Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 7 maggio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il 14 febbraio 2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale 14 febbraio 2013, n. 22 «Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni»;
    di fatto il citato decreto istituzionalizza l'incenerimento dei combustibili solidi secondari (CSS) nei forni dei cementifici introducendo l'espediente della «dichiarazione di conformità» (articolo 4 del citato decreto ministeriale) che permetterebbe ai combustibili solidi secondari (CSS) di «cessare di essere considerati rifiuti»;
    appena tre giorni prima della pubblicazione del decreto, l'11 febbraio 2013, la VIII Commissione permanente (Ambiente, territorio e lavori pubblici) aveva dato parere contrario allo «Schema di Decreto del Presidente della Repubblica concernente il Regolamento recante disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS), in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime dell'autorizzazione integrata ambientale, ai sensi dell'articolo 214, comma 11, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni»;
    il citato schema di decreto del Presidente della Repubblica – prevedeva «l'utilizzo dei CSS (...) in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, negli impianti di produzione di cemento a ciclo completo (articolo 1);
   durante il dibattito sul citato schema di decreto del Presidente della Repubblica è emerso come «lo schema di provvedimento sia stato predisposto da oltre un anno e che nessuna ragione può essere addotta per giustificare la presentazione alle camere soltanto al momento della conclusione della legislatura» e sono state espresse forti critiche «alle politiche perseguite dal Ministero dell'Ambiente e del Governo nel suo complesso, le quali hanno sistematicamente eluso la questione della costruzione di un moderno ed efficace sistema di controlli ambientali»;
    l'VIII commissione della Camera, nell'esprimere il proprio parere contrario, ha ribadito la necessità di «svolgere un approfondimento con adeguate forme di consultazione», ha espresso una chiara preoccupazione per «la rilevanza delle conseguenze del provvedimento sul funzionamento del sistema dei cementifici e della tutela ambientale e della gestione dei rifiuti», ha ritenuto «indispensabile il coinvolgimento delle Regioni» e ha chiesto di rinviare «alla prossima legislatura l'adozione del provvedimento in questione»;
    lo schema di decreto era stato proposto come regolamento di delegificazione ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell'attività di Governo», così come previsto dall'articolo 214, comma 11, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» e il parere negativo espresso in materia nella competente sede parlamentare avrebbe dovuto indurre il Governo a sospendere l'emanazione del citato decreto ministeriale n. 22 del 2013, atto regolamentare di rango inferiore;
    l'operato del Ministro pro tempore Clini, espressione di un Governo dimissionario, che avrebbe dovuto occuparsi unicamente di questioni ordinarie, non sembra ai firmatari del presente atto di indirizzo conforme né al chiaro indirizzo espresso nelle sedi parlamentari, né alle indicazioni espresse a livello comunitario; infatti le sue manovre tendono esplicitamente verso la chiusura del ciclo dei rifiuti con la combustione (l'incenerimento nei cementifici) in netto contrasto con la raccomandazione del Parlamento europeo n. A7-0161/12 adottato il 24 maggio 2012: la destinazione dei rifiuti all'incenerimento, ancorché con recupero di energia, è contraria alla suddette raccomandazioni che invece propendono l'individuazione di una gerarchia dei rifiuti e l'obiettivo, entro il prossimo decennio, del definitivo abbandono delle pratiche di incenerimento di materie recuperabili;
    nella parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, relativa alla gestione dei rifiuti, l'articolo 179 stabilisce i criteri di priorità nella gestione dei rifiuti in due ordini di interventi distinti ai commi 5 e 6:
  «5. Le pubbliche amministrazioni perseguono, nell'esercizio delle rispettive competenze, iniziative dirette a favorire il rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti di cui al comma 1 in particolare mediante:
   a) la promozione dello sviluppo di tecnologie pulite, che permettano un uso più razionale e un maggiore risparmio di risorse naturali;
   b) la promozione della messa a punto tecnica e dell'immissione sul mercato di prodotti concepiti in modo da non contribuire o da contribuire il meno possibile, per la loro fabbricazione, il loro uso o il loro smaltimento, ad incrementare la quantità o la nocività dei rifiuti e i rischi di inquinamento;
   c) la promozione dello sviluppo di tecniche appropriate per l'eliminazione di sostanze pericolose contenute nei rifiuti al fine di favorirne il recupero;
   d) la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l'impiego dei materiali recuperati dai rifiuti e di sostanze e oggetti prodotti, anche solo in parte, con materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi;
   e) l'impiego dei rifiuti per la produzione di combustibili e il successivo utilizzo e, più in generale, l'impiego dei rifiuti come altro mezzo per produrre energia.
  6. Nel rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti le misure dirette al recupero dei rifiuti mediante la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio o ogni altra operazione di recupero di materia sono adottate con priorità rispetto all'uso dei rifiuti come fonte di energia.»;
    la suddetta gerarchia degli interventi prevede, all'esaurimento di tutte le opzioni alternative disponibili, la possibilità di contemplare i «rifiuti come fonte di energia», stabilendo altresì una ben definita consequenzialità delle azioni e delle misure che devono essere messe in campo dalla pubblica amministrazione; inoltre, le misure di cui al secondo comma sono specificatamente subordinate in maniera vincolante all'adozione delle prioritarie misure di cui al comma 1;
    le proposte politiche devono quindi essere finalizzate alla transizione dal concetto di rifiuto a quello di risorsa, che preveda una progressiva riduzione della quantità di rifiuti prodotti e una concreta azione di riutilizzo della materia attraverso trattamenti a freddo, pratica prontamente più sostenibile, economicamente vantaggiosa e orientata al bene comune di quanto sia qualunque scelta che comporti forme di incentivo alla combustione;
    nel testo del citato decreto ministeriale in oggetto viene dichiarata l'intenzione di ottenere un elevato livello di protezione ambientale, mentre, al contrario, la letteratura scientifica internazionale conferma ogni giorno l'evidenza degli effetti nocivi e tossici della pratica dell'incenerimento dei rifiuti o loro derivati;
    la combustione di rifiuti nei cementifici comporta una variazione della tipologia emissiva di questi impianti, in particolare in merito alla emissione di diossine, composti organici clorurati e metalli pesanti; la produzione di diossine è direttamente proporzionale alla quantità di rifiuti bruciati;
    riguardo alle diossine, evidenze scientifiche dimostrano che – a differenza di quanto prospettano i sostenitori della combustione dei combustibili solidi secondari secondo i quali le alte temperature dei cementifici diminuirebbero o addirittura eliminerebbero le emissioni di queste sostanze altamente nocive –, sebbene le molecole di diossina abbiano un punto di rottura del loro legame a temperature superiori a 850°C, durante le fasi di raffreddamento (nella parte finale del ciclo produttivo) esse si riaggregano e si riformano; inoltre, considerata la particolarità chimica delle diossine (inquinanti liposolubili, persistenti per decenni nell'ambiente e nei tessuti biologici, dove si accumulano nel tempo), l'eventuale riduzione quantitativa della concentrazione di diossine nelle emissioni dei cementifici sarebbe abbondantemente compensata dall'elevato volume emissivo tipico di questi impianti;
    è stato dimostrato che la combustione di combustibili solidi secondari nei cementifici causa un significativo incremento delle emissioni di metalli pesanti, in particolare mercurio, enormemente pericolosi per la salute umana;
    secondo i calcoli effettuati nell'ambito delle ricerche scientifiche, la combustione di una tonnellata di combustibili solidi secondari un cementificio in sostituzione parziale di combustibili fossili causa un incremento di 421 mg nelle emissioni di mercurio, 4.1 mg in quelle di piombo, 1,1 mg in riferimento al cadmio; ulteriori particolari criticità dovute alla tipologia di rifiuti bruciati sono state riportate in merito alle emissioni di piombo;
    l'utilizzo dei combustibili solidi secondari cementifici prevede l'inglobamento delle ceneri tossiche prodotte dalla combustione dei rifiuti, di solito smaltite in discariche per rifiuti speciali pericolosi, nel clinker/cemento prodotto; questo comporta rischi potenziali per la salute dei lavoratori e possibili rischi ambientali per l'eventuale rilascio nell'ambiente di sostanze tossiche; inoltre, le caratteristiche fisiche del cemento potrebbero essere alterate dalla presenza di scorie da combustione in modo tale da non renderlo universalmente utilizzabile;
    molte perplessità derivano dalle modalità con le quali il Governo ha varato la norma che consente l'utilizzo dei rifiuti come combustibili nei cementifici;
    il decreto ministeriale è stato approvato, come si è visto, dopo il parere contrario dell'VIII Commissione parlamentare allo schema di decreto del Presidente della Repubblica per la disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari dell'11 gennaio 2013;
    in sostanza il decreto ministeriale, pur attraverso una formulazione differente, ha lo stesso obiettivo dello schema di decreto del Presidente della Repubblica «bocciato» in Parlamento: promuovere, come afferma la stessa premessa del decreto, «la produzione e l'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS) da utilizzare, a determinate condizioni, in sostituzione di combustibili convenzionali»;
    se nel primo schema di decreto si punta a convertire i cementifici in inceneritori con l'obiettivo di bruciare rifiuti per produrre energia, nel secondo decreto ministeriale del 14 febbraio 2013 si pone la questione della trasformazione di alcuni rifiuti, compresi quelli speciali, sulla base della classificazione di cui all'articolo 184 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in CSS (combustibili solidi secondari), sottraendoli pertanto alla disciplina normativa sui rifiuti;
    secondo quanto disposto dall'articolo 13, comma 1, del citato n. 22 del 2013, «l'utilizzo del CSS è consentito esclusivamente negli impianti di cui all'articolo 3, comma 1, lettere b) e c) – cementifici e centrali termoelettriche – ai fini della produzione, rispettivamente, di energia termica o di energia elettrica; mentre al comma 2 si afferma che «l'utilizzo del CSS-Combustibile è soggetto al rispetto delle pertinenti disposizioni del decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133, applicabili al coincenerimento»; in sostanza, dalla lettura del combinato disposto dei succitati atti normativi, emerge chiaramente la volontà di trasformare in modo strutturale i rifiuti prodotti in fonte energetica;
    l'orientamento assunto dall'esecutivo contravviene pertanto le indicazioni date dalla direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008, la quale, al punto 6 della premessa, afferma «L'obiettivo principale di qualsiasi politica in materia di rifiuti dovrebbe essere di ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l'ambiente. La politica in materia di rifiuti dovrebbe altresì puntare a ridurre l'uso di risorse e promuovere l'applicazione pratica della gerarchia dei rifiuti»; la gerarchia dei rifiuti è definita dall'articolo 4: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e) smaltimento;
    appare altresì preoccupante e discutibile che un Governo dimissionario abbia affidato ad un semplice decreto ministeriale la possibilità che, venga attribuita ai produttori stessi di combustibili solidi secondari la possibilità di emettere la dichiarazione di conformità (allegato 4 del decreto ministeriale di cui sopra), con l'evidente esposizione al rischio dell'avvio di una procedura di infrazione comunitaria;
    forti perplessità emergono dalla ipotetica possibilità di rimettere sul mercato, anche comunitario, il «prodotto combustibili solidi secondari» senza tenere conto degli enormi costi ambientali e della probabile inefficienza, sotto il profilo energetico e ambientale, del trasporto – evidentemente su gomma – di questa fonte di energia;
    i cementifici sono impianti industriali altamente inquinanti e l'utilizzo di combustibili solidi secondari come combustibile permetterebbe, di fatto, l'innalzamento – da due a nove volte – dei limiti di emissione rispetto ai valori fissati per gli inceneritori;
    considerando solo gli NOx, per un inceneritore il limite di legge è 200 mg/Nmc, mentre per un cementificio è tra 500 e 1800 mg/Nmc; inoltre, un cementificio produce di solito almeno il triplo di CO2 rispetto a un inceneritore classico, mentre la lieve riduzione dei gas serra ottenuta dalla sostituzione parziale dei combustibili fossili con rifiuti ridurrebbe le emissioni dei cementifici in maniera scarsamente significativa, considerata la abnorme produzione annua di CO2 da parte di questi impianti che, secondo i dati del registro europeo delle emissioni inquinanti (E-PRTR) ammonta in Italia a circa 21.237.000 tonnellate/anno; basta un piccolo aumento della capacità produttiva dei singoli impianti per recuperare abbondantemente la quantità di gas serra «risparmiata» dalla sostituzione parziale dei combustibili fossili con i rifiuti; questi ultimi, infatti, sono per gli imprenditori del cemento economicamente molto più vantaggiosi dei combustibili tradizionali e, dunque, agirebbero da concreto incentivo all'aumento della produzione;
    le emissioni di inquinanti gassosi da parte dei cementifici-inceneritori rimarrebbero molto più alte di quelle degli inceneritori; nel caso dei microinquinanti (metalli pesanti e diossine), a parità di concentrazioni nei fumi, i cementifici-inceneritori emettono volumi di fumi enormemente maggiori rispetto agli inceneritori classici; poiché la quantità assoluta di diossine e metalli pesanti è proporzionale sia alla quantità di rifiuti bruciati che al volume di fumi emessi, i cementifici-inceneritori, pur rispettando la parità di concentrazione espressa dai limiti di legge, emettono quantità assolute di microinquinanti (non biodegradabili e persistenti nell'ambiente) enormemente maggiori rispetto agli inceneritori classici; l'incenerimento di rifiuti varia inoltre la tipologia emissiva dei cementifici, creando in particolare criticità aggiuntive soprattutto per i metalli pesanti (principalmente piombo, arsenico, mercurio);
    del resto, da un punto di vista squisitamente comparativo, i limiti di emissione di inquinanti in atmosfera previsti per i cementifici (impianti di co-incenerimento) sono più alti rispetto a quelli previsti per i normali impianti di incenerimento; per le polveri totali il limite giornaliero dei cementifici è di 30 mg/m3 contro i 10 mg/m3 degli inceneritori, mentre per gli NOx i limite è di 800 mg/m3 per gli impianti esistenti, di 500 mg/m3 per quelli nuovi, a fronte del limite di 200 mg/m3 degli inceneritori;
    inoltre, gli inceneritori devono rispettare per legge medie di emissioni giornaliere e semiorarie, mentre per i cementifici l'unico limite da rispettare è quello giornaliero, all'interno del quale è possibile «spalmare» la presenza di eventuali picchi emissivi;
    l'Italia ha il maggior numero di cementifici in Europa (i quali sono per una gran parte «conglobati» nel tessuto della città inoltre, come ampiamente dimostrato, la combustione di rifiuti «per se» rappresenta un enorme disincentivo alle «buone pratiche» (riduzione, riuso, riciclo, riduzione della produzione dei rifiuti); l'Italia è, ad oggi, il terzo Paese europeo per numero di inceneritori operativi; la strategia di azione avviata dal Governo Monti raddoppierebbe, potenzialmente, il quantitativo di rifiuti avviati all'incenerimento in Italia, rendendo immediatamente disponibili all'incenerimento dei combustibili solidi secondari molti impianti su tutto il territorio nazionale, portando l'Italia al primo posto in Europa per incenerimenti di rifiuti e contravvenendo alle più recenti direttive europee, che chiedono agli Stati membri l'abbandono dell'incenerimento nel prossimo decennio,

impegna il Governo:

