassazione del reddito d'impresa riguardante l'acquisto di macchinari e attrezzature»;
   la normativa vigente, infatti, consente solo il cumulo con incentivi regionali e comunitari, oltre ad agevolazioni fiscali nella forma del credito d'imposta a favore del teleriscaldamento alimentato con biomassa o con energia geotermica –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per rendere cumulabili per le aziende i «certificati bianchi» con un sistema di detrazioni fiscali, in modo da favorire interventi di efficienza energetica e di produzione da fonti rinnovabili in grado di ridurre costi e sprechi, agevolando le imprese del settore già provate dalla crisi economica e dall'incertezza legata alla direzione altalenante che il sistema di incentivi ha vissuto negli ultimi tre anni. (4-00410)


   GENTILONI SILVERI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Telecom Italia è la principale azienda italiana di telecomunicazioni, che offre in Italia e all'estero servizi di telefonia fissa, cellulare, pubblica, IP, internet e televisione via cavo;
   recentemente, il management di Telecom Italia ha riferito dei contatti preliminari intervenuti con il quarto operatore mobile, 3 Italia e il suo azionista di controllo Hutchison Whampoa, relativi a un percorso di integrazione di 3 in Telecom, eventualmente mediante conferimento o fusione per incorporazione, che il gruppo Hutchison Whampoa avrebbe condizionato, tra l'altro, all'acquisizione di un'ulteriore quota azionaria in Telecom Italia, tale da farne l'azionista di riferimento della società;
   contemporaneamente il vertice di Telecom Italia ha indirizzato alla Cassa depositi e prestiti una proposta (term sheet) di separazione e societarizzazione della rete;
   escludendo una difesa dell'italianità dell'azienda come valore in sé che, per quanto comprensibile, potrebbe rivelarsi in contrasto con gli interessi dei consumatori, dei dipendenti e degli azionisti Telecom, permangono dubbi riguardo alla particolarità del servizio di accesso alla rete, su cui l'attenzione si fissa per la delicatezza, la riservatezza e la natura del patrimonio di dati che essa stessa veicola e la cui violazione può altresì rappresentare un pericolo per la sicurezza e l'impermeabilità di dati nazionali sensibili;
   particolare attenzione andrebbe rivolta alla possibilità di scorporare le parti più delicate della rete, l’access network e l’edge network, dove operano i routers di diversi produttori, e di concordare opportuni controlli da parte dell'Agcom sul core network;
   a seguito del decreto-legge n. 21 del 15 marzo 2012, successivamente convertito con modificazioni dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, l'Italia ha emanato una disciplina innovativa in materia di poteri di intervento dello Stato in caso di operazioni straordinarie riguardanti imprese attive nei settori strategici della difesa e della sicurezza nazionale, delle comunicazioni, energia e trasporti, giungendo a prevedere che il Presidente del Consiglio possa, attraverso proprio decreto, esprimere un veto a quelle operazioni che diano luogo a situazioni eccezionali di minaccia effettiva di grave pregiudizio per gli interessi pubblici legati alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti –:
   quali siano le modalità di scorporo societarie, economiche e tecniche previste dalla Cassa depositi e prestiti al fine di garantire, all'interno di un più vasto disegno di riposizionamento dei competitor sul mercato, la delicata e suddetta questione dell'accesso alla rete, nonché il quadro della concorrenza e le eventuali conseguenze occupazionali;
   quali accorgimenti intenda adottare il Ministro interrogato nell'ambito delle proprie competenze, al fine di valutare l'operazione in corso e quali informazioni siano a disposizione del Governo circa i contatti tra Telecom e H3G per la parte che coinvolge l'accesso e la sicurezza della rete;
   come intenda intervenire in materia di poteri speciali sugli assetti societari per le attività di rilevanza strategica (golden share), per cui sono stati individuati nel mese di marzo 2013 gli attivi strategici nei settori dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni. (4-00411)


   ZAN, ZARATTI, PELLEGRINO, PIAZZONI, PILOZZI e MARCON. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 gennaio 2011 la direzione generale per l'energia nucleare, le energie rinnovabili e l'efficienza energetica presso il Ministero dello sviluppo economico autorizzava la conversione a carbone della centrale energetica di Porto Tolle, di proprietà dell'Enel;
   in data 17 maggio 2011 il Consiglio di Stato annullava in via definitiva il decreto del Ministero dell'ambiente del 29 luglio 2009 che dava parere positivo alla valutazione d'impatto ambientale (VIA) relativa alla centrale annullando, di conseguenza, anche l'autorizzazione del Ministero dello sviluppo economico;
   in data 23 maggio 2012 il Consiglio di Stato dichiarava la legittimità della legge regionale del Veneto del 2011 la quale, modificando le norme istitutive del parco regionale del Delta del Po, consentiva all'Enel di ripartire con l'iter autorizzativo della centrale a carbone;
   l'Enel ha esplicitato in diverse occasioni, da ultimo nel corso dell'assemblea degli azionisti tenutasi nelle scorse settimane, la sua intenzione di insistere nella procedura di conversione a carbone della centrale di Porto Tolle;
   l'Italia, alla fine del 2012, disponeva di un parco centrali energetiche di una potenza complessiva pari a oltre 121 gigawatt, tra fonti fossili e rinnovabili;
   il picco massimo dei consumi viene raggiunto nei mesi estivi e negli ultimi anni non ha mai superato i 60 gigawatt;
   l'Italia pertanto è in una palese condizione di over capacity, e cioè ha già oggi una capacità produttiva di energia elettrica di molto superiore alle esigenze presenti e future;
   la normativa europea impone al nostro Paese di coprire al 2020 almeno il 17 per cento dei consumi finali lordi di energia mediante fonti rinnovabili;
   il carbone è la fonte energetica fossile maggiormente inquinante e responsabile della emissione di gas serra e di sostanze inquinanti responsabili direttamente di neoplasie e malattie respiratorie e cardiovascolari, come unanimemente accertato dalla letteratura scientifica italiana e internazionale;
   nel solo mese di aprile 2013, le energie rinnovabili hanno coperto da sole il 40 per cento delle esigenze elettriche nazionali;
   l'associazione Greenpeace ha stimato che investendo i 2,5 miliardi di euro previsti da Enel per il carbone a Porto Tolle su un mix di fotovoltaico ed eolico si avrebbero ricadute occupazionali almeno 3 volte superiori;
   il 6 maggio 2013, come riportato dalla stampa locale e nazionale, il Ministro Zanonato, incontrando il Presidente della regione Veneto Luca Zaia, con riferimento alla riconversione della centrale di Porto Tolle, affermava testualmente che «Se la regione Veneto raggiunge l'autonomia energetica è un vantaggio per tutti. Il progetto della Regione Veneto è interessante e affascinante ed è quello che funziona» –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro in merito alla conversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle;
   se il Ministro non ritenga utile e necessario favorire ulteriormente la diffusione delle fonti energetiche rinnovabili in luogo delle fonti energetiche fossili, altamente inquinanti e che aggravano la situazione di dipendenza energetica dall'estero dell'Italia. (4-00416)