   ad avviare, in coerenza con le indicazioni presenti nel parere della Commissione ambiente citato in premessa, i necessari approfondimenti per valutare sia le possibili conseguenze, sul piano ambientale e sanitario, della scelta di consentire ai cementifici l'incenerimento dei cosiddetti combustibili solidi secondari, sia l'opportunità di un iter procedurale fortemente semplificato nonostante l'oggettiva complessità della questione;
    a realizzare una moratoria e a sospendere, fin da ora, ogni atto che vada nella direzione di consentire la «rinconversione» dei cementifici in inceneritori, onde evitare che aziende ed imprese investano in un settore che potrebbe dimostrarsi incompatibile con l'esigenza di garantire la tutela della salute e dell'ambiente;
   a promuovere studi scientifici sulle effettive emissioni di sostanze inquinanti derivanti dall'uso dei rifiuti come combustibili, che tengano conto non solo del funzionamento degli impianti a regime e in condizioni di massima sicurezza, ma dei possibili rischi derivanti da malfunzionamenti o errori in fase di gestione;
   ad adottare, sempre ed in ogni caso, il principio di precauzione, così come previsto dall'articolo 191 del Trattato dell'Unione europea, evitando di esporre inutilmente le popolazioni che abitano in prossimità dei cementifici ad ulteriori pericoli per la propria salute.
(1-00030) «Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Segoni, Terzoni, Tofalo, Zolezzi, Alberti, Basilio».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'aeroporto «Galileo Galilei» di Pisa è un aeroporto militare aperto al traffico civile e commerciale, che negli anni, in virtù di una positiva collaborazione fra le strutture civile e militari, ha ampliato notevolmente il livello delle sue attività e dei suoi collegamenti nazionale e internazionali;
   in data 4 luglio 2003 ENAC aveva approvato il piano di sviluppo dell'aeroporto Galilei di Pisa fino al 2015 con decreto positivo di valutazione impatto ambientale del 23 gennaio 2002;
   detto piano prevedeva, tra gli altri, interventi di adeguamento ed ampliamento dell'aeroporto per poter far fronte al previsto sviluppo dei passeggeri (si è passati da 1,4 milioni circa di passeggeri nel 2001 a 4,5 milioni circa nel 2012) ricorrendo in parte anche all'acquisizione di aree messe a disposizione dall'Aeronautica militare;
   la valutazione di impatto ambientale prevedeva una serie di prescrizioni tra cui la ricerca di alternative abitative riguardanti le attuali abitazioni lungo via Cariola e via Carrareccia a Pisa, che costituiscono un vecchio borgo agricolo composto da circa n. 44 unità immobiliari situate nell'immediata adiacenza del piazzale aeromobili e confinanti con la testata nord della pista secondaria e vicinissime alla testata della pista principale;
   la prevista delocalizzazione, con la conseguente demanializzazione delle aree occupate dal borgo per essere annesse al demanio aeronautico civile statale, teneva conto che dette abitazioni risultavano non compatibili con:
    le situazioni di rumorosità dell'aeroporto;
    le oggettive esigenze di sicurezza;
    la natura (anche) militare dell'aeroporto che richiede l'eliminazione di ogni significativa limitazione per consentire il pieno svolgimento degli impegni operativi delle Forze armate, connessi con il quadro geopolitico e di sicurezza internazionali;
    lo sviluppo delle attività aeronautiche civili e l'implementazione, già in essere, di basi operative sul Galilei da parte di alcuni vettori;
   l'attuazione del piano passava necessariamente dalla sinergia tra i soggetti pubblici a vario titolo competenti ed, in tale contesto, il primo marzo 2010 è stato siglato un protocollo di intesa tra SAT – Società aeroporto toscano di Pisa G. Galilei, comune di Pisa, provincia di Pisa e regione Toscana, «finalizzato all'individuazione di un percorso che garantisca la realizzazione delle azioni previste nel Piano di Sviluppo Aeroportuale secondo le modalità indicate dal DEC/VIA 6917/2002 relativamente agli interventi che coinvolgono le abitazioni lungo Via Cariola e via Carrareccia a Pisa»;
   detto protocollo prevedeva che i sottoscrittori dello stesso attivano una serie di azioni di coinvolgimento dei Ministeri interessati (infrastrutture e trasporti, difesa e ambiente, ENAC) al fine di addivenire ad una soluzione nel comune interesse della realizzazione degli interventi previsti dal piano di sviluppo aeroportuale che richiedono l'acquisizione del tratto di via Cariola compreso tra l'attuale piazzale aeromobili e la pista di decollo e delle relative garanzie a tutela dei cittadini;
   conseguentemente iniziarono dei primi contatti con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, nel febbraio 2011, costituì un apposito tavolo istituzionale che, nella sua riunione del 24 maggio 2011, approvò la costituzione di un apposito gruppo di lavoro, a cui furono invitati a partecipare rappresentanti dei diversi Ministeri coinvolti, ENAC, regione, provincia, comune e SAT spa (società a maggioranza pubblica gestore dell'aeroporto Galilei), nell'intento di definire e sottoscrivere un apposito accordo di programma;
   dopo una serie di incontri si è arrivati alla presentazione di una bozza di accordo di programma, definito da regione, provincia, comune e SAT, ampiamente discusso e concordato con il tavolo di concertazione nazionale, consegnato al Ministro Matteoli il 10 ottobre 2011. Tale accordo è finalizzato a definire le modalità attuative e a reperire i finanziamenti necessari a delocalizzare le 44 abitazioni di via Cariola e via Carrareccia da effettuare con legge dello Stato, così com’è avvenuto per altri casi analoghi (si veda Malpensa);
   dopo quasi un anno di attesa c’è stata una convocazione per un incontro tenutosi l'11 settembre 2012 presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alla presenza dei rappresentanti dei Ministeri della difesa e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dell'ENAC, del comune e della provincia di Pisa, della regione Toscana e di SAT. Al termine dell'incontro il capo di gabinetto del Ministro pro tempore si era impegnato a coordinare un gruppo di lavoro che definisse un intervento legislativo attraverso il quale venissero finanziati gli interventi di delocalizzazione nonché definiti i tempi e i modi necessari a realizzarli. Tale provvedimento normativo doveva essere inserito nelle leggi finanziarie di fine anno ma ciò non si è verificato;
   dopo altri incontri, visto che non è stata data concretamente risposta all'obiettivo di finanziare la delocalizzazione, detto gruppo di lavoro a quanto consta agli interpellanti ha nel frattempo interrotto i propri lavori dopo aver preso atto che, a seguito di verifiche effettuate dai rappresentanti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e di ENAC, era emersa l'indisponibilità dei fondi occorrenti per tale delocalizzazione stimati, su più anni, nella misura di circa 18 milioni di euro complessivi e nonostante una prevista compartecipazione iniziale da parte del gestore aeroportuale SAT spa e l'intervenuta costituzione di una apposita addizionale sui diritti di imbarco passeggeri di cui all'articolo 2 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni;
   le abitazioni di via Cariola e via Carrareccia sono ubicate, di fatto, all'interno dell'aeroporto Galilei provocando notevoli difficoltà sia ai residenti per evidenti problemi ambientali e di inquinamento acustico sia alla stessa operatività dell'aeroporto Galilei ed al suo ulteriore sviluppo –:
   se, alla luce di quanto sopra esposto, non ritenga necessario intervenire al fine di assicurare l'efficace coordinamento di tutte le amministrazioni coinvolte e di garantire, entro breve tempo, le necessarie risorse statali atte a risolvere la prevista delocalizzazione delle abitazioni, secondo quanto segnalato in premessa.
(2-00034) «Fontanelli, Velo, De Micheli, De Maria».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il 23 aprile 2013 il Consiglio di amministrazione di Rai spa ha approvato il bilancio 2012 del Gruppo con 6 voti favorevoli e 2 astensioni. Questi in sintesi i risultati:
    i ricavi ammontano a 2.786,5 milioni di euro, facendo registrare una riduzione di 211,8 milioni di euro rispetto al 2011, nonostante gli anni pari abbiano sempre fatto registrare un significativo incremento degli introiti pubblicitari dovuto alla trasmissione di grandi eventi sportivi (nel 2012 Europei di calcio e Olimpiadi);
    i costi esterni sono aumentati di 34 milioni di euro;
    la perdita di esercizio e stata di 244,6 milioni di euro rispetto ai 4 milioni di attivo dell'anno precedente;
    la posizione finanziaria netta risulta negativa per 366,2 milioni di euro con un peggioramento di 93,8 milioni di euro;
   si tratta del peggior risultato di esercizio degli ultimi dieci anni. Negli ultimi mesi autorevoli organi di stampa, tra il quali Il Sole-24 Ore, il Corriere della Sera e Repubblica hanno più volte denunciato che sul risultato negativo del 2012 avrebbe pesato anche la contabilizzazione sul bilancio 2011 di ricavi pubblicitari per circa 70 milioni di euro che si sarebbero invece dovuti contabilizzare nel 2012. Se le notizie, peraltro mai smentite dalla società Rai spa fossero vere il saldo attivo del 2011 sarebbe state raggiunto attraverso «furbizie» contabili mentre la perdita relativa al 2012 sarebbe state più contenuta;
   in ogni caso il bilancio 2012 fotografa l'aggravarsi della situazione economico-finanziaria della Rai e testimonia che le decisioni sinora assunte dal vertice, che aveva avuto dall'azionista un mandato rigoroso di risanamento, si sono rilevate insufficienti o inadeguate;
   le stime degli analisti del mercato pubblicitario prefigurano, inoltre, un vero e proprio crollo del fatturato della concessionaria di pubblicità Sipra, di cui è presidente lo stesso direttore generale della Rai, mentre per la prima volta dal 1999 sembrerebbe registrarsi una contrazione significativa anche dei ricavi da canone. Queste previsioni, se confermate, determinerebbero, nella, perdurante assenza di incisive misure di risanamento, anche per il bilancio 2013 un rilevante saldo negativo facendo schizzare a livelli record l'indebitamento finanziario della società;
   va ricordato che poteri di vigilanza e controllo sull'andamento della gestione economico-finanziaria della concessionaria sono riconosciuti al Ministro dell'economia e delle finanze e al Ministro dello sviluppo economico ai sensi dell'articolo 17 della Convenzione per la concessione in esclusiva del servizio di radiodiffusione di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 28 marzo 1994 e dagli articoli 27 e seguenti del vigente contratto di servizio –:
   quali interventi il Governo intenda adottare per salvaguardare gli interessi del servizio pubblico radiotelevisivo; se in particolare, non reputino doveroso i Ministri interpellati, nella loro qualità, rispettivamente, di Ministro che detiene le azioni Rai e di Ministro che esercita la vigilanza, verificare con urgenza la regolarità dei documenti contabili, in ragione della rigorosa trasparenza alla quale si deve ispirare la gestione di una società pubblica, concessionaria di servizio pubblico e finanziata con i soldi dei cittadini, e, di fronte ad una situazione così preoccupante, se non intendano rendere noti con urgenza i dati aggiornati di riprevisione di budget per il 2013.
(2-00033) «Giachetti, Anzaldi, Gozi».

Interrogazione a risposta orale:


   FRANCO BORDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 aprile 2013, presso la chiesa del cimitero di Cremona, è stata celebrata una Santa Messa in memoria di Benito Mussolini e Roberto Farinacci alla presenza, tra gli altri, di esponenti di CasaPound e di rappresentanti di organizzazioni neofasciste francesi e spagnole;
   a seguito di tale evento, in data 4 maggio 2013, a Cremona, è stata inaugurata una sede di CasaPound, con il coinvolgimento di decine di militanti del movimento suddetto che sorvegliati da un massiccio cordone di agenti delle forze dell'ordine hanno proceduto alla cerimonia di inaugurazione;
   CasaPound, nel proprio programma, reperibile dal sito internet dell'associazione, dichiara «vogliamo un'Italia sociale e nazionale secondo la visione pavoliniana e mussoliniana» si appella ad una «funzione avanguardista dell'Italia», riferendosi a quella che viene definita «un'italietta antifascista e antisociale»;
   la legge 25 giugno 1993, n. 205 (legge Mancino) impedisce qualsiasi forma di azione e propaganda, anche con l'uso di gesti e slogan, legata all'ideologia nazifascista e che incita alla violenza e alla discriminazione razziale, etnica e religiosa;
   la XII disposizione transitoria e finale della nostra Costituzione Repubblicana afferma: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista»;
   i militanti di CasaPound, negli ultimi anni in varie località del Paese, sarebbero stati al centro di 5 numerosi casi di cronaca di violenze ai danni di minoranze etniche e religiose, reati contro il patrimonio, e possesso illegale di anni;
   CasaPound, pur essendo formalmente costituita come un'organizzazione di promozione sociale si è già presentata più volte a tornate elettorali quale partito politico con un proprio simbolo: «la Tartaruga»;
   CasaPound ha possibilità di beneficiare delle donazioni del 5x1000 riservate al sostegno delle organizzazioni non lucrative e associazioni di promozione sociale –:
   quali iniziative di competenza, intendano assumere per assicurare il rispetto della legalità e l'applicazione del rispetto dei valori e dei principi affermati nella Costituzione e impedire che la città di Cremona divenga luogo fertile per l'insediamento di realtà di ispirazione fascista, xenofoba e razzista;
   se vi siano le condizioni affinché CasaPound figuri tra i soggetti beneficiari delle donazioni del 5x1000. (3-00044)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GASPARINI, DE MARIA, MAURI, CARNEVALI e BRAGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'annuncio del Presidente del Consiglio del blocco della rata di giugno dell'IMU rischia di non produrre alcun effetto per le 40.000 famiglie a basso reddito che vivono, in affitto, in alloggi di proprietà delle cooperative a proprietà indivisa e mista: l'ambiguità irrisolta di una norma contenuta nel decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 che non riconosce a questi alloggi l'aliquota di prima casa, costringerebbe al pagamento della tassa;
   il mancato riconoscimento dello status di abitazione principale agli alloggi assegnati in godimento (che è subordinata al requisito di non possidenza di altro alloggio) determina una ingiustizia su una fascia di persone economicamente debole e socialmente esposta sul piano abitativo e agli effetti della crisi economica in atto;
   il movimento cooperativo svolge un servizio d'interesse generale mettendo sul mercato appartamenti con affitto convenzionato e calmierato, rispondendo così ad un bisogno sempre più crescente di case in affitto. Questo era stato riconosciuto dal decreto legislativo n. 504 del 1992 istitutivo dell'ICI, infatti la legge riconosceva la particolare natura e la funzione sociale svolta dalle cooperative edilizie a proprietà indivisa e mista che mantengono la proprietà degli immobili e assegnano ai soci le abitazioni con contratti d'affitto di lunga durata;
   il regime ICI, infatti riconosceva agli alloggi locati di proprietà delle cooperative a proprietà indivisa e agli IACP, comunque denominati, il medesimo regime ICI previsto per le unità immobiliari destinate ad abitazioni principali, secondo quanto previsto dal comma 4 dell'articolo 8 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 504, applicando quindi le aliquote ICI per abitazione principale, nonché delle relative detrazioni;
   l'esclusione delle abitazioni principali del pagamento dell'ICI, introdotta successivamente con la legge n. 106 del 2008 è stata estesa agli alloggi locati dalle cooperative a proprietà indivisa e agli alloggi IACP;
   l'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, della legge n. 214 del 2011, introducendo l'IMU in sostituzione dell'ICI e stabilendo la sua applicazione anche alle abitazioni principali, ha esteso il beneficio della detrazione prevista per l'abitazione principale anche agli alloggi locati da cooperative e IACP/ALER, ma non ha riconosciuto esplicitamente l'aliquota «prima casa» agli alloggi stessi;
   questo ha comportato per le famiglie in affitto in abitazioni di cooperative e IACP/ALER, il pagamento di aliquote diverse da quelle per la prima casa –:
   se si ritenga di mettere ordine a questa situazione ingiusta, assumendo iniziative per riconoscere alle abitazioni in affitto delle cooperative a proprietà indivisa e alle abitazioni IACP lo «STATUS DI ABITAZIONE PRINCIPALE»;
   se si intenda sospendere anche per queste abitazioni l'aliquota di giugno per permettere di rivedere coerentemente il riordino della normativa sull'IMU.
(4-00368)


   CARNEVALI, GASPARINI e MAURI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'annuncio del Presidente del Consiglio dei ministri del blocco della rata di giugno dell'IMU rischia di non produrre alcun effetto positivo per le famiglie a basso reddito che vivono, in affitto, in alloggi di proprietà di fondazioni, privato-sociale, che realizzano edilizia di housing sociale in affitto a canone convenzionato o sociale. Realtà che in questi anni hanno risposto al bisogno abitativo sperimentando nuovi modelli di cooperazione pubblico-privato, sostenendo politiche della casa in una fase in cui «il pubblico» ha ridotto drasticamente gli investimenti in conto capitale;
   il mancato riconoscimento da parte del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 dello status di abitazione principale agli alloggi assegnati in godimento dalle realtà di housing sociale (che è subordinata al requisito di non possidenza di altro alloggio) comporta l'applicazione dell'aliquota per la seconda casa, non riconoscendo l'obiettivo sociale e l'interesse pubblico di queste realizzazioni;
   il Presidente del Consiglio dei ministri ha evidenziato che occorre affrontare il tema dell'abitare non limitandolo solo al tema IMU e che le sperimentazioni di housing sociale sono oggi una significativa realtà, che oltre a realizzare nuovi alloggi si pone l'obiettivo della qualità urbana e della coesione sociale –:
   se si ritenga di affrontare il tema dell'IMU sugli alloggi di housing sociale riconoscendo a questa tipologia di abitazioni in affitto a proprietà indivisa lo «status di abitazione principale»;
   se si intenda sospendere anche per queste abitazioni l'aliquota di giugno per permettere di rivedere coerentemente il riordino della normativa sull'IMU.    (4-00369)