   NICCHI e NARDI. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   presso l'assessorato alle attività produttive della regione Toscana, si è svolta una riunione, giovedì 9 maggio 2013, in merito alla crisi della società Mabro sita in Grosseto, la quale produce capi di abbigliamento di alta sartoria (le 230 lavoratrici della ditta hanno per anni prodotto abiti maschili per Armani, Prada, Vuitton e altri), un aspetto tra i più significativi del made in Italy. Da ben 5 mesi le lavoratrici sono senza stipendio;
   la riunione si è conclusa con un verbale firmato da tutti i presenti: il sindaco del comune di Grosseto, Emilio Bonifazi, il presidente della provincia di Grosseto, Leonardo Marras, l'assessore provinciale Chelini, e il proprietario dell'azienda abbigliamento Grosseto, Barontini;
   la proprietà Mabro ha presentato il 3 maggio 2013 al tribunale di Grosseto la domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo «in bianco» (di cui all'articolo 33 del decreto-legge n. 83 del 2012, il cosiddetto «decreto crescita»). Un'iniziativa che ha contrariato le autorità, visto che per giovedì 9 maggio la regione aveva già convocato comune e provincia per un incontro che sarebbe dovuto servire a spingere l'azienda verso l'amministrazione straordinaria di cui alla cosiddetta «legge Prodi-bis»;
   nel corso della riunione del 9 maggio, le istituzioni hanno sollecitato l'azienda a predisporre rapidamente tutti gli atti necessari per l'accesso alla «Prodi-bis» (l'amministrazione straordinaria di cui al decreto legislativo n. 270 del 1999), impegnandosi ad affiancarla in questo percorso;
   infatti, secondo l'assessore regionale alle attività produttive, Gianfranco Simoncini: «L'azienda è di qualità, riesce ancora a lavorare su misura, servirà trovare una capacità finanziaria che ne sostenga gli investimenti»;
   per l'applicazione della «Prodi-bis» si richiede un piano industriale e di conseguenza l'ingresso di un nuovo socio che ne avvii l'attuazione; le lavoratrici e le loro rappresentanze hanno molti dubbi che l'azienda possa effettivamente garantire tutto ciò;
   l'azienda si è impegnata a presentare la domanda di accesso alla procedura della «Prodi-bis» entro il 30 giugno 2013, ritenendo – si legge nel verbale – «che ciò tuteli meglio i lavoratori come creditori privilegiati». L'amministrazione straordinaria di cui alla legge «Prodi-bis» al posto del concordato «in bianco» è quanto le operaie auspicano. È stato posto, dunque, fine all'occupazione della fabbrica, ma esse, non fidandosi della buona fede della proprietà, continuano lo sciopero che avevano iniziato a fine aprile fintanto che non vedranno la richiesta della «Prodi-bis» sul tavolo del tribunale;
   la mancanza di fiducia delle maestranze deriva dalla scarsa affidabilità della proprietà che ha accumulato debiti per 7-8 milioni di euro, che proprio il 7 maggio 2013 si è vista respingere la richiesta di concordato preventivo per un'altra azienda di famiglia, la Marcolana di Prato. La stessa proprietà è stata autrice di una vicenda oscura lo scorso anno quando ha cercato di rilevare, grazie agli incentivi pubblici, la ex Miroglio di Ginosa, in Puglia. Il Ministero dello sviluppo economico lo bloccò spiegando che «a seguito di un'attenta valutazione degli atti, le strutture tecniche del Ministero dello sviluppo economico hanno riscontrato incongruenze nella documentazione presentata a sostegno del piano industriale da parte di un'azienda candidatasi al subentro. Il fascicolo è stato dunque inoltrato alle competenti autorità giudiziarie per le verifiche e gli esami necessari»;
   è stato anche chiesto all'azienda che vengano compiuti tutti gli atti necessari a ottenere il massimo delle garanzie sull'utilizzo degli ammortizzatori sociali;
   la Regione e le altre istituzioni locali, nel corso dell'incontro, hanno chiesto garanzie sui tempi di riscossione degli stipendi, convinte che solo il pagamento delle retribuzioni costituisca una dimostrazione concreta della volontà di ripristinare le normali relazioni sindacali (si ricorda che, da parte della Cgil, è in atto un ricorso nei confronti dell'azienda ex articolo 28 dello statuto dei lavoratori per comportamento antisindacale) e il presupposto per un percorso che riapra prospettive di ripresa;
   anche le lavoratrici e le loro rappresentanze hanno dunque sollecitato l'azienda a predisporre rapidamente gli atti necessari per l'accesso alla «Prodi-bis», impegnandoci ad affiancarla. Lunedì 13 maggio 2013 è prevista l'assemblea dei lavoratori che deciderà le prossime forme di protesta;
   la crisi della società Mabro è solo uno degli aspetti più generale della crisi economica e occupazionale che negli ultimi anni ha colpito la provincia di Grosseto. «Sono i dati peggiori degli ultimi dieci anni». Così il presidente della Camera di Commercio, Giovanni Lamioni, definisce i numeri sulla congiuntura economica riferiti al primo semestre del 2012 ed elaborati in collaborazione con l'Istituto Tagliacarne di Roma. Dati che mostrano una situazione molto difficile per l'economia maremmana che sta attraversando, dice Lamioni, «da due anni a questa parte una crisi profonda». A testimoniare lo stato di recessione dell'economia della provincia di Grosseto due dati su tutti: rispetto allo stesso periodo del 2011 il fatturato cala del 6,5 per cento e la produzione del 6,7 per cento. «I settori più colpiti – spiega Lamioni – sono il commercio e l'edilizia». Il comparto del commercio fa segnare una diminuzione del fatturato del 15 per cento, mentre per le costruzioni il calo si attesta sul 10 per cento;
   in Maremma, sono circa 24 mila i disoccupati, un dato ben peggiore di quello del 2012, considerato l'anno orribile in fatto di perdita di posti di lavoro e licenziamenti. Inoltre, la siccità che ha interessato il territorio provinciale nel corso del 2012 e le piogge alluvionali che si sono abbattute nell'autunno dello stesso anno e nell'inverno 2013, hanno messo in ginocchio l'intero comparto agricolo, aggravando uno stato di crisi che aveva già dovuto registrare, dal 2000 ad oggi, una forte contrazione delle aziende (-25 per cento) e delle superfici coltivate (-10 per cento). Tale situazione è accentuata nella zona a sud della provincia di Grosseto dove sono scomparse molte attività nei settori del commercio, degli agriturismi, dei campeggi e altre attività tipiche di quello territorio come quelle del settore ittico. Anche il settore delle costruzioni in provincia di Grosseto ha perso 1557 operai producendo la cancellazione dalla stessa cassa edile di 283 imprese –:
   quali iniziative di sua competenza il Governo intende porre in essere per dare uno sbocco positivo alla situazione della Mabro, facilitando l'accesso dell'azienda alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al decreto legislativo n. 270/199 (cosiddetto «Prodi-bis»), e più in generale per rispondere alla grave crisi occupazionale che coinvolge il territorio della provincia di Grosseto. (4-00427)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Speranza e altri n. 1-00017, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 aprile 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valiante.

  La mozione Peluffo e altri n. 1-00032, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marco Di Maio.

  La mozione Gregori e altri n. 1-00034, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antezza.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Cenni e altri n. 4-00277, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 aprile 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bini.

  L'interrogazione a risposta scritta Gagnarli e altri n. 4-00344, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paolo Bernini.

  L'interrogazione a risposta scritta Paglia n. 4-00361, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marcon.

  L'interrogazione a risposta scritta Rocchi e Bini n. 4-00373, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sani, Beni, Rigoni, Velo, Cenni, Fossati.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Spadoni n. 4-00148, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 7 del 3 aprile 2013.

   SPADONI, MANLIO DI STEFANO, COLLETTI, DELL'ORCO, COMINARDI, DALL'OSSO, MUCCI, FERRARESI, SILVIA GIORDANO, SARTI, PAOLO BERNINI, TACCONI, GRANDE, DEL GROSSO, DI BATTISTA, SIBILIA e SCAGLIUSI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel 2011, il mercato italiano del gioco d'azzardo ha raccolto, al netto dei premi erogati, 18,4 miliardi di euro, pari al 4,4 per cento del mercato mondiale e oltre il 15 per cento di quello europeo;
   secondo CONAGGA (Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d'azzardo), a fronte di una netta riduzione dei risparmi delle famiglie e della spesa per alimenti a causa della crisi economica, nel 2011 è cresciuta la spesa sul gioco d'azzardo del 30 per cento rispetto al 2010;
   secondo una rielaborazione dei dati dell'Amministrazione autonoma Monopoli di Stato del 2012, la spesa annua pro capite sul gioco d'azzardo è di 1703 euro;
   secondo il CNR, il gioco d'azzardo coinvolge il 58,1 per cento dei maschi tra i 15 e i 19 anni e il 36,8 per cento delle ragazze;
   a fronte di un aumento della spesa sul gioco d'azzardo, le entrate per l'erario hanno visto una riduzione di circa il 10 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente;
   secondo le indagini della Guardia di finanza, ammonta ad oltre 98 miliardi di euro l'evasione fiscale di alcune società concessionarie di slot machine dei quali solo una minima parte è stata ad oggi recuperata;
   il rapporto 2011 della Corte dei Conti dice che «il consumo dei giochi interessa prevalentemente le fasce sociali più deboli» e, secondo CONAGGA, gioca di più chi ha una minore scolarizzazione;
   secondo una stima di CONAGGA, che tiene conto dei costi sanitari, dei costi indiretti e dei costi per la qualità della vita, i costi sociali complessivi causati in Italia dai giocatori d'azzardo patologici sono stimabili tra i 5,5 e i 6,6 miliardi di euro, andando perciò ad assorbire gran parte delle risorse incassate dall'erario;
   i soldi che le famiglie spendono nei giochi vengono tolti dai consumi, provocando un danno indiretto per le casse dello Stato dovuto alla «mancata» IVA incassata, quantificabile, secondo CONAGGA, in 3,8 miliardi di euro ogni anno;
   gli apparecchi, quali slot machine e videolottery, raccolgono il 54 per cento del fatturato complessivo e, grazie alle loro caratteristiche quali minore lasso di tempo fra una partita e l'altra, l'assenza di relazioni umane, la spazialità e temporalità diffusa e gli stimoli visivi e sonori, risultano essere i maggiori responsabili dell'instaurarsi di dipendenze;
   anche i giochi online, che raccolgono il 16 per cento del fatturato complessivo, presentano caratteristiche analoghe agli apparecchi –:
   quali azioni si intendano mettere in campo per recuperare i 2,5 miliardi di euro così come stabilito dalla Corte dei Conti, nella Camera di Consiglio del 24 novembre 2011, con Sentenza n. 214/2012;
   quali iniziative intenda adottare per contrastare, in futuro, analoghi fenomeni di evasione;
   a fronte di un costo sociale così elevato e delle sempre più numerose patologie dovute al gioco d'azzardo, se non si ritenga opportuno assumere iniziative volte a vietare su tutto il territorio nazionale gli apparecchi quali slot machine, videolottery e i giochi d'azzardo online.
(nuova formulazione) (4-00148)

Ritiro di un documento del Sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in commissione Cenni n. 5-00093 del 6 maggio 2013;
   interrogazione a risposta scritta Franco Bordo n. 4-00384 del 7 maggio 2013.

Trasformazione di un documento del Sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Vargiu n. 3-00035 del 7 maggio 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-00434.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Pinna e altri n. 4-00389 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 14 dell'8 maggio 2013. Alla pagina 919, seconda colonna, dalla riga undicesima alla riga tredicesima, deve leggersi: «DANI, DA VILLA, CORDA, NICOLA BIANCHI, FRUSONE e RIZZO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al» e non «DANI, DA VILLA, CORDA, DORINA BIANCHI, FRUSONE e RIZZO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al», come stampato.