   GIANLUCA PINI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi la regione Emilia Romagna è stata colpita da ripetuti fenomeni calamitosi che hanno messo in ginocchio le strutture produttive, provocando danni ingenti anche in zone già duramente colpite dal terremoto del maggio 2012;
   in particolare, i danni delle frane e degli allagamenti che nei giorni scorsi hanno investito le province emiliane e romagnole ammontano a circa 20 milioni di euro solo per le operazioni di pronto intervento;
   il ripristino della viabilità provinciale e comunale, oltre che dei centri abitati, necessita di una somma ben più alta e non ancora quantificabile;
   lo stato di allerta per la criticità idrogeologica durerà fino alla metà di maggio e, pertanto, occorrono interventi immediati per snellire la burocrazia e favorire gli interventi della protezione civile;
   recentemente, la regione Emilia Romagna ha approvato un documento nel quale si chiede al Governo di far fronte al più presto alle richieste di dichiarazione dello stato di emergenza e realizzare un piano nazionale per la messa in sicurezza del territorio, per uscire dall'allerta continua e garantire le risorse necessarie per una programmazione efficace e una manutenzione ordinaria del territorio stesso;
   la tromba d'aria e la grandine che hanno colpito anche nei giorni scorsi il territorio modenese – e in particolare le zone terremotate – hanno provocato feriti e numerosi danni alle abitazioni e alle strutture produttive di un'area già duramente colpita dai sismi dello scorso anno;
   la regione Emilia Romagna sta completando il rapporto con la stima dei danni da consegnare al dipartimento nazionale di protezione civile;
   dagli stessi comunicati del dipartimento nazionale di protezione civile si apprende l'intenzione del Governo di procedere con celerità alla dichiarazione dello stato di emergenza –:
   se il Governo intenda intervenire urgentemente, oltre che per procedere alla dichiarazione dello stato di emergenza, per far fronte alle richieste finanziarie della regione Emilia Romagna il cui territorio è stato gravemente colpito dal maltempo nei mesi di aprile e maggio 2013, specie nelle zone agricole e montane;
   se il Governo intenda assumere iniziative per l'allentamento del patto di stabilità interno a quelle amministrazioni locali emiliane e romagnole che si trovano alle prese con gravi situazioni di dissesto idrogeologico alle quali devono porre riparo e che intendono destinare risorse proprie o risorse regionali e statali alla messa in sicurezza del proprio territorio recentemente colpito da calamità naturali. (4-00371)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MAESTRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel pomeriggio di sabato 11 giugno 2011 un violento nubifragio (con precipitazioni stimate in circa 100 millimetri d'acqua in un'ora) ha colpito la Pedemontana parmense e in particolare i comuni di Sala Baganza, Fornovo Taro e Collecchio, in provincia di Parma, causando, nel giro di pochissimo tempo, l'esondazione di diversi corsi d'acqua e il conseguente allagamento e danneggiamento documentato di infrastrutture viarie, edifici pubblici e privati;
   l'esondazione del torrente Scodogna è stata anche la causa della tragica morte del signor Agostino Galeotti, pensionato sessantaduenne, che alle ore 17 circa è stato travolto da un'onda di due metri mentre si trovava nel garage della sua abitazione in località Talignano;
   gli allagamenti hanno interessato numerose case private (cinque nuclei familiari del comune di Sala Baganza sono stati ospitati in strutture ricettive a seguito della dichiarazione di inagibilità delle proprie abitazioni), attività produttive, artigianali e commerciali (circa 100 edifici), oltre ad alcune strutture pubbliche, tra cui le case protette per anziani di Collecchio e Sala Baganza. Inoltre, una porzione del muro perimetrale del giardino della Rocca Sanvitale di Sala Baganza, recentemente ristrutturato, è crollata;
   con decreto n. 237 del 19 dicembre 2011 il presidente della Regione Emilia-Romagna ha dichiarato lo stato di crisi regionale ai sensi dell'articolo 8 della legge regionale n. 1 del 2005 fino al 30 giugno 2012, per gli eccezionali nubifragi occorsi nel giugno 2011 sul territorio regionale e in particolare nei comuni di Sala Baganza, Fornovo Taro e Collecchio;
   la regione ha inoltre provveduto a stanziare, per interventi di somma urgenza, la somma di euro 510.000 di cui euro 180.000 per il comune di Sala Baganza, euro 100.000 per il comune di Fornovo Taro, euro 90.000 per il comune di Collecchio ed euro 140.000 per interventi del servizio tecnico di bacino nei corsi d'acqua «Scodogna» e «Rio della Ginestra»;
   il 1o agosto 2012 l'VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati ha approvato una risoluzione con la quale si impegnava il Governo «a valutare la possibilità di individuare, d'intesa con la Regione Emilia-Romagna e le amministrazioni comunali interessate dall'evento occorso in provincia di Parma l'11 giugno 2011, ogni iniziativa utile ai fine di definire un programma di interventi e di risorse volti alla messa in sicurezza del territorio dal rischio idrogeologico e per il ristoro del danni subiti nonché misure di carattere fiscale finalizzate al sostegno del reddito dei cittadini e delle imprese dei territori colpiti da tale evento calamitoso, in analogia con quanto già avvenuto in relazione ad altre situazioni di emergenza»;
   dal resoconto sommario della seduta della Commissione si evince l'intervento del Sottosegretario di Stato pro tempore Tullio Fanelli il quale rilevava che il dipartimento della protezione civile aveva ritenuto che gli eventi richiamati non avessero il carattere di straordinarietà, e che si sarebbe reso necessario, da parte degli uffici del Ministero e del dipartimento della protezione civile, un'ulteriore valutazione sulla portata degli eventi in questione;
   il dipartimento della protezione civile infatti con nota prot. n. DP C/CG/0045911 del 29 luglio 2011, riscontrando alla richiesta della regione Emilia Romagna del 21 giugno 2011 concernente la richiesta di adozione di provvedimenti statali di cui all'articolo 5, comma 3, della legge n. 225 del 1992, aveva comunicato che «la situazione determinatasi a seguito degli eventi calamitosi [...] non presentava quei caratteri di estensione ed intensità tali da legittimare il ricorso a mezzi e poteri straordinari ai sensi della legge n. 225 del 1992» e «che in ogni caso il Fondo Nazionale della Protezione Civile non dispone di risorse da destinare al contesto di cui trattasi» –:
   se risulti agli atti se il Ministero abbia svolto gli ulteriori accertamenti proposti dal Sottosegretario di Stato pro tempore, Tullio Fanelli, nell'intervento svolto presso l'VIII Commissione della Camera dei deputati nella seduta del 1o agosto 2012 e in che modo il Governo intenda dar seguito all'impegno assunto con l'approvazione della risoluzione n. 8-00198. (5-00098)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'8 marzo 2013 il Ministero dello sviluppo economico pubblica il documento «Strategia energetica nazionale: per un'energia più competitiva e sostenibile», con il quale si intendono definire obiettivi, priorità e scelte di fondo pluriennali;
   una delle issue fondamentali ivi individuate è la produzione sostenibile di idrocarburi nazionali, con l'obiettivo di portare la produzione interna da 51 a 75 e da 38 a 95 milioni di boe/anno rispettivamente di gas e petrolio entro il 2020;
   fra i bacini individuati risultano l'Alto Adriatico e la Valle Padana, comprendendo così la quasi totalità del territorio della regione Emilia Romagna;
   la suddetta strategia energetica nazionale, precisa esplicitamente che «il Governo non intende perseguire lo sviluppo di progetti in aree sensibili in mare o in terraferma, ed in particolare quelli di shale gas»;
   in data 12 luglio 2011 il consiglio regionale dell'Emilia Romagna impegnava con una risoluzione la giunta regionale a negare ogni autorizzazione alla ricerca ed estrazione di idrocarburi in aree interessate da fenomeni franosi o di subsidenza, oltre che soggetti a vincoli ambientali o paesaggistici;
   a seguito pubblicazione del suddetto documento ministeriale si sono succedute numerose richieste di ricerca nelle province di Ravenna e Ferrara che hanno avuto parere positivo dagli organi competenti, pur ricadendo in aree soggette a subsidenza, quando non interne alla zona di pertinenza del parco regionale del Delta del Po;
   è di questi giorni la notizia che anche nei comuni della provincia di Modena di Finale, Camposanto, Ravarino, Medolla, San Felice, Mirandola, Bomporto sia stata rilasciata dal Ministero autorizzazione alla ricerca e trivellazione di shale gas –:
   se non si ritenga che tali autorizzazioni siano apertamente in contraddizione con la volontà esplicitata nel citato documento di non procedere in aree sensibili di terraferma, quali certamente sono quelle del ferrarese e del ravennate colpite dal fenomeno storico della subsidenza, e di negare la ricerca di shale gas, che sarebbe invece oggetto delle attività nel modenese;
   se non si ritenga di dover procedere, in coerenza con il carattere del documento ministeriale, alla sospensione immediata di ogni autorizzazione, in attesa di aver adempiuto all'ampia fase di consultazione prevista dallo stesso atto. (4-00377)


   BRUNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da tempo moltissimi comuni dell'intera Calabria vivono una situazione di grave emergenza per quanto riguarda la gestione dei rifiuti;
   la mancata raccolta e l'impossibilità di conferimento negli impianti previsti rischia di trasformarsi in una vera e propria emergenza sanitaria che verrà significativamente acuita dall'aumento delle temperature, fattore in grado di far proliferare i vettori di malattie infettive;
   non meno grave è il rischio per l'ordine pubblico quotidianamente minacciato da forme di protesta messe in atto da cittadini particolarmente esasperati;
   secondo alcuni dati si ammassano ormai per le strade dei principali centri calabresi 15 mila tonnellate di rifiuti non raccolti a causa della mancanza di siti per il conferimento, alcuni chiusi per vertenze sindacali, altri perché saturi;
   situazioni particolarmente gravi si vivono nei comuni capoluogo come, ad esempio, a Cosenza e a Reggio Calabria;
   a Cosenza la situazione di emergenza sembra essere amplificata non solo dal mancato raggiungimento delle percentuali di raccolta differenziata ma anche dalla chiusura dell'impianto di smaltimento di San Giovanni in Fiore;
   a Reggio Calabria l'emergenza è stata portata alla ribalta nazionale anche da trasmissioni televisive che, esercitando un legittimo diritto di «denuncia», finiscono per aggiungere al danno del disservizio anche quello relativo allo scadimento dell'immagine turistica della città proprio alla vigilia del periodo estivo;
   varie associazioni, tra cui Save the Children e Civitas Soli, hanno lanciato un allarme per la tutela dei bambini della Locride data la permanenza dei rifiuti addirittura in prossimità delle scuole. Sembra che siano circa un milione i minori nelle regioni del Mezzogiorno (il 66,6 per cento del totale nazionale) che crescono in aree in cui suolo, falde idriche, aria, sono stati inquinati e continuano ad esserlo da una lista infinita di agenti inquinanti quali amianto, arsenico, cadmio, mercurio, nichel, piombo, diossina, DDT, benzene, fitofarmaci, e altri. Tutti siti che richiedono interventi urgenti per essere messi in sicurezza e bonificati;
   l'emergenza rifiuti finisce per aprire uno squarcio allarmante sul ruolo dell'eco-mafie –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere per porre un freno ad una situazione che rischia di diventare incontrollabile e che vede l'impotenza ormai conclamata delle istituzioni preposte, nonostante lunghi e infruttuosi periodi di commissariamento. (4-00379)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Massa Marittima, in provincia di Grosseto, l'amministrazione comunale, ai sensi dell'articolo 19, della legge n. 119 del 1981, ha realizzato, in qualità di stazione appaltante, un carcere mandamentale, successivamente trasformato in casa circondariale, attualmente in funzione;
   l'opera è stata acquisita dal patrimonio dello Stato con decreto del Ministero della giustizia in data 9 marzo 2000;
   durante la realizzazione la direzione dei lavori ha provveduto a redigere varianti in corso d'opera a causa di una riscontrata difformità geologica ed a seguito di una comunicazione (protocollo 659623/422-3 del 13 agosto 1990) del Ministero della giustizia, circa il venir meno dell'interesse dell'amministrazione penitenziaria alla costruzione degli istituti mandamentali, chiedendo la realizzazione di lavori compatibili anche con un utilizzo diverso dal penitenziario e confermando la possibilità di acquisizione della struttura al patrimonio statale;
   ad una precedente comunicazione del 12 giugno 1990 protocollo 657934/6.c del Ministero della giustizia, nella quale si ipotizza un provvedimento normativo di soppressione delle case mandamentali, il comune di Massa Marittima, con lettera del 28 giugno 1990 protocollo 9188 a firma del sindaco pro tempore ha comunicato l'avvenuto avvio dei lavori e segnalato, senza produrre alcun effetto, le problematiche conseguenti alla sospensione degli stessi e al possibile cambiamento di destinazione dell'immobile, prospettando il rischio di contestazioni da parte dell'impresa esecutrice;
   risulta dai verbali della direzione dei lavori che, in data 28 dicembre 1993, si è disposta una ulteriore sospensione dei lavori, allo scopo di definire una nuova variante per mutate esigenze impiantistiche, in quanto il Ministero della giustizia era tornato alla decisione originaria di destinare la struttura a carcere;
   sull'insieme delle varianti e relative sospensioni dei lavori, l'impresa esecutrice, Pizzarotti & C. spa, ha espresso riserve e, successivamente, promosso un contenzioso, affrontato in sede arbitrale e poi in corte di appello, che si è risolto nel mese di maggio 2010, a favore dell'impresa, addebitando all'amministrazione comunale il pagamento di maggiori oneri per euro 1.159.463,68, oltre alle spese legali e processuali;
   l'amministrazione comunale ha, pertanto, riconosciuto un debito fuori bilancio, ex articolo 194 del decreto legislativo n. 267 del 2000, dandone pronta comunicazione alla competente Corte dei conti;
   attualmente, diversamente da quanto ipotizzato nella richiamata comunicazione protocollo 659623/422-3 del 13 agosto 1990 del Ministero della giustizia, la struttura, a differenza di casi analoghi, oltre ad essere stata effettivamente acquisita ai patrimonio dello Stato, è funzionante come casa circondariale;
   l'articolo 19 della legge n. 119 del 1981 prevede la possibilità per gli enti locali di finanziare i maggiori oneri derivanti dalla costruzione dei nuovi edifici giudiziari, mediante la contrazione di mutui con la Cassa depositi e prestiti;
   tale vicenda è già stata segnalata in alcuni atti parlamentari presentati dall'interrogante nel corso della precedente legislatura: a tali atti non è pervenuta alcuna risposta;
   ad oggi il comune di Massa Marittima ha già pagato alla Pizzarotti spa circa il 60 per cento del debito dovuto, senza ottenere alcun rimborso. Rimane da pagare la quota finale che il bilancio di questo ente, secondo quanto evidenziato dall'attuale sindaco Lidia Bai, non è in grado di sostenere;
   il Ministero proprietario dell'opera e quindi il Ministero dell'economia e delle finanze (attraverso l'Agenzia del demanio), chiamato in causa dal comune di Massa Marittima, fino ad oggi ha rifiutato di riassumere il debito;
   tale situazione sta creando, ormai da anni, grave difficoltà all'amministrazione comunale di Massa Marittima, considerando le modeste dimensioni del comune e le già ridotte capacità finanziarie circa le capacità di investimento e gestione. L'esborso fino ad ora sostenuto è assolutamente sproporzionato rispetto alle dimensioni e all'entità del bilancio del comune, e ne ingessa la gestione limitando fortemente le risorse da destinare allo sviluppo del territorio e ai servizi per i cittadini;
   il sindaco di Massa Marittima ha ripetutamente richiesto il rimborso delle somme relative ai maggiori oneri. L'amministrazione comunale ha avuto al riguardo numerosi e specifici incontri formali con i dirigenti nazionali dell'Agenzia del demanio e con i dirigenti del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap, di diretta competenza del Ministero della giustizia); da tali riunioni è emerso un chiaro ed evidente «scarico» di competenze: in sintesi per il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, sulla vicenda, è competente l'Agenzia del demanio, mentre per l'Agenzia del demanio è competente il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
   ad avviso dell'interrogante, tale vicenda può configurarsi come una sorta di indebito arricchimento dello Stato a danno dell'amministrazione comunale di Massa Marittima –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e non ritengano necessario chiarire, in tempi rapidi, se i maggiori oneri relativi alla costruzione dell'istituto penitenziario di Massa Marittima siano di competenza del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria o dell'Agenzia del demanio;
   quali iniziative intenda assumere il Governo relativamente ai maggiori oneri derivanti dalla costruzione dell'istituto penitenziario di Massa Marittima anche nello spirito dell'articolo 19 della legge n. 119 del 1981 e in relazione alla spesa economica sostenuta fino ad oggi dall'amministrazione comunale e non ancora rimborsata. (5-00096)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le notizie pubblicate in questi ultimi giorni da autorevoli quotidiani italiani narrano di presunti conti correnti all'estero intestati al Ministro delle Finanze del Governo Monti, il professor Vittorio Grilli, in carica fino allo scorso 27 aprile. Secondo l'inchiesta del Sole 24 Ore, sembra che cinque conti intestati all'ex Ministro Grilli risultino essere radicati nelle Isole dei Canale, territori classificati dallo Stato Italiano come «paradisi fiscali». Proprio da uno di questi conti offshore proverrebbero i fondi destinati all'acconto per l'acquisto di un appartamento a Roma e alla ristrutturazione dello stesso immobile effettuata con un pagamento in contanti, soluzione che, di fatto, avrebbe facilitato l'evasione delle imposte poiché la formula non prevede l'imposizione dell'Iva;
   il legale del professor Grilli ha replicato a tali notizie ma non sembra aver smentito in alcun modo le gravi accuse che vengono mosse al ministro;
   i cittadini italiani hanno il diritto di pretendere delle risposte chiare e trasparenti da chi è stato il massimo responsabile delle politiche finanziarie e tributarie che, in un anno di governo, per dimostrare rigore assoluto contro l'evasione fiscale, ha difeso provvedimenti quali l'obbligo di conto corrente anche per i pensionati, il pignoramento della prima casa, dei mezzi di produzione delle imprese, dei conti correnti da parte di Equitalia, un redditometro talmente rigido da costringere le famiglie a giustificare ogni minima spesa, spettacolari blitz fiscali in rinomate località turistiche e le soglie per i pagamenti in contanti sotto i mille euro, tutte misure presentate in Parlamento come inevitabili per salvare l'Italia da una presunta catastrofe economica;
   se siano stati svolti o siano in corso gli accertamenti fiscali di competenza rispetto alla vicenda esposta in premessa. (4-00386)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta immediata:


   FORMISANO, TABACCI, PISICCHIO, LO MONTE e CAPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i cittadini della regione Campania, sulla base di un discutibile intervento legislativo regionale, poi vanificato, non hanno potuto usufruire del condono edilizio del 2003;
   il fenomeno dell'abusivismo edilizio ha raggiunto nel napoletano punte notevoli, sia sulla base di interventi di necessità, sia sulla base di interventi speculativi;
   l'assenza dell'applicabilità della norma nazionale del 2003 ha prodotto un ulteriore imbarbarimento della realtà, dovuto al sommarsi degli abusi teoricamente rientranti nel condono del 2003 e quelli successivi a tale data;
   la magistratura penale giustamente, a fronte di tale quantità di abusi edilizi, sta provvedendo ad emettere ed a notificare agli interessati ordinanze di abbattimento dei manufatti abusivi, sia costruiti per mera attività speculativa, sia costruiti sulla base di necessità effettive, sia teoricamente rientranti nella previsione di condono del 2003 e precedenti, senza operare alcuna distinzione tra le varie fattispecie;
   tale situazione incide negativamente in una realtà già compressa socialmente ed economicamente quando il previsto abbattimento deve essere realizzato su attività commerciali che producono risorse e lavoro –:
   se non sia il caso di prevedere, attraverso iniziative normative urgenti, una soprasessoria o una graduazione delle previste demolizioni, al fine di salvaguardare, ove possibile, le attività commerciali in essere e tenendo conto anche della qualità dell'abuso realizzato, distinguendo, se possibile, tra abuso di speculazione e abuso di necessità commesso anche a titolo abitativo di prima e unica casa, in assenza del piano di sicurezza nazionale non ancora adottato.   (3-00037)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA, GAGNARLI, CIPRINI, LIUZZI, BALDASSARRE, BECHIS e TERZONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che nella regione Umbria ci siano circa 110 persone che hanno prestato e prestano ad oggi servizio presso gli uffici giudiziari a seguito di bandi emanati dalla provincia di Perugia, dalla provincia di Terni e dalla regione Umbria, con tempi e modalità differenti dal 2010 al 2013;
   con tali bandi si è voluto consentire ai lavoratori tirocinanti disoccupati, inoccupati, cassaintegrati, in mobilità e socialmente utili, di partecipare a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari attraverso un percorso formativo a tempo determinato;
   gli uffici giudiziari italiani sono in forte deficit di organico, evidenziato anche dalla legge di stabilità del 2012 che ha previsto la proroga dei suddetti rapporti di lavoro per tutto l'anno 2013 a copertura delle carenze di personale;
   il presidente della corte d'appello Wladimiro De Nunzio nella relazione dell'anno giudiziario 2013 ha così rappresentato l'attuale situazione in Umbria: «Sia l'organico magistratura che quello del personale amministrativo soffrono di vuoti consistenti e quindi va considerata l'effettiva forza lavoro presente negli uffici»;
   il contributo del personale amministrativo alla risposta di giustizia, come è ben noto agli addetti ai lavori, non è secondario, ma assolutamente indispensabile e condizionante;
   nel distretto dell'Umbria sul complessivo organico del personale amministrativo la scopertura è molto ampia, pari al 17,4 per cento stante la presenza di 439 unità su un organico di 531, con punte critiche che per la fine dell'anno hanno raggiunto il 34 per cento in uffici quali la corte di appello;
   ugualmente significativa la scopertura che si registra presso gli uffici Unep, dove su un organico di 72 dipendenti, ne sono presenti 61;
   la situazione del personale amministrativo è ancora più grave perché non vi sono da anni, per il mancato espletamento dei concorsi, assunzioni in servizio di giovani, per cui il numero dei dipendenti si riduce rapidamente sempre più col raggiungimento del limite d'età per il pensionamento;
   è significativo il fatto che non siano stati sostituiti ben 44 dipendenti andati in pensione;
   questa grave progressiva carenza è destinata a produrre, se non si interverrà con sollecitudine immettendo nuovo personale amministrativo negli uffici, due effetti deleteri per il servizio giustizia e la sua auspicata efficienza: da una parte la totale dispersione delle esperienze professionali di coloro che vanno in pensione e non possono trasferire ai subentranti il proprio sapere e il proprio bagaglio di esperienze nella gestione dei servizi amministrativi; dall'altra l'accumulo degli adempimenti di cancelleria o addirittura la riduzione dei servizi al pubblico e/o il congelamento di alcune attività;
   l'apporto dei lavoratori precari è stato di fondamentale importanza ai fini del raggiungimento degli obiettivi di efficienza e produttività nel funzionamento degli uffici giudiziari sopperendo, in parte, alla grave carenza di personale che ormai da tempo, affligge tutti gli uffici giudiziari con le conseguenze ormai note a tutti: il rallentamento della macchina giudiziaria, che determina rinvii annuali delle udienze, ritardi nei pagamenti dei patrocini a spese dello stato e così via;
   l'articolo 1, commi 34-36, della legge n. 92 del 2012 (cosiddetto riforma Fornero del mercato del lavoro) delinea una riforma della disciplina dei tirocini formativi, «di fatto» equiparando tale istituto alle altre tipologie contrattuali trattate nei commi precedenti (apprendistato, somministrazione, e altro) con una ribadita insistenza del valore di contratto di lavoro del tirocinio (articolo 1, comma 34, lettera a)) e del valore di prestazione di attività lavorativa resa dal tirocinante (articolo 1, comma 34 lett. b) e c));
   dando attuazione a quanto stabilito dalla «legge Fornero», la Conferenza unificata Stato regioni e province autonome di Trento e Bolzano, nell'accordo con il quale, il 24 gennaio 2013, ha adottato le linee guida in materia di tirocini ha affermato che «le parti si impegnano a definire politiche di accompagnamento ed avviamento al lavoro anche attraverso la predisposizione di misure di incentivazione per la trasformazione dei percorsi formativi in contratti di lavoro», e ha definito il tirocinio quale strumento di inserimento dei giovani e reinserimento dei meno giovani nel mondo del lavoro. Non può quindi essere uno strumento utilizzato in modo continuativo, anche perché comporta due problematiche principali: da un lato non vengono creati nuovi posti di lavoro (comunque necessari) e, nel momento in cui vengono acquisite le varie competenze sfruttando così a pieno le capacità dei soggetti formati, questi ultimi devono abbandonare il posto di lavoro; dall'altro il continuo cambiamento di collaboratori comporta situazioni di inefficienza per l'amministrazione, in quanto il personale di ruolo è costretto continuamente a formare i nuovi lavoratori con spreco di energie e tempo –:
   se il Ministro interrogato non reputi necessario valutare la possibilità di stipulare contratti «atipici», o altre forme di collaborazione, con tutte le categorie di precari che sono stati o sono ancora utilizzati negli uffici giudiziari, secondo schemi e formule che tengano conto delle varie specificità;
   se non reputi opportuna ogni iniziativa di competenza per il riconoscimento formale delle professionalità acquisite, mediante attribuzione di punteggi e/o riserva di posti in eventuali bandi di concorsi pubblici. (4-00370)


   CENSORE, D'ATTORRE e STUMPO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale di Vibo Valentia si trova in una provincia ad alta densità mafiosa ed il numero dei reati è in continuo aumento;
   al tribunale di Vibo Valentia sono in corso importanti procedimenti penali contro le più forti consorterie mafiose locali che operano a livello internazionale;
   oltre ai già citati provvedimenti ci sono in corso un numero elevato, oltre la media nazionale, di cause penali soprattutto per quanto riguarda il settore ambientale ed un numero elevato di procedimenti civili;
   ad oggi si registra una pesante carenza di organico determinata da recenti trasferimenti disposti dal Consiglio Superiore della Magistratura in conseguenza dei quali il tribunale di Vibo Valentia registra una scopertura di organico pari al 60 per cento, su 15 giudici solo 6 sono in servizio di cui 2 sono destinati all'ufficio gup-gip, compito dal quale non è possibile distoglierli (dovendo gestire le richieste e le iniziative della procura), scopertura tale quindi da creare una sostanziale impossibilità di rendere un servizio efficiente ai cittadini in concomitanza all'istruttoria di numerosi e gravi procedimenti relativi a fatti di criminalità –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta in premessa circa le condizioni di carenza di organico del tribunale di Vibo Valentia;
   se non sia il caso che il Governo intraprenda, per quanto di competenza, una serie di iniziative urgenti per far fronte ad una situazione drammatica che rende impossibile riuscire a fornire alla comunità un servizio giudiziario minimamente accettabile. (4-00375)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta immediata:


   VITELLI, MONCHIERO e RABINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Cipe ha rimodulato le risorse del fondo per le infrastrutture ferroviarie e stradali relativo a opere di interesse strategico, stabilendo che i 10 milioni di euro previsti per le misure compensative della Tav tra il 2013 e il 2015 vengano ripartiti in due tranche: 2 milioni di euro sul 2013 e i restanti 8 milioni sul 2016;
   tale decisione sottrae nel breve termine risorse a quelle, già scarse, destinate ai territori interessati dalla realizzazione della Torino-Lione;
   risulterebbe agli interroganti che tale scelta sia stata fatta senza informare il Governo, il commissario Virano e gli enti locali interessati e che parte dei fondi destinati alla Val Susa sarebbero stati dirottati per il completamento del «Nuovo Auditorium-Teatro dell'opera» di Firenze –:
   se non ritenga di intervenire in tempi rapidi, nell'ambito delle proprie competenze, per ripristinare le risorse compensative destinate alle comunità locali interessate dalla Tav. (3-00036)

Interrogazione a risposta scritta:


   COSTANTINO, RICCIATTI, DI SALVO, QUARANTA e NARDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 2012, la società RFI-Rete ferroviaria italiana, del gruppo ferrovie dello Stato italiane ha avviato il progetto «Pulizia, decoro e piccola manutenzione stazioni», già in corso di realizzazione, che ha l'obiettivo di internalizzare attività di piccola manutenzione, decoro e pulizia;
   tra le attività che verrebbero svolte vi sono: pulizia; pitturazione; piccoli interventi riparativi, di idraulica e muratura; presenziamento delle stazioni; video sorveglianza e primo intervento sugli ascensori; controllo corretta utilizzazione dei parcheggi FS; servizi di portineria; all'occorrenza: spalatura della neve, spargimento del sale, pompaggio dell'acqua dai sottopassi e altro;
   attraverso la realizzazione di questo progetto l'azienda ha dichiarato di voler utilizzare tutto il personale inidoneo o non riqualificabile verso le attività di esercizio, che non trova altra possibilità di impiego in RFI. Si tratta di 654 lavoratori provenienti da Trenitalia Cargo non riqualificabili verso la manutenzione infrastruttura e 612 inidonei RFI non utilizzabili in attività di esercizio;
   la società dichiara che sulla base di valutazioni di idoneità e la predisposizione di corsi di professionalizzazione per le nuove attività, i lavoratori saranno organizzati in squadre da 3 a 9 unità per gli interventi di manutenzione, destinando tutti gli altri ad attività di presidio al territorio, guardiania e assistenza;
   il progetto, già in fase di avanzamento, secondo il sindacato Or.S.A. è caratterizzato da molte «zone d'ombra» e da una complessiva incertezza sulla sostenibilità degli obiettivi dichiarati dalla società. Non si comprendono, infatti, gli spostamenti di personale già proficuamente utilizzato all'interno delle strutture di esercizio nel nuovo «contenitore», con un cambio – di fatto – del responsabile e del centro di costo;
   l'Or.S.A. ritiene che l'azienda non abbia presentato un credibile progetto di riqualificazione ed utilizzazione che possa sfruttare le molteplici professionalità che risultano, in molti casi, ricollocabili anche all'interno della stessa Trenitalia, dove esiste carenza di personale, che il gruppo FS continua a negare;
   inoltre, non sono stati sciolti i dubbi riguardanti l'utile ricollocazione di molti inidonei rispetto alle attività previste nella nuova struttura, come non sono state date risposte su quale profilo giuridico/contrattuale andrà a rivestire il personale, sia sotto l'aspetto normativo che economico;
   gli interroganti sono stati colpiti dal fatto che l'azienda abbia creato il progetto «Pulizia, decoro e piccola manutenzione stazioni» per collocare il solo personale inidoneo, indipendentemente dalle loro qualifiche, e dall'età media dei lavoratori da coinvolgere – ovvero 231 con più di 41 anni; 905 con più di 51; 57 con più di 61;
   il sospetto è che l'operazione possa risultare discriminatoria ai danni dei lavoratori coinvolti, con violazione del decreto legislativo n. 216 del 2003, che vieta ogni forma di discriminazione nei luoghi di lavoro nei confronti di soggetti deboli o potenzialmente più esposti di altri alla discriminazione;
   dovrebbe garantirsi, almeno, che non sia obbligatorio per i lavoratori e le lavoratrici entrare nel progetto, ma che ciò possa avvenire su base volontaria o che i lavoratori possano rifiutare, senza il rischio di subire il licenziamento –:
   quale iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per accertare che il progetto «Pulizia, decoro e piccola manutenzione stazioni» della RFI-Rete ferroviaria italiana non rappresenti una violazione delle norme antidiscriminatorie;
   quali misure intendano approntare per garantire l'occupazione dei lavoratori che non intendano transitare nel predetto progetto. (4-00378)

INTERNO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, il Ministro per l'integrazione, per sapere – premesso che:
   il 31 dicembre 2012 in Italia erano ospitati 7.575 minori stranieri non accompagnati, giunti nel nostro Paese dopo viaggi pericolosi e spesso drammatici;
   la loro età di appena 16-17 anni generalmente, ma anche di età minore, testimonia da sola la drammaticità del fenomeno;
   molti di loro sfuggono ad ogni controllo e sono di fatto invisibili, e spesso finiscono nel traffico della schiavitù;
   si calcola che nel mondo i bambini e i ragazzi vittime di tratta siano oltre un milione, ad essi devono aggiungersi altri milioni soggetti allo sfruttamento sessuale e lavorativo;
   si stima che in Italia circa 2 mila ragazze e ragazzi siano costretti alla prostituzione nelle forme più degradanti nelle strade del nostro Paese;
   i minori stranieri non accompagnati o vittime di strada sono anche in Italia una delle categorie più vulnerabili e bisognose di una ferma azione di tutela che li sottragga dalla rete dello sfruttamento e della schiavitù gestita da una criminalità spietata e senza scrupoli –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare per definire: a) linee di intervento volte a rafforzare l'azione di prevenzione e repressione di questa realtà di sofferenza drammatica; b) una politica di accoglienza e recupero di questi minori non accompagnati ad una vita degna di essere vissuta; c) un'azione a sostegno delle associazioni e del volontariato che supportano le istituzioni pubbliche nell'aiuto ai minori non accompagnati.
(2-00032) «Melilla».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIANO e SCUVERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Alagna in provincia di Pavia per le prossime elezioni amministrative municipali sono state presentate due liste di candidati con chiari riferimenti ideologici nazisti e fascisti;
   la prima lista reca il nome di Nsab-Mlns (Nationalsozialistische arbeit bewegung, ovvero Movimento nazionalista e socialista dei lavoratori); e la seconda lista si chiama «Fascismo e Libertà»;
   in occasione di altre elezioni comunali svoltesi nell'anno 2012 a Montelapiano in Abruzzo era stata esclusa analoga lista sempre denominata «Fascismo e Libertà» con sentenza del Consiglio di Stato a causa dell'esplicito riferimento al partito fascista;
   la XII disposizione transitoria e finale della nostra Costituzione dispone il divieto della riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista;
   la prima sezione del Consiglio di Stato ha affermato con parere del 23 febbraio 1984, n. 173/94, l'impossibilità che un raggruppamento politico partecipi alla competizione elettorale sotto un contrassegno che si richiama esplicitamente al partito fascista;
   la V Sezione del Consiglio di Stato ha affermato con sentenza del 6 marzo 2013, n. 1354, che «il diritto ad associarsi in un partito politico, sancito dall'articolo 49 della Costituzione, e quello d'accesso alle cariche elettive, ex articolo 51 della Costituzione, trovano limite nel divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista imposto dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Detto precetto fissando l'impossibilità giuridica assoluta ed incondizionata, impedisce con movimento politico formatosi e operante in violazione di tale divieto possa in qualsiasi forma partecipare alla vita politica e condizionarne le libere e democratiche dinamiche. Va soggiunto che l'attuazione di tale precetto, sul piano letterale come sul versante teleologico, non può esser limitata alla repressione penale delle condotte finalizzate alla ricostituzione di un'associazione vietata ma deve essere estesa ad ogni atto o fatto che possa favorire la riorganizzazione del partito fascista» –:
   se risulti al Governo l'avvenuta accettazione di tali liste per la suddetta competizione elettorale alla luce delle sentenze di cui sopra del Consiglio di Stato 2012 e 2013 e del parere 173/94;
   se intenda verificare la sussistenza di situazioni di rischio sotto il profilo dell'ordine pubblico, con riguardo all'attività svolta dai citati movimenti politici che appaiono del tutto incompatibili con il dettato costituzionale;
   se non si intenda in ogni caso assumere un'iniziativa normativa che, esplicitando quanto già affermato dal Consiglio di Stato, imponga l'esclusione preventiva dalla competizione elettorale di liste riconducibili all'ideologia fascista e nazionalsocialista. (5-00099)


   FIANO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 29 aprile 2013 a Milano, in via Paladini, centinaia di militanti dell'estrema destra milanese hanno ricordato il barbaro omicidio di Sergio Ramelli, giovane militante del Fronte della gioventù, organizzazione giovanile del movimento sociale italiano, ucciso nel 1975 da un nucleo della sinistra extraparlamentare;
   come da diversi anni tale cerimonia di commemorazione assume caratteristiche di marcia paramilitare abbondantemente adornata di simboli esclusivi dell'iconografia neofascista;
   a tale marcia ha partecipato quest'anno anche Massimo Turci, ex capogruppo PdL in provincia di Milano, oggi del gruppo FdI e presidente della commissione antimafia del consiglio provinciale di Milano;  
   secondo quanto riportato dalle cronache giornalistiche Turci avrebbe tra l'altro dichiarato nel corso della manifestazione: «camerati, noi abbiamo la capacità di resistere perché dal 1946 ad oggi siamo qui e siamo molti, e ci siamo sempre... anche se cercano di fermarci con le botte, con le pistole, con le chiavi inglesi, con la stampa, con la legge... e noi siamo qui»;
   ovviamente numerosissimi sono stati i saluti romani scanditi da Turci nonché decine e decine le bandiere recanti la croce celtica –:
   se siano state avviate indagini in relazione ai fatti descritti in premessa.
(5-00100)

Interrogazioni a risposta scritta:


   IACONO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Agrigento è interessata da numerosi sbarchi di cittadini extracomunitari, molti dei quali si trovano nello status di minori extracomunitari non accompagnati;
   sino al 1o marzo 2013 il Governo ha reso possibile garantire l'accoglienza e la prestazione di un adeguato servizio sociale e assistenziale a questi soggetti attraverso misure e progetti finalizzati a garantire la permanenza di questi giovani nel territorio italiano;
   in questo senso il progetto «Emergenza Nord Africa» del Ministero dell'interno finalizzato all'accompagnamento e sostegno nelle strutture del terzo settore e del no profit ha rappresentato uno strumento diretto a favorire l'accoglienza e a combattere l'emergenza anche a seguito dell'esplosione della primavera araba del 2011;
   il suddetto «Progetto emergenza Nord Africa» si è concluso il 1° marzo 2013 e la successiva proroga disposta dal Ministero dell'interno il 5 marzo 2013, riguarda solo ed esclusivamente i minori già allocati nelle comunità alloggio; per l'appunto si proroga soli 6 mesi la permanenza in struttura dei minori stranieri non accompagnati;
   l'approssimarsi della stagione estiva porterà con sé un naturale incremento degli sbarchi di cittadini extracomunitari con il conseguente arrivo sulle coste italiane di soggetti minori non accompagnati, e questi, vista la scadenza del suddetto progetto, non troveranno adeguati strumenti di tutela e di accoglienza, considerata anche la gravissima situazione economica e finanziaria in cui versa la stragrande maggioranza dei comuni siciliani, impossibilitati a coprire con risorse proprie le rette per il mantenimento nelle strutture del no profit sociale;
   molte strutture del privato sociale, della cooperazione sociale e dell'associazionismo non hanno ancora ricevuto i pagamenti dovuti relativi al progetto emergenza nord africa per gli anni 2011 e 2012 –:
   se e di quali strumenti finanziari il Governo intenda dotarsi per potere consentire alle strutture finalizzate all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati di potere continuare il servizio di assistenza anche dopo la scadenza della proroga del progetto emergenza nord africa;
   se sia stata prevista la copertura finanziaria delle rette per l'accoglienza in strutture adeguate dei minori arrivati in Italia dopo il 1o marzo 2013 e in capo a quale ente sia il pagamento di tali rette;
   quali siano i tempi di erogazione delle rette per il mantenimento dei minori stranieri non accompagnati in riferimento al progetto emergenza nord Africa annualità 2011-2012. (4-00374)


   FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il nucleo informativo di Malpensa, incardinato nel centro operativo D.I.A. di Milano, è stato istituito il 1° giugno 2000, in attuazione dell'articolo 5 del decreto ministeriale 30 marzo 1994, allo scopo di raccogliere elementi per l'attività di prevenzione ed analisi dei fenomeni criminali correlati alla malavita organizzata, nonché di garantire una funzione di appoggio ed assistenza per le iniziative di maggior complessità e/o indagini di Polizia giudiziaria;
   nell'ufficio sono impiegate 2 unità che devono svolgere l'attività d'istituto, consistente nell'acquisizione di documentazione ritenuta utile per fini investigativi e nel supporto all'attività di centri e sezioni operative, come dimostra l'enorme lavoro svolto in questi anni;
   i costi di gestione annuale della struttura che ospita il presidio non superano i 5000/7000 euro annui, atteso che il valore del canone è meramente retributivo delle utenze e dei servizi forniti;
   il risparmio derivante dalla dismissione dell'ufficio sarebbe dunque irrilevante di fronte ai ben più significativi costi di missione derivanti dall'invio quasi quotidiano di personale da parte del Centro Operativo di Milano allo scalo aeroportuale che dovrebbe comunque evadere le richieste provenienti dalle altre articolazioni della DIA. Senza contare la perdita del patrimonio informativo e conoscitivo accumulato in questi 13 anni di proficua attività;
   lo scalo è inserito in una zona, come dimostrato dalle ultime indagini coordinate dalle procure competenti, a fortissima penetrazione mafiosa;
   Milano, com’è noto, sarà sede dell'Expo 2015 e l'aeroporto si sta attrezzando per predisporre le infrastrutture per l'occasione: infatti, la S.E.A. ha presentato un programma che prevede una serie di investimenti in considerazione della movimentazione che l'evento produrrà;
   dinanzi ad una precedente proposta di chiusura dell'Ufficio in questione, il 17 gennaio 2012 il direttore pro tempore della DIA aveva espresso la inopportunità di sopprimere il nucleo informativo di Malpensa «tenuto conto anche degli imminenti impegni connessi all'EXPO 2015», che avrebbero determinato un aumento della circolazione di persone e di merci tale da rendere preferibile la presenza in loco di un presidio D.I.A. fisso; nel contempo l'allora direttore aveva sottolineato che le spese di missione per i servizi da svolgere comunque in loco per il soddisfacimento delle esigenze emergenti sarebbe stato maggiore rispetto ai risparmi ipotizzabili;
   il Presidente del Consiglio dei ministri ha recentemente dichiarato che il Governo assicurerà la massima vigilanza per evitare che l'Expo 2015 di Milano possa essere oggetto di infiltrazioni mafiose, aggiungendo che «La criminalità organizzata, le mafie non pensino che questa sia una occasione per loro... La nostra vigilanza sarà doppia, tripla, quadrupla perché sarebbe un ritorno negativo per il nostro Paese» –:
   quali siano le ragioni per cui si intende dar corso al provvedimento di chiusura del nucleo informativo D.I.A. di Malpensa, che appare improvvido ed inopportuno e non sorretto da alcuna motivazione di natura economica o funzionale ma solo lesivo dell'interesse della collettività, per cui a parere dell'interrogante è assolutamente necessario revocare tale intendimento. (4-00380)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Alagna Lomellina in provincia di Pavia, in occasione delle elezioni amministrative del 25 e 26 maggio, tra le formazioni politiche ammesse alle consultazioni elettorali, risultano due liste chiaramente ispirate a riferimenti politici di natura fascista, nello specifico: a) Movimento Fascismo e Libertà, che presenta come candidato sindaco Rino Raffaele Manfuso, il cui contrassegno elettorale è costituito dal fascio littorio di colore rosso al centro, attorniato dalle scritte «FASCISMO» a sinistra e «E LIBERTÀ» a destra in colore nero; b) «Nsab-Mlns» (Nationalsozialistische arbeit bewegung-Movimento nazionalsocialista dei lavoratori), che presenta come candidato sindaco Matteo Cantù, il cui contrassegno elettorale è costituito dall'acronimo «NSAB mlns», scritto al centro del simbolo in colore nero, contornato sul lato sinistro dalla scritta «MOVIMENTO NAZIONALSOCIALISTA DEI LAVORATORI» in colore nero;
   sul sito internet del Movimento Fascismo e Libertà (www.fascismoeliberta.info) sono chiari ed evidenti i richiami e l'ispirazione al disciolto Partito Nazionale Fascista e a Benito Mussolini;
   sul sito internet del movimento «Nsab-Mlns» (Nationalsozialistische arbeit bewegung-Movimento nazionalsocialista dei lavoratori) all'indirizzo http://www.geocities. ws/nsab–mlns/, sono chiari ed evidenti i richiami e l'ispirazione al disciolto Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere con urgenza per assicurare la legalità e il rispetto dei valori e princìpi affermati nella Costituzione, in special modo dalla XII disposizione transitoria e finale che afferma: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto Partito Fascista»;
   se non ritenga necessario assumere iniziative normative per escludere dalla partecipazione alle consultazioni elettorali le liste i cui contrassegni elettorali sono chiaramente ispirati all'ideologia fascista e nazionalsocialista. (4-00384)


   BORGHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è venuta a crearsi in questi giorni in un piccolo comune del Verbano Cusio Ossola, Cesara, che supera di poco i 600 abitanti una delicata situazione istituzionale;
   il comune, a seguito della prematura scomparsa del sindaco Tiziano Falda che ha causato lo scioglimento del consiglio comunale eletto nel 2011, si ritrova a partecipare alle elezioni indette per il 26-27 maggio 2013;
   nel piccolo comune di Cesara è presente una lista civica denominata «Lista Cesara per tutti» che dal 1997 amministra il comune ininterrottamente; anche per questa tornata elettorale aveva pronta la lista con candidato sindaco la signora Erika Bonfanti, attuale vicesindaco;
   inoltre il particolare clima creatosi in paese successivamente alla scomparsa del primo cittadino riproponeva la possibilità di unire tutto il paese in un'unica lista elettorale;
   venerdì 26 aprile si è presentata la lista NSAB-MLNS (movimento nazionalsocialista dei lavoratori), di ispirazione filo-nazista, formata da persone residenti nel milanese che già nelle scorse tornate elettorali si era presentata in piccoli comuni del Piemonte nonostante nessun membro della lista abbia nessun legame con il territorio;
   inoltre, consta agli interroganti che nella tarda mattinata di sabato è stata depositata un'ulteriore lista, la lista «Pensionati», lista che nei mesi scorsi è stata coinvolta nello scandalo delle firme false in occasione delle elezioni regionali del Piemonte del 2010 che ha portato alla condanna in primo e secondo grado del consigliere regionale Michele Giovine, formata da persone del torinese anch'esse palesemente estranee al territorio;
   la lista originariamente unitaria denominata «Lista Cesara per tutti» a fronte della presentazione delle due liste esterne al paese, intimorita dalla certezza di perdere rappresentatività all'interno del territorio, ha deciso di sdoppiarsi in due liste per non perdere la possibilità di avere sei consiglieri che lavorassero per il bene del paese;
   in base al modulo fornito dagli uffici del comune di Cesara e considerata l'urgenza del momento, le due liste facenti riferimento all'originaria lista civica unica, sono state composte del numero minimo previsto dalla normativa presente sui moduli stessi che individuava in quattro il numero minimo di consiglieri;
   nella mattinata del 27 aprile quindi sono state presentate le due liste: «Cesara per tutti» e «Insieme per Cesara». Nessuna anomalia veniva riscontrata dagli uffici comunali al momento della presentazione;
   consta agli interroganti che nel primo pomeriggio del 27 aprile, termine ultimo per la presentazione delle liste, il signor De Lucia Piero (candidato sindaco della lista «Insieme per Cesara») riceveva la telefonata del funzionario della sottocommissione mandamentale di Omegna il quale lo preavvisava che le due liste presentate con il numero di 4 consiglieri non sarebbero state accolte in quanto non rispettavano il numero minimo di candidati previsto dalla normativa nazionale da un minimo di 5 a un massimo di 6;
   il numero minimo di consiglieri per i comuni con popolazione inferiore ai 3000 abitanti è oggetto di interpretazioni spesso contrastanti tra loro essendo regolato da una riforma di recentissima approvazione che porta con sé tutte le criticità del caso;
   la nota n. 7106 del marzo 2012 emessa dalla prefettura del Verbano-Cusio-Ossola, nella quale si forniva una prima interpretazione della questione, individuava in un minimo di 4 i candidati a consiglieri per i comuni con popolazione inferiore ai tremila abitanti;
   la normativa nazionale a cui la sottocommissione elettorale circondariale di Omegna fa riferimento è un'interpretazione ministeriale fornita con circolare n. 8/2012 facente riferimento a una sentenza del Consiglio di stato per l'attribuzione del premio di maggioranza nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti;
   le due liste escluse si sono attenute perfettamente alle disposizioni presenti sulla modulistica fornita loro dal comune di Cesara, risultando quindi essere in buonafede;
   le due liste completamente estranee al paese di Cesara, presentate con un indubbio fine politico che nulla ha a che vedere con l'amministrazione del piccolo comune piemontese, sono state ammesse alla competizione elettorale da parte della sottocommissione elettorale circondariale di Omegna, rendendo di fatto inutile qualsiasi tipo di astensione da parte dei cittadini del comune di Cesara visto che la normativa in presenza di almeno due liste non prevede l'obbligo di quorum al 50 per cento;
   tutto questo comporterebbe, in caso di non ammissione delle liste cesaresi ad un'elezione antidemocratica e falsata in quanto un solo elettore potrebbe determinarne l'esito;
   è profonda la preoccupazione serpeggiante tra gli abitanti di Cesara per tutto quanto sopra esposto;
   anche nel paese di Alagna, in provincia di Pavia, si riscontra una problematica analoga oggetto di interrogazione urgente da parte del Senatore Orellana del M5S –:
   se e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda assumere al fine di risolvere la grave problematica segnalata. (4-00385)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le scuole italiane sono vecchie e hanno bisogno di essere messe in sicurezza attraverso un piano straordinario di manutenzione;
   solo un quarto degli edifici scolastici censiti dal Ministero sono stati costruiti dopo il 1980;
   uno su 7 è addirittura stato costruito prima della seconda guerra mondiale; mancano i certificati di agibilità, i collaudi statici, le certificazioni antincendio nella gran parte delle scuole e ancora poche hanno caratteristiche antisismiche;
   la maggior parte dei bambini e dei ragazzi italiani passa quindi tante ore ogni giorno in strutture potenzialmente pericolose;
   basti riflettere sul dato che la verifica di vulnerabilità sismica è stata eseguita in appena il 27 per cento degli istituti, e nelle zone a più alto rischio sismico nel 32,4 per cento degli edifici scolastici;
   ciononostante gli investimenti per l'edilizia scolastica nell'ultimo anno sono inferiori di 40 milioni di euro rispetto al 2010;
   un piano straordinario di interventi di edilizia scolastica per la messa in sicurezza delle scuole avrebbe un grande e positivo impatto sull'occupazione e sulla situazione di crisi in cui versa l'intero comparto dell'edilizia –:
   cosa intenda fare il Governo per definire un piano straordinario per la messa in sicurezza delle scuole italiane, programmando interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e prevedendo un monitoraggio costante sulla certificazione delle norme di sicurezza già previste dalle normative vigenti in materia di agibilità, vulnerabilità sismica, prevenzione incendi nonché presenza di amianto e radon.  (4-00372)


   ROCCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le numerose sedi prive di dirigenza scolastica venutesi a determinare nelle scuole, nel corso degli ultimi anni, hanno creato una situazione di necessità ed urgenza per lo svolgimento di concorsi e conseguente assegnazione dei ruoli. Con decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 13 luglio 2011 è stato emanato il bando di concorso per esami e titoli relativo al reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e per gli istituti educativi. La copertura di gran parte dei posti vacanti è stata perseguita con il reclutamento degli idonei inseriti nella graduatoria di merito;
   la legittimità e la correttezza delle procedure deve essere certificata dall'amministrazione, cosa che è stata fatta e che ha portato, in Toscana, alla definizioni di una graduatoria di merito per 137 dirigenti scolastici, dalla quale si procede a 106 nuove assunzioni con decorrenza 1° settembre 2012;
   il 19 aprile 2013, a seguito di ricorso promosso da candidati che, pur avendo superato la prova preselettiva, non ottenevano punteggio idoneo per il passaggio alla successiva fase concorsuale delle prove orali, il TAR per la Toscana (prima sezione) accoglie il ricorso;
   la sentenza del tribunale amministrativo evidenzia un profilo di illegittimità in particolare nella composizione della commissione giudicatrice e nella sua modifica avvenuta a seguito di dimissioni del Presidente, illegittimità che conduce all'annullamento di tutte le operazioni concorsuali a partire dalla correzione delle prove scritte, facendo salva la sola prova preselettiva, e conseguente annullamento della graduatoria finale e degli atti di nomina dei vincitori;
   l'ufficio scolastico regionale per la Toscana intende porre resistenza alla sentenza del TAR e si rivolge all'Avvocatura dello Stato per inoltrare appello al Consiglio di Stato con contestuale richiesta di sospensiva della sentenza i cui tempi ed esiti, però, sono difficili da prevedere;
   i fatti sinteticamente riportati in premessa, simili a quelli verificatisi in Molise, Lombardia e Lazio, impongono riflessioni sull'eccesso di procedure amministrative che stanno alla base dei pubblici concorsi per dirigente scolastico i cui aspetti formali sono frequentemente oggetto di contenzioso che genera incertezze nelle parti coinvolte, il dilatarsi dei tempi per la loro risoluzione e costi elevati per la pubblica amministrazione (vedasi la trasmissione della sentenza di cui trattasi alla Corte dei Conti);
   l'interrogante intende però sottolineare che l'annullamento del concorso genera una situazione di incertezza e confusione per l'intero sistema scolastico toscano che, ove non venisse accolta alcuna sospensiva della sentenza, rischia di travolgere la conclusione di questo anno scolastico ed, in misura maggiore l'avvio del prossimo;
   la sentenza del TAR Toscana annulla l'atto di nomina di 106 dirigenti scolastici già in servizio dal 1o settembre 2012 nei rispettivi ruoli, i quali rischiano di dover rientrare in servizio, come docenti, su posti, del resto, già assegnati a nuovi titolari;
   inoltre, ciò determina il rischio di avere, già da settembre 2013, circa 170 istituzioni scolastiche (106 istituzioni scolastiche oltre alle circa 30 istituzioni scolastiche sottodimensionate ed alle sedi con dirigenti in pensionamento), su un totale di 483, senza dirigente e quindi, da assegnare in reggenza, con le inevitabili conseguenze sul piano organizzativo e gestionale per l'intero sistema;
   a questo si deve aggiungere la vicenda umana e professionale dei vincitori di concorso che, dopo aver affrontato e superato le prove previste, svolto le attività formative d'ingresso, arricchito la loro preparazione attraverso la gestione di istituzioni scolastiche anche complesse, si trovano coinvolti in una vicenda giudiziaria alla quale sono estranei;
   né possono essere sottaciute le legittime pretese di circa 50 docenti ricorsisti che intendono avere una seconda possibilità di concorrere, forti di irregolarità ed illegittimità amministrative riconosciute da un tribunale;
   la Regione Toscana, nella persona del vicepresidente e assessore all'istruzione, Dottoressa Stella Targetti, ha espresso grande preoccupazione per gli effetti che la sentenza potrà avere sul sistema scolastico regionale e, oltre ad iniziative legali, auspica interventi di tipo legislativo che possano garantire la corretta risoluzione ai problemi territoriali oltre alla composizione delle aspettative degli interessati –:
   se sia a conoscenza di quanto espresso in premessa e quali iniziative intenda assumere:
    a) per scongiurare il rischio che, già dal settembre 2013, circa un quarto delle istituzioni scolastiche toscane rimangano prive di dirigenza o con reggenti su due o più scuole;
    b) per tutelare la posizione dei 106 dirigenti immessi in ruolo (che pure hanno firmato un contratto con clausola rescissoria) le cui competenze professionali sono state ampiamente convalidate sia dalle prove concorsuali che dall'esperienza lavorativa maturata e la cui continuità di servizio sulle rispettive sedi sarebbe auspicabile;
    c) per dare riconoscimento ai 50 ricorsisti le cui ragioni sono state ampiamente riconosciute dal tribunale amministrativo;
    d) per definire soluzioni normative che determinino una composizione degli interessi delle parti in causa tale da ripristinare condizioni di stabilità e di legalità nell'assegnazione dei dirigenti alle istituzioni scolastiche ed evitare la proliferazione di contenziosi che possono protrarsi per anni e costi alla pubblica amministrazione, oltre ad inevitabili inefficienze per il sistema scolastico;
    e) per ridefinire nuove procedure che garantiscano un reclutamento dei dirigenti scolastici in condizioni di maggiore ordine, trasparenza e certezza, interrompendo la lunga stagione di assunzioni condizionate più da sentenze che dal principio di una seria e rigorosa valutazione delle competenze. (4-00373)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   gli ammortizzatori in deroga sono trattamenti di sostegno al reddito in favore di lavoratori dipendenti da imprese escluse dalla normativa generale sugli ammortizzatori sociali; a beneficiarne, pertanto, sono soprattutto i lavoratori delle piccole e medie imprese, quelle stesse che principalmente costituiscono il tessuto economico italiano e che, in questi anni, maggiormente risentono della crisi socio-economica del Paese;
   la legge n. 92 del 2012, più comunemente nota come «riforma Fornero», nel delineare la riforma degli ammortizzatori sociali con l'introduzione dell'assicurazione sociale per l'impiego (aspi) e della mini-aspi, ha previsto la possibilità di concedere trattamenti di cassa integrazione in deroga, tramite accordi governativi tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro dell'economia e delle finanze, per gestire «situazioni derivanti dal perdurare dello stato di debolezza dei livelli produttivi del Paese per gli anni 2013-2016»;
   secondo quanto riportato dalla stampa nei giorni scorsi è «allarme» sulle risorse per il finanziamento della cassa in deroga: il segretario della Cgil ha dichiarato che servono 2,7 miliardi di euro per il 2013, mentre l'ex Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Fornero, ha affermato che un miliardo di euro forse non sarebbe bastato;
   nel dicembre 2012, una circolare inviata dall'Inps aveva disposto i pagamenti per i soli decreti regionali giunti entro il 31 dicembre 2012 e, solo a seguito della protesta di sindacati e regioni, il 13 febbraio 2013 l'ex Ministro Fornero aveva autorizzato l'Inps all'erogazione degli ammortizzatori sociali in deroga limitatamente alle regioni che avessero già siglato le convenzioni con il Ministero, nonché al pagamento di due mensilità della cassa integrazione in deroga del 2012, con autorizzazione successiva al 31 dicembre 2012, ma limitatamente al tetto di copertura di 200 milioni di euro;
   dal 13 febbraio 2013 al 13 marzo 2013 un forte pressing ha portato alla definizione delle spettanze per le diciannove regioni italiane e le due province autonome di Trento e Bolzano, ma subito è scattata l'agitazione, soprattutto da Lombardia, Toscana e Puglia, poiché le richieste pervenute da gennaio 2013 hanno già sforato la copertura prevista a livello regionale: in Lombardia l'assegnazione in base alla spesa storica è stata pari ad 87 milioni di euro, contro un fabbisogno di 300 milioni di euro;
   il mancato reperimento di fondi per garantire gli ammortizzatori in deroga per tutto il 2013 rischia di creare una vera e propria emergenza sociale, che coinvolge migliaia di lavoratori e rispettive famiglie –:
   come il Governo intenda reperire le risorse per il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga ed entro quali tempi, auspicando che non percorra la strada dell'aumento della pressione fiscale, già tra le più alte d'Europa, causa principale dello stato di crisi e di recessione del Paese. (3-00038)


   BELLANOVA, SPERANZA, DE MICHELI, GIACOMELLI, GRASSI, MARTELLA, VELO, DE MARIA, ROSATO, FREGOLENT, GARAVINI, POLLASTRINI e MAURI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il drammatico contesto socio-economico che caratterizza da diversi anni il nostro Paese non mostra segnali di miglioramento per tutto il 2013, con una riduzione del prodotto interno lordo che dovrebbe attestarsi attorno al 1,4 per cento e una timida ripresa per l'anno 2014, tuttavia, senza che questa possa produrre effetti benefici sul piano occupazionale;
   la crisi economica ha fortemente indebolito il sistema produttivo italiano, reso più fragile ed esposto a una crisi di competitività che si ripercuote sui lavoratori e sul loro posto di lavoro, sempre più a rischio; per far fronte a quella che si va delineando come una vera e propria emergenza sociale occorre sfruttare tutti gli strumenti a disposizione dello Stato, al fine di attenuare gli effetti della grave recessione sulle famiglie italiane;
   nella consapevolezza della gravità degli effetti sociali del protrarsi della crisi, tra i primi atti prodotti dal gruppo del Partito democratico nell'immediatezza dell'avvio della XVII legislatura vi è stata la mozione n. 1-00007, a prima firma dell'onorevole Speranza, volta a promuovere l'immediato rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga per tutto l'anno 2013;
   su tale urgenza si è registrata l'unanime condivisione delle organizzazioni sindacali e delle amministrazioni regionali;
   vanno sottolineati positivamente la consapevolezza dell'urgenza e gli impegni assunti dal Presidente del Consiglio dei ministri, sin dalle dichiarazioni programmatiche su cui ha ricevuto la fiducia delle Camere –:
   con quali tempi si intenda intervenire per assicurare le opportune risorse economiche necessarie a finanziarie gli ammortizzatori sociali in deroga per tutto il 2013, in prospettiva di un più generale intervento di riordino e universalizzazione degli strumenti di sostegno del reddito di tutti lavoratori, a prescindere dal settore di appartenenza e dalle diverse tipologie contrattuali applicate. (3-00039)


   MIGLIORE, DI SALVO, AIRAUDO, PLACIDO e RAGOSTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i cosiddetti esodati sono lavoratori e lavoratrici che, al momento dell'adozione della «riforma pensionistica Fornero» (articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011), erano prossimi al raggiungimento dei requisiti pensionistici ed erano fuoriusciti o stavano per fuoriuscire dal mercato del lavoro;
   poiché la «riforma Fornero», dal 2012, ha sensibilmente incrementato i requisiti anagrafici e contributivi per l'accesso al pensionamento, tali lavoratori e lavoratrici hanno visto spostarsi in avanti, anche di svariati anni, il momento in cui potranno accedere alla pensione;
   essendo rimasti senza lavoro e non potendo più accedere subito alla pensione, lavoratori e lavoratrici esodati rimarranno – da subito o al termine del periodo di godimento di eventuali ammortizzatori sociali cui avevano diritto – senza reddito e senza mezzi di sostentamento per sé e per le loro famiglie;
   la «riforma Fornero» della previdenza, pensata per fare cassa, non ha dettato una vera disciplina transitoria per salvaguardare le legittime aspettative di tutte le lavoratrici e i lavoratori prossimi al raggiungimento dei requisiti pensionistici, limitandosi, invece, ad individuare alcune categorie di lavoratori ai quali continuare ad applicare la normativa previdenziale previgente (cosiddetti salvaguardati), fino alla concorrenza di limitate risorse finanziarie a ciò destinate;
   secondo dati della Ragioneria generale dello Stato, prodotti in occasione dell’iter parlamentare dell'atto Camera n. 5103 della XVI legislatura, i lavoratori esodati interessati dalle disposizioni del progetto di legge in questione sarebbero stati ben 314 mila; ma secondo le stime dell'Inps, e dichiarazioni variamente rilasciate dall'ex Ministro Fornero, un calcolo preciso non è possibile e comunque si potrebbe arrivare a circa 400 mila lavoratori e lavoratrici;
   venutasi a creare una grave situazione sociale e una rottura del patto che i cittadini lavoratori hanno fatto con lo Stato, con provvedimenti successivi sono state parzialmente incrementate le risorse, portando il numero totale degli esodati salvaguardati a 130.130 unità;
   il numero degli esodati per i quali non è stata trovata ancora una soluzione sono oltre 200 mila, forse molti di più, rispetto ai quali lo Stato e la politica ha delle gravi e urgenti responsabilità;
   inoltre, rispetto ai 130.130 salvaguardati sussiste una situazione di totale mancanza di certezze. Sono moltissimi i lavoratori e le lavoratrici che, pur avendo presentato domanda perché ritengono di avere i requisiti per essere salvaguardati, scrivono allarmati perché l'Inps e gli altri enti competenti non forniscono informazioni certe riguardo alle posizioni di ciascuno di loro;
   in altri casi, invece, comunicano agli interroganti addirittura che gli stessi enti si rifiutano di ricevere le loro domande, senza neppure disporre la necessaria istruttoria in considerazione della particolarità e della complessità di ciascuna posizione;
   quanto sta accadendo è particolarmente grave, perché rivela la sottovalutazione del problema nella situazione di incertezza che è venuta a determinarsi, non garantendo a tali lavoratori e lavoratrici almeno il migliore servizio possibile di informazione e assistenza;
   è noto, infine, che per i lavoratori e le lavoratrici l'accesso alla salvaguardia si è concretamente aperta solo nel giugno 2012, a seguito della pubblicazione del decreto ministeriale del 1o giugno 2012, grazie al quale sono poi iniziate le procedure di monitoraggio atte a controllare il possesso dei requisiti richiesti ai lavoratori e la definizione delle liste di salvaguardia. Questa operazione, sfortunatamente, sembra ancora non essersi conclusa, pur a fronte del fatto che alcuni soggetti abbiano già maturato la decorrenza pensionistica; e questo perché le procedure di emersione sono scattate solo nel settembre 2012. Per questi lavoratori l'Inps sta esaminando le singole istanze, per verificare le condizioni contrattuali e il percorso lavorativo di ciascun candidato alla salvaguardia. Ciò nonostante rimane ancora sconosciuto il numero dei lavoratori che nel gruppo dei primi 65.000 salvaguardati rimane escluso, pur avendo i requisiti previste dalla legge. Su questo fronte né l'Inps, né il Ministero del lavoro e delle politiche sociali forniscono informazioni dettagliate e precise;
   nel suo discorso alle Camere per la richiesta della fiducia, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato che: «con i lavoratori esodati la comunità nazionale ha rotto un patto e la soluzione strutturale di questo tema è un impegno prioritario di questo Governo»;
   in un'intervista rilasciata al quotidiano la Repubblica, il Sottosegretario per il lavoro e le politiche sociali, professor Carlo Dell'Aringa, ha dichiarato che occorre introdurre una flessibilità in uscita verso il pensionamento, ricordando che bisogna prendere atto con realismo che con la «riforma Fornero» «si è aperta una falla sociale spaventosa» –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per offrire una soluzione strutturale al problema dei lavoratori cosiddetti esodati non ancora salvaguardati, che includa anche il rafforzamento dei servizi di informazione e assistenza che l'Inps e gli altri enti interessati devono necessariamente prestare a ciascuno di loro. (3-00040)


   ROSTELLATO, CIPRINI, COMINARDI, BECHIS, TRIPIEDI, BALDASSARRE, RIZZETTO e LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   gli interroganti intendono farsi portavoce di una situazione sociale al limite della sostenibilità; si è assistito alla recente nascita di una congerie di nuove categorie di «non lavoratori», in particolare con la riforma dell'ex Ministro Fornero, ma tale peculiare condizione è uno dei risultati della precarietà a tempo indeterminato, spacciata per flessibilità, introdotta a partire dalla metà degli anni ’90, ma senza il necessario corollario delle misure di tutela;
   gli interroganti ritengono di dover chiarire gli equivoci di fondo e spiegare chi sono gli esodati: essi sono i 130.000 che hanno interrotto il proprio rapporto di lavoro avendo trattato o firmato accordi, sindacali o no, per l'accompagnamento alla pensione con il pagamento, da parte dell'azienda, dello stipendio e dei contributi fino al raggiungimento della pensione oppure, con l'ottenimento di forti incentivi economici – in particolare nel caso di manager – cifre tali da permettere loro una vita più che tranquilla senza lavorare e, contemporaneamente, di pagare contributi «volontari» per il raggiungimento della pensione nel 2013 (gli interroganti rilevano che la stragrande maggioranza degli «esodati» che hanno firmato l'accompagnamento alla pensione lavoravano in aziende quali Poste italiane, Enel, banche, Italtel-Siemens, vale a dire aziende sopra i 15 dipendenti, statali e/o parastatali);
   con la riforma dell'ex Ministro Fornero e l'innalzamento dell'età pensionabile, i 130.000 «esodati» si sono trovati scoperti, nella maggioranza dei casi, per qualche mese o, al massimo, per un anno, ma risultano tutti «salvati» e, al momento, solo in attesa delle risorse economiche che l'Inps non ha ancora inviato per questioni di graduatorie;
   la questione che preme agli interroganti mettere in luce è la condizione di quanti, rispetto agli esodati ufficiali, si trovano nella medesima posizione – espulsi dal mondo del lavoro – ma completamente privi di tutele: risulta discriminatorio porre l'accento esclusivamente sulle problematiche inerenti agli «esodati», come sopra indicati, a fronte di lavoratori che non hanno potuto stringere accordi o essere accompagnati alla pensione, perché era inutile che facessero quegli accordi, perché avevano già una contribuzione più che utile al raggiungimento della pensione, o era impossibile ottenere quegli accordi, perché lavoratori di aziende con meno di 15 dipendenti, o, ancora, perché lavoratori del commercio sotto i 50 dipendenti o perché lavoratori a partita iva, o perché lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo (crisi, ristrutturazione, mancato pagamento ed altro) o perché lavoratori di imprese fallite o perché lavoratori a contratto stagionale e/o precario, o perché vittime di mobbing uscite «volontariamente» dal mondo del lavoro singolarmente (anche se in massa) e tutti diventati immediatamente troppo vecchi per lavorare, troppo giovani per la pensione e, quindi, non più ricollocabili;
   ad avviso degli interroganti, gli accordi di accompagnamento alla pensione, per i lavoratori appartenenti al 76 per cento del mondo del lavoro, cioè a tutti quei lavoratori che non sono sotto l'egida sindacale, erano e sono assolutamente preclusi, accordi impossibili anche per coloro ai quali mancava solo l'età stabilita (già aumentata dai precedenti Governi, a fronte dell'altissimo numero di lavoratori e lavoratrici disoccupati proprio a causa dell'età avanzata), che prevedeva il suo termine di ammissione, nel e dal 2013, per la maturazione del diritto in base all'età e non solo alla soglia contributiva dei 35 anni, magari già raggiunta da tempo;
   gli interroganti stigmatizzano il costume di questo Paese nei confronti di aziende ritenute particolarmente significative dai Governi e di altre, statali e parastatali, alle quali sono stati concessi negli anni, in assenza di strategie o ristrutturazioni lungimiranti da parte delle beneficiarie, oltre ad ingenti aiuti economici, sulle spalle di tutta la collettività, anche agevolazioni in ordine a prepensionamenti o cosiddetti «scivoli» a dipendenti con parecchi anni in meno dei 35 di contribuzione e con età anagrafica ben lontana da quella oggi richiesta;
   ad avviso degli interroganti, anche a fronte del «balletto di cifre» intercorso tra l'ente competente Inps e l'ex Ministro Fornero, è opportuno che oggi siano chiarite le cifre esatte in ordine agli effetti sulle categorie e sul numero dei lavoratori della recente riforma previdenziale –:
   quanti siano in totale i soggetti penalizzati, in quanto non più titolari di rapporto di lavoro e non ancora titolari di pensione, che secondo la previgente normativa ne sarebbero stati titolari, al netto dei circa 130.000 esodati già salvaguardati, e come intenda il Governo intervenire al fine di salvaguardare anche la restante parte. (3-00041)


   BALDELLI, PIZZOLANTE e POLVERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il tasso di disoccupazione giovanile è salito al 38,4 per cento a marzo 2013 ed è in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto a febbraio 2013 e di 3,2 punti rispetto allo stesso periodo del 2012;
   tra i principali interventi da adottare per ridurre la disoccupazione giovanile c’è la detassazione per le imprese che assumono con contratti a tempo indeterminato e la modifica della cosiddetta legge Fornero in merito ai contratti a termine –:
   quali iniziative intenda adottare per rilanciare il mercato del lavoro in Italia e, in particolare, per abbattere la disoccupazione giovanile. (3-00042)


   GIORGIA MELONI e RAMPELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la perdurante crisi economica che sta proseguendo in ogni parte del mondo manifesta i propri effetti negativi, in particolare, nei confronti delle categorie più deboli, alle quali è stato chiesto un enorme sacrificio per il bene dell'Italia;
   in tale contesto di reale sofferenza spicca, per la propria incomprensibile essenza, la questione delle cosiddette «pensioni d'oro»;
   erroneamente percepite come diritti acquisiti, le pensioni d'oro non possono non essere considerate altro che ingiusti privilegi, che, in specie in tale contesto socio-economico, non hanno alcun motivo per essere perpetuate;
   il livello medio delle pensioni erogate dagli enti previdenziali, anche in considerazione dell'elevato numero e della cifra quasi simbolica delle pensioni minime, è assolutamente incompatibile con la loro conservazione;
   sarebbe opportuno fissare un tetto alle pensioni d'oro quando le stesse non corrispondano a contributi effettivamente versati, stabilendo, ad esempio, che le stesse non possano superare dieci volte il livello delle pensioni minime, salvo i casi di chi abbia versato somme maggiori rispetto al limite proposto;
   quello dell'assoluta ingiustizia delle pensioni d'oro è un sentimento diffusissimo nella società e nella XVI legislatura la questione di una riforma delle stesse venne più volte dibattuta e condivisa dalle diverse forze politiche nel Parlamento;
   proprio per quanto appena detto è urgente riformare il sistema delle pensioni d'oro, senza avere intenti penalizzanti nei confronti di alcuno, ma cercando la giusta via per affrontare una questione ormai non più rimandabile –:
   quali siano gli intendimenti del Governo nella materia delle cosiddette pensioni d'oro, in considerazione del fatto che l'esigenza di una riforma delle stesse è ampiamente condivisa dalla società e dalle forze politiche, e, nello specifico, se si intenda utilizzare i risparmi eventualmente prodotti per la creazione di un fondo destinato all'adeguamento delle pensioni di invalidità al livello delle pensioni minime. (3-00043)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il drammatico contesto economico che caratterizza da diversi anni il nostro Paese non mostra segnali di miglioramento; tutti gli indicatori Istat rilevano l'aggravarsi di una condizione di estrema difficoltà;
   la vita di milioni di famiglie italiane è sempre più esposta al rischio di impoverimento: il prolungamento della crisi economica ha fortemente indebolito il sistema produttivo italiano, reso più fragile ed esposto a una crisi di competitività che si ripercuote sui lavoratori e sul loro posto di lavoro;
   per far fronte a quella che si va delineando come una vera e propria emergenza sociale occorre sfruttare tutti gli strumenti a disposizione dello Stato al fine di attenuare gli effetti della grave recessione sulle famiglie;
   nel Meridione lo stato di angoscia in cui versa una rilevante parte della popolazione italiana è acuito dalla complessità del quadro socio-economico; a tal fine, in data 10 aprile 2013, presso l'assessorato al lavoro della regione Calabria, è stato sottoscritto un accordo istituzionale per l'erogazione degli ammortizzatori sociali in deroga per l'anno 2013, allo scopo di garantire una continuità di protezione sociale dei lavoratori colpiti da sospensioni e cessazioni dell'attività produttiva;
   le parti, in particolare, di fronte al perdurare dello stato di debolezza dei livelli produttivi, hanno confermato anche per il 2013 la validità della strategia condotta per il contrasto alla crisi occupazionale, attraverso un sistema di tutele fornite dagli ammortizzatori sociali in deroga e l'attuazione di interventi di politiche attive del lavoro, in continuità con le linee strategiche dell'accordo quadro sulle misure anticrisi del 5 febbraio 2009;
   la sottoscrizione dell'accordo rappresenta, però, solo una prima risposta alle esigenze del momento: i sottoscrittori hanno infatti preso atto della scarsezza delle risorse sin qui attribuite dal Governo allo scopo di finanziare gli ammortizzatori sociali in deroga, sufficienti esclusivamente a coprire solo i primi 4 mesi dell'anno; inoltre, i rappresentanti sindacali hanno evidenziato la necessità di includere nella proroga della mobilità i percettori che abbiano usufruito delle disposizioni contenute nella legge n. 223 del 1991, i quali a causa delle oggettiva difficoltà di reinserimento nel mondo lavorativo calabrese non sono riusciti a ricollocarsi nel sistema produttivo;
   in mancanza di tempestivi interventi da parte del Governo volti a reperire le risorse necessarie a garantire la copertura degli ammortizzatori sociali in deroga per l'intero arco dell'anno in corso, in Calabria potrebbe venirsi a creare un situazione di vera e propria emergenza sociale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave situazione economica e sociale calabrese e se intenda assumere con la massima urgenza ogni iniziativa utile per assicurare la copertura finanziaria per il ricorso agli ammortizzatori sociali in deroga necessari per tutto l'anno 2013, posto che è indispensabile per attenuare le drammatiche conseguenze sull'occupazione provocate dai protrarsi della crisi economica;
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, con la necessaria urgenza, allo scopo di favorire l'adozione dei provvedimenti volti a includere nella proroga della mobilità i lavoratori che abbiano già beneficiato del trattamento di mobilità ordinaria di cui alla legge n. 223 del 1991. (5-00097)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPARINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 30 aprile 2013 l'Inps, con una comunicazione interna, ha sospeso le visite fiscali di controllo d'ufficio per le assenze per malattia dei lavoratori del settore privato;
   tale decisione viene giustificata con la necessità di raggiungere l'obiettivo di 500 milioni di euro di risparmio nel bilancio 2013 sulla base di quanto previsto dalla legge di stabilità;
   il provvedimento, che dovrebbe tagliare la spesa di circa 50 milioni di euro l'anno per queste prestazioni, non tiene conto delle conseguenze che determineranno per l'Inps un incremento delle spese (indennizzo di malattia, azzeramento delle sanzioni per assenze non giustificate e mancata chiusura delle prognosi) di gran lunga superiore al risparmio ottenibile dalla sospensione del servizio;
   questo errore, ad avviso dell'interrogante grossolano, deriva dalla mancata valutazione (o dalla ancor più grave mancata conoscenza) delle modalità di svolgimento dell'attività della medicina fiscale (come si evidenzia purtroppo dall'inadeguatezza della strutturazione della nuova procedura telematica), ma soprattutto dalla mancata valutazione delle finalità del servizio stesso;
   come tutti sanno (o dovrebbero sapere), gli obiettivi delle visite fiscali di controllo sono essenzialmente tre: azione deterrente sull'assenteismo; sanzioni per assenze non giustificate e conseguente riduzione dell'indennizzo di malattia erogato dall'Inps; riduzione dei giorni di prognosi e/o chiusura a termine della malattia con impossibilità di continuazione della malattia da parte del lavoratore;
   è facilmente intuibile che la sospensione dei controlli determinerà un aumento spropositato dell'assenteismo con conseguente incremento del costo per l'indennità di malattia per le casse pubbliche ben superiore al costo del servizio. Secondo il coordinatore nazionale della FIMMG Inps, dottor Alfredo Petrone, ogni aumento dell'assenteismo tra 0,1 per cento e lo 0,2 per cento produrrà un costo di 100 milioni di euro in più;
   la sospensione delle visite fiscali comporterà l'azzeramento delle sanzioni per assenza non giustificata e la portata del danno economico per l'Inps è facilmente deducibile dai dati della sede Inps di Brescia;
   infatti, nella sede di Brescia nell'anno 2012 sono state effettuate 13.850 visite fiscali che hanno determinato un totale di 2.240 sanzioni (assenza, indirizzo errato e non reperibilità) con una media mensile di 1.154 visite ed una media mensile di 187 sanzioni. Nei primi quattro mesi del 2013, a causa della riduzione delle visite richiesta dall'Inps di Roma, sono state effettuate
3.600 visite fiscali che hanno determinato un totale di 470 sanzioni con una media mensile di 900 visite ed una media mensile di 117 sanzioni. Da questi dati si evince chiaramente che maggiore è il numero di visite effettuate e maggiore è il risparmio dell'Inps e che una semplice diminuzione delle visite (-254 al mese) ha determinato la diminuzione delle sanzioni (-70 al mese);
   riveste una finalità altrettanto importante (forse la più importante ed efficace) sia la chiusura anticipata della prognosi che la chiusura a termine della prognosi, che impediscono al lavoratore di continuare la malattia (qualora il lavoratore si recasse dal medico curante, quest'ultimo ignaro del giudizio di idoneità emesso dal medico fiscale) con conseguente blocco automatico dell'indennizzo di malattia;
   il controllo fiscale ed il giudizio di idoneità (nella sede di Brescia la percentuale di idoneità al lavoro si è attestata nell'ultimo periodo tra il 25 per cento ed il 45 per cento per quasi tutti i medici) sono il meccanismo più efficace non solo per contrastare l'abuso di assenteismo ma soprattutto per stroncare quel sistema poco visibile di sottrazione ai danni dell'istituto che si perpetua quotidianamente;
   sempre, più frequentemente nello svolgimento delle visite fiscali, i medici di controllo si trovano di fronte a prognosi di 2-4-6 mesi, o per patologie croniche (l'indennizzo di malattia è previsto per le fasi acute di malattia con limitazioni funzionali), o per pazienti in attesa di interventi chirurgici (ad esempio: una lesione del corno posteriore del menisco mediale del ginocchio non compromette le normali funzioni di vita quotidiana come non costituisce una limitazione per la maggior parte delle mansioni lavorative), o per pazienti asintomatici (in sostanziale stato di benessere psico-fisico) con diagnosi generiche come lombalgia o sindrome depressiva che in realtà sono in attesa della vicina pensione o sono in attesa di un cambio di lavoro magari perché non più idonei alla mansione lavorativa (e nel frattempo svolgono attività in nero), o peggio ancora, nell'edilizia, per lavoratori che si mettono in malattia per svolgere lavori a turno a casa propria o dei parenti;
   un'altra situazione paradossale, emersa in questo periodo di crisi, è l'indicazione sempre più insistente che soprattutto le aziende o gli artigiani, che non possono usufruire della cassa integrazione, danno ai propri dipendenti di mettersi in malattia al fine di ridurre il personale ovviamente a spese dell'Inps. La percentuale delle visite richieste dai datori di lavoro è inferiore al 25 per cento e soprattutto le aziende che traggono un vantaggio dalla malattia dei propri dipendenti non chiederanno mai una visita di controllo che determinerebbe la fine della malattia ed il rientro al lavoro del dipendente;
   dopo aver evidenziato le finalità e l'efficacia dell'attività della medicina fiscale non si può evitare di sottolineare che questo provvedimento porterà di fatto al licenziamento di più di mille medici che collaborano da decenni con l'Inps;
   non si può altresì evitare di rimarcare la mancanza di riconoscenza da un punto di vista morale e professionale da parte della dirigenza dell'Inps di Roma che forse dimentica che, all'atto della firma dell'accettazione dell'incarico, è stato imposto ai medici fiscali un rapporto di collaborazione esclusiva con l'istituto, dettata dalle incompatibilità previste praticamente per qualsiasi altra attività medica –:
   se non ritenga opportuno intervenire presso l'Inps affinché trovi strade alternative, per raggiungere l'obiettivo di 500 milioni di euro di risparmio, in quanto, come esposto in premessa, con la sospensione delle visite fiscali si rischia un aumento delle spese, quindi un fittizio risparmio, in controtendenza con le politiche di contenimento della spesa pubblica, rinunciando, altresì, all'apporto di professionisti. (4-00376)


   DEL BASSO DE CARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   per far fronte alle richieste di riduzione della spesa degli Enti pubblici di previdenza e assistenza sociale da conseguirsi a partire dal 2013, l'INPS ha deciso la sospensione delle visite mediche di controllo domiciliari ai lavoratori in malattia disposte d'ufficio, lasciando operative solo quelle richieste dai datori di lavoro;
   tale decisione non potrà che determinare, nel breve periodo, un consistente aumento dell'attuale spesa per l'indennità di malattia, considerando che l'eventuale crescita, anche di uno/due decimali di punto della percentuale di assenteismo, comporterà un aumento della spesa di gran lunga superiore a quanto l'Istituto abbia speso nel 2012 per le visite mediche di controllo domiciliari di ufficio;
   con tale provvedimento di sospensione l'INPS rinuncia a svolgere il proprio ruolo sociale, procura un sicuro danno erariale allo Stato ed al tempo stesso preannuncia la fine della collaborazione professionale di circa 1.000 medici, con un'età media intorno ai cinquant'anni e che svolge questa attività in modo prevalente;
   tali professionisti che assicurano il servizio su tutto il territorio nazionale da oltre vent'anni, con elevata professionalità, a causa della struttura stessa del rapporto libero-professionale di collaborazione fiduciaria intrattenuto con l'INPS, avrebbero enormi difficoltà di reinserimento nel mondo del lavoro senza neanche beneficiare tra l'altro degli ammortizzatori sociali previsti per le altre categorie di lavoratori;
   le organizzazioni sindacali di categoria, in più occasioni, nelle sedi competenti, hanno proposto forme alternative di rapporto di lavoro dei medici di controllo INPS in grado di rendere il servizio ancora più efficiente ottimizzandone e razionalizzandone i costi;
   l'entrata a regime della modalità telematica di ricezione, compilazione e trasmissione delle visite mediche di controllo domiciliari supportata da sistemi informatici esperti (data mining), rende oggi possibile la creazione di un polo unico della medicina di controllo avendo l'INPS sicuramente i mezzi per gestire il controllo dello stato di salute dei lavoratori in malattia sia del comparto privato che di quello pubblico realizzando un ulteriore ottimizzazione dell'intero processo e diminuendone i costi –:
   quali iniziative intenda intraprendere per contemperare le esigenze di risparmio, le funzioni dell'ente e la tutela dei medici incaricati, confrontandosi con le organizzazioni di categoria e valutando soluzioni alternative a quelle individuate dall'INPS.
(4-00381)


   LEVA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 febbraio 2013 il presidente della regione Molise ed il Ministro del lavoro e delle politiche sociali pro tempore stipulavano l'accordo per l'assegnazione di risorse finanziarie per gli ammortizzatori sociali in deroga ai sensi delle leggi n. 183 del 2011 e n. 92 del 2012;
   al Molise sono stati attribuiti momentaneamente per l'anno 2013 euro 4.930.998,00;
   ad oggi non è ancora stato predisposto il decreto interministeriale di assegnazione da emanarsi di concerto col Ministero dell'economia e delle finanze;
   la mancata definizione della procedura di cui sopra, di fatto, non ha consentito e non consente ai lavoratori in regime di cassa integrazione in deroga di beneficiare del trattamento per il primo quadrimestre 2013;
   per il periodo maggio/dicembre 2013 ancora non si assegnano fondi per gli ammortizzatori sociali in deroga –:
   se i Ministri interrogati non ritengano urgente accelerare l'emanazione del decreto interministeriale, per consentire l'avvio delle conseguenti istruttorie presso l'INPS propedeutiche al pagamento del trattamento in favore dei lavoratori interessati;
   quali iniziative si intendano intraprendere al fine di stabilire con estrema sollecitudine un urgente assegnazione di risorse per finanziare gli ammortizzatori sociali in deroga per il periodo maggio/dicembre 2013. (4-00382)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   ZARDINI e ROTTA. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la grave crisi economica e sociale che interessa l'Italia impone allo Stato, considerato complessivamente, tra l'altro di fare bene le proprie attività e di gestire al meglio i servizi pubblici e le prestazioni sociali al fine di creare valore per i cittadini, maggiormente per coloro che vivono direttamente gli effetti devastanti della congiuntura;
   l'aumento progressivo della fascia della terza età e i crescenti bisogni che essa rappresenta impegna gli enti, titolari delle relative funzioni, ad una gestione più efficace ed efficiente del sistema di tutela sociale della disabilità;
   l'articolo 20 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009, n. 102, titolato «Contrasto alle frodi in materia di invalidità civile», ha innovato il processo di riconoscimento dei benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità. Dal 2001 la funzione relativa alla concessione delle provvidenze economiche è stata trasferita alle regioni (articolo 130 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112), le quali hanno attribuito le competenze per il riconoscimento di tali benefici ai comuni, all'Inps e alle Asl. All'Inps è stata confermata l'erogazione delle provvidenze e nuovi compiti già introdotti nel processo;
   l'Inps ha definito il disegno organizzativo e procedurale per l'applicazione dell'articolo 20 della legge n. 102 del 2009 (circolare 28 dicembre 2009 n. 131) con l'obiettivo primario di realizzare un processo integrato degli Enti e coordinato delle fasi amministrative e sanitarie finalizzato alla contrazione dei tempi di definizione delle prestazioni di invalidità civile, introducendo il fascicolo elettronico sanitario, il monitoraggio delle fasi di lavorazione del processo, la trasparenza dei parametri di qualità e quantità delle prestazioni, la presentazione per via telematica della domanda e della relativa certificazione sanitaria, l'integrazione delle commissioni sanitarie da un medico dell'Inps, gli strumenti di integrazione e di cooperazione tra i sistemi informativi degli enti;
   l'innovazione introdotta nel processo di invalidità civile, ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni nella legge 3 agosto 2009, n. 102, non è stata recepita concretamente da tutte le aziende sanitarie, con la conseguenza che non sono migliorati, in alcuni territori, i tempi di effettuazione delle visite sanitarie e di definizione delle prestazioni, con disagi gravi da parte degli utenti segnalati dalla stampa;
   il caso emblematico è rappresentato dall'Asl n. 22 di Bussolengo (Verona), la quale utilizza la procedura informatica dell'Inps unicamente per scaricare le domande di invalidità civile, handicap e legge 12 marzo 1999, n. 68, titolata «Norme per il diritto al lavoro dei disabili», trasmesse dal cittadino o dai patronati. Per la fase sanitaria di accertamento dell'invalidità (calendarizzazione visita, convocazione a visita, redazione del verbale di visita, aggiornamento del fascicolo elettronico) l'Asl 22 non utilizza la procedura informatica Inps e, all'esito del procedimento di accertamento, trasmette all'Inps i verbali e la documentazione sanitaria in formato esclusivamente cartaceo. L'Asl 22 non utilizza nemmeno lo strumento della cooperazione applicativa, prevista dall'Inps già dal 2010 (vedi messaggio n. 019196 del 21 luglio 2010) e consistente nel dialogo tra i diversi sistemi informativi degli enti. Tale strumento, pur con tempi di attuazione diversificati caso per caso sul territorio, è ormai consolidato e largamente utilizzato dalle aziende sanitarie al punto che nella regione Veneto solo l'Asl 22 è estranea a tale sistema operativo;
   il non allineamento dell'Asl n. 22 di Bussolengo e degli enti di altri territori al modello organizzativo realizzato dall'Inps, supportato da apposite ed adeguate procedure informatiche, causa il rallentamento del processo d'invalidità civile che si basa sulla integrazione tra enti diversi con gravi conseguenze dei cittadini, non solo per i tempi troppo lunghi di attesa per le convocazioni alle visite mediche. Infatti, l'impossibilità dell'Inps e dei patronati di avere la tempestiva disponibilità degli atti, in quanto i verbali sanitari non sono redatti e trasmessi in formato elettronico, rallenta il lavoro degli uffici amministrativi per la parte inerente i loro specifici adempimenti e impedisce di fornire informazioni attendibili in tempo reale sullo stato delle pratiche;
   il pagamento delle prestazioni dopo 120 giorni dalla data di decorrenza della domanda comporta il pagamento degli interessi legali all'interessato. Costi questi che potrebbero essere eliminati attraverso una gestione efficace delle prestazioni ed attenta a non superare i limiti temporali oltre i quali scatta il calcolo degli interessi;
   l'Inps è in grado, grazie alle proprie procedure informatiche in uso ed all'utilizzo degli strumenti di rilevazione (cruscotto direzionale), di rendere trasparenti i tempi di liquidazione delle prestazioni in questione classificati per provincia e gli indicatori di qualità e quantità delle prestazioni stesse;
   è indispensabile che l'Asl n. 22 di Bussolengo (Verona) condivida il disegno organizzativo realizzato dall'Inps ed utilizzi le procedure informatiche realizzate sempre dall'Inps al fine di migliorare le performance delle prestazioni di invalidità civile del territorio interessato e soddisfare in modo efficace i bisogni degli utenti –:
   se non ritengano necessario rendere trasparenti tramite l'Inps gli indicatori qualitativi (tempi di effettuazione delle visite sanitarie e di definizione delle pratiche) e quantitativi (giacenze) delle prestazioni di invalidità civile, classificati per provincia, al fine di poter intervenire e migliorare la performance del prodotto su tutto il territorio nazionale;
   se non reputino urgente conoscere gli importi relativi agli interessi corrisposti agli interessati per ritardato pagamento delle prestazioni di invalidità civile al fine di eliminare gli sprechi prodotti da una gestione non efficiente del processo invalidità civile;
   se non ritengano necessario intervenire per il tramite dell'ispettorato della funzione pubblica onde verificare se l'Asl n. 22 di Bussolengo (Verona) nella gestione delle pratiche di invalidità civile rispetti i principi di efficienza e di efficacia nell'azione amministrativa. (4-00383)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i medici, specializzatisi in varie discipline mediche, iscritti ai corsi tra gli anni 1982 e 1991, durante l'espletamento di tali attività di formazione ed in dipendenza delle stesse e delle correlate prestazioni mediche, non hanno mai percepito alcuna remunerazione;
   per contro, in base alle direttive 75/362/CEE del Consiglio del 16 giugno 1975; 75/363/CEE del Consiglio del 16 giugno 1975 e 82/76/CEE del Consiglio del 26 gennaio 1982 (in seguito abrogate e coordinate dalla direttiva 93/16/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993) in materia di formazione dei medici specialisti e dei corsi per il conseguimento dei relativi diplomi, è stato prescritto, per tutti gli Stati dell'Unione europea, che le attività di formazione, sia a tempo pieno, sia a tempo ridotto, debbano formare oggetto di «adeguata remunerazione»;
   in particolare, l'articolo 16 della succitata direttiva 82/76/CEE indicava, per gli Stati membri, quale termine ultimo di attuazione delle direttive, il 31 dicembre 1982, in osservanza degli articoli 5 e 189, terzo comma, del trattato che istituisce la Comunità europea;
   la Corte di giustizia delle comunità europee, con sentenza 7 luglio 1987 (causa C-49/86, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica italiana) condannava lo Stato italiano per essere venuto meno agli obblighi incombenti in forza del Trattato CEE, non essendosi adeguata alla perentoria disposizione di cui sopra;
   successivamente, con il decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257, il legislatore nazionale, riordinando l'accesso alle scuole di specializzazione e le relative modalità di formazione e recependo, in ritardo, le direttive sopra richiamate, stabiliva in favore degli specializzandi una borsa di studio annuale di lire 21.500.000, prevedendo però – al secondo comma dell'articolo 8 del citato decreto legislativo n. 257 del 1991 – che tali disposizioni trovassero applicazione solamente in favore dei medici ammessi alle scuole di specializzazione a decorrere dall'anno accademico 1991-1992;
   per la ritardata e (parzialmente) omessa attuazione delle direttive sopra richiamate, alcuni medici esclusi dalla norma avviavano un contenzioso, conclusosi con numerose sentenze dei tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato che evidenziano l'illegittimità dei provvedimenti tardivamente adottati dall'amministrazione, con conseguente annullamento degli stessi, in quanto in contrasto con le direttive comunitarie;
   successivamente e sempre con ritardo, la legge 19 ottobre 1999, n. 370, attribuiva, all'articolo 11, una borsa di studio annua onnicomprensiva di 13 milioni di lire ai soli medici destinatari delle sentenze amministrative passate in giudicato e ciò forfettariamente per tutta la durata del corso;
   la Corte di giustizia delle comunità europee, con sentenza del 25 febbraio 1999 (causa C-131/97) affermava il principio in base al quale l'obbligo di retribuzione dei medici specialisti durante i periodi di formazione deve considerarsi incondizionato e deve altresì essere sufficientemente preciso, in modo tale che il giudice nazionale sia tenuto, nell'applicazione di disposizioni nazionali precedenti o successive alla direttiva, ad interpretarle, quanto più possibile attenendosi alla lettera della summenzionata sentenza senza peraltro tradirne lo spirito;
   con successiva sentenza del 3 ottobre 2000 (causa C-371/97), la Corte di giustizia delle comunità europee precisava inoltre che tale obbligo di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione deve valere tanto per la formazione a tempo pieno, quanto per la formazione a tempo parziale;
   a completamento del quadro normativo appena richiamato, interveniva il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, attuativo della direttiva 93/16/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993, in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli;
   la suddetta norma prevede, in particolare, all'articolo 37, l'inquadramento dell'attività svolta dal medico durante il periodo di formazione specialistica in uno specifico contratto di formazione-lavoro con la corresponsione di un trattamento economico annuo onnicomprensivo, determinato con decreto ministeriale ogni tre anni;
   dottrina e giurisprudenza comunitarie risultano essere univoche, nel senso di riconoscere ai medici un vero e proprio diritto alla remunerazione, principio questo, peraltro, sovrapponibile a quanto stabilito dall'articolo 36 della Costituzione: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro suo e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa (...)»;
   né lo Stato italiano, né le singole amministrazioni centrali o periferiche si sono attivati per adempiere alle indicazioni della Corte di giustizia europea o alle direttive comunitarie sopra richiamate nei confronti dei medici specialisti (iscritti ai corsi di specializzazione tra gli anni 1982 e 1991);
   lo Stato non provvedeva nemmeno ad adempiere in maniera puntuale e completa alle sentenze degli organi di giustizia amministrativa, che avevano annullato i provvedimenti di carattere generale in contrasto con le disposizioni richiamate; decisioni, queste, che, pertanto, estendevano la loro efficacia erga omnes e non solo nei confronti dei ricorrenti –:
   quali iniziative intenda tempestivamente intraprendere al fine di risolvere l'annosa questione esposta in premessa, adeguandosi alle indicazioni provenienti dalle direttive comunitarie e alle sentenze del supremo organo di giustizia europeo, nonché di evitare che dall'imponente contenzioso promosso dai medici interessati derivino a carico dello Stato gravosi oneri finanziari, particolarmente insopportabili nell'attuale contesto. (3-00035)

Apposizione di firme ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Migliore e altri n. 2-00030, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 aprile 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sarti, Daga, Colletti, Ferraresi, Businarolo, Micillo, Bonafede, Agostinelli, Turco, Frusone, Manlio Di Stefano.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Villecco Calipari n. 4-00314, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 aprile 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antezza.

Pubblicazione di un testo riformulato.

   Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Piazzoni n. 4-00347, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 12 del 6 maggio 2013.

   PIAZZONI, NICCHI e AIELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a cavallo degli anni cinquanta e sessanta, in Europa, per effetto di uno psicofarmaco sedativo (il talidomide), somministrato a donne nei primi mesi di gravidanza, erano nati migliaia di bambini colpiti da gravi malformazioni, quali il mancato sviluppo degli arti quali amelia (assenza degli arti) o vari gradi di focomelia (riduzione delle ossa lunghe degli arti);
   il nostro Ministero della salute, nel 1962, ordinava il divieto di commercializzare questo prodotto sul mercato italiano e il ritiro di tutti i farmaci contenenti talidomide in circolazione;
    il comma 363 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), ha stabilito che «ai soggetti affetti da sindrome da talidomide, determinata dalla somministrazione dell'omonimo farmaco, nelle forme dell'amelia, dell'emimelia, della focomelia e della macromelia» è riconosciuto «l'indennizzo di cui all'articolo 1 della legge 29 ottobre 2005, n. 229»;
   molti sono coloro che, pur avendo accertato il nesso tra assunzione del farmaco e patologia deformante, attendono ancora il giusto risarcimento da parte dello Stato a causa della difficoltosa procedura burocratica per il riconoscimento dell'indennizzo. La circolare ministeriale del 5 novembre 2009, n. 31, prevede, infatti, l'obbligo di presentazione di documenti anche molto datati e difficilmente reperibili, come la cartella clinica della nascita e altre «cartelle cliniche e/o certificazioni di struttura pubblica dalle quali risulti la diagnosi, la terapia e gli interventi eventualmente subiti»;
   l'articolo 31, comma 1-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, ha previsto che l'indennizzo previsto dalla legge finanziaria 2008 è riconosciuto solo ai soggetti nati dal 1959 al 1965;
   indubbiamente si tratta di una limitazione troppo restrittiva in quanto esistono soggetti che non sono nati negli anni stabiliti dal menzionato articolo 31 della legge n. 207 del 2008, ma che sono comunque affetti da quella che è meglio conosciuta come «sindrome da talidomide»;
   a questi soggetti lo Stato non riconosce il nesso di causalità tra il farmaco assunto dalla madre e il loro fenotipo, discriminando, di fatto, chi ha la «colpa» di essere nato uno o due anni prima o dopo il termine sancito dalla legge;
   molte sono le cause avviate contro il Ministero interrogato da persone affette dalla «sindrome da talidomide» escluse dall'indennizzo, così come diverse sono le ipotesi di illegittimità costituzionale dell'articolo succitato che, di fatto, negherebbe il diritto, a chi non è nato tra il cinquantanove e il sessantacinque, di essere visitato per accertare il nesso causa-effetto tra talidomide e patologie diagnosticate –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, non intenda assumere una propria iniziativa normativa volta ad ampliare il lasso temporale, attualmente previsto per i nati dal 1959 al 1965, anche agli anni 1958 e 1966, ai fini del riconoscimento del nesso tra sindrome da talidomide e patologie dalle quali i cittadini sono affetti, e comunque a riconoscere il previsto indennizzo per i soggetti nati al di fuori degli anni previsti dalla normativa vigente, purché in grado di documentare con la connessione medico-ospedaliera, un nesso di causalità tra l'assunzione del farmaco e la sindrome da talidomide. (4-00347)

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Rizzetto e Prodani n. 4-00334 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 11 del 30 aprile 2013.
  Alla pagina 763, prima colonna, alla seconda riga, deve leggersi: «specifico studio e constatata una possibile» e non come stampato.
  Alla pagina 763, prima colonna, dalla quarta alla sesta riga, deve leggersi: «maggiore velocità realizzativa e minor costo, si è determinato a non prendere in considerazione detta soluzione, tanto da poterla considerare» e non come stampato.
  Alla pagina 763, prima colonna, alla quarantottesima riga, deve leggersi: «grande sviluppo delle rinnovabili, bensì destinato al» e non come stampato.
  Alla pagina 763, seconda colonna, dalla seconda alla quinta riga, deve leggersi: relativo alla «strategia energetica nazionale» sono necessari adeguamenti strutturali delle reti di distribuzione, che, concepite come passive, sono diventate attive e non come stampato